COLA DI RIENZO - STORIA
DELLE ERESIE |
Flagellanti (dal XIII secolo)
L'usanza di frustare per motivi di
disciplina o frustarsi per penitenza fece già parte, fin dal IX secolo, della
disciplina monastica del medioevo e venne impiegata in diversi ordini
religiosi come i Camaldolesi, i Cluniacensi o i Domenicani. Tuttavia, ciò
che iniziò a preoccupare la Chiesa Cattolica dei secoli XIII e XIV fu una
nuova forma di flagellanti, cioè gruppi incontrollabili di persone, i quali,
in grandiose processioni pubbliche, si frustavano in remissione dei peccati
del mondo. Si possono riconoscere diversi movimenti che hanno fatto uso di
questa forma di auto punizione.
Flagellanti del 1260 Il 1260 fu
una data cruciale per il Cattolicesimo: coincideva infatti, secondo il
mistico calabrese Gioacchino da Fiore, con l'inizio dell'era dello Spirito
Santo e con la lotta finale contro l'Anticristo, ed effettivamente gli
episodi nefasti del 1259, come l'epidemia di pestilenza, la carestia diffusa
e l'invasione dei tartari in Europa Centrale, facevano proprio pensare che
fosse giunto il momento predetto. Così sorse il movimento dei f. a Perugia su
iniziativa di un eremita francescano umbro, Fra Raniero Fasani (m. 1281),
fondatore di una fratellanza dei Disciplinati di Gesù Cristo (altri gruppi si
chiamarono Battuti, Frustati ecc.). Queste compagnie si diffusero rapidamente
per tutta l'Italia centrale e settentrionale, coinvolgendo donne, uomini,
bambini, laici e religiosi, in gigantesche processioni (fino a 10.000
persone), che passavano attraverso le città, mentre i f., spesso denudati
fino alla cintola, ma col viso coperto da un cappuccio, si frustavano fino a
far sgorgare copioso il sangue. Il movimento si diffuse anche in altri
paesi Europei, come Germania, Boemia e Polonia, finché nel Gennaio 1261, il
Papa Alessandro IV (1254-1261) proibì questa usanza pubblica. Ci furono
alcune frange isolate, come il movimento di Venturino da Bergamo in Italia,
attive fino al 1296.
Flagellanti del 1348 Nel 1347 la Peste,
chiamata Morte Nera, iniziò la sua devastazione in Europa, decimandone la
popolazione di oltre un terzo nei due anni successivi. Inoltre tremendi
terremoti si susseguirono in Italia, Francia e Europa Orientale e molti
pensarono che era imminente la parusìa, il secondo ritorno di Cristo sulla
terra, e quindi per purificarsi apparvero nuovamente, nel 1348, le compagnie
di f., che sfilavano vestiti con un saio e cappuccio (nero o bianco) con una
croce rossa sul petto e sulla schiena (da cui il nome di Fratellanza della
Croce) e frustandosi, mentre cantavano laudi, componimenti popolari sulla
passione di Cristo, di cui Jacopone da Todi fu un valente
compositore. Chiunque avesse voluto aderire al movimento, doveva poi
rimanerci per trentatré giorni e mezzo (per ricordare gli anni di Cristo),
periodo che Gesù Cristo stesso, in una "lettera" fatta recapitare a Roma da
un angelo (sic!), aveva stabilito come minimo per salvarsi l'anima. Il
movimento, forte di ben 50.000 persone, si diffuse in Italia,
Ungheria, Svizzera e nel 1349 in Olanda, Boemia, Polonia e Danimarca, ma non
in Inghilterra, dove non ebbero seguito. Ovviamente una massa così poco
controllabile diede luogo allo sviluppo di dottrine eterodosse, come il
dubitare del valore dei sacramenti ufficiali a causa della corruzione della
Chiesa, il confessarsi o il battezzarsi tra loro; o allo sfogo di
atteggiamenti intolleranti nei confronti degli ebrei con vere e proprie
persecuzioni: si calcola, per esempio, che nella sola Strasburgo furono
trucidati circa 8.000 ebrei. Papa Clemente VI (1342-1352) dapprima permise
alcune processioni, ma poi reagì alle spinte eretiche condannando il
movimento in una lettera inviata nel 1349 ai vescovi di Francia, Germania,
Polonia, Svezia e Inghilterra. Soprattutto in Germania, nella Turingia, il
fenomeno aveva preso rilievi preoccupanti nel 1360 con la comparsa di un
certo Konrad Schmid, il quale si spacciò come la reincarnazione
dell'imperatore Federico II o quella del profeta Enoch e pretese di abrogare
l'autorità ecclesiastica. Schmid e sei altri capi del movimento,
probabilmente associati ai Fratelli del Libero Spirito, furono bruciati sul
rogo nel 1369. Un altro movimento di f., condannato e poi soppresso, fu
quello della confraternita degli albati (dal colore bianco dei loro
cappucci), che manifestarono a Roma nel 1399 alla vigilia del giubileo del
1400. La repressione dei f. continuò per tutto il XIV e XV secolo con
processi seguiti dagli immancabili roghi per decine, e a volte centinaia, di
f. condannati a morte.
Flagellanti dal XVI secolo in poi Più
recentemente, in particolare dal XVI secolo (quando venne incoraggiato in
Francia da Caterina dei Medici e dal re Enrico III) in avanti, il fenomeno si
è ripetuto, ma più nei binari dell'ortodossia e controllato dalle autorità
ecclesiastiche e certe volte stimolato dall'azione di confraternite
penitenziali accettate e ispirate dalle prediche del domenicano San Vincenzo
Ferrer (1350-1419). Manifestazioni simili si ebbero con i Penitenti neri del
1574 o Los Hermanos Penitentes in Messico e in New Mexico, oppure in Spagna
(censurati da re Carlo III nel 1777) e, portati dai Gesuiti, nelle colonie
spagnole del Sud America e soprattutto delle Filippine, l'unica nazione che
attualmente vede un vero e proprio revival dell'auto flagellazione. Infine
in Italia sopravvivono tuttora tradizioni di f. in processioni sacre, per
esempio quelli dei Vattienti a Nocera Terinese (in provincia di Catanzaro),
dei Battenti a Verbicaro (in provincia di Cosenza) e dei Battenti (ogni sette
anni) a Guardia Sanframondi (in provincia di Benevento), mentre le cruenti
processioni di f., che si svolgevano a Ispica e Ibla (ambedue in provincia di
Ragusa), ormai non hanno più questi connotati estremi.
Flaminio,
Marcantonio (1498-1550)
I primi anni L'umanista Marcantonio
Flaminio nacque nel 1498 a Serravalle (vicino a Treviso), figlio del maestro
di scuola, comunque di origini nobili, Giovanni Antonio Flaminio, e dalla
moglie Veturia. Al paese natio F. rimase fino al 1509, e dopo aver ricevuto
gli ordini minori, si trasferì per completare la sua formazione culturale a
Padova, dove intorno al 1530 entrò nel circolo, che faceva riferimento al
futuro cardinale Pietro Bembo (dello stesso entourage faceva parte anche
Aonio Paleario). Nel periodo 1534-1537 F. si fermò a San Giorgio Maggiore
a Venezia, dove divenne membro dell'Oratorio del Divino Amore, assieme a
Gaspare Contarini e Alvise Priuli, e conobbe Benedetto Fontanini da Mantova
ed il futuro cardinale inglese, di ispirazione erasminiana, Reginald
Pole. Nel 1537, durante il suo soggiorno a Verona, F. si schierò a fianco
del predicatore rietino Tullio Crispoldi, che in quegli anni predicava
nella città scaligera con un forte spirito riformatore, favorito dall'azione
del vescovo Gian Matteo Giberti. Questa sua posizione fu ribadita in uno
scambio di lettere con il cardinale Contarini tra il 1538 ed il 1539, in cui
il F. affermò che "tutte le cose che ci conducono alla vita eterna sono
effetti della predestinazione". Inoltre F. era sempre più convinto della
superiorità della lettura diretta delle Sacre Scritture rispetto alle
interpretazioni della scuola scolastica e a riguardo abbandonò la
composizione poetica per dedicarsi ad uno studio più approfondito della
Bibbia, ma anche delle opere di Lutero, Bucero e Calvino. Nello stesso
periodo, tuttavia, F. cercò inutilmente di entrare nell'ordine dei Teatini,
ma ne fu respinto in quanto ritenuto troppo "mondano" dal co-fondatore, il
vescovo di Chieti, Giampietro Carafa, in seguito il fanatico Papa Paolo IV
(1555-1559).
F. valdesiano Dopo Verona, F. soggiornò dapprima a
Caserta, poi a Napoli, dove conobbe Juan de Valdès, divenendone amico ed
aiutando a sviluppare nel 1540 i circoli valdesiani, frequentati da
Bernardino Ochino, Pier Marire Vermigli, Ludovico Manna, Apollonio Merenda,
Pietro Carnesecchi, Giovanni Bernardino Bonifacio, e Vittore Soranzo. Nello
stesso 1540 Flaminio convinse Alvise Priuli, attraverso uno scambio
epistolare, della bontà delle dottrine di Juan de Valdès sulla
giustificazione per grazia divina. Dal maggio all'ottobre 1541 F. dimorò,
ospite del Carnesecchi, a Firenze, dove conobbe la nobildonna Caterina Cibo
da Camerino, con la quale F. mantenne un intenso epistolario e il letterato
Pier Vettori (1499-1585), del quale F. divenne amico fraterno. Questo fu il
periodo più intenso per la diffusione in Toscana delle idee valdesiane, che
F. e Carnesecchi trasmisero a Giulia Gonzaga, Mario Galeota e Galeazzo
Caracciolo, ma il maggiore successo personale di F. fu l'adesione di Reginald
Pole nello stesso 1541.
Il circolo di Viterbo In seguito alla
morte del Valdès nell'agosto 1541, Pole e F. trasferirono la scuola di
pensiero, che aveva raccolto l'eredità del riformatore spagnolo, a Viterbo,
città di residenza del Pole. Attraverso questo circolo, il F. conobbe
Vittoria Colonna e diventò amico del grande Michelangelo
Buonarroti (1475-1564). Il circolo agì, inoltre, da centro di diffusione
degli scritti riformati o evangelici, come i testi inediti di Valdès,
compreso l'Alphabeto christiano, affidati, alla sua morte, a Giulia Gonzaga,
che, alla fine del 1541, li inviò a F. per farli tradurre, sentito anche il
parere di Pole. Nel 1542, il F., pur sotto indagine da parte
dell'Inquisizione, corresse la versione definitiva, dopo la 1° versione (già
riletto e rielaborato da F.) di Benedetto Fontanini del 1537, del famoso
Trattato utilissimo del beneficio di Giesù Christo crocefisso verso i
christiani, o più brevemente Beneficio di Christo (di cui F. scrisse anche
un'Apologia), uno dei libri fondamentali per la Riforma in Italia, che
riprendeva di concetti di giustificazione per fede e predestinazione. Del
resto F. non fece mai mistero delle sua convinzioni: per esempio nell'autunno
1542 egli commentò pubblicamente "ch'erano partiti gli apostoli d'Italia" a
proposito della fuga in Svizzera del Vermigli e dell'Ochino. Nel 1545,
insieme a Alvise Priuli, F. accompagnò Pole al Concilio di Trento, dove
svolse l'attività di suo segretario. F. morì nel
1550.
Curiosità Del Flaminio esiste un presunto ritratto eseguito
nel 1520 da Sebastiano del Piombo (1485-1547), ed esposto nella National
Gallery of Art di Washington: gli esperti sono infatti portati a credere che
lo studioso umanista ritratto sia proprio il Flaminio, amico del
pittore.
Confraternita Rosa Croce (rosacrocianesimo o società dei
rosacrociani) (XVII secolo)
Premessa e paternità dei manifesti
rosacrociani Nel 1614 comparve a Cassel, in Germania, il manifesto base, dal
titolo Allgemeine und General Reformation der ganzen weiten Welt (Riforma
generale ed universale di tutto il mondo) di un misterioso movimento
mistico occultistico, denominato Confraternita Rosa Croce. Il documento
venne seguito l'anno successivo da un ulteriore manifesto dal titolo
Fama Fraternitas R. C. Ambedue gli scritti lanciavano un appello a tutti
gli studiosi di cabala e occultismo di concorrere a formare una società
segreta, che potesse aiutare la rinascita dell'umanità e all'epoca apparvero
come anonimi, ma la loro paternità come quella (certa) del successivo
libro alchemico, Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz, pubblicato nel
1616, venne attribuita al pastore luterano Johann Valentin Andreae, che,
secondo lo storico Paul Arnold, smentì di averli scritti ed anzi dichiarò,
in seguito, di aver concepito Le nozze chimiche per ridicolizzare un
diffuso interesse dell'epoca verso l'occultismo. Tuttavia altre
interpretazioni moderne propendono proprio per un diretto coinvolgimento di
Andreae, sebbene mediato da una stesura, a più mani, dei sopraccitati testi
concepita all'interno del cosiddetto Cerchio di Tubinga, un circolo
mistico-occultista di circa trenta aderenti, comprendenti, fra gli altri, lo
stesso Andreae, Tobias Hess (1558-1614), Johann Arndt, Wilhelm von Wense (m.
1641), Tobias Adami (m. 1643) e Christophe Besold (1577-1638), amico fraterno
di Andreae.
Definizione di rosacrociano Secondo Franz Hartmann, il
rosacrociano è "una persona che mediante il processo di risveglio spirituale,
ha ottenuto una conoscenza pratica del significato segreto della Rosa e della
Croce (..) Chiamare una persona rosacrociana non significa fare di lui un
rosacrociano. Il vero rosacrociano non può essere creato; egli deve crescere
per diventarlo mediante l'espansione del potere divino nel suo cuore". Le
idee dei rosacrociani nacquero da un immenso crogiolo nel quale
erano confluiti: il pensiero di Traiano Boccalini (1556-1613), autore di un
testo satirico chiamato Ragguagli di Parnasso, tradotto da Besold; le
visioni utopiche del filosofo domenicano Tommaso Campanella, i cui scritti
furono portati in Germania da Tobias Adami nel 1613; le profezie di
Gioacchino da Fiore; i mistici tedeschi del XIV secolo come Johannes Tauler e
Johannes Eckhart e scienze occulte come la cabala, l'alchimia e
l'ermetismo.
La leggenda di Christian Rosenkreuz (1378-1484) I
manifesti facevano quindi riferimento a questa misteriosa fratellanza,
di tipo occultistico, cabalistico, e teosofico, fondata da un nobile
tedesco, filosofo ed ex monaco, Christian Rosenkreuz, che sarebbe vissuto ben
106 anni tra il 1378 ed il 1484. Egli, viaggiando tra Damasco,
Cairo, Gerusalemme e Fez, sarebbe stato iniziato da alcuni sapienti arabi,
che erano stati in grado di rivelargli tutti i segreti della sua vita,
passata, presente e futura, e di guarirlo da una grave malattia con l'aiuto
della Pietra Filosofale. Al ritorno in Germania, egli avrebbe fondato, nel
1407, un ordine rosacrociano con tre, in seguito otto, confratelli e sarebbe
vissuto ancora 77 anni. La sua tomba sarebbe rimasta celata fino alla sua
riscoperta nel 1604, da cui l'aumentato interesse nei confronti del suo
ordine all'inizio del XVII secolo. Oggigiorno la tesi che Rosenkreuz sia
un personaggio storicamente esistito è la meno accreditata, perfino tra i
moderni rosacrociani. Altri autori propendono per l'ipotesi che il nome
copra, attraverso uno pseudonimo, un personaggio storico in vista, secondo
alcuni Francesco Bacone (1561-1626), secondo altri Cornelius Agrippa di
Nettesheim, oppure, più probabilmente, che tutta la vicenda vada letta in
senso strettamente allegorico.
Primi passi del
rosacrocianesimo Comunque il riferimento nei manifesti ad una supposta
società segreta provocò una grande eccitazione in tutta l'Europa (soprattutto
in Francia, Inghilterra, Austria e Paesi Bassi): famosi occultisti, come
l'inglese Robert Fludd (1574-1637) o il tedesco Michael Maier (1568-1622), o
perfino il grande filosofo francese René Descartes (Cartesio)(1586-1654),
chiesero pubblicamente di essere contattati dai misteriosi rosacrociani o,
meglio, affermarono addirittura di essere già entrati nella società. Un po'
ovunque sorsero gruppi auto-nominatisi rosacrociani, anche se poi nessuno
riuscì a trovare fisicamente i rosacrociani, per il semplice motivo che essi,
come società segreta strutturata, non esistevano proprio. Nel frattempo,
nel 1616, gli stessi autori (il precedentemente citato circolo di Tubinga),
spaventati dall'incredibile impatto dei loro manifesti e dalle reazioni
negative delle chiese ufficiali, decisero di non uscire allo scoperto e di
osservare il più rigoroso anonimato, abbandonando quindi alla riprovazione
pubblica Andreae, l'unico tra loro che aveva avuto il coraggio di firmare un
testo. E rapido arrivò il declino: già dal 1619 i principali
occultisti, interessati al movimento, iniziarono a dissociarsi e lo stesso
Andreae, indispettito per il voltafaccia dei suoi ex amici, pubblicò, tra il
1617 ed il 1618, l'Invitatio ad Fraternitatem Christi (Invito alla
Confraternita di Cristo), dove egli cercò di lanciare, in contrapposizione
al rosacrocianesimo, un movimento innovatore, una specie di "Città
Cristiana" (Christianopolis), una Nuova Gerusalemme posta direttamente sotto
la protezione di Dio. Nel 1628, dopo una pausa forzata a causa di un
periodo della Guerra dei Trent'anni (1618-1648), scrisse un nuovo manifesto
Verae unionis in Christo specimen, nel quale, attaccando Calvinisti,
Anabattisti, Schwenckfeldiani, e i suoi ex-amici rosacrociani, egli esortava
alla formazione di una Società Cristiana. L'ultimo episodio avvenne in
Olanda, quando il pittore e alchimista Johannes Symonsz van der Beeck (o
Beke) (nome umanistico: Torrentius) (1589-1644), venne imprigionato il 30
agosto 1627 e processato: lo sfortunato pittore era probabilmente solo un
libertino e gaudente, ma venne considerato il leader della Rosa Croce
olandese. Fu torturato e venne condannato come bestemmiatore e per aver
praticato l'alchimia, con un suo amico, tale Christiaen Coppens, addirittura
al rogo, pena poi trasformata in carcere per vent'anni. Per fortuna, grazie
al re d'Inghilterra Carlo I (1625-1649), suo ammiratore, Torrentius venne
rilasciato dalla prigione nel 1630 ed emigrò in Inghilterra, ritornando dopo
qualche anno in patria, dove morì ad Amsterdam nel 1644.
Rosa
croce e massoneria E proprio in Inghilterra la Rosa Croce non tramontò mai
definitivamente, ma i suoi ideali vennero inglobati nella nascente massoneria
speculativa. Tradizionalmente si considera l'elemento di passaggio tra queste
due scuole di pensiero il grande alchimista, antiquario e astrologo Elias
Ashmole (1617-1692), pubblico difensore della Rosa Croce nel 1650 e massone
dal 1646, sebbene in generale, intorno alla metà del XVII secolo, ci fu
un rifiorire di pubblicazioni rosacrociane, come la traduzione in inglese,
a cura di John Heydon (n. 1629), della Fama Fraternitatis nel 1652 o i
testi alchemici, di ispirazione rosacrociana, di Thomas Vaughan (1622-1665),
che s criveva sotto lo pseudonimo di Eugenius Philalethes. In seguito
l'influenza dei Rosa Croce fu rilevante sulla massoneria degli anni 1720-1730
e divenne parte degli alti gradi massonici: il 18° grado del rito scozzese si
denomina, per l'appunto, Principe di Rosa Croce. Verso il 1757 il tedesco
Hermann Fictuld (m. 1777) fondò la Confraternita della Rosa Croce d'Oro, ma
nei metodi e nei rituali, oramai questa era più un ordine massonico, che un
diretto discendente degli anni della Fama Fraternitatis. Nel 1866 il
funzionario della Grande Loggia d'Inghilterra, Robert Wentworth Little
(1840-1878) fondò la Societas Rosicruciana in Anglia, aperta ai soli massoni
cristiani trinitari,
ma anche in Francia ci fu nel XIX secolo un rinnovato interesse per il
rosacrocianesimo, alimentato dai lavori dell'occultista Eliphas Levi
(1810-1875), che ispirarono la fondazione dell'Ordine Cabalistico della
Rosa-Croce nel 1887, voluta dagli occultisti Stanislas de Guaita (1861-1897),
Gérard Encausse, detto Papus (1865-1916) e Joséphin Péladan (1858-1918).
Quest'ultimo fondò poi, nel 1890, l'Ordine della Rosa-Croce Cattolica del
Tempio e del Graal.
I rosacrociani oggigiorno Oggi i principali
gruppi rosacrociani sono otto, derivati spesso da ambienti massonici o
teosofici americani e quasi tutti caratterizzati dall'offerta di corsi
(spesso per corrispondenza) di astrologia, occultismo ed esoterismo e dalla
stampa di un proprio periodico: 1. Fraternitas Rosae Crucis, la più antica
confraternita, fondata da Pascal Beverly Randolph (1825-1875) nel 1858, è
associata con la Church of Illumination (Chiesa dell'Illuminazione), che si
occupa dell'insegnamento esoterico del gruppo. La sede centrale è a
Quakertown, nella Pennsylvania. La denominazione legale riporta anche la
dicitura Beverly Hall Corporation. 2.
Societas Rosicruciana in Civitatibus Foederatis (S.R.I.C.F.), fondata
nel 1880 da un gruppo di massoni americani, che nel 1878 si erano fatti
iniziare dalla Societas Rosicruciana in Anglia in Inghilterra. Condizione
necessaria per l'adesione è, come per il gruppo inglese, essere massone
cristiano trinitaro. 3. Societas
Rosicruciana in America (S.R.I.A.), nata nel 1907 da una scissione della
precedente, quando alcuni membri espressero il desiderio di aprire
l'insegnamento rosacrociano ai profani (cioè ai non massoni). Collegato alla
società esiste anche il Seminario di Studi Biblici: infatti il forte
connotato cristiano mistico della società fu dato dal principale divulgatore,
George Winslow Plummer (1877-1944), che divenne vescovo della Chiesa
Ortodossa Americana nel 1934. 4. The Ancient and
Mystical Order Rosae Crucis (A.M.O.R.C.), il più diffuso e noto gruppo
rosacrociano fu fondato dall'occultista Harvey Spencer Lewis (1883-1939) nel
1915, dopo essere stato iniziato nel 1909 in Francia. Nonostante abbia
incorporato una chiesa rosacrociana (Pristine Church of the Rose Cross) negli
anni '20, la confraternita insiste sul suo aspetto laico con gradi e
ritualistica di forte sapore massonico. Negli anni '30 Lewis ha dotato la
sede centrale di San Jose (California) di una propria università, planetario,
biblioteca e museo egizio (Lewis era infatti convinto che l'ordine fosse
stato fondato dal faraone Tutmosis III nel 1450 a.C.). L'AMORC è presente in
diversi paesi e, nonostante diverse defezioni a favore di nuove e nascenti
organizzazioni rosacrociane, esso rimane il gruppo più numeroso (gli
organizzatori citano un numero di aderenti di 6 milioni, ma pare più
realistica la cifra di qualche centinaia di migliaia di adepti). In Italia
esso è presente con due logge (a Milano, sede centrale, e a Verona), ma anche
diversi altri punti organizzati, denominati capitoli e pronai. L'afflusso
agli incontri viene rinforzato dalla presenza di emigrati di colore,
originari dell'Africa, dove l'AMORC è particolarmente diffuso. 5. The Rosicrucian
Fellowship, fondato nel 1907 da Max Heindel, pseudonimo dell'aristocratico e
ingegnere tedesco-danese Carl Louis von Grasshoff (1865-1919), emigrato in
America nel 1903 e con la passione per l'occultismo. Heindel fu anche
iscritto alla Società Teosofica e allievo di Rudolf Steiner. La forte
impronta teosofica, religiosa e rituale venne da Heindel trasferita nel suo
gruppo rosacrociano, che è caratterizzata da un vivo interesse anche per
l'astrologia: la Fellowship, con sede a Oceanside (California), pubblica
tutti gli anni le effemeridi, indispensabili per i calcoli astrologici. E'
presente anche in Italia come Associazione Rosicruciana Oceanside (A.R.C.O.),
con sede a Vaprio d'Agogna (Novara). 6.
Rosicrucian Anthroposophic League, una scissione della precedente fatta da
S.R. Parchement con particolare rilievo alle tematiche antroposofiche
di Steiner. La sua sede a San Francisco. Non ha un sito web ufficiale. 7.
Lectorium Rosicrucianum, uno dei più popolari gruppi, fu fondato nel 1924 da
alcuni membri olandesi del Rosicrucian Fellowship, guidati da Jan
van Rijckenborgh, pseudonimo di Jan Leene (1896-1968), ma solo nel 1935 essi
si staccarono dall'obbedienza madre, formando un ordine, detto dei
Manichei. Dopo la seconda guerra mondiale, il gruppo assunse nel 1945 il nome
attuale di Lectorium Rosacrucianum. Il Lectorium, con sede americana a
Bakersfield (California), fa riferimento a correnti e tradizioni esoteriche,
mistiche cristiane (con particolare interesse per il pensiero di Jakob
Böhme), gnostiche dualistiche e catare, teosofiche, antroposofiche,
massoniche. Gli adepti praticano la dottrina della trasfigurazione (il
rinunciare a vivere secondo l'ordine stabilito dagli uomini per vivere,
attraverso un processo iniziatico, secondo quello divino) per evitare il
tormento delle continue reincarnazioni. Il gruppo è presente in Italia dal
1980 in 11 città e ha la sede principale a Dovadola, in provincia di Forlì.
8. Ausar Auset Society, fondata nel 1975 a New York da R.A.Straughn, noto
anche con il nome religioso di Ra Un Nefer Amen, un ex membro del Rosicrucian
Anthroposophic League, che ha particolarmente diffuso le sue idee occultiste
alla comunità nera americana, alla quale ha anche dedicato testi di
approfondimento sulla condizione sociale degli
afro-americani.
Fontanini da Mantova, Benedetto (ca. 1490-dopo
1555)
La vita Benedetto Fontanini, l'autore dell'arcinoto
Beneficio di Christo, era nato a Mantova intorno al 1490 ed aveva studiato a
San Benedetto Po (o San Benedetto di Padolirone, o Polirone), dove aveva
preso i voti ed era entrato nel monastero benedettino il 16 febbraio 1511,
avendo come confratelli Giambattista e il fratello di quest'ultimo, Gerolamo
(più noto con il nome, assunto in convento, di Teofilo) Folengo (1491-1544),
l'originale scrittore del `500, inventore del genere maccheronico goliardico
e che si firmava anche con lo pseudonimo di Merlin Cocai o Limerno
Pitocco. Nel 1533/34 F. passò, con i due Folengo, al monastero di San
Giorgio Maggiore, a Venezia (prima di una lunga serie di tappe, che lo
avrebbero portato in giro per l'Italia), dove fece la conoscenza di Reginald
Pole e Marcantonio Flaminio: quest'ultimo diventò suo collaboratore per la
stesura del Beneficio di Christo. Nella primavera 1537 i suoi superiori
disposero il trasferimento di F. al monastero di San Niccolò l'Arena di
Catania, ma, durante il viaggio verso la Sicilia, egli si fermò per diversi
mesi nel monastero dei Santi Severino e Sossi a Napoli, dove entrò in
contatto con il circolo valdesiano di Napoli e alcuni suoi frequentatori,
come Bernardino Ochino, Pier Martire Vermigli, Pietro Carnesecchi, Ludovico
Manna e Vittore Soranzo. La frequentazione di tutti questi nomi illustri
dell'evangelismo italiano stimolò senz'altro F. nella stesura, una volta
giunto a Catania, della 1° versione del Trattato utilissimo del beneficio di
Giesù Christo crocefisso verso i christiani, o più brevemente Beneficio di
Christo, uno dei libri fondamentali per la Riforma in Italia. Il testo venne
spedito da F. a Flaminio, che lo rilesse e lo rielaborò. Nel monastero di
Catania, dove F. stette tra il 1537 ed il 1543, egli conobbe e diventò amico
del confratello Giorgio Siculo, di cui F. aiutò la diffusione del Libro
Grande. In seguito fu rettore a Santa Maria di Pomposa tra il 1544 ed il
1546, mentre nel 1546 tornò a San Benedetto Po. Tuttavia, poco dopo (nel
1548), venne segnalato, da parte di Angelo Massarelli, agente
dell'Inquisizione, la sua presenza a Chioggia, dove probabilmente F. si fece
notare per le sue idee riformiste. Infatti fu imprigionato nel 1549 a Verona,
e trasferito poi a Padova nel carceri conventuali di Santa Giustina per tre
anni, assieme a Giorgio Siculo, e in seguito confinato fino al 1552 nel
monastero di Santa Croce di Campese, presso Bassano del Grappa. Nel 1555
lo ritroviamo per la terza volta al monastero di San Benedetto Po e da questa
data si perdono le sue tracce: presumibilmente morì poco dopo.
Il
Beneficio di Christo Il libro, che girava in forma manoscritta già dal 1540
[l'originale era in possesso del segretario di Cosimo I de' Medici
(1537-1574), il valdesiano Pier Francesco Riccio], venne edito a Venezia
dallo stampatore Bernardino de Bindonis nel 1543, uscendo in una forma
anonima (alcuni riformatori conoscevano bene l'identità dell'autore e del
revisore, ma solo nel 1566, sotto tortura, Pietro Carnesecchi confessò
all'Inquisizione che l'autore era effettivamente F.), ed ebbe un successo
clamoroso: venne ristampato più volte e, secondo Pier Paolo Vergerio, in sei
anni ne furono prodotte almeno 40.000 copie (secondo altre fonti fino a
80.000 copie)! Il libro, che attinge dal pensiero e dagli scritti dei Padri
della Chiesa Agostino, Origene, Basilio, Ilario e Ambrogio e dei massimi
riformatori come Lutero, Valdés, Melantone, Calvino e Bucero, consta di sei
capitoli, che trattano del peccato originale (1°), della legge di Mosè (2°),
della missione di Cristo fra gli uomini (3°), delle nozze mistiche dell'anima
con Cristo grazie alla fede (4°), di come il cristiano si vesta di Cristo
(5°), della Comunione e del Battesimo e della predestinazione (6°). Il
libro, come detto, si diffuse rapidamente negli ambienti evangelisti:
era quindi prevedibile che l'ortodossia cattolica reagisse ben presto
con energia. Già segnalato nel 1544 nel Compendio d'errori e inganni
luterani del domenicano senese Ambrogio Catarino Politi (ca. 1484-1553), il
Beneficio di Christo venne definitivamente condannato il 21 luglio 1546, in
seguito ad un pesante intervento censorio del vescovo di Aquino e Sessa,
Galeazzo Florimonte (m. 1567), al Concilio di Trento. Inserito nel
Catalogo dei libri proibiti [il famigerato l'Index librorum prohibitorum,
formalizzato successivamente, nel 1557, da Papa Paolo IV (1555-1559)], ogni
copia del libro fu così sistematicamente scovata e distrutta
dall'Inquisizione che se ne perse completamente le tracce finché nel 1855
fece scalpore la scoperta di una preziosa copia nella Biblioteca del St.
John's College a Cambridge.
Fonzio, Bartolomeo
(1502-1562)
Bartolomeo Fonzio, nato a Venezia nel 1502, entrò da
giovane nell'ordine dei francescani conventuali minori. Come predicatore di
notevole cultura e preparazione, F. era dotato di un elevato carisma, ma
proprio per questo si mise nei guai nel 1528, predicando concetti luterani
nella chiesa di San Geremia, nella sua città natale e nel 1531 venne emesso
l'ordine di arresto nei suoi confronti, ma, aiutato da alcuni nobili
veneziani, riuscì a fuggire in Germania. Soggiornò per diversi anni
(almeno fino al 1535) in varie città tedesche: Augusta, Ulm, Norimberga,
Basilea, Costanza e Strasburgo. Qui diventò collaboratore dell'ex domenicano
Martin Butzer (Bucero), che F. cercò di aiutare nel difficile compito di
mediare (Capitoli di Concordia) tra le due anime della Riforma: calvinismo e
luteranesimo (il punto del contendere era l'interpretazione dottrinale sulla
Santa Cena), ma dissentì per le condanne, pronunciate dal Bucero nel giugno
1533, contro gli anabattisti e Caspar von Schwenckfeld. F. rientrò in
Italia, a Venezia, nello stesso 1533, illudendosi che si potessero portare
avanti delle riforme in un ambiente di riconciliazione tra cristiani. Allo
scopo convocò delle riunioni in casa sua, dove discutere liberamente di
questi concetti, ma nel 1537 venne denunciato all'Inquisizione. F. giocò
d'anticipo recandosi a Roma da Papa Paolo III (1534-1549) che lo fece
arrestare: tuttavia F. presentò a sua difesa una voluminosa documentazione,
che convinse la commissione esaminatrice di teologi a proscioglierlo
dell'accusa e a metterlo in libertà. Dal 1537 al 1541 visse all'Aquila e
nell'abbazia di Farfa redasse un suo Catechismo. Nel 1544 a Modena, egli
partecipò attivamente alle discussioni dell'Accademia modenese, fondata dal
medico e umanista Giovanni Grillenzoni, allievo di Pietro Pomponazzi. Assieme
al tessitore bolognese Tommaso Bavellino (m. 1549), già condannato a Ferrara
e Bologna, F. organizzò la propaganda luterana tra i cittadini di estrazione
sociale più modesta, come mercanti, tessitori, venditori ambulanti, ma nel
autunno 1545 fu indetto a Ferrara un processo contro di lui per le sue
dottrine. Pensò bene di cambiare aria e, dopo un breve periodo a Roma
(1546-1547) ed ad Ancona, si stabilì a Padova nel 1548. Nel 1551 si trasferì
nella vicina Cittadella (dove era ancora vivo il ricordo della tragedia di
Francesco Spiera), e qui soggiornò per sette anni come un apprezzato maestro
di scuola, ma applicando le sue dottrine all'insegnamento della
religione, richiamò l'attenzione dell'Inquisizione, venendo nuovamente
inquisito nel 1557. Fuggì vagando attraverso città dell'Italia
settentrionale, ma quando rientrò a Cittadella, fu arrestato il 27 maggio
1558 e condotto a Venezia, dove venne tenuto in carcere per quattro anni con
44 capi d'accusa. La sua estradizione, chiesta a gran voce dall'Inquisizione
romana, fu negata dal Consiglio dei Dieci. Probabilmente gli inquirenti
veneziani speravano nella riconversione del F., ma, dopo quattro anni di
interrogatori e dopo aver rifiutato più volte l'abiura, F. fu condannato a
morte il 26 giugno 1562: egli avrebbe dovuto essere strangolato nel carcere
ed il corpo essere bruciato in Piazza San Marco, ma, per ordine del Consiglio
dei Dieci, che non desideravano un'azione punitiva così eclatante, venne
deciso di giustiziarlo mediante annegamento, con una pietra legata ai piedi,
nella laguna la notte del 4 agosto 1562. Il suo testamento spirituale fu
la Fidei et doctrinae Bartolomei Fontii ratio, 284 tesi in latino
(rielaborate su un suo precedente testo del 1540) sulla predestinazione, la
giustificazione sola fide, i sacramenti come segno di grazia, ma anche un
disperato appello alla riunificazione universale tra cristiani e una speranza
(disattesa) che il Concilio di Trento (1545-1563) potesse accogliere detto
appello.
Hamilton, Patrick (ca. 1504-1528)
Patrick
Hamilton, nato nel 1504 ca. da una antica famiglia scozzese, era pronipote
del re di Scozia, Giacomo II (1449-1460). Diventò un canonico cattolico e fu
nominato abate dell'abbazia premonstratense di Ferne (Fearn), nelle Highlands
scozzesi, ma studiando successivamente a Parigi con il noto teologo John
Major (Joannes Majoris) (1496-1550), a Marburg, ma soprattutto a Wittenberg,
dove conobbe Martin Lutero e Phillip Melantone, egli venne a contatto con le
idee riformiste e ne rimase profondamente influenzato. Dopo il suo rientro in
Scozia, H. iniziò la predicazione luterana, attirando l'attenzione del
cardinale e legato pontificio David Beaton (ca. 1494-1546), arcivescovo di
Saint Andrews, che nel gennaio 1528 lo invitò ad un dibattito pubblico con il
teologo Alexander Alesius (1500-1565) per confutare i suoi convincimenti
religiosi. Non solo H. non cambiò idea, ma riuscì anche a convertire Alesius,
il quale diventò in seguito un famoso teologo luterano. Beaton, noto anche
per la condanna, qualche anno dopo, di un altro riformatore scozzese,
George Wishart, dopo un mese di apparente calma, fece arrestare H. in
febbraio con l'accusa di eresia. H. fu condannato al rogo, a Saint
Andrews, il 29 febbraio 1528: purtroppo la fine non fu né rapida né
misericordiosa. Infatti gli inquisitori scozzesi non erano particolarmente
esperti in roghi e aggiunsero troppe poche fascine di legna (viene facile una
macabra allusione alla proverbiale parsimonia degli scozzesi!): il risultato
fu che il fuoco si spense quando il condannato era oramai gravemente
ustionato ma ancora vivo! Finalmente un nuovo fuoco fu acceso ed il povero H.
poté rendere l'anima a Dio dopo ben sei ore di agonia.
In memoria
di H. e di altri quattro martiri della Riforma in Scozia [il già menzionato
George Wishart; l'hussita boemo Pavel Kravaø (anglicizzato in Paul Craw),
arso sul rogo nel 1433; il monaco benedettino Henry Forrest, strozzato nel
1533 per aver difeso le idee di H.; l'ottantenne pastore luterano Walter
Myln, ultimo martire prima della Riforma in scozia e arso sul rogo nel 1558],
nel 1842 fu eretto nel parco cittadino della città di St. Andrews un
monumento, denominato appunto "dei martiri".
Valentini (o Valentino)
da Modena, Filippo (m. ca. 1560)
L'umanista Filippo Valentini (o
Valentino) nacque a Modena, nipote del preposito (prevosto) Bonifacio
Valentini, tacciato, a sua volta, di luteranesimo. V. partecipò
attivamente al movimento di Riforma a Modena, entrando a far parte
dell'Accademia modenese, fondata dal medico Giovanni Grillenzoni, allievo di
Pietro Pomponazzi, che riuniva i principali notabili della città, come, ad
esempio, Ludovico Castelvetro, eminente studioso di Dante e Petrarca, ed il
professore universitario Francesco Porto (1511-1581), per discutere di
teologia, ma anche per studiare e commentare le Sacre Scritture, utilizzando
direttamente le fonti originarie, un modus operandi caro alla Riforma. In
particolare V. si distinse per aver letto e commentato in pubblico il Vangelo
di San Matteo, suscitando le ire dei domenicani. Tale fu la popolarità
raggiunta dall'Accademia che il cardinale di Modena, Giovanni Morone,
coadiuvato dal cardinale Gasparo Contarini, costrinse nel settembre 1542 gli
aderenti a firmare un formulario di fede, gli Articuli orthodoxae
professionis, che Castelvetro si rassegnò a sottoscrivere: non così per il
Porto e il V., che preferirono allontanarsi dalla città. Dopo il suo rientro,
V. continuò imperterrito nel professare la sua fede luterana a tal punto che
una breve papale di Paolo III (1534-1549) del maggio 1545, indirizzata al
Duca Ercole II d'Este (1543-1559), sollecitò l'arresto dell'umanista
modenese. V. ritenne più prudente ritirarsi nella sua tenuta di campagna, ma
nel 1548 accettò il titolo di podestà di Trento offertogli dal principe
cardinale Cristoforo Madruzzo (1512-1578, principe di Trento:
1539-1567). Successivamente rientrò a Modena, dopo aver pagato una
cauzione. Tuttavia V. venne nuovamente indagato nel 1550 e dovette accettare
di abiurare, anche se solamente in sede extragiudiziale, davanti al
nuovo vescovo di Modena, il moderato domenicano cardinale Egidio
Foscarari (1512-1564, vescovo di Modena: 1550-1558 e 1560-1564). Il nome di
V. fu comunque fatto ancora, l'anno successivo, tra coloro che erano
rimasti favorevolmente impressi dalla predicazione eterodossa di Giovanni
Francesco da Bagnacavallo. Ma oramai i processi contro gli eretici a
Modena erano iniziati, e, nonostante la benigna tolleranza del cardinale
Foscarari, nell'estate 1556 V., lo zio Bonifacio, Ludovico Castelvetro ed il
libraio Antonio Gadaldino furono convocati a Roma da parte del tribunale
dell'Inquisizione di Papa Paolo IV (1555-1559). Nonostante un lungo
tergiversare, nel maggio 1557 Gadaldino fu imprigionato, processato e dovette
abiurare nell'ottobre 1559; Bonifacio Valentini si presentò spontaneamente,
fu processato e anch'egli dovette abiurare (non gli venne neppure risparmiata
l'onta di dover portare l'abitello); perfino lo stesso cardinale Foscarari fu
sospettato di eresia da parte dell'Inquisizione nel 1558 e fu imprigionato su
ordine di Paolo IV. Benché non si poté provare la sua eterodossia, solamente
con il papa successivo, Pio IV (1559-1565), Foscarari fu assolto e poté
ritornare al suo precedente incarico. A Castelvetro e V. non rimase che la
fuga dalla città: soprattutto quest'ultimo, attivamente ricercato in quanto
relapso (avendo già abiurato), era in serio pericolo di essere giustiziato,
se fosse caduto nelle mani dell'Inquisizione. Egli decise quindi la via
dell'esilio in Valtellina, ma, prima di fuggire, scrisse una lettera al Duca
Ercole II d'Este (1543-1559) per comunicargli la decisione di andare in
esilio e per rimproverargli il fatto di permettere all'Inquisizione di
stracciare i suoi subditi et svergognarli. Questo ricordava un manoscritto
del 1542, in cui V. profeticamente indicava la difesa dei propri cittadini
come compito principale del signore locale. Tuttavia, considerando che dal
1554 Ercole teneva segregata nel palazzo ducale (agli arresti domiciliari, si
direbbe oggigiorno) la moglie, di fede riformata, Renata d'Este, non si
fatica a credere che l'appello di V. sia caduto nel vuoto. Nel 1557,
dunque, V. andò in esilio in Valtellina (ai tempi parte del territorio
elvetico del Cantone Grigioni, a maggioranza protestante), stabilendosi
dapprima a Chiavenna e poi a Piuro (dove si sposò), ma non riuscì mai ad
inserirsi nella comunità riformata locale, perché, nel frattempo, aveva
sviluppato idee troppo radicali, di ispirazione ariana
e anabattista. Censurato a riguardo a Chiavenna, egli visse in solitudine
gli ultimi anni della sua vita, morendo, presumibilmente, verso il
1560.
Fotino di Sirmio (m. 376) e fotiniani
La
vita Fotino era originario della Galazia (Asia Minore) e diventò diacono
sotto Marcello di Ancyra. Fu nominato vescovo di Sirmio (in Bosnia), ma
condannato nel 344 dal sinodo "ariano" di Antiochia, da quelli di Milano nel
345 e nel 347, ed infine dal al sinodo convocato proprio a Sirmio del 351,
dove F. venne deposto e ben 27 anatemi furono lanciati contro di lui. F.
ritornò probabilmente alla sua sede vescovile durante il breve regno
di Giuliano l'Apostata (361-363), ma fu definitivamente bandito
dall'imperatore Valentiniano I (364-375) nel 364. F. morì nel 376, avendo
vissuto gli ultimi anni della sua vita in Galazia.
Il pensiero La
sua scuola di pensiero ebbe un certo successo e i fotiniani sopravvissero in
Bosnia e Croazia per una decina di anni dopo la morte di F. Rispetto
all'insegnamento del suo maestro, Marcello di Ancyra, F. rispettava l'unità
di Dio Padre: il Logos era quella parte della sostanza del Padre (Logopator)
rimasta latente fino all'Incarnazione, e che solo dopo era diventato Figlio.
Anche lo Spirito Santo era parte della sostanza del Padre: quest'ultima
quindi poteva espandersi o contrarsi e questa espansione aveva formato il
Figlio e lo Spirito Santo. Inoltre, F. riteneva che Gesù Cristo fosse
semplicemente un uomo, da cui l'accusa di essere stato un
ebionita.
(San) Fozio di Costantinopoli (ca.810-
897)
Fozio nacque nel 810 ca. da una famiglia in vista di
Costantinopoli: lo zio, (San) Tarasio, ne era il Patriarca. F. ebbe un'ottima
educazione e fu apprezzato come un uomo di vasta cultura, filologo, esegeta
ed esperto della Patristica e fu avviato ad una carriera laica come docente
di filosofia e teologia e come uomo di stato. In questa sua seconda
funzione, grazie alla parentela con la famiglia reale (suo fratello aveva
sposato la zia dell'imperatore), F. occupò ben presto posizioni di altissimo
prestigio, come quello di Segretario Capo di Stato e Capitano delle guardie
del corpo. Il tutto fino al fatidico 857, quando l'imperatore Michele III,
detto l'Ubriaco (842-867), succeduto al padre Teofilo nel 842 e vissuto sotto
la reggenza della madre, l'imperatrice Teodora, fino al 856, esiliò
il Patriarca Ignazio, con il pretesto di aver rifiutato la Comunione a
Bardas, zio dell'imperatore stesso. Michele, allora, decise di nominare
F., a quell'epoca ancora un semplice laico, patriarca di Costantinopoli e per
fare ciò, lo si dovette elevare alla dignità di vescovo in soli cinque
giorni: fu infatti nominato patriarca il giorno di Natale dello stesso
857. Tuttavia la situazione fu complicata dal fatto che il predecessore
Ignazio non aveva la minima intenzione di abdicare: intervenne quindi Papa
San Nicolò I Magno (858-867), il quale, in un sinodo tenuto nel 863 in
Laterano, dichiarò: L'illegittimità della deposizione di Ignazio, La
scomunica dei legati pontifici, da lui inviati da Costantinopoli nel 861 per
decidere sulla questione e che, invece, si erano fatti corrompere. La
scomunica di F., se questi avesse insistito nella sua usurpazione del seggio
patriarcale.
Tuttavia, non solo F. non si adeguò alle disposizioni
papali, ma, forte dell'appoggio dell'imperatore, scomunicò a sua volta, nel
867, il papa. Inoltre egli inviò un'enciclica a tutti i vescovi orientali,
spiegando alcuni punti di divergenza con la Chiesa di Roma, la quale
imponeva: L'aggiunta del filioque al Credo: secondo F. invece "lo Spirito
Santo procedeva unicamente dal Padre" Il celibato per i preti La
proibizione per i preti di celebrare la Cresima Il digiuno di
Sabato L'inizio della quaresima dal Mercoledì delle ceneri
Nello
stesso anno, però, un evento inaspettato cambiò le carte in tavola: Michele
fu assassinato e divenne imperatore Basilio I il Macedone (867-886). Basilio
fece un'epurazione di tutti i sostenitori del precedente imperatore, compreso
F. e reinstallò al suo posto Ignazio, decisione ratificata anche dal Concilio
di Costantinopoli del 869, voluto da Papa Adriano II (867-872). F. fu
esiliato in un monastero sul Bosforo, da dove rientrò a corte, dopo diversi
anni, come insegnante di Costantino, uno dei figli dell'imperatore. Alla
morte di Ignazio del 877, la popolarità di F. fu così elevato che egli fu
rinominato patriarca di Costantinopoli finalmente con
l'approvazione ufficiale di Papa Giovanni VIII (872-882). Il culmine del
trionfo di F. si ebbe con il Concilio di Costantinopoli del 879-880, dove F.
revocò le decisioni del precedente Concilio del 869, reiterò i punti di
controversia con Roma e inoltre dichiarò che la Bulgaria, dove il
Cristianesimo era stata dichiarata pochi anni prima (nel 865) religione di
stato dal principe regnante Boris, dovesse far parte della sfera di influenza
del Patriarcato di Costantinopoli. Una pronta scomunica da parte di Papa
Giovanni VIII non sortì alcun effetto se non quello di creare l'ennesimo
scisma con le Chiese d'Oriente; tutto ciò fino al 886, quando il nuovo
imperatore Leone VI, detto il Filosofo (886-912), sulla base di accuse
pretestuose, depose F. per favorire la nomina di suo fratello, Stefano,
procedura irregolarissima che Papa Stefano V (885-891) stigmatizzò con una
ulteriore scomunica. F. morì, segregato in un monastero, in Armenia, nel 897.
E' stato proclamato santo dalla Chiesa Ortodossa. Nonostante lo scisma
rientrasse con il Patriarca Antonio II, oramai era chiaro che il forte
movimento scismatico, voluto da Fozio, aveva messo le sue radici nelle Chiese
d'Oriente e attendeva il momento propizio per staccarsi da Roma: questo
momento arrivò nel 1054 durante il Patriarcato di Michele Cerulario
(1043-1058).
Cola di Rienzo (o Rienzi)
(1314-1354)
Nicola (detto Cola) di Lorenzo (o Rienzo o Rienzi)
nacque nel 1314, figlio di un oste di Trastevere (quartiere popolare di
Roma), sebbene la leggenda gli attribuisse un padre di nobilissime origini:
niente di meno che l'imperatore Enrico VII di Lussemburgo (imperatore
1312-1313). Alla morte della madre, egli fu allevato da alcuni parenti ad
Anagni, dove studiò Lettere e Latino, approfondendo la conoscenza degli
autori classici, come Seneca, Tito Livio e Cicerone. Alla morte del padre,
C. si recò a Roma, diventando un notaio, ma successivamente, vista la penosa
situazione di degrado in cui versava la città oramai priva della sede papale
dal 1309, egli si recò nel 1343 ad Avignone da Papa Clemente VI (1342-1352)
per perorare la causa del ritorno del pontefice nella città
capitolina. Clemente lo nominò notaro (cioè segretario) della Camera
Capitolina per informarlo sulle vicende della città, ma egli ne approfittò
per formare un governo popolare il 19 maggio 1347, di cui egli assunse la
carica di tribuno . L'iniziativa ebbe uno straordinario successo e fu
approvata da Clemente, che diede a C. il titolo di Rettore di Roma in
condivisione con il vicario pontificio Raimondo, vescovo di
Orvieto. Tuttavia, dopo pochi mesi, il potere iniziò a dargli alla testa ed
egli si mise in mente di poter reinstaurare l'impero Romano, liberando le
città italiane dal giogo degli imperatori tedeschi. Era un grande
sognatore idealista e ambizioso e quando assunse l'altisonante qualifica di
Candidatus Spiritus Sancti, di questo se ne approfittarono i nobili romani (i
Colonna e gli Orsini), da lui scacciati qualche mese prima, per fomentare la
rivolta contro il tribuno. Lo stesso Raimondo di Orvieto gli voltò le spalle,
addiritura scomunicandolo. C. dapprima si rifugiò a Castel Sant'Angelo e poi
fuggì dalla città nel Dicembre 1347. Tuttavia, poco dopo, C. si fece
influenzare dalle visioni gioachimite dell'eremita francescano spirituale
Fra' Angelo, da lui conosciuto sulla Maiella, e si recò quindi a Praga nel
1350 a perorare la propria causa presso il re di Boemia (e futuro imperatore)
Carlo IV (imperatore 1355-1378). Carlo lo fece rinchiudere come eretico (o
forse come squilibrato) e successivamente lo spedì dal Papa ad Avignone per
essere giudicato. Qui C. fu condannato a morte nel 1352, sentenza trasformata
in carcere per intercessione del grande poeta Francesco Petrarca, suo
estimatore. Nel 1353, il nuovo Papa Innocenzo VI (1352-1362) lo inviò a Roma
al seguito del Cardinale Egidio Alvarez Carillo de Albornoz (1310-1367),
abile politico e diplomatico, che doveva preparare il terreno per il rientro
del papa nella sede di Roma. C. fu nominato senatore di Roma, ma i suoi
sogni di gloria mai sopiti ed una politica di tassazioni iniqua fece
rivoltare il popolo romano. L'8 Ottobre 1354 la folla assaltò il Senato e
linciò C., abbandonato cinicamente dal cardinale Albornoz, in quanto non più
utile ai suoi scopi.
Francescani spirituali e fraticelli (XIII - XIV
secolo)
La storia dei spirituali Già poco dopo la morte di San
Francesco di Assisi (1181/2-1126), l'ordine dei francescani, governato
dall'ambizioso Elia da Cortona, si era già diviso in due filoni
principali: I conventuali o relaxati, il cui intento era di operare una
parziale revisione in senso mitigatore della Regola dell'ordine. Gli
spirituali o zeloti o zelanti, che osservavano alla lettera la Regola ed il
Testamento del Santo, desiderando mantenere l'originale stile di vita, basato
sulla povertà e rinuncia di ogni privilegio, predicato da Francesco. Inoltre
essi aderivano entusiasticamente alle idee e teorie del mistico calabrese
Gioacchino da Fiore, arrivando ad identificare la sua "Chiesa Spirituale"
(Ecclesia Spiritualis), con l'ordine francescano. Elia da Cortona, generale
dell'ordine nel periodo 1221-1227 e 1232-1239, perseguì per ben 4 volte, non
riuscendo comunque a impedirne la diffusione, il movimento degli spirituali,
i quali, a loro volta, erano riusciti nell'intento di farlo sfiduciare una
prima volta nel Maggio 1227. Il movimento degli S. ebbe una particolare
popolarità in tre zone geografiche: Nelle Marche ed in Umbria, dove si
sviluppò dal 1274 sotto il comando di Liberato da Macerata e successivamente,
dal 1307, di Angelo Clareno da Cingoli. Nel 1294 il Papa (San) Celestino V
(1294) permise loro di sottrarsi al controllo dei conventuali, denominandoli
Poveri Eremiti, ma il periodo di fortuna durò pochissimo: già Papa Bonifacio
VIII (1294-1303) tolse ogni loro privilegio e nel 1317 furono scomunicati da
Papa Giovanni XXII (1316-1334), il grande nemico del movimento e per gli S.
la perfetta impersonificazione dell'Anticristo. Più tardi essi costituirono
la base del movimento dei Fraticelli. Nella Francia meridionale, comandati
da Pietro di Giovanni (Pierre Jean) Olivi fino al 1298, essi furono
perseguitati dai conventuali. Successivamente, per intercessione del medico
spagnolo Arnaldo di Villanova (o di Villanueva) presso il re di Napoli Carlo
II d'Angiò (o forse suo figlio Roberto) e presso il Papa Clemente V
(1305-1314), si cercò una intermediazione tra il generale dell'ordine,
Gundisalvo di Valleboa e i capi S., Raymond Gaufredi, Guy de Mirepoix,
Bartolomeo Sicardi e Ubertino da Casale. Si ottennero alcune concessioni, ma
alla morte di Clemente nel 1314 ed alla successiva elezione nel 1316 proprio
del mortale nemico Giovanni XXII, la situazione precipitò: il papa fece
imprigionare i capi del movimento e torturare 25 S. da parte
dell'Inquisizione. Quattro di essi, che non riconobbero l'autorità papale sul
movimento, furono bruciati sul rogo nel 1318. In Toscana i S. apparvero
nel 1309, ma solo verso il 1312 la tensione nella regione tra conventuali e
S. arrivò ai massimi livelli e una cinquantina di essi decise di emigrare in
Sicilia, dove furono raggiunti da altri in fuga da altre regioni d'Italia e
dalla Francia meridionale. Il movimento si riorganizzò sotto le direttive di
Enrico di Ceva ed il re aragonese Federico III di Sicilia (1296-1337) approvò
il loro statuto, nonostante il solito Giovanni XXII li scomunicasse nel 1318
con la bolla Gloriosam ecclesiam. Furono successivamente espulsi dalla
Sicilia trovando rifugio a Napoli sotto la protezione del re Roberto d'Angiò:
i decreti e ammonimenti di Giovanni XXII si susseguirono ossessionanti nel
1322, 1325, 1327, 1329, 1330 e 1331, ma entro quest'ultima data essi erano
già confluiti nel movimento dei Michelisti di Michele da Cesena. Gli S.
che rimasero fedeli al Papa confluirono nell'ordine degli Osservanti, ma
dovettero attendere ben fino al 1517, quando Papa Leone X (1513-1521) separò
quest'ultimo ordine da quello dei conventuali e lo dichiarò il vero Ordine di
San Francesco. Nel 1897 essi furono incorporati nell'ordine dei Frati
Minori.
La storia dei fraticelli Come si è detto precedentemente,
i Fratelli della Vita Povera (o fraticelli, secondo la sprezzante definizione
di Papa Giovanni XXII) derivarono dal movimento degli spirituali delle Marche
e dell'Umbria, con a capo Angelo Clareno da Cingoli. Dal 1318, dopo la
scomunica papale del 1317, essi si organizzarono come un ordine francescano
indipendente e contestarono la legittimità dell'autorità papale di Giovanni
XXII. Il Papa reagì facendo bruciare sul rogo 4 fraticelli a Marsiglia nel
1318, ma non riuscì mai a mettere le mani su Clareno: il capo dei fraticelli
morì, in odore di santità, il 15 Giugno 1337, tre anni dopo la morte del Papa
stesso, avvenuta nel 1334. Dopo la morte del loro fondatore, i fraticelli
diventarono alquanto influenti in varie città, tra cui Firenze, dove tuttavia
nel 1381 essi subirono un ordine di espulsione: quest'ultimo creò un clima di
persecuzione nella città e portò alla condanna al rogo di Fra Michele Berti
da Calci nel 1389. Come già detto precedentemente, molti spirituali
confluirono nel movimento dei Fraticelli della opinione o micheliti di
Michele da Cesena, ex generale dell'ordine francescano, il quale nel 1322
aveva convocato il Capitolo Generale dell'ordine per emettere un
pronunciamento a favore dell'assoluta povertà di Gesù Cristo e degli
apostoli. Questo pronunciamento fu avvallato dai ministri provinciali
dell'ordine di Inghilterra, Aquitania, Francia del nord e Germania
meridionale, ma fece infuriare il solito Giovanni XXII, che nel 1323 con la
bolla Cum inter nonnullos dichiarò eretica l'affermazione della povertà di
Gesù e degli apostoli (sic!). Nel 1327 Michele fu convocato dal papa ad
Avignone, dove fu violentemente ripreso per questo pronunciamento del
Capitolo, ma da dove, nel 1328, temendo il peggio, fuggì via mare per mezzo
di una galea inviata da Ludovico il Bavaro. I fraticelli, successivamente,
si inserirono nella lotta per l'investitura dell'imperatore tra Giovanni XXII
e Ludovico il Bavaro e Michele si schierò con i ghibellini, entrando a Roma
al seguito di Ludovico in compagnia di Guglielmo di Occam, Jean de Jandun,
Marsilio da Padova e Ubertino da Casale. Nello stesso 1328 Giovanni XXII
scomunicò Michele e lo dichiarò decaduto come generale dell'ordine: da questa
data prese avvio il movimento dei michelisti. Nei successivi cento anni la
lotta dei fraticelli contro il papato ebbe momenti di gloria e di
persecuzione (per esempio, la morte sul rogo di Fra Francesco da Pistoia nel
1337 semplicemente per aver ribadito il pronunciamento del Capitolo) fino
alla energica campagna organizzata da Papa Martino V
(1417-1431). Quest'ultimo, in pieno marasma per la lotta contro i due
antipapi Clemente VIII e Benedetto XIV, trovò comunque il tempo di ordinare
nel 1427-1428 una azione repressiva a Spoleto e ad Ancona, che portò alla
distruzione di 36 villaggi dei fraticelli ed alla condanna al rogo di alcuni
di essi, sentenza eseguita a Fabriano in presenza del papa
stesso. L'ultimo processo a carico dei fraticelli avvenne nel 1466 con la
condanna all'ergastolo di 15 religiosi.
Fedeli d'Amore (XIII
secolo)
Con Fedeli d'Amore si intende un gruppo medioevale di
tipo iniziatico, presente nel XIII secolo in Italia, Francia (soprattutto
Provenza) e Belgio, e probabilmente derivato dalla corrente letteraria dei
trovatori molto diffusi nel secolo precedente. I F. erano dediti al culto
della "Donna (o Dama) Unica", una religione esoterica di tipo gnostico
caratterizzata da un linguaggio segreto (parlar cruz), ideato acciocché la
propria dottrina non fosse accessibile ai non iniziati, la gente grosa,
secondo le parole del più famosa tra i F., Francesco da Barberino. Secondo
Mircea Eliade, la Dama simbolizzava l'intelletto trascendente,
cioè l'Intelligenza accessibile al discernimento spirituale, o meglio
Madonna Intelligenza, la "vedova che non era vedova", perché suo marito, il
Papa, era spiritualmente morto essendosi dedicato totalmente alle cose
temporali. I F. mischiavano volutamente i concetti di morte e amore, che, in
un gioco di parole provenzale, diventava a (senza) mor(t) (morte), quindi
eterno. Infatti il F. desiderava morire d'amore, perché, facendo così,
l'umano e il divino si congiungevano in un unico sublime ed eterno
amore. E' probabile, ma non certa, l'appartenenza di Dante Alighieri
(1265-1321) ai F.: per lui la Dama Unica fu Beatrice, elevata a figura santa
e paragonabile alla Vergine Maria in persona. L'unico impegno storico
degli aderenti, per altro abbastanza assenti, fu quello di cercare di far
minare il potere temporale del Papa, auspicando l'intervento di re, come
Federico III d'Aragona e di Sicilia (1296-1337) o di imperatori come Ludovico
il Bavaro (1328-1347), per abbattere il Papa e instaurare nuovamente il
potere imperiale di Roma.
Fanini, Fanino (o Fannio, Camillo) (ca.
1520-1550)
La vita Fanino Fanini (o Camillo Fannio) nato a
Faenza nel 1520 circa da una agiata famiglia di fornai, era il primogenito
dei tre figli di Melchiorre Fanini (m. 1546) e Chiara Brini. Nel 1542 F.
sposò Barbara Baroncini, da cui ebbe due figli, Giovanni Battista e Giulia,
ed intraprese il mestiere di famiglia, ma poco dopo iniziò ad interessarsi
alle idee calviniste, probabilmente in seguito alla lettura del Beneficio di
Christo di Benedetto Fontanini da Mantova e della Tragedia intitolata libero
arbitrio di Francesco Negri da Bassano, e, dopo la conversione, si diede ad
un'intensa attività di propaganda. Fu arrestato nel 1547 e processato
dall'inquisitore Alessandro da Lugo, ma fu liberato "per pietà" e bandito da
Faenza e dallo Stato della Chiesa. Tuttavia F. rimase in Romagna e,
associatosi agli evangelisti Barbone Morisi, Giovan Matteo Bulgarelli,
Alessandro Bianchi e Nicola Passerino, fece una massiccia propaganda
calvinista a Lugo, Imola e Bagnacavallo, dove fecero proselitismo perfino nel
convento femminile di Santa Chiara. I punti principali delle prediche
semplici, ma efficaci, di F. furono la negazione dei sacramenti
dell'Eucaristia e dell'Ordinazione, della messa e dell'intercessione dei
santi, della recita del rosario e della pratica del digiuno, ma a
Bagnacavallo il 27 febbraio 1549 F. fu arrestato per la seconda volta e
recluso nella rocca di Lugo per diciotto mesi, ed in seguito venne trasferito
a Ferrara per il processo. Tuttavia immediatamente dopo l'arresto il
cardinale Alessandro Farnese (1520-1589), nipote del Papa Paolo III
(1534-1549), chiese l'estradizione del prigioniero a Roma: era l'inizio di un
lungo tira e molla tra il papato e il duca di Ferrara Ercole II
d'Este (1543-1559), geloso della sua autonomia giudiziaria. Anche durante
il processo, il duca riuscì infatti a far affiancare l'inquisitore di
Ferrara Girolamo Papino da un domenicano, un francescano, ma soprattutto da
tre giudici "laici" nominati dalla corte ducale. Il processo, comunque, si
concluse il 25 settembre 1549 con la condanna al rogo di F., eppure il duca
fu notevolmente recalcitrante nel far eseguire la sentenza, anche per una
inusitata corsa alla solidarietà con tentativi di far liberare il fornaio
faentino da parte di illustri personaggi dell'epoca, come il famoso capitano
di ventura Camillo Orsini(1491-1559), la nuora Lavinia Franciotti della
Rovere Orsini e Olimpia Morato: le ultime due, probabilmente sollecitate
dalla duchessa Renata, moglie di Ercole II, cercarono di intercedere presso
il duca nella primavera 1550 e visitarono il prigioniero in carcere per
portargli l'elemosina della duchessa. Perfino Renata in persona cercò di
intervenire presso il marito, tuttavia essendo già in odore di eresia
calvinista (sarebbe stata poi relegata nel palazzo di San Francesco,
denominata per questo Palazzo della Duchessa), il suo tentativo fu vano, se
non ulteriormente compromettente per la sua posizione a corte. Dopo
l'elezione del nuovo papa, Giulio III (1550-1555) nel febbraio 1550, il duca
fu fatto oggetto di pressioni e ricatti da parte del famigerato inquisitore
cardinale Giovanni Pietro Carafa, poi Papa Paolo IV (1555-1559): Carafa
alluse che se Ercole non avesse acconsentito all'esecuzione di
F., l'Inquisitore Generale avrebbe aperto un procedimento contro la
duchessa Renata d'Este. A questo punto, per scaricarsi la responsabilità,
Ercole si fece mandare da Giulio III una breve di autorizzazione alla
condanna a morte di F.: il povero fornaio, nonostante un tentativo della
moglie e dei figli di convincerlo ad abiurare, fu giustiziato mediante
impiccagione, seguita dal rogo, a Ferrara il 22 agosto 1550.
Le
reazioni all'esecuzione F. fu subito eletto ad esempio di martire protestante
da parte di diversi riformatori, come Francesco Negri, che scrisse nel 1550
De Fanini faventini ac Dominici bassanensis morte (..) in merito
all'esecuzione capitale del fornaio di Faenza e di Domenico Cabianca da
Bassano, conterraneo di Negri. Anche Giulio Della Rovere esaltò la figura di
F. nella seconda edizione della sua popolare Esortazione alli dispersi per
l'Italia, titolo poi modificato in Esortazione al martirio, testo in cui
spingeva i potenziali martiri della fede riformata ad affrontare la
morte. Anche all'estero, e più precisamente a Ginevra, la vita ed il martirio
di F. furono descritti nel martirologio calvinista Actiones et monimenta
martyrum e nelle Icones di Théodore de Bèze.
Franck (o Frank),
Sebastian (1499-1542)
La vita Sebastian Franck, da non
confondere con l'omonimo compositore di inni sacri (1606-1668), nacque nel
1499 a Donauwörth, a nord di Augusta, in Baviera. Nel 1515 egli si iscrisse
all'università di Ingolstadt, proseguendo poi gli studi all'università di
Heidelberg, nel collegio domenicano denominato Bethelem, dove conobbe i suoi
futuri avversari Martin Butzer (Bucero) e Martin Frecht (1494-1556). Il 23
Agosto 1518 F. assistette personalmente ad uno degli episodi
più significativi della nascente Riforma: l'incontro (o meglio scontro)
di Augusta tra Martin Lutero e il cardinale Tommaso Caietano. Nonostante
ciò, nella fase iniziale della sua vita rimase cattolico diventando prete
e accettando nel 1524 una parrocchia vicino ad Augusta. La conversione
alla Riforma di F. avvenne comunque tra il 1525 ed il 1527: secondo alcuni
autori, probabilmente a Norimberga già nell'anno successivo, 1525. In seguito
egli divenne predicatore luterano a Gustenfelden, un piccolo borgo vicino a
Norimberga stessa. Qui F. risedette tra il 1527 ed il 1529, sposandosi nel
1528 e scrivendo vari lavori, di rigorosa impronta luterana, tra cui una
prefazione ad uno scritto contro gli anabattisti ed un trattato contro
l'ubriachezza. Tuttavia alla ricerca di un ambiente più liberale per le sue
idee, F. emigrò a Strasburgo nel 1529, dove nel 1530 scrisse Chronik und
Beschreibung der Türkey, un trattato, nel quale F. dichiarò che nessuna delle
fedi cristiane protestanti del momento, Luterana, Zwingliana o Anabattista
possedeva la Verità e che quindi ce ne sarebbe stata una quarta, una chiesa
invisibile spirituale, governata dalla parola di Dio, senza bisogno di
cerimonie, sacramenti o sermoni. Indubbiamente all'evoluzione delle sue
idee avevano contribuito noti dissidenti della Riforma, come Michele Serveto
e Caspar von Schwenckfeld. Nel 1531 F. pubblicò il suo più importante lavoro
Cronica, Zeitbuch und Geschichts Bibel, un trattato di questioni sociali e
religiose, dove F. mostrò una certa simpatia verso i dissidenti religiosi e
propugnò una completa libertà di pensiero. Purtroppo il lavoro costò al suo
autore un periodo di carcere, seguito dall'espulsione da Strasburgo, voluta
proprio dal suo ex compagno di studi, il predicatore Martin Bucero. Nel
1532 lo troviamo a Esslingen (vicino a Stoccarda), dove per sbarcare
il lunario, F. impiantò una fabbrica di saponi, ma nel 1533 egli decise
di trasferirsi a Ulm, di cui diventò cittadino nel 1534. Qui, però, F.
incontrò l'altro suo ex compagno di studi, Martin Frecht, pastore della
città, che lo tenne particolarmente d'occhio, chiedendone l'espulsione nel
1535, dopo la pubblicazione di alcuni suoi scritti, come Paradoxa ducenta
octoginta (1534), particolarmente sgraditi ai teologi luterani. A riguardo
F. protestò vivamente: gli fu quindi permesso di rimanere in città, a patto
di sottoporre i suoi scritti all'approvazione delle autorità cittadine. F.
interpretò questa costrizione come limitata a ciò che veniva pubblicato in
città e furbamente fece stampare i suoi successivi lavori a Francoforte ed a
Augusta. Tuttavia anche queste pubblicazioni suscitarono scandalo e Frecht
ebbe buon gioco nel far espellere F. da Ulm nel 1539. A questo punto a F. non
rimase altro che emigrare con la famiglia in Svizzera, a Basilea, visto anche
il clima a lui particolarmente sfavorevole culminato nella risoluzione
di condanna per eresia emanata dai teologi luterani, capitanati da
Melantone, che si erano riuniti a Schmalkalden nel 1540. A Basilea, F.
lavorò come stampatore e pubblicò numerosi lavori e nella stessa città
svizzera F. morì nell'inverno del 1542.
La dottrina Primo
propugnatore dell'individualismo religioso, F. era contrario all'appartenenza
ad una qualsiasi chiesa e comunità religiosa, di cui negava la capacità
salvifica: egli riduceva il Cristianesimo ad una esperienza interiore ed
individuale. Per il mistico F. era infatti importante concentrarsi sulla luce
divina, fonte di vita religiosa e presente in tutti noi: esso era "lo
spirito", in pratica lo Spirito Santo. F. era inoltre un pacifista e
universalista e, indipendentemente da razza o religione, considerava suo
fratello ogni uomo, concetto espresso anche nel Libro suggellato da sette
sigilli (1539). Attaccato da tutti, Lutero in testa, che lo criticò per la
mancanza di positivismo cristiano nei suoi lavori, F. fu comunque un autore
molto letto nella sua epoca e, benché le sue idee non fossero particolarmente
originali in quanto aveva attinto molto dai grandi mistici del XIII e XIV
secolo, come Johannes Tauler e Johannes Eckhart, egli influenzò lo sviluppo
del libero pensiero in diversi paesi, tra cui
l'Olanda.
Francke, August Hermann (1663-1727)
Il
teologo, pedagogo e filantropo pietista August Hermann Francke, nato
a Lubecca il 22 marzo 1663, studiò al liceo di Gotha e teologia
alle università di Erfurt, Kiel e Lipsia, laureandosi in quest'ultima nel
1686. Nel 1688 F., nominato professore di ebraico a Lipsia, si recò in visita
a Dresda e fu convertito alle idee di Philipp Jakob Spener, il
teologo alsaziano fondatore del movimento pietista. F. rimase inoltre
profondamente colpito dall'idea dei Collegia pietatis speneriani, che,
assieme ai colleghi Johann Kaspar Schade (1666-1698) e Paul Anton
(1661-1730), trasferì praticamente a Lipsia, fondando i similari Collegia
philobiblica, scuole per la spiegazione pratica e devozionale delle Sacre
Scritture. Essi invitarono i cittadini di Lipsia a parteciparvi, e
nel 1689/90 a creare essi stessi i loro collegi. Ma l'iniziativa fu
ostacolata dall'ortodossia luterana, capeggiata dal teologo Johann Benedict
Carpzov (1639-1699), e tramontò solo cinque anni più tardi, nel 1691. A F.,
diventato, nel 1690, pastore luterano a Erfurt, fu revocato lo stipendio e
proibito di organizzare incontri di questo tipo: non gli restò che accettare
l'invito di Spener di recarsi nel 1692 all'università di Halle (poco dopo fu
raggiunto da Anton) per diventare professore di lingue orientali, ma anche
pastore a Glaucha, un povero e sordido sobborgo di Halle. La felice scelta
di F. come professore fu dovuto a Spener, molto influente nella scelta dei
docenti per la facoltà di teologia della neonata università di Halle, grazie
alla alta considerazione, in cui lo teneva il principe elettore di
Brandeburgo, Federico III (principe elettore: 1688-1701 e, come Federico I,
re di Prussia: 1701-1713). L'università di Halle diventò ben presto il centro
di riferimento del pietismo tedesco e proprio F., nominato nel 1698
professore di teologia, fu il principale promotore di un'intensa attività
educativa e filantropica. Egli infatti, colpito dalle condizioni
economico-morali disastrose del sobborgo di Glaucha, fondò nel 1695 scuole di
carità per i figli dei mendicanti e diseredati, case di riposo per anziani e
laboratori artigiani, seguiti nel 1701 da un orfanotrofio (Waisenhaus) e nel
1710 dal Istituto Biblico Canstein, dotato di una propria tipografia, che
stampò e fece distribuire 80.000 Bibbie complete e 100.000 copie del Nuovo
Testamento in soli sette anni [un numero incredibile, visto che
precedentemente in Germania, in circa ottant'anni (1534-1626), erano state
prodotte solo 20.000 Bibbie!]. Ma F. non disdegnò neanche di aprire una
scuola secondaria (Pädagogium) per preparare i figli dei nobili e dei ricchi
borghesi all'università, alla carriera militare o a quella statale e un
istituto per la preparazione degli insegnanti (Seminarium selectum
praeceptorum), ambedue fondamentali nella crescita e formazione di quella
classe politico-militare, base della società prussiana a partire dal regno
del famoso re Federico II, detto il Grande (1740-1786). L'attività
frenetica di F. gli procurò molte ostilità ed antipatie, sia dai suoi
colleghi di Halle, che dall'ex amico e giureconsulto Christian Thomasius
(1655-1728). Nonostante ciò, nel 1715 F. fu nominato pastore della importante
chiesa di St. Ulrich e nell'anno dopo gli fu offerto il posto di rettore
dell'università di Halle, che occupò per due anni. F. morì a Halle l'8 giugno
1727. Le Fondazioni F. (Franckesche Stiftungen) sono ancora funzionanti
oggigiorno a Halle e sono stati decisivi nello sviluppo del missionariato
luterano pietista del XVIII e XIX secolo.
Boehme (o Boehm, Böhme,
Böhm, Behmen), Jacob (1575-1624) e behmenisti
Che un solo uomo
possa aver influenzato il pensiero di famosissimi filosofi, scienziati,
artisti, teologi e fondatori di movimenti
religiosi-filosofici come: George Fox (1624-1691), Georg Johann Gichtel
(1638-1710), Isaac Newton (1642-1727), Emmanuel Swedenborg
(1688-1772), Louis Claude de Saint Martin (1743-1803), William Blake
(1757-1827), Benedikt von Baader (1765-1841), Georg Hegel
(1770-1831), Friedrich Schelling (1775-1854), Arthur Schopenhauer
(1788-1860), Helena Blavatsky (1831-1891), Eduard von Hartmann
(1842-1906), Friedrich Nietzsche (1844-1900), Vladimir Soloviev
(1853-1900), Henri Bergson (1859-1941), Rudolf Steiner
(1861-1925), Alfred North Whitehead (1861-1947), Nikolaj Berdjaev
(1874-1948), Carl Jung (1875-1961), Albert Schweitzer (1875-1965), Paul
Tillich (1886-1965) e Martin Heiddeger (1889-1976), oltre ad avere avuto
un certo peso anche sul pensiero dei Rosacroce e sui rituali della
Massoneria, a molti potrà sembrare difficilissimo. E se poi si sapesse che
quell'unico uomo era un ciabattino, il personaggio assumerebbe i contorni
della leggenda! Eppure questo uomo è effettivamente vissuto a cavallo tra il
XVI ed il XVII secolo e si chiamava Jacob Boehme.
La vita Jacob
Boehme (per le varie grafie del cognome vedi il titolo) nacque
ad Altseidenberg, nella regione tedesca della Slesia, il, o intorno al,
24 aprile 1575 da una agiata famiglia di contadini. Su una sua effettiva
carriera scolastica, gli autori non concordano, ed alcuni glissano
strumentalmente su una (quasi certa) buona educazione presso la scuola
locale, in maniera probabilmente da poter sottolineare ancora di più il
carattere di "illuminazioni mistiche" spontanee alla base della sua opera
letteraria. Sicuramente B. fu un appassionato autodidatta e lesse le opere
dei famosi mistici tedeschi come i trecenteschi Eckhart e Tauler, e
i cinquecenteschi Franck, Paracelso e Valentin Weigel (1533-1588), oltre
a testi di teologia, astrologia e alchimia. Comunque B. non frequentò
l'università, ma neanche intraprese il mestiere del padre a causa del suo
precario stato di salute: fu invece avviato alla professione di calzolaio nel
1590 ed in questa attività si dimostrò molto abile e il suo business fiorì
negli anni successivi. Finito l'apprendistato nel 1599, egli divenne maestro
artigiano nella gilda della vicina cittadina di Görlitz, dove era andato ad
abitare e dove si era sposato. Negli anni successivi B. venne a contatto con
molti intellettuali perseguitati, come il pastore mistico Martin Moller (m.
ca. 1612), il quale, per stimolare i cristiani ad una vita spirituale più
profonda, decise di fondare un gruppo, denominato Conventicola dei veri servi
di Dio, a cui B. aderì, partecipando con interesse alle riunioni e alle
discussioni. Poco dopo, probabilmente nel 1600, B. ebbe un'esperienza
mistica, riassunta nella sua famosa frase: Tutte le cose consistono in un Sì
o in un No (vedi sotto). Nel 1612 B. scrisse il suo primo trattato Die
Morgenroete in Aufgang oder Aurora (Sale il rosseggiare della mattina ovvero
Aurora), di cui una copia, fatto circolare l'anno dopo, pervenne alle
autorità ecclesiastiche locali. Queste ultime, tra cui particolarmente
accanito contro il calzolaio mistico fu il successore di Moller, il nuovo
pastore Gregor Richter, accusarono B. di eresia e lo fecero imprigionare:
egli fu liberato solo dopo che gli fu notificata la proibizione di scrivere
altre opere, ma B. decise allora, a maggior ragione, di vendere la sua
attività artigianale, per essere più libero di poter scrivere. Infatti dal
1618 egli iniziò a scrivere altri trattati e la maggior parte dei suoi lavori
si concentrò tra il 1619 ed il 1624, anno della sua morte. Alla pubblicazione
del suo lavoro più popolare Weg zu Christo (la via a Cristo), una collezione
di nove trattati dottrinali, B. e la sua famiglia furono espulsi da Görlitz
nel marzo 1624. B. allora si recò a Dresda con la speranza di poter parlare
con il principe elettore di Sassonia Johann Georg I (1611-1656), ma
l'incontro gli fu rifiutato. Deluso ritornò a Görlitz, dove, dopo alcuni
altri brevi viaggi, morì il 17 novembre 1624 all'età di 49 anni. Purtroppo
anche dopo la morte, B. fu vittima di persecuzioni: la sua tomba, nei
successivi mesi al suo decesso, fu profanata da facinorosi locali.
La
dottrina La dottrina di B. prende spunto da temi cari alle scuole dualistiche
e gnostiche. Lo sviluppo del pensiero nelle opere di B. è alquanto complesso
e spesso difficile da comprendere a prima vista, ma indubbiamente dotato
di fascino. Il punto principale è una visione dualistica della realtà
(Tutte le cose consistono in un Sì o in un No): questa è, sia nella sua forma
fisica che in quella metafisica, una entità vivente in una tensione continua
a causa del dualismo tra l'affermazione e la negazione del potenziale
evolutivo all'interno di questa unica entità. Questo concetto della tensione
tra poli opposti in un'unica entità venne in seguito utilizzata da Jung per
spiegare il dualismo della psiche, ad esempio
introversione/estroversione, sentire/intuire etc. Per quanto concerne Dio
(o la Deità), B. credeva che la Deità non era misurabile e quindi non
descrivibile: Dio Padre era una realtà primaria non manifesta, chiamata
l'Abisso (Der Ungrund), un Niente che conteneva la potenzialità del Tutto.
L'Abisso era caratterizzato dal desiderio di rivelarsi attraverso un processo
di introspezione Divina, o riflessione. Il desiderio di rivelarsi veniva
identificato con il Figlio della Trinità, il processo di riflessione con lo
Spirito Santo. Ma il tutto questo processo di riflessione necessitava di uno
specchio divino, che B. chiamava Saggezza Vergine o Sophia, configurata
quindi come il quarto principio della Deità e fondamentale in quanto, proprio
vedendo le proprie potenzialità nello specchio di Sophia, Dio Padre aveva
espresso il desiderio di trasformare le potenzialità in realtà, scatenando
quindi il processo della Creazione. Particolare attenzione venne data da
B. al concetto del male nel mondo, che derivava dal dualismo di Dio stesso,
contenente sia il Male che il Bene. B. giustificava questa scioccante (per i
contemporanei) presenza del Male in Dio, spiegando che se non ci fosse stato
un principio contrario al Bene, non ci sarebbe stato né la Rivelazione di Dio
né la Sua coscienza di Se Stesso. Partendo quindi da questo dualismo della
natura Divina, B. ipotizzò che Dio avesse sette qualità primordiali, di cui
tre rappresentavano la collera Divina e tre l'amore Divino. In mezzo il
settimo, il fuoco Divino, che era il principio della vita. L'angelo
ribelle Lucifero si era infatuato solo delle qualità colleriche di Dio e
rifiutando quelle positive, si era opposto al cammino dall'oscurità alla
luce, restando così totalmente malvagio e creando quindi il mondo materiale,
un concetto questo simile a quello usato dagli gnostici per spiegare la
figura del demiurgo.
Le opere L'aspetto più stupefacente della
vita di B. fu la sua ricca produzione letteraria, anche se la maggior parte
delle sue opere non furono pubblicate se non dopo il 1640. Egli scrisse
almeno 29 trattati, la maggior parte, come già detto, scritta tra il 1619 ed
il 1624, in tedesco, unica lingua che conosceva, disquisendo anche su molti
temi caldi del momento, come ad esempio la predestinazione.
I
Behmenisti I seguaci di B., detti behmenisti, si diffusero ovviamente in
Germania, dove l'erede spirituale di B. fu Abraham von Franckenberg
(1593-1652), e in Olanda, dove Abraham Willemsz van Beyerland (1586/7-1648)
provvide alla stampa dell'intera opera letteraria. Quest'ultimo influenzò il
diplomatico Michel le Blon (1587-1658), responsabile della successiva
diffusione degli scritti di B. in Svezia, dove interessarono la famosa regina
Cristina (1626-1689), e in Inghilterra. In quest'ultimo paese, dove per la
verità, i suoi lavori circolavano già dagli anni '40 del XVII secolo, si
svilupparono gruppi di seguaci del pensiero di B. Alcuni behmenisti inglesi
si fusero in seguito con il movimento dei quaccheri, il cui fondatore, George
Fox (anche lui un ex ciabattino!), era rimasto particolarmente colpito dal
pensiero del "Calzolaio di Görlitz". Anche il familista reverendo James
Pordage fu un suo accanito lettore. Assieme a Jane Leade, Pordage fondò la
Società dei Filadelfi (The Philadelphian Society) nel 1670 proprio per
promuovere un maggiore interesse nel pensiero di B.
Della Sega (o
Sega), Francesco (1528-1565)
Francesco Della Sega (o Sega),
soprannominato Fraosto, nacque a Rovigo nel 1528 (altre fonti citano il 1532)
da una famiglia benestante e ricevette anche una buona educazione,
frequentando la facoltà di legge all'università di Padova. Nel suo memoriale
per l'Inquisizione, raccontò che a Padova venne convertito in seguito
all'anabattismo da un calzolaio e ribattezzato a Porcia, in provincia di
Pordenone. Lasciò gli studi per fare il mestiere di sarto e questa decisione,
oltre a quella religiosa, fece sì che il padre lo scacciasse di casa. In
seguito partecipò, nel 1546, ai Collegia Vicentina, primo incontro di
anabattisti e antitrinitariani veneti. Nel 1557, in seguito ai processi
nel Veneto contro gli anabattisti (scaturiti dalle confessioni di Pietro
Manelfi) D. fuggì con Giulio Gherlandi e Niccolò Buccella in Moravia,
entrando in una comunità hutterita a Pausram, vicino all'odierna cittadina di
Strachotin. Nel 1561 fu eletto ministro di culto hutterita e nell'anno
successivo ritornò a Rovigo per ritirare la sua eredità e per fare
proselitismo, ma il 27 agosto 1562 fu catturato a Capodistria, insieme a
Antonio Rizzetto e al Buccella, mentre stava facendo ritorno in Moravia, e fu
rinchiuso nel carcere veneziano di San Giovanni Battista in Bragora. Subì
un lungo processo, ma riuscì nel frattempo ad inviare diverse lettere ai suoi
confratelli in Moravia. Scrisse ai giudici durante il suo processo un
memoriale, dal titolo Lettera alli magnifici e clarissimi signori e iudici
sopra le cose della fede e conscienza, e fu anche torturato per farlo
abiurare, ed in seguito condannato alla pena capitale. All'inizio del
febbraio 1565 egli fu visitato dal capitano del carcere, Chiaromonte, che
cercò di fare un ultimo tentativo per indurlo ad abiurare: un suo momentaneo
tentennamento di fronte agli inquisitori, al contrario del confratello
Rizzetto, gli permise una sospensione temporanea dell'esecuzione capitale,
ma, ritornando poi nella convinzione della propria fede, D. fu giustiziato
per annegamento nel Canale dell'Orfano (nella laguna veneta) il 26 febbraio
1565.
Hutter, Jakob (m. 1536) e Hutterian Brethen (Fratellanza
hutterita)
La vita Jakob Hutter nacque a Moos (Moso) in Val
Pusteria (Alto Adige), vicino a Saint Lorenzen (San Lorenzo di Sebato) in un
anno imprecisato. Si sa molto poco della sua vita prima della sua conversione
all'anabattismo, se non che aveva studiato da ragazzo a Brunico e che da
adulto si era recato a Praga per imparare il mestiere di cappellaio, da cui
il soprannome di Hutter. Fu convertito all'anabattismo a Klagenfurt, in
Austria, e dal 1529 si fece notare per l'intensa attività di predicatore
nella sua valle d'origine. Tuttavia, a causa della crescente attività della
repressione cattolica, scatenata dalla rivolta del 1525 dei contadini
comandati da Michael Gaismair, gli anabattisti tirolesi incominciarono a
valutare la possibilità di trasferirsi in Moravia. Qui, infatti, grazie
soprattutto alla instancabile attività di Balthasar Hübmaier a Nikolsburg,
già dal 1526 si era creata una situazione di tolleranza per gli anabattisti,
favorita dalla nobile famiglia locale dei Liechtenstein, anch'essa convertita
e ribattezzata da Hübmaier.
Gli anabattisti ad Austerlitz Dopo le
tragiche morti di Hübmaier nel 1528 e di Hans Hut nel 1527, la maggior parte
degli anabattisti residenti si erano trasferiti in un ambiente più a loro
favorevole ad Austerlitz, protetti dal signore locale Ulrich von Kaunitz (m.
1570). Qui, tuttavia, si svilupparono dei gravi contrasti all'interno della
comunità tra il capo, Jakob Wideman, detto Jakob il guercio (m.1535 ca.) ed
il noto teologo anabattista Wilhelm Reublin, che accusava Widemann di gestire
la comunità di Austerlitz in malo modo. Lo scontro tra Widemann e il gruppo
dissidente capitanato da Reublin e dal tirolese Jörg Zaunring (m.1533 ca.)
sfociò in un esodo di questi ultimi verso la comunità anabattista di Auspitz,
sempre in Moravia, dove però rimasero tensioni a causa di Reublin, che, in
contrasto con le rigide leggi della comunità in tema di gestione di tutti i
beni in comune, si era fatto beccare con un gruzzolo personale di denaro in
casa e per questo era stato espulso con ignominia dalla comunità stessa. Lo
stesso Zaunring, colpevole di aver riaccolto in casa la moglie adultera senza
il consenso preventivo della comunità, fu successivamente scomunicato e
scacciato.
H. ad Austerlitz Fu quindi necessario chiamare dal
Tirolo H., che giunse a svolgere la sua attività di predicatore nella Pasqua
1531. Egli ricompattò la comunità anabattista della zona, che arrivò a
sfiorare i 4.000 fedeli ed organizzò l'esodo degli anabattisti tirolesi nel
1533-1534. L'emigrazione della primavera 1534 attirò tuttavia l'attenzione
di Ferdinando d'Asburgo (n. 1503, imperatore 1558-1564), mortale nemico
degli anabattisti anche a causa dell'orrore suscitato dalla dittatura di
Münster. Egli, vista la difficoltà di arrestare gli emigranti, decise di
obbligare i nobili moravi a espellere nel 1535 gli anabattisti dal loro
territorio.
La fine Purtroppo il destino di H., perseguitato
personalmente e con accanimento da Ferdinando d'Asburgo, fu molto amaro: il
25 novembre 1535 H. fu catturato assieme alla moglie ed ad alcuni amici a
Chiusa (Klausen), qualche mese dopo il suo rientro in Tirolo. Trasferito
ad Innsbruck, non furono lesinate le più atroci torture per farlo parlare e
svelare la sua attività missionaria, ma H., eroicamente e stoicamente, non
cedette e fu quindi bruciato sul rogo il 25 gennaio 1536. La moglie, evasa,
fu catturata e giustiziata (pare per annegamento) due
anni dopo.
Hutterian brethen (fratellanza hutterita) In seguito
all'ordine di espulsione del 1535, anche i seguaci di H., chiamati Fratelli
hutteriti (dal nome del loro fondatore), nonostante un disperato ed accorato
appello al governatore della Moravia, furono obbligati o ad andarsene o a
cercare di confondersi, spezzettandosi in gruppetti poco appariscenti, nelle
zone più isolate della Moravia e della Slovacchia. Dopo la morte di
Ferdinando d'Asburgo nel 1564, iniziò per gli hutteriti il cosiddetto periodo
d'oro con la costituzione di centinaia di Bruderhof (fattorie comunitarie)
che portò la popolazione della setta a circa 20-30.000 adepti. In seguito,
tuttavia, essi dovettero intraprendere una serie di migrazioni: circa 200
famiglie hutterite si trasferirono nel 1621 in Transilvania su invito del
principe Gabor II Bethlen (1613-1630), con la promessa di una sostanziale
libertà religiosa. Fu un bene per loro perché i confratelli rimasti in
Moravia e Slovacchia furono quasi completamente sterminati durante la guerra
dei Trent'anni (1618-1648) o dovettero accettare delle conversioni (spesso di
facciata) al cattolicesimo. Le successive emigrazioni portarono gli hutteriti
transilvani in Valacchia, Ucraina, e, grazie alla loro fama di ottimi
contadini, nel 1770, a Molotschna (vicino ad Odessa sul Mar Nero), da dove,
nel 1874, a causa dell'introduzione della leva militare obbligatoria in
Russia, essi decisero di recarsi in Stati Uniti (principalmente nel Sud
Dakota) ed in Canada nel 1918.
Gli hutteriti in Nord
America Oggigiorno nel Nord America vivono circa 36.000 hutteriti,
prevalentemente agricoltori, in circa 434 colonie, divisi in tre gruppi,
denominati dai nomi dei loro fondatori e divisi non solo geograficamente ma
anche nel metodo di conduzione delle rispettive colonie: Schmiedeleut [in
Canada (Manitoba) e USA (North Dakota, South Dakota e Minnesota)]
ulteriormente divisi dal 1992 con la scissione dei
Committee Hutterites, Dariusleut [in Canada (Saskatchewan, Alberta,
British Colombia) e USA (Washington e Montana)], Lehrerleut (come
Dariusleut). Ogni colonia agricola hutterita consta di circa 60/160 persone
(quando viene superato questo numero, la colonia si divide e genera un'altra
colonia "figlia"), che vivono in comunione dei beni, e basa la propria
economia sulla coltivazione di campi e allevamento di bestiame. Inoltre
alcune colonie provvedono alla fabbricazione di attrezzature e materiale
da costruzione utile per le altre colonie. La colonia viene gestita da
un consiglio formato da un capo colonia, un capo fattoria e due o tre
diaconi, che prendono tutte le più importanti decisioni in tema di lavori da
svolgere e disciplina della colonia. Gli hutteriti parlano ancora un
antico dialetto sud-tirolese, ma usano il tedesco per le cerimonie, gli
uomini adulti portano la barba ma non i baffi poiché li vedono come un odiato
simbolo militarista (sono tutti rigorosamente antimilitaristi e obiettori di
coscienza), vestono con vestiti semplici fatti in casa e passano il tempo
libero praticando moderne attività sportive ed hanno una passione per il
canto in coro. Confrontando con le (apparentemente simili) colonie degli
amish, gli hutteriti praticano la comunione dei beni, non disdegnano l'uso
di macchinari moderni, praticano sport e attività ludiche mentre gli
amish accettano la proprietà privata, rifiutano i macchinari, e non indulgono
in attività come sport e canto. La filosofia hutterita è quella della
vita comunitaria frugale e non del rifiuto totale della vita moderna,
tipico degli amish. Infine la vita semplice e isolata degli hutteriti ha
attratto la cinematografia americana e sono stati girati almeno due film con
riferimenti alla setta: 49th parallel (49° parallelo) di Michael Powell
(1941) Holy matrimony (Marito a sorpresa) di Leonard Nimoy
(1994)
Società dei Fratelli Simili agli hutteriti sono gli
aderenti alla Società dei Fratelli o Bruderhofer o neo-hutteriti, una setta,
di ispirazione hutterita, fondata nel 1920 in Germania dal teologo
indipendente Eberhard Arnold ed espulsa dai nazisti nel 1937. Dopo un periodo
in Inghilterra e Paraguay (durante la guerra), i bruderhofer sono emigrati in
USA nel 1954 e risiedono ora negli stati di New York e Pennsylvania. Nel
1930 essi si unirono agli hutteriti dariusleut, ma nel 1950 decisero di
rinunciare a questa unione per l'insanabile divario tra i due gruppi in
termini di abitudini pratiche e usi quotidiani.
Luca di Praga
(1460-1528), i Fratelli Boemi (Unitas fratrum) ed i
Fratelli Moravi
Il periodo storico I Fratelli Boemi si
inserirono nel periodo storico scaturito in Boemia in seguito
all'approvazione delle Compactata di Basilea, una serie di
deroghe dottrinali, che riproducevano i Quattro Articoli di Praga (concepiti
nel 1420 da Jakoubek di Stribo): esse furono concesse agli hussiti dal
Concilio di Basilea (1431-1439) e quindi ratificate nel 1436 dalla Dieta di
Iglau (Jihlava) in Moravia, dove i cattolici e gli hussiti avevano
accettato reciprocamente le Compactata e l'obbedienza al Concilio. Ma
questo compromesso non fu accettato dalla fazione radicale dei taboriti e si
giunse ad una guerra civile tra i moderati utraquisti
(momentaneamente alleati con i cattolici) e i Taboriti stessi, conclusasi con
la sconfitta di questi ultimi nella battaglia di Lipau (o Lipany) del 30
Maggio 1434, dove fu ucciso anche il loro capo Andreas Prokop. Due anni
dopo, nel 1436, alla Dieta di Iglau (Jihlava) in Moravia, i cattolici e gli
hussiti accettarono reciprocamente le Compactata e l'obbedienza al Concilio.
Fu formata una Chiesa Cattolica boema indipendente con a capo l'arcivescovo
Jan Rokyzana. Tuttavia l'accordo non portò la sperata pace in Boemia, dove
continuarono nuove lotte interne culminate nel 1448, quando il governatore di
Praga, Giorgio Podiebrad reagì con forza ai tentativi dei cattolici di
riprendersi i beni confiscati durante le guerre hussite e di rievangelizzare
la regione con una attività martellante dei predicatori francescani agli
ordini del Vicario generale, San Giovanni Capistrano
(1386-1456). Podiebrad venne nominato reggente nel 1452 e divenne re di
Boemia dal 1458 al 1470, sostenendo attivamente il rito
utraquista.
La fondazione dell'Unitas fratrum Nel 1457 alcuni
utraquisti ed i superstiti taboriti si staccarono dalla Chiesa hussita,
formando un movimento separato, denominato Unitas Fratrum (unità dei
fratelli) o Fratelli Boemi, il cui fondatore fu un certo Gregorio (secondo
altri autori, Giorgio), nipote del predicatore utraquista Rokyzana, ma di cui
ebbe parte fondamentale il predicatore Petr Chelcický (1390-1460). Il
movimento ebbe un immediato successo ed aumentarono i suoi adepti fino
al numero di qualche migliaio, ma la sua rapida crescita fu bloccata nel
1461 dall'arresto di Gregorio e di altri attivisti per ordine del re
Giorgio Podiebrad, sempre vigile contro possibili riprese del defunto
movimento taborita. Infatti, benché rifiutassero la violenza tipica dei
taboriti, sviluppando invece altre caratteristiche, come l'abolizione di ogni
grado e gerarchia, del giuramento, del servizio militare per favorire una
vita basata sulla povertà evangelica, i Fratelli Boemi accettarono alcuni
punti tipici dei radicali hussiti in tema di Eucarestia e Sacramenti. Per
continuare la loro opera essi si rifugiarono a Reichnau, sul lago
di Costanza, dove nel 1467, i F. si fusero con i valdesi boemi nel
1467, diventando l'Unione dei fratelli boemi-moravi, e dando luogo
alla consacrazione di diversi preti (che dovevano essere celibi e non
potevano avere alcun possesso) e di un vescovo, Mattia di
Kunwald. L'Unione era basata su una severa moralità, sulla quale vigilava un
comitato di anziani, che potevano espellere coloro che si erano macchiati di
qualche peccato o colpa. Comunque le persecuzioni nei loro confronti da
parte di re Giorgio continuarono fino alla sua morte nel
1471.
Luca di Praga Luca nacque intorno al 1460 ed divenne
baccelliere all'Università di Praga, affermandosi successivamente come
teologo molto preparato. Dal 1480 circa, Luca fu nominato capo e vescovo dei
F. riorganizzandoli come una vera chiesa: in questo dovette vincere
l'opposizione interna rappresentata dall'ala più conservativa dei
Radicali. Nel frattempo, la Boemia era finita sotto il dominio della dinastia
polacca degli Jagelloni: era infatti diventato re di Boemia (e dal 1490 anche
di Ungheria) Ladislao II (1471-1516), figlio di Casimiro IV di
Polonia (1444-1492). Ladislao fu alquanto tollerante con i F. e questa
cosa permise una loro rapida espansione (circa 100.000 seguaci), nonostante
la persecuzione voluta da Papa Alessandro VI (1492-1503): fu un vero peccato
tuttavia che essi non sapessero meglio coltivare i rapporti con il re.
Infatti nel 1507 quando il sovrano li invitò ad una conferenza con gli
utraquisti a Praga, essi, per tutta risposta, inviarono degli illetterati
maleducati. Questo sgarbo mandò in bestia il re Ladislao, che iniziò a
perseguitare i F. ad iniziare dall'Editto di San Giacomo del 1508. Nel
1528 morì il vescovo Luca, che si era sempre posto in maniera equidistante
dai vari pensieri riformatori dell'epoca, come i luterani e
gli zwingliani. Ne prese l'eredità spirituale Giovanni di Augusta, il
quale tentò una fusione con i luterani nel 1542, ma questa naufragò per una
visione troppo severa della morale dei F., non condivisa da Martin
Lutero. Tuttavia i F. furono lealmente al fianco dei luterani nella lega
di Smalcalda e patirono anche loro le conseguenze della sconfitta
nella battaglia di Muhlberg del 1547 e dovettero accettare o l'esilio in
Polonia e Prussia o di fondersi almeno formalmente con gli utraquisti. Un
periodo di relativa pace si ebbe sotto Massimiliano II d'Asburgo (1564-1576),
che rifiutò le decisioni del Concilio di Trento (1545-1563) per mantenersi in
una posizione neutrale: ne approfittarono i F. per stendere la Confessio
bohemica, l'atto di fede dei F., un documento teologicamente ancora in una
posizione intermedia tra luterani e calvinisti. Durante il regno
dell'imperatore Rodolfo II (1576-1612) fu stillata una lettera di garanzia
delle libertà religiose ai boemi, mentre durante il regno del successore, il
fratello Mattia (1612-1619), avvenne l'episodio scatenante la Guerra dei
Trent'anni: una ulteriore defenestrazione di Praga degli incaricati cattolici
dell'Imperatore. Ma non erano più i bei tempi di Zizka o Prokop: la guerra
vide la secca sconfitta dei Boemi nella battaglia alla Montagna Bianca del
1620 da parte delle truppe dell'imperatore Ferdinando II (1619-1637), il
quale forzò i F. a diventare cattolici o ad emigrare: molti scelsero di
rifugiarsi in Ungheria o in Polonia settentrionale, tra cui l'illustre
filosofo e pedagogo Jan Amos Komenski (Comenio) . Altri F. boemi
sopravvissero in clandestinità in Moravia, emigrando successivamente in
Germania, dove intorno al 1730 il conte Nikolaus Ludwig von Zizendorf
(1700-1760) fondò il movimento dei Fratelli Moravi, unendo le caratteristiche
dei F. con quelle del Pietismo di origine luterana. Oggigiorno la Chiesa
Morava, anche grazie ad una intensa opera di missionariato nelle Americhe,
conta nel mondo circa 300.000 fedeli.
Gichtel, Johann Georg (1638-1710) e
Fratelli della vita angelica
La vita Il mistico tedesco Johann
Georg Gichtel nacque il 14 marzo 1638 a Regensburg (Ratisbona), in Baviera,
da una famiglia in vista della città (il padre era senatore). A scuola G.
si mostrò versato nelle lingue, approfondendo la conoscenza del greco,
ebraico, siriaco e arabo, ma inviato all'università di Strasburgo
per frequentare la facoltà di teologia, decise di abbandonarla per passare
alla facoltà di legge, non concordando con gli insegnamenti dei teologi
docenti J. S. Schmidt e Philipp Jakob Spener. Dopo la laurea, G. esercitò
la professione di avvocato, dapprima a Spira, poi a Ratisbona: qui conobbe
nel 1664 il barone ungherese Justinianus von Weltz (1621-1668), un idealista
mistico con un programma preciso: riunire le chiese cristiane e convertire
tutto il mondo al Cristianesimo. Per questo aveva fondato un movimento,
denominato Christerbauliche Jesusgesellschaft (Società di Gesù per
l'educazione cristiana), al quale aderì anche G., contribuendo con un
sistematico attacco contro la chiesa luterana e alcuni suoi insegnamenti
fondamentali, come la giustificazione per fede. L'atteggiamento di G. suscitò
la reazione delle autorità della chiesa luterana locale, che lo fecero
arrestare e rinchiudere per tredici settimane con la pericolosa accusa di
anabattismo (un'accusa del genere poteva portare anche al rogo), dalla quale
scampò grazie all'intervento di un potente conoscente del padre. Ma non poté
sottrarsi alla condanna all'esilio perpetuo ed alla confisca di tutti i suoi
beni da parte dello stato bavarese. Nel 1665 G. decise quindi di recarsi
in Olanda, terra promessa per la libertà di pensiero, libertà sì ma.senza
esagerare, come egli ben presto si accorse, quando a Zwolle G. intervenne
energicamente a favore del pastore luterano Friedrich Breckling (1629-1711)
fautore di un sistema educativo e sociale, svincolato dalle istituzioni
ecclesiastiche: G. si ritrovò arrestato, esposto alla gogna, schiaffeggiato
pubblicamente ed infine espulso dalla città olandese! Finalmente nel 1668
G. arrivò ad Amsterdam, dove abitò per i rimanenti 42 anni della sua vita,
contraddistinti da visioni, rivelazioni profetiche, preghiere e una quantità
elevatissima di opere (4.000 pagine di corrispondenza e diversi trattati),
tra cui il più importante è il trattato Theosophica practica. Ad Amsterdam
egli conobbe la visionaria fiamminga Antoinette Bourignon, ma soprattutto
scoprì gli insegnamenti di Jacob Boehme, di cui fece pubblicare le opere
complete nel 1682. Nonostante una vita molto solitaria e ritirata, egli
riuscì a riunire un piccolo gruppo di seguaci, denominati Fratelli della vita
angelica o Gichteliani, i quali miravano ad una vita di tipo sacerdotale
libera da desideri carnali e da impegni matrimoniali. G. morì ad Amsterdam
il 21 gennaio 1710.
La dottrina G. rielaborò la dottrina teosofica
di Boehme dei tre principi della Deità [l'Abisso (il Padre) che desiderava
rivelarsi (il Figlio) attraverso un come processo di riflessione, o
introspezione Divina (lo Spirito Santo)], ma soprattutto del quarto
principio, lo specchio divino del processo di riflessione, denominato
Saggezza Vergine o Sophia, di cui G. elaborò gli otto gradi di azione e
rivelazione. Attraverso questo specchio il mondo creato è l'immagine del
mondo divino, le creature appaiono come riflessione delle idee di Dio e sia
Adamo, che Cristo nascono androgini (un concetto ripreso da Helena Blavatsky
nella sua teoria sul Padre-Madre universale). La razza umana era quindi
contenuta nella riflessione della Deità, che formava una nuova ed invisibile
chiesa, il cui scopo era il ritorno alla Perfezione attraverso tre fasi
dell'uomo: l'uomo dell'oscurità, l'uomo rinato e l'uomo interno (o
perfetto). Gli unici mezzi dell'uomo per ottenere ciò erano: la visione della
dualità del mondo (le forze oscure contrapposte a Sophia) ed il potere
della volontà, che poteva far scoprire il Regno di Dio nascosto nel
profondo dell'anima. La partecipazione dell'anima umana alle nozze
mistiche di Cristo con Sophia (un'idea dal vago sapore
alchemico-rosacrociano) davano all'uomo l'Eterna Vita.
Fratelli
del Libero spirito (XII - XIII - XIV secolo)
I Fratelli del
Libero Spirito fu un movimento, dal XII secolo, diffuso nella Francia
settentrionale, in Germania, nei Paesi Bassi, in Boemia e in Italia, che
professava l'indipendenza dall'autorità ecclesiastica e la possibilità di
vivere secondo una vita apostolica, poiché i propri adepti erano convinti di
essere pervasi dallo Spirito Santo. Questo stato di divinità coincideva con
la totale scomparsa dei tormenti della coscienza: essi quindi ritenevano di
essere talmente perfetti da poter commettere qualsiasi atto senza correre il
rischio di peccare, secondo il detto di San Paolo: Tutto è puro per i puri
(Lettera a Tito 1,15). Alcuni autori cattolici riportarono che essi, forti di
questo convincimento, si lasciavano andare soprattutto ad atti contro la
morale, come atti sessuali extra matrimoniali. Se ne ha notizia già dalla
metà del XII secolo, quando i F. vennero identificati nei pifres, predicatori
ascetici eterodossi, combattuti dal monaco Eckbert di Schönau. La dottrina
del movimento fu, all'inizio del XIII secolo, fortemente influenzata dal
pensiero apocalittico di Gioacchino da Fiore e quello neoplatonico e
panteista di Amaury di Bène, e successivamente dal teologo e mistico Ortlieb
di Strasburgo, i cui seguaci, chiamati ortlibarii, vennero condannati dal
Papa Innocenzo III (1198-1216). Ai F. si fanno risalire parentele più o meno
strette con il movimento degli apostolici di Gerardo Segalelli, fra Dolcino
da Novara, i movimenti dei begardi e delle beghine e il grande mistico
tedesco Eckhart von Hocheim. Nel XIV secolo, il capo dei F. italiani,
Bentivegna da Gubbio, fu condannato al carcere a vita nel 1307 proprio da
Ubertino da Casale, diventato poi uno dei leader storici del movimenti dei
francescani spirituali o fraticelli. In Francia, nello stesso periodo, fece
notizia la condanna al rogo della beghina, simpatizzante con i F., Margherita
La Porète nel 1310. Altri F. condannati al rogo furono Berthold Rohrbach a
Spira (Germania) nel 1356, Johannes Hartmann-Spinner nel 1370 ca. e Nicola da
Basilea a Vienna nel 1395. Il movimento fu definitivamente condannato da
Papa Clemente V (1305-1314) nella bolla Dilectus Domini del
1311. Tuttavia, alla metà del XIV secolo, apparve una sua variante nel
movimento della Libera Intelligenza o Uomini di Intelligenza, al quale
potrebbe aver aderito, secondo una curiosa ipotesi dello studioso tedesco
Wilhelm Fraenger, il noto pittore fiammingo Hieronymus Bosch
(1450-1516).
Grebel, Conrad (ca.1498-1526)
Conrad
Grebel, uno dei fondatori del movimento anabattista, nacque nel 1498 ca. da
una famiglia patrizia di Zurigo. Il padre, Jakob, un ricco commerciante di
ferro, ricopriva spesso incarichi ufficiali nel consiglio cittadino. G.
ebbe un'ottima istruzione studiando a Basilea nel 1514 con
l'umanista Heinrich Loriti, detto Glareano (1488-1563), poi per tre anni a
Vienna con l'umanista Joachim von Watt, detto Vadiano (1484-1551). Alla fine
dei suoi studi viennesi, nel 1518, G. si trasferì a Parigi, dove però fu
molto svogliato e non completò nessun corso di laurea: dopo due anni, rientrò
a Zurigo con una buona cultura di base, ma senza un titolo di
studio. Nella sua città natale, G., in perenne contrasto con il padre per
motivi economici, si sposò nel 1522 con una ragazza di umili origini e nello
stesso anno iniziò a frequentare i circoli umanistici che gravitavano intorno
a Zwingli. Questa frequentazione trasformò il giovane, alquanto
indifferente alle problematiche religiose, in un fervente collaboratore del
riformista zurighese. Tuttavia, già nel Gennaio 1523, G. ed altri, come
Felix Mantz, Wilhelm Reublin, Hans Brötli e Simon Stumpf, cominciarono a
contestare la linea riformista di Zwingli. In particolare la materia del
contendere era la superiorità della Sacra Scrittura, propugnata da G. e
compagni, rispetto all'autorità dello stato, voluto da Zwingli, che lavorava
per ottenere il consenso unanime del corpus christianum, inteso come l'unità
dei fedeli. Il 26-28 Ottobre 1523, durante un dibattito pubblico, organizzato
dal Consiglio cittadino, avvenne lo scontro tra G. e Zwingli, in
particolare quando si toccò il punto delicato dell'opportunità, dei tempi e
metodi di abolizione della Messa: la prudenza di Zwingli, che desiderava il
consenso del Consiglio stesso, non soddisfaceva G. più portato a decisioni
radicali ed immediate. Anche i moti popolari contro la lentezza delle
riforme, scoppiati in Dicembre 1523, non fecero altro che fornire alle
autorità cittadine il pretesto per espellere Simon Stumpf. Nel 1524 il
gruppo di G. cercò di uscire dal proprio isolamento, presentando a Zwingli un
progetto di riforma politica, prontamente respinto, e scrivendo una lettera a
Thomas Müntzer per chiedere un confronto sulle rispettive posizioni radicali:
non risulta che il riformatore tedesco abbia
mai risposto. Contemporaneamente si sviluppò la polemica sul battesimo
degli infanti: l'impulso di rigettare il battesimo dei bambini, come
polemica anti-clericale contro i riti della "vecchia" Chiesa, venne da
episodi avvenuti, nella primavera-estate 1524, in due villaggi vicino a
Zurigo, Zollikon, dove operava Johannes (Hans) Brötli, e Wytikon, dove era
pastore Wilhelm Reublin. G. prese spunto da questi episodi per rifiutarsi
di far battezzare il suo bambino, appena nato. La cosa suscitò un grande
scalpore: il rifiutare il battesimo equivaleva a negare al bambino
l'appartenenza alle comunità, sia sociale che cristiana, che a quel tempo
coincidevano nel già menzionato corpus christianum. Si pervenne quindi ad
una disputa pubblica il 10 e 17 Gennaio 1525 tra il gruppo di G., da poco
rinforzato dall'ex sacerdote Jörg Blaurock, e i riformatori svizzeri nelle
persone di Zwingli e Johann Heinrich Bullinger. Ma il risultato fu scontato:
il Consiglio cittadino censurò la posizione del gruppo di G., ordinando il
battesimo immediato di tutti i bambini entro otto giorni dalla loro
nascita. Il 21 Gennaio 1525, sfidando il divieto delle autorità cittadine,
15 anabattisti si riunirono in casa di Felix Mantz, e presero la decisione
di procedere al proprio ribattesimo, cosa che fecero la notte stessa: fu G.
a battezzare Blaurock, che poi ribattezzò gli altri. In seguito
gli anabattisti si trasferirono a Zollikon, dove fondarono la comunità
dei "Fratelli in Cristo". La frattura era avvenuta e la reazione dei
riformatori ortodossi non si fece attendere: il Consiglio cittadino fece
arrestare ed interrogare a più riprese, con una severità sempre più
crescente, gli anabattisti. L'episodio più significativo fu la protesta della
comunità di Grüningen, un distretto vicino a Zurigo, dove lo scontento
popolare fu fomentato proprio dai capi anabattisti Blaurock, G, e Mantz,
arrestati e inviati a Zurigo. Qui si tenne il 6-8 Novembre 1525 un'ulteriore
disputa tra gli anabattisti e Zwingli, che, scontento per l'ostinata
posizione degli avversari, li fece condannare dal Consiglio, il 18 Novembre,
a rimanere in carcere. Il 5 e 6 Marzo 1526, dopo quattro mesi di duro
carcere, il Consiglio cercò di fiaccare la resistenza degli arrestati (i tre
sopramenzionati più altri 14 compagni) condannandoli al carcere a pane e
acqua, finché essi non avessero ritrattato, ma 15 giorni dopo, approfittando
di una clamorosa distrazione, gli anabattisti riuscirono ad evadere. G. si
diresse da solo a casa di sua sorella, che abitava nel Cantone Grigioni, a
Maienfeld. Giuntovi stanco e malato, morì di peste poco dopo, probabilmente
nel Luglio 1526, all'età di soli 28 anni.
Luca di Praga
(1460-1528), i Fratelli Boemi (Unitas fratrum) ed i
Fratelli Moravi
Il periodo storico I Fratelli Boemi si
inserirono nel periodo storico scaturito in Boemia in seguito
all'approvazione delle Compactata di Basilea, una serie di
deroghe dottrinali, che riproducevano i Quattro Articoli di Praga (concepiti
nel 1420 da Jakoubek di Stribo): esse furono concesse agli hussiti dal
Concilio di Basilea (1431-1439) e quindi ratificate nel 1436 dalla Dieta di
Iglau (Jihlava) in Moravia, dove i cattolici e gli hussiti avevano
accettato reciprocamente le Compactata e l'obbedienza al Concilio. Ma
questo compromesso non fu accettato dalla fazione radicale dei taboriti e si
giunse ad una guerra civile tra i moderati utraquisti
(momentaneamente alleati con i cattolici) e i Taboriti stessi, conclusasi con
la sconfitta di questi ultimi nella battaglia di Lipau (o Lipany) del 30
Maggio 1434, dove fu ucciso anche il loro capo Andreas Prokop. Due anni
dopo, nel 1436, alla Dieta di Iglau (Jihlava) in Moravia, i cattolici e gli
hussiti accettarono reciprocamente le Compactata e l'obbedienza al Concilio.
Fu formata una Chiesa Cattolica boema indipendente con a capo l'arcivescovo
Jan Rokyzana. Tuttavia l'accordo non portò la sperata pace in Boemia, dove
continuarono nuove lotte interne culminate nel 1448, quando il governatore di
Praga, Giorgio Podiebrad reagì con forza ai tentativi dei cattolici di
riprendersi i beni confiscati durante le guerre hussite e di rievangelizzare
la regione con una attività martellante dei predicatori francescani agli
ordini del Vicario generale, San Giovanni Capistrano
(1386-1456). Podiebrad venne nominato reggente nel 1452 e divenne re di
Boemia dal 1458 al 1470, sostenendo attivamente il rito
utraquista.
La fondazione dell'Unitas fratrum Nel 1457 alcuni
utraquisti ed i superstiti taboriti si staccarono dalla Chiesa hussita,
formando un movimento separato, denominato Unitas Fratrum (unità dei
fratelli) o Fratelli Boemi, il cui fondatore fu un certo Gregorio (secondo
altri autori, Giorgio), nipote del predicatore utraquista Rokyzana, ma di cui
ebbe parte fondamentale il predicatore Petr Chelcický (1390-1460). Il
movimento ebbe un immediato successo ed aumentarono i suoi adepti fino
al numero di qualche migliaio, ma la sua rapida crescita fu bloccata nel
1461 dall'arresto di Gregorio e di altri attivisti per ordine del re
Giorgio Podiebrad, sempre vigile contro possibili riprese del defunto
movimento taborita. Infatti, benché rifiutassero la violenza tipica dei
taboriti, sviluppando invece altre caratteristiche, come l'abolizione di ogni
grado e gerarchia, del giuramento, del servizio militare per favorire una
vita basata sulla povertà evangelica, i Fratelli Boemi accettarono alcuni
punti tipici dei radicali hussiti in tema di Eucarestia e Sacramenti. Per
continuare la loro opera essi si rifugiarono a Reichnau, sul lago
di Costanza, dove nel 1467, i F. si fusero con i valdesi boemi nel
1467, diventando l'Unione dei fratelli boemi-moravi, e dando luogo
alla consacrazione di diversi preti (che dovevano essere celibi e non
potevano avere alcun possesso) e di un vescovo, Mattia di
Kunwald. L'Unione era basata su una severa moralità, sulla quale vigilava un
comitato di anziani, che potevano espellere coloro che si erano macchiati di
qualche peccato o colpa. Comunque le persecuzioni nei loro confronti da
parte di re Giorgio continuarono fino alla sua morte nel
1471.
Franck (o Frank), Sebastian
(1499-1542)
La vita Sebastian Franck, da non confondere con
l'omonimo compositore di inni sacri (1606-1668), nacque nel 1499 a
Donauwörth, a nord di Augusta, in Baviera. Nel 1515 egli si iscrisse
all'università di Ingolstadt, proseguendo poi gli studi all'università di
Heidelberg, nel collegio domenicano denominato Bethelem, dove conobbe i suoi
futuri avversari Martin Butzer (Bucero) e Martin Frecht (1494-1556). Il 23
Agosto 1518 F. assistette personalmente ad uno degli episodi
più significativi della nascente Riforma: l'incontro (o meglio scontro)
di Augusta tra Martin Lutero e il cardinale Tommaso Caietano. Nonostante
ciò, nella fase iniziale della sua vita rimase cattolico diventando prete
e accettando nel 1524 una parrocchia vicino ad Augusta. La conversione
alla Riforma di F. avvenne comunque tra il 1525 ed il 1527: secondo alcuni
autori, probabilmente a Norimberga già nell'anno successivo, 1525. In seguito
egli divenne predicatore luterano a Gustenfelden, un piccolo borgo vicino a
Norimberga stessa. Qui F. risedette tra il 1527 ed il 1529, sposandosi nel
1528 e scrivendo vari lavori, di rigorosa impronta luterana, tra cui una
prefazione ad uno scritto contro gli anabattisti ed un trattato contro
l'ubriachezza. Tuttavia alla ricerca di un ambiente più liberale per le sue
idee, F. emigrò a Strasburgo nel 1529, dove nel 1530 scrisse Chronik und
Beschreibung der Türkey, un trattato, nel quale F. dichiarò che nessuna delle
fedi cristiane protestanti del momento, Luterana, Zwingliana o Anabattista
possedeva la Verità e che quindi ce ne sarebbe stata una quarta, una chiesa
invisibile spirituale, governata dalla parola di Dio, senza bisogno di
cerimonie, sacramenti o sermoni. Indubbiamente all'evoluzione delle sue
idee avevano contribuito noti dissidenti della Riforma, come Michele Serveto
e Caspar von Schwenckfeld. Nel 1531 F. pubblicò il suo più importante lavoro
Cronica, Zeitbuch und Geschichts Bibel, un trattato di questioni sociali e
religiose, dove F. mostrò una certa simpatia verso i dissidenti religiosi e
propugnò una completa libertà di pensiero. Purtroppo il lavoro costò al suo
autore un periodo di carcere, seguito dall'espulsione da Strasburgo, voluta
proprio dal suo ex compagno di studi, il predicatore Martin Bucero. Nel
1532 lo troviamo a Esslingen (vicino a Stoccarda), dove per sbarcare
il lunario, F. impiantò una fabbrica di saponi, ma nel 1533 egli decise
di trasferirsi a Ulm, di cui diventò cittadino nel 1534. Qui, però, F.
incontrò l'altro suo ex compagno di studi, Martin Frecht, pastore della
città, che lo tenne particolarmente d'occhio, chiedendone l'espulsione nel
1535, dopo la pubblicazione di alcuni suoi scritti, come Paradoxa ducenta
octoginta (1534), particolarmente sgraditi ai teologi luterani. A riguardo
F. protestò vivamente: gli fu quindi permesso di rimanere in città, a patto
di sottoporre i suoi scritti all'approvazione delle autorità cittadine. F.
interpretò questa costrizione come limitata a ciò che veniva pubblicato in
città e furbamente fece stampare i suoi successivi lavori a Francoforte ed a
Augusta. Tuttavia anche queste pubblicazioni suscitarono scandalo e Frecht
ebbe buon gioco nel far espellere F. da Ulm nel 1539. A questo punto a F. non
rimase altro che emigrare con la famiglia in Svizzera, a Basilea, visto anche
il clima a lui particolarmente sfavorevole culminato nella risoluzione
di condanna per eresia emanata dai teologi luterani, capitanati da
Melantone, che si erano riuniti a Schmalkalden nel 1540. A Basilea, F.
lavorò come stampatore e pubblicò numerosi lavori e nella stessa città
svizzera F. morì nell'inverno del 1542.
La dottrina Primo
propugnatore dell'individualismo religioso, F. era contrario all'appartenenza
ad una qualsiasi chiesa e comunità religiosa, di cui negava la capacità
salvifica: egli riduceva il Cristianesimo ad una esperienza interiore ed
individuale. Per il mistico F. era infatti importante concentrarsi sulla luce
divina, fonte di vita religiosa e presente in tutti noi: esso era "lo
spirito", in pratica lo Spirito Santo. F. era inoltre un pacifista e
universalista e, indipendentemente da razza o religione, considerava suo
fratello ogni uomo, concetto espresso anche nel Libro suggellato da sette
sigilli (1539). Attaccato da tutti, Lutero in testa, che lo criticò per la
mancanza di positivismo cristiano nei suoi lavori, F. fu comunque un autore
molto letto nella sua epoca e, benché le sue idee non fossero particolarmente
originali in quanto aveva attinto molto dai grandi mistici del XIII e XIV
secolo, come Johannes Tauler e Johannes Eckhart, egli influenzò lo sviluppo
del libero pensiero in diversi paesi, tra cui l'Olanda.
Simons
(o Simonsz), Menno (ca. 1496-1561) e mennoniti
Situazione storica
dell'anabattismo dopo la disfatta di Münster La figura di Menno Simons si
inserisce autorevolmente nel momento di acceso dibattito nel movimento
anabattista, dopo la folle avventura della dittatura di Münster, conclusosi
tragicamente nel 1535. Gli anabattisti si divisero infatti in coloro che,
convinti della necessità della violenza rivoluzionaria, volevano portare
avanti l'esperienza di Münster, e coloro che invece rifiutavano la violenza,
pur rifacendosi alle profezie di Melchior Hofmann. I primi, più radicali,
rimasero convinti dell'attuazione della poligamia e della comunione dei beni.
Essi facevano riferimento a Jan van Batenburg (1495-1538), da cui presero il
nome di Batenburger e si dedicarono per anni (almeno fino al 1580) a violenze
e saccheggi in Olanda, Belgio e Germania nord-occidentale, anche dopo la
cattura e esecuzione capitale nel 1538 del loro capostipite. Simili nei
convincimenti apocalittici a questi radicali, ma non violenti come loro nelle
azioni, si possono citare i familisti di Heinrich Niclaes e i daviditi o
davidisti di David Joris. I secondi, il gruppo dei pacifisti, furono guidati
dai due fratelli olandesi Dirk (1504-1568) e Obbe (1500-1568) Philips;
quest'ultimo aveva ribattezzato sia Joris nel 1534, che, nel 1535, colui che
sarebbe diventato il capo indiscusso dell'anabattismo moderato: Menno
Simons.
La vita Menno Simons (o Simonsz) nacque nel 1496 circa a
Witmarson (o Witmarsum), nella provincia olandese del Wymbritseradiel (Frisia
occidentale) e da giovane studiò per diventare un prete cattolico: fu infatti
ordinato nel 1524 ed esercitò il sacerdozio per circa 12 anni, dapprima
servendo nel paese di suo padre, Pingjum, e successivamente in quello
natio. Questo periodo fu costellato dai primi dubbi a proposito della
dottrina della transustanziazione, che tormentarono il giovane S. a tal punto
che egli decise di rifiutare questo dogma, pur continuando a servire messa e
ad amministrare l'Eucaristia. Ma nel 1531, il 20 marzo, accadde un
episodio a Leeuwarden che accelerò il distacco di S. dalla Chiesa Cattolica.
Fu infatti condannato alla ruota e successivamente alla decapitazione un
anabattista di nome Sicke Freerks, detto Synder (sarto): l'accettare il
martirio per non rinnegare le proprie convinzioni in tema di battesimo
infantile colpì profondamente S., che cercò inutilmente conforto ai suoi
dubbi nella dottrina cattolica. Neppure un'approfondita lettura degli scritti
dei riformatori Lutero, Bucero e Bullinger portò una schiarita nell'animo
sempre più tormentato del prete olandese. Ma dovettero passare altri
quattro anni prima che S. decidesse di fare il grande passo. Infatti nel 1535
si concluse la folle esperienza della dittatura anabattista di Münster, che
provocò lutti in molte famiglie di Witmarson, i cui giovani avevano
entusiasticamente alla "Nuova Sion in terra" di Jan Matthys. Purtroppo tra
coloro che persero la vita a causa della successiva repressione vi fu anche
un fratello di S. Convinto oramai della bontà della dottrina anabattista, ma
nel sua forma più pacifica, S. maturò la decisione di lasciare la Chiesa
cattolica e fu ribattezzato nel 1535 stesso da Obbe Philips. Nel 1536, un
anno dopo, venne a cercarlo una delegazione di anabattisti, guidata da
Philips in persona, che lo pregò di accettare di diventare anziano della loro
comunità. La sua prima esperienza di predicazione fu a Groningen, dove si
sposò e da dove attuò la sua vasta attività di proselitismo, svolgendola tra
il 1537 ed il 1541 nella vasta area compresa tra l'Olanda e la Svizzera,
lungo la valle del Reno. Nel 1539 S. scrisse la sua opera principale: il
Fundamentboeck (libro dei fondamenti), a cui seguirono altri testi come La
resurrezione spirituale, Il nuovo battesimo, Meditazione sul 23°
salmo. Nel periodo 1543-44 egli predicò nella Frisia orientale, dove ebbe
un dibattito pubblico con il riformatore Jan Laski, ma nel 1545,
perseguitato sia dai cattolici che dai luterani, con una taglia di 100
guilders sulla testa (offerti dall'imperatore Carlo V in persona nel 1542),
egli dovette rifugiarsi con la famiglia dapprima a Colonia e poi ad
Oldesloe, nell'Holstein, nella Germania settentrionale, dove concentrò il suo
campo d'azione, fondando ovunque comunità anabattiste, in suo onore
denominate mennonite. Il suo ultimo rifugio furono le terre di
Bartholomaus von Ahlefeld (m.1568), conte di Fresenburg, tra Amburgo e
Lubecca e qui, nel villaggio di Wustenfeld, S., debilitato dall'artrite, morì
il 31 gennaio 1561.
La dottrina Per S. non era il battesimo che
rigenerava il fedele, bensì la fede e la parola di Dio, e solo dopo poteva
seguire il rito del battesimo. Ovviamente egli negava il battesimo degli
infanti, anzi per S. il declino della Chiesa cristiana era iniziato nel 407,
proprio quando Papa Innocenzo I (402-417) aveva introdotto il battesimo
obbligatorio dei bambini. Inoltre per S. la messa, intesa in senso cattolico,
era un atto sacrilego, poiché constava nell'adorazione della materia, il
pane, come se quest'ultimo fosse stato Dio, mentre era invece solamente
spirito. S. mantenne questo concetto docetista anche per quanto riguardava la
nascita di Gesù Cristo: S. era convinto che, come il raggio di luce
passava attraverso il bicchiere di acqua senza prenderne la sostanza, così la
"carne celeste" di Cristo era passato attraverso il corpo di Maria, senza
averne preso una benché minima parte della sua sostanza. Quindi, poiché
Gesù era in contatto solo spirituale con l'uomo, S. si allineava con la tesi
di Caspar Schwenckfeld, il quale credeva che il Corpo ed il Sangue di Cristo
non potevano essere presenti nell'Eucaristia, sotto le specie del pane e del
vino. L'Eucaristia era dunque basata sulla "carne celeste" o "carne
spirituale". S. fu un innovatore nel comportamento quotidiano dei suoi
seguaci, facendo ritornare gli anabattisti allo spirito originario, basato su
semplicità, povertà, carità, e sopportazione. Tuttavia, nonostante la sua
mitezza, i contemporanei di S. non furono certo teneri nei giudizi nei
confronti dell'ex prete olandese: Calvino lo paragonò ad un asino e ad un
cane!
I mennoniti dopo la morte di Menno Simons Dopo la morte di
S., i suoi seguaci, come già detto, furono denominati mennoniti. Purtroppo
quasi immediatamente iniziarono le secessioni interne al movimento: la prima
fu quella dei waterlanders (il Waterland era la regione costiera nell'Olanda
settentrionale), che furono guidati con energia per 54 anni (dal 1577 al
1638) da Hans de Ries. I waterlanders parteciparono attivamente alla guerra
di liberazione dell'Olanda contro gli spagnoli, sia consegnando a Guglielmo
d'Orange una forte somma nel 1572, sia inviando volontari a combattere a
fianco dei calvinisti, cosa ancora più straordinaria, vista la tipica
vocazione non violenta dell'anabattismo. Comunque questo spirito pacifista
fu ribadito nel 1577 nella Confessione di fede di Waterlander, elaborata da
de Ries stesso, in cui si condannò la guerra e la violenza, oltre a
sottolineare i punti cardini dell'anabattismo: battesimo solo degli adulti,
negazione del peccato originale, condanna del giuramento, obbedienza
condizionata alle autorità locali. Il governo olandese li trattò tutto
sommato abbastanza bene, esentando i loro templi e orfanotrofi dal pagamento
delle tasse, permettendo loro di fare semplici dichiarazioni al posto dei
giuramenti nei tribunali e esentandoli dalla leva militare dietro pagamento
di una somma concordata. I rimanenti mennoniti olandesi invece scomparvero in
un frazionamento all'infinito: prima in frisoni (vriezen) e fiamminghi
(vlamingen): poi ognuno dei due gruppi si frazionò ulteriormente in
conservatori (o vecchi) e moderati (o giovani). Gli altri mennoniti, che
erano la maggioranza, non ebbero la fortuna del gruppo olandese e furono
costretti, a causa delle persecuzioni, a spostarsi sempre più verso est,
verso la Prussia, la Polonia, l'Ungheria, la Transilvania, fino in Russia,
invitati in quest'ultimo paese nel 1786 dalla imperatrice Caterina II
(1762-1796), detta la Grande, la quale concesse loro la libertà di religione
e l'esenzione militare. Nel frattempo, nel 1693, dal filone principale dei
mennoniti, si era staccato l'ex vescovo svizzero Jakob Amman, il quale aveva
fondato una sua chiesa denominata amisch, poi graficamente semplificato in
amish. Oramai totalmente scomparsi in Europa, gli amish sono ancora presenti
in Stati Uniti, principalmente in Pennsylvania, e sono caratterizzati da
una strettissima osservanza biblica, per cui rifiutano qualsiasi modernità,
come automobili, telefoni, televisori e lampadine elettriche. Nel XIX
secolo, quando in Prussia ed in Russia si introdusse la leva obbligatoria per
tutti, i mennoniti ripresero le emigrazioni verso gli Stati Uniti, dove altri
loro confratelli, già dal 1663, erano emigrati, in particolare in
Pennsylvania, e dove avevano lottato contro il commercio degli
schiavi. Altre emigrazioni del XIX secolo portarono i mennoniti russi,
attraverso il Pacifico, in Canada (Manitoba), negli Stati Uniti centrali
(Nebraska e Indiana) e in Paraguay.
I mennoniti oggi I
mennoniti sono quindi principalmente concentrati in America: infatti, benché
secondo le loro statistiche interne ci siano più di un milione di fedeli
(tuttavia secondo altre statistiche sono solo 700.000) sparsi in 60 paesi del
mondo, solo in Stati Uniti e Canada (secondo la Mennonite World Conference
del 1996) ci sono 415.978 membri (altri danno un numero più contenuto di
circa 200-250.000 fedeli nordamericani). La denominazione americana più
numerosa è quella della Mennonite Church USA, ottenuta dalla recentissima
fusione nel febbraio 2002 delle due chiese mennonite più diffuse: la
Mennonite Church, (il filone principale con circa 96.000 fedeli), e la
General Conference Mennonite Church (progressista con circa 36.000 fedeli in
USA e 17.000 in Canada), ma esistono anche altre chiese mennonite derivate da
varie scissioni in senso progressista, pietista, revivalista o
tradizionalista, come: Mennonite Brethren (revivalista con 34.000 fedeli,
ugualmente divisi tra USA e Canada), sito: Church of God in Christ, Mennonite
(da non confondere con la quasi omonima organizzazione pentecostale)
revivalista con 12.000 membri, Old Order Mennonites di stampo
tradizionalista, Church of the Brethren, progressista. Brethren in Christ
pietista, che a livello mondiale conta 80.000 fedeli grazie ad attività
missionarie in Africa, India e Sud America.
Libero arbitrio (circa
1540-1558)
Una delle sette inglesi del XVI secolo, nella quale
confluirono gli eredi del movimento lollardo, fu quella del Libero Arbitrio
(Free Will) o Uomini del Libero Arbitrio (Freewill Men o freewillers), attiva
tra il 1540 ed il 1558, cioè durante i regni di Edoardo VI (1547-1553) e
Maria Tudor (1553-1558). La dottrina della setta, come i precedenti
lollardi, era basata sulla Bibbia e su una sua attenta lettura, sulla massima
diffusione e insegnamento delle Sacre Scritture, sulla contestazione
dell'esteriorità e la ritualità della Chiesa Anglicana, sul concetto di
Chiesa non visibile ma spirituale e personale, che si voleva separata dalla
Chiesa ufficiale (concetto ripreso in periodo elisabettiano dai gruppi
separatisti). Tuttavia, contrariamente ai lollardi, il L. aveva fatto suo il
concetto di libero arbitrio, di lontana pelagiana memoria, sebbene sia più
probabile un'influenza sulla setta del pensiero di Erasmo da Rotterdam. Il
L. anticipò il pensiero di un altro famoso pensatore, quel Jacob Hermanzoon,
detto Arminio, che ebbe una notevole influenza sull'evoluzione sul pensiero
calvinista nella seconda metà del XVII secolo. Capo della setta fu un certo
Henry Harte (m. ca. 1557), un ex lollardo, arrestato per i propri scritti e
successivamente messo a morte sotto il regno di Maria Tudor, periodo durante
il quale la setta si estinse a causa delle feroci
persecuzioni.
Fullone, Pietro, vescovo di Antiochia (m. 488) e
teopaschitismo
Pietro Fullone, un ex follatore di tessuti, da cui
il nome, intorno alla metà del V secolo, abbandonò la professione, entrando
come monaco nel monastero di Acemeti, in Calcedonia. Qui venne a contatto e
aderì alle dottrine monofisite e per questo motivo venne espulso. Recatosi
a Costantinopoli, fu nominato nel 470 vescovo di Antiochia, sede che tenne a
periodi alterni: infatti l'anno successivo, nel 471, fu
deposto dall'imperatore Leone I (457-474), tornò in possesso della sede dal
476 al 478 ed infine dal 485 fino al 488, data della sua morte. Assieme a
Timoteo Aeluro, patriarca monofisita di Alessandria, F. fu particolarmente
attivo nel cercare di far annullare la decisione di condanna del monofisismo
del concilio di Calcedonia del 451. In campo dottrinale, F. propose una
variante del monofisismo, denominata teopaschitismo (dal greco, sofferenza di
Dio), ma che pareva, con presupposti diversi, una nuova forma di
patripassianismo. Infatti i cattolici affermavano (e affermano) che Cristo
avesse sofferto la Passione sulla croce in remissione dei peccati dell'uomo.
F. affermò, invece, che, nella Passione di Cristo, avesse sofferto tutta la
Trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo), come, due secoli prima, il
patripassianismo affermava che Dio Padre avesse sofferto la Passione. Per
ribadire il suo concetto, F. fece aggiungere al Trisagion, un inno
di triplice invocazione di Dio, simile al Sanctus e tipico della messa
secondo il rito orientale, la frase controversa: ".Dio santo, che fosti
crocefisso per noi, abbi pietà di noi". Infine, nel 553, l'imperatore
Giustiniano (527-565), nel tentativo di far conciliare i monofisiti con i
cattolici, dichiarò perfino ortodosso il teopaschitismo di F. durante il
secondo concilio ecumenico di Costantinopoli, ma la mossa non sortì il
risultato atteso.
Bogomilismo (X secolo)
La
storia Il bogomilismo, la più importante eresia della fine del I millennio,
nacque verso il 930 in Bulgaria. Esso derivò da influenze dualiste, portate
nel IX secolo dai missionari pauliciani armeni stanziati su ordine
dell'imperatore bizantino Costantino V Copronimo (718-775), a partire dal
754, nella zona cuscinetto della Tracia, tra l'impero bizantino ed il
territorio dei bulgari. Ai pauliciani, probabilmente si unirono i
manichei, sempre più perseguitati dai bizantini: essi, per sopravvivere, si
erano portati oltre i confini dell'impero: verso il Turkmenistan e la Cina ad
est, e verso la penisola balcanica ad ovest. Questa influenza manichea fece
sì che, nel Medioevo i b. ed i successivi catari venissero genericamente
denominati, per l'appunto, "manichei" dai loro avversari. Tornando al b.,
si fa tradizionalmente risalire la fondazione della setta ad un prete, o
pope, di nome Bogomil, la cui etimologia é la stessa del nome greco Teofilo,
cioè "amato da Dio". Di lui si fece menzione in alcuni documenti, tra cui un
lavoro del vescovo Cosma, risalenti al regno di Pietro, zar dei Bulgari
(927-969). E perfino quest'ultimo monarca lasciò una personale testimonianza
scritta sul nascente movimento in due sue lettere indirizzate, intorno al
940, al Patriarca di Costantinopoli, Teofilatto, con relativa risposta del
prelato, il quale definì il b. come un'eresia neomanichea. Nel 1014, la
Bulgaria occidentale fu invasa dalle truppe bizantine dell'imperatore Basilio
II Bulgaroctono (976-1025), ma così facendo, il b. poté diffondersi anche
nell'impero. Al 1118 risalì l'incauta predicazione di Basilio, capo dei b.,
che, invitato ad esporre le sue idee davanti all'imperatore Alessio I Comneno
(1081-1118), si espresse liberamente. Sfortunatamente per lui, nascosti da
una tenda, gli scrivani di corte trascrissero ogni sua parola, analizzata
successivamente dai teologi e questi convinsero facilmente l'imperatore a
far imprigionare Basilio. L'imperatore, esperto teologo lui stesso, fece
varie visite a Basilio in prigione per convincerlo ad abiurare, ma avendo
solo ricevuto dei dinieghi, lo fece condannare al rogo. Il tutto venne
descritto nell'Alessiade, scritta dalla figlia dell'imperatore, Anna Comnena
e nella Panoplia dogmatica, redatta dal monaco Eutimio Zigabeno, che chiamò i
b. sprezzantemente fundagagiti o fundaiti, cioè vagabondi. Durante il
regno del nipote di Alessio, Manuele I Comneno (1143-1180), il b. si diffuse
nell'impero, tant'è che anche lo stesso Patriarca di Costantinopoli, Cosma
Attico, fu destituito nel 1147, a causa di una "pericolosa" amicizia con il
"perfetto" bogomilo, Nifone. In questo periodo iniziarono, da parte dei
bizantini, le persecuzioni, fino al 1204, quando gli effetti devastanti sullo
stato bizantino provocati dalla IV Crociata permisero un allentamento della
repressione dei b. Ci fu, nel frattempo, una vasta diffusione del b. nel II°
Regno Bulgaro, resosi indipendente nel 1185. Qui, nonostante che lo zar Boris
(1207-1218) avesse convocato un concilio a Tarnovo nel 1211 per condannare il
b., il successivo zar, Ivan Asen II (1218-1241) trattò con tolleranza il
movimento. Nel frattempo, la Chiesa bogomila si era scissa in cinque chiese
locali, denominate C. di Bulgaria, C. di Romania, C. di Melinguia (in
Macedonia), C. di Dalmazia (tutte dualiste moderate) e C. di Dragovitza (in
Bosnia), l'unica che propagandava un dualismo più radicale. In Bosnia il
b. toccò il massimo livello di diffusione e fu perfino accettato come
religione di stato sotto il ban Kulin (1180-1214). I cattolici della zona,
facendo base dai possedimenti veneziani in Dalmazia, tentarono addiritura una
crociata per abbattere lo stato bogomilo della Bosnia, ma furono
respinti. Non altrettanta fortuna ebbero i b. in Serbia, perseguitati dal
principe Stefano Nemanja (1168-1196) oppure in Ungheria, dove furono
sterminati nel 1200 per ordine del re Imre (1196-1204), su sollecitazione di
Papa Innocenzo III (1198-1216). Ma, come si é già detto, fu la Bosnia la
nazione più favorevole per il b.: era originario di Dragovitza quel vescovo,
Niceta, responsabile, secondo alcuni, addirittura dell'introduzione del
catarismo in Italia settentrionale ed in Francia meridionale o, più
probabilmente, dell'evoluzione in senso assolutista della stessa eresia
catara. Infine, con l'invasione dei Turchi, rispettivamente nel 1396 della
Bulgaria e nel 1463 della Bosnia, il b. si estinse come setta nelle zone
balcaniche e venne riassorbito dall'Islam.
La dottrina La
dottrina, stabilita da Bogomil, si basava su un concetto dualista moderato:
Dio aveva due figli, Cristo e Satana (Satanael). Quest'ultimo, il figlio
ribelle, veniva dai b. identificato con il demiurgo o il Dio dell'Antico
Testamento ed era responsabile della creazione del mondo materiale e dei
corpi degli uomini, all'interno dei quali erano stati imprigionati gli angeli
(un concetto simile a certe dottrine gnostiche o marcioniste). Satanael
aveva creato Adamo ed Eva ed avuto relazioni sessuali con quest'ultima,
generando Caino. Successivamente, sotto forma di serpente, aveva fatto sì che
Eva tentasse Adamo per generare Abele, successivamente ucciso da Caino. Per
tutto ciò, Satanael era stato punito, ma non sconfitto, da Dio Padre. La
missione, quindi, di Cristo sulla terra era di sconfiggere definitivamente
Satanael e di liberare gli angeli intrappolati nei corpi umani. Per fare ciò,
Egli aveva preso, ma solo in apparenza, una natura umana (pur rimanendo
sempre puro spirito: un concetto docetista) entrando, come spirito, in Maria
Vergine attraverso l'orecchio e nascendo sempre attraverso lo stesso organo.
Cristo, per i b., era morto sulla croce, ma solo in apparenza, sceso agli
inferi per sconfiggere definitivamente Satanael e togliere la desinenza
divina "el" dal suo nome, diventato Satana, ed infine era salito al cielo
dal Padre. Ovviamente il Male, rappresentato dalla materia, era il nemico da
combattere e quindi i b. più osservanti rifiutavano i rapporti sessuali ed
il matrimonio, erano vegetariani e non bevevano il vino. Inoltre i b.
odiavano la croce, simbolo dell'omicidio apparente di Cristo ed erano
iconoclasti verso tutte le immagini sacre. Essi ritenevano inutili
i sacramenti, eccetto il Consolament, il battesimo spirituale, che
poteva essere dato una sola volta nella vita, e rifiutavano le
festività ecclesiastiche e la maggior parte delle preghiere, escluso il Padre
Nostro, l'unico da loro accettato e recitato ben otto volte al
giorno. Come i manichei, e successivamente i catari, anche i b.
avevano un'organizzazione sociale basata sui "perfetti", che seguivano con
estrema coerenza i dogmi della setta ed erano impegnati nella attività
missionaria.
I testi I b. rinnegavano tutto l'Antico Testamento e
tutti gli studi di Patristica, concentrandosi solo sul Nuovo Testamento (con
particolare riferimento all'Apocalisse), al quale ovviamente venne data
un'interpretazione allegorica di ispirazione docetista. Svilupparono,
invece, una ricca produzione apocrifa, di cui si possono citare
l'Interrogatio Iohannis, (le domande di Giovanni evangelista), il Vangelo di
Nicodemo ed il suo derivato, il Legno della Croce, e la Visione di
Isaia. Soprattutto il primo testo venne considerato la base dottrinale della
setta, ma anche del catarismo: venne portato dalla Bulgaria in Italia da
Nazario, vescovo cataro di Concorrezzo e divenne il secretum (libro segreto)
degli albigesi.
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