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GIOVANNA D'ARCO
Testi tratti dal sito: www.eresie.it di Douglas Swannie

GIOVANNA D'ARCO - STORIA DELLE ERESIE

Giovanna d'Arco (Jeanne d'Arc), detta la Pulzella d'Orléans (1412-1431)

Il periodo storico
Nel 1415 scoppiò per la terza volta la guerra, detta dei Cent'anni
(1339-1453), tra Inghilterra e Francia, e questa volta, essa iniziò nella
peggiore maniera per i francesi, sconfitti pesantemente ad Azincourt, in
Giovanna D'ArcoArtois, ad opera degli inglesi, mentre il re d'Inghilterra Enrico V
(1413-1422), fu nominato erede ufficiale da suo suocero, il re di Francia
Carlo VI, detto il folle (1380-1415, m. 1422).
Tuttavia l'investitura di Enrico, appoggiata dal Duca di Borgogna, non fu
accettata dal Duca di Orléans e dal suo alleato, il Conte di Armagnac. I due
nobili nominarono invece nel 1422 il delfino Carlo, re di Francia con il
nome di Carlo VII, ed egli fu successivamente soprannominato il Vittorioso
(1422-1461).
Tuttavia l'inizio del regno di Carlo VII fu tutt'altro che vittorioso,
poichè le truppe del nuovo re d'Inghilterra, Enrico VI (1422-1471),
occuparono tutte le terre a nord della Loira e posero d'assedio Orléans nel
1428.


Giovanna d'Arco
Giovanna d'Arco, quintogenita di un contadino locale, di nome Jacques,
nacque, probabilmente il 6 Gennaio 1412, a Domremy in Champagne, nella
Francia orientale.
Ella condusse una vita del tutto normale fino all'estate del 1425, quando
disse di sentire delle voci e ad avere delle visioni, in cui vedeva e
parlava con Santa Caterina, Santa Margherita e San Michele.
Solo nel 1428 la fanciulla si convinse che le visioni la incitavano a
correre in aiuto del re Carlo VII.
G. quindi abbandonò Domremy per recarsi a Chinon (vicino a Tours), dal re,
che ella riconobbe senza esitazione, nonostante che il sovrano, per metterla
alla prova, si fosse travestito come uno dei suoi attendenti. Pur
convincendosi dell'investitura divina della fanciulla, Carlo la inviò a
Poitiers per essere esaminata da un collegio di vescovi e solo dopo aver
superato anche questo esame, a G. fu permesso di vestirsi da guerriera e di
adottare una bandiera bianca come distintivo.
L'effetto di G. sulla morale delle truppe francesi fu galvanizzante: l'8
Maggio 1429, nonostante la Pulzella venisse ferita da una freccia al petto,
l'assedio inglese di Orléans fu levato e il 18 Giugno i francesi vinsero la
battaglia di Patay.
G. portò di vittoria in vittoria le truppe, e i loro (spesso) recalcitranti
comandanti, tra cui il famigerato Gilles de Rais (1404-1440) (in seguito
passato alla storia per i suoi orrendi delitti come il famigerato Barbablù),
fino a Riems, dove il 17 Luglio 1429, Carlo VII fu incoronato solennemente.
Nel Settembre dello stesso anno, però, un tentativo di assedio di Parigi
fallì e G. fu nuovamente ferita, questa volta al fianco.
L'anno successivo, durante la difesa della città di Compiègne dall'attacco
delle truppe del Duca di Borgogna, alleato degli inglesi, G. fu fatta
prigioniera durante una sortita, il 24 Maggio 1430.
Purtroppo fu qui che si evidenziò che G. non aveva certo molto credito alla
corte francese: infatti l'ingrato Carlo VII non mosse un dito per cercare di
salvarla, per esempio avrebbe potuto proporre un baratto tra G. e dei
prigionieri inglesi di alto rango.
Nel frattempo i borgognoni la vendettero agli inglesi, i quali, a loro
volta, la consegnarono agli inquisitori e al suo principale accusatore, il
vescovo di Beauvais, Pierre Cauchon (m. 1442), con l'accusa di eresia e
stregoneria.
L'interrogatorio, che si svolse a Rouen, durò dal 21 Febbraio al 17 Marzo
1431, dove ben 72, ridotti poi a 12, capi d'accusa furono pronunciati contro
la Pulzella.
Fu infatti accusata, tra l'altro, di riferire direttamente a Dio mediante le
sue "voci", di rifiutare la gerarchia ecclesiastica, di essersi vestita di
abiti maschili contro la legge divina, di aver evocato i demoni, di essere
una blasfema contro Dio e i santi. A questo punto gli inquisitori misero in
atto una sottile pressione psicologica, anche mediante tortura, per
convincerla ad abiurare, cosa che G. finalmente fece il 23 Maggio
praticamente davanti al rogo pronto per lei.
Ma, il 27 Maggio successivo, G. comparì davanti agli inquisitori in vestiti
maschili, non si sa se volontariamente o perché le erano stati tolti quelli
femminili. Comunque questo era un formidabile pretesto perché gli
inquisitori, pressati dagli inglesi, la dichiarassero relapsa, cioè persona
che aveva ritrattato l'abiura.
G. fu quindi bruciata sul rogo il 30 Maggio 1431 e durante la sua
esecuzione, fu ridotta l'altezza delle fiamme per far vedere al popolo
"tutti i segreti che possono e dovrebbero essere in una donna". Le sue
ceneri furono poi gettate nella Senna.
Nel 1456 si svolse il suo processo di riabilitazione, che annullò la
sentenza del vescovo Cauchon e infine nel 1920 G. fu dichiarata Santa da
Papa Benedetto XV (1904-1922).


Gioacchino da Fiore (ca. 1130-1202) ed il gioachimismo



La vita
Gioacchino, teologo e mistico cristiano, nacque nel 1130 ca. a Celico in
provincia di Cosenza da Mauro di Celico, un notaio benestante e
particolarmente in vista presso la corte Normanna.
In seguito ad un viaggio in Medio Oriente, G. decise di lasciare tutti i
suoi beni per vestire il saio e fare voto di castità, digiuno e preghiera.
Tornò in Italia e nel 1152 ca. entrò nel convento cistercense di Sambucina
(a nord di Cosenza) senza però prendere subito i voti, che prese nel 1168.
In seguito alla crescente popolarità dovuta ai suoi studi biblici e alle
numerose opere pubblicate, nel 1177 G. fu nominato dal vescovo di Catanzaro
abate del monastero di Santa Maria di Corazzo, succursale di quello di
Sambucina.
Qui egli si dedicò totalmente allo studio della Bibbia e scrisse alcune
delle sue opere più importanti come la Cetra dalle dieci corde e
l'Interpretazione dell'Apocalisse, che ebbe sempre premura a far approvare
dai papi Lucio III (1181-1185), Urbano II (1185-1187) e Clemente III
(1187-1191), sebbene qualche dubbio sulla sua ortodossia si stava già
facendo strada.
Non riuscendo a concentrarsi sui suoi studi a causa degli impegni come
abate, G chiese ed ottenne nel 1182 da Lucio III il permesso di ritirarsi
nell'abbazia di Casamari (in provincia di Frosinone). Qui conobbe il suo
biografo, il giovane monaco Luca, in seguito nominato Vescovo di Cosenza.
Nel 1189 G. decise quindi di abbandonare l'ordine cistercense per fondare
sulla Sila un suo ordine, facendo costruire una abbazia dedicata a San
Giovanni Battista in una località denominata Fiore, che da quel momento in
poi fu chiamata San Giovanni in Fiore. L'ordine venne conseguentemente
denominato florense e venne ratificato nel 1196 da Papa Celestino III
(1191-1198).
La popolarità di G. in quegli anni fu elevatissima anche a livello europeo
tant'è si racconta che nel 1191 il re inglese Riccardo, detto Cuor di Leone,
in procinto di partire verso la Terrasanta per la III crociata, consultò G.
per avere lumi su alcuni passi dell'Apocalisse.
Nel 1200 G. sottopose tutti i suoi scritti all'approvazione di Papa
Innocenzo III (1198-1216), ma morì il 30 Marzo 1202, prima di aver ricevuto
alcun commento.
Poco dopo fu proclamato beato, ma non in maniera ufficiale: l'evento fu
celebrato con l'erezione di un altare in suo onore a San Giovanni in Fiore.
Tuttavia già al IV Concilio Lateranense del 1215 le idee di G., definite
triteiste, furono condannate ed il processo di beatificazione bloccato.
Nonostante ciò G. viene ancora venerato da alcuni come beato e festeggiato
il 29 Maggio.


Le opere
G. fu un autore molto prolifico per il suo tempo: il suo libro principale fu
il Libro sulla concordia del Nuovo e Vecchio Testamento, ma scrisse anche La
Cetra dalle dieci corde, l'Interpretazione dell'Apocalisse, e il Trattato
sui quattro vangeli.


La dottrina
La dottrina di G. si evince dalle sue opere principali, le quali fanno
riferimento ad un brano dell'Apocalisse (14, 6-11), quello dei tre angeli
che annunciano il giudizio di Dio, per sviluppare una interpretazione
piuttosto originale del testo. Secondo G. le epoche nelle quali si era
divisa la storia dell'uomo erano tre, ognuna riconducibile ad una figura
della Santa Trinità:
Nella prima era aveva dominato il Padre, simbolo di potere e terrore, al
quale si era ispirato l'antico Testamento,
Nel secondo periodo il riferimento era il Figlio, ispiratore del Nuovo
Testamento,
Nella terza era, lo Spirito Santo, che avrebbe svelato il vero significato
dei Sacri Testi, al di là della sua interpretazione letterale.
Dopo opportuni calcoli di tempo, G. era giunto alla conclusione che l'era
dello Spirito Santo sarebbe incominciato nel 1260 (numero simbolico più
volte citato nell'Apocalisse: 11,3 e 12,6). In quell'anno non si sarebbe
verificato la parusia (il secondo ritorno di Cristo sulla terra), bensì
l'avvento di un'era di concordia e di fine della gerarchia della Chiesa.
Ovviamente questi pensieri non potevano che preoccupare la Chiesa Cattolica,
che condannò, come si è detto, i scritti di G. in maniera postuma, di
triteismo, di adorazione, cioè, di tre Dei separati.
Ma al di là della condanna della Chiesa, nel fatidico 1260 non successe
proprio niente di particolare ed anzi nel 1250 era pure morto l'imperatore
Federico II, considerato da molti cristiani l'Anticristo. Oltretutto la
dottrina di G. fu confutata da San Tommaso d'Aquino nella sua Summa
Theologica.
Il gioachimismo
Quasi 40 anni dopo la condanna delle idee di G. nel Concilio Lateranense del
1215, una commissione di cardinali, convocata nel 1254 da Papa Alessandro IV
(1254-1261) preoccupato del diffondersi delle idee gioachimite presso i
frati francescani spirituali, condannò gli scritti di G. e del suo seguace
Gerardo di Borgo San Donnino e nel 1263 le idee di G. furono definitivamente
dichiarate eretiche.
Nonostante ciò, G. ebbe un'enorme influenza su diversi protagonisti
dell'epoca (eretici e non) come Guglielma di Boemia; il già citato movimento
dei spirituali con Angelo Clareno, Pietro di Giovanni Olivi, Ubertino da
Casale, Michele Berti da Calci; il grande teologo inglese Guglielmo di
Occam; il docente universitario parigino Amaury du Bène ed il movimento dei
Fratelli del Libero Spirito; Gerardo Segalelli e gli Apostolici; il
movimento dei Begardi e delle Beghine.



Giovanni il bello (o Coloianni) (vescovo cataro) (XII secolo)



Primo vescovo della chiesa catara di Mantova - Bagnolo S. Vito, i cui membri
vennero definiti Bagnolenses o Coloianni, dalla traduzione in greco del nome
del loro vescovo.
G., una volta eletto, fu inviato in Sclavonia (in Croazia) presso l'Ordo
Sclaveniae, di ispirazione dualista moderata, per ricevere gli ordini.
La chiesa di Mantova - Bagnolo S. Vito contava adepti anche a Ferrara,
Brescia, Bergamo, Modena, in Romagna e nel Milanese.


Giovanni Giudeo  (vescovo cataro) (XII secolo)



Ex - tessitore di Milano, Giovanni Giudeo fu convertito da Marco di
Lombardia alla fede catara.
Diventato il suo "figlio maggiore", gli successe come l'unico vescovo cataro
d'Italia, ma fu proprio sotto il suo episcopato, che il movimento cataro si
divise in due tronconi, l'uno con a capo Giudeo stesso e l'altro organizzata
da Pietro di Firenze.


Bockelson (o Bockelszoon o Beukels), Jan (Giovanni da Leida) (1508-1536)



Jan Bockelson (o Bockelszoon o Beukels) nacque a Leida (Olanda) nel 1508,
figlio illegittimo del sindaco di un villaggio olandese e di una donna di
servizio originaria della Westfalia. Ebbe un'istruzione scarsa e irregolare
e fece diversi mestieri, principalmente il sarto, ma anche il mercante e
l'oste.
Nel 1533 venne a contatto con il movimento anabattista e in novembre venne
battezzato da Jan Matthys. Iniziò ben presto a collaborare con il profeta
apocalittico anabattista e fu inviato come apostolo nel gennaio 1534 a
Münster.
In questa città, capitale della Westfalia, già teatro di un difficile
confronto tra cattolici e luterani, B. riuscì con il confratello Bernhard
Knipperdolling a diffondere l'anabattismo in maniera capillare e a creare
una tale esaltazione delle masse da far espellere l'odiato vescovo Franz von
Waldeck (vescovo: 1532-1534, m. 1553) e portare la propria confessione a
vincere la maggioranza nel consiglio comunale, durante le elezioni del 23
febbraio 1534.
Immediatamente Matthys vi si trasferì, dichiarando che quella era la Nuova
Gerusalemme dove attendere il ritorno di Cristo, Knipperdolling fu
dichiarato borgomastro, e fu portato alla causa l'ex pastore luterano
Bernhard Rothmann, il principale oppositore, fino ad allora, del potere
vescovile.
Furono prese misure radicali, come l'espulsione, anche con la violenza, di
tutti i cattolici e luterani (a fatica Knipperdolling e B. riuscirono a
convincere Matthys dell'assurdità di massacrarli tutti, come invece il
profeta pretendeva!) e confisca dei loro beni, ribattesimo di coloro che era
rimasti in città, abolizione della proprietà privata, incluso il denaro,
falò di tutti i libri della città eccetto la Bibbia.
Matthys proclamò la Nuova Sion in terra ed invitò tutti gli anabattisti ad
accorrere a Münster: nonostante che l'ex vescovo oramai cingesse d'assedio
la città con le sue truppe (per la verità non molto numerose): circa 2.500
fedeli risposero all'appello, tra cui i due fratelli ed ex preti Bernhard ed
Hinrich Krechting, che avrebbero assunto in seguito incarichi ufficiali nel
governo della città.
All'interno della città i capi si spartirono i compiti: Matthys assunse il
comando della dittatura teocratica, B. il governatorato, Rothmann si occupò
della propaganda e Knipperdolling della difesa.
Il giorno di Pasqua, 4 aprile 1534, giorno previsto da Matthys per la fine
del mondo, questi guidò una folle sortita con soli 20 compagni contro le
truppe del vescovo e cercò perfino di arringare i soldati per passare dalla
parte degli assediati, ma fu ucciso da un ufficiale con un colpo di spada al
petto. Successivamente le truppe cattoliche sfogarono la loro rabbia,
riducendo in mille pezzi il corpo senza vita del profeta anabattista.
Caduto il profeta Matthys, si poteva ipotizzare che l'intero pazzesco
complesso da lui architettato sarebbe crollato ed invece se ne approfittò
proprio il nostro B. per prendere il potere: egli fu investito del titolo di
profeta di Sion in seguito ad un quanto mai "opportuno" sogno di
Knipperdolling, nel quale Dio in persona gli aveva comunicato che il nuovo
profeta sarebbe stato proprio.l'ex sarto di Leida.
Preso il potere, B. si dimostrò purtroppo ancora più fanatico e sanguinario
di Matthys stesso e non rinunciò al solito metodo di imporre decisioni
spiacevoli alla popolazione, presentandole come parte, non discutibile, di
un suo delirio mistico. In seguito alla prima visione egli comunicò che il
governo della città sarebbe stato gestito da un consiglio di dodici anziani,
che sarebbero state varate delle nuove leggi molto severe, che ogni
insubordinazione sarebbe stata punita con la morte.
Ma fu soprattutto la sua pazzesca pretesa, dal luglio 1534, di introdurre la
poligamia obbligatoria, idea che ricordava gli Adamiti e i Fratelli del
Libero Spirito, a minare l'unità degli assedianti. Egli stesso sposò 15
mogli, tutte giovani e belle, tra cui la vedova di Matthys, Divara, mentre
Rothmann si accontentò di 9 mogli e via di seguito.
La disposizione, imposta con la forza, incontrò una crescente resistenza:
una congiura fu repressa nel sangue e tutte le donne che rifiutavano il
matrimonio forzato venivano orribilmente torturate ed uccise.
In Settembre nuova puntata della farsa di B.: un suo fedelissimo, ex orefice
di Warendorf, raccontò di aver sognato che Dio gli comunicava la
designazione di B. come novello Re Davide del regno della Nuova Gerusalemme.
L'ex sarto si schermì giusto il necessario per salvare la faccia e poi
dichiarò di accettare, minacciando di morte coloro che si fossero opposti.
Si fece quindi incoronare, con la sua regina Divara al suo fianco,
sfarzosamente circondato da dignitari e guardie del corpo: un bello smacco
per la sincera umiltà e povertà dei primi anabattisti!
Tra ottobre e dicembre 1534 Rothmann scrisse e pubblicò due opuscoli per
sostenere la causa degli assediati, ma i dissidi interni tra gli immigrati,
favoriti da B., e gli abitanti originari di Münster, portarono a nuove
esecuzioni capitali, a causa dei quali lo stesso Knipperdolling si ribellò,
guidando una congiura per rovesciare il "re": scoperto fu imprigionato, ma
almeno conservò la vita (per il momento).
Oramai le follie sanguinarie di B. erano all'ordine del giorno: una volta
convocò un banchetto per tutti, dove decapitò di persona un mercenario del
vescovo von Waldeck, da poco catturato, e poco dopo, come se nulla fosse,
celebrò la Santa Cena!
Tuttavia la pazienza del vescovo e dei principi tedeschi della zona era agli
sgoccioli, e dal gennaio 1535 l'assedio divenne rigorosissimo: nulla poteva
passare, neanche i viveri che precedentemente riuscivano a filtrare
attraverso le maglie dell'assedio. La fame avanzò rapidamente e quando finì
il cibo, gli abitanti si misero a mangiare di tutto: cani, gatti, topi,
erbe, scarpe bollite e quant'altro.
Una profezia di B. che a Pasqua sarebbero stati liberati si rivelò la solita
bufala ed in seguito allo scoramento generale, il re dovette lasciar partire
un gruppo di circa 500 persone che desideravano andarsene. Sfortunatamente
gli ordini del vescovo erano di non lasciar uscire nessuno e quindi la
maggior parte degli esuli furono uccisi dai mercenari vescovili.
Era il preludio dell'espugnazione della città, che avvenne il 24 giugno 1535
grazie al tradimento di un cittadino di Münster, che apri le porte della
città durante un violento temporale. Le truppe del vescovo poterono quindi
entrare, procedendo ad un massacro sistematico dei difensori, nonostante la
strenua lotta organizzata da Bernhard Krechting.
Furono catturati B., Knipperdolling e Bernhard Krechting, mentre di Rothmann
non si seppe mai più niente e il solo dei capi a sfuggire fu Hinrich
Krechting, che finì i suoi giorni come ministro calvinista in Olanda.
I tre prigionieri furono interrogati e torturati per farli invano abiurare,
sebbene lo stesso B. si offrì ad un certo punto di riconvertire gli
anabattisti, in cambio della vita.
Più dignitosa fu la morte della sua ex regina Divara, che rifiutò di
abiurare e fu per questo decapitata il 7 luglio 1535.
Infine il 22 gennaio 1536 B. e gli altri due furono portati sulla piazza del
 mercato per essere giustiziati: furono loro strappati pezzi di carne con
tenaglie roventi fino all'agonia, e successivamente finiti a colpi di
pugnale. I cadaveri furono poi appesi in gabbie di ferro sul campanile della
chiesa di san Lamberto.


Gerardo di Borgo San Donnino (m. 1276)



Fra Gerardo di Borgo San Donnino, francescano siciliano, completò i suoi
studi di grammatica a Parigi, dove nel 1248, secondo Salimbene da Parma, si
fece una certa notorietà cercando di far desistere (inutilmente) il re Luigi
IX (1226-1270) dall'organizzare la sesta crociata, conclusasi con la
sconfitta di Mansura (in Egitto) del 1249 e la conseguente cattura del re
francese da parte dell'esercito mussulmano.
G. aveva ben presto sposato le tesi di Gioacchino da Fiore, sulle opere del
quale egli scrisse a Parigi, intorno al 1250, un trattato dal titolo
Introductorium in Evangelium Aeternum, nel quale identificava l'ordine dei
francescani con l'ordine dei giusti.
Questo testo fu esaminato da una commissione di cardinali, convocata nel
1254 da Papa Alessandro IV (1254-1261), preoccupato del diffondersi delle
idee gioachimite presso i frati francescani.
Erano infatti passati quasi 40 anni dalla condanna delle idee di Gioacchino
da Fiore nel Concilio Lateranense del 1215 e, nonostante ciò, esse godevano
ancora di grande popolarità: perfino il ministro generale dell'ordine
francescano, Giovanni da Parma, era un fervente seguace delle teorie del
grande mistico calabrese e per questo motivo egli venne destituito e
condannato al confino nell'eremo di Greccio.
Il destino di Fra Gerardo non fu certo migliore: nel 1255 il suo libro fu
condannato ad essere distrutto ed il suo autore, non volendo riconoscersi
colpevole, fu a sua volta condannato al carcere a vita, dove rimase fino
alla sua morte nel 1276.
Alla sua morte gli fu perfino negata la sepoltura religiosa.
In seguito alla vicenda del trattato di G., l'ordine francescano promulgò un
decreto che proibiva la pubblicazione di qualsiasi libro senza una speciale
autorizzazione scritta dei propri superiori: questo ordine creò notevoli
difficoltà ad un altro pensatore francescano del momento: Ruggero Bacone.


Luca di Praga (1460-1528), i Fratelli Boemi (Unitas fratrum) ed i Fratelli
Moravi



Il periodo storico
I Fratelli Boemi si inserirono nel periodo storico scaturito in Boemia in
seguito all'approvazione delle Compactata di Basilea, una serie di deroghe
dottrinali, che riproducevano i Quattro Articoli di Praga (concepiti nel
1420 da Jakoubek di Stribo): esse furono concesse agli hussiti dal Concilio
di Basilea (1431-1439) e quindi ratificate nel 1436 dalla Dieta di Iglau
(Jihlava) in Moravia, dove i cattolici e gli hussiti avevano accettato
reciprocamente le Compactata e l'obbedienza al Concilio.
Ma questo compromesso non fu accettato dalla fazione radicale dei taboriti e
si giunse ad una guerra civile tra i moderati utraquisti (momentaneamente
alleati con i cattolici) e i Taboriti stessi, conclusasi con la sconfitta di
questi ultimi nella battaglia di Lipau (o Lipany) del 30 Maggio 1434, dove
fu ucciso anche il loro capo Andreas Prokop.
Due anni dopo, nel 1436, alla Dieta di Iglau (Jihlava) in Moravia, i
cattolici e gli hussiti accettarono reciprocamente le Compactata e
l'obbedienza al Concilio. Fu formata una Chiesa Cattolica boema indipendente
con a capo l'arcivescovo Jan Rokyzana.
Tuttavia l'accordo non portò la sperata pace in Boemia, dove continuarono
nuove lotte interne culminate nel 1448, quando il governatore di Praga,
Giorgio Podiebrad reagì con forza ai tentativi dei cattolici di riprendersi
i beni confiscati durante le guerre hussite e di rievangelizzare la regione
con una attività martellante dei predicatori francescani agli ordini del
Vicario generale, San Giovanni Capistrano (1386-1456).
Podiebrad venne nominato reggente nel 1452 e divenne re di Boemia dal 1458
al 1470, sostenendo attivamente il rito utraquista.


La fondazione dell'Unitas fratrum
Nel 1457 alcuni utraquisti ed i superstiti taboriti si staccarono dalla
Chiesa hussita, formando un movimento separato, denominato Unitas Fratrum
(unità dei fratelli) o Fratelli Boemi, il cui fondatore fu un certo Gregorio
(secondo altri autori, Giorgio), nipote del predicatore utraquista Rokyzana,
ma di cui ebbe parte fondamentale il predicatore Petr Chelcický (1390-1460).
Il movimento ebbe un immediato successo ed aumentarono i suoi adepti fino al
numero di qualche migliaio, ma la sua rapida crescita fu bloccata nel 1461
dall'arresto di Gregorio e di altri attivisti per ordine del re Giorgio
Podiebrad, sempre vigile contro possibili riprese del defunto movimento
taborita.
Infatti, benché rifiutassero la violenza tipica dei taboriti, sviluppando
invece altre caratteristiche, come l'abolizione di ogni grado e gerarchia,
del giuramento, del servizio militare per favorire una vita basata sulla
povertà evangelica, i Fratelli Boemi accettarono alcuni punti tipici dei
radicali hussiti in tema di Eucarestia e Sacramenti.
Per continuare la loro opera essi si rifugiarono a Reichnau, sul lago di
Costanza, dove nel 1467, i F. si fusero con i valdesi boemi nel 1467,
diventando l'Unione dei fratelli boemi-moravi, e dando luogo alla
consacrazione di diversi preti (che dovevano essere celibi e non potevano
avere alcun possesso) e di un vescovo, Mattia di Kunwald.
L'Unione era basata su una severa moralità, sulla quale vigilava un comitato
di anziani, che potevano espellere coloro che si erano macchiati di qualche
peccato o colpa.
Comunque le persecuzioni nei loro confronti da parte di re Giorgio
continuarono fino alla sua morte nel 1471.


Luca di Praga
Luca nacque intorno al 1460 ed divenne baccelliere all'Università di Praga,
affermandosi successivamente come teologo molto preparato.
Dal 1480 circa, Luca fu nominato capo e vescovo dei F. riorganizzandoli come
una vera chiesa: in questo dovette vincere l'opposizione interna
rappresentata dall'ala più conservativa dei Radicali.
Nel frattempo, la Boemia era finita sotto il dominio della dinastia polacca
degli Jagelloni: era infatti diventato re di Boemia (e dal 1490 anche di
Ungheria) Ladislao II (1471-1516), figlio di Casimiro IV di Polonia
(1444-1492).
Ladislao fu alquanto tollerante con i F. e questa cosa permise una loro
rapida espansione (circa 100.000 seguaci), nonostante la persecuzione voluta
da Papa Alessandro VI (1492-1503): fu un vero peccato tuttavia che essi non
sapessero meglio coltivare i rapporti con il re. Infatti nel 1507 quando il
sovrano li invitò ad una conferenza con gli utraquisti a Praga, essi, per
tutta risposta, inviarono degli illetterati maleducati. Questo sgarbo mandò
in bestia il re Ladislao, che iniziò a perseguitare i F. ad iniziare
dall'Editto di San Giacomo del 1508.
Nel 1528 morì il vescovo Luca, che si era sempre posto in maniera
equidistante dai vari pensieri riformatori dell'epoca, come i luterani e gli
zwingliani.
Ne prese l'eredità spirituale Giovanni di Augusta, il quale tentò una
fusione con i luterani nel 1542, ma questa naufragò per una visione troppo
severa della morale dei F., non condivisa da Martin Lutero.
Tuttavia i F. furono lealmente al fianco dei luterani nella lega di
Smalcalda e patirono anche loro le conseguenze della sconfitta nella
battaglia di Muhlberg del 1547 e dovettero accettare o l'esilio in Polonia e
Prussia o di fondersi almeno formalmente con gli utraquisti.
Un periodo di relativa pace si ebbe sotto Massimiliano II d'Asburgo
(1564-1576), che rifiutò le decisioni del Concilio di Trento (1545-1563) per
mantenersi in una posizione neutrale: ne approfittarono i F. per stendere la
Confessio bohemica, l'atto di fede dei F., un documento teologicamente
ancora in una posizione intermedia tra luterani e calvinisti.
Durante il regno dell'imperatore Rodolfo II (1576-1612) fu stillata una
lettera di garanzia delle libertà religiose ai boemi, mentre durante il
regno del successore, il fratello Mattia (1612-1619), avvenne l'episodio
scatenante la Guerra dei Trent'anni: una ulteriore defenestrazione di Praga
degli incaricati cattolici dell'Imperatore.
Ma non erano più i bei tempi di Zizka o Prokop: la guerra vide la secca
sconfitta dei Boemi nella battaglia alla Montagna Bianca del 1620 da parte
delle truppe dell'imperatore Ferdinando II (1619-1637), il quale forzò i F.
a diventare cattolici o ad emigrare: molti scelsero di rifugiarsi in
Ungheria o in Polonia settentrionale, tra cui l'illustre filosofo e pedagogo
Jan Amos Komenski (Comenio) .
Altri F. boemi sopravvissero in clandestinità in Moravia, emigrando
successivamente in Germania, dove intorno al 1730 il conte Nikolaus Ludwig
von Zizendorf (1700-1760) fondò il movimento dei Fratelli Moravi, unendo le
caratteristiche dei F. con quelle del Pietismo di origine luterana.
Oggigiorno la Chiesa Morava, anche grazie ad una intensa opera di
missionariato nelle Americhe, conta nel mondo circa 300.000 fedeli.

Giovanni di Lugio (o Luzio o di Bergamo) (vescovo cataro) (XIII secolo)



Vescovo cataro di Desenzano tra il 1250 ed il 1260, "figlio maggiore" di
Belesnianza, e capo della fazione più innovatrice degli Albanenses (dualisti
assoluti).
Il suo nome originario era Giovanni di Bergamo, ma fu chiamato così dal nome
del torrente Lugio (o Lujo), affluente del Serio, fiume che scorre nel
Bergamasco.
G. venne unanimamente considerato il teologo cataro più di rilievo, l'unico
probabilmente in grado di sostenere una discussione ad alto livello con i
teologi cattolici più preparati.
Scrisse nel 1240 il Liber de duobus principiis, (riscoperto solo 60 anni
fa), basato su testi biblici e caposaldo della dottrina catara, in cui G.
teorizzò che l'origine del peccato fosse dovuto ad un principio maligno.
Infatti, il Vangelo di Giovanni (1,31) diceva: "Sine ipso factum est nihil"
e G. lo interpretò, a suo uso, come "Senza di Lui è stato fatto il nulla",
cioè il mondo terreno e visibile e le cose malvagie erano stati fatti in
assenza del Dio buono, e quindi per forza da un Dio malvagio.
Ciò poteva spiegare la caduta degli angeli, altrimenti totalmente immersi
nella bontà divina e difficilmente inclini a peccare. Il male da loro
commesso, quindi, non veniva da Dio, ma dal principio maligno. Tuttavia a
loro discolpa c'è che l'onnisciente Dio non poteva non conoscere fin
dall'inizio il destino dei suoi angeli caduti, i quali quindi non erano
liberi di peccare o di non peccare. Ciò suffragava la tesi di G. di rifiuto
del libero arbitrio.
Infine gli angeli caduti, imprigionati nei corpi, per poter raggiungere la
salvezza, dovevano reincarnarsi attraverso varie esistenze (metempsicosi),
perché Dio continuava a provare amore per le sue creature "incarcerate"
(cioè per le anime), che, prima o poi, sarebbero ritornate da Lui.


Wessel Goesport, Johann (o Ruckerath, Johann o Giovanni di
Wessel)(1420-1489)



Johann Wessel Goesport (Giovanni di Wessel) fu l'ultimo degli eretici prima
della Riforma protestante.
Nacque nel 1420 a Groningen, in Olanda, e dal 1449 frequentò l'università di
Colonia, conseguendo la laurea in arti liberali. Successivamente, egli
stesso divenne docente in arti liberali all'università di Heidelberg (in
Germania) dal 1456 al 1457.
Nel 1458 W. si recò a Parigi, dove si convertì al pensiero nominalista, la
corrente filosofica fondata da Roscellino, il quale affermava che solo le
singole essenze esistevano, mentre i generi e le specie erano concetti
universali, noti come semplicemente "universali". Questi universali non
esistevano nella realtà, come invece le essenze, ma erano solo segni
convenzionali o parole (voces) o nomi (da cui l'attributo di nominalista).
W. rimase a Parigi fino al 1473, anno nel quale emigrò per sfuggire alle
conseguenze di un editto del re Luigi XI (1461-1483) proprio contro il
nominalismo. Per il resto della sua vita, W., diventato nel frattempo monaco
agostiniano, fu insegnante di teologia e predicatore nelle città tedesche di
Erfurt, Worms e Mainz. Proprio in questa ultima città, nel 1479, W. fu posto
sotto accusa da parte dell'Inquisizione per le sue idee per certi versi
anticipatori di alcuni temi della Riforma. W. infatti, probabilmente
influenzato dal riformatore boemo Jan Hus, rifiutò ogni rituale cattolico,
di cui non fosse fatto menzione nelle Scritture o nella Patristica, come il
peccato originale, la confessione, la benedizione, l'estrema unzione, le
indulgenze, il digiuno, l'immacolata concezione.
Per questo fu processato, ma essendosi pentito, la condanna fu tramutata in
reclusione a vita, mentre sul rogo finirono i suoi scritti. W. rimase
confinato in un monastero nella sua città natale di Groningen, dove morì il
4 Ottobre 1489.


Gioviniano di Roma (scomunicato ca. 390, m. ca. 405) e giovinianisti



Gioviniano fu un monaco della fine del IV secolo, oppositore dell'ascetismo
monastico, soprattutto femminile, propugnato da San Girolamo, che attaccò il
monaco con il suo libro Adversus Jovinianum.
A riguardo, G. affermava che, agli occhi di Dio, non c'erano diversità tra
le varie condizioni del Cristianesimo, per esempio una vergine non aveva
maggiori meriti di una moglie e il digiuno non era meglio dell'assunzione di
cibo nella giusta maniera.
Bastava che ogni azione, per pur peccaminosa che fosse, si chiudesse
rendendo grazie a Dio: il fatto di essere battezzati rendeva immuni dal
peccato.
Sembra che un suo discepolo fosse il vescovo ariano di Milano (355-374),
Aussenzio, a sua volta maestro di Elvidio, e come quest'ultimo e Bonoso di
Sardica, G. aderiva al pensiero degli antidicomarianiti o antimariani, che
negavano la verginità di Maria.
Egli fu condannato nel 390 da un concilio a Roma indetto da papa Siricio
(384-399) e da un sinodo a Milano voluto dal vescovo Sant'Ambrogio,
successore di Aussenzio.
G. morì ca. nel 405.

Gioviniano di Roma (scomunicato ca. 390, m. ca. 405) e giovinianisti



Gioviniano fu un monaco della fine del IV secolo, oppositore dell'ascetismo
monastico, soprattutto femminile, propugnato da San Girolamo, che attaccò il
monaco con il suo libro Adversus Jovinianum.
A riguardo, G. affermava che, agli occhi di Dio, non c'erano diversità tra
le varie condizioni del Cristianesimo, per esempio una vergine non aveva
maggiori meriti di una moglie e il digiuno non era meglio dell'assunzione di
cibo nella giusta maniera.
Bastava che ogni azione, per pur peccaminosa che fosse, si chiudesse
rendendo grazie a Dio: il fatto di essere battezzati rendeva immuni dal
peccato.
Sembra che un suo discepolo fosse il vescovo ariano di Milano (355-374),
Aussenzio, a sua volta maestro di Elvidio, e come quest'ultimo e Bonoso di
Sardica, G. aderiva al pensiero degli antidicomarianiti o antimariani, che
negavano la verginità di Maria.
Egli fu condannato nel 390 da un concilio a Roma indetto da papa Siricio
(384-399) e da un sinodo a Milano voluto dal vescovo Sant'Ambrogio,
successore di Aussenzio.
G. morì ca. nel 405.

Girardo di San Marzano (vescovo cataro) (XII secolo)



Vescovo cataro, dal 1150, della chiesa di Spoleto di corrente dualista
moderata, portò la fede catara anche ad Orvieto, dove la sua opera fu
continuata da due donne, Milita di Marte Meato e Giuditta di Firenze.


Giraude (o Guiraude) de Lavaur (catara) (m. 1211)



Di tutti i centri conquistati nella crociata anti-albigese del XIII secolo,
Lavaur fu uno di quelli che soffrì di più per il terrore sparso nella
regione.
Il 3 Maggio 1211, la fortezza di Lavaur fu espugnata, dopo un assedio durato
37 giorni, e fu impiccato il suo comandante, ma sorte ben più atroce fu
destinato ai 400 catari, che vivevano nella città e che furono tutti arsi
sul rogo.
Tra i convertiti alla fede catara, c'era anche la sorella del comandante
impiccato, Giraude (o Guiraude) de Lavaur, molto timorata di Dio e amata da
tutti i suoi concittadini, anche cattolici: essa fu gettata in un pozzo e
lapidata a morte.
La sua morte fu assunta come simbolo delle atrocità che il mezzogiorno
francese dovette sopportare durante la crociata contro i catari.


Girolamo di Praga (ca. 1370-1416)



Girolamo di Praga nacque a Praga nel 1370 ca. e studiò nella locale
Università, subendo l'influenza del predicatore riformatore Jan Hus.
Nel 1398 G. ricevette il titolo di Baccelliere in arti e in seguito partì
per Oxford, in Inghilterra, per completare gli studi di teologia. Questo
viaggio di studio era particolarmente in voga presso i giovani studenti
boemi, in particolare dopo che una prima delegazione si era recata in
Inghilterra al seguito della principessa Anna di Boemia, andata in sposa a
Riccardo II.
Anche G., come i suoi predecessori, rimase colpito dagli insegnamenti di
John Wycliffe e non mancò di diffonderli in patria al suo ritorno nel 1401.
Tuttavia non rimase a lungo in Boemia, affrontando un pellegrinaggio a
Gerusalemme nel 1403 e successivamente diventando docente all'Università
Sorbona di Parigi nel 1405 e alle università tedesche di Colonia e
Heidelberg nel 1406: da tutte queste città egli fu espulso per le sue idee
eterodosse allineate sulle posizioni di Wycliffe e per le spietate denunce
della corruzione dilagante nella Chiesa Cattolica.
Rientrò a Praga nel 1407 e collaborò con Hus, organizzando dibattiti
pubblici e proponendo di riformare radicalmente la Chiesa Cattolica.
Nel 1410, nuovamente insistendo sulle sue posizioni all'Università di Vienna
fu imprigionato con l'accusa di eresia, ma riuscì a fuggire, ma
evidentemente non aveva imparato la lezione se, ancora nel 1413, invitato
dal re di Polonia, Ladislao II (1386-1434) a riorganizzare l'Università di
Cracovia, ne fu espulso per gli stessi motivi.
Nel frattempo, aveva organizzato nel 1412, insieme a Hus, una protesta
contro l'antipapa Giovanni XXIII per la decisione di finanziare la guerra
contro il papa Gregorio XII mediante la vendita delle indulgenze: questa
posizione scatenò la reazione di Giovanni XXIII, che scomunicò Hus.
La bolla papale di scomunica fu bruciata in piazza durante una
manifestazione popolare, ma tre seguaci di Hus furono arrestati e decapitati

per ordine del re Venceslao.
G. in persona guidò la processione funeraria dei corpi dei tre condannati
alla Cappella di Betlemme.
Caratterialmente G. fu sempre generoso, ma molto impulsivo: si racconta a
riguardo una serie di episodi molto significativi: aveva preso a pugni un
frate, a momenti accoltellato un secondo e infine gettato nel turbolento
fiume Vltava un terzo religioso, reo di predicare a favore delle indulgenze.
Tuttavia la sua generosità gli costò cara, quando nel 1415, contro il parere
di amici e seguaci, egli si recò al Concilio di Costanza per difendere le
idee dell'amico Hus.
Dopo la condanna al rogo di quest'ultimo il 6 Luglio 1415, vista la
malaparata, G. riuscì a fuggire dalla città nottetempo per tornare in
Boemia, ma la sua fortuna si esaurì in Baviera dove fu riconosciuto,
arrestato e rispedito a Costanza in catene.
Qui G. pubblicamente ricusò le sue precedenti idee, ma gli inquisitori, non
fidandosi del suo pentimento, lo lasciarono letteralmente a marcire in
prigione per quasi un anno. Il 16 Maggio 1416 G. fu richiamato davanti al
tribunale, dove egli ritrattò il precedente atto di pentimento,
giustificandolo con una momentanea paura della morte. Nonostante una
appassionata difesa, G. fu accusato di essere un eretico relapsus (cioè che
aveva ritrattato) e venne bruciato sul rogo il 30 Maggio 1416.
G. viene considerato, assieme a Hus, uno dei primi martiri della Riforma
Protestante.


Giudaizzanti o giudeo-cristiani (1/2 I° sec.)



La storia
Serie di movimenti cristiani affini all'ebraismo, che mantenevano la stretta
osservanza alla Torà di Mosè e di tutte le sue prescrizioni (ad esempio la
circoncisione).
Furono avversati da Sant'Ireneo (ca. 140-200) di Lione che li accusava di
adozionismo, cioè di non credere in un Cristo come l'incarnazione del Verbo,
ma solo come uomo divinizzato in un secondo momento o come un angelo, scelto
da Dio per diventare Suo Figlio.
Come leader storici, si richiamavano a San Pietro e a San Giacomo il minore,
in contrapposizione a San Paolo, che accusavano di avere impedito la totale
conversione degli ebrei al cristianesimo.
Il movimento si può dividere in due filoni principali:
La corrente eretica formata dagli Ebioniti, gli Elcasaiti, i Nazarei e i
Nicolaiti.
L'ufficialità ortodossa rappresentato, appunto, da San Giacomo.


Ripetuti tentativi di riconciliazione con la corrente di Paolo, come un
Concilio nel 51 a Gerusalemme, non portarono a niente di definitivo. Giacomo
stesso criticò pesantemente nella sua lettera del 60 (che alcuni autori non
ritengono autentica) il concetto di salvezza espressa da Paolo.
Tuttavia, pochi anni dopo (circa 62), Giacomo morì lapidato su ordine del
sommo sacerdote Anano e dopo la conquista di Gerusalemme da parte dei Romani
nel 70, la corrente giudeo-cristiana perse sempre più importanza, subendo
anche la diaspora degli ebrei nel 135.
Probabilmente questa corrente sopravvisse per almeno altri due secoli come
testimoniarono le decisioni contro le usanze giudeo-cristiane prese durante
i concili di Elvira e Laodicea nel IV° secolo.


Le opere
Rimangono frammenti delle testimonianze giudeo-cristiane scritte come le
Pseudo-clementine, attribuito a Clemente Romano, l'apocrifo Vangelo degli
Ebrei e i Kerýgmata Pétrou (predicazioni di Pietro).



Giudaizzanti o giudeo-cristiani (1/2 I° sec.)



La storia
Serie di movimenti cristiani affini all'ebraismo, che mantenevano la stretta
osservanza alla Torà di Mosè e di tutte le sue prescrizioni (ad esempio la
circoncisione).
Furono avversati da Sant'Ireneo (ca. 140-200) di Lione che li accusava di
adozionismo, cioè di non credere in un Cristo come l'incarnazione del Verbo,
ma solo come uomo divinizzato in un secondo momento o come un angelo, scelto
da Dio per diventare Suo Figlio.
Come leader storici, si richiamavano a San Pietro e a San Giacomo il minore,
in contrapposizione a San Paolo, che accusavano di avere impedito la totale
conversione degli ebrei al cristianesimo.
Il movimento si può dividere in due filoni principali:
La corrente eretica formata dagli Ebioniti, gli Elcasaiti, i Nazarei e i
Nicolaiti.
L'ufficialità ortodossa rappresentato, appunto, da San Giacomo.


Ripetuti tentativi di riconciliazione con la corrente di Paolo, come un
Concilio nel 51 a Gerusalemme, non portarono a niente di definitivo. Giacomo
stesso criticò pesantemente nella sua lettera del 60 (che alcuni autori non
ritengono autentica) il concetto di salvezza espressa da Paolo.
Tuttavia, pochi anni dopo (circa 62), Giacomo morì lapidato su ordine del
sommo sacerdote Anano e dopo la conquista di Gerusalemme da parte dei Romani
nel 70, la corrente giudeo-cristiana perse sempre più importanza, subendo
anche la diaspora degli ebrei nel 135.
Probabilmente questa corrente sopravvisse per almeno altri due secoli come
testimoniarono le decisioni contro le usanze giudeo-cristiane prese durante
i concili di Elvira e Laodicea nel IV° secolo.


Le opere
Rimangono frammenti delle testimonianze giudeo-cristiane scritte come le
Pseudo-clementine, attribuito a Clemente Romano, l'apocrifo Vangelo degli
Ebrei e i Kerýgmata Pétrou (predicazioni di Pietro).



Brigantino, Fra Giuliano da Colle Val d'Elsa (Giuliano da Colle)
(ca.1510-ca.1552)



Reggente dello Studio di San Giacomo a Bologna fra il 1539 ed il 1542, fra
Giuliano fece parte di quella consistente schiera di predicatori
agostiniani, soprattutto concentrati in Lombardia, che si fecero carico
della diffusione delle idee luterane in Italia.
B. fu ripreso più volte dal generale dell'ordine, che lo spostò di sede
ripetutamente, da Pavia a Milano, Ferrara, Padova, Venezia [dove partecipò a
riunioni di protestanti e valdesiani (seguaci, cioè, di Juan de Valdes)],
Vicenza ed infine Siena nel 1549. Nulla poté, però, contro il suo arresto da
parte dell'Inquisizione romana, in seguito ad una predica quaresimale a
Firenze nel 1552.
Benché avesse ritrattato solennemente sul pulpito del convento di Santo
Spirito, fu ugualmente imprigionato e morì nelle carceri dell'Inquisizione
nello stesso anno.


Giuliano di Alicarnasso (m. ca. 527)



Giuliano divenne vescovo di Alicarnasso (nell'attuale Turchia occidentale)
durante il regno dell'imperatore Anastasio (491-518), monarca alquanto
tollerante verso il monofisismo. Tuttavia, alla salita al trono nel 518
dell'ortodosso Giustino I (518-527), G. fu esiliato in Egitto.
Qui, egli fondò la corrente degli aftartodocetisti o fantasiasti o
incorrutticoli, una variante del monofisismo.
Essi, in contrasto con la corrente monofisita dei severiani o fartatolatri o
corrutticoli, fondata da Severo di Antiochia, affermavano che Cristo aveva
una natura umana incorruttibile, non solo dal momento della resurrezione, ma
già dalla incarnazione.
Quindi, Cristo non era normalmente soggetto ai desideri di fame, sete,
stanchezza, ecc. ma si era sottoposto volontariamente ad essi per amore
nostro.
G. morì ca. nel 527.
L'imperatore Giustiniano (527-565), che in tardi età desiderava la
riconciliazione dei Cristiani, fece diventare, nel 565, l'incorruttibilità
del Corpo di Cristo, elaborata da G., una dottrina della Chiesa. Questa
mossa, più politica che altro, serviva a Giustiniano per prendere le
distanze dai severiani, favorendo un loro avversario e volutamente
dimenticandosi della scomunica postuma emesso a carico di G. a
Costantinopoli nel 536.

Giuliano di Eclano (ca. 386-454)



Giuliano, uno dei più ferventi fautori del pelagianismo, nacque nel 386 ca.,
studiò filosofia e dialettica e, nel 416, diventò vescovo di Eclano, città,
ora non più abitata, vicina a Benevento, in Campania.
Nel 418 fu convocato il sinodo di Cartagine, dove, in presenza di 200
vescovi, furono stabiliti otto (o nove) dogmi, che confutavano il
pelagianismo, riaffermando il peccato originale, il battesimo degli infanti,
l'importanza della grazia divina ed il ruolo dei santi.
Tutti questi dogmi, avvallati da papa Zozimo (417-418), sono poi diventati
articoli di fede per la Chiesa Cattolica.
Inoltre, in seguito al sinodo di Cartagine, anche l'imperatore Onorio
(395-423) scese in campo a fianco degli ortodossi, emanando nel 418 un
ordine di espulsione dal territorio italiano per tutti i pelagiani e per
coloro che non approvassero, controfirmandola, l'enciclica di condanna del
pelagianismo Epistola tractoria, inviata da Zozimo a tutti i vescovi: furono
costretti all'esilio, oltre a 18 vescovi italiani, Celestio e Giuliano, che
si era rifiutato di firmare l'enciclica papale.
Da quel momento G. diventò il leader spirituale dei pelagiani e si impegnò
lungamente in una diatriba epistolare con Sant'Agostino, di cui sono rimasti
molti scritti. Dal 421 G. fu ospite di Teodoro di Mopsuestia in Cilicia ed
anche da lì egli continuò la battaglia di lettere con Agostino.
Dopo la morte di Teodoro nel 428, G. si recò a Costantinopoli con altri
vescovi, dal patriarca Nestorio, dove ritrovò anche Celestio. Nella capitale
bizantina, G. entrò in polemica con un tale Mario Mercatore, amico di
Agostino, i cui scritti anti-pelagiani influenzarono talmente l'imperatore
Teodosio II (408-450), che questi decise l'espulsione di tutti i pelagiani
nel 430.
G. continuò, comunque, la propaganda pelagiana e nel 439 cercò di rientrare
nella sua sede di Eclano, ma ne fu impedito da Papa Sisto III (432-440), lui
stesso pelagiano in gioventù, e morì qualche anno più tardi, durante il
regno di Valentiniano III (425-455), forse nel 454 (secondo altre fonti
molto prima nel 441 o nel 445).


Il pensiero
Nella diatriba pelagiana sul peccato originale, G., fine dialettico,
aggiunse altri elementi di discussione: egli ricusò il concetto agostiniano
che Dio avrebbe danneggiato tutti a causa dell'errore di un solo uomo,
Adamo, che era da considerare semplicemente un cattivo esempio.
Inoltre G. respinse il concetto manicheo di Agostino di un mondo pieno di
sofferenze per le anime peccatrici, dove la morte era la punizione per il
peccato originale: per G. ciò che era naturale non poteva essere malvagio e
le scelte umane erano giuste o sbagliate, ma certo non influenzavano i
fenomeni naturali, inclusa la morte.

Della Rovere, Giulio (Giulio da Milano) (1504-1581)



Famoso predicatore agostiniano passato poi alla Riforma, Giulio (il vero
nome di battesimo era Giuseppe: lo cambiò in Giulio quando entrò nell'ordine
agostiniano) Della Rovere nacque nel 1504 a Milano da una stimata famiglia e
studiò a Padova, dove conobbe Ambrogio Cavalli, che frequentò anche a
Bologna.
Tra il 1520 ed il 1522 D. entrò nell'ordine degli agostiniani eremitani e a
Bologna fece parte del convento agostiniano di San Giacomo Maggiore, dove
poté approfondire i suoi studi del pensiero di Erasmo da Rotterdam, assieme
ai concittadini milanesi Ortensio Lando e Ambrogio Cavalli, all'umanista
abruzzese Giovanni Angelo Odoni e allo studente di diritto Fileno Lunardi
(che alcuni identificano con Camillo Renato).
In seguito, tra il 1533 ed il 1535, conobbe a Pavia Agostino Mainardi, un
incontro decisivo per la scelta di fede in senso riformista, che si notò
sempre di più nelle sue prediche.
Nel 1538 venne messo sotto inchiesta e nel 1540, per contrasti con il padre
generale dell'ordine, egli si dimise dagli incarichi ufficiali dell'ordine
agostiniano assieme a Cavalli, priore del suo stesso convento.
Infine, in seguito alle sue prediche a Trieste e a Venezia, nella chiesa di
San Cassan, per la Quaresima del 1541, venne arrestato a Venezia stessa.
Questo arresto portò inoltre alla perquisizione della biblioteca privata di
D. e dell'amico Celio Secondo Curione (che viveva in casa di D.) e la
confisca di scritti proibiti di Erasmo da Rotterdam e del riformatore
svizzero Johann Heinrich Bullinger.
Nonostante le vibrate proteste di Bernardino Ochino e la tentata
intercessione di alcuni nobili della repubblica veneta (per citarne alcuni:
Agostino Barbarigo, Girolamo Corner, Alessandro Gritti), egli venne accusato
di mantenere rapporti con altri dissidenti religiosi in Italia e all'estero.
D. poté quindi scampare all'esecuzione capitale solo mediante l'abiura, ma,
in seguito, riuscì a fuggire dal carcere nel febbraio 1543, riparando in
Svizzera, dove fu segnalato, il 23 aprile 1543, dal predicatore di Ulm,
Martin Frecht (1494-1556) al sindaco di San Gallo, l'umanista Joachim von
Watt, detto Vadiano (1484-1551).
Qui diventò pastore zwingliano nel 1546 a Vicosoprano e nel 1547 a
Poschiavo, nel cantone Grigioni (il cui territorio comprendeva, dal 1512,
anche la Valtellina), dove rimase fino alla sua morte e dove scrisse nel
1549 (pretendendo di averla pubblicata a Trento, un evidente simbolo contro
il Concilio, che si tenne dal 1545 al 1563) la popolare Esortazione alli
dispersi per l'Italia, titolo poi modificato in Esortazione al martirio (la
seconda edizione fu del 1552), testo in cui spingeva i potenziali martiri
della fede riformata ad affrontare la morte e in cui polemizzò violentemente
con Giorgio Siculo (alias Giorgio Rioli) e con i suoi seguaci, da D. stesso
definiti, per la prima volta, "georgiani". La polemica riguardò in
particolare la propensione al nicodemismo di questo curioso e misterioso
personaggio.
Dal suo esilio ben organizzato nei Grigioni, D. poté propagandare i propri
scritti evangelici e le proprie prediche attraverso i buoni uffici dello
stampatore Dolfino Landolfi di Poschiavo, che si recava spesso in Italia per
acquistare la carta da stampa.
Allacciò contatti epistolari con la duchessa di Ferrara Renata d'Este (alla
quale fu dedicata un'Epistola contenuta nell'edizione del 1552
dell'Esortazione), nota protettrice di riformati e riuscì perfino a
visitarla clandestinamente, durante la Quaresima del 1550, quando poté
tenere una quindicina di predica al ristretto gruppo di protestanti, che
gravitavano intorno alla duchessa.
Nel 1549 D. conobbe a Poschiavo Pier Paolo Vergerio, da cui venne fortemente
influenzato e che accolse con entusiasmo, quando l'ex vescovo di Capodistria
si recò in esilio in Svizzera, mentre nel 1554 scrisse a Bullinger per
informarlo e metterlo in guardia contro le tendenze antitrinitariane di
Lelio Sozzini.
Della Rovere morì nel 1581.


Hubmaier, Balthasar (1480/1-1528)



La gioventù
Balthasar Hubmaier, il più famoso teologo anabattista, nacque nel 1480/1 a
Friedberg, vicino ad Augsburg (Augusta) in Baviera, da una povera famiglia
contadina. Nonostante ciò, egli riuscì con mille difficoltà a completare gli
studi universitari, dapprima a Friburgo e, in seguito, ad Ingolstadt,
seguendo il suo maestro, il più giovane, ma già affermato, teologo Johann
Eck (1486-1543).
H. divenne sacerdote nel 1510 e dottore in teologia nel 1512, iniziando
immediatamente a lavorare per l'università di Ingolstadt, di cui divenne
vice-rettore nel 1515.
Nel 1516 H. fu nominato predicatore della cattedrale di Ratisbona
(Regensburg), in Baviera, dove ebbe molto successo, ma dove si lasciò anche
coinvolgere in una violenta campagna contro gli ebrei, culminata con la loro
cacciata dalla città. In seguito a questo non edificante episodio, la sua
popolarità presso i cittadini cristiani salì comunque alle stelle,
suscitando l'invidia dell'ordine dei Domenicani e convincendolo quindi a
trasferirsi in un posto più tranquillo.
Prese dunque la decisione di recarsi nel 1521 a Waldshut, vicino al confine
con la Svizzera, nel sud del Baden Württenberg, allora (dal 1520 al 1534)
sotto il dominio degli Asburgo.


La conversione alla Riforma
Fino a quel momento H. era stato un cattolico osservante, ma dal soggiorno a
Waldshut in avanti si accostò sempre più alle idee riformiste, leggendo gli
scritti di Lutero e scambiando lettere con Zwingli ed Ecolampadio.
Con i due riformatore svizzeri H. si trovò spesso d'accordo, soprattutto nel
primato della Sacra Scrittura e nella lotta contro l'uso delle immagini e
contro la messa in latino, tuttavia incominciò anche ad essere sempre più in
contrasto con loro per quanto concerneva il battesimo dei bambini. A
riguardo man mano egli si accostò alle posizioni espresse dal gruppo
anabattista di Conrad Grebel.
Nel 1524 H. si impegnò a fondò per la conversione alla Riforma della
Germania meridionale: introdusse la messa in tedesco, abolì il celibato e il
digiuno, ma la sua azione venne contrastata dal vescovo di Costanza Hugo von
Hohenlandenberg (vescovo: 1496-1529, m. 1532) e dagli Asburgo, che tentarono
inutilmente di fare delle pressioni sulle autorità di Waldshut, acciocché lo
espellessero: fu comunque lo stesso riformatore che decise di rifugiarsi,
nel Settembre 1524 a Sciaffusa, in Svizzera, per evitare guai peggiori alla
città tedesca.
A Sciaffusa H. scrisse una delle sue opere migliori: Von Ketzern und ihren
Verbrennern (Sugli eretici e su coloro che li bruciano), contro le
persecuzioni dei suoi nemici, cattolici e Asburgo, che nuovamente, questa
volta al consiglio di Sciaffusa, chiesero la sua estradizione. Comunque H.,
anche qui, tolse le autorità dall'imbarazzo, ritornando a Waldshut in
Ottobre.


La conversione all'anabattismo
Qui egli riprese la sua azione riformatrice, ma con un forte connotato
anabattista, alla quale dottrina dichiarò di aderire nel Gennaio 1525, mese
in cui si sposò con Elsbeth Hügeline. In Aprile fu battezzato da Wilhelm
Reublin, e nei giorni successivi lui stesso battezzò circa trecento persone.
Dal Maggio 1525 H. entrò in una polemica sul battesimo, a colpi di opuscoli
dottrinali, con Zwingli: iniziò il riformatore di Zurigo con Vom Tauff,
Widertauff und Kindertauff (Del battesimo, contro-battesimo e battesimo dei
bambini), al quale H. rispose con Von dem Christenlichen Tauff der glaübigen
(Del battesimo cristiano dei credenti). Zwingli accusò il colpo pubblicando
il piccato e polemico Über dr. Balthazars Tauffbüchlin waarhaffte gründte
antwurt (Risposta all'opuscolo del dr. Balthazar sul battesimo), ma H.
rintuzzò l'attacco pubblicando Ein Gesprech auf Zwinglen Tauffbüchlein von
dem Kindertauff (Discorso sull'opuscolo di Zwingli intorno al battesimo dei
bambini). In questi scritti l'impianto dottrinale di H. sul battesimo si
fondava su una visione catartica del sacramento, purificatrice dei peccati,
che doveva seguire la confessione ed il pentimento ed evidentemente non era
applicabile ai neonati per ovvi motivi.
Nel frattempo il contrasto con gli Asburgo prese una piega molto drammatica:
nell'autunno 1525 Ferdinando d'Asburgo fece porre d'assedio Waldshut, con il
pretesto della repressione della rivolta dei contadini, ma anche con
l'obiettivo di riportare il Cattolicesimo nella città.
Waldshut si arrese il 5 Dicembre 1525 e H., non volendo piegarsi ai voleri
del nemico, fuggì con la moglie e qualche amico a Zurigo.


H. a Zurigo
Qui H., perseguitato e lacero, entrò il 7 Dicembre di nascosto, ritenendo
saggiamente di non far sapere la cosa alle autorità, poiché era ancora viva
l'impressione per le polemiche anabattiste e la successiva condanna di
Grebel, Mantz e Blaurock. Tuttavia, qualche giorno dopo, egli venne scoperto
ed arrestato su ordine delle autorità cittadine, che rifiutarono
l'estradizione chiesta dagli Asburgo, ma accettarono la richiesta di un
confronto pubblico con Zwingli.
L'esito di questo dibattito fu scontatamente a favore di Zwingli, il quale
mise l'avversario di fronte ad un aut-aut: o ritrattare o abbandonare la
città. H., malato e stanco, scrisse la sua ritrattazione, ma quando il 5
Gennaio 1526 gli fu richiesto di leggerla pubblicamente davanti alla
cittadinanza, egli negò tutto lanciandosi in una appassionante quanto
pericolosa apologia del battesimo degli adulti, interrotta a forza dalle
guardie, che lo imprigionarono nuovamente nella famigerata Wasserturm.
Questa volta per essere più sicuro del pentimento di H., Zwingli lo fece
spietatamente torturare fino ad ottenere una piena ritrattazione, che fu da
H. reiterato pubblicamente per ben tre volte.


H. a Nikolsburg
Disprezzato dagli anabattisti e dai riformatori, per motivi ovviamente
diversi, e ricercato attivamente dalle spie degli Asburgo, H. lasciò
segretamente Zurigo nel 1526, dirigendosi verso Ausgburg (Augusta), dove
nell'Aprile dello stesso anno fondò una comunità anabattista e battezzò Hans
Denck.
Ma già nel Luglio 1526 H. se ne andò da Augusta e si diresse a Nikolsburg
(oggigiorno Mikulov), nella Moravia meridionale, invitato dai signori del
luogo, appartenenti ad un ramo della nobile famiglia dei Liechtenstein.
Il successo ottenuto da H. a Nikolsburg andò oltre ogni più rosea
previsione: non solo egli convertì sia i signori Leonhard e Johann von
Liechtenstein che i due predicatori luterani della città, Hans Spittelmaier
(1497-1528) e Oswald Glait (m. 1546), ma ribattezzò anche circa 6.000
persone durante la sua permanenza, creando a Nikolsburg quel centro di
riferimento, che gli anabattisti perseguitati in Europa anelavano
disperatamente. E i perseguitati risposero entusiasticamente alla
possibilità di rifugio in Moravia, affluendo talmente numerosi che la
popolazione di Nikolsburg crebbe fino a sfiorare le 12.000 unità.
A Nikolsburg H. si dedicò ad elaborare la dottrina anabattista attraverso la
pubblicazione di circa 18 opere tra scritti, trattati, brevi saggi, il più
famoso dei quali furono i Zwölf Artikel des christlichen Glaubens (Dodici
articoli della fede cristiana) del 1526.
H. era fautore di un coinvolgimento dei cristiani nella vita politica e
nella difesa con le armi, se necessario, della propria autonomia: i suoi
seguaci furono per questo detti Schwertler (i portatori di spada).
Questa posizione alimentò dei dissidi interni al movimento anabattista con
la corrente pacifista degli Stabler (i portatori di bastone), seguaci di
Jakob Wideman, detto Jakob il guercio (m.1535 ca.). La polemica peggiorò con
l'arrivo di Hans Hut, che diede un sapore apocalittico alle sue predicazioni
per aver fissato la data della parusia (seconda venuta di Cristo sulla
terra) per la Pentecoste del 1528.
Hut riuscì a spezzare il movimento anabattista, portando dalla sua parte gli
adepti più radicali, che mal tolleravano i compromessi di H. con le autorità
locali e propendevano per un anabattismo estremo secondo un concetto caro al
fondatore Conrad Grebel.


La fine
La situazione precipitò quando i signori di Liechtenstein fecero arrestare
Hut, poi evaso: i successivi tumulti creati dai seguaci di Hut misero anche
H. in cattiva luce presso i governanti stessi. Fu questo probabilmente il
motivo perché essi acconsentirono, nell'autunno 1527, all'estradizione di H.
e della moglie in Austria, su richiesta degli Asburgo, dove vennero
arrestati e imprigionati nel castello di Kreuzenstein, nell'Austria
inferiore.
Dapprima Ferdinando d'Asburgo adoperò la linea morbida, facendo parlare H.
nel Dicembre 1527 con il suo vecchio amico, il teologo cattolico Johann
Faber (1478-1541), che cercò di convincerlo, per la verità con un fare molto
brusco e prepotente, ad una parziale ritrattazione delle sue idee.
Ma gli Asburgo volevano una totale e incondizionata resa del teologo
anabattista, che egli, nonostante le torture, non volle dare: fu quindi
condannato a morte per eresia e sedizione.
Il 10 Marzo 1528 H. fu bruciato sul rogo a Vienna, perdonando i suoi nemici,
e pochi giorni dopo anche la moglie venne uccisa, gettata con una pietra al
collo nel Danubio.


La dottrina
Attraverso i suoi innumerevoli scritti, H. fu il primo teologo a cercare di
sistemare la nebulosa (fino ad allora) dottrina anabattista: la Chiesa era
vista come una comunità di rigenerati fondata su due patti con Dio: il
Battesimo e la Cena del Signore.
Egli infatti concepì il Battesimo come un voto, una pubblica testimonianza
della fede cristiana, un vero arruolamento nella Chiesa dei credenti.
La Cena del Signore (Eucaristia) era invece una pubblica testimonianza
dell'amore cristiano, non andava inteso come un sacrificio, ma come la
commemorazione della morte  e delle sofferenze di Cristo, che aveva dato il
Suo corpo per la nostra salvezza.
Tuttavia H. in polemica con i concetti protestanti della salvezza per fede e
della predestinazione, era convinto che i credenti fossero comunque tenuti a
vivere secondo gli ordinamenti di Cristo e che la comunità dovesse punire
pubblicamente il fedele per i suoi peccati commessi, anche come esempio per

gli altri.
Inoltre vi erano molti ruoli nella società che dovevano essere ricoperti,
anche se sgradevoli, come la difesa e l'esercizio della giustizia, e per H.
questo compito spettava alle autorità costituite. Questo concetto avvicinò,
pur con alcune sfumature diverse, la posizione di H. a quelle di Zwingli e
Lutero, differendo alquanto da quella degli altri anabattisti, come ad
esempio Michael Sattler.


Zwingli (o Zuinglio), Ulrich (o Huldreich) (1481-1531) e zwinglismo



La gioventù
Ulrich (o Hulderich) Zwingli nacque a Wildhaus, nella valle di Toggenburg
(Cantone San Gallo), nella Svizzera orientale, l'1 Gennaio 1484 (sette
settimane dopo Martin Lutero), terzogenito di otto figli di Ulrich (senior),
un ufficiale distrettuale della cittadina, e di Margareth Meili.
Z. studiò a Weesen e a Berna [con lo studioso umanista Heinrich Wölflin
(Lupulus) (1470-1534)] e nel 1500 si iscrisse all'università di Vienna, ma
nel 1502 si trasferì all'ateneo di Basilea, dove seguì corsi di musica,
filosofia e materie umanistiche, e, concentrandosi in seguito sugli studi di
teologia, dietro incoraggiamento del riformatore Thomas Wyttenbach
(1472-1526), si laureò nel 1506 proprio in teologia.
Nello stesso anno, Z. divenne pastore a Glarus (Glarona), ricoprendo
l'incarico per dieci anni fino al 1516. Il ruolo di pastore, se da una parte
lo impegnava nel solito lavoro di predicatore e curatore di anime,
dall'altra gli lasciava sufficiente tempo libero per dedicarsi ai suoi studi
classici: rinforzò la sua già solida cultura umanista imparando il greco
antico da autodidatta e leggendo i classici romani, greci e i Padri della
Chiesa.
Ebbe inoltre contatti con famosi umanisti come Glareano (Henrich Loriti,
1488-1563) e Erasmo da Rotterdam, che Z. ammirò sempre moltissimo e di cui
lesse il Nuovo Testamento in greco: da queste letture si sviluppò la sua
idea di una superiorità delle Sacre Scritture sulla tradizione della Chiesa.
Partecipò, inoltre, a varie campagne militari in Italia, nel 1513 e 1515,
come cappellano militare al seguito delle truppe mercenarie svizzere,
ingaggiate dai re di Francia contro la Lega Santa. Questa esperienza lo
scosse notevolmente per due fattori: l'usanza, da Z. odiata,
dell'arruolamento dei mercenari nei Cantoni Svizzeri, largamente praticata
ai tempi dalle potenze europee, tra cui lo stato della Chiesa (che perfino
oggigiorno ha mantenuto questa abitudine), e la scoperta della liturgia
ambrosiana a Milano, diversa da quella da lui utilizzata, e che lo fece
riflettere sul fatto che la Chiesa stessa non applicava identiche pratiche
rituali in tutto il mondo cristiano.
Ritornato a Glarus, egli fu nominato sacerdote del celebre convento
benedettino di Einsiedeln, dall'amministratore e abate Diebold von
Geroldseck. Ad Einsiedeln, dove Z. si trasferì dal 1516 al 1518, Z. venne a
conoscenza di una diffusa degenerazione della moralità da parte del clero,
contro cui iniziò a combattere. Predicò inoltre concetti riformisti già due
anni prima di Lutero:  Z. disse in seguito che non conosceva a quel tempo il
grande riformatore tedesco, e quindi asserì di aver lui stesso iniziato la
Riforma in Svizzera in maniera indipendente dalle vicende tedesche di
Lutero. Sotto un certo punto di vista aveva ragione: Z. fu molto più
riformatore della Chiesa, nel vero senso della parola, rispetto a Lutero,
che alcuni autori vedono maggiormente nel ruolo di profeta della Riforma.


Zwingli a Zurigo
Alla fine del 1518 si rese vacante il posto di predicatore alla Gross
Münster (Grande Cattedrale) di Zurigo e Oswald Myconius (1488-1552),
insegnante presso la scuola dell'annesso monastero, oltre che amico
d'infanzia di Z., lo propose come candidato al capitolo della cattedrale,
che lo elesse: Z. iniziò questa nuova attività il giorno del suo 35esimo
compleanno, l'1 Gennaio 1519 con una sistematica esposizione del Vangelo di
San Matteo e durante i successivi quattro anni passò in rassegna tutti i
libri del Nuovo Testamento.
Uomo non del tutto refrattario alle tentazioni della carne, Z. conobbe e
visse more uxorio (almeno dalla primavera 1522) con la vedova Anna Reinhard,
che, con l'abolizione del celibato per i pastori protestanti, Z. sposò
finalmente nel 1524 e da cui ebbe quattro figli.
Sopravvissuto miracolosamente alla tremenda epidemia di peste del 1520,
proprio da quel anno Z. maturò l'idea di una riforma, che, come Lutero (sola
fide - sola gratia - sola scriptura) ma, come detto, indipendentemente da
lui, ponesse l'accento sulla salvezza per fede, dono della grazia di Dio e
con l'esclusione delle opere buone. Inoltre la Sacra Scrittura fu assunta
come unico riferimento in tema di morale e fede.
Quindi egli convinse progressivamente il consiglio cittadino di proibire
qualsiasi pratica religiosa che non avesse il supporto delle Sacre
Scritture. Poco dopo, la rottura ufficiale con la Chiesa Cattolica, che
venne fatta risalire alla clamorosa protesta durante la Quaresima 1522,
quando alcuni seguaci di Z. mangiarono deliberatamente delle salsicce e per
questo furono arrestati. Z. protestò energicamente e dimostrò che la pratica
in uso non aveva alcun supporto dalle Scritture.
Papa Adriano VI (1522-1523) intervenne, cercando di convincere il consiglio
cittadino di Zurigo a denunciarlo come eretico e per questo mobilitò il
vescovo di Costanza, Hugo von Hohenlandenberg (1496-1530), che inviò una
commissione investigatrice nell'Aprile 1522.
Z. fu chiamato a presentarsi davanti al consiglio cittadino, cosa che fece
il 29 Gennaio 1523, quando spiegò alla popolazione zurighese le sue 65 (o
67) tesi: egli uscì dal dibattito con il vicario generale di Costanza, il
teologo Johann Faber (1478-1541), totalmente sollevato da ogni accusa, anzi
riuscì perfino a convincere il Cantone Zurigo ad uscire dalla giurisdizione
del vescovo di Costanza.
Seguirono man mano le riforme, volute da Z.: il rifiuto di pagare le decime
e dell'adorazione delle immagini sacre, l'abolizione del celibato dei preti
e della musica in Chiesa (cosa curiosa per un amante della musica come Z.),
la chiusura dei monasteri, la semplificazione del breviario, le funzioni
religiose recitate in Tedesco ed infine, dalla Settimana Santa del 1525, la
modifica del sacramento della Comunione. Quest'ultima decisione acuì, come
vedremo più avanti, la tensione con Lutero.


La crisi degli anabattisti
Dal Settembre 1524 sorse un nuovo problema con l'incremento di popolarità
degli anabattisti, presenti a Zurigo come i Fratelli svizzeri di Conrad
Grebel, Felix Mantz e Jorg Blaurock. Costoro, entusiasti dalla lettura del
Nuovo Testamento, divennero molto più radicali di Z. stesso e insistettero
sul battesimo (o, a quel tempo, ri-battesimo, da cui il nome di anabattisti,
cioè battezzati nuovamente, in greco) degli adulti, interpretando il brano
del Vangelo di San Marco: Chi avrà creduto e sarà stato battezzato si
salverà (Marco 16,16).
Z. passò rapidamente da un atteggiamento di simpatia nei loro confronti alla
preoccupazione ed infine ad una vera e propria persecuzione, facendoli
imprigionare e condannare a morte: nel 1528 Blaurock fu bruciato sul rogo e
già l'anno prima per Mantz era arrivata la tremenda condanna con la famosa
frase di Z.: Qui iterum mergit, mergatur [Chi immerge nuovamente nell'acqua
(cioè ribattezza), sia immerso (cioè sia annegato)] ed infatti egli fu
affogato nel fiume Limmat. Dei capi storici dell'anabattismo, solo Grebel
scampò l'esecuzione capitale per poi morire di peste.


La divisione confessionale della Svizzera
A partire dallo stesso 1524, Z. convinse man mano molti cantoni svizzeri a
passare alla Riforma dopo Zurigo: Berna, Basilea, Sciaffusa, San Gallo,
Thurgau, Vaud, Neuchâtel, ai quali si sarebbe aggiunta la Ginevra di Calvino
nel 1541. Tuttavia i cantoni cosiddetti primitivi (Uri, Schwyz e
Unterwalden) e le città-stato di Lucerna e Friburgo rimasero ostinatamente
Cattolici ed emisero nel 1526 un loro Concordato di Fede, invitando ad un
dibattito pubblico con i teologi protestanti a Baden (nel cantone Aargau) il
noto teologo cattolico Johann Eck (1486-1543), proprio quello della disputa
di Lipsia del 1519 con Carlostadio e Lutero. Z. decise di non presenziare di
persona, temendo per la propria incolumità. Vi si recò, al suo posto,
Johannes Ecolampadio, che difese la causa protestante in condizioni
ambientali difficilissimi: il cantone Aargau era una roccaforte cattolica.
Ovviamente ambedue le parti proclamarono la propria vittoria alla fine del
dibattito.


La crisi sul significato della Comunione con i luterani
Un acuto momento di crisi per la Riforma protestante fu la diatriba nel 1529
tra Z. e Lutero riguardante il Sacramento della Comunione:
Per Lutero, nella Comunione, grazie all'onnipotenza di Nostro Signore, vi
era la reale e sostanziale presenza del corpo e sangue di Cristo nel pane e
vino, che tutti i comunicandi ricevevano, che fossero degni o indegni,
credenti o miscredenti.
Per Z., invece, la Cena del Signore era solo una solenne commemorazione
della morte di Cristo, la Sua presenza spirituale: egli rifiutava la
presenza reale del corpo e sangue, in quanto:
Gesù era asceso al cielo,
un corpo non poteva essere presente in più di un posto alla volta (in cielo
e nell'ostia) e
due sostanze (il pane e il Corpo di Cristo) non potevano occupare lo stesso
spazio nello stesso momento.
Per cercare di dirimere questa polemica ed arrivare ad un accordo, prezioso
da un punto di vista politico per fare quadrato contro il Papa e
l'Imperatore, il Langravio Filippo di Hesse (Assia) (1504-1567) convocò una
riunione tra i tedeschi Lutero e Melantone e gli svizzeri Z. e Ecolampadio
nel suo castello di Marburg.
La riunione ebbe inizio il 1 Ottobre 1529 con dei colloqui vis-a vis tra Z.
e Melantone, e tra Lutero ed Ecolampadio: il saggio Langravio voleva infatti
evitare uno scontro diretto tra le due teste calde, Z. e Lutero.
Nonostante la redazione dei cosiddetti Articoli di Marburg alla fine dei
colloqui il 3 Ottobre, l'incontro, apparentemente un buon compromesso, fu
sostanzialmente un fallimento, non soltanto dal punto di vista teologico
(non si arrivò ad un accordo sulla presenza corporale di Cristo nella
Comunione), ma anche per l'antipatia a pelle che i due capiscuola provavano
l'uno per l'altro. Lutero, a proposito della diatriba Sangue di
Cristo/semplice vino, dichiarò, molto poco diplomaticamente, che avrebbe
preferito "bere sangue con il papa", piuttosto che il "semplice vino" con lo
svizzero.


La fine
Rientrato a Zurigo, Z. dovette fronteggiare il boicottaggio dei cantoni
cattolici all'accordo raggiunto tra le parti per la libera circolazione di
predicatori sia protestanti che cattolici nei vari cantoni: nel 1530 ci
furono delle prime schermaglie di guerra, momentaneamente bloccate da una
tregua.
Il 30 giugno 1530, l'imperatore Carlo V  aprì i lavori della prima dieta di
Augusta, dove i riformisti si presentarono separati e nonostante la
conciliatoria Confessio Augustana, tracciata da Melantone, lo strappo con i
protestanti svizzeri (Z. e Ecolampadio), che presentarono la loro Fidei
ratio, fu un dato di fatto.
Ne approfittarono i cattolici: per bocca di Eck e Faber risposero con la
Confutatio e portarono dalla loro parte Carlo V, che confermò le risultanze
dell'Editto di Worms del 1521.
Questo parziale successo per la fazione cattolica, unita all'imbarco di
merci nei confronti dei cantoni cattolici, fece precipitare le cose in
Svizzera con la ripresa della guerra civile.
L'11 Ottobre 1531 i due eserciti si fronteggiarono a Kappel, 60 chilometri
est di Zurigo, in cantone San Gallo, ma quello cattolico, forte di 8.000
uomini ebbe la meglio contro i 2.700 protestanti.
Z. stesso, che aveva deciso di partecipare come cappellano, mentre consolava
un soldato morente, fu gravemente ferito dapprima da una sassata e poi da un
colpo di lancia.
In queste condizioni già precarie, agonizzò tutto il giorno dell'11 Ottobre,
finché, alla sera, fu riconosciuto da un soldato nemico, che lo uccise con
un colpo di spada. Il corpo ormai senza vita fu poi consegnato ad un finto
boia per una condanna-farsa, nella quale fu impiccato e quindi bruciato.
Così morì il Padre della Riforma svizzera e, a futura memoria, la sua
statua, con la spada in una mano e la Bibbia nell'altra, fu eretta nel 1855
davanti alla Wasserkirche di Zurigo.


Le opere
L'abbondante produzione letteraria di Z. fu raccolta, per la prima volta, in
4 volumi nel 1545 da parte di uno dei generi, Rudolf Gwalter, ma l'edizione
completa di 8 volumi fu pubblicata solo nel 1828.



Arnaud, Henri (Enrico) (1641-1721) e il Glorioso Rimpatrio



La vita
Il pastore e leader valdese Henri (Enrico) Arnaud nacque nel 1641 a Embrun
(nel Delfinato francese) e fu educato dapprima a Torre Pellice (in Val
Pellice, in provincia di Torino), paese d'origine della sua famiglia, quindi
a Basilea e all'accademia calvinista a Ginevra. In seguito A. divenne
pastore valdese in varie valli valdesi, ed in particolare, nel 1685, nella
stessa Torre Pellice.
Egli fu quindi il naturale riferimento dei Valdesi quando il duca di Savoia,
Vittorio Amedeo II, detto la Volpe (Renard) (1684-1730), dovette cedere alle
pesanti pressioni dello zio, il re di Francia, Luigi XIV (1654-1715), che
aveva appena abolito l'editto di Nantes, e organizzò, nel 1686, una
spedizione di 10.000 soldati contro le valli valdesi: nonostante l'accanita
resistenza organizzata dal capitano Giosuè Janavel (detto Gianavello) in
luoghi strategicamente difendibili, come il vallone di Subiasco, la
"crociata" si concluse con un bagno di sangue, tristemente noto come
Massacro delle Pasque Piemontesi. Sopravvissero circa 3.800 persone, le
quali, non accettando di conformarsi alla religione cattolica, ripararono in
Svizzera. Anche A. andò in esilio con i suoi confratelli, e con essi tentò,
inutilmente, per due volte (nel 1687 e 1688) di rientrare nelle valli.
Ma fu soltanto con il mutare della situazione politica europea che le
condizioni per questa impresa furono rese più agevoli: in particolare con la
deposizione del re cattolico inglese, Giacomo II (1685-1688) e la salita al
trono del protestante Guglielmo III d'Orange (1689-1702), i Valdesi
guadagnarono alla loro causa un potente alleato e nel 1689 fecero un
ulteriore tentativo, finanziato da ambienti inglesi e olandesi, vicini a
Guglielmo d'Orange.


Il Glorioso Rimpatrio
Il 27 agosto 1689, avvenne il Glorioso Rimpatrio (Glorieuse Rentrée): A.,
seguendo le istruzioni di Janavel (troppo vecchio per partecipare
direttamente), condusse un piccolo esercito di 972 uomini, compresi alcuni
ugonotti francesi, da Prangins, sul lago di Ginevra, verso le valli valdesi,
attraversando la Savoia per 200 chilometri e scavalcando passi oltre 2.500
metri d'altezza.
All'altezza di Salbertrand (in Val Susa), i Valdesi furono intercettati
dalle truppe franco-piemontesi, che sconfissero sonoramente, e poco
distante, a Prali, in Val Germanasca, A., con la spada in una mano e la
Bibbia nell'altra, poté finalmente celebrare una funzione religiosa in un
tempio valdese. Proseguendo la marcia, i Valdesi arrivarono in Val Pellice,
a Bobbio, e nella vicina Sibaoud, pronunciarono un solenne giuramento.
Tuttavia la reazione franco-savoiardo non si fece attendere e i circa 400
sopravvissuti dovettero arroccarsi a Balsiglia, in Val Germanasca, dove, tra
l'ottobre 1689 e il maggio 1690, respinsero diversi attacchi dei 5.000
soldati nemici, comandati dal generale Catinat. Ma il 14 maggio, logorati
dal cannoneggiamento nemico, essi abbandonarono le posizioni, approfittando
della fitta nebbia e si dispersero sui monti sopra Torre Pellice.
A questo punto, la situazione internazionale voltò a loro favore: proprio
nel maggio 1690 il duca di Savoia abbandonò la sua alleanza con la Francia
per firmarne uno con Inghilterra e Olanda e quindi gli divenne
strategicamente utile impiegare i valdesi in funzione anti-francese. Liberò
i prigionieri, favorì il rientro dalla Svizzera degli esiliati e offrì il
cosiddetto Editto di reintegrazione, con il quale i Valdesi vennero
riconosciuti legittimi proprietari dei loro territori.


Nuove persecuzioni
Tuttavia la situazione rimase favorevole ai Valdesi solo fino al 1696,
quando, grazie al trattato di pace firmato con la Francia, Vittorio Amedeo
II si mise nuovamente a perseguitarli. 3.000 di essi, sotto il comando di
A., si rifugiarono nel ducato di Württemberg, in Germania, sotto la
protezione del duca Eberardo Luigi (1677-1733), e qui A. divenne pastore di
Durrmenz-Schonenberg, vicino a Stoccarda, nel 1699.
Negli ultimi anni della sua vita, A. si dedicò alla stesura della sua
Histoire de la glorieuse rentrée des Vadois dans leurs vallées (Storia del
glorioso rimpatrio dei valdesi nelle loro valli), che fu pubblicata nel
1710.
A. morì a Schonenberg nel 1721.


Gnosticismo (dal I secolo)



La storia
Vasto movimento filosofico-religioso spontaneo e non unificato, diffuso in
Egitto e in Palestina dai tempi degli Apostoli almeno fino al IV° secolo.
Le sue origini rimangono oscure: nacque probabilmente come movimento
sincretico, teso a fondere, in vari momenti storici, religioni misteriche,
astrologia magica persiana, zoroastrismo, ermetismo, kabbalah, filosofie
ellenistiche, giudaismo alessandrino fino a giungere ad un sincretismo con
il Cristianesimo dei primi secoli.
Detta forma però fu anche caratterizzata da un forte antinomismo, cioè da
tendenze anarchiche e dal rifiuto di norme legali, e, a maggior ragione, di
una Chiesa Cattolica organizzata.
E proprio quest'ultima forma, gnostico-cristiana, che venne combattuta dai
Padri della Chiesa come Ireneo, Giustino, Tertulliano, che ne rimasero per
secoli l'unica fonte di informazione fino al 1945.
In quell'anno furono scoperti i manoscritti in copto a Nag Hammadi, in
Egitto, un gruppo di 44 opere gnostiche, come ad es. il Vangelo di Filippo,
quasi tutte sconosciute fino ad allora.


Il G., nel periodo di massimo sviluppo, intorno al II° secolo, si distinse
in due filoni principali:
Il G. cosiddetto volgare di tipo magico astrologico persiano, rappresentato
da Cerinto, Carpocrate, Simon Mago, Menandro.
Il G. cosiddetto dotto con le grande scuole di pensiero, facenti capo a
Basilide, Valentino e Marcione.
Intorno al IV° secolo, il G. confluì nella sua forma avanzata, il
Manicheismo e nei secoli successivi influenzò tutta una serie di eresie,
come ad esempio i bogomili ed i catari.
Ma vi fu anche una setta di G., che, isolandosi geograficamente, giunse a
noi in forma molto pura: si tratta dei Mandei, tuttora abitanti nell'Iraq
meridionale.
Più recentemente, il G. ha influenzato molti studiosi cristiani, come Pierre
Teilhard de Chardin, Paul Tillich, Mary Baker Eddy e la sua Christian
Science e non cristiani come il grande psicanalista Carl Jung, che dichiarò:
la gnosi è indubbiamente la conoscenza psicologica, i cui contenuti derivano
dall'inconscio.
Infine alcuni studiosi identificano parecchi elementi gnostici in quel
confuso fenomeno sociale-filosofico attualmente di moda, che è la New Age.


La dottrina
Il G. deve il suo nome alla gnosi, cioè, come insegnavano i maestri
gnostici, alla conoscenza di Dio e delle origini e destino della razza
umana, attraverso la "rivelazione".
Detta rivelazione era trasmessa direttamente da Cristo (nella forma
gnostico-cristiana) ad una ristretta cerchia di iniziati e non attraverso la
gerarchia della Chiesa.
Inoltre essa doveva giungere attraverso esperienze personali e non
attraverso lo studio dei testi canonici.
Per gli G., Dio aveva emanato una serie di entità incorporee (eoni), per
formare tutti insieme il Pleroma (pienezza del divino), ma l'ultimo degli
eoni, Sophia (la Saggezza) o Barbelos si corruppe con la lussuria, creando
il Demiurgo, creatore del mondo materiale.
Per alcuni G., il Demiurgo era identificato con Yahweh, il Dio vendicativo
del Vecchio Testamento, in contrasto con il Dio Buono del Nuovo Testamento:
questa corrente di pensiero gnostico era detta dualistica.
Tuttavia, avendo il Demiurgo creato il mondo materiale e gli uomini, sua
madre Sophia o Barbelos, all'insaputa del figlio, aveva infuso in alcuni
uomini la scintilla spirituale divina, che poteva permettere a costoro di
giungere alla gnosi.
I G. tendevano, infatti, a rifiutare l'universalismo, dividendo gli uomini
in:
ilici o terreni,
psichici che credevano nel Demiurgo, ma ignoravano l'esistenza di un mondo
spirituale superiore a lui e
pneumatici o spirituali (gli iniziati di cui prima), che erano dotati della
scintilla divina.
Per portare informare gli iniziati della loro potenzialità inespressa, cioè
la scintilla divina, fu inviato sulla terra l'eone Cristo come emissario di
Dio e guida suprema.
Tuttavia Cristo non si incarnò sulla terra come Gesù, ma fece sì che questo
fatto apparisse agli uomini, e dal greco dokéin, cioè apparire, deriva
questo pensiero filosofico, comune a molti G., cioè il docetismo.
Infine lo sviluppo di questa negazione del concreto e il relativo disprezzo
per il mondo materiale portò, per esempio, molti G. a comportamenti
quotidiani radicalmente opposti: dalla sessualità più sfrenata (Basilide,
Carpocrate, cainiti) alla castità e all'ascetismo più rigorosi (Saturnino).


Della Pergola, Bartolomeo Golfi (attivo a Modena nel 1544)



Bartolomeo Golfi Della Pergola fu un predicatore itinerante (come, per
esempio, anche il carmelitano Giambattista Pallavicino) dell'ordine dei
francescani minoriti, che diventò particolarmente popolare negli anni '40
del XVI secolo.
Convinto valdesiano, D. aveva anche letto l'arcinoto Beneficio di Christo,
del benedettino Benedetto Fontanini da Mantova, e questa lettura rinforzò le
sue convinzioni, simili a quelle luterane, sulla giustificazione per fede,
sulla grazia, sulla predestinazione e sul libero arbitrio.
D. predicò a Bergamo, su invito del vescovo Vettore Soranzo, ma soprattutto
a Modena durante la quaresima del 1544, inviato dal cardinale Giovanni
Morone, il quale già l'anno prima aveva invitato il predicatore domenicano
eterodosso Bernardo de' Bartoli.
La predica di D. raccolse uno straordinario successo presso diversi strati
della popolazione modenese, sia fra i nobili che fra le persone più umili,
permettendo lo sviluppo di una forte comunità luterana, ulteriormente
consolidata dalla guida, negli immediati mesi successivi, del confratello di
D., Bartolomeo Fonzio.
Tuttavia tanto successo non poté passare inosservato da parte delle autorità
ecclesiastiche, che, su indicazione di alcuni domenicani e perfino pressati
dall'Inquisizione romana, imposero a D. una completa ritrattazione pubblica.
Questa venne svolta dal medesimo pulpito nel giugno dello stesso anno ed
alla presenza di centinaia di persone, tutte attente a cogliere qualsivoglia
sfumatura non canonica delle sue parole.



Gomar (o Gomarus), Franz (o Francois) (1563-1641) e gomaristi



Il teologo Franz Gomar nacque a Bruges, in Belgio, il 30 gennaio 1563, da
una famiglia, che nel 1578 abbracciò la fede protestante e fu per questo
costretta ad emigrare nel Palatinato, in Germania.
G. studiò a Strasburgo, sotto l'insegnamento dell'educatore riformato
Johannes Sturm (1507-1589), successivamente a Neustadt con i professori
riformati Zacharius Ursinus (Zaccaria Ursino)(1534-1583) e Girolamo Zanchi,
cacciati da Heidelberg perché non luterani, ed infine nel 1582 in
Inghilterra, e più precisamente ad Oxford con il puritano John Rainolds
(1549-1607) e a Cambridge con il calvinista William Whitaker (1548-1598). In
quest'ultima università G. si laureò nel 1584.
Tra il 1587 ed il 1593 G. fu pastore di una chiesa riformata olandese a
Francoforte, ma nel 1594 gli fu offerto il posto di professore di teologia
all'università di Leida, in Olanda.
Nel 1602 divenne suo collega Jacob Arminius, successore del professore di
teologia Franz Junius (1545-1602): lo scontro ideologico fra Arminio,
fautore dell'introduzione del libero arbitrio nel calvinismo e G., rigido
osservante della forma più estrema del calvinismo, il cosiddetto
supralapsarianismo, fu immediato e senza quartiere. La leadership di G. fu
tale che i suoi seguaci assunsero il nome di gomaristi.
Nonostante la strenua opposizione di G., alla morte di Arminio nel 1609,
diventò suo successore alla cattedra di teologia, il suo seguace Konrad von
der  Vorst (Vorstius) (1569-1622), che pubblicò nel 1610 il Tractatus
Theologicus de Deo, ritenuto da G. un testo eretico [Vorstius sarebbe stato
poi condannato da sinodo di Dort (1618-19) ed espulso dall'Olanda].
Nel 1611, però, amareggiato per le polemiche sorte con l'elezione di
Vorstius, G. decise di rassegnare le dimissioni per ricoprire di seguito i
ruoli di predicatore di una chiesa riformata a Middleburg nel 1612, poi
professore di teologia a Saumur nel 1614 ed infine, dal 1618 fino alla
morte, professore di teologia e lingua ebraica a Groningen.
Ciò non gli impedì, comunque, di partecipare al sinodo di Dort (Dordrecht)
nel 1618-19, dove, grazie alla sua influenza, venne condannata ufficialmente
la dottrina arminiana, e di contribuire alla traduzione in olandese del
Vecchio Testamento nel 1633.
G. morì a Groningen l'11 gennaio 1641.


Gonesio, Pietro (Piotr Z Goniadze o Petrus Gonesius) (ca.1530-1570)



L'antitrinitario polacco Pietro Gonesio (nome umanistico di Piotr Z
Goniadze) nacque a Goniadze (circa 50 km. nord ovest di Bielostok, in
Polonia) nel 1530 (o 1525) circa.
Egli si distinse da giovane intervenendo (a favore dei cattolici) nella
polemica tra la Chiesa Cattolica polacca e il dissidente italiano Francesco
Stancaro. Apprezzando le sue capacità dialettiche, il vescovo della
Samogizia (la regione occidentale, lungo la costa baltica, della Lituania)
lo inviò all'estero per completare i suoi studi, ma le tappe scelte da G.
accelerarono invece il suo distacco dal Cattolicesimo: infatti egli studiò a
Wittenberg (roccaforte del luteranesimo), nella calvinista Ginevra, e
soprattutto a Padova nel periodo 1552-54 con Matteo Gribaldi Mofa, che gli
fece conoscere gli scritti antitrinitari di Miguel Servet e lo convertì a
questa dottrina. G. rimase poi per un certo tempo a Padova come professore
di logica.
Ritornato in patria, G. inizialmente aderì alla Chiesa Riformata Polacca
(fondata da Jan Laski), ma già nel secondo sinodo del gennaio 1556, egli
espresse forti concetti antitrinitari, criticando il credo niceno e
anastasiano e rigettando il dogma della Trinità e della consustanziazione
come un'invenzione dell'uomo. Fu quindi mandato a Wittenberg nella speranza
di Filippo Melantone lo convincesse del suo errore, ma il brillante
discepolo di Lutero nulla poté contro le convinzioni di G., che rispedì
prontamente indietro in Polonia.
L'azione di G. fu rinforzata nel 1558 dall'arrivo di Gribaldi Mofa e di
Lelio Sozzini, che formarono una comunità, soprattutto di esuli italiani, a
Pinczòw vicino a Cracovia. Ma nello stesso anno, in dicembre, un intervento
di G. al sinodo di Brzesk contro il battesimo dei bambini (assieme al
pacifismo, al rifiuto delle armi, delle responsabilità pubbliche e della
proprietà privata, questo era un concetto da lui preso in prestito dagli
anabattisti, dopo averli visitati in Moravia) gli valse una minaccia
ufficiale di scomunica. G. non si uniformò, anzi con la potente protezione
di Jan Kiszka, il magnate o atarost (proprietario terriero) della Samogizia,
in territorio lituano, fondò a Wengrow, nei possedimenti di Kiszka, la prima
chiesa antitrinitaria in Polonia e una stamperia per diffondere gli scritti
antitrinitari. In seguito egli avrebbe costruito circa venti nuove chiese
nei suddetti territori.
Nel 1565, alla dieta di Piotrkòw della Chiesa Riformata Polacca, fu
decretata l'esclusione degli antitrinitari, e quindi si consumò lo strappo
tra una ecclesia major calvinista ed una ecclesia minor di fede
antitrinitaria.
Quest'ultima, fino alla morte di G. avvenuta presumibilmente nel 1570,
mantenne le caratteristiche ariane (in particolare il concetto che Cristo
era pre-esistito alla creazione del mondo e quindi era giusto adorarlo) e
anabattiste, datale da G., ma in seguito, soprattutto dopo l'arrivo di
Fausto Sozzini nel 1579, si uniformò alla dottrina unitariana del teologo
italiano.



Gonzaga Colonna, Giulia, contessa di Fondi (1513-1566)



I primi anni
Giulia Gonzaga, una delle più belle donne del `500, nacque a Gazzuolo (in
provincia di Mantova) nel 1513, settima dei figli di Ludovico Gonzaga (m.
1540), conte di Sabbioneta, e di Francesca Fieschi.
Giovanissima (a soli 13 anni), G. andò sposa nel 1526 al conte Vespasiano
Colonna (1480-1528), conte di Fondi (in provincia di Latina) e duca di
Traetto (oggigiorno Minturno, sempre in provincia di Latina), che però la
lasciò vedova dopo tre anni.
G. respinse da quel momento ogni offerta di matrimonio e si dedicò con
grande impegno e saggezza alla trasformazione del suo palazzo in un centro
di elevata cultura tanto da richiamare i più illustri personaggi del
Rinascimento, come Ludovico Ariosto (1474-1533) (che dedicò un'ottava nel
suo celebre Orlando Furioso alla bellissima Giulia), Annibale Caro
(1507-1566), Francesco Berni (1497-1535), Pier Paolo Vergerio, il conte
Fortunato Martinengo, ecc.


Il tentativo di rapimento
La fama della sua bellezza [immortalata da famosi pittore come Sebastiano
del Piombo (1485-1547) ed Agnolo di Cosimo Allori, detto il Bronzino
(1503-1572)] e della sua intelligenza fece concepire al famigerato corsaro
Khayr al-Din (m. 1546), detto il Barbarossa, la folle idea di un tentativo
di rapimento della contessa per portarla in dono al sultano Solimano II il
Magnifico (1520-1566). Secondo altre fonti, invece, il corsaro era stato
prezzolato dalla famiglia Colonna [molto probabilmente l'anima nera era la
figliastra Isabella Colonna (1513-1570), nata dal primo matrimonio di
Vespasiano], che, eliminata così la parente acquisita, voleva rientrare in
possesso dell'asse ereditario del defunto Vespasiano Colonna.
L'attacco del Barbarossa ebbe luogo la notte tra l'8 ed il 9 agosto 1534,
quando il corsaro assalì Fondi, ma G., avvertita  in tempo, si diede alla
fuga. Il mancato rapimento spinse il corsaro a sfogare la sua rabbia con il
saccheggio di Fondi ed il massacro dei suoi abitanti. Stessa sorte toccò a
Borgo di Sperlonga, mentre ad Itri il Barbarossa incontrò una strenua
resistenza da parte degli abitanti, che fecero desistere il corsaro,
preoccupato anche per uno scontro armato con l'esercito di 5-6 mila uomini,
messo in campo da Papa Clemente VII (1523-1534) e il cui comando era stato
affidato al cardinale Ippolito de' Medici (1511-1535).
Quest'ultimo nutriva una grande passione amorosa per la bellissima contessa
[nel famoso ritratto eseguito da Tiziano (1490-1576) si nota sul cappello
del cardinale un fermaglio, simbolo di un'impresa d'amore per Giulia] e
proprio nei possedimenti di G. il cardinale, in procinto di partire per
Tunisi per raggiungere l'imperatore Carlo V (1519-1556), morì, molto
probabilmente per avvelenamento [il mandante si ipotizza fosse il cugino
invidioso Alessandro de' Medici, duca di Firenze (1523-1527 e 1531-1537)] il
10 agosto del 1535.


L'incontro con Valdès
Quattro mesi dopo la morte del cardinale Ippolito de' Medici, la contessa si
ritirò nel convento annesso alla chiesa di S. Francesco delle Monache a
Napoli.
E qui avvenne l'episodio che fece sì che G. potesse essere annoverata tra i
simpatizzanti alla Riforma protestante, e cioè l'incontro con Juan de
Valdès, avvenuto durante le prediche quaresimali del 1536, tenute da
Bernardino Ochino. Il grande pensatore spagnolo la considerò sempre come la
sua erede spirituale e le dedicò la sua opera principale l'Alfabeto
cristiano. Le affidò inoltre tutti i suoi scritti, alla sua morte
sopraggiunta nel 1541 e G. li inviò alla fine del 1541 a Marcantonio
Flaminio, allora residente a Viterbo, per farli tradurre, sentito anche il
parere del cardinale Reginald Pole.
Nel periodo 1547-52, Pietro Carnesecchi, grande amico e confratello in fede
di G., venne trasferito in Francia in qualità di diplomatico al servizio del
duca Cosimo I de' Medici (duca di Firenze: 1537-1569 e granduca di Toscana:
1569-1574): iniziò così un lungo e intenso carteggio con la contessa di
Fondi, considerato un documento fondamentale per la comprensione delle idee
degli spirituali valdesiani.
I due furono i motori propulsori della rete di solidarietà, stesa per
cercare di proteggere gli evangelici, come, ad esempio Bartolomeo Spadafora,
Apollonio Merenda, Mario Galeota (stretto collaboratore della G.), il
vescovo Vittore Soranzo, il cardinale Giovanni Morone, la nobildonna
Isabella Bresegna (o Brisegna), moglie di don Garcia Manrique, governatore
di Piacenza, tutti coinvolti nelle persecuzioni del Grande Inquisitore Gian
Pietro Carafa, poi Papa Paolo IV (1555-1559). Ma la stessa G. non fu esente
da inchieste dell'Inquisizione, come nel 1553, quando inviò una lettera al
cardinale Ercole Gonzaga (1505-1563) per scagionarsi della proprietà degli
ultimi scritti del Valdès.
Dopo la morte nel 1558 di Reginald Pole, il livello delle inchieste
dell'Inquisizione si alzò di tono: G. decise comunque di rimanere al suo
posto nel convento di San Francesco delle Monache a Napoli nonostante una
lettera di Carnesecchi, che recitava letteralmente che il Papa attende ad
empiere le prigioni di cardinali e vescovi per conto dell'Inquisitione.
Infine la contessa di Fondi spirò all'età di 53 anni, il 16 aprile del 1566,
sempre nel suo convento napoletano. Purtroppo la scoperta del suo ricco
carteggio con Carnesecchi mise definitivamente nei guai l'ex protonotario
fiorentino, che, su richiesta di Papa Pio V (1566-1572), l'ex inquisitore
Michele Ghisleri, venne arrestato per ordine di Cosimo de' Medici, indi
processato e bruciato sul rogo a Ponte Sant'Angelo il 1 ottobre 1567.


Goslar, eretici di (1052)



Nel 1052, avvenne un curioso episodio in Germania settentrionale, nella
cittadina di Goslar (in Sassonia): un gruppo di uomini furono inquisiti per
essersi rifiutati di uccidere un pollo!
E' probabile che l'accusa tendesse ad associare questo atto alla pratica
vegetariana dei manichei. Comunque l'episodio ebbe un tragico epilogo, in
quanto l'imperatore Enrico III (1039-1056) fece condannare all'impiccagione
questi presunti eretici.


Gotescalco (Gottschalk) di Fulda (o di Orbais) (ca. 801- ca. 869)



Gotescalco, teologo medioevale, nacque in Sassonia nel 801 ca. da un nobile
di nome Berno, il quale, seguendo la tradizione medioevale della oblazione,
mise il figlio ancora bambino nel convento di Fulda per essere allevato e
fatto monaco. G. cercò di opporsi a questo destino, ma l'abate del convento
e suo superiore, Rabano Mauro (ca,784-856), lo obbligò a prendere i voti:
tuttavia, in un secondo tempo, G. fuggì da Fulda e ottenne dal Concilio di
Mainz del 829 una dispensa dai voti, contro la quale Rabano si oppose.
Fra i due si arrivò alla fine ad un compromesso: G. fu costretto alla vita
di monaco, ma non a Fulda, bensì nel monastero di Orbais nella diocesi di
Soissons, nella Francia settentrionale, dove G. studiò e si appassionò alle
dottrine di Sant'Agostino, particolarmente quelle che si riferivano alla
predestinazione.
G., riprendendo gli scritti di Agostino, era convinto che alcuni uomini
sarebbero destinati alla salvezza ed altri alla dannazione, non per i loro
meriti o colpe, ma per volontà divina e che quindi Cristo era venuto sulla
terra solo per annunciare che non tutti gli uomini erano destinati alla
perdizione. Inoltre, questa teoria rendeva superflua la mediazione della
Chiesa, poiché tutto era già stato deciso da Dio.
Le dottrine di G. furono ben presto contestate e confutate sia da Ratramno
di Corbie che da Giovanni Scoto Eriugena, ma ambedue i teologi caddero in
eresie di tipo diverso:
Ratramno sviluppò la teoria della duplice predestinazione, in cui solo la
salvezza dei buoni era predestinata da Dio, mentre la dannazione dei cattivi
derivava dal fatto che Dio prevedeva i relativi peccati. Questa teoria venne
poi ripresa con qualche variante da Incmaro vescovo di Reims.
Scoto Eriugena, invece nella sua opera De praedestinatione, fu ancora più
radicale: poiché Dio era eterno, la predestinazione o la previsione erano la
stessa cosa: Dio predestinava alla dannazione, perché prevedeva i peccati, e
predestinava alla salvezza perché prevedeva i meriti. Inoltre la dannazione
e l'inferno non esistevano, perciò tutti potevano salvarsi, una variante
dell'apocatastasi, dottrina già condannata dal Concilio di Costantinopoli
del 543.


Le dottrine di G. furono da lui propugnate in due viaggi in Italia, tra i
quali trovò il tempo di farsi ordinare sacerdote. Tuttavia il suo avversario
di sempre, Rabano lo denunciò come eretico e G. fu obbligato a comparire
davanti al concilio di Mainz del 848 e di Quiercy sur l'Oise del 849,
quest'ultimo convocato dal suo vescovo, il sopracitato Incmaro di Reims.
In quest'ultimo sinodo, G. fu fustigato pubblicamente e successivamente
condannato alla reclusione a vita nel monastero di Hauptvilliers, dove morì
ca. vent'anni dopo, nel 869.



Soranzo, Vittore (o Vettore), vescovo di Bergamo (1500-1558)



Vittore (o Vettore) Soranzo, era nato a Venezia nel 1500, primogenito del
patrizio Alvise Soranzo e della moglie Lucia Cappello, ed aveva studiato a
Padova.
Uscito dall'università, egli intraprese la carriera ecclesiastica e fu
nominato cameriere segreto di Papa Clemente VII (1523-1534), ma in seguito
conobbe importanti figure dell'evangelismo e riformismo italiano, come
Giovanni Morone, Alvise Priuli, Pietro Carnesecchi, Vittoria Colonna,
attraverso i quali venne a contatto con le idee di Juan de Valdés.
Dopo la dissoluzione dei circoli valdesiani, S. abitò, tra la fine del 1541
e l'inizio del 1542, nella casa viterbese del cardinale Reginald Pole, dove
fece la conoscenza di altri pensatori eterodossi come Apollonio Merenda e
Marcantonio Flaminio, e studiò, apprezzandolo, il Beneficio di Christo di
Benedetto Fontanini da Mantova. Tuttavia, pur sentendo il fascino delle idee
dell'ambiente dei circoli di Valdès e di Pole, S. non avvertì mai la
necessità di doversi distaccare dalle istituzioni ecclesiastiche cattoliche,
e mantenne quindi un atteggiamento abbastanza nicodemitico.
Amico e allievo del cardinale Pietro Bembo, fu da questi delegato a
subentrare come vescovo della diocesi di Bergamo, nel cui ruolo si installò
nel 1544.
Pio, onesto e favorevole al dialogo con la Riforma, S. diede immediatamente
luogo ad una decisa svolta nella lotta contro gli abusi ed i vizi del clero
bergamasco, e chiamò a predicare un minorita itinerante alquanto eterodosso,
Bartolomeo Golfi Della Pergola, favorevole alla giustificazione per fede, ma
nel contempo le sue azioni gli inimicarono i Rettori, cioè le autorità
civili locali.
Infatti, benché nel 1549 S. avesse aperto e presieduto, lui stesso, un
tribunale dell'Inquisizione [venne, tra gli altri, condannato a morte in
contumacia nel 1551 il medico calvinista Guglielmo Gratarolo (1516-1568)],
ebbe comunque luogo una velenosa campagna di calunnia nei suoi confronti:
mediante anonimi opuscoli, lo si accusò di eresia luterana, assieme al
notaio Giorgio de Vavassori (o Vavassoribus) di Medolago (o più
semplicemente Giorgio Medolago) (1483-ca. 1551).
Questi era già stato inquisito per luteranesimo e imprigionato nel 1536 per
ordine del vescovo Pietro Lippomano, ma i familiari e amici (i Vavassori di
Medolago erano una conosciuta e potente dinastia di notai a Bergamo) avevano
assaltato la prigione di Santo Stefano, liberandolo e permettendogli di
fuggire a Venezia. Rientrato a Bergamo nel 1549, Giorgio de Vavassori si
trovò coinvolto appunto in questa campagna antiluterana contro il vescovo
della città, complicata dall'arrivo nel 1550 del fanatico Inquisitore fra
Michele Ghisleri, il futuro papa Pio V (1566-1572), il quale, in un primo
momento, dovette ignominiosamente battere in ritirata, abbandonando Bergamo
con un cavallo preso in prestito, poiché si trovò in grave pericolo di vita
a causa dell'ostilità dei bergamaschi. Questi erano stati sobillati dal clan
dei Vavassori, in seguito al nuovo arresto e trasferimento del loro
congiunto nelle carceri di Venezia, dove in seguito morì.
Tuttavia Ghisleri non era certo uno che mollava facilmente la presa, quando
sentiva odore di eresia: continuò quindi a raccogliere testimonianze e prove
contro S., che riuscì a far arrestare nel 1551 e rinchiudere a Castel
Sant'Angelo, a Roma. Particolarmente compromettente fu il ritrovamento di un
quaderno del vescovo, con la trascrizione dei testi della Confessio
Augustana e della Praefatio in Novum Testamentum di Lutero, le copie di
varie lettere, come quelle da Lutero a Baldassarre Altieri d'Aquila, o di
Bucero ai "fratelli italiani" e altre letture proibite.
S. fu processato a Roma, ma assolto dal Santo Uffizio, venne reintegrato
nella sua diocesi nel 1554. Tuttavia, dopo tre anni, egli fu nuovamente
inquisito in seguito all'arresto del cardinale Morone nel 1557. Nell'aprile
di quell'anno, il papa Paolo IV (1555-1559) dichiarò nulli tutti gli atti di
S. come vescovo di Bergamo e considerò la sede vacante dal 1547, in quanto
il privilegio a S., concesso dal Bembo ad beneplacitum nostrum, era venuto a
decadere con la morte di quest'ultimo in quell'anno.
Comunque S. morì nel 1558 senza che si potessero prendere ulteriori
provvedimenti contro di lui.


Grebel, Conrad (ca.1498-1526)



Conrad Grebel, uno dei fondatori del movimento anabattista, nacque nel 1498
ca. da una famiglia patrizia di Zurigo. Il padre, Jakob, un ricco
commerciante di ferro, ricopriva spesso incarichi ufficiali nel consiglio
cittadino.
G. ebbe un'ottima istruzione studiando a Basilea nel 1514 con l'umanista
Heinrich Loriti, detto Glareano (1488-1563), poi per tre anni a Vienna con
l'umanista Joachim von Watt, detto Vadiano (1484-1551). Alla fine dei suoi
studi viennesi, nel 1518, G. si trasferì a Parigi, dove però fu molto
svogliato e non completò nessun corso di laurea: dopo due anni, rientrò a
Zurigo con una buona cultura di base, ma senza un titolo di studio.
Nella sua città natale, G., in perenne contrasto con il padre per motivi
economici, si sposò nel 1522 con una ragazza di umili origini e nello stesso
anno iniziò a frequentare i circoli umanistici che gravitavano intorno a
Zwingli. Questa frequentazione trasformò il giovane, alquanto indifferente
alle problematiche religiose, in un fervente collaboratore del riformista
zurighese.
Tuttavia, già nel Gennaio 1523, G. ed altri, come Felix Mantz, Wilhelm
Reublin, Hans Brötli e Simon Stumpf, cominciarono a contestare la linea
riformista di Zwingli. In particolare la materia del contendere era la
superiorità della Sacra Scrittura, propugnata da G. e compagni, rispetto
all'autorità dello stato, voluto da Zwingli, che lavorava per ottenere il
consenso unanime del corpus christianum, inteso come l'unità dei fedeli.
Il 26-28 Ottobre 1523, durante un dibattito pubblico, organizzato dal
Consiglio cittadino, avvenne lo scontro tra G. e Zwingli, in particolare
quando si toccò il punto delicato dell'opportunità, dei tempi e metodi di
abolizione della Messa: la prudenza di Zwingli, che desiderava il consenso
del Consiglio stesso, non soddisfaceva G. più portato a decisioni radicali
ed immediate. Anche i moti popolari contro la lentezza delle riforme,
scoppiati in Dicembre 1523, non fecero altro che fornire alle autorità
cittadine il pretesto per espellere Simon Stumpf.
Nel 1524 il gruppo di G. cercò di uscire dal proprio isolamento, presentando
a Zwingli un progetto di riforma politica, prontamente respinto, e scrivendo
una lettera a Thomas Müntzer per chiedere un confronto sulle rispettive
posizioni radicali: non risulta che il riformatore tedesco abbia mai
risposto.
Contemporaneamente si sviluppò la polemica sul battesimo degli infanti:
l'impulso di rigettare il battesimo dei bambini, come polemica
anti-clericale contro i riti della "vecchia" Chiesa, venne da episodi
avvenuti, nella primavera-estate 1524, in due villaggi vicino a Zurigo,
Zollikon, dove operava Johannes (Hans) Brötli, e Wytikon, dove era pastore
Wilhelm Reublin.
G. prese spunto da questi episodi per rifiutarsi di far battezzare il suo
bambino, appena nato. La cosa suscitò un grande scalpore: il rifiutare il
battesimo equivaleva a negare al bambino l'appartenenza alle comunità, sia
sociale che cristiana, che a quel tempo coincidevano nel già menzionato
corpus christianum.
Si pervenne quindi ad una disputa pubblica il 10 e 17 Gennaio 1525 tra il
gruppo di G., da poco rinforzato dall'ex sacerdote Jörg Blaurock, e i
riformatori svizzeri nelle persone di Zwingli e Johann Heinrich Bullinger.
Ma il risultato fu scontato: il Consiglio cittadino censurò la posizione del
gruppo di G., ordinando il battesimo immediato di tutti i bambini entro otto
giorni dalla loro nascita.
Il 21 Gennaio 1525, sfidando il divieto delle autorità cittadine, 15
anabattisti si riunirono in casa di Felix Mantz, e presero la decisione di
procedere al proprio ribattesimo, cosa che fecero la notte stessa: fu G. a
battezzare Blaurock, che poi ribattezzò gli altri. In seguito gli
anabattisti si trasferirono a Zollikon, dove fondarono la comunità dei
"Fratelli in Cristo".
La frattura era avvenuta e la reazione dei riformatori ortodossi non si fece
attendere: il Consiglio cittadino fece arrestare ed interrogare a più
riprese, con una severità sempre più crescente, gli anabattisti.
L'episodio più significativo fu la protesta della comunità di Grüningen, un
distretto vicino a Zurigo, dove lo scontento popolare fu fomentato proprio
dai capi anabattisti Blaurock, G, e Mantz, arrestati e inviati a Zurigo. Qui
si tenne il 6-8 Novembre 1525 un'ulteriore disputa tra gli anabattisti e
Zwingli, che, scontento per l'ostinata posizione degli avversari, li fece
condannare dal Consiglio, il 18 Novembre, a rimanere in carcere.
Il 5 e 6 Marzo 1526, dopo quattro mesi di duro carcere, il Consiglio cercò
di fiaccare la resistenza degli arrestati (i tre sopramenzionati più altri
14 compagni) condannandoli al carcere a pane e acqua, finché essi non
avessero ritrattato, ma 15 giorni dopo, approfittando di una clamorosa
distrazione, gli anabattisti riuscirono ad evadere.
G. si diresse da solo a casa di sua sorella, che abitava nel Cantone
Grigioni, a Maienfeld. Giuntovi stanco e malato, morì di peste poco dopo,
probabilmente nel Luglio 1526, all'età di soli 28 anni.



Greenwood, John (m. 1593)



Il congregazionalista John Greenwood, un prete anglicano di Norfolk, si
rifiutò nel 1583 di aderire all'uso del Book of Common Prayer (libro delle
preghiere comuni), il libro ufficiale dei rituali della Chiesa Anglicana, il
cui uso era stato imposto dall'arcivescovo di Canterbury, John Whitgift (ca.
1530-1604).
G. decise quindi di trasferirsi a Londra, vicino alla cattedrale di San
Paolo, per entrare in una congregazione di separatisti o indipendenti, la
setta fondata da Robert Browne nel 1581.
Nel ottobre 1587 G. e venti altri suoi confratelli furono arrestati, a causa
del tradimento di un certo Clement Gamble e chiusi in prigione. Qui nel
novembre 1587 lo venne imprudentemente a trovare per solidarietà Henry
Barrow, che, riconosciuto, venne a sua volta arrestato e rinchiuso nella
stessa prigione.
Dalla galera, durante i cinque anni successivi, Barrow e G. riuscirono a far
uscire clandestinamente diversi scritti e perfino ad entrare in polemica con
Browne, da loro definito un traditore e un apostata, sebbene le loro
convinzioni erano piuttosto simili.
Browne, a sua volta, scrisse contro le loro convinzioni nel 1587-88 il
polemico trattato Reproofe of certaine schismalical persons and their
doctrine touching the hearing and preaching of the word of God (Riprova di
certe persone scismatiche e delle loro dottrina riguardante l'ascolto e la
predica della parola di Dio).
Nel marzo 1593 Whitgift pervenne ad una decisione e fece condannare Barrow e
G. per aver scritto e diffuso libri sediziosi. Entrambi furono quindi
impiccati il 6 aprile 1593.



Gribaldi Mofa, Matteo (1506-1562)



La vita
Matteo Gribaldi Mofa nacque a Chieri, vicino a Torino, nel 1506. Dopo la
laurea, divenne professore di diritto civile all'Università di Padova, dove
si accostò alle idee riformiste dopo aver letto il Trattato del Battesimo e
della Cena del frate minorita Camillo Renato (alias Paolo Ricci).
Nel proprio ruolo di docente, fu quindi in grado di influenzare e convertire
diversi discepoli, fra cui, più tardi (1552-54), il polacco Pietro Gonesius
(Goniadz). Come apprezzato professore universitario, G. svolse la sua
attività sia in Italia (Padova e Perugia) che in Francia (es. Grenoble).
Durante il suo soggiorno in quest'ultima città francese, G. acquistò nel
1535 ca. il castello di Farges, nel Pays de Gex, al tempo sotto la
giurisdizione del Cantone Berna.
La sua attività accademica lo costrinse spesso ad un faticoso pendolarismo
tra Grenoble, Farges, Padova (alle sue lezioni assisteva spesso il vescovo
di Capodistria, Pier Paolo Vergerio e nella città patavina egli strinse
rapporti di amicizia con Lelio Sozzini, figlio del suo collega Mariano
Sozzini) e Torino, dove viveva la famiglia. Riuscì comunque a pubblicare nel
1541 il suo De methodo ac ratione studendi libri tres, uno dei primi esempi
d'approccio metodologico agli studi giuridici.
Nel 1546 G. partecipò ai Collegia Vicentina, le riunioni di tradizione
antitrinitaria, e nel 1548 rimase colpito dalla vicenda di Francesco Spiera,
l'avvocato di Cittadella (Padova) convertito alla dottrina riformista e
costretto ad abiurare, poi morto per la disperazione dell'atto compiuto,
triste episodio raccontato anche da Celio Secondo Curione. Sull'argomento G.
scrisse nel 1549 una Historia de quondam quem hostes Evangelii in Italia
coegerunt abijcere agnitam veritatem, basata sui diversi colloqui che il
giurista ebbe direttamente con lo Spiera.
Questa straziante agonia accelerò la decisione di G. di recarsi nel 1552
nella Ginevra calvinista, dove continuò la sua opera di docenza presso la
locale università.
Ma nel 1553 egli prese una posizione coraggiosa nel caso Serveto, visitando
lo sfortunato antitrinitario in prigione, manifestando il suo accordo in
materia dogmatica con il pensiero del medico spagnolo e chiedendo
inutilmente un colloquio a riguardo con Calvino. Successivamente, indignato
per la morte sul rogo del Serveto, egli scrisse (in forma anonima)
l'Apologia pro Serveto, corretto e commentato da Curione e pubblicato a
Basilea.
Nello stesso periodo G. ospitò un altro contestatore italiano di Calvino,
Giovanni Valentino Gentile, che, povero in canna, fu aiutato da G. fino al
suo arresto da parte del balivo di Gex, al quale Gentile fece in seguito
un'inopportuna dedica su un suo scritto sulla sua fede antitrinitariana: la
cosa ovviamente fece andare su tutte le furie il magistrato svizzero.
Nel 1555 un ulteriore tentativo di incontro con Calvino (per la verità
richiesto da Calvino stesso) ebbe un epilogo negativo (il riformatore
ginevrino si rifiutò di stringergli la mano, se G. non avesse cambiato idea
sulla propria dottrina religiosa) e da questo momento Calvino si mise a
perseguitare il giurista torinese.
Nel frattempo, i suoi scritti religiosi gli costarono il licenziamento
dall'università di Padova e quindi G. fu lieto di accettare l'invito [su
suggerimento di Bonifacio Amerbach (1495-1562) e di Pier Paolo Vergerio] del
Duca Christoph del Württemberg  (1550-1568) di recarsi ad insegnare
all'università di Tübingen (in Germania), ma anche qui non ebbe vita facile:
infatti, dopo solo sei mesi, nel giugno 1557, fu convocato dal senato del
Württemberg, in seguito alle perplessità sulla sua fede, in materia di
Trinità, proprio da parte di Vergerio, istigato dal solito Calvino.
G. dapprima chiese tre settimane di tempo per preparare la sua difesa, ma
poi improvvisamente, consigliato da amici a corte, decise di fuggire da
Tübingen per rifugiarsi nel suo castello di Farges.
Tuttavia anche qui fu raggiunto dalla lunga mano della giustizia: fu infatti
arrestato dalle autorità di Berna (nella cui giurisdizione stava Farges)
sotto l'accusa di triteismo, a causa del materiale compromettente trovato
nella sua biblioteca di Tübingen e dei libretti di propaganda, che egli
faceva diffondere nel Bernese.
Dopo un periodo di quaranta giorni in prigione, egli dovette firmare un atto
di fede e in seguito venne espulso, per un breve periodo, dal territorio
della repubblica di Berna nel 1557. Infatti, già nel 1558, G. era di ritorno
a Farges, da dove inviò delle missive al senato di Tübingen, nell'inutile
tentativo di farsi riaccettare come docente all'università: fu il Vergerio
in persona, che, avendo analizzato la confessione di fede inviata al senato,
consigliò di respingere la richiesta.
G. tornò quindi a Grenoble ad insegnare come professore e qui morì di peste
nel 1564.


La dottrina
Come viene evidenziato dal suo scritto Religionis christianae progymnasmata,
G. fu un propugnatore del triteismo (dottrina poi confluita
nell'antitrinitarismo) funzionale, che diffondeva la nozione che le tre
persone della Trinità erano tre spiriti o sostanze spirituali, con il Figlio
e lo Spirito Santo inferiori a Dio Padre, unico vero Dio e fonte della
divinità. Questa dottrina è stata anche definita monoteistica emanistica.


Pomponazzi, Pietro (1462-1525)



Pietro Pomponazzi nacque a Mantova nel 1462 e si laureò in medicina
all'università di Padova nel 1487. Nel 1488 P. divenne professore di
filosofia allo stesso ateneo, opponendosi alla corrente averroistica,
rappresentata dai filosofi Nicoletto Vernia (1420-1499) e Alessandro
Achillini (1463-1512) e che propendeva per una interpretazione della
filosofia aristotelica nella forma più aderente alla versione originale e
senza implicazioni teologiche.
P. invece favoriva l'interpretazione materialista data dai commentari di
Alessandro di Afrodisia (attivo 198-211) e perciò egli venne considerato il
fondatore della cosiddetta corrente alessandrista.
Nel 1511 P. fu nominato a Bologna professore ordinario di filosofia e qui
pubblicò nel 1516 il suo Tractus de immortalitate animae, dove egli negò
l'immortalità dell'anima: questa per P. era solamente il soffio vitale che
permetteva al corpo di agire e pensare: essa moriva con la morte del corpo
stesso.
Questa tesi suscitò vive polemiche e il libro fu dato alle fiamme a Venezia
per ordine del doge stesso, mentre P., nonostante la difesa da parte di
Pietro Bembo, suo ex allievo, fu condannato da Papa Leone X (1513-1521) a
ritrattare queste tesi nel 1518. A propria difesa, comunque, P. aveva già
scritto nel 1517 la Apologia, seguita nel 1519 dal Defensorium adversus
Augustinum Niphum, contro gli attacchi del filosofo avveroista Agostino Nifo
(1470-1538).
Nonostante tutto, P. poté successivamente completare altre due importanti
opere: il De naturalium effectuum causis sive de incantationibus liber
(1520) in cui attaccò la superstizione dei miracoli, considerati parte di un
disegno astrologico, e il De fato, libero arbitrio, praedestinatione et
providentia Dei, libri quinque (1523), in cui venne sostenuto che tutto è
governato dal fato. Tuttavia l'amarezza di non poter pubblicare questi
ultimi testi, come anche quelli di molte sue lezioni universitarie, in
quanto già troppo compromesso con l'Inquisizione, portò P. alla depressione
e al suicidio nel 1525.
Un altro suo ex allievo Giovanni Grillenzoni avrebbe fondato, qualche anno
dopo, l'Accademia Modenese, che riuniva i principali notabili della città,
come, ad esempio, Filippo Valentini, Ludovico Castelvetro ed il professore
universitario Francesco Porto (1511-1581), per discutere di teologia, ma
anche per studiare e commentare le Sacre Scritture,


Niclaes (o Niclas), Hendrik (o Heinrich) (ca.1502- ca.1580) e Famiglia
d'amore o familisti e grindletoniani



La vita
I dati sulla nascita di Hendrik Niclaes sono alquanto confusi: egli nacque
il 9 o 10 Gennaio 1502 (o forse 1501), probabilmente a Münster, dove
comunque visse nella prima parte della sua vita come merciaio. Da piccolo fu
soggetto a visioni mistiche e all'età di 27 anni, essendosi accostato alle
dottrine riformiste, fu imprigionato con l'accusa di eresia.
Dopo la sua liberazione dovuta per mancanza di prove, N. emigrò con la sua
famiglia ad Amsterdam, dove però fu nuovamente imprigionato con l'accusa di
essere stato complice nella famosa rivoluzione anabattista di Münster
(1534-1535).
In seguito N. si dedicò ad una vita, simile a quella seguita nel secolo
successivo dai pietisti. Nel 1539-40 N. ebbe una visione di Dio, che
riversava su di lui lo spirito del vero amore di Gesù Cristo, secondo le sue
parole. La stessa visione lo sollecitò a fondare una comunità denominata
Famiglia d'amore (Familia caritatis) (solo omonimo del movimento odierno,
fondato nel 1968 da David Brandt Berg): si trasferì quindi nella remota
provincia della Frisia orientale, ad Emden, dove visse per vent'anni,
viaggiando spesso, in Olanda, Fiandre, Francia e Inghilterra, sia per motivi
legati alla sua professione di merciaio che per motivi religiosi.
Il suo credo religioso, come tracciato nel suo principale libro
Un'introduzione alla Santa Comprensione dello Specchio di Giustizia, era
infatti una miscela di varie dottrine:
L'antinomianismo (o antinomismo): le leggi dell'uomo non erano più valide
per chi aveva ottenuto il perfetto stato di grazia divina. Questo spirito
divino, secondo il concetto antinomiano di N., metteva la comunità e suoi
adepti al di sopra della Bibbia, dei Credi, della liturgia e delle leggi. In
questo senso, anche le dottrine della setta medioevale dei Fratelli del
libero spirito non gli erano certo estranee,
Il panteismo mistico, e
L'anabattismo (per entrare nella comunità bisognava essere ribattezzati),
quest'ultimo derivato dall'influenza di David Joris.
Tuttavia, poiché N. e suoi seguaci non seguivano alcuna particolare forma di
liturgia, molti di loro, compreso lo stesso N. continuavano a ritenersi
parte della Chiesa Cattolica. Contemporaneamente essi osservavano una
stretta forma di nicodemismo (il praticare di nascosto un credo religioso,
adeguandosi in pubblico a seguire quello ufficiale), che non favorì certo la
diffusione della setta, rimasta sempre confinata a livello di parenti e
amici intimi degli adepti.
Tuttavia la propaganda di N. non poté passare inosservata per sempre e circa
vent'anni dopo, nel 1560, egli dovette fuggire per evitare l'arresto da
parte delle autorità di Emden.
A quel punto N. condusse una vita errante, risiedendo a Kampen, Utrecht, in
Inghilterra fino al 1569, ed infine, dal 1570, a Colonia.
E fu proprio a Colonia, dove pare N. morì nel 1580 circa.


La Famiglia d'Amore e i familisti
La dottrina di N. sopravvisse al suo ideatore almeno fino al 1604 sotto
forma di comunità di familisti segretamente costituite e sparse in Olanda,
Germania, Francia e Fiandre.
Un caso a parte furono i familisti in Inghilterra, il cui capo Christopher
Vitel tradusse molti degli scritti di N. in inglese.
Nel 1574 e nel 1580 il governo inglese di Elisabetta I (1558-1603)
procedette contro i familisti, condannando i loro libri e imprigionando gli
aderenti. Particolarmente accanito nella persecuzione nei loro confronti fu
il predicatore puritano John Knewstub (1544-1624).
Tuttavia la setta non scomparve, come testimoniano le petizioni, non
accolte, indirizzate dai familisti al successivo re Giacomo I (1603-1625),
il quale comunque accusava questa setta di essere tra i principali
responsabili della nascita del Puritanesimo.
Un caso a parte di familismo fu la setta denominata dei grindletoniani, dal
paese di Grindleton, nella contea inglese dello Yorkshire, influenzata dalle
prediche del pastore Roger Brerely (m. 1637) e attiva dal 1610 al 1630 circa
e i cui collegamenti con i familisti sembrano abbastanza accertati,
particolarmente per quanto concerne la dottrina antinomiana. Brerely infatti
predicava che la dottrina del Vangelo insegnava non quello che dobbiamo fare
a Dio, ma casomai quello che noi dobbiamo ricevere da Lui.
Anche il reverendo John Pordage, fondatore della Società dei Filadelfi, fu
influenzato dal familismo e durante il periodo storico repubblicano del
Commonwealth (1649-1658) di Oliver Cromwell, diversi libri familisti furono
ristampati: si ritiene che per il suo famoso libro Pilgrim's Progress lo
scrittore battista John Bunyan abbia tratto ispirazione da alcuni concetti
familisti.
Infine durante la Restaurazione (dopo il 1660), la setta scomparve,
fagocitato da gruppi radicali come i Quaccheri, (George Fox, il fondatore,
disse di aver convertito molti familisti alla sua causa) Battisti e
Unitariani, e all'inizio del diciottesimo secolo, gli autori riferirono di
solo un anziano adepto ancora in vita.


Grozio, Ugo (De Groot, Huig) (1583-1645)



La vita
Il grande giurista e filosofo Ugo Grozio (forma italianizzata di Huig De
Groot) nacque il 10 aprile 1583 a Delft, in Olanda, da Jan De Groot, sindaco
di Delft e curatore dell'università di Leida, discendente da una famiglia
nobile di lontane origini francesi.
Bambino prodigio, già all'età di 8 anni G. componeva versi in latino e, a 11
anni, iniziò a frequentare l'università di Leida, dove si laureò a soli 15
anni, nel 1598. Nello stesso anno egli accompagnò l'Avvocato Generale dello
Stato Jan Van Oldenbarnevelt in missione diplomatica in Francia, dove fu
benevolmente accolto dal re Enrico IV (1589-1610) come il miracolo d'Olanda.
Nel 1599, rientrato in Olanda, G. iniziò a lavorare come avvocato all'Aia
per la Compagnia Olandese delle Indie Orientali, voluta da Van
Oldenbarnevelt, ma questa attività non gli impedì di scrivere e pubblicare
nel 1610 la storia delle origini della repubblica olandese con il titolo di
De Antiquitate Reipublicae Batavicae.
Tuttavia, dall'anno successivo, 1604, G. iniziò a scrivere i trattati su
temi legali, che lo resero famoso: il primo trattato fu De jure praedae (La
legge della preda), di cui un capitolo, noto come Mare Liberum, disquisiva
sull'infondatezza della pretesa di alcune nazioni, come il Portogallo, di
considerare l'oceano come proprietà privata e quindi sulla legittimità
dell'episodio, accaduto in quegli anni, della cattura di un galeone
portoghese da parte del capitano olandese Heemskirk, comandante di una delle
navi della Compagnia Olandese delle Indie Orientali.
Nel 1607 G. fu nominato Avvocato del Fisco Olandese, che comprendeva i ruoli
di Procuratore Generale, Pubblico Ministero e Sceriffo. Questo fu seguito,
nel 1608, dal suo matrimonio con Marie van Reigersberch (o Reigersberg), una
19enne proveniente da una ottima famiglia dello Zeeland e dalla quale G.
ebbe tre figli.
Infine nel 1613 egli fu nominato rappresentante della città di Rotterdam
presso gli Stati Generali Olandesi, ma la sua buona stella iniziò a
declinare quando decise di aderire al movimento degli arminiani, fondato da
Jacob Arminius qualche anno prima. Ciò lo portò in conflitto con la fazione
calvinista osservante, capeggiata dal teologo Franz Gomar e sostenuta, per
motivi di potere politico, dallo stadtholder (governatore) Maurizio di
Orange-Nassau (1567-1625).
Quest'ultimo aveva deciso di farla finita con il suo ex mentore, ma ora suo
avversario politico, Jan Van Oldenbarnevelt e con il movimento degli
arminani, dopo che essi avevano presentato, sotto la guida dei capi Simon
Bischop (nome umanistico: Episcopius) (1583-1643) e Jan Uytenbogaert
(1577-1644) e su consiglio di Van Oldenbarnevelt stesso, le loro idee con
forte spirito polemico (per questo erano stati ribattezzati rimostranti)
agli Stati Generali Olandesi nel 1610.
Nel 1618, Maurizio fece convocare il concilio di Dort (Dordrecht) (novembre
1618- maggio 1619), dove l'armianismo fu condannato senza appello,
nonostante l'autorevole supporto di Van Oldenbarnevelt e di G. Il 29 agosto
1618 avvenne la resa dei conti: con un colpo di stato Maurizio fece
arrestare e processare l'anziano Van Oldenbarnevelt per alto tradimento: fu
decapitato il 13 maggio 1619.
Anche G. fu arrestato e condannato, assieme al rappresentante di Leida
Rombout Hoogerbeets, al carcere a vita nel castello di Loevestein. Tuttavia,
il 22 marzo 1621, la moglie riuscì ad organizzare la sua rocambolesca fuga
dalla fortezza: approfittando che una cassa di libri non veniva mai aperta e
controllata, Marie riuscì a nascondervi dentro il marito e a farlo portare
fuori dal castello dai suoi stessi carcerieri!
Una volta libero, G. fuggì dapprima ad Anversa, poi a Parigi, dove,
nonostante una ricca rendita concessa dal re Luigi XIII (1610-1643) (in
realtà mai pagata), egli si trovò in forti difficoltà economiche.
Ciononostante fu proprio qui dove, dal 1623, G. scrisse la sua opera
principale, il De jure belli et pacis (La legge della guerra e della pace),
pubblicata nel 1625 e che, nonostante un debito di idee nei confronti di
precedenti studiosi di legge, come l'italiano Alberico Gentili (1552-1608),
a cui G. si ispirò, fece guadagnare al suo autore il titolo di Padre del
Diritto Internazionale moderno.
Nel 1631, forse pensando ad un suo perdono anche in considerazione della
morte del suo persecutore Maurizio di Orange-Nassau, avvenuta nel 1625, G.
ritornò in patria. Per qualche mese lavorò facendo il suo vecchio mestiere
di avvocato e gli fu perfino offerto il posto di Governatore Generale in
Asia della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, ma ben presto i suoi
nemici piazzarono sulla sua testa una taglia di 2.000 guilders : G. decise
quindi nell'aprile 1632 di abbandonare per sempre la sua patria per recarsi
in Germania.
Dopo una permanenza ad Amburgo di tre anni, G. si recò a Stoccolma e qui fu
nominato nel 1634 dalla regina Cristina (1632-1654) ambasciatore di Svezia
presso la corte francese di Luigi XIII, dove però fu preso in antipatia dal
famoso e potente cardinale Richelieu (1585-1642), nonostante i suoi buoni
uffici nell'organizzare le prime trattative per la fine della guerra dei
Trent'anni (1618-1648).
Nel 1644 G. fu richiamato in Svezia dalla regina Cristina e nel marzo 1645
prese definitivo congedo dalla corte svedese, imbarcandosi con la famiglia
su una nave, che però fece naufragio vicino a Danzica. Il 13 agosto la nave
riprese il mare con rotta per Lubecca, otto giorni più tardi dovette però
rifugiarsi a Rostock, in Germania, a causa di violenti tempeste. Qui G. si
ammalò gravemente e morì il 28 (o 29) agosto 1645.
Le sue ultime (e amare) parole furono: Pur capendo molte cose, non ne ho
portato a termine nessuna.
Le opere
Come detto l'opera più famosa di G. fu il De jure belli et pacis (La legge
della guerra e della pace), dove G. espresse il parere che il principio del
diritto pubblico dovesse essere ricercato nelle Leggi della Natura (dottrina
chiamata giusnaturalismo), che le nazioni, per essere riconosciute
legittime, avrebbero dovuto rispettare. Inoltre per G. il potere dello stato
doveva essere sancito mediante un patto che vincolasse tutti, governanti e
governati, e che fosse illegale infrangere.
Oltre a lettere, traduzione di classici latini, ecc., le altre opere di G.,
degne di nota, sono:
Il già citato De jure praedae (La legge della preda),
La storia dell'Olanda (di De Antiquitate Reipublicae Batavicae),
Trattati religiosi come Bewys van den Waren Godtdienst (una prova della vera
religione),e
De veritate religionis Christianae (la verità della religione cristiana)
dove entrò in profonda polemica contro Gomar, invocando la tolleranza ed il
liberismo,
Il tomo fondamentale per la legge olandese (fino al 1809): Inleiding tot de
Hollandsche Rechtsgeleertheyd (introduzione alla giurisprudenza in Olanda).


Morato, famiglia (XVI secolo)



Di questa famiglia di umanisti riformati, si ricordano:


1) Morato, Fulvio Pellegrino (ca. 1483-1548)
L'umanista Fulvio Pellegrino Morato nacque a Mantova nel 1483 circa.
Dopo aver sposato Lucrezia Gozzi, egli fu assunto come "lettore" (cioè
professore) all'Accademia di Vicenza per sette anni (1532-1539) dove si fece
notare per la forte propaganda anticlericale, mediante la lettura ai suoi
allievi, tra cui Alessandro Trissino, di testi della Riforma , come la
Christianae religionis institutio di Calvino. Queste attività di M.
richiamarono l'attenzione degli inquisitori di Vicenza sulle cellule
protestanti in città e forzarono M. a trasferirsi a Ferrara, alla corte di
Renata d'Este, nota protettrice di riformatori.
A Ferrara M. divenne professore di letteratura classica e precettore dei
figli di Renata d'Este e fu definitivamente convertito, assieme alla figlia
quindicenne Olimpia, alla Riforma stessa, da Celio Secondo Curione nel 1541.
M. morì nel 1548 a Ferrara.
Curiosamente l'umanista mantovano è più universalmente conosciuto non tanto
per il suo credo religioso, quanto per una serie di originali studi compiuti
nel campo dei colori e del linguaggio dei fiori. Mediante la pubblicazione
del libro Del significato de Colori, a Venezia nel 1535, M. lanciò la moda
di un galateo dei colori, cercando di confermare le sue tesi mediante il
ricorso ai classici, come Omero, Ovidio, Virgilio, Orazio, Boccaccio,
Petrarca.
Nell'appendice dello stesso libro (che avrebbe avuto ben otto edizioni),
egli scrisse un curioso trattato (un divertimento per le signore, come
diceva lui stesso) sul simbolismo e sul linguaggio dei fiori, sotto forma di
dizionario: a determinati fiori corrispondevano specifiche frasi o pensieri.
Comunque la fama di M. è anche dovuta a studi più seri, tra cui apprezzate
edizioni critiche di opere di Dante e Petrarca.


2) Morato, Olimpia Fulvia (1526-1555)
Probabilmente la più famosa umanista donna del Rinascimento fu Olimpia
Fulvia Morato, figlia di Fulvio Pellegrino e Lucrezia Gozzi, nata a Ferrara
nel 1526. Fu educata, fin dalla tenera età, dal padre in lingua e
letteratura latina e greca, rivelandosi inoltre un genio molto precoce in
astronomia, botanica, zoologia e meteorologia.
All'età di 14 anni, Olimpia divenne compagna di studi della principessa Anna
d'Este (1531-1607), figlia di Renata d'Este e cinque anni più giovane di
lei: con la principessa ella fu educata dai precettori, i fratelli Johann e
Kilian Sinapius, originari di Schweinfurt, nella Baviera settentrionale.
L'anno dopo, nel 1541, come già detto, fu convertita, assieme al padre, alla
Riforma da Celio Secondo Curione.
Ma, nel giro di pochi anni, a causa della crescente pressione
dell'Inquisizione e dei Gesuiti sul Duca Ercole II (1543-1559) (questi aveva
perfino confinato la moglie Renata nel palazzo di San Francesco), Olimpia si
trovò in una situazione sempre più difficile resa più penosa dalla morte del
padre nel 1548.
Nell'inverno 1549 Olimpia decise di sposare il medico riformato Andreas
Grundler (ca. 1506-1555), anch'egli di Schweinfurt come i fratelli Sinapius,
e che si era laureato in medicina a Ferrara: una scelta di campo coraggiosa
dell'umanista ferrarese, che lei confermò anche nella primavera 1550,
quando, assieme a Lavinia Franciotti della Rovere Orsini, cercò inutilmente
di intercedere per la liberazione del fornaio di Faenza, Fanino Fanini,
imprigionato come predicatore calvinista e successivamente giustiziato il 22
agosto dello stesso anno.
Le crescenti persecuzioni contro i protestanti italiani convinsero Olimpia
di emigrare in Germania nell'estate 1550 con il marito e con il fratellino
Emilio di 8 anni.
Essi si stabilirono a Schweinfurt, dove Andreas fu nominato medico della
città bavarese e dove Olimpia, incoraggiata da Curione, tradusse i Salmi in
greco e mantenne una fitta corrispondenza con riformatori in tutta Europa.
Nell'aprile 1553, durante la cosiddetta Seconda Guerra dei Margravi
(1552-1555), Schweinfurt fu occupata da Albrecht Alcibiades di
Brandenburg-Kulmbach (margravio: 1551-1554), ma la peste colpì occupanti e
cittadini, e peggio ancora la città fu assediata dalle truppe avversarie di
Weigand von Redwitz (1522-1556) e Melchior Zobel von Guttenberg (1544-1558),
principi-vescovi rispettivamente di Bamberg e di Würzburg. La capitolazione
avvenne nel giugno 1554: la città fu messa a ferro e fuoco e Olimpia, Emilio
e Andreas si salvarono per il rotto della cuffia, sebbene il medico venisse
imprigionato per un breve periodo. Purtroppo essi persero tutti i loro
averi, compresi moltissimi manoscritti della scrittrice.
Vagarono per un mese di città in città e la salute di Olimpia peggiorò
sensibilmente, a causa di frequenti attacchi di malaria. Finalmente, nel
luglio 1554, i conti di Erbach, Georg V (1539-1569) e Valentin II
(1539-1563), offrirono a Grundler un posto di professore in medicina
all'università di Heidelberg e l'umanista Jacobus Mycillus (nome umanistico
di Jacob Moeltzer) invitò Olimpia a dare lezione di greco.
Nell'ultimo anno della sua vita a Heidelberg, Olimpia riuscì a ricostruire a
memoria alcuni suoi poemi distrutti, a riformare una nuova biblioteca con
l'aiuto di Curione e a riprendere i contatti con i più famosi riformatori,
come Pier Paolo Vergerio, a cui chiese di tradurre il Grande Catechismo di
Lutero in italiano, ritenendo che potesse essere di grande utilità "ai
nostri italici, specialmente alla gioventù" (tuttavia Vergerio non poté
esaudire la richiesta).
Ma la sua salute era definitivamente compromessa: il 26 ottobre 1555,
all'età di soli 29 anni, Olimpia morì di tubercolosi, seguita alcune
settimane dopo dal marito e dal fratello, uccisi dalla peste.
L'amico di sempre, Celio Secondo Curione, pubblicò l'opera omnia di Olimpia
nel 1558 (le ristampe aggiornate furono del 1562, 1570 e 1580).


Gubbio, Fra Bentivegna da (inizio XIV secolo)



Bentivegna, nato a Gubbio, aderì nel 1304 alla setta degli apostolici sotto
la guida di Fra Dolcino da Novara, ma successivamente alla repressione del
movimento attuata dalle truppe del vescovi di Novara e Vercelli, abbandonò i
dolciniani, entrando nell'ordine dei francescani.
Qui, però, l'irrequieto B. decise di aderire al movimento dei Fratelli del
Libero Spirito, una setta, diffusosi dal XII secolo, che professava
l'indipendenza dall'autorità ecclesiastica e la possibilità di vivere
secondo una vita apostolica e ascetica, poiché i propri adepti erano
convinti di essere pervasi dallo Spirito Santo.
Essi infatti ritenevano di essere talmente perfetti da poter commettere
qualsiasi atto senza correre il rischio di peccare, secondo il detto di San
Paolo: Tutto è puro per i puri (Lettera a Tito 1,15). Alcuni autori
cattolici riportarono che essi, forti di questo convincimento, si lasciavano
andare soprattutto ad atti contro la morale, come atti sessuali
extramatrimoniali.
B. fondò una sua variante dei Fratelli del Libero Spirito, denominata
Spirito di Libertà, ma i francescani, scandalizzati da questo atteggiamento
antinomiano, condannarono nel 1307 B. e i suoi seguaci ad essere confinati a
vita nelle loro celle. E, ironia della sorte, fu proprio Ubertino da Casale,
diventato poi uno dei leader storici del movimenti dei francescani
spirituali o fraticelli, a pronunciare la condanna.



Gaufredi, Raymond (m. 1310)



Raymond Gaufredi (o Gaufridi o Ganfredi), nato in Provenza, fu Generale
dell'ordine francescano tra il 1289 ed il 1295 e cercò di favorire la
corrente degli spirituali, che osservavano alla lettera la Regola ed il
Testamento del Santo, desiderando mantenerne l'originale stile di vita.
G. pensò persino di riformare le regole dell'ordine al Capitolo Generale di
Parigi del 1292, ma fu preso in contropiede da una offerta di Papa Bonifacio
VIII (1294-1303) di ricoprire il posto di Vescovo di Padova. Avendo
rifiutato, fu costretto a dare le dimissioni dal Papa stesso, ma in seguito
egli iniziò una nuova attività come uno dei capi degli spirituali in
Provenza.
Nel 1310 venne convocato dal Papa Clemente V (1305-1314) ad Avignone, in
seguito all'intercessione del teologo spagnolo Arnaldo di Villanova (o di
Villanueva) presso il re di Napoli Roberto d'Angiò (1309-1343) e presso lo
stesso Clemente V, per cercare una intermediazione tra spirituali e
conventuali.
All'incontro, oltre a G., furono convocati il generale dell'ordine,
Gundisalvo di Valleboa e i capi spirituali Guy de Mirepoix, Bartolomeo Sicar
di e Ubertino da Casale.
L'incontro sortì qualche concessione agli spirituali, prontamente revocata
alla salita sul soglio pontificio di Papa Giovanni XXII (1316-1334), mortale
nemico degli spirituali.
Ma G. non poté vedere la lotta del suo movimento con Giovanni perché morì
repentinamente, come Guy de Mirepoix e Bartolomeo Sicardi, forse tutti e tre
avvelenati, proprio nel 1310 nei giorni dell'incontro con Clemente V.


Guglielma di Boemia (m.1281 o 1282) e guglielmiti



Guglielma, considerata (ma la cosa viene contestata da alcuni storici) la
figlia del re boemo Ottocaro I Pøemysl (1214-1230) e per questa
soprannominata la Boema, giunse, con un figlioletto al seguito, nel 1260 a
Milano, dove divenne una oblata (cioè una laica che viveva in un monastero)
della vicina abbazia cistercense di Chiaravalle. Qui G. visse secondo
l'amore cristiano, i precetti apostolici e la moralità evangelica, e intorno
a lei crebbe rapidamente la sua fama di santa guaritrice.
Da lei prese avvio la setta dei cosiddetti guglielmiti [da non confondere
con l'omonimo ordine di eremiti, fondato da San Guglielmo di Malavalle
(m.1157)], formata soprattutto da donne, anche se non mancarono aderenti
dell'aristocrazia milanese, come Galeazzo, figlio di Ottone Visconti. Un
certo numero delle donne aderenti, tra cui Maifreda (o Manfreda) da
Pirovano, erano suore Umiliate del convento di Biassono (vicino a Monza).
Inoltre ella venne considerata l'incarnazione dello Spirito Santo e mediante
questo miracolo, secondo i suoi seguaci, tra cui spiccava il teologo della
setta, Andrea Saramita, veniva compiuto ciò che venne predetto da Gioacchino
da Fiore. Secondo il mistico calabrese, infatti, l'incarnazione dello
Spirito Santo sarebbe stato, per l'appunto, una donna, destinata a diventare
una Papessa e rifondare la Chiesa, dove, secondo il concetto
dell'apocatastasi, tutti, compresi Giudei e Saraceni, si sarebbero salvati.
G. morì il 24 Agosto del 1281 o 1282, fu traslata e sepolta nel cimitero di
Chiaravalle, e fatta da subito segno di un culto popolarissimo in quel
periodo a Milano.
Tuttavia, già due anni dopo, nel 1284, il culto di "santa" Guglielma attirò
l'interesse degli inquisitori, che interrogarono alcuni aderenti alla setta,
estorcendo una confessione seguita da abiura.
Ma fu l'episodio della domenica di Pasqua del 1300 a scatenare la reazione
della Chiesa Cattolica: infatti, secondo la denuncia di alcuni testimoni, in
quella data la sua erede spirituale Maifreda da Pirovano, in qualità di
sacerdote e Papessa, aveva celebrato una solenne messa.
Il culto di G. fu quindi non fu più oggetto di un processo di
santificazione, come chiedevano i suoi seguaci, ma divenne una inchiesta
degli inquisitori domenicani Guido da Cocconato e Ranieri da Pirovano, i
quali la condannarono postuma come eretica e fecero bruciare sul rogo le sue
ossa e le sue immagini, tale e quale come, l'anno successivo, nel 1301,
sarebbe successo al culto di Armanno Pungilupo a Ferrara.
Inoltre anche i suoi due più fedeli seguaci, Maifreda e il teologo Andrea
Saramita, finirono sul rogo.


Guillaume (Guglielmo) Belibasta (perfetto cataro) (m. 1321)



Passato alla storia come l'ultimo "perfetto" cataro, Guillaume Belibasta era
un pastore di Cubières, che dopo aver ucciso un altro pastore in gioventù ed
essersi dato alla macchia per un certo periodo, venne nominato, appunto,
"perfetto" cataro da Pietro Authier.
Indubbiamente G. interpretò i dogmi catari a modo suo (soprattutto quelli
contro il matrimonio e la procreazione), tant'è vero che visse a lungo in
Catalogna in compagnia di Raimonda, la sua donna, e dei loro due figli.
Fu fatto rientrare in Francia e catturato con un tranello nel 1321 da
Arnaldo Sicre, un cataro rinnegato, che lavorava per l'inquisitore Jacques
Fournier [il futuro Papa Benedetto XII (1334-1342)]. Nello stesso anno G. fu
arso sul rogo.
Efficace ma poco ortodosso predicatore, G. amava fare esempi concreti e
pratici di tutti i giorni per spiegare i princìpi catari: ciò era
caratteristico del tardo catarismo, più diffuso nei ceti medio-bassi, come
artigiani e pastori.
Le immagini infatti utilizzate da G. erano alquanto vivaci e andavano da un
Dio molto tangibile, il quale metteva un piede sul buco, attraverso il quale
gli angeli stavano scappando dal cielo, attratti da Satana, ad un angelo
Giovanni (destinato a diventare poi il Cristo), il quale aveva perso i
sensi, disperato e affranto, quando era stato informato su che cosa avrebbe
dovuto fare e patire per diventare il Figlio di Dio.


Guglielmo di Conches  (ca. 1080- 1154)



Guglielmo, teologo e filosofo francese della scuola Scolastica, nacque a
Conches, vicino ad Evreux, nel 1080 ca. Studiò alla scuola di teologia e di
filosofia platonica di Chartres sotto Bernardo di Chartres e insegnò per 20
anni nella stessa scuola.
Da vero filosofo platonico, egli si espresse favorevolmente alla separazione
tra scienza e teologia ed era inoltre convinto della supremazia delle verità
scientifiche sui dogmi teologici. Queste erano idee molto pericolose da
esprimere, tuttavia G. non venne processato per eresia, solamente perché dal
1122, era diventato precettore di Enrico II Plantageneto, futuro re
d'Inghilterra (1154-1189).
G. scrisse diversi lavori come Dragmaticon philosophiae e Magna de naturis
philosophia, oltre ad approfonditi commentari su Platone (Timeo) e Boezio
(Consolatio philosophiae), Inoltre egli studiò anche la filosofia e scienza
araba, la cosmologia e la psicologia.
Fu un vero umanista ante litteram.


Guglielmo di Occam (William of Ockham) (1280-1349) e occamismo



La vita
Guglielmo, famoso filosofo della scuola Scolastica, nacque a Ockham (nella
contea di Surrey, nel sud-est dell'Inghilterra) nel 1280 ca. e studiò a
Oxford nel 1305-1307 circa con Giovanni Duns Scoto (1265-1308), a Parigi nel
1310 ed infine frequentò la scuola di teologia a Oxford tra il 1316 ed il
1320.
Entrò da giovane nell'ordine francescano e verso il 1320 iniziò ad insegnare
fisica aristotelica, teologia e logica all'Università di Parigi, ma nel 1323
rassegnò le dimissioni per dedicarsi alla contesa tra filo papali (guelfi) e
filo imperiali (ghibellini): egli si schierò con questi ultimi, pubblicando
diversi libretti di denuncia sull'abuso di potere dei papi.
Per questi egli fu convocato ad Avignone nel 1324 dalla curia papale, su
ordine di Papa Giovanni XXII (1316-1334), assieme ad un gruppo di
francescani spirituali, ma nel 1328 riuscì a fuggire con Michele di Cesena
rifugiandosi a Pisa presso l'imperatore Ludovico IV il Bavaro.
G. si inserì successivamente nella lotta per l'investitura dell'imperatore
tra Giovanni XXII e lo stesso Ludovico e si schierò sulle posizioni
ghibelline, entrando a Roma al seguito di Ludovico in compagnia di Michele
di Cesena, Jean de Jandun e Ubertino da Casale.
Successivamente, assieme al Jandun e a Marsilio da Padova, seguì
l'imperatore al suo ritorno a Monaco di Baviera, dove rimase fino alla morte
nel 1349 ca.


La filosofia
G. intervenne nella nota discussione, tipica della Scolastica, sugli
"universali", che avevano infervorato duecento anni prima Roscellino e
Abelardo e allineandosi più sul pensiero concettualistico (una
rappresentazione mentale) del secondo, che sulla corrente nominalistica (un
mero nome) del primo.
Infatti per G., mentre le cose reali sono note mediante la conoscenza
intuitiva, gli universali sono oggetti della conoscenza astratta, cioè della
rappresentazione interna delle cose stesse nella mente, ossia sono i termini
del processo di riflessione.
Per questo la filosofia di G. venne definito anche terminista.
Un altro punto della filosofia di G. fu il tentativo di semplificare le
dispute nella scuola Scolastica con il principio denominato "il rasoio di
Ockham", cioè che non si dovevano ipotizzare entità inutili o complesse, se
queste non erano state suffragate dall'esperienza empirica (entia non sunt
multiplicanda sine necessitate).
G. tendeva a applicare questi due princìpi (empirismo e rifiuto
dell'astrazione) anche alla sua teologia, da cui deduceva che la povertà
apostolica era stata confermata dal Nuovo Testamento, mentre il potere
civile autonomo era convalidato dalla storia, quindi doveva esserci una
rigida separazione tra stato potente e chiesa apostolica, anche se poi
potevano collaborare insieme.


Le opere
Prima del 1328 le opere di G. furono essenzialmente di tipo filosofico, come
i commenti all'Organon e alla Fisica di Aristotele, ma dopo quella data si
moltiplicarono le opere di polemica contro il papato di Giovanni XXII, come
il De dogmatibus papae Johannis XXII oppure il Compendium errorum papae
Johannis XXII, o contro quello del suo successore, Papa Benedetto XII
(1334-1342), come Tractatus contra Benedictum XII.
Scrisse inoltre lavori sul rapporto tra stato e chiesa, come Breviloquium de
potestate papae e De imperatorum et pontificum potestate.

Saint-Amour, Guglielmo di (m. 1273 ca.)



Guglielmo di Saint-Amour, teologo francese, nacque in Borgogna e diventò
professore di teologia all'Università di Parigi nel 1250.
In quel periodo era viva la polemica tra il clero secolare da una parte e
gli ordini dei Predicatori domenicani e dei Spirituali francescani
dall'altra. Ambedue gli ordini si rifacevano alle regole di povertà
stabiliti da San Domenico e San Francesco, ma nel 1256 S. li attacco nel suo
libro De periculis novissimorum temporum, nel quale affermò che non esisteva
alcuna prova che Gesù e gli apostoli vivessero di elemosina, e il fatto che
gli ordini in questione la praticassero egli lo considerò non cristiano e
addirittura degno dell'Anticristo.
La polemica montò veloce e fu arricchita dalle prese di posizione a favore
degli ordini da parte dei grandi teologi, il francescano San Bonaventura da
Bagnoregio (1217-1274) e il domenicano San Tommaso d'Aquino (1225-1274).
A quel punto intervenne il Papa Alessandro IV (1254-1261) e nel 1256 stesso
il libro di S. fu condannato e dato alle fiamme, mentre il teologo fu
mandato in esilio lontano dalla Francia.
Solo nel 1263 S. poté ritornare alla sua cattedra a Parigi, dove morì nel
1273 ca.



Guilhabert de Castres  (vescovo cataro) (XIII secolo)



Vescovo cataro di Tolosa, ottimo polemista, tenne testa, assieme ad altri
teologi catari, nel 1207 a Montrèal e nel 1208 a Lourac, ai predicatori
cattolici, fra cui Domenico di Guzman (il futuro santo), nei dibattiti
pubblici su temi dualistici.
Dopo la prima tremenda crociata contro gli albigesi (1209-1218) e la
crociata "reale" (1226-1228) organizzata dal re di Francia, Luigi VIII
(1223-1226), si giunse alla firma, nel 1229, tra Raimondo VII di Tolosa ed
il re Luigi IX (1226-1270), del trattato di Meaux, che stabilì che Raimondo
dovesse dimostrare con i fatti il suo impegno nell'abbattere l'eresia catara
nella sua contea.
Raimondo non tenne fede a questo impegno, anzi cercò di barcamenarsi in
mezzo a congiure ordite, in volta in volta, dallo stesso re di Francia
oppure da gruppi di nobili, appoggiati ora dal re d'Inghilterra Enrico III
(1216-1272) e ora dall'Imperatore Federico II (1220-1250).
Intuendo che, in mezzo a tutti questi intrighi politici, fosse necessario
cercare un rifugio sicuro per i catari, G. si accordò nel 1232 per
l'utilizzo del pog (picco) di Montségur con Ramon de Perella (o Raymond de
Péreille), vassallo del conte Ramon-Roger de Foix, di cui aveva convertito
la sorella Esclarmonde de Foixì che divenne famosa per una disputa teologica
con San Domenico di Guzman (1170-1221), dove questi, alla fine seccato per
dover disquisire di teologia con un cataro oltretutto donna, sibilò uno
scortese Ritornate alle Vostre conocchie, Madame.
Esclarmonde divenne un personaggio popolare nell'immaginario culturale
francese del XIX-XX secolo: le sono stati dedicati un'opera lirica nel 1889
(Esclarmonde di Jules Massenet) e un film nel 1945 (La Fiancée del Ténèbres
di Serge de Poligny),
Negli anni successivi, G. ed il suo "figlio maggiore" Bernard Marty
organizzarono la vita dei catari in zona, con frequenti missioni di
predicazione nella regione.
Tuttavia, il breve momento politico favorevole ai catari finì bruscamente in
seguito al massacro ad Avignonnet nel 1242 di due inquisitori (Arnaud
Guilhelm de Montpellier e Étienne de Narbonne) e del loro seguito.
Questo fu il pretesto per scatenare un ultimo colpo di grazia ai catari
asserragliati, per l'appunto, a Montségur.
G. non potè assistere all'agonia della sua diocesi, in quanto era già morto,
probabilmente nel 1241: la difesa estrema di Montségur sarebbe toccata al
suo successore Bernard Marty.


Giraude (o Guiraude) de Lavaur (catara) (m. 1211)



Di tutti i centri conquistati nella crociata anti-albigese del XIII secolo,
Lavaur fu uno di quelli che soffrì di più per il terrore sparso nella
regione.
Il 3 Maggio 1211, la fortezza di Lavaur fu espugnata, dopo un assedio durato
37 giorni, e fu impiccato il suo comandante, ma sorte ben più atroce fu
destinato ai 400 catari, che vivevano nella città e che furono tutti arsi
sul rogo.
Tra i convertiti alla fede catara, c'era anche la sorella del comandante
impiccato, Giraude (o Guiraude) de Lavaur, molto timorata di Dio e amata da
tutti i suoi concittadini, anche cattolici: essa fu gettata in un pozzo e
lapidata a morte.
La sua morte fu assunta come simbolo delle atrocità che il mezzogiorno
francese dovette sopportare durante la crociata contro i catari.


Guyon, Jeanne-Marie Bouvier de la Mothe (detta Madame Guyon) (1648-1717)



La gioventù
La mistica Jeanne-Marie Bouvier (de la Mothe Guyon) nacque il 13 aprile 1648
a Montargis, nella provincia francese dell'Orléanais, da Claude Bouvier,
procuratore legale al tribunale di Montargis. Di costituzione fragile e
impressionabile, ella trascorse un'infanzia tribolata, cambiando spesso
scuola e sviluppando, sotto l'influenza di Marie Fouquet, duchessa di
Béthune-Charost (1640-1716), sua protettrice, un forte senso religioso
ascetico, che le fece propendere verso la decisione di entrare in convento.
Ma i genitori avevano deciso altrimenti e, all'età di 16 anni, Jeanne andò
sposa di Jacques Guyon, un ricco concittadino 22 anni più anziano di lei.
Nei 12 anni di matrimonio, G. perse due dei cinque figli e, nel 1676, il
marito stesso.


Guyon incontra Lacombe
Dopo esser diventata vedova (comunque benestante), G. affidò i figli ai
parenti e si ritirò sul lago di Ginevra, ad Annecy e a Thonon-les-Bains,
dove, nel 1681, incontrò il sacerdote barnabita, François Lacombe (o La
Combe) (1643-1715), che la influenzò verso una scelta ancora più
radicalmente mistica: G. infatti iniziò a mortificare il suo corpo con
azioni clamorose, spesso frustandosi, o portando foglie di ortica a diretto
contatto con la pelle o bevendo pozioni amarissime per rovinare
deliberatamente il gusto del poco cibo che mangiava.
Preoccupato per l'influenza negativa di certi esempi, il vescovo di Ginevra,
Jean d'Aranthon d'Alex (m. 1695) espulse Lacombe dalla diocesi e ordinò a G.
di andarsene: per cinque anni i due vagarono per il Piemonte (Torino e
Vercelli) e la Savoia (Grenoble) per propagandare le proprie idee mistiche,
finché un altro prelato, il vescovo di Grenoble, Etienne Le Camus
(1632-1707) non li espulse, a sua volta. Nel frattempo G. aveva fatto
pubblicare, proprio a Grenoble nel 1685, il suo lavoro più famoso: Moyen
court et facile de faire oraison (metodo breve e facile per pregare).
Lacombe e G. decisero quindi di recarsi a Parigi nel 1686, una scelta
decisamente infelice a causa della campagna lanciata proprio in quel periodo
dal re Luigi XIV (1654-1715) contro ogni forma di eterodossia cristiana,
quindi anche contro il quietismo e tutti i fenomeni mistici in Francia.
Lacombe fu arrestato nel 1687 e inviato alla Bastiglia, e successivamente al
castello di Lourdes (usato allora come prigione), dove morì nel 1715.


Guyon conosce Fenelon
G. fu, a sua volta, arrestata il 9 gennaio 1688 e rinchiusa in convento con
l'accusa di eresia, ma liberata l'anno dopo grazie ad un'abiura delle sue
idee e all'interessamento della sua protettrice, la Duchessa di
Béthune-Charost. Quest'ultima la introdusse nei circoli religiosi che
gravitavano intorno alla corte del re e che erano presieduti dalla moglie
morganatica di Luigi XIV, Francoise d'Aubigne, Marchesa de Maintenon
(1635-1719).
Qui G. conobbe l'abate François de Fénelon, che, rimasto affascinato dalla
spiritualità e pietà della mistica, ne divenne (sebbene con una serie di
distinguo) il discepolo, ed anche il suo difensore contro le accuse
formulate dal predicatore e vescovo di Meaux Jacques Bénigne Bossuet
(1627-1704).


Condanna e fine di Guyon
Ben presto, tuttavia, il suo linguaggio paradossale ed estremo e le sue idee
mistiche quietiste sconcertarono i suoi amici e la posero al centro di una
inchiesta ecclesiastica.
Infatti il vescovo di Chartres, Paul de Godet des Marais (1647-1709) aveva
sottoposto i lavori di G. ad una commissione riunitasi ad Issy e di cui
faceva parte Bossuet e Fénelon (diventato nel frattempo arcivescovo di
Cambrai), e che condannò nel 1694 le idee di G. con un documento contenete
34 articoli, detti per l'appunto, Articoli di Issy. Tuttavia, poco dopo,
quando Bossuet volle pubblicare un ulteriore approfondimento sui 34
articoli, Fénelon si rifiutò di firmarli e anzi alimentò la polemica,
pubblicando nel 1697 la propria rilettura in un libro denominato
Explications de Maximes des Saints (spiegazioni delle massime dei santi).
Nel frattempo il momento favorevole per G. volgeva al termine: venne
ospitata, come si direbbe oggigiorno, in libertà vigilata, a Meaux, sotto il
controllo di Bossuet, al quale consegnò la sua sottomissione scritta alla
condanna di Issy, ma poco dopo scomparve. Bossuet la fece cercare e
arrestare nel dicembre 1695 da parte della polizia, che la rinchiuse nella
Bastiglia, dove, il 23 agosto 1696, ella firmò un'ulteriore sottomissione.
G. rimase in carcere per più di sette anni e venne liberata il 21 marzo 1703
a condizione che si ritirasse nella tenuta del figlio a Blois. Qui G.
trascorse gli ultimi anni della sua vita in opere di carità, ricevendo
ospiti e ammiratori stranieri (soprattutto inglesi, olandesi e tedeschi) e
vi morì il 9 giugno 1717.


Il pensiero e le opere
Nelle sue opere G. descrisse di aver sperimentato una serie di esperienze
interiori, basate su tre momenti:
Una prima (l'unione dei poteri), della durata di otto anni, in cui lei aveva
percepito la presenza di Dio come una realtà tangibile.
Una seconda (la morte mistica), di sette anni, in cui lei era entrata in una
fase di crisi e dove aveva perso il senso della grazia di Dio.
Una terza fase (lo stato apostolico), dove era risorta a nuova vita e dove
Dio era parte integrante della sua sostanza e agiva in lei, facendole
scrivere cose notevoli senza preparazione apparente o senza riflettere.
Giunta a questo livello, G. affermava di non poter più peccare, poiché il
peccato era parte del proprio sé e lei se ne era sbarazzato (del suo sé).
Tutto ciò fu da G. descritto nelle sue opere, raccolte in ben 40 volumi, ma
molte di esse furono poste all'Indice, tra cui Règles des assocées à
l'Enfance de Jesus (regole degli associati all'Infanzia di Gesù), Les
torrents spirituels (i torrenti spirituali) o il più noto Moyen court et
facile de faire oraison (metodo breve e facile per pregare), quest'ultimo
pubblicato, come già detto, a Grenoble nel 1685, dove la mistica insegnava
che la preghiera non veniva fatta per nessun secondo fine, neppure la
salvezza, ma solo come atto di sottomissione a Dio.
Rispetto al filone principale del quietismo, rappresentato da Miguel de
Molinos, G.  respinse l'idea del mistico spagnolo che bisognava non offrire
resistenza alle tentazioni: sicuramente la vita di G. fu movimentata, ma non
si può certo dire che non sia stata più che virtuosa.
I migliori estimatori delle opere di G. sono comunque da annoverare tra i
protestanti, e non fra i cattolici: furono i calvinisti olandesi a
pubblicare l'elenco completo delle sue opere e i suoi lavori sono ancora
letti in Germania, Svizzera, Inghilterra e Stati Uniti, soprattutto presso i
quaccheri e i metodisti.