GLI ERETICI - ERASMO DA
ROTTERDAM |
Clemenzio e Eberardo di Bucy-Le-Long (m. ca. 1114)
Clemenzio e
Eberardo erano due fratelli contadini a Bucy-Le-Long, vicino
a Soissons. Secondo Guiberto di Nogent, l'inquisitore che seguì il caso, i
due fratelli furono accusati nel 1114 di predicazioni eterodosse. Il vescovo
di Soissons e Guiberto non riuscirono, comunque, a ricavare molte
informazioni dai due, anche a causa della loro scarsa cultura. Sembra
comunque che i due predicassero l'inutilità dei sacramenti e dei riti, come
la messa, ed in questo ricordavano le parole di un altro eretico, loro
contemporaneo, Pietro di Bruis. Furono sottoposti al "Giudizio di Dio"
mediante l'acqua. Questa barbara usanza medioevale consisteva nel gettare il
sospetto in acqua con le mani e piedi legati: se annegava, era innocente, se
galleggiava, era colpevole! Uno dei due (i testi non concordano quale) fu
sottoposto per primo e, poiché sopravvisse, fu trovato colpevole e quindi C.
e E. furono dichiarati rei di manicheismo, un accusa generica che si
applicava spesso agli eretici del XII secolo. Furono messi in prigione,
assieme ad altri due eretici, in attesa che il vescovo e Guiberto di Nogent
tornassero da Beauvais, dove si erano recati per assistere ad un sinodo
locale, ma, in loro assenza, la folla mise in atto un vero linciaggio
medioevale, irrompendo nella cella e trascinando fuori gli sventurati, che
furono bruciati vivi sul rogo.
Ebioniti (1/2 I°
secolo)
Setta giudeo-cristiana radicale, diffusasi in Siria e
Giudea dalla metà del I° secolo, il cui nome deriva dall'aramaico ebhyonim,
cioè poveri, in quanto praticavano il culto della povertà ed erano
vegetariani. Secondo alcuni autori cristiani, invece, il nome va interpretato
come poveri di mente (Origene) o perché essi avevano una opinione povera di
Cristo (Eusebio). Il loro testo di riferimento fu il Vangelo, per
l'appunto, degli Ebioniti (una rielaborazione ebraica del Vangelo di Matteo),
che tralasciava parti della vita di Gesù, come la nascita dalla Vergine e la
resurrezione. Gli e., inoltre, non considerarono Gesù come il Figlio di Dio,
ma come un profeta di eccezionali doti, condannavano San Paolo come
un'apostata ed erano ancora in attesa della venuta del Messia. Il termine
e. è stato anche utilizzato per i primi quattro secoli della storia del
Cristianesimo per indicare gli ebrei convertiti, che mantenevano contatti con
la comunità ebraica. In Occidente furono noti anche come Simmachiani, da
Simmaco, un autore e., i cui lavori sono andati quasi totalmente
perduti. La setta si estinse in seguito all'invasione della Siria da parte
degli arabi (637).
Eckhart (o Eckard o Eccard) von Hochheim,
meister Johannes (ca. 1260-1327)
La vita Johannes Eckhart,
famoso teologo e fondatore della scuola mistico tedesca, nacque nel 1260
circa a Hochheim, vicino a Gotha (nella regione tedesca della Turingia). Egli
studiò filosofia e teologia dopo essere entrato nell'Ordine Domenicano e nel
1298 divenne priore del convento domenicano di Erfurt e Vicario Provinciale
della Turingia. Nel 1300 si trasferì ad insegnare a Parigi e nel 1302 gli fu
assegnato dal suo ordine il grado di Maestro della Teologia Sacra e per
questo viene spesso citato come Meister (maestro in tedesco). Nel 1303
divenne Provinciale della Sassonia e nel 1307 Vicario Generale per la Boemia
fino al 1311. Successivamente riprese l'insegnamento a Parigi fino al 1314 e
fino al 1317 a Strasburgo. Qui fu accusato di simpatie verso il movimento
delle beghine e dei begardi, ma soprattutto di aderire ai princìpi del
movimento dei Fratelli del Libero Spirito. E. fu probabilmente influenzato da
libro Le miroir des simples âmes (lo specchio delle anime semplici), scritto
tra il 1296 ed il 1306 dalla beghina Marguerite La Porète, che ebbe una
vastissima diffusione all'epoca in quattro traduzioni. Nonostante ciò,
egli fu nominato priore a Francoforte dal 1317 al 1320 e nel 1320 divenne
professore nello Studio generale dell'Ordine Domenicano
a Colonia. Tuttavia, nel 1325 e nel 1327 egli fu oggetto di due inchieste
tese ad accertare la sua ortodossia: la prima, condotta da Nicola,
Provinciale domenicano di Strasburgo, lo scagionò, ma la seconda,
condotta dall'arcivescovo di Colonia, Enrico, lo condannò per panteismo:
nonostante una difesa mediante vari scritti e un atto di sottomissione di E.
alla Santa Sede, 17 punti dei suoi insegnamenti furono dichiarati eretici e
11 punti considerati sospetti di eresia da parte del Papa Giovanni XXII
(1316-1334) con la bolla In agro Domini del 1329. A E. comunque fu
risparmiato la condanna, in quanto era già morto due anni prima, nel 1327 a
Colonia.
La dottrina Secondo E., tutti gli uomini avevano una
scintilla di luce divina nelle loro anime. Entrando in uno stato di
meditazione profonda in cui il "fondo dell'anima" veniva risvegliato ed in
cui la mente veniva svuotata di tutte le percezioni, tutti potevano sentire
questa scintilla nel proprio Io. Per questo, E. è altamente apprezzato da
moderni pensatori del Buddismo, come Keiji Nishitani e D. T. Suzuki. Egli
venne inoltre molto apprezzato in seguito dai pensatori protestanti, come
Martin Lutero, perché insistette sullo scarso valore delle buone opere e
sulla ritualistica cristiana, sull'interiorità della fede, sulla
minore importanza della funzione mediatrice della Chiesa. E. infine
insistette sulla presenza di Dio in tutte le cose o meglio disse che le cose
erano nulla, non avevano realtà al di fuori di Dio, in quanto dipendevano
dalla presenza di Dio. Queste tesi ricordavano quelle panteistiche già
condannate nel 1225 dal Concilio di Sens come dottrine eretiche, di Amaury di
Béne, a sua volta, ispirato direttamente da Giovanni Scoto Eriugena. Questa
fu infatti la base delle accuse contro E. da parte dell'arcivescovo di
Colonia.
Le opere Molte delle opere di E. sono andate perdute: ci
rimangono alcuni sermoni e prediche, e soprattutto frammenti della Opus
Tripartitum in cui E. illustrò, spiegò e provò più di mille sue tesi
teologiche.
Ecolampadio (Heusegen o Hausschein), Johannes
(1482-1531)
La gioventù Johannes Heusegen nacque nel 1482 a
Weinsberg, vicino a Heilbronn, in Svevia, nella Germania meridionale da una
stimata famiglia borghese originaria di Basilea, ma sulla grafia del suo
cognome i testi riportano una grande varietà di scelte: Heusegen, Hussgen,
Heussgen, Husegen, Husschyn, Hausschein, Huszgen. Più avanti egli decise di
adottare la versione umanistica Ocolampadius (Ecolampadio), che altro non era
che la traduzione in Latino della fonetica haus schein, cioè luce della
casa. E. studiò a Weinsberg e Heilbronn, quindi alla facoltà di
legge dell'università di Bologna, che però lasciò nel 1499 per
iscriversi all'università di Heidelberg, dove studiò teologia e
letteratura. Nel 1510 fu ordinato sacerdote e ottenne il posto di predicatore
nel suo paese natale, tuttavia non abbandonò gli studi, frequentando le
università di Tübingen (dove conobbe Melantone), di Stoccarda, dove studiò
greco antico, e, nuovamente, di Heidelberg, dove studiò l'ebraico e
conobbe Johannes Brenz e Wolfgang Capito (1478-1541),
L'adesione
alla Riforma Nel 1515 E. divenne predicatore a Basilea e finalmente, nel
1518, dottore in teologia. Abbandonò la città svizzera e, dopo un periodo di
16 mesi ad Augsburg, dove simpatizzò con le idee luterane, entrò in un
convento dell'ordine brigidino ad Altomünster (vicino a Monaco) nell'Aprile
1520. Qui, tuttavia, entrò ben presto in conflitto con i suoi confratelli,
quando espresse le sue varie idee concernenti lo studio approfondito delle
Sacre Scritture rispetto alla Tradizione, l'opposizione alla Confessione e
alla transustanziazione nell'Eucaristia. A causa della sua posizione,
fu costretto a lasciare il convento nel Febbraio 1522 e divenne per
qualche mese il cappellano nel castello di Ebernburg del cavaliere Franz
von Sickingen (1481-1523), difensore di molti riformisti e dissidenti,
come Johannes Reuchlin e Martin Bucero. Nel Novembre dello stesso anno, E.
rientrò a Basilea, dove, nell'Agosto 1523, difese pubblicamente la dottrina
luterana della giustificazione per fede. Si schierò sempre più decisamente
per la Riforma, diventando un buon amico di Ulrich Zwingli e utilizzando come
cassa di risonanza il pulpito della Chiesa di San Martino, dove era stato
nominato pastore nel 1525.
I dibattiti pubblici E., accompagnato
da Berthold Haller, difese inoltre coraggiosamente le posizioni riformiste
nel dibattito di Baden (nel cantone Aargau) organizzato dai cantoni cattolici
(Uri, Schwyz e Unterwalden) nel 1526 con l'invito al noto teologo cattolico
Johann Eck (1486-1543), proprio quello della disputa di Lipsia del 1519 con
Carlostadio e Lutero. Era stato invitato, in realtà, Zwingli, ma questi,
temendo per la propria incolumità, decise di non presenziare di persona. Vi
si recò quindi, al suo posto, E., che difese la causa protestante in
condizioni ambientali difficilissimi: il cantone Aargau era infatti una
roccaforte cattolica. Ovviamente ambedue le parti proclamarono la propria
vittoria alla fine del dibattito. Un altro dibattito che lo vide protagonista
fu il Colloquio di Berna del Giugno 1528, in seguito al quale la città di
Basilea decise di schierarsi ufficialmente con la Riforma. Lo stesso 1528 fu
un importante anno per E., in quanto sposò la ventiseienne Willibrandis
Rosenblatt, vedova del riformatore Ludwig Keller (Cellarius). Il destino di
Willibrandis fu alquanto curioso: infatti nel corso della sua vita essa sposò
ben 4 riformatori: Keller, E., Wolfgang Capito e Martin Bucero! Un acuto
momento di crisi per la Riforma protestante fu la diatriba nel 1529 tra
Zwingli e Lutero riguardante il Sacramento della Comunione: Per Lutero, nella
Comunione, grazia all'onnipotenza di Nostro Signore, vi era la reale e
sostanziale presenza del corpo e sangue di Cristo nel pane e vino, che tutti
i comunicandi ricevevano, che fossero degni o indegni, credenti o
miscredenti. Per Z., invece, la Cena del Signore era solo una solenne
commemorazione della morte di Cristo, la sua presenza spirituale: egli
rifiutava la presenza reale del corpo e sangue, in quanto a) Gesù era asceso
al cielo, b) un corpo non poteva essere presente in più di un posto alla
volta (in cielo e nell'ostia) e c) due sostanze (il pane e il Corpo di
Cristo) non potevano occupare lo stesso spazio nello stesso momento. Per
cercare di dirimere questa polemica ed arrivare ad un accordo, prezioso da un
punto di vista politico per fare quadrato contro il Papa e l'Imperatore, il
Langravio Filippo di Hesse (Assia) (1504-1567) convocò una riunione tra i
tedeschi Lutero e Melantone e gli svizzeri Zwingli e E. nel suo castello di
Marburg. La riunione ebbe inizio il 1 Ottobre 1529 con dei colloqui vis-a vis
tra Zwingli e il tranquillo Melantone, e tra Lutero ed il tollerante E.:
il saggio Langravio voleva ovviamente evitare uno scontro diretto tra le
due teste calde, Zwingli e Lutero. Nonostante la redazione dei cosiddetti
Articoli di Marburg alla fine dei colloqui, il 3 Ottobre, l'incontro,
apparentemente un buon compromesso, fu sostanzialmente un fallimento, non
soltanto dal punto di vista teologico (non si arrivò ad un accordo sulla
presenza corporale di Cristo nella Comunione), ma anche per l'antipatia a
pelle che i due capiscuola provavano l'uno per l'altro. Lutero, a proposito
della diatriba Sangue di Cristo/semplice vino, dichiarò, molto poco
diplomaticamente, che avrebbe preferito bere sangue con il papa, piuttosto
che il "semplice vino" con lo svizzero Zwingli.
Gli ultimi
anni Nel 1530 E. incontrò i due "barba" (predicatori itineranti) valdesi,
G. Morel e P. Masson, che erano stati inviati presso i riformisti
svizzeri (incontrarono anche Bucero e Farel) per confrontarsi sulle
rispettive dottrine. Il riformatore di Basilea ebbe un ruolo rilevante nel
convincere i due a fare pressione sui propri confratelli per l'adesione,
avvenuta poi nel 1532, dei valdesi stessi alla Riforma. Nel 1531 egli
conobbe il giovane antitrinitarista Michele Serveto, che E. inutilmente tentò
di convincere, con le maniere pacifiche, ad accettare la dottrina della
Trinità. Non così tanta tolleranza Serveto riscontrò in Calvino, il quale lo
fece bruciare sul rogo nel 1553 a Ginevra. Nello stesso 1531 la salute,
sempre malferma, di E. peggiorò sensibilmente in seguito alle notizie della
tragica morte, avvenuta l'11 Ottobre, nella battaglia di Kappel dell'amico
Zwingli. Il riformatore di Basilea sopravvisse meno di due mesi all'amico e
morì, all'età di soli 49 anni, il 24 Novembre 1531.
Enrico
VIII d'Inghilterra (1509-1547) e Anglicanesimo
L'Inghilterra fu
unica nella sua scelta di staccarsi dalla Chiesa Cattolica: il risultato
finale fu la Chiesa Anglicana, teologicamente una miscela di dottrina
cattolica e riformata, ma in pratica indipendente da tutte e
due.
Situazione storica Già prima del XVI secolo, l'Inghilterra
aveva conosciuto eresie particolarmente radicate sul territorio, come, ad
esempio nel XIV secolo, John Wycliffe e i suoi poveri predicatori, e il
conseguente movimento lollardo, che persisteva anche ai tempi di re Enrico
VIII. L'Inghilterra, inoltre, cercava di sviluppare la propria società,
rifondata, dopo la lunga e devastante Guerra delle Due Rose (1455-1485), su
un nazionalismo piuttosto marcato e ovviamente desiderava evitare, il
più possibile, le interferenze esterne. Quindi era chiaro che le ingerenze
del papa sugli affari interni inglesi, il pagamento dei tributi a Roma, la
corruzione nel quale versava il clero cattolico inglese, un quarto circa del
suolo nazionale in mano alla Chiesa, un sistema di giudizio e pagamento delle
tasse differenziato per gli uomini di chiesa erano problemi decisamente
maldigeriti dalla nazione e dal suo re.
Enrico VIII
(1509-1547) Enrico VIII, nato nel 1491, salì sul trono a soli 18 anni, nel
1509, dopo la morte del padre Enrico VII (1485-1509). Nel primo periodo del
suo regno egli diede l'impressione di un devoto fedele della Chiesa
Cattolica: scrisse perfino un Assertio Septem Sacramentorum nel 1521 e fu
molto efficace nell'opporsi alla diffusione del luteranesimo in Inghilterra.
Il tutto gli fece guadagnare il titolo di Difensor fidei (difensore della
fede) da parte del papa. Ma la crisi con Roma arrivò nel 1527: infatti
Enrico era sposato, per volontà politica di suo padre, dal 1509 con Caterina
d'Aragona, vedova di suo fratello Arturo. A quel tempo, questo matrimonio si
poté celebrare solamente con la dispensa di Papa Giulio II
(1503-1513). Dopo 18 anni, il re chiese al Papa Clemente VII (1523-1534)
l'invalidazione della dispensa papale, ma la questione era infatti molto
delicata: da una parte Enrico era seriamente preoccupato per la successione
al trono d'Inghilterra a causa del matrimonio con la più anziana Caterina,
che non era riuscita a dare un erede maschio al re: l'unica superstite delle
sue varie gravidanze era la figlia Maria. Però, dall'altra parte
bisognava considerare le implicazioni internazionali: Caterina era anche
zia dell'imperatore Carlo V (1519-1558)! L'intermediario papale
[l'arcivescovo di Salisbury Lorenzo Campeggio (1472-1539)] e quello del re
[il cardinale e Lord Cancelliere Thomas Wolsey (1474-1530)], scelti per
condurre la trattativa, tirarono per le lunghe senza arrivare ad una
conclusione e lo stesso Papa Clemente VII, dopo aver subito il sacco di Roma
e la prigionia da parte dei lanzichenecchi di Carlo V nel 1527, non voleva
ulteriormente provocare l'imperatore, perciò nel 1529 avocò a Roma il diritto
di decidere sulla questione, ma anche lui, debole o troppo prudente, continuò
a posporre la decisione finale. Lo stato di impasse fu superato grazie a
Thomas Cranmer, docente universitario alla Jesus College di Cambridge, il
quale suggerì al re di consultare le principali università europee.
Oltretutto, secondo Cranmer, anche dalle stesse Sacre Scritture veniva la
conferma della scelta di separazione, secondo un passo del Levitico (20:21):
Se un uomo sposa la moglie di suo fratello commette un'impurità; essi
rimarranno senza figli. Benché la proposta di Cranmer non permettesse di
raggiungere l'unanimità di consensi, tuttavia la maggioranza delle risposte
fu favorevole a Enrico. Anno dopo anno, Enrico VIII, consigliato da Cranmer,
nominato nel 1532 arcivescovo di Canterbury, alzò sempre più il tiro contro
la Chiesa Cattolica. Nel frattempo, però, Cranmer si era nel frattempo
sposato con Margaret, nipote del riformatore luterano Andreas Osiander:
dovette occultare la presenza della moglie e perfino mandarla all'estero per
non dispiacere al re. Nel 1530 il re accusò molti prelati inglesi di
violare, a loro favore, gli statuti, denominati Praemunire, (editti nel 1353,
1365 e 1393), i quali concedevano che le cause legali coinvolgenti uomini di
chiesa fossero portate davanti a corti papali fuori dall'Inghilterra, solo
dopo il beneplacito del re. La vittima più illustre di questa accusa fu
Thomas Wolsey, che già caduto in disgrazia per la sua inefficienza
dimostrata durante le trattative per la separazione del re, fu messo sotto
accusa, ma morì di malattia il 30 novembre 1530 durante il suo trasferimento
a Londra. Nel 1531 Enrico fece votare dal parlamento "l'atto di supremazia"
con la quale egli si fece riconoscere Capo Supremo della Chiesa in
Inghilterra. Nel 1532 decise che i tributi andavano pagati alla corona e non
a Roma.
Lo strappo con Roma Lo strappo definitivo arrivò nel 1533,
quando il re sposò in segreto la sua nuova fiamma, Anna Bolena, la quale già
aspettava un figlio da lui, e, tre mesi dopo, Cranmer, facendosi forte di un
decreto parlamentare sulla autonomia della Chiesa inglese nelle decisioni
interne, dichiarò sciolto il matrimonio di Enrico con Caterina e riconobbe
ufficialmente quello con Anna Bolena. Il papa Clemente VII reagì con la
scomunica del re, di Anna Bolena e di Thomas Cranmer nel luglio 1534 e con
l'interdizione (cessazione dell'amministrazione dei sacramenti)
dell'Inghilterra, provvedimento che sarebbe stato tremendo nel medioevo, ma
che fu praticamente ignorata nel XVI secolo. Clemente morì nel settembre
1534: il successore, Paolo III (1534-1549), ideatore del Concilio di Trento,
dovette gestire un rapporto con la Corona d'Inghilterra, che peggiorava ogni
giorno sempre di più. Infatti Enrico VIII rispose alla scomunica nel novembre
1534 con tre atti: Un ulteriore "atto di supremazia" (il re era il Capo
Supremo sulla Terra della Chiesa di Inghilterra) con il diritto di reprimere
le eresie e di scomunicare; L'obbligo per tutti gli inglesi di giurare
solamente davanti al re, e non davanti a qualche autorità straniera
(sic!); La condanna per tradimento per chi osasse dire che il re fosse
eretico, tiranno o scismatico. La pressione sulla Chiesa cattolica inglese
fu elevatissima: sotto il coordinamento del Vicario Generale Thomas Cromwell,
i monasteri furono chiusi e i loro beni incamerati dalla corona e tutti i
prelati dovettero giurare di rispettare l'atto di supremazia, solo Tommaso
Moro (Thomas More) (1478-1535), il grande filosofo umanista erasminiano,
autore dell'Utopia, ed ex Lord Cancelliere, e John Fisher (1469-1535),
vescovo di Rochester ed ex confessore di Caterina d'Aragona, si opposero ed
entrambi furono decapitati per tradimento. Ambedue furono successivamente
nominati santi dalla Chiesa cattolica. Ma la cosa più curiosa fu che, dal
punto di vista dottrinale, almeno in questa prima fase, Enrico VIII non aveva
affatto rotto con il cattolicesimo: in linea di massima, egli si mostrò un
buon cattolico e solo dopo, durante il breve regno del figlio Edoardo VI
(1547-1553), si fecero largo con più decisione elementi cari alla
Riforma. Ma ai tempi di Enrico VIII queste idee potevano costare care: se ne
rese conto anche Thomas Cromwell, che cercò di spingere la monarchia verso
il luteranesimo, facendo adottare i Dieci Articoli (The Ten Articles),
articoli di fede di chiara ispirazione luterana (sola fide e semplificazione
a soli tre Sacramenti) e, con le Ingiunzioni Reali del 1538, fece mettere
una Bibbia in latino ed una in inglese in ogni chiesa (sola
scriptura!). L'esperimento fallì e Cromwell, caduto in disgrazia, anche
perché ritenuto il responsabile del matrimonio, poi fallito, del re con Anna
di Cleves, fu condannato per tradimento e decapitato nel luglio 1540. Nel
1537 Enrico ritornò con decisione ai dogmi cattolici, facendo redigere il
Bishop's book (il libro del vescovo), che conservava i sette sacramenti, il
culto della Vergine e dei santi e proibiva la lettura individuale
della Bibbia. Il libro fu poi rivisto in senso ancora più cattolico e
ristampato nel 1543 con il titolo di King's book (il libro del re). Nel
1539 il parlamento inglese approvò i Sei Articoli (The Six Articles), che
confermarono, tra l'altro, la validità del dogma della transustanziazione,
l'Eucaristia sotto una sola specie, il celibato per i prelati, le Messe
private e la confessione. Riprese quindi con vigore la persecuzione contro i
protestanti: fu bruciato sul rogo nel 1540 il luterano Robert Barnes; il
traduttore William Tyndale, il quale aveva pubblicato la prima Bibbia (Nuovo
Testamento) in inglese nel 1535, fu denunciato all'inquisizione spagnola, che
lo bruciò a Bruxelles nel 1536; la protestante Anne Askew fu processata e
bruciata sul rogo nel 1546; alti prelati di chiare simpatie riformiste, come
i vescovi Hugh Latimer e John Hooper, l'ex frate agostiniano Miles Coverdale,
traduttore del primo Antico Testamento in inglese, e lo stesso Thomas
Cranmer, dovettero o rifugiare all'estero o rivedere drasticamente le proprie
idee o perlomeno adottare un atteggiamento nicodemitico. Insomma alla sua
morte nel 1547, Enrico VIII lasciò sia i cattolici che i protestanti inglesi
del tutto insoddisfatti.
Edoardo VI (1547-1553) Il nuovo re
Edoardo VI, figlio di Jane Seymour (terza delle sei mogli di Enrico), aveva
solo nove anni, quando salì al trono d'Inghilterra e quindi il potere
effettivo era concentrato nelle mani del reggente e Lord Protettore, suo zio
Edward Seymour, duca di Somerset (1506-1552). Somerset era un buon amico di
Cranmer e un convinto assertore della Riforma, che riprese vigore: Latimer
poté nuovamente predicare, Hooper poté rientrare dall'esilio, la chiese
protestanti vennero addobbate secondo il loro credo, cioè senza immagini, la
Comunione veniva data sotto ambedue le forme e Cranmer poté far rientrare la
moglie. Nel 1549 venne pubblicato il Book of Common Prayer (il libro
delle preghiere), compilato su richiesta di Cranmer per semplificare i libri
di preghiere e di funzioni religiose in latino e risalenti al
periodo medioevale. Il suo utilizzo obbligatorio venne prescritto dall'Atto
di Uniformità del 1549 stesso. Però dal punto di vista dottrinale ne
risultò un miscuglio di idee diverse (cattoliche e luterane) e non
soddisfaceva nessuno: quindi, nel 1552, fu rivisto, tuttavia questa volta in
un senso fortemente riformato di tipo svizzero, con l'ausilio di Calvino in
persona, che scrisse a Edoardo VI e al conte di Somerset per aiutarli nella
revisione. Ma soprattutto grazie al nuovo Lord Protettore, John Dudley
(1502-1553), conte di Warwick e al vescovo di Londra Nicholas Ridley, diverse
personalità della Riforma svizzera zwingliano-calvinista furono chiamate in
Inghilterra e diedero il proprio contributo: Martin Bucero da Strasburgo,
l'italiano Pietro Martire Vermigli, professore ad Oxford, il polacco Jan
Laski. Anche nel caso di questa seconda versione, un apposito Atto di
Uniformità del 1552 ne prescrisse l'utilizzo con, in più, l'obbligo di
partecipare alle funzioni religiose e la condanna per imprigionamento per la
partecipazione a qualsiasi altra forma di riunione religiosa. Infine nel
1553 vennero pubblicati i 42 Articoli (The forty-two articles), la collezione
delle formule dottrinali anglicane, rimaste sulla carta per la morte del
re.
Maria Tudor (1553-1558) Infatti il 6 luglio 1553 Edoardo VI, a
soli 15 anni, morì di tubercolosi, e dopo l'infelice avventura di Lady Jane
Grey (1537-1554), cugina di Edoardo e regina per soli 9 giorni (poi
decapitata nel 1554), salì al trono la cattolica Maria Tudor, figlia di
quella Caterina d'Aragona, il cui ripudio aveva innestato lo scisma della
Chiesa d'Inghilterra. Inizialmente la regina impostò il suo regno sulla
tolleranza religiosa, ma nel contempo chiese ed ottenne, il 3 gennaio 1555,
dal parlamento inglese il ritorno all'obbedienza a Roma, ratificato dal
cardinale inglese Reginald Pole (1500-1558). Ironia della sorte, Pole, che
per poco non diventò papa nel 1549 (sarebbe bastato che avesse accettato
l'elezione per adorationem), fu perfino sospettato di eresia da parte del
Papa Paolo IV (1555-1559) per le sue idee moderatamente riformiste. Sul
piano personale, Maria aveva sposato nel 1554 suo cugino di secondo grado, il
figlio dell'imperatore Carlo V, Filippo di Spagna [il futuro Filippo II
(1556-1598)], undici anni più giovane di lei: fu una delle decisioni più
infelici del suo regno. Oltre all'impopolarità presso i suoi sudditi, Maria
soffrì il dramma personale perché non riuscì mai ad avere il tanto aspettato
erede. Forse per l'influenza dei consiglieri cattolici spagnoli o a causa
di manifestazioni protestanti anti-monarchiche o per i consigli del
Lord Cancelliere, l'arcivescovo di York Stephen Gardiner (1483-1555), Maria
si trasformò ben presto in una delle più feroci persecutrici della Riforma
in Inghilterra, tale da meritarsi il soprannome di Maria la Sanguinaria:
furono imprigionati e successivamente bruciati sul rogo Cranmer, Ridley,
Latimer e Hooper. Ridley e Latimer furono addirittura arsi sulla stessa
pira. Ma il boia non si fermò qui: in tutto tra 273 e 288 (a secondo delle
fonti) protestanti furono arsi sul rogo, più di 800 fuggirono (come
Coverdale) in Germania e Svizzera e 2.000 preti furono espulsi perché
sposati. Maria morì il 17 novembre 1558. Qualche ora più tardi morì il
cardinale Pole, il fautore del momentaneo riavvicinamento dell'Inghilterra
alla Chiesa cattolica.
Elisabetta I (1558-1603) Nel 1558 salì
sul trono d'Inghilterra Elisabetta,figlia di Anna Bolena: essa fu la vera
fondatrice della Chiesa Anglicana, una sintesi dottrinale tra liturgia
cattolica e dogmatismo calvinista. Il suo regno non incominciò certo nella
migliore maniera: i cattolici la consideravano un'usurpatrice e l'arcivescovo
di Canterbury, Nicholas Heath (m. 1578), si rifiutò perfino
di incoronarla. Tuttavia Elisabetta fu soprattutto una abile donna
politica e dissimulò con cura il suo credo religioso: non si dichiarò
ufficialmente protestante per non dare lo spunto ad una possibile grande
alleanza tra Spagna, Francia e Scozia, ma d'altronde adottò il
protestantesimo, senza usare i toni accesi dei predecessori. I suoi primi
passi furono improntati sulla diplomazia e compromesso: non si fece più
chiamare, come il padre Enrico VIII, capo supremo della Chiesa d'Inghilterra,
bensì più modestamente Governatore Supremo, pur negando l'autorità giuridica
del papa. Nel frattempo rese obbligatorio nel 1559, con un ennesimo Atto di
Uniformità, il Prayer Book, nella seconda versione di Edoardo VI, tuttavia
rivisto in senso cattolico. Eppure la rivolta degli alti prelati cattolici
era stata quasi totale: 15 vescovi, 12 decani, 15 direttori di collegi
religiosi e circa 200/300 preti rassegnarono le dimissioni o furono privati
del titolo. Nel 1559 fu eletto il nuovo arcivescovo di Canterbury, Matthew
Parker, un uomo moderato e conciliante, che aveva sofferto sotto Maria Tudor,
ideale per Elisabetta in quella posizione, ma per la sua investitura si
dovettero scomodare quattro ex prelati che erano stati vescovi nel periodo di
Edoardo VI, stante la situazione sopra descritta. I 42 articoli di Edoardo
VI (1553) (le formule dottrinali anglicane) diventarono nel 1571, sotto
Elisabetta I, i 39 articoli, compromesso fortemente voluto da Parker, tra
elementi cattolici, luterani e calvinisti. L'altro grande teologo del regno
elisabettiano fu Richard Hooker (1554-1600), spiritualista e apologista, che
scrisse il ponderoso Treatise on the laws of ecclesiastical polity (trattato
sulle leggi del governo ecclesiastico) a difesa della scelta episcopale nella
struttura della Chiesa d'Inghilterra. La reazione di Roma fu lenta: solo
nel 1570 il Papa Pio V (1566-1572) si decise a scomunicare Elisabetta e a
sciogliere gli inglesi dal dovere di obbedienza: errore gravissimo in un
paese che non aveva certo bisogno di alimentare il fuoco della polemica
anti-papale. Nel 1587, sotto la minaccia dell'invasione spagnola e in
seguito all'ennesima congiura per far cadere la regina e sostituirla con
Maria Stuarda (1542-1587), Elisabetta fece decapitare l'ex regina di
Scozia, fuggita in Inghilterra nel 1568, dove venne detenuta in cattività
fino alla sua esecuzione. La mossa aveva il preciso scopo politico di
togliere di mezzo una possibile protagonista (fra l'altro diretto successore
in linea gerarchica di Elisabetta) che potesse catalizzare le proteste dei
cattolici inglesi. La reazione dei spagnoli avvenne l'anno dopo, 1588, ma
la disfatta della loro flotta di invasione, la famosa Invincible Armada
(Invincibile Armata), mise l'Inghilterra al sicuro da ingerenze
esterne. Rimasero comunque i conflitti interni: ovviamente una politica
di compromesso non poteva certo piacere agli opposti estremi. Soprattutto
gli estremisti protestanti, i Puritani, benché rintuzzati spesso da Hooker,
dal 1570 in avanti attaccarono le apparenze esteriori (paramenti sfarzosi,
l'uso dei vescovi ecc.), secondo loro un retaggio papista, rendendo amari
gli ultimi anni per l'anziana regina, che si spense nel
1603.
Amman, Jacob (1644-dopo il 1730) e ammaniti o
amish
Jacob Amman Jacob Amman nacque nel 1644 a Erlenbach,
nella valle del Simm (Simmental), nel cantone Berna in Svizzera, da Michael
Amman e Ann Ruppen, genitori di religione riformata, che lo fecero battezzare
il 12 febbraio dello stesso anno. In gioventù, tuttavia, A. venne
convertito alla corrente mennonita dell'anabattismo e ribattezzato, in
seguito al quale egli si trasferì in una comunità vicino a Bowil, nella valle
dell'Emm (Emmental), dove divenne un pastore ed in seguito un vescovo
mennonita. Nel 1673, a cause delle persecuzioni contro i mennoniti nel
cantone Berna, A. fuggì in Alsazia, dove esercitò il suo ministero come
vescovo fino al 1693 e dove, dopo la visita in Svizzera che portò alla
scissione del suo gruppo, si stabilì fino al 1708 a
Sainte-Marie-auz-Mines. Nel 1693 A. si rese protagonista di una delle
scissioni più importanti della tormentata storia degli anabattisti: in
quell'anno egli espresse la sua disapprovazione che gli anziani della chiesa
mennonita non stessero praticando la rigida separazione dal mondo e che in
particolare non applicassero alla lettera la meidung, cioè l'ostracismo più
rigoroso nei confronti del fedele colpito da scomunica, che doveva essere
osservata anche dai membri della sua stessa famiglia. Inoltre egli era
favorevole alla lavanda dei piedi in tutte le comunità (cioè era facoltativo
per i mennoniti), alla Comunione due volte all'anno (contro una volta
soltanto dei mennoniti), alla crescita della barba per gli uomini adulti
ed all'uniformità molto semplice dei vestiti dei fedeli. Per questo fu
scomunicato dai mennoniti svizzeri (che scomunicò a sua volta) e decise
quindi di fondare in Alsazia una propria comunità denominata ammanita o
amisch (in seguito semplificato graficamente in amish). Ogni successivo
tentativo di riconciliazione andò fallita anche per il carattere non
precisamente facile di A. Gli amish si diffusero anche in Germania, nel
Lussemburgo e Olanda, ma nel 1712 essi, ed in generale tutti gli anabattisti,
furono espulsi dall'Alsazia ed iniziarono ad emigrare verso le colonie
inglesi in America, in particolare, verso la Pennsylvania, terra di libertà
per tutte le confessioni religiose, grazie all'impegno di William Penn. Le
notizie sulla vita di A. da questo momento in avanti diventano molto scarse:
l'unica testimonianza è del 1730, quando la figlia dichiarò che il padre era
emigrato all'estero, senza però precisare né dove né quando. La data della
morte quindi può essere fatta risalire successivamente al 1730. Gli
Amish Come già detto, ad iniziare dal 1712, gli a. iniziarono ad emigrare
negli attuali Stati Uniti, soprattutto in Pennsylvania, dove la contea
di Lancaster ospita una delle comunità amish più numerose e resa famosa
dal film Witness (Il testimone). Oggigiorno, soprattutto in seguito
alle emigrazioni del XIX e XX secolo essi sono presenti praticamente solo
in Stati Uniti e in Canada: la comunità più numerosa (circa 45.000 fedeli)
è nell'Ohio, le altre si trovano nell'Illinois, Indiana, Pennsylvania,
New York e nell'Ontario in Canada, mentre le comunità europee sono
oramai estinte. Anche questa setta ha avuto comunque le sue scissioni
interne. La più importante fu quella del 1850, quando si divisero in
tradizionalisti (vecchio ordine) e innovatori (nuovo ordine), questi ultimi
favorevoli a qualche minimo ammodernamento nell'Ordnung (le regole di vita
delle comunità).
Le dottrine e la filosofia di vita Gli a.
seguono il credo anabattista di tipo mennonita, basato sull'autorità delle
Sacre Scritture, il rifiuto della violenza, del servizio militare e
di prestare giuramento, il battesimo per adulti (che avviene tra i 17 e i
20 anni di età), la celebrazione della Cena del Signore e della lavanda
dei piedi. In più gli a. rispettano l'Ordnung, le regole orali che
regolano la vita quotidiana, non fanno proselitismo (solo il 10% dei fedeli
sono convertiti) e praticano il Meidung, il severo ostracismo nei confronti
del fedele che sia colpito da scomunica (per essere scomunicati basta anche
dire una bugia), che abbandoni la chiesa amish o che sposi un estraneo alla
comunità. Gli altri fedeli non possono né vendere né comparare qualcosa da
lui, e perfino mangiare alla sua stessa tavola. Le funzioni religiose
vengono tenute nelle case dei fedeli e gli a. rispettano tutte le feste
cristiane, oltre ad una giornata di digiuno l'11 ottobre. La loro
filosofia di vita è basata sul Gelassenheit, un concetto insegna al fedele di
essere riservato, modesto, calmo e tranquillo; di essere totalmente
sottomesso all'autorità di Dio; di servire e rispettare gli altri nella
comunità.
Stili di vita Il Gelassenheit influenza quindi anche lo
stile di vita quotidiano degli a. Gli a. vivono in comunità auto-gestite,
senza coordinamento centrale: gli uomini vestono con un vestito semplice di
colore scuro senza bottoni, portano un cappello nero a tesa larga e si
lasciano crescere la barba, ma non i baffi, simbolo del militarismo; le donne
sono vestite con un vestito colorato senza gioielli con una cuffia, un
grembiule e, durante le funzioni, uno scialle (bianco per le maritate, nero
per le nubili). I bambini vanno alla scuola pubblica solo per i primi otto
anni, perché gli a. non condividono le idee insegnate nei licei: gli
insegnamenti successivi vengono infatti impartiti nelle comunità, sotto il
controllo degli anziani. La lingua parlata è il Pennsylvania Dutch, un antico
dialetto tedesco, ma nelle cerimonie viene usato il tedesco puro e a scuola
si impara l'inglese. Gli a. non usano automobili, ma carrozze a cavalli (i
buggies); non hanno telefoni, televisori, radio e non fanno uso dell'energia
elettrica; sono ottimi agricoltori, ma non usano trattori moderni; hanno un
ottimo artigianato di giocattoli in legno e coperte multicolori, chiamati
quilts; non fanno fotografie perché è contro le Scritture. Essi si sposano
rigorosamente tra confratelli (il contrario porterebbe alla scomunica) e i
funerali sono di una spartana semplicità. I fedeli pagano le tasse, ma non i
fondi sanitari e pensionistici nazionali, perché hanno dei fondi da loro
gestiti per i confratelli bisognosi di aiuto.
Confessioni amish La
maggior parte degli 134.000 a. è riunita sotto la Old Order Amish
Church (Chiesa degli Amish del vecchio ordine) con circa 81.000 fedeli. Le
altre confessioni sono: Egli Amish, di orientamento ancora più
tradizionalista della Old Order e fondata dal vescovo Henry Egli
(1824-1890), Conservative (Amish) Mennonite Conference [Conferenza degli
(amish) mennoniti conservatori], l'ala più liberale (contrariamente a quando
si presuppone dal nome), che si è recentemente accostata ai
mennoniti, diplomaticamente lasciando cadere la parola amish nella
propria intestazione. Beachy Amish, l'ala progressista moderata, fondata
dal vescovo Moses Beachy (1865-1950) nel 1923, che raccoglie circa 11.000
fedeli.
Elcasaiti (o Elcesaiti o Elkasaiti) (1/2
1°secolo)
La setta giudeo-cristiana degli elcasaiti, a carattere
magico-astrologico, sorse intorno all'anno 100 in Giordania e fu fondata da
tale Elkesai (alcuni autori propendono per la grafia Elchasaí o Elkessaîoi o
Elkesaïtaí) di origine persiana. Gli E. avevano un loro libro sacro, il
Libro di Elkesai, che, come mormoni ante-litteram, essi credevano fosse stato
consegnato ad Elkesai da un angelo. Questo angelo era alto 154 chilometri e
largo 27, si proclamava Figlio di Dio ed era accompagnato da sua sorella
(sic!), lo Spirito Santo. Tutto ciò fu riportato da Alcibiade di Apamea
(Siria), un elcasaita, che diffuse la setta a Roma, portandovi il libro in
questione durante il pontificato di S. Callisto (217-222). Essi credevano
in un Dio creatore e avevano un concetto docetico della persona di Gesù, cioè
l'umanità e le sofferenze di Gesù Cristo erano più apparenti che
reali. Inoltre essi rifiutavano gli scritti di San Paolo e vaste parti
dell'Antico Testamento ed erano convinti che il battesimo potesse essere
praticato svariate volte come rito purificatore. La setta sopravvisse fino
alla fine del IV° secolo. Il famoso fondatore del manicheismo, il nobile
persiano Mani fu probabilmente in gioventù un elcasaita.
Elia da
Cortona (o da Assisi) (ca. 1180-1253)
Elia Bonusbaro (o
Bonibarone) nacque nel 1180 vicino ad Assisi, probabilmente a Bevagna, da
padre bolognese (di professione materassaio) e da madre di Assisi. E. studiò
a Bologna per diventare notaio e benché non fosse mai diventato un religioso,
fu uno dei primi (dal 1211) compagni di San Francesco d'Assisi, che nel 1221
lo nominò vicario generale dell'ordine, avendo totale fiducia nel suo
operato. Alla morte di Francesco nel 1226, E., un uomo ambizioso che
concepiva l'ideale di povertà e sacrificio del suo Maestro perlomeno come
poco pratico, si dedicò completamente all'erezione della basilica dedicata
al Santo in Assisi, raccogliendo soldi per questa impresa, ma scontrandosi
per questo con l'ala oltranzista degli spirituali, o zeloti, i francescani
che osservavano alla lettera la Regola ed il Testamento del Santo,
desiderando mantenere l'originale stile di vita, basato sulla povertà e
rinuncia di ogni privilegio, predicato da Francesco. Tra E. e gli
spirituali non correva quindi buon sangue, tant'è che essi riuscirono
nell'intento di farlo sfiduciare nel Maggio 1227. Tuttavia nei 3 anni
successivi, E. si dedicò esclusivamente al completamento della basilica,
consacrata nel Maggio 1230 e, grazie alla popolarità dovuta a questa
grandiosa opera, nel 1232 egli fu rieletto generale dell'ordine in un momento
critico per il neo formato ordine religioso, che si era già diviso nei due
filoni principali: I conventuali o relaxati, il cui intento era di operare
una parziale revisione in senso mitigatore della Regola dell'ordine. Gli
spirituali precedentemente descritti. Il governo di E., purtroppo, fu peggio
della benzina sul fuoco! Egli abusò della sua autorità, continuando a
raccogliere soldi per la basilica e convento di San Francesco, facendo
frustare, esiliare o imprigionare i dissidenti e ricorrendo alla scomunica,
ove necessaria. Tuttavia l'opposizione interna del movimento francescano
riuscì ad appellarsi a Papa Gregorio IX (1227-1241), il quale fece deporre E.
nel 1239. Quest'ultimo decise allora di sposare nel 1240 la fazione
ghibellina dell'imperatore Federico II, assieme al quale fu scomunicato. Per
questo egli chiese perdono al Papa e fu riammesso all'ordine, salvo poi
esserne nuovamente espulso e scomunicato nel 1244 da Papa Innocenzo IV
(1243-1254). Rimase dunque nella sfera di influenza di Federico II, per il
quale si incaricò di alcune missioni diplomatiche in Oriente e mantenne,
nonostante tutto, un certo prestigio presso la popolazione di Assisi, dove
finì di far costruire il convento di San Francesco. Morì a Cortona il 22
Aprile 1253, essendosi riconciliato, poco prima della morte, con la
Chiesa.
Dee, John (1527-1608)
La vita Il
matematico, mago e astrologo inglese John Dee nacque il 13 luglio 1527
a Londra, figlio unico di Roland Dee (m. 1555), un ricco mercante in
tessuti di origine gallese e sarto alla corte di Enrico VIII
d'Inghilterra (1509-1547), e di sua moglie Jane Wild. Dal 1537 il giovane
D. fu mandato a studiare alla Chantry School di Chelmsford, nella contea
dell'Essex, poi entrò, nel 1542, nella St. John's College, a Cambridge, dove
studiò matematica e astronomia, ottenendo il suo baccalaureato nel 1546, anno
in cui fu nominato membro della Trinity College, a Cambridge, fondata da
Enrico VIII. Nel 1547 D. decise di recarsi in Olanda per motivi di studio:
ritornato dopo un anno ottenne il laurea in arti liberali, ma dopo poco
dovette riparare all'estero sotto l'accusa di congiura. Ritornò quindi
nuovamente nei Paesi Bassi, a Lovanio e Bruxelles, e in Francia, a Riems,
abitandovi tra il 1548 ed il 1551 e studiando con famosi studiosi locali,
come il cartografo Gerardo Mercatore (1512-1594) e il matematico Pedro Nunez
(Nonius) (1492-1577). D. rientrò in Inghilterra nel 1551 e ottenne una
rendita di 100 corone dal re Edoardo VI (1547-1553) e la posizione di rettore
di Upton-upon-Severn. Tuttavia, dopo la salita al trono della regina Maria
Tudor, detta la Sanguinaria (1553-1558), D. fu, nel 1555, accusato di
stregoneria, ed in particolare di aver attentato alla vita della regina per
mezzo di sortilegi maligni e calcoli matematici (pare che la futura regina
Elisabetta gli avesse chiesto di calcolare la data della morte della
sorellastra!) e fu quindi imprigionato a Hampton Court. Dopo la sua
liberazione, le sue fortune iniziarono a migliorare con l'ascesa sul trono
d'Inghilterra proprio di Elisabetta I (1558-1603), in particolare quando il
favorito della regina, Lord Robert Dudley (1532-1588), chiese a D. di
scegliere una data propizia per l'incoronazione della sovrana, che in questa
occasione prese alcune lezioni di astrologia dal mago, rimanendone molto
impressionata. Nei successivi cinque anni D. si dedicò ai suoi studi di
astrologia, astronomia, alchimia, matematica, occultismo e magia bianca, e ad
ampliare la sua ricca biblioteca, ma nonostante i favori di Elisabetta I,
egli non riuscì ad ottenere una totale tranquillità economica, quindi, per
tagliare le spese, andò ad abitare da sua madre a Mortlake, nella contea del
Surrey. In questa casa (che ereditò nel 1580) egli pose la sua biblioteca di
4.000 volumi e 700 manoscritti, oltre a rari e strani oggetti, alcuni dei
quali andarono distrutti a causa di successive incursioni e
devastazioni (soprattutto durante i suoi frequenti viaggi all'estero) da
parte di teppisti superstiziosi, i quali lo ritenevano amico del
Diavolo. Tra il 1564 e il 1571 egli fece diversi viaggi in Europa [tra
l'altro regalò una copia della sua Monas hieroglyphica al neo-eletto
imperatore Massimiliano II (1564-1578)], mentre in patria, nello stesso
periodo, fu impiegato per istruire gli equipaggi delle navi della Compagnia
di Navigazione anglo-russa Muscovy, fondata dal celebre esploratore
Sebastiano Caboto (1474-1557). Nel 1577 egli pubblicò il trattato Perfect
Arte of Navigation (L'arte perfetta della navigazione), in realtà un testo
di propaganda per la creazione di un impero britannico, mentre l'anno
dopo (1578), dopo due matrimoni senza eredi, si sposò con Jane Fromands, da
cui ebbe otto figli. Dal 1581 egli iniziò ad indagare sempre di più il
mondo del soprannaturale, soprattutto degli angeli, dapprima con esperimenti
di cristallomanzia, una tecnica divinatoria usando sfere di cristallo o
bacinelle d'acqua, e successivamente con ben più inquietanti sedute di
divinazione, mediante rievocazione di morti (necromanzia), con l'aiuto di
Edward Kelly (1555-1593), un medium, sensitivo e alchimista, comunque un vero
truffatore, a cui, per punizione, erano state tagliate le orecchie, e che D.
conobbe nel 1582. Tuttavia non tutti gli autori concordano sul fatto che D.
abbia mai partecipato agli esperimenti di necromanzia organizzati da
Kelly. I due, con le proprie famiglie, viaggiarono tra il 1583 ed il 1589
in Polonia, dove furono ospitati e sponsorizzati dal conte palatino di
Siradz, Albert Laski, nipote del famoso riformatore Jan Laski. A Cracovia
nel 1585 D. incontrò e fece amicizia con il pensatore utopistico Francesco
Pucci, che accompagnò D. e Kelly i due nel loro viaggio a Praga per andare a
visitare l'imperatore Rodolfo II (1578-1612). Qui il loquace e polemico Pucci
abbandonò la compagnia dei due maghi (con sollievo di D., che lo considerava
pericolosamente chiacchierone e utopico: aveva perfino cercato di convincere
D. ad andare a Roma per presentare al papa i suoi esperimenti di
necromanzia!). A Praga i due furono ricevuti da Rodolfo II, al quale, si
dice, D. abbia venduto il misterioso (e tuttora non decifrato) manoscritto
Voynich. Sempre a Praga l'alchimista ebreo Jacob Eliezer, noto come il Rabbi
Nero, donò a D. un libro di magia nera e necromanzia denominato Necronomicon,
ma il mago fu fortemente impressionato dalla lettura e dallo studio del
testo. Poco dopo D. e Kelly litigarono e si separarono in seguito alla
disinvolta (e indecente) proposta di Kelly di mettere le mogli in comune
(sic!): D., ammalato e a corto di quattrini, decise di rientrare a Mortlake
nel 1589, per amaramente constatare che la sua biblioteca, in sua assenza,
era stata saccheggiata dai teppisti. Kelly andò incontro ad un ben più
tragico destino: spacciandosi come lo scopritore della Pietra Filosofale e
dell'Elisir di Lunga Vita, fu eventualmente arrestato come eretico e
stregone, dapprima a Praga poi nella Germania meridionale, dove, nel corso di
un tentativo di evasione nel 1593, cadde rompendosi due coste e ambedue le
gambe e riportando ferite così gravi che ne morì poco dopo. Per D. il
rovescio economico creato dal furto dei libri ed oggetti nella sua biblioteca
fu molto grave e per anni egli si dibatté in condizioni molto disagiate
finché la regina Elisabetta, nel 1596, non lo nominò dapprima cancelliere
della Cattedrale di San Paolo a Londra, poi sovrintendente del Christ College
di Manchester, dove egli si trasferì con la sua famiglia: purtroppo nella
città inglese scoppiò nel 1605 un'epidemia di peste, che uccise sua moglie e
diversi suoi figli. Precedentemente egli aveva lavorato sulla traduzione in
inglese del famigerato Necronomicon, che però non venne mai stampato e
probabilmente contribuì alle accuse di stregoneria, contro le quali egli
dovette difendersi negli ultimi anni della sua vita. D. morì poverissimo a
Mortlake il 26 marzo 1609.
Le opere Come già detto, la vastità
degli studi di D. sulla astrologia, astronomia, alchimia, matematica e magia
bianca, è veramente notevole. Le opere più importanti sono: Monas
hieroglyphica (1564), un testo di ermetismo, cabala ed
alchimia. Propaedeumata Aphoristica (1568), una miscela di concetti di
fisica, matematica, astrologia e magia. Parallacticae commentationis
praxosque (1573), un trattato di metodi trigonometrici per calcolare le
distanze delle stelle. Perfect arte of navigation (1577), un libro di
propaganda per la creazione di un impero britannico. Inoltre l'esperienza
fatta nelle comunicazioni con gli angeli di D. e Kelly venne riassunta nel
libro A true and faithful relation of what passed between Dr. Dee and some
spirits (Una vera e fedele relazione delle comunicazioni tra il Dr. Dee e
alcuni spiriti), scritto da Méric Casaubon (1599-1671), figlio del più noto
Isaac, basandosi sulle annotazioni originali del mago inglese, rinvenute dopo
la sua morte.
Vergerio, Pier Paolo, vescovo di Capodistria
(1498-1565)
I primi anni Pier Paolo Vergerio nacque nel 1498 a
Capodistria, ai tempi parte della Repubblica di Venezia, da una famiglia
nobile impoverita, che contava tra i propri avi l'umanista Pier Paolo
Vergerio senior (1370-1444), in onore del quale il padre di V., Girolamo,
diede il nome al più famoso dei suoi otto figli. A causa della situazione
economica non certa agevole della famiglia, ben cinque figli di Girolamo
furono avviati alla carriera al servizio della Chiesa: Giacomo (frate
francescano), Aurelio [m. 1532, segretario di Papa Clemente VII (1523-1534)],
Giovanni Battista (m. 1548, vescovo di Pola), Coletta (suora) e il nostro
Pier Paolo. Questi, dopo un periodo di studi a Venezia, si iscrisse alla
facoltà di legge a Padova nel 1517 e il 21 maggio 1524 si laureò in diritto
civile. Successivamente V. continuò a risiedere come procuratore legale a
Padova, dove frequentò il circolo culturale raccolto intorno al poeta e
futuro cardinale Pietro Bembo, protagonista, assieme al grecista di
origine albanese Nicolaus Leonicus Thomaeus (Niccolò Leonico Tomeo)
(1456-1531), del primo lavoro di V., il dialogo De republica
Veneta.
V. al servizio del papato Nel 1526 V. sposò Diana
Contarini, ma la moglie morì solo un anno dopo e nel 1532, seguendo il
fratello Aurelio, segretario di Papa Clemente VII, egli si recò a Roma, dove
entrò, anch'egli, come segretario al servizio del pontefice. Alla morte di
Aurelio nel settembre 1532, Clemente VII diede a V. il ruolo di segretario
del codice e del cifrario segreto, che era stato del fratello defunto. Ma
V. non poté godere della sua nuova posizione, perché fu
immediatamente mandato, nell'ottobre dello stesso anno, in missione a Venezia
per cercare di convincere la Serenissima ad entrare in un'alleanza
anti-turca. Cambiate le priorità di tema di politica estera del papato, nella
primavera 1533 V. fu inviato a Vienna come nunzio pontificio presso
Ferdinando I, arciduca d'Austria (arciduca, poi imperatore: 1521-1564), che
lo accolse favorevolmente e lo convinse di intercedere, presso la Santa Sede,
a favore di una pace stipulata con i turchi, respinta da Clemente
VII. Significative di questo periodo furono le lettere scambiate tra V. e
il protonotario apostolico Pietro Carnesecchi (entrambi avrebbe aderito
in seguito alla Riforma) su come fermare il dilagare dell'eresia
luterana! Nel 1534 morì Clemente VII ed il nuovo papa Paolo III (1534-1549)
inviò V. nel 1535 in Germania con lo scopo di indagare sul gradimento dei
principi tedeschi della sede di Mantova per il concilio, che il papa
voleva convocare. V. ebbe anche un incontro con Martin Lutero a Wittenberg
nel novembre dello stesso anno, ma non ne fu affatto
impressionato favorevolmente, anzi lo considerò uno spaccone, pronto ad
accusare il papa ad ogni occasione, e che - secondo V. - sarebbe stato
ridimensionato, una volta fosse stato pubblicamente condannato durante il
concilio.
Vescovo di Capodistria Rientrato in Italia nel 1536, nel
maggio dello stesso anno, probabilmente dopo essere stato ordinato e
consacrato vescovo, V. fu ricompensato con il piccolo vescovado di Modrus (o
Modrussa), vicino a Fiume, in Croazia, tuttavia, grazie all'intermediazione
di Ferdinando I, in settembre, gli fu offerto quello, strategicamente più
interessante, di Capodistria, sebbene sulla sede istriana, già piuttosto
povera di proventi (circa 200 ducati l'anno), gravava oltretutto l'obbligo di
pagare una lauta pensione di 50 ducati al segretario del cardinale Alessandro
Farnese (1520-1589), il capodistriano Antonio Elio. Farnese, nipote di
Paolo III, sarebbe diventato negli anni successivi uno dei principali
accusatori di V. Questa situazione amareggiò moltissimo il neo-eletto
vescovo, i cui tentativi di ribellarsi da questo pesante giogo furono
bloccati dal nunzio apostolico a Venezia, Girolamo Verallo [1497-1555, zio
del futuro papa Urbano VII (1590)], dal cardinale Farnese e perfino da Paolo
III in persona: V. meditò allora di rinunciare alla diocesi e nel frattempo
fece diversi viaggi tra il 1536 ed il 1541.
V. e gli
spirituali Fu così che egli conobbe a Mantova il cardinale Ercole Gonzaga
(1505-1563), simpatizzante per la corrente degli ecclesiastici spirituali,
attraverso il quale V. apprese le predicazioni di Bernardino Ochino, ma
soprattutto a Roma nel 1539 entrò in contatto con i cardinali Gasparo
Contarini e Reginald Pole, con Alvise Priuli, Vittoria Colonna e Marcantonio
Flaminio. Nel marzo 1540, al seguito del cardinale Ippolito d'Este
(1509-1572), egli intraprese in viaggio verso la Francia, passando prima da
Ferrara, dove conobbe Renata d'Este, cognata del cardinale Ippolito e nota
protettrice dei riformati, in quanto di fede calvinista ella stessa. In
Francia, V. fu incaricato dal re Francesco I (1515-1547) di presiedere
al Colloquio di religione di Ratisbona dell'aprile 1541, che doveva
sviluppare un documento comune tra cattolici e protestanti e al quale
partecipò anche Gasparo Contarini, come legato pontificio. Qui ebbe la
possibilità di conoscere i principali riformatori del momento, come
Melantone, Bucero e Jakob Sturm (1489-1553).
Primi sospetti sulla
sua ortodossia Finalmente nell'estate 1541 V. rientrò nella sua diocesi di
Capodistria, dove lottò contro gli abusi e si dedicò al miglioramento
disciplinare del proprio clero, ma si mise in contrasto con i propri
superiori, come il nunzio apostolico a Venezia, Giorgio Andreassi. Ma
cresceva nel frattempo il suo impegno riformatore: nel 1542 egli fece
pubblicare a Venezia il suo discorso De unitate et pace Ecclesiae, dove
auspicava la conciliazione di cattolici e protestanti e, in sintonia con il
fratello Giovanni Battista, vescovo di Pola, promulgò la diffusione del
Beneficio di Christo, di Benedetto Fontanini da Mantova nella sua diocesi, e
questo aumentò i sospetti di eresia nei suoi confronti: un primo procedimento
fu aperto nei suoi confronti il 13 dicembre 1544, ma fu poi
prosciolto. Nel dicembre 1545 V. visitò Brescia, dove fu ospite di Fortunato
Martinengo, ma il suo viaggio fu interpretato dai suoi nemici, soprattutto
dal vescovo di Milopotamos e Cheronissa (sull'isola di Creta, in Grecia),
Dionisio Zanettini, detto il Grechetto (vescovo: 1538-1549), come parte della
sua strategia per diffondere l'eresia luterana. Nonostante i crescenti
sospetti sul suo conto, nel gennaio 1546 V. viaggiò alla volta di Trento per
prendere parte al Concilio (lavori ufficiali: 1545-1563), ma la reazione dei
legati pontefici e del cardinale ospitante, Cristoforo Madruzzo (1512-1578),
fu cortese, ma categorica: solo se V. avesse dimostrato la sua estraneità
alle accuse di eresia, sarebbe stato ammesso ai lavori del
Concilio.
V. accusato di eresia Rientrato, deluso, alla sua
diocesi, V. si accorse oramai di essere al centro di un procedimento
ecclesiastico contro di lui. Infatti il 2 giugno 1546 il nunzio apostolico
Giovanni Della Casa (1503-1556) lo mise ufficialmente sotto accusa ed egli fu
interrogato davanti al Tribunale dell'Inquisizione, dove si batté
strenuamente per essere riconosciuto innocente, nonostante l'offensiva
inesorabile del cardinale Farnese e dei suoi alleati. Poco dopo, tuttavia,
avvenne l'episodio, che si può definire, parafrasando la vita di Lutero,
l'esperienza della torre (Turmerlebnis) del prelato di Capodistria: egli
infatti assistette all'agonia di Francesco Spiera, l'avvocato di Cittadella
(vicino a Padova), che, dopo essere stato costretto ad abiurare, si era
convinto di aver tradito Gesù Cristo e il Vangelo, e di essere destinato alla
dannazione eterna, entrando quindi in una profonda depressione, e ammalandosi
rapidamente. Nonostante le cure dei medici e il conforto di V., accorso al
suo capezzale, Spiera morì il 27 dicembre 1548, schiacciato dal rimorso, a
soli 46 anni. L'episodio dell'avvocato di Cittadella (raccontata poi nella
sua opera Historia di Francesco Spiera del 1551), unito alla morte dell'amato
fratello Giovanni Battista (al quale successe, come vescovo di Pola, proprio
Antonio Elio, il protetto del cardinale Farnese!), diede a V. la forza di
prendere la via dell'esilio: il 1 maggio 1549 V. fuggì dall'Italia per
giungere, due settimane dopo, a Chiavenna, dal 1512 parte del cantone
protestante dei Grigioni. Nel frattempo, egli fu condannato (in contumacia)
per eresia a Roma il 3 luglio 1549 sulla base di 34 capi
d'accusa.
V. in Svizzera Nel Cantone Grigioni egli fu accolto
calorosamente dalla comunità riformata locale, formata da fuoriusciti
italiani, come il pastore di Chiavenna Agostino Mainardi, l'ex predicatore
agostiniano Giulio Della Rovere o l'umanista sardo Sigismondo Arquer. In
seguito V. si recò a Coira per conoscere i capi delle chiese protestanti del
cantone, poi si stabilì a Poschiavo, dove operava Dolfino Landolfi, unico
stampatore italiano protestante della Valtellina e che pubblicò diversi
scritti che l'ex vescovo di Capodistria si era portato con sé nella fuga.
Altre importanti opere, come i Dodici trattatelli o le Otto difesioni furono
invece pubblicate a Basilea all'inizio del 1550. Nello stesso periodo, con
sorprendente umiltà, accettò di diventare pastore della chiesa riformata di
Vicosoprano, in Val Bregaglia, che trasformò in una valle di sicura fede
riformata. Nel stesso 1550 conobbe Celio Secondo Curione, nei confronti del
quale comunque sviluppò un'antipatia contraccambiata: V. accusò infatti
l'umanista torinese di essersi convertito all'anabattismo e questo ricambiò
l'attacco, accusando V. di introdurre concetti luterani in zone svizzere di
fede zwingliana. Tuttavia V. non amava le dispute teologiche e le
sottigliezze, che dividevano il mondo protestante: il suo riferimento era
l'irenismo di Melantone. Per questo, esasperato dalle interminabili polemiche
tra Mainardi e l'anabattista Camillo Renato, V. decise di accettare, nel
1553, l'offerta del Duca Christoph del Württemberg (1550-1568) di trasferirsi
a Tubinga come consigliere religioso.
V. in Germania Arrivato
quindi a Tubinga nel 1553, V. trovò un ambiente ideale per lavorare: il
ducato era stato convertito alla Riforma dal moderato luterano Johannes
Brenz. Su incarico del duca, V. viaggiò in Germania, Austria e Polonia (qui
incontrò il principe Alberto di Brandeburgo), dove cercò inutilmente di
riappacificare le varie anime del protestantesimo locale, cioè luterani,
calvinisti e Fratelli Boemi sulla base della Confessio Augustana. Nel 1555
V. venne contattato dall'umanista Olimpia Morato, residente a Heidelberg, che
gli chiese di tradurre il Grande Catechismo di Lutero in italiano, ritenendo
che potesse essere di grande utilità "ai nostri italici, specialmente alla
gioventù" (tuttavia V. non poté esaudire la richiesta). Un'altra esule
italiana, la nobile Isabella Bresegna (moglie di don Garcia Manrique,
governatore di Piacenza), già in contatto con i circoli valdesiani a Napoli,
fu successivamente convertita alla Riforma ed andò esule in Germania proprio
presso l'ex vescovo di Capodistria. Ma l'attività principale di quest'ultimo
fu quella di polemista e pubblicista, che ebbe un nuovo impulso dopo
l'incontro con il sacerdote sloveno Primoz Trubar (1508-1586), passato
all'evangelismo e diventato pastore luterano in Germania. Il capodistriano
non era un grande teologo, ma sicuramente un ottimo divulgatore e dalla
collaborazione dei due nacquero diverse opere religiose in lingua corrente
per un uso più ampio, tra cui la prima traduzione in sloveno del Nuovo
Testamento. In seguito i due corregionali, con l'aiuto del barone Johannes
Ungnad von Sonneck (1493-1564), ex governatore della Stiria e della Carinzia,
impiantarono una tipografia e un istituto biblico a Urach (vicino a Tubinga),
che, dal 1561 al 1564, sfornò una impressionante serie di opere religiose (37
libri per un totale di 25.000 copie) in sloveno, croato e italiano, tra cui
il Piccolo Catechismo di Lutero, il Beneficio di Christo, la Confessio
Augustana e la sua relativa Apologia. V. morì a Tubinga il 4 ottobre
1565.
Elipando di Toledo (ca.718-802) e
adozionismo
Nel 711, gli arabi, al comando di Tarik, provenendo
dal Marocco, avevano invaso la penisola iberica, sterminando l'esercito
visigoto di Roderico: iniziò quindi la lunga dominazione araba in Spagna,
terminata solamente nel 1492. Fu così che alcune potenziali eresie ebbero
abbastanza mano libera per svilupparsi lontano dal controllo di Roma e sotto
l'emiro di dinastia Omayyadi tutto sommato tollerante. Del resto, solo pochi
anni prima, i precedenti dominatori, i Visigoti, si erano convertiti
dall'arianesimo al cattolicesimo e alcuni autori riferirono perfino di
colonie di esuli nestoriani in Spagna.
La vita Elipando,
l'ispiratore dell'eresia adozionista, nacque dunque in Spagna in questo
momento storico e più precisamente nel 718. Fu eletto vescovo di Toledo, ma
durante il papato di Adriano I (772-795) venne in conflitto con Migezio, un
prete al seguito del legato pontificio, il vescovo Egila. E. accusò Migezio
di predicare che Dio si fosse rivelato in successione come il Padre in
Davide, come il Figlio in Gesù e come Spirito Santo in San Paolo e quindi
che Cristo non esistesse prima dell'incarnazione. E. scrisse una confessione
di fede nel 784 a Siviglia tracciando una precisa linea di demarcazione tra
Cristo come Dio e Cristo come uomo. Il primo era Figlio di Dio a tutti gli
effetti per generazione e natura, ma il Cristo uomo era Figlio di Dio per
adozione. Inoltre, E. pensò bene di assicurarsi l'appoggio di un apprezzato
teologo, come Felice, vescovo di Urgel (città nella Marca Spagnola sotto il
dominio franco), al quale scrisse nel 785 per chiedere il suo parere.
Felice appoggiò l'idea adozionista di E., corroborando il tutto con
citazioni bibliche facenti riferimento al homo adoptivus o adoptatus,
applicato all'incarnazione di Cristo. L'apporto di Felice fu talmente
decisivo che questa eresia venne anche chiamata feliciana. Per questo E. e
Felice furono accusati di nestorianesimo da parte di Beato, abate di Libana e
Eterio, vescovo di Osma, i quali furono, a loro volta, accusati dai loro
avversari di monofisismo. Il fatto che E. operasse dalla Spagna islamica e
che l'unico re cristiano in grado di intervenire su Felice fosse Carlomagno
(771-814), momentaneamente disinteressato alla diatriba (stava ancora
leccandosi le ferite dopo la disfatta di Roncisvalle del 778), fece sì che
questa eresia potesse svilupparsi senza particolari ostacoli per qualche
anno. Tuttavia si susseguirono una serie di sinodi di condanna, dei quali il
più importante fu quello convocato nel 794 da Carlomagno a Francoforte, dove
fu pronunciata la condanna delle idee di E. e Felice, ai quali Carlomagno
in persona scrisse, esortandoli vanamente a rinunciare al loro errore. In
seguito all'ultimo sinodo della serie, quello di Aquisgrana del 800, Felice
ritrattò, ma fu messo agli arresti "domiciliari" sotto la sorveglianza del
vescovo di Lione, Leidrado (vescovo:798-814) e morì nel 818. Invece E. non
ritrattò affatto, nonostante un tentativo di Alcuino di York (735-804), abate
di Tours e consigliere spirituale di Carlomagno, e rimase al suo posto fino
alla morte nel 802. L'adozionismo, nella forma proposta dai due eresiarchi
sopravvisse nella Spagna islamica fino al IX secolo.
Enrico
VIII d'Inghilterra (1509-1547) e Anglicanesimo
L'Inghilterra fu
unica nella sua scelta di staccarsi dalla Chiesa Cattolica: il risultato
finale fu la Chiesa Anglicana, teologicamente una miscela di dottrina
cattolica e riformata, ma in pratica indipendente da tutte e
due.
Situazione storica Già prima del XVI secolo, l'Inghilterra
aveva conosciuto eresie particolarmente radicate sul territorio, come, ad
esempio nel XIV secolo, John Wycliffe e i suoi poveri predicatori, e il
conseguente movimento lollardo, che persisteva anche ai tempi di re Enrico
VIII. L'Inghilterra, inoltre, cercava di sviluppare la propria società,
rifondata, dopo la lunga e devastante Guerra delle Due Rose (1455-1485), su
un nazionalismo piuttosto marcato e ovviamente desiderava evitare, il
più possibile, le interferenze esterne. Quindi era chiaro che le ingerenze
del papa sugli affari interni inglesi, il pagamento dei tributi a Roma, la
corruzione nel quale versava il clero cattolico inglese, un quarto circa del
suolo nazionale in mano alla Chiesa, un sistema di giudizio e pagamento delle
tasse differenziato per gli uomini di chiesa erano problemi decisamente
maldigeriti dalla nazione e dal suo re.
Enrico VIII
(1509-1547) Enrico VIII, nato nel 1491, salì sul trono a soli 18 anni, nel
1509, dopo la morte del padre Enrico VII (1485-1509). Nel primo periodo del
suo regno egli diede l'impressione di un devoto fedele della Chiesa
Cattolica: scrisse perfino un Assertio Septem Sacramentorum nel 1521 e fu
molto efficace nell'opporsi alla diffusione del luteranesimo in Inghilterra.
Il tutto gli fece guadagnare il titolo di Difensor fidei (difensore della
fede) da parte del papa. Ma la crisi con Roma arrivò nel 1527: infatti
Enrico era sposato, per volontà politica di suo padre, dal 1509 con Caterina
d'Aragona, vedova di suo fratello Arturo. A quel tempo, questo matrimonio si
poté celebrare solamente con la dispensa di Papa Giulio II
(1503-1513). Dopo 18 anni, il re chiese al Papa Clemente VII (1523-1534)
l'invalidazione della dispensa papale, ma la questione era infatti molto
delicata: da una parte Enrico era seriamente preoccupato per la successione
al trono d'Inghilterra a causa del matrimonio con la più anziana Caterina,
che non era riuscita a dare un erede maschio al re: l'unica superstite delle
sue varie gravidanze era la figlia Maria. Però, dall'altra parte
bisognava considerare le implicazioni internazionali: Caterina era anche
zia dell'imperatore Carlo V (1519-1558)! L'intermediario papale
[l'arcivescovo di Salisbury Lorenzo Campeggio (1472-1539)] e quello del re
[il cardinale e Lord Cancelliere Thomas Wolsey (1474-1530)], scelti per
condurre la trattativa, tirarono per le lunghe senza arrivare ad una
conclusione e lo stesso Papa Clemente VII, dopo aver subito il sacco di Roma
e la prigionia da parte dei lanzichenecchi di Carlo V nel 1527, non voleva
ulteriormente provocare l'imperatore, perciò nel 1529 avocò a Roma il diritto
di decidere sulla questione, ma anche lui, debole o troppo prudente, continuò
a posporre la decisione finale. Lo stato di impasse fu superato grazie a
Thomas Cranmer, docente universitario alla Jesus College di Cambridge, il
quale suggerì al re di consultare le principali università europee.
Oltretutto, secondo Cranmer, anche dalle stesse Sacre Scritture veniva la
conferma della scelta di separazione, secondo un passo del Levitico (20:21):
Se un uomo sposa la moglie di suo fratello commette un'impurità; essi
rimarranno senza figli. Benché la proposta di Cranmer non permettesse di
raggiungere l'unanimità di consensi, tuttavia la maggioranza delle risposte
fu favorevole a Enrico. Anno dopo anno, Enrico VIII, consigliato da Cranmer,
nominato nel 1532 arcivescovo di Canterbury, alzò sempre più il tiro contro
la Chiesa Cattolica. Nel frattempo, però, Cranmer si era nel frattempo
sposato con Margaret, nipote del riformatore luterano Andreas Osiander:
dovette occultare la presenza della moglie e perfino mandarla all'estero per
non dispiacere al re. Nel 1530 il re accusò molti prelati inglesi di
violare, a loro favore, gli statuti, denominati Praemunire, (editti nel 1353,
1365 e 1393), i quali concedevano che le cause legali coinvolgenti uomini di
chiesa fossero portate davanti a corti papali fuori dall'Inghilterra, solo
dopo il beneplacito del re. La vittima più illustre di questa accusa fu
Thomas Wolsey, che già caduto in disgrazia per la sua inefficienza
dimostrata durante le trattative per la separazione del re, fu messo sotto
accusa, ma morì di malattia il 30 novembre 1530 durante il suo trasferimento
a Londra. Nel 1531 Enrico fece votare dal parlamento "l'atto di supremazia"
con la quale egli si fece riconoscere Capo Supremo della Chiesa in
Inghilterra. Nel 1532 decise che i tributi andavano pagati alla corona e non
a Roma.
Lo strappo con Roma Lo strappo definitivo arrivò nel 1533,
quando il re sposò in segreto la sua nuova fiamma, Anna Bolena, la quale già
aspettava un figlio da lui, e, tre mesi dopo, Cranmer, facendosi forte di un
decreto parlamentare sulla autonomia della Chiesa inglese nelle decisioni
interne, dichiarò sciolto il matrimonio di Enrico con Caterina e riconobbe
ufficialmente quello con Anna Bolena. Il papa Clemente VII reagì con la
scomunica del re, di Anna Bolena e di Thomas Cranmer nel luglio 1534 e con
l'interdizione (cessazione dell'amministrazione dei sacramenti)
dell'Inghilterra, provvedimento che sarebbe stato tremendo nel medioevo, ma
che fu praticamente ignorata nel XVI secolo. Clemente morì nel settembre
1534: il successore, Paolo III (1534-1549), ideatore del Concilio di Trento,
dovette gestire un rapporto con la Corona d'Inghilterra, che peggiorava ogni
giorno sempre di più. Infatti Enrico VIII rispose alla scomunica nel novembre
1534 con tre atti: Un ulteriore "atto di supremazia" (il re era il Capo
Supremo sulla Terra della Chiesa di Inghilterra) con il diritto di reprimere
le eresie e di scomunicare; L'obbligo per tutti gli inglesi di giurare
solamente davanti al re, e non davanti a qualche autorità straniera
(sic!); La condanna per tradimento per chi osasse dire che il re fosse
eretico, tiranno o scismatico. La pressione sulla Chiesa cattolica inglese
fu elevatissima: sotto il coordinamento del Vicario Generale Thomas Cromwell,
i monasteri furono chiusi e i loro beni incamerati dalla corona e tutti i
prelati dovettero giurare di rispettare l'atto di supremazia, solo Tommaso
Moro (Thomas More) (1478-1535), il grande filosofo umanista erasminiano,
autore dell'Utopia, ed ex Lord Cancelliere, e John Fisher (1469-1535),
vescovo di Rochester ed ex confessore di Caterina d'Aragona, si opposero ed
entrambi furono decapitati per tradimento. Ambedue furono successivamente
nominati santi dalla Chiesa cattolica. Ma la cosa più curiosa fu che, dal
punto di vista dottrinale, almeno in questa prima fase, Enrico VIII non aveva
affatto rotto con il cattolicesimo: in linea di massima, egli si mostrò un
buon cattolico e solo dopo, durante il breve regno del figlio Edoardo VI
(1547-1553), si fecero largo con più decisione elementi cari alla
Riforma. Ma ai tempi di Enrico VIII queste idee potevano costare care: se ne
rese conto anche Thomas Cromwell, che cercò di spingere la monarchia verso
il luteranesimo, facendo adottare i Dieci Articoli (The Ten Articles),
articoli di fede di chiara ispirazione luterana (sola fide e semplificazione
a soli tre Sacramenti) e, con le Ingiunzioni Reali del 1538, fece mettere
una Bibbia in latino ed una in inglese in ogni chiesa (sola
scriptura!). L'esperimento fallì e Cromwell, caduto in disgrazia, anche
perché ritenuto il responsabile del matrimonio, poi fallito, del re con Anna
di Cleves, fu condannato per tradimento e decapitato nel luglio 1540. Nel
1537 Enrico ritornò con decisione ai dogmi cattolici, facendo redigere il
Bishop's book (il libro del vescovo), che conservava i sette sacramenti, il
culto della Vergine e dei santi e proibiva la lettura individuale
della Bibbia. Il libro fu poi rivisto in senso ancora più cattolico e
ristampato nel 1543 con il titolo di King's book (il libro del re). Nel
1539 il parlamento inglese approvò i Sei Articoli (The Six Articles), che
confermarono, tra l'altro, la validità del dogma della transustanziazione,
l'Eucaristia sotto una sola specie, il celibato per i prelati, le Messe
private e la confessione. Riprese quindi con vigore la persecuzione contro i
protestanti: fu bruciato sul rogo nel 1540 il luterano Robert Barnes; il
traduttore William Tyndale, il quale aveva pubblicato la prima Bibbia (Nuovo
Testamento) in inglese nel 1535, fu denunciato all'inquisizione spagnola, che
lo bruciò a Bruxelles nel 1536; la protestante Anne Askew fu processata e
bruciata sul rogo nel 1546; alti prelati di chiare simpatie riformiste, come
i vescovi Hugh Latimer e John Hooper, l'ex frate agostiniano Miles Coverdale,
traduttore del primo Antico Testamento in inglese, e lo stesso Thomas
Cranmer, dovettero o rifugiare all'estero o rivedere drasticamente le proprie
idee o perlomeno adottare un atteggiamento nicodemitico. Insomma alla sua
morte nel 1547, Enrico VIII lasciò sia i cattolici che i protestanti inglesi
del tutto insoddisfatti.
Edoardo VI (1547-1553) Il nuovo re
Edoardo VI, figlio di Jane Seymour (terza delle sei mogli di Enrico), aveva
solo nove anni, quando salì al trono d'Inghilterra e quindi il potere
effettivo era concentrato nelle mani del reggente e Lord Protettore, suo zio
Edward Seymour, duca di Somerset (1506-1552). Somerset era un buon amico di
Cranmer e un convinto assertore della Riforma, che riprese vigore: Latimer
poté nuovamente predicare, Hooper poté rientrare dall'esilio, la chiese
protestanti vennero addobbate secondo il loro credo, cioè senza immagini, la
Comunione veniva data sotto ambedue le forme e Cranmer poté far rientrare la
moglie. Nel 1549 venne pubblicato il Book of Common Prayer (il libro
delle preghiere), compilato su richiesta di Cranmer per semplificare i libri
di preghiere e di funzioni religiose in latino e risalenti al
periodo medioevale. Il suo utilizzo obbligatorio venne prescritto dall'Atto
di Uniformità del 1549 stesso. Però dal punto di vista dottrinale ne
risultò un miscuglio di idee diverse (cattoliche e luterane) e non
soddisfaceva nessuno: quindi, nel 1552, fu rivisto, tuttavia questa volta in
un senso fortemente riformato di tipo svizzero, con l'ausilio di Calvino in
persona, che scrisse a Edoardo VI e al conte di Somerset per aiutarli nella
revisione. Ma soprattutto grazie al nuovo Lord Protettore, John Dudley
(1502-1553), conte di Warwick e al vescovo di Londra Nicholas Ridley, diverse
personalità della Riforma svizzera zwingliano-calvinista furono chiamate in
Inghilterra e diedero il proprio contributo: Martin Bucero da Strasburgo,
l'italiano Pietro Martire Vermigli, professore ad Oxford, il polacco Jan
Laski. Anche nel caso di questa seconda versione, un apposito Atto di
Uniformità del 1552 ne prescrisse l'utilizzo con, in più, l'obbligo di
partecipare alle funzioni religiose e la condanna per imprigionamento per la
partecipazione a qualsiasi altra forma di riunione religiosa. Infine nel
1553 vennero pubblicati i 42 Articoli (The forty-two articles), la collezione
delle formule dottrinali anglicane, rimaste sulla carta per la morte del
re.
Maria Tudor (1553-1558) Infatti il 6 luglio 1553 Edoardo VI, a
soli 15 anni, morì di tubercolosi, e dopo l'infelice avventura di Lady Jane
Grey (1537-1554), cugina di Edoardo e regina per soli 9 giorni (poi
decapitata nel 1554), salì al trono la cattolica Maria Tudor, figlia di
quella Caterina d'Aragona, il cui ripudio aveva innestato lo scisma della
Chiesa d'Inghilterra. Inizialmente la regina impostò il suo regno sulla
tolleranza religiosa, ma nel contempo chiese ed ottenne, il 3 gennaio 1555,
dal parlamento inglese il ritorno all'obbedienza a Roma, ratificato dal
cardinale inglese Reginald Pole (1500-1558). Ironia della sorte, Pole, che
per poco non diventò papa nel 1549 (sarebbe bastato che avesse accettato
l'elezione per adorationem), fu perfino sospettato di eresia da parte del
Papa Paolo IV (1555-1559) per le sue idee moderatamente riformiste. Sul
piano personale, Maria aveva sposato nel 1554 suo cugino di secondo grado, il
figlio dell'imperatore Carlo V, Filippo di Spagna [il futuro Filippo II
(1556-1598)], undici anni più giovane di lei: fu una delle decisioni più
infelici del suo regno. Oltre all'impopolarità presso i suoi sudditi, Maria
soffrì il dramma personale perché non riuscì mai ad avere il tanto aspettato
erede. Forse per l'influenza dei consiglieri cattolici spagnoli o a causa
di manifestazioni protestanti anti-monarchiche o per i consigli del
Lord Cancelliere, l'arcivescovo di York Stephen Gardiner (1483-1555), Maria
si trasformò ben presto in una delle più feroci persecutrici della Riforma
in Inghilterra, tale da meritarsi il soprannome di Maria la Sanguinaria:
furono imprigionati e successivamente bruciati sul rogo Cranmer, Ridley,
Latimer e Hooper. Ridley e Latimer furono addirittura arsi sulla stessa
pira. Ma il boia non si fermò qui: in tutto tra 273 e 288 (a secondo delle
fonti) protestanti furono arsi sul rogo, più di 800 fuggirono (come
Coverdale) in Germania e Svizzera e 2.000 preti furono espulsi perché
sposati. Maria morì il 17 novembre 1558. Qualche ora più tardi morì il
cardinale Pole, il fautore del momentaneo riavvicinamento dell'Inghilterra
alla Chiesa cattolica.
Elisabetta I (1558-1603) Nel 1558 salì
sul trono d'Inghilterra Elisabetta,figlia di Anna Bolena: essa fu la vera
fondatrice della Chiesa Anglicana, una sintesi dottrinale tra liturgia
cattolica e dogmatismo calvinista. Il suo regno non incominciò certo nella
migliore maniera: i cattolici la consideravano un'usurpatrice e l'arcivescovo
di Canterbury, Nicholas Heath (m. 1578), si rifiutò perfino
di incoronarla. Tuttavia Elisabetta fu soprattutto una abile donna
politica e dissimulò con cura il suo credo religioso: non si dichiarò
ufficialmente protestante per non dare lo spunto ad una possibile grande
alleanza tra Spagna, Francia e Scozia, ma d'altronde adottò il
protestantesimo, senza usare i toni accesi dei predecessori. I suoi primi
passi furono improntati sulla diplomazia e compromesso: non si fece più
chiamare, come il padre Enrico VIII, capo supremo della Chiesa d'Inghilterra,
bensì più modestamente Governatore Supremo, pur negando l'autorità giuridica
del papa. Nel frattempo rese obbligatorio nel 1559, con un ennesimo Atto di
Uniformità, il Prayer Book, nella seconda versione di Edoardo VI, tuttavia
rivisto in senso cattolico. Eppure la rivolta degli alti prelati cattolici
era stata quasi totale: 15 vescovi, 12 decani, 15 direttori di collegi
religiosi e circa 200/300 preti rassegnarono le dimissioni o furono privati
del titolo. Nel 1559 fu eletto il nuovo arcivescovo di Canterbury, Matthew
Parker, un uomo moderato e conciliante, che aveva sofferto sotto Maria Tudor,
ideale per Elisabetta in quella posizione, ma per la sua investitura si
dovettero scomodare quattro ex prelati che erano stati vescovi nel periodo di
Edoardo VI, stante la situazione sopra descritta. I 42 articoli di Edoardo
VI (1553) (le formule dottrinali anglicane) diventarono nel 1571, sotto
Elisabetta I, i 39 articoli, compromesso fortemente voluto da Parker, tra
elementi cattolici, luterani e calvinisti. L'altro grande teologo del regno
elisabettiano fu Richard Hooker (1554-1600), spiritualista e apologista, che
scrisse il ponderoso Treatise on the laws of ecclesiastical polity (trattato
sulle leggi del governo ecclesiastico) a difesa della scelta episcopale nella
struttura della Chiesa d'Inghilterra. La reazione di Roma fu lenta: solo
nel 1570 il Papa Pio V (1566-1572) si decise a scomunicare Elisabetta e a
sciogliere gli inglesi dal dovere di obbedienza: errore gravissimo in un
paese che non aveva certo bisogno di alimentare il fuoco della polemica
anti-papale. Nel 1587, sotto la minaccia dell'invasione spagnola e in
seguito all'ennesima congiura per far cadere la regina e sostituirla con
Maria Stuarda (1542-1587), Elisabetta fece decapitare l'ex regina di
Scozia, fuggita in Inghilterra nel 1568, dove venne detenuta in cattività
fino alla sua esecuzione. La mossa aveva il preciso scopo politico di
togliere di mezzo una possibile protagonista (fra l'altro diretto successore
in linea gerarchica di Elisabetta) che potesse catalizzare le proteste dei
cattolici inglesi. La reazione dei spagnoli avvenne l'anno dopo, 1588, ma
la disfatta della loro flotta di invasione, la famosa Invincible Armada
(Invincibile Armata), mise l'Inghilterra al sicuro da ingerenze
esterne. Rimasero comunque i conflitti interni: ovviamente una politica
di compromesso non poteva certo piacere agli opposti estremi. Soprattutto
gli estremisti protestanti, i Puritani, benché rintuzzati spesso da Hooker,
dal 1570 in avanti attaccarono le apparenze esteriori (paramenti sfarzosi,
l'uso dei vescovi ecc.), secondo loro un retaggio papista, rendendo amari
gli ultimi anni per l'anziana regina, che si spense nel
1603.
Elcasaiti (o Elcesaiti o Elkasaiti) (1/2
1°secolo)
La setta giudeo-cristiana degli elcasaiti, a carattere
magico-astrologico, sorse intorno all'anno 100 in Giordania e fu fondata da
tale Elkesai (alcuni autori propendono per la grafia Elchasaí o Elkessaîoi o
Elkesaïtaí) di origine persiana. Gli E. avevano un loro libro sacro, il
Libro di Elkesai, che, come mormoni ante-litteram, essi credevano fosse stato
consegnato ad Elkesai da un angelo. Questo angelo era alto 154 chilometri e
largo 27, si proclamava Figlio di Dio ed era accompagnato da sua sorella
(sic!), lo Spirito Santo. Tutto ciò fu riportato da Alcibiade di Apamea
(Siria), un elcasaita, che diffuse la setta a Roma, portandovi il libro in
questione durante il pontificato di S. Callisto (217-222). Essi credevano
in un Dio creatore e avevano un concetto docetico della persona di Gesù, cioè
l'umanità e le sofferenze di Gesù Cristo erano più apparenti che
reali. Inoltre essi rifiutavano gli scritti di San Paolo e vaste parti
dell'Antico Testamento ed erano convinti che il battesimo potesse essere
praticato svariate volte come rito purificatore. La setta sopravvisse fino
alla fine del IV° secolo. Il famoso fondatore del manicheismo, il nobile
persiano Mani fu probabilmente in gioventù un elcasaita.
Elvidio
(scomunicato 390/392)
Elvidio, teologo e discepolo di Aussenzio,
vescovo ariano di Milano dal 355 al 374, entrò in contrasto con San Girolamo,
criticando i voti monastici femminili e affermando la superiorità del
matrimonio sul celibato. Per fare ciò, ribadì che anche Maria era vissuta con
Giuseppe e aveva avuto da lui dei figli, dopo la nascita verginale di Gesù
Cristo. Questo pensiero eretico fu caratteristico della setta degli
antimariani o antidicomarianiti e fu propagato anche da Bonoso di Sardica e
da Gioviniano di Roma. Il tutto venne contestato da San Girolamo nel suo
libro Adversus Helvidium ed E., assieme a Bonoso e Gioviniano venne
scomunicato tra il 390 ed il 392.
Helwys (o Elwes o Helwisse o
Helwas) Thomas (ca. 1550- ca.1616) e la Chiesa Battista
Generale
Le notizie su Thomas Helwys (il cognome viene riferito
anche come Elwes, Helwisse o Helwas) sono molto scarse: egli nacque da una
famiglia di proprietari terreni (il padre si chiamava William Helwys) a
Broxtowe Hall, nella contea inglese del Nottinghamshire, nel 1550 circa, e
ricevette una buona educazione al collegio Gray's Inn, a Londra. Non sono
note altre informazioni fino al 1606, quando H. decise di aderire ad una
congregazione separatista, fondata da John Smyth e John Robinson, nella valle
del fiume Trent, alla confluenza delle contee del Lincolnshire, Yorkshire e
Nottinghamshire. Facevano parte del gruppo William Brewster, Richard Clifton,
Hugh Bromhead, e William Bradford (1590-1657). Quest'ultimo sarebbe in
seguito diventato il governatore della colonia dei Padri Pellegrini a
Plymouth nel Massachusetts. A causa di divergenze interne (contrariamente a
Robinson, Smyth voleva tagliare ogni forma di amicizia con i puritani rimasti
nell'ambito della Chiesa Anglicana), il gruppo si spezzò in due tronconi,
anche per motivi geografici: H., Clifton e Bromhead rimasero con Smythe a
Gainsborough (nella contea del Lincolnshire), mentre gli altri, che vivevano
vicino a Scrooby (nella contea del Nottinghamshire), scelsero Robinson come
loro capo. Comunque ambedue i gruppi decisero di emigrare in Olanda nel 1608,
Robinson a Leida e Smyth ad Amsterdam. Ad Amsterdam Smyth rincontrò il suo
ex collega d'università Francis Johnson (1562-1618), che aveva fondato una
chiesa separatista in esilio, dopo aver scontato quattro anni di prigione,
fino al 1596, per aver stabilito precedentemente una simile chiesa a
Londra. Smyth litigò ben presto con Johnson per una serie di ragioni, ma
soprattutto a causa del rifiuto di Smyth verso il battesimo dei bambini, un
punto piuttosto originale per una chiesa protestante inglese. Ciò era
inizialmente derivato dal rifiuto di tutto quello che veniva celebrato dalla
Chiesa Anglicana, incluso il battesimo infantile e poi, secondo Smyth,
era fondamentale credere per poter essere battezzati, una
condizione evidentemente impossibile per bambini neonati. Ma questa presa di
posizione, a quel tempo, suscitò scalpore perché faceva immediatamente venire
alla mente gli anabattisti e le atrocità della dittatura di Münster del
1534-36, che avevano provocato tanti lutti e dolori in molte famiglie
olandesi. Comunque Smyth, H. e i loro seguaci decisero ugualmente di fondare
una seconda chiesa congregazionalista o separatista in Olanda nel 1609 e
di ribattezzarsi: dapprima Smyth battezzò se stesso, poi battezzò H. e
gli altri. Questo gesto di se-battesimo, come fu chiamato l'auto-battesimo
di Smyth, fu aspramente criticato da Clifton, alle cui obiezioni Smyth
rispose cercando l'adesione ad uno dei rami più importanti
dell'anabattismo mennonita olandese: quello dei waterlanders di Hans De
Ries. Tuttavia questa subitanea decisione fu contestata da H., il quale,
non volendo assimilare in toto la dottrina dei mennoniti, abbandonò la chiesa
di S., fondandone una nuova, sempre di tipo congregazionalista,
denominata successivamente Chiesa dei Battisti Generali, che scomunicò Smyth
e tagliò ogni relazione con lui entro il 1611. Nello stesso anno H. espose
le proprie idee nella sua Declaration of Faith (dichiarazione di fede),
accettando il convincimento di tipo calvinista che i credenti fossero
predestinati alla salvezza, ma respinse, d'altra parte, che i peccatori
fossero destinati alla dannazione: Dio avrebbe salvato chiunque avesse
accettato la Grazia da Lui donata agli uomini per essere da loro, secondo il
libero arbitrio, recepita o respinta. Questa tesi non era farina del sacco di
H., bensì proveniva dalle dottrine del noto teologo calvinista Jakob
Hermanzoon, detto Arminio, pubblicate nel 1610, ed in seguito condannate nel
sinodo calvinista di Dort del 1618-19. Inoltre, contrariamente a Smyth, H.
accettò il dogma del peccato originale, pur mantenendo la pratica del
battesimo degli adulti (per immersione). Infine H. prese le distanze dai
mennoniti, respingendo la loro idea che i cristiani non dovessero mai giurare
o ricoprire ruoli nella magistratura. L'anno successivo, H. decise, con un
atto molto coraggioso (secondo H. era meglio perdere la vita per Cristo nel
proprio paese che fuggire per le persecuzioni), di far rientrare in
Inghilterra il proprio gruppo nel 1612 e stabilirsi, nel vecchio ospedale di
Spitafield, un quartiere nella parte orientale di Londra. Nel 1612 H.
pubblicò il suo scritto A short declaration of the Mistery of Iniquity (una
breve dichiarazione sul mistero dell'iniquità), mandandone una copia al re
Giacomo I (1567-1625) in persona. In questo scritto H. attaccò temerariamente
la monarchia, che non doveva imporre leggi in spregio delle coscienze dei
sudditi, poiché, come lui stesso scrisse, Il re è un uomo mortale, e non Dio,
e perciò non ha alcun potere di fare leggi e ordinanze per le anime mortali
dei suoi sudditi e imporre dei capi spirituali sopra di essi. Il credo di
H. prevedeva la massima tolleranza, anche per eretici, turchi, ebrei o
chiunque altro, ma il re Giacomo I non era dello stesso avviso e fece
perseguitare la chiesa di H. Lo stesso fondatore venne imprigionato nel 1613,
assieme all'altro leader John Murton (1585-ca.1626), nel carcere di Newgate,
dove morì probabilmente entro il 1616.
Benché oggigiorno gli
studiosi di storia delle religioni propendono per una presenza di battisti
sul territorio inglesi anche prima della Chiesa dei Battisti Generali di H.,
quest'ultima, nondimeno, viene accettata come la prima organizzazione
battista operante in Inghilterra. Negli anni successivi la morte di H., i
suoi seguaci, denominati, come detto, battisti generali, si distingueranno,
per il rifiuto di compromessi con la Chiesa Anglicana, dal movimento dei
battisti particolari [nato da una scissione della congregazione
Jacob-Lathrop-Jessey fondata nel 1616 da Henry Jacob (1553-1624)] che invece
cercarono di mantenere qualche forma di contatto con l'establishment
anglicano. Il futuro fu meno roseo per i battisti generali, che declinarono
man mano venendo entro il XVIII e XIX secolo riassorbiti dai metodisti o
dagli unitariani (quest'ultima fusione avvenne nel 1815), mentre dai
battisti particolari discendono le chiese battiste attualmente esistenti,
molto diffuse soprattutto in Stati Uniti.
Unitarianismo (o
unitarismo o antitrinitarismo) (XVI - XVII secolo)
Termine
teologico per indicare la fede nell'unicità di Dio e nella contemporanea
negazione del dogma della Trinità. Ne consegue anche la negazione della
divinità di Cristo. L'unitarianismo è stato, a parte l'anabattismo, la terza
grande alternativa nella galassia protestante, oltre al luteranesimo e
allo zwinglianismo/calvinismo.
La storia La dottrina
dell'unitarianismo viene fatta tradizionalmente risalire agli inizi del
Cristianesimo, ed in particolare agli eretici del periodo intorno al Concilio
di Nicene (325), come Ario (infatti gli unitariani furono proprio chiamati
ariani dai loro detrattori), Paolo di Samosata, Noeto di Smirne, Prassea e
Sabellio. Nel medioevo il concetto antitrinitario non scomparì del tutto, ma
rimase nella filosofia di Abelardo e Roscellino. Venendo al periodo
rinascimentale, i primi studiosi ad aver espresso concetti antitrinitari
furono nel 1527 Martin Borrhaus (nome umanistico: Cellarius) (1499-1564),
amico di Martin Lutero, e il predicatore anabattista Ludwig Haetzer
(1500-1529), ma fu soprattutto la pubblicazione a Hagenau, in Alsazia, nel
1531, del famoso libro De trinitatis erroribus (Gli errori sulla Trinità) del
medico spagnolo Miguel Servet (Michele Serveto) a gettare nello scompiglio i
più famosi pensatori protestanti dell'epoca, da Lutero ("un libro
abominevolmente malvagio") a Melantone, Ecolampadio, Bucero. Quest'ultimo
tuonò dal proprio pulpito che l'autore avrebbe meritato di essere squartato!
E proprio in seguito alla pubblicazione di questo libro tutti i riformatori
dell'epoca decisero di rinforzare l'importanza dottrinale della Santa
Trinità. Dopo una vita tribolata da continue persecuzioni, Serveto finì i
suoi giorni, messo al rogo a Ginevra nel 1553 da un altro dei pensatori
riformisti, che più lo detestavano, Giovanni Calvino. Ma la morte di
Serveto fece levare moltissime voci di protesta, tra cui quelle dei
protestanti italiani Giovanni Valentino Gentile, Matteo Gribaldi Mofa,
Giorgio Biandrata e Giovanni Paolo Alciati della Motta, i quali
furono costretti ad emigrare da Ginevra, portando, pur con sfumature diverse,
i germi della dottrina antitrinitaria soprattutto dal 1560
nell'Europa orientale, cioè in Polonia, Moravia e
Transilvania.
Antitrinitari in Polonia Qui le dottrine
antitrinitarie non erano totalmente sconosciute, tant'è vero che già nel 1538
una anziana donna di 80 anni, Caterina Weygel (o Vogel), era stata bruciata
sul rogo a Cracovia per una sospetta eresia antitrinitaria. Ma sotto il regno
di Sigismondo II Augusto (1543-1572) si crearono le premesse per lo sviluppo
delle idee antitrinitarie in Polonia. L'antesignano fu Petrus Gonesius (Piotr
Z Goniazde), che aveva studiato a Padova nel 1552-54 con Gribaldi Mofa e da
lui era stato convertito. Già nel secondo sinodo della Chiesa Riformata
Polacca (fondata da Jan Laski) del 1556, Gonesius espresse forti concetti
antitrinitari, ma fu solo con l'arrivo di Giorgio Biandrata e di Lelio
Sozzini nel 1558 che la corrente unitariana trovò dei veri leader e formò una
comunità, soprattutto di esuli italiani, a Piñczòw vicino a
Cracovia. Tuttavia, poco dopo, ci fu per loro un durissimo colpo quando i
cattolici, rappresentati dal nunzio apostolico cardinale Giovanni Francesco
Commendone (1523-1584), convinsero il re Sigismondo II Augusto ad emettere
nell'agosto 1564 l'editto di Parczów, che stabiliva l'espulsione di tutti gli
stranieri non cattolici. Agli antitrinitari italiani, compreso il famoso
ex vicario generale dei Cappuccini, Bernardino Ochino appena giunto in
Polonia, non restò che emigrare in Moravia o in
Transilvania.
L'esilio in Moravia Il margraviato di Moravia, pur
facendo parte dei possedimenti assurgici, godeva di una ampia autonomia,
anche in campo religioso. Un esempio pratico fu l'accoglienza positiva
riservata per le comunità di anabattisti, guidati da Balthasar Hübmaier e
Jakob Hutter, perseguitati senza pietà in tutto il resto
dell'Europa. Austerlitz (Slavkov in ceco), in particolare, fu una città dove
fecero capo diverse correnti religiose dissidenti, compresi gli
antitrinitari: nel 1564, scacciati dalla Polonia in seguito all'editto di
Parczów, un gruppo di antitrinitari italiani, comprendente Niccolò Paruta
(che formò in seguito delle comunità denominate seminaria veritas), Gentile,
Alciati della Motta, Ochino, si recò nella città morava. Furono seguiti nei
successivi anni da altri dissidenti come Marcello Squarcialupi, Andrea
Dudith-Sbardellati e Niccolò Buccella, che man mano, con il miglioramento
della situazione polacca, decisero di rientrare in
Polonia.
Ripresa delle attività in Polonia Già dopo la dieta di
Piotrków della Chiesa Riformata Polacca del 1564 che decretò l'esclusione
degli antitrinitari, ci fu una separazione tra una ecclesia major calvinista
ed una ecclesia minor di fede antitrinitaria. Gli antitrinitari, in quel
periodo, si erano frazionati in quattro correnti, qui riassunti dal nome dei
capi-scuola: Stanislao Farnowski (Farnovius, m.1615): come Gonesio, i suoi
seguaci pensavano che Cristo era pre-esistito alla creazione del mondo e
quindi era giusto adorarlo, ma non adottavano la stessa venerazione per lo
Spirito Santo. Erano inoltre contrari al battesimo degli infanti. Nel 1568
il gruppo di Farnowski si separò dalla chiesa unitariana
polacca, concentrandosi in una zona a cavallo del confine con l'Ungheria.
La secessione durò circa 50 anni e, dopo la morte del loro leader, i
suoi seguaci vennero riassorbiti dagli unitari o dai calvinisti. Martin
Czechowic: egli era un ariano molto radicale: Cristo era un uomo come gli
altri, ma essendo nato senza peccato, fu divinizzato e era giusto adorarlo.
Prendendo, come Gonesio, dagli anabattisti, Czechowic si opponeva al
battesimo dei bambini, all'uso delle armi, al coinvolgimento in
incarichi pubblici e alla proprietà privata. Grzegorz Pawel: il gruppo di
Cracovia di Pawel negava sia la pre-esistenza di Cristo, sia la necessità di
adorarlo. Come Gonesio e Czechowic, Pawel aveva convinzioni anabattiste e in
più era un millenarista. Szymon Budny: per Budny Cristo era un uomo ed era
idolatria adorarlo. Venne scomunicato nonostante il suo vasto seguito in
Lituania. Un punto di svolta fondamentale per l'ecclesia minor fu l'arrivo in
Polonia nel 1579 di Fausto Sozzini, nipote di Lelio, che divenne ben presto
la guida di tutti gli antitrinitariani locali. Socini pose la sua
residenza a Cracovia, sebbene il centro di riferimento per l'unitarismo
polacco fosse la vicina cittadina di Raków, dove era stato fondato un
seminario di studi antitrinitari nel 1569 e dove, tra il 1603 ed il 1605,
sarebbe stato redatto il catechismo ufficiale della setta. Nello stesso
periodo Socini entrò nella polemica tra gli adoranti (al cui pensiero lui
aderiva) e i non-adoranti, come Ferenc Dàvid, Giacomo Paleologo, Jànos Sommer
e Andrea Dudith Sbardellati. (vedi capitolo "Antitrinitari in
Transilvania"). Socini, con il suo De Jesu Christi filii Dei natura sive
essentia, attaccò i non-adoranti come giudaizzanti, che volevano, tra
l'altro, santificare il sabato, secondo un uso sabbatariano, che si sarebbe
poi diffuso in Inghilterra, portatovi proprio dagli unitariani profughi dalla
Polonia. Il pensiero di Socini, fortemente razionale, accettava un solo Dio,
mentre Gesù Cristo era semplicemente un uomo crocefisso, il cui compito era
di rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così la
salvezza, seguendo il Suo esempio. Per lui la Sacra Scrittura, redatta da
uomini, non era indenne da errori, e l'uomo doveva basarsi sulla propria
etica per osservare i comandamenti e non era quindi necessaria la grazia
divina. Egli, inoltre, negava l'esistenza dell'inferno, il peccato originale,
la necessità dei sacramenti, la predestinazione. Un bel programma in un
secolo caratterizzato dal fanatismo religioso degli opposti
estremismi! Nel 1588 Socini riuscì nell'impresa di unire tutte le fazioni
unitariane al sinodo di Brest (in suo onore, da quel momento gli unitariani
si denominarono sociniani), ma negli anni successivi dovette fronteggiare
la reazione, anche di piazza, dei cattolici: nel 1591 il suo punto d'incontro
a Cracovia fu devastato dalla folla e nel 1598 Socini stesso fu
malmenato, scampando per poco ad un linciaggio. Egli morì nel 1604 e sulla
sua tomba vennero scritte queste significative parole: Crolli la superba
Babilonia: Lutero ne distrusse i tetti, Calvino le mura, Socini le
fondamenta. Pochi anni dopo, nel 1610, la potente organizzazione gesuita
sbarcò in Polonia decretando il rapido declino degli unitariani in Polonia:
nel 1611 fu bruciato sul rogo a Varsavia l'unitariano Jan Tyskiewicz, un
agiato cittadino di Bielsk, e nel 1638 i sociniani furono espulsi da Raków e
ne fu chiuso il seminario. Il colpo finale per l'unitarismo in Polonia fu
il bando di espulsione per tutti gli unitariani polacchi, deciso nel 1658 e
diventato esecutivo il 10 luglio 1660, che li costrinse o ad uniformarsi o ad
emigrare in altri paesi europei (in Olanda, dove la maggior parte si trasferì
aderendo alla Chiesa Arminiana dei rimostranti, in Germania, e in
Transilvania, dove però essi non aderirono alla Chiesa Unitariana
Transilvana, ma formarono una chiesa autonoma a Kolozsvàr estinguendosi nel
1793). L'ultima sacca di resistenza unitariana in Polonia si estinse nel 1811
e solo nel 1921 furono riaccettate le congregazioni unitariane nella
nazione rinata dopo secoli di dominazione straniera. Ma la successiva
occupazione nazista nel 1939 e l'instaurazione del comunismo ha fatto sì
che l'unitarianismo polacco potesse incominciare a muovere nuovamente
qualche timido passo solamente dopo la caduta del muro di Berlino, negli anni
'90 del XX secolo. L'attuale Chiesa unitariana in Polonia comprende solo
qualche centinaio di fedeli.
Antitrinitari in Transilvania Nel
1562 Giorgio Biandrata si recò in Transilvania, a Gyulafehérvár (Alba Julia),
dove fece la conoscenza e divenne amico di Ferenc Dàvid, vescovo della Chiesa
Riformata di Transilvania e cappellano personale del principe Giovanni II
Sigismondo Zapolya (1541-1571). Biandrata fece leggere a Dàvid una copia
della famosa Christianismi restitutio (La restaurazione del Cristianesimo) di
Miguel Serveto, convertendolo all'antitrinitarismo. Il successivo sinodo
nazionale a Gyulafehérvár del 1566 risultò un trionfo per gli antitrinitari,
sottolineato dalla pubblicazione del libro di Dàvid De vera et falsa unius
Dei, Filii et Spiritus Sanctii cognitione (Della falsa e vera conoscenza
dell'unità di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo), nel quale il riformatore
transilvano ridicolizzava la dottrina della Trinità e perorava la causa della
tolleranza religiosa per tutte le fedi. Questo discorso venne poi ripreso
durante la Dieta di Torda nel gennaio 1568, dove Giovanni II Sigismondo
Zapolya riconobbe la piena libertà a tutte le confessioni religiose: fu la
prima dichiarazione, al mondo, di tolleranza religiosa mai pronunciata da un
regnante. Oltre a questo, il re aderì apertamente all'unitarismo con molti
nobili della corte e Dàvid divenne il capo della Chiesa Unitariana di
Transilvania. Nel 1570 Dàvid entrò in contatto, e ne fu influenzato, con lo
studioso italo-greco Giacomo Paleologo e il suo discepolo locale, il rettore
del ginnasio di Kolozsvár, János Sommer (1540-1574). Paleologo polemizzava
con un altro famoso antitrinitario, Fausto Socini, a riguardo della figura
di Gesù Cristo, che, per il Socini, era un vero uomo crocefisso, il cui
compito era di rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così
la salvezza, seguendo il Suo esempio. Il Paleologo, invece, negava il ruolo
di guida del Cristo, per i fedeli verso la salvezza, e
rifiutava, conseguentemente, ogni forma di adorazione di Gesù Cristo. Per
questo, il Paleologo e i suoi seguaci, tra cui si associò anche Dàvid,
vennero denominati antitrinitari non-adoranti in contrapposizione al
pensiero sociniano di tipo adorante. Alla corrente non-adorante aderì anche
l'ex vescovo cattolico e ambasciatore (di madre italiana)
Andrea Dudith-Sbardellati. Purtroppo il momento magico per Dàvid finì solo
tre anni dopo, nel 1571 con la morte, a soli 31 anni, di Giovanni II
Sigismondo e la salita al trono del cattolico Stefano I Báthory (1571-1586),
che tolse a Dàvid l'incarico di cappellano personale del re e gli impedì di
pubblicare altri scritti. Nel 1579 i suoi nemici riuscirono a farlo arrestare
e imprigionare nella fortezza di Déva dove, a causa del clima rigido e del
fisico debilitato, Dàvid morì nel novembre dello stesso anno. La Chiesa
Unitariana di Transilvania, fondata da Dàvid, pur attraverso mille traversie,
spietate persecuzioni da parte degli Asburgo cattolici e feroci pogrom da
parte di fanatici ortodossi rumeni, esiste ancora oggi formata da 125 chiese,
sebbene divisa dal 1949 in un troncone in Ungheria (25.000 fedeli, ed uno di etnia
ungherese in Transilvania/Romania (circa 80.000 fedeli).
Sociniani
in Inghilterra Attraverso l'Olanda, che accolse molti esuli sociniani,
l'antitrinitarismo giunse in Inghilterra, dove il principale esponente fu
John Biddle, preside del liceo di Gloucester, che pubblicò, nel 1647, il
primo trattato dell'unitarismo inglese, Twelve arguments against the Deity of
the Holy Spirit (dodici ragioni contro la divinità dello Spirito Santo) a uso
privato per pochi amici, uno dei quali lo tradì, facendolo rinchiudere in
carcere nel 1645 per ordine dei magistrati di Gloucester. Nel 1646 Biddle
fu convocato a Londra per essere giudicato da una commissione di teologi, ma,
nell'attesa della sentenza, fu confinato in prigione a Westminster dove
rimase per vari motivi per i successivi 5 anni. Infatti, imprudentemente, nel
1647, Biddle fece pubblicare le sue Dodici ragioni, suscitando un putiferio:
a gran voce venne chiesta la sua condanna a morte, prevista anche dalla
recentemente approvata (nel 1648) legge Ordinance for punishing heresies and
blasphemies (ordinanza per punire eresie e blasfemie), ma nel 1652, grazie
alla Act of Oblivion (legge di oblio), egli poté finalmente uscire di
prigione. Una volta libero, Biddle fondò una piccola congregazione sociniana
a Londra, traducendo testi base dei sociniani (o unitariani) polacchi, come
il Catechismo di Racow (in Polonia), la prima dichiarazione dei
principi sociniani, ma soprattutto pubblicò nel 1654 la sua opera più
celebre, il Twofold Catechism (Catechismo doppio), dove in 24 capitoli egli
bandì tutte le espressioni e dottrine non originarie delle Scritture,
come transustanziazione, peccato originale, Dio fatto uomo, Madre di Dio
etc. Insomma non ci fu un solo punto della teologia dell'epoca che non
fosse rimesso in discussione da lui, sebbene utilizzasse l'astuta tecnica
delle domande aperte, senza mai precisare la propria fede. Nonostante ciò,
per ordine del parlamento, le copie del suo libro furono bruciate sul rogo e
lui stesso imprigionato nel carcere di Newgate, ma, per l'ennesima evoluzione
della turbolenta situazione politica inglese (era stato sciolto il
parlamento), fu liberato. Biddle continuò per tutta la vita a professare
attivamente le proprie idee e per questo venne più volte condannato al
confino e al carcere fino alla sua morte avvenuta nel 1662. Il principale
esponente dell'unitarismo inglese dopo Biddle fu Thomas Emlyn (1663-1741),
che fondò una congregazione unitariana a Londra nel 1705, ma va anche citata
l'attività del teologo neo-ariano Samuel Clarke con il suo trattato Scripture
Doctrine of the Trinity (Scrittura dottrina sulla Trinità), del 1712. In
seguito si affermò Joseph Priestley (1733-1804), che divise il suo tempo tra
la chimica (individuò, tra l'altro, la molecola dell'ossigeno) e
le predicazioni unitariane, e Theophilus Lindsey che nel 1774 fondò la
prima chiesa ufficiale di ispirazione sociniana a Londra. Nel 1791 un
gruppo di teppisti distrusse sia la casa che il laboratorio di Priestley, che
qualche anno dopo prese la decisione di emigrare in America, dove fondò una
chiesa unitariana in Pennsylvania. Nel frattempo, in Inghilterra si era
formata nel 1825 la British and Foreign Unitarian Association, che dovette
lottare contro le leggi britanniche varate per proibire agli unitariani di
accettare lasciti donati dai puritani, cosa che verrà aggiustata soltanto con
una nuova legge nel 1844. Nel 1840 avvenne una grave scissione nel movimento:
i "cristiani liberi" di James Martineau, convinti in una fede più intuitiva e
meno "razionale", si separarono fino al 1928, anno in cui le due anime
dell'unitarismo inglese si rifusero nella attuale General Assembly of
Unitarian and Free Christian Churches.
Unitariani
in America Come già detto, Joseph Priestley fu uno dei predicatori che aiutò
la diffusione dell'unitarismo negli Stati Uniti, dove la dottrina però
si sviluppò abbastanza lentamente: prendendo spunto dalle prediche
in Inghilterra di Priestley, due chiese di Boston, la West Church del
pastore Jonathan Mayhew (1720-1766) e la First Church del pastore Charles
Chauncy (1705-1787) divennero unitariane. Nel 1825 si formò la American
Unitarian Association, ma, come per la crisi degli unitariani inglesi del
1840, anche il pensiero unitariano americano fu fortemente scosso dalle idee
di William Ellery Channing, che inserì elementi pietisti e filantropici. Lo
scontro tre le due anime, mistica-pietistica da una parte e razionale
dall'altra, avrebbe caratterizzato la storia degli unitariani americani negli
anni seguenti: per esempio, nel 1865 la conferenza nazionale unitariana
adottò una piattaforma programmatica nettamente cristiana, provocando il
distacco della minoranza razionalista che fondò la Free Religious Association
(associazione religiosa libera).
L'unitarianismo odierno Venendo
ai giorni nostri, nel 1961 avvenne la svolta con la fusione degli unitariani
statunitensi con il movimento dell'universalismo, fondato dall'ex pastore
metodista John Murray, che credeva nella salvezza di tutti gli uomini e
negava la dannazione eterna. La fusione diede luogo alla American Unitarian
Universalist Association, poi solo Unitarian Universalist Association, che
conta oggi 502.000 aderenti. Nonostante la diffusione
relativamente bassa dell'unitarismo/universalismo, ben 5 presidenti degli
Stati Uniti hanno professato una fede unitariana e/o universalista: Thomas
Jefferson (che gli unitariani danno come loro seguace, anche se una sua
adesione ufficiale non c'è mai stata), John Adams, John Quincy Adams, Millard
Fillmore William Howard Taft. L'associazione, nella quale la corrente
razionalista ha oramai preso il sopravvento, è un movimento basato su
congregazioni autogestite senza una comune formula religiosa ufficiale,
retaggio della sua travagliata storia e dell'apporto di idee molto
diversificate e perfino contrastanti: si nota un interesse più nella libera
ricerca della verità. Infatti, da una statistica risulta che solo il 3% degli
aderenti considera Dio come un essere soprannaturale e il 40% come simbolo
dell'amore o di altri processi naturali. Inoltre 90% non crede nella
immortalità dell'anima e 64% ammette di non pregare mai o di farlo
raramente. In compenso, gli unitariani universalisti si sono sempre schierati
in battaglie civili contro la pena di morte, a favore del divorzio,
l'aborto, l'eutanasia, per il controllo delle nascite, per la riforma
carceraria, per l'educazione sessuale nelle scuole. L'associazione
mantiene contatti con simili organizzazioni in Inghilterra, Irlanda,
Filippine, Ungheria, Francia e Cecoslovacchia e fa parte della International
Association for (Liberal Christianity) and Religious Freedom (IARF), che
afferma di rappresentare 1.500.000 aderenti in 25
paesi.
Confraternita Rosa Croce (rosacrocianesimo o società dei
rosacrociani) (XVII secolo)
Premessa e paternità dei manifesti
rosacrociani Nel 1614 comparve a Cassel, in Germania, il manifesto base, dal
titolo Allgemeine und General Reformation der ganzen weiten Welt (Riforma
generale ed universale di tutto il mondo) di un misterioso movimento
mistico occultistico, denominato Confraternita Rosa Croce. Il documento
venne seguito l'anno successivo da un ulteriore manifesto dal titolo
Fama Fraternitas R. C. Ambedue gli scritti lanciavano un appello a tutti
gli studiosi di cabala e occultismo di concorrere a formare una società
segreta, che potesse aiutare la rinascita dell'umanità e all'epoca apparvero
come anonimi, ma la loro paternità come quella (certa) del successivo
libro alchemico, Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz, pubblicato nel
1616, venne attribuita al pastore luterano Johann Valentin Andreae, che,
secondo lo storico Paul Arnold, smentì di averli scritti ed anzi dichiarò,
in seguito, di aver concepito Le nozze chimiche per ridicolizzare un
diffuso interesse dell'epoca verso l'occultismo. Tuttavia altre
interpretazioni moderne propendono proprio per un diretto coinvolgimento di
Andreae, sebbene mediato da una stesura, a più mani, dei sopraccitati testi
concepita all'interno del cosiddetto Cerchio di Tubinga, un circolo
mistico-occultista di circa trenta aderenti, comprendenti, fra gli altri, lo
stesso Andreae, Tobias Hess (1558-1614), Johann Arndt, Wilhelm von Wense (m.
1641), Tobias Adami (m. 1643) e Christophe Besold (1577-1638), amico fraterno
di Andreae.
Definizione di rosacrociano Secondo Franz Hartmann, il
rosacrociano è "una persona che mediante il processo di risveglio spirituale,
ha ottenuto una conoscenza pratica del significato segreto della Rosa e della
Croce (..) Chiamare una persona rosacrociana non significa fare di lui un
rosacrociano. Il vero rosacrociano non può essere creato; egli deve crescere
per diventarlo mediante l'espansione del potere divino nel suo cuore". Le
idee dei rosacrociani nacquero da un immenso crogiolo nel quale
erano confluiti: il pensiero di Traiano Boccalini (1556-1613), autore di un
testo satirico chiamato Ragguagli di Parnasso, tradotto da Besold; le
visioni utopiche del filosofo domenicano Tommaso Campanella, i cui scritti
furono portati in Germania da Tobias Adami nel 1613; le profezie di
Gioacchino da Fiore; i mistici tedeschi del XIV secolo come Johannes Tauler e
Johannes Eckhart e scienze occulte come la cabala, l'alchimia e
l'ermetismo.
La leggenda di Christian Rosenkreuz (1378-1484) I
manifesti facevano quindi riferimento a questa misteriosa fratellanza,
di tipo occultistico, cabalistico, e teosofico, fondata da un nobile
tedesco, filosofo ed ex monaco, Christian Rosenkreuz, che sarebbe vissuto ben
106 anni tra il 1378 ed il 1484. Egli, viaggiando tra Damasco,
Cairo, Gerusalemme e Fez, sarebbe stato iniziato da alcuni sapienti arabi,
che erano stati in grado di rivelargli tutti i segreti della sua vita,
passata, presente e futura, e di guarirlo da una grave malattia con l'aiuto
della Pietra Filosofale. Al ritorno in Germania, egli avrebbe fondato, nel
1407, un ordine rosacrociano con tre, in seguito otto, confratelli e sarebbe
vissuto ancora 77 anni. La sua tomba sarebbe rimasta celata fino alla sua
riscoperta nel 1604, da cui l'aumentato interesse nei confronti del suo
ordine all'inizio del XVII secolo. Oggigiorno la tesi che Rosenkreuz sia
un personaggio storicamente esistito è la meno accreditata, perfino tra i
moderni rosacrociani. Altri autori propendono per l'ipotesi che il nome
copra, attraverso uno pseudonimo, un personaggio storico in vista, secondo
alcuni Francesco Bacone (1561-1626), secondo altri Cornelius Agrippa di
Nettesheim, oppure, più probabilmente, che tutta la vicenda vada letta in
senso strettamente allegorico.
Primi passi del
rosacrocianesimo Comunque il riferimento nei manifesti ad una supposta
società segreta provocò una grande eccitazione in tutta l'Europa (soprattutto
in Francia, Inghilterra, Austria e Paesi Bassi): famosi occultisti, come
l'inglese Robert Fludd (1574-1637) o il tedesco Michael Maier (1568-1622), o
perfino il grande filosofo francese René Descartes (Cartesio)(1586-1654),
chiesero pubblicamente di essere contattati dai misteriosi rosacrociani o,
meglio, affermarono addirittura di essere già entrati nella società. Un po'
ovunque sorsero gruppi auto-nominatisi rosacrociani, anche se poi nessuno
riuscì a trovare fisicamente i rosacrociani, per il semplice motivo che essi,
come società segreta strutturata, non esistevano proprio. Nel frattempo,
nel 1616, gli stessi autori (il precedentemente citato circolo di Tubinga),
spaventati dall'incredibile impatto dei loro manifesti e dalle reazioni
negative delle chiese ufficiali, decisero di non uscire allo scoperto e di
osservare il più rigoroso anonimato, abbandonando quindi alla riprovazione
pubblica Andreae, l'unico tra loro che aveva avuto il coraggio di firmare un
testo. E rapido arrivò il declino: già dal 1619 i principali
occultisti, interessati al movimento, iniziarono a dissociarsi e lo stesso
Andreae, indispettito per il voltafaccia dei suoi ex amici, pubblicò, tra il
1617 ed il 1618, l'Invitatio ad Fraternitatem Christi (Invito alla
Confraternita di Cristo), dove egli cercò di lanciare, in contrapposizione
al rosacrocianesimo, un movimento innovatore, una specie di "Città
Cristiana" (Christianopolis), una Nuova Gerusalemme posta direttamente sotto
la protezione di Dio. Nel 1628, dopo una pausa forzata a causa di un
periodo della Guerra dei Trent'anni (1618-1648), scrisse un nuovo manifesto
Verae unionis in Christo specimen, nel quale, attaccando Calvinisti,
Anabattisti, Schwenckfeldiani, e i suoi ex-amici rosacrociani, egli esortava
alla formazione di una Società Cristiana. L'ultimo episodio avvenne in
Olanda, quando il pittore e alchimista Johannes Symonsz van der Beeck (o
Beke) (nome umanistico: Torrentius) (1589-1644), venne imprigionato il 30
agosto 1627 e processato: lo sfortunato pittore era probabilmente solo un
libertino e gaudente, ma venne considerato il leader della Rosa Croce
olandese. Fu torturato e venne condannato come bestemmiatore e per aver
praticato l'alchimia, con un suo amico, tale Christiaen Coppens, addirittura
al rogo, pena poi trasformata in carcere per vent'anni. Per fortuna, grazie
al re d'Inghilterra Carlo I (1625-1649), suo ammiratore, Torrentius venne
rilasciato dalla prigione nel 1630 ed emigrò in Inghilterra, ritornando dopo
qualche anno in patria, dove morì ad Amsterdam nel 1644.
Rosa
croce e massoneria E proprio in Inghilterra la Rosa Croce non tramontò mai
definitivamente, ma i suoi ideali vennero inglobati nella nascente massoneria
speculativa. Tradizionalmente si considera l'elemento di passaggio tra queste
due scuole di pensiero il grande alchimista, antiquario e astrologo Elias
Ashmole (1617-1692), pubblico difensore della Rosa Croce nel 1650 e massone
dal 1646, sebbene in generale, intorno alla metà del XVII secolo, ci fu
un rifiorire di pubblicazioni rosacrociane, come la traduzione in inglese,
a cura di John Heydon (n. 1629), della Fama Fraternitatis nel 1652 o i
testi alchemici, di ispirazione rosacrociana, di Thomas Vaughan (1622-1665),
che scriveva sotto lo pseudonimo di Eugenius Philalethes. In seguito
l'influenza dei Rosa Croce fu rilevante sulla massoneria degli anni 1720-1730
e divenne parte degli alti gradi massonici: il 18° grado del rito scozzese si
denomina, per l'appunto, Principe di Rosa Croce. Verso il 1757 il tedesco
Hermann Fictuld (m. 1777) fondò la Confraternita della Rosa Croce d'Oro, ma
nei metodi e nei rituali, oramai questa era più un ordine massonico, che un
diretto discendente degli anni della Fama Fraternitatis. Nel 1866 il
funzionario della Grande Loggia d'Inghilterra, Robert Wentworth Little
(1840-1878) fondò la Societas Rosicruciana in Anglia, aperta ai soli massoni
cristiani trinitari ,
ma anche in Francia ci fu nel XIX secolo un rinnovato interesse per il
rosacrocianesimo, alimentato dai lavori dell'occultista Eliphas Levi
(1810-1875), che ispirarono la fondazione dell'Ordine Cabalistico della
Rosa-Croce nel 1887, voluta dagli occultisti Stanislas de Guaita (1861-1897),
Gérard Encausse, detto Papus (1865-1916) e Joséphin Péladan (1858-1918).
Quest'ultimo fondò poi, nel 1890, l'Ordine della Rosa-Croce Cattolica del
Tempio e del Graal.
I rosacrociani oggigiorno Oggi i principali
gruppi rosacrociani sono otto, derivati spesso da ambienti massonici o
teosofici americani e quasi tutti caratterizzati dall'offerta di corsi
(spesso per corrispondenza) di astrologia, occultismo ed esoterismo e dalla
stampa di un proprio periodico: 1. Fraternitas Rosae Crucis, la più antica
confraternita, fondata da Pascal Beverly Randolph (1825-1875) nel 1858, è
associata con la Church of Illumination (Chiesa dell'Illuminazione), che si
occupa dell'insegnamento esoterico del gruppo. La sede centrale è a
Quakertown, nella Pennsylvania. La denominazione legale riporta anche la
dicitura Beverly Hall Corporation. 2.
Societas Rosicruciana in Civitatibus Foederatis (S.R.I.C.F.), fondata
nel 1880 da un gruppo di massoni americani, che nel 1878 si erano fatti
iniziare dalla Societas Rosicruciana in Anglia in Inghilterra. Condizione
necessaria per l'adesione è, come per il gruppo inglese, essere massone
cristiano trinitaro. 3. Societas
Rosicruciana in America (S.R.I.A.), nata nel 1907 da una scissione della
precedente, quando alcuni membri espressero il desiderio di aprire
l'insegnamento rosacrociano ai profani (cioè ai non massoni). Collegato alla
società esiste anche il Seminario di Studi Biblici: infatti il forte
connotato cristiano mistico della società fu dato dal principale divulgatore,
George Winslow Plummer (1877-1944), che divenne vescovo della Chiesa
Ortodossa Americana nel 1934. 4. The Ancient and
Mystical Order Rosae Crucis (A.M.O.R.C.), il più diffuso e noto gruppo
rosacrociano fu fondato dall'occultista Harvey Spencer Lewis (1883-1939) nel
1915, dopo essere stato iniziato nel 1909 in Francia. Nonostante abbia
incorporato una chiesa rosacrociana (Pristine Church of the Rose Cross) negli
anni '20, la confraternita insiste sul suo aspetto laico con gradi e
ritualistica di forte sapore massonico. Negli anni '30 Lewis ha dotato la
sede centrale di San Jose (California) di una propria università, planetario,
biblioteca e museo egizio (Lewis era infatti convinto che l'ordine fosse
stato fondato dal faraone Tutmosis III nel 1450 a.C.). L'AMORC è presente in
diversi paesi e, nonostante diverse defezioni a favore di nuove e nascenti
organizzazioni rosacrociane, esso rimane il gruppo più numeroso (gli
organizzatori citano un numero di aderenti di 6 milioni, ma pare più
realistica la cifra di qualche centinaia di migliaia di adepti). In Italia
esso è presente con due logge (a Milano, sede centrale, e a Verona), ma anche
diversi altri punti organizzati, denominati capitoli e pronai. L'afflusso
agli incontri viene rinforzato dalla presenza di emigrati di colore,
originari dell'Africa, dove l'AMORC è particolarmente diffuso. 5. The Rosicrucian
Fellowship, fondato nel 1907 da Max Heindel, pseudonimo dell'aristocratico e
ingegnere tedesco-danese Carl Louis von Grasshoff (1865-1919), emigrato in
America nel 1903 e con la passione per l'occultismo. Heindel fu anche
iscritto alla Società Teosofica e allievo di Rudolf Steiner. La forte
impronta teosofica, religiosa e rituale venne da Heindel trasferita nel suo
gruppo rosacrociano, che è caratterizzata da un vivo interesse anche per
l'astrologia: la Fellowship, con sede a Oceanside (California), pubblica
tutti gli anni le effemeridi, indispensabili per i calcoli astrologici. E'
presente anche in Italia come Associazione Rosicruciana Oceanside (A.R.C.O.),
con sede a Vaprio d'Agogna (Novara). 6.
Rosicrucian Anthroposophic League, una scissione della precedente fatta da
S.R. Parchement con particolare rilievo alle tematiche antroposofiche
di Steiner. La sua sede a San Francisco. Non ha un sito web ufficiale. 7.
Lectorium Rosicrucianum, uno dei più popolari gruppi, fu fondato nel 1924 da
alcuni membri olandesi del Rosicrucian Fellowship, guidati da Jan
van Rijckenborgh, pseudonimo di Jan Leene (1896-1968), ma solo nel 1935 essi
si staccarono dall'obbedienza madre, formando un ordine, detto dei
Manichei. Dopo la seconda guerra mondiale, il gruppo assunse nel 1945 il nome
attuale di Lectorium Rosacrucianum. Il Lectorium, con sede americana a
Bakersfield (California), fa riferimento a correnti e tradizioni esoteriche,
mistiche cristiane (con particolare interesse per il pensiero di Jakob
Böhme), gnostiche dualistiche e catare, teosofiche, antroposofiche,
massoniche. Gli adepti praticano la dottrina della trasfigurazione (il
rinunciare a vivere secondo l'ordine stabilito dagli uomini per vivere,
attraverso un processo iniziatico, secondo quello divino) per evitare il
tormento delle continue reincarnazioni. Il gruppo è presente in Italia dal
1980 in 11 città e ha la sede principale a Dovadola, in provincia di Forlì.
8. Ausar Auset Society, fondata nel 1975 a New York da R.A.Straughn, noto
anche con il nome religioso di Ra Un Nefer Amen, un ex membro del Rosicrucian
Anthroposophic League, che ha particolarmente diffuso le sue idee occultiste
alla comunità nera americana, alla quale ha anche dedicato testi di
approfondimento sulla condizione sociale degli afro-americani.
Taziano
ed encratiti (120 - ca.175)
Taziano era un siriano convertito al
Cristianesimo da San Giustino martire (m. ca. 165) tra il 150 ed il
165. Nel 172, egli diventò il capo della setta degli encratiti, il cui
nome deriva dal greco èncrateis (continenza). Questa era una setta
gnostica, probabilmente influenzata dai sethiani, che riteneva Satana fosse
il figlio del Demiurgo, Ialdabaoth, creatore del mondo materiale, e che egli,
dopo la caduta, avesse, sotto forma di serpente, creato la vite (perciò gli
E. rifiutavano il vino), tentando Adamo ed Eva. Lo spirito buono doveva,
secondo gli E., essere liberato dal corpo malvagio e, perciò, per accelerare
questo processo, essi aborrivano il matrimonio, la procreazione ed il consumo
di carne.
Le opere T. scrisse un Discorso ai greci, un'opera in 42
capitoli, in cui attaccò il mondo pagano ed ellenistico, ed un Diatessaron,
tentativo di fusione dei 4 vangeli in un continuo narrativo, molto popolare
nei paesi di lingua siriaca fino al Medioevo, nonostante i tentativi del
Cristianesimo di sopprimerlo.
Francescani spirituali e fraticelli
(XIII - XIV secolo)
La storia dei spirituali Già poco dopo la
morte di San Francesco di Assisi (1181/2-1126), l'ordine dei francescani,
governato dall'ambizioso Elia da Cortona, si era già diviso in due filoni
principali: I conventuali o relaxati, il cui intento era di operare una
parziale revisione in senso mitigatore della Regola dell'ordine. Gli
spirituali o zeloti o zelanti, che osservavano alla lettera la Regola ed il
Testamento del Santo, desiderando mantenere l'originale stile di vita, basato
sulla povertà e rinuncia di ogni privilegio, predicato da Francesco. Inoltre
essi aderivano entusiasticamente alle idee e teorie del mistico calabrese
Gioacchino da Fiore, arrivando ad identificare la sua "Chiesa Spirituale"
(Ecclesia Spiritualis), con l'ordine francescano. Elia da Cortona, generale
dell'ordine nel periodo 1221-1227 e 1232-1239, perseguì per ben 4 volte, non
riuscendo comunque a impedirne la diffusione, il movimento degli spirituali,
i quali, a loro volta, erano riusciti nell'intento di farlo sfiduciare una
prima volta nel Maggio 1227. Il movimento degli S. ebbe una particolare
popolarità in tre zone geografiche: Nelle Marche ed in Umbria, dove si
sviluppò dal 1274 sotto il comando di Liberato da Macerata e successivamente,
dal 1307, di Angelo Clareno da Cingoli. Nel 1294 il Papa (San) Celestino V
(1294) permise loro di sottrarsi al controllo dei conventuali, denominandoli
Poveri Eremiti, ma il periodo di fortuna durò pochissimo: già Papa Bonifacio
VIII (1294-1303) tolse ogni loro privilegio e nel 1317 furono scomunicati da
Papa Giovanni XXII (1316-1334), il grande nemico del movimento e per gli S.
la perfetta impersonificazione dell'Anticristo. Più tardi essi costituirono
la base del movimento dei Fraticelli. Nella Francia meridionale, comandati
da Pietro di Giovanni (Pierre Jean) Olivi fino al 1298, essi furono
perseguitati dai conventuali. Successivamente, per intercessione del medico
spagnolo Arnaldo di Villanova (o di Villanueva) presso il re di Napoli Carlo
II d'Angiò (o forse suo figlio Roberto) e presso il Papa Clemente V
(1305-1314), si cercò una intermediazione tra il generale dell'ordine,
Gundisalvo di Valleboa e i capi S., Raymond Gaufredi, Guy de Mirepoix,
Bartolomeo Sicardi e Ubertino da Casale. Si ottennero alcune concessioni, ma
alla morte di Clemente nel 1314 ed alla successiva elezione nel 1316 proprio
del mortale nemico Giovanni XXII, la situazione precipitò: il papa fece
imprigionare i capi del movimento e torturare 25 S. da parte
dell'Inquisizione. Quattro di essi, che non riconobbero l'autorità papale sul
movimento, furono bruciati sul rogo nel 1318. In Toscana i S. apparvero
nel 1309, ma solo verso il 1312 la tensione nella regione tra conventuali e
S. arrivò ai massimi livelli e una cinquantina di essi decise di emigrare in
Sicilia, dove furono raggiunti da altri in fuga da altre regioni d'Italia e
dalla Francia meridionale. Il movimento si riorganizzò sotto le direttive di
Enrico di Ceva ed il re aragonese Federico III di Sicilia (1296-1337) approvò
il loro statuto, nonostante il solito Giovanni XXII li scomunicasse nel 1318
con la bolla Gloriosam ecclesiam. Furono successivamente espulsi dalla
Sicilia trovando rifugio a Napoli sotto la protezione del re Roberto d'Angiò:
i decreti e ammonimenti di Giovanni XXII si susseguirono ossessionanti nel
1322, 1325, 1327, 1329, 1330 e 1331, ma entro quest'ultima data essi erano
già confluiti nel movimento dei Michelisti di Michele da Cesena. Gli S.
che rimasero fedeli al Papa confluirono nell'ordine degli Osservanti, ma
dovettero attendere ben fino al 1517, quando Papa Leone X (1513-1521) separò
quest'ultimo ordine da quello dei conventuali e lo dichiarò il vero Ordine di
San Francesco. Nel 1897 essi furono incorporati nell'ordine dei Frati
Minori.
La storia dei fraticelli Come si è detto precedentemente,
i Fratelli della Vita Povera (o fraticelli, secondo la sprezzante definizione
di Papa Giovanni XXII) derivarono dal movimento degli spirituali delle Marche
e dell'Umbria, con a capo Angelo Clareno da Cingoli. Dal 1318, dopo la
scomunica papale del 1317, essi si organizzarono come un ordine francescano
indipendente e contestarono la legittimità dell'autorità papale di Giovanni
XXII. Il Papa reagì facendo bruciare sul rogo 4 fraticelli a Marsiglia nel
1318, ma non riuscì mai a mettere le mani su Clareno: il capo dei fraticelli
morì, in odore di santità, il 15 Giugno 1337, tre anni dopo la morte del Papa
stesso, avvenuta nel 1334. Dopo la morte del loro fondatore, i fraticelli
diventarono alquanto influenti in varie città, tra cui Firenze, dove tuttavia
nel 1381 essi subirono un ordine di espulsione: quest'ultimo creò un clima di
persecuzione nella città e portò alla condanna al rogo di Fra Michele Berti
da Calci nel 1389. Come già detto precedentemente, molti spirituali
confluirono nel movimento dei Fraticelli della opinione o micheliti di
Michele da Cesena, ex generale dell'ordine francescano, il quale nel 1322
aveva convocato il Capitolo Generale dell'ordine per emettere un
pronunciamento a favore dell'assoluta povertà di Gesù Cristo e degli
apostoli. Questo pronunciamento fu avvallato dai ministri provinciali
dell'ordine di Inghilterra, Aquitania, Francia del nord e Germania
meridionale, ma fece infuriare il solito Giovanni XXII, che nel 1323 con la
bolla Cum inter nonnullos dichiarò eretica l'affermazione della povertà di
Gesù e degli apostoli (sic!). Nel 1327 Michele fu convocato dal papa ad
Avignone, dove fu violentemente ripreso per questo pronunciamento del
Capitolo, ma da dove, nel 1328, temendo il peggio, fuggì via mare per mezzo
di una galea inviata da Ludovico il Bavaro. I fraticelli, successivamente,
si inserirono nella lotta per l'investitura dell'imperatore tra Giovanni XXII
e Ludovico il Bavaro e Michele si schierò con i ghibellini, entrando a Roma
al seguito di Ludovico in compagnia di Guglielmo di Occam, Jean de Jandun,
Marsilio da Padova e Ubertino da Casale. Nello stesso 1328 Giovanni XXII
scomunicò Michele e lo dichiarò decaduto come generale dell'ordine: da questa
data prese avvio il movimento dei michelisti. Nei successivi cento anni la
lotta dei fraticelli contro il papato ebbe momenti di gloria e di
persecuzione (per esempio, la morte sul rogo di Fra Francesco da Pistoia nel
1337 semplicemente per aver ribadito il pronunciamento del Capitolo) fino
alla energica campagna organizzata da Papa Martino V
(1417-1431). Quest'ultimo, in pieno marasma per la lotta contro i due
antipapi Clemente VIII e Benedetto XIV, trovò comunque il tempo di ordinare
nel 1427-1428 una azione repressiva a Spoleto e ad Ancona, che portò alla
distruzione di 36 villaggi dei fraticelli ed alla condanna al rogo di alcuni
di essi, sentenza eseguita a Fabriano in presenza del papa
stesso. L'ultimo processo a carico dei fraticelli avvenne nel 1466 con la
condanna all'ergastolo di 15 religiosi.
Enrico di Losanna (o di
Tolosa o di Le Mans o Enrico il monaco) (att. 1° ½ XII
secolo)
Se sulla vita di Pietro di Bruis, suo precursore, si
sanno poche notizie, se ne conoscono ancora meno su questo ex monaco diacono
dell'ordine di Cluny. Anche per questo egli viene citato spesso con i vari
nomi delle città dove predicò, come si può notare nel titolo. Nel 1116,
dopo aver lasciato il convento, Enrico iniziò la sua carriera nella città di
Le Mans, nel nord della Francia, dove, ottenuto il permesso di predicare in
pubblico da parte del vescovo Ildeberto di Lavardin (1056-1133), riuscì a
creare, con le sue prediche contro la corruzione del clero, un tale
insurrezione da parte del popolo, da obbligare lo stesso vescovo a
scacciarlo, con fatica, dalla città. E. proseguì allora come predicatore
errante per tutta la Francia (Poitiers, Bordeaux) e in quegli anni incontrò
colui che avrebbe influenzato il suo pensiero: Pietro di Bruis. Come Pietro,
E. rifiutava il battesimo dei bambini e quindi il peccato originale,
considerato un problema solo di Adamo ed Eva, e non di tutta l'umanità.
Sempre, come il suo maestro, E. contestò anche gli altri sacramenti, i riti,
come la messa, il ruolo dei preti e del clero, le ricchezze dei
vescovi. Egli credeva nella predestinazione, per cui i morti erano
immediatamente salvati o dannati, indipendentemente dalle preghiere e dalle
messe di suffragio, ma anche dai meriti acquisiti in vita, come credeva
invece Pietro di Bruis. Inoltre rispetto a quest'ultimo, E. non attuò mai
quella sistematica distruzione delle croci, né rifiutò parti del Vecchio e
Nuovo Testamento, fatto che contraddistinse i petrobrusiani. Nel 1134, E.
fu arrestato su ordine dell'arcivescovo di Arles ed inviato al sinodo di
Pisa, dove abiurò le sue credenze ed accettò di ritornare in monastero a
Citeaux. Invece, una volta tornato in Francia, E. si guardò bene di recarsi
nel monastero e riprese la predicazione, in particolare nella zona di
Tolosa, appoggiato da Ildefonso, conte di Saint-Gilles. Preoccupati, le
autorità religiosi locali chiamarono in soccorso San Bernardo nel 1145, che
recatosi in Linguadoca si rese conto dell'enorme diffusione di dottrine
eretiche, sia portate da E. stesso, che dai catari. Ildefonso fu convinto
da Bernardo e dal legato pontificio Alberico di Beauvais a non appoggiare più
E., che fu infine catturato e di lui non si seppe più nulla: si suppone che
sia morto da lì a poco. I suoi seguaci, denominati enriciani sopravvissero
fino al 1152 ca.
Messaliani o euchiti o adelfiani o lampeziani o
entusiasti ed eufemiti (IV secolo)
Una setta eretica del IV
secolo, che credeva che, in seguito al peccato originale di Adamo, ognuno
avesse un demone unito alla propria anima e che esso non fosse stato espulso
con il battesimo: l'unica maniera di espellerlo era la continua ed incessante
preghiera con lo scopo di eliminare ogni passione e desiderio. Il nome
messaliani, infatti, deriva dall'aramaico mètzalin, cioè preganti e la stessa
etimologia aveva la versione greca del loro nome, euchiti
da euchetai. Comparvero intorno al 360 in Mesopotamia, come setta fondata
da un certo Adelfio (da cui il nome adelfiani), espulso da Antiochia nel 376
dal vescovo Flaviano e autore del testo base della setta, Asceticus. Una
ulteriore condanna fu loro inflitta dal sinodo di Side del 390 ca. e
dal concilio di Efeso del 431(dove venne condannato il loro libro
Asceticus). Eppure la setta continuò ad esistere: alla metà del V secolo, il
loro capo era il prete Lampezio (da cui un ennesima versione del loro nome),
il quale scrisse un loro nuovo testo, chiamato Il testamento. In Armenia la
setta, pur combattuta anche dalla Chiesa Nestoriana, continuò a prosperare
fino al IX secolo. I m. influenzarono alcune eresie medievali come i
pauliciani, i bogomili e i fratelli del Libero Spirito. Essi, come si
diceva, praticavano la preghiera incessante e la danza estatica, durante le
quali erano posseduti dallo Spirito Santo (da cui, letteralmente, il nome di
entusiasti, cioè "posseduti da Dio"), si rifiutavano di lavorare, vivendo
nelle piazze e vagando da una città all'altra e prendendo, secondo loro, ad
esempio la vita itinerante di Gesù e gli apostoli. Essi, inoltre,
consideravano inutili i sacramenti e la mediazione della Chiesa. Secondo
Sant'Epifanio, esisteva, inoltre, un'altra setta molto simile, non cristiana,
ma che adorava un unico Dio onnipotente. I seguaci di questa setta erano
chiamati anche eufemiti e furono considerati i precursori dei messaliani, con
i quali vennero spesso confusi.
Eon (Eudes) de l'Etoile (Eudo de
Stella) (m. ca. 1148)
Eudes de l'Etoile fece parte di quella
schiera di predicatori itineranti, come Pietro di Bruis, Tanchelmo di
Brabante o Enrico di Losanna, in conflitto con la Chiesa Cattolica, alla
quale rimproveravano il sempre maggiore allontanamento dalle necessità dei
più deboli, unito ad una mancanza di carità veramente poco apostolica. E.
era un nobile bretone del XII secolo, il quale aveva ricevuto in sogno una
rivelazione, dove venne nominato Giudice del Mondo e gli venne intimato di
cambiare il nome in Eon. Iniziò dunque nel 1145 la sua predicazione, dapprima
pacifica, nella foresta di Brécilien e tale fu il successo che organizzò una
sua setta, al capo del quale si pose come un profeta, incarnazione dello
Spirito Santo e nominò i suoi collaboratori più stretti con appellativi come
Saggezza e Giudizio. Ma il periodo di predicazione di E. coincise con un
tremendo momento di carestia in Bretagna ed in Guascogna: E. ne approfittò
per sottolineare l'indifferenza verso la sorte dei poveri, purtroppo una
caratteristica diffusa, dei ricchi monaci e chierici. Egli quindi fece
salire il tono aggressivo delle sue prediche per incitare le masse
diseredate, che lo seguivano, ad assaltare i granai del clero ed
a saccheggiare chiese e monasteri. Ovviamente la reazione fu severissima e
l'arcivescovo di Rouen, Ugo di Amiens (vescovo: 1130-1174) fece catturare nel
1148 il profeta, tradotto poi in catene per essere giudicato davanti ad un
sinodo a Reims, presieduto nientedimeno che da Papa Eugenio III (1145-1153),
il quale risiedeva momentaneamente in Francia, a causa del conflitto con
Arnaldo da Brescia, che gli impediva il rientro a Roma. Al sinodo E.
insistette nel suo ruolo di secondo Spirito Santo, dichiarando di essere
"colui che veniva per giudicare i vivi e i morti ed il mondo con il
fuoco". I giudici lo considerarono totalmente infermo di mente e lo
fecero imprigionare a vita a pane e acqua: E. ne morì poco dopo,
probabilmente nello stesso anno: secondo i cronisti cattolici dell'epoca,
poco prima di morire si riconciliò con la Chiesa. I suoi seguaci, invece,
che vennero (per loro sfortuna) giudicati sani di mente, furono
immediatamente bruciati sul rogo.
Epifane (o Epifanio) (II
secolo)
Figlio del caposcuola gnostico Carpocrate e continuatore
della sua setta. Nella lettera da E. scritta e giunta fino a noi, egli
dichiarò che Dio aveva voluto scherzare, stabilendo il precetto di non
desiderare la donna o la roba altrui. Infatti, se era stato Dio stesso a
creare il desiderio sessuale, il Suo vero messaggio, secondo E., era di
spartire tutto con tutti, cioè il libertinaggio più spinto. Secondo alcuni
eresiologi, E. morì all'età di soli 17 anni, consumato dai vizi. Alcuni
studiosi moderni, tuttavia, propendono per la tesi che in realtà E. non sia
mai esistito, ma che sia stato un mito creato dai carpocraziani, che in suo
onore avevano fatto erigere un tempio sull'isola di Samo.
Epigono
(inizio III secolo)
Epigono fu un seguace di Noeto di Smirne,
caposcuola del monarchianismo modalista e, più del suo stesso maestro, egli
negò l'importanza del ruolo del Figlio nella Trinità. Si recò a Roma
all'inizio del III secolo, dove fu accolto benevolmente dai Papi Vittore I e
Zefirino, i quali vedevano in lui un alleato nella lotta contro il
montanismo, imperante in quel periodo.
Eracleone (maestro gnostico)
(attivo 145-180) ed Eracleoniti
Eracleone fu un maestro gnostico
della scuola italiana dei Valentiniani e fondatore della scuola degli
Eracleoniti.
Il pensiero Secondo la filosofia di E., riprendendo
un concetto di Valentino, gli uomini sono terreni, in quanto discendenti di
Adamo, mentre la natura psichica viene data dal Demiurgo solo ad alcuni
uomini terreni e quella spirituale viene donata da Sophia solo ad alcuni
psichici. E. distingueva tre periodi nelle sacre scritture, corrispondenti a
queste tre fasi dell'uomo: periodo ilico (o terreno) nel V.T. da Adamo a
Mosè, periodo psichico, da Mosè da Cristo, periodo spirituale (o
pneumatico) nel N.T.
Le opere E. scrisse un commentario ai Vangeli
di Giovanni e di Luca e alcuni autori attribuiscono a lui il Tractatus
tripartitus (Trattato sulle tre nature: spirituale, terrena e psichica),
ritrovato a Nag Hammadi, sebbene la maggior parte dei critici attribuisca
questo trattato a Valentino.
Erasmo da Rotterdam (Erasmus Desiderius
o Geer o Geertsz) (ca. 1466-1536)
La vita Erasmo, famosissimo
umanista olandese, nacque a Rotterdam il 28 Ottobre 1466 (o forse 1469) come
figlio illegittimo di Gerard di Gouda e Margaretha Rogers. Essendo diventato
orfano ancora adolescente, fu accolto in un monastero agostiniano vicino a
Gouda, diventando un canonico regolare pur non avendo alcuna vocazione
religiosa. Tuttavia questa sua scelta gli permise perlomeno di coltivare con
relativa tranquillità lo studio dei classici. Nel 1492 E. fu ordinato
prete dal vescovo di Cambrai, che lo inviò a Parigi nel 1496 a completare i
propri studi. Nel 1499 E. viaggiò in Inghilterra, dove conobbe a Oxford John
Colet (1467-1519), Tommaso Moro (1478-1535) e Hugh Latimer, in seguito suoi
amici fraterni e grandi influenzatori del suo pensiero. Nel 1506, grazie
al generoso aiuto dei suoi amici inglesi, E. poté viaggiare in Italia, a
Torino dove ottenne il titolo di dottore in divinità (cioè in teologia), a
Bologna, a Padova, a Venezia dove divenne amico del famoso stampatore Aldo
Manunzio (1449-1515), e a Roma dove gli furono offerti titoli ecclesiastici
che peraltro rifiutò. Nel 1509, ritornando dall'Italia verso l'Inghilterra,
E. scrisse la sua più famoso satira: Elogio della follia (Encomium
moriae). Rimase in Inghilterra fino al 1514, quando si fu invitato a recarsi
nella regione del Brabante (parte allora dei Paesi Bassi spagnoli), dove
divenne consigliere del futuro imperatore Carlo V (1519-1558 come
imperatore). Quest'ultimo, il quale pensò perfino di nominarlo vescovo, lo
sollevò dagli obblighi di portare la tonaca del suo ordine. Nella diatriba
tra Riforma e Chiesa Cattolica che seguì in quegli anni E. cercò di
mantenersi il più neutrale possibile, tuttavia nel 1521 egli decise di
stabilirsi a Basilea, ospite dello stampatore Johann Froben (1460-1527), per
sottrarsi alle polemiche contro di lui che stavano prendendo corpo
nella Germania sempre più schierata con Lutero. Mantenne comunque
un'equidistanza anche dalla Chiesa Cattolica, rifiutando ogni incarico
ufficiale, che il suo concittadino Adriaan Florensz, diventato Papa Adriano
VI (1522-1523) voleva affidargli. Solamente nel 1529, quando l'ondata
protestante raggiunse Basilea, E. emigrò a Friburgo in Brisgovia, città
cattolica non molto lontana da Basilea stessa. Rientrò a Basilea nel 1535, ma
l'anno successivo accettò l'invito della reggente dei Paesi Bassi, Maria, a
vivere in Brabante. Tuttavia, durante i preparativi per la partenza, E. morì
l'11 Luglio della stesso 1536, per un attacco di dissenteria e fu sepolto
nella basilica evangelica (luterana) di Basilea.
Le opere La
vastissima produzione letteraria di E. comprende, tra l'altro: Adagia
(raccolta di detti e proverbi greci e latini) (1500) Enchiridion militis
cristiani (1502) Encomium moriae (Elogio della follia) (1509) Institutio
principis christiani (1516) Note e traduzione in latino del Novum
Instrumentum omne (Nuovo Testamento) (1516) Parafrasi sul Nuovo Testamento
(1517) Colloquia Familiaria (1518) Diatribe de libero arbitrio
(1524) De sarcienda Ecclesiae concordia (1533) Ecclesiastes sive
Concionator evangelicus (1535) Svariate edizioni dedicate alle opere di
Santi, come Girolamo, Ilario di Poitiers, Ireneo, Ambrogio, Agostino,
Epifanio, Crisostomo, e pensatori cristiani, come Origene. Vari trattati
pedagogici e teologici.
Il pensiero E. fu un vero umanista
cristiano dotto e pacifista: egli tentò una riforma della chiesa
dall'interno, ma finì, suo malgrado, in mezzo alla lotta tra Cattolicesimo e
Protestantesimo: del resto erano momenti in cui il sensibile e cauto umanista
olandese doveva sentirsi inevitabilmente a disagio di fronte a posizioni
radicali, da una parte e dall'altra, intrisi di slogan estremisti e violenza
non solo verbale. Dalla parte cattolica egli fu ingiustamente considerato il
precursore del Protestantesimo, soprattutto in seguito alle sue violente
satire contro la vita monacale e la corruzione della Chiesa. Tuttavia,
anche dalla parte Protestante fu criticato, per non aver preso posizione a
favore della Riforma, anzi per essere entrato direttamente in polemica con
Lutero a proposito del libero arbitrio, sul quale E. scrisse un lavoro nel
1524. Eppure E. condivideva molti punti con i riformatori, come una lettura
più letterale, e non solo allegorica, delle Scritture, considerate come
unico riferimento in contrasto con le speculazioni ed interpretazioni del
pensiero scolastico. Anche E. era contrario al traffico di indulgenze e
pellegrinaggi e alla mondanizzazione degli ordini monastici e della Chiesa
stessa, sempre più burocratica e prevaricatrice, ben lontana dalla vera
"Chiesa degli apostoli". Per tutti questi punti, E. avrebbe potuto essere
processato svariate volte dall'Inquisizione, ma l'amicizia di imperatori come
Carlo V e papi come Adriano VI lo mise sempre al riparo da guai più
seri. D'altra parte E. mantenne sempre una certa distanza da Lutero,
aborrendo il fanatismo di quest'ultimo e precisando ove necessario la sua
indipendenza di pensiero, soprattutto nella dottrina del libero arbitrio
contrapposto al "servo arbitrio" di Lutero, che negava all'uomo, secondo E.,
la libertà di collaborare per la propria redenzione.
Un papa
erasminiano mancato Alla fine del 1549 ci fu un momento storico che avrebbe
potuto essere il più esaltante per il pensiero di E., ma che fu invece il più
deludente : alla morte di Papa Paolo III (1534-1549), il più erasminiano dei
cardinali, l'inglese Reginald Pole, in testa nelle votazioni del conclave,
avrebbe potuto semplicemente accettare l'elezione a Papa per adorationem, ma
..... tacque, permettendo l'elezione del gaudente Giulio III (1550-1555),
ma soprattutto spianando la strada all'elezione, 6 anni dopo, al
famigerato, fanatico e violento cardinale Gian Pietro Carafa, il quale
divenne Papa Paolo IV (1555-1559) e fu così contrario a qualsiasi dialogo con
i protestanti da permettere finalmente a questi ultimi di superare le
proprie divisioni interne.
Erastus (o Lüber o Lieber o Liebler),
Thomas (1524-1588) e Erastianismo
La vita Thomas Lüber (nome
umanistico Erastus) nacque il 7 settembre 1524 a Baden, nel cantone Aargau in
Svizzera, da una povera famiglia di artigiani. Nel 1540 E. fu mandato, a
spese di uno sconosciuto mecenate, a studiare teologia a Basilea, ma a causa
di una epidemia di peste nel 1544, egli decise di trasferirsi a studiare
filosofia e medicina a Bologna, dove si laureò in medicina nel 1552, e
successivamente a Padova. Nel 1555 E. fu assunto, da parte di Guglielmo IV,
Conte di Henneberg (1478-1559), come medico di corte, ruolo che dal 1558
ricoprì, oltre a quello di professore di medicina all'università di
Heidelberg, anche presso il principe elettore del Palatinato, Otto Heinrich
(regnante: 1556-1559). Nel 1559, alla morte di Otto Heinrich, il successore
Frederick III Palatino, detto il Pio (regnante: 1559-1576) nominò E. membro
del Consiglio della Corona, Rettore dell'università e membro del Concistoro
della Chiesa. Tuttavia Frederick fu anche il primo principe tedesco ad
accettare il calvinismo nel 1563, nonostante la strenua resistenza di E., che
invece parteggiava per una riforma di tipo zwingliano. E. difese senza
successo la dottrina della Cena del Signore di Zwingli nelle conferenze di
Heidelberg (la capitale del Palatinato) del 1560 e Maulbronn del 1564, ma fu
perfino scomunicato in quella di Heidelberg, sebbene la scomunica venne
revocata l'anno successivo. Egli difese inoltre le sue idee per iscritto nel
1565, rispondendo al teologo luterano di Strasburgo Johann Marbach
(1521-1581). Nel 1570 Frederick III Palatino, con l'aiuto del teologo
calvinista Caspar Olevianus (1536-1587), introdusse il calvinismo, nella sua
forma presbiteriana, come religione di stato. La neonata chiesa, come uno
dei suoi primi atti ufficiali, scomunicò E. accusandolo di un presunto
socinianesimo sulla base di lettere scambiate con antitrinitariani
transilvani e lo perdonò solo nel 1575, dopo una dichiarazione di E. di
adesione alla dottrina della Trinità. Tuttavia la sua posizione rimase
scomoda e vista sempre con molto sospetto e quindi nel 1580 egli decise di
ritornare a Basilea, dove nel 1583 venne nominato professore di etica
all'università. Non poté, purtroppo occupare molto questo ruolo, poiché morì
nello stesso 1583, il 31 dicembre.
Erastianismo La dottrina, che
prende il nome da E., si denomina erastianismo e derivò da discussioni di E.
con i teologi calvinisti sull'opportunità che fosse lo stato, come voleva E.,
e non la chiesa, secondo i calvinisti, a punire i peccatori e gli eretici.
Per E. una chiesa in una nazione cristiana non aveva nessun potere di
repressione, distinta da quello dello stato: la chiesa poteva solamente
censurare o ammonire coloro che deviavano dalla retta via. L'opera
principale di E., denominato La nullità delle censure della Chiesa, apparve
postumo a Londra nella versione tedesca nel 1589 e nella traduzione inglese
nel 1659, influenzando in maniera decisiva le teorie di alcuni parlamentari
inglesi, come John Selden (1584-1654) e Bulstrode Whitelocke (1605-1675),
favorevoli alla supremazia dello stato sulla chiesa. L'erastianismo ebbe
inoltre un ruolo importante nello sviluppo del gallicanesimo in
Francia.
Nayler, James (1618-1660)
Il quacchero James
Nayler nacque nel 1618 a Andersloe (oggi Ardsley), vicino a Leeds, nella
contea inglese del West Yorkshire, da una famiglia di piccoli proprietari
terrieri. Nel 1642, allo scoppio della guerra civile, N. si arruolò
come quartiermastro (furiere) nella cavalleria dell'esercito parlamentare, ma
nel 1650 dovette ritirarsi a vita privata a causa delle sue cattive
condizioni di salute. Ritornato a casa, ebbe un giorno una visione, mentre
arava i suoi campi: una voce che lo esortava a vendere tutto e ad andarsene
dalla casa del padre. Ma non prese decisioni drastiche finché non ebbe
incontrato nel marzo 1652 il fondatore del movimento dei quaccheri, George
Fox. A quel punto N. vendette tutti i suoi averi e divenne uno dei primi, ed
il più dotato come eloquenza, dei predicatori quaccheri. Il suo pensiero era
abbastanza radicale e nell'esercizio della predicazione, amava inserire
concetti cari ai ranters e ai familisti, ma fu imprigionato diverse volte per
blasfemia tra il 1653 ed il 1655. Nel 1656, però, N. passò il segno
prestandosi ad una rappresentazione che lo mise nei guai seri con le autorità
anglicane. L'anno prima, il 1655, infatti N. si era recato a Londra, dove
aveva conosciuto un gruppo di signore della setta, affascinate dal suo
aspetto e modo di fare. Quando poi, recatosi nell'ovest del paese, N. era
stato arrestato ad Exeter, queste donne, tra cui Martha Symmonds e Hannah
Stranger, erano andate a trovarlo in carcere, iniziando ad adorarlo come un
novello Cristo. Una terza adepta, particolarmente emotiva, tale Dorcas
Erbury, alla vista di N., svenne e questo svenimento fu esageratamente
descritto come una morte improvvisa, per cui il semplice rinvenimento,
avvenuto in presenza di N., fu interpretato come un vero e proprio miracolo
della resurrezione operata dal predicatore quacchero. Fox stesso visitò N.
in carcere per controllare e reprimere questa preoccupante divinizzazione del
suo ex pupillo, derivata probabilmente da una interpretazione un po' troppo
letterale di una frase di Fox stesso, Dio è in ogni uomo, ma N., irretito
dalle sue seguaci e convinto da loro di essere lui stesso Gesù Cristo, lo
trattò con sufficienza. Poco dopo il suo rilascio nell'ottobre 1656, il
misfatto: preceduto dalla Symmonds e dalla Stranger, che cantavano: "Santo,
Santo, Santo, il Signore Dio di Israele" e stendevano vesti per terra davanti
al corteo, N. entrò a Bristol a cavallo di un asino, appunto come un novello
Gesù Cristo, ad imitazione dell'entrata in Gerusalemme, descritta nei
Vangeli. Immediatamente arrestato con il suo seguito, egli fu inviato a
Londra per essere interrogato dal parlamento inglese, dominato in quel
momento dalla fazione puritana. Qui N. fu condannato per blasfemia: egli
non avrebbe potuto essere messo in prigione per più di sei mesi, secondo la
legge contro la blasfemia (Blasfemy Act), se non fosse stato per i
conservatori puritani che prima tentarono inutilmente di farlo condannare a
morte e poi concepirono per lui una tremenda punizione. Infatti, dopo
essere stato esposto per due ore alla gogna, N. fu legato ad un carro e
frustato a sangue per tutto il percorso durante il suo trasferimento ad un
altro luogo di condanna, rimesso alla gogna, gli fu bucata la lingua con un
ferro rovente e fu marchiato a fuoco sulla fronte con la lettera B
(blasfemia). Non soddisfatti di questo trattamento, i suoi giudici ordinarono
che N. fosse in seguito condotto a Bristol per essere portato in giro per la
città, in segno di scherno, seduto all'incontrario su un cavallo senza
sella, nuovamente frustato ed infine gettato nella prigione di Bridewell a
Londra, dove rimase per due anni e mezzo. Perfino il Lord Protettore
Oliver Cromwell (1599-1658) fu sconvolto da tanta severità della condanna, ma
non riuscì a fermare la punizione. In prigione, comunque, nonostante la
proibizione di ricevere penna e carta, N. riuscì a scrivere diversi trattati.
Finalmente l'8 settembre 1659 N. fu liberato per ordine del nuovo parlamento
e nel gennaio 1660 si riconciliò con Fox e gli altri
quaccheri. Nell'ottobre 1660 egli si mise in viaggio da Londra per andare a
visitare la sua mai dimenticata, ma un po' trascurata, famiglia che abitava
ancora nello Yorkshire. Purtroppo non ci arrivò mai: dopo qualche giorno
fu trovato legato e bastonato in un campo di Kings Ripton, vicino a
Huntingdon, nella contea del Cambridgeshire, probabilmente vittima di banditi
di strada, e, nonostante i soccorsi portati da Thomas Parnell, un medico
quacchero locale, N. morì a Kings Ripton il 21 ottobre 1660 per le gravissime
ferite riportate al capo.
Erlembaldo Cotta (m.
1075)
Nel 1061, in seguito alla morte di Landolfo Cotta, Arialdo
da Carimate, capo del movimento dei patarini, decise di associare al
movimento Erlembaldo, fratello di Landolfo. E. era un capitaneus, cioè un
nobile della città, oltre ad essere un valoroso cavaliere, il quale, reduce
da un pellegrinaggio in Terrasanta, era in procinto di ritirarsi in un
monastero, quando fu raggiunto dalla richiesta di Arialdo. Nel frattempo
era salito sul trono di Pietro, Anselmo di Lucca (l'ex prete Anselmo da
Baggio, uno dei capi storici del movimento della Pataria), con il titolo di
Papa Alessandro II (1061-1073). Nella primavera del 1066, a dimostrazione del
suo appoggio al movimento, Alessandro II consegnò ad E. il vexillum Petri (il
vessillo di S. Pietro) e due bolle pontificie di richiamo al clero milanese e
di scomunica del arcivescovo corrotto e simoniaco di Milano, Guido da
Velate. Tuttavia, in seguito ai durissimi scontri del 4 Giugno 1066, quando
vennero feriti sia E. e Arialdo, che Guido stesso, quest'ultimo
lanciò l'interdizione su Milano, finché Arialdo fosse rimasto in
città. Era una trappola mortale, nella quale Arialdo purtroppo cadde: uscito
dalla città venne catturato e orrendamente torturato, su un'isola del
Lago Maggiore, da due chierici, i quali lo mutilarono delle orecchie,
naso, occhi, mano destra, piedi, genitali e lingua, ed, una volta morto,
lo gettarono nel lago, appesantito da alcuni massi. Era il 26 Giugno
1066. L'anno seguente (1067) il corpo di Arialdo fu ritrovato, secondo la
leggenda intatto (cioè non ancora decomposto), e fu fatto portato in
processione a Milano da E. Arialdo fu successivamente proclamato santo da
Alessandro II, che, nel contempo, aveva provveduto a scomunicare Guido da
Velate. E. proseguì la lotta dei patarini con grande determinazione: un
episodio significativo fu quando egli gettò via l'acqua di una fonte
battesimale, consacrata da un prete simoniaco per farla sostituire con
dell'altra consacrata da un sacerdote non corrotto. Nel 1071 i partigiani
di Guido da Velate riuscirono, alla morte di quest'ultimo, a far eleggere
arcivescovo Goffredo da Castiglione, al quale E. contrappose Attone (un altro
esponente della Pataria), subito riconosciuto da Papa Gregorio VII
(1073-1085), che oltretutto scomunicò Goffredo nel 1075. Scoppiarono così
dei tremendi tumulti in città ed il 28 giugno 1075, durante uno di questi
disordini, E. fu assassinato. Egli fu nominato beato da Papa Urbano II nel
1094, tuttavia non viene ricordato nella liturgia
milanese.
Seleuciani (o Ermeoniti o Prolinianiti) (III - IV
secolo)
I seguaci di questa setta gnostica, attiva in Galizia nel
III - IV secolo e fondata da Seleuco, con i discepoli Ermia e Proclino,
praticavano un dualismo estremo. Tutte le notizie che abbiamo su questa setta
vengono da Filastrio (Liber Dicersarum Hacreseon).
La
dottrina I seleuciani accettavano che Dio fosse incorporeo, ma erano convinti
che la materia fosse eterna quanto Dio: entrambi, secondo loro, erano
generatori del Male, una posizione molto radicale nel panorama
gnostico. Nella loro dottrina, il leitmotiv ricorrente era il fuoco: Gli
uomini erano stati creati non da Dio, ma dagli angeli da
componenti materiali, il fuoco e l'aria. Cristo non sedeva alla destra del
Padre perché aveva lasciato il Suo corpo nel sole (fuoco). I s.
rifiutavano il battesimo perché il Vangelo di Matteo (3,11), riferendo le
parole di S. Giovanni Battista, citava testualmente Colui che viene dopo di
me .. vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Il mondo attuale era
l'inferno.
Questa setta ebbe molti punti in comune e probabilmente fu
la fonte di ispirazione di un'altra setta quasi identica, quella degli
Ermeoniti o Prolinianiti, fondata da un certo Ermogene.
Beghine e
begardi (o bizocchi o pinzocheri o beghini) (dal XIII secolo)
Il
fenomeno medioevale delle beghine vide, per la prima volta, le donne prendere
l'iniziativa in un importante movimento
religioso.
L'etimologia L'etimologia del nome beghina è oscura:
l'ipotesi più probabile è che derivi dalla parola fiamminga medioevale
beghen, che significa pregare. Altri lo collegano: al francese begard
(mendicare), al sassone (e inglese) beg (chiedere l'elemosina), a San Bega
(o Begga), patrono di Nivelles, in Brabante (Belgio) dove fu fondata una
delle prime comunità, al prete (o frate) fiammingo Lambert le Bègue (cioè il
Balbuziente), fondatore a Liegi nel 1170 di una comunità per vedove e orfani
dei crociati, a un supposto collegamento con gli (al)bigesi (o catari), al
colore beige del vestito portato dagli aderenti al
movimento.
L'origine Nel XII secolo, particolarmente in Francia,
Germania e nei Paesi Bassi, vi era un numero elevato di donne sole, di
estrazione sociale medio-bassa, che non potevano maritarsi per penuria di
uomini decimati da crociate o guerre locali e non venivano, d'altra parte,
accettate dai pochi conventi femminili esistenti all'epoca, più interessati a
domande provenienti da fanciulle ricche e nobili. L'unica alternativa per
queste donne era di vivere da sole nelle periferie delle città, pregando e
occupandosi di lavori manuali o di insegnamento. Con l'andare del tempo molte
di esse, chiamate beghine (vedi sopra per l'etimologia), unirono le loro
dimore, l'una vicino all'altra, e da questo nacquero le prime comunità,
denominate beghinaggi, il primo dei quali comparve nel 1170 circa a Liegi (o
forse a Nivelles) in Brabante (Belgio) su iniziativa del prete Lambert le
Bègue. Le b. non erano delle suore, non prendevano infatti i voti e
potevano ritornare alla vita normale in qualsiasi momento: vivevano in
castità e spesso dedite alla carità, un po' come delle converse, cioè delle
suore laiche. Inoltre non chiedevano l'elemosina (da cui si capisce che è
errata l'etimologia da beg o begard), ma mantenevano le loro proprietà
originarie, se ne avevano, oppure, se necessario, lavoravano, per esempio
filando la lana o tessendo. La prima donna ad essere identificata come b.
fu la mistica Maria di Oignies, che influenzò il cardinale Jacques di Vitry
(1160-1240), protettore del movimento, di cui Vitry ottenne il
riconoscimento, purtroppo solo a parole, da Papa Onorio III (1216-1227) nel
1216. Con l'andare del tempo i beginaggi divennero delle vere e proprie
comunità, orientate alla cura dei malati e all'aiuto di donne sole, non
accettate dai conventi. Ci furono beginaggi, forti anche di migliaia di b.
(come a Ghent), in tutte le città e paesi del Belgio e dell'Olanda, dove,
nonostante le vicissitudini storiche (furono per esempio aboliti durante la
Rivoluzione Francese), esistono oggigiorno, dopo ben sette secoli, ancora 11
comunità in Belgio e 2 in Olanda.
I begardi Ci fu anche una
forma maschile di b., che ebbe minore diffusione rispetto alla controparte
femminile e fu denominata (con un connotato negativo in senso eretico)
begardi. In Italia vennero denominati anche bizzocchi o pinzocheri o beghini
e condussero spesso una vita da predicatori erranti (molto diffusa
nel Medioevo) e furono molto impegnati nel denunciare il nicolaismo e
la corruzione del clero, propendendo per una vita apostolica e povera,
come quella di Gesù e dei primi Apostoli. Su questi punti in comune si
allearono spesso con i Francescani spirituali nel combattere il comune nemico
Papa Giovanni XXII (1316-1334), che contro di loro scatenò il famoso (o
meglio famigerato) inquisitore Bernardo Gui (1261-1331).
La
condanna Benché le b. non dessero alcun segno di eresia (per i begardi il
discorso è più complesso), esse vennero dapprima condannate allo scioglimento
delle loro comunità dal IV Concilio Laterano (1215), ma successivamente
accettate verbalmente da Onorio III nel 1216 ed approvate da Papa Gregorio
IX (1227-1241) nella sua bolla Gloriam virginalem del 1233, il che non
impedì, tuttavia, il rogo della prima b. condannata come eretica, una tale
Aleydis. Nonostante l'approvazione papale, negli anni successivi seguì una
raffica di condanne, a loro carico, ai sinodi di Fritzlar (1259) e Mainz
(1261), concilio di Lione (1274), sinodi di Eichstätt (1282) e Béziers
(1299), ed infine al Concilio di Vienne (1311-12), dove vennero condannate
come eretiche, sebbene venisse precisato nel contempo che non c'era nulla di
male in comunità formate da donne penitenti anche senza che esse avessero
preso i voti. Nel 1310 fu bruciata sul rogo Marguerite La Porète, una b.
con simpatie verso i Fratelli del Libero Spirito ed autrice del libro Le
miroir des simples âmes (lo specchio delle anime semplici), attribuito per
anni a Santa Margherita d'Ungheria. Il solito Giovanni XXII perseguitò con
furore beghine e begardi, come si è detto, mediante Bernardo Gui, benché il
Papa stesso cercasse di distinguere tra forme eretiche e forme ortodosse del
movimento. Pur tuttavia, l'elenco dei processi e relativi roghi di b. durante
questo periodo, soprattutto in Francia meridionale, è impressionante: a
Marsiglia (il beghino Pierre Trancavel e sua figlia Andreina), Narbona,
Carcassonne, Béziers e Tolosa si giustiziarono senza pietà i b. Alcuni
episodi denotarono l'accanimento degli inquisitori, come a Lodève, dove fu
bruciata la b. Esclarmonda Durban, e, quando il fratello cercò
di raccoglierne le reliquie, fu giustiziato anche lui. O a Mirepoix, dove
si dovettero costruire delle nuove carceri tanti che erano gli "eretici"
(b., spirituali, catari) in attesa di essere interrogati dall'Inquisizione. O
nel 1325 a Carcassonne dove 82 b. vennero processati semplicemente
per manifestazioni di devozione sulla tomba del capo degli spirituali
francesi, Pietro di Giovanni Olivi.
La dottrina La stragrande
maggioranza delle b. e dei begardi era cattolica ortodossa, e tutt'altro che
eretica, tuttavia fu la vicinanza e la frequentazione dei Francescani
spirituali e dei Fratelli del libero spirito (delle cui dottrine venne
accusata Margherita la Porète), che permise agli inquirenti di fare di tutte
le erbe un fascio e processare anche gli aderenti al movimento
b., soprattutto i begardi. Giovanni XXII cercò di distinguere in b. buoni
e cattivi, tracciando una linea immaginaria tra i "cattivi", che stavano in
Italia e in Francia meridionale (Provenza e Linguadoca) e i "buoni" che
stavano in Germania, Paesi Bassi e Francia settentrionale, ma questa
classificazione era alquanto semplicistica. Oltretutto, durante il periodo
di persecuzioni, era sufficiente che il b., a cui venisse ordinato di
ritirarsi in clausura in un ordine religioso "approvato", si opponesse alla
questa decisione per essere automaticamente considerato eretico. Infine il
linguaggio, volutamente provocatorio, di alcuni scritti, come quelli di
Margherita la Porète fu strumentalmente interpretato dagli inquisitori come
dichiarazioni di antinomismo.
Guilhabert de Castres (vescovo
cataro) (XIII secolo)
Vescovo cataro di Tolosa, ottimo polemista,
tenne testa, assieme ad altri teologi catari, nel 1207 a Montrèal e nel 1208
a Lourac, ai predicatori cattolici, fra cui Domenico di Guzman (il futuro
santo), nei dibattiti pubblici su temi dualistici. Dopo la prima tremenda
crociata contro gli albigesi (1209-1218) e la crociata "reale" (1226-1228)
organizzata dal re di Francia, Luigi VIII (1223-1226), si giunse alla firma,
nel 1229, tra Raimondo VII di Tolosa ed il re Luigi IX (1226-1270), del
trattato di Meaux, che stabilì che Raimondo dovesse dimostrare con i fatti il
suo impegno nell'abbattere l'eresia catara nella sua contea. Raimondo non
tenne fede a questo impegno, anzi cercò di barcamenarsi in mezzo a congiure
ordite, in volta in volta, dallo stesso re di Francia oppure da gruppi di
nobili, appoggiati ora dal re d'Inghilterra Enrico III (1216-1272) e ora
dall'Imperatore Federico II (1220-1250). Intuendo che, in mezzo a tutti
questi intrighi politici, fosse necessario cercare un rifugio sicuro per i
catari, G. si accordò nel 1232 per l'utilizzo del pog (picco) di Montségur
con Ramon de Perella (o Raymond de Péreille), vassallo del conte Ramon-Roger
de Foix, di cui aveva convertito la sorella Esclarmonde de Foixì che divenne
famosa per una disputa teologica con San Domenico di Guzman (1170-1221), dove
questi, alla fine seccato per dover disquisire di teologia con un cataro
oltretutto donna, sibilò uno scortese Ritornate alle Vostre conocchie,
Madame. Esclarmonde divenne un personaggio popolare nell'immaginario
culturale francese del XIX-XX secolo: le sono stati dedicati un'opera lirica
nel 1889 (Esclarmonde di Jules Massenet) e un film nel 1945 (La Fiancée del
Ténèbres di Serge de Poligny), Negli anni successivi, G. ed il suo "figlio
maggiore" Bernard Marty organizzarono la vita dei catari in zona, con
frequenti missioni di predicazione nella regione. Tuttavia, il breve
momento politico favorevole ai catari finì bruscamente in seguito al massacro
ad Avignonnet nel 1242 di due inquisitori (Arnaud Guilhelm de Montpellier e
Étienne de Narbonne) e del loro seguito. Questo fu il pretesto per scatenare
un ultimo colpo di grazia ai catari asserragliati, per l'appunto, a
Montségur. G. non potè assistere all'agonia della sua diocesi, in quanto era
già morto, probabilmente nel 1241: la difesa estrema di Montségur sarebbe
toccata al suo successore Bernard Marty.
Bernard Marty (o Bertand
d'En Marti) (vescovo cataro) (m. 1244)
"Figlio maggiore" del
vescovo cataro di Tolosa, Guilhabert de Castres e suo successore, famoso
nella storia degli albigesi per la strenua difesa della roccaforte simbolo di
questa setta: Montségur. B. difese eroicamente il pog (picco) di Montségur
dal maggio 1243 al 16 marzo 1244 con 70 "perfetti", le loro famiglie ed una
ridotta guarnigione, al comando di Pierre-Roger de Mirepoix, per un totale di
ca. 500 persone contro un esercito assediante di 10.000 soldati (secondo una
stima, forse esagerata, di alcuni storici) al comando del siniscalco di
Carcassonne, Hugues de Arcis. L'assedio iniziò nel maggio 1243, ma fu
solamente alla fine di dicembre, che gli assedianti riuscirono a portarsi in
una posizione strategicamente più favorevole, fiaccando la resistenza dei
catari. In questi ultimi mesi dell'assedio di Montségur, si svilupparono le
leggende più varie, legate al favoloso "tesoro" dei catari, messo in salvo
chissà dove oppure alla fuga dalla rocca, il giorno prima della resa, di
quattro "perfetti" a conoscenza di misteriosi segreti, sui quali alcuni
autori, più o meno fantasiosamente, hanno speculato nei secoli successivi:
dal Sacro Graal all'ubicazione della tomba con le spoglie mortali di Gesù
ecc. Il 16 marzo 1244 la guarnigione si arrese e furono lasciati liberi solo
i soldati al comando di Mirepoix. Ben altra sorte attendeva i ca. 205 (o
forse 225) catari, tra i quali, oltre a Marty, facevano parte Raimond
Agulher, vescovo della chiesa catara del Razès e i famigliari di Ramon de
Perella (o Raymond de Péreille), signore del luogo, e più precisamente la
moglie Corba de Lanta, la figlia Esclarmonde de Péreille (alla cui vita e
morte sul rogo fa probabilmente allusione una cantata del trovatore occitano
Guilhem de Montanhagol) e la suocera, marchesa de Lanta . Tutti furono
bruciati sul rogo, sul quale salirono cantando, sicuri della loro salvezza in
Dio. Il luogo fu rinominato Prat dels Cremats (Prato dei
Bruciati).
Esclipedoto (adozionista) (III
secolo)
Esclipedoto fu un seguace di Teodato (o Teodoto) di
Bisanzio, detto il Pellaio o il Conciatore, fondatore della corrente degli
adozionisti, di coloro, cioè, che credevano che Gesù fosse semplicemente un
uomo (psilos anthropos), vissuto come gli altri uomini e "adottato" come
figlio da Dio solamente al momento del suo battesimo nel Giordano, quando il
Cristo era sceso su di Lui sotto forma di una colomba. Secondo Eusebio,
che trasse questa storia dal Piccolo Labirinto di Ippolito, dopo la morte di
Papa Vittore, E. e Teodato (o Teodoto), detto il Banchiere o il Cambiavalute
decisero di strutturare il movimento come una vera Chiesa, nominando vescovo,
per 170 denarii al mese, un prete romano di nome Natalio, che era stato
torturato durante le persecuzioni, probabilmente sotto l'imperatore Settimio
Severo. Ma costui, dopo un notte di incubi, dove sognò di essere torturato
dagli angeli, si recò pentito e affranto da Papa Zeffirino (199-217), che
lo perdonò. Tale clemenza non fu, però, adottato da Zeffirino nei confronti
dei due capiscuola adozionisti sopra menzionati, prontamente
scomunicati.
Messaliani o euchiti o adelfiani o lampeziani o
entusiasti ed eufemiti (IV secolo)
Una setta eretica del IV
secolo, che credeva che, in seguito al peccato originale di Adamo, ognuno
avesse un demone unito alla propria anima e che esso non fosse stato espulso
con il battesimo: l'unica maniera di espellerlo era la continua ed incessante
preghiera con lo scopo di eliminare ogni passione e desiderio. Il nome
messaliani, infatti, deriva dall'aramaico mètzalin, cioè preganti e la stessa
etimologia aveva la versione greca del loro nome, euchiti
da euchetai. Comparvero intorno al 360 in Mesopotamia, come setta fondata
da un certo Adelfio (da cui il nome adelfiani), espulso da Antiochia nel 376
dal vescovo Flaviano e autore del testo base della setta, Asceticus. Una
ulteriore condanna fu loro inflitta dal sinodo di Side del 390 ca. e
dal concilio di Efeso del 431(dove venne condannato il loro libro
Asceticus). Eppure la setta continuò ad esistere: alla metà del V secolo, il
loro capo era il prete Lampezio (da cui un ennesima versione del loro nome),
il quale scrisse un loro nuovo testo, chiamato Il testamento. In Armenia la
setta, pur combattuta anche dalla Chiesa Nestoriana, continuò a prosperare
fino al IX secolo. I m. influenzarono alcune eresie medievali come i
pauliciani, i bogomili e i fratelli del Libero Spirito. Essi, come si
diceva, praticavano la preghiera incessante e la danza estatica, durante le
quali erano posseduti dallo Spirito Santo (da cui, letteralmente, il nome di
entusiasti, cioè "posseduti da Dio"), si rifiutavano di lavorare, vivendo
nelle piazze e vagando da una città all'altra e prendendo, secondo loro, ad
esempio la vita itinerante di Gesù e gli apostoli. Essi, inoltre,
consideravano inutili i sacramenti e la mediazione della Chiesa. Secondo
Sant'Epifanio, esisteva, inoltre, un'altra setta molto simile, non cristiana,
ma che adorava un unico Dio onnipotente. I seguaci di questa setta erano
chiamati anche eufemiti e furono considerati i precursori dei messaliani, con
i quali vennero spesso confusi.
Eudossio di Costantinopoli
(300-370)
Vescovo ariano di Germanicia, partecipò a svariati
concili ariani, aderendo alla corrente, che propugnava la natura anòmoios
(dissimile da Dio) di Cristo, secondo il credo ariano più canonico, e difeso
da Aezio di Antiochia o di Celesiria, Eunomio di Cizico e Ursacio di
Singiduno. Nel breve periodo di auge degli anomiani (360), E. divenne vescovo
di Costantinopoli. Morì nel 370.
Messaliani o euchiti o
adelfiani o lampeziani o entusiasti ed eufemiti
(IV secolo)
Una setta eretica del IV secolo, che credeva che,
in seguito al peccato originale di Adamo, ognuno avesse un demone unito alla
propria anima e che esso non fosse stato espulso con il battesimo: l'unica
maniera di espellerlo era la continua ed incessante preghiera con lo scopo di
eliminare ogni passione e desiderio. Il nome messaliani, infatti, deriva
dall'aramaico mètzalin, cioè preganti e la stessa etimologia aveva la
versione greca del loro nome, euchiti da euchetai. Comparvero intorno al
360 in Mesopotamia, come setta fondata da un certo Adelfio (da cui il nome
adelfiani), espulso da Antiochia nel 376 dal vescovo Flaviano e autore del
testo base della setta, Asceticus. Una ulteriore condanna fu loro inflitta
dal sinodo di Side del 390 ca. e dal concilio di Efeso del 431(dove venne
condannato il loro libro Asceticus). Eppure la setta continuò ad esistere:
alla metà del V secolo, il loro capo era il prete Lampezio (da cui un
ennesima versione del loro nome), il quale scrisse un loro nuovo testo,
chiamato Il testamento. In Armenia la setta, pur combattuta anche dalla
Chiesa Nestoriana, continuò a prosperare fino al IX secolo. I m.
influenzarono alcune eresie medievali come i pauliciani, i bogomili e
i fratelli del Libero Spirito. Essi, come si diceva, praticavano la
preghiera incessante e la danza estatica, durante le quali erano posseduti
dallo Spirito Santo (da cui, letteralmente, il nome di entusiasti, cioè
"posseduti da Dio"), si rifiutavano di lavorare, vivendo nelle piazze e
vagando da una città all'altra e prendendo, secondo loro, ad esempio la vita
itinerante di Gesù e gli apostoli. Essi, inoltre, consideravano inutili i
sacramenti e la mediazione della Chiesa. Secondo Sant'Epifanio, esisteva,
inoltre, un'altra setta molto simile, non cristiana, ma che adorava un unico
Dio onnipotente. I seguaci di questa setta erano chiamati anche eufemiti e
furono considerati i precursori dei messaliani, con i quali vennero spesso
confusi.
Eunomio di Cizico (m. ca. 394) ed
eunomiani
Pupillo di Aezio di Celesiria, E. ne condivideva lo
spirito estremo dell'arianesimo, detta degli aeziani. Aezio, rispetto alla
natura di Cristo, era infatti convinto che solo il Padre era Dio, e quindi
che il Figlio era dissimile da Dio (anòmoios). Detta dottrina, supportata
da Eunomio e da Ursacio di Singiduno, fu ribadita nei tre sinodi, tenuti tra
il 357 ed il 359 a Sirmio (nella ex Iugoslavia) ed indetti dall'imperatore
Costanzo II (337-361, figlio di Costantino), per cercare di venire a capo
delle dispute teologiche sviluppate all'interno del movimento ariano, in
seguito alla morte della guida carismatica, Eusebio di Nicomedia (m. ca.
341).
Le altre formulazioni presentate erano: Homooùsios
(identico, nella sostanza, a Dio, cioè consustanziale), secondo il Credo di
Nicea, difeso da Atanasio di Alessandria. Homoioùsios (simile, nella
sostanza, a Dio), propugnato da Basilio di Ancyra. Hòmoios (simile a Dio),
proposto da Acacio di Cesarea, definizione vaga, dove si parlava di una
generica similitudine tra Padre e Figlio, senza precisare il rapporto sul
piano della sostanza.
All'inizio (357) il partito degli aeziani ebbe
la meglio e i vari discepoli di Aezio occuparono posti di rilievo, tuttavia
la reazione dell'opinione pubblica fu alquanto energica. Successivamente
l'imperatore Costanzo (358) aderì alla dottrina dell'homoioùsios di Basilio e
fece bandire Aezio e i suoi seguaci. Tuttavia, dopo il III° sinodo di Sirmio
del 359, Costanzo cambiò nuovamente parere, preferendo la versione più "soft"
di Acacio (homoios) come ufficiale e convocò i vescovi occidentali a Rimini e
quelli orientali a Selucia per ratificare la formula acaciana. Il concilio
di Seleucia, nel 359, aggiornato a Costantinopoli nel 360, vide la strenua
opposizione degli aeziani, ma l'esilio di Aezio fu confermato. Eunomio, che
era, nel frattempo, diventato vescovo di Cizico, dovette dimettersi pochi
mesi dopo. La situazione cambiò nuovamente nel 361 con la morte di Costanzo e
l'ascesa al potere di Giuliano, detto l'Apostata (361-363), il quale
proclamò un'amnistia generale per tutti i cristiani, che permise agli aeziani
di riacquistare una certa forza. Aezio morì nel 367, ma entro pochi anni
la sua corrente radicale sarebbe scomparso sotto il contrattacco dei niceni,
supportati dai due imperatori Valentino I (364-375) e Teodosio I
(379-395). E. stesso morì in esilio a Dakora nel 394. Delle sue opere ci è
giunta la professione di fede ad Theodosium, che E. scrisse nel 383. Altre
sue opere vengono citati da Basilio di Cesarea e Gregorio di Nissa. I suoi
seguaci furono chiamati eunomiani.
Eusebio di Nicomedia (ca.
280-341)
Vescovo di Nicomedia, fu il leader del partito ariano
nella prima metà del IV° secolo. Probabilmente E. incontrò Ario, quando
ambedue frequentavano la scuola di Luciano di Antiochia e da quest'ultimo
vennero convinti che il Figlio di Dio non poteva essere Dio, in quanto Egli
era stato creato da Dio Padre, concetto, poi, ripreso da Ario. E., in
seguito, ascese a posizioni di massimo livello della gerarchia della Chiesa:
il suo ascendente sull'Imperatore Costantino, che aveva legalizzato il
Cristianesimo nel 313, fu elevato e gli permise di rinforzare la posizione
degli ariani, a tal punto che Costantino si decise di convocare il 1°
Concilio Ecumenico a Nicea nel 325 per dirimere la questione fra cattolici
ortodossi e ariani. Il Concilio ebbe inizio il 20 Maggio 325 alla presenza di
circa 220 vescovi (secondo altri autori, 318), in larghissima maggioranza
della parte orientale dell'Impero. L'intervento di E. non fu tra i più
felici: egli lesse un documento, che riassumeva le posizioni ariane,
affermando molto palesemente che Cristo non era Dio. Questa terminologia
senza compromessi alienò i favori dei moderati, che, dopo estenuanti
discussioni, aderirono al cosiddetto Credo Niceno, che, per quanto concerne
la natura di Cristo, ribadiva il termine homooùsion (consustanziale, cioè
della stessa sostanza del Padre e generato, e non creato). L'arianesimo fu
condannato e Ario ed E. furono mandati in esilio. Ma, nonostante la vittoria
degli ortodossi al Concilio di Nicea, gli ariani rimasero in tale
maggioranza, che nel 328 Costantino decise di richiamare E. dall'esilio e di
offrirgli il seggio di vescovo di Costantinopoli: il momento di massima
gloria per E. fu quando, nel 337, Costantino in punto di morte decise di
farsi battezzare da lui, suo vescovo ariano. Inoltre, dalla sua influente
posizione, E. si adoperò per contrastare il suo mortale nemico,
Sant'Atanasio, vescovo di Alessandria, riuscendo più volte a farlo condannare
all'esilio. Nel 340, Papa Giulio I (337-352) convocò un concilio a Roma, al
quale parteciparono 50 vescovi, che riabilitarono Atanasio,
considerato ingiustamente calunniato. I vescovi ariani rifiutarono di
partecipare ed organizzarono per contro un concilio ad Antiochia nel 341,
sotto il coordinamento di E., dove venne proposto, senza molto successo, una
formula di compromesso, che ponesse l'accento sulla coesistenza eterna di
Cristo e del Padre, sorvolando, però, il punto controverso della
consustanzialità ("il Figlio è della stessa essenza della divinità e della
stessa volontà del Padre"). E. morì nello stesso anno (341).
San
Eustazio di Antiochia (ca. 270 - ca.360) ed eustaziani
Eustazio,
da non confondere con il quasi omonimo Eustazio di Sebaste, nacque a Side, in
Panfilia nel 270, e diventò vescovo di Berea in Siria, da dove si trasferì ad
Antiochia, diventandone il vescovo, nel 323. Scrisse il De Engastrimytho, un
trattato contro l'interpretazione allegorica attribuita alla Bibbia da
Origene. Fu soprattutto uno dei più fieri difensori del credo ortodosso al
concilio di Nicea del 325: tale fu il suo impegno che il concilio di
Antiochia del 331, a maggioranza ariana e presieduto da Eusebio di Nicomedia,
lo condannò per sabellianismo. L'imperatore Costantino ratificò la condanna,
esiliando E. a Traianopoli in Tracia, dove egli morì nel 360 (secondo altri
fonti già nel 336/337). Eustazio è stato nominato santo sia dalla Chiesa
Cattolica, che da quella Greca Ortodossa. In seguito al suo esilio, i suoi
sostenitori diedero vita ad una comunità scismatica denominata degli
eustaziani, i quali si opposero strenuamente, nel 360, contro il nuovo
vescovo di Antiochia, Melezio, sebbene questi fosse stato eletto alla carica
di vescovo con i voti congiunti di ariani e ortodossi.
Eustazio di
Sebaste (ca. 300 - ca.377)
Eustazio, da non confondere con il più
famoso omonimo San Eustazio di Antiochia, diventò vescovo di Sebaste, nel
Ponto, nel 357. Fu un allievo di Ario e mantenne una incrollabile fede nel
homoiousios del Figlio fino al concilio di Lampsaco (364), dove fu convinto
da San Basilio di allinearsi su posizioni nicene. A nulla valsero, tuttavia,
gli sforzi di Basilio di convincere E. ad abbandonare le posizioni
pneumatomache, che negavano la divinità dello Spirito Santo, propagate da
Macedonio di Costantinopoli, amico di E. stesso. Fu sempre attratto dal
monachesimo, del quale fu attivo promotore e lui stesso, asceta troppo
rigoroso, insegnava il rifiuto del cibo animale, del vino, del matrimonio e
della procreazione. E. morì ca. nel 377.
Eutiche (ca.
378-454)
Eutiche era diventato nel 440 archimandrita (superiore)
di un monastero con più di trecento monaci a Costantinopoli, succedendo a
Dalmazio. Fu politicamente molto influente a causa del suo ascendente sul
ministro eunuco bizantino, Crisafio, di cui era stato padrino di
battesimo. Nel 448, all'età di settant'anni, egli scese in campo nella
disputa teologica con Nestorio, ed in polemica con quest'ultimo, che
affermava la presenza di due persone distinte (l'una divina e l'altra umana)
nel Cristo incarnato, E. ribadì che, prima dell'incarnazione, c'erano due
nature, ma dopo una sola, quella divina, derivata dall'unione delle due
nature stesse (ek duo physeon). In questa maniera, E. negò che la natura
di Cristo fosse consustanziale alla nostra, fatto che, quindi, impedirebbe di
redimerci attraverso di Lui. Detta dottrina fu definita monofisismo, ma
secondo alcuni autori, E. non ne fu il vero fondatore, che si deve
probabilmente ricercare in San Cirillo di Alessandria (376-444, Vescovo e
Padre della Chiesa). Altri fanno risalire le prime credenze monofisite ad
Apollinare di Laodicea. E. fu denunciato da Domno, Patriarca di Antiochia e
da Eusebio di Dorilea e condannato come eretico dal Concilio di
Costantinopoli, presieduto da San Flaviano, arcivescovo della città, sempre
nel Novembre 448. Fu, inoltre, deposto dal proprio incarico. Tuttavia, la
causa di E. fu presa a cuore dal Patriarca di Alessandria, Dioscoro di
Alessandria, che era stato interessato alla vicenda dallo stesso Papa, Leone
Magno (440-461), ma il cui scopo era più politico che teologico: indebolire
l'immagine del Patriarcato di Costantinopoli per dare più prestigio alla sede
di Alessandria. Eutiche e Dioscoro ottennero, dopo un infruttifero sinodo
nell'Aprile 449, la convocazione, da parte dell'Imperatore Teodosio II
(408-450), di un concilio, che si tenne nell'Agosto 449 ad Efeso. Il Papa
Leone Magno non presenziò direttamente, ma inviò due rappresentanti recanti
una lunga missiva indirizzata a Flaviano, nota come Tomus ad Flavianum, in
cui egli ribadì la propria posizione anti-monofisita, ma
anche anti-nestoriano. Purtroppo, l'andamento dell'intero concilio fu
palesemente falsato dall'atmosfera di terrore e violenza, instaurata da
Dioscoro e da suoi monaci semianalfabeti e fanatici, capeggiati da Barsumas.
A farne le spese fu soprattutto Flaviano, il quale fu deposto ed esiliato,
morendone poco dopo per le percosse ricevute dallo stesso Barsumas durante il
concilio, a testimonianza del clima in cui questo si svolse. Inoltre, nel
concilio, Dioscoro destituì i più importanti teologi antiocheni (Domno di
Antiochia, Eusebio di Dorileo, Iba di Edessa e Teodoreto di Ciro) con
l'accusa di nestorianesimo e l'insegnamento monofisita di Eutiche
venne dichiarato ortodosso. Papa Leone Magno, acutamente, definì questo
sinodo non un "concilium", bensì un "latrocinium" (brigantaggio), e lo
annullò, ma in contrasto con il pensiero papale, l'imperatore lo ritenne
valido. Tuttavia l'inattesa morte dall'Imperatore Teodosio II (450) e
l'esecuzione capitale del protettore di E., Crisafio, rimisero in gioco gli
Ortodossi, che ottennero dall'Imperatrice (Santa) Pulcheria, essa stessa
fervente cattolica ortodossa, la convocazione di un Concilio a
Calcedonia nell'Ottobre 451. In seguito a questo concilio il monofisismo
venne condannato e furono esiliati sia Dioscoro, che morì nel 454 in
Paflagonia, che Eutiche. Eutiche morì nel 454.
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