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PERSONAGGI DI
POSITANO
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L'"ESISTENZIALISMO" A
POSITANO DI RUDY E VALI |
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Negli periodo del dopoguerra, a Positano era visibile chiaramente
l'esistenza di alcuni fenomeni storici e culturali che si avevano in quegli
anni; quali il fenomeno "hippy", l'"esistenzialismo", cui ritorneremo più
avanti. Anni che sono stati fondamentali per la formazione culturale e
turistica del paese, infatti fu un periodo di rinascita per Positano, dopo un
lungo periodo di oblio che risaliva addirittura al sedicesimo secolo, quando
la cittadina era un importante centro commerciale della Costiera Amalfitana.
In proposito, un giornalista di Positano, Luca Vespoli, identificava la
scelta di vita di due ragazzi, provenienti da Parigi: Rudolph Rappold e
Valerie Myers, in:"Gli ultimi Esistenzialisti nell'Eden di Positano", e
così scriveva:
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Gli ultimi Esistenzialisti nell’Eden di Positano |
PREFAZIONE
Per due esseri che vogliono vivere “secondo natura” per ritornare sempre migliori, come dice il grande Russeau, non c’è pace tra il verde dei boschi che circondano Positano.
Questo testo, più che la storia, vuole essere una cronistoria dei dieci anni vissuti da Rudolph e Vali Rappold, nella terra ospitale, ma non tanto per colpa dei Positanesi, ma di tutta una bolsa burocrazia la quale apre gli occhi quando dovrebbe tenerli chiusi e li chiude quando dovrebbe sbarrarli.
Vallì e Rudolph costituiscono ora, per i dieci anni della loro permanenza, un colore dei più belli del folclore positanese.
Il loro esistenzialismo senza esibizionismo ma fatto tutto di spontanea semplicità, li ha resi oltremodo simpatici non solo alla quasi totalità dei Positanesi, ma ai numerosi turisti, molti dei quali si recano a Positano proprio per conoscere questi “Adamo ed Eva” del 1968 trapiantati a Positano e che hanno deciso di non più muoversi ricorrendo a tutti i modesti mezzi di cui sono in possesso, ma soprattutto alla protezione divina e di molte anime buone che hanno preso a cuore il loro caso.
Siamo sicuri che le notizie da noi riferite riusciranno accette a tutti coloro che conoscono i coniugi Rappold ed a tutti quelli che nel movimentato secolo delle conquiste spaziali, le più ardite, desiderano trascorrere dei momenti in perfetta serenità di spirito a colloquio con la natura fonte di pace, di serenità, di tranquillità e di ispirazione poetica.
Positano 1 febbraio 1968
CAPITOLO PRIMO
In ogni idioma, in ogni luogo, attraverso ogni sensazione si ritrova la voce di Dio che scrisse a lettere indelebili sui mari, sui cieli, sulle colline, sulle pianure, sui monti, sulle praterie, la parola universale: amore!
Dalla lunga strada in interminabili ritorni fra mare aperto e rocce bibliche a strapiombo si arriva a Positano – sparsa ed adagiata dal mare alla collina – allargate in zone pittoresche per largo giro intorno: Chiesa Nuova, Pastiniello, Fornillo, Sponda, Riparlati, Arienzo, Marina ecc.
Le montagne rocciose che si ergono in alto verso il cielo insuperabilmente azzurro e terso – come il pensiero divino – sono come un fondale meraviglioso dove al riflesso magico dei raggi solari si alternano luci ed ombre che inducono lo sguardo e pensiero a sogni di tempi trascorsi.
La gente del luogo è simpatica, intelligente, ospitale e generosa.
Accolgono festosi il forestiero che dà loro maniera di vivere ed hanno gesti di profonda comprensione, di solidarietà umana e delicatezza di sentimento che li rende amabili ed interessanti.
Chiunque arriva, e vi sosta anche per poco, è preso dalla visione semplice eppure grandiosa che si rinnova ogni giorno in un prodigio miracoloso, avendo in sé realtà evidenti asconde un senso recondito eppure palese di poesia inesprimibile, che conquide ed incanta.
E chi si allontana da Positano, dalla sua pace suggestiva, si porta nel cuore una dolce nostalgia di ritorno: perché il cuore affannato dell’inquieto e difficile vivere cittadino nella pace estatica che pare si respiri con l’aria pura e salubre, gli occhi affaticati, stanchi dal tanto guardarsi attorno – fra la calca – qui si riposano em ritrovano serenità di luce e di vita.
I pensieri che fioriscono nell’incantato silenzio hanno la voce degli effluvi notturni di zagare, di gigli, di gelsomini, di rose, dello stormire lieve delle foglie, del cielo terso trapunto di stelle, dello sconfinato mare inargentato dai misteriosi riflessi lunari, alato di piccole vele bianche che vanno come i sogni e le speranze di ognuno, vaganti oppure fermi nell’anelito di rinnovazione.
Gli occhi sono incantati in un perenne senso di gaudio, i colori sono tali – sia alla luce solare che lunare – per il prodigio dei riflessi così ricchi e molteplici che quasi danno, a volte, vertigine e stordimento.
La spiaggia è lunga e spaziosa fra roccia e roccia, ma quante piccole incantevoli spiaggette in giro che si raggiungono anche a nuoto, le più vicine, e dove ci si sente lontani da ogni presenza come isolati su una isola incantata!
Questo è il Paese dove cercano ispirazione e rifugio scrittori dai nomi conosciuti, artisti italiani e stranieri, pittori e scultori di ogni tendenza e di ogni scuola.
Questa è la descrizione un po’ semplice, in verità, di Positano dove vogliamo ambientare la storia reale di due personaggi che, al pari degli altri, appena messo piede in questo originale centro, accostato l’incantevole paese ad una celebre massima maomettana:”Perché domandare un miracolo?”.
CAPITOLO SECONDO
Parliamo di Rudy Rappold e Vallì Myers; austriaco lui, australiana lei, entrambi positanesi di adozione fin dal lontano 1958.
A Positano, come in altre zone, questi due personaggi non sono passati inosservati: lei tutta bianca con i lunghi capelli rossi sciolti e cadenti sulle spalle e gli occhi, due grandi e magnifici occhi, letteralmente “imbrattati” di bistro ed altro; lui secco e lungo con il codino alla “cinese” ed i baffi alla Gengis Kan.
In questo modo conciati non potevano non passare inosservati.
E la loro fortuna è stato per l’appunto il loro originale abbigliamento ed il vivere secondo natura.
Vogliamo quindi parlare di questi due simpaticissimi personaggiche hanno, però, acquistato l’onore delle cronache solo per un caso spiacevole accaduto qualche anno fa quando qualcuno ha tentato lo “sfratto” contro i due da Positano, co l’intenzione evidente di chiudere definitivamente il capitolo sull’esistenzialismo apertosi nell’anteguerra.
Ma proseguiamo con ordine.
Dopoguerra francese: gli anni più interessanti dell’esistenzialismo, i più vissuti. Saint Germani des Prés: il filosofo Jean Paul Sartre, Juliette Greco, Yves Montad, prima maniera, erano i signori incontrastati di questo mondo.
Le giornate trascorrevano in lunghe discussioni, le sere i discorsi continuavano nei locali notturni.
In uno di questi, da nome “Tabou”, si esibiva una ballerina, Vallì, approdata a Parigi da Canterbury, Australia, dove era venuta alla luce il 2 agosto 1930, nella timoratissima famiglia del Signor Killiam Myers, possessore di un enorme capitale di pecore e cavalli, e della Signora Vera Bulforr.
Vallì era una ribelle nata: aveva preferito l’eccitante vita dell’esistenzialismo a quella piena di agi ma, secondo lei, spaventosamente monotona della ricca proprietà terriera.
Dopoguerra viennese: il cataclisma mondiale aveva lasciato tracce profonde non solo nella città, ma anche negli abitanti.
La capitale era ancora occupata da truppe straniere. Qui abitava Rudy Rappold dove era nato il 3 aprile 1930 dal Signor Leopold Rappold e dalla Signora Termine Steinbauser.
Rudy era un giovane studente in architettura quando incontrò Vallì ed indubbiamente si sarebbe fatto un nome nella sua professione, ma era insoddisfatto.
Piovvero qui a Positano diversi anni orsono da Parigi. A Parigi si erano conosciuti e sposati.
Personaggi beckettiani da “Finale di partita”.
Di quel che è stato non hanno e non vogliono avere memoria. “Paris? Oh, tout c’est beaucoup loin…”.
Ed anche il resto, per Rudy e Vallì, si perde nel ricordo. Sulle montagne intorno a Positano essi hanno cominciato la loro nuova vita; potrebbero; volendo, cambiare nome: se uno decidesse di chiamarsi Adamo e l’altra Eva, nessuno troverebbe da ridire o da ridere.
Per la vita che fanno, per i principi che hanno, su un eventuale biglietto da visita, i coniugi Rappold potrebbero scrivere:”Adamo ed Eva nell’era dell’atomica”.
A Parigi, quando Rudy e Vallì vi misero piede, imperversava l’esistenzialismo.
Era, come già accennato in precedenza, l’epoca eroica di Saint Germain des Prés: al “Tabou” era ogni sera di scena l’allieva preferita da Sartre, Juliette Greco; in rue Saint Benoit dominava la “pantera” Annabel.
Gli anni in cui Michel Morre, vestito da monaco, salì sul pulpito di Nòtre Dame per predicare il peccato ai fedeli durante la Notte di Natale, e Armoni Fèvre, in costume buonapartista, rispondeva al saluto dei passanti con uno stentoreo “Vive l’Empereur!”, e Jean Pierre Maury recitava poemi fra i tavoli del “Vieux Colombier” scandendo le strofe a colpi di pistola, come un pistolero del Vecchio West, e una notte si sparò su una coscia, diventando, da quel momento, zoppo.
La notte trasformava Saint-Germain-des-Prés in una piccola Gomorra al centro di una Parigi sostanzialmente borghese e benpensante.
In nome di un generico pessimismo, alcuni disadattati sociali, che certo non avevano mai tenuto in mano un volume di Fenomenologia esistenziale, davano la loro impronta a un epoca.
Il “duffecoat” era la loro divisa. Calzoni di tela, maglioni neri e sandali, oltre che per evidenti ragioni economiche, furono adottati per una sorta di consequenzialità ad oltranza.
Quell’abbigliamento, completato da un collare di cane o da una catena d’acciaio, la sporcizia radicale, le unghie masticate, volevano dire protesta contro il costume civile, contro la società basata su principi razionali che, dopo il trauma della guerra, stava per ricostituirsi.
Protesta contro il costume civile anche la musica, una musica selvaggia, scandita a colpi di tamburo, una musica per individui decisi a frantumare i valori spirituali.
In questa bolgia s’immersero a capofitto Vallì Myers e Rudy Rappold.
La guerra era finita da poco ed avevano bisogno di stordirsi, di non pensare.
Divennero “topi di cantina”, presero anch’essi atteggiamenti di crudeltà e di disincanto, azzuffandosi per un filone di pane, affettando egoismo assoluto, imbottendosi di vino rosso e, qualche volta di droghe.
Anche per loro la vita era un salto disperato nel buio.
E poi? “Oh, poi tutto finì….. uno dopo l’altro, i veterani del quartiere se ne andarono: cominciarono a battere strade che conducevano al teatro, al cinema, alla canzone, alla vita borghese.
Juliette Greco e Anne Marie Cazalis si sposarono, Annabel si mise a cantare al “Carrol’s”, un locale lussuosissimo, altre rientrarono in buon ordine ad Auteuil o a Passy, altre ancora, con un foglio di via, in provincia o in campagna, e noi, dopo un po’….. oh, nous somme ici, vous voyez….. “.
Ici, cioè su questa montagna, col cielo di sopra ed il mare di sotto, e fra cielo e mare Positano, dove Rudy e Vallì tentarono di dimenticare ciò che era stato e di ricominciare a vivere.
Il Sindaco di Positano dell’epoca, Marchese Paolo Sersale, udendo questo discorso, disse a se stesso che tutti i gusti in fondo sono gusti.
Aveva ad ogni modo ciò che faceva al loro caso: una casetta disabitata in cima alla montagna, ad un ora e più di cammino da Positano.
Un posto dove i coniugi Rappold avrebbero potuto vivere magari vicino a Dio ma certamente lontani dal mondo.
Solo che la casetta bisognava in qualche modo attrezzarla: mancava la luce, acqua, tutto, c’era anche il caso che dentro ci piovesse.
Rudy e Vallasi guardarono negli occhi e, dal brillio delle loro pupille, fu possibile capire che erano lì lì per toccare il cielo con un dito.
Si alzarono, dissero “merci” al Sindaco, e poi s’incamminarono verso il loro Eden.
Rudy si guardò bene dal trasformarla: si limitò a farvi qualche riparazione per renderla abitabile.
Per vivere acquistarono qualche capo di bestiame, alcune pecore, delle galline.
Vallì, forte dell’esperienza acquisita nello sterminato ranch paterno, si prese cura degli animali.
Cominciò così la loro esistenza primitiva, del vivere, cioè, secondo natura.
CAPITOLO TERZO
Ma, quando tutto sembrava che filasse liscio, ecco che qualcosa di inaudito ed inaspettato si abbatte sulla coppia:”Rudy e Vallì – come riportano i vistosi titoli dei giornali – che si definiscono “gli ultimi esistenzialisti della Terra” dovranno lasciare Positano perché giudicati indesiderabili”.
Il fatto, accaduto nel marzo del 1966, lo raccontiamo attraverso le testimonianze dei vari giornali che hanno scritto sull’argomento: Il Mattino del 2 marzo 1966:”…Oltre a cani, gatti ed uccelli, i “due ultimi esistenzialisti” avevano portato sulla capanna in cima al monte, anche pecore, capre, conigli, galline, nonché un asino ed un corvo.
Questo piccolo giardino zoologico di animali più o meno domestici aveva creato, a quanto sembra, non pochi danni alle colture della zona.
L’asino e le capre, girovagavano sulle balze del monte che si affaccia su Positano, avevano mangiato diverse piante poste a dimora nel quadro del rimboschimento della zona.
Gli uomini della “Forestale” erano intervenuti ripetutamente e poco tempo fa avevano anche redatto nei confronti della coppia un verbale di contravvenzione.
Sembra che sia stato proprio ciò a far promuovere l’azione per il provvedimento che è stato adottato dalla Questura di Salerno.
I Rappold dovranno lasciare Positano entro la fine del mese di marzo, a meno che non intervenga un provvedimento di sospensione.
Molte persone che vedono nella coppia di “esistenzialisti” un richiamo turistico per Positano, si sono offerti di aiutarli per permettere loro di rimanere nella capanna in cima al monte, dalla quale si può ammirare “il panorama più bello del mondo”.
Oltre a “Il Mattino” anche altri giornali e riviste hanno scritto sui coniugi Rappold più o meno le stesse cose. Citiamo ad esempio il Corriere di Napoli del 2 marzo 1966; il Messaggero del 2 marzo 1966; il Tempo del 2 marzo 1966; il Roma del 2 marzo 1966; il Roma del 3 marzo 1966; il Giornale d’Italia del 4 marzo 1966; il Corriere della Sera del 3 marzo 1966; il Paese Sera del 4 marzo 1966; l’Unità del 4 marzo 1966; il Tempo del 5 marzo 1966; lo Specchio n. 11 del 13 marzo 1966; ABC n. 13 del 27 marzo 1966; Grand’Hotel n. 1031 del 26 marzo 1966; Novella 2000 n. 13 del 27 marzo 1966; Tribuna Illustrata n. 120 del 20 marzo 1966 ecc.
Nello stesso periodo (25 – 30 marzo 1966) si ebbe poi l’attesa notizia che i coniugi Rappold non avrebbero lasciato, almeno per il momento Positano.
Il provvedimento era stato preso dalle Autorità di polizia avendo molte persone scritto al Questore di Salerno, al Sindaco della cittadina ed al Presidente dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo facendo presente che la coppia di esistenzialisti rappresentavano un sicuro richiamo turistico per la località.
Vi furono, in quel periodo, dei giornali che fecero addirittura un censimento “pro esistenzialisti di Positano” come ad esempio la Tribuna Illustrata del 20 marzo 1966 tendende a dimostrare come la gente di Positano è sempre stata pronta ad assicurare che i due sono simpatici o (i più cinici) che “fanno gioco”.
Riportiamo, in proposito, qualcuna delle interviste fatte proprio dalla “Tribuna” a persone di Positano: Alfonso Cinque, sarto:”La terra che occupano, prima la prendeva in affitto mio padre per far pascolare il bestiame. Ma ora non c’è più bestiame a Positano. Allora, perché non lasciano a Rudy e Vallì quel pezzo di terra? Ci hanno fatto la loro casa, e la casa è importante; si, è importante”.
Vito Attanasio, Presidente degli Albergatori di Positano:”Io ero Assessore, quando il Sindaco era Paolo Sersale. Avevamo concesso loro una baracca a seimila lire l’anno. Ora, sembra che l’asina che sta con loro abbia rosicchiato la corteccia di alcuni alberi. E che si butta fuori di casa la gente solo perché la loro asina rosicchia gli alberi?”
Maria Pisacane, gestrice di ristorante:”Ma sono dieci anni che questi Rudy e Vallì stanno a Positano; se ne accorgono solo adesso? E poi, potrebbero dirgli: pilitevi di più se volete circolare per il paese; ma non dovrebbero dirgli altro. Dovremmo, piuttosto, fare un po’ l’esame di coscienza noialtri”.
Maria Fusaro, casalinga:”Il cibo per le bestie glielo danno i loro amici stranieri. Non hanno mai chiesto l’elemosina. Si: lui è architetto; perché non fa l’architetto? Però: sono fatti nostri o loro? E poi lei è una brava ballerina, fa piacere vederla ballare. Però, sono d’accordo: dovrebbero lavarsi di più e vestire meglio”.
Luigi Barba, chef: “Guardi, per conto mio quelli non hanno mai fatto male a nessuno; per me, sono cittadini qualunque di Positano. Non sono assassini, hanno sempre pagato il caffè ed il vino che hanno consumato. Una sera Rudy e Vallì hanno mangiato nel mio ristorante e mi hanno lasciato perfino una mancia di 700 lire!”
Alfonso Attanasio, albergatore: “Sono le due persone più gentili di Positano. Lei è una ballerina bravissima. Io lo so perché dirigevo un locale dove loro venivano spesso. Mai che abbiano provocato baruffe. Semmai anche personalità importanti venivano per vedere loro. Poi volevano salire a vedere la loro casetta e le loro bestie”.
Da questo momento nasce il fenomeno “Rudy e Vallì”.
Un fenomeno pubblicitario fomentato anche da tante dicerie, come ad esempio quello che voleva Vallì dipingere solo cadaveri, bare e croci mentre in realtà Vallì ha una grande venerazione per la Madonna e ne dipinge e scolpisce sul legno in numero abbastanza rilevante; oppure l’altra in cui si diceva che Vallì indossasse degli abiti racimolati negli scavi di Pompei!
Ma nemmeno le malelingue ed il male precedentemente ricevuto dagli uomini della società moderna era riuscito ad intaccare l’amore dei coniugi Rappold verso gli uomini, gli animali, la natura.
Così di proroga in proroga il provvedimento di espulsione non fu mai preso.
CAPITOLO QUARTO
Era trascorso solo un anno dal citato provvedimento, rientrato fortunatamente in extremis, ed ecco che ancora una minaccia di sfratto colpisce i coniugi Rappold.
Siamo nell’aprile del 1967.
Questa volta è il commissario agli usi civili di Napoli, Dott. Angelo Peluso, che indirizza una lettera al Sindaco di Positano e per conoscenza alla Prefettura di Salerno, con la quale chiede l’adozione dei provvedimenti del caso nei confronti dei Rappold.
Scrive, tra l’altro, il Dott. Peluso:”Risulta a questo Commissariato che da circa otto anni nel demanio Porto, assegnato con decreto commissariale in data 28 luglio 1938 alla categoria A dell’art. 11 della legge 16-6-1927 n. 1766 e come tale soggetto agli usi civili essenziali del pascolo e del legnatico, e precisamente in una vecchia fornace abbandonata, si è installato, insieme con la moglie, certo Rudolph Rappold, di 37 anni, di Vienna, il quale, malgrado le ripetute diffide non ha fino ad oggi lasciato la località arbitrariamente occupata.
Allo scopo di sanare tale irregolare situazione, codesto Comune dovrà procedere direttamente nei confronti dei Rappold in via amministrativa, oppure avvalersi dei mezzi ordinari di difesa della proprietà e del possesso, regolati dal vigente codice, promuovendo regolare giudizio”.
Ancora una volta e fortunatamente la coppia riesce a salvarsi da questo secondo grattacapo dimostrando il puntuale pagamento annuo del canone di fitto della zona da loro occupata come da contratto stipulato a suo tempo.
CAPITOLO QUINTO
Ed in verità bisogna dire che ancora una volta la stampa italiana interviene a favore di questi “due santoni dell’esistenzialismo” salvando questi ormai famosi personaggi grazie, è il caso di dirlo, ai torti ricevuti.
E’ malgrado tanto astio ricevuto, sia Rudy che Vallì non sono rimasti inoperosi per tutto il tempo delle loro grane, bensì hanno continuato la loro vita secondo natura e soprattutto badando ai propri fattori commerciali come la vendita, ad un editore tedesco, dei diritti su un libro riguardante la loro vita e girando, altresì, un film documentario intitolato “Vallì” che vinse il primo premio al XV festival del film svoltosi a Mannheim in Germania dal 10 al 15 ottobre 1966 e prodotta da Sheldon Rechelin su scritti di Diana Rechelin e Rudy Rappold.
La giuria del festival, nel consegnare il premio, diede la seguente motivazione:”la pellicola “Vallì” mostra in modo delicato, impressionistico, due individui in una vita libera, come la sognano in molti ma che è difficile da realizzare nalla società di oggi”.
Infatti la trama del documentario tratta del viaggio di una ragazza neozelandese che viene a Positano appositamente per conoscere Vallì e farsi consegnare da lei il talismano della felicità.
In attesa la Neozelandese abita in una caverna vicino la capanna di Vallì seguendo da mattina a sera i dialoghi della “strega” con la natura ed i suoi famosi balli propiziatori.
Vallì, dopo questa pellicola, avrebbe dovuto prendere parte anche ad un secondo film, ma le amare vicissitudini provate con questo secondo provvedimento hanno fatto abbandonare l’idea che pur le avrebbe reso indubbiamente un guadagno non indifferente.
CAPITOLO SESTO
Ed a proposito del secondo provvedimento di “sfratto” dobbiamo dire che vi fu, in quel periodo addirittura una interpellanza alla Camera dei Deputati e precisamente al Ministro dell’Interno Onorevole Paolo Emilio Tavianied al Ministro del Turismo e dello Spettacolo Onorevole Achille Corona da parte del Senatore Chiariello del Partito Liberale Italiano tendente a “conoscere quali sono i gravi motivi per cui da qualche tempo i coniugi Valery e Rudolph, noti come gli esistenzialisti di Positano, sono minacciati da parte delle autorità locali di sfratto da una povera capanna disabitata, pressocchè diruta e di accesso difficilissimo, in una gola di montagna e dove i due si sono rifugiati per condurre una vita eccentrica si, ma pacifica ed inoffensiva, e senza sollecitare aiuti da nessuno.
L’interrogante fa notare che è perlomeno strano che lo Stato italiano consideri “indesiderabili” due brave persone che per la semplicità del loro vivere tanta simpatia stanno suscitando, oltre che nella popolazione locale, anche nel mondo intero e che tanto interesse stanno calamitando sulle genuine bellezze della Costiera Amalfitana”.
Dobbiamo dire, in proposito ed a seguito della suaccennata interrogazione parlamentare, della dichiarazione fatta alla stampa dal Dott. Antonio Pinto, Presidente dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Positano, in cui tra l’altro dice: Questa Azienda fin dal primo sorgere della vicenda degli esistenzialisti di Positano espresse pubblicamente la propria solidarietà agli stessi ed il parere che dovesse essere revocata l’ordinanza con la quale la Questura di Salerno disponeva il rientro all’estero della coppia.
In dichiarazioni rilasciate in precedenza, così come ora, sono sempre stato del parere che ai due esistenzialisti dovesse essere garantita la permanenza a Positano sia in considerazione della carica di simpatia che essi suscitano sia per l’evidente motivo di folclore legato al nome ed al modo di condurre l’esistenza.
Tale posizione assunta dall’Azienda, sono convinto, provocò allora e speriamo anche ora, se non il ritiro dell’ordinanza, almeno la concessione di una proroga di soggiorno tutt’ora valida.
Tengo ancora una volta a precisare che l’Azienda da me presieduta si augura che venga definito al più presto anche questa ulteriore ben nota questione e che i due esistenzialisti, rispettosi delle leggi dello Stato in cui sono ospitati, possono continuare a soggiornare a Positano”.
E sempre in merito a questo secondo caso ed alla interpellanza dell’Onorevole Chiariello che in un articolo per “Il Mattino” del 18 maggio 1967 fu da me intervistato il Sindaco di Positano Comm. Andrea Milano.
L’articolo, dal titolo:”Non c’è pace a Positano per gli ultimi esistenzialisti” diceva testualmente:”Non ancora si è spento l’eco del rinnovato odio contro Rudy e Vallì Rappold, gli ultimi esistenzialisti che dal dicembre del 1958 abitano a Positano e che tanto scalpore suscitarono lo scorso anno per il provvedimento di espulsione contro di loro.
Ed appunto per calmare in via definitiva le acque, che abbiamo voluto sentire il parere del Sindaco di Positano Comm. Andrea Milano.
“L’Amministrazione Municipale – ha dichiarato il Comm. Milano – considera questa nuova decisione, cui è estranea, un giusto provvedimento perché sana una situazione incresciosa.
Infatti i Signori Rappold, un po’ per un comprensivo sentimento di zoofilia, un poco per procurarsi il cibo, cioè carne, uova e latte, hanno fatto nascere nella zona dove risiedono una vera Arca di Noè con un cavallo, due asini, pecore, capre, polli, oche, tacchini, un maiale e persino due corvi ed una volpe. Ed inoltre una quarantina fra cani e gatti.
Che in una fattoria vi sia del bestiame è ben naturale, ma esso deve essere provvisto di stalle, pollai, canili, porcili e di cibo.
Invece i due esistenzialisti lasciano tutti questi animali in assoluta libertà determinando, in tal modo, una grave quanto incresciosa situazione”.
D.: Perché Signor Sindaco, questi personaggi che possiamo considerare “benemeriti” per aver accolto nel loro rifugio tutti gli animali sperduti di Positano, vuole “scacciarli” dalla località?
R.: “Ho già detto in una mia precedente precisazione e ripeto ora che non sono le autorità locali che minacciano l’allontanamento dei due esistenzialisti di Positano, bensì gli organi regionali che hanno voluto tramite il Comune di Positano chiedere o la sistemazione del contratto di fitto o l’allontanamento ai coniugi Rappold. Il nostro Comune non ha alcun motivo di lamentela contro i due: vorrebbe vederli girare per Positano, pur nella loro qualifica di esistenzialisti, in una maniera più consona al costume del paese. Per il resto, come per tutti gli altri turisti di Positano, si è sempre lasciato ampia libertà anche ai tipi più originali i quali hanno sempre costituito un motivo di curiosità e niente altro più”.
D.: Ed allora come la mettiamo con l’interrogazione presentata al Ministro del Turismo e dello Spettacolo da parte del Senatore Chiariello del P.L.I.?
R.:”Non voglio entrare nel merito”.
D.: I due esistenzialisti hanno chiesto la cittadinanza italiana, Lei è d’accordo?
R.:”Per me va benissimo; potrebbero essere due voti in più nella prossima campagna elettorale…..”.
CAPITOLO SETTIMO
E si, infatti, i due esistenzialisti di Positano, stanchi ormai delle continue persecuzioni e stanchi soprattutto per essere considerati degli “intrusi” in un paese in cui vivono da dieci anni, hanno presentato al Ministero dell’Interno istanza tendente ad ottenere la cittadinanza italiana.
Interpellati in proposito hanno dichiarato:”Siamo decisi a rimanere in Italia. Noi lotteremo fino allo stremo delle nostre forze per ottenere ciò che chiediamo, anche perché crediamo sia stupido il fatto di essere considerati degli stranieri in un luogo dove dovremo rimanere magari per…cento anni!”
Indubbiamente la nostra epoca non è adatta agli eremiti: è quanto, credo, hanno pensato anche Rudy e Vallì, eremiti “comunali” di Positano.
Eppure siamo convinti che questi giovani, romantici esistenzialisti di Positano, malgrado non abbiano, in dieci anni di permanenza in questo rinomato centro turistico del Salernitano, mai dato fastidio ad alcuno; malgrado il loro amore per la natura, per gli uomini e per gli animali (i venti cani circa; gli asini Finguala e Fany; il cavallo Assan; la volpe Foxy, il maiale Ramona ecc.) sembri essere qualcosa di smisuratamente grande, fatto di piccole cose nell’ambito proprio della natura, nascondono una verità ben più grave: la mancanza di un figlio tanto desiderato dalla coppia. “Vali ne vorrebbe almeno dieci – afferma Rudy – ma questa volta la natura non si è dimostrata amica con noi”.
E’ trascorso così un altro anno e questi simpatici esistenzialisti sono riusciti, finalmente, nell’intento di rimanere vita natural durante a Positano sulla montagna fra cielo e mare a dimenticare le passate amarezze.
CAPITOLO OTTAVO
Ma che cos’è poi la loro, se non paura?
Paura di ciò che è stato, e soprattutto di ciò che potrebbe essere.
Le trombe del Giudizio, essi cedettero di udirle lo stesso giorno in cui la terra vibrò, in un angolo del Giappone, per lo scoppio di una bomba poco più grande di un arancia.
Era, si disse, l’inizio di una nuova epoca: l’energia sprigionata da quell’ordigno aveva fatto piazza pulita di un intera città, ma, volendo, la medesima quantità di energia avrebbe potuto far viaggiare per un anno intero, senza soste, un transatlantico intorno al mondo.
Il Male e il Bene a braccetto, dunque: entrambi a disposizione dell’Uomo, al servizio della sua buona o cattiva volontà.
Valerie Myers e Rudolph Rappold dovettero chiedersi se si potesse e se si dovesse avere fiducia nell’Uomo. Eccoli qui belli e presentati questi due personaggi: lui in piedi su una gamba, come una gru, lei al suo fianco, bianca, eterea come una ninfa dei boschi.
Intorno a loro capre, gatti, galline, oche, porci, cani, asini, cavalli.
Felici? Felici – malgrado tutto – dicono. “Felici senza gas, felici senza luce elettrica, senza TV e automobili, senz’acqua corrente e whisky, senza libri da leggere e sigarette da fumare.
Felici, disintossicati. Felici in mezzo a questi cani e gatti e galline e oche e maiale e capre.
Le capre ci danno il latte, le galline le uova e gli altri ci fanno compagnia. Noi non uccidiamo”.
Vegetariani. “La terra ci nutre e ci disseta, il sole ci riscalda. C’è bisogno d’altro? Ah, Diogene…..”.
Come Diogene, Rudy e Vallì si accontentano dell’essenziale.
Il resto – dipingere o scolpire – è hobby, non è essenziale. L’hobby è essenziale per chi ha perduto di vista l’essenziale. Un gioco di parole in fondo al quale si può forse trovare una verità: quella essenziale, dell’uomo.
Come Diogene, Rudy e Vallì, cercarono di capire l’uomo.
E qual è l’uomo? E’ quello messo in scatola, o quello in libertà? Difficile rispondere. “Oh, c’est difficile. Occorre fare una lunga esperienza, prima di dire questo è male, questo è bene”.
Bene e male, male è bene. La coppia Rappold sta cercando di capire quale sia Dio e quale il Diavolo.
Lo fa studiando l’uomo. Dio è amore e carità, e allora essi possono dire di aver incontrato Dio nella gente che sorride loro per le strade, benevolmente, nel sindaco di Positano dell’epoca che ha dato loro un rifugio e in tutti quelli che, come pastori di Betlemme, hanno portato su capre, gatti e galline.
Dio è anche il sole che li riscalda, la terra che li sfama e li disseta. Questo è Dio.
E il diavolo? “Oh, le Diable, ouì. Il Diavolo è il ricordo di Parigi, Jean Pierre Maury che sparava, e il vino, le droghe.
E’ la tentazione che certe volte ci prende di scendere al piano. Questo e altro.
Il Diavolo può essere anche un distinto signore che si arrampica fin quassù per proporci di andare alla “fiera dei sogni” a Milano, e ci promette milioni in cambio di un apparizione sul video.
Può essere anche questo il Diavolo, le pare? E molti gli vendono l’anima…..”.
Rudolph Rappold mette giù l’altro piede, allunga una mano a carezzare l’asino, ad un passo da lui e sorride.
Circondato da tutti i suoi animali, sembra padre Noè in procinto di imbarcarsi sull’Arca.
E’ un immagine che lo fa scoppiare in una gran risata. “Oh Noè, oh Noè!”
Ride anche la moglie:”c’est possibile” dice, “è possibile”. Gli uomini non si vogliono bene. Tutto può succedere, tutto. “Le delange, ouì,
il diluvio…..”. E il suo sorriso si spegne! Positano 1 febbraio 1968 - Luca
Vespoli
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NOTE ESISTENZIALISMO: |
Esistenzialismo:
Movimento culturale nato in Francia nell'immediato dopoguerra, esso prendeva nome
dalla corrente filosofica che negli anni trenta del Novecento, muovendo dal
pensiero del danese Soren Kierkegaard (1813-1855), si era contrapposta in Germania (soprattutto con M. Heidegger, 1889-1976) e in Francia (J.-P. Sartre, 1905-1980) all'oggettivismo hegeliano, negando ogni possibilità di conoscenza dell'essere e riducendo l'uomo alla sua
pura esistenza. Ma l'esistenzialismo francese postbellico, che oltre a Sartre contò sull'apporto di S. de Beauvoir e M. Merleau-Ponty, si presentò soprattutto come "filosofia della crisi", proponendo di far fronte con l'impegno (engagement) alla crisi di valori dovuta alle distruzioni della guerra. In primo luogo, ciò comportò per vari intellettuali una scelta politica a fianco del Partito comunista; in secondo luogo esso si espresse anche con manifestazioni artistiche, in particolare in campo letterario e teatrale (dove si distinse, oltre agli stessi Sartre e Beauvoir, Albert Camus) e cinematografico (R. Bresson). Soprattutto influenzò un'intera generazione tramite le canzoni degli autori-cantanti come L. Ferré e G. Brassens, o l'attività di poeti come P. Eluard o J. Prévert, che composero testi per chansonniers destinati alla celebrità come J. Gréco, Y. Montand, G. Bécaud, C. Trenet ecc. In questo senso esso anticipò il fenomeno del coinvolgimento giovanile di massa tramite la musica caratteristico, a partire dagli Usa negli anni cinquanta, della cultura del rock'n roll.
Le manifestazioni esteriori dell'esistenzialismo, dai maglioni e giubbotti
neri che dettero nome ai giovani che li indossavano di blousons noirs, ai
capelli tagliati alla maschietta delle ragazze, dall'abuso di alcol alla
passione per il jazz coltivata nelle "caves" parigine, divennero una vera e propria
corrente culturale che fu spazzata via sia dall'affermazione artistico-professionale dei suoi migliori esponenti, sia soprattutto dall'uscita della Francia dal tunnel di ristrettezze della
seconda guerra mondiale.
...L'Esistenzialismo vuole che l'uomo si svegli dalla sua banalità
quotidiana...
Che cos’è l’esistenzialismo: L’esistenzialismo, è la risultante di una serie di filosofie che emerge negli anni 30 e raggiunge le sue elaborazioni più radicali negli anni 50, ha le radici nella problematica husserliana. Ciò che accomuna tali filosofie è l’idea che esistere significa poter scegliere liberamente il proprio modo di essere. La ricerca del senso dell’esistenza comporta il rifiuto di ogni verità che non nasca dalla ricerca e dal tormento individuali. Una tale verità sarebbe la negazione dell’esistenza come possibilità di scelta, sarebbe dogmatismo . "Il termine greco filosofo - scrive Jaspers - è stato forgiato in opposizione al termine sophòs. Esso sta a significare colui che ama la conoscenza. (...) L’essenza della filosofia sta infatti non nel possesso della verità, ma nella sua
continua ricerca. Il suo maggior pericolo è quello di capovolgersi in dogmatismo, cioè in un sapere costituito da affermazioni compiute, definitive, esaustive semplicemente da tramandarsi. Filosofia significa in verità: essere in cammino".
Perché questo "esser in cammino" non sia vano, è necessario partire dall’esame dello "stato in cui ci troviamo". Qual è la relazione fra l’esistenza, il tempo e l’essere? Come deve essere pensato questo rapporto affinchè le domande che determinano l’esistenza di ognuno abbiano una risposta? Quali sono i ruoli della scienza e della metafisica in questa ricerca? Perché c’è l’uomo piuttosto che il nulla?
In questo esame il primo dato che affiora è la coscienza dell’impossibilità di superare la morte, il destino, la colpa, le condizioni ineliminabili di ogni esistenza. La filosofia attraverso la riflessione sull’esistenza mostra all’uomo la sua essenza più profonda: la libertà, "ogni autentico filosofare è un oltrepassamento del mondo, un analogo della liberazione" (Jaspers). La riaffermazione del carattere assolutamente libero di ogni esistenza nasce dalla coscienza che ognuno crea da se stesso il proprio destino, che nessuno può essere in qualche modo predestinato e predeterminato; da questa libertà assoluta nasce la scelta, condizione esistenziale alla quale nessuno può sottrarsi e che è fonte della responsabilità dell’uomo.
In questo quadro diventa chiaro che ogni tentativo di definire l’esistenzialismo univocamente comporta una riduzione e una semplificazione dei temi e dei concetti che lo caratterizzano: dal momento che la ricerca della libertà implica impegno e tensione morale, l’esistenzialismo copre un arco vastissimo di posizioni teoretiche, dall’agnosticismo di Heidegger, all’ateismo di Sartre, alla religiosità di Barth e di Jaspers. Ognuna di queste filosofie trova nella diversità dell’esperienza individuale la sua giustificazione.
Martin Heidegger (1889-1976)
Opere principali
Il problema della realtà nella filosofia moderna (1912), Nuove ricerche di logica (1912), La teoria del giudizio nello psicologismo (1913), Le categorie e la dottrina del significato in Duns Scoto (1915), Essere e tempo (prima parte) (1927), Kant e il problema della metafisica (1929), Che cos’è la metafisica (1929), L’essenza del fondamento (1929), Holderlin e l’essenza della poesia (1936), La dottrina platonica della verità (1950), Lettera sull’umanismo (1950), Sentieri interrotti (1950), Introduzione alla metafisica (1953), Il principio del fondamento (1950), Identità e differenza (1957), In cammino verso il linguaggio (1959), La tecnica e la svolta (1950), Tempo ed essere (1968).
Heidegger: esistenzialismo e ontologia
Nell’iniziare l’esame del pensiero di Heidegger è necessario ribadire il concetto di esistenzialismo come cultura e non come corrente filosofica. Egli infatti intervenendo nel dibattito sull’esistenzialismo ha escluso ogni interpretazione in tal senso del proprio pensiero: "debbo ripetere che le mie tendenze filosofiche (...) non possono essere classificate come Existenzphilosophie. La questione che mi preoccupa non è quella dell’uomo, ma quella dell’essere nel suo insieme e in quanto tale".
Essere e tempo:
Essere e tempo è l’opera chiave per entrare nella problematica heideggeriana.
Comincia con la ricerca del senso dell’essere attraverso l’esistenza dell’uomo per concludersi nella rivelazione dell’essere in sé, un essere che non è il Dio delle religioni e nemmeno il principio primo delle dottrine metafisiche, ma un qualcosa che è insieme indefinibile e presente. Nel tentarne una definizione Heidegger ricorre a una tautologia la cui comprensione richiede più l’intuizione poetica che il ragionamento: "Che è dunque l’essere? E’ se stesso. Proprio questo il pensiero futuro deve imparare a esperire e a dire. L’essere non è Dio e non è fondamento del mondo. L’essere è altro da ogni essente ed è tuttavia più vicino all’uomo di ogni essente, sia questo una roccia, un animale o un’opera d’arte, una macchina, sia un angelo o Dio. L’essere è ciò che è più vicino e tuttavia questa vicinanza resta per l’uomo lontanissima".
L’essere
Nell’esame di Essere e tempo è opportuno fare una prima considerazione
sul metodo di analisi di Heidegger, un’interpretazione originale di quello fenomenologico: secondo Husserl esso comporta i1 "ritorno alle cose stesse" per intuirne
una essenza, secondo Heidegger esso non deve condurci all’intuizione d’essenza, ma alla comprensione del senso dell’essere.
La domanda "che cosa è l’essere" non ha risposta se si prescinde da colui che si pone la domanda, dall’individuo, che è sempre un essere determinato, un esserci (Da-sein). Elaborare il problema dell’essere significa quindi chiarire alla coscienza cosa è "esistere": "render trasparente un ente, il cercante, nel suo essere".
Dal momento che l’esistenza non è pensabile al di fuori dei modi in cui si realizza, essa può venire considerata solo come essere-nel-mondo Heidegger, con l’uso del trattino, vuole mettere in evidenza il carattere complesso e problematico dell’esistenza.
Il mondo
Per proseguire nell’analisi bisogna allora chiarire il termine "mondo", cioè definirne la "struttura ontologica". Per arrivare a tale definizione Heidegger passa in rassegna i diversi significati del termine "mondo" e conclude che quello più appropriato è "ciò in cui un esserci effettivo vive come tale", cioè l’insieme degli oggetti coi quali l’uomo entra in contatto e che utilizza nel costruire la propria esistenza. Il mondo infatti non ha alcun senso al di fuori della sua utilizzabilità; non aver compreso questo nesso fondamentale fra esserci e mondo costituisce il limite delle metafisiche tradizionali. Des Cartes (Cartesio) è il capofila di questi filosofi che non hanno compreso il vero problema: riducendo il mondo a res extensa e l’uomo a res cogitans si è precluso ogni possibilità di comprendere l’essere, l’esistenza è solo ricerca dell’essere.
L’esserci
Per comprendere la problematicità dell’esistenza è necessario anche rispondere alla domanda: che cosa è l’esserci.
Se il mondo è l’insieme degli oggetti utilizzabili, l’esserci, l’uomo, è colui che utilizza gli oggetti; attraverso tale utilizzazione progetta e costruisce una relazione fra sé e il mondo, determinando la sua esistenza. Ne
consegue una prima risposta alla domanda: l’esserci si presenta come in-essere,
significato che non esprime "essere in", ma al contrario significa exsistere, farsi altro da ciò che si è mediante un progetto. Le cose, che non hanno la capacità di progettarsi, sono dentro, sono nel mondo; l’uomo invece, proprio per questa sua capacità progettuale si pone in una prospettiva esterna, ex-siste al mondo. Caratteristica dell’esserci è quindi la capacità di progettarsi; programmarsi, nell’ottica heideggeriana, significa proiettarsi verso ciò che "non è ancora", verso il futuro.
Da tutto questo deriva una seconda risposta alla domanda: progetto e utilizzabilità degli oggetti, cioè il loro essere strumento della vita quotidiana sono gli elementi essenziali dell’esistenza. Essi determinano la cura, la preoccupazione che permette all’uomo di capire come il proprio essere-nel-mondo stia nel disperdersi nelle cose, in una serie infinita di progetti da cui nasce la dimensione temporale, nella quale il presente è sempre condizionato dal passato e contemporaneamente si proietta nel futuro.
Gli altri, l’essere-con-altri
L’analisi dell’esistenza come essere-nel-mondo porta a questo punto alla scoperta di due "strutture dell’esserci che sono cooriginarie": il conessere e il con-esserci. Se la natura del mondo è determinata dalla utilizzabilità degli oggetti che lo compongono, anche ciò che nasce da un progetto, essendo a sua volta oggetto del mondo, è utilizzabile. Da ciò deriva che l’esistenza dell’esserci, che si determina come progetto, comporta necessariamente l’incontro con altri esserci ai quali è destinata l’opera utilizzabile. L’esserci quindi richiede il con-essere con gli altri. In questo modo Heidegger evidenzia la natura sociale dell’uomo.
L’angoscia
La comprensione del significato fondamentale dell’esistenza permette anche la scoperta dei suoi caratteri originali: la situazione emotiva e la comprensione.
Ogni situazione esistenziale presuppone uno stato d'animo in base al quale ognuno prende atto del mondo senza interrogarsi sul senso profondo della propria esistenza, senza interrogarsi sul "donde" e sul "verso dove", cioè su quanto dà senso all’esistenza dell’individuo. La mancanza di problematicità porta l’esserci a considerare il mondo come dato, ma proprio per questo l’esserci si rivela come esser-gettato-nel-mondo, dove "l’espressione esser-gettato sta a significare l’effettività, il "che c’è e che ha da essere"". Questa incapacità di ritrovare motivazioni profonde mette l’uomo in condizione di sentirsi impotente di fronte al mondo, anzi di sentire il mondo di fronte a lui. Da ciò nasce l’angoscia, la paura di fronte all’indeterminato. Con questo sentimento fondamentale l’uomo cerca di spiegare il proprio essere. La comprensione è un elemento insito nel progetto che nasce dalla possibilità e dalla utilizzabilità del mondo.
[Il "davanti a che" dell’angoscia è l’essere nel mondo come tale. Come distinguere fenomenicamente ciò davanti a cui l’angoscia è angoscia da ciò davanti a cui la paura è paura? il "davanti a che" dell’angoscia non è alcun ente intramondano (...). Il davanti a che dell’angoscia è completamente indeterminato (...). Il mondo assume il carattere della più completa insignificatività.] (Essere e tempo, 40).
Il linguaggio
Dal momento che il linguaggio è lo strumento essenziale della comprensione, il discorso diventa elemento essenziale di questo carattere dell’esistenza.
Se l’analisi del discorso ci conduce alla scoperta del senso dell’essere, diventa
fondamentale definire cosa significhi discorso vero. Attraverso l’analisi del linguaggio Heidegger scopre che la verità non è un possibile carattere del giudizio, essa è ciò che rende possibile la formulazione stessa del giudizio e quindi la comprensione dell’esistenza: "che un’asserzione sia vera significa: essa scopre l’ente in se stesso: enuncia, manifesta, lascia vedere l’ente nel suo esser-scoperto".
Esistenza inautentica
Esaminati i momenti che rendono complessa e problematica l’esistenza nel suo senso profondo, Heidegger può concludere che l’esserci ha di fronte a sé due possibilità, due scelte fondamentali: rimanere legato alla quotidianità e disperdersi nelle cose o elevarsi a una visione problematica del rapporto necessario fra sé e l’essere.
La prima scelta, l’esistenza non autentica, determina, con la dispersione che la caratterizza, l’anonimato, la perdita dell’individualità, la rinuncia a se stessi in nome di un comodo ma vuoto adeguarsi a ciò che
tutti fanno, dicono e pensano espresso dall’impersonale "Si"; é lo stato in cui "ognuno è gli altri e nessuno è se stesso". In fondo a questo modo di vivere l’uomo può trovare solo la paura di fronte a un mondo che non può dominare proprio perché è già dato e tale paura lo conduce alla noia che il disperdersi nelle cose genera. La vita inautentica, nella sua superficialità diventa"tranquillizzante";ma proprio questatranquillità vieta all’uomo la conquista del senso dell’essere, perché lo induce a un’attività sfrenata che gli impedisce di rientrare in sé, di riflettere sul valore dell’esistenza.
[Chiacchiera, curiosità ed equivoco caratterizzano il modo in cui l’Esserci è quotidianamente nel suo "Ci", cioè l’apertura dell’essere nel mondo. Questi caratteri, in quanto esistenziali, non sono determinazioni semplicemente presenti nell’Esserci, ma ne costituiscono l’essere. In essi e nella loro connessione ontologica si rivela quel modo fondamentale dell’essere della quotidianità che noi chiamiamo la deiezione dell’Esserci.] (Essere e tempo, 38).
Esistenza autentica
Il rientrare in sé, il riflettere sull’esistenza è un traguardo che si raggiunge solo con l’altra scelta, radicalmente diversa, quella dell’esistenza autentica, caratterizzata dalla coscienza del carattere assolutamente individuale dell’esistenza. La situazione emotiva che accompagna questa scelta è l’angoscia.
Se la paura nasce dalla coscienza di non poter dominare il mondo che l’uomo ha
di fronte a sé, il "davanti-a-che dell’angoscia è completamente indeterminato", perché il mondo, per l’uomo che ha fatto la scelta dell’esistenza autentica, si manifesta come nulla, come un qualcosa che si oppone continuamente alla possibilità di raggiungere il tutto al quale l’esistenza autentica aspira e che perciò deve essere annullato. In questo annientamento, in questo recupero del valore "del non" sta il fondamento dell’esistenza autentica: "non segue nulla significa qualcosa di positivo quando riguarda l’esserci".
Eliminando qualsiasi motivo tranquillizzante, l’angoscia porta l’essere a riflettere sulle domande più radicali che l’esistenza comporta e scopre così che la struttura fondamentale dell’esistenza è la libertà, la possibilità di costruire qualsiasi progetto, di "poter-essere-un-tutto". Ma questa libertà si realizza solo se l’uomo si sottopone alla cura e cerca di scoprire i significati autentici che si nascondono nelle cose, "è forse un caso che i Greci, per dire l’essenza della verità usavano un termine che esprime la privazione (a-létheia)?"
Il significato più profondo di questo vuoto, cioè del mondo, è anche ciò che determina quanto di più personale c è nell’esistenza di un uomo: la morte, "la morte è la possibilità più propria dell’esserci"; l’esistenza autentica non può che "essere-per-la-morte".
[L’Essere-per-la-morte è l’anticipazione di un poter-essere di quell’essente il cui modo di essere ha l’anticiparsi stesso. Nella scoperta anticipante di questo poter-essere, l’Esserci si apre a se stesso nei confronti della sua possibilità estrema. Ma il progettarsi sul poter-esser più proprio significa: poter comprendere se stesso entro l’essere dell’ente così svelato: esistere. L’anticiparsi si rivela come la possibilità della comprensione del poter essere più proprio ed estremo, cioè come la possibilità dell’esistenza autentica.] (Essere e tempo, 53).
La libertà che caratterizza la vita autentica è mancanza. Proprio perché l’uomo è mancanza aspira alla totalità eliminare quanto c’è di privativo nell’esistenza. La morte è il passaggio che permette il conseguimento della totalità. Heidegger così rifiuta la concezione della morte come conseguenza della colpa e tutta la tematica religiosa che ne deriva.
Il tempo e la storia
Se l’esistenza autentica è essere-per-la-morte, essa si realizza nell’autentico pensare alla morte, nel "volere-aver-coscienza" di sé, cioè dell’esistenza e del mondo. La morte non è più qualcosa che può far paura, è invece ciò che consente il ricongiungimento dell’esserci al proprio essere originario. La morte è il fine da perseguire mediante la decisione anticipatrice che "offre alla morte la possibilità di farsi padrona dell’esistenza dell’esserci e di sottrarre decisamente quest’ultimo da ogni nascondimento ed evasione". Il futuro è la dimensione autentica della temporalità. L’esistenza che si proietta in questo futuro è estasi, "la temporalità è l’originario "fuori di sé", in se stesso e per se stesso".
Un senso particolare in questa concezione del tempo è assunto dalla storicità. Essa non può venir definita sul piano inautentico perché "l’esserci non esiste come somma di realtà
del momento", come esperienze di vita che passano e scompaiono; può venir compresa solo sul piano dell’esistenza autentica come riflessione dell’esserci sull’essere originario nella ricerca del proprio destino; la storicità autentica è quanto consente all’uomo di "trasmetter a se stesso le possibilità che eredita dal passato".
L’uomo "pastore dell’essere"
Il problema dell’essere in generale che conclude la riflessione di Essere e tempo prelude alla svolta del pensiero di Heidegger che caratterizza le ultime opere. La riflessione sull’essere, se rimane
ancorata all’esserci, svela solo il nulla dell’esistenza. Compito della filosofia è invece rifondare la metafisica, o meglio trasformare la metafisica in ontologia, in dottrina dell’essere in sé andando a riscoprire il significato etimologico di "verità", disoccultamento: verità, in greco a-létheia, deriva dal verbo "lanthano" che significa "occultare" al quale è stata aggiunta l’a privativa; la verità che la filosofia deve cercare è quindi il disoccultamento dell’essere al pensiero umano.
Il disoccultamento si manifesta nel linguaggio, non in quello scientifico e tecnico, ma in quello vivo e creatore della poesia. Attraverso la riflessione sul linguaggio l’uomo si accorge di non poter scoprire il senso dell’essere, ma si ritrova pastore dell’essere, il suo destino consiste "nell’essere chiamato dall’essere stesso a far da guardia alla sua verità". Da queste conclusioni nasce anche il rifiuto di Heidegger del modello di sviluppo del mondo occidentale che fa perno sulla tecnica. La tecnica ha immerso l’uomo nel mondo facendogli dimenticare l’essere, proprio per questo la tecnica mette in pericolo l’esistenza dell’uomo.
Karl Jaspers (1883-1969)
Opere principali
Psicologia delle concezioni del mondo (1919), La situazione spirituale del tempo (1931), Filosofia (1932), Ragione ed esistenza (1935), Filosofia dell’esistenza (1938), La verità (1947), La bomba atomica e il futuro dell’umanità (1957), Filosofia e mondo (1958).
Filosofia ed esistenza
Se la filosofia è ricerca della verità, l’uomo che si pone il problema dell’essere inizia necessariamente il suo cammino di ricerca a partire dalla propria esistenza, l’unica realtà che a ogni individuo è stata assegnata per realizzare il proprio senso originario; ogni ricerca dell’essere che voglia prescindere dall’esistenza individuale è destinata al fallimento: "io non ho mai l’essere, ma solo un essere". L’essere di cui i filosofi parlano è il loro proprio essere e mai l’essere in sé.
La filosofia non ha senso quando cerca di descrivere l’esistenza alla stessa stregua di un oggetto, essa è impegno dell’individuo che si pone in rapporto col mondo per scoprire dall’interno il senso profondo del suo esistere.
Il mondo
L’uomo inizia il suo cammino alla scoperta della verità a partire dalla propria esistenza perché la finitudine è il suo carattere costitutivo. L’uomo non esiste come esistono le cose del mondo queste sono nel mondo, l’uomo invece fa suo il mondo perché ex-siste al mondo, lo trascende; la trascendenza è il carattere fondamentale dell’esistenza.
Se l’esistenza è ricerca dell’essere, e la filosofia lo strumento di tale ricerca, la prima risposta è l’identificazione dell’essere con la molteplicità degli oggetti, col mondo.
Questa risposta pone una nuova domanda: che cos’è il mondo? La risposta sta nel riconoscimento che il mondo è prima di tutto esperienza individuale, è il mio mondo. La comprensione del mondo si identifica con la comprensione della vita e per questo è necessario uscire dalla soggettività, oggettivare l’essere, rompere l’unità soggetto-oggetto.
Il mondo oggettivato, la totalità delle cose che esistono nello spazio e nel tempo, è il mondo della scienza. La frattura fra il soggetto e l’oggetto che la scienza presuppone è una sorta di snaturamento di entrambi: il soggetto che si fa cosa fra le altre cose, il mondo oggettivato che tende ad apparire come totalità definitiva. Ma nel momento stesso in cui l’intelletto riesce a comprendere il mondo circoscrivendolo entro il proprio orizzonte, questo si apre lasciando intravedere altri orizzonti inesplorati. La scienza, con la sua pretesa di oggettività, è solo un "punto di vista" sull’essere, è il punto di vista dell’individuo, il mio punto di vista, dal quale iniziare a orientarsi nel mondo.
[Io sono sempre in una prospettiva da cui vedo tutto e che per me è l’unica vera; né posso vederla dal di fuori, oggettivandola, perché essa è reale solo quando, presente a se stessa, si svolge dalla sua e propria origine ... La vedo, per così dire, in un luogo, che non potrei conoscere come possibile tra altri possibili, che vorrebbe dire "relativizzarla".] (Filosofia,I)
Il naufragio
L’impossibilità di comprendere l’essere attraverso la scienza deriva dal suo carattere trascendente; esso non può venire circoscritto in un orizzonte onnicomprensivo che lo determini come totalità. Il tentativo della scienza di abbracciare l’essere è così destinato al fallimento; l’essere è soggettività e, al di fuori dell’individualità dell’esistenza, perde ogni senso. L’individuo e il mondo naufragano nel tentativo di circoscrivere l’essere.
La coscienza del naufragio apre la via a una nuova prospettiva di conoscenza: la consapevolezza del limite della scienza richiede un salto che riporti l’uomo in se stesso, che gli consenta di capire l’esistenza vera, che è sempre determinata nello spazio e nel tempo, che è situazione. Strumento di questa comprensione non può essere l’intelletto, che ha oggettivato l’esistenza nel mondo snaturandola, ma la ragione che cerca di dare un senso all’esistenza illuminando quanto di oscuro la caratterizza. Ragione e esistenza formano un binomio inscindibile, "l’esistenza raggiunge la chiarezza solo attraverso la ragione: la ragione ha un contenuto solo in virtù dell’esistenza".
Anche l’esistenza ha un limite: la trascendenza. ["Senza la trascendenza l’esistenza è inutile ostinazione, arido impulso demoniaco privo di amore. E’ sotto l’impulso delle esigenze della ragione, nella luce della quale sperimenta per la prima volta l’inquietudine e il richiamo della trascendenza, che l’esistenza entra nel movimento che le è proprio. Senza la ragione l’esistenza rimane inattiva, sonnecchiante, come non esistente"].(Ragione ed esistenza).
La libertà.
L’esistenza non può essere pensata al di fuori della concreta situazione in cui si svolge, è sempre solo "un frammento di esistenza", è pertanto possibilità. La possibilità implica la necessità di decidere liberamente la costruzione del proprio essere; l’esistenza è libertà, perché è scelta. Nello stesso tempo la scelta implica la decisione di realizzare l’essere nella propria situazione e quindi accettazione del proprio destino.
["Scelta" è l’espressione che indica la coscienza che io ho che, decidendomi, non mi limito ad agire nel mondo, ma forgio la mia propria essenza nella sua continuità storica. Io non so soltanto che sono qui e che sono così e quindi agisco in questo modo ma so che nell’agire e nel decidere sono nel contempo l’origine del mio agire e della mia essenza. Decidendomi sperimento la libertà come decisione non solo su qualcosa ma su me stesso, libertà in cui non è più possibile una distinzione fra scelta ed io, perché io stesso sono la libertà di questa scelta. Una mera scelta è quella fra determinazioni oggettive, ma la libertà è la scelta di me stesso. Non posso certamente creare una contrapposizione e quindi scegliere fra me stesso e un non-essere-me-stesso, quasi che la libertà fosse uno strumento nelle mie mani. Invece: in quanto scelgo, sono; se non sono, non scelgo.] (Filosofia, II).
La trascendenza, la cifra
L’esistenza, in quanto scelta e decisione, si rivela come l’atto col quale l’uomo accetta la sua finitudine e si rapporta con la trascendenza. Ogni scelta infatti è una de-cisione, una re-cisione delle possibilità che costituiscono la situazione da quelle infinite che sono oltre il suo limite. L’uomo costruisce il suo essere autentico ponendosi in rapporto con la trascendenza, con il tutto che non può in nessun modo essere ridotto a oggetto e che pertanto sfugge continuamente, "se pretendo di cogliere l’essere in quanto essere, sono irrimediabilmente votato al naufragio". La trascendenza infatti non può essere conosciuta, come si è visto, attraverso la scienza, ma nemmeno attraverso la metafisica; le tante teorizzazioni metafisiche sono solo il segno del bisogno che spinge l’uomo oltre il mondo, oltre l’esistenza. Il fatto che l’uomo non possa aspirare a un sapere assoluto rappresenta la sua grandezza e la garanzia della sua indipendenza; quando qualcuno ha imposto un sapere come assoluto, l’ha fatto per imporre con violenza la sua autorità sugli altri uomini, è stato sempre un fatto di dominio di un uomo sugli altri.
La trascendenza non si fa conoscere, si annuncia nella realtà come cifra, come linguaggio che nasconde qualcosa: rivelando l’essere nasconde la trascendenza che, se da un lato appare come "lontananza assoluta", dall’altro viene colta dall’uomo come "vicinanza esistenziale" in cui la trascendenza si fa cogliere.
Le situazioni-limite
L’esistenza è esperienza di cifre, che tanto più sono espressione della trascendenza quanto più fanno sentire l’uomo assolutamente incapace di attingerla; l’esistenza si identifica con queste situazioni-limite la cui esperienza avviene solo attraverso un salto, "il limite si inserisce così nella sua autentica funzione, di essere ancora immanente ma tuttavia rinviare alla trascendenza. (...) Il luogo della trascendenza non è il di qua o il di là, ma è il limite, e propriamente quel limite per cui io, se sono veramente io, mi trovo dinnanzi ad essa". L’esperienza della morte chiarisce il senso dell’esperienza delle sitauzioni-limite. La morte non è una situazione-limite finché l’uomo si preoccupa di allontanarla. Ma quando comprende che la morte dà il vero senso all’esistenza non può considerarla un qualcosa di estraneo, può solo cercare di esperirla nella propria esistenza.
[La morte può avere profondità solo se nessuna fuga ci spinge verso di lei e non può quindi essere voluta nella sua immediatezza ed esteriormente. La profondità significa che il suo carattere di assoluta estraneità è caduto e che io posso andarle incontro come al mio fondamento, come ciò in cui troverò compimento se pur di genere incomprensibile.] (Filosofia, II).
Naufragio e filosofia
Le situazioni-limite mostrano come l’esistenza sia impossibilità di raggiungere la trascendenza. Anche la metafisica, in quanto modalità di esperienza del trascendente, si rivela necessariamente come naufragio, lo sforzo di cogliere la trascendenza è condannato alla sconfitta. Solo il silenzio è possibile, e nel silenzio l’unica parola che ha senso è la copula: è, un’espressione priva di qualsiasi contenuto e nello stesso tempo l’unica capace di esprimere l’inaccessibilità dell’essere, "per il pensiero e per la comunicazione il punto di arrivo è il silenzio".
Da questa consapevolezza nasce un problema, "se il naufragare sia un mero naufragare o sia un eternarsi", che poi è il problema del senso della filosofia. Se non possiamo conoscere il mondo, se l’essere ci sfugge continuamente, l’unico senso che la filosofia può avere è quello del "cammino che ci conduce a noi stessi", la fede è l’unica verità perché è inesauribile, incomunicabile, assolutamente intima.
Gli altri
L’intimità dell’approdo filosofico non significa disconoscimento degli altri: il riconoscimento degli altri è ciò che differenzia l’uomo dall’animale. Gli animali si capiscono per istinto, l’uomo invece sente il bisogno di comunicare la verità che ha trovato nella propria esistenza e proprio per questo è più libero. Ma la verità è ricerca della trascendenza che si rivela nel tempo e perciò sfugge continuamente. La trascendenza non si rivela all’uomo come arbitrio o come verità assoluta; quando tutto ciò è successo la violenza si è imposta sugli uomini. La trascendenza si realizza nella comunicazione, come fondamento di una libertà finita che ha bisogno della solidarietà fra gli uomini per realizzarsi compiutamente nella tolleranza e nel vero "essere in cammino".
Jean Paul Sartre (1905-1980)
Opere principali
Immagine e coscienza (1940), L’essere e il nulla (1943), L’esistenzialismo è un umanismo (1946), Che cos’è la letteratura (1947), Critica della ragion dialettica (1960). Accanto a queste opere di riflessione filosofica vanno ricordati i romanzi e i lavori teatrali: La nausea (1938), Il muro (1939), Le mosche (1940), I sequestrati di Altona (1959). Va ricordata anche la rivista Les temps modernes. Non può essere taciuto il suo rifiuto del premio Nobel per la letteratura nel 1965.
Premessa
L’opera più significativa dell’esistenzialismo sartriano, attorno alla quale ruota tutto il suo pensiero, è L’essere e il nulla. La fenomenologia, che definisce come "il fatto più saliente della filosofia dell’anteguerra", è la principale fonte di ispirazione della sua filosofia. Essa ha rovesciato il rapporto fra uomo e mondo teorizzando la trascendenza della coscienza, "la coscienza è coscienza di qualcosa: questo significa che la trascendenza è la struttura costitutiva della coscienza; cioè che la coscienza nasce rivolta sopra un essere che non è se stessa".
La ricerca dell’essere
Per comprendersi la coscienza deve analizzare il suo contenuto, il singolo oggetto della sua esperienza. Il senso di questa esperienza rimanda necessariamente all’essere, la condizione di ogni rivelazione. L’esistenza quindi può essere compresa solo come ricerca dell’essere. Infatti ogni tentativo del pensiero moderno di ridurre l’esistente alla serie delle sue manifestazioni è fallito: si è risolto in un dualismo contraddittorio l’opposizione interiore-esteriore nelle varie forme in cui si è espressa nella filosofia, chiudendo ogni possibilità di autentica comprensione. La fenomenologia ha indicato la strada per il superamento del dualismo: il fenomeno, l’apparenza, non si oppone all’essenza, è l’essenza stessa che la coscienza coglie attraverso un atto intuitivo.
Nel momento in cui la coscienza coglie l’essere, si differenzia da esso, si pone in una dimensione esterna all’essere stesso. Il mondo è essere, è l’oggettività, nello stesso tempo per la coscienza è fenomeno.
Questa duplicità apre una contraddizione insanabile: l’essere è fondamento di quanto esiste, l’in sé, ma ha il proprio fondamento nella coscienza, si pone per sé; l’essere in sé è comprensibile solo come essere per sé.
Nella ricerca del senso dell’essere la coscienza si rivela come progetto di essere: l’essere percepito dalla coscienza è sempre un determinato modo di essere. Ne consegue che la proposizione l’essere è ciò che è non è una tautologia, un giudizio analitico, è una proposizione sintetica, che afferma l’essere in sé e insieme l’essere della coscienza, cioè un modo di essere.
Il nulla
Se per la coscienza l’essere è una modalità, esso può venire pensato solo come negazione: l’essere è il nulla. Questo nulla non è una nozione complementare astratta dell’essere, è il suo senso profondo, intimo.
[I1 nulla è la problematizzazione dell’essere da parte dell’essere, cioè la coscienza o per sé. E’ un avvenimento assoluto che viene all’essere da parte dell’essere, e che, senza avere l’essere, è sempre sostenuto dall’essere. (...) Il nulla è la possibilità più propria dell’essere e la sua unica possibilità. Inoltre questa possibilità originale appare solo nell’atto assoluto che la realizza.] (L’essere e il nulla).
Il nulla, proprio perché è non essere, non può annullarsi autonomamente; si impone quindi la domanda "donde viene il nulla?".
La prima risposta è che esso sia determinato dalla coscienza; il nulla è prodotto dall’uomo attraverso il suo agire, attraverso il suo farsi "essere". La risposta che il nulla sia prodotto dalla coscienza fa nascere una nuova domanda di carattere etico: "cosa deve essere l’uomo nel suo essere perché il nulla venga all’essere per mezzo suo?".
La libertà e l’angoscia
La risposta di Sartre a questa domanda è: l’uomo è libertà. Il nulla per prodursi richiede che l’uomo sia capace di annullarsi, faccia "nel suo essere la questione del suo essere". Se l’uomo fosse condizionato dal mondo non potrebbe produrre il nulla. Questa possibilità è la sua condizione esistenziale: l’esistenza infatti altro non è che sospensione fra un passato che non è più e un futuro che non è ancora, perché è solo possibilità delle azioni che ognuno deciderà liberamente di praticare per essere. La riflessione sulla situazione esistenziale determina l’angoscia, il sentimento esistenziale che deriva dalla coscienza della libertà, dalla coscienza che il nulla è il senso dell’esistenza.
Ma la libertà è anche impotenza: l’uomo non è mai totalmente libero, non riesce mai a ridurre completamente il mondo al suo senso. Cerca di sfuggire all’angoscia ma non gli è possibile, perché "la struttura originaria "del non essere ciò che si è" rende anticipatamente impossibile ogni divenire verso l’essere in sé o "esser ciò che si è"". L’uomo cerca così di sfuggire al proprio destino, cerca di diventare ciò che non è, ma tutto questo è vano, "essere libero significa essere condannato a essere libero". L’esistenza riporta l’uomo al suo destino, a diventare ciò che è.
La comprensione
Se l’agire umano è mosso dal bisogno di attuare l’essere diventa necessario comprendere cosa sia l’essere: la comprensione più immediata è la conoscenza oggettiva. A ben guardare essa è solo una serie di negazioni: il mondo che cerchiamo di comprendere attraverso la conoscenza è mancanza, in fondo alla conoscenza non ci sono gli oggetti, c’è solo la coscienza, "voglio cogliere questo essere e non trovo che me stesso. Il fatto è che la conoscenza, intermediario fra l’essere e il non essere, mi rimanda all’essere assoluto se la voglio soggettiva e mi rimanda a me stesso quando credo di cogliere l’assoluto".
Il progetto, l’assurdo
Il destino dell’uomo, il suo progetto fondamentale, è di farsi tutt’uno con l’assoluto, "l’uomo è l’essere che progetta di essere Dio", ma questo Dio è qualcosa di sostanzialmente diverso dall’uomo, è perciò irraggiungibile. L’impossibilità del progetto determina l’assurdità dell’esistenza e l’assurdità di un assoluto al quale per definizione non si può pervenire; ne consegue che "stessa cosa è ubriacarsi in solitudine o condurre i popoli. Se una di queste attività è superiore all’altra non è a causa del suo scopo reale, ma a causa della coscienza che possiede del suo scopo ideale; e in questo caso il quietismo dell’ubriaco solitario è superiore alla vana agitazione del conduttore di popoli".
I valori che muovono l’esistenza, che determinano l’agire, il progetto, non hanno un fondamento in se stessi, ma nell’uomo, in sé sono tutti equivalenti.
La malafede
Dal momento che la coscienza è realizzazione del nulla attraverso la negazione, l’esistenza è sostanzialmente malafede. La malafede non è menzogna, questa implica la volontà di ingannare qualcuno, la malafede è perseguimento di un modo di essere diverso. Quando guardiamo il cameriere al bar notiamo che più egli cerca di far bene il proprio lavoro più sembra un automa; la situazione è falsa, è un gioco. Ma se cerchiamo di scoprire tale gioco vediamo che quel cameriere "gioca ad essere cameriere".
La malafede, che è struttura dell’esistenza, dimostra che la vita è un gioco delle parti e diventa assurdo porre un mondo di valori che dia senso all’esistenza; il suo solo fondamento è l’infelicità.
Gli altri
L’assurdità dell’esistenza non viene superata nemmeno dalla coscienza dell’esistenza degli altri. Essa condiziona l’uomo perché implica la possibilità di entrare in un progetto di altri e alienarsi a se stessi. Questa possibilità può tradursi in due modi: l’amore, quando il rapporto con gli altri ha per fine l’unione, e l’odio, quando esso ha come fine l’annullamento dell’altro; entrambi implicano una ineliminabile conflittualità. Infatti nell’amore l’uomo vuole essere amato, "ma se l’altro mi ama, mi delude profondamente per questo suo amore: io esigevo da lui di fondare il mio essere come oggetto privilegiato mantenendosi come pura soggettività di fronte a me; e poiché mi ama mi sente come soggetto e si sprofonda nella sua oggettività di fronte alla mia soggettività . Così pure nell’odio perché, anche se annullati, gli altri continuano ad esistere nella coscienza di chi odia.
La praxis
Unica prospettiva che permette all’uomo di uscire dalla solitudine è la cooperazione che gli uomini attuano attraverso il lavoro, la praxis. L’analisi dei rapporti sociali dà all’uomo una nuova dimensione: in questo campo egli si giudica in base al raggiungimento dei fini che si è dato, si sente soggetto collettivo. la società e la storia vengono così giudicate per la rispondenza ai bisogni individuali: "il campo sociale è pieno di atti senza autori, di costruzioni senza costruttore: se riscopriamo l’uomo nella sua vera unità, cioè il potere di fare la storia perseguendo i propri fini, allora, in periodo di alienazione, vedremo che il disumano si presenta coi caratteri dell’umano e che i "collettivi", prospettive di fuga attraverso gli uomini, trattengono in sé la finalità che caratterizza le relazioni umane".
L’impegno politico
Avviene in questo modo l’incontro col marxismo, la sua tormentata vicenda col P.C.F. e l’appassionata difesa dei diritti umani condotta fino alla morte. La sua filosofia, da analisi della condizione esistenziale diventa lotta teorica e politica per la liberazione dell’uomo, fine al quale anche l’arte e la letteratura debbono sottostare; "non è correndo dietro all’immortalità che si diventa eterni (...), ma perché avremo combattuto appassionatamente nella nostra epoca (...). In conclusione è nostra intenzione concorrere a produrre certi mutamenti nella società che ci circonda (...). Noi ci schieriamo al fianco di chi vuole mutare insieme la condizione sociale dell’uomo e la concezione che egli ha di se stesso". Questi ultimi temi, sviluppati ne La critica della ragion dialettica e nelle opere successive possono sembrare in contrasto con la problematica di L’Essere e il Nulla; ne sono invece lo sviluppo. I numerosi richiami a L’Essere e il Nulla presenti nella Critica vogliono essere una testimonianza della fondamentale continuità del pensiero sartriano.
GLOSSARIO
ANGOSCIA
E’ uno dei concetti fondamentali dell’esistenzialismo; il suo significato è sostanzialmente comune a tutti gli autori trattati. In Heidegger l’angoscia è la situazione emotiva fondamentale dell’esistenza. Quando l’uomo si interroga per arrivare a comprendere che cosa sia la propria esistenza, scopre che all’origine è un essere-gettato-nel-mondo, è un qualcosa che non ha scelto e che lo determina in ogni decisione, sente il mondo di fronte a sé e la propria impotenza. Da ciò derivano due situazioni emotive possibili: l’angoscia e la paura; la paura è il sentimento di chi vive l’esistenza inautentica, l’angoscia invece è il sentimento dell’esistenza autentica, l’essere-per-la-morte, il sentimento per il quale l’Esserci si sente "non a suo agio" nel mondo; l’esistenza e il mondo sono "insignificanti" e accetta la morte come "possibilità assolutamente propria, incondizionata e insormontabile dell’uomo"; l’Esserci che ha compreso il senso dell’esistenza e del mondo come nulla può solo accettare il proprio destino, l’angoscia così "libera l’uomo dalle possibilità nulle e lo lascia libero per quelle autentiche".
Jaspers vede l’esistenza come naufragio di tutte le possibilità che all’uomo sembrano aprirsi, la libertà che sembra caratterizzare l’esistenza si rivela come impossibilità di superare le condizioni che l’uomo ritrova in sé: non può non morire, sente il peso della colpa, non riesce a comunicare. Solo attraverso la metafisica autentica, può trovare l’essere sotto la cifra in cui si manifesta.
Per Sartre carattere fondamentale dell’esistenza è l’assoluta libertà di scelta, da questa libertà nasce l’angoscia: la libertà di scelta genera l’angoscia perché le possibilità che ha di fronte a sé determinano una responsabilità assoluta. La scelta è progetto, essa proietta l’uomo nel futuro, in ciò che non è ancora e genera l’orrore dell’indeterminatezza che il nulla, il non-essere, porta con sé; il nulla così si rivela come il senso profondo dell’esistenza, è dentro l’uomo e non fuori; per questo motivo l’uomo è "condannato a essere libero", cerca di trascendere l’esistenza, di "fuggire" da se stesso, ma ricade necessariamente nel nulla.
APPARENZA
Heidegger riprende il significato originario della parola greca fainòmenon, ciò che si manifesta; apparenza è l’essere che si manifesta nel fenomeno e che si rende visibile in esso; è altro rispetto al fenomeno, ma lo presuppone; "la parola "apparenza" sta per automanifestazione. Ma questo automanifestarsi appartiene in modo essenziale a quell’"in cui" entro il quale qualcosa si annuncia. Dunque i fenomeni non sono mai apparenze, anche se ogni apparenza rinvia al fenomeno". (Essere e tempo, 7 A).
AUTENTICITÀ
In Heidegger indica "ciò che è proprio", dell’esistenza: la morte. L’esistenza dell’uomo è possibilità e la possibilità è scelta: Heidegger afferma che la scelta dell’esistenza autentica comporta la necessità di considerare il mondo come nulla: il mondo è nulla perché è ciò che si oppone alla possibilità di raggiungere il tutto, l’essere. Fra tutte le possibilità che caratterizzano l’esistenza, l’unica possibilità a cui l’uomo non può sottrarsi è la morte. L’esistenza autentica diventa perciò la scelta di essere-per-la-morte, la decisione anticipatrice per la quale l’uomo accetta il fatto che la morte sia "la possibilità più propria dell’Esserci. L’essere per essa apre all’esserci il poter-essere più proprio, nel quale ne va pienamente dell’essere dell’Esserci. In essa si fa chiaro all’esserci che esso, nella più specifica delle sue possibilità, si è sottratto al Si" (Essere e tempo, 53). L’angoscia è il sentimento caratteristico di questa scelta esistenziale perché l’uomo "è autenticamente se stesso solo nell’isolamento originario della decisione tacita e votata all’angoscia" (Essere e tempo, 64). All’esistenza autentica Heidegger contrappone l’esistenza inautentica, "ciò che non è proprio" dell’esistenza, la scelta in cui domina la quotidianità impersonale del Si che ha nella chiacchiera la sua caratteristica fondamentale. Va chiarito che i due livelli di esistenza non implicano alcuna valutazione, sono entrambe allo stesso modo strutture dell’esistenza che derivano dal fatto che l’Esserci, l’uomo, interrogandosi sul senso dell’esistenza scopre che essa è originariamente un essere-gettatato-nel mondo.
Anche Jaspers parla di esistenza autentica e inautentica e definisce l’autenticità come "ciò che è più profondo in contrapposizione a ciò che è più superficiale"; all’esistenza autentica si perviene quindi facendo della ricerca della verità la propria ragione d’esistere, che è la natura profonda della filosofia, "l’essenza della filosofia sta nel non possesso della verità ma nella sua ricerca (...), filosofia significa in verità: essere in cammino" (Jaspers, Introduzione alla filosofia).
CIFRA
E’ il simbolo della trascendenza, cioè il linguaggio attraverso il quale l’essere trascendente si manifesta all’uomo; essendo simbolico deve essere compreso nel suo senso profondo, nascosto e pertanto non può avere il carattere dell’oggettività.
COLPA
Heidegger considera la colpa "un modo d’essere dell’Esserci", è pertanto una condizione ineliminabile dell’esistenza. Allo stesso modo Jaspers la considera una situazione-limite dell’esistenza, una situazione alla quale l’uomo non può sottrarsi.
COSCIENZA
Per Heidegger coscienza ha un significato essenzialmente morale che nasce dal considerare la trascendenza come essenza della soggettività, "nella trascendenza e attraverso di essa è possibile distinguere nell’interno dell’esistente e decidere chi e come uno è se stesso" (L’essenza del fondamento, II).
Per Jaspers la coscienza è l’essenza dell’esserci, dell’uomo, "io ci sono in quanto coscienza e solo come oggetti di coscienza le cose sono per me"; la coscienza mentre percepisce il mondo esterno, percepisce sé stessa, è autocoscienza; in quanto tale è il campo in cui l’uomo può andare alla ricerca della verità.
Anche per Sartre la coscienza è il momento fondamentale che caratterizza l’uomo; essendo percezione della propria esistenza essa si proietta nel futuro, è progetto, è libertà; in quanto tale essa si scontra con l’essere, che invece è necessità; la coscienza pertanto si rivela come "non essere" e poiché il mondo è in sé privo di senso, senso che riceve solo dalla coscienza per la quale esso è nulla, la coscienza è "l’essere per cui il nulla viene al mondo".
CURA
E’ "l’essere stesso dell’Esserci", è l’unità di tutte le possibilità dell’esistenza, la cura si realizza in due modi, nel "prendersi cura" quando l’esistenza si pone in rapporto con le cose, e nell’"aver cura", quando essa si pone nel rapporto con gli Altri. In quanto "essere dell’Esserci" non ha nulla a che fare con le nozioni comuni di "preoccupazione", e "tristezza" che sono invece situazioni esistenziali, ontiche e non ontologiche.
DECISIONE
E’ il modo autentico in cui l’uomo comprende la propria verità profonda, l’esistenza come essere-per-la-morte, e progetta la sua esistenza in funzione della morte; è la decisione anticipatrice che caratterizza l’esistenza autentica.
ESISTENZA
In tutti i filosofi esistenzialisti l’esistenza è la possibilità, trascendenza e progetto e poiché non può essere pensata al di fuori dei modi in cui si realizza essa è essere-nel mondo e non può venir compresa se la si separa dell’Esserci. L’esame filologico del termine permette anche di comprenderne il significato profondo: esistenza è ex-sistere, farsi altro da ciò che si è; e questo farsi altro non può avvenire che attraverso un progetto. Heidegger in Essere e tempo evidenzia come l’esistenza si manifesti innanzi tutto come "esser-gettato-nel-mondo", l’esistenza si rivela pertanto come fondamentale impossibilità di scegliere, e quindi come nulla. All’Esserci non resta che decidere di progettare il proprio nulla, cioè di essere-per-la-morte, vivendo in questo modo un’esistenza autentica o rimanere legato all’anonimato della vita quotidiana, all’esistenza inautentica.
L’esistenza come possibilità è anche il terreno dell’analisi di Jaspers: l’esistenza è caratterizzata dalle situazioni-limite alle quali l’uomo non può sottrarsi; le possibilità che gli si aprono di fronte si rivelano in fondo altrettante impossibilità e l’esistenza è pertanto naufragio: l’essere, di cui l’uomo è alla ricerca nella sua esistenza non può venire circoscritto in un orizzonte definito perché è trascendente; l’impossibilità della scienza di definire l’esistenza richiede un salto che riconduca l’uomo in se stesso.
Per Sartre l’esistenza è ricerca dell’essere, del senso dell’essere che l’uomo compie attraverso la coscienza. In questa ricerca la coscienza si rivela come progetto, l’uomo è "l’essere che progetta di essere Dio", perché l’esistenza è sempre possibilità, è un modo di essere. Ne segue che l’essere è una modalità problematica, che la coscienza avverte come nulla: la coscienza nella sua attività produce il nulla. Da ciò deriva il compito etico dell’uomo: "cosa deve essere l’uomo nel suo essere perché il nulla venga all’essere per mezzo suo?" (L’Essere e il nulla). Il compito etico dell’uomo è definito dalla sua libertà, ma la libertà è anche impotenza perché l’uomo non riesce mai a ridurre definitivamente il mondo al suo senso; la libertà è quindi angoscia. (Cfr. ANGOSCIA).
ESSERCI
E’ uno dei concetti fondamentali di tutto l’esistenzialismo, designa l’uomo, l’esistente. In Heidegger L’Esserci è la realtà umana, l’insieme delle possibilità che si offrono all’uomo. Jaspers pone il concetto in maniera un po’ diversa: l’Esserci è la realtà immediata, di cui l’uomo è espressione e che tende continuamente a superare. L’esistenza come realtà autentica dell’uomo è un continuo tentativo di oltrepassare l’esserci ponendosi nell’orizzonte dell’essere trascendente.
ESSERE
La nozione di essere nelle filosofie esistenzialiste deriva dalla fenomenologia husserliana, per la quale "essere" è "possibilità". Heidegger sostiene che la nozione di essere deve scaturire dalla ricerca del senso dell’essere. Per poter arrivare a un risultato è necessario innanzitutto eliminare i pregiudizi comuni che si sono formati attorno alla nozione di essere: che l’essere sia il concetto più generale, che sia indefinibile, che sia ovvio. Eliminati i pregiudizi va circoscritto il campo della ricerca che per porre concretamente il problema deve presupporre che "l’essere è sempre l’essere di un ente". Il problema dell’essere mira perciò alla determinazione a priori delle condizione di possibilità non solo delle scienze che studiano l’ente, che è tale in questo o in quel modo, e che si muovono già sempre in una comprensione dell’essere, ma anche delle ontologie stesse che precedono le scienze ontiche e le fondano. Ogni ontologia, per quanto disponga di un sistema di categorie ricco e ben connesso, rimane, in fondo, cieca e falsante rispetto al suo intento più proprio, se non ha in primo luogo sufficientemente chiarito il senso dell’essere e se non ha concepito questa chiarificazione come il suo compito fondamentale" (Essere e tempo, 3).
Da questo modo di porre il problema Heidegger ricava la conclusione che "la comprensione dell’essere è anche una determinazione d’essere dell’Esserci" (Essere e tempo, 4), per la quale l’Esserci, in quanto comprensione, progetta il suo essere come possibilità, come progetto.
Jaspers considera l’essere come l’insieme delle possibilità che oggettivamente costituiscono l’esistenza.
Per Sartre l’essere ha una duplice valenza: è in sé, fondamento di quanto esiste, oggettività; ma è anche per sé, fenomeno, essere per la coscienza. La coscienza nella ricerca del senso dell’essere si rivela come progetto, e perciò come problema; rendere problematico l’essere significa pensarlo come negazione, come ciò che non è, l’essere allora è il nulla, "il nulla è la possibilità più propria dell’essere".
ESSERE-GETTATO-NEL-MONDO
L’esistenza come dato, in sé privo di senso, oggetto di una pura constatazione intuitiva.
ESSERE-NEL-MONDO
Cfr. ESISTENZA
LINGUAGGIO
In Heidegger è lo strumento attraverso il quale l’essere si rivela e può essere compreso dall’uomo: "il linguaggio è la casa dell’essere". Non è un caso che il termine linguaggio abbia la stessa radice di logos, pensiero. Nell’esistenza autentica "il linguaggio parla. (...) Quel che solo conta è imparare a dimorare nel parlare del linguaggio. Perché ciò sia possibile è necessario un continuo esame di se stessi per vedere se e fino a che punto siamo capaci di un autentico corrispondere: di prevenire la Chiamata permanendo nel suo dominio. Poiché l’uomo parla soltanto in quanto corrisponde al linguaggio. Il linguaggio parla. Il suo parlare parla per noi nella parola detta". (In cammino verso il linguaggio). Nell’esistenza inautentica la comunicazione passa attraverso la chiacchiera anonima; "il termine chiacchiera non ha alcun significato spregiativo. Esso non fa che designare terminologicamente un fenomeno positivo che costituisce il modo di essere della comprensione e dell’interpretazione dell’Esserci quotidiano" (Essere e tempo, 35).
Anche Jaspers vede nel linguaggio il manifestarsi dell’essere, del trascendente, "la verità non può essere separata dalla comunicabilità. se nella realtà temporale la verità appare come realtà è proprio per la comunicazione. Se noi separiamo la verità dalla comunicazione essa svanisce nel nulla. Il movimento tipico della situazione consiste proprio nel cercare e nel mantenere la verità" (Ragione ed esistenza).
MORTE
Per Heidegger la morte è una dimensione insita nell’esistenza al punto che ogni autentica esistenza non può che "essere-per-la-morte": l’esistenza è possibilità e la possibilità implica la scelta, la decisione con la quale l’esserci fa proprio il progetto dell’esistenza che si ritrova, del suo "essere-gettato-nel-mondo" e esce dalla impersonalità del "si dice" che invece fonda la "chiacchiera", l’esistenza inautentica. Fra tutte le possibilità che caratterizzano l’esistenza la morte è la sola necessità ineludibile e pertanto il momento più propriamente costitutivo dell’esistenza, della sua finitezza; la morte come "decisione anticipatrice" è la scelta che riporta l’uomo, l’esserci che è "essere-nel-mondo" nell’essere da cui l’esistenza (ex-sistere, farsi altro da ciò che si è) l’ha separato.
La morte è elemento centrale anche nel pensiero di Sartre che la considera priva di significato intrinseco, "un puro fatto, come la nascita; essa viene a noi dall’esterno e ci trasforma in esteriorità. In fondo essa non si distingue in alcun modo dalla nascita ed è l’identità della nascita e della morte che noi chiamiamo fatticità" (L’essere e il nulla). La morte è per Sartre fatticità che, come tutti gli altri elementi esteriori, la coscienza, nella contrapposizione fra Essere e Nulla, tende a superare continuamente per realizzare il proprio progetto, le proprie possibilità.
PROGETTO E’ l’anticipazione delle possibilità che caratterizzano l’esistenza.
SCELTA
dal momento che l’esistenza è possibilità, l’uomo può scegliere il proprio progetto fondamentale. La scelta è la condizione della libertà dell’esistenza.
SI
L’impersonale che caratterizza l’esistenza inautentica.
VERITÀ
Heidegger la definisce come "disoccultamento" dell’essere, la parola greca alétheia è infatti formata dall’a privativo e dalla radice del verbo "lanthano" che significa occultare. La verità è il fine dell’esistenza autentica, "C’è verità solo perché e finché l’Esserci è", la verità quindi è relativa all’essere dell’Esserci e il modo col quale l’uomo raggiunge la verità non può essere il giudizio vero, ma il progressivo scoprimento dei significati nascosti nel linguaggio.
Anche Jaspers considera la verità come comprensione dell’essere, della trascendenza che si
presenta all’uomo attraverso la cifra, che l’uomo deve comprendere circoscrivendola in un orizzonte che è lui stesso, "la verità non è mai di un solo tipo, non è mai né una né l’unica, essa ha un significato diverso a seconda del tipo di comunicazione in cui appare" (Ragione ed esistenza).
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