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ERASMO DA ROTTERDAM
Testi tratti dal sito: www.eresie.it di Douglas Swannie

GLI ERETICI - ERASMO DA ROTTERDAM

Clemenzio e Eberardo di Bucy-Le-Long (m. ca. 1114)



Clemenzio e Eberardo erano due fratelli contadini a Bucy-Le-Long, vicino a
Soissons.
Secondo Guiberto di Nogent, l'inquisitore che seguì il caso, i due fratelli
furono accusati nel 1114 di predicazioni eterodosse. Il vescovo di Soissons
e Guiberto non riuscirono, comunque, a ricavare molte informazioni dai due,
anche a causa della loro scarsa cultura.
Sembra comunque che i due predicassero l'inutilità dei sacramenti e dei
riti, come la messa, ed in questo ricordavano le parole di un altro eretico,
loro contemporaneo, Pietro di Bruis.
Furono sottoposti al "Giudizio di Dio" mediante l'acqua. Questa barbara
usanza medioevale consisteva nel gettare il sospetto in acqua con le mani e
piedi legati: se annegava, era innocente, se galleggiava, era colpevole!
Uno dei due (i testi non concordano quale) fu sottoposto per primo e, poiché
sopravvisse, fu trovato colpevole e quindi C. e E. furono dichiarati rei di
manicheismo, un accusa generica che si applicava spesso agli eretici del XII
secolo.
Furono messi in prigione, assieme ad altri due eretici, in attesa che il
vescovo e Guiberto di Nogent tornassero da Beauvais, dove si erano recati
per assistere ad un sinodo locale, ma, in loro assenza, la folla mise in
atto un vero linciaggio medioevale, irrompendo nella cella e trascinando
fuori gli sventurati, che furono bruciati vivi sul rogo.


Ebioniti (1/2 I° secolo)



Setta giudeo-cristiana radicale, diffusasi in Siria e Giudea dalla metà del
I° secolo, il cui nome deriva dall'aramaico ebhyonim, cioè poveri, in quanto
praticavano il culto della povertà ed erano vegetariani.
Secondo alcuni autori cristiani, invece, il nome va interpretato come poveri
di mente (Origene) o perché essi avevano una opinione povera di Cristo
(Eusebio).
Il loro testo di riferimento fu il Vangelo, per l'appunto, degli Ebioniti
(una rielaborazione ebraica del Vangelo di Matteo), che tralasciava parti
della vita di Gesù, come la nascita dalla Vergine e la resurrezione.
Gli e., inoltre, non considerarono Gesù come il Figlio di Dio, ma come un
profeta di eccezionali doti, condannavano San Paolo come un'apostata ed
erano ancora in attesa della venuta del Messia.
Il termine e. è stato anche utilizzato per i primi quattro secoli della
storia del Cristianesimo per indicare gli ebrei convertiti, che mantenevano
contatti con la comunità ebraica.
In Occidente furono noti anche come Simmachiani, da Simmaco, un autore e., i
cui lavori sono andati quasi totalmente perduti.
La setta si estinse in seguito all'invasione della Siria da parte degli
arabi (637).


Eckhart (o Eckard o Eccard) von Hochheim, meister Johannes (ca. 1260-1327)



La vita
Johannes Eckhart, famoso teologo e fondatore della scuola mistico tedesca,
nacque nel 1260 circa a Hochheim, vicino a Gotha (nella regione tedesca
della Turingia). Egli studiò filosofia e teologia dopo essere entrato
nell'Ordine Domenicano e nel 1298 divenne priore del convento domenicano di
Erfurt e Vicario Provinciale della Turingia.
Nel 1300 si trasferì ad insegnare a Parigi e nel 1302 gli fu assegnato dal
suo ordine il grado di Maestro della Teologia Sacra e per questo viene
spesso citato come Meister (maestro in tedesco).
Nel 1303 divenne Provinciale della Sassonia e nel 1307 Vicario Generale per
la Boemia fino al 1311. Successivamente riprese l'insegnamento a Parigi fino
al 1314 e fino al 1317 a Strasburgo. Qui fu accusato di simpatie verso il
movimento delle beghine e dei begardi, ma soprattutto di aderire ai princìpi
del movimento dei Fratelli del Libero Spirito.
E. fu probabilmente influenzato da libro Le miroir des simples âmes (lo
specchio delle anime semplici), scritto tra il 1296 ed il 1306 dalla beghina
Marguerite La Porète, che ebbe una vastissima diffusione all'epoca in
quattro traduzioni.
Nonostante ciò, egli fu nominato priore a Francoforte dal 1317 al 1320 e nel
1320 divenne professore nello Studio generale dell'Ordine Domenicano a
Colonia.
Tuttavia, nel 1325 e nel 1327 egli fu oggetto di due inchieste tese ad
accertare la sua ortodossia: la prima, condotta da Nicola, Provinciale
domenicano di Strasburgo, lo scagionò, ma la seconda, condotta
dall'arcivescovo di Colonia, Enrico, lo condannò per panteismo: nonostante
una difesa mediante vari scritti e un atto di sottomissione di E. alla Santa
Sede, 17 punti dei suoi insegnamenti furono dichiarati eretici e 11 punti
considerati sospetti di eresia da parte del Papa Giovanni XXII (1316-1334)
con la bolla In agro Domini del 1329.
A E. comunque fu risparmiato la condanna, in quanto era già morto due anni
prima, nel 1327 a Colonia.


La dottrina
Secondo E., tutti gli uomini avevano una scintilla di luce divina nelle loro
anime. Entrando in uno stato di meditazione profonda in cui il "fondo
dell'anima" veniva risvegliato ed in cui la mente veniva svuotata di tutte
le percezioni, tutti potevano sentire questa scintilla nel proprio Io.
Per questo, E. è altamente apprezzato da moderni pensatori del Buddismo,
come Keiji Nishitani e D. T. Suzuki.
Egli venne inoltre molto apprezzato in seguito dai pensatori protestanti,
come Martin Lutero, perché insistette sullo scarso valore delle buone opere
e sulla ritualistica cristiana, sull'interiorità della fede, sulla minore
importanza della funzione mediatrice della Chiesa.
E. infine insistette sulla presenza di Dio in tutte le cose o meglio disse
che le cose erano nulla, non avevano realtà al di fuori di Dio, in quanto
dipendevano dalla presenza di Dio. Queste tesi ricordavano quelle
panteistiche già condannate nel 1225 dal Concilio di Sens come dottrine
eretiche, di Amaury di Béne, a sua volta, ispirato direttamente da Giovanni
Scoto Eriugena. Questa fu infatti la base delle accuse contro E. da parte
dell'arcivescovo di Colonia.


Le opere
Molte delle opere di E. sono andate perdute: ci rimangono alcuni sermoni e
prediche, e soprattutto frammenti della Opus Tripartitum in cui E. illustrò,
spiegò e provò più di mille sue tesi teologiche.


Ecolampadio (Heusegen o Hausschein), Johannes (1482-1531)



La gioventù
Johannes Heusegen nacque nel 1482 a Weinsberg, vicino a Heilbronn, in
Svevia, nella Germania meridionale da una stimata famiglia borghese
originaria di Basilea, ma sulla grafia del suo cognome i testi riportano una
grande varietà di scelte: Heusegen, Hussgen, Heussgen, Husegen, Husschyn,
Hausschein, Huszgen. Più avanti egli decise di adottare la versione
umanistica Ocolampadius (Ecolampadio), che altro non era che la traduzione
in Latino della fonetica haus schein, cioè luce della casa.
E. studiò a Weinsberg e Heilbronn, quindi alla facoltà di legge
dell'università di Bologna, che però lasciò nel 1499 per iscriversi
all'università di Heidelberg, dove studiò teologia e letteratura.
Nel 1510 fu ordinato sacerdote e ottenne il posto di predicatore nel suo
paese natale, tuttavia non abbandonò gli studi, frequentando le università
di Tübingen (dove conobbe Melantone), di Stoccarda, dove studiò greco
antico, e, nuovamente, di Heidelberg, dove studiò l'ebraico e conobbe
Johannes Brenz e Wolfgang Capito (1478-1541),


L'adesione alla Riforma
Nel 1515 E. divenne predicatore a Basilea e finalmente, nel 1518, dottore in
teologia. Abbandonò la città svizzera e, dopo un periodo di 16 mesi ad
Augsburg, dove simpatizzò con le idee luterane, entrò in un convento
dell'ordine brigidino ad Altomünster (vicino a Monaco) nell'Aprile 1520.
Qui, tuttavia, entrò ben presto in conflitto con i suoi confratelli, quando
espresse le sue varie idee concernenti lo studio approfondito delle Sacre
Scritture rispetto alla Tradizione, l'opposizione alla Confessione e alla
transustanziazione nell'Eucaristia. A causa della sua posizione, fu
costretto a lasciare il convento nel Febbraio 1522 e divenne per qualche
mese il cappellano nel castello di Ebernburg del cavaliere Franz von
Sickingen (1481-1523), difensore di molti riformisti e dissidenti, come
Johannes Reuchlin e Martin Bucero.
Nel Novembre dello stesso anno, E. rientrò a Basilea, dove, nell'Agosto
1523, difese pubblicamente la dottrina luterana della giustificazione per
fede. Si schierò sempre più decisamente per la Riforma, diventando un buon
amico di Ulrich Zwingli e utilizzando come cassa di risonanza il pulpito
della Chiesa di San Martino, dove era stato nominato pastore nel 1525.


I dibattiti pubblici
E., accompagnato da Berthold Haller, difese inoltre coraggiosamente le
posizioni riformiste nel dibattito di Baden (nel cantone Aargau) organizzato
dai cantoni cattolici (Uri, Schwyz e Unterwalden) nel 1526 con l'invito al
noto teologo cattolico Johann Eck (1486-1543), proprio quello della disputa
di Lipsia del 1519 con Carlostadio e Lutero. Era stato invitato, in realtà,
Zwingli, ma questi, temendo per la propria incolumità, decise di non
presenziare di persona. Vi si recò quindi, al suo posto, E., che difese la
causa protestante in condizioni ambientali difficilissimi: il cantone Aargau
era infatti una roccaforte cattolica. Ovviamente ambedue le parti
proclamarono la propria vittoria alla fine del dibattito.
Un altro dibattito che lo vide protagonista fu il Colloquio di Berna del
Giugno 1528, in seguito al quale la città di Basilea decise di schierarsi
ufficialmente con la Riforma. Lo stesso 1528 fu un importante anno per E.,
in quanto sposò la ventiseienne Willibrandis Rosenblatt, vedova del
riformatore Ludwig Keller (Cellarius). Il destino di Willibrandis fu
alquanto curioso: infatti nel corso della sua vita essa sposò ben 4
riformatori: Keller, E., Wolfgang Capito e Martin Bucero!
Un acuto momento di crisi per la Riforma protestante fu la diatriba nel 1529
tra Zwingli e Lutero riguardante il Sacramento della Comunione:
Per Lutero, nella Comunione, grazia all'onnipotenza di Nostro Signore, vi
era la reale e sostanziale presenza del corpo e sangue di Cristo nel pane e
vino, che tutti i comunicandi ricevevano, che fossero degni o indegni,
credenti o miscredenti.
Per Z., invece, la Cena del Signore era solo una solenne commemorazione
della morte di Cristo, la sua presenza spirituale: egli rifiutava la
presenza reale del corpo e sangue, in quanto a) Gesù era asceso al cielo, b)
un corpo non poteva essere presente in più di un posto alla volta (in cielo
e nell'ostia) e c) due sostanze (il pane e il Corpo di Cristo) non potevano
occupare lo stesso spazio nello stesso momento.
Per cercare di dirimere questa polemica ed arrivare ad un accordo, prezioso
da un punto di vista politico per fare quadrato contro il Papa e
l'Imperatore, il Langravio Filippo di Hesse (Assia) (1504-1567) convocò una
riunione tra i tedeschi Lutero e Melantone e gli svizzeri Zwingli e E. nel
suo castello di Marburg.
La riunione ebbe inizio il 1 Ottobre 1529 con dei colloqui vis-a vis tra
Zwingli e il tranquillo Melantone, e tra Lutero ed il tollerante E.: il
saggio Langravio voleva ovviamente evitare uno scontro diretto tra le due
teste calde, Zwingli e Lutero.
Nonostante la redazione dei cosiddetti Articoli di Marburg alla fine dei
colloqui, il 3 Ottobre, l'incontro, apparentemente un buon compromesso, fu
sostanzialmente un fallimento, non soltanto dal punto di vista teologico
(non si arrivò ad un accordo sulla presenza corporale di Cristo nella
Comunione), ma anche per l'antipatia a pelle che i due capiscuola provavano
l'uno per l'altro. Lutero, a proposito della diatriba Sangue di
Cristo/semplice vino, dichiarò, molto poco diplomaticamente, che avrebbe
preferito bere sangue con il papa, piuttosto che il "semplice vino" con lo
svizzero Zwingli.


Gli ultimi anni
Nel 1530 E. incontrò i due "barba" (predicatori itineranti) valdesi, G.
Morel e P. Masson, che erano stati inviati presso i riformisti svizzeri
(incontrarono anche Bucero e Farel) per confrontarsi sulle rispettive
dottrine. Il riformatore di Basilea ebbe un ruolo rilevante nel convincere i
due a fare pressione sui propri confratelli per l'adesione, avvenuta poi nel
1532, dei valdesi stessi alla Riforma.
Nel 1531 egli conobbe il giovane antitrinitarista Michele Serveto, che E.
inutilmente tentò di convincere, con le maniere pacifiche, ad accettare la
dottrina della Trinità. Non così tanta tolleranza Serveto riscontrò in
Calvino, il quale lo fece bruciare sul rogo nel 1553 a Ginevra.
Nello stesso 1531 la salute, sempre malferma, di E. peggiorò sensibilmente
in seguito alle notizie della tragica morte, avvenuta l'11 Ottobre, nella
battaglia di Kappel dell'amico Zwingli. Il riformatore di Basilea
sopravvisse meno di due mesi all'amico e morì, all'età di soli 49 anni, il
24 Novembre 1531.



Enrico VIII d'Inghilterra (1509-1547) e Anglicanesimo



L'Inghilterra fu unica nella sua scelta di staccarsi dalla Chiesa Cattolica:
il risultato finale fu la Chiesa Anglicana, teologicamente una miscela di
dottrina cattolica e riformata, ma in pratica indipendente da tutte e due.


Situazione storica
Già prima del XVI secolo, l'Inghilterra aveva conosciuto eresie
particolarmente radicate sul territorio, come, ad esempio nel XIV secolo,
John Wycliffe e i suoi poveri predicatori, e il conseguente movimento
lollardo, che persisteva anche ai tempi di re Enrico VIII.
L'Inghilterra, inoltre, cercava di sviluppare la propria società, rifondata,
dopo la lunga e devastante Guerra delle Due Rose (1455-1485), su un
nazionalismo piuttosto marcato e ovviamente desiderava evitare, il più
possibile, le interferenze esterne.
Quindi era chiaro che le ingerenze del papa sugli affari interni inglesi, il
pagamento dei tributi a Roma, la corruzione nel quale versava il clero
cattolico inglese, un quarto circa del suolo nazionale in mano alla Chiesa,
un sistema di giudizio e pagamento delle tasse differenziato per gli uomini
di chiesa erano problemi decisamente maldigeriti dalla nazione e dal suo re.


Enrico VIII (1509-1547)
Enrico VIII, nato nel 1491, salì sul trono a soli 18 anni, nel 1509, dopo la
morte del padre Enrico VII (1485-1509). Nel primo periodo del suo regno egli
diede l'impressione di un devoto fedele della Chiesa Cattolica: scrisse
perfino un Assertio Septem Sacramentorum nel 1521 e fu molto efficace
nell'opporsi alla diffusione del luteranesimo in Inghilterra. Il tutto gli
fece guadagnare il titolo di Difensor fidei (difensore della fede) da parte
del papa.
Ma la crisi con Roma arrivò nel 1527: infatti Enrico era sposato, per
volontà politica di suo padre, dal 1509 con Caterina d'Aragona, vedova di
suo fratello Arturo. A quel tempo, questo matrimonio si poté celebrare
solamente con la dispensa di Papa Giulio II (1503-1513).
Dopo 18 anni, il re chiese al Papa Clemente VII (1523-1534) l'invalidazione
della dispensa papale, ma la questione era infatti molto delicata: da una
parte Enrico era seriamente preoccupato per la successione al trono
d'Inghilterra a causa del matrimonio con la più anziana Caterina, che non
era riuscita a dare un erede maschio al re: l'unica superstite delle sue
varie gravidanze era la figlia Maria. Però, dall'altra parte bisognava
considerare le implicazioni internazionali: Caterina era anche zia
dell'imperatore Carlo V (1519-1558)!
L'intermediario papale [l'arcivescovo di Salisbury Lorenzo Campeggio
(1472-1539)] e quello del re [il cardinale e Lord Cancelliere Thomas Wolsey
(1474-1530)], scelti per condurre la trattativa, tirarono per le lunghe
senza arrivare ad una conclusione e lo stesso Papa Clemente VII, dopo aver
subito il sacco di Roma e la prigionia da parte dei lanzichenecchi di Carlo
V nel 1527, non voleva ulteriormente provocare l'imperatore, perciò nel 1529
avocò a Roma il diritto di decidere sulla questione, ma anche lui, debole o
troppo prudente, continuò a posporre la decisione finale.
Lo stato di impasse fu superato grazie a Thomas Cranmer, docente
universitario alla Jesus College di Cambridge, il quale suggerì al re di
consultare le principali università europee. Oltretutto, secondo Cranmer,
anche dalle stesse Sacre Scritture veniva la conferma della scelta di
separazione, secondo un passo del Levitico (20:21): Se un uomo sposa la
moglie di suo fratello commette un'impurità; essi rimarranno senza figli.
Benché la proposta di Cranmer non permettesse di raggiungere l'unanimità di
consensi, tuttavia la maggioranza delle risposte fu favorevole a Enrico.
Anno dopo anno, Enrico VIII, consigliato da Cranmer, nominato nel 1532
arcivescovo di Canterbury, alzò sempre più il tiro contro la Chiesa
Cattolica. Nel frattempo, però, Cranmer si era nel frattempo sposato con
Margaret, nipote del riformatore luterano Andreas Osiander: dovette
occultare la presenza della moglie e perfino mandarla all'estero per non
dispiacere al re.
Nel 1530 il re accusò molti prelati inglesi di violare, a loro favore, gli
statuti, denominati Praemunire, (editti nel 1353, 1365 e 1393), i quali
concedevano che le cause legali coinvolgenti uomini di chiesa fossero
portate davanti a corti papali fuori dall'Inghilterra, solo dopo il
beneplacito del re. La vittima più illustre di questa accusa fu Thomas
Wolsey, che già caduto in disgrazia per la sua inefficienza dimostrata
durante le trattative per la separazione del re, fu messo sotto accusa, ma
morì di malattia il 30 novembre 1530 durante il suo trasferimento a Londra.
Nel 1531 Enrico fece votare dal parlamento "l'atto di supremazia" con la
quale egli si fece riconoscere Capo Supremo della Chiesa in Inghilterra.
Nel 1532 decise che i tributi andavano pagati alla corona e non a Roma.


Lo strappo con Roma
Lo strappo definitivo arrivò nel 1533, quando il re sposò in segreto la sua
nuova fiamma, Anna Bolena, la quale già aspettava un figlio da lui, e, tre
mesi dopo, Cranmer, facendosi forte di un decreto parlamentare sulla
autonomia della Chiesa inglese nelle decisioni interne, dichiarò sciolto il
matrimonio di Enrico con Caterina e riconobbe ufficialmente quello con Anna
Bolena.
Il papa Clemente VII reagì con la scomunica del re, di Anna Bolena e di
Thomas Cranmer nel luglio 1534 e con l'interdizione (cessazione
dell'amministrazione dei sacramenti) dell'Inghilterra, provvedimento che
sarebbe stato tremendo nel medioevo, ma che fu praticamente ignorata nel XVI
secolo. Clemente morì nel settembre 1534: il successore, Paolo III
(1534-1549), ideatore del Concilio di Trento, dovette gestire un rapporto
con la Corona d'Inghilterra, che peggiorava ogni giorno sempre di più.
Infatti Enrico VIII rispose alla scomunica nel novembre 1534 con tre atti:
Un ulteriore "atto di supremazia" (il re era il Capo Supremo sulla Terra
della Chiesa di Inghilterra) con il diritto di reprimere le eresie e di
scomunicare;
L'obbligo per tutti gli inglesi di giurare solamente davanti al re, e non
davanti a qualche autorità straniera (sic!);
La condanna per tradimento per chi osasse dire che il re fosse eretico,
tiranno o scismatico.
La pressione sulla Chiesa cattolica inglese fu elevatissima: sotto il
coordinamento del Vicario Generale Thomas Cromwell, i monasteri furono
chiusi e i loro beni incamerati dalla corona e tutti i prelati dovettero
giurare di rispettare l'atto di supremazia, solo Tommaso Moro (Thomas More)
(1478-1535), il grande filosofo umanista erasminiano, autore dell'Utopia, ed
ex Lord Cancelliere, e John Fisher (1469-1535), vescovo di Rochester ed ex
confessore di Caterina d'Aragona, si opposero ed entrambi furono decapitati
per tradimento. Ambedue furono successivamente nominati santi dalla Chiesa
cattolica.
Ma la cosa più curiosa fu che, dal punto di vista dottrinale, almeno in
questa prima fase, Enrico VIII non aveva affatto rotto con il cattolicesimo:
in linea di massima, egli si mostrò un buon cattolico e solo dopo, durante
il breve regno del figlio Edoardo VI (1547-1553), si fecero largo con più
decisione elementi cari alla Riforma.
Ma ai tempi di Enrico VIII queste idee potevano costare care: se ne rese
conto anche Thomas Cromwell, che cercò di spingere la monarchia verso il
luteranesimo, facendo adottare i Dieci Articoli (The Ten Articles), articoli
di fede di chiara ispirazione luterana (sola fide e semplificazione a soli
tre Sacramenti) e, con le Ingiunzioni Reali del 1538, fece mettere una
Bibbia in latino ed una in inglese in ogni chiesa (sola scriptura!).
L'esperimento fallì e Cromwell, caduto in disgrazia, anche perché ritenuto
il responsabile del matrimonio, poi fallito, del re con Anna di Cleves, fu
condannato per tradimento e decapitato nel luglio 1540.
Nel 1537 Enrico ritornò con decisione ai dogmi cattolici, facendo redigere
il Bishop's book (il libro del vescovo), che conservava i sette sacramenti,
il culto della Vergine e dei santi e proibiva la lettura individuale della
Bibbia. Il libro fu poi rivisto in senso ancora più cattolico e ristampato
nel 1543 con il titolo di King's book (il libro del re).
Nel 1539 il parlamento inglese approvò i Sei Articoli (The Six Articles),
che confermarono, tra l'altro, la validità del dogma della
transustanziazione, l'Eucaristia sotto una sola specie, il celibato per i
prelati, le Messe private e la confessione.
Riprese quindi con vigore la persecuzione contro i protestanti: fu bruciato
sul rogo nel 1540 il luterano Robert Barnes; il traduttore William Tyndale,
il quale aveva pubblicato la prima Bibbia (Nuovo Testamento) in inglese nel
1535, fu denunciato all'inquisizione spagnola, che lo bruciò a Bruxelles nel
1536; la protestante Anne Askew fu processata e bruciata sul rogo nel 1546;
alti prelati di chiare simpatie riformiste, come i vescovi Hugh Latimer e
John Hooper, l'ex frate agostiniano Miles Coverdale, traduttore del primo
Antico Testamento in inglese, e lo stesso Thomas Cranmer, dovettero o
rifugiare all'estero o rivedere drasticamente le proprie idee o perlomeno
adottare un atteggiamento nicodemitico.
Insomma alla sua morte nel 1547, Enrico VIII lasciò sia i cattolici che i
protestanti inglesi del tutto insoddisfatti.


Edoardo VI (1547-1553)
Il nuovo re Edoardo VI, figlio di Jane Seymour (terza delle sei mogli di
Enrico), aveva solo nove anni, quando salì al trono d'Inghilterra e quindi
il potere effettivo era concentrato nelle mani del reggente e Lord
Protettore, suo zio Edward Seymour, duca di Somerset (1506-1552).
Somerset era un buon amico di Cranmer e un convinto assertore della Riforma,
che riprese vigore: Latimer poté nuovamente predicare, Hooper poté rientrare
dall'esilio, la chiese protestanti vennero addobbate secondo il loro credo,
cioè senza immagini, la Comunione veniva data sotto ambedue le forme e
Cranmer poté far rientrare la moglie.
Nel 1549 venne pubblicato il Book of Common Prayer (il libro delle
preghiere), compilato su richiesta di Cranmer per semplificare i libri di
preghiere e di funzioni religiose in latino e risalenti al periodo
medioevale. Il suo utilizzo obbligatorio venne prescritto dall'Atto di
Uniformità del 1549 stesso.
Però dal punto di vista dottrinale ne risultò un miscuglio di idee diverse
(cattoliche e luterane) e non soddisfaceva nessuno: quindi, nel 1552, fu
rivisto, tuttavia questa volta in un senso fortemente riformato di tipo
svizzero, con l'ausilio di Calvino in persona, che scrisse a Edoardo VI e al
conte di Somerset per aiutarli nella revisione.
Ma soprattutto grazie al nuovo Lord Protettore, John Dudley (1502-1553),
conte di Warwick e al vescovo di Londra Nicholas Ridley, diverse personalità
della Riforma svizzera zwingliano-calvinista furono chiamate in Inghilterra
e diedero il proprio contributo: Martin Bucero da Strasburgo, l'italiano
Pietro Martire Vermigli, professore ad Oxford, il polacco Jan Laski.
Anche nel caso di questa seconda versione, un apposito Atto di Uniformità
del 1552 ne prescrisse l'utilizzo con, in più, l'obbligo di partecipare alle
funzioni religiose e la condanna per imprigionamento per la partecipazione a
qualsiasi altra forma di riunione religiosa.
Infine nel 1553 vennero pubblicati i 42 Articoli (The forty-two articles),
la collezione delle formule dottrinali anglicane, rimaste sulla carta per la
morte del re.


Maria Tudor (1553-1558)
Infatti il 6 luglio 1553 Edoardo VI, a soli 15 anni, morì di tubercolosi, e
dopo l'infelice avventura di Lady Jane Grey (1537-1554), cugina di Edoardo e
regina per soli 9 giorni (poi decapitata nel 1554), salì al trono la
cattolica Maria Tudor, figlia di quella Caterina d'Aragona, il cui ripudio
aveva innestato lo scisma della Chiesa d'Inghilterra.
Inizialmente la regina impostò il suo regno sulla tolleranza religiosa, ma
nel contempo chiese ed ottenne, il 3 gennaio 1555, dal parlamento inglese il
ritorno all'obbedienza a Roma, ratificato dal cardinale inglese Reginald
Pole (1500-1558). Ironia della sorte, Pole, che per poco non diventò papa
nel 1549 (sarebbe bastato che avesse accettato l'elezione per adorationem),
fu perfino sospettato di eresia da parte del Papa Paolo IV (1555-1559) per
le sue idee moderatamente riformiste.
Sul piano personale, Maria aveva sposato nel 1554 suo cugino di secondo
grado, il figlio dell'imperatore Carlo V, Filippo di Spagna [il futuro
Filippo II (1556-1598)], undici anni più giovane di lei: fu una delle
decisioni più infelici del suo regno. Oltre all'impopolarità presso i suoi
sudditi, Maria soffrì il dramma personale perché non riuscì mai ad avere il
tanto aspettato erede.
Forse per l'influenza dei consiglieri cattolici spagnoli o a causa di
manifestazioni protestanti anti-monarchiche o per i consigli del Lord
Cancelliere, l'arcivescovo di York Stephen Gardiner (1483-1555), Maria si
trasformò ben presto in una delle più feroci persecutrici della Riforma in
Inghilterra, tale da meritarsi il soprannome di Maria la Sanguinaria: furono
imprigionati e successivamente bruciati sul rogo Cranmer, Ridley, Latimer e
Hooper. Ridley e Latimer furono addirittura arsi sulla stessa pira.
Ma il boia non si fermò qui: in tutto tra 273 e 288 (a secondo delle fonti)
protestanti furono arsi sul rogo, più di 800 fuggirono (come Coverdale) in
Germania e Svizzera e 2.000 preti furono espulsi perché sposati.
Maria morì il 17 novembre 1558. Qualche ora più tardi morì il cardinale
Pole, il fautore del momentaneo riavvicinamento dell'Inghilterra alla Chiesa
cattolica.


Elisabetta I (1558-1603)
Nel 1558 salì sul trono d'Inghilterra Elisabetta,figlia di Anna Bolena: essa
fu la vera fondatrice della Chiesa Anglicana, una sintesi dottrinale tra
liturgia cattolica e dogmatismo calvinista. Il suo regno non incominciò
certo nella migliore maniera: i cattolici la consideravano un'usurpatrice e
l'arcivescovo di Canterbury, Nicholas Heath (m. 1578), si rifiutò perfino di
incoronarla.
Tuttavia Elisabetta fu soprattutto una abile donna politica e dissimulò con
cura il suo credo religioso: non si dichiarò ufficialmente protestante per
non dare lo spunto ad una possibile grande alleanza tra Spagna, Francia e
Scozia, ma d'altronde adottò il protestantesimo, senza usare i toni accesi
dei predecessori.
I suoi primi passi furono improntati sulla diplomazia e compromesso: non si
fece più chiamare, come il padre Enrico VIII, capo supremo della Chiesa
d'Inghilterra, bensì più modestamente Governatore Supremo, pur negando
l'autorità giuridica del papa. Nel frattempo rese obbligatorio nel 1559, con
un ennesimo Atto di Uniformità, il Prayer Book, nella seconda versione di
Edoardo VI, tuttavia rivisto in senso cattolico.
Eppure la rivolta degli alti prelati cattolici era stata quasi totale: 15
vescovi, 12 decani, 15 direttori di collegi religiosi e circa 200/300 preti
rassegnarono le dimissioni o furono privati del titolo. Nel 1559 fu eletto
il nuovo arcivescovo di Canterbury, Matthew Parker, un uomo moderato e
conciliante, che aveva sofferto sotto Maria Tudor, ideale per Elisabetta in
quella posizione, ma per la sua investitura si dovettero scomodare quattro
ex prelati che erano stati vescovi nel periodo di Edoardo VI, stante la
situazione sopra descritta.
I 42 articoli di Edoardo VI (1553) (le formule dottrinali anglicane)
diventarono nel 1571, sotto Elisabetta I, i 39 articoli, compromesso
fortemente voluto da Parker, tra elementi cattolici, luterani e calvinisti.
L'altro grande teologo del regno elisabettiano fu Richard Hooker
(1554-1600), spiritualista e apologista, che scrisse il ponderoso Treatise
on the laws of ecclesiastical polity (trattato sulle leggi del governo
ecclesiastico) a difesa della scelta episcopale nella struttura della Chiesa
d'Inghilterra.
La reazione di Roma fu lenta: solo nel 1570 il Papa Pio V (1566-1572) si
decise a scomunicare Elisabetta e a sciogliere gli inglesi dal dovere di
obbedienza: errore gravissimo in un paese che non aveva certo bisogno di
alimentare il fuoco della polemica anti-papale.
Nel 1587, sotto la minaccia dell'invasione spagnola e in seguito
all'ennesima congiura per far cadere la regina e sostituirla con Maria
Stuarda (1542-1587), Elisabetta fece decapitare l'ex regina di Scozia,
fuggita in Inghilterra nel 1568, dove venne detenuta in cattività fino alla
sua esecuzione. La mossa aveva il preciso scopo politico di togliere di
mezzo una possibile protagonista (fra l'altro diretto successore in linea
gerarchica di Elisabetta) che potesse catalizzare le proteste dei cattolici
inglesi.
La reazione dei spagnoli avvenne l'anno dopo, 1588, ma la disfatta della
loro flotta di invasione, la famosa Invincible Armada (Invincibile Armata),
mise l'Inghilterra al sicuro da ingerenze esterne.
Rimasero comunque i conflitti interni: ovviamente una politica di
compromesso non poteva certo piacere agli opposti estremi. Soprattutto gli
estremisti protestanti, i Puritani, benché rintuzzati spesso da Hooker, dal
1570 in avanti attaccarono le apparenze esteriori (paramenti sfarzosi, l'uso
dei vescovi ecc.), secondo loro un retaggio papista, rendendo amari gli
ultimi anni per l'anziana regina, che si spense nel 1603.


Amman, Jacob (1644-dopo il 1730) e ammaniti o amish



Jacob Amman
Jacob Amman nacque nel 1644 a Erlenbach, nella valle del Simm (Simmental),
nel cantone Berna in Svizzera, da Michael Amman e Ann Ruppen, genitori di
religione riformata, che lo fecero battezzare il 12 febbraio dello stesso
anno.
In gioventù, tuttavia, A. venne convertito alla corrente mennonita
dell'anabattismo e ribattezzato, in seguito al quale egli si trasferì in una
comunità vicino a Bowil, nella valle dell'Emm (Emmental), dove divenne un
pastore ed in seguito un vescovo mennonita.
Nel 1673, a cause delle persecuzioni contro i mennoniti nel cantone Berna,
A. fuggì in Alsazia, dove esercitò il suo ministero come vescovo fino al
1693 e dove, dopo la visita in Svizzera che portò alla scissione del suo
gruppo, si stabilì fino al 1708 a Sainte-Marie-auz-Mines.
Nel 1693 A. si rese protagonista di una delle scissioni più importanti della
tormentata storia degli anabattisti: in quell'anno egli espresse la sua
disapprovazione che gli anziani della chiesa mennonita non stessero
praticando la rigida separazione dal mondo e che in particolare non
applicassero alla lettera la meidung, cioè l'ostracismo più rigoroso nei
confronti del fedele colpito da scomunica, che doveva essere osservata anche
dai membri della sua stessa famiglia. Inoltre egli era favorevole alla
lavanda dei piedi in tutte le comunità (cioè era facoltativo per i
mennoniti), alla Comunione due volte all'anno (contro una volta soltanto dei
mennoniti), alla crescita della barba per gli uomini adulti ed
all'uniformità molto semplice dei vestiti dei fedeli.
Per questo fu scomunicato dai mennoniti svizzeri (che scomunicò a sua volta)
e decise quindi di fondare in Alsazia una propria comunità denominata
ammanita o amisch (in seguito semplificato graficamente in amish). Ogni
successivo tentativo di riconciliazione andò fallita anche per il carattere
non precisamente facile di A.
Gli amish si diffusero anche in Germania, nel Lussemburgo e Olanda, ma nel
1712 essi, ed in generale tutti gli anabattisti, furono espulsi dall'Alsazia
ed iniziarono ad emigrare verso le colonie inglesi in America, in
particolare, verso la Pennsylvania, terra di libertà per tutte le
confessioni religiose, grazie all'impegno di William Penn.
Le notizie sulla vita di A. da questo momento in avanti diventano molto
scarse: l'unica testimonianza è del 1730, quando la figlia dichiarò che il
padre era emigrato all'estero, senza però precisare né dove né quando. La
data della morte quindi può essere fatta risalire successivamente al 1730.
Gli Amish
Come già detto, ad iniziare dal 1712, gli a. iniziarono ad emigrare negli
attuali Stati Uniti, soprattutto in Pennsylvania, dove la contea di
Lancaster ospita una delle comunità amish più numerose e resa famosa dal
film Witness (Il testimone). Oggigiorno, soprattutto in seguito alle
emigrazioni del XIX e XX secolo essi sono presenti praticamente solo in
Stati Uniti e in Canada: la comunità più numerosa (circa 45.000 fedeli) è
nell'Ohio, le altre si trovano nell'Illinois, Indiana, Pennsylvania, New
York e nell'Ontario in Canada, mentre le comunità europee sono oramai
estinte.
Anche questa setta ha avuto comunque le sue scissioni interne. La più
importante fu quella del 1850, quando si divisero in tradizionalisti
(vecchio ordine) e innovatori (nuovo ordine), questi ultimi favorevoli a
qualche minimo ammodernamento nell'Ordnung (le regole di vita delle
comunità).


Le dottrine e la filosofia di vita
Gli a. seguono il credo anabattista di tipo mennonita, basato sull'autorità
delle Sacre Scritture, il rifiuto della violenza, del servizio militare e di
prestare giuramento, il battesimo per adulti (che avviene tra i 17 e i 20
anni di età), la celebrazione della Cena del Signore e della lavanda dei
piedi.
In più gli a. rispettano l'Ordnung, le regole orali che regolano la vita
quotidiana, non fanno proselitismo (solo il 10% dei fedeli sono convertiti)
e praticano il Meidung, il severo ostracismo nei confronti del fedele che
sia colpito da scomunica (per essere scomunicati basta anche dire una
bugia), che abbandoni la chiesa amish o che sposi un estraneo alla comunità.
Gli altri fedeli non possono né vendere né comparare qualcosa da lui, e
perfino mangiare alla sua stessa tavola.
Le funzioni religiose vengono tenute nelle case dei fedeli e gli a.
rispettano tutte le feste cristiane, oltre ad una giornata di digiuno l'11
ottobre.
La loro filosofia di vita è basata sul Gelassenheit, un concetto insegna al
fedele di essere riservato, modesto, calmo e tranquillo; di essere
totalmente sottomesso all'autorità di Dio; di servire e rispettare gli altri
nella comunità.


Stili di vita
Il Gelassenheit influenza quindi anche lo stile di vita quotidiano degli a.
Gli a. vivono in comunità auto-gestite, senza coordinamento centrale: gli
uomini vestono con un vestito semplice di colore scuro senza bottoni,
portano un cappello nero a tesa larga e si lasciano crescere la barba, ma
non i baffi, simbolo del militarismo; le donne sono vestite con un vestito
colorato senza gioielli con una cuffia, un grembiule e, durante le funzioni,
uno scialle (bianco per le maritate, nero per le nubili). I bambini vanno
alla scuola pubblica solo per i primi otto anni, perché gli a. non
condividono le idee insegnate nei licei: gli insegnamenti successivi vengono
infatti impartiti nelle comunità, sotto il controllo degli anziani.
La lingua parlata è il Pennsylvania Dutch, un antico dialetto tedesco, ma
nelle cerimonie viene usato il tedesco puro e a scuola si impara l'inglese.
Gli a. non usano automobili, ma carrozze a cavalli (i buggies); non hanno
telefoni, televisori, radio e non fanno uso dell'energia elettrica; sono
ottimi agricoltori, ma non usano trattori moderni; hanno un ottimo
artigianato di giocattoli in legno e coperte multicolori, chiamati quilts;
non fanno fotografie perché è contro le Scritture.
Essi si sposano rigorosamente tra confratelli (il contrario porterebbe alla
scomunica) e i funerali sono di una spartana semplicità.
I fedeli pagano le tasse, ma non i fondi sanitari e pensionistici nazionali,
perché hanno dei fondi da loro gestiti per i confratelli bisognosi di aiuto.


Confessioni amish
La maggior parte degli 134.000 a. è riunita sotto la Old Order Amish Church
(Chiesa degli Amish del vecchio ordine) con circa 81.000 fedeli. Le altre
confessioni sono:
Egli Amish, di orientamento ancora più tradizionalista della Old Order e
fondata dal vescovo Henry Egli (1824-1890),
Conservative (Amish) Mennonite Conference [Conferenza degli (amish)
mennoniti conservatori], l'ala più liberale (contrariamente a quando si
presuppone dal nome), che si è recentemente accostata ai mennoniti,
diplomaticamente lasciando cadere la parola amish nella propria
intestazione.
Beachy Amish, l'ala progressista moderata, fondata dal vescovo Moses Beachy
(1865-1950) nel 1923, che raccoglie circa 11.000 fedeli.

Elcasaiti (o Elcesaiti o Elkasaiti) (1/2 1°secolo)



La setta giudeo-cristiana degli elcasaiti, a carattere magico-astrologico,
sorse intorno all'anno 100 in Giordania e fu fondata da tale Elkesai (alcuni
autori propendono per la grafia Elchasaí o Elkessaîoi o Elkesaïtaí) di
origine persiana.
Gli E. avevano un loro libro sacro, il Libro di Elkesai, che, come mormoni
ante-litteram, essi credevano fosse stato consegnato ad Elkesai da un
angelo. Questo angelo era alto 154 chilometri e largo 27, si proclamava
Figlio di Dio ed era accompagnato da sua sorella (sic!), lo Spirito Santo.
Tutto ciò fu riportato da Alcibiade di Apamea (Siria), un elcasaita, che
diffuse la setta a Roma, portandovi il libro in questione durante il
pontificato di S. Callisto (217-222).
Essi credevano in un Dio creatore e avevano un concetto docetico della
persona di Gesù, cioè l'umanità e le sofferenze di Gesù Cristo erano più
apparenti che reali.
Inoltre essi rifiutavano gli scritti di San Paolo e vaste parti dell'Antico
Testamento ed erano convinti che il battesimo potesse essere praticato
svariate volte come rito purificatore.
La setta sopravvisse fino alla fine del IV° secolo.
Il famoso fondatore del manicheismo, il nobile persiano Mani fu
probabilmente in gioventù un elcasaita.


Elia da Cortona (o da Assisi) (ca. 1180-1253)



Elia Bonusbaro (o Bonibarone) nacque nel 1180 vicino ad Assisi,
probabilmente a Bevagna, da padre bolognese (di professione materassaio) e
da madre di Assisi. E. studiò a Bologna per diventare notaio e benché non
fosse mai diventato un religioso, fu uno dei primi (dal 1211) compagni di
San Francesco d'Assisi, che nel 1221 lo nominò vicario generale dell'ordine,
avendo totale fiducia nel suo operato.
Alla morte di Francesco nel 1226, E., un uomo ambizioso che concepiva
l'ideale di povertà e sacrificio del suo Maestro perlomeno come poco
pratico, si dedicò completamente all'erezione della basilica dedicata al
Santo in Assisi, raccogliendo soldi per questa impresa, ma scontrandosi per
questo con l'ala oltranzista degli spirituali, o zeloti, i francescani che
osservavano alla lettera la Regola ed il Testamento del Santo, desiderando
mantenere l'originale stile di vita, basato sulla povertà e rinuncia di ogni
privilegio, predicato da Francesco.
Tra E. e gli spirituali non correva quindi buon sangue, tant'è che essi
riuscirono nell'intento di farlo sfiduciare nel Maggio 1227. Tuttavia nei 3
anni successivi, E. si dedicò esclusivamente al completamento della
basilica, consacrata nel Maggio 1230 e, grazie alla popolarità dovuta a
questa grandiosa opera, nel 1232 egli fu rieletto generale dell'ordine in un
momento critico per il neo formato ordine religioso, che si era già diviso
nei due filoni principali:
I conventuali o relaxati, il cui intento era di operare una parziale
revisione in senso mitigatore della Regola dell'ordine.
Gli spirituali precedentemente descritti.
Il governo di E., purtroppo, fu peggio della benzina sul fuoco! Egli abusò
della sua autorità, continuando a raccogliere soldi per la basilica e
convento di San Francesco, facendo frustare, esiliare o imprigionare i
dissidenti e ricorrendo alla scomunica, ove necessaria.
Tuttavia l'opposizione interna del movimento francescano riuscì ad
appellarsi a Papa Gregorio IX (1227-1241), il quale fece deporre E. nel
1239.
Quest'ultimo decise allora di sposare nel 1240 la fazione ghibellina
dell'imperatore Federico II, assieme al quale fu scomunicato. Per questo
egli chiese perdono al Papa e fu riammesso all'ordine, salvo poi esserne
nuovamente espulso e scomunicato nel 1244 da Papa Innocenzo IV (1243-1254).
Rimase dunque nella sfera di influenza di Federico II, per il quale si
incaricò di alcune missioni diplomatiche in Oriente e mantenne, nonostante
tutto, un certo prestigio presso la popolazione di Assisi, dove finì di far
costruire il convento di San Francesco.
Morì a Cortona il 22 Aprile 1253, essendosi riconciliato, poco prima della
morte, con la Chiesa.


Dee, John (1527-1608)



La vita
Il matematico, mago e astrologo inglese John Dee nacque il 13 luglio 1527 a
Londra, figlio unico di Roland Dee (m. 1555), un ricco mercante in tessuti
di origine gallese e sarto alla corte di Enrico VIII d'Inghilterra
(1509-1547), e di sua moglie Jane Wild.
Dal 1537 il giovane D. fu mandato a studiare alla Chantry School di
Chelmsford, nella contea dell'Essex, poi entrò, nel 1542, nella St. John's
College, a Cambridge, dove studiò matematica e astronomia, ottenendo il suo
baccalaureato nel 1546, anno in cui fu nominato membro della Trinity
College, a Cambridge, fondata da Enrico VIII.
Nel 1547 D. decise di recarsi in Olanda per motivi di studio: ritornato dopo
un anno ottenne il laurea in arti liberali, ma dopo poco dovette riparare
all'estero sotto l'accusa di congiura.
Ritornò quindi nuovamente nei Paesi Bassi, a Lovanio e Bruxelles, e in
Francia, a Riems, abitandovi tra il 1548 ed il 1551 e studiando con famosi
studiosi locali, come il cartografo Gerardo Mercatore (1512-1594) e il
matematico Pedro Nunez (Nonius) (1492-1577).
D. rientrò in Inghilterra nel 1551 e ottenne una rendita di 100 corone dal
re Edoardo VI (1547-1553) e la posizione di rettore di Upton-upon-Severn.
Tuttavia, dopo la salita al trono della regina Maria Tudor, detta la
Sanguinaria (1553-1558), D. fu, nel 1555, accusato di stregoneria, ed in
particolare di aver attentato alla vita della regina per mezzo di sortilegi
maligni e calcoli matematici (pare che la futura regina Elisabetta gli
avesse chiesto di calcolare la data della morte della sorellastra!) e fu
quindi imprigionato a Hampton Court.
Dopo la sua liberazione, le sue fortune iniziarono a migliorare con l'ascesa
sul trono d'Inghilterra proprio di Elisabetta I (1558-1603), in particolare
quando il favorito della regina, Lord Robert Dudley (1532-1588), chiese a D.
di scegliere una data propizia per l'incoronazione della sovrana, che in
questa occasione prese alcune lezioni di astrologia dal mago, rimanendone
molto impressionata.
Nei successivi cinque anni D. si dedicò ai suoi studi di astrologia,
astronomia, alchimia, matematica, occultismo e magia bianca, e ad ampliare
la sua ricca biblioteca, ma nonostante i favori di Elisabetta I, egli non
riuscì ad ottenere una totale tranquillità economica, quindi, per tagliare
le spese, andò ad abitare da sua madre a Mortlake, nella contea del Surrey.
In questa casa (che ereditò nel 1580) egli pose la sua biblioteca di 4.000
volumi e 700 manoscritti, oltre a rari e strani oggetti, alcuni dei quali
andarono distrutti a causa di successive incursioni e devastazioni
(soprattutto durante i suoi frequenti viaggi all'estero) da parte di
teppisti superstiziosi, i quali lo ritenevano amico del Diavolo.
Tra il 1564 e il 1571 egli fece diversi viaggi in Europa [tra l'altro regalò
una copia della sua Monas hieroglyphica al neo-eletto imperatore
Massimiliano II (1564-1578)], mentre in patria, nello stesso periodo, fu
impiegato per istruire gli equipaggi delle navi della Compagnia di
Navigazione anglo-russa Muscovy, fondata dal celebre esploratore Sebastiano
Caboto (1474-1557). Nel 1577 egli pubblicò il trattato Perfect Arte of
Navigation (L'arte perfetta della navigazione), in realtà un testo di
propaganda per la creazione di un impero britannico, mentre l'anno dopo
(1578), dopo due matrimoni senza eredi, si sposò con Jane Fromands, da cui
ebbe otto figli.
Dal 1581 egli iniziò ad indagare sempre di più il mondo del soprannaturale,
soprattutto degli angeli, dapprima con esperimenti di cristallomanzia, una
tecnica divinatoria usando sfere di cristallo o bacinelle d'acqua, e
successivamente con ben più inquietanti sedute di divinazione, mediante
rievocazione di morti (necromanzia), con l'aiuto di Edward Kelly
(1555-1593), un medium, sensitivo e alchimista, comunque un vero truffatore,
a cui, per punizione, erano state tagliate le orecchie, e che D. conobbe nel
1582. Tuttavia non tutti gli autori concordano sul fatto che D. abbia mai
partecipato agli esperimenti di necromanzia organizzati da Kelly.
I due, con le proprie famiglie, viaggiarono tra il 1583 ed il 1589 in
Polonia, dove furono ospitati e sponsorizzati dal conte palatino di Siradz,
Albert Laski, nipote del famoso riformatore Jan Laski.
A Cracovia nel 1585 D. incontrò e fece amicizia con il pensatore utopistico
Francesco Pucci, che accompagnò D. e Kelly  i due nel loro viaggio a Praga
per andare a visitare l'imperatore Rodolfo II (1578-1612). Qui il loquace e
polemico Pucci abbandonò la compagnia dei due maghi (con sollievo di D., che
lo considerava pericolosamente chiacchierone e utopico: aveva perfino
cercato di convincere D. ad andare a Roma per presentare al papa i suoi
esperimenti di necromanzia!). A Praga i due furono ricevuti da Rodolfo II,
al quale, si dice, D. abbia venduto il misterioso (e tuttora non decifrato)
manoscritto Voynich.
Sempre a Praga l'alchimista ebreo Jacob Eliezer, noto come il Rabbi Nero,
donò a D. un libro di magia nera e necromanzia denominato Necronomicon, ma
il mago fu fortemente impressionato dalla lettura e dallo studio del testo.
Poco dopo D. e Kelly litigarono e si separarono in seguito alla disinvolta
(e indecente) proposta di Kelly di mettere le mogli in comune (sic!): D.,
ammalato e a corto di quattrini, decise di rientrare a Mortlake nel 1589,
per amaramente constatare che la sua biblioteca, in sua assenza, era stata
saccheggiata dai teppisti.
Kelly andò incontro ad un ben più tragico destino: spacciandosi come lo
scopritore della Pietra Filosofale e dell'Elisir di Lunga Vita, fu
eventualmente arrestato come eretico e stregone, dapprima a Praga poi nella
Germania meridionale, dove, nel corso di un tentativo di evasione nel 1593,
cadde rompendosi due coste e ambedue le gambe e riportando ferite così gravi
che ne morì poco dopo.
Per D. il rovescio economico creato dal furto dei libri ed oggetti nella sua
biblioteca fu molto grave e per anni egli si dibatté in condizioni molto
disagiate finché la regina Elisabetta, nel 1596, non lo nominò dapprima
cancelliere della Cattedrale di San Paolo a Londra, poi sovrintendente del
Christ College di Manchester, dove egli si trasferì con la sua famiglia:
purtroppo nella città inglese scoppiò nel 1605 un'epidemia di peste, che
uccise sua moglie e diversi suoi figli.
Precedentemente egli aveva lavorato sulla traduzione in inglese del
famigerato Necronomicon, che però non venne mai stampato e probabilmente
contribuì alle accuse di stregoneria, contro le quali egli dovette
difendersi negli ultimi anni della sua vita.
D. morì poverissimo a Mortlake il 26 marzo 1609.


Le opere
Come già detto, la vastità degli studi di D. sulla astrologia, astronomia,
alchimia, matematica e magia bianca, è veramente notevole. Le opere più
importanti sono:
Monas hieroglyphica (1564), un testo di ermetismo, cabala ed alchimia.
Propaedeumata Aphoristica (1568), una miscela di concetti di fisica,
matematica, astrologia e magia.
Parallacticae commentationis praxosque (1573), un trattato di metodi
trigonometrici per calcolare le distanze delle stelle.
Perfect arte of navigation (1577), un libro di propaganda per la creazione
di un impero britannico.
Inoltre l'esperienza fatta nelle comunicazioni con gli angeli di D. e Kelly
venne riassunta nel libro A true and faithful relation of what passed
between Dr. Dee and some spirits (Una vera e fedele relazione delle
comunicazioni tra il Dr. Dee e alcuni spiriti), scritto da Méric Casaubon
(1599-1671), figlio del più noto Isaac, basandosi sulle annotazioni
originali del mago inglese, rinvenute dopo la sua morte.



Vergerio, Pier Paolo, vescovo di Capodistria (1498-1565)



I primi anni
Pier Paolo Vergerio nacque nel 1498 a Capodistria, ai tempi parte della
Repubblica di Venezia, da una famiglia nobile impoverita, che contava tra i
propri avi l'umanista Pier Paolo Vergerio senior (1370-1444), in onore del
quale il padre di V., Girolamo, diede il nome al più famoso dei suoi otto
figli. A causa della situazione economica non certa agevole della famiglia,
ben cinque figli di Girolamo furono avviati alla carriera al servizio della
Chiesa: Giacomo (frate francescano), Aurelio [m. 1532, segretario di Papa
Clemente VII (1523-1534)], Giovanni Battista (m. 1548, vescovo di Pola),
Coletta (suora) e il nostro Pier Paolo.
Questi, dopo un periodo di studi a Venezia, si iscrisse alla facoltà di
legge a Padova nel 1517 e il 21 maggio 1524 si laureò in diritto civile.
Successivamente V. continuò a risiedere come procuratore legale a Padova,
dove frequentò il circolo culturale raccolto intorno al poeta e futuro
cardinale Pietro Bembo, protagonista, assieme al grecista di origine
albanese Nicolaus Leonicus Thomaeus (Niccolò Leonico Tomeo) (1456-1531), del
primo lavoro di V., il dialogo De republica Veneta.


V. al servizio del papato
Nel 1526 V. sposò Diana Contarini, ma la moglie morì solo un anno dopo e nel
1532, seguendo il fratello Aurelio, segretario di Papa Clemente VII, egli si
recò a Roma, dove entrò, anch'egli, come segretario al servizio del
pontefice. Alla morte di Aurelio nel settembre 1532, Clemente VII diede a V.
il ruolo di segretario del codice e del cifrario segreto, che era stato del
fratello defunto.
Ma V. non poté godere della sua nuova posizione, perché fu immediatamente
mandato, nell'ottobre dello stesso anno, in missione a Venezia per cercare
di convincere la Serenissima ad entrare in un'alleanza anti-turca.
Cambiate le priorità di tema di politica estera del papato, nella primavera
1533 V. fu inviato a Vienna come nunzio pontificio presso Ferdinando I,
arciduca d'Austria (arciduca, poi imperatore: 1521-1564), che lo accolse
favorevolmente e lo convinse di intercedere, presso la Santa Sede, a favore
di una pace stipulata con i turchi, respinta da Clemente VII.
Significative di questo periodo furono le lettere scambiate tra V. e il
protonotario apostolico Pietro Carnesecchi (entrambi avrebbe aderito in
seguito alla Riforma) su come fermare il dilagare dell'eresia luterana!
Nel 1534 morì Clemente VII ed il nuovo papa Paolo III (1534-1549) inviò V.
nel 1535 in Germania con lo scopo di indagare sul gradimento dei principi
tedeschi della sede di Mantova per il concilio, che il papa voleva
convocare. V. ebbe anche un incontro con Martin Lutero a Wittenberg nel
novembre dello stesso anno, ma non ne fu affatto impressionato
favorevolmente, anzi lo considerò uno spaccone, pronto ad accusare il papa
ad ogni occasione, e che - secondo V. - sarebbe stato ridimensionato, una
volta fosse stato pubblicamente condannato durante il concilio.


Vescovo di Capodistria
Rientrato in Italia nel 1536, nel maggio dello stesso anno, probabilmente
dopo essere stato ordinato e consacrato vescovo, V. fu ricompensato con il
piccolo vescovado di Modrus (o Modrussa), vicino a Fiume, in Croazia,
tuttavia, grazie all'intermediazione di Ferdinando I, in settembre, gli fu
offerto quello, strategicamente più interessante, di Capodistria, sebbene
sulla sede istriana, già piuttosto povera di proventi (circa 200 ducati
l'anno), gravava oltretutto l'obbligo di pagare una lauta pensione di 50
ducati al segretario del cardinale Alessandro Farnese (1520-1589), il
capodistriano Antonio Elio.
Farnese, nipote di Paolo III, sarebbe diventato negli anni successivi uno
dei principali accusatori di V.
Questa situazione amareggiò moltissimo il neo-eletto vescovo, i cui
tentativi di ribellarsi da questo pesante giogo furono bloccati dal nunzio
apostolico a Venezia, Girolamo Verallo [1497-1555, zio del futuro papa
Urbano VII (1590)], dal cardinale Farnese e perfino da Paolo III in persona:
V. meditò allora di rinunciare alla diocesi e nel frattempo fece diversi
viaggi tra il 1536 ed il 1541.


V. e gli spirituali
Fu così che egli conobbe a Mantova il cardinale Ercole Gonzaga (1505-1563),
simpatizzante per la corrente degli ecclesiastici spirituali, attraverso il
quale V. apprese le predicazioni di Bernardino Ochino, ma soprattutto a Roma
nel 1539 entrò in contatto con i cardinali Gasparo Contarini e Reginald
Pole, con Alvise Priuli, Vittoria Colonna e Marcantonio Flaminio. Nel marzo
1540, al seguito del cardinale Ippolito d'Este (1509-1572), egli intraprese
in viaggio verso la Francia, passando prima da Ferrara, dove conobbe Renata
d'Este, cognata del cardinale Ippolito e nota protettrice dei riformati, in
quanto di fede calvinista ella stessa.
In Francia, V. fu incaricato dal re Francesco I (1515-1547) di presiedere al
Colloquio di religione di Ratisbona dell'aprile 1541, che doveva sviluppare
un documento comune tra cattolici e protestanti e al quale partecipò anche
Gasparo Contarini, come legato pontificio. Qui ebbe la possibilità di
conoscere i principali riformatori del momento, come Melantone, Bucero e
Jakob Sturm (1489-1553).


Primi sospetti sulla sua ortodossia
Finalmente nell'estate 1541 V. rientrò nella sua diocesi di Capodistria,
dove lottò contro gli abusi e si dedicò al miglioramento disciplinare del
proprio clero, ma si mise in contrasto con i propri superiori, come il
nunzio apostolico a Venezia, Giorgio Andreassi. Ma cresceva nel frattempo il
suo impegno riformatore: nel 1542 egli fece pubblicare a Venezia il suo
discorso De unitate et pace Ecclesiae, dove auspicava la conciliazione di
cattolici e protestanti e, in sintonia con il fratello Giovanni Battista,
vescovo di Pola, promulgò la diffusione del Beneficio di Christo, di
Benedetto Fontanini da Mantova nella sua diocesi, e questo aumentò i
sospetti di eresia nei suoi confronti: un primo procedimento fu aperto nei
suoi confronti il 13 dicembre 1544, ma fu poi prosciolto.
Nel dicembre 1545 V. visitò Brescia, dove fu ospite di Fortunato Martinengo,
ma il suo viaggio fu interpretato dai suoi nemici, soprattutto dal vescovo
di Milopotamos e Cheronissa (sull'isola di Creta, in Grecia), Dionisio
Zanettini, detto il Grechetto (vescovo: 1538-1549), come parte della sua
strategia per diffondere l'eresia luterana. Nonostante i crescenti sospetti
sul suo conto, nel gennaio 1546 V. viaggiò alla volta di Trento per prendere
parte al Concilio (lavori ufficiali: 1545-1563), ma la reazione dei legati
pontefici e del cardinale ospitante, Cristoforo Madruzzo (1512-1578), fu
cortese, ma categorica: solo se V. avesse dimostrato la sua estraneità alle
accuse di eresia, sarebbe stato ammesso ai lavori del Concilio.


V. accusato di eresia
Rientrato, deluso, alla sua diocesi, V. si accorse oramai di essere al
centro di un procedimento ecclesiastico contro di lui. Infatti il 2 giugno
1546 il nunzio apostolico Giovanni Della Casa (1503-1556) lo mise
ufficialmente sotto accusa ed egli fu interrogato davanti al Tribunale
dell'Inquisizione, dove si batté strenuamente per essere riconosciuto
innocente, nonostante l'offensiva inesorabile del cardinale Farnese e dei
suoi alleati.
Poco dopo, tuttavia, avvenne l'episodio, che si può definire, parafrasando
la vita di Lutero, l'esperienza della torre (Turmerlebnis) del prelato di
Capodistria: egli infatti assistette all'agonia di Francesco Spiera,
l'avvocato di Cittadella (vicino a Padova), che, dopo essere stato costretto
ad abiurare, si era convinto di aver tradito Gesù Cristo e il Vangelo, e di
essere destinato alla dannazione eterna, entrando quindi in una profonda
depressione, e ammalandosi rapidamente. Nonostante le cure dei medici e il
conforto di V., accorso al suo capezzale, Spiera morì il 27 dicembre 1548,
schiacciato dal rimorso, a soli 46 anni.
L'episodio dell'avvocato di Cittadella (raccontata poi nella sua opera
Historia di Francesco Spiera del 1551), unito alla morte dell'amato fratello
Giovanni Battista (al quale successe, come vescovo di Pola, proprio Antonio
Elio, il protetto del cardinale Farnese!), diede a V. la forza di prendere
la via dell'esilio: il 1 maggio 1549 V. fuggì dall'Italia per giungere, due
settimane dopo, a Chiavenna, dal 1512 parte del cantone protestante dei
Grigioni. Nel frattempo, egli fu condannato (in contumacia) per eresia a
Roma il 3 luglio 1549 sulla base di 34 capi d'accusa.


V. in Svizzera
Nel Cantone Grigioni egli fu accolto calorosamente dalla comunità riformata
locale, formata da fuoriusciti italiani, come il pastore di Chiavenna
Agostino Mainardi, l'ex predicatore agostiniano Giulio Della Rovere o
l'umanista sardo Sigismondo Arquer.
In seguito V. si recò a Coira per conoscere i capi delle chiese protestanti
del cantone, poi si stabilì a Poschiavo, dove operava Dolfino Landolfi,
unico stampatore italiano protestante della Valtellina e che pubblicò
diversi scritti che l'ex vescovo di Capodistria si era portato con sé nella
fuga. Altre importanti opere, come i Dodici trattatelli o le Otto difesioni
furono invece pubblicate a Basilea all'inizio del 1550.
Nello stesso periodo, con sorprendente umiltà, accettò di diventare pastore
della chiesa riformata di Vicosoprano, in Val Bregaglia, che trasformò in
una valle di sicura fede riformata.
Nel stesso 1550 conobbe Celio Secondo Curione, nei confronti del quale
comunque sviluppò un'antipatia contraccambiata: V. accusò infatti l'umanista
torinese di essersi convertito all'anabattismo e questo ricambiò l'attacco,
accusando V. di introdurre concetti luterani in zone svizzere di fede
zwingliana. Tuttavia V. non amava le dispute teologiche e le sottigliezze,
che dividevano il mondo protestante: il suo riferimento era l'irenismo di
Melantone. Per questo, esasperato dalle interminabili polemiche tra Mainardi
e l'anabattista Camillo Renato, V. decise di accettare, nel 1553, l'offerta
del Duca Christoph del Württemberg (1550-1568) di trasferirsi a Tubinga come
consigliere religioso.


V. in Germania
Arrivato quindi a Tubinga nel 1553, V. trovò un ambiente ideale per
lavorare: il ducato era stato convertito alla Riforma dal moderato luterano
Johannes Brenz. Su incarico del duca, V. viaggiò in Germania, Austria e
Polonia (qui incontrò il principe Alberto di Brandeburgo), dove cercò
inutilmente di riappacificare le varie anime del protestantesimo locale,
cioè luterani, calvinisti e Fratelli Boemi sulla base della Confessio
Augustana.
Nel 1555 V. venne contattato dall'umanista Olimpia Morato, residente a
Heidelberg, che gli chiese di tradurre il Grande Catechismo di Lutero in
italiano, ritenendo che potesse essere di grande utilità "ai nostri italici,
specialmente alla gioventù" (tuttavia V. non poté esaudire la richiesta).
Un'altra esule italiana, la nobile Isabella Bresegna (moglie di don Garcia
Manrique, governatore di Piacenza), già in contatto con i circoli valdesiani
a Napoli, fu successivamente convertita alla Riforma ed andò esule in
Germania proprio presso l'ex vescovo di Capodistria.
Ma l'attività principale di quest'ultimo fu quella di polemista e
pubblicista, che ebbe un nuovo impulso dopo l'incontro con il sacerdote
sloveno Primoz Trubar (1508-1586), passato all'evangelismo e diventato
pastore luterano in Germania. Il capodistriano non era un grande teologo, ma
sicuramente un ottimo divulgatore e dalla collaborazione dei due nacquero
diverse opere religiose in lingua corrente per un uso più ampio, tra cui la
prima traduzione in sloveno del Nuovo Testamento. In seguito i due
corregionali, con l'aiuto del barone Johannes Ungnad von Sonneck
(1493-1564), ex governatore della Stiria e della Carinzia, impiantarono una
tipografia e un istituto biblico a Urach (vicino a Tubinga), che, dal 1561
al 1564, sfornò una impressionante serie di opere religiose (37 libri per un
totale di 25.000 copie) in sloveno, croato e italiano, tra cui il Piccolo
Catechismo di Lutero, il Beneficio di Christo, la Confessio Augustana e la
sua relativa Apologia.
V. morì a Tubinga il 4 ottobre 1565.


Elipando di Toledo (ca.718-802) e adozionismo



Nel 711, gli arabi, al comando di Tarik, provenendo dal Marocco, avevano
invaso la penisola iberica, sterminando l'esercito visigoto di Roderico:
iniziò quindi la lunga dominazione araba in Spagna, terminata solamente nel
1492.
Fu così che alcune potenziali eresie ebbero abbastanza mano libera per
svilupparsi lontano dal controllo di Roma e sotto l'emiro di dinastia
Omayyadi tutto sommato tollerante. Del resto, solo pochi anni prima, i
precedenti dominatori, i Visigoti, si erano convertiti dall'arianesimo al
cattolicesimo e alcuni autori riferirono perfino di colonie di esuli
nestoriani in Spagna.


La vita
Elipando, l'ispiratore dell'eresia adozionista, nacque dunque in Spagna in
questo momento storico e più precisamente nel 718. Fu eletto vescovo di
Toledo, ma durante il papato di Adriano I (772-795) venne in conflitto con
Migezio, un prete al seguito del legato pontificio, il vescovo Egila.
E. accusò Migezio di predicare che Dio si fosse rivelato in successione come
il Padre in Davide, come il Figlio in Gesù e come Spirito Santo in San Paolo
e quindi che  Cristo non esistesse prima dell'incarnazione.
E. scrisse una confessione di fede nel 784 a Siviglia tracciando una precisa
linea di demarcazione tra Cristo come Dio e Cristo come uomo. Il primo era
Figlio di Dio a tutti gli effetti per generazione e natura, ma il Cristo
uomo era Figlio di Dio per adozione.
Inoltre, E. pensò bene di assicurarsi l'appoggio di un apprezzato teologo,
come Felice, vescovo di Urgel (città nella Marca Spagnola sotto il dominio
franco), al quale scrisse nel 785 per chiedere il suo parere. Felice
appoggiò l'idea adozionista di E., corroborando il tutto con citazioni
bibliche facenti riferimento al homo adoptivus o adoptatus, applicato
all'incarnazione di Cristo. L'apporto di Felice fu talmente decisivo che
questa eresia venne anche chiamata feliciana.
Per questo E. e Felice furono accusati di nestorianesimo da parte di Beato,
abate di Libana e Eterio, vescovo di Osma, i quali furono, a loro volta,
accusati dai loro avversari di monofisismo.
Il fatto che E. operasse dalla Spagna islamica e che l'unico re cristiano in
grado di intervenire su Felice fosse Carlomagno (771-814), momentaneamente
disinteressato alla diatriba (stava ancora leccandosi le ferite dopo la
disfatta di Roncisvalle del 778), fece sì che questa eresia potesse
svilupparsi senza particolari ostacoli per qualche anno.
Tuttavia si susseguirono una serie di sinodi di condanna, dei quali il più
importante fu quello convocato nel 794 da Carlomagno a Francoforte, dove fu
pronunciata la condanna delle idee di E. e Felice, ai quali Carlomagno in
persona scrisse, esortandoli vanamente a rinunciare al loro errore.
In seguito all'ultimo sinodo della serie, quello di Aquisgrana del 800,
Felice ritrattò, ma fu messo agli arresti "domiciliari" sotto la
sorveglianza del vescovo di Lione, Leidrado (vescovo:798-814) e morì nel
818.
Invece E. non ritrattò affatto, nonostante un tentativo di Alcuino di York
(735-804), abate di Tours e consigliere spirituale di Carlomagno, e rimase
al suo posto fino alla morte nel 802.
L'adozionismo, nella forma proposta dai due eresiarchi sopravvisse nella
Spagna islamica fino al IX secolo.



Enrico VIII d'Inghilterra (1509-1547) e Anglicanesimo



L'Inghilterra fu unica nella sua scelta di staccarsi dalla Chiesa Cattolica:
il risultato finale fu la Chiesa Anglicana, teologicamente una miscela di
dottrina cattolica e riformata, ma in pratica indipendente da tutte e due.


Situazione storica
Già prima del XVI secolo, l'Inghilterra aveva conosciuto eresie
particolarmente radicate sul territorio, come, ad esempio nel XIV secolo,
John Wycliffe e i suoi poveri predicatori, e il conseguente movimento
lollardo, che persisteva anche ai tempi di re Enrico VIII.
L'Inghilterra, inoltre, cercava di sviluppare la propria società, rifondata,
dopo la lunga e devastante Guerra delle Due Rose (1455-1485), su un
nazionalismo piuttosto marcato e ovviamente desiderava evitare, il più
possibile, le interferenze esterne.
Quindi era chiaro che le ingerenze del papa sugli affari interni inglesi, il
pagamento dei tributi a Roma, la corruzione nel quale versava il clero
cattolico inglese, un quarto circa del suolo nazionale in mano alla Chiesa,
un sistema di giudizio e pagamento delle tasse differenziato per gli uomini
di chiesa erano problemi decisamente maldigeriti dalla nazione e dal suo re.


Enrico VIII (1509-1547)
Enrico VIII, nato nel 1491, salì sul trono a soli 18 anni, nel 1509, dopo la
morte del padre Enrico VII (1485-1509). Nel primo periodo del suo regno egli
diede l'impressione di un devoto fedele della Chiesa Cattolica: scrisse
perfino un Assertio Septem Sacramentorum nel 1521 e fu molto efficace
nell'opporsi alla diffusione del luteranesimo in Inghilterra. Il tutto gli
fece guadagnare il titolo di Difensor fidei (difensore della fede) da parte
del papa.
Ma la crisi con Roma arrivò nel 1527: infatti Enrico era sposato, per
volontà politica di suo padre, dal 1509 con Caterina d'Aragona, vedova di
suo fratello Arturo. A quel tempo, questo matrimonio si poté celebrare
solamente con la dispensa di Papa Giulio II (1503-1513).
Dopo 18 anni, il re chiese al Papa Clemente VII (1523-1534) l'invalidazione
della dispensa papale, ma la questione era infatti molto delicata: da una
parte Enrico era seriamente preoccupato per la successione al trono
d'Inghilterra a causa del matrimonio con la più anziana Caterina, che non
era riuscita a dare un erede maschio al re: l'unica superstite delle sue
varie gravidanze era la figlia Maria. Però, dall'altra parte bisognava
considerare le implicazioni internazionali: Caterina era anche zia
dell'imperatore Carlo V (1519-1558)!
L'intermediario papale [l'arcivescovo di Salisbury Lorenzo Campeggio
(1472-1539)] e quello del re [il cardinale e Lord Cancelliere Thomas Wolsey
(1474-1530)], scelti per condurre la trattativa, tirarono per le lunghe
senza arrivare ad una conclusione e lo stesso Papa Clemente VII, dopo aver
subito il sacco di Roma e la prigionia da parte dei lanzichenecchi di Carlo
V nel 1527, non voleva ulteriormente provocare l'imperatore, perciò nel 1529
avocò a Roma il diritto di decidere sulla questione, ma anche lui, debole o
troppo prudente, continuò a posporre la decisione finale.
Lo stato di impasse fu superato grazie a Thomas Cranmer, docente
universitario alla Jesus College di Cambridge, il quale suggerì al re di
consultare le principali università europee. Oltretutto, secondo Cranmer,
anche dalle stesse Sacre Scritture veniva la conferma della scelta di
separazione, secondo un passo del Levitico (20:21): Se un uomo sposa la
moglie di suo fratello commette un'impurità; essi rimarranno senza figli.
Benché la proposta di Cranmer non permettesse di raggiungere l'unanimità di
consensi, tuttavia la maggioranza delle risposte fu favorevole a Enrico.
Anno dopo anno, Enrico VIII, consigliato da Cranmer, nominato nel 1532
arcivescovo di Canterbury, alzò sempre più il tiro contro la Chiesa
Cattolica. Nel frattempo, però, Cranmer si era nel frattempo sposato con
Margaret, nipote del riformatore luterano Andreas Osiander: dovette
occultare la presenza della moglie e perfino mandarla all'estero per non
dispiacere al re.
Nel 1530 il re accusò molti prelati inglesi di violare, a loro favore, gli
statuti, denominati Praemunire, (editti nel 1353, 1365 e 1393), i quali
concedevano che le cause legali coinvolgenti uomini di chiesa fossero
portate davanti a corti papali fuori dall'Inghilterra, solo dopo il
beneplacito del re. La vittima più illustre di questa accusa fu Thomas
Wolsey, che già caduto in disgrazia per la sua inefficienza dimostrata
durante le trattative per la separazione del re, fu messo sotto accusa, ma
morì di malattia il 30 novembre 1530 durante il suo trasferimento a Londra.
Nel 1531 Enrico fece votare dal parlamento "l'atto di supremazia" con la
quale egli si fece riconoscere Capo Supremo della Chiesa in Inghilterra.
Nel 1532 decise che i tributi andavano pagati alla corona e non a Roma.


Lo strappo con Roma
Lo strappo definitivo arrivò nel 1533, quando il re sposò in segreto la sua
nuova fiamma, Anna Bolena, la quale già aspettava un figlio da lui, e, tre
mesi dopo, Cranmer, facendosi forte di un decreto parlamentare sulla
autonomia della Chiesa inglese nelle decisioni interne, dichiarò sciolto il
matrimonio di Enrico con Caterina e riconobbe ufficialmente quello con Anna
Bolena.
Il papa Clemente VII reagì con la scomunica del re, di Anna Bolena e di
Thomas Cranmer nel luglio 1534 e con l'interdizione (cessazione
dell'amministrazione dei sacramenti) dell'Inghilterra, provvedimento che
sarebbe stato tremendo nel medioevo, ma che fu praticamente ignorata nel XVI
secolo. Clemente morì nel settembre 1534: il successore, Paolo III
(1534-1549), ideatore del Concilio di Trento, dovette gestire un rapporto
con la Corona d'Inghilterra, che peggiorava ogni giorno sempre di più.
Infatti Enrico VIII rispose alla scomunica nel novembre 1534 con tre atti:
Un ulteriore "atto di supremazia" (il re era il Capo Supremo sulla Terra
della Chiesa di Inghilterra) con il diritto di reprimere le eresie e di
scomunicare;
L'obbligo per tutti gli inglesi di giurare solamente davanti al re, e non
davanti a qualche autorità straniera (sic!);
La condanna per tradimento per chi osasse dire che il re fosse eretico,
tiranno o scismatico.
La pressione sulla Chiesa cattolica inglese fu elevatissima: sotto il
coordinamento del Vicario Generale Thomas Cromwell, i monasteri furono
chiusi e i loro beni incamerati dalla corona e tutti i prelati dovettero
giurare di rispettare l'atto di supremazia, solo Tommaso Moro (Thomas More)
(1478-1535), il grande filosofo umanista erasminiano, autore dell'Utopia, ed
ex Lord Cancelliere, e John Fisher (1469-1535), vescovo di Rochester ed ex
confessore di Caterina d'Aragona, si opposero ed entrambi furono decapitati
per tradimento. Ambedue furono successivamente nominati santi dalla Chiesa
cattolica.
Ma la cosa più curiosa fu che, dal punto di vista dottrinale, almeno in
questa prima fase, Enrico VIII non aveva affatto rotto con il cattolicesimo:
in linea di massima, egli si mostrò un buon cattolico e solo dopo, durante
il breve regno del figlio Edoardo VI (1547-1553), si fecero largo con più
decisione elementi cari alla Riforma.
Ma ai tempi di Enrico VIII queste idee potevano costare care: se ne rese
conto anche Thomas Cromwell, che cercò di spingere la monarchia verso il
luteranesimo, facendo adottare i Dieci Articoli (The Ten Articles), articoli
di fede di chiara ispirazione luterana (sola fide e semplificazione a soli
tre Sacramenti) e, con le Ingiunzioni Reali del 1538, fece mettere una
Bibbia in latino ed una in inglese in ogni chiesa (sola scriptura!).
L'esperimento fallì e Cromwell, caduto in disgrazia, anche perché ritenuto
il responsabile del matrimonio, poi fallito, del re con Anna di Cleves, fu
condannato per tradimento e decapitato nel luglio 1540.
Nel 1537 Enrico ritornò con decisione ai dogmi cattolici, facendo redigere
il Bishop's book (il libro del vescovo), che conservava i sette sacramenti,
il culto della Vergine e dei santi e proibiva la lettura individuale della
Bibbia. Il libro fu poi rivisto in senso ancora più cattolico e ristampato
nel 1543 con il titolo di King's book (il libro del re).
Nel 1539 il parlamento inglese approvò i Sei Articoli (The Six Articles),
che confermarono, tra l'altro, la validità del dogma della
transustanziazione, l'Eucaristia sotto una sola specie, il celibato per i
prelati, le Messe private e la confessione.
Riprese quindi con vigore la persecuzione contro i protestanti: fu bruciato
sul rogo nel 1540 il luterano Robert Barnes; il traduttore William Tyndale,
il quale aveva pubblicato la prima Bibbia (Nuovo Testamento) in inglese nel
1535, fu denunciato all'inquisizione spagnola, che lo bruciò a Bruxelles nel
1536; la protestante Anne Askew fu processata e bruciata sul rogo nel 1546;
alti prelati di chiare simpatie riformiste, come i vescovi Hugh Latimer e
John Hooper, l'ex frate agostiniano Miles Coverdale, traduttore del primo
Antico Testamento in inglese, e lo stesso Thomas Cranmer, dovettero o
rifugiare all'estero o rivedere drasticamente le proprie idee o perlomeno
adottare un atteggiamento nicodemitico.
Insomma alla sua morte nel 1547, Enrico VIII lasciò sia i cattolici che i
protestanti inglesi del tutto insoddisfatti.


Edoardo VI (1547-1553)
Il nuovo re Edoardo VI, figlio di Jane Seymour (terza delle sei mogli di
Enrico), aveva solo nove anni, quando salì al trono d'Inghilterra e quindi
il potere effettivo era concentrato nelle mani del reggente e Lord
Protettore, suo zio Edward Seymour, duca di Somerset (1506-1552).
Somerset era un buon amico di Cranmer e un convinto assertore della Riforma,
che riprese vigore: Latimer poté nuovamente predicare, Hooper poté rientrare
dall'esilio, la chiese protestanti vennero addobbate secondo il loro credo,
cioè senza immagini, la Comunione veniva data sotto ambedue le forme e
Cranmer poté far rientrare la moglie.
Nel 1549 venne pubblicato il Book of Common Prayer (il libro delle
preghiere), compilato su richiesta di Cranmer per semplificare i libri di
preghiere e di funzioni religiose in latino e risalenti al periodo
medioevale. Il suo utilizzo obbligatorio venne prescritto dall'Atto di
Uniformità del 1549 stesso.
Però dal punto di vista dottrinale ne risultò un miscuglio di idee diverse
(cattoliche e luterane) e non soddisfaceva nessuno: quindi, nel 1552, fu
rivisto, tuttavia questa volta in un senso fortemente riformato di tipo
svizzero, con l'ausilio di Calvino in persona, che scrisse a Edoardo VI e al
conte di Somerset per aiutarli nella revisione.
Ma soprattutto grazie al nuovo Lord Protettore, John Dudley (1502-1553),
conte di Warwick e al vescovo di Londra Nicholas Ridley, diverse personalità
della Riforma svizzera zwingliano-calvinista furono chiamate in Inghilterra
e diedero il proprio contributo: Martin Bucero da Strasburgo, l'italiano
Pietro Martire Vermigli, professore ad Oxford, il polacco Jan Laski.
Anche nel caso di questa seconda versione, un apposito Atto di Uniformità
del 1552 ne prescrisse l'utilizzo con, in più, l'obbligo di partecipare alle
funzioni religiose e la condanna per imprigionamento per la partecipazione a
qualsiasi altra forma di riunione religiosa.
Infine nel 1553 vennero pubblicati i 42 Articoli (The forty-two articles),
la collezione delle formule dottrinali anglicane, rimaste sulla carta per la
morte del re.


Maria Tudor (1553-1558)
Infatti il 6 luglio 1553 Edoardo VI, a soli 15 anni, morì di tubercolosi, e
dopo l'infelice avventura di Lady Jane Grey (1537-1554), cugina di Edoardo e
regina per soli 9 giorni (poi decapitata nel 1554), salì al trono la
cattolica Maria Tudor, figlia di quella Caterina d'Aragona, il cui ripudio
aveva innestato lo scisma della Chiesa d'Inghilterra.
Inizialmente la regina impostò il suo regno sulla tolleranza religiosa, ma
nel contempo chiese ed ottenne, il 3 gennaio 1555, dal parlamento inglese il
ritorno all'obbedienza a Roma, ratificato dal cardinale inglese Reginald
Pole (1500-1558). Ironia della sorte, Pole, che per poco non diventò papa
nel 1549 (sarebbe bastato che avesse accettato l'elezione per adorationem),
fu perfino sospettato di eresia da parte del Papa Paolo IV (1555-1559) per
le sue idee moderatamente riformiste.
Sul piano personale, Maria aveva sposato nel 1554 suo cugino di secondo
grado, il figlio dell'imperatore Carlo V, Filippo di Spagna [il futuro
Filippo II (1556-1598)], undici anni più giovane di lei: fu una delle
decisioni più infelici del suo regno. Oltre all'impopolarità presso i suoi
sudditi, Maria soffrì il dramma personale perché non riuscì mai ad avere il
tanto aspettato erede.
Forse per l'influenza dei consiglieri cattolici spagnoli o a causa di
manifestazioni protestanti anti-monarchiche o per i consigli del Lord
Cancelliere, l'arcivescovo di York Stephen Gardiner (1483-1555), Maria si
trasformò ben presto in una delle più feroci persecutrici della Riforma in
Inghilterra, tale da meritarsi il soprannome di Maria la Sanguinaria: furono
imprigionati e successivamente bruciati sul rogo Cranmer, Ridley, Latimer e
Hooper. Ridley e Latimer furono addirittura arsi sulla stessa pira.
Ma il boia non si fermò qui: in tutto tra 273 e 288 (a secondo delle fonti)
protestanti furono arsi sul rogo, più di 800 fuggirono (come Coverdale) in
Germania e Svizzera e 2.000 preti furono espulsi perché sposati.
Maria morì il 17 novembre 1558. Qualche ora più tardi morì il cardinale
Pole, il fautore del momentaneo riavvicinamento dell'Inghilterra alla Chiesa
cattolica.


Elisabetta I (1558-1603)
Nel 1558 salì sul trono d'Inghilterra Elisabetta,figlia di Anna Bolena: essa
fu la vera fondatrice della Chiesa Anglicana, una sintesi dottrinale tra
liturgia cattolica e dogmatismo calvinista. Il suo regno non incominciò
certo nella migliore maniera: i cattolici la consideravano un'usurpatrice e
l'arcivescovo di Canterbury, Nicholas Heath (m. 1578), si rifiutò perfino di
incoronarla.
Tuttavia Elisabetta fu soprattutto una abile donna politica e dissimulò con
cura il suo credo religioso: non si dichiarò ufficialmente protestante per
non dare lo spunto ad una possibile grande alleanza tra Spagna, Francia e
Scozia, ma d'altronde adottò il protestantesimo, senza usare i toni accesi
dei predecessori.
I suoi primi passi furono improntati sulla diplomazia e compromesso: non si
fece più chiamare, come il padre Enrico VIII, capo supremo della Chiesa
d'Inghilterra, bensì più modestamente Governatore Supremo, pur negando
l'autorità giuridica del papa. Nel frattempo rese obbligatorio nel 1559, con
un ennesimo Atto di Uniformità, il Prayer Book, nella seconda versione di
Edoardo VI, tuttavia rivisto in senso cattolico.
Eppure la rivolta degli alti prelati cattolici era stata quasi totale: 15
vescovi, 12 decani, 15 direttori di collegi religiosi e circa 200/300 preti
rassegnarono le dimissioni o furono privati del titolo. Nel 1559 fu eletto
il nuovo arcivescovo di Canterbury, Matthew Parker, un uomo moderato e
conciliante, che aveva sofferto sotto Maria Tudor, ideale per Elisabetta in
quella posizione, ma per la sua investitura si dovettero scomodare quattro
ex prelati che erano stati vescovi nel periodo di Edoardo VI, stante la
situazione sopra descritta.
I 42 articoli di Edoardo VI (1553) (le formule dottrinali anglicane)
diventarono nel 1571, sotto Elisabetta I, i 39 articoli, compromesso
fortemente voluto da Parker, tra elementi cattolici, luterani e calvinisti.
L'altro grande teologo del regno elisabettiano fu Richard Hooker
(1554-1600), spiritualista e apologista, che scrisse il ponderoso Treatise
on the laws of ecclesiastical polity (trattato sulle leggi del governo
ecclesiastico) a difesa della scelta episcopale nella struttura della Chiesa
d'Inghilterra.
La reazione di Roma fu lenta: solo nel 1570 il Papa Pio V (1566-1572) si
decise a scomunicare Elisabetta e a sciogliere gli inglesi dal dovere di
obbedienza: errore gravissimo in un paese che non aveva certo bisogno di
alimentare il fuoco della polemica anti-papale.
Nel 1587, sotto la minaccia dell'invasione spagnola e in seguito
all'ennesima congiura per far cadere la regina e sostituirla con Maria
Stuarda (1542-1587), Elisabetta fece decapitare l'ex regina di Scozia,
fuggita in Inghilterra nel 1568, dove venne detenuta in cattività fino alla
sua esecuzione. La mossa aveva il preciso scopo politico di togliere di
mezzo una possibile protagonista (fra l'altro diretto successore in linea
gerarchica di Elisabetta) che potesse catalizzare le proteste dei cattolici
inglesi.
La reazione dei spagnoli avvenne l'anno dopo, 1588, ma la disfatta della
loro flotta di invasione, la famosa Invincible Armada (Invincibile Armata),
mise l'Inghilterra al sicuro da ingerenze esterne.
Rimasero comunque i conflitti interni: ovviamente una politica di
compromesso non poteva certo piacere agli opposti estremi. Soprattutto gli
estremisti protestanti, i Puritani, benché rintuzzati spesso da Hooker, dal
1570 in avanti attaccarono le apparenze esteriori (paramenti sfarzosi, l'uso
dei vescovi ecc.), secondo loro un retaggio papista, rendendo amari gli
ultimi anni per l'anziana regina, che si spense nel 1603.


Elcasaiti (o Elcesaiti o Elkasaiti) (1/2 1°secolo)



La setta giudeo-cristiana degli elcasaiti, a carattere magico-astrologico,
sorse intorno all'anno 100 in Giordania e fu fondata da tale Elkesai (alcuni
autori propendono per la grafia Elchasaí o Elkessaîoi o Elkesaïtaí) di
origine persiana.
Gli E. avevano un loro libro sacro, il Libro di Elkesai, che, come mormoni
ante-litteram, essi credevano fosse stato consegnato ad Elkesai da un
angelo. Questo angelo era alto 154 chilometri e largo 27, si proclamava
Figlio di Dio ed era accompagnato da sua sorella (sic!), lo Spirito Santo.
Tutto ciò fu riportato da Alcibiade di Apamea (Siria), un elcasaita, che
diffuse la setta a Roma, portandovi il libro in questione durante il
pontificato di S. Callisto (217-222).
Essi credevano in un Dio creatore e avevano un concetto docetico della
persona di Gesù, cioè l'umanità e le sofferenze di Gesù Cristo erano più
apparenti che reali.
Inoltre essi rifiutavano gli scritti di San Paolo e vaste parti dell'Antico
Testamento ed erano convinti che il battesimo potesse essere praticato
svariate volte come rito purificatore.
La setta sopravvisse fino alla fine del IV° secolo.
Il famoso fondatore del manicheismo, il nobile persiano Mani fu
probabilmente in gioventù un elcasaita.


Elvidio (scomunicato 390/392)



Elvidio, teologo e discepolo di Aussenzio, vescovo ariano di Milano dal 355
al 374, entrò in contrasto con San Girolamo, criticando i voti monastici
femminili e affermando la superiorità del matrimonio sul celibato. Per fare
ciò, ribadì che anche Maria era vissuta con Giuseppe e aveva avuto da lui
dei figli, dopo la nascita verginale di Gesù Cristo. Questo pensiero eretico
fu caratteristico della setta degli antimariani o antidicomarianiti e fu
propagato anche da Bonoso di Sardica e da Gioviniano di Roma.
Il tutto venne contestato da San Girolamo nel suo libro Adversus Helvidium
ed E., assieme a Bonoso e Gioviniano venne scomunicato tra il 390 ed il 392.


Helwys (o Elwes o Helwisse o Helwas) Thomas (ca. 1550- ca.1616) e la Chiesa
Battista Generale



Le notizie su Thomas Helwys (il cognome viene riferito anche come Elwes,
Helwisse o Helwas) sono molto scarse: egli nacque da una famiglia di
proprietari terreni (il padre si chiamava William Helwys) a Broxtowe Hall,
nella contea inglese del Nottinghamshire, nel 1550 circa, e ricevette una
buona educazione al collegio Gray's Inn, a Londra.
Non sono note altre informazioni fino al 1606, quando H. decise di aderire
ad una congregazione separatista, fondata da John Smyth e John Robinson,
nella valle del fiume Trent, alla confluenza delle contee del Lincolnshire,
Yorkshire e Nottinghamshire. Facevano parte del gruppo William Brewster,
Richard Clifton, Hugh Bromhead, e William Bradford (1590-1657). Quest'ultimo
sarebbe in seguito diventato il governatore della colonia dei Padri
Pellegrini a Plymouth nel Massachusetts.
A causa di divergenze interne (contrariamente a Robinson, Smyth voleva
tagliare ogni forma di amicizia con i puritani rimasti nell'ambito della
Chiesa Anglicana), il gruppo si spezzò in due tronconi, anche per motivi
geografici: H., Clifton e Bromhead rimasero con Smythe a Gainsborough (nella
contea del Lincolnshire), mentre gli altri, che vivevano vicino a Scrooby
(nella contea del Nottinghamshire), scelsero Robinson come loro capo.
Comunque ambedue i gruppi decisero di emigrare in Olanda nel 1608, Robinson
a Leida e Smyth ad Amsterdam.
Ad Amsterdam Smyth rincontrò il suo ex collega d'università Francis Johnson
(1562-1618), che aveva fondato una chiesa separatista in esilio, dopo aver
scontato quattro anni di prigione, fino al 1596, per aver stabilito
precedentemente una simile chiesa a Londra.
Smyth litigò ben presto con Johnson per una serie di ragioni, ma soprattutto
a causa del rifiuto di Smyth verso il battesimo dei bambini, un punto
piuttosto originale per una chiesa protestante inglese. Ciò era inizialmente
derivato dal rifiuto di tutto quello che veniva celebrato dalla Chiesa
Anglicana, incluso il battesimo infantile e poi, secondo Smyth, era
fondamentale credere per poter essere battezzati, una condizione
evidentemente impossibile per bambini neonati. Ma questa presa di posizione,
a quel tempo, suscitò scalpore perché faceva immediatamente venire alla
mente gli anabattisti e le atrocità della dittatura di Münster del 1534-36,
che avevano provocato tanti lutti e dolori in molte famiglie olandesi.
Comunque Smyth, H. e i loro seguaci decisero ugualmente di fondare una
seconda chiesa congregazionalista o separatista in Olanda nel 1609 e di
ribattezzarsi: dapprima Smyth battezzò se stesso, poi battezzò H. e gli
altri. Questo gesto di se-battesimo, come fu chiamato l'auto-battesimo di
Smyth, fu aspramente criticato da Clifton, alle cui obiezioni Smyth rispose
cercando l'adesione ad uno dei rami più importanti dell'anabattismo
mennonita olandese: quello dei waterlanders di Hans De Ries.
Tuttavia questa subitanea decisione fu contestata da H., il quale, non
volendo assimilare in toto la dottrina dei mennoniti, abbandonò la chiesa di
S., fondandone una nuova, sempre di tipo congregazionalista, denominata
successivamente Chiesa dei Battisti Generali, che scomunicò Smyth e tagliò
ogni relazione con lui entro il 1611.
Nello stesso anno H. espose le proprie idee nella sua Declaration of Faith
(dichiarazione di fede), accettando il convincimento di tipo calvinista che
i credenti fossero predestinati alla salvezza, ma respinse, d'altra parte,
che i peccatori fossero destinati alla dannazione: Dio avrebbe salvato
chiunque avesse accettato la Grazia da Lui donata agli uomini per essere da
loro, secondo il libero arbitrio, recepita o respinta.
Questa tesi non era farina del sacco di H., bensì proveniva dalle dottrine
del noto teologo calvinista Jakob Hermanzoon, detto Arminio, pubblicate nel
1610, ed in seguito condannate nel sinodo calvinista di Dort del 1618-19.
Inoltre, contrariamente a Smyth, H. accettò il dogma del peccato originale,
pur mantenendo la pratica del battesimo degli adulti (per immersione).
Infine H. prese le distanze dai mennoniti, respingendo la loro idea che i
cristiani non dovessero mai giurare o ricoprire ruoli nella magistratura.
L'anno successivo, H. decise, con un atto molto coraggioso (secondo H. era
meglio perdere la vita per Cristo nel proprio paese che fuggire per le
persecuzioni), di far rientrare in Inghilterra il proprio gruppo nel 1612 e
stabilirsi, nel vecchio ospedale di Spitafield, un quartiere nella parte
orientale di Londra.
Nel 1612 H. pubblicò il suo scritto A short declaration of the Mistery of
Iniquity (una breve dichiarazione sul mistero dell'iniquità), mandandone una
copia al re Giacomo I (1567-1625) in persona.
In questo scritto H. attaccò temerariamente la monarchia, che non doveva
imporre leggi in spregio delle coscienze dei sudditi, poiché, come lui
stesso scrisse, Il re è un uomo mortale, e non Dio, e perciò non ha alcun
potere di fare leggi e ordinanze per le anime mortali dei suoi sudditi e
imporre dei capi spirituali sopra di essi.
Il credo di H. prevedeva la massima tolleranza, anche per eretici, turchi,
ebrei o chiunque altro, ma il re Giacomo I non era dello stesso avviso e
fece perseguitare la chiesa di H.
Lo stesso fondatore venne imprigionato nel 1613, assieme all'altro leader
John Murton (1585-ca.1626), nel carcere di Newgate, dove morì probabilmente
entro il 1616.


Benché oggigiorno gli studiosi di storia delle religioni propendono per una
presenza di battisti sul territorio inglesi anche prima della Chiesa dei
Battisti Generali di H., quest'ultima, nondimeno, viene accettata come la
prima organizzazione battista operante in Inghilterra.
Negli anni successivi la morte di H., i suoi seguaci, denominati, come
detto, battisti generali, si distingueranno, per il rifiuto di compromessi
con la Chiesa Anglicana, dal movimento dei battisti particolari [nato da una
scissione della congregazione Jacob-Lathrop-Jessey fondata nel 1616 da Henry
Jacob (1553-1624)] che invece cercarono di mantenere qualche forma di
contatto con l'establishment anglicano.
Il futuro fu meno roseo per i battisti generali, che declinarono man mano
venendo entro il XVIII e XIX secolo riassorbiti dai metodisti o dagli
unitariani (quest'ultima fusione avvenne nel 1815), mentre dai battisti
particolari discendono le chiese battiste attualmente esistenti, molto
diffuse soprattutto in Stati Uniti.


Unitarianismo (o unitarismo o antitrinitarismo) (XVI - XVII secolo)



Termine teologico per indicare la fede nell'unicità di Dio e nella
contemporanea negazione del dogma della Trinità. Ne consegue anche la
negazione della divinità di Cristo.
L'unitarianismo è stato, a parte l'anabattismo, la terza grande alternativa
nella galassia protestante, oltre al luteranesimo e allo
zwinglianismo/calvinismo.


La storia
La dottrina dell'unitarianismo viene fatta tradizionalmente risalire agli
inizi del Cristianesimo, ed in particolare agli eretici del periodo intorno
al Concilio di Nicene (325), come Ario (infatti gli unitariani furono
proprio chiamati ariani dai loro detrattori), Paolo di Samosata, Noeto di
Smirne, Prassea e Sabellio. Nel medioevo il concetto antitrinitario non
scomparì del tutto, ma rimase nella filosofia di Abelardo e Roscellino.
Venendo al periodo rinascimentale, i primi studiosi ad aver espresso
concetti antitrinitari furono nel 1527 Martin Borrhaus (nome umanistico:
Cellarius) (1499-1564), amico di Martin Lutero, e il predicatore anabattista
Ludwig Haetzer (1500-1529), ma fu soprattutto la pubblicazione a Hagenau, in
Alsazia, nel 1531, del famoso libro De trinitatis erroribus (Gli errori
sulla Trinità) del medico spagnolo Miguel Servet (Michele Serveto) a gettare
nello scompiglio i più famosi pensatori protestanti dell'epoca, da Lutero
("un libro abominevolmente malvagio") a Melantone, Ecolampadio, Bucero.
Quest'ultimo tuonò dal proprio pulpito che l'autore avrebbe meritato di
essere squartato! E proprio in seguito alla pubblicazione di questo libro
tutti i riformatori dell'epoca decisero di rinforzare l'importanza
dottrinale della Santa Trinità. Dopo una vita tribolata da continue
persecuzioni, Serveto finì i suoi giorni, messo al rogo a Ginevra nel 1553
da un altro dei pensatori riformisti, che più lo detestavano, Giovanni
Calvino.
Ma la morte di Serveto fece levare moltissime voci di protesta, tra cui
quelle dei protestanti italiani Giovanni Valentino Gentile, Matteo Gribaldi
Mofa, Giorgio Biandrata e Giovanni Paolo Alciati della Motta, i quali furono
costretti ad emigrare da Ginevra, portando, pur con sfumature diverse, i
germi della dottrina antitrinitaria soprattutto dal 1560 nell'Europa
orientale, cioè in Polonia, Moravia e Transilvania.


Antitrinitari in Polonia
Qui le dottrine antitrinitarie non erano totalmente sconosciute, tant'è vero
che già nel 1538 una anziana donna di 80 anni, Caterina Weygel (o Vogel),
era stata bruciata sul rogo a Cracovia per una sospetta eresia
antitrinitaria. Ma sotto il regno di Sigismondo II Augusto (1543-1572) si
crearono le premesse per lo sviluppo delle idee antitrinitarie in Polonia.
L'antesignano fu Petrus Gonesius (Piotr Z Goniazde), che aveva studiato a
Padova nel 1552-54 con Gribaldi Mofa e da lui era stato convertito.
Già nel secondo sinodo della Chiesa Riformata Polacca (fondata da Jan Laski)
del 1556, Gonesius espresse forti concetti antitrinitari, ma fu solo con
l'arrivo di Giorgio Biandrata e di Lelio Sozzini nel 1558 che la corrente
unitariana trovò dei veri leader e formò una comunità, soprattutto di esuli
italiani, a Piñczòw vicino a Cracovia.
Tuttavia, poco dopo, ci fu per loro un durissimo colpo quando i cattolici,
rappresentati dal nunzio apostolico cardinale Giovanni Francesco Commendone
(1523-1584), convinsero il re Sigismondo II Augusto ad emettere nell'agosto
1564 l'editto di Parczów, che stabiliva l'espulsione di tutti gli stranieri
non cattolici.
Agli antitrinitari italiani, compreso il famoso ex vicario generale dei
Cappuccini, Bernardino Ochino appena giunto in Polonia, non restò che
emigrare in Moravia o in Transilvania.


L'esilio in Moravia
Il margraviato di Moravia, pur facendo parte dei possedimenti assurgici,
godeva di una ampia autonomia, anche in campo religioso. Un esempio pratico
fu l'accoglienza positiva riservata per le comunità di anabattisti, guidati
da Balthasar Hübmaier e Jakob Hutter, perseguitati senza pietà in tutto il
resto dell'Europa.
Austerlitz (Slavkov in ceco), in particolare, fu una città dove fecero capo
diverse correnti religiose dissidenti, compresi gli antitrinitari: nel 1564,
scacciati dalla Polonia in seguito all'editto di Parczów, un gruppo di
antitrinitari italiani, comprendente Niccolò Paruta (che formò in seguito
delle comunità denominate seminaria veritas), Gentile, Alciati della Motta,
Ochino, si recò nella città morava. Furono seguiti nei successivi anni da
altri dissidenti come Marcello Squarcialupi, Andrea Dudith-Sbardellati e
Niccolò Buccella, che man mano, con il miglioramento della situazione
polacca, decisero di rientrare in Polonia.


Ripresa delle attività in Polonia
Già dopo la dieta di Piotrków della Chiesa Riformata Polacca del 1564 che
decretò l'esclusione degli antitrinitari, ci fu una separazione tra una
ecclesia major calvinista ed una ecclesia minor di fede antitrinitaria.
Gli antitrinitari, in quel periodo, si erano frazionati in quattro correnti,
qui riassunti dal nome dei capi-scuola:
Stanislao Farnowski (Farnovius, m.1615): come Gonesio, i suoi seguaci
pensavano che Cristo era pre-esistito alla creazione del mondo e quindi era
giusto adorarlo, ma non adottavano la stessa venerazione per lo Spirito
Santo.  Erano inoltre contrari al battesimo degli infanti. Nel 1568 il
gruppo di Farnowski si separò dalla chiesa unitariana polacca,
concentrandosi in una zona a cavallo del confine con l'Ungheria. La
secessione durò circa 50 anni e, dopo la morte del loro leader, i suoi
seguaci vennero riassorbiti dagli unitari o dai calvinisti.
Martin Czechowic: egli era un ariano molto radicale: Cristo era un uomo come
gli altri, ma essendo nato senza peccato, fu divinizzato e era giusto
adorarlo. Prendendo, come Gonesio, dagli anabattisti, Czechowic si opponeva
al battesimo dei bambini, all'uso delle armi, al coinvolgimento in incarichi
pubblici e alla proprietà privata.
Grzegorz Pawel: il gruppo di Cracovia di Pawel negava sia la pre-esistenza
di Cristo, sia la necessità di adorarlo. Come Gonesio e Czechowic, Pawel
aveva convinzioni anabattiste e in più era un millenarista.
Szymon Budny: per Budny Cristo era un uomo ed era idolatria adorarlo. Venne
scomunicato nonostante il suo vasto seguito in Lituania.
Un punto di svolta fondamentale per l'ecclesia minor fu l'arrivo in Polonia
nel 1579 di Fausto Sozzini, nipote di Lelio, che divenne ben presto la guida
di tutti gli antitrinitariani locali.
Socini pose la sua residenza a Cracovia, sebbene il centro di riferimento
per l'unitarismo polacco fosse la vicina cittadina di Raków, dove era stato
fondato un seminario di studi antitrinitari nel 1569 e dove, tra il 1603 ed
il 1605, sarebbe stato redatto il catechismo ufficiale della setta.
Nello stesso periodo Socini entrò nella polemica tra gli adoranti (al cui
pensiero lui aderiva) e i non-adoranti, come Ferenc Dàvid, Giacomo
Paleologo, Jànos Sommer e Andrea Dudith Sbardellati. (vedi capitolo
"Antitrinitari in Transilvania").
Socini, con il suo De Jesu Christi filii Dei natura sive essentia, attaccò i
non-adoranti come giudaizzanti, che volevano, tra l'altro, santificare il
sabato, secondo un uso sabbatariano, che si sarebbe poi diffuso in
Inghilterra, portatovi proprio dagli unitariani profughi dalla Polonia.
Il pensiero di Socini, fortemente razionale, accettava un solo Dio, mentre
Gesù Cristo era semplicemente un uomo crocefisso, il cui compito era di
rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così la salvezza,
seguendo il Suo esempio. Per lui la Sacra Scrittura, redatta da uomini, non
era indenne da errori, e l'uomo doveva basarsi sulla propria etica per
osservare i comandamenti e non era quindi necessaria la grazia divina. Egli,
inoltre, negava l'esistenza dell'inferno, il peccato originale, la necessità
dei sacramenti, la predestinazione.
Un bel programma in un secolo caratterizzato dal fanatismo religioso degli
opposti estremismi!
Nel 1588 Socini riuscì nell'impresa di unire tutte le fazioni unitariane al
sinodo di Brest (in suo onore, da quel momento gli unitariani si
denominarono sociniani), ma negli anni successivi dovette fronteggiare la
reazione, anche di piazza, dei cattolici: nel 1591 il suo punto d'incontro a
Cracovia fu devastato dalla folla e nel 1598 Socini stesso fu malmenato,
scampando per poco ad un linciaggio.
Egli morì nel 1604 e sulla sua tomba vennero scritte queste significative
parole: Crolli la superba Babilonia: Lutero ne distrusse i tetti, Calvino le
mura, Socini le fondamenta.
Pochi anni dopo, nel 1610, la potente organizzazione gesuita sbarcò in
Polonia decretando il rapido declino degli unitariani in Polonia: nel 1611
fu bruciato sul rogo a Varsavia l'unitariano Jan Tyskiewicz, un agiato
cittadino di Bielsk, e nel 1638 i sociniani furono espulsi da Raków e ne fu
chiuso il seminario.
Il colpo finale per l'unitarismo in Polonia fu il bando di espulsione per
tutti gli unitariani polacchi, deciso nel 1658 e diventato esecutivo il 10
luglio 1660, che li costrinse o ad uniformarsi o ad emigrare in altri paesi
europei (in Olanda, dove la maggior parte si trasferì aderendo alla Chiesa
Arminiana dei rimostranti, in Germania, e in Transilvania, dove però essi
non aderirono alla Chiesa Unitariana Transilvana, ma formarono una chiesa
autonoma a Kolozsvàr estinguendosi nel 1793).
L'ultima sacca di resistenza unitariana in Polonia si estinse nel 1811 e
solo nel 1921 furono riaccettate le congregazioni unitariane nella nazione
rinata dopo secoli di dominazione straniera. Ma la successiva occupazione
nazista nel 1939 e l'instaurazione del comunismo ha fatto sì che
l'unitarianismo polacco potesse incominciare a muovere nuovamente qualche
timido passo solamente dopo la caduta del muro di Berlino, negli anni '90
del XX secolo.
L'attuale Chiesa unitariana in Polonia comprende solo qualche centinaio di
fedeli.


Antitrinitari in Transilvania
Nel 1562 Giorgio Biandrata si recò in Transilvania, a Gyulafehérvár (Alba
Julia), dove fece la conoscenza e divenne amico di Ferenc Dàvid, vescovo
della Chiesa Riformata di Transilvania e cappellano personale del principe
Giovanni II Sigismondo Zapolya (1541-1571). Biandrata fece leggere a Dàvid
una copia della famosa Christianismi restitutio (La restaurazione del
Cristianesimo) di Miguel Serveto, convertendolo all'antitrinitarismo.
Il successivo sinodo nazionale a Gyulafehérvár del 1566 risultò un trionfo
per gli antitrinitari, sottolineato dalla pubblicazione del libro di Dàvid
De vera et falsa unius Dei, Filii et Spiritus Sanctii cognitione (Della
falsa e vera conoscenza dell'unità di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo),
nel quale il riformatore transilvano ridicolizzava la dottrina della Trinità
e perorava la causa della tolleranza religiosa per tutte le fedi.
Questo discorso venne poi ripreso durante la Dieta di Torda nel gennaio
1568, dove  Giovanni II Sigismondo Zapolya riconobbe la piena libertà a
tutte le confessioni religiose: fu la prima dichiarazione, al mondo, di
tolleranza religiosa mai pronunciata da un regnante. Oltre a questo, il re
aderì apertamente all'unitarismo con molti nobili della corte e Dàvid
divenne il capo della Chiesa Unitariana di Transilvania.
Nel 1570 Dàvid entrò in contatto, e ne fu influenzato, con lo studioso
italo-greco Giacomo Paleologo e il suo discepolo locale, il rettore del
ginnasio di Kolozsvár, János Sommer (1540-1574). Paleologo polemizzava con
un altro famoso antitrinitario, Fausto Socini, a riguardo della figura di
Gesù Cristo, che, per il Socini, era un vero uomo crocefisso, il cui compito
era di rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così la
salvezza, seguendo il Suo esempio. Il Paleologo, invece, negava il ruolo di
guida del Cristo, per i fedeli verso la salvezza, e rifiutava,
conseguentemente, ogni forma di adorazione di Gesù Cristo. Per questo, il
Paleologo e i suoi seguaci, tra cui si associò anche Dàvid, vennero
denominati antitrinitari non-adoranti in contrapposizione al pensiero
sociniano di tipo adorante. Alla corrente non-adorante aderì anche l'ex
vescovo cattolico e ambasciatore (di madre italiana) Andrea
Dudith-Sbardellati.
Purtroppo il momento magico per Dàvid finì solo tre anni dopo, nel 1571 con
la morte, a soli 31 anni, di Giovanni II Sigismondo e la salita al trono del
cattolico Stefano I Báthory (1571-1586), che tolse a Dàvid l'incarico di
cappellano personale del re e gli impedì di pubblicare altri scritti. Nel
1579 i suoi nemici riuscirono a farlo arrestare e imprigionare nella
fortezza di Déva dove, a causa del clima rigido e del fisico debilitato,
Dàvid  morì nel novembre dello stesso anno.
La Chiesa Unitariana di Transilvania, fondata da Dàvid, pur attraverso mille
traversie, spietate persecuzioni da parte degli Asburgo cattolici e feroci
pogrom da parte di fanatici ortodossi rumeni, esiste ancora oggi formata da
125 chiese, sebbene divisa dal 1949 in un troncone in Ungheria (25.000
fedeli, ed uno di etnia ungherese in
Transilvania/Romania (circa 80.000 fedeli).


Sociniani in Inghilterra
Attraverso l'Olanda, che accolse molti esuli sociniani, l'antitrinitarismo
giunse in Inghilterra, dove il principale esponente fu John Biddle, preside
del liceo di Gloucester, che pubblicò, nel 1647, il primo trattato
dell'unitarismo inglese, Twelve arguments against the Deity of the Holy
Spirit (dodici ragioni contro la divinità dello Spirito Santo) a uso privato
per pochi amici, uno dei quali lo tradì, facendolo rinchiudere in carcere
nel 1645 per ordine dei magistrati di Gloucester.
Nel 1646 Biddle fu convocato a Londra per essere giudicato da una
commissione di teologi, ma, nell'attesa della sentenza, fu confinato in
prigione a Westminster dove rimase per vari motivi per i successivi 5 anni.
Infatti, imprudentemente, nel 1647, Biddle fece pubblicare le sue Dodici
ragioni, suscitando un putiferio: a gran voce venne chiesta la sua condanna
a morte, prevista anche dalla recentemente approvata (nel 1648) legge
Ordinance for punishing heresies and blasphemies (ordinanza per punire
eresie e blasfemie), ma nel 1652, grazie alla Act of Oblivion (legge di
oblio), egli poté finalmente uscire di prigione.
Una volta libero, Biddle fondò una piccola congregazione sociniana a Londra,
traducendo testi base dei sociniani (o unitariani) polacchi, come il
Catechismo di Racow (in Polonia), la prima dichiarazione dei principi
sociniani, ma soprattutto pubblicò nel 1654 la sua opera più celebre, il
Twofold Catechism (Catechismo doppio), dove in 24 capitoli egli bandì tutte
le espressioni e dottrine non originarie delle Scritture, come
transustanziazione, peccato originale, Dio fatto uomo, Madre di Dio etc.
Insomma non ci fu un solo punto della teologia dell'epoca che non fosse
rimesso in discussione da lui, sebbene utilizzasse l'astuta tecnica delle
domande aperte, senza mai precisare la propria fede.
Nonostante ciò, per ordine del parlamento, le copie del suo libro furono
bruciate sul rogo e lui stesso imprigionato nel carcere di Newgate, ma, per
l'ennesima evoluzione della turbolenta situazione politica inglese (era
stato sciolto il parlamento), fu liberato.
Biddle continuò per tutta la vita a professare attivamente le proprie idee e
per questo venne più volte condannato al confino e al carcere fino alla sua
morte avvenuta nel 1662.
Il principale esponente dell'unitarismo inglese dopo Biddle fu Thomas Emlyn
(1663-1741), che fondò una congregazione unitariana a Londra nel 1705, ma va
anche citata l'attività del teologo neo-ariano Samuel Clarke con il suo
trattato Scripture Doctrine of the Trinity (Scrittura dottrina sulla
Trinità), del 1712.
In seguito si affermò Joseph Priestley (1733-1804), che divise il suo tempo
tra la chimica (individuò, tra l'altro, la molecola dell'ossigeno) e le
predicazioni unitariane, e Theophilus Lindsey che nel 1774 fondò la prima
chiesa ufficiale di ispirazione sociniana a Londra.
Nel 1791 un gruppo di teppisti distrusse sia la casa che il laboratorio di
Priestley, che qualche anno dopo prese la decisione di emigrare in America,
dove fondò una chiesa unitariana in Pennsylvania.
Nel frattempo, in Inghilterra si era formata nel 1825 la British and Foreign
Unitarian Association, che dovette lottare contro le leggi britanniche
varate per proibire agli unitariani di accettare lasciti donati dai
puritani, cosa che verrà aggiustata soltanto con una nuova legge nel 1844.
Nel 1840 avvenne una grave scissione nel movimento: i "cristiani liberi" di
James Martineau, convinti in una fede più intuitiva e meno "razionale", si
separarono fino al 1928, anno in cui le due anime dell'unitarismo inglese si
rifusero nella attuale General Assembly of Unitarian and Free Christian
Churches.

Unitariani in America
Come già detto, Joseph Priestley fu uno dei predicatori che aiutò la
diffusione dell'unitarismo negli Stati Uniti, dove la dottrina però si
sviluppò abbastanza lentamente: prendendo spunto dalle prediche in
Inghilterra di Priestley, due chiese di Boston, la West Church del pastore
Jonathan Mayhew (1720-1766) e la First Church del pastore Charles Chauncy
(1705-1787) divennero unitariane.
Nel 1825 si formò la American Unitarian Association, ma, come per la crisi
degli unitariani inglesi del 1840, anche il pensiero unitariano americano fu
fortemente scosso dalle idee di William Ellery Channing, che inserì elementi
pietisti e filantropici. Lo scontro tre le due anime, mistica-pietistica da
una parte e razionale dall'altra, avrebbe caratterizzato la storia degli
unitariani americani negli anni seguenti: per esempio, nel 1865 la
conferenza nazionale unitariana adottò una piattaforma programmatica
nettamente cristiana, provocando il distacco della minoranza razionalista
che fondò la Free Religious Association (associazione religiosa libera).


L'unitarianismo odierno
Venendo ai giorni nostri, nel 1961 avvenne la svolta con la fusione degli
unitariani statunitensi con il movimento dell'universalismo, fondato dall'ex
pastore metodista John Murray, che credeva nella salvezza di tutti gli
uomini e negava la dannazione eterna.
La fusione diede luogo alla American Unitarian Universalist Association, poi
solo Unitarian Universalist Association, che conta oggi 502.000 aderenti. 
Nonostante la diffusione relativamente bassa dell'unitarismo/universalismo,
ben 5 presidenti degli Stati Uniti hanno professato una fede unitariana e/o
universalista: Thomas Jefferson (che gli unitariani danno come loro seguace,
anche se una sua adesione ufficiale non c'è mai stata), John Adams, John
Quincy Adams, Millard Fillmore  William Howard Taft.
L'associazione, nella quale la corrente razionalista ha oramai preso il
sopravvento, è un movimento basato su congregazioni autogestite senza una
comune formula religiosa ufficiale, retaggio della sua travagliata storia e
dell'apporto di idee molto diversificate e perfino contrastanti: si nota un
interesse più nella libera ricerca della verità.
Infatti, da una statistica risulta che solo il 3% degli aderenti considera
Dio come un essere soprannaturale e il 40% come simbolo dell'amore o di
altri processi naturali. Inoltre 90% non crede nella immortalità dell'anima
e 64% ammette di non pregare mai o di farlo raramente.
In compenso, gli unitariani universalisti si sono sempre schierati in
battaglie civili contro la pena di morte, a favore del divorzio, l'aborto,
l'eutanasia, per il controllo delle nascite, per la riforma carceraria, per
l'educazione sessuale nelle scuole.
L'associazione mantiene contatti con simili organizzazioni in Inghilterra,
Irlanda, Filippine, Ungheria, Francia e Cecoslovacchia e fa parte della
International Association for (Liberal Christianity) and Religious Freedom
(IARF), che afferma di rappresentare 1.500.000 aderenti in 25 paesi.


Confraternita Rosa Croce (rosacrocianesimo o società dei rosacrociani) (XVII
secolo)



Premessa e paternità dei manifesti rosacrociani
Nel 1614 comparve a Cassel, in Germania, il manifesto base, dal titolo
Allgemeine und General Reformation der ganzen weiten Welt (Riforma generale
ed universale di tutto il mondo) di un misterioso movimento mistico
occultistico, denominato Confraternita Rosa Croce. Il documento venne
seguito l'anno successivo da un ulteriore manifesto dal titolo Fama
Fraternitas R. C. Ambedue gli scritti lanciavano un appello a tutti gli
studiosi di cabala e occultismo di concorrere a formare una società segreta,
che potesse aiutare la rinascita dell'umanità e all'epoca apparvero come
anonimi, ma la loro paternità come quella (certa) del successivo libro
alchemico, Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz, pubblicato nel 1616,
venne attribuita al pastore luterano Johann Valentin Andreae, che, secondo
lo storico Paul Arnold, smentì di averli scritti ed anzi dichiarò, in
seguito, di aver concepito Le nozze chimiche per ridicolizzare un diffuso
interesse dell'epoca verso l'occultismo.
Tuttavia altre interpretazioni moderne propendono proprio per un diretto
coinvolgimento di Andreae, sebbene mediato da una stesura, a più mani, dei
sopraccitati testi concepita all'interno del cosiddetto Cerchio di Tubinga,
un circolo mistico-occultista di circa trenta aderenti, comprendenti, fra
gli altri, lo stesso Andreae, Tobias Hess (1558-1614), Johann Arndt, Wilhelm
von Wense (m. 1641), Tobias Adami (m. 1643) e Christophe Besold (1577-1638),
amico fraterno di Andreae.


Definizione di rosacrociano
Secondo Franz Hartmann, il rosacrociano è "una persona che mediante il
processo di risveglio spirituale, ha ottenuto una conoscenza pratica del
significato segreto della Rosa e della Croce (..) Chiamare una persona
rosacrociana non significa fare di lui un rosacrociano. Il vero rosacrociano
non può essere creato; egli deve crescere per diventarlo mediante
l'espansione del potere divino nel suo cuore".
Le idee dei rosacrociani nacquero da un immenso crogiolo nel quale erano
confluiti: il pensiero di Traiano Boccalini (1556-1613), autore di un testo
satirico chiamato Ragguagli di Parnasso, tradotto da Besold; le visioni
utopiche del filosofo domenicano Tommaso Campanella, i cui scritti furono
portati in Germania da Tobias Adami nel 1613; le profezie di Gioacchino da
Fiore; i mistici tedeschi del XIV secolo come Johannes Tauler e Johannes
Eckhart e scienze occulte come la cabala, l'alchimia e l'ermetismo.


La leggenda di Christian Rosenkreuz (1378-1484)
I manifesti facevano quindi riferimento a questa misteriosa fratellanza, di
tipo occultistico, cabalistico, e teosofico, fondata da un nobile tedesco,
filosofo ed ex monaco, Christian Rosenkreuz, che sarebbe vissuto ben 106
anni tra il 1378 ed il 1484. Egli, viaggiando tra Damasco, Cairo,
Gerusalemme e Fez, sarebbe stato iniziato da alcuni sapienti arabi, che
erano stati in grado di rivelargli tutti i segreti della sua vita, passata,
presente e futura, e di guarirlo da una grave malattia con l'aiuto della
Pietra Filosofale.
Al ritorno in Germania, egli avrebbe fondato, nel 1407, un ordine
rosacrociano con tre, in seguito otto, confratelli e sarebbe vissuto ancora
77 anni. La sua tomba sarebbe rimasta celata fino alla sua riscoperta nel
1604, da cui l'aumentato interesse nei confronti del suo ordine all'inizio
del XVII secolo.
Oggigiorno la tesi che Rosenkreuz sia un personaggio storicamente esistito è
la meno accreditata, perfino tra i moderni rosacrociani. Altri autori
propendono per l'ipotesi che il nome copra, attraverso uno pseudonimo, un
personaggio storico in vista, secondo alcuni Francesco Bacone (1561-1626),
secondo altri Cornelius Agrippa di Nettesheim, oppure, più probabilmente,
che tutta la vicenda vada letta in senso strettamente allegorico.


Primi passi del rosacrocianesimo
Comunque il riferimento nei manifesti ad una supposta società segreta
provocò una grande eccitazione in tutta l'Europa (soprattutto in Francia,
Inghilterra, Austria e Paesi Bassi): famosi occultisti, come l'inglese
Robert Fludd (1574-1637) o il tedesco Michael Maier (1568-1622), o perfino
il grande filosofo francese René Descartes (Cartesio)(1586-1654), chiesero
pubblicamente di essere contattati dai misteriosi rosacrociani o, meglio,
affermarono addirittura di essere già entrati nella società. Un po' ovunque
sorsero gruppi auto-nominatisi rosacrociani, anche se poi nessuno riuscì a
trovare fisicamente i rosacrociani, per il semplice motivo che essi, come
società segreta strutturata, non esistevano proprio.
Nel frattempo, nel 1616, gli stessi autori (il precedentemente citato
circolo di Tubinga), spaventati dall'incredibile impatto dei loro manifesti
e dalle reazioni negative delle chiese ufficiali, decisero di non uscire
allo scoperto e di osservare il più rigoroso anonimato, abbandonando quindi
alla riprovazione pubblica Andreae, l'unico tra loro che aveva avuto il
coraggio di firmare un testo.
E rapido arrivò il declino: già dal 1619 i principali occultisti,
interessati al movimento, iniziarono a dissociarsi e lo stesso Andreae,
indispettito per il voltafaccia dei suoi ex amici, pubblicò, tra il 1617 ed
il 1618, l'Invitatio ad Fraternitatem Christi (Invito alla Confraternita di
Cristo), dove egli cercò di lanciare, in contrapposizione al
rosacrocianesimo, un movimento innovatore, una specie di "Città Cristiana"
(Christianopolis), una Nuova Gerusalemme posta direttamente sotto la
protezione di Dio.
Nel 1628, dopo una pausa forzata a causa di un periodo della Guerra dei
Trent'anni (1618-1648), scrisse un nuovo manifesto Verae unionis in Christo
specimen, nel quale, attaccando Calvinisti, Anabattisti, Schwenckfeldiani, e
i suoi ex-amici rosacrociani, egli esortava alla formazione di una Società
Cristiana.
L'ultimo episodio avvenne in Olanda, quando il pittore e alchimista Johannes
Symonsz van der Beeck (o Beke) (nome umanistico: Torrentius) (1589-1644),
venne imprigionato il 30 agosto 1627 e processato: lo sfortunato pittore era
probabilmente solo un libertino e gaudente, ma venne considerato il leader
della Rosa Croce olandese. Fu torturato e venne condannato come
bestemmiatore e per aver praticato l'alchimia, con un suo amico, tale
Christiaen Coppens, addirittura al rogo, pena poi trasformata in carcere per
vent'anni. Per fortuna, grazie al re d'Inghilterra Carlo I (1625-1649), suo
ammiratore, Torrentius venne rilasciato dalla prigione nel 1630 ed emigrò in
Inghilterra, ritornando dopo qualche anno in patria, dove morì ad Amsterdam
nel 1644.


Rosa croce e massoneria
E proprio in Inghilterra la Rosa Croce non tramontò mai definitivamente, ma
i suoi ideali vennero inglobati nella nascente massoneria speculativa.
Tradizionalmente si considera l'elemento di passaggio tra queste due scuole
di pensiero il grande alchimista, antiquario e astrologo Elias Ashmole
(1617-1692), pubblico difensore della Rosa Croce nel 1650 e massone dal
1646, sebbene in generale, intorno alla metà del XVII secolo, ci fu un
rifiorire di pubblicazioni rosacrociane, come la traduzione in inglese, a
cura di John Heydon (n. 1629), della Fama Fraternitatis nel 1652 o i testi
alchemici, di ispirazione rosacrociana, di Thomas Vaughan (1622-1665), che
scriveva sotto lo pseudonimo di Eugenius Philalethes.
In seguito l'influenza dei Rosa Croce fu rilevante sulla massoneria degli
anni 1720-1730 e divenne parte degli alti gradi massonici: il 18° grado del
rito scozzese si denomina, per l'appunto, Principe di Rosa Croce. Verso il
1757 il tedesco Hermann Fictuld (m. 1777) fondò la Confraternita della Rosa
Croce d'Oro, ma nei metodi e nei rituali, oramai questa era più un ordine
massonico, che un diretto discendente degli anni della Fama Fraternitatis.
Nel 1866 il funzionario della Grande Loggia d'Inghilterra, Robert Wentworth
Little (1840-1878) fondò la Societas Rosicruciana in Anglia, aperta ai soli
massoni cristiani trinitari , ma anche in Francia ci fu nel
XIX secolo un rinnovato interesse per il rosacrocianesimo, alimentato dai
lavori dell'occultista Eliphas Levi (1810-1875), che ispirarono la
fondazione dell'Ordine Cabalistico della Rosa-Croce nel 1887, voluta dagli
occultisti Stanislas de Guaita (1861-1897), Gérard Encausse, detto Papus
(1865-1916) e Joséphin Péladan (1858-1918). Quest'ultimo fondò poi, nel
1890, l'Ordine della Rosa-Croce Cattolica del Tempio e del Graal.


I rosacrociani oggigiorno
Oggi i principali gruppi rosacrociani sono otto, derivati spesso da ambienti
massonici o teosofici americani e quasi tutti caratterizzati dall'offerta di
corsi (spesso per corrispondenza) di astrologia, occultismo ed esoterismo e
dalla stampa di un proprio periodico:
1. Fraternitas Rosae Crucis, la più antica confraternita, fondata da Pascal
Beverly Randolph (1825-1875) nel 1858, è associata con la Church of
Illumination (Chiesa dell'Illuminazione), che si occupa dell'insegnamento
esoterico del gruppo. La sede centrale è a Quakertown, nella Pennsylvania.
La denominazione legale riporta anche la dicitura Beverly Hall Corporation.
2. Societas Rosicruciana in Civitatibus Foederatis (S.R.I.C.F.), fondata nel
1880 da un gruppo di massoni americani, che nel 1878 si erano fatti iniziare
dalla Societas Rosicruciana in Anglia in Inghilterra. Condizione necessaria
per l'adesione è, come per il gruppo inglese, essere massone cristiano
trinitaro.
3. Societas Rosicruciana in America (S.R.I.A.), nata nel 1907 da una
scissione della precedente, quando alcuni membri espressero il desiderio di
aprire l'insegnamento rosacrociano ai profani (cioè ai non massoni).
Collegato alla società esiste anche il Seminario di Studi Biblici: infatti
il forte connotato cristiano mistico della società fu dato dal principale
divulgatore, George Winslow Plummer (1877-1944), che divenne vescovo della
Chiesa Ortodossa Americana nel 1934. 
4. The Ancient and Mystical Order Rosae Crucis (A.M.O.R.C.), il più diffuso
e noto gruppo rosacrociano fu fondato dall'occultista Harvey Spencer Lewis
(1883-1939) nel 1915, dopo essere stato iniziato nel 1909 in Francia.
Nonostante abbia incorporato una chiesa rosacrociana (Pristine Church of the
Rose Cross) negli anni '20, la confraternita insiste sul suo aspetto laico
con gradi e ritualistica di forte sapore massonico. Negli anni '30 Lewis ha
dotato la sede centrale di San Jose (California) di una propria università,
planetario, biblioteca e museo egizio (Lewis era infatti convinto che
l'ordine fosse stato fondato dal faraone Tutmosis III nel 1450 a.C.).
L'AMORC è presente in diversi paesi e, nonostante diverse defezioni a favore
di nuove e nascenti organizzazioni rosacrociane, esso rimane il gruppo più
numeroso (gli organizzatori citano un numero di aderenti di 6 milioni, ma
pare più realistica la cifra di qualche centinaia di migliaia di adepti). In
Italia esso è presente con due logge (a Milano, sede centrale, e a Verona),
ma anche diversi altri punti organizzati, denominati capitoli e pronai.
L'afflusso agli incontri viene rinforzato dalla presenza di emigrati di
colore, originari dell'Africa, dove l'AMORC è particolarmente diffuso. 
5. The Rosicrucian Fellowship, fondato nel 1907 da Max Heindel, pseudonimo
dell'aristocratico e ingegnere tedesco-danese Carl Louis von Grasshoff
(1865-1919), emigrato in America nel 1903 e con la passione per
l'occultismo. Heindel fu anche iscritto alla Società Teosofica e allievo di
Rudolf Steiner. La forte impronta teosofica, religiosa e rituale venne da
Heindel trasferita nel suo gruppo rosacrociano, che è caratterizzata da un
vivo interesse anche per l'astrologia: la Fellowship, con sede a Oceanside
(California), pubblica tutti gli anni le effemeridi, indispensabili per i
calcoli astrologici. E' presente anche in Italia come Associazione
Rosicruciana Oceanside (A.R.C.O.), con sede a Vaprio d'Agogna (Novara). 
6. Rosicrucian Anthroposophic League, una scissione della precedente fatta
da S.R. Parchement con particolare rilievo alle tematiche antroposofiche di
Steiner. La sua sede a San Francisco. Non ha un sito web ufficiale.
7. Lectorium Rosicrucianum, uno dei più popolari gruppi, fu fondato nel 1924
da alcuni membri olandesi del Rosicrucian Fellowship, guidati da Jan van
Rijckenborgh, pseudonimo di Jan Leene (1896-1968), ma solo nel 1935 essi si
staccarono dall'obbedienza madre, formando un ordine, detto dei Manichei.
Dopo la seconda guerra mondiale, il gruppo assunse nel 1945 il nome attuale
di Lectorium Rosacrucianum. Il Lectorium, con sede americana a Bakersfield
(California), fa riferimento a correnti e tradizioni esoteriche, mistiche
cristiane (con particolare interesse per il pensiero di Jakob Böhme),
gnostiche dualistiche e catare, teosofiche, antroposofiche, massoniche. Gli
adepti praticano la dottrina della trasfigurazione (il rinunciare a vivere
secondo l'ordine stabilito dagli uomini per vivere, attraverso un processo
iniziatico, secondo quello divino) per evitare il tormento delle continue
reincarnazioni. Il gruppo è presente in Italia dal 1980 in 11 città e ha la
sede principale a Dovadola, in provincia di Forlì. 8. Ausar Auset Society,
fondata nel 1975 a New York da R.A.Straughn, noto anche con il nome
religioso di Ra Un Nefer Amen, un ex membro del Rosicrucian Anthroposophic
League, che ha particolarmente diffuso le sue idee occultiste alla comunità
nera americana, alla quale ha anche dedicato testi di approfondimento sulla
condizione sociale degli afro-americani.

Taziano ed encratiti (120 - ca.175)



Taziano era un siriano convertito al Cristianesimo da San Giustino martire
(m. ca. 165) tra il 150 ed il 165.
Nel 172, egli diventò il capo della setta degli encratiti, il cui nome
deriva dal greco èncrateis (continenza).
Questa era una setta gnostica, probabilmente influenzata dai sethiani, che
riteneva Satana fosse il figlio del Demiurgo, Ialdabaoth, creatore del mondo
materiale, e che egli, dopo la caduta, avesse, sotto forma di serpente,
creato la vite (perciò gli E. rifiutavano il vino), tentando Adamo ed Eva.
Lo spirito buono doveva, secondo gli E., essere liberato dal corpo malvagio
e, perciò, per accelerare questo processo, essi aborrivano il matrimonio, la
procreazione ed il consumo di carne.


Le opere
T. scrisse un Discorso ai greci, un'opera in 42 capitoli, in cui attaccò il
mondo pagano ed ellenistico, ed un Diatessaron, tentativo di fusione dei 4
vangeli in un continuo narrativo, molto popolare nei paesi di lingua siriaca
fino al Medioevo, nonostante i tentativi del Cristianesimo di sopprimerlo.


Francescani spirituali e fraticelli (XIII - XIV secolo)



La storia dei spirituali
Già poco dopo la morte di San Francesco di Assisi (1181/2-1126), l'ordine
dei francescani, governato dall'ambizioso Elia da Cortona, si era già diviso
in due filoni principali:
I conventuali o relaxati, il cui intento era di operare una parziale
revisione in senso mitigatore della Regola dell'ordine.
Gli spirituali o zeloti o zelanti, che osservavano alla lettera la Regola ed
il Testamento del Santo, desiderando mantenere l'originale stile di vita,
basato sulla povertà e rinuncia di ogni privilegio, predicato da Francesco.
Inoltre essi aderivano entusiasticamente alle idee e teorie del mistico
calabrese Gioacchino da Fiore, arrivando ad identificare la sua "Chiesa
Spirituale" (Ecclesia Spiritualis), con l'ordine francescano.
Elia da Cortona, generale dell'ordine nel periodo 1221-1227 e 1232-1239,
perseguì per ben 4 volte, non riuscendo comunque a impedirne la diffusione,
il movimento degli spirituali, i quali, a loro volta, erano riusciti
nell'intento di farlo sfiduciare una prima volta nel Maggio 1227.
Il movimento degli S. ebbe una particolare popolarità in tre zone
geografiche:
Nelle Marche ed in Umbria, dove si sviluppò dal 1274 sotto il comando di
Liberato da Macerata e successivamente, dal 1307, di Angelo Clareno da
Cingoli. Nel 1294 il Papa (San) Celestino V (1294) permise loro di sottrarsi
al controllo dei conventuali, denominandoli Poveri Eremiti, ma il periodo di
fortuna durò pochissimo: già Papa Bonifacio VIII (1294-1303) tolse ogni loro
privilegio e nel 1317 furono scomunicati da Papa Giovanni XXII (1316-1334),
il grande nemico del movimento e per gli S. la perfetta impersonificazione
dell'Anticristo. Più tardi essi costituirono la base del movimento dei
Fraticelli.
Nella Francia meridionale, comandati da Pietro di Giovanni (Pierre Jean)
Olivi fino al 1298, essi furono perseguitati dai conventuali.
Successivamente, per intercessione del medico spagnolo Arnaldo di Villanova
(o di Villanueva) presso il re di Napoli Carlo II d'Angiò (o forse suo
figlio Roberto) e presso il Papa Clemente V (1305-1314), si cercò una
intermediazione tra il generale dell'ordine, Gundisalvo di Valleboa e i capi
S., Raymond Gaufredi, Guy de Mirepoix, Bartolomeo Sicardi e Ubertino da
Casale. Si ottennero alcune concessioni, ma alla morte di Clemente nel 1314
ed alla successiva elezione nel 1316 proprio del mortale nemico Giovanni
XXII, la situazione precipitò: il papa fece imprigionare i capi del
movimento e torturare 25 S. da parte dell'Inquisizione. Quattro di essi, che
non riconobbero l'autorità papale sul movimento, furono bruciati sul rogo
nel 1318.
In Toscana i S. apparvero nel 1309, ma solo verso il 1312 la tensione nella
regione tra conventuali e S. arrivò ai massimi livelli e una cinquantina di
essi decise di emigrare in Sicilia, dove furono raggiunti da altri in fuga
da altre regioni d'Italia e dalla Francia meridionale. Il movimento si
riorganizzò sotto le direttive di Enrico di Ceva ed il re aragonese Federico
III di Sicilia (1296-1337) approvò il loro statuto, nonostante il solito
Giovanni XXII li scomunicasse nel 1318 con la bolla Gloriosam ecclesiam.
Furono successivamente espulsi dalla Sicilia trovando rifugio a Napoli sotto
la protezione del re Roberto d'Angiò: i decreti e ammonimenti di Giovanni
XXII si susseguirono ossessionanti nel 1322, 1325, 1327, 1329, 1330 e 1331,
ma entro quest'ultima data essi erano già confluiti nel movimento dei
Michelisti di Michele da Cesena.
Gli S. che rimasero fedeli al Papa confluirono nell'ordine degli Osservanti,
ma dovettero attendere ben fino al 1517, quando Papa Leone X (1513-1521)
separò quest'ultimo ordine da quello dei conventuali e lo dichiarò il vero
Ordine di San Francesco. Nel 1897 essi furono incorporati nell'ordine dei
Frati Minori.


La storia dei fraticelli
Come si è detto precedentemente, i Fratelli della Vita Povera (o fraticelli,
secondo la sprezzante definizione di Papa Giovanni XXII) derivarono dal
movimento degli spirituali delle Marche e dell'Umbria, con a capo Angelo
Clareno da Cingoli.
Dal 1318, dopo la scomunica papale del 1317, essi si organizzarono come un
ordine francescano indipendente e contestarono la legittimità dell'autorità
papale di Giovanni XXII. Il Papa reagì facendo bruciare sul rogo 4
fraticelli a Marsiglia nel 1318, ma non riuscì mai a mettere le mani su
Clareno: il capo dei fraticelli morì, in odore di santità, il 15 Giugno
1337, tre anni dopo la morte del Papa stesso, avvenuta nel 1334.
Dopo la morte del loro fondatore, i fraticelli diventarono alquanto
influenti in varie città, tra cui Firenze, dove tuttavia nel 1381 essi
subirono un ordine di espulsione: quest'ultimo creò un clima di persecuzione
nella città e portò alla condanna al rogo di Fra Michele Berti da Calci nel
1389.
Come già detto precedentemente, molti spirituali confluirono nel movimento
dei Fraticelli della opinione o micheliti di Michele da Cesena, ex generale
dell'ordine francescano, il quale nel 1322 aveva convocato il Capitolo
Generale dell'ordine per emettere un pronunciamento a favore dell'assoluta
povertà di Gesù Cristo e degli apostoli.
Questo pronunciamento fu avvallato dai ministri provinciali dell'ordine di
Inghilterra, Aquitania, Francia del nord e Germania meridionale, ma fece
infuriare il solito Giovanni XXII, che nel 1323 con la bolla Cum inter
nonnullos dichiarò eretica l'affermazione della povertà di Gesù e degli
apostoli (sic!).
Nel 1327 Michele fu convocato dal papa ad Avignone, dove fu violentemente
ripreso per questo pronunciamento del Capitolo, ma da dove, nel 1328,
temendo il peggio, fuggì via mare per mezzo di una galea inviata da Ludovico
il Bavaro.
I fraticelli, successivamente, si inserirono nella lotta per l'investitura
dell'imperatore tra Giovanni XXII e Ludovico il Bavaro e Michele si schierò
con i ghibellini, entrando a Roma al seguito di Ludovico in compagnia di
Guglielmo di Occam, Jean de Jandun, Marsilio da Padova e Ubertino da Casale.
Nello stesso 1328 Giovanni XXII scomunicò Michele e lo dichiarò decaduto
come generale dell'ordine: da questa data prese avvio il movimento dei
michelisti.
Nei successivi cento anni la lotta dei fraticelli contro il papato ebbe
momenti di gloria e di persecuzione (per esempio, la morte sul rogo di Fra
Francesco da Pistoia nel 1337 semplicemente per aver ribadito il
pronunciamento del Capitolo) fino alla energica campagna organizzata da Papa
Martino V (1417-1431).
Quest'ultimo, in pieno marasma per la lotta contro i due antipapi Clemente
VIII e Benedetto XIV, trovò comunque il tempo di ordinare nel 1427-1428 una
azione repressiva a Spoleto e ad Ancona, che portò alla distruzione di 36
villaggi dei fraticelli ed alla condanna al rogo di alcuni di essi, sentenza
eseguita a Fabriano in presenza del papa stesso.
L'ultimo processo a carico dei fraticelli avvenne nel 1466 con la condanna
all'ergastolo di 15 religiosi.


Enrico di Losanna (o di Tolosa o di Le Mans o Enrico il monaco) (att. 1° ½
XII secolo)



Se sulla vita di Pietro di Bruis, suo precursore, si sanno poche notizie, se
ne conoscono ancora meno su questo ex monaco diacono dell'ordine di Cluny.
Anche per questo egli viene citato spesso con i vari nomi delle città dove
predicò, come si può notare nel titolo.
Nel 1116, dopo aver lasciato il convento, Enrico iniziò la sua carriera
nella città di Le Mans, nel nord della Francia, dove, ottenuto il permesso
di predicare in pubblico da parte del vescovo Ildeberto di Lavardin
(1056-1133), riuscì a creare, con le sue prediche contro la corruzione del
clero, un tale insurrezione da parte del popolo, da obbligare lo stesso
vescovo a scacciarlo, con fatica, dalla città.
E. proseguì allora come predicatore errante per tutta la Francia (Poitiers,
Bordeaux) e in quegli anni incontrò colui che avrebbe influenzato il suo
pensiero: Pietro di Bruis. Come Pietro, E. rifiutava il battesimo dei
bambini e quindi il peccato originale, considerato un problema solo di Adamo
ed Eva, e non di tutta l'umanità. Sempre, come il suo maestro, E. contestò
anche gli altri sacramenti, i riti, come la messa, il ruolo dei preti e del
clero, le ricchezze dei vescovi.
Egli credeva nella predestinazione, per cui i morti erano immediatamente
salvati o dannati, indipendentemente dalle preghiere e dalle messe di
suffragio, ma anche dai meriti acquisiti in vita, come credeva invece Pietro
di Bruis. Inoltre rispetto a quest'ultimo, E. non attuò mai quella
sistematica distruzione delle croci, né rifiutò parti del Vecchio e Nuovo
Testamento, fatto che contraddistinse i petrobrusiani.
Nel 1134, E. fu arrestato su ordine dell'arcivescovo di Arles ed inviato al
sinodo di Pisa, dove abiurò le sue credenze ed accettò di ritornare in
monastero a Citeaux.
Invece, una volta tornato in Francia, E. si guardò bene di recarsi nel
monastero e riprese la predicazione, in particolare nella zona di Tolosa,
appoggiato da Ildefonso, conte di Saint-Gilles. Preoccupati, le autorità
religiosi locali chiamarono in soccorso San Bernardo nel 1145, che recatosi
in Linguadoca si rese conto dell'enorme diffusione di dottrine eretiche, sia
portate da E. stesso, che dai catari.
Ildefonso fu convinto da Bernardo e dal legato pontificio Alberico di
Beauvais a non appoggiare più E., che fu infine catturato e di lui non si
seppe più nulla: si suppone che sia morto da lì a poco.
I suoi seguaci, denominati enriciani sopravvissero fino al 1152 ca.


Messaliani o euchiti o adelfiani o lampeziani o entusiasti ed eufemiti (IV
secolo)



Una setta eretica del IV secolo, che credeva che, in seguito al peccato
originale di Adamo, ognuno avesse un demone unito alla propria anima e che
esso non fosse stato espulso con il battesimo: l'unica maniera di espellerlo
era la continua ed incessante preghiera con lo scopo di eliminare ogni
passione e desiderio.
Il nome messaliani, infatti, deriva dall'aramaico mètzalin, cioè preganti e
la stessa etimologia aveva la versione greca del loro nome, euchiti da
euchetai.
Comparvero intorno al 360 in Mesopotamia, come setta fondata da un certo
Adelfio (da cui il nome adelfiani), espulso da Antiochia nel 376 dal vescovo
Flaviano e autore del testo base della setta, Asceticus.
Una ulteriore condanna fu loro inflitta dal sinodo di Side del 390 ca. e dal
concilio di Efeso del 431(dove venne condannato il loro libro Asceticus).
Eppure la setta continuò ad esistere: alla metà del V secolo, il loro capo
era il prete Lampezio (da cui un ennesima versione del loro nome), il quale
scrisse un loro nuovo testo, chiamato Il testamento. In Armenia la setta,
pur combattuta anche dalla Chiesa Nestoriana, continuò a prosperare fino al
IX secolo.
I m. influenzarono alcune eresie medievali come i pauliciani, i bogomili e i
fratelli del Libero Spirito.
Essi, come si diceva, praticavano la preghiera incessante e la danza
estatica, durante le quali erano posseduti dallo Spirito Santo (da cui,
letteralmente, il nome di entusiasti, cioè "posseduti da Dio"), si
rifiutavano di lavorare, vivendo nelle piazze e vagando da una città
all'altra e prendendo, secondo loro, ad esempio la vita itinerante di Gesù e
gli apostoli.
Essi, inoltre, consideravano inutili i sacramenti e la mediazione della
Chiesa.
Secondo Sant'Epifanio, esisteva, inoltre, un'altra setta molto simile, non
cristiana, ma che adorava un unico Dio onnipotente. I seguaci di questa
setta erano chiamati anche eufemiti e furono considerati i precursori dei
messaliani, con i quali vennero spesso confusi.


Eon (Eudes) de l'Etoile (Eudo de Stella) (m. ca. 1148)



Eudes de l'Etoile fece parte di quella schiera di predicatori itineranti,
come Pietro di Bruis, Tanchelmo di Brabante o Enrico di Losanna, in
conflitto con la Chiesa Cattolica, alla quale rimproveravano il sempre
maggiore allontanamento dalle necessità dei più deboli, unito ad una
mancanza di carità veramente poco apostolica.
E. era un nobile bretone del XII secolo, il quale aveva ricevuto in sogno
una rivelazione, dove venne nominato Giudice del Mondo e gli venne intimato
di cambiare il nome in Eon.
Iniziò dunque nel 1145 la sua predicazione, dapprima pacifica, nella foresta
di Brécilien e tale fu il successo che organizzò una sua setta, al capo del
quale si pose come un profeta, incarnazione dello Spirito Santo e nominò i
suoi collaboratori più stretti con appellativi come Saggezza e Giudizio.
Ma il periodo di predicazione di E. coincise con un tremendo momento di
carestia in Bretagna ed in Guascogna: E. ne approfittò per sottolineare
l'indifferenza verso la sorte dei poveri, purtroppo una caratteristica
diffusa, dei ricchi monaci e chierici.
Egli quindi fece salire il tono aggressivo delle sue prediche per incitare
le masse diseredate, che lo seguivano, ad assaltare i granai del clero ed a
saccheggiare chiese e monasteri.
Ovviamente la reazione fu severissima e l'arcivescovo di Rouen, Ugo di
Amiens (vescovo: 1130-1174) fece catturare nel 1148 il profeta,  tradotto
poi in catene per essere giudicato davanti ad un sinodo a Reims, presieduto
nientedimeno che da Papa Eugenio III (1145-1153), il quale risiedeva
momentaneamente in Francia, a causa del conflitto con Arnaldo da Brescia,
che gli impediva il rientro a Roma.
Al sinodo E. insistette nel suo ruolo di secondo Spirito Santo, dichiarando
di essere "colui che veniva per giudicare i vivi e i morti ed il mondo con
il fuoco".
I giudici lo considerarono totalmente infermo di mente e lo fecero
imprigionare a vita a pane e acqua: E. ne morì poco dopo, probabilmente
nello stesso anno: secondo i cronisti cattolici dell'epoca, poco prima di
morire si riconciliò con la Chiesa.
I suoi seguaci, invece, che vennero (per loro sfortuna) giudicati sani di
mente, furono immediatamente bruciati sul rogo.


Epifane (o Epifanio) (II secolo)



Figlio del caposcuola gnostico  Carpocrate e continuatore della sua setta.
Nella lettera da E. scritta e giunta fino a noi, egli dichiarò che Dio aveva
voluto scherzare, stabilendo il precetto di non desiderare la donna o la
roba altrui. Infatti, se era stato Dio stesso a creare il desiderio
sessuale, il Suo vero messaggio, secondo E., era di spartire tutto con
tutti, cioè il libertinaggio più spinto.
Secondo alcuni eresiologi, E. morì all'età di soli 17 anni, consumato dai
vizi.
Alcuni studiosi moderni, tuttavia, propendono per la tesi che in realtà E.
non sia mai esistito, ma che sia stato un mito creato dai carpocraziani, che
in suo onore avevano fatto erigere un tempio sull'isola di Samo.


Epigono (inizio III secolo)



Epigono fu un seguace di Noeto di Smirne, caposcuola del monarchianismo
modalista e, più del suo stesso maestro, egli negò l'importanza del ruolo
del Figlio nella Trinità.
Si recò a Roma  all'inizio del III secolo, dove fu accolto benevolmente dai
Papi Vittore I e Zefirino, i quali vedevano in lui un alleato nella lotta
contro il montanismo, imperante in quel periodo.


Eracleone (maestro gnostico) (attivo 145-180) ed Eracleoniti



Eracleone fu un maestro gnostico della scuola italiana dei Valentiniani e
fondatore della scuola degli Eracleoniti.


Il pensiero
Secondo la filosofia di E., riprendendo un concetto di Valentino, gli uomini
sono terreni, in quanto discendenti di Adamo, mentre la natura psichica
viene data dal Demiurgo solo ad alcuni uomini terreni e quella spirituale
viene donata da Sophia solo ad alcuni psichici.
E. distingueva tre periodi nelle sacre scritture, corrispondenti a queste
tre fasi dell'uomo:
periodo ilico (o terreno) nel V.T. da Adamo a Mosè,
periodo psichico, da Mosè da Cristo,
periodo spirituale (o pneumatico) nel N.T.


Le opere
E. scrisse un commentario ai Vangeli di Giovanni e di Luca e alcuni autori
attribuiscono a lui il Tractatus tripartitus (Trattato sulle tre nature:
spirituale, terrena e psichica), ritrovato a Nag Hammadi, sebbene la maggior
parte dei critici attribuisca questo trattato a Valentino.


Erasmo da Rotterdam (Erasmus Desiderius o Geer o Geertsz)  (ca. 1466-1536)



La vita
Erasmo, famosissimo umanista olandese, nacque a Rotterdam il 28 Ottobre 1466Erasmo da Rotterdam
(o forse 1469) come figlio illegittimo di Gerard di Gouda e Margaretha
Rogers. Essendo diventato orfano ancora adolescente, fu accolto in un
monastero agostiniano vicino a Gouda, diventando un canonico regolare pur
non avendo alcuna vocazione religiosa. Tuttavia questa sua scelta gli
permise perlomeno di coltivare con relativa tranquillità lo studio dei
classici.
Nel 1492 E. fu ordinato prete dal vescovo di Cambrai, che lo inviò a Parigi
nel 1496 a completare i propri studi. Nel 1499 E. viaggiò in Inghilterra,
dove conobbe a Oxford John Colet (1467-1519), Tommaso Moro (1478-1535) e
Hugh Latimer, in seguito suoi amici fraterni e grandi influenzatori del suo
pensiero.
Nel 1506, grazie al generoso aiuto dei suoi amici inglesi, E. poté viaggiare
in Italia, a Torino dove ottenne il titolo di dottore in divinità (cioè in
teologia), a Bologna, a Padova, a Venezia dove divenne amico del famoso
stampatore Aldo Manunzio (1449-1515), e a Roma dove gli furono offerti
titoli ecclesiastici che peraltro rifiutò. Nel 1509, ritornando dall'Italia
verso l'Inghilterra, E. scrisse la sua più famoso satira: Elogio della
follia (Encomium moriae).
Rimase in Inghilterra fino al 1514, quando si fu invitato a recarsi nella
regione del Brabante (parte allora dei Paesi Bassi spagnoli), dove divenne
consigliere del futuro imperatore Carlo V (1519-1558 come imperatore).
Quest'ultimo, il quale pensò perfino di nominarlo vescovo, lo sollevò dagli
obblighi di portare la tonaca del suo ordine.
Nella diatriba tra Riforma e Chiesa Cattolica che seguì in quegli anni E.
cercò di mantenersi il più neutrale possibile, tuttavia nel 1521 egli decise
di stabilirsi a Basilea, ospite dello stampatore Johann Froben (1460-1527),
per sottrarsi alle polemiche contro di lui che stavano prendendo corpo nella
Germania sempre più schierata con Lutero. Mantenne comunque un'equidistanza
anche dalla Chiesa Cattolica, rifiutando ogni incarico ufficiale, che il suo
concittadino Adriaan Florensz, diventato Papa Adriano VI (1522-1523) voleva
affidargli.
Solamente nel 1529, quando l'ondata protestante raggiunse Basilea, E. emigrò
a Friburgo in Brisgovia, città cattolica non molto lontana da Basilea
stessa. Rientrò a Basilea nel 1535, ma l'anno successivo accettò l'invito
della reggente dei Paesi Bassi, Maria, a vivere in Brabante. Tuttavia,
durante i preparativi per la partenza, E. morì l'11 Luglio della stesso
1536, per un attacco di dissenteria e fu sepolto nella basilica evangelica
(luterana) di Basilea.


Le opere
La vastissima produzione letteraria di E. comprende, tra l'altro:
Adagia (raccolta di detti e proverbi greci e latini) (1500)
Enchiridion militis cristiani (1502)
Encomium moriae (Elogio della follia) (1509)
Institutio principis christiani (1516)
Note e traduzione in latino del Novum Instrumentum omne (Nuovo Testamento)
(1516)
Parafrasi sul Nuovo Testamento (1517)
Colloquia Familiaria (1518)
Diatribe de libero arbitrio (1524)
De sarcienda Ecclesiae concordia (1533)
Ecclesiastes sive Concionator evangelicus (1535)
Svariate edizioni dedicate alle opere di Santi, come Girolamo, Ilario di
Poitiers, Ireneo, Ambrogio, Agostino, Epifanio, Crisostomo, e pensatori
cristiani, come Origene.
Vari trattati pedagogici e teologici.


Il pensiero
E. fu un vero umanista cristiano dotto e pacifista: egli tentò una riforma
della chiesa dall'interno, ma finì, suo malgrado, in mezzo alla lotta tra
Cattolicesimo e Protestantesimo: del resto erano momenti in cui il sensibile
e cauto umanista olandese doveva sentirsi inevitabilmente a disagio di
fronte a posizioni radicali, da una parte e dall'altra, intrisi di slogan
estremisti e violenza non solo verbale.
Dalla parte cattolica egli fu ingiustamente considerato il precursore del
Protestantesimo, soprattutto in seguito alle sue violente satire contro la
vita monacale e la corruzione della Chiesa.
Tuttavia, anche dalla parte Protestante fu criticato, per non aver preso
posizione a favore della Riforma, anzi per essere entrato direttamente in
polemica con Lutero a proposito del libero arbitrio, sul quale E. scrisse un
lavoro nel 1524.
Eppure E. condivideva molti punti con i riformatori, come una lettura più
letterale, e non solo allegorica, delle Scritture, considerate come unico
riferimento in contrasto con le speculazioni ed interpretazioni del pensiero
scolastico. Anche E. era contrario al traffico di indulgenze e pellegrinaggi
e alla mondanizzazione degli ordini monastici e della Chiesa stessa, sempre
più burocratica e prevaricatrice, ben lontana dalla vera "Chiesa degli
apostoli".
Per tutti questi punti, E. avrebbe potuto essere processato svariate volte
dall'Inquisizione, ma l'amicizia di imperatori come Carlo V e papi come
Adriano VI lo mise sempre al riparo da guai più seri.
D'altra parte E. mantenne sempre una certa distanza da Lutero, aborrendo il
fanatismo di quest'ultimo e precisando ove necessario la sua indipendenza di
pensiero, soprattutto nella dottrina del libero arbitrio contrapposto al
"servo arbitrio" di Lutero, che negava all'uomo, secondo E., la libertà di
collaborare per la propria redenzione.


Un papa erasminiano mancato
Alla fine del 1549 ci fu un momento storico che avrebbe potuto essere il più
esaltante per il pensiero di E., ma che fu invece il più deludente : alla
morte di Papa Paolo III (1534-1549), il più erasminiano dei cardinali,
l'inglese Reginald Pole, in testa nelle votazioni del conclave, avrebbe
potuto semplicemente accettare l'elezione a Papa per adorationem, ma .....
tacque, permettendo l'elezione del gaudente Giulio III (1550-1555), ma
soprattutto spianando la strada all'elezione, 6 anni dopo, al famigerato,
fanatico e violento cardinale Gian Pietro Carafa, il quale divenne Papa
Paolo IV (1555-1559) e fu così contrario a qualsiasi dialogo con i
protestanti da permettere finalmente a questi ultimi di superare le proprie
divisioni interne.

Erastus (o Lüber o Lieber o Liebler), Thomas (1524-1588) e Erastianismo



La vita
Thomas Lüber (nome umanistico Erastus) nacque il 7 settembre 1524 a Baden,
nel cantone Aargau in Svizzera, da una povera famiglia di artigiani.
Nel 1540 E. fu mandato, a spese di uno sconosciuto mecenate, a studiare
teologia a Basilea, ma a causa di una epidemia di peste nel 1544, egli
decise di trasferirsi a studiare filosofia e medicina a Bologna, dove si
laureò in medicina nel 1552, e successivamente a Padova.
Nel 1555 E. fu assunto, da parte di Guglielmo IV, Conte di Henneberg
(1478-1559), come medico di corte, ruolo che dal 1558 ricoprì, oltre a
quello di professore di medicina all'università di Heidelberg, anche presso
il principe elettore del Palatinato, Otto Heinrich (regnante: 1556-1559).
Nel 1559, alla morte di Otto Heinrich, il successore Frederick III Palatino,
detto il Pio (regnante: 1559-1576) nominò E. membro del Consiglio della
Corona, Rettore dell'università e membro del Concistoro della Chiesa.
Tuttavia Frederick fu anche il primo principe tedesco ad accettare il
calvinismo nel 1563, nonostante la strenua resistenza di E., che invece
parteggiava per una riforma di tipo zwingliano. E. difese senza successo la
dottrina della Cena del Signore di Zwingli nelle conferenze di Heidelberg
(la capitale del Palatinato) del 1560 e Maulbronn del 1564, ma fu perfino
scomunicato in quella di Heidelberg, sebbene la scomunica venne revocata
l'anno successivo. Egli difese inoltre le sue idee per iscritto nel 1565,
rispondendo al teologo luterano di Strasburgo Johann Marbach (1521-1581).
Nel 1570 Frederick III Palatino, con l'aiuto del teologo calvinista Caspar
Olevianus (1536-1587), introdusse il calvinismo, nella sua forma
presbiteriana, come religione di stato.
La neonata chiesa, come uno dei suoi primi atti ufficiali, scomunicò E.
accusandolo di un presunto socinianesimo sulla base di lettere scambiate con
antitrinitariani transilvani e lo perdonò solo nel 1575, dopo una
dichiarazione di E. di adesione alla dottrina della Trinità.
Tuttavia la sua posizione rimase scomoda e vista sempre con molto sospetto e
quindi nel 1580 egli decise di ritornare a Basilea, dove nel 1583 venne
nominato professore di etica all'università. Non poté, purtroppo occupare
molto questo ruolo, poiché morì nello stesso 1583, il 31 dicembre.


Erastianismo
La dottrina, che prende il nome da E., si denomina erastianismo e derivò da
discussioni di E. con i teologi calvinisti sull'opportunità che fosse lo
stato, come voleva E., e non la chiesa, secondo i calvinisti, a punire i
peccatori e gli eretici. Per E. una chiesa in una nazione cristiana non
aveva nessun potere di repressione, distinta da quello dello stato: la
chiesa poteva solamente censurare o ammonire coloro che deviavano dalla
retta via.
L'opera principale di E., denominato La nullità delle censure della Chiesa,
apparve postumo a Londra nella versione tedesca nel 1589 e nella traduzione
inglese nel 1659, influenzando in maniera decisiva le teorie di alcuni
parlamentari inglesi, come John Selden (1584-1654) e Bulstrode Whitelocke
(1605-1675), favorevoli alla supremazia dello stato sulla chiesa.
L'erastianismo ebbe inoltre un ruolo importante nello sviluppo del
gallicanesimo in Francia.


Nayler, James (1618-1660)



Il quacchero James Nayler nacque nel 1618 a Andersloe (oggi Ardsley), vicino
a Leeds, nella contea inglese del West Yorkshire, da una famiglia di piccoli
proprietari terrieri.
Nel 1642, allo scoppio della guerra civile, N. si arruolò come
quartiermastro (furiere) nella cavalleria dell'esercito parlamentare, ma nel
1650 dovette ritirarsi a vita privata a causa delle sue cattive condizioni
di salute.
Ritornato a casa, ebbe un giorno una visione, mentre arava i suoi campi: una
voce che lo esortava a vendere tutto e ad andarsene dalla casa del padre. Ma
non prese decisioni drastiche finché non ebbe incontrato nel marzo 1652 il
fondatore del movimento dei quaccheri, George Fox. A quel punto N. vendette
tutti i suoi averi e divenne uno dei primi, ed il più dotato come eloquenza,
dei predicatori quaccheri. Il suo pensiero era abbastanza radicale e
nell'esercizio della predicazione, amava inserire concetti cari ai ranters e
ai familisti, ma fu imprigionato diverse volte per blasfemia tra il 1653 ed
il 1655.
Nel 1656, però, N. passò il segno prestandosi ad una rappresentazione che lo
mise nei guai seri con le autorità anglicane. L'anno prima, il 1655, infatti
N. si era recato a Londra, dove aveva conosciuto un gruppo di signore della
setta, affascinate dal suo aspetto e modo di fare. Quando poi, recatosi
nell'ovest del paese, N. era stato arrestato ad Exeter, queste donne, tra
cui Martha Symmonds e Hannah Stranger, erano andate a trovarlo in carcere,
iniziando ad adorarlo come un novello Cristo. Una terza adepta,
particolarmente emotiva, tale Dorcas Erbury, alla vista di N., svenne e
questo svenimento fu esageratamente descritto come una morte improvvisa, per
cui il semplice rinvenimento, avvenuto in presenza di N., fu interpretato
come un vero e proprio miracolo della resurrezione operata dal predicatore
quacchero.
Fox stesso visitò N. in carcere per controllare e reprimere questa
preoccupante divinizzazione del suo ex pupillo, derivata probabilmente da
una interpretazione un po' troppo letterale di una frase di Fox stesso, Dio
è in ogni uomo, ma N., irretito dalle sue seguaci e convinto da loro di
essere lui stesso Gesù Cristo, lo trattò con sufficienza.
Poco dopo il suo rilascio nell'ottobre 1656, il misfatto: preceduto dalla
Symmonds e dalla Stranger, che cantavano: "Santo, Santo, Santo, il Signore
Dio di Israele" e stendevano vesti per terra davanti al corteo, N. entrò a
Bristol a cavallo di un asino, appunto come un novello Gesù Cristo, ad
imitazione dell'entrata in Gerusalemme, descritta nei Vangeli.
Immediatamente arrestato con il suo seguito, egli fu inviato a Londra per
essere interrogato dal parlamento inglese, dominato in quel momento dalla
fazione puritana.
Qui N. fu condannato per blasfemia: egli non avrebbe potuto essere messo in
prigione per più di sei mesi, secondo la legge contro la blasfemia (Blasfemy
Act), se non fosse stato per i conservatori puritani che prima tentarono
inutilmente di farlo condannare a morte e poi concepirono per lui una
tremenda punizione.
Infatti, dopo essere stato esposto per due ore alla gogna, N. fu legato ad
un carro e frustato a sangue per tutto il percorso durante il suo
trasferimento ad un altro luogo di condanna, rimesso alla gogna, gli fu
bucata la lingua con un ferro rovente e fu marchiato a fuoco sulla fronte
con la lettera B (blasfemia).
Non soddisfatti di questo trattamento, i suoi giudici ordinarono che N.
fosse in seguito condotto a Bristol per essere portato in giro per la città,
in segno di scherno, seduto all'incontrario su un cavallo senza sella,
nuovamente frustato ed infine gettato nella prigione di Bridewell a Londra,
dove rimase per due anni e mezzo.
Perfino il Lord Protettore Oliver Cromwell (1599-1658) fu sconvolto da tanta
severità della condanna, ma non riuscì a fermare la punizione.
In prigione, comunque, nonostante la proibizione di ricevere penna e carta,
N. riuscì a scrivere diversi trattati. Finalmente l'8 settembre 1659 N. fu
liberato per ordine del nuovo parlamento e nel gennaio 1660 si riconciliò
con Fox e gli altri quaccheri.
Nell'ottobre 1660 egli si mise in viaggio da Londra per andare a visitare la
sua mai dimenticata, ma un po' trascurata, famiglia che abitava ancora nello
Yorkshire.
Purtroppo non ci arrivò mai: dopo qualche giorno fu trovato legato e
bastonato in un campo di Kings Ripton, vicino a Huntingdon, nella contea del
Cambridgeshire, probabilmente vittima di banditi di strada, e, nonostante i
soccorsi portati da Thomas Parnell, un medico quacchero locale, N. morì a
Kings Ripton il 21 ottobre 1660 per le gravissime ferite riportate al capo.


Erlembaldo Cotta (m. 1075)



Nel 1061, in seguito alla morte di Landolfo Cotta, Arialdo da Carimate, capo
del movimento dei patarini, decise di associare al movimento Erlembaldo,
fratello di Landolfo.
E. era un capitaneus, cioè un nobile della città, oltre ad essere un
valoroso cavaliere, il quale, reduce da un pellegrinaggio in Terrasanta, era
in procinto di ritirarsi in un monastero, quando fu raggiunto dalla
richiesta di Arialdo.
Nel frattempo era salito sul trono di Pietro, Anselmo di Lucca (l'ex prete
Anselmo da Baggio, uno dei capi storici del movimento della Pataria), con il
titolo di Papa Alessandro II (1061-1073).
Nella primavera del 1066, a dimostrazione del suo appoggio al movimento,
Alessandro II consegnò ad E. il vexillum Petri (il vessillo di S. Pietro) e
due bolle pontificie di richiamo al clero milanese e di scomunica del
arcivescovo corrotto e simoniaco di Milano, Guido da Velate.
Tuttavia, in seguito ai durissimi scontri del 4 Giugno 1066, quando vennero
feriti sia E. e Arialdo, che Guido stesso, quest'ultimo lanciò
l'interdizione su Milano, finché Arialdo fosse rimasto in città.
Era una trappola mortale, nella quale Arialdo purtroppo cadde: uscito dalla
città venne catturato e orrendamente torturato, su un'isola del Lago
Maggiore, da due chierici, i quali lo mutilarono delle orecchie, naso,
occhi, mano destra, piedi, genitali e lingua, ed, una volta morto, lo
gettarono nel lago, appesantito da alcuni massi. Era il 26 Giugno 1066.
L'anno seguente (1067) il corpo di Arialdo fu ritrovato, secondo la leggenda
intatto (cioè non ancora decomposto), e fu fatto portato in processione a
Milano da E.
Arialdo fu successivamente proclamato santo da Alessandro II, che, nel
contempo, aveva provveduto a scomunicare Guido da Velate.
E. proseguì la lotta dei patarini con grande determinazione: un episodio
significativo fu quando egli gettò via l'acqua di una fonte battesimale,
consacrata da un prete simoniaco per farla sostituire con dell'altra
consacrata da un sacerdote non corrotto.
Nel 1071 i partigiani di Guido da Velate riuscirono, alla morte di
quest'ultimo, a far eleggere arcivescovo Goffredo da Castiglione, al quale
E. contrappose Attone (un altro esponente della Pataria), subito
riconosciuto da Papa Gregorio VII (1073-1085), che oltretutto scomunicò
Goffredo nel 1075.
Scoppiarono così dei tremendi tumulti in città ed il 28 giugno 1075, durante
uno di questi disordini, E. fu assassinato.
Egli fu nominato beato da Papa Urbano II nel 1094, tuttavia non viene
ricordato nella liturgia milanese.


Seleuciani (o Ermeoniti o Prolinianiti) (III - IV secolo)



I seguaci di questa setta gnostica, attiva in Galizia nel III - IV secolo e
fondata da Seleuco, con i discepoli Ermia e Proclino, praticavano un
dualismo estremo. Tutte le notizie che abbiamo su questa setta vengono da
Filastrio (Liber Dicersarum Hacreseon).


La dottrina
I seleuciani accettavano che Dio fosse incorporeo, ma erano convinti che la
materia fosse eterna quanto Dio: entrambi, secondo loro, erano generatori
del Male, una posizione molto radicale nel panorama gnostico.
Nella loro dottrina, il leitmotiv ricorrente era il fuoco:
Gli uomini erano stati creati non da Dio, ma dagli angeli da componenti
materiali, il fuoco e l'aria.
Cristo non sedeva alla destra del Padre perché aveva lasciato il Suo corpo
nel sole (fuoco).
I s. rifiutavano il battesimo perché il Vangelo di Matteo (3,11), riferendo
le parole di S. Giovanni Battista, citava testualmente Colui che viene dopo
di me .. vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
Il mondo attuale era l'inferno.


Questa setta ebbe molti punti in comune e probabilmente fu la fonte di
ispirazione di un'altra setta quasi identica, quella degli Ermeoniti o
Prolinianiti, fondata da un certo Ermogene.


Beghine e begardi (o bizocchi o pinzocheri o beghini) (dal XIII secolo)



Il fenomeno medioevale delle beghine vide, per la prima volta, le donne
prendere l'iniziativa in un importante movimento religioso.


L'etimologia
L'etimologia del nome beghina è oscura: l'ipotesi più probabile è che derivi
dalla parola fiamminga medioevale beghen, che significa pregare. Altri lo
collegano:
al francese begard (mendicare),
al sassone (e inglese) beg (chiedere l'elemosina),
a San Bega (o Begga), patrono di Nivelles, in Brabante (Belgio) dove fu
fondata una delle prime comunità,
al prete (o frate) fiammingo Lambert le Bègue (cioè il Balbuziente),
fondatore a Liegi nel 1170 di una comunità per vedove e orfani dei crociati,
a un supposto collegamento con gli (al)bigesi (o catari),
al colore beige del vestito portato dagli aderenti al movimento.


L'origine
Nel XII secolo, particolarmente in Francia, Germania e nei Paesi Bassi, vi
era un numero elevato di donne sole, di estrazione sociale medio-bassa, che
non potevano maritarsi per penuria di uomini decimati da crociate o guerre
locali e non venivano, d'altra parte, accettate dai pochi conventi femminili
esistenti all'epoca, più interessati a domande provenienti da fanciulle
ricche e nobili.
L'unica alternativa per queste donne era di vivere da sole nelle periferie
delle città, pregando e occupandosi di lavori manuali o di insegnamento.
Con l'andare del tempo molte di esse, chiamate beghine (vedi sopra per
l'etimologia), unirono le loro dimore, l'una vicino all'altra, e da questo
nacquero le prime comunità, denominate beghinaggi, il primo dei quali
comparve nel 1170 circa a Liegi (o forse a Nivelles) in Brabante (Belgio) su
iniziativa del prete Lambert le Bègue.
Le b. non erano delle suore, non prendevano infatti i voti e potevano
ritornare alla vita normale in qualsiasi momento: vivevano in castità e
spesso dedite alla carità, un po' come delle converse, cioè delle suore
laiche.
Inoltre non chiedevano l'elemosina (da cui si capisce che è errata
l'etimologia da beg o begard), ma mantenevano le loro proprietà originarie,
se ne avevano, oppure, se necessario, lavoravano, per esempio filando la
lana o tessendo.
La prima donna ad essere identificata come b. fu la mistica Maria di
Oignies, che influenzò il cardinale Jacques di Vitry (1160-1240), protettore
del movimento, di cui Vitry ottenne il riconoscimento, purtroppo solo a
parole, da Papa Onorio III (1216-1227) nel 1216.
Con l'andare del tempo i beginaggi divennero delle vere e proprie comunità,
orientate alla cura dei malati e all'aiuto di donne sole, non accettate dai
conventi.
Ci furono beginaggi, forti anche di migliaia di b. (come a Ghent), in tutte
le città e paesi del Belgio e dell'Olanda, dove, nonostante le vicissitudini
storiche (furono per esempio aboliti durante la Rivoluzione Francese),
esistono oggigiorno, dopo ben sette secoli, ancora 11 comunità in Belgio e 2
in Olanda.


I begardi
Ci fu anche una forma maschile di b., che ebbe minore diffusione rispetto
alla controparte femminile e fu denominata (con un connotato negativo in
senso eretico) begardi.
In Italia vennero denominati anche bizzocchi o pinzocheri o beghini e
condussero spesso una vita da predicatori erranti (molto diffusa nel
Medioevo) e furono molto impegnati nel denunciare il nicolaismo e la
corruzione del clero, propendendo per una vita apostolica e povera, come
quella di Gesù e dei primi Apostoli.
Su questi punti in comune si allearono spesso con i Francescani spirituali
nel combattere il comune nemico Papa Giovanni XXII (1316-1334), che contro
di loro scatenò il famoso (o meglio famigerato) inquisitore Bernardo Gui
(1261-1331).


La condanna
Benché le b. non dessero alcun segno di eresia (per i begardi il discorso è
più complesso), esse vennero dapprima condannate allo scioglimento delle
loro comunità dal IV Concilio Laterano (1215), ma successivamente accettate
verbalmente da Onorio III nel 1216 ed approvate da Papa Gregorio IX
(1227-1241) nella sua bolla Gloriam virginalem del 1233, il che non impedì,
tuttavia, il rogo della prima b. condannata come eretica, una tale Aleydis.
Nonostante l'approvazione papale, negli anni successivi seguì una raffica di
condanne, a loro carico, ai sinodi di Fritzlar (1259) e Mainz (1261),
concilio di Lione (1274), sinodi di Eichstätt (1282) e Béziers (1299), ed
infine al Concilio di Vienne (1311-12), dove vennero condannate come
eretiche, sebbene venisse precisato nel contempo che non c'era nulla di male
in comunità formate da donne penitenti anche senza che esse avessero preso i
voti.
Nel 1310 fu bruciata sul rogo Marguerite La Porète, una b. con simpatie
verso i Fratelli del Libero Spirito ed autrice del libro Le miroir des
simples âmes (lo specchio delle anime semplici), attribuito per anni a Santa
Margherita d'Ungheria.
Il solito Giovanni XXII perseguitò con furore beghine e begardi, come si è
detto, mediante Bernardo Gui, benché il Papa stesso cercasse di distinguere
tra forme eretiche e forme ortodosse del movimento.
Pur tuttavia, l'elenco dei processi e relativi roghi di b. durante questo
periodo, soprattutto in Francia meridionale, è impressionante: a Marsiglia
(il beghino Pierre Trancavel e sua figlia Andreina), Narbona, Carcassonne,
Béziers e Tolosa si giustiziarono senza pietà i b.
Alcuni episodi denotarono l'accanimento degli inquisitori, come a Lodève,
dove fu bruciata la b. Esclarmonda Durban, e, quando il fratello cercò di
raccoglierne le reliquie, fu giustiziato anche lui. O a Mirepoix, dove si
dovettero costruire delle nuove carceri tanti che erano gli "eretici" (b.,
spirituali, catari) in attesa di essere interrogati dall'Inquisizione. O nel
1325 a Carcassonne dove 82 b. vennero processati semplicemente per
manifestazioni di devozione sulla tomba del capo degli spirituali francesi,
Pietro di Giovanni Olivi.


La dottrina
La stragrande maggioranza delle b. e dei begardi era cattolica ortodossa, e
tutt'altro che eretica, tuttavia fu la vicinanza e la frequentazione dei
Francescani spirituali e dei Fratelli del libero spirito (delle cui dottrine
venne accusata Margherita la Porète), che permise agli inquirenti di fare di
tutte le erbe un fascio e processare anche gli aderenti al movimento b.,
soprattutto i begardi.
Giovanni XXII cercò di distinguere in b. buoni e cattivi, tracciando una
linea immaginaria tra i "cattivi", che stavano in Italia e in Francia
meridionale (Provenza e Linguadoca) e i "buoni" che stavano in Germania,
Paesi Bassi e Francia settentrionale, ma questa classificazione era alquanto
semplicistica.
Oltretutto, durante il periodo di persecuzioni, era sufficiente che il b., a
cui venisse ordinato di ritirarsi in clausura in un ordine religioso
"approvato", si opponesse alla questa decisione per essere automaticamente
considerato eretico.
Infine il linguaggio, volutamente provocatorio, di alcuni scritti, come
quelli di Margherita la Porète fu strumentalmente interpretato dagli
inquisitori come dichiarazioni di antinomismo.



Guilhabert de Castres  (vescovo cataro) (XIII secolo)



Vescovo cataro di Tolosa, ottimo polemista, tenne testa, assieme ad altri
teologi catari, nel 1207 a Montrèal e nel 1208 a Lourac, ai predicatori
cattolici, fra cui Domenico di Guzman (il futuro santo), nei dibattiti
pubblici su temi dualistici.
Dopo la prima tremenda crociata contro gli albigesi (1209-1218) e la
crociata "reale" (1226-1228) organizzata dal re di Francia, Luigi VIII
(1223-1226), si giunse alla firma, nel 1229, tra Raimondo VII di Tolosa ed
il re Luigi IX (1226-1270), del trattato di Meaux, che stabilì che Raimondo
dovesse dimostrare con i fatti il suo impegno nell'abbattere l'eresia catara
nella sua contea.
Raimondo non tenne fede a questo impegno, anzi cercò di barcamenarsi in
mezzo a congiure ordite, in volta in volta, dallo stesso re di Francia
oppure da gruppi di nobili, appoggiati ora dal re d'Inghilterra Enrico III
(1216-1272) e ora dall'Imperatore Federico II (1220-1250).
Intuendo che, in mezzo a tutti questi intrighi politici, fosse necessario
cercare un rifugio sicuro per i catari, G. si accordò nel 1232 per
l'utilizzo del pog (picco) di Montségur con Ramon de Perella (o Raymond de
Péreille), vassallo del conte Ramon-Roger de Foix, di cui aveva convertito
la sorella Esclarmonde de Foixì che divenne famosa per una disputa teologica
con San Domenico di Guzman (1170-1221), dove questi, alla fine seccato per
dover disquisire di teologia con un cataro oltretutto donna, sibilò uno
scortese Ritornate alle Vostre conocchie, Madame.
Esclarmonde divenne un personaggio popolare nell'immaginario culturale
francese del XIX-XX secolo: le sono stati dedicati un'opera lirica nel 1889
(Esclarmonde di Jules Massenet) e un film nel 1945 (La Fiancée del Ténèbres
di Serge de Poligny),
Negli anni successivi, G. ed il suo "figlio maggiore" Bernard Marty
organizzarono la vita dei catari in zona, con frequenti missioni di
predicazione nella regione.
Tuttavia, il breve momento politico favorevole ai catari finì bruscamente in
seguito al massacro ad Avignonnet nel 1242 di due inquisitori (Arnaud
Guilhelm de Montpellier e Étienne de Narbonne) e del loro seguito.
Questo fu il pretesto per scatenare un ultimo colpo di grazia ai catari
asserragliati, per l'appunto, a Montségur.
G. non potè assistere all'agonia della sua diocesi, in quanto era già morto,
probabilmente nel 1241: la difesa estrema di Montségur sarebbe toccata al
suo successore Bernard Marty.


Bernard Marty (o Bertand d'En Marti) (vescovo cataro) (m. 1244)



"Figlio maggiore" del vescovo cataro di Tolosa, Guilhabert de Castres e suo
successore, famoso nella storia degli albigesi per la strenua difesa della
roccaforte simbolo di questa setta: Montségur.
B. difese eroicamente il pog (picco) di Montségur dal maggio 1243 al 16
marzo 1244 con 70 "perfetti", le loro famiglie ed una ridotta guarnigione,
al comando di Pierre-Roger de Mirepoix, per un totale di ca. 500 persone
contro un esercito assediante di 10.000 soldati (secondo una stima, forse
esagerata, di alcuni storici) al comando del siniscalco di Carcassonne,
Hugues de Arcis.
L'assedio iniziò nel maggio 1243, ma fu solamente alla fine di dicembre, che
gli assedianti riuscirono a portarsi in una posizione strategicamente più
favorevole, fiaccando la resistenza dei catari.
In questi ultimi mesi dell'assedio di Montségur, si svilupparono le leggende
più varie, legate al favoloso "tesoro" dei catari, messo in salvo chissà
dove oppure alla fuga dalla rocca, il giorno prima della resa, di quattro
"perfetti" a conoscenza di misteriosi segreti, sui quali alcuni autori, più
o meno fantasiosamente, hanno speculato nei secoli successivi: dal Sacro
Graal all'ubicazione della tomba con le spoglie mortali di Gesù ecc.
Il 16 marzo 1244 la guarnigione si arrese e furono lasciati liberi solo i
soldati al comando di Mirepoix.
Ben altra sorte attendeva i ca. 205 (o forse 225) catari, tra i quali, oltre
a Marty, facevano parte Raimond Agulher, vescovo della chiesa catara del
Razès e i famigliari di Ramon de Perella (o Raymond de Péreille), signore
del luogo, e più precisamente la moglie Corba de Lanta, la figlia
Esclarmonde de Péreille (alla cui vita e morte sul rogo fa probabilmente
allusione una cantata del trovatore occitano Guilhem de Montanhagol) e la
suocera, marchesa de Lanta .
Tutti furono bruciati sul rogo, sul quale salirono cantando, sicuri della
loro salvezza in Dio.
Il luogo fu rinominato Prat dels Cremats (Prato dei Bruciati).


Esclipedoto (adozionista) (III secolo)



Esclipedoto fu un seguace di Teodato (o Teodoto) di Bisanzio, detto il
Pellaio o il Conciatore, fondatore della corrente degli adozionisti, di
coloro, cioè, che credevano che  Gesù fosse semplicemente un uomo (psilos
anthropos), vissuto come gli altri uomini e "adottato" come figlio da Dio
solamente al momento del suo battesimo nel Giordano, quando il Cristo era
sceso su di Lui sotto forma di una colomba.
Secondo Eusebio, che trasse questa storia dal Piccolo Labirinto di Ippolito,
dopo la morte di Papa Vittore, E. e Teodato (o Teodoto), detto il Banchiere
o il Cambiavalute decisero di strutturare il movimento come una vera Chiesa,
nominando vescovo, per 170 denarii al mese, un prete romano di nome Natalio,
che era stato torturato durante le persecuzioni, probabilmente sotto
l'imperatore Settimio Severo.
Ma costui, dopo un notte di incubi, dove sognò di essere torturato dagli
angeli, si recò pentito e affranto da Papa Zeffirino (199-217), che lo
perdonò. Tale clemenza non fu, però, adottato da Zeffirino nei confronti dei
due capiscuola adozionisti sopra menzionati, prontamente scomunicati.


Messaliani o euchiti o adelfiani o lampeziani o entusiasti ed eufemiti (IV
secolo)



Una setta eretica del IV secolo, che credeva che, in seguito al peccato
originale di Adamo, ognuno avesse un demone unito alla propria anima e che
esso non fosse stato espulso con il battesimo: l'unica maniera di espellerlo
era la continua ed incessante preghiera con lo scopo di eliminare ogni
passione e desiderio.
Il nome messaliani, infatti, deriva dall'aramaico mètzalin, cioè preganti e
la stessa etimologia aveva la versione greca del loro nome, euchiti da
euchetai.
Comparvero intorno al 360 in Mesopotamia, come setta fondata da un certo
Adelfio (da cui il nome adelfiani), espulso da Antiochia nel 376 dal vescovo
Flaviano e autore del testo base della setta, Asceticus.
Una ulteriore condanna fu loro inflitta dal sinodo di Side del 390 ca. e dal
concilio di Efeso del 431(dove venne condannato il loro libro Asceticus).
Eppure la setta continuò ad esistere: alla metà del V secolo, il loro capo
era il prete Lampezio (da cui un ennesima versione del loro nome), il quale
scrisse un loro nuovo testo, chiamato Il testamento. In Armenia la setta,
pur combattuta anche dalla Chiesa Nestoriana, continuò a prosperare fino al
IX secolo.
I m. influenzarono alcune eresie medievali come i pauliciani, i bogomili e i
fratelli del Libero Spirito.
Essi, come si diceva, praticavano la preghiera incessante e la danza
estatica, durante le quali erano posseduti dallo Spirito Santo (da cui,
letteralmente, il nome di entusiasti, cioè "posseduti da Dio"), si
rifiutavano di lavorare, vivendo nelle piazze e vagando da una città
all'altra e prendendo, secondo loro, ad esempio la vita itinerante di Gesù e
gli apostoli.
Essi, inoltre, consideravano inutili i sacramenti e la mediazione della
Chiesa.
Secondo Sant'Epifanio, esisteva, inoltre, un'altra setta molto simile, non
cristiana, ma che adorava un unico Dio onnipotente. I seguaci di questa
setta erano chiamati anche eufemiti e furono considerati i precursori dei
messaliani, con i quali vennero spesso confusi.


Eudossio di Costantinopoli (300-370)



Vescovo ariano di Germanicia, partecipò a svariati concili ariani, aderendo
alla corrente, che propugnava la natura anòmoios (dissimile da Dio) di
Cristo, secondo il credo ariano più canonico, e difeso da Aezio di Antiochia
o di Celesiria, Eunomio di Cizico e Ursacio di Singiduno.
Nel breve periodo di auge degli anomiani (360), E. divenne vescovo di
Costantinopoli.
Morì nel 370.


Messaliani o euchiti o adelfiani o lampeziani o entusiasti ed eufemiti (IV
secolo)



Una setta eretica del IV secolo, che credeva che, in seguito al peccato
originale di Adamo, ognuno avesse un demone unito alla propria anima e che
esso non fosse stato espulso con il battesimo: l'unica maniera di espellerlo
era la continua ed incessante preghiera con lo scopo di eliminare ogni
passione e desiderio.
Il nome messaliani, infatti, deriva dall'aramaico mètzalin, cioè preganti e
la stessa etimologia aveva la versione greca del loro nome, euchiti da
euchetai.
Comparvero intorno al 360 in Mesopotamia, come setta fondata da un certo
Adelfio (da cui il nome adelfiani), espulso da Antiochia nel 376 dal vescovo
Flaviano e autore del testo base della setta, Asceticus.
Una ulteriore condanna fu loro inflitta dal sinodo di Side del 390 ca. e dal
concilio di Efeso del 431(dove venne condannato il loro libro Asceticus).
Eppure la setta continuò ad esistere: alla metà del V secolo, il loro capo
era il prete Lampezio (da cui un ennesima versione del loro nome), il quale
scrisse un loro nuovo testo, chiamato Il testamento. In Armenia la setta,
pur combattuta anche dalla Chiesa Nestoriana, continuò a prosperare fino al
IX secolo.
I m. influenzarono alcune eresie medievali come i pauliciani, i bogomili e i
fratelli del Libero Spirito.
Essi, come si diceva, praticavano la preghiera incessante e la danza
estatica, durante le quali erano posseduti dallo Spirito Santo (da cui,
letteralmente, il nome di entusiasti, cioè "posseduti da Dio"), si
rifiutavano di lavorare, vivendo nelle piazze e vagando da una città
all'altra e prendendo, secondo loro, ad esempio la vita itinerante di Gesù e
gli apostoli.
Essi, inoltre, consideravano inutili i sacramenti e la mediazione della
Chiesa.
Secondo Sant'Epifanio, esisteva, inoltre, un'altra setta molto simile, non
cristiana, ma che adorava un unico Dio onnipotente. I seguaci di questa
setta erano chiamati anche eufemiti e furono considerati i precursori dei
messaliani, con i quali vennero spesso confusi.


Eunomio di Cizico (m. ca. 394) ed eunomiani



Pupillo di Aezio di Celesiria, E. ne condivideva lo spirito estremo
dell'arianesimo, detta degli aeziani. Aezio, rispetto alla natura di Cristo,
era infatti convinto che solo il Padre era Dio, e quindi che il Figlio era
dissimile da Dio (anòmoios).
Detta dottrina, supportata da Eunomio e da Ursacio di Singiduno, fu ribadita
nei tre sinodi, tenuti tra il 357 ed il 359 a Sirmio (nella ex Iugoslavia)
ed indetti dall'imperatore Costanzo II (337-361, figlio di Costantino), per
cercare di venire a capo delle dispute teologiche sviluppate all'interno del
movimento ariano, in seguito alla morte della guida carismatica, Eusebio di
Nicomedia (m. ca. 341).


Le altre formulazioni presentate erano:
Homooùsios (identico, nella sostanza, a Dio, cioè consustanziale), secondo
il Credo di Nicea, difeso da Atanasio di Alessandria.
Homoioùsios (simile, nella sostanza, a Dio), propugnato da Basilio di
Ancyra.
Hòmoios (simile a Dio), proposto da Acacio di Cesarea, definizione vaga,
dove si parlava di una generica similitudine tra Padre e Figlio, senza
precisare il rapporto sul piano della sostanza.


All'inizio (357) il partito degli aeziani ebbe la meglio e i vari discepoli
di Aezio occuparono posti di rilievo, tuttavia la reazione dell'opinione
pubblica fu alquanto energica.
Successivamente l'imperatore Costanzo (358) aderì alla dottrina
dell'homoioùsios di Basilio e fece bandire Aezio e i suoi seguaci.
Tuttavia, dopo il III° sinodo di Sirmio del 359, Costanzo cambiò nuovamente
parere, preferendo la versione più "soft" di Acacio (homoios) come ufficiale
e convocò i vescovi occidentali a Rimini e quelli orientali a Selucia per
ratificare la formula acaciana.
Il concilio di Seleucia, nel 359, aggiornato a Costantinopoli nel 360, vide
la strenua opposizione degli aeziani, ma l'esilio di Aezio fu confermato.
Eunomio, che era, nel frattempo, diventato vescovo di Cizico, dovette
dimettersi pochi mesi dopo.
La situazione cambiò nuovamente nel 361 con la morte di Costanzo e l'ascesa
al potere di Giuliano, detto l'Apostata (361-363), il quale proclamò
un'amnistia generale per tutti i cristiani, che permise agli aeziani di
riacquistare una certa forza.
Aezio morì nel 367, ma entro pochi anni la sua corrente radicale sarebbe
scomparso sotto il contrattacco dei niceni, supportati dai due imperatori
Valentino I (364-375) e Teodosio I (379-395).
E. stesso morì in esilio a Dakora nel 394.
Delle sue opere ci è giunta la professione di fede ad Theodosium, che E.
scrisse nel 383. Altre sue opere vengono citati da Basilio di Cesarea e
Gregorio di Nissa.
I suoi seguaci furono chiamati eunomiani.

Eusebio di Nicomedia (ca. 280-341)



Vescovo di Nicomedia, fu il leader del partito ariano nella prima metà del
IV° secolo.
Probabilmente E. incontrò Ario, quando ambedue frequentavano la scuola di
Luciano di Antiochia e da quest'ultimo vennero convinti che il Figlio di Dio
non poteva essere Dio, in quanto Egli era stato creato da Dio Padre,
concetto, poi, ripreso da Ario.
E., in seguito, ascese a posizioni di massimo livello della gerarchia della
Chiesa: il suo ascendente sull'Imperatore Costantino, che aveva legalizzato
il Cristianesimo nel 313, fu elevato e gli permise di rinforzare la
posizione degli ariani, a tal punto che Costantino si decise di convocare il
1° Concilio Ecumenico a Nicea nel 325 per dirimere la questione fra
cattolici ortodossi e ariani.
Il Concilio ebbe inizio il 20 Maggio 325 alla presenza di circa 220 vescovi
(secondo altri autori, 318), in larghissima maggioranza della parte
orientale dell'Impero.
L'intervento di E. non fu tra i più felici: egli lesse un documento, che
riassumeva le posizioni ariane, affermando molto palesemente che Cristo non
era Dio.
Questa terminologia senza compromessi alienò i favori dei moderati, che,
dopo estenuanti discussioni, aderirono al cosiddetto Credo Niceno, che, per
quanto concerne la natura di Cristo, ribadiva il termine homooùsion
(consustanziale, cioè della stessa sostanza del Padre e generato, e non
creato).
L'arianesimo fu condannato e Ario ed E. furono mandati in esilio.
Ma, nonostante la vittoria degli ortodossi al Concilio di Nicea, gli ariani
rimasero in tale maggioranza, che nel 328 Costantino decise di richiamare E.
dall'esilio e di offrirgli il seggio di vescovo di Costantinopoli: il
momento di massima gloria per E. fu quando, nel 337, Costantino in punto di
morte decise di farsi battezzare da lui, suo vescovo ariano.
Inoltre, dalla sua influente posizione, E. si adoperò per contrastare il suo
mortale nemico, Sant'Atanasio, vescovo di Alessandria, riuscendo più volte a
farlo condannare all'esilio.
Nel 340, Papa Giulio I (337-352) convocò un concilio a Roma, al quale
parteciparono 50 vescovi, che riabilitarono Atanasio, considerato
ingiustamente calunniato.
I vescovi ariani rifiutarono di partecipare ed organizzarono per contro un
concilio ad Antiochia nel 341, sotto il coordinamento di E., dove venne
proposto, senza molto successo, una formula di compromesso, che ponesse
l'accento sulla coesistenza eterna di Cristo e del Padre, sorvolando, però,
il punto controverso della consustanzialità ("il Figlio è della stessa
essenza della divinità e della stessa volontà del Padre").
E. morì nello stesso anno (341).


San Eustazio di Antiochia (ca. 270 - ca.360) ed eustaziani



Eustazio, da non confondere con il quasi omonimo Eustazio di Sebaste, nacque
a Side, in Panfilia nel 270, e diventò vescovo di Berea in Siria, da dove si
trasferì ad Antiochia, diventandone il vescovo, nel 323. Scrisse il De
Engastrimytho, un trattato contro l'interpretazione allegorica attribuita
alla Bibbia da Origene.
Fu soprattutto uno dei più fieri difensori del credo ortodosso al concilio
di Nicea del 325: tale fu il suo impegno che il concilio di Antiochia del
331, a maggioranza ariana e presieduto da Eusebio di Nicomedia, lo condannò
per sabellianismo. L'imperatore Costantino ratificò la condanna, esiliando
E. a Traianopoli in Tracia, dove egli morì nel 360 (secondo altri fonti già
nel 336/337).
Eustazio è stato nominato santo sia dalla Chiesa Cattolica, che da quella
Greca Ortodossa.
In seguito al suo esilio, i suoi sostenitori diedero vita ad una comunità
scismatica denominata degli eustaziani, i quali si opposero strenuamente,
nel 360, contro il nuovo vescovo di Antiochia, Melezio, sebbene questi fosse
stato eletto alla carica di vescovo con i voti congiunti di ariani e
ortodossi.


Eustazio di Sebaste (ca. 300 - ca.377)



Eustazio, da non confondere con il più famoso omonimo San Eustazio di
Antiochia, diventò vescovo di Sebaste, nel Ponto, nel 357.
Fu un allievo di Ario e mantenne una incrollabile fede nel homoiousios del
Figlio fino al concilio di Lampsaco (364), dove fu convinto da San Basilio
di allinearsi su posizioni nicene. A nulla valsero, tuttavia, gli sforzi di
Basilio di convincere E. ad abbandonare le posizioni pneumatomache, che
negavano la divinità dello Spirito Santo, propagate da Macedonio di
Costantinopoli, amico di E. stesso.
Fu sempre attratto dal monachesimo, del quale fu attivo promotore e lui
stesso, asceta troppo rigoroso, insegnava il rifiuto del cibo animale, del
vino, del matrimonio e della procreazione.
E. morì ca. nel 377.


Eutiche (ca. 378-454)



Eutiche era diventato nel 440 archimandrita (superiore) di un monastero con
più di trecento monaci a Costantinopoli, succedendo a Dalmazio.
Fu politicamente molto influente a causa del suo ascendente sul ministro
eunuco bizantino, Crisafio, di cui era stato padrino di battesimo.
Nel 448, all'età di settant'anni, egli scese in campo nella disputa
teologica con Nestorio, ed in polemica con quest'ultimo, che affermava la
presenza di due persone distinte (l'una divina e l'altra umana) nel Cristo
incarnato, E. ribadì che, prima dell'incarnazione, c'erano due nature, ma
dopo una sola, quella divina, derivata dall'unione delle due nature stesse
(ek duo physeon).
In questa maniera, E. negò che la natura di Cristo fosse consustanziale alla
nostra, fatto che, quindi, impedirebbe di redimerci attraverso di Lui.
Detta dottrina fu definita monofisismo, ma secondo alcuni autori, E. non ne
fu il vero fondatore, che si deve probabilmente ricercare in San Cirillo di
Alessandria (376-444, Vescovo e Padre della Chiesa). Altri fanno risalire le
prime credenze monofisite ad Apollinare di Laodicea.
E. fu denunciato da Domno, Patriarca di Antiochia e da Eusebio di Dorilea e
condannato come eretico dal Concilio di Costantinopoli, presieduto da San
Flaviano, arcivescovo della città, sempre nel Novembre 448. Fu, inoltre,
deposto dal proprio incarico.
Tuttavia, la causa di E. fu presa a cuore dal Patriarca di Alessandria,
Dioscoro di Alessandria, che era stato interessato alla vicenda dallo stesso
Papa, Leone Magno (440-461), ma il cui scopo era più politico che teologico:
indebolire l'immagine del Patriarcato di Costantinopoli per dare più
prestigio alla sede di Alessandria.
Eutiche e Dioscoro ottennero, dopo un infruttifero sinodo nell'Aprile 449,
la convocazione, da parte dell'Imperatore Teodosio II (408-450), di un
concilio, che si tenne nell'Agosto 449 ad Efeso.
Il Papa Leone Magno non presenziò direttamente, ma inviò due rappresentanti
recanti una lunga missiva indirizzata a Flaviano, nota come Tomus ad
Flavianum, in cui egli ribadì la propria posizione anti-monofisita, ma anche
anti-nestoriano.
Purtroppo, l'andamento dell'intero concilio fu palesemente falsato
dall'atmosfera di terrore e violenza, instaurata da Dioscoro e da suoi
monaci semianalfabeti e fanatici, capeggiati da Barsumas. A farne le spese
fu soprattutto Flaviano, il quale fu deposto ed esiliato, morendone poco
dopo per le percosse ricevute dallo stesso Barsumas durante il concilio, a
testimonianza del clima in cui questo si svolse.
Inoltre, nel concilio, Dioscoro destituì i più importanti teologi antiocheni
(Domno di Antiochia, Eusebio di Dorileo, Iba di Edessa e Teodoreto di Ciro)
con l'accusa di nestorianesimo e l'insegnamento monofisita di Eutiche venne
dichiarato ortodosso.
Papa Leone Magno, acutamente, definì questo sinodo non un "concilium", bensì
un "latrocinium" (brigantaggio), e lo annullò, ma in contrasto con il
pensiero papale, l'imperatore lo ritenne valido.
Tuttavia l'inattesa morte dall'Imperatore Teodosio II (450) e l'esecuzione
capitale del protettore di E., Crisafio, rimisero in gioco gli Ortodossi,
che ottennero dall'Imperatrice (Santa) Pulcheria, essa stessa fervente
cattolica ortodossa, la convocazione di un Concilio a Calcedonia
nell'Ottobre 451.
In seguito a questo concilio il monofisismo venne condannato e furono
esiliati sia Dioscoro, che morì nel 454 in Paflagonia, che Eutiche.
Eutiche morì nel 454.