BRUNO GIORDANO - STORIA
DELLE ERESIE |
Paruta, Niccolò (m. ca. 1581)
Niccolò Paruta, medico veneziano,
era figlio dell'agiato patrizio Gian Giacomo e diventò anabattista,
partecipando nel 1546 ai Collegia Vicentina, primo incontro di anabattisti e
antitrinitariani veneti. In seguito, nel 1560 circa, egli abbandonò Venezia,
a causa delle sue convinzioni riformatrici, per rifugiarsi con Andrea da
Ponte (1508-1585, fratello del futuro doge Niccolò da Ponte), a Ginevra. Qui,
turbato dalle polemiche tra Calvino e gli antitrinitariani italiani,
scaturite dall'esecuzione di Miguel Serveto, decise di emigrare in Moravia,
ad Austerlitz, nel 1561. Nella città morava, P. fondò dei seminaria
veritatis, cioè delle comunità di antitrinitariani italiani, rinforzate con
l'arrivo di personaggi famosi come Giovanni Paolo Alciati della Motta,
Giovanni Valentino Gentile e Bernardino Ochino, cacciati dalla Polonia in
seguito all'editto di Parczòw del 1564, che aveva ordinato l'espulsione di
tutti gli stranieri non cattolici. In particolare Ochino trascorse gli ultimi
giorni della propria esistenza, come ospite in casa del P., nel febbraio
1565. P. inoltre conobbe e ospitò altri riformati, come Marcantonio Varotta
(nel 1566) e Niccolò Buccella, con il quale egli mantenne rapporti duraturi
di amicizia. Nel 1571-72 P. si trasferì a Cracovia, e nel 1573 in
Transilvania, presso il Collegio unitariano di Kolozsvàr, dove ebbe contatti
con Ferenc Dàvid, Giacomo Paleologo e Giorgio Biandrata, nella cui casa a
Nagyenyed, P. morì, probabilmente nel 1581. Anche in esilio P., una
persona molto dotta, mantenne un buon grado di agiatezza, potendosi procurare
diversi volumi tali da formare una ricca biblioteca. Inoltre egli scrisse
molte opere (la maggior parte andate perdute), tra cui un catechismo e i suoi
due lavori principali, De uno vero Deo Iehova disputationes e le 11 Theses de
trino et uno Deo, queste ultime stampate a cura di Symon Budny nel
1575. Dal punto di vista dottrinale, P. si allineò ad un antitrinitarismo di
tipo samosateno (da Paolo di Samosata, fondatore dell'adozionismo),
quindi non-adorante della figura di Cristo ed in contrapposizione con la
linea dei sociniani. Nella sua Theses, P. dimostrò come il dogma trinitario
non fosse mai citato nelle Sacre Scritture e che Gesù fosse un uomo in carne
e ossa della stirpe di Davide, un profeta, nato da Maria, che Dio aveva
dichiarato Cristo e suo figlio unigenito.
Dàvid, Ferenc
(1510-1579) e Chiesa Unitariana di Transilvania
La
gioventù Ferenc Dàvid nacque nel 1510 circa a Kolozsvár (in romeno Cluj e in
tedesco Klausenburg), l'allora capitale ufficiosa del principato di
Transilvania, da una famiglia borghese probabilmente di origine sassone. 35
anni più tardi, proprio in Kolozsvár fu pubblicata per la prima volta la
traduzione completa della Bibbia in ungherese a cura di Gaspar Heltai
(m.1574), punto fondamentale per lo sviluppo della Riforma nel paese. Il
giovane D. studiò alla scuola dei frati francescani di Kolozsvár, ed
in seguito si recò alla scuola della cattedrale di Gyulafehérvár (Alba
Julia), dove fu particolarmente brillante negli studi e dove fu impiegato
al servizio della chiesa per un breve periodo. Egli finì i suoi studi in
università estere, prima a Wittenberg poi a Padova e finalmente nel 1551
rientrò in Ungheria per trovare una situazione politica molto
seria.
Situazione politica dell'Ungheria nel XVI secolo Infatti,
dopo la disfatta degli ungheresi contro i turchi a Mohacs nel 1526, il paese
magiaro era stato spartito nel 1533 in tre zone: la parte principale
all'impero ottomano, una striscia a nord-ovest agli Asburgo e la parte
orientale alla Transilvania del voivoda (poi principe) Giovanni I Zapolya
(1529-1540), che si era proclamato re d'Ungheria nonostante l'opposizione
degli Asburgo. A Giovanni I era succeduto il figlio minorenne Giovanni II
Sigismondo Zapolya (1541-1571, eccetto il periodo 1551-1556 quando il trono
venne reclamato da Ferdinando d'Asburgo), ma, a causa della sua giovanissima
età, il suo regno venne governato fino al 1559 dalla reggente, la madre
Isabella (figlia di Sigismondo I Iagellone di Polonia e di Bona Sforza) e la
sua corte era posta a Gyulafehérvár.
Dàvid luterano Tornando a D.,
dapprima egli si stabilì nel nord dell'Ungheria (corrispondente all'attuale
Slovacchia) diventando rettore della scuola cattolica di Besztercze e
successivamente parroco in una cittadina della zona, ma verso il 1554, D. si
accostò alle dottrine luterane e fu nominato pastore nella sua città natale,
Kolozsvár, e solo l'anno dopo, grazie alla sua notevole popolarità, diventò
rettore della scuola luterana nel 1555 e pastore capo nell'anno
successivo. Nel 1557 arrivò al vertice della sua carriera luterana, quando
fu considerato capo della Riforma in Transilvania e sovrintendente dei
luterani ungheresi. Egli incontrò in vari dibattiti pubblici il modalista
Francesco Stancaro ed esponenti del calvinismo locale, da cui ne uscì
vincitore, ma fu un momento di riflessione sulle proprie convinzioni
religiose.
Dàvid calvinista Infatti poco dopo entrò in crisi dopo
aver riflettuto sulla visione calvinista della Cena del Signore e fu
convertito nel 1559 alla fede riformata da Peter Juhász (nome umanistico
Melius)(ca. 1536-1572) . Fu per questo espulso dalla Chiesa luterana nel
1560, sebbene cercò di evitare, purtroppo inutilmente, la spaccatura tra le
due principali anime della Riforma ungherese, il che avvenne irreparabilmente
nel 1564. Sempre nel 1564 D. fu eletto vescovo della Chiesa Riformata di
Transilvania, una delle poche chiese calviniste con un sistema episcopale, e
divenne cappellano personale del re Giovanni II Sigismondo.
Dàvid
antitrinitriano Nel frattempo, nel 1562, era giunto a Gyulafehérvár (Alba
Julia), proveniente dalla Polonia, il medico italiano e dissidente religioso
Giorgio Biandrata, che divenne amico di D. e gli fece leggere una copia della
famosa Christianismi restitutio (La restaurazione del Cristianesimo) di
Miguel Serveto, introducendolo all'antitrinitarismo o unitarismo. La
conversione di D. alla nuova fede fu evidente nel 1566, quando egli
fece rimuovere un professore della scuola di Kolozsvár per aver osato
insegnare la dottrina della Trinità: ma il docente licenziato, assieme al
calvinista Melius, chiese ed ottenne dal re la convocazione di un sinodo
nazionale a Gyulafehérvár, che si svolse nello stesso 1566 per essere poi
aggiornato in una nuova sede, a Torda (sempre in Transilvania). Il sinodo
risultò poi un trionfo per gli unitariani: D. e Biandrata poterono battere
così la concorrenza di Melius, che si consolò con la conferma, al sinodo di
Debrecen, della ortodossia calvinista nella rimanente
parte dell'Ungheria. Nel frattempo Biandrata fece pubblicare il libro di
D. De vera et falsa unius Dei, Filii et Spiritus Sanctii cognitione (Della
falsa e vera conoscenza dell'unità di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo), nel
quale il riformatore transilvano ridicolizzava la dottrina della Trinità e
perorava la causa della tolleranza religiosa per tutte le fedi. Questo
discorso venne poi ripreso durante la Dieta di Torda nel gennaio 1568, dove
Giovanni II Sigismondo riconobbe la piena libertà a tutte le confessioni
religiose: fu la prima dichiarazione, al mondo, di tolleranza religiosa mai
pronunciata da un regnante. Oltre a questo, il re aderì apertamente
all'unitarismo con molti nobili della corte e D. divenne il capo della Chiesa
Unitariana di Transilvania. Nel 1570 D. entrò in contatto, e ne fu
influenzato, con lo studioso italo-greco Giacomo Paleologo e il suo discepolo
locale, il rettore del ginnasio di Kolozsvár, János Sommer (1540-1574).
Paleologo polemizzava con un altro famoso antitrinitariano, Fausto Sozzini, a
riguardo della figura di Gesù Cristo, che, per il Sozzini, era un vero uomo
crocefisso, il cui compito era di rivelare Dio agli uomini, permettendo loro
di raggiungere così la salvezza, seguendo il Suo esempio. Il Paleologo,
invece, negava il ruolo di guida del Cristo, per i fedeli verso la salvezza,
e rifiutava, conseguentemente, ogni forma di adorazione di Gesù Cristo. Per
questo, il Paleologo e i suoi seguaci, tra cui si associò anche D., vennero
denominati antitrinitariani non-adoranti in contrapposizione al pensiero
sociniano di tipo adorante. Alla corrente non-adorante aderì anche l'ex
vescovo cattolico e ambasciatore (di madre italiana) Andrea
Dudith-Sbardellati. Purtroppo il momento magico per D. finì solo tre anni
dopo, nel 1571 con la morte a soli 31 anni di Giovanni II Sigismondo e la
salita al trono del cattolico Stefano I Báthory (1571-1586), divenuto in
seguito anche re di Polonia dal 1576 al 1586. Stefano I Báthory tolse a D.
l'incarico di cappellano personale del re e gli impedì di pubblicare altri
scritti: fu un momento molto amaro per D., che oltretutto, pochi anni dopo,
entrò in conflitto sia con Sozzini, che con l'ex amico Biandrata, per la
sopramenzionata polemica tra adoranti e non-adoranti. Dopo essere stato
accusato di blasfemia da parte di Biandrata nell'aprile 1579, fu fatto
arrestare in giugno e imprigionare nella fortezza di Déva dove, a causa del
clima rigido e del fisico debilitato, D. morì il 15 novembre dello stesso
anno. La Chiesa Unitariana di Transilvania, fondata da D., pur attraverso
mille traversie, spietate persecuzioni da parte degli Asburgo cattolici
e spedizioni punitive da parte di fanatici rumeni ortodossi, esiste
ancora oggi formata da 125 chiese, sebbene divisa dal 1918 in un troncone
ungherese (di circa 70/80.000 fedeli) ed uno rumeno.
Davide di
Dinant (ca. 1160 - ca. 1215)
La vita Davide di Dinant,
filosofo e naturalista fiammingo del XII secolo, nacque probabilmente intorno
al 1160, a Dinant nell'odierno Belgio oppure a Dinan in Bretagna. D.
insegnò filosofia all'università di Parigi, dove fu influenzato
dagli insegnamenti di Platone e Aristotele. Di quest'ultimo, D. ebbe
l'opportunità di leggere le idee rielaborate da commentatori arabi, come
Avicebron (1020-1069 ca.), autore della Fons Vitæ, e solo in quegli anni
disponibili ritradotti in latino. Nel 1210 il libro Quatermuli (quaderni
di appunti) di D., confutato successivamente da San Alberto Magno (1205-1280)
e San Tommaso d'Aquino (1221-1274), fu condannato dalla Chiesa ad essere
distrutto sul rogo, condanna confermata nel 1215 dal legato pontificio
Cardinale Robert Courçon (m. 1218). D. stesso dovette fuggire dalla Francia
per sottrarsi alla cattura e morì dopo il 1215. La sua opera principale fu
chiamata anche De tomis id est de divisionibus e di essa ci sono giunti
alcuni frammenti. La condanna degli scritti di D. coinvolse anche quelli di
Aristotele e per un certo periodo, fu bandito lo studio del suo
pensiero.
La dottrina Come il suo collega Amalrico di Béne, D.
insegnava un credo di tipo panteistico e neoplatonico, che prendeva
ispirazione direttamente da Giovanni Scoto Eriugena: in particolare che Dio
era compreso in tutte le cose, Egli era, cioè, la materia prima comune a
tutti gli esseri corporei ed incorporei, l'essenza di tutto ciò che esisteva,
e quindi della realtà, che veniva diviso in tre categorie, materia (il
corpo), intelletto (l'anima) e spirito. Dio dunque, secondo D., era
l'elemento, invariabile e senza forma, alla base di tutto: le differenze
visive delle cose tra di loro diverse erano solamente apparenze
superficiali.
Morone, Giovanni, cardinale di Modena
(1509-1580)
I primi anni Giovanni Girolamo Morone nacque il 25
gennaio 1509 a Milano da una nobile ed illustre famiglia: il padre Conte
Gerolamo Morone (1470-1529) era stato Gran Cancelliere sotto i duchi
Massimiliano (1512-1515) e Francesco II (1522-1535) Sforza, ma, a causa di
una congiura fallita contro gli spagnoli nel 1525, era caduto in disgrazia
presso l'imperatore Carlo V (1516-1556) ed era stato imprigionato e in
seguito aveva dovuto recarsi in esilio a Modena, dove il giovane M. era stato
educato. L'adolescente M. aveva studiato con profitto giurisprudenza a Padova
e nel 1529, all'età di soli 20 anni, era stato nominato vescovo di Modena,
in cambio di un importante servigio reso dal padre al papa Clemente
VII (1523-1534). Tuttavia la nomina venne violentemente contestata dal
cardinale Ippolito d'Este (1509-1572), a cui pare la sede fosse stata
promessa: con l'ausilio del fratello, il duca di Ferrara, Alfonso I d'Este
(duca: 1505-1534) Ippolito si impossessò con la forza della sede vescovile e
non lo cedette al M. fino al 1532 e solo dietro un vitalizio annuale di 400
ducati.
M. in Germania Nel frattempo M. venne utilizzato da Papa
Paolo III (1534-1549) in delicate missioni all'estero, soprattutto in
Germania: dal 1536 fu nunzio presso Ferdinando I, re dei Romani ed in seguito
imperatore (1556-1564), e legato pontificio alle Diete di Hagenau del 1540,
Ratisbona del 1541 e Spira nel 1542. Fu in questo periodo che M. imparò a
conoscere da vicino il luteranesimo ed a rendersi conto che le colpe della
scissione non erano proprie tutte da addossare ai protestanti. Infatti,
quando il 17 giugno 1537, il cardinale Jacopo Sadoleto scrisse a Melantone,
convinto della possibilità di dialogo tra le chiese cristiane e desideroso di
allacciare un rapporto con il più disponibile tra i riformatori luterani al
dialogo con i cattolici, l'unico a prendere le difese del criticatissimo
Sadoleto fu M., che gli scrisse una lettera di solidarietà.
M. ed
il Concilio di Trento Il 1 novembre 1542 M. (creato cardinale il 2 giugno
dello stesso anno), assieme ai cardinali Reginald Pole e Pietro Paolo
Parisio, vescovo di Nusco (m.1545), fu incaricato da Paolo III di aprire
ufficialmente i lavori del Concilio di Trento (lavori ufficiali: 1545-1563),
ma questo primo tentativo di iniziare il tanto atteso concilio fu un vero
fallimento. Comparvero pochissimi delegati e i lavori furono sospesi il 6
luglio 1543. All'apertura ufficiale dei lavori conciliari nel dicembre 1545,
M. non partecipò in quanto era stato, nel frattempo, nominato legato
pontificio a Bologna. Successivamente egli venne incaricato dal papa Giulio
III (1550-1555) di organizzare il rientro dei lavori del concilio nella
sede originaria di Trento, dopo il momentaneo trasferimento degli stessi
proprio a Bologna.
M. a Modena Per quanto riguarda la sua sede
vescovile di Modena, egli vi rientrò nel 1542 e in settembre, avendo ricevuto
allarmanti relazioni dal suo vicario Domenico Sigibaldi, obbligò i
partecipanti dell'Accademia Grillenzoni a sottoscrivere un formulario di fede
cattolica, redatto dal cardinale Gasparo Contarini, gli Articuli orthodoxae
professionis, per allontanare il sospetto di un livello di eresia locale
talmente diffusa e incontrollabile da richiedere un successivo intervento
dell'Inquisizione. Degli intellettuali riformati coinvolti, Ludovico
Castelvetro si rassegnò a sottoscrivere il formulario, invece Filippo
Valentini ed il professore universitario Francesco Porto (1511-1581) si
rifiutarono, preferendo allontanarsi dalla città. Eppure, d'altra parte,
con la nota tecnica di un colpo al cerchio e uno alla botte, M. invitò nella
propria diocesi predicatori eterodossi, come il domenicano Bernardo de'
Bartoli nel 1543 o il minorita Bartolomeo Golfi Della Pergola, che predicò a
Modena durante la quaresima del 1544. Evidentemente l'interesse di M. per la
Riforma - lesse con grande interesse Il Beneficio di Christo di Benedetto
Fontanini e gli scritti di Marcantonio Flaminio - era comunque permeato da un
solido nicodemismo: fu, in questo senso, criticato nella Tragedia intitolata
Libero arbitrio di Francesco Negri da Bassano. Eppure la prudenza non fu
sufficiente a M. per evitare una prima inchiesta aperta nel 1552 da parte del
Grande Inquisitore Gian Pietro Carafa. Nel 1550 M. rinunciò alla sede di
Modena a favore del valdesiano Egidio Foscherari in cambio di una rendita
annuale, ma cinque anni più tardi Giulio III decise di nominarlo vescovo di
Novara (comunque alla morte di Foscherari nel 1564 M. fu nuovamente
proclamato vescovo di Modena).
Il processo Nel 1555 M. venne
inviato come legato pontificio alla Dieta di Augusta, ma l'improvvisa morte
di Giulio III e l'elezione del fanatico Carafa, con il titolo di Papa Paolo
IV (1555-1559), lo obbligò ad un rientro in Italia, seguito dallo stato di
messa in accusa da parte di Paolo IV per eresia. Era l'inizio del regolamento
di conti di Paolo IV nei confronti dei cosiddetti "spirituali", che tra il
1557 ed il 1558 portò in carcere, tra gli altri, M., l'arcivescovo di Otranto
Pietro Antonio di Capua, il vescovo di Cheronissa Giovanni Francesco Verdura,
il sopramenzionato Egidio Foscherari, il cavaliere Mario Galeota ed il nobile
Bartolomeo Spadafora: Reginald Pole si salvò solo per l'intercessione della
regina cattolica d'Inghilterra, Maria Tudor (1553-1558). M. subì un
processo inquisitoriale per sue idee sospette sulla giustificazione per fede
e sulla venerazione dei santi e delle reliquie e incarcerato il 31 maggio
1557 a Castel Sant'Angelo. Per la verità, le accuse contro di lui decaddero
poco dopo, ma l'orgoglioso cardinale pretese le scuse ufficiali del papa, che
non arrivarono, e quindi egli poté essere liberato solo dopo la morte di
Paolo IV il 18 agosto 1559.
Gli ultimi anni Il nuovo papa, Pio IV
(1559-1565) lo scagionò completamente dalle accuse nel 1560 e nel 1563 lo
invitò a presiedere ai lavori conciliari a Trento. Nel 1566 egli fu uno dei
principali candidati al seggio papale, ma gli fu preferito Michele Ghisleri
(un altro inquisitore!), che assunse il nome di Pio V (1566-1572) e che
doveva tutta la sua carriera a Paolo IV: arrivato al potere, nel 1568 Pio V
iniziò a far raccogliere da parte dell'Inquisitore domenicano Camillo
Campeggi (diventato poi vescovo di Nepi e Sutri) una serie di documentazione
atta ad incastrare definitivamente M. e gli altri spirituali, ma, benché
l'Inquisizione procedesse con estrema severità contro alcuni spirituali (un
esempio per tutti il rogo di Pietro Carnesecchi), non si giunse ad un nuovo
processo contro M. probabilmente per la morte di Pio V nel
1572. Finalmente la situazione per M. ritornò normale sotto il successore
Gregorio XIII (1572-1585): M. svolse missioni all'estero, ricoprendo
incarichi ufficiali, ad esempio legato pontificio alla Dieta di Ratisbona nel
1576 e cardinale protettore d'Inghilterra nel biennio 1578-79. Infine,
poco prima della sua morte, avvenuta il 1 dicembre 1580, M. fu nominato
cardinale vescovo di Ostia.
De Dominis, Marco Antonio, arcivescovo di
Spalato (ca. 1560-1624)
D. scienziato L'ecclesiastico e
scienziato dalmata Marco Antonio De Dominis nacque nel 1560 circa (altre
fonti citano il 1566) sull'isola di Arbe, in Dalmazia, da una nobile e agiata
(il padre era un avvocato) famiglia veneziana. Venne educato dai Gesuiti nel
collegio illirico di Loreto e all'università di Padova, ma le fonti
discordano sul fatto che fosse poi entrato successivamente nell'ordine:
secondo alcuni ne fu dissuaso dal cardinale Ippolito Aldobrandini, il futuro
Papa Clemente VIII (1592-1605). Dopo aver completato i suoi studi a Verona,
D. divenne nel 1588 professore di matematica a Padova e nel 1590 professore
di retorica, logica e filosofia a Brescia, ma fu soprattutto il periodo
padovano a potargli notorietà per i suoi studi nel campo dell'ottica, sulla
teoria del telescopio e sul fenomeno dell'arcobaleno. Il suo trattato in
merito Tractatus de radiis visus et lucis in vitris, perspetives et iride,
pubblicato nel 1611, fu citato, molti anni dopo, da Isacco Newton (1642-1727)
nel suo lavoro Optics.
D. arcivescovo di Spalato Nel 1596, grazie
all'influenza dell'imperatore Rodolfo II (1578-1612), D. fu nominato vescovo
di Segna (Zengg), e, nel 1600, di Modrus (ambedue in Dalmazia), ma soli due
anni dopo, nel novembre 1602, fu trasferito a Spalato per diventare, dopo 200
anni di dominio veneziano, il primo arcivescovo di Spalato nato in Dalmazia,
oltre che Primate della Dalmazia e Croazia. Dopo un iniziale periodo positivo
del suo mandato, D. entrò in conflitto con i suoi sottoposti, come il vescovo
di Traù (Trogir), ma soprattutto si mise nei guai, prendendo le parti di
Venezia nel 1606 durante la polemica in atto tra la Serenissima e il Papa
Paolo V (1605-1621), che voleva anteporre la sua autorità alle leggi
veneziane. Il conflitto era stato scatenato dal famoso fra' Paolo Sarpi
(1552-1623), che aveva perfino meditato di far passare la città alla Riforma.
Infatti, in seguito all'interdetto lanciato sulla città da parte del papa
Paolo V il 17 luglio 1606, Sarpi aveva studiato questa clamorosa possibilità,
tuttavia non se ne fece niente perché le vere motivazioni di Sarpi erano più
politiche (contro lo strapotere del papato di Roma) che dottrinali (a favore
della Riforma). D. non solo, come si è già detto, prese le parti di Venezia,
ma divenne amico ed ebbe una fitta corrispondenza con il Sarpi, e inoltre
attraverso i propri studi di diritto canonico, storia della Chiesa e teologia
dogmatica, si rese man mano conto, come lui stesso raccontò nel suo
Consilium profectionis, che il sistema papale era ben lontano dall'ideale di
una vera Chiesa Cattolica.
Esilio in Svizzera e Inghilterra Da
queste sue convinzioni derivò la decisione, dopo un'inutile visita a Roma per
vedere il papa Paolo V, di rassegnare dal ruolo di arcivescovo di Spalato nel
settembre 1616 e di riparare inizialmente in Svizzera, nonostante un
perentorio invito a presentarsi a Roma per spiegare la propria posizione
soprattutto dopo che iniziarono a girare le voci che D. stava scrivendo un
testo fortemente antipapale. Questa spiegazione la fornì invece al governo
veneziano in una lettera, in cui scrisse che voleva dire sì solo la verità,
ma che temeva la rappresaglia dell'Inquisizione. Quindi, dopo aver avuto
assicurazioni da parte dell'ambasciatore inglese a Venezia, Sir Henry Wotton,
su una sicura e positiva accoglienza in Inghilterra, D. decise dalla Svizzera
di recarsi nel Regno Unito, passando da Heidelberg, dove scrisse il libello
antipapale Scogli del naufragio Christiano, e da Rotterdam, e giungendo
infine a Londra il 26 dicembre 1616. Qui, raggiunto nel frattempo dalla
notizia di essere stato scomunicato dalla Chiesa Cattolica, egli venne
accolto a braccia aperte dal re Giacomo I d'Inghilterra (precedentemente
Giacomo VI di Scozia dal 1567) (1603-1625), che lo fece acquartierare presso
l'arcivescovo abate di Canterbury, garantendogli la terza posizione
ecclesiastica più importante dopo gli arcivescovi di Canterbury e York e
obbligando gli altri vescovi a pagargli una pensione.
De republica
ecclesiastica contra Primatum Papae A Londra D. pubblicò in rapida
successione altri due violenti attacchi contro il potere papale, a parte il
già citato Scogli del naufragio Christiano (1618), e cioè il Papatus Romanus
(1617), ma soprattutto il suo lavoro principale, l'utopico De republica
ecclesiastica contra Primatum Papae (1617-1620). Questo testo era stato
influenzato dalle idee dello spiritualista e apologista Richard Hooker
(1554-1600), autore del ponderoso Treatise on the laws of ecclesiastical
polity (trattato sulle leggi del governo ecclesiastico) a difesa della scelta
episcopale nella struttura della Chiesa d'Inghilterra. Nel suo testo D.
scrisse che la Chiesa Cattolica (repubblica e non più monarchia pontificia)
avrebbe dovuto essere organizzata su una base federale e non più
centralizzata, sebbene sempre con un papa come capo simbolico,
o sovrintendente generale, di una Chiesa Universale. D. ipotizzò inoltre
la composizione di questa Chiesa Universale, nel quale far convivere, assieme
a quella cattolica, tante confessioni cristiane, come quelle
anglicane, calviniste, luterane, zwingliane, greco-ortodosse e perfino la
Chiesa d'Etiopia. Accettò la dottrina protestante dei soli due sacramenti,
il Battesimo e l'Eucaristia, sebbene nella sua ipotetica Chiesa federale
stava ai vescovi, ai patriarchi o ai primati la responsabilità di dare
le disposizioni finali in materia dottrinale, quand'anche fosse stato
di accettare tutti e sette i sacramenti.
Studi scientifici in
Inghilterra Nel 1617, anno della sua massima popolarità, D., che già
svolgeva un'apprezzata attività di professore a Oxford e Cambridge,
assistette alla consacrazione di George Montaigne come vescovo di Lincoln e
fu nominato da Giacomo I Decano di Windsor. Inoltre i suoi studi sui fenomeni
ottici, già iniziati a Padova, e sulla teoria delle maree (fu il primo ad
ipotizzare una forza attrattiva tra la Terra e la Luna), lo resero molto
popolare e i suoi scritti furono tradotti dal latino in varie lingue
(inglese, francese, tedesco e polacco). Nel 1618 fu nominato Maestro della
Cappella di Savoy a Londra e infine nel 1619 egli pubblicò a Londra il
manoscritto di Paolo Sarpi, Historia del Concilio Tridentino, con una
introduzione antipapale di D. e una lettera dedicatoria a Giacomo I: tuttavia
in questa occasione rivelò uno dei suoi peggiori vizi, l'avarizia. Infatti si
rifiutò di dare a Sarpi un solo soldo di quelli ricevuti dal re inglese come
compenso per la pubblicazione del testo del frate
veneziano!
Ritorno al cattolicesimo Questo e altri suoi difetti
fecero sì che, dopo cinque anni di permanenza in Inghilterra, i suoi rapporti
con la Chiesa anglicana e con il re Giacomo I fossero notevolmente
raffreddati. Dopo l'annuncio del possibile matrimonio del principe Carlo (poi
re Carlo I: 1625-1649) con una principessa spagnola cattolica e l'elezione
del suo parente Alessandro Ludovisi a Papa Gregorio XV (1621-1623) nel 1621,
D. espresse il desiderio di ritornare in seno alla Chiesa Cattolica nel
gennaio 1622. La reazione del re inglese fu giustamente irata per il
clamoroso voltafaccia, ma alla fine, nonostante che fosse già stato imbastito
un processo a carico dell'ex arcivescovo dalmata, solo grazie all'intervento
dell'ambasciatore di Spagna gli fu permesso di partire, sebbene le casse con
il suo denaro furono sequestrate e restituite solo dopo un penoso e pietoso
appello personale al sovrano inglese. Una volta fuori dall'Inghilterra, i
suoi attacchi contro la Chiesa anglicana furono altrettanto violenti come i
precedenti contro la Chiesa Cattolica e nel lavoro Sui reditus ex Anglii
consilium del 1623, egli si rimangiò tutto quello che aveva scritto nel
Consilium profectionis, dichiarando di aver deliberatamente mentito nelle sua
accusa contro il papato. Dopo un soggiorno di sei mesi a Bruxelles, egli si
recò a Roma, dove visse con una lauta pensione garantita dal papa. Tuttavia
Gregorio XV morì inopinatamente nel luglio 1623, la pensione cessò durante la
sede vacante e non fu più erogata sotto il successivo papa, Urbano VIII
(1623-1644) e il noto attaccamento ai soldi di D. non gli fece tenere a freno
la lingua. L'Inquisizione ne approfittò per riesumare il suo vecchio caso e
farlo imprigionare a Castel Sant'Angelo con la gravissima accusa di essere
un eretico relapso: avendo già abiurato, egli era in serio pericolo di
essere giustiziato sul rogo. Ma D, si ammalò gravemente in carcere e morì
a Castel Sant'Angelo l'8 settembre 1624, mentre stava preparando la sua linea
difensiva e prima che il processo finisse comunque con la sua condanna al
rogo, a causa di compromettenti incartamenti trovati dopo la sua morte: i
giudici dovettero accontentarsi di bruciare il suo cadavere e i suoi
manoscritti il 21 dicembre dello stesso anno a Campo dei
Fiori.
Dee, John (1527-1608)
La vita Il matematico,
mago e astrologo inglese John Dee nacque il 13 luglio 1527 a Londra, figlio
unico di Roland Dee (m. 1555), un ricco mercante in tessuti di origine
gallese e sarto alla corte di Enrico VIII d'Inghilterra (1509-1547), e di sua
moglie Jane Wild. Dal 1537 il giovane D. fu mandato a studiare alla Chantry
School di Chelmsford, nella contea dell'Essex, poi entrò, nel 1542, nella St.
John's College, a Cambridge, dove studiò matematica e astronomia, ottenendo
il suo baccalaureato nel 1546, anno in cui fu nominato membro della
Trinity College, a Cambridge, fondata da Enrico VIII. Nel 1547 D. decise
di recarsi in Olanda per motivi di studio: ritornato dopo un anno ottenne il
laurea in arti liberali, ma dopo poco dovette riparare all'estero sotto
l'accusa di congiura. Ritornò quindi nuovamente nei Paesi Bassi, a Lovanio e
Bruxelles, e in Francia, a Riems, abitandovi tra il 1548 ed il 1551 e
studiando con famosi studiosi locali, come il cartografo Gerardo Mercatore
(1512-1594) e il matematico Pedro Nunez (Nonius) (1492-1577). D. rientrò
in Inghilterra nel 1551 e ottenne una rendita di 100 corone dal re Edoardo VI
(1547-1553) e la posizione di rettore di Upton-upon-Severn. Tuttavia, dopo la
salita al trono della regina Maria Tudor, detta la Sanguinaria (1553-1558),
D. fu, nel 1555, accusato di stregoneria, ed in particolare di aver attentato
alla vita della regina per mezzo di sortilegi maligni e calcoli matematici
(pare che la futura regina Elisabetta gli avesse chiesto di calcolare la data
della morte della sorellastra!) e fu quindi imprigionato a Hampton
Court. Dopo la sua liberazione, le sue fortune iniziarono a migliorare con
l'ascesa sul trono d'Inghilterra proprio di Elisabetta I (1558-1603), in
particolare quando il favorito della regina, Lord Robert Dudley (1532-1588),
chiese a D. di scegliere una data propizia per l'incoronazione della sovrana,
che in questa occasione prese alcune lezioni di astrologia dal mago,
rimanendone molto impressionata. Nei successivi cinque anni D. si dedicò
ai suoi studi di astrologia, astronomia, alchimia, matematica, occultismo e
magia bianca, e ad ampliare la sua ricca biblioteca, ma nonostante i favori
di Elisabetta I, egli non riuscì ad ottenere una totale tranquillità
economica, quindi, per tagliare le spese, andò ad abitare da sua madre a
Mortlake, nella contea del Surrey. In questa casa (che ereditò nel 1580) egli
pose la sua biblioteca di 4.000 volumi e 700 manoscritti, oltre a rari e
strani oggetti, alcuni dei quali andarono distrutti a causa di successive
incursioni e devastazioni (soprattutto durante i suoi frequenti viaggi
all'estero) da parte di teppisti superstiziosi, i quali lo ritenevano amico
del Diavolo. Tra il 1564 e il 1571 egli fece diversi viaggi in Europa [tra
l'altro regalò una copia della sua Monas hieroglyphica al neo-eletto
imperatore Massimiliano II (1564-1578)], mentre in patria, nello stesso
periodo, fu impiegato per istruire gli equipaggi delle navi della Compagnia
di Navigazione anglo-russa Muscovy, fondata dal celebre esploratore
Sebastiano Caboto (1474-1557). Nel 1577 egli pubblicò il trattato Perfect
Arte of Navigation (L'arte perfetta della navigazione), in realtà un testo
di propaganda per la creazione di un impero britannico, mentre l'anno
dopo (1578), dopo due matrimoni senza eredi, si sposò con Jane Fromands, da
cui ebbe otto figli. Dal 1581 egli iniziò ad indagare sempre di più il
mondo del soprannaturale, soprattutto degli angeli, dapprima con esperimenti
di cristallomanzia, una tecnica divinatoria usando sfere di cristallo o
bacinelle d'acqua, e successivamente con ben più inquietanti sedute di
divinazione, mediante rievocazione di morti (necromanzia), con l'aiuto di
Edward Kelly (1555-1593), un medium, sensitivo e alchimista, comunque un vero
truffatore, a cui, per punizione, erano state tagliate le orecchie, e che D.
conobbe nel 1582. Tuttavia non tutti gli autori concordano sul fatto che D.
abbia mai partecipato agli esperimenti di necromanzia organizzati da
Kelly. I due, con le proprie famiglie, viaggiarono tra il 1583 ed il 1589
in Polonia, dove furono ospitati e sponsorizzati dal conte palatino di
Siradz, Albert Laski, nipote del famoso riformatore Jan Laski. A Cracovia
nel 1585 D. incontrò e fece amicizia con il pensatore utopistico Francesco
Pucci, che accompagnò D. e Kelly i due nel loro viaggio a Praga per andare a
visitare l'imperatore Rodolfo II (1578-1612). Qui il loquace e polemico Pucci
abbandonò la compagnia dei due maghi (con sollievo di D., che lo considerava
pericolosamente chiacchierone e utopico: aveva perfino cercato di convincere
D. ad andare a Roma per presentare al papa i suoi esperimenti di
necromanzia!). A Praga i due furono ricevuti da Rodolfo II, al quale, si
dice, D. abbia venduto il misterioso (e tuttora non decifrato) manoscritto
Voynich. Sempre a Praga l'alchimista ebreo Jacob Eliezer, noto come il Rabbi
Nero, donò a D. un libro di magia nera e necromanzia denominato Necronomicon,
ma il mago fu fortemente impressionato dalla lettura e dallo studio del
testo. Poco dopo D. e Kelly litigarono e si separarono in seguito alla
disinvolta (e indecente) proposta di Kelly di mettere le mogli in comune
(sic!): D., ammalato e a corto di quattrini, decise di rientrare a Mortlake
nel 1589, per amaramente constatare che la sua biblioteca, in sua assenza,
era stata saccheggiata dai teppisti. Kelly andò incontro ad un ben più
tragico destino: spacciandosi come lo scopritore della Pietra Filosofale e
dell'Elisir di Lunga Vita, fu eventualmente arrestato come eretico e
stregone, dapprima a Praga poi nella Germania meridionale, dove, nel corso di
un tentativo di evasione nel 1593, cadde rompendosi due coste e ambedue le
gambe e riportando ferite così gravi che ne morì poco dopo. Per D. il
rovescio economico creato dal furto dei libri ed oggetti nella sua biblioteca
fu molto grave e per anni egli si dibatté in condizioni molto disagiate
finché la regina Elisabetta, nel 1596, non lo nominò dapprima cancelliere
della Cattedrale di San Paolo a Londra, poi sovrintendente del Christ College
di Manchester, dove egli si trasferì con la sua famiglia: purtroppo nella
città inglese scoppiò nel 1605 un'epidemia di peste, che uccise sua moglie e
diversi suoi figli. Precedentemente egli aveva lavorato sulla traduzione in
inglese del famigerato Necronomicon, che però non venne mai stampato e
probabilmente contribuì alle accuse di stregoneria, contro le quali egli
dovette difendersi negli ultimi anni della sua vita. D. morì poverissimo a
Mortlake il 26 marzo 1609.
Le opere Come già detto, la vastità
degli studi di D. sulla astrologia, astronomia, alchimia, matematica e magia
bianca, è veramente notevole. Le opere più importanti sono: Monas
hieroglyphica (1564), un testo di ermetismo, cabala ed
alchimia. Propaedeumata Aphoristica (1568), una miscela di concetti di
fisica, matematica, astrologia e magia. Parallacticae commentationis
praxosque (1573), un trattato di metodi trigonometrici per calcolare le
distanze delle stelle. Perfect arte of navigation (1577), un libro di
propaganda per la creazione di un impero britannico. Inoltre l'esperienza
fatta nelle comunicazioni con gli angeli di D. e Kelly venne riassunta nel
libro A true and faithful relation of what passed between Dr. Dee and some
spirits (Una vera e fedele relazione delle comunicazioni tra il Dr. Dee e
alcuni spiriti), scritto da Méric Casaubon (1599-1671), figlio del più noto
Isaac, basandosi sulle annotazioni originali del mago inglese, rinvenute dopo
la sua morte.
Rioli, Giorgio (Siculo, Giorgio) (ca. 1517-1551) e
i georgiani
La vita Né con la Chiesa Cattolica, né con i
Protestanti: Giorgio Rioli iniziò questa sua scomoda avventura di dissidente
isolato, nascendo nel 1517 circa a San Pietro Clarenza, sulle pendici
dell'Etna, in provincia di Catania. Della prima parte della vita di
quest'uomo, più universalmente noto come Giorgio Siculo (che, contrariamente
alle convinzioni di alcuni autori, non ha nulla a che fare con il
corregionale Camillo Renato), non si conosce praticamente nulla fino alla sua
ammissione nel monastero benedettino di San Niccolò l'Arena di Catania il 24
febbraio 1534, dove conobbe e diventò amico del confratello Benedetto
Fontanini da Mantova, l'autore dell'arcinoto Beneficio di Christo, residente
nel monastero di Catania tra il 1537 ed il 1543. R. fu un uomo
indubbiamente carismatico, ma di scarsa cultura: scriveva in dialetto
siciliano e, per poter rendere i propri testi più leggibili, necessitò spesso
di traduzioni in italiano o in latino fornite da parte dei confratelli, o il
sopramenzionato Benedetto Fontanini o Luciano degli Ottoni, abate di Santa
Maria di Pomposa e uno dei suoi più convinti seguaci. Alla fine del 1546 egli
cercò di intervenire nei lavori del Concilio di Trento (1545-1563), inviando
il suo De iustificatione ad Ottoni, poi cercando di farsi ricevere
direttamente dal cardinale Reginald Pole, per presentare le sue dottrine
profetiche ed apocalittiche. Poco dopo, nel 1548 esplose il caso di Francesco
Spiera, l'avvocato di Cittadella, che aveva dovuto abiurare dal suo credo
luterano, ma che, in seguito, ne era morto per il rimorso. R., dopo il
tentativo di intervento al concilio di Trento, era comunque rimasto in zona,
e più precisamente a Riva di Trento, dove dedicò ai fedeli della cittadina
una predica quaresimale sul caso Spiera, da cui venne tratta la sua opera più
nota, l'Epistola di Georgio Siculo (.). Ma, solo qualche mese dopo, nel
settembre 1550, mentre stava predicando contro i luterani a Ferrara, fu
arrestato con l'accusa di eresia. Da una parte non poteva certo contare
sull'appoggio dei evangelisti e riformatori, i quali, come Giulio Della
Rovere o Celio Secondo Curione o perfino lo stesso Calvino, lo avevano (o lo
avrebbero) attaccato duramente nei loro scritti, dall'altra il cardinale
Ercole Gonzaga (1505-1563) aveva coinvolto il cugino duca Ercole II d'Este
(1534-1559) per poter punire esemplarmente il monaco benedettino e reprimere
il più possibile la setta dei seguaci del "Don Georgio impio heretico", come
R. stesso venne definito da un inquisitore. Perfino l'Inquisizione romana si
interessò a lui e ne chiese inutilmente l'estradizione, ma il duca di Ferrara
si assicurò che il processo si svolgesse sotto la sua
giurisdizione. Durante il processo R. dichiarò la sua decisione di abiurare,
e quindi fu ordinato che dovesse farlo pubblicamente il 30 marzo 1551 nella
chiesa di San Domenico a Ferrara, davanti all'Inquisitore fra' Michele
Ghisleri da Alessandria (il futuro Pio V: papa dal 1566 al 1572) e ad Ercole
II d'Este, ma sorprendentemente, considerando che egli era stato uno strenuo
difensore dell'atteggiamento nicodemitico, R. si rifiutò. A quel punto, il
suo destino era segnato: riportato in carcere, R. vi fu strangolato due mesi
dopo, la sera del 23 maggio 1551.
Le opere Detto del De
iustificatione del 1546, il libro di R. che ebbe la maggior diffusione, ma
che sollevò anche un grande scalpore, fu l'Epistola di Georgio Siculo servo
fidele di Iesu Christo alli cittadini di Riva di Trento contra il mendatio di
Francesco Spiera et falsa dottrina de' protestanti, stampata nel 1550 a
Bologna. Benché all'apparenza sembri un testo cattolico tutto proteso contro
la dottrina calvinista della predestinazione e di quella luterana della
giustificazione per sola fede, il testo anelava invece, similmente alla
"terza via cristiana", e cioè al pensiero anabattista e antitrinitario
(quest'ultimo secondo la dottrina di Miguel Serveto), alla palingenesi o
apocatàstasi, la salvezza per tutta l'umanità, grazie all'opera redentrice
del Vangelo trasmesso da Cristo morto in croce e per mezzo della Grazia di
Dio. Poco dopo, nello stesso anno, comparve il suo Espositione.nel nono
decimo et undecimo capo della Epistola di San Paolo alli Romani, con un suo
commento sulla lettera paolina più discussa dai luterani. Gli altri suoi
pensieri, noti in forma orale durante la sua vita, furono pubblicati postumi
in un libro, latinizzato da Luciano degli Ottoni, con il titolo di Libro
maggiore o Libro grande o Libro della verità christiana et dottrina
apostolica.
La dottrina Profetico, mistico e apocalittico, R.
raccontava ai suoi seguaci che Cristo gli era apparso in persona per
comunicargli che tutti i sacramenti erano completamente inutili (anche il
Battesimo, ed in questo si differenziava dagli anabattisti) e che l'unica
cosa che poteva rimettere i peccati era la fede nel Signore. R. inoltre
negava l'autorità papale, la gerarchia ecclesiastica, il culto della Vergine
e dei santi, il valore meritorio delle opere, la messa, le indulgenze, la
presenza reale nell'Eucaristia, ma esaltava la ragione e la dignità della
natura umana. Indipendente e critico delle correnti principali del
protestantesimo, R. favoriva una religiosità semplificata e spirituale: per
lui, era preferibile mantenere una certa indifferenza di fronte alle
professioni di fede e anzi perfino accettare esteriormente una confessione
religiosa, soprattutto quella cattolica, anche se non vi si credeva. Da qui
le pesanti accuse di nicodemismo lanciate da Calvino.
I
seguaci Le idee di R. ebbero un certo seguito negli anni successivi ed
influenzarono diversi dissidenti e seguaci, denominati georgiani, come: Il
già citato Luciano degli Ottoni, che dovette dimettersi dall'incarico
di abate di Pomposa e fu processato nel 1552, ma che morì alla fine
dello stesso anno. Il medico e poeta di Argenta Francesco Severi, che fu
decapitato e arso a Ferrara nel 1570, Il prete e letterato ferrarese
Nascimbene Nascimbeni (m. dopo 1578), che abiurò per opportunità nel 1551 e
nel 1560, ma che nel 1570 si presentò spontaneamente agli Inquisitori,
permettendo di riaprire il procedimento decisivo a carico dei seguaci di S.
oramai vent'anni dopo la morte del loro capostipite. Francesco Pucci,
curiosamente considerato l'erede del pensiero di R., pur non avendolo mai
conosciuto.
La vita Il grande giurista e filosofo Ugo Grozio
(forma italianizzata di Huig De Groot) nacque il 10 aprile 1583 a Delft, in
Olanda, da Jan De Groot, sindaco di Delft e curatore dell'università di
Leida, discendente da una famiglia nobile di lontane origini
francesi. Bambino prodigio, già all'età di 8 anni G. componeva versi in
latino e, a 11 anni, iniziò a frequentare l'università di Leida, dove si
laureò a soli 15 anni, nel 1598. Nello stesso anno egli accompagnò l'Avvocato
Generale dello Stato Jan Van Oldenbarnevelt in missione diplomatica in
Francia, dove fu benevolmente accolto dal re Enrico IV (1589-1610) come il
miracolo d'Olanda. Nel 1599, rientrato in Olanda, G. iniziò a lavorare come
avvocato all'Aia per la Compagnia Olandese delle Indie Orientali, voluta da
Van Oldenbarnevelt, ma questa attività non gli impedì di scrivere e
pubblicare nel 1610 la storia delle origini della repubblica olandese con il
titolo di De Antiquitate Reipublicae Batavicae. Tuttavia, dall'anno
successivo, 1604, G. iniziò a scrivere i trattati su temi legali, che lo
resero famoso: il primo trattato fu De jure praedae (La legge della preda),
di cui un capitolo, noto come Mare Liberum, disquisiva sull'infondatezza
della pretesa di alcune nazioni, come il Portogallo, di considerare l'oceano
come proprietà privata e quindi sulla legittimità dell'episodio, accaduto in
quegli anni, della cattura di un galeone portoghese da parte del capitano
olandese Heemskirk, comandante di una delle navi della Compagnia Olandese
delle Indie Orientali. Nel 1607 G. fu nominato Avvocato del Fisco Olandese,
che comprendeva i ruoli di Procuratore Generale, Pubblico Ministero e
Sceriffo. Questo fu seguito, nel 1608, dal suo matrimonio con Marie van
Reigersberch (o Reigersberg), una 19enne proveniente da una ottima famiglia
dello Zeeland e dalla quale G. ebbe tre figli. Infine nel 1613 egli fu
nominato rappresentante della città di Rotterdam presso gli Stati Generali
Olandesi, ma la sua buona stella iniziò a declinare quando decise di aderire
al movimento degli arminiani, fondato da Jacob Arminius qualche anno prima.
Ciò lo portò in conflitto con la fazione calvinista osservante, capeggiata
dal teologo Franz Gomar e sostenuta, per motivi di potere politico, dallo
stadtholder (governatore) Maurizio di Orange-Nassau
(1567-1625). Quest'ultimo aveva deciso di farla finita con il suo ex mentore,
ma ora suo avversario politico, Jan Van Oldenbarnevelt e con il movimento
degli arminani, dopo che essi avevano presentato, sotto la guida dei capi
Simon Bischop (nome umanistico: Episcopius) (1583-1643) e Jan
Uytenbogaert (1577-1644) e su consiglio di Van Oldenbarnevelt stesso, le loro
idee con forte spirito polemico (per questo erano stati ribattezzati
rimostranti) agli Stati Generali Olandesi nel 1610. Nel 1618, Maurizio
fece convocare il concilio di Dort (Dordrecht) (novembre 1618- maggio 1619),
dove l'armianismo fu condannato senza appello, nonostante l'autorevole
supporto di Van Oldenbarnevelt e di G. Il 29 agosto 1618 avvenne la resa dei
conti: con un colpo di stato Maurizio fece arrestare e processare l'anziano
Van Oldenbarnevelt per alto tradimento: fu decapitato il 13 maggio
1619. Anche G. fu arrestato e condannato, assieme al rappresentante di
Leida Rombout Hoogerbeets, al carcere a vita nel castello di Loevestein.
Tuttavia, il 22 marzo 1621, la moglie riuscì ad organizzare la sua
rocambolesca fuga dalla fortezza: approfittando che una cassa di libri non
veniva mai aperta e controllata, Marie riuscì a nascondervi dentro il marito
e a farlo portare fuori dal castello dai suoi stessi carcerieri! Una volta
libero, G. fuggì dapprima ad Anversa, poi a Parigi, dove, nonostante una
ricca rendita concessa dal re Luigi XIII (1610-1643) (in realtà mai pagata),
egli si trovò in forti difficoltà economiche. Ciononostante fu proprio qui
dove, dal 1623, G. scrisse la sua opera principale, il De jure belli et pacis
(La legge della guerra e della pace), pubblicata nel 1625 e che, nonostante
un debito di idee nei confronti di precedenti studiosi di legge, come
l'italiano Alberico Gentili (1552-1608), a cui G. si ispirò, fece guadagnare
al suo autore il titolo di Padre del Diritto Internazionale moderno. Nel
1631, forse pensando ad un suo perdono anche in considerazione della morte
del suo persecutore Maurizio di Orange-Nassau, avvenuta nel 1625, G. ritornò
in patria. Per qualche mese lavorò facendo il suo vecchio mestiere di
avvocato e gli fu perfino offerto il posto di Governatore Generale in Asia
della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, ma ben presto i suoi nemici
piazzarono sulla sua testa una taglia di 2.000 guilders : G. decise quindi
nell'aprile 1632 di abbandonare per sempre la sua patria per recarsi in
Germania. Dopo una permanenza ad Amburgo di tre anni, G. si recò a Stoccolma
e qui fu nominato nel 1634 dalla regina Cristina (1632-1654) ambasciatore di
Svezia presso la corte francese di Luigi XIII, dove però fu preso in
antipatia dal famoso e potente cardinale Richelieu (1585-1642), nonostante i
suoi buoni uffici nell'organizzare le prime trattative per la fine della
guerra dei Trent'anni (1618-1648). Nel 1644 G. fu richiamato in Svezia
dalla regina Cristina e nel marzo 1645 prese definitivo congedo dalla corte
svedese, imbarcandosi con la famiglia su una nave, che però fece naufragio
vicino a Danzica. Il 13 agosto la nave riprese il mare con rotta per Lubecca,
otto giorni più tardi dovette però rifugiarsi a Rostock, in Germania, a causa
di violenti tempeste. Qui G. si ammalò gravemente e morì il 28 (o 29) agosto
1645. Le sue ultime (e amare) parole furono: Pur capendo molte cose, non ne
ho portato a termine nessuna. Le opere Come detto l'opera più famosa di
G. fu il De jure belli et pacis (La legge della guerra e della pace), dove G.
espresse il parere che il principio del diritto pubblico dovesse essere
ricercato nelle Leggi della Natura (dottrina chiamata giusnaturalismo), che
le nazioni, per essere riconosciute legittime, avrebbero dovuto rispettare.
Inoltre per G. il potere dello stato doveva essere sancito mediante un patto
che vincolasse tutti, governanti e governati, e che fosse illegale
infrangere. Oltre a lettere, traduzione di classici latini, ecc., le altre
opere di G., degne di nota, sono: Il già citato De jure praedae (La legge
della preda), La storia dell'Olanda (di De Antiquitate Reipublicae
Batavicae), Trattati religiosi come Bewys van den Waren Godtdienst (una prova
della vera religione),e De veritate religionis Christianae (la verità
della religione cristiana) dove entrò in profonda polemica contro Gomar,
invocando la tolleranza ed il liberismo, Il tomo fondamentale per la legge
olandese (fino al 1809): Inleiding tot de Hollandsche Rechtsgeleertheyd
(introduzione alla giurisprudenza in Olanda).
Labadie (o de Labadie),
Jean (1610-1674) e labadisti
Il teologo e mistico francese Jean
Labadie, precursore dei movimenti quietista e pietista, nacque nel 1610 a
Bourg-en-Guyenne, nella regione del Bordeaux, e proprio nel capoluogo omonimo
studiò, dal 1625, presso il collegio dei gesuiti, entrando successivamente
nella Compagnia di Gesù. Nel 1635 L. venne ordinato prete e per quattro anni
si dedicò alla predicazione e all'insegnamento, ma, spirito inquieto sempre
più portato al misticismo, decise nel 1639 di uscire dall'ordine per
occuparsi solo delle sue attività sacerdotali. Nel 1649 entrò nel convento
carmelitano, appena fondato nel 1641, di La Graville, vicino a Bernos, in
Francia, ma l'impatto delle sue idee mistiche e delle frequenti penitenze a
cui si sottoponeva fu elevatissimo sui confratelli. La tempestiva decisione
del vescovo locale fu quindi di espellere L. dal convento e, non riuscendo
più a ricuperare la situazione, di chiudere la comunità stessa. L'anno
successivo (1650) L. si convertì al calvinismo, ma portò con sé la propria
ansia interiore: rifugiatosi a Ginevra, tentò di fondare una comunità mistica
di adepti che si ritenevano predestinati alla salvezza e che rifiutavano
sacramenti, pratiche religiose, dogmi e
gerarchia ecclesiastica. Ovviamente egli incontrò sempre la resistenza e
l'ostilità della chiesa ufficiale, sia cattolica che riformata. Dopo Ginevra,
L. emigrò a Middleburg, in Olanda, per fondare una propria comunità, la quale
scisse ogni legame con la Chiesa Riformata d'Olanda e organizzò la
propria esistenza in una sorta di comunismo cristiano. Tuttavia le
posizioni ferocemente adogmatiche di L., riassunte nel suo Manuale di pietà,
gli costarono l'espulsione dall'Olanda; venne allora accolto in una comunità
di lingua francese ad Altona, nella regione tedesca dell'Holstein, dove morì
nel 1674. Dopo la sua morte, le congregazioni dei suoi seguaci, denominati
labadisti, continuarono il suo esperimento comunitario ancora per circa 60
anni, finché nel 1732 vennero riassorbite dal movimento del conte pietista
Nikolaus Ludwig Graf von Zizendorf, fondatore della Herrnhuter
Brüdergemeine (comunità dei fratelli a Herrnhut).
Bruno, Giordano
(1548-1600)
La gioventù Il famoso filosofo Giordano Bruno (il
nome di battesimo era Filippo, ma lo cambiò in Giordano quando entrò
nell'ordine dei domenicani) nacque nel gennaio (o febbraio) 1548 a Nola, in
provincia di Napoli, dal gentiluomo (dedito alla carriera militare) Giovanni
Bruno e da Fraulissa (o Fraulisa) Savolino, modesta proprietaria terrena. A
Nola B. frequentò il ginnasio locale e nel 1560 si trasferì allo Studio, un
liceo di Napoli, dove studiò lettere, logica, dialettica e filosofia
aristotelica [quest'ultima sotto l'agostiniano Fra Teofilo da Vairano (m.
1578)]. Nel 1565 B. entrò come novizio nel convento domenicano di San
Domenico Maggiore, dove il 16 giugno 1566 prese i voti, diventando professo.
Come già detto, in questa occasione egli prese il nome di fra Giordano. A
San Domenico B. si fece notare per le sue capacità mnemoniche, tant'è che nel
1568-69 venne invitato a Roma da Papa Pio V (1566-1572), al quale dedicò la
sua prima opera (andata perduta) L'arca di Noé. Nel periodo 1568-72
egli proseguì i suoi studi di logica e filosofia e nel 1572 venne
ordinato sacerdote. Nello stesso anno si iscrisse al corso di Teologia presso
lo Studio, dal quale uscì laureato nel luglio 1575. In questo periodo B.
coltivò la lettura di autori alquanto off-limits per un convento, come
Raimondo Lullo (1235-1315), testi di cabala, neoplatonici come Plotino
(205-270), Porfirio (ca. 233-305), Giamblico (ca. 245-ca. 325) e Proclo (ca.
410-485) fino a Nicola Cusano (1401-1464), del quale B. apprezzò il tentativo
di conciliare tradizione magica neoplatonica e Cristianesimo, e al grande
Erasmo da Rotterdam, con il quale condivise la critica alla Chiesa
cattolica.
B. abbandona la tonaca All'inizio del 1576 la crisi:
trascinato in un violento battibecco con un confratello, B. venne accusato di
arianesimo e di antitrinitarismo, ma egli non attese il processo a suo
carico, preferendo invece fuggire a Roma, presso il convento di Santa Maria
sopra Minerva, dove però, alla fine del marzo 1576, si mise ancora nei guai,
essendo stato accusato di aver provocato la morte di un frate domenicano,
testimone nel suo processo napoletano. B. allora prese la decisione di
gettare la tonaca e dirigersi verso il nord Italia, a Genova, Noli, Savona,
Torino e Venezia, dove venne pubblicato un'altra sua opera perduta, il
trattato astrologico De' segni de' tempi. Nella vicina Padova si rivestì con
la tonaca (probabilmente per puri motivi di opportunità), recandosi a
Brescia, Bergamo, Milano, ed infine a Chambery, nella Savoia, dove svernò nel
1578-79 per poi proseguire per Ginevra nella primavera 1579.
B. a
Ginevra Nella città svizzera, B. venne subito avvicinato dal marchese di
Vico, Galeazzo Caracciolo, capo della comunità degli esuli religiosi
italiani, che cercò di convincere B. a convertirsi alla religione calvinista,
al cui credo pare che B. aderisse per un certo periodo. Tuttavia il soggiorno
ginevrino venne guastato da un clamoroso incidente di percorso con il
professore di filosofia dell'Accademia Antoine De la Faye (1540-1615), alle
cui lezioni il filosofo nolano aveva assistito. In uno scritto polemico, B.,
vero esperto del pensiero aristotelico, contestò ben 20 errori commessi in
una sola lezione da De la Faye, vera e propria imprudenza perché
quest'ultimo, molto immanicato politicamente presso l'establishment
calvinista, fece arrestare B. e il nostro poté cavarsela, il 27 agosto 1579,
solo con un penoso atto di pentimento pubblico, seguito dalla distruzione
pubblica, a cura dello suo stesso autore, dello scritto polemico. Scontata
l'umiliante pena, B. lasciò immediatamente Ginevra per Tolosa, in Francia,
dopo aver transitato da Lione.
B. in Francia A Tolosa B. rimase
per circa venti mesi, divenendo lettore pubblico di filosofia e scrivendo un
commento al Tractatus de sphaera mundi dell'astronomo agostiniano Johannes de
Sacrobosco (1195-1256), ma fu costretto nel 1581 a lasciare Tolosa a causa
della guerra civile tra cattolici e ugonotti e, mediante un viaggio
avventuroso e pieno di pericoli, si recò a Parigi. Qui egli tenne un ciclo di
trenta lezioni alla Sorbona sugli attributi divini secondo Tommaso d'Aquino
(1221-1274), che suscitarono l'ammirazione del re francese Enrico III
(1574-1589), al quale B. dedicò il suo De umbris idearum, un testo di arte
mnemotecnica, ispirata alle dottrine del francescano Raimondo Lullo
(1235-1315). Il periodo molto favorevole per B. gli permise di poter scrivere
e pubblicare diversi altri trattati di mnemotecnica, come Cantus circaeus e
De compendiosa architectura et complemento artis Lullii, oltre alla commedia
in lingua italiana Il candelaio.
B. in Inghilterra Nell'aprile
1583, al seguito dell'ambasciatore Michel di Castelnau (1520-1592), signore
di Mauvissière, B. si recò in Inghilterra, a Londra, dove, secondo lo storico
John Bossy, svolse attività di spionaggio, sotto lo pseudonimo di Henry
Fagot, al servizio di Sir Francis Walshingham (m.1590) proprio contro
l'ambasciatore francese. Comunque, a parte questo episodio alquanto oscuro,
in Inghilterra B. conobbe diversi personaggi famosi dell'epoca, come la
stessa regina Elisabetta I (1558-1603), John Dee, il nobile polacco Albert
Laski (m. 1605), nipote del riformatore Jan Laski, e il poeta Sir Philip
Sidney (1554-1586), del quale divenne amico, dedicandogli la sua famosa opera
Spaccio della bestia trionfante. Pubblicò inoltre altre opere fondamentali
come Ars reminiscendi, Explicatio tringinta sigillorum, Sigillus sigillorum,
De la causa, principio et uno, De infinito, universo et mondi, La cabala del
cavallo pegaseo con l'aggiunta dell'asino cillenico e Degli eroici furori
(anche quest'ultima dedicata a Sidney). B. si recò anche ad Oxford, dove però
si scontrò con il teologo inglese, e futuro vescovo di Oxford, John Underhill
(ca. 1545-1592) in un dibattito sulla filosofia aristotelica, degenerata ben
presto in una rissa verbale. Nonostante l'incidente egli venne accettato come
docente di filosofia, tuttavia non era destino egli rimanesse per troppo
nella città universitaria: infatti alla terza sua lezione imperniata sulle
teorie copernicane, venne tacciato di plagio nei confronti di Marsilio
Ficino (1433-1499) e invitato ad andarsene. Il filosofo nolano,
offesissimo, lasciò Oxford per tornare a Londra, ma anche qui fu protagonista
di un ennesimo episodio di scontro con i cattedratici inglesi. Infatti,
durante una cena presso il nobile Sir Fulke Greville (1554-1628), il 15
febbraio 1584 (Mercoledì delle ceneri), egli entrò in polemica sulle sue idee
sull'universo con due professori di Oxford, tali Torquato e Nundinio
[pseudonimi probabilmente del medico George Turner (1565-1610) e del
sopramenzionato John Underhill], A dir la verità, furono proprio questi
ultimi a provocare la rissa: il tutto venne descritto in uno dei suoi più
famosi libri La Cena delle ceneri, fortemente caustico nei confronti della
realtà inglese del momento. La pubblicazione dell'opera provocò una tale
reazione a catena (compresa la devastazione dell'ambasciata francese) da
costringere B. a ritornare in Francia nell'ottobre 1585.
B.
nuovamente in Francia Ma in Francia la situazione politica era cambiata: la
tensione tra cattolici e ugonotti era alle stelle e i Duchi cattolici di
Guisa guidavano la Santa Unione, o Lega, opponendosi al re Enrico III, che
aveva nominato suo erede al trono, nel 1584, il cognato protestante Enrico di
Borbone. Da lì a poco il confronto sarebbe sfociato in tragedia con la fuga
del re da Parigi nel maggio 1588, l'assassinio, su ordine del re, dei Duchi
di Guisa nel dicembre 1588, e la morte del sovrano stesso, ucciso a sua volta
dal pugnale di un fanatico domenicano, Jacques Clément, nell'agosto
1589. B. rimase in Francia solo nove mesi, ma in questo periodo il suo
spirito indomitamente polemico gli procurò altri guai in almeno due
occasioni: quando insultò un protetto dei cattolici Guisa, il matematico
salernitano Fabrizio Mordente, inventore del compasso differenziale, al quale
dedicò il sarcastico dialogo Idiota triumphans seu de Mordentio inter
geometras deo [il litigio era nato da una presentazione non molto lusinghiera
di B. (Dialogi duo de Fabricii mordentis salernitani prope divina
adinventione ad perfectam cosmimetria praxim) sull'invenzione del Mordente],
e quando pubblicò l'opuscolo anti-aristotelico Centum et viginti articuli de
natura ed mundo adversos peripateticos, suscitando la reazione risentita
dei cattedratici francesi del Collège de Cambrai, anche se la
paternità dell'opera fu prudentemente occultata come farina del sacco del
suo principale allievo, Jean Hennequin.
B. in Germania e in
Boemia Nuova emigrazione dell'inquieto filosofo, questa volta in Germania,
nel giugno 1586: dopo una veloce passata a Marburg (dove ebbe tempo di
litigare con il rettore dell'università, Petrus Nigidius!), B. arrivò a
Wittenberg nell'agosto 1586 e qui egli insegnò filosofia all'università per
due anni e poté pubblicare diverse opere, come De lampada combinatoria
lulliana, De progressu et lampada venatoria logicorum, Artificium
perorandi, Animadvertiones circa lampadem lullianam e Lampas tringinta
statuarum. Ma nel 1588 egli decise di lasciare Wittenberg per le mutate
condizioni religiose: infatti al luterano Augusto I, principe elettore di
Sassonia (1541-1586), era succeduto il figlio Cristiano I (1586-1591), che
aveva nominato suo cancelliere Nicholas Crell (o Krell), il cui pensiero
religioso era allineato con la dottrina dei filippisti, seguaci di Philipp
Melantone, cioè una forma di cripto-calvinismo con simpatie verso alcuni
punti della dottrina di Giovanni Calvino. Grazie al suo potere, Crell
favorì la promozione di calvinisti a posizioni di rilievo e prestigio: la
perdita dei riferimenti luterani accelerò la decisione del nolano di
abbandonare Wittenberg, dopo una dotta orazione d'addio (Oratio valedictoria)
pronunciato l'8 marzo 1588 davanti ai professori e studenti della locale
università. Si recò allora a Praga, dove fece pubblicare i suoi Articuli
centum et sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque
philosophos, dedicati all'imperatore Rodolfo II (1576-1612). Questi donò a B.
una borsa di 300 talleri, ma non un incarico all'università al quale il
filosofo ambiva, ragione per cui B. decise di emigrare nuovamente, questa
volta ad Helmstadt, nel ducato del Braunschweig (Brunswick), dove poté
insegnare, dal gennaio 1589, come libero docente all'Accademia Giulia,
fondata dal duca Julius von Braunschweig-Wolfenbuttel (1568-1589), alla morte
del quale B. scrisse la Oratio consolatoria. Almeno formalmente egli aderì,
in questo periodo, al luteranesimo, ma ciò non impedì al sovrintendente della
locale Chiesa luterana Gilbert Voët (da non confondere con il teologo
olandese calvinista Gisbert Voët) di scomunicarlo, ufficialmente per
filo-calvinismo, ma più probabilmente per espressioni ingiuriose che B. aveva
pronunciato contro il pastore stesso. La scomunica luterana (quindi, dopo
quella cattolica e calvinista, anche l'ultima delle tre maggiori confessioni
cristiane occidentali lo aveva scomunicato!) non impedì a B. di continuare a
vivere a Helmstadt, anche per la benevolenza del nuovo duca Heinrich Julius
(1589-1613), fino alla primavera 1590 e di concepire qui i suoi trattati
sulla magia, come De magia, Theses de magia, De rerum principiis et elementis
et causis, Medicina lulliana e De magia mathematica. Il 2 giugno 1590 B.
giunse a Francoforte, ma la richiesta di un permesso di soggiorno venne
respinta dal senato della città, e quindi il filosofo alloggiò
provvisoriamente presso un convento di carmelitani. Riuscì comunque a
pubblicare la sua importante trilogia di trattati filosofici in latino
(De triplice minimo et mensura, De monade, numero et figura e De
innumerabilis, immenso et infigurabili seu de universo et mundis), dedicati
al duca Heinrich Julius, e, dopo aver passato l'inverno a Zurigo come
docente privato di filosofia, rientrò a Francoforte nella primavera 1591 per
curare la pubblicazione del De imaginum, signorum et idearum compositione,
una rivisitazione dei suoi testi sulla mnemotecnica. Nella città tedesca egli
fu raggiunto dalla lettera del nobile veneziano Giovanni Mocenigo, che
lo invitava a recarsi a Venezia per insegnare l'arte della memoria. B.
accettò e nell'agosto 1591 partì alla volta dell'Italia.
B.
ritorna in Italia Perché il più volte scomunicato B. abbia accettato di
rientrare in Italia è stato oggetto di approfondite analisi di critici e
storici e varie sono le ipotesi formulate: A livello europeo, B. era
oramai isolato ed era stato scomunicato ripetutamente, mentre, d'altra parte,
Venezia era nota per una certa autonomia ed indipendenza decisionale nei
confronti del potere papale. Il Mocenigo aveva offerto denaro e ospitalità
per poter ricevere lezioni sull'arte mnemotecnica (anche se il suo principale
intendimento era di essere iniziato alle arti occulte) e gli estimatori
generosi di B. non erano poi così numerosi. Nella vicina Padova era
vacante la prestigiosa cattedra di matematica e le esperienze di Oxford,
Praga e Francoforte avevano mostrato a B. come era difficile vivere senza una
rendita fissa. Ma alcuni autori ipotizzano che B. si sentisse addirittura
investito di una missione: realizzare praticamente la nuova visione dell'uomo
in senso panteistico e magico e finalmente mondato dal dogmatismo e
dall'intolleranza della Chiesa. Comunque nell'agosto 1591 B. giunse a
Venezia, e dopo tre mesi si recò a Padova, dove cercò inutilmente di ottenere
la cattedra di matematica e dove, con l'aiuto del suo discepolo Jerome Besler
(1566-1632), scrisse il De vinculis in genere e Lampas triginta
statuarum. Ritornato a Venezia, B. snobbò e trascurò il lavoro di precettore
del Mocenigo, un nobile sì ma di scarsa cultura, che, come già detto,
era probabilmente più interessato alle arti occulte, che a quelle
mnemotecniche. Deluso e sentendosi truffato, Mocenigo, dopo aver raccolto
delle informazioni sul suo conto presso un corrispondente a Francoforte,
fece arrestare B. la notte del 22 maggio 1592 e lo consegnò all'Inquisizione
con l'accusa di eresia e blasfemia. Nei due mesi successivi B. venne
sottoposto a 7 interrogatori (o costituti), al termine dei quali B. chiese di
abiurare e di essere perdonato e i giudici veneziani sembravano perfino
favorevoli a questa soluzione.
B. a Roma: il processo e la
morte Tuttavia il Santo Uffizio romano chiese a gran voce, il 12 settembre,
la sua estradizione: questo primo tentativo fu respinto dai giudici
veneziani, ma nulla essi poterono contro una seconda richiesta, motivata dal
fatto che B. comunque non era cittadino veneziano. Il 27 febbraio 1593 B. fu
dunque trasferito a Roma ed incarcerato nel palazzo del Santo Uffizio. I
successivi 7 anni si trascinarono in interminabili interrogatori (e probabili
torture, soprattutto dal 1597) da parte di una Congregazione composta da
sette cardinali e otto teologi, che dovettero anche studiare le sue
innumerevoli opere. Nel 1597, anno del rogo di Francesco Pucci e della
condanna di Tommaso Campanella, detenuti nella stessa prigione di B., nel
processo di quest'ultimo subentrò il cardinale gesuita Roberto Bellarmino
(1542-1621) (futuro persecutore di Galileo Galilei e del Campanella), il
quale nel 1599 enucleò le seguenti otto proposizioni di B. ritenute eretiche
dalla Chiesa: 1) L'anima mundi e la materia prima sono i due principi eterni
delle cose, 2) Da una causa infinita deve derivare un infinito effetto, 3)
Non esiste l'anima individuale, 4) Nulla si crea e nulla si distrugge, 5)
La Terra si muove, 6) Gli astri sono angeli ed esseri animati, 7) La Terra
è dotata di un'anima sensitiva e razionale, 8) L'anima non è la forma del
corpo dell'uomo. Dal 18 gennaio 1599 tra B. e gli inquisitori iniziò una
complessa partita di scacchi, basata su accuse, ripensamenti, colpi di scena
e quant'altro. Inizialmente gli venne richiesto ufficialmente di abiurare:
egli cercò dapprima di prendere tempo, e perfino cedette in febbraio per poi
inviare un memoriale difensivo in aprile. Si pensò di utilizzare nuovamente
la tortura, quando, il 10 settembre, egli dichiarò di volersi sottomettere
alla Chiesa, salvo poi rimettere in discussione solo una settimana dopo. Ma
la situazione precipitò dopo la denuncia di un anonimo che il principale
bersaglio della sua opera Lo spaccio de la bestia trionfante fosse il
papa. L'irrigidimento di ambedue le posizioni portarono infine alla
inevitabile condanna a morte di B. l'8 febbraio 1600 ed in quella occasione
egli pronunciò la famosa frase: Forse con maggiore timore pronunciate contro
di me la sentenza, di quanto ne provi io nel riceverla. La mattina del 17
febbraio 1600 egli venne condotto a Campo dei Fiori, dove venne spogliato dei
vestiti, fu issato sul rogo, gli fu impedito di parlare con una mordacchia in
legno e infine fu bruciato vivo, in quanto impenitente (quelli che si
pentivano venivano strozzati prima del rogo). 300 anni dopo, il 9 giugno
1899, nonostante fortissime resistenze cattoliche, venne inaugurato il
monumento a lui dedicato in Campo dei Fiori: fu un'occasione di riunione
delle anime anticlericali dell'Italia umbertina, massoni, repubblicani,
radicali, positivisti, tutti debitori di questo martire del libero pensiero
filosofico e scientifico.
Il pensiero Il complesso pensiero di B.
è stato per molti anni circoscritto all'ambito ermetico, un po' equivocando
sul termine di "mago" e molto grazie ai lavori della studiosa inglese Francis
Yates. Riscoperto recentemente, il pensiero di B. è una miscela di filosofia
antiaristotelica, magia naturale (la magia divina, in contrasto con la magia
diabolica), religione naturale, mnemotecnica e panpsichismo (il mondo è vivo
e sensibile, come anche per Bernardino Telesio e Tommaso
Campanella). L'universo aristotelico finito e diviso in sfere celesti stava
stretto a B., che contrapponeva un universo infinito e unico. Secondo B., la
natura animata del mondo (anima mundi), secondo un concetto
tipicamente neoplatonico, presenta due aspetti: la forma e la materia. La
forma è l'anima universale e la sua principale facoltà, l'intelletto, muove
la materia (materia prima) dall'interno. E' quindi logico che egli si
appassionasse alle teorie astronomiche di Niccolò Copernico (1473-1543),
sebbene non fosse tanto la loro portata scientifica che lo interessava, bensì
le speculazioni filosofiche che ne potevano derivare: l'infinito superava
perfino il concetto copernicano di eliocentrismo e univa tutto, anche gli
opposti, che, nell'unità dell'infinito, coincidevano l'uno nell'altro, un
concetto caro ad un autore molto amato da B., cioè Nicola
Cusano. L'attacco ai metodi lenti e metodici della scolastica aristotelica
B. lo portò sviluppando l'arte della mnemotecnica, un tecnica rapida e
quasi "magica" per impossessarsi del sapere. E questo sapere se ne
impossessa l'eroico e furioso ricercatore della verità, che ubbidisce
solamente all'istinto della razionalità nella sua cerca della vera
conoscenza, cioè il concetto del principio unico, da cui generano tutte le
specie e tutti i numeri. Quindi la religione propugnata da B. è una religione
razionale o naturale, privo di quel dogmatismo, intransigenza, ignoranza,
ipocrisia, fede cieca ed inconsapevole, tipici delle confessioni cristiane
dell'epoca, che l'avevano perseguitato per tutta la sua vita e che, alla
fine, l'avevano portato sul rogo.
Paleario, Aonio
(1503-1570)
I primi anni Il famoso umanista di estrazione
erasminiana, Aonio Paleario (o Paleari), nome umanistico di Antonio della
Paglia (o Pagliara), nacque a Veroli, in provincia di Frosinone, nel 1503,
dall'agiato artigiano salernitano Matteo della Pagliara e da Clara
Jannarilli. Da giovane P. compì studi classici con il notaio Giovanni
Martelli, iscrivendosi successivamente, grazie alla protezione del vescovo di
Veroli, Ennio Filonardi (1466-1549), ai corsi di filosofia e di lettere
antiche ed eloquenza all'università di Roma, ma non poté completare gli
studi, perché abbandonò, nel 1529, la città pontificia, devastata dal sacco
del 1527 ad opera dei Lanzichenecchi. Vagò allora attraverso l'Italia,
fermandosi a Perugia e qui rincontrò il suo protettore Filonardi, che, quando
era stato nunzio apostolico a Costanza, aveva conosciuto Erasmo da Rotterdam,
idolo letterario e riferimento religioso per P. In seguito, nel 1534, P.
avrebbe scritto una lettera al grande umanista olandese per chiedergli di
convincere i teologi tedeschi riformatori a presenziare al concilio (in
realtà il famoso Concilio di Trento, dopo ripetuti rinvii, iniziò i propri
lavori solamente nel 1545), convocato, appena dopo la sua elezione, da Papa
Paolo III (1534-1549).
P. a Padova Nel periodo 1530-31 P. si recò
a Siena, e infine a Padova, dove visse dal 1531 al 1536 (eccetto un periodo a
Bologna nel 1533) e completò gli studi, laureandosi ed entrando nell'ambiente
letterario, che gravitava attorno al Cardinale Pietro Bembo. Qui P.
completò la stesura del suo primo lavoro di successo: il poema filosofico, di
ispirazione neoplatonica, De animorum immortalitate, dedicato all'imperatore
Ferdinando d'Asburgo e accompagnato da una lettera per Pier Paolo Vergerio,
ambasciatore pontificio presso l'imperatore. L'opera, tuttavia, non aggiunse
niente di nuovo al dibattito accademico, accesosi dopo la condanna del noto
trattato di Pietro Pomponazzi, il Tractus de immortalitate animae, dove
l'umanista mantovano aveva negato l'immortalità dell'anima.
P. tra
gli evangelici toscani Nel 1537 P. si stabilì a Colle Val d'Elsa (provincia
di Siena), si sposò con Marietta Guidotti, da cui ebbe cinque figli, e
insegnò come tutore privato. Nella cittadina senese P. creò un cerchio di
allievi, con i quali si discuteva su scottanti argomenti dottrinali, al
centro del dibattito fra Chiesa cattolica e Riforma, come il culto dei Santi,
l'autorità della Chiesa di Roma, l'esistenza del purgatorio, il contrasto fra
Sacre Scritture e Tradizione storica. Inoltre egli ebbe l'occasione, in
questo periodo, di conoscere l'intellighenzia evangelica fiorentina, tra cui
il letterato Pier Vettori (1499-1585), Bartolomeo Panchiatichi, Pier
Francesco Riccio, Pietro Carnesecchi e Marcantonio Flaminio, e di
quest'ultimo diventò fedele amico. Oltre a ciò, Siena era terra di origine di
uno dei più famosi riformatori italiani, il vicario generale dell'ordine dei
cappuccini, Bernardino Ochino, per cui fu purtroppo scontato, in seguito ad
una campagna di propaganda denigratoria contro di lui, che P. venisse
accusato di eresia nel giugno 1542 (pochi mesi prima della fuga di Ochino in
Svizzera) davanti all'arcivescovo di Siena, Francesco Bandini Piccolomini
(arcivescovo: 1529-1588). Tuttavia uscì indenne dal procedimento a suo carico
(fu assolto per insufficienza di prove), sia per l'intervento a lui
favorevole del cardinale Jacopo Sadoleto, sia perché lo stesso arcivescovo
Piccolomini non infierì, essendo segretamente favorevole alla riforma
moderata della Chiesa, propugnata da Sadoleto e dal cardinale Gaspare
Contarini. In seguito a questa vicenda e alla sopramenzionata fuga
dell'Ochino, P. scrisse l'orazione Pro se ipso (composta nel 1543, ma
pubblicata solo nel 1552), un'appassionante difesa della libertà di
coscienza, di cultura e di discussione e della possibilità di poter attingere
direttamente alle Sacre Scritture. Nel 1544 egli scese ancora più nettamente
nel campo della Riforma, scrivendo una lettera (Servus Jesu Christi.) a
Lutero, Melantone, Bucero e Calvino, di contenuti simili a quella scritta
dieci anni prima a Erasmo da Rotterdam, esortandoli, inoltre, di mettere da
parte le divergenze teologiche, ma rimase profondamente deluso dall'apertura
del Concilio di Trento il 13 dicembre 1545 senza la partecipazione dei
teologi protestanti.
P. a Lucca Comunque nel luglio 1546 P. decise
di trasferirsi a Lucca, approfittando dell'ambiente più favorevole ai
riformatori. Qui, per intercessione di Pier Vettori e sotto la protezione
della potente famiglia Buonvisi, gli fu affidato un incarico ufficiale di
professore di letteratura alla Scuola superiore di Lucca (un simile ruolo gli
era stato precluso a Siena per la sua fama di eretico) e diventò anche
precettore della famiglia Calandrini. Il periodo lucchese fu tra i più sereni
e fecondi per il filosofo di Veroli, che scrisse varie orazioni ed ebbe
contatti epistolari con riformatori italiani, come, ad esempio, Celio Secondo
Curione. Nella primavera 1555, P. tornò a Colle Val d'Elsa, proprio poco dopo
la caduta della repubblica di Siena, conquistata da Cosimo I de' Medici
(duca di Firenze: 1537-1569 e granduca di Toscana: 1569-1574). Qui scrisse
un trattato in italiano, in due parti: Del governo della città (andata
perduta) e Dell'economia o vero del governo della casa: un inno alla
religiosità erasminiana e valdesiana, vissuta nell'intimo della
famiglia.
P. a Milano Tuttavia la visione della campagna devastata
dalla guerra e l'esilio all'estero di tanti amici lucchesi riformati, a causa
della repressione messa in atto da Papa Paolo IV (1555-1559), lo convinse ad
emigrare a Milano nel 1556 per coprire la cattedra di studi
umanitari. Nonostante che, anche qui a Milano, P. venisse inquisito per
eresia nel febbraio 1560 (fu comunque assolto), nella città lombarda egli
conobbe letterati, come il poeta Publio Francesco Spinola e finì la sua
opera principale, intrisa di polemica antipapale e anticlericale, la Actio
in Pontifices Romanos, inviandola in Svizzera, presso il riformatore di
Basilea Theodore Zwinger (1533-1588), per essere conservata. L'opera
venne pubblicata, postuma, nel 1600 ad Heidelberg, in Germania. Nel 1567
P. entrò nuovamente nel mirino dell'Inquisizione di Milano per le sue opere
letterarie (soprattutto Pro se ipso): sebbene riuscisse a far sospendere, per
motivi di salute, un ordine di estradizione verso Roma, emesso il 9 agosto, e
tentasse di chiedere una mediazione, fallita, da parte dell'imperatore
Massimiliano II (1564-1578), fu infine costretto a recarsi a Roma nell'agosto
1568 per presentarsi davanti all'Inquisizione romana, in una città cupa,
dominata dal rigore fanatico imposto da Papa Pio V (1566-1572).
La
fine Rinchiuso (letteralmente a marcire) nel carcere di Tor di Nona per ben
due anni, si comportò coraggiosamente: non abiurò, si rifiutò di
indossare l'infamante abitello (l'abito giallo degli eretici), anzi accusò,
lui stesso, il papato e Pio V in persona, che presiedeva il tribunale.
Il processo, ovviamente, si concluse, il 4 ottobre 1569, con la sua
condanna come eretico impenitente. Il 30 giugno 1570 fu fatto l'ultimo
tentativo, non riuscito, di farlo abiurare: tre giorni dopo, il 3 luglio
1570, l'anziano umanista fu impiccato e arso sul rogo nella piazzetta a Ponte
Sant'Angelo, nello stesso posto dove, tre anni prima, il 21 settembre 1567,
era stato bruciato Pietro Carnesecchi.
Curiosità A P. sono
stati attribuiti i seguenti versi satirici (e purtroppo per lui profetici),
indice dei momenti di terrore, derivati dalla severa azione anti-eretica di
Pio V: Quasi che fosse inverno, brucia cristiani Pio siccome legna per
avvezzarsi al fuoco dell'inferno.
Della Pergola, Bartolomeo Golfi
(attivo a Modena nel 1544)
Bartolomeo Golfi Della Pergola fu un
predicatore itinerante (come, per esempio, anche il carmelitano Giambattista
Pallavicino) dell'ordine dei francescani minoriti, che diventò
particolarmente popolare negli anni '40 del XVI secolo. Convinto
valdesiano, D. aveva anche letto l'arcinoto Beneficio di Christo, del
benedettino Benedetto Fontanini da Mantova, e questa lettura rinforzò le sue
convinzioni, simili a quelle luterane, sulla giustificazione per fede, sulla
grazia, sulla predestinazione e sul libero arbitrio. D. predicò a Bergamo, su
invito del vescovo Vettore Soranzo, ma soprattutto a Modena durante la
quaresima del 1544, inviato dal cardinale Giovanni Morone, il quale già
l'anno prima aveva invitato il predicatore domenicano eterodosso Bernardo de'
Bartoli. La predica di D. raccolse uno straordinario successo presso diversi
strati della popolazione modenese, sia fra i nobili che fra le persone più
umili, permettendo lo sviluppo di una forte comunità luterana,
ulteriormente consolidata dalla guida, negli immediati mesi successivi, del
confratello di D., Bartolomeo Fonzio. Tuttavia tanto successo non poté
passare inosservato da parte delle autorità ecclesiastiche, che, su
indicazione di alcuni domenicani e perfino pressati dall'Inquisizione romana,
imposero a D. una completa ritrattazione pubblica. Questa venne svolta dal
medesimo pulpito nel giugno dello stesso anno ed alla presenza di centinaia
di persone, tutte attente a cogliere qualsivoglia sfumatura non canonica
delle sue parole.
Della Porta, Giambattista (o
Giovambattista)(1535-1615)
La vita Il famoso umanista e
scienziato Giambattista della Porta nacque a Vico Equense (vicino a Napoli)
il 15 (o 1) Novembre 1535 (secondo altre fonti nel 1538) terzogenito di una
agiata famiglia di lontane origini nobili. Il padre Leonardo (o Nardo) di
Antonio, grazie ad un prestito di tre navi a Carlo I d'Asburgo e d'Austria
(1516-1556), sarebbe poi entrato al servizio dell'imperatore nel 1541, mentre
la madre apparteneva alla nobile famiglia dei Spadafora ed era sorella di
Adriano Guglielmo Spadafora, sovrintendente degli Archivi reali di
Napoli. P. non frequentò mai l'università: la sua educazione fu affidata dal
padre allo zio materno e all'entourage culturale che frequentava la casa
paterna, dal filosofo e medico di corte Antonio Pisano al grecista e
naturalista calabro Domenico Pizzimenti. E' probabile che egli abbia anche
frequentato le lezioni del medico e astrologo Girolamo Cardano
(1501-1576). P. viaggiò molto in Italia, Francia e Spagna e, grazie alle
ricchezze della famiglia, non ebbe mai necessità di dover lavorare per
vivere, ma poté dedicarsi totalmente ai suoi studi. P. fu infatti uno
studioso estremamente eclettico: i suoi interessi comprendevano la
crittografia, la meccanica idraulica, l'ottica (egli affermò di aver
costruito il telescopio prima di Galilei) e la camera oscura (che
perfezionò), gli studi matematici sulla quadratura del cerchio, la filosofia
occulta e la demonologia, l'astrologia, la botanica e l'agraria, l'alchimia e
la distillazione, il magnetismo, la meteorologia e la fisiognomonia (l'arte
di dedurre i caratteri morali delle persone dai caratteri somatici), ma P.
non disdegnava neppure di comporre commedie di successo. Fondò anche una
Accademia dei Segreti (o Accademia secretorum naturae), che si riuniva nella
sua casa di Napoli per disquisire sui segreti della natura e sulle cause dei
fenomeni naturali, ma nel 1578 questa sua attività entrò nel mirino
dell'Inquisizione napoletana, che lo incarcerò e lo processò, intimandogli di
chiudere la sua accademia. P. allora si recò nel 1579 P. a Roma al seguito
del cardinale Luigi d'Este (m. 1587), al cui servizio rimase durante i
trasferimenti di questi a Venezia [dove mise a punto degli strumenti ottici
per il cardinale e dove conobbe il celebre fra' Paolo Sarpi (1552-1623)] e a
Ferrara, alla corte del duca Alfonso II d'Este (1559-1597). Durante il
periodo al servizio del cardinale, P. compose anche diverse commedie e
conobbe famosi letterati come Torquato Tasso (1544-1595) e Battista Guarini
(1538-1612). Fece ritorno a Napoli nel 1581, rimanendo sempre comunque sotto
la protezione del cardinale, sempre molto interessato ai suoi
studi sull'alchimia. La suddetta protezione e l'adesione, come laico,
all'ordine dei Gesuiti nel 1585 lo mise abbastanza al sicuro dagli strali
dell'Inquisizione. Tuttavia, dopo la pubblicazione nel 1586 della De humana
physiognomonia e nel 1588 della Physionomonica [come arte divinatoria, la
fisiognomia era stata proibita in specifiche bolle papali di Sisto V
(1585-1590) nel 1585 e 1586] e la morte del suo potente mecenate,
l'Inquisizione gli proibì nel 1592 la pubblicazione di qualsiasi lavoro
filosofico scientifico (erano escluse le commedie e le opere letterarie),
senza aver ricevuto il consenso del Sant'Uffizio stesso. Questo ordine rimase
in vigore fino al 1598. Nel 1589 P. conobbe il giovane domenicano Tommaso
Campanella, il quale studiò sotto la sua guida e ne rimase profondamente
influenzato, ma di questa amicizia P. non fece mai particolare vanto, a causa
del fatto che Campanella, che proprio in quello stesso anno aveva pubblicato
la sua Philosophia sensibus demonstrata (un'apologia di Bernardino Telesio),
era già abbastanza compromesso con l'Inquisizione. Similmente nulla
viene riportato su un più che probabile incontro tra P. e Giordano Bruno, i
cui studi e pensieri filosofici (sulla magia naturale e la mnemonica)
erano alquanto simili a quelli del proprio corregionale. Finalmente, nel
1604, P. trovò un nuovo protettore nel giovane nobile (futuro Duca di
Acquasparta dal 1610) Federico Cesi (1585-1630), al quale dedicò diversi dei
suoi lavori. Cesi lo aiutò ad entrare, nel 1610, nell'Accademia dei Lincei
(da Cesi stesso fondata nel 1603), dove P. rimase fino alla morte. Da parte
sua, P. contribuì, assieme allo scrittore Giovambattista Basile (1575-1642),
alla fondazione dell'Accademia letteraria degli Oziosi a Napoli nel
1611. Nello stesso periodo P. fu contattato, attraverso il cappellano di
corte, dall'imperatore Rodolfo II (1578-1612), vivamente interessato ai suoi
studi di alchimia e che lo invitò a corte a Praga. L'anziano P. declinò
l'invito, ma dedicò all'illustre ammiratore la sua Taumatologia (trattato
sui prodigi). P. morì a Napoli il 4 Febbraio 1615.
Le
opere Tra le sue innumerevoli opere si ricordano: Magia naturalis, sive de
miraculis rerum naturalium (1558). P. iniziò a scrivere, all'età di quindici
anni, la sua opera più famosa, un ponderoso trattato (in quattro volumi)
sulla natura (l'operare della natura venne definito, per l'appunto, magia
naturale in contrapposizione a quella demonologica) e sul magnetismo. Fu
ripubblicata nel 1589 in ben venti volumi. De furtivis literarum notis,
vulgo de ziferis (1563) sulla crittografia. Ars reminiscendi (1566-1602)
sulle tecniche mnemoniche. Villae (1583-92), un'enciclopedia agricola. De
humana physiognomonia (1586), il più importante testo di
fisiognomica dell'epoca, dove si ipotizzò la corrispondenza tra carattere ed
aspetto esterno del corpo. Physionomonica (1588) De refractione,
optices parte (1593) studi sull'ottica. De spiritalibus (1601-06)
sull'effetto calorifico della luce e dove venne descritta una macchina a
vapore con secoli di anticipo. De distillatione (1609) sulla distillazione e
chimica. De aeris transmutationaibus (1610) De telescopio, manoscritto
scoperto solo nel 1940 e pubblicato nel 1962.
Tra le commedie si
ricordano: Olimpia (1586-89) La fantesca (1592) La trappolaria
(1596) I due fratelli rivali (1601) La Cintia (1601) La sorella
(1604) La turca (1606) La carbonaria (1606) L'astrologo (1606) Il
moro (1607)
Della Rovere, Giulio (Giulio da Milano)
(1504-1581)
Famoso predicatore agostiniano passato poi alla
Riforma, Giulio (il vero nome di battesimo era Giuseppe: lo cambiò in Giulio
quando entrò nell'ordine agostiniano) Della Rovere nacque nel 1504 a Milano
da una stimata famiglia e studiò a Padova, dove conobbe Ambrogio Cavalli, che
frequentò anche a Bologna. Tra il 1520 ed il 1522 D. entrò nell'ordine
degli agostiniani eremitani e a Bologna fece parte del convento agostiniano
di San Giacomo Maggiore, dove poté approfondire i suoi studi del pensiero di
Erasmo da Rotterdam, assieme ai concittadini milanesi Ortensio Lando e
Ambrogio Cavalli, all'umanista abruzzese Giovanni Angelo Odoni e allo
studente di diritto Fileno Lunardi (che alcuni identificano con Camillo
Renato). In seguito, tra il 1533 ed il 1535, conobbe a Pavia Agostino
Mainardi, un incontro decisivo per la scelta di fede in senso riformista, che
si notò sempre di più nelle sue prediche. Nel 1538 venne messo sotto
inchiesta e nel 1540, per contrasti con il padre generale dell'ordine, egli
si dimise dagli incarichi ufficiali dell'ordine agostiniano assieme a
Cavalli, priore del suo stesso convento. Infine, in seguito alle sue prediche
a Trieste e a Venezia, nella chiesa di San Cassan, per la Quaresima del 1541,
venne arrestato a Venezia stessa. Questo arresto portò inoltre alla
perquisizione della biblioteca privata di D. e dell'amico Celio Secondo
Curione (che viveva in casa di D.) e la confisca di scritti proibiti di
Erasmo da Rotterdam e del riformatore svizzero Johann Heinrich
Bullinger. Nonostante le vibrate proteste di Bernardino Ochino e la
tentata intercessione di alcuni nobili della repubblica veneta (per citarne
alcuni: Agostino Barbarigo, Girolamo Corner, Alessandro Gritti), egli venne
accusato di mantenere rapporti con altri dissidenti religiosi in Italia e
all'estero. D. poté quindi scampare all'esecuzione capitale solo mediante
l'abiura, ma, in seguito, riuscì a fuggire dal carcere nel febbraio 1543,
riparando in Svizzera, dove fu segnalato, il 23 aprile 1543, dal predicatore
di Ulm, Martin Frecht (1494-1556) al sindaco di San Gallo, l'umanista Joachim
von Watt, detto Vadiano (1484-1551). Qui diventò pastore zwingliano nel
1546 a Vicosoprano e nel 1547 a Poschiavo, nel cantone Grigioni (il cui
territorio comprendeva, dal 1512, anche la Valtellina), dove rimase fino alla
sua morte e dove scrisse nel 1549 (pretendendo di averla pubblicata a Trento,
un evidente simbolo contro il Concilio, che si tenne dal 1545 al 1563) la
popolare Esortazione alli dispersi per l'Italia, titolo poi modificato in
Esortazione al martirio (la seconda edizione fu del 1552), testo in cui
spingeva i potenziali martiri della fede riformata ad affrontare la morte e
in cui polemizzò violentemente con Giorgio Siculo (alias Giorgio Rioli) e con
i suoi seguaci, da D. stesso definiti, per la prima volta, "georgiani". La
polemica riguardò in particolare la propensione al nicodemismo di questo
curioso e misterioso personaggio. Dal suo esilio ben organizzato nei
Grigioni, D. poté propagandare i propri scritti evangelici e le proprie
prediche attraverso i buoni uffici dello stampatore Dolfino Landolfi di
Poschiavo, che si recava spesso in Italia per acquistare la carta da
stampa. Allacciò contatti epistolari con la duchessa di Ferrara Renata d'Este
(alla quale fu dedicata un'Epistola contenuta nell'edizione del
1552 dell'Esortazione), nota protettrice di riformati e riuscì perfino
a visitarla clandestinamente, durante la Quaresima del 1550, quando
poté tenere una quindicina di predica al ristretto gruppo di protestanti,
che gravitavano intorno alla duchessa. Nel 1549 D. conobbe a Poschiavo
Pier Paolo Vergerio, da cui venne fortemente influenzato e che accolse con
entusiasmo, quando l'ex vescovo di Capodistria si recò in esilio in Svizzera,
mentre nel 1554 scrisse a Bullinger per informarlo e metterlo in guardia
contro le tendenze antitrinitariane di Lelio Sozzini. Della Rovere morì
nel 1581.
Della Sega (o Sega), Francesco
(1528-1565)
Francesco Della Sega (o Sega), soprannominato
Fraosto, nacque a Rovigo nel 1528 (altre fonti citano il 1532) da una
famiglia benestante e ricevette anche una buona educazione, frequentando la
facoltà di legge all'università di Padova. Nel suo memoriale per
l'Inquisizione, raccontò che a Padova venne convertito in seguito
all'anabattismo da un calzolaio e ribattezzato a Porcia, in provincia di
Pordenone. Lasciò gli studi per fare il mestiere di sarto e questa decisione,
oltre a quella religiosa, fece sì che il padre lo scacciasse di casa. In
seguito partecipò, nel 1546, ai Collegia Vicentina, primo incontro di
anabattisti e antitrinitariani veneti. Nel 1557, in seguito ai processi
nel Veneto contro gli anabattisti (scaturiti dalle confessioni di Pietro
Manelfi) D. fuggì con Giulio Gherlandi e Niccolò Buccella in Moravia,
entrando in una comunità hutterita a Pausram, vicino all'odierna cittadina di
Strachotin. Nel 1561 fu eletto ministro di culto hutterita e nell'anno
successivo ritornò a Rovigo per ritirare la sua eredità e per fare
proselitismo, ma il 27 agosto 1562 fu catturato a Capodistria, insieme a
Antonio Rizzetto e al Buccella, mentre stava facendo ritorno in Moravia, e fu
rinchiuso nel carcere veneziano di San Giovanni Battista in Bragora. Subì
un lungo processo, ma riuscì nel frattempo ad inviare diverse lettere ai suoi
confratelli in Moravia. Scrisse ai giudici durante il suo processo un
memoriale, dal titolo Lettera alli magnifici e clarissimi signori e iudici
sopra le cose della fede e conscienza, e fu anche torturato per farlo
abiurare, ed in seguito condannato alla pena capitale. All'inizio del
febbraio 1565 egli fu visitato dal capitano del carcere, Chiaromonte, che
cercò di fare un ultimo tentativo per indurlo ad abiurare: un suo momentaneo
tentennamento di fronte agli inquisitori, al contrario del confratello
Rizzetto, gli permise una sospensione temporanea dell'esecuzione capitale,
ma, ritornando poi nella convinzione della propria fede, D. fu giustiziato
per annegamento nel Canale dell'Orfano (nella laguna veneta) il 26 febbraio
1565.
Riccio (o Del Riccio), Pier Francesco
(1501-1564)
Pier Francesco Riccio (o Del Riccio) nacque a Prato
nel 1501 (altri fonti citano il 1490 come data di nascita) da Nese di
Clemente Riccio. R. fu un sacerdote probo e onesto e legò la sua fortuna a
quella del duca Cosimo I de' Medici (1537-1574), del quale fu dal 1524
precettore, sia in patria che in esilio, e poi maggiordomo, cioè segretario
personale, fino al 1553. Ebbe una notevole influenza nelle committenze della
corte medicea, come, per esempio, nella creazione della manifattura di
arazzi. Uomo di discreta cultura con una buona conoscenza di greco e latino
[sebbene il noto orafo e scultore Benvenuto Cellini (1500-1571), nella
sua autobiografia, lo citi ingiuriosamente con epiteti come bestia e asino],
fu un valdesiano e un ammiratore di Martin Lutero, ed era in possesso di
un manoscritto (oggi unico superstite) del famoso Beneficio di Christo
di Benedetto Fontanini da Mantova, prima della sua stampa nel 1543. Si
impegnò a favore di intellettuali perseguitati per motivi religiosi
o politici, come Aonio Paleario nel 1541 o Benedetto Varchi, di cui favorì
il rientro a Firenze nel 1543 e ci sono prove che si mantenesse in
contatto epistolare con un libraio di Venezia, probabilmente Antonio
Brucioli, per fornirsi delle opere dei riformatori tedeschi, come Lutero o
Melantone. Nel febbraio 1550 entrò a far parte del Capitolo della cattedrale
di Santo Stefano di Prato e qui chiamò a predicare l'agostiniano Alessio
Casani (1491-1570), già accusato di luteranesimo nel 1548, quando fu
salvato dall'intervento del decano della facoltà di Teologia a Firenze,
Andrea Ghetti da Volterra. Purtroppo, nel 1553 R. fu colpito da una grave
malattia e dovette essere relegato a Borgo San Lorenzo, poiché apparentemente
era uscito di senno, anche se si ipotizza che si trattasse di una malattia
diplomatica, suggerita da Cosimo I in persona, per evitargli un processo per
eresia, come sarebbe successo qualche anno dopo agli amici Pietro Carnesecchi
e Aonio Paleario, bruciati sul rogo a Roma. Dopo la sua guarigione, R.
morì a Firenze, nel 1564.
Denck, Hans
(ca.1500-1527)
La vita Il mistico anabattista Hans Denck
nacque a Habach, a sud di Monaco di Baviera, nel 1500 circa (secondo altri
autori nel 1495) da una famiglia agiata e colta. Egli studiò all'università
di Ingolstadt dal 1517 con il noto teologo Johann Eck (1486-1543), ottenendo
il baccalaureato in Arti nel 1519 e dimostrandosi molto versato in latino,
greco ed ebraico. Successivamente si recò a Basilea, dove conobbe sia Erasmo
da Rotterdam che Ecolampadio: seguì le lezioni di entrambi, ma non ne venne
particolarmente influenzato. Si appassionò invece di letture mistiche, come
gli scritti di Johannes Tauler o, soprattutto, la Theologia Germanica, un
popolare trattato mistico del 14° secolo, scritto a quanto sembra da un
sacerdote dell'ordine teutonico, che consigliava la povertà di spirito e
l'abbandono di se stessi a Dio come mezzo per poter partecipare alla Sua
natura divina, attraverso il Suo amore. Nel 1524 D. divenne, ancora
piuttosto giovane, il rettore della Scuola di San Sebaldo a Norimberga, su
segnalazione di Ecolampadio, e si sposò nello stesso anno. L'ambiente
culturale di Norimberga, crocevia di pensatori eterodossi come Andreas
Bodenstein (Carlostadio) e Thomas Müntzer, indubbiamente influenzò D., che
conobbe personalmente Müntzer quando questi si recò a Norimberga, per far
pubblicare da uno stampatore (probabilmente il futuro anabattista Hans Hut)
due opuscoli: Hochverursachte Schutzrede wider das geistlose sanftlebende
Fleisch in Wittenberg (Apologia ben fondata e risposta alla carne senza
spirito che vive mollemente in Wittenberg), uno dei suoi più violenti
opuscoli contro Lutero (che chiamava Dottor bugiardo e il Drago),
e Ausgedrückte Entblössung das falschen Glaubens (L'esplicita messa a
nudo della falsa fede). Norimberga era anche una città senza una ben
definita collocazione religiosa: benché formalmente cattolica, aveva forti
componenti luterane, ma anche attivi gruppi anabattisti, che mettevano in
discussione i sacramenti del Battesimo e della Comunione. Un'inchiesta
delle autorità locali, e voluta dal riformatore Andreas Hosemann (Osiander),
su questi gruppi, portò al coinvolgimento di D., tirato in causa dal pittore
Sebald Behaim. D. fu obbligato ad una confessione di fede, che tuttavia
Osiander e gli altri predicatori trovarono molto ambigua, e conseguentemente,
il 25 Gennaio 1525, egli fu espulso dalla città con moglie e figli, con
l'accusa di eresia e con il giuramento di non farvi mai più ritorno. Dopo
un periodo di incertezza, D. si recò a San Gallo, in Svizzera, dove fece
un'ottima impressione sull'umanista Joachim von Watt, detto
Vadiano (1484-1551), cognato del fondatore dell'anabattismo svizzero, Conrad
Grebel. Nel Settembre 1525 D. si trasferì ad Ausgburg (Augusta) dove trovò
impiego come insegnante privato di latino e greco. Come precedentemente
Norimberga, anche Augusta era una città al centro di aspri conflitti
dottrinali, in questo caso, tra luterani e zwingliani, impegnati nella
diatriba sulla Cena del Signore. Inoltre, tra queste due grosse formazioni,
si barcamenavano diversi piccoli gruppi, dai mistici Sebastian Franck e
Caspar von Schwenckfeld agli anabattisti, rinforzati dall'arrivo, nell'Aprile
1526, di Balthasar Hübmaier, che aveva da poco lasciato Zurigo e che ad
Augusta fondò una comunità anabattista. Hübmaier convertì e battezzò D., il
quale divenne il nuovo capo del gruppo anabattista, dopo la partenza in
Luglio di Hübmaier per la Moravia, e lo fece crescere fino impressionante
numero di ben 1100 persone, attirando altri noti anabattisti come, ad esempio
Hans Hut, ribattezzato da D. il 26 Maggio. Nel periodo ad Augusta, D.
pubblicò diversi lavori, tra cui un trattato sul libero arbitrio dal titolo
Was geredet sei, dass die Schrift sagt Gott thue und mache Guts und Böses
(Come si intende quello che la Scrittura dice, che Dio faccia il bene ed il
male), Vom Gesetz Gottes (La legge di Dio) contro il pericolo di un rispetto
troppo rigoroso delle Scritture, concetto ripreso in Wer die warhait warlich
lieb hat (Colui che veramente ama la verità). In quest'ultima opera egli
ribadì che l'unica Parola autorevole non era quella riportata nelle
Scritture, ma quella interiore infusa dallo Spirito Santo. Nel Novembre 1526
D. si recò a Strasburgo, sotto il controllo del partito riformista di
Wolfgang Capito (1478-1541) e di Martin Butzer (Bucero), il quale già lo
conosceva per la fama che lo aveva preceduto e quindi lo
invitò immediatamente ad una disputa pubblica per chiarire il proprio
pensiero. D. ritenne più prudente non insistere sulle questioni divergenti,
ma sottolineò i punti in comune, tuttavia non convinse Bucero (che lo chiamò
il Papa degli anabattisti), il quale riuscì a farlo espellere il 25
Dicembre 1526. D. riprese il suo pellegrinare ed attraverso le cittadine
di Bergzabern e Landau, giunse a Worms, nella Renania-Palatinato: qui D.
rinvigorì l'attività della locale comunità anabattista e pubblicò il suo
lavoro più importante, Von der wahren Liebe (Il vero amore). In quest'opera
D. ribadì che, se l'uomo accettava l'amore di Dio attraverso Gesù Cristo,
egli non aveva bisogno di riti e istituzioni religiose. Il battesimo era, a
sua volta, il patto che univa il fedele a Dio, ma anche ai membri della
famiglia di Dio, i fratelli del patto (Bundesgenossen). Nel Luglio 1527,
il consiglio cittadino di Worms espulse i principali leader anabattisti della
città, incluso D., che si recò ad Augusta per partecipare in Agosto al
"Sinodo dei martiri", dove si riunirono quasi tutti i capi anabattisti
dell'epoca e dove, con la mediazione di D. stesso, furono fissati i punti di
un grandioso programma missionario. Il programma fu però stroncato sul
nascere dalla reazione cattolica e luterana ed il titolo di "Sinodo dei
martiri" derivò tristemente dalla morte violenta che colpì quasi tutti gli
anabattisti presenti. D. lasciò Augusta e soggiornò brevemente ad Ulm e a
Norimberga, nonostante il divieto di ritorno in quest'ultima città. Alla fine
di Settembre, stanco e malato e disilluso sulle sorti del movimento, si recò
a Basilea: qui ebbe il permesso di restare in città dal suo vecchio amico
Ecolampadio tuttavia previa presentazione di suo scritto che dichiarasse la
mancanza di contrasto tra la propria fede e quella della comunità di
Basilea. Poco dopo, il 15 Novembre 1527 D. morì di peste a soli 27 anni
(circa).
Il pensiero Il pensiero di D. fu sì anabattista, ma della
corrente spiritualista: per questo negli ultimi giorni della sua vita egli si
dichiarò disilluso dell'evoluzione, in senso militante, del movimento
stesso. Il concetto di sola fide, di luterana memoria, per D., aveva un
significato ben diverso da quello dato dal riformatore di Eisleben: non era
quella trasmessa dai genitori e dalla società, ma era la grazia che proviene
dalla rivelazione di Dio, attraverso lo Spirito Santo. Un altro punto sul
quale D. espresse la sua convinzione fu il libero arbitrio: egli si oppose
alla predestinazione, quasi come Dio avesse reso ciechi i
miscredenti. Inoltre D. si poteva definire origenista, in quanto credeva,
come il grande Origene, nella salvezza di tutti o meglio nel desiderio di Dio
che ciò avvenisse grazie al Suo amore universale che includeva tutti gli
uomini. Tutti potevano salvarsi, ma Dio non avrebbe forzato nessuno ad
accettare il Suo perdono. Il parere di D. sulle Scritture era noto: la
Parola scritta non era la Verità, ma solo una testimonianza di essa: "
Chiunque tiene in maggiore considerazione la testimonianza della Verità
stessa inverte l'ordine (d'importanza), ed il tutto è un abominio agli occhi
di Dio" (dal trattato "Come si intende quello che la Scrittura dice, che Dio
faccia il bene ed il male").
Gallicanesimo (dal XVII
secolo)
Per Gallicanesimo si intende quel complesso di dottrine,
che asserivano l'autonomia, più o meno estesa, della Chiesa francese
dall'autorità del Papato. Il G. si opponeva all'ultramontanismo, che favoriva
la centralizzazione dell'autorità della Curia papale.
Origini del
Gallicanesimo Il G. ha radici lontane: già nel IX secolo i papi,
trovandosi nell'impossibilità di ricondurre all'obbedienza quei nobili locali
che si erano impossessati di sedi vescovili in Francia, diedero
un'autorità spirituale ai re della dinastia carolingia, e i loro successori
non mancarono di esercitarla. All'inizio del XIV secolo, le lotte fra
Filippo il Bello e Papa Bonifacio VIII (1294-1303) portarono drammaticamente
alla luce lo scontro fra questi due centri di potere. In questo contesto si
inserì l'esilio del papato ad Avignone (1309-1377) e le contestazioni del
potere ecclesiastico di Papa Giovanni XXII da parte dai pensatori Guglielmo
di Ockham, Jean de Jandun e Marsilio da Padova. Il lavoro principale di
Marsilio, Defensor Pacis, fece da riferimento alla successiva diatriba, che
vide contrapposti i re di Francia e l'università della Sorbona da una parte e
il Papa [soprattutto l'antipapa Benedetto XIII (1394-1423)] dall'altra, e
sfociò nella Sanzione Pragmatica di Bourges del 1438, voluta dal re Carlo VII
(1422-1461) e che proibì al papa di nominare suoi candidati per i benefici
vacanti sul territorio francese. La situazione migliorò con il Concordato di
Bologna (1516) tra il re di Francia, Francesco I (1515-1547), e Papa Leone
X (1513-1521): al re fu permesso di nominare vescovi ed altri
ecclesiastici francesi, che dovevano però essere confermati dal papa. Alla
fine del XVI secolo si affacciarono sulla scena il teologo zwingliano Thomas
Erastus, che nel 1589 pubblicò La nullità delle censure della Chiesa, e
l'avvocato calvinista, poi convertito al cattolicesimo, Pierre
Pithou (1539-1596), il quale nel 1594 pubblicò il caposaldo, contenenti 83
articoli ben codificati, dei testi gallicani, Les libertés de l'église
gallicane (Le libertà della chiesa gallicana).
Il Gallicanesimo
durante il regno di Luigi XIV di Francia Ma fu soprattutto con il regno di
Luigi XIV (1643-1715) che il g. divenne sempre forte, dapprima con la
dichiarazione dell'università della Sorbona contro l'infallibilità del Papa e
contro ogni possibile autorità gerarchica di quest'ultimo sui re di Francia,
poi con la crisi del 1682, scoppiata tra Luigi XIV e Papa Innocenzo XI
(1676-1689) e sfociata nei quattro articoli gallicani approvati da
un'assemblea del clero francese e che stabilivano: 1. Il Papa non aveva
autorità sul potere temporale e il Re non era soggetto alla Chiesa in materia
di cose civili. 2. Il Concilio Generale aveva autorità sul Papa. 3. Le
antiche libertà della Chiesa francese erano inviolabili. 4. Il giudizio del
Papa non era inconfutabile. Nonostante le proteste di Innocenzo e del
successore Alessandro VIII (1689-1691), la polemica rientrò, almeno
formalmente, con Innocenzo XII (1691-1700), al quale lo stesso Luigi XIV
scrisse per comunicare che era stato impedita l'esecuzione pratica
dell'editto del 1682. Ciononostante lo spirito gallicano rimase vivo nel
clero francese e ricomparve in occasione della bolla Unigenitus del 1713.
Questa bolla era stata emanata da Papa Clemente XI (1700-1721) come condanna
delle Reflexions morales, un testo giansenista di Pasquier Quesnel, ma con
una insolita durezza, essa condannava frasi perfettamente ortodosse contenute
nel testo. Questo fatto provocò una momentanea scissione nella Chiesa
Cattolica francese quando il cardinale Louis Antoine De Noailles, arcivescovo
di Parigi (1651-1729), e otto (in seguito diciotto) altri vescovi,
appoggiati dalle facoltà di Parigi, Reims e Nantes, oltre a circa 3000
ecclesiastici, non accettarono affatto i contenuti della bolla e si
appellarono al sinodo generale francese. La reazione di Clemente XI fu
durissima con l'emissione della bolla Pastoralis officii (1718), che condannò
l'appello e scomunicò gli appellanti. Tuttavia i dissidenti rimasero sulle
loro posizioni ed anche il ritorno di De Noailles all'ortodossia nel 1728 non
riportò la situazione alla normalità: il parlamento francese continuò ancora
per molto tempo a rifiutare la bolla Unigenitus.
Il Gallicanesimo
in altre nazioni Nella metà del XVIII secolo, il g. iniziò ad attecchire in
Olanda, in Germania, dove prese il nome di febronianismo dallo pseudonimo
(Febronio) di Johann Nikolaus Hontheim, e perfino in Italia con il sinodo di
Pistoia del 1786, presieduto dal vescovo Scipione de' Ricci, che tentò
inutilmente una riforma della Chiesa con l'introduzione di elementi
gallicani, di una maggiore moralizzazione del clero e, curiosamente, con
l'abolizione del latino nei riti: De' Ricci fu deposto nel 1790 e le
conclusioni del sinodo condannate dalla bolla Auctorem fidei del 1794, emessa
da Papa Pio VI (1775-1799). Il g. tramontò definitivamente con il
Concordato del 1801 tra Napoleone Bonaparte (come imperatore: 1804-1814) e
Papa Pio VII (1800-1823).
Di Capua, (o De Capua) Pietro Antonio (o
Pietrantonio o Piero Antonio), arcivescovo di Otranto
(m.1579)
Introduzione Pietro Antonio Di Capua fu un'esponente
di una delle più illustri famiglie feudali del regno di Napoli, i Di (o De)
Capua appunto, che in cinquecento anni di vita hanno dato alla storia 2
cardinali, 4 arcivescovi, diversi magistrati, un viceré, e numerosi e valenti
uomini d'armi.
D. valdesiano Nominato nel 1536, ancora giovane,
arcivescovo d'Otranto, D. si accostò ai circoli evangelici, che gravitavano a
Napoli intorno alla figura di Juan de Valdés, di cui egli condivise le
dottrine e di cui fu a lungo discepolo. Dopo la morte del maestro spagnolo,
assistito sul letto di morte proprio da D., quest'ultimo entrò a far parte
del gruppo degli spirituali legati al cardinale inglese Reginald Pole e fu in
contatto con alti prelati progressisti come Vittore Soranzo e Giovanni Morone
e famosi personaggi come Pietro Carnesecchi. Inoltre introdusse negli
ambienti valdesiani l'umanista Michele Bruto e protesse il predicatore
ortodosso Fra Angelo da Messina (Ludovico Manna), raccomandatogli da
Carnesecchi, e che fu da lui impiegato come lettore della Sacra Scrittura nel
duomo di Otranto, tuttavia, in seguito, dovette licenziarlo per aver espresso
idee un po' troppo radicali. Infatti col passare degli anni i componenti del
gruppo evangelico di Valdés e Pole vennero sempre più stretti nella morsa
dell'Inquisizione e neanche il giovane arcivescovo d'Otranto, nonostante
l'appoggio di influenti famiglie aristocratiche, poté sfuggire a questa
persecuzione. All'inizio degli anni '50, a causa delle sue idee religiose, la
nomina a D. a cardinale fu più volte rinviata da parte del papa Giulio III
(1550-1555), pressato dagli alti vertici del Sant'Uffizio che ne chiedevano
la messa in stato d'accusa e l'abiura, e, sebbene nel 1554 lo stesso Giulio
III dichiarasse che D. era caduto nell'eresia "per piacerli troppo
l'ingegno suo, per confidarsi troppo nella sua prudentia, per la conversione
del Valdesio et altri eretici et per credersi di acquistare nome di dotto
con interpretare al riverscio le Scritture", solo grazie le potenti
protezioni da parte degli Asburgo e dei Gonzaga, con i quali D. era
imparentato (era cognato di don Ferrante Gonzaga), il papa impose comunque
all'Inquisizione di astenersi da ogni ulteriore procedimento contro
l'arcivescovo di Otranto. Ma D. rimase sempre al centro di indagini
dell'Inquisizione ed in seguito all'elezione di Papa Paolo IV (1555-1559), fu
arrestato a Roma nel 1558, e l'unica cosa che lo salvò da un successivo
processo per eresia fu la fuga nel regno di Napoli.
Ritorno al
cattolicesimo Solo durante il papato di Pio V (1566-1572), si concluse, in
tutta segretezza, la partita con un benevolo procedimento extragiudiziale,
che favorì il ritorno dell'arcivescovo d'Otranto nel grembo della
Chiesa Cattolica. Nel settembre 1567, a conferma di questa sua ormai
completa adesione all'ortodossia, egli si fece notare per aver inserito
alcune norme di riforma [scaturite dal Concilio di Trento (1545-1563)] a
proposito dei sacramenti del battesimo, della cresima e della estrema
unzione, negli ordinamenti del suo sinodo provinciale con la precisa
intenzione di ridurre all'obbedienza i sacerdoti delle minoranze greche del
Salento, che adottavano riti ortodossi, prevedendo la loro possibile
estromissione dal corpo capitolare delle proprie rispettive parrocchie, nel
caso che avessero perseverato ne "l'antica consuetudine conservata presso di
loro" di perpetuare "l'antico errore . della Chiesa
Costantinopolitana". D. morì nel 1579.
De Ries, Hans (1553-1638) e
waterlanders
I waterlanders Dopo la morte nel 1561 del leader
anabattista Menno Simons, i suoi seguaci furono denominati mennoniti: quasi
immediatamente iniziarono le secessioni interne al movimento: la prima e più
importante fu quella dei waterlanders (il Waterland era la regione costiera
nell'Olanda settentrionale), che parteciparono attivamente alla guerra di
liberazione dell'Olanda contro gli spagnoli, sia consegnando a Guglielmo
d'Orange una forte somma nel 1572, sia inviando volontari a combattere a
fianco dei calvinisti, cosa ancora più straordinaria, vista la tipica
vocazione non violenta dell'anabattismo. In seguito, il governo olandese li
trattò tutto sommato abbastanza bene, affrancando i loro templi e orfanotrofi
dal pagamento delle tasse, permettendo loro di fare semplici dichiarazioni al
posto dei giuramenti nei tribunali e esentandoli dalla leva militare dietro
pagamento di una somma concordata.
Hans De Ries Hans De Ries,
medico anabattista residente in Alkmaar, nacque nel 1553 e fu, come si è
detto, il capo spirituale dei mennoniti olandesi per 54 anni, dal 1577 al
1638, anno della sua morte, ma anche colui che salvò il movimento mennonita
portandola a dottrine più ortodosse. Nonostante l'impegno di sostegno a
Guglielmo d'Orange per la lotta di liberazione, i mennoniti waterlanders
erano rimasti profondamente pacifici e questo loro spirito fu ribadito il 22
settembre 1577 nella Confessione di fede di Waterland, primo atto ufficiale
della guida spirituale di R. stesso, in cui si condannò la guerra e la
violenza, oltre a sottolineare i soliti punti cardini dell'anabattismo:
battesimo solo degli adulti, negazione del peccato originale, condanna del
giuramento, obbedienza condizionata alle autorità locali. Nel 1581 R.
convocò il primo sinodo dei waterlanders, con la partecipazione di 12
congregazioni e dove venne adottata un primo codice di disciplina. Nel 1615,
dopo notevoli discussioni e polemiche interne, la corrente waterlander fu
ampliata dopo l'ammissione del gruppo separatista inglese di John Smyth, il
fondatore dei battisti inglesi. Per facilitare la comprensione dei concetti
anabattisti da parte dei nuovi confratelli, R. scrisse, assieme a Lubbert
Gerritsz (1560-1612), nel 1608, un'altra confessione di fede in 38 articoli,
denominata Confessione di Hans de Ries (Belijdenis van Hans de Ries) o
Confessione di Waterland (Waterlandsche Belijdenis), ampliandolo nel 1610 con
due articoli aggiuntivi. Gli stessi due autori, otto anni dopo, nel 1618,
pubblicarono a Hoorn la Breve Confessione di Fede (Corte Belijdenisse des
Gheloofs) in 40 articoli e l'attività instancabile di scrittore di R. portò
nel 1626 alla pubblicazione della Apologia. R. non intervenne solo sulla
dottrina anabattista, ma anche sulla sua ritualistica: un suo intervento, per
esempio, riguardò la preghiera silenziosa: infatti inizialmente i mennoniti
in Olanda pregavano in silenzio in ginocchio, sia durante le funzioni
pubbliche che a casa propria: questa usanza è ancora in vigore presso gli
Amish ed alcuni gruppi in Stati Uniti. R. introdusse l'usanza delle preghiere
dette ad alta voce durante le funzioni e senza inginocchiarsi, sebbene questa
novità, all'onor del vero, portò una certa discordia tra i fedeli. R. morì
nel 1638.
Desiderio (vescovo cataro) (XIII
secolo)
"Figlio maggiore" di Nazario e suo successore nel 1235
come vescovo cataro della chiesa di Concorezzo. Rifiutò il dualismo
moderato di Nazario e respinse il libro sacro (secretum) dei catari,
l'Interrogatio Johannis, un testo apocrifo di origine bogomila, che si
ispirava alla Genesi e agli apocrifi della Bibbia e che fu portato da fedeli
provenienti dalla Bulgaria. D. operò un certo sincretismo con la Chiesa
Cattolica, accettando il concetto di un Cristo, consustanziale con il Padre,
che si fece uomo, morì e successivamente risorse. D. accettò inoltre il
sacramento del matrimonio (cosa normalmente rifiutata radicalmente dai
catari). Di Capua, (o De Capua) Pietro Antonio (o Pietrantonio o Piero
Antonio), arcivescovo di Otranto
(m.1579)
Introduzione Pietro Antonio Di Capua fu un'esponente
di una delle più illustri famiglie feudali del regno di Napoli, i Di (o De)
Capua appunto, che in cinquecento anni di vita hanno dato alla storia 2
cardinali, 4 arcivescovi, diversi magistrati, un viceré, e numerosi e valenti
uomini d'armi.
D. valdesiano Nominato nel 1536, ancora giovane,
arcivescovo d'Otranto, D. si accostò ai circoli evangelici, che gravitavano a
Napoli intorno alla figura di Juan de Valdés, di cui egli condivise le
dottrine e di cui fu a lungo discepolo. Dopo la morte del maestro spagnolo,
assistito sul letto di morte proprio da D., quest'ultimo entrò a far parte
del gruppo degli spirituali legati al cardinale inglese Reginald Pole e fu in
contatto con alti prelati progressisti come Vittore Soranzo e Giovanni Morone
e famosi personaggi come Pietro Carnesecchi. Inoltre introdusse negli
ambienti valdesiani l'umanista Michele Bruto e protesse il predicatore
ortodosso Fra Angelo da Messina (Ludovico Manna), raccomandatogli da
Carnesecchi, e che fu da lui impiegato come lettore della Sacra Scrittura nel
duomo di Otranto, tuttavia, in seguito, dovette licenziarlo per aver espresso
idee un po' troppo radicali. Infatti col passare degli anni i componenti del
gruppo evangelico di Valdés e Pole vennero sempre più stretti nella morsa
dell'Inquisizione e neanche il giovane arcivescovo d'Otranto, nonostante
l'appoggio di influenti famiglie aristocratiche, poté sfuggire a questa
persecuzione. All'inizio degli anni '50, a causa delle sue idee religiose, la
nomina a D. a cardinale fu più volte rinviata da parte del papa Giulio III
(1550-1555), pressato dagli alti vertici del Sant'Uffizio che ne chiedevano
la messa in stato d'accusa e l'abiura, e, sebbene nel 1554 lo stesso Giulio
III dichiarasse che D. era caduto nell'eresia "per piacerli troppo
l'ingegno suo, per confidarsi troppo nella sua prudentia, per la conversione
del Valdesio et altri eretici et per credersi di acquistare nome di dotto
con interpretare al riverscio le Scritture", solo grazie le potenti
protezioni da parte degli Asburgo e dei Gonzaga, con i quali D. era
imparentato (era cognato di don Ferrante Gonzaga), il papa impose comunque
all'Inquisizione di astenersi da ogni ulteriore procedimento contro
l'arcivescovo di Otranto. Ma D. rimase sempre al centro di indagini
dell'Inquisizione ed in seguito all'elezione di Papa Paolo IV (1555-1559), fu
arrestato a Roma nel 1558, e l'unica cosa che lo salvò da un successivo
processo per eresia fu la fuga nel regno di Napoli.
Ritorno al
cattolicesimo Solo durante il papato di Pio V (1566-1572), si concluse, in
tutta segretezza, la partita con un benevolo procedimento extragiudiziale,
che favorì il ritorno dell'arcivescovo d'Otranto nel grembo della
Chiesa Cattolica. Nel settembre 1567, a conferma di questa sua ormai
completa adesione all'ortodossia, egli si fece notare per aver inserito
alcune norme di riforma [scaturite dal Concilio di Trento (1545-1563)] a
proposito dei sacramenti del battesimo, della cresima e della estrema
unzione, negli ordinamenti del suo sinodo provinciale con la precisa
intenzione di ridurre all'obbedienza i sacerdoti delle minoranze greche del
Salento, che adottavano riti ortodossi, prevedendo la loro possibile
estromissione dal corpo capitolare delle proprie rispettive parrocchie, nel
caso che avessero perseverato ne "l'antica consuetudine conservata presso di
loro" di perpetuare "l'antico errore . della Chiesa
Costantinopolitana". D. morì nel 1579.
Winstanley, Gerrard (ca.
1609-ca. 1660) e i diggers (1648-50)
I diggers (scavatori o
zappatori) furono un movimento popolare sviluppato in Inghilterra nel periodo
1648-50 a causa delle estreme condizioni di povertà della gente comune. Il
fenomeno nacque, secondo alcuni autori, con l'ausilio di aderenti al gruppo
di levellers, con la ricoltivazione da parte della povera popolazione locale
di terreno pubblico abbandonato, dapprima nella contea del Buckinghamshire
nell'inverno 1648, ed in seguito, nell'aprile 1649, nella contea del Surrey,
intorno all'area di St. George's Hill e Cobham Heath. Qui si distinse il
reverendo Wiiliam Everard (ca. 1575-1650) che con i suoi seguaci disboscarono
e coltivarono terreni oramai lasciati andare.
Gerrard
Winstanley Tuttavia chi strutturò e teorizzò il movimento dei d. fu Gerrard
Winstanley. Egli era nato da una nobile e facoltosa famiglia del Lancaster
nel 1609 ca., aveva lavorato anche come mercante, ma in seguito aveva perso
ogni suo avere durante la guerra civile (1642-46) e si era ridotto a fare il
guardiano di mandrie a Cobham, nel Surrey. Qui, nel 1648, Winstanley iniziò a
scrivere trattati religiosi e sociali, di cui il più importante fu The new
law of Righteousness (la nuova legge della giustizia), del 1649, dove
egli teorizzava una nuova società democratica senza classi sociali
come alternativa all'attuale basata sul privilegio e la ricchezza e rigettava
il concetto della proprietà privata della terra, che doveva ritornare,
con mezzi pacifici, al popolo. Altri lavori, scritti nello stesso anno con
vari co-autori, furono A Declaration from the Poor Oppressed People of
England Directed to all that Call Themselves or are Called Lords of Manors
(Una dichiarazione dei poveri ed oppressi dell'Inghilterra a coloro che
si chiamano o vengono chiamati Signori delle proprietà terriere) e
TheTrue Levellers Standard Advanced (Il vero standard avanzato dei
livellatori). Ovviamente queste argomentazioni erano particolarmente sgradite
ai proprietari terrieri della zona, che dapprima protestarono con le
autorità, poi affidarono a teppisti prezzolati il compito di organizzare
spedizioni punitive. Nonostante ciò, Winstanley continuò a pubblicare atri
trattati e a recarsi, spesso con Everard, dal Generale Lord Fairfax
(1601-1671) per giustificare e spiegare le motivazioni del movimento. Ma
gli attacchi contro le comunità di d. non cessarono, sia come atti vandalici,
che sotto forma di omelie ostili da parte dei parroci locali, che, infine,
come interventi dei giudici, i quali spesso condannavano per introduzione
abusiva in proprietà private i d. a pesanti multe e severe
pene detentive. E così via con questo braccio di ferro, il quale non poté
ovviamente durare molto per la disparità delle forze in campo: nell'estate
1650, nonostante l'appassionante difesa di Winstanley, i d. gettarono la
spugna, abbandonando alla chetichella l'area del Surrey da loro
coltivata. Senza appoggi politici, il movimento dei d., con il suo messaggio
radicale per una società più democratica, scomparve abbastanza
rapidamente, osteggiato come era ovviamente dalle classi più abbienti. Di
Winstanley, dopo il 1652 si persero le tracce: si suppone che sia
andato avanti ad abitare nella stessa zona fino a circa il 1660, data intorno
al quale è probabile che sia morto.
Davide di Dinant (ca. 1160 -
ca. 1215)
La vita Davide di Dinant, filosofo e naturalista
fiammingo del XII secolo, nacque probabilmente intorno al 1160, a Dinant
nell'odierno Belgio oppure a Dinan in Bretagna. D. insegnò filosofia
all'università di Parigi, dove fu influenzato dagli insegnamenti di Platone e
Aristotele. Di quest'ultimo, D. ebbe l'opportunità di leggere le idee
rielaborate da commentatori arabi, come Avicebron (1020-1069 ca.), autore
della Fons Vitæ, e solo in quegli anni disponibili ritradotti in
latino. Nel 1210 il libro Quatermuli (quaderni di appunti) di D.,
confutato successivamente da San Alberto Magno (1205-1280) e San Tommaso
d'Aquino (1221-1274), fu condannato dalla Chiesa ad essere distrutto sul
rogo, condanna confermata nel 1215 dal legato pontificio Cardinale Robert
Courçon (m. 1218). D. stesso dovette fuggire dalla Francia per sottrarsi
alla cattura e morì dopo il 1215. La sua opera principale fu chiamata
anche De tomis id est de divisionibus e di essa ci sono giunti alcuni
frammenti. La condanna degli scritti di D. coinvolse anche quelli di
Aristotele e per un certo periodo, fu bandito lo studio del suo
pensiero.
La dottrina Come il suo collega Amalrico di Béne, D.
insegnava un credo di tipo panteistico e neoplatonico, che prendeva
ispirazione direttamente da Giovanni Scoto Eriugena: in particolare che Dio
era compreso in tutte le cose, Egli era, cioè, la materia prima comune a
tutti gli esseri corporei ed incorporei, l'essenza di tutto ciò che esisteva,
e quindi della realtà, che veniva diviso in tre categorie, materia (il
corpo), intelletto (l'anima) e spirito. Dio dunque, secondo D., era
l'elemento, invariabile e senza forma, alla base di tutto: le differenze
visive delle cose tra di loro diverse erano solamente apparenze
superficiali.
Diodati, famiglia (XVI e XVII
secolo)
Famiglia di riformatori esuli lucchesi (per la
particolare situazione di Lucca nel XVI secolo, vedi Burlamacchi) del XVI e
XVII secolo, di cui si ricordano:
1) Diodati, Pompeo
(1542-1602) Figlio di Niccolò (di Alessandro) Diodati (1511-1544), discepolo
di Pier Martire Vermigli e primo a convertirsi alla Riforma, e della moglie
Zabetta Arnolfini, Pompeo si accostò alle idee riformiste durante un viaggio
in Piemonte e a Lione. Nel 1563 si recò a Venezia, nel 1564 nuovamente a
Lione, e nel 1565 a Ginevra, ma tornato infine in patria, dovette fuggire
poiché era stato denunciato all'Inquisizione. Nel 1566 andò quindi
definitivamente in esilio, a Lione, e qui venne raggiunto dalla madre e dalla
futura moglie Laura Calandrini. Nel 1567 egli riparò con la propria famiglia
e con quelle di Michele Burlamacchi e di Benedetto Calandrini presso la
duchessa Renata d'Este, grande protettrice della causa calvinista. Dopo
varie vicissitudini in Francia, culminate con la strage degli
Ugonotti, perpetrata la notte di San Bartolomeo (23 Agosto) del 1572, P.,
assieme a Michele Burlamacchi, decise nel 1575 di recarsi a vivere a Ginevra.
Qui riprese l'attività di mercante nel commercio della seta, mettendosi
in società con Carlo Diodati, padre di Giovanni (vedi sotto) e con
Francesco Turrettini, e ricoprì importanti incarichi cittadini. Morì nella
città svizzera nel 1602.
2) Diodati, Carlo (1541-1625) Il padre di
Carlo era Michele Diodati, per tre volte gonfaloniere della città e
consigliere della Repubblica: nel 1541, durante un incontro a
Lucca dell'imperatore Carlo V (1519-1556) con Papa Paolo III (1534-1549),
la moglie di Michele, Anna Buonvisi (figlia di Martino, anche lui
gonfaloniere e inoltre ambasciatore della repubblica presso l'imperatore),
diede alla luce un bambino. L'imperatore in persona si offrì di fare da
padrino chiedendo che il neonato fosse battezzato con il suo nome (Carlo) e
il papa si offrì di celebrare il battesimo! Tuttavia la situazione cambiò
radicalmente nel 1558, quando Michele, caduto in disgrazia per l'accusa di
eresia, fu incarcerato nelle prigioni dell'Inquisizione di Roma per diversi
mesi. Carlo venne a contatto con la Riforma durante i suoi viaggi di lavoro
a Lione e fu bandito da Lucca il 3 marzo 1568 come eretico: si trasferì
a Ginevra, dove nel 1572 gli fu riconosciuta la cittadinanza della città
e dove nel 1573 entrò nel Consiglio dei 200. Morì nel 1625.
3)
Diodati, Giovanni (1576-1649) Il più illustre rappresentante della famiglia
fu senz'altro Giovanni, il notissimo teologo calvinista. Giovanni nacque a
Ginevra il 3 Giugno 1576 da Carlo Diodati e dalla sua seconda moglie, Maria
Mei, e fu battezzato dal pastore Nicola Balbani. Egli studiò teologia con
Theodore di Béze, successore di Calvino, presso l'Accademia di Ginevra, dove
divenne dottore a soli 19 anni e successivamente approfondì la conoscenza
della lingua ebraica ed aramaica all'università tedesca di Herborn, ottenendo
la cattedra di ebraico a Ginevra a 20 anni, nel 1596. Nel 1600 G. sposò
Maddalena, figlia di un altro noto esiliato religioso: Michele Burlamacchi.
Dal suo matrimonio nacquero 4 figli. Diventò molto noto per aver pubblicato a
sue spese, nel 1607 a Ginevra, la prima edizione (la seconda, più ampia, è
del 1641) della Bibbia, cioè i libri del Vecchio e del Nuovo Testamento
nuovamente translati in Lingua italiana da Giovanni Diodati di nation
lucchese, una traduzione quindi in italiano, ma direttamente dagli originali
in ebraico e greco antico. A questa seguirà nel 1608 il Nuovo Testamento del
Signor nostro Iesu Christo. La Bibbia di Giovanni Diodati, con ben poche
modifiche, è tuttora il testo di riferimento per gli evangelici italiani ed è
conosciuta con il vezzeggiativo di "la diodantina" . Nello stesso anno G.
divenne rettore dell'Accademia di Ginevra, di cui rimase professore fino a
quattro anni prima della sua morte. G. visitò anche Venezia due volte tra il
1605 ed il 1608, sotto lo pseudonimo di Giovanni Coreglia, collaborando con
il celebre fra' Paolo Sarpi (1552-1623) al progetto, mai andato in porto, di
far passare la città alla Riforma. Infatti, in seguito all'interdetto
lanciato sulla città da parte del papa Paolo V il 17 luglio 1606, Sarpi
studiò questa clamorosa possibilità, tuttavia non se ne fece niente perché le
vere motivazioni di Sarpi erano più politiche (contro lo strapotere del
papato di Roma) che dottrinali (a favore della Riforma). Nel 1618/9,
accompagnato da Vincenzo Burlamacchi, G. venne inviato in rappresentanza
della città e della chiesa di Ginevra al sinodo di Dort (o Dordrecht), dove
il pensiero di Arminio (Jacob Hermanzoon) fu duramente condannato, i suoi
seguaci, i Rimostranti, perseguitati, e furono elaborati i cinque punti del
calvinismo, denominati Canone di Dort (depravazione totale, elezione non
condizionata, espiazione limitata, grazia irresistibile e perseveranza dei
santi). Su quest'ultimo argomento, se pur malato, intervenne G., colpendo
favorevolmente l'uditorio. Negli ultimi anni della sua vita, G. soffrì di una
malattia al fegato e morì a Ginevra il 13 ottobre 1649, all'età di 73
anni.
4) Diodati, Teodoro (1573-1650) Figlio di Carlo e fratello
maggiore di Giovanni, Teodoro studiò medicina a Leida, trasferendosi poi in
Inghilterra, diventando membro del Royal College of Physicians nel 1616 ed
esercitando la professione per illustri pazienti, come i principi Enrico
Federico e Elisabetta, fratelli del futuro re Carlo I (1625-1649). T. ebbe
tre figli (Charles, Philadelphia e John), di cui degno di nota è
il primogenito Charles, grande amico del famoso poeta John Milton
(1608-1674), che si disperò moltissimo alla sua prematura morte nel
1638.
Diodoro di Tarso (ca. 330- ca.391)
La
vita Diodoro, di nobile famiglia, nacque in Antiochia ca. nel 330 e studiò
ad Atene. Successivamente entrò in un monastero vicino ad Antiochia, ma
nel 361 fu coinvolto nello scisma interno alla Chiesa di Antiochia,
parteggiando per Melezio, dal quale fu nominato prete. Durante il regno di
Giuliano l'Apostata (361-363), D. si impegnò in una coraggiosa e vivace
polemica con l'imperatore stesso, il quale aveva attribuito la salute
precaria di D. ad una punizione inflitta dagli Dei pagani. Sopravvisse
anche le persecuzioni ordinate dall'imperatore Valente (364-378),
coordinando, assieme a Flaviano, le fila dei meleziani, dopo l'esilio del
loro ispiratore. Nel 372, D. conobbe San Basilio, che lo creò vescovo di
Tarso, mentre poco dopo l'imperatore Teodosio (379-395) lo nominò come uno
dei referenti per l'ortodossia per l'Oriente. Inoltre egli fu anche amico e
sostenitore di San Crisostomo. D. morì nel 391 ca.
Il
pensiero D. fu il principale esponente della teologia antiochena e un
convinto assertore della esegesi letterale e storica della Bibbia, in
contrasto con gli origenisti. Il suo coinvolgimento nella storia delle
eresie cristologiche si riferisce al fatto di aver esagerato nella difesa
dell'ortodossia contro Apollinare di Laodicea, insistendo sulle due nature,
divina e umana, di Cristo, ma senza risolvere il problema di come potessero
coesistere in un'unica persona. Per D. e per il suo discepolo Teodoro di
Mopsuestia fu chiesta una condanna postuma nel 437 da parte di Cirillo di
Alessandria, sia perché nei loro scritti avevano ribadito che l'umanità di
Cristo doveva presupporre una personalità umana, ma forse soprattutto perché
i due erano stati, rispettivamente, la fonte d'ispirazione (del tutto
innocente) e il maestro di Nestorio. In tale occasione essi furono difesi da
Teodoreto di Ciro.
San Dionisio (o Dionigi) d'Alessandria, detto il
Grande (ca. 190 - ca. 264)
Nell'ambito della discussione sui
lapsi , coloro i quali avevano abiurato la fede cristiana durante le
persecuzioni, ordinate dall'imperatore Decio nel 249-251, assunse una certa
importanza il vescovo di Alessandria, Dionisio (o Dionigi). D. era nato
ca. nel 190 da una famiglia pagana di nobili origini e divenne cristiano in
gioventù. Studiò alla scuola di catechismo e di teologia di Alessandria, il
celebre Didaskaleion, sotto la guida di Origene, e dal 231, data
dell'espulsione di quest'ultimo, completò i suoi studi con Eracle, successore
di Origene. Alla morte del vescovo Demetrio, Eracle fu nominato al suo posto
e D. divenne capo del Didaskaleion. A sua volta, D. successe ad Eracle come
vescovo di Alessandria nel 247-8. Nel 249, scoppiò una tremenda persecuzione
dei cristiani: iniziata negli ultimi mesi dell'impero di Filippo l'Arabo,
venne poi legalizzata dal nuovo imperatore Decio. D. fu arrestato dal
prefetto Sabino, ma, mentre veniva portato in prigione, fu liberato da un
gruppo di cristiani e ospitato in un luogo imprecisato nel deserto della
Libia fino alla cessazione delle persecuzioni nel 251. Rientrato nella sua
sede, D. fu coinvolto nelle discussioni che portarono alla scissione della
Chiesa dei santi di Novaziano, opposto a Papa Cornelio (251-253), che D.
appoggiò nel suo intento di riammettere i lapsi previo pentimento. Nel 257
una nuova persecuzione dei cristiani, ordinata dall'imperatore Valeriano,
provocò un ulteriore esilio in un luogo sicuro di D., il quale rientrò ad
Alessandria solo in seguito all'atto di tolleranza dell'imperatore Gallieno
del 260. Una sorte ben peggiore toccò al Papa Stefano I, martirizzato il 2
Agosto 257, e a Cipriano di Cartagine, ucciso il 14 Settembre
258. Cipriano aveva in comune varie cose con D.: erano ambedue pagani
convertiti, avevano preso posizione favorevole al riaccoglimento dei lapsi,
avevano discusso e litigato con i papi dell'epoca (Cipriano con Stefano I,
Dionisio con il suo omonimo papa Dionisio I), erano stati ambedue
scomunicati, ma, passato tutto nel dimenticatoio, erano stati infine
canonizzati. La scomunica di D. risalì al periodo in cui egli prese una
decisa posizione contro il modalismo, rappresentato all'epoca da Sabellio.
Per difendere la Trinità dall'attacco modalista di essere solo o tre modi di
rivelazione in cui si manifestava, o attributi dati a Dio Padre, D. reagì
troppo nella direzione opposta, finendo in una posizione eretica. Infatti
egli, seguendo gli insegnamenti del suo maestro Origene, affermò che il
Figlio era qualcosa di creato (poiema) e quindi subordinato al
Padre; inoltre, come tale, Egli era una persona distinta, nella sostanza, dal
Padre stesso. Infatti per D., il Padre era eterno e non generato, mentre il
Figlio era "il primo generato" o "l'unico generato" (o Unigenito). Per
questo suo teorema, D. venne considerato uno dei padri dell'arianesimo, ma,
condannato dal suo omonimo papa, D. fu costretto a chiarire il suo pensiero
ed a correggere l'attributo di Cristo in "eternamente generato". Inoltre, D.
si rifiutò di inserire l'Apocalisse di Giovanni tra i libri canonici del
Nuovo Testamento, in quanto contrario all'idea chiliastica, cioè
dell'imminente ritorno di Cristo, che avrebbe segnato l'inizio di un regno
sulla terra di mille anni. La sua critica pungente fece sì che l'Apocalisse
venisse accettato, in seguito, dalle Chiese orientali solo molto tempo dopo
le Chiese occidentali. Infine, in occasione del primo sinodo di Antiochia del
264, indetto per condannare le teorie adozioniste di Paolo di Samosata, D. fu
chiamato a partecipare, ma rifiutò in quanto stanco e malato e morì nello
stesso anno (secondo alcuni autori, l'anno successivo, e più precisamente il
21 Novembre).
Dioscoro d'Alessandria (m.
454)
Dioscoro fu eletto Patriarca di Alessandria, come successore
di S.Cirillo, nel 444. Non era un grande teologo come quest'ultimo, ma
comunque attrettanto ambizioso. Nel 448, sostenne la causa del monaco
Eutiche, che aveva accusato il vescovo di Costantinopoli, S. Flaviano, di
essere un nestoriano. Lo scopo di Dioscoro era più politico che teologico:
indebolire l'immagine del Patriarcato di Costantinopoli per dare più
prestigio alla sede di Alessandria. Nel 449, durante il Concilio di Efeso,
che Dioscoro presidiette, egli terrorizzò i 135 padri conciliari con la sua
turba di monaci semianalfabeti violenti e fanatici, capitanati da Barsumas e
destituì i più importanti teologi antiocheni, arroccati su posizioni
nestoriane. Nel parapiglia, alcuni dei presenti furono perfino
uccisi. L'insegnamento monofisita di Eutiche venne dichiarato ortodosso e il
vescovo di Costantinopoli fu mandato in esilio. Morì successivamente per le
percosse ricevute. Papa Leone Magno (440-461), che, fra l'altro, convocò
questo concilio, ma non vi partecipò, lo definì non un "concilium", bensì un
"latrocinium" (brigantaggio)! D. fu sempre protetto dall'imperatore
Teodosio II (408-450), ma alla morte di quest'ultimo, egli fu scomunicato e
deposto dal Concilio di Calcedonia, convocato nel 451 dall'Imperatrice
(Santa) Pulcheria, fervente cattolica ortodossa. D. morì nel 454, esule a
Gangra in Paflagonia. La malasorte del loro vescovo offese moltissimi
egiziani, che si schierarono con lui e ciò permise al monofisismo di crescere
negli anni successivi, fino alla fondazione della Chiesa
Copta.
Docetismo
Terminologia cristologica derivata dal
greco dokéin, cioè apparire. Si riferisce alla convinzione che l'umanità e le
sofferenze di Gesù Cristo fossero più apparenti che reali. Secondo i
docetisti, in Gesù Cristo non potevano essere simultaneamente presente sia il
Bene che il Male, rappresentato dalla carne. Allora Cristo avrebbe dovuto
avere un corpo solo apparente oppure etereo e quindi Egli non sarebbe potuto
nascere dalla Vergine Maria, né morire, né resuscitare, né infine ci sarebbe
il corpo di Cristo nell'eucarestia: il tutto insomma sarebbe una pura
illusione dei sensi.
Non si segnalano capostipiti di questo pensiero,
che apparve più volte durante la storia del cristianesimo. Si sviluppò come
un pensiero collaterale dei gnostici, preoccupati di rimuovere lo scandalo
della crocefissione. Già da Simon Mago in avanti, si formulò il concetto
che il Cristo non aveva sofferto sulla croce, o perché era stato sostituito
da qualcun altro (p.e. Simone Cireneo, secondo Basilide) o perché tutto
l'episodio del Calvario era stato un'illusione.
Propugnatori della
dottrina docetica sono i più famosi maestri gnostici, come: Saturnino, Cerdo,
Basilide, Valentino, Tolomeo, ed altri eretici come: Marcione, Apelle,
Bardesane, Giulio Cassiano, gli Elcasaiti, i Manichei, i Priscillianisti, i
Pauliciani, i Seleuciani, i Bogomili fino a finire ai Catari. Nel periodo
della riforma, gli Anabattisti avevano coltivato alcune vedute docetiche ed
infine in tempi più moderni alcuni concetti del docetismo hanno fatto parte
della dottrina teosofica.
Fra Dolcino da Novara (ca. 1250-1307) e
dolciniani
La vita Dolcino Torielli (o Tornielli) nacque,
intorno al 1250, a Prato Sesia (Novara) e si dice fosse il figlio illegittimo
di un prete spretato. In gioventù fu probabilmente un francescano o perlomeno
compì degli studi regolari, perché mostrò sempre una certa cultura e una
buona conoscenza del latino e delle Sacre Scritture. Nel 1290 entrò nel
movimento degli apostolici di Gherardo Segalelli, ma per diversi anni non si
fece particolarmente notare. Il cambiamento avvenne nel 1300 dopo la morte
sul rogo del Segalelli: la repressione da parte della Chiesa cattolica fu
molto brutale e lo stesso D. riparò per qualche tempo in Dalmazia. Da qui
scrisse la prima delle sue lettere a tutti i seguaci del movimento,
presentando la sua idea sullo sviluppo delle ere della Storia rielaborando le
ben note teorie di Gioacchino da Fiore. Ben presto D. fu nominato capo del
movimento degli apostolici e nei primi mesi del 1303, egli trasferì il
movimento sulle montagne del Trentino, vicino ad Arco sul Lago di Garda, dove
conobbe Margherita di Trento, figlia della contessa Oderica di Arco ed
educanda in un convento. La fanciulla sarebbe diventata la futura compagna di
D., che da Arco scrisse la seconda delle sue lettere agli
apostolici. Tuttavia poiché la lunga mano dell'Inquisizione era giunta fino
in Trentino con il rogo di tre apostolici, D. decise nel 1304, per
organizzare meglio la resistenza, di guidare i suoi seguaci (ben tremila
persone) con una epica marcia attraverso le montagne lombarde fino in Val
Sesia, la sua terra natia. Si dice che il nome di Campodolcino, un paese
vicino a Chiavenna, sia una diretta testimonianza di questo esodo di massa
dei dolciniani. In Val Sesia i dolciniani si insediarono dapprima nella parte
bassa della valle tra Gattinara e Serravalle, in località Piano di Cordova,
nel feudo dei conti di Biandrate, e grazie all'apporto di servi fuggiaschi
dei vescovi di Novara e di Vercelli, arrivarono ad essere una schiera di
circa 4.000 persone. Si unirono anche diversi letterati provenienti da varie
parti d'Italia (Bologna, Toscana e Umbria), come Bentivegna da
Gubbio. Successivamente sotto l'incalzare delle truppe dei vescovi di Novara
e Vercelli, essi si spinsero più in su nella valle, nei possedimenti di
un ricco valligiano, di nome Milano Sola, di Campertogno, un paese
pochi chilometri prima di Alagna. Da lì, per difendersi meglio dapprima
si trasferirono sulle pendici della Cima Balme ed infine in Val Rassa, vicino
a Quare, su una montagna denominata Parete Calva, dove i superstiti
(circa 1.500 persone) si asserragliarono per tutto l'inverno del 1304. Da
qui scendevano per saccheggiare e rubare nei villaggi sottostanti. Ogni
azione malvagia compiuta dai dolciniani in questo periodo fu giustificata da
D. Egli riteneva che essi fossero talmente perfetti da poter commettere
qualsiasi atto senza correre il rischio di peccare, secondo il detto di San
Paolo: Tutto è puro per i puri (Lettera a Tito 1,15) ed in questo essi
assomigliarono molto ai Fratelli dei Libero Spirito. Ma nel rigido inverno
del 1305 la morsa dell'assedio delle truppe cattoliche e dei valligiani fu
talmente incisiva che Margherita di Trento, con inaspettato coraggio, decise
lei stessa di guidare il gruppo in una disperata azione di sgancio
dall'assedio attraverso montagne e passi innevati fino alla loro nuova
roccaforte, il monte Rubello, vicino a Trivero, in provincia di Vercelli,
dove giunsero nel Marzo 1306. Nel frattempo, nello stesso 1306, volendo
definitivamente farla finita con questa setta, il Papa Clemente V (1305-1314)
aveva bandito una crociata. I dolciniani, completamente circondati e posti
d'assedio dalle truppe cattoliche, resistettero per circa un anno, ma poi,
oramai ridotti in condizioni disumane (mangiavano carne di topi e di cani e
ci furono perfino episodi di cannibalismo), dopo un ultimo assalto, costato
la morte a 800 dolciniani, si arresero alfine nel 1307. D., Margherita e
Longino Cattaneo di Bergamo, luogotenente di D., vennero catturati vivi e
portati a Biella, dove Longino e Margherita furono arsi sul rogo il 1° Giugno
1307, nonostante i tentativi di alcuni nobili locali di salvare la vita della
donna, facendola abiurare. D. fu costretto ad assistere al rogo della sua
compagna e successivamente portato a Vercelli per essere, a sua volta, arso:
durante il percorso gli vennero strappate le carni con delle tenaglie
roventi. Nonostante questa atroce tortura, D. non si lamentò mai, eccetto
quando si strinse nelle spalle all'amputazione del naso o quando sospirò
profondamente al momento dell'evirazione.
La tragica vicenda di D.
suscitò l'interesse di diversi letterati nel corso dei secoli come Nietzsche
e Dante Alighieri, che lo descrisse nell'Inferno nel canto XXVIII ai versi
55-60 (Or di' a fra Dolcin dunque che s'armi....). Nel 1907 sul luogo della
sua ultima resistenza fu eretto un obelisco commemorativo, che fu abbattuto a
cannonate durante il fascismo per essere poi ricostruito negli anni
'60.
La dottrina Come si diceva, D. si ispirò alle dottrine
millenariste di Gioacchino da Fiore. Secondo D., la storia dell'umanità era
contraddistinta da quattro periodi: Quello del Vecchio Testamento,
caratterizzato dalla moltiplicazione del genere umano, Quello di Gesù
Cristo e degli Apostoli, caratterizzato dalla castità e povertà, Quello
iniziato al tempo dell'imperatore Costantino e di Papa Silvestro
I, caratterizzato da una decadenza della Chiesa a causa dell'accumulo
delle ricchezze e dell'ambizione, Quello degli apostolici Segalelli e D.,
caratterizzato dal modo di vivere apostolico, dalla povertà, dalla castità e
dall'assenza di forme di governo ed esso sarebbe durato fino alla fine dei
tempi. Inoltre, nelle sue lettere, egli fece ampio accenno all'Apocalisse
di Giovanni e in particolare ai sette angeli delle sette chiese,
precursori della propria setta. Egli infatti attendeva il settimo angelo,
cioè di un papa, finalmente eletto da Dio e non dai cardinali: questi ultimi
sarebbero stati distrutti, assieme a Papa Bonifacio VIII (1294-1303), da
Federico III d'Aragona e di Sicilia (1296-1337), re nel quale erano state
riposte le speranze dei ghibellini italiani. Nonostante le profezie di D.
su Federico III non si avverassero, D. rimase sempre un riferimento per i
suoi seguaci ai quali aveva predetto che, sotto questo nuovo papa, gli
apostolici avrebbero potuto ricevere la grazia dello Spirito Santo e
predicare e vivere in pace fine alla fine dei tempi.
Savonarola,
Girolamo (1452-1498) e arrabbiati (o compagnacci o
piagnoni)
Girolamo Savonarola nacque a Ferrara il 21 Settembre
1452 e, da giovane intellettualmente dotato com'era, si dedicò con successo a
studi di filosofia e medicina. Nel 1474, senza neppure avvisare la sua
famiglia, prese tuttavia la repentina decisione di entrare nell'Ordine
Domenicano a Bologna, dove fino al 1482 rimase in convento conducendo una
vita ascetica dedicata alla preghiera e all'approfondimento degli studi sulla
filosofia di Aristotele e di San Tommaso Aquino. In quell'anno, 1482, S.
si recò a Firenze nella Chiesa di San Marco, sede dell'Ordine Domenicano in
città, da dove iniziò a predicare con toni violenti contro la vita immorale
della corte di Lorenzo de' Medici, ma sembra questi primi sermoni non
sortirono l'effetto desiderato, anzi passarono abbastanza
inosservati. Tuttavia, ritornato nella città toscana nel 1489, dopo diversi
anni di prediche in giro per l'Italia, la sua denuncia del paganesimo
diffuso divenne più incisiva e così dicasi dei suoi attacchi contro Lorenzo
de' Medici, nonostante la generosità di quest'ultimo nei confronti del
convento di San Marco, del quale S. stesso fu nominato priore nel
1491. Nel 1493 Lorenzo morì, tuttavia S., non pago, aumentò ugualmente il
livello della sua denuncia contro l'immoralità e gli abusi, questa volta, del
clero e del nuovo Papa Alessandro VI (1492-1503), il famigerato Rodrigo
Borgia, padre di diversi figli, tra i quali i noti Lucrezia e Cesare ed
eletto Papa grazie a spregiudicati atti di corruzione e simonia. Proprio
il contrario degli ideali di S., che anelava ad una rigenerazione morale e
spirituale della Chiesa e che incominciò ad applicare alcune sue idee,
riformando i monasteri toscani dell'Ordine Domenicano secondo una rigida
osservanza della Regola originariamente stabilita e sottraendo il controllo
dalla Congregazione Lombarda, la Casamadre dell'Ordine. Nel 1494 l'esercito
di Carlo VIII di Francia (1483-1498) invase l'Italia, per riaffermare il
diritto del re, di sangue angioino, alla successione al regno di Napoli, dopo
la morte di Ferrante d'Aragona (1458-1494). S. supportò la causa del re
francese, sperando in cambio di un appoggio per la formazione di un governo
democratico in Firenze ed effettivamente la visita di Carlo VIII a Firenze
permise a S. di scacciare l'indegno figlio di Lorenzo de' Medici, Pietro, e
di instaurare una Repubblica teocratica. In tutta la Repubblica fu messa in
vigore una normativa morale molto severa e basata sulla legge di Cristo,
considerato il vero "Re di Firenze". Divennero famosi i "falò delle vanità",
roghi pubblici nei quali vennero bruciati carte e dadi da gioco, libri pagani
e immorali (talora bastava anche un innocente libro di poesie o una copia del
Decamerone del Boccaccio), ornamenti e vestiti lussuosi, e perfino quadri del
Botticelli. Dall'alto del suo successo, S. poté riprendere gli attacchi
contro l'immoralità della Curia romana e di Alessandro VI, ma il Papa
contrattaccò nel 1495 convocandolo a Roma per difendersi dalle accuse di
false profezie. S. rifiutò adducendo motivi di salute
cagionevole. Tuttavia Alessandro VI non demorse e nel 1496 stabilì che i
monasteri domenicani toscani avrebbero dovuto riferire ad una nuova
Congregazione situata (ovviamente) in Roma: al rifiuto di S. di obbedire,
questi fu scomunicato il 12 Maggio 1497. A questo provvedimento S. reagì
dichiarandolo privo di valore e continuando le sue prediche nel Duomo di
Firenze, mentre il Papa reagì minacciando di interdizione la città, se al
predicatore non fosse stata tolta la parola. Oltretutto, l'ostilità locale
nei confronti di S., opportunamente orchestrata da parte dei francescani,
iniziò a crescere fino a quando, nel Marzo 1498, il francescano Padre
Francesco Rondinelli sfidò S. ad un'ordalia del fuoco per stabilire la
santità del predicatore domenicano. Quest'ultimo rifiutò, ma, al suo posto,
accettò la sfida il suo devoto discepolo Domenico da Pescia. Il 7 Aprile
1498, data prescelta per la prova, questa non si poté aver luogo, dapprima
per le lungaggini procedurali, e poi per un improvviso acquazzone. La folla
esasperata e di umore mutevole se la prese con S., arrestato sul luogo
assieme a Domenico da Pescia. A nulla servì la reazione dei suoi seguaci,
denominati arrabbiati o compagnacci o piagnoni (dalle lacrime che versavano
ad ogni sermone di S.), i quali provocarono gravi disordini, assaltando, fra
l'altro, il convento di San Marco al grido di Salvum fac populum tuum,
Domine. Il Papa non si fece scappare la ghiotta occasione di fare i conti con
il predicatore ribelle ed inviò a Firenze il generale dell'Ordine Domenicano
e il vescovo di Ilerda ad assistere al processo. Nonostante le torture, S.
non cedette, tuttavia furono redatti, a cura di alcuni notai compiacenti,
degli atti palesemente contraffatti del processo, nei quali S. avrebbe
ammesso di essere un falso profeta. Sulla base di questa "confessione" S.
venne condannato, assieme ai suoi seguaci Domenico da Pescia e Fra Silvestro,
a morte mediante impiccagione, seguita dal rogo dei corpi e dalla dispersione
delle ceneri nell'Arno. La sentenza venne eseguita il 22 Maggio 1498. La
figura di S. fu onorata dal Luteranesimo, come esempio di antesignano della
Riforma e la sua statua fa parte del monumento dedicato a Lutero, eretto a
Worms, in Germania. Comunque, anche la stessa Chiesa Cattolica sembra aver
espresso recentemente l'intenzione di rivalutare la figura di S. come
rinnovatore della Chiesa ed è stato avviato il relativo processo di
beatificazione presso il Tribunale Ecclesiastico, presieduto dal Cardinale
Silvano Piovanelli, arcivescovo di Firenze, secondo il quale S. "morì e visse
come un santo".
Donato di Numidia (ca.270 - ca.355) e
donatismo
Durante o dopo le grandi persecuzioni del III e IV
secolo, la Chiesa Cristiana si era spesso interrogata sull'atteggiamento da
tenere nei confronti di coloro che, per vari motivi, si erano sottratti al
martirio, tortura o imprigionamento, facendo apostasia, cioè rinnegando la
propria fede, ma che, passata la tempesta, avevano domandato di essere
riammessi nella Chiesa. In latino, costoro venivano chiamati lapsi, cioè
caduti e si dividevano in: Libellatici, che si erano procurati documenti
falsi, che attestavano che essi avevano sacrificati agli dei
romani. Sacrificati, che avevano veramente sacrificato agli
dei. Turificati, che avevano bruciato l'incenso agli dei. Traditores, che
avevano consegnato le Sacre Scritture alle autorità romane.
La
corrente degli intransigenti, come Novaziano intorno al 250 e Melezio
di Licopoli intorno al 305, era per la linea dura: nessun perdono né per
i lapsi né per coloro che avevano commesso peccati mortali. La posizione
ufficiale della Chiesa, ribadita nel Concilio di Elvira del 305, era invece
orientata, con alcuni distinzioni, ad una nuova accoglienza previa penitenza,
come era stato suggerito nel 250 da Cipriano, vescovo di Cartagine. Ironia
della sorte però, fu proprio Cipriano ad introdurre il tema, che diede il
via, circa 60 anni più tardi, allo scisma donatista, e cioè se i sacramenti
amministrati da un sacerdote, reo di essere stato un apostata, erano
considerati validi o meno. Nel 311, morì il vescovo di Cartagine, Mensurio e
al suo posto fu eletto il suo diacono, Ceciliano. Il problema era che
ambedue i prelati erano stati dei traditores durante le persecuzioni di
Diocleziano e quindi contro questa nomina si ribellò un gruppo di 70 vescovi
con a capo il vescovo di Numidia , Donato, nato a Casae Nigrae (Case Nere)
nel 270 ca., e soprannominato "il Grande" per la sua notevole capacità di
eloquenza. D. e gli altri vescovi nominarono vescovo di Cartagine, il prete
Maggiorino, parente della nobile Lucilia, grande protettrice del neonato
movimento. Maggiorino morì pochi mesi più tardi e gli successe D. stesso, che
diede il nome di donatisti ai seguaci di questo scisma. Al di là delle
questioni religiose, questo movimento riuniva una miscela esplosiva di
nazionalismo punico (cioè della zona attualmente corrispondente alla Tunisia
e alla Libia), ostilità verso Roma e volontà di rivalsa delle classi più
deboli. Nel 313, l'imperatore Costantino, prese posizione a favore di
Ceciliano in due lettere scritte al suo proconsole Anulino, ma a questa
decisione i donatisti si opposero con una tale forza che, volendo dirimere la
questione cartaginese, Costantino fece convocare un concilio a Roma, dal 2 al
4 Ottobre 313 in domo Faustae in Laterano, cioè nel Palazzo del
Laterano, futura sede del Papa. Il concilio, presieduto dal Papa Milziade,
condannò D. e confermò come vescovo Ceciliano, tuttavia, al rientro di D., in
patria si scatenarono le reazioni dei suoi sostenitori. Costantino convocò
allora, nel 314, un altro concilio ad Arles in Francia, e qui vennero
riconfermate le decisioni del concilio di Roma e in più si condannò l'usanza
donatista di ribattezzare i peccatori. A questo punto, tra il 317 ed il 321,
si scatenò la repressione imperiale e si cercò con la forza di sopprimere il
movimento, espropriando le chiese donatiste e mandandone in esilio i
capi. Ci furono anche diversi morti, ma anche la reazione dei donatisti non
si fece attendere. In particolare scesero in campo i circoncellioni o
agonisti, vero e proprio braccio armato (sebbene spesso solo di bastoni) del
movimento donatista. Dal 321 Costantino, scoraggiato dal fatto che le
misure intraprese non avevano portato alla pace sperata, lasciò una relativa
libertà di coscienza e di culto al movimento, anche perché alle prese con una
minaccia ben più grave all'unità della Chiesa Cristiana:
l'arianesimo. Dopo qualche anno, il nuovo imperatore Costanzo II, ansioso,
come il padre, di pacificare l'Africa, mandò, nel 347, due commissari, Paolo
e Macario, con larghe somme di denaro per "convincere" alcuni influenti
donatisti a tornare in seno alla Chiesa cattolica. L'azione fu considerata
un vero e proprio affronto da parte di D., ma i disordini che ne seguirono
furono il pretesto per una dura repressione da parte degli imperiali: D.
stesso fu mandato in esilio dove morì, di morte naturale, nel 355. A D.
subentrò, come successore, Parmeniano, riorganizzatore del movimento
e vendicatore, durante il regno dell'imperatore Giuliano nel 362,
delle persecuzioni subite dai donatisti: ci furono i soliti massacri questa
volta a carico dei cristiani ortodossi. Nuovo cambio di rotta con gli
imperatori Valentiniano nel 373, e Graziano nel 377, che ordinarono la
restituzione dei beni ai Cattolici. Ma il segreto della sconfitta donatista
fu l'intervento di due teologi: San Ottato (Optato) di Milevi (l'odierna
Mila, in Algeria) (m. ca. 385), autore di De schismate Donatistarum e
soprattutto Sant'Agostino (354-430), il "martello dei donatisti":
quest'ultimo, diventato vescovo di Ippona (oggi in Algeria) nel 395, si
impegnò a combattere contro i donatisti per parecchi decenni. Agostino fu il
trionfatore della disputa di Cartagine del 411 (un dibattito tra cattolici e
donatisti) e domandò pubblicamente che il potere dello stato venisse usato
contro i donatisti. Questo fu la prima volta nella storia del Cristianesimo
che il potere politico interveniva a difesa del potere religioso per
reprimere un'eresia. Il successivo decreto dell'imperatore Onorio del 412
condannò i donatisti, confiscò le loro proprietà e mandò in esilio i suoi
vescovi, dando un colpo mortale al movimento. A questo si aggiunse nel 429
l'invasione del province romane del Nord Africa da parte dei
Vandali. Tuttavia alcune frange di donatismo resistettero fino all'invasione
araba e alla conquista di Cartagine da parte delle truppe dell'Islam nel 698.
Il movimento fu quindi definitivamente assorbito dall'islamismo, di
cui influenzò il concetto di martirio per fede religiosa.
Dositeo
(I° secolo)
Dositeo, un samaritano contemporaneo o addirittura
precedente a Simon Mago, formò una setta gnostico-giudaica, secondo alcuni
autori, prima dell'era cristiana, e quindi non classificabile come eretico
della Cristianità. Origene pensò che Dositeo (discepolo di Giovanni Battista,
secondo Clemente Alessandrino) facesse parte di quella schiera di falsi
profeti imperversanti durante il periodo di Gesù, ma è probabile che
confondesse due persone con lo stesso nome. I suoi seguaci, con il nome di
dositeani (Dusitamya o Dostân), pare siano sopravvissuti in Egitto fino al X°
secolo.
Storch, Nicholas o Niklas (m. 1525) e "Profeti di Zwichau" o
abecedariani
Premessa Il paese di Zwickau era, nel XVI secolo,
una ricca città della Sassonia, vicino al confine con la Boemia, ed aveva
basato il suo sviluppo sulle attività minerarie dell'argento. Questo
orientamento dell'economia locale aveva, tuttavia, portato in rovina la
precedente fiorente industria tessile, generando una vasta disoccupazione tra
i lavoratori tessili.
Nicholas Storch Nicholas (o Niclas) Storch,
era, per l'appunto, uno di questi ex-tessitori, discendente di una ricca e
potente famiglia mandata in bancarotta dai proprietari minerari. Nel
Maggio 1520, era giunto a Zwickau il noto predicatore riformatore
Thomas Müntzer, chiamato come sostituto del precedente pastore della Chiesa
di Santa Maria, Johannes Egranus. La retorica di Müntzer fu forte e
radicale, soprattutto quando, diventato pastore della Chiesa di Santa
Caterina nell'Ottobre dello stesso 1520, si scagliò contro i monaci
francescani locali. Tra i suoi parrocchiani, i più attenti alle sue
argomentazioni erano, oltre a Storch, l'ex studente di Wittenberg Markus
Stübner e un terzo personaggio, che le varie fonti indicano o come Thomas
Drechsel oppure come Markus Thomä. I tre, denominati "Profeti di Zwickau",
furono fortemente influenzati dalle dottrine dei Fratelli Boemi con una
decisa impronta millenaria - apocalittica, derivata dagli hussiti taboriti:
essi predicavano l'imminenza dell'avvento della "Chiesa degli Eletti",
ricusavano lo studio della teologia e consideravano gli uomini istruiti come
manipolatori della parola di Dio. Per questo erano convinti che era
necessario essere totalmente ignoranti, persino delle prime lettere
dell'alfabeto (ABC), da cui il loro nome di abecedariani. Erano infatti
convinti che Dio avrebbe illuminato i suoi eletti e dato loro la conoscenza
della verità tramite lo Spirito Santo. S. affermava inoltre che l'arcangelo
Gabriele gli era apparso, ordinandogli di diventare capo della "Chiesa degli
Eletti" e di nominare 12 apostoli e 72 discepoli. Finché i "profeti"
potettero godere della benevolenza di Müntzer, non ci furono problemi, ma il
16 Aprile 1521, quest'ultimo fu espulso dal consiglio cittadino di Zwickau,
nonostante le manifestazioni di piazza inscenate per solidarietà dai
"profeti". Il nuovo pastore, Nicolaus Hausmann, non fu affatto tenero con il
movimento e il 16 Dicembre 1521 fece accusare gli abecedariani di ripudio del
battesimo infantile. A questa data, quindi, si fa risalire la prima comparsa
di un movimento radicale, in realtà più anti-pedobattista (contrario al
battesimo dei bambini) che anabattista (ri-battesimo degli adulti),
concetto, quest'ultimo, espresso da Conrad Grebel ed i suoi seguaci in
Svizzera. S., Stübner e Thomä (o Drechsel), espulsi da Zwickau, cercarono di
esportare le loro idee a Wittenberg: furono ascoltati dai principali
collaboratori di
Martin Lutero, Nikolaus von Amsdorf, Philipp Schwarzerd
(Melantone) e Andreas Bodenstein (Carlostadio) e riuscirono ad
impressionare favorevolmente Carlostadio e perfino ad installare dei dubbi in
Melantone, colpito dalla loro conoscenza della Bibbia. La situazione,
precipitata in seguito ad una serie di episodi di iconoclastia provocati da
Carlostadio, divenne così critica che Lutero stesso dovette lasciare il suo
rifugio nel castello di Wartburg e, travestito da cavaliere, tornare a
Wittenberg il 7 Marzo 1522. Le tesi dei "profeti" furono prontamente respinte
da un suo diretto ed energico intervento, riassunto nell'opuscolo Contro i
profeti celesti, dove attaccò duramente anche il suo ex-amico Carlostadio.
Quest'ultimo fu esiliato nel 1524 dal principe Federico III di Sassonia,
detto il Saggio (1486-1525) e si stabilì perfino per un certo periodo nella
città mineraria sassone. S. e i profeti furono espulsi da Wittenberg: in
particolare S. viaggiò tra il 1522 e 1524 in Turingia e Slesia, per
propagandare le sue dottrine, nonostante Lutero nel Settembre 1522 tentasse
inutilmente di convincerlo a ricusare le sue idee. All'inizio del 1525,
con un piccolo esercito di seguaci, S. raggiunse a Mühlhausen Müntzer, che
capeggiava, assieme a Heinrich Pfeiffer, la nota Rivolta dei
contadini. Questa rivolta aveva tuttavia i giorni contati in quanto venne
soppressa il 15 Maggio 1525 dalle truppe di Filippo, langravio di Hesse,
durante la battaglia di Frankenhausen, risoltasi in una orrenda carneficina
dei contadini, 5.000 dei quali furono fatti immediatamente a pezzi dai
cavalieri e soldati meglio equipaggiati e dotati di artiglieria, mentre altri
20.000, che si arresero, furono sgozzati senza pietà. Sia Müntzer che
Pfeiffer furono catturati, torturati e decapitati. Pare che S. fosse
sfuggito alla morte in battaglia, ma che, giunto gravemente ferito a Monaco
di Baviera, fosse morto in un ospedale della città nello stesso
1525.
Dudith Sbardellati, Andrea (1533-1589)
La vita Il
diplomatico ed ecclesiastico italo-ungherese Andrea Dudith Sbardellati nacque
a Buda, in Ungheria, nel 1533 da una nobile famiglia, di origini croate (la
grafia originale del cognome era Dudich), ma fu sempre orgoglioso delle
proprie ascendenze italiane da parte di madre, originaria di un ramo degli
Sbardellati di Rovereto (Trento), emigrato in Ungheria con il nonno
di Andrea. D. rimase ben presto orfano di padre, caduto combattendo contro
i turchi sotto le mura di Buda nel 1542 e venne quindi affidato alla tutela
dello zio materno Agostino Sbardellati, personaggio molto in vista
all'epoca: consigliere dell'imperatore Carlo V (1516-1556), vescovo di
Vác, amministratore dei beni dell'arcivescovado di Esztergom (durante la
sede vacante), purtroppo anch'egli destinato a morire combattendo contro i
turchi nel 1552. D. fu educato a Breslavia e nel 1550 compì un viaggio in
Italia, con una tappa a Vienna. In Italia abitò a Verona e qui conobbe il
cardinale Reginald Pole, che ai tempi viveva a Maguzzano sul Lago di Garda e
lo storico Giovanni Michele Bruto, il quale divenne un suo buon amico. La
figura del cardinale inglese lo colpì molto e, dopo un ciclo di studi
a Venezia e Padova [in quest'ultima città fu collega di studi del
futuro voivoda di Transilvania e re di Polonia, Istvàn (Stefano) Bàthory (re
di Polonia: 1576-1586)], entrò, come segretario personale, al seguito di
Pole in un viaggio a Bruxelles nel 1554 per incontrare Carlo V, il quale
non mancò di raccomandare il giovane D. al fratello Ferdinando I,
arciduca d'Austria, re di Boemia e d'Ungheria (arciduca: 1521-1564, re dal
1527). Nei tre anni successivi (1555-1557), D. fece la spola tra Parigi,
per studiare filologia al College Royal con l'umanista Adrian
Turnebus (1512-1565), e Londra, dove fu testimone del sanguinario tentativo
della regina inglese Maria Tudor (1553-1558) di reintrodurre la
religione cattolica al paese. Tornò brevemente in patria per prendere gli
ordini come canonico di Esztergom, ma, ritornato in Inghilterra, si trovò
senza protettore per la morte del Pole il 17 novembre 1558, lo stesso giorno
della morte della regina Maria Tudor. Decise quindi di seguire un regolare
corso di giurisprudenza a Padova, completato il quale, fu nominato, nel 1560
da Ferdinando I (diventato, nel frattempo, imperatore nel 1556), vescovo di
Knin (o Tinina, in Dalmazia) ed in questa veste partecipò al Concilio di
Trento (1545-1563), oltre che come oratore del clero ungherese, portando
avanti la politica conciliatoria di Ferdinando I, favorevole all'unità del
Cristianesimo a tutti i costi, evitando lo strappo con i protestanti. D.
fece diversi interventi, come per esempio a favore della concessione
del calice ai laici e della comunione sotto ambedue le specie, ed il
cardinale Giovanni Morone, probabilmente per allontanare questo scomodo
protetto dell'imperatore, lo incaricò di presentare le proposte della
curia all'imperatore stesso per poter affrettare la conclusione del
concilio. Conclusa l'ambasciata, D. non tornò più a Trento, e, nonostante i
rapporti non certo ottimali con Roma, egli non perse comunque il favore
imperiale: Ferdinando I lo nominò vescovo nel 1562 di Csanàd, nel settembre
1563 di Pécs, successivamente di Sziget, tutte e tre città ungheresi sotto
il dominio turco, mentre il successore Massimiliano II (1564-1576) lo
inviò come ambasciatore imperiale in Polonia nel 1565. Tuttavia a
Cracovia, nel 1567, egli rinunciò clamorosamente a tutti i suoi benefici
ecclesiastici e si sposò con una dama di compagnia della regina Caterina di
Polonia, sorella dell'imperatore Massimiliano II. Quest'ultimo lo rimproverò
aspramente per la decisione, pur non negandogli il sostegno economico e
accettando ancora i suoi servigi come diplomatico, e D. si difese, scrivendo
un trattato contro il celibato degli ecclesiastici, dal titolo Demonstratio
omni hominum ordini, sine exeptione, divina lege matrimonium permissum
esse. Da questo periodo D. iniziò a simpatizzare per l'entourage
antitrinitario in Polonia, la cosiddetta Ecclesia Minor, sebbene si guardò
bene dallo schierarsi ufficialmente a favore degli unitariani. Nel periodo
1573-1575, D. fece una violenta campagna contro l'elezione di Stefano Bathory
a re di Polonia, per preparare la strada alla nomina del principe Ernesto,
figlio dell'imperatore Massimiliano II. Dal punto di vista religioso, D. si
accostò sempre più agli antitrinitariani, ma nel settembre 1574 egli sposò,
in seconde nozze, Elzbieta Zborowski, di un'influente famiglia polacca
calvinista, vedova dell'atamano Jan Tarnowski, ma furono proprio i potenti
parenti della moglie ad offrire la corona di Polonia a Stefano
Bathory. L'elezione di quest'ultimo il 15 dicembre 1575 scatenò la vendetta
dei suoi seguaci contro l'ambasciatore imperiale, che dovette darsi ad
una precipitosa fuga da Cracovia, abbandonando i suoi beni. D. allora si
trasferì a Breslavia, diventando luterano, e qui si dedicò ai suoi studi
scientifici, pubblicando opere sulla peste e il suo metodo di contagio nel
1577-78 e sulle comete (De Cometis, con prefazione di Bruto) nel 1579. Nel
1578 si rifugiò nei suoi possedimenti in Moravia, a Paskov, dove
trattò sempre con rispetto i suoi contadini aderenti al movimento dei
Fratelli Boemi, ma già nel 1579 ritornò a Breslavia, per proseguire i suoi
studi scientifici e continuare la sua fitta corrispondenza con i
principali dissidenti italiani dell'epoca, come Giorgio Biandrata, Giacomo
Paleologo, Marcello Squarcialupi, Simone Simoni, Fausto Sozzini, Francesco
Stancaro e Prospero Provana, oltre che con il medico imperiale,
cripto-calvinista, Johannes Crato von Crafftheim (1519-1585). Nel 1583
arrivò il disgelo con Bathory, che gli permise di esercitare alcune attività
commerciali con la Polonia. D. morì a Breslavia il 23 febbraio 1589 e fu
sepolto nella chiesa luterana di Santa Elisabetta a Cracovia.
Il
pensiero religioso Come già detto, D. manifestò sempre una notevole, sebbene
cauta, simpatia per il movimento antitrinitario, ben presente in Polonia
nella seconda metà del `500. Il dibattito rimane comunque aperto fra gli
studiosi contemporanei per accertare se egli avesse mai aderito alle idee di
Biandrata e Fausto Sozzini. E' vero che dopo essersi trasferito a
Breslavia D. diventò luterano, ma questo era stato fatto più che altro per
uniformarsi al noto principio cuius regio, eius religio. Egli era un
insofferente dell'intolleranza, cattolica o protestante che fosse, tant'è che
nel 1584 egli scrisse una lettera accompagnatoria alla seconda edizione del
De Haereticis capitali supplicio non afficiendis [del teologo della
tolleranza senese Mino Celsi (1514-ca.1575)], in cui D. entrò nella polemica
sulla persecuzione degli eretici. La lettera fu immediata contestata e
condannata da Théodore de Bèze. Secondo lo storico Delio Cantimori, D. fu
soprattutto un elaboratore di motivi erasminiani, e anelava una Chiesa unica
e santa, basata sul simbolo apostolico e sulla morale
evangelica.
Enrico VIII d'Inghilterra (1509-1547) e
Anglicanesimo
L'Inghilterra fu unica nella sua scelta di
staccarsi dalla Chiesa Cattolica: il risultato finale fu la Chiesa Anglicana,
teologicamente una miscela di dottrina cattolica e riformata, ma in pratica
indipendente da tutte e due.
Situazione storica Già prima del XVI
secolo, l'Inghilterra aveva conosciuto eresie particolarmente radicate sul
territorio, come, ad esempio nel XIV secolo, John Wycliffe e i suoi poveri
predicatori, e il conseguente movimento lollardo, che persisteva anche ai
tempi di re Enrico VIII. L'Inghilterra, inoltre, cercava di sviluppare la
propria società, rifondata, dopo la lunga e devastante Guerra delle Due Rose
(1455-1485), su un nazionalismo piuttosto marcato e ovviamente desiderava
evitare, il più possibile, le interferenze esterne. Quindi era chiaro che
le ingerenze del papa sugli affari interni inglesi, il pagamento dei tributi
a Roma, la corruzione nel quale versava il clero cattolico inglese, un quarto
circa del suolo nazionale in mano alla Chiesa, un sistema di giudizio e
pagamento delle tasse differenziato per gli uomini di chiesa erano problemi
decisamente maldigeriti dalla nazione e dal suo re.
Enrico VIII
(1509-1547) Enrico VIII, nato nel 1491, salì sul trono a soli 18 anni, nel
1509, dopo la morte del padre Enrico VII (1485-1509). Nel primo periodo del
suo regno egli diede l'impressione di un devoto fedele della Chiesa
Cattolica: scrisse perfino un Assertio Septem Sacramentorum nel 1521 e fu
molto efficace nell'opporsi alla diffusione del luteranesimo in Inghilterra.
Il tutto gli fece guadagnare il titolo di Difensor fidei (difensore della
fede) da parte del papa. Ma la crisi con Roma arrivò nel 1527: infatti
Enrico era sposato, per volontà politica di suo padre, dal 1509 con Caterina
d'Aragona, vedova di suo fratello Arturo. A quel tempo, questo matrimonio si
poté celebrare solamente con la dispensa di Papa Giulio II
(1503-1513). Dopo 18 anni, il re chiese al Papa Clemente VII (1523-1534)
l'invalidazione della dispensa papale, ma la questione era infatti molto
delicata: da una parte Enrico era seriamente preoccupato per la successione
al trono d'Inghilterra a causa del matrimonio con la più anziana Caterina,
che non era riuscita a dare un erede maschio al re: l'unica superstite delle
sue varie gravidanze era la figlia Maria. Però, dall'altra parte
bisognava considerare le implicazioni internazionali: Caterina era anche
zia dell'imperatore Carlo V (1519-1558)! L'intermediario papale
[l'arcivescovo di Salisbury Lorenzo Campeggio (1472-1539)] e quello del re
[il cardinale e Lord Cancelliere Thomas Wolsey (1474-1530)], scelti per
condurre la trattativa, tirarono per le lunghe senza arrivare ad una
conclusione e lo stesso Papa Clemente VII, dopo aver subito il sacco di Roma
e la prigionia da parte dei lanzichenecchi di Carlo V nel 1527, non voleva
ulteriormente provocare l'imperatore, perciò nel 1529 avocò a Roma il diritto
di decidere sulla questione, ma anche lui, debole o troppo prudente, continuò
a posporre la decisione finale. Lo stato di impasse fu superato grazie a
Thomas Cranmer, docente universitario alla Jesus College di Cambridge, il
quale suggerì al re di consultare le principali università europee.
Oltretutto, secondo Cranmer, anche dalle stesse Sacre Scritture veniva la
conferma della scelta di separazione, secondo un passo del Levitico (20:21):
Se un uomo sposa la moglie di suo fratello commette un'impurità; essi
rimarranno senza figli. Benché la proposta di Cranmer non permettesse di
raggiungere l'unanimità di consensi, tuttavia la maggioranza delle risposte
fu favorevole a Enrico. Anno dopo anno, Enrico VIII, consigliato da Cranmer,
nominato nel 1532 arcivescovo di Canterbury, alzò sempre più il tiro contro
la Chiesa Cattolica. Nel frattempo, però, Cranmer si era nel frattempo
sposato con Margaret, nipote del riformatore luterano Andreas Osiander:
dovette occultare la presenza della moglie e perfino mandarla all'estero per
non dispiacere al re. Nel 1530 il re accusò molti prelati inglesi di
violare, a loro favore, gli statuti, denominati Praemunire, (editti nel 1353,
1365 e 1393), i quali concedevano che le cause legali coinvolgenti uomini di
chiesa fossero portate davanti a corti papali fuori dall'Inghilterra, solo
dopo il beneplacito del re. La vittima più illustre di questa accusa fu
Thomas Wolsey, che già caduto in disgrazia per la sua inefficienza
dimostrata durante le trattative per la separazione del re, fu messo sotto
accusa, ma morì di malattia il 30 novembre 1530 durante il suo trasferimento
a Londra. Nel 1531 Enrico fece votare dal parlamento "l'atto di supremazia"
con la quale egli si fece riconoscere Capo Supremo della Chiesa in
Inghilterra. Nel 1532 decise che i tributi andavano pagati alla corona e non
a Roma.
Lo strappo con Roma Lo strappo definitivo arrivò nel 1533,
quando il re sposò in segreto la sua nuova fiamma, Anna Bolena, la quale già
aspettava un figlio da lui, e, tre mesi dopo, Cranmer, facendosi forte di un
decreto parlamentare sulla autonomia della Chiesa inglese nelle decisioni
interne, dichiarò sciolto il matrimonio di Enrico con Caterina e riconobbe
ufficialmente quello con Anna Bolena. Il papa Clemente VII reagì con la
scomunica del re, di Anna Bolena e di Thomas Cranmer nel luglio 1534 e con
l'interdizione (cessazione dell'amministrazione dei sacramenti)
dell'Inghilterra, provvedimento che sarebbe stato tremendo nel medioevo, ma
che fu praticamente ignorata nel XVI secolo. Clemente morì nel settembre
1534: il successore, Paolo III (1534-1549), ideatore del Concilio di Trento,
dovette gestire un rapporto con la Corona d'Inghilterra, che peggiorava ogni
giorno sempre di più. Infatti Enrico VIII rispose alla scomunica nel novembre
1534 con tre atti: Un ulteriore "atto di supremazia" (il re era il Capo
Supremo sulla Terra della Chiesa di Inghilterra) con il diritto di reprimere
le eresie e di scomunicare; L'obbligo per tutti gli inglesi di giurare
solamente davanti al re, e non davanti a qualche autorità straniera
(sic!); La condanna per tradimento per chi osasse dire che il re fosse
eretico, tiranno o scismatico. La pressione sulla Chiesa cattolica inglese
fu elevatissima: sotto il coordinamento del Vicario Generale Thomas Cromwell,
i monasteri furono chiusi e i loro beni incamerati dalla corona e tutti i
prelati dovettero giurare di rispettare l'atto di supremazia, solo Tommaso
Moro (Thomas More) (1478-1535), il grande filosofo umanista erasminiano,
autore dell'Utopia, ed ex Lord Cancelliere, e John Fisher (1469-1535),
vescovo di Rochester ed ex confessore di Caterina d'Aragona, si opposero ed
entrambi furono decapitati per tradimento. Ambedue furono successivamente
nominati santi dalla Chiesa cattolica. Ma la cosa più curiosa fu che, dal
punto di vista dottrinale, almeno in questa prima fase, Enrico VIII non aveva
affatto rotto con il cattolicesimo: in linea di massima, egli si mostrò un
buon cattolico e solo dopo, durante il breve regno del figlio Edoardo VI
(1547-1553), si fecero largo con più decisione elementi cari alla
Riforma. Ma ai tempi di Enrico VIII queste idee potevano costare care: se ne
rese conto anche Thomas Cromwell, che cercò di spingere la monarchia verso
il luteranesimo, facendo adottare i Dieci Articoli (The Ten Articles),
articoli di fede di chiara ispirazione luterana (sola fide e semplificazione
a soli tre Sacramenti) e, con le Ingiunzioni Reali del 1538, fece mettere
una Bibbia in latino ed una in inglese in ogni chiesa (sola
scriptura!). L'esperimento fallì e Cromwell, caduto in disgrazia, anche
perché ritenuto il responsabile del matrimonio, poi fallito, del re con Anna
di Cleves, fu condannato per tradimento e decapitato nel luglio 1540. Nel
1537 Enrico ritornò con decisione ai dogmi cattolici, facendo redigere il
Bishop's book (il libro del vescovo), che conservava i sette sacramenti, il
culto della Vergine e dei santi e proibiva la lettura individuale
della Bibbia. Il libro fu poi rivisto in senso ancora più cattolico e
ristampato nel 1543 con il titolo di King's book (il libro del re). Nel
1539 il parlamento inglese approvò i Sei Articoli (The Six Articles), che
confermarono, tra l'altro, la validità del dogma della transustanziazione,
l'Eucaristia sotto una sola specie, il celibato per i prelati, le Messe
private e la confessione. Riprese quindi con vigore la persecuzione contro i
protestanti: fu bruciato sul rogo nel 1540 il luterano Robert Barnes; il
traduttore William Tyndale, il quale aveva pubblicato la prima Bibbia (Nuovo
Testamento) in inglese nel 1535, fu denunciato all'inquisizione spagnola, che
lo bruciò a Bruxelles nel 1536; la protestante Anne Askew fu processata e
bruciata sul rogo nel 1546; alti prelati di chiare simpatie riformiste, come
i vescovi Hugh Latimer e John Hooper, l'ex frate agostiniano Miles Coverdale,
traduttore del primo Antico Testamento in inglese, e lo stesso Thomas
Cranmer, dovettero o rifugiare all'estero o rivedere drasticamente le proprie
idee o perlomeno adottare un atteggiamento nicodemitico. Insomma alla sua
morte nel 1547, Enrico VIII lasciò sia i cattolici che i protestanti inglesi
del tutto insoddisfatti.
Edoardo VI (1547-1553) Il nuovo re
Edoardo VI, figlio di Jane Seymour (terza delle sei mogli di Enrico), aveva
solo nove anni, quando salì al trono d'Inghilterra e quindi il potere
effettivo era concentrato nelle mani del reggente e Lord Protettore, suo zio
Edward Seymour, duca di Somerset (1506-1552). Somerset era un buon amico di
Cranmer e un convinto assertore della Riforma, che riprese vigore: Latimer
poté nuovamente predicare, Hooper poté rientrare dall'esilio, la chiese
protestanti vennero addobbate secondo il loro credo, cioè senza immagini, la
Comunione veniva data sotto ambedue le forme e Cranmer poté far rientrare la
moglie. Nel 1549 venne pubblicato il Book of Common Prayer (il libro
delle preghiere), compilato su richiesta di Cranmer per semplificare i libri
di preghiere e di funzioni religiose in latino e risalenti al
periodo medioevale. Il suo utilizzo obbligatorio venne prescritto dall'Atto
di Uniformità del 1549 stesso. Però dal punto di vista dottrinale ne
risultò un miscuglio di idee diverse (cattoliche e luterane) e non
soddisfaceva nessuno: quindi, nel 1552, fu rivisto, tuttavia questa volta in
un senso fortemente riformato di tipo svizzero, con l'ausilio di Calvino in
persona, che scrisse a Edoardo VI e al conte di Somerset per aiutarli nella
revisione. Ma soprattutto grazie al nuovo Lord Protettore, John Dudley
(1502-1553), conte di Warwick e al vescovo di Londra Nicholas Ridley, diverse
personalità della Riforma svizzera zwingliano-calvinista furono chiamate in
Inghilterra e diedero il proprio contributo: Martin Bucero da Strasburgo,
l'italiano Pietro Martire Vermigli, professore ad Oxford, il polacco Jan
Laski. Anche nel caso di questa seconda versione, un apposito Atto di
Uniformità del 1552 ne prescrisse l'utilizzo con, in più, l'obbligo di
partecipare alle funzioni religiose e la condanna per imprigionamento per la
partecipazione a qualsiasi altra forma di riunione religiosa. Infine nel
1553 vennero pubblicati i 42 Articoli (The forty-two articles), la collezione
delle formule dottrinali anglicane, rimaste sulla carta per la morte del
re.
Maria Tudor (1553-1558) Infatti il 6 luglio 1553 Edoardo VI, a
soli 15 anni, morì di tubercolosi, e dopo l'infelice avventura di Lady Jane
Grey (1537-1554), cugina di Edoardo e regina per soli 9 giorni (poi
decapitata nel 1554), salì al trono la cattolica Maria Tudor, figlia di
quella Caterina d'Aragona, il cui ripudio aveva innestato lo scisma della
Chiesa d'Inghilterra. Inizialmente la regina impostò il suo regno sulla
tolleranza religiosa, ma nel contempo chiese ed ottenne, il 3 gennaio 1555,
dal parlamento inglese il ritorno all'obbedienza a Roma, ratificato dal
cardinale inglese Reginald Pole (1500-1558). Ironia della sorte, Pole, che
per poco non diventò papa nel 1549 (sarebbe bastato che avesse accettato
l'elezione per adorationem), fu perfino sospettato di eresia da parte del
Papa Paolo IV (1555-1559) per le sue idee moderatamente riformiste. Sul
piano personale, Maria aveva sposato nel 1554 suo cugino di secondo grado, il
figlio dell'imperatore Carlo V, Filippo di Spagna [il futuro Filippo II
(1556-1598)], undici anni più giovane di lei: fu una delle decisioni più
infelici del suo regno. Oltre all'impopolarità presso i suoi sudditi, Maria
soffrì il dramma personale perché non riuscì mai ad avere il tanto aspettato
erede. Forse per l'influenza dei consiglieri cattolici spagnoli o a causa
di manifestazioni protestanti anti-monarchiche o per i consigli del
Lord Cancelliere, l'arcivescovo di York Stephen Gardiner (1483-1555), Maria
si trasformò ben presto in una delle più feroci persecutrici della Riforma
in Inghilterra, tale da meritarsi il soprannome di Maria la Sanguinaria:
furono imprigionati e successivamente bruciati sul rogo Cranmer, Ridley,
Latimer e Hooper. Ridley e Latimer furono addirittura arsi sulla stessa
pira. Ma il boia non si fermò qui: in tutto tra 273 e 288 (a secondo delle
fonti) protestanti furono arsi sul rogo, più di 800 fuggirono (come
Coverdale) in Germania e Svizzera e 2.000 preti furono espulsi perché
sposati. Maria morì il 17 novembre 1558. Qualche ora più tardi morì il
cardinale Pole, il fautore del momentaneo riavvicinamento dell'Inghilterra
alla Chiesa cattolica.
Elisabetta I (1558-1603) Nel 1558 salì
sul trono d'Inghilterra Elisabetta,figlia di Anna Bolena: essa fu la vera
fondatrice della Chiesa Anglicana, una sintesi dottrinale tra liturgia
cattolica e dogmatismo calvinista. Il suo regno non incominciò certo nella
migliore maniera: i cattolici la consideravano un'usurpatrice e l'arcivescovo
di Canterbury, Nicholas Heath (m. 1578), si rifiutò perfino
di incoronarla. Tuttavia Elisabetta fu soprattutto una abile donna
politica e dissimulò con cura il suo credo religioso: non si dichiarò
ufficialmente protestante per non dare lo spunto ad una possibile grande
alleanza tra Spagna, Francia e Scozia, ma d'altronde adottò il
protestantesimo, senza usare i toni accesi dei predecessori. I suoi primi
passi furono improntati sulla diplomazia e compromesso: non si fece più
chiamare, come il padre Enrico VIII, capo supremo della Chiesa d'Inghilterra,
bensì più modestamente Governatore Supremo, pur negando l'autorità giuridica
del papa. Nel frattempo rese obbligatorio nel 1559, con un ennesimo Atto di
Uniformità, il Prayer Book, nella seconda versione di Edoardo VI, tuttavia
rivisto in senso cattolico. Eppure la rivolta degli alti prelati cattolici
era stata quasi totale: 15 vescovi, 12 decani, 15 direttori di collegi
religiosi e circa 200/300 preti rassegnarono le dimissioni o furono privati
del titolo. Nel 1559 fu eletto il nuovo arcivescovo di Canterbury, Matthew
Parker, un uomo moderato e conciliante, che aveva sofferto sotto Maria Tudor,
ideale per Elisabetta in quella posizione, ma per la sua investitura si
dovettero scomodare quattro ex prelati che erano stati vescovi nel periodo di
Edoardo VI, stante la situazione sopra descritta. I 42 articoli di Edoardo
VI (1553) (le formule dottrinali anglicane) diventarono nel 1571, sotto
Elisabetta I, i 39 articoli, compromesso fortemente voluto da Parker, tra
elementi cattolici, luterani e calvinisti. L'altro grande teologo del regno
elisabettiano fu Richard Hooker (1554-1600), spiritualista e apologista, che
scrisse il ponderoso Treatise on the laws of ecclesiastical polity (trattato
sulle leggi del governo ecclesiastico) a difesa della scelta episcopale nella
struttura della Chiesa d'Inghilterra. La reazione di Roma fu lenta: solo
nel 1570 il Papa Pio V (1566-1572) si decise a scomunicare Elisabetta e a
sciogliere gli inglesi dal dovere di obbedienza: errore gravissimo in un
paese che non aveva certo bisogno di alimentare il fuoco della polemica
anti-papale. Nel 1587, sotto la minaccia dell'invasione spagnola e in
seguito all'ennesima congiura per far cadere la regina e sostituirla con
Maria Stuarda (1542-1587), Elisabetta fece decapitare l'ex regina di
Scozia, fuggita in Inghilterra nel 1568, dove venne detenuta in cattività
fino alla sua esecuzione. La mossa aveva il preciso scopo politico di
togliere di mezzo una possibile protagonista (fra l'altro diretto successore
in linea gerarchica di Elisabetta) che potesse catalizzare le proteste dei
cattolici inglesi. La reazione dei spagnoli avvenne l'anno dopo, 1588, ma
la disfatta della loro flotta di invasione, la famosa Invincible Armada
(Invincibile Armata), mise l'Inghilterra al sicuro da ingerenze
esterne. Rimasero comunque i conflitti interni: ovviamente una politica
di compromesso non poteva certo piacere agli opposti estremi. Soprattutto
gli estremisti protestanti, i Puritani, benché rintuzzati spesso da Hooker,
dal 1570 in avanti attaccarono le apparenze esteriori (paramenti sfarzosi,
l'uso dei vescovi ecc.), secondo loro un retaggio papista, rendendo amari
gli ultimi anni per l'anziana regina, che si spense nel
1603.
Durand de Huesca (Durando d'Osca) (inizio XIII secolo) e Poveri
Cattolici
Nel XIII secolo un personaggio di spicco del valdismo
spagnolo fu Durand de Huesca, un chierico e teologo di origine spagnola
(secondo altri, invece, proveniente dal sud della Francia), coerentemente
impegnato nel fustigare i costumi dei prelati corrotti ed indegni, cercando
però, nel frattempo, di non cadere nell'accusa di essere simpatizzante dei
boni homini o boni christiani , come si denominavano i catari. Anzi contro
questi ultimi D. prese le distanze, scrivendo il Liber contra
Manicheos. Tuttavia in Spagna erano tempi duri anche per i valdesi, che erano
stati perseguitati per ordine del re Alfonso II di Aragona, detto il
Casto (1152-1196). Nel 1204, D. fu sollecitato a riconciliarsi con la
Chiesa Cattolica, durante una disputa teologica a Pamiers, dal vescovo di
Osma, Diego, che, poco dopo, sarebbe partito per una missione di
evangelizzazione tra i catari della Francia Meridionale con il suo
assistente, Domenico di Guzman (1170-1221), il futuro santo e fondatore
dell'ordine dei domenicani. D. accettò la riconciliazione e ne approfittò per
far accettare nel 1208 il suo movimento dei Poveri Cattolici, da parte di
Papa Innocenzo III (1198-1216). Lo scopo del movimento era di favorire il
rientro nel Cattolicesimo dei valdesi desiderosi di essere riaccolti
dall'ortodossia, ma, a parte alcuni successi parziali, come quello
dell'adesione di quei valdesi lombardi, che seguivano Bernardo Primo
(fondatore nel 1210 dell'ordine dei Poveri Riconciliati), la strategia di D.
andò sostanzialmente fallita. Per questo insuccesso e per atteggiamenti,
secondo i cattolici, ancora poco ortodossi, D. fu richiamato all'ordine in
una lettera scrittagli direttamente da Papa Innocenzo III nel
1209.
Du Vergier de Hauranne, Jean
(1581-1643)
Se Cornelius Jansen fu l'ideatore del pensiero
giansenista, certamente Jean Du Vergier de Hauranne ne fu il principale
diffusore. Nato a Bayonne nel 1581 da una famiglia benestante, D. studiò ad
Agen, alla scuola dei gesuiti, e poi si iscrisse alla facoltà di
teologia all'università di Lovanio, in Belgio, dove conobbe e diventò amico
di Cornelius Jansen. Dopo la laurea e l'ordinazione a prete, D. si stabilì
a Parigi, dove la sua profonda cultura venne apprezzata e impiegata
per dirimere complesse e delicate questioni politiche, poste anche dalla
stessa famiglia reale francese. A Parigi si stabilì anche Jansen per
studiare greco antico: nel 1606 i due amici si trasferirono presso la casa
natale di D. a Bayonne, dove egli diventò canonico della locale cattedrale,
mentre, nel contempo, Jansen divenne insegnante nel collegio annesso alla
cattedrale. Per circa 12 anni D. e Jansen studiarono approfonditamente gli
scritti dei Padri della Chiesa, e in particolare di Sant'Agostino
(354-430). Nel 1617 Jansen ritornò a Lovanio per occuparsi del collegio di
Santa Pulcheria, mentre D. divenne il segretario particolare del vescovo
di Poitiers, dal quale, nel 1620, ricevette il titolo di abate di
Saint-Cyran in commendam (la commenda consisteva nei proventi di un'abbazia
dati ad un ecclesiastico assegnatario senza che questi avesse l'obbligo
di risiedervi). Nello stesso periodo, D. conobbe il giovane e
sconosciuto vescovo di Lucon, ma che sarebbe poi diventato l'arcinoto
cardinale Armand Jean Richelieu (1585-1642) e suo futuro avversario. In
seguito D. lasciò Poitiers per recarsi a Parigi, dove diventò un amico intimo
della famiglia Arnauld e dove, assieme al ritrovato Jansen, iniziò
a propagandare le loro idee. Per fare ciò, i due scrissero due
importanti testi: Jansen il ben noto Augustinus, pubblicato solo nel 1640
dopo la morte dell'autore, mentre D. scrisse (sembra insieme ad un suo
nipote) il Petrus Aurelius de hierarchia ecclesiastica, pubblicato nel 1633,
ed accusato immediatamente di calvinismo da parte dei gesuiti. Nel 1633 D.
fu nominato confessore del convento cistercense di Port-Royal, del quale egli
aveva già portato nel 1623 verso posizioni gianseniste l'ex badessa
Jacqueline Arnauld, (nome da religiosa: Madre Marie Angélique). Il convento
sarebbe poi diventato il baluardo del giansenismo e, durante il suo mandato,
D. si occupò, come padre spirituale, dei "solitari" (studiosi o filosofi
contemplativi che vivevano presso il convento). Purtroppo lo zelo dimostrato
nelle sue prediche a favore della santità dell'officio sacerdotale gli
attirarono l'odio e l'invidia di molti preti, i quali se ne lamentarono con
Richelieu. Il potente cardinale dapprima cercò di ammansire l'irruente
confessore di Port-Royal con un'offerta di un vescovato, ma in seguito, nel
1638, con l'accusa di disturbare la quiete ecclesiastica, lo fece arrestare e
rinchiudere nelle segrete del castello di Vincennes, dal quale egli poté
uscire solo dopo la morte di Richelieu nel dicembre 1642. La dura
prigionia, tuttavia, aveva minato il suo fisico e D. morì per un colpo
apoplettico l'11 ottobre 1643.
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