Se avete visitato i musei vaticani e vi siete trovati davanti a questo dipinto di Raffaello senza sapere cosa fosse

La battaglia di Ostia, anno 849 d.C.

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La battaglia di Ostia, quando gli amalfitani salvarono Roma ed il Papa

Se avete visitato i Musei Vaticani e vi siete trovati davanti a questo famoso dipinto di Raffaello del 1514, probabilmente avete ignorato che avesse diretta correlazione con Positano, con gli antichi abitanti della Costiera Amalfitana, sorrentini e napoletani. Il dipinto fu commissionato a Raffaello nel 1514, durante il papato di Leone X°, come tributo e memoria all'eroica coalizione campana che salvò Roma dall'attacco dei saraceni. La Battaglia di Ostia, fra Saraceni e Lega Campana, fu una delle più grandi battaglie navali della Storia fra occidente e oriente. Già Polibio raccontava che i napoletani insegnarono ai romani «l’arte del navigare pria che combattuto avessero sul mare co’ Cartaginesi». Un’arte antichissima, quindi, quella della guerra per mare, necessaria per una città fatta di porti in balia di incursioni, meta ambiziosa di qualsiasi potere. Sorsero torri di guardia, presidi e fortificazioni, per gettare un lungo occhio sul mare sempre aperto ai pericoli che provenivano dal sud del Mediterraneo. La letteratura ci restituisce l’immagine di mori bellissimi, dai capelli corvini e uno sguardo scuro e magnetico, al cui fascino orientale nessuna donna poteva resistere. Panorama baia Saraceni È il IX secolo, e i saraceni iniziano a far cadere, una dopo l’altra, le città del sud della penisola italiana: Palermo e Messina caddero come pedoni sotto le scimitarre degli alfieri saraceni, che sempre più velocemente conquistano basi navali per poter continuare a saccheggiare il Mediterraneo e le sue sponde. Il Ducato di Napoli, formalmente bizantino, "de facto quasi completamente autonomo" in quegli anni era dilaniato dalla guerra con il Ducato di Benevento, e non era raro che in queste battaglie il nemico musulmano fosse ingaggiato come mercenario per vincere gli assedi: anzi, i Saraceni erano per Napoli preziosi alleati, sebbene il loro passaggio fosse segnato sempre da rapine e feroci razzie. Ma fu proprio grazie all’intervento delle bande musulmane che cessarono le ostilità tra i due ducati ed il conte di Cuma, Sergio, fu eletto duca di Napoli. Sergio sapeva che l’alleanza con i Saraceni non poteva durare a lungo, e fu proprio quando questi risalirono l’Adriatico dopo aver conquistato Messina nell’843 che la situazione si manifestò chiara. Nelle loro scorrerie infestarono le isole del cratere napoletano, e Sergio riunite le sue forze marittime della Lega Campana formata da Napoli, Amalfi, Sorrento e Gaeta attaccò i Saraceni vicino Ponza, costringendoli alla ritirata presso la loro base di punta Licosa, anche questa poi attaccata dalla Lega e liberata dagli invasori. Ma la sconfitta dei Saraceni durò poco: un gran numero di musulmani risalirono dal mare in nome del Profeta, e mentre la flotta della Lega Campana combatteva a Ponza, i Saraceni lasciarono il porto di Palermo per sbarcare in quello di Miseno, e se ne impadronirono, facendo enormi danni su tutte le coste di Baia, Pozzuoli e Cuma. Servivano basi, approdi per far partire l’offensiva verso quello che era il vero obiettivo dei Saraceni, l’epicentro del culto cristiano: Roma. Si stava per avvicinare la Battaglia di Ostia, il regolamento di conti. Nel luglio dell'anno 849 d.C. una flotta costituita dalle navi delle repubbliche marinare di Amalfi, Napoli, Sorrento e Gaeta, riunite nella Lega Campana sotto la guida del console Cesario di Napoli, sconfisse i saraceni che cercavano di sbarcare ad Ostia per andare a saccheggiare Roma. Fu una battaglia decisiva che cambiò il corso della storia, evitò che Roma e forse mezza Italia di allora finisse nelle mani dei saraceni. Lo svolgimento dei fatti fu che a Roma, un po' prima del luglio dell'anno 849 giunse voce che un’imponente flotta araba, partita dall'Africa, approdò sulle coste della Sardegna a Capo Teulada per organizzare un attacco a Roma. Nello stesso tempo furono avvertiti anche al Ducato di Napoli, e alle città di Amalfi, Positano, Sorrento e Gaeta, che già conoscevano il pericolo che costituivano i saraceni nel Mediterraneo e che non potevano tollerare un attacco al cuore della Cristianità. Organizzarono così in fretta e furia una coalizione di guerrieri, armarono una flotta e la affidarono a Cesario, console del Ducato di Napoli, che già aveva avuto esperienza contro le forze arabe. Sergio I, duca di Napoli, giocando di anticipo inviò la flotta alle porte di Ostia quando ancora i navigli saraceni erano in Sardegna. Il Papa Leone IV, insospettito dal fatto che in passato erano stati numerosi e molteplici i rapporti amichevoli tra musulmani e campani, volle incontrare Cesario e gli altri comandanti per fugare ogni dubbio sulla sincerità della loro azione. Cesareo ed Leone IV si incontrarono nel palazzo del Laterano, che allora era la residenza ufficiale del Vicario di Cristo. I comandanti militari rassicurarono Papa Leone, confermando che il loro intervento era solo ed esclusivamente per la difesa della città di Roma ed il loro territorio. Il Pontefice seguì l'armata e si recò personalmente ad Ostia per essere presente alla vicenda dei fatti e far sbarrare il porto con catene. I guerrieri campani, sbarcarono dalle navi e accolsero con fervore e gioia Leone IV. Il Papa celebrò una messa solenne nella Chiesa di Sant'Aurea (santa martirizzata ad Ostia al tempo di Claudio Imperatore) pregò per loro e personalmente diede la comunione a tutti i presenti. La preghiera: “Onnipotente Dio, che con la tua mano facesti camminare l’apostolo Pietro sul mare, così che non affogasse, e che salvasti l’apostolo Paolo nei tre naufragi, sii a noi propizio e ascoltaci: per i meriti dei due stessi apostoli, fortifica il braccio dei campioni cristiani che stanno per difendere una giusta e santa causa, affinché per la vittoria navale sia il tuo nome glorificato in ogni tempo e presso tutte le genti. Per i meriti di Gesù Cristo, Salvatore Nostro. Amen”. Appena il giorno dopo la cerimonia solenne, la flotta araba fece la sua minacciosa comparsa all’orizzonte. Immediatamente attaccati dai campani, ai quali si erano unite le forze romane, infuriò subito una tremenda battaglia: Arrembaggi, speronamenti, incendi, furiosi corpo a corpo, andarono avanti per tutta la giornata e l'esito sembrava incerto. L'ago della bilancia che fece svolgere a favore degli "italiani" fu un improvviso vento di libeccio a cui i naviganti saraceni non erano abituati. La maggior conoscenza di quel vento e l'abilità dei marinai campani, unitamente a navi più adatte, poterono alla fine prendere il sopravvento. Dei supersiti arabi, alcuni furono giustiziati, altri furono impiccati ed altri ancora presi prigionieri ed impiegati per la costruzione della mura Leonine, grazie soprattutto all’intervento personale del pontefice che pose un freno alla furia dei vincitori. ".

Nella "Monografia della città di Positano" del 1890, opera del canonico Errico Talamo, si fa nota della battaglia di Ostia: - In questo tempo era perigliosa la parte littorale del mezzogiorno d’Italia per causa delle continue irruzioni dei saraceni. I quali nelle loro scorrerie andavano predando ogni paese, e tutto mettevano a sacco e a fuoco, lasciando ovunque lo spavento e la desolazione. Le gare poi, e le contese, che allora agitavano i Principi, davano maggior adito a quei predoni ad esercitare le loro rapine, e ritornarsene ricchi di preda. Correndo l'anno 846 una mano di Arabi e di Mori con una flotta entrata nel Tevere meditava penetrare nella città di Roma. Trovatala chiusa e ben fortificata sfogò la sua bile con mettere a sacco le Basiliche di S. Pietro e di S. Paolo, che si ritrovarono allora fuori della città, facendo a pezzi una parte del popolo. Di là passò presso del Garigliano nelle vicinanze di Montecassino ponendo il campo sotto le mura della città di Gaeta. Sarebbe questa caduta in loro potere, se non fosse corso in suo ajuto Cesario figlio di Sergio Duca di Napoli colla sua flotta, e con quella mandata in ajuto dagli Amalfitani, I quali sopraggiunti in quel luogo forzarono quei barbari a subitamente fuggire. Questa novella ben presto venne recata in Roma, nel tempo, che Leone IV era succeduto a Sergio II nell’ anno 847, il quale con somma premura fabbricava intorno la Basilica Vaticana una città murata con porte e fortilizii, che portò al suo compimento nel giro di quattro anni. Quando gli venne l'annunzio, che un’orda di Saraceni veniva ad infestare di bel nuovo il lido Romano, oltre alle fortificazioni, con cui munì la città, interpose nel fiume catene dì ferro per impedire alle navi nemiche progredire più oltre. in questo incontro sperimentò Leone IV l’amore, che gli portavano gli Amalfitani, i Napoletani e i Gaetani, i quali non appena ebbero sentore dell’avvicinamento degli infedeli verso di Ostia, che subitamente trasportati da en- tusiasmo armarono con fretta i 1oro navigli, ed ebbero la sorte di arrivare prima dei nemici. In Roma non si sapeva, se i pervenuti erano amici o nemici, ma conosciutili per amici il Pontefice recossi ad Ostia, e nella messa, che celebrò nella Chiesa di S. Aurea, dispensò a quei difensori della fede colle proprie mani il pane eucaristico, onde fortificati da questo cibo celeste avessero potuto con più coraggio combattere quegl’infedeli « atque universi ex illius manibus comunionem susceperunt (1). » Fu appunto in questa occasione, che il Pontefice Leone IV recitò per i combattenti Amalfitani, Gaetani e Napoletani quella preghiera troppo nota nella Chiesa, che comincia: Deus, cujus dextera B. Petrum ambu- lantem in fiuctibus ne mergeretur erexit, atque B. Paulum tertio naufragantem de profundo pelagi liberavit, ex- audi nes propitius et concede, ut amborum meritis horum Sidelium vestrorum brachia contra inimicos Sanctae Ecclesiae tuae dimicantia Omnipotenti dextera tua corroborentur et convalescant, ut de percepto triumpho nomen sancium tuum in cunctis gentibus appareat gloriosum. Per Dominum etc. (2). Questa preghiera, che il Clero Universale recita nel divino ufficio più accorciata, è un glorioso ricordo e lusinghiero per gli Amalfitani, Gaetani e Napolitani, che accorsero in ajuto al comune Padre di tutti i fedeli contro l’esecrata gente musulmana.
(1) Così Anastasio Bibliotecario in vita Leonis IV, (2) Anastasio idem. 
Intanto al comparire che fecero i Mori ed i Saraceni nella spiaggia di Ostia, la squadra collegata, che ivi stanziava, si mosse fortemente ad assalirli, ed attaccò primiera la zuffa. Un forte vento spingeva Ie navi africane nel porto, ove miseramente venivano prese dai collegati ed un gran numero di Mori venne ucciso, altri furono feriti , e molti fatti prigionieri e forzati ai lavori necessarii a fabbricare le mura e gli edifizii intorno al Vaticano, così sorse quella parte della città di Roma, che prese poscia il nome del Pontefice, e fu chiamata città leonina. Una tale vittoria riportata su di questi barbari fu talmente completa, che fu celebrata da molti scrittori italiani, e particolarmente dal Sigonio , il quale dice, che sino a quel tempo le tre dette Repubbliche di sopra accennate, note solamente negli affari di commercio, non aveano dato tante prove, nelle cose che riguardano battaglie navali, quante ne diedero nella presente occasione: ad eam usque diem navalis incognita virtus fuerat: via memorari potest res vel eventu vel exemplo in tota antiquitate nobilior (1) ».
(1) Sigonio de Regno Ital. lib. V.

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