GIOVANNA D'ARCO -
STORIA DELLE ERESIE |
Giovanna d'Arco (Jeanne d'Arc), detta la Pulzella d'Orléans
(1412-1431)
Il periodo storico Nel 1415 scoppiò per la terza volta la
guerra, detta dei Cent'anni (1339-1453), tra Inghilterra e Francia, e questa
volta, essa iniziò nella peggiore maniera per i francesi, sconfitti
pesantemente ad Azincourt, in Artois, ad opera degli inglesi, mentre il re
d'Inghilterra Enrico V (1413-1422), fu nominato erede ufficiale da suo
suocero, il re di Francia Carlo VI, detto il folle (1380-1415, m.
1422). Tuttavia l'investitura di Enrico, appoggiata dal Duca di Borgogna, non
fu accettata dal Duca di Orléans e dal suo alleato, il Conte di Armagnac. I
due nobili nominarono invece nel 1422 il delfino Carlo, re di Francia con
il nome di Carlo VII, ed egli fu successivamente soprannominato il
Vittorioso (1422-1461). Tuttavia l'inizio del regno di Carlo VII fu
tutt'altro che vittorioso, poichè le truppe del nuovo re d'Inghilterra,
Enrico VI (1422-1471), occuparono tutte le terre a nord della Loira e posero
d'assedio Orléans nel 1428.
Giovanna d'Arco Giovanna d'Arco,
quintogenita di un contadino locale, di nome Jacques, nacque, probabilmente
il 6 Gennaio 1412, a Domremy in Champagne, nella Francia orientale. Ella
condusse una vita del tutto normale fino all'estate del 1425, quando disse di
sentire delle voci e ad avere delle visioni, in cui vedeva e parlava con
Santa Caterina, Santa Margherita e San Michele. Solo nel 1428 la fanciulla si
convinse che le visioni la incitavano a correre in aiuto del re Carlo
VII. G. quindi abbandonò Domremy per recarsi a Chinon (vicino a Tours), dal
re, che ella riconobbe senza esitazione, nonostante che il sovrano, per
metterla alla prova, si fosse travestito come uno dei suoi attendenti.
Pur convincendosi dell'investitura divina della fanciulla, Carlo la inviò
a Poitiers per essere esaminata da un collegio di vescovi e solo dopo
aver superato anche questo esame, a G. fu permesso di vestirsi da guerriera e
di adottare una bandiera bianca come distintivo. L'effetto di G. sulla
morale delle truppe francesi fu galvanizzante: l'8 Maggio 1429, nonostante la
Pulzella venisse ferita da una freccia al petto, l'assedio inglese di Orléans
fu levato e il 18 Giugno i francesi vinsero la battaglia di Patay. G.
portò di vittoria in vittoria le truppe, e i loro (spesso)
recalcitranti comandanti, tra cui il famigerato Gilles de Rais (1404-1440)
(in seguito passato alla storia per i suoi orrendi delitti come il famigerato
Barbablù), fino a Riems, dove il 17 Luglio 1429, Carlo VII fu incoronato
solennemente. Nel Settembre dello stesso anno, però, un tentativo di assedio
di Parigi fallì e G. fu nuovamente ferita, questa volta al fianco. L'anno
successivo, durante la difesa della città di Compiègne dall'attacco delle
truppe del Duca di Borgogna, alleato degli inglesi, G. fu fatta prigioniera
durante una sortita, il 24 Maggio 1430. Purtroppo fu qui che si evidenziò che
G. non aveva certo molto credito alla corte francese: infatti l'ingrato Carlo
VII non mosse un dito per cercare di salvarla, per esempio avrebbe potuto
proporre un baratto tra G. e dei prigionieri inglesi di alto rango. Nel
frattempo i borgognoni la vendettero agli inglesi, i quali, a loro volta, la
consegnarono agli inquisitori e al suo principale accusatore, il vescovo di
Beauvais, Pierre Cauchon (m. 1442), con l'accusa di eresia
e stregoneria. L'interrogatorio, che si svolse a Rouen, durò dal 21
Febbraio al 17 Marzo 1431, dove ben 72, ridotti poi a 12, capi d'accusa
furono pronunciati contro la Pulzella. Fu infatti accusata, tra l'altro,
di riferire direttamente a Dio mediante le sue "voci", di rifiutare la
gerarchia ecclesiastica, di essersi vestita di abiti maschili contro la legge
divina, di aver evocato i demoni, di essere una blasfema contro Dio e i
santi. A questo punto gli inquisitori misero in atto una sottile pressione
psicologica, anche mediante tortura, per convincerla ad abiurare, cosa che G.
finalmente fece il 23 Maggio praticamente davanti al rogo pronto per
lei. Ma, il 27 Maggio successivo, G. comparì davanti agli inquisitori in
vestiti maschili, non si sa se volontariamente o perché le erano stati tolti
quelli femminili. Comunque questo era un formidabile pretesto perché
gli inquisitori, pressati dagli inglesi, la dichiarassero relapsa, cioè
persona che aveva ritrattato l'abiura. G. fu quindi bruciata sul rogo il
30 Maggio 1431 e durante la sua esecuzione, fu ridotta l'altezza delle fiamme
per far vedere al popolo "tutti i segreti che possono e dovrebbero essere in
una donna". Le sue ceneri furono poi gettate nella Senna. Nel 1456 si
svolse il suo processo di riabilitazione, che annullò la sentenza del vescovo
Cauchon e infine nel 1920 G. fu dichiarata Santa da Papa Benedetto XV
(1904-1922).
Gioacchino da Fiore (ca. 1130-1202) ed il
gioachimismo
La vita Gioacchino, teologo e mistico cristiano,
nacque nel 1130 ca. a Celico in provincia di Cosenza da Mauro di Celico, un
notaio benestante e particolarmente in vista presso la corte Normanna. In
seguito ad un viaggio in Medio Oriente, G. decise di lasciare tutti i suoi
beni per vestire il saio e fare voto di castità, digiuno e preghiera. Tornò
in Italia e nel 1152 ca. entrò nel convento cistercense di Sambucina (a nord
di Cosenza) senza però prendere subito i voti, che prese nel 1168. In seguito
alla crescente popolarità dovuta ai suoi studi biblici e alle numerose opere
pubblicate, nel 1177 G. fu nominato dal vescovo di Catanzaro abate del
monastero di Santa Maria di Corazzo, succursale di quello
di Sambucina. Qui egli si dedicò totalmente allo studio della Bibbia e
scrisse alcune delle sue opere più importanti come la Cetra dalle dieci corde
e l'Interpretazione dell'Apocalisse, che ebbe sempre premura a far
approvare dai papi Lucio III (1181-1185), Urbano II (1185-1187) e Clemente
III (1187-1191), sebbene qualche dubbio sulla sua ortodossia si stava
già facendo strada. Non riuscendo a concentrarsi sui suoi studi a causa
degli impegni come abate, G chiese ed ottenne nel 1182 da Lucio III il
permesso di ritirarsi nell'abbazia di Casamari (in provincia di Frosinone).
Qui conobbe il suo biografo, il giovane monaco Luca, in seguito nominato
Vescovo di Cosenza. Nel 1189 G. decise quindi di abbandonare l'ordine
cistercense per fondare sulla Sila un suo ordine, facendo costruire una
abbazia dedicata a San Giovanni Battista in una località denominata Fiore,
che da quel momento in poi fu chiamata San Giovanni in Fiore. L'ordine venne
conseguentemente denominato florense e venne ratificato nel 1196 da Papa
Celestino III (1191-1198). La popolarità di G. in quegli anni fu
elevatissima anche a livello europeo tant'è si racconta che nel 1191 il re
inglese Riccardo, detto Cuor di Leone, in procinto di partire verso la
Terrasanta per la III crociata, consultò G. per avere lumi su alcuni passi
dell'Apocalisse. Nel 1200 G. sottopose tutti i suoi scritti all'approvazione
di Papa Innocenzo III (1198-1216), ma morì il 30 Marzo 1202, prima di aver
ricevuto alcun commento. Poco dopo fu proclamato beato, ma non in maniera
ufficiale: l'evento fu celebrato con l'erezione di un altare in suo onore a
San Giovanni in Fiore. Tuttavia già al IV Concilio Lateranense del 1215 le
idee di G., definite triteiste, furono condannate ed il processo di
beatificazione bloccato. Nonostante ciò G. viene ancora venerato da alcuni
come beato e festeggiato il 29 Maggio.
Le opere G. fu un autore
molto prolifico per il suo tempo: il suo libro principale fu il Libro sulla
concordia del Nuovo e Vecchio Testamento, ma scrisse anche La Cetra dalle
dieci corde, l'Interpretazione dell'Apocalisse, e il Trattato sui quattro
vangeli.
La dottrina La dottrina di G. si evince dalle sue opere
principali, le quali fanno riferimento ad un brano dell'Apocalisse (14,
6-11), quello dei tre angeli che annunciano il giudizio di Dio, per
sviluppare una interpretazione piuttosto originale del testo. Secondo G. le
epoche nelle quali si era divisa la storia dell'uomo erano tre, ognuna
riconducibile ad una figura della Santa Trinità: Nella prima era aveva
dominato il Padre, simbolo di potere e terrore, al quale si era ispirato
l'antico Testamento, Nel secondo periodo il riferimento era il Figlio,
ispiratore del Nuovo Testamento, Nella terza era, lo Spirito Santo, che
avrebbe svelato il vero significato dei Sacri Testi, al di là della sua
interpretazione letterale. Dopo opportuni calcoli di tempo, G. era giunto
alla conclusione che l'era dello Spirito Santo sarebbe incominciato nel 1260
(numero simbolico più volte citato nell'Apocalisse: 11,3 e 12,6). In
quell'anno non si sarebbe verificato la parusia (il secondo ritorno di Cristo
sulla terra), bensì l'avvento di un'era di concordia e di fine della
gerarchia della Chiesa. Ovviamente questi pensieri non potevano che
preoccupare la Chiesa Cattolica, che condannò, come si è detto, i scritti di
G. in maniera postuma, di triteismo, di adorazione, cioè, di tre Dei
separati. Ma al di là della condanna della Chiesa, nel fatidico 1260 non
successe proprio niente di particolare ed anzi nel 1250 era pure morto
l'imperatore Federico II, considerato da molti cristiani l'Anticristo.
Oltretutto la dottrina di G. fu confutata da San Tommaso d'Aquino nella sua
Summa Theologica. Il gioachimismo Quasi 40 anni dopo la condanna delle
idee di G. nel Concilio Lateranense del 1215, una commissione di cardinali,
convocata nel 1254 da Papa Alessandro IV (1254-1261) preoccupato del
diffondersi delle idee gioachimite presso i frati francescani spirituali,
condannò gli scritti di G. e del suo seguace Gerardo di Borgo San Donnino e
nel 1263 le idee di G. furono definitivamente dichiarate
eretiche. Nonostante ciò, G. ebbe un'enorme influenza su diversi
protagonisti dell'epoca (eretici e non) come Guglielma di Boemia; il già
citato movimento dei spirituali con Angelo Clareno, Pietro di Giovanni Olivi,
Ubertino da Casale, Michele Berti da Calci; il grande teologo inglese
Guglielmo di Occam; il docente universitario parigino Amaury du Bène ed il
movimento dei Fratelli del Libero Spirito; Gerardo Segalelli e gli
Apostolici; il movimento dei Begardi e delle Beghine.
Giovanni
il bello (o Coloianni) (vescovo cataro) (XII secolo)
Primo
vescovo della chiesa catara di Mantova - Bagnolo S. Vito, i cui
membri vennero definiti Bagnolenses o Coloianni, dalla traduzione in greco
del nome del loro vescovo. G., una volta eletto, fu inviato in Sclavonia
(in Croazia) presso l'Ordo Sclaveniae, di ispirazione dualista moderata, per
ricevere gli ordini. La chiesa di Mantova - Bagnolo S. Vito contava adepti
anche a Ferrara, Brescia, Bergamo, Modena, in Romagna e nel
Milanese.
Giovanni Giudeo (vescovo cataro) (XII
secolo)
Ex - tessitore di Milano, Giovanni Giudeo fu convertito
da Marco di Lombardia alla fede catara. Diventato il suo "figlio
maggiore", gli successe come l'unico vescovo cataro d'Italia, ma fu proprio
sotto il suo episcopato, che il movimento cataro si divise in due tronconi,
l'uno con a capo Giudeo stesso e l'altro organizzata da Pietro di
Firenze.
Bockelson (o Bockelszoon o Beukels), Jan (Giovanni da Leida)
(1508-1536)
Jan Bockelson (o Bockelszoon o Beukels) nacque a
Leida (Olanda) nel 1508, figlio illegittimo del sindaco di un villaggio
olandese e di una donna di servizio originaria della Westfalia. Ebbe
un'istruzione scarsa e irregolare e fece diversi mestieri, principalmente il
sarto, ma anche il mercante e l'oste. Nel 1533 venne a contatto con il
movimento anabattista e in novembre venne battezzato da Jan Matthys. Iniziò
ben presto a collaborare con il profeta apocalittico anabattista e fu inviato
come apostolo nel gennaio 1534 a Münster. In questa città, capitale della
Westfalia, già teatro di un difficile confronto tra cattolici e luterani, B.
riuscì con il confratello Bernhard Knipperdolling a diffondere l'anabattismo
in maniera capillare e a creare una tale esaltazione delle masse da far
espellere l'odiato vescovo Franz von Waldeck (vescovo: 1532-1534, m. 1553) e
portare la propria confessione a vincere la maggioranza nel consiglio
comunale, durante le elezioni del 23 febbraio 1534. Immediatamente Matthys
vi si trasferì, dichiarando che quella era la Nuova Gerusalemme dove
attendere il ritorno di Cristo, Knipperdolling fu dichiarato borgomastro, e
fu portato alla causa l'ex pastore luterano Bernhard Rothmann, il principale
oppositore, fino ad allora, del potere vescovile. Furono prese misure
radicali, come l'espulsione, anche con la violenza, di tutti i cattolici e
luterani (a fatica Knipperdolling e B. riuscirono a convincere Matthys
dell'assurdità di massacrarli tutti, come invece il profeta pretendeva!) e
confisca dei loro beni, ribattesimo di coloro che era rimasti in città,
abolizione della proprietà privata, incluso il denaro, falò di tutti i libri
della città eccetto la Bibbia. Matthys proclamò la Nuova Sion in terra ed
invitò tutti gli anabattisti ad accorrere a Münster: nonostante che l'ex
vescovo oramai cingesse d'assedio la città con le sue truppe (per la verità
non molto numerose): circa 2.500 fedeli risposero all'appello, tra cui i due
fratelli ed ex preti Bernhard ed Hinrich Krechting, che avrebbero assunto in
seguito incarichi ufficiali nel governo della città. All'interno della
città i capi si spartirono i compiti: Matthys assunse il comando della
dittatura teocratica, B. il governatorato, Rothmann si occupò della
propaganda e Knipperdolling della difesa. Il giorno di Pasqua, 4 aprile 1534,
giorno previsto da Matthys per la fine del mondo, questi guidò una folle
sortita con soli 20 compagni contro le truppe del vescovo e cercò perfino di
arringare i soldati per passare dalla parte degli assediati, ma fu ucciso da
un ufficiale con un colpo di spada al petto. Successivamente le truppe
cattoliche sfogarono la loro rabbia, riducendo in mille pezzi il corpo senza
vita del profeta anabattista. Caduto il profeta Matthys, si poteva ipotizzare
che l'intero pazzesco complesso da lui architettato sarebbe crollato ed
invece se ne approfittò proprio il nostro B. per prendere il potere: egli fu
investito del titolo di profeta di Sion in seguito ad un quanto mai
"opportuno" sogno di Knipperdolling, nel quale Dio in persona gli aveva
comunicato che il nuovo profeta sarebbe stato proprio.l'ex sarto di
Leida. Preso il potere, B. si dimostrò purtroppo ancora più fanatico e
sanguinario di Matthys stesso e non rinunciò al solito metodo di imporre
decisioni spiacevoli alla popolazione, presentandole come parte, non
discutibile, di un suo delirio mistico. In seguito alla prima visione egli
comunicò che il governo della città sarebbe stato gestito da un consiglio di
dodici anziani, che sarebbero state varate delle nuove leggi molto severe,
che ogni insubordinazione sarebbe stata punita con la morte. Ma fu
soprattutto la sua pazzesca pretesa, dal luglio 1534, di introdurre
la poligamia obbligatoria, idea che ricordava gli Adamiti e i Fratelli
del Libero Spirito, a minare l'unità degli assedianti. Egli stesso sposò
15 mogli, tutte giovani e belle, tra cui la vedova di Matthys, Divara,
mentre Rothmann si accontentò di 9 mogli e via di seguito. La
disposizione, imposta con la forza, incontrò una crescente resistenza: una
congiura fu repressa nel sangue e tutte le donne che rifiutavano
il matrimonio forzato venivano orribilmente torturate ed uccise. In
Settembre nuova puntata della farsa di B.: un suo fedelissimo, ex orefice di
Warendorf, raccontò di aver sognato che Dio gli comunicava la designazione di
B. come novello Re Davide del regno della Nuova Gerusalemme. L'ex sarto si
schermì giusto il necessario per salvare la faccia e poi dichiarò di
accettare, minacciando di morte coloro che si fossero opposti. Si fece quindi
incoronare, con la sua regina Divara al suo fianco, sfarzosamente circondato
da dignitari e guardie del corpo: un bello smacco per la sincera umiltà e
povertà dei primi anabattisti! Tra ottobre e dicembre 1534 Rothmann scrisse e
pubblicò due opuscoli per sostenere la causa degli assediati, ma i dissidi
interni tra gli immigrati, favoriti da B., e gli abitanti originari di
Münster, portarono a nuove esecuzioni capitali, a causa dei quali lo stesso
Knipperdolling si ribellò, guidando una congiura per rovesciare il "re":
scoperto fu imprigionato, ma almeno conservò la vita (per il
momento). Oramai le follie sanguinarie di B. erano all'ordine del giorno: una
volta convocò un banchetto per tutti, dove decapitò di persona un mercenario
del vescovo von Waldeck, da poco catturato, e poco dopo, come se nulla
fosse, celebrò la Santa Cena! Tuttavia la pazienza del vescovo e dei
principi tedeschi della zona era agli sgoccioli, e dal gennaio 1535 l'assedio
divenne rigorosissimo: nulla poteva passare, neanche i viveri che
precedentemente riuscivano a filtrare attraverso le maglie dell'assedio. La
fame avanzò rapidamente e quando finì il cibo, gli abitanti si misero a
mangiare di tutto: cani, gatti, topi, erbe, scarpe bollite e
quant'altro. Una profezia di B. che a Pasqua sarebbero stati liberati si
rivelò la solita bufala ed in seguito allo scoramento generale, il re dovette
lasciar partire un gruppo di circa 500 persone che desideravano andarsene.
Sfortunatamente gli ordini del vescovo erano di non lasciar uscire nessuno e
quindi la maggior parte degli esuli furono uccisi dai mercenari
vescovili. Era il preludio dell'espugnazione della città, che avvenne il 24
giugno 1535 grazie al tradimento di un cittadino di Münster, che apri le
porte della città durante un violento temporale. Le truppe del vescovo
poterono quindi entrare, procedendo ad un massacro sistematico dei difensori,
nonostante la strenua lotta organizzata da Bernhard Krechting. Furono
catturati B., Knipperdolling e Bernhard Krechting, mentre di Rothmann non si
seppe mai più niente e il solo dei capi a sfuggire fu Hinrich Krechting, che
finì i suoi giorni come ministro calvinista in Olanda. I tre prigionieri
furono interrogati e torturati per farli invano abiurare, sebbene lo stesso
B. si offrì ad un certo punto di riconvertire gli anabattisti, in cambio
della vita. Più dignitosa fu la morte della sua ex regina Divara, che rifiutò
di abiurare e fu per questo decapitata il 7 luglio 1535. Infine il 22
gennaio 1536 B. e gli altri due furono portati sulla piazza del mercato per
essere giustiziati: furono loro strappati pezzi di carne con tenaglie roventi
fino all'agonia, e successivamente finiti a colpi di pugnale. I cadaveri
furono poi appesi in gabbie di ferro sul campanile della chiesa di san
Lamberto.
Gerardo di Borgo San Donnino (m. 1276)
Fra
Gerardo di Borgo San Donnino, francescano siciliano, completò i suoi studi di
grammatica a Parigi, dove nel 1248, secondo Salimbene da Parma, si fece una
certa notorietà cercando di far desistere (inutilmente) il re Luigi IX
(1226-1270) dall'organizzare la sesta crociata, conclusasi con la sconfitta
di Mansura (in Egitto) del 1249 e la conseguente cattura del re francese da
parte dell'esercito mussulmano. G. aveva ben presto sposato le tesi di
Gioacchino da Fiore, sulle opere del quale egli scrisse a Parigi, intorno al
1250, un trattato dal titolo Introductorium in Evangelium Aeternum, nel quale
identificava l'ordine dei francescani con l'ordine dei giusti. Questo
testo fu esaminato da una commissione di cardinali, convocata nel 1254 da
Papa Alessandro IV (1254-1261), preoccupato del diffondersi delle idee
gioachimite presso i frati francescani. Erano infatti passati quasi 40 anni
dalla condanna delle idee di Gioacchino da Fiore nel Concilio Lateranense del
1215 e, nonostante ciò, esse godevano ancora di grande popolarità: perfino il
ministro generale dell'ordine francescano, Giovanni da Parma, era un fervente
seguace delle teorie del grande mistico calabrese e per questo motivo egli
venne destituito e condannato al confino nell'eremo di Greccio. Il destino
di Fra Gerardo non fu certo migliore: nel 1255 il suo libro fu condannato ad
essere distrutto ed il suo autore, non volendo riconoscersi colpevole, fu a
sua volta condannato al carcere a vita, dove rimase fino alla sua morte nel
1276. Alla sua morte gli fu perfino negata la sepoltura religiosa. In
seguito alla vicenda del trattato di G., l'ordine francescano promulgò
un decreto che proibiva la pubblicazione di qualsiasi libro senza una
speciale autorizzazione scritta dei propri superiori: questo ordine creò
notevoli difficoltà ad un altro pensatore francescano del momento: Ruggero
Bacone.
Luca di Praga (1460-1528), i Fratelli Boemi (Unitas fratrum)
ed i Fratelli Moravi
Il periodo storico I Fratelli Boemi si
inserirono nel periodo storico scaturito in Boemia in seguito
all'approvazione delle Compactata di Basilea, una serie di
deroghe dottrinali, che riproducevano i Quattro Articoli di Praga (concepiti
nel 1420 da Jakoubek di Stribo): esse furono concesse agli hussiti dal
Concilio di Basilea (1431-1439) e quindi ratificate nel 1436 dalla Dieta di
Iglau (Jihlava) in Moravia, dove i cattolici e gli hussiti avevano
accettato reciprocamente le Compactata e l'obbedienza al Concilio. Ma
questo compromesso non fu accettato dalla fazione radicale dei taboriti e si
giunse ad una guerra civile tra i moderati utraquisti
(momentaneamente alleati con i cattolici) e i Taboriti stessi, conclusasi con
la sconfitta di questi ultimi nella battaglia di Lipau (o Lipany) del 30
Maggio 1434, dove fu ucciso anche il loro capo Andreas Prokop. Due anni
dopo, nel 1436, alla Dieta di Iglau (Jihlava) in Moravia, i cattolici e gli
hussiti accettarono reciprocamente le Compactata e l'obbedienza al Concilio.
Fu formata una Chiesa Cattolica boema indipendente con a capo l'arcivescovo
Jan Rokyzana. Tuttavia l'accordo non portò la sperata pace in Boemia, dove
continuarono nuove lotte interne culminate nel 1448, quando il governatore di
Praga, Giorgio Podiebrad reagì con forza ai tentativi dei cattolici di
riprendersi i beni confiscati durante le guerre hussite e di rievangelizzare
la regione con una attività martellante dei predicatori francescani agli
ordini del Vicario generale, San Giovanni Capistrano
(1386-1456). Podiebrad venne nominato reggente nel 1452 e divenne re di
Boemia dal 1458 al 1470, sostenendo attivamente il rito
utraquista.
La fondazione dell'Unitas fratrum Nel 1457 alcuni
utraquisti ed i superstiti taboriti si staccarono dalla Chiesa hussita,
formando un movimento separato, denominato Unitas Fratrum (unità dei
fratelli) o Fratelli Boemi, il cui fondatore fu un certo Gregorio (secondo
altri autori, Giorgio), nipote del predicatore utraquista Rokyzana, ma di cui
ebbe parte fondamentale il predicatore Petr Chelcický (1390-1460). Il
movimento ebbe un immediato successo ed aumentarono i suoi adepti fino
al numero di qualche migliaio, ma la sua rapida crescita fu bloccata nel
1461 dall'arresto di Gregorio e di altri attivisti per ordine del re
Giorgio Podiebrad, sempre vigile contro possibili riprese del defunto
movimento taborita. Infatti, benché rifiutassero la violenza tipica dei
taboriti, sviluppando invece altre caratteristiche, come l'abolizione di ogni
grado e gerarchia, del giuramento, del servizio militare per favorire una
vita basata sulla povertà evangelica, i Fratelli Boemi accettarono alcuni
punti tipici dei radicali hussiti in tema di Eucarestia e Sacramenti. Per
continuare la loro opera essi si rifugiarono a Reichnau, sul lago
di Costanza, dove nel 1467, i F. si fusero con i valdesi boemi nel
1467, diventando l'Unione dei fratelli boemi-moravi, e dando luogo
alla consacrazione di diversi preti (che dovevano essere celibi e non
potevano avere alcun possesso) e di un vescovo, Mattia di
Kunwald. L'Unione era basata su una severa moralità, sulla quale vigilava un
comitato di anziani, che potevano espellere coloro che si erano macchiati di
qualche peccato o colpa. Comunque le persecuzioni nei loro confronti da
parte di re Giorgio continuarono fino alla sua morte nel
1471.
Luca di Praga Luca nacque intorno al 1460 ed divenne
baccelliere all'Università di Praga, affermandosi successivamente come
teologo molto preparato. Dal 1480 circa, Luca fu nominato capo e vescovo dei
F. riorganizzandoli come una vera chiesa: in questo dovette vincere
l'opposizione interna rappresentata dall'ala più conservativa dei
Radicali. Nel frattempo, la Boemia era finita sotto il dominio della dinastia
polacca degli Jagelloni: era infatti diventato re di Boemia (e dal 1490 anche
di Ungheria) Ladislao II (1471-1516), figlio di Casimiro IV di
Polonia (1444-1492). Ladislao fu alquanto tollerante con i F. e questa
cosa permise una loro rapida espansione (circa 100.000 seguaci), nonostante
la persecuzione voluta da Papa Alessandro VI (1492-1503): fu un vero peccato
tuttavia che essi non sapessero meglio coltivare i rapporti con il re.
Infatti nel 1507 quando il sovrano li invitò ad una conferenza con gli
utraquisti a Praga, essi, per tutta risposta, inviarono degli illetterati
maleducati. Questo sgarbo mandò in bestia il re Ladislao, che iniziò a
perseguitare i F. ad iniziare dall'Editto di San Giacomo del 1508. Nel
1528 morì il vescovo Luca, che si era sempre posto in maniera equidistante
dai vari pensieri riformatori dell'epoca, come i luterani e
gli zwingliani. Ne prese l'eredità spirituale Giovanni di Augusta, il
quale tentò una fusione con i luterani nel 1542, ma questa naufragò per una
visione troppo severa della morale dei F., non condivisa da Martin
Lutero. Tuttavia i F. furono lealmente al fianco dei luterani nella lega
di Smalcalda e patirono anche loro le conseguenze della sconfitta
nella battaglia di Muhlberg del 1547 e dovettero accettare o l'esilio in
Polonia e Prussia o di fondersi almeno formalmente con gli utraquisti. Un
periodo di relativa pace si ebbe sotto Massimiliano II d'Asburgo (1564-1576),
che rifiutò le decisioni del Concilio di Trento (1545-1563) per mantenersi in
una posizione neutrale: ne approfittarono i F. per stendere la Confessio
bohemica, l'atto di fede dei F., un documento teologicamente ancora in una
posizione intermedia tra luterani e calvinisti. Durante il regno
dell'imperatore Rodolfo II (1576-1612) fu stillata una lettera di garanzia
delle libertà religiose ai boemi, mentre durante il regno del successore, il
fratello Mattia (1612-1619), avvenne l'episodio scatenante la Guerra dei
Trent'anni: una ulteriore defenestrazione di Praga degli incaricati cattolici
dell'Imperatore. Ma non erano più i bei tempi di Zizka o Prokop: la guerra
vide la secca sconfitta dei Boemi nella battaglia alla Montagna Bianca del
1620 da parte delle truppe dell'imperatore Ferdinando II (1619-1637), il
quale forzò i F. a diventare cattolici o ad emigrare: molti scelsero di
rifugiarsi in Ungheria o in Polonia settentrionale, tra cui l'illustre
filosofo e pedagogo Jan Amos Komenski (Comenio) . Altri F. boemi
sopravvissero in clandestinità in Moravia, emigrando successivamente in
Germania, dove intorno al 1730 il conte Nikolaus Ludwig von Zizendorf
(1700-1760) fondò il movimento dei Fratelli Moravi, unendo le caratteristiche
dei F. con quelle del Pietismo di origine luterana. Oggigiorno la Chiesa
Morava, anche grazie ad una intensa opera di missionariato nelle Americhe,
conta nel mondo circa 300.000 fedeli.
Giovanni di Lugio (o Luzio o di
Bergamo) (vescovo cataro) (XIII secolo)
Vescovo cataro di
Desenzano tra il 1250 ed il 1260, "figlio maggiore" di Belesnianza, e capo
della fazione più innovatrice degli Albanenses (dualisti assoluti). Il suo
nome originario era Giovanni di Bergamo, ma fu chiamato così dal nome del
torrente Lugio (o Lujo), affluente del Serio, fiume che scorre
nel Bergamasco. G. venne unanimamente considerato il teologo cataro più di
rilievo, l'unico probabilmente in grado di sostenere una discussione ad alto
livello con i teologi cattolici più preparati. Scrisse nel 1240 il Liber
de duobus principiis, (riscoperto solo 60 anni fa), basato su testi biblici e
caposaldo della dottrina catara, in cui G. teorizzò che l'origine del peccato
fosse dovuto ad un principio maligno. Infatti, il Vangelo di Giovanni (1,31)
diceva: "Sine ipso factum est nihil" e G. lo interpretò, a suo uso, come
"Senza di Lui è stato fatto il nulla", cioè il mondo terreno e visibile e le
cose malvagie erano stati fatti in assenza del Dio buono, e quindi per forza
da un Dio malvagio. Ciò poteva spiegare la caduta degli angeli, altrimenti
totalmente immersi nella bontà divina e difficilmente inclini a peccare. Il
male da loro commesso, quindi, non veniva da Dio, ma dal principio maligno.
Tuttavia a loro discolpa c'è che l'onnisciente Dio non poteva non conoscere
fin dall'inizio il destino dei suoi angeli caduti, i quali quindi non
erano liberi di peccare o di non peccare. Ciò suffragava la tesi di G. di
rifiuto del libero arbitrio. Infine gli angeli caduti, imprigionati nei
corpi, per poter raggiungere la salvezza, dovevano reincarnarsi attraverso
varie esistenze (metempsicosi), perché Dio continuava a provare amore per le
sue creature "incarcerate" (cioè per le anime), che, prima o poi, sarebbero
ritornate da Lui.
Wessel Goesport, Johann (o Ruckerath, Johann o
Giovanni di Wessel)(1420-1489)
Johann Wessel Goesport
(Giovanni di Wessel) fu l'ultimo degli eretici prima della Riforma
protestante. Nacque nel 1420 a Groningen, in Olanda, e dal 1449 frequentò
l'università di Colonia, conseguendo la laurea in arti liberali.
Successivamente, egli stesso divenne docente in arti liberali all'università
di Heidelberg (in Germania) dal 1456 al 1457. Nel 1458 W. si recò a
Parigi, dove si convertì al pensiero nominalista, la corrente filosofica
fondata da Roscellino, il quale affermava che solo le singole essenze
esistevano, mentre i generi e le specie erano concetti universali, noti come
semplicemente "universali". Questi universali non esistevano nella realtà,
come invece le essenze, ma erano solo segni convenzionali o parole (voces) o
nomi (da cui l'attributo di nominalista). W. rimase a Parigi fino al 1473,
anno nel quale emigrò per sfuggire alle conseguenze di un editto del re Luigi
XI (1461-1483) proprio contro il nominalismo. Per il resto della sua vita,
W., diventato nel frattempo monaco agostiniano, fu insegnante di teologia e
predicatore nelle città tedesche di Erfurt, Worms e Mainz. Proprio in questa
ultima città, nel 1479, W. fu posto sotto accusa da parte dell'Inquisizione
per le sue idee per certi versi anticipatori di alcuni temi della Riforma. W.
infatti, probabilmente influenzato dal riformatore boemo Jan Hus, rifiutò
ogni rituale cattolico, di cui non fosse fatto menzione nelle Scritture o
nella Patristica, come il peccato originale, la confessione, la benedizione,
l'estrema unzione, le indulgenze, il digiuno, l'immacolata concezione. Per
questo fu processato, ma essendosi pentito, la condanna fu tramutata
in reclusione a vita, mentre sul rogo finirono i suoi scritti. W.
rimase confinato in un monastero nella sua città natale di Groningen, dove
morì il 4 Ottobre 1489.
Gioviniano di Roma (scomunicato ca. 390,
m. ca. 405) e giovinianisti
Gioviniano fu un monaco della fine
del IV secolo, oppositore dell'ascetismo monastico, soprattutto femminile,
propugnato da San Girolamo, che attaccò il monaco con il suo libro Adversus
Jovinianum. A riguardo, G. affermava che, agli occhi di Dio, non c'erano
diversità tra le varie condizioni del Cristianesimo, per esempio una vergine
non aveva maggiori meriti di una moglie e il digiuno non era meglio
dell'assunzione di cibo nella giusta maniera. Bastava che ogni azione, per
pur peccaminosa che fosse, si chiudesse rendendo grazie a Dio: il fatto di
essere battezzati rendeva immuni dal peccato. Sembra che un suo discepolo
fosse il vescovo ariano di Milano (355-374), Aussenzio, a sua volta maestro
di Elvidio, e come quest'ultimo e Bonoso di Sardica, G. aderiva al pensiero
degli antidicomarianiti o antimariani, che negavano la verginità di
Maria. Egli fu condannato nel 390 da un concilio a Roma indetto da papa
Siricio (384-399) e da un sinodo a Milano voluto dal vescovo
Sant'Ambrogio, successore di Aussenzio. G. morì ca. nel
405.
Gioviniano di Roma (scomunicato ca. 390, m. ca. 405) e
giovinianisti
Gioviniano fu un monaco della fine del IV secolo,
oppositore dell'ascetismo monastico, soprattutto femminile, propugnato da San
Girolamo, che attaccò il monaco con il suo libro Adversus Jovinianum. A
riguardo, G. affermava che, agli occhi di Dio, non c'erano diversità tra le
varie condizioni del Cristianesimo, per esempio una vergine non
aveva maggiori meriti di una moglie e il digiuno non era meglio
dell'assunzione di cibo nella giusta maniera. Bastava che ogni azione, per
pur peccaminosa che fosse, si chiudesse rendendo grazie a Dio: il fatto di
essere battezzati rendeva immuni dal peccato. Sembra che un suo discepolo
fosse il vescovo ariano di Milano (355-374), Aussenzio, a sua volta maestro
di Elvidio, e come quest'ultimo e Bonoso di Sardica, G. aderiva al pensiero
degli antidicomarianiti o antimariani, che negavano la verginità di
Maria. Egli fu condannato nel 390 da un concilio a Roma indetto da papa
Siricio (384-399) e da un sinodo a Milano voluto dal vescovo
Sant'Ambrogio, successore di Aussenzio. G. morì ca. nel
405.
Girardo di San Marzano (vescovo cataro) (XII
secolo)
Vescovo cataro, dal 1150, della chiesa di Spoleto di
corrente dualista moderata, portò la fede catara anche ad Orvieto, dove la
sua opera fu continuata da due donne, Milita di Marte Meato e Giuditta di
Firenze.
Giraude (o Guiraude) de Lavaur (catara) (m.
1211)
Di tutti i centri conquistati nella crociata anti-albigese
del XIII secolo, Lavaur fu uno di quelli che soffrì di più per il terrore
sparso nella regione. Il 3 Maggio 1211, la fortezza di Lavaur fu
espugnata, dopo un assedio durato 37 giorni, e fu impiccato il suo
comandante, ma sorte ben più atroce fu destinato ai 400 catari, che vivevano
nella città e che furono tutti arsi sul rogo. Tra i convertiti alla fede
catara, c'era anche la sorella del comandante impiccato, Giraude (o Guiraude)
de Lavaur, molto timorata di Dio e amata da tutti i suoi concittadini, anche
cattolici: essa fu gettata in un pozzo e lapidata a morte. La sua morte fu
assunta come simbolo delle atrocità che il mezzogiorno francese dovette
sopportare durante la crociata contro i catari.
Girolamo di Praga
(ca. 1370-1416)
Girolamo di Praga nacque a Praga nel 1370 ca. e
studiò nella locale Università, subendo l'influenza del predicatore
riformatore Jan Hus. Nel 1398 G. ricevette il titolo di Baccelliere in arti e
in seguito partì per Oxford, in Inghilterra, per completare gli studi di
teologia. Questo viaggio di studio era particolarmente in voga presso i
giovani studenti boemi, in particolare dopo che una prima delegazione si era
recata in Inghilterra al seguito della principessa Anna di Boemia, andata in
sposa a Riccardo II. Anche G., come i suoi predecessori, rimase colpito
dagli insegnamenti di John Wycliffe e non mancò di diffonderli in patria al
suo ritorno nel 1401. Tuttavia non rimase a lungo in Boemia, affrontando un
pellegrinaggio a Gerusalemme nel 1403 e successivamente diventando docente
all'Università Sorbona di Parigi nel 1405 e alle università tedesche di
Colonia e Heidelberg nel 1406: da tutte queste città egli fu espulso per le
sue idee eterodosse allineate sulle posizioni di Wycliffe e per le spietate
denunce della corruzione dilagante nella Chiesa Cattolica. Rientrò a Praga
nel 1407 e collaborò con Hus, organizzando dibattiti pubblici e proponendo di
riformare radicalmente la Chiesa Cattolica. Nel 1410, nuovamente insistendo
sulle sue posizioni all'Università di Vienna fu imprigionato con l'accusa di
eresia, ma riuscì a fuggire, ma evidentemente non aveva imparato la lezione
se, ancora nel 1413, invitato dal re di Polonia, Ladislao II (1386-1434) a
riorganizzare l'Università di Cracovia, ne fu espulso per gli stessi
motivi. Nel frattempo, aveva organizzato nel 1412, insieme a Hus, una
protesta contro l'antipapa Giovanni XXIII per la decisione di finanziare la
guerra contro il papa Gregorio XII mediante la vendita delle indulgenze:
questa posizione scatenò la reazione di Giovanni XXIII, che scomunicò
Hus. La bolla papale di scomunica fu bruciata in piazza durante
una manifestazione popolare, ma tre seguaci di Hus furono arrestati e
decapitati
per ordine del re Venceslao. G. in persona guidò la
processione funeraria dei corpi dei tre condannati alla Cappella di
Betlemme. Caratterialmente G. fu sempre generoso, ma molto impulsivo: si
racconta a riguardo una serie di episodi molto significativi: aveva preso a
pugni un frate, a momenti accoltellato un secondo e infine gettato nel
turbolento fiume Vltava un terzo religioso, reo di predicare a favore delle
indulgenze. Tuttavia la sua generosità gli costò cara, quando nel 1415,
contro il parere di amici e seguaci, egli si recò al Concilio di Costanza per
difendere le idee dell'amico Hus. Dopo la condanna al rogo di quest'ultimo
il 6 Luglio 1415, vista la malaparata, G. riuscì a fuggire dalla città
nottetempo per tornare in Boemia, ma la sua fortuna si esaurì in Baviera dove
fu riconosciuto, arrestato e rispedito a Costanza in catene. Qui G.
pubblicamente ricusò le sue precedenti idee, ma gli inquisitori,
non fidandosi del suo pentimento, lo lasciarono letteralmente a marcire
in prigione per quasi un anno. Il 16 Maggio 1416 G. fu richiamato davanti
al tribunale, dove egli ritrattò il precedente atto di
pentimento, giustificandolo con una momentanea paura della morte. Nonostante
una appassionata difesa, G. fu accusato di essere un eretico relapsus (cioè
che aveva ritrattato) e venne bruciato sul rogo il 30 Maggio 1416. G.
viene considerato, assieme a Hus, uno dei primi martiri della
Riforma Protestante.
Giudaizzanti o giudeo-cristiani (1/2 I°
sec.)
La storia Serie di movimenti cristiani affini
all'ebraismo, che mantenevano la stretta osservanza alla Torà di Mosè e di
tutte le sue prescrizioni (ad esempio la circoncisione). Furono avversati
da Sant'Ireneo (ca. 140-200) di Lione che li accusava di adozionismo, cioè di
non credere in un Cristo come l'incarnazione del Verbo, ma solo come uomo
divinizzato in un secondo momento o come un angelo, scelto da Dio per
diventare Suo Figlio. Come leader storici, si richiamavano a San Pietro e a
San Giacomo il minore, in contrapposizione a San Paolo, che accusavano di
avere impedito la totale conversione degli ebrei al cristianesimo. Il
movimento si può dividere in due filoni principali: La corrente eretica
formata dagli Ebioniti, gli Elcasaiti, i Nazarei e
i Nicolaiti. L'ufficialità ortodossa rappresentato, appunto, da San
Giacomo.
Ripetuti tentativi di riconciliazione con la corrente di
Paolo, come un Concilio nel 51 a Gerusalemme, non portarono a niente di
definitivo. Giacomo stesso criticò pesantemente nella sua lettera del 60 (che
alcuni autori non ritengono autentica) il concetto di salvezza espressa da
Paolo. Tuttavia, pochi anni dopo (circa 62), Giacomo morì lapidato su ordine
del sommo sacerdote Anano e dopo la conquista di Gerusalemme da parte dei
Romani nel 70, la corrente giudeo-cristiana perse sempre più importanza,
subendo anche la diaspora degli ebrei nel 135. Probabilmente questa
corrente sopravvisse per almeno altri due secoli come testimoniarono le
decisioni contro le usanze giudeo-cristiane prese durante i concili di Elvira
e Laodicea nel IV° secolo.
Le opere Rimangono frammenti delle
testimonianze giudeo-cristiane scritte come le Pseudo-clementine, attribuito
a Clemente Romano, l'apocrifo Vangelo degli Ebrei e i Kerýgmata Pétrou
(predicazioni di Pietro).
Giudaizzanti o giudeo-cristiani (1/2 I°
sec.)
La storia Serie di movimenti cristiani affini
all'ebraismo, che mantenevano la stretta osservanza alla Torà di Mosè e di
tutte le sue prescrizioni (ad esempio la circoncisione). Furono avversati
da Sant'Ireneo (ca. 140-200) di Lione che li accusava di adozionismo, cioè di
non credere in un Cristo come l'incarnazione del Verbo, ma solo come uomo
divinizzato in un secondo momento o come un angelo, scelto da Dio per
diventare Suo Figlio. Come leader storici, si richiamavano a San Pietro e a
San Giacomo il minore, in contrapposizione a San Paolo, che accusavano di
avere impedito la totale conversione degli ebrei al cristianesimo. Il
movimento si può dividere in due filoni principali: La corrente eretica
formata dagli Ebioniti, gli Elcasaiti, i Nazarei e
i Nicolaiti. L'ufficialità ortodossa rappresentato, appunto, da San
Giacomo.
Ripetuti tentativi di riconciliazione con la corrente di
Paolo, come un Concilio nel 51 a Gerusalemme, non portarono a niente di
definitivo. Giacomo stesso criticò pesantemente nella sua lettera del 60 (che
alcuni autori non ritengono autentica) il concetto di salvezza espressa da
Paolo. Tuttavia, pochi anni dopo (circa 62), Giacomo morì lapidato su ordine
del sommo sacerdote Anano e dopo la conquista di Gerusalemme da parte dei
Romani nel 70, la corrente giudeo-cristiana perse sempre più importanza,
subendo anche la diaspora degli ebrei nel 135. Probabilmente questa
corrente sopravvisse per almeno altri due secoli come testimoniarono le
decisioni contro le usanze giudeo-cristiane prese durante i concili di Elvira
e Laodicea nel IV° secolo.
Le opere Rimangono frammenti delle
testimonianze giudeo-cristiane scritte come le Pseudo-clementine, attribuito
a Clemente Romano, l'apocrifo Vangelo degli Ebrei e i Kerýgmata Pétrou
(predicazioni di Pietro).
Brigantino, Fra Giuliano da Colle Val
d'Elsa (Giuliano da Colle) (ca.1510-ca.1552)
Reggente dello
Studio di San Giacomo a Bologna fra il 1539 ed il 1542, fra Giuliano fece
parte di quella consistente schiera di predicatori agostiniani, soprattutto
concentrati in Lombardia, che si fecero carico della diffusione delle idee
luterane in Italia. B. fu ripreso più volte dal generale dell'ordine, che lo
spostò di sede ripetutamente, da Pavia a Milano, Ferrara, Padova, Venezia
[dove partecipò a riunioni di protestanti e valdesiani (seguaci, cioè, di
Juan de Valdes)], Vicenza ed infine Siena nel 1549. Nulla poté, però, contro
il suo arresto da parte dell'Inquisizione romana, in seguito ad una predica
quaresimale a Firenze nel 1552. Benché avesse ritrattato solennemente sul
pulpito del convento di Santo Spirito, fu ugualmente imprigionato e morì
nelle carceri dell'Inquisizione nello stesso anno.
Giuliano di
Alicarnasso (m. ca. 527)
Giuliano divenne vescovo di Alicarnasso
(nell'attuale Turchia occidentale) durante il regno dell'imperatore Anastasio
(491-518), monarca alquanto tollerante verso il monofisismo. Tuttavia, alla
salita al trono nel 518 dell'ortodosso Giustino I (518-527), G. fu esiliato
in Egitto. Qui, egli fondò la corrente degli aftartodocetisti o fantasiasti
o incorrutticoli, una variante del monofisismo. Essi, in contrasto con la
corrente monofisita dei severiani o fartatolatri o corrutticoli, fondata da
Severo di Antiochia, affermavano che Cristo aveva una natura umana
incorruttibile, non solo dal momento della resurrezione, ma già dalla
incarnazione. Quindi, Cristo non era normalmente soggetto ai desideri di
fame, sete, stanchezza, ecc. ma si era sottoposto volontariamente ad essi per
amore nostro. G. morì ca. nel 527. L'imperatore Giustiniano (527-565),
che in tardi età desiderava la riconciliazione dei Cristiani, fece diventare,
nel 565, l'incorruttibilità del Corpo di Cristo, elaborata da G., una
dottrina della Chiesa. Questa mossa, più politica che altro, serviva a
Giustiniano per prendere le distanze dai severiani, favorendo un loro
avversario e volutamente dimenticandosi della scomunica postuma emesso a
carico di G. a Costantinopoli nel 536.
Giuliano di Eclano (ca.
386-454)
Giuliano, uno dei più ferventi fautori del pelagianismo,
nacque nel 386 ca., studiò filosofia e dialettica e, nel 416, diventò vescovo
di Eclano, città, ora non più abitata, vicina a Benevento, in
Campania. Nel 418 fu convocato il sinodo di Cartagine, dove, in presenza di
200 vescovi, furono stabiliti otto (o nove) dogmi, che confutavano
il pelagianismo, riaffermando il peccato originale, il battesimo degli
infanti, l'importanza della grazia divina ed il ruolo dei santi. Tutti
questi dogmi, avvallati da papa Zozimo (417-418), sono poi diventati articoli
di fede per la Chiesa Cattolica. Inoltre, in seguito al sinodo di Cartagine,
anche l'imperatore Onorio (395-423) scese in campo a fianco degli ortodossi,
emanando nel 418 un ordine di espulsione dal territorio italiano per tutti i
pelagiani e per coloro che non approvassero, controfirmandola, l'enciclica di
condanna del pelagianismo Epistola tractoria, inviata da Zozimo a tutti i
vescovi: furono costretti all'esilio, oltre a 18 vescovi italiani, Celestio e
Giuliano, che si era rifiutato di firmare l'enciclica papale. Da quel
momento G. diventò il leader spirituale dei pelagiani e si impegnò lungamente
in una diatriba epistolare con Sant'Agostino, di cui sono rimasti molti
scritti. Dal 421 G. fu ospite di Teodoro di Mopsuestia in Cilicia ed anche da
lì egli continuò la battaglia di lettere con Agostino. Dopo la morte di
Teodoro nel 428, G. si recò a Costantinopoli con altri vescovi, dal patriarca
Nestorio, dove ritrovò anche Celestio. Nella capitale bizantina, G. entrò in
polemica con un tale Mario Mercatore, amico di Agostino, i cui scritti
anti-pelagiani influenzarono talmente l'imperatore Teodosio II (408-450), che
questi decise l'espulsione di tutti i pelagiani nel 430. G. continuò,
comunque, la propaganda pelagiana e nel 439 cercò di rientrare nella sua sede
di Eclano, ma ne fu impedito da Papa Sisto III (432-440), lui stesso
pelagiano in gioventù, e morì qualche anno più tardi, durante il regno di
Valentiniano III (425-455), forse nel 454 (secondo altre fonti molto prima
nel 441 o nel 445).
Il pensiero Nella diatriba pelagiana sul
peccato originale, G., fine dialettico, aggiunse altri elementi di
discussione: egli ricusò il concetto agostiniano che Dio avrebbe danneggiato
tutti a causa dell'errore di un solo uomo, Adamo, che era da considerare
semplicemente un cattivo esempio. Inoltre G. respinse il concetto manicheo di
Agostino di un mondo pieno di sofferenze per le anime peccatrici, dove la
morte era la punizione per il peccato originale: per G. ciò che era naturale
non poteva essere malvagio e le scelte umane erano giuste o sbagliate, ma
certo non influenzavano i fenomeni naturali, inclusa la morte.
Della
Rovere, Giulio (Giulio da Milano) (1504-1581)
Famoso predicatore
agostiniano passato poi alla Riforma, Giulio (il vero nome di battesimo era
Giuseppe: lo cambiò in Giulio quando entrò nell'ordine agostiniano) Della
Rovere nacque nel 1504 a Milano da una stimata famiglia e studiò a Padova,
dove conobbe Ambrogio Cavalli, che frequentò anche a Bologna. Tra il 1520
ed il 1522 D. entrò nell'ordine degli agostiniani eremitani e a Bologna fece
parte del convento agostiniano di San Giacomo Maggiore, dove poté
approfondire i suoi studi del pensiero di Erasmo da Rotterdam, assieme ai
concittadini milanesi Ortensio Lando e Ambrogio Cavalli,
all'umanista abruzzese Giovanni Angelo Odoni e allo studente di diritto
Fileno Lunardi (che alcuni identificano con Camillo Renato). In seguito,
tra il 1533 ed il 1535, conobbe a Pavia Agostino Mainardi, un incontro
decisivo per la scelta di fede in senso riformista, che si notò sempre di più
nelle sue prediche. Nel 1538 venne messo sotto inchiesta e nel 1540, per
contrasti con il padre generale dell'ordine, egli si dimise dagli incarichi
ufficiali dell'ordine agostiniano assieme a Cavalli, priore del suo stesso
convento. Infine, in seguito alle sue prediche a Trieste e a Venezia, nella
chiesa di San Cassan, per la Quaresima del 1541, venne arrestato a Venezia
stessa. Questo arresto portò inoltre alla perquisizione della biblioteca
privata di D. e dell'amico Celio Secondo Curione (che viveva in casa di D.) e
la confisca di scritti proibiti di Erasmo da Rotterdam e del
riformatore svizzero Johann Heinrich Bullinger. Nonostante le vibrate
proteste di Bernardino Ochino e la tentata intercessione di alcuni nobili
della repubblica veneta (per citarne alcuni: Agostino Barbarigo, Girolamo
Corner, Alessandro Gritti), egli venne accusato di mantenere rapporti con
altri dissidenti religiosi in Italia e all'estero. D. poté quindi scampare
all'esecuzione capitale solo mediante l'abiura, ma, in seguito, riuscì a
fuggire dal carcere nel febbraio 1543, riparando in Svizzera, dove fu
segnalato, il 23 aprile 1543, dal predicatore di Ulm, Martin Frecht
(1494-1556) al sindaco di San Gallo, l'umanista Joachim von Watt, detto
Vadiano (1484-1551). Qui diventò pastore zwingliano nel 1546 a Vicosoprano e
nel 1547 a Poschiavo, nel cantone Grigioni (il cui territorio comprendeva,
dal 1512, anche la Valtellina), dove rimase fino alla sua morte e dove
scrisse nel 1549 (pretendendo di averla pubblicata a Trento, un evidente
simbolo contro il Concilio, che si tenne dal 1545 al 1563) la popolare
Esortazione alli dispersi per l'Italia, titolo poi modificato in Esortazione
al martirio (la seconda edizione fu del 1552), testo in cui spingeva i
potenziali martiri della fede riformata ad affrontare la morte e in cui
polemizzò violentemente con Giorgio Siculo (alias Giorgio Rioli) e con i suoi
seguaci, da D. stesso definiti, per la prima volta, "georgiani". La polemica
riguardò in particolare la propensione al nicodemismo di questo curioso e
misterioso personaggio. Dal suo esilio ben organizzato nei Grigioni, D.
poté propagandare i propri scritti evangelici e le proprie prediche
attraverso i buoni uffici dello stampatore Dolfino Landolfi di Poschiavo, che
si recava spesso in Italia per acquistare la carta da stampa. Allacciò
contatti epistolari con la duchessa di Ferrara Renata d'Este (alla quale fu
dedicata un'Epistola contenuta nell'edizione del 1552 dell'Esortazione), nota
protettrice di riformati e riuscì perfino a visitarla clandestinamente,
durante la Quaresima del 1550, quando poté tenere una quindicina di predica
al ristretto gruppo di protestanti, che gravitavano intorno alla
duchessa. Nel 1549 D. conobbe a Poschiavo Pier Paolo Vergerio, da cui venne
fortemente influenzato e che accolse con entusiasmo, quando l'ex vescovo di
Capodistria si recò in esilio in Svizzera, mentre nel 1554 scrisse a
Bullinger per informarlo e metterlo in guardia contro le tendenze
antitrinitariane di Lelio Sozzini. Della Rovere morì nel
1581.
Hubmaier, Balthasar (1480/1-1528)
La
gioventù Balthasar Hubmaier, il più famoso teologo anabattista, nacque nel
1480/1 a Friedberg, vicino ad Augsburg (Augusta) in Baviera, da una povera
famiglia contadina. Nonostante ciò, egli riuscì con mille difficoltà a
completare gli studi universitari, dapprima a Friburgo e, in seguito, ad
Ingolstadt, seguendo il suo maestro, il più giovane, ma già affermato,
teologo Johann Eck (1486-1543). H. divenne sacerdote nel 1510 e dottore in
teologia nel 1512, iniziando immediatamente a lavorare per l'università di
Ingolstadt, di cui divenne vice-rettore nel 1515. Nel 1516 H. fu nominato
predicatore della cattedrale di Ratisbona (Regensburg), in Baviera, dove ebbe
molto successo, ma dove si lasciò anche coinvolgere in una violenta campagna
contro gli ebrei, culminata con la loro cacciata dalla città. In seguito a
questo non edificante episodio, la sua popolarità presso i cittadini
cristiani salì comunque alle stelle, suscitando l'invidia dell'ordine dei
Domenicani e convincendolo quindi a trasferirsi in un posto più
tranquillo. Prese dunque la decisione di recarsi nel 1521 a Waldshut, vicino
al confine con la Svizzera, nel sud del Baden Württenberg, allora (dal 1520
al 1534) sotto il dominio degli Asburgo.
La conversione alla
Riforma Fino a quel momento H. era stato un cattolico osservante, ma dal
soggiorno a Waldshut in avanti si accostò sempre più alle idee riformiste,
leggendo gli scritti di Lutero e scambiando lettere con Zwingli ed
Ecolampadio. Con i due riformatore svizzeri H. si trovò spesso d'accordo,
soprattutto nel primato della Sacra Scrittura e nella lotta contro l'uso
delle immagini e contro la messa in latino, tuttavia incominciò anche ad
essere sempre più in contrasto con loro per quanto concerneva il battesimo
dei bambini. A riguardo man mano egli si accostò alle posizioni espresse dal
gruppo anabattista di Conrad Grebel. Nel 1524 H. si impegnò a fondò per la
conversione alla Riforma della Germania meridionale: introdusse la messa in
tedesco, abolì il celibato e il digiuno, ma la sua azione venne contrastata
dal vescovo di Costanza Hugo von Hohenlandenberg (vescovo: 1496-1529, m.
1532) e dagli Asburgo, che tentarono inutilmente di fare delle pressioni
sulle autorità di Waldshut, acciocché lo espellessero: fu comunque lo stesso
riformatore che decise di rifugiarsi, nel Settembre 1524 a Sciaffusa, in
Svizzera, per evitare guai peggiori alla città tedesca. A Sciaffusa H.
scrisse una delle sue opere migliori: Von Ketzern und ihren Verbrennern
(Sugli eretici e su coloro che li bruciano), contro le persecuzioni dei suoi
nemici, cattolici e Asburgo, che nuovamente, questa volta al consiglio di
Sciaffusa, chiesero la sua estradizione. Comunque H., anche qui, tolse le
autorità dall'imbarazzo, ritornando a Waldshut in Ottobre.
La
conversione all'anabattismo Qui egli riprese la sua azione riformatrice, ma
con un forte connotato anabattista, alla quale dottrina dichiarò di aderire
nel Gennaio 1525, mese in cui si sposò con Elsbeth Hügeline. In Aprile fu
battezzato da Wilhelm Reublin, e nei giorni successivi lui stesso battezzò
circa trecento persone. Dal Maggio 1525 H. entrò in una polemica sul
battesimo, a colpi di opuscoli dottrinali, con Zwingli: iniziò il riformatore
di Zurigo con Vom Tauff, Widertauff und Kindertauff (Del battesimo,
contro-battesimo e battesimo dei bambini), al quale H. rispose con Von dem
Christenlichen Tauff der glaübigen (Del battesimo cristiano dei credenti).
Zwingli accusò il colpo pubblicando il piccato e polemico Über dr. Balthazars
Tauffbüchlin waarhaffte gründte antwurt (Risposta all'opuscolo del dr.
Balthazar sul battesimo), ma H. rintuzzò l'attacco pubblicando Ein Gesprech
auf Zwinglen Tauffbüchlein von dem Kindertauff (Discorso sull'opuscolo di
Zwingli intorno al battesimo dei bambini). In questi scritti l'impianto
dottrinale di H. sul battesimo si fondava su una visione catartica del
sacramento, purificatrice dei peccati, che doveva seguire la confessione ed
il pentimento ed evidentemente non era applicabile ai neonati per ovvi
motivi. Nel frattempo il contrasto con gli Asburgo prese una piega molto
drammatica: nell'autunno 1525 Ferdinando d'Asburgo fece porre d'assedio
Waldshut, con il pretesto della repressione della rivolta dei contadini, ma
anche con l'obiettivo di riportare il Cattolicesimo nella città. Waldshut
si arrese il 5 Dicembre 1525 e H., non volendo piegarsi ai voleri del nemico,
fuggì con la moglie e qualche amico a Zurigo.
H. a Zurigo Qui H.,
perseguitato e lacero, entrò il 7 Dicembre di nascosto, ritenendo saggiamente
di non far sapere la cosa alle autorità, poiché era ancora viva l'impressione
per le polemiche anabattiste e la successiva condanna di Grebel, Mantz e
Blaurock. Tuttavia, qualche giorno dopo, egli venne scoperto ed arrestato su
ordine delle autorità cittadine, che rifiutarono l'estradizione chiesta dagli
Asburgo, ma accettarono la richiesta di un confronto pubblico con
Zwingli. L'esito di questo dibattito fu scontatamente a favore di Zwingli, il
quale mise l'avversario di fronte ad un aut-aut: o ritrattare o abbandonare
la città. H., malato e stanco, scrisse la sua ritrattazione, ma quando il
5 Gennaio 1526 gli fu richiesto di leggerla pubblicamente davanti
alla cittadinanza, egli negò tutto lanciandosi in una appassionante
quanto pericolosa apologia del battesimo degli adulti, interrotta a forza
dalle guardie, che lo imprigionarono nuovamente nella famigerata
Wasserturm. Questa volta per essere più sicuro del pentimento di H., Zwingli
lo fece spietatamente torturare fino ad ottenere una piena ritrattazione, che
fu da H. reiterato pubblicamente per ben tre volte.
H. a
Nikolsburg Disprezzato dagli anabattisti e dai riformatori, per motivi
ovviamente diversi, e ricercato attivamente dalle spie degli Asburgo, H.
lasciò segretamente Zurigo nel 1526, dirigendosi verso Ausgburg (Augusta),
dove nell'Aprile dello stesso anno fondò una comunità anabattista e battezzò
Hans Denck. Ma già nel Luglio 1526 H. se ne andò da Augusta e si diresse a
Nikolsburg (oggigiorno Mikulov), nella Moravia meridionale, invitato dai
signori del luogo, appartenenti ad un ramo della nobile famiglia dei
Liechtenstein. Il successo ottenuto da H. a Nikolsburg andò oltre ogni più
rosea previsione: non solo egli convertì sia i signori Leonhard e Johann
von Liechtenstein che i due predicatori luterani della città, Hans
Spittelmaier (1497-1528) e Oswald Glait (m. 1546), ma ribattezzò anche circa
6.000 persone durante la sua permanenza, creando a Nikolsburg quel centro
di riferimento, che gli anabattisti perseguitati in Europa
anelavano disperatamente. E i perseguitati risposero entusiasticamente
alla possibilità di rifugio in Moravia, affluendo talmente numerosi che
la popolazione di Nikolsburg crebbe fino a sfiorare le 12.000 unità. A
Nikolsburg H. si dedicò ad elaborare la dottrina anabattista attraverso
la pubblicazione di circa 18 opere tra scritti, trattati, brevi saggi, il
più famoso dei quali furono i Zwölf Artikel des christlichen Glaubens
(Dodici articoli della fede cristiana) del 1526. H. era fautore di un
coinvolgimento dei cristiani nella vita politica e nella difesa con le armi,
se necessario, della propria autonomia: i suoi seguaci furono per questo
detti Schwertler (i portatori di spada). Questa posizione alimentò dei
dissidi interni al movimento anabattista con la corrente pacifista degli
Stabler (i portatori di bastone), seguaci di Jakob Wideman, detto Jakob il
guercio (m.1535 ca.). La polemica peggiorò con l'arrivo di Hans Hut, che
diede un sapore apocalittico alle sue predicazioni per aver fissato la data
della parusia (seconda venuta di Cristo sulla terra) per la Pentecoste del
1528. Hut riuscì a spezzare il movimento anabattista, portando dalla sua
parte gli adepti più radicali, che mal tolleravano i compromessi di H. con le
autorità locali e propendevano per un anabattismo estremo secondo un concetto
caro al fondatore Conrad Grebel.
La fine La situazione
precipitò quando i signori di Liechtenstein fecero arrestare Hut, poi evaso:
i successivi tumulti creati dai seguaci di Hut misero anche H. in cattiva
luce presso i governanti stessi. Fu questo probabilmente il motivo perché
essi acconsentirono, nell'autunno 1527, all'estradizione di H. e della moglie
in Austria, su richiesta degli Asburgo, dove vennero arrestati e imprigionati
nel castello di Kreuzenstein, nell'Austria inferiore. Dapprima Ferdinando
d'Asburgo adoperò la linea morbida, facendo parlare H. nel Dicembre 1527 con
il suo vecchio amico, il teologo cattolico Johann Faber (1478-1541), che
cercò di convincerlo, per la verità con un fare molto brusco e prepotente, ad
una parziale ritrattazione delle sue idee. Ma gli Asburgo volevano una totale
e incondizionata resa del teologo anabattista, che egli, nonostante le
torture, non volle dare: fu quindi condannato a morte per eresia e
sedizione. Il 10 Marzo 1528 H. fu bruciato sul rogo a Vienna, perdonando i
suoi nemici, e pochi giorni dopo anche la moglie venne uccisa, gettata con
una pietra al collo nel Danubio.
La dottrina Attraverso i suoi
innumerevoli scritti, H. fu il primo teologo a cercare di sistemare la
nebulosa (fino ad allora) dottrina anabattista: la Chiesa era vista come una
comunità di rigenerati fondata su due patti con Dio: il Battesimo e la Cena
del Signore. Egli infatti concepì il Battesimo come un voto, una pubblica
testimonianza della fede cristiana, un vero arruolamento nella Chiesa dei
credenti. La Cena del Signore (Eucaristia) era invece una pubblica
testimonianza dell'amore cristiano, non andava inteso come un sacrificio, ma
come la commemorazione della morte e delle sofferenze di Cristo, che aveva
dato il Suo corpo per la nostra salvezza. Tuttavia H. in polemica con i
concetti protestanti della salvezza per fede e della predestinazione, era
convinto che i credenti fossero comunque tenuti a vivere secondo gli
ordinamenti di Cristo e che la comunità dovesse punire pubblicamente il
fedele per i suoi peccati commessi, anche come esempio per
gli
altri. Inoltre vi erano molti ruoli nella società che dovevano essere
ricoperti, anche se sgradevoli, come la difesa e l'esercizio della giustizia,
e per H. questo compito spettava alle autorità costituite. Questo concetto
avvicinò, pur con alcune sfumature diverse, la posizione di H. a quelle di
Zwingli e Lutero, differendo alquanto da quella degli altri anabattisti, come
ad esempio Michael Sattler.
Zwingli (o Zuinglio), Ulrich (o
Huldreich) (1481-1531) e zwinglismo
La gioventù Ulrich (o
Hulderich) Zwingli nacque a Wildhaus, nella valle di Toggenburg (Cantone San
Gallo), nella Svizzera orientale, l'1 Gennaio 1484 (sette settimane dopo
Martin Lutero), terzogenito di otto figli di Ulrich (senior), un ufficiale
distrettuale della cittadina, e di Margareth Meili. Z. studiò a Weesen e a
Berna [con lo studioso umanista Heinrich Wölflin (Lupulus) (1470-1534)] e nel
1500 si iscrisse all'università di Vienna, ma nel 1502 si trasferì all'ateneo
di Basilea, dove seguì corsi di musica, filosofia e materie umanistiche, e,
concentrandosi in seguito sugli studi di teologia, dietro incoraggiamento del
riformatore Thomas Wyttenbach (1472-1526), si laureò nel 1506 proprio in
teologia. Nello stesso anno, Z. divenne pastore a Glarus (Glarona),
ricoprendo l'incarico per dieci anni fino al 1516. Il ruolo di pastore, se da
una parte lo impegnava nel solito lavoro di predicatore e curatore di
anime, dall'altra gli lasciava sufficiente tempo libero per dedicarsi ai suoi
studi classici: rinforzò la sua già solida cultura umanista imparando il
greco antico da autodidatta e leggendo i classici romani, greci e i Padri
della Chiesa. Ebbe inoltre contatti con famosi umanisti come Glareano
(Henrich Loriti, 1488-1563) e Erasmo da Rotterdam, che Z. ammirò sempre
moltissimo e di cui lesse il Nuovo Testamento in greco: da queste letture si
sviluppò la sua idea di una superiorità delle Sacre Scritture sulla
tradizione della Chiesa. Partecipò, inoltre, a varie campagne militari in
Italia, nel 1513 e 1515, come cappellano militare al seguito delle truppe
mercenarie svizzere, ingaggiate dai re di Francia contro la Lega Santa.
Questa esperienza lo scosse notevolmente per due fattori: l'usanza, da Z.
odiata, dell'arruolamento dei mercenari nei Cantoni Svizzeri, largamente
praticata ai tempi dalle potenze europee, tra cui lo stato della Chiesa (che
perfino oggigiorno ha mantenuto questa abitudine), e la scoperta della
liturgia ambrosiana a Milano, diversa da quella da lui utilizzata, e che lo
fece riflettere sul fatto che la Chiesa stessa non applicava identiche
pratiche rituali in tutto il mondo cristiano. Ritornato a Glarus, egli fu
nominato sacerdote del celebre convento benedettino di Einsiedeln,
dall'amministratore e abate Diebold von Geroldseck. Ad Einsiedeln, dove Z. si
trasferì dal 1516 al 1518, Z. venne a conoscenza di una diffusa degenerazione
della moralità da parte del clero, contro cui iniziò a combattere. Predicò
inoltre concetti riformisti già due anni prima di Lutero: Z. disse in
seguito che non conosceva a quel tempo il grande riformatore tedesco, e
quindi asserì di aver lui stesso iniziato la Riforma in Svizzera in maniera
indipendente dalle vicende tedesche di Lutero. Sotto un certo punto di vista
aveva ragione: Z. fu molto più riformatore della Chiesa, nel vero senso della
parola, rispetto a Lutero, che alcuni autori vedono maggiormente nel ruolo di
profeta della Riforma.
Zwingli a Zurigo Alla fine del 1518 si rese
vacante il posto di predicatore alla Gross Münster (Grande Cattedrale) di
Zurigo e Oswald Myconius (1488-1552), insegnante presso la scuola
dell'annesso monastero, oltre che amico d'infanzia di Z., lo propose come
candidato al capitolo della cattedrale, che lo elesse: Z. iniziò questa nuova
attività il giorno del suo 35esimo compleanno, l'1 Gennaio 1519 con una
sistematica esposizione del Vangelo di San Matteo e durante i successivi
quattro anni passò in rassegna tutti i libri del Nuovo Testamento. Uomo
non del tutto refrattario alle tentazioni della carne, Z. conobbe e visse
more uxorio (almeno dalla primavera 1522) con la vedova Anna Reinhard, che,
con l'abolizione del celibato per i pastori protestanti, Z. sposò finalmente
nel 1524 e da cui ebbe quattro figli. Sopravvissuto miracolosamente alla
tremenda epidemia di peste del 1520, proprio da quel anno Z. maturò l'idea di
una riforma, che, come Lutero (sola fide - sola gratia - sola scriptura) ma,
come detto, indipendentemente da lui, ponesse l'accento sulla salvezza per
fede, dono della grazia di Dio e con l'esclusione delle opere buone. Inoltre
la Sacra Scrittura fu assunta come unico riferimento in tema di morale e
fede. Quindi egli convinse progressivamente il consiglio cittadino di
proibire qualsiasi pratica religiosa che non avesse il supporto delle
Sacre Scritture. Poco dopo, la rottura ufficiale con la Chiesa Cattolica,
che venne fatta risalire alla clamorosa protesta durante la Quaresima
1522, quando alcuni seguaci di Z. mangiarono deliberatamente delle salsicce e
per questo furono arrestati. Z. protestò energicamente e dimostrò che la
pratica in uso non aveva alcun supporto dalle Scritture. Papa Adriano VI
(1522-1523) intervenne, cercando di convincere il consiglio cittadino di
Zurigo a denunciarlo come eretico e per questo mobilitò il vescovo di
Costanza, Hugo von Hohenlandenberg (1496-1530), che inviò una commissione
investigatrice nell'Aprile 1522. Z. fu chiamato a presentarsi davanti al
consiglio cittadino, cosa che fece il 29 Gennaio 1523, quando spiegò alla
popolazione zurighese le sue 65 (o 67) tesi: egli uscì dal dibattito con il
vicario generale di Costanza, il teologo Johann Faber (1478-1541), totalmente
sollevato da ogni accusa, anzi riuscì perfino a convincere il Cantone Zurigo
ad uscire dalla giurisdizione del vescovo di Costanza. Seguirono man mano
le riforme, volute da Z.: il rifiuto di pagare le decime e dell'adorazione
delle immagini sacre, l'abolizione del celibato dei preti e della musica in
Chiesa (cosa curiosa per un amante della musica come Z.), la chiusura dei
monasteri, la semplificazione del breviario, le funzioni religiose recitate
in Tedesco ed infine, dalla Settimana Santa del 1525, la modifica del
sacramento della Comunione. Quest'ultima decisione acuì, come vedremo più
avanti, la tensione con Lutero.
La crisi degli anabattisti Dal
Settembre 1524 sorse un nuovo problema con l'incremento di popolarità degli
anabattisti, presenti a Zurigo come i Fratelli svizzeri di Conrad Grebel,
Felix Mantz e Jorg Blaurock. Costoro, entusiasti dalla lettura del Nuovo
Testamento, divennero molto più radicali di Z. stesso e insistettero sul
battesimo (o, a quel tempo, ri-battesimo, da cui il nome di anabattisti, cioè
battezzati nuovamente, in greco) degli adulti, interpretando il brano del
Vangelo di San Marco: Chi avrà creduto e sarà stato battezzato si salverà
(Marco 16,16). Z. passò rapidamente da un atteggiamento di simpatia nei loro
confronti alla preoccupazione ed infine ad una vera e propria persecuzione,
facendoli imprigionare e condannare a morte: nel 1528 Blaurock fu bruciato
sul rogo e già l'anno prima per Mantz era arrivata la tremenda condanna con
la famosa frase di Z.: Qui iterum mergit, mergatur [Chi immerge nuovamente
nell'acqua (cioè ribattezza), sia immerso (cioè sia annegato)] ed infatti
egli fu affogato nel fiume Limmat. Dei capi storici dell'anabattismo, solo
Grebel scampò l'esecuzione capitale per poi morire di peste.
La
divisione confessionale della Svizzera A partire dallo stesso 1524, Z.
convinse man mano molti cantoni svizzeri a passare alla Riforma dopo Zurigo:
Berna, Basilea, Sciaffusa, San Gallo, Thurgau, Vaud, Neuchâtel, ai quali si
sarebbe aggiunta la Ginevra di Calvino nel 1541. Tuttavia i cantoni
cosiddetti primitivi (Uri, Schwyz e Unterwalden) e le città-stato di Lucerna
e Friburgo rimasero ostinatamente Cattolici ed emisero nel 1526 un loro
Concordato di Fede, invitando ad un dibattito pubblico con i teologi
protestanti a Baden (nel cantone Aargau) il noto teologo cattolico Johann Eck
(1486-1543), proprio quello della disputa di Lipsia del 1519 con Carlostadio
e Lutero. Z. decise di non presenziare di persona, temendo per la propria
incolumità. Vi si recò, al suo posto, Johannes Ecolampadio, che difese la
causa protestante in condizioni ambientali difficilissimi: il cantone Aargau
era una roccaforte cattolica. Ovviamente ambedue le parti proclamarono la
propria vittoria alla fine del dibattito.
La crisi sul significato
della Comunione con i luterani Un acuto momento di crisi per la Riforma
protestante fu la diatriba nel 1529 tra Z. e Lutero riguardante il Sacramento
della Comunione: Per Lutero, nella Comunione, grazie all'onnipotenza di
Nostro Signore, vi era la reale e sostanziale presenza del corpo e sangue di
Cristo nel pane e vino, che tutti i comunicandi ricevevano, che fossero degni
o indegni, credenti o miscredenti. Per Z., invece, la Cena del Signore era
solo una solenne commemorazione della morte di Cristo, la Sua presenza
spirituale: egli rifiutava la presenza reale del corpo e sangue, in
quanto: Gesù era asceso al cielo, un corpo non poteva essere presente in
più di un posto alla volta (in cielo e nell'ostia) e due sostanze (il pane
e il Corpo di Cristo) non potevano occupare lo stesso spazio nello stesso
momento. Per cercare di dirimere questa polemica ed arrivare ad un accordo,
prezioso da un punto di vista politico per fare quadrato contro il Papa
e l'Imperatore, il Langravio Filippo di Hesse (Assia) (1504-1567) convocò
una riunione tra i tedeschi Lutero e Melantone e gli svizzeri Z. e
Ecolampadio nel suo castello di Marburg. La riunione ebbe inizio il 1
Ottobre 1529 con dei colloqui vis-a vis tra Z. e Melantone, e tra Lutero ed
Ecolampadio: il saggio Langravio voleva infatti evitare uno scontro diretto
tra le due teste calde, Z. e Lutero. Nonostante la redazione dei cosiddetti
Articoli di Marburg alla fine dei colloqui il 3 Ottobre, l'incontro,
apparentemente un buon compromesso, fu sostanzialmente un fallimento, non
soltanto dal punto di vista teologico (non si arrivò ad un accordo sulla
presenza corporale di Cristo nella Comunione), ma anche per l'antipatia a
pelle che i due capiscuola provavano l'uno per l'altro. Lutero, a proposito
della diatriba Sangue di Cristo/semplice vino, dichiarò, molto poco
diplomaticamente, che avrebbe preferito "bere sangue con il papa", piuttosto
che il "semplice vino" con lo svizzero.
La fine Rientrato a
Zurigo, Z. dovette fronteggiare il boicottaggio dei cantoni cattolici
all'accordo raggiunto tra le parti per la libera circolazione di predicatori
sia protestanti che cattolici nei vari cantoni: nel 1530 ci furono delle
prime schermaglie di guerra, momentaneamente bloccate da una tregua. Il 30
giugno 1530, l'imperatore Carlo V aprì i lavori della prima dieta
di Augusta, dove i riformisti si presentarono separati e nonostante
la conciliatoria Confessio Augustana, tracciata da Melantone, lo strappo con
i protestanti svizzeri (Z. e Ecolampadio), che presentarono la loro
Fidei ratio, fu un dato di fatto. Ne approfittarono i cattolici: per bocca
di Eck e Faber risposero con la Confutatio e portarono dalla loro parte Carlo
V, che confermò le risultanze dell'Editto di Worms del 1521. Questo
parziale successo per la fazione cattolica, unita all'imbarco di merci nei
confronti dei cantoni cattolici, fece precipitare le cose in Svizzera con la
ripresa della guerra civile. L'11 Ottobre 1531 i due eserciti si
fronteggiarono a Kappel, 60 chilometri est di Zurigo, in cantone San Gallo,
ma quello cattolico, forte di 8.000 uomini ebbe la meglio contro i 2.700
protestanti. Z. stesso, che aveva deciso di partecipare come cappellano,
mentre consolava un soldato morente, fu gravemente ferito dapprima da una
sassata e poi da un colpo di lancia. In queste condizioni già precarie,
agonizzò tutto il giorno dell'11 Ottobre, finché, alla sera, fu riconosciuto
da un soldato nemico, che lo uccise con un colpo di spada. Il corpo ormai
senza vita fu poi consegnato ad un finto boia per una condanna-farsa, nella
quale fu impiccato e quindi bruciato. Così morì il Padre della Riforma
svizzera e, a futura memoria, la sua statua, con la spada in una mano e la
Bibbia nell'altra, fu eretta nel 1855 davanti alla Wasserkirche di
Zurigo.
Le opere L'abbondante produzione letteraria di Z. fu
raccolta, per la prima volta, in 4 volumi nel 1545 da parte di uno dei
generi, Rudolf Gwalter, ma l'edizione completa di 8 volumi fu pubblicata solo
nel 1828.
Arnaud, Henri (Enrico) (1641-1721) e il Glorioso
Rimpatrio
La vita Il pastore e leader valdese Henri (Enrico)
Arnaud nacque nel 1641 a Embrun (nel Delfinato francese) e fu educato
dapprima a Torre Pellice (in Val Pellice, in provincia di Torino), paese
d'origine della sua famiglia, quindi a Basilea e all'accademia calvinista a
Ginevra. In seguito A. divenne pastore valdese in varie valli valdesi, ed in
particolare, nel 1685, nella stessa Torre Pellice. Egli fu quindi il
naturale riferimento dei Valdesi quando il duca di Savoia, Vittorio Amedeo
II, detto la Volpe (Renard) (1684-1730), dovette cedere alle pesanti
pressioni dello zio, il re di Francia, Luigi XIV (1654-1715), che aveva
appena abolito l'editto di Nantes, e organizzò, nel 1686, una spedizione di
10.000 soldati contro le valli valdesi: nonostante l'accanita resistenza
organizzata dal capitano Giosuè Janavel (detto Gianavello) in luoghi
strategicamente difendibili, come il vallone di Subiasco, la "crociata" si
concluse con un bagno di sangue, tristemente noto come Massacro delle Pasque
Piemontesi. Sopravvissero circa 3.800 persone, le quali, non accettando di
conformarsi alla religione cattolica, ripararono in Svizzera. Anche A. andò
in esilio con i suoi confratelli, e con essi tentò, inutilmente, per due
volte (nel 1687 e 1688) di rientrare nelle valli. Ma fu soltanto con il
mutare della situazione politica europea che le condizioni per questa impresa
furono rese più agevoli: in particolare con la deposizione del re cattolico
inglese, Giacomo II (1685-1688) e la salita al trono del protestante
Guglielmo III d'Orange (1689-1702), i Valdesi guadagnarono alla loro causa un
potente alleato e nel 1689 fecero un ulteriore tentativo, finanziato da
ambienti inglesi e olandesi, vicini a Guglielmo d'Orange.
Il
Glorioso Rimpatrio Il 27 agosto 1689, avvenne il Glorioso Rimpatrio
(Glorieuse Rentrée): A., seguendo le istruzioni di Janavel (troppo vecchio
per partecipare direttamente), condusse un piccolo esercito di 972 uomini,
compresi alcuni ugonotti francesi, da Prangins, sul lago di Ginevra, verso le
valli valdesi, attraversando la Savoia per 200 chilometri e scavalcando passi
oltre 2.500 metri d'altezza. All'altezza di Salbertrand (in Val Susa), i
Valdesi furono intercettati dalle truppe franco-piemontesi, che sconfissero
sonoramente, e poco distante, a Prali, in Val Germanasca, A., con la spada in
una mano e la Bibbia nell'altra, poté finalmente celebrare una funzione
religiosa in un tempio valdese. Proseguendo la marcia, i Valdesi arrivarono
in Val Pellice, a Bobbio, e nella vicina Sibaoud, pronunciarono un solenne
giuramento. Tuttavia la reazione franco-savoiardo non si fece attendere e i
circa 400 sopravvissuti dovettero arroccarsi a Balsiglia, in Val Germanasca,
dove, tra l'ottobre 1689 e il maggio 1690, respinsero diversi attacchi dei
5.000 soldati nemici, comandati dal generale Catinat. Ma il 14 maggio,
logorati dal cannoneggiamento nemico, essi abbandonarono le posizioni,
approfittando della fitta nebbia e si dispersero sui monti sopra Torre
Pellice. A questo punto, la situazione internazionale voltò a loro favore:
proprio nel maggio 1690 il duca di Savoia abbandonò la sua alleanza con la
Francia per firmarne uno con Inghilterra e Olanda e quindi gli
divenne strategicamente utile impiegare i valdesi in funzione anti-francese.
Liberò i prigionieri, favorì il rientro dalla Svizzera degli esiliati e offrì
il cosiddetto Editto di reintegrazione, con il quale i Valdesi
vennero riconosciuti legittimi proprietari dei loro
territori.
Nuove persecuzioni Tuttavia la situazione rimase
favorevole ai Valdesi solo fino al 1696, quando, grazie al trattato di pace
firmato con la Francia, Vittorio Amedeo II si mise nuovamente a
perseguitarli. 3.000 di essi, sotto il comando di A., si rifugiarono nel
ducato di Württemberg, in Germania, sotto la protezione del duca Eberardo
Luigi (1677-1733), e qui A. divenne pastore di Durrmenz-Schonenberg, vicino a
Stoccarda, nel 1699. Negli ultimi anni della sua vita, A. si dedicò alla
stesura della sua Histoire de la glorieuse rentrée des Vadois dans leurs
vallées (Storia del glorioso rimpatrio dei valdesi nelle loro valli), che fu
pubblicata nel 1710. A. morì a Schonenberg nel
1721.
Gnosticismo (dal I secolo)
La storia Vasto
movimento filosofico-religioso spontaneo e non unificato, diffuso in Egitto e
in Palestina dai tempi degli Apostoli almeno fino al IV° secolo. Le sue
origini rimangono oscure: nacque probabilmente come movimento sincretico,
teso a fondere, in vari momenti storici, religioni misteriche, astrologia
magica persiana, zoroastrismo, ermetismo, kabbalah, filosofie ellenistiche,
giudaismo alessandrino fino a giungere ad un sincretismo con il Cristianesimo
dei primi secoli. Detta forma però fu anche caratterizzata da un forte
antinomismo, cioè da tendenze anarchiche e dal rifiuto di norme legali, e, a
maggior ragione, di una Chiesa Cattolica organizzata. E proprio
quest'ultima forma, gnostico-cristiana, che venne combattuta dai Padri della
Chiesa come Ireneo, Giustino, Tertulliano, che ne rimasero per secoli l'unica
fonte di informazione fino al 1945. In quell'anno furono scoperti i
manoscritti in copto a Nag Hammadi, in Egitto, un gruppo di 44 opere
gnostiche, come ad es. il Vangelo di Filippo, quasi tutte sconosciute fino ad
allora.
Il G., nel periodo di massimo sviluppo, intorno al II°
secolo, si distinse in due filoni principali: Il G. cosiddetto volgare di
tipo magico astrologico persiano, rappresentato da Cerinto, Carpocrate, Simon
Mago, Menandro. Il G. cosiddetto dotto con le grande scuole di pensiero,
facenti capo a Basilide, Valentino e Marcione. Intorno al IV° secolo, il
G. confluì nella sua forma avanzata, il Manicheismo e nei secoli successivi
influenzò tutta una serie di eresie, come ad esempio i bogomili ed i
catari. Ma vi fu anche una setta di G., che, isolandosi geograficamente,
giunse a noi in forma molto pura: si tratta dei Mandei, tuttora abitanti
nell'Iraq meridionale. Più recentemente, il G. ha influenzato molti
studiosi cristiani, come Pierre Teilhard de Chardin, Paul Tillich, Mary Baker
Eddy e la sua Christian Science e non cristiani come il grande psicanalista
Carl Jung, che dichiarò: la gnosi è indubbiamente la conoscenza psicologica,
i cui contenuti derivano dall'inconscio. Infine alcuni studiosi
identificano parecchi elementi gnostici in quel confuso fenomeno
sociale-filosofico attualmente di moda, che è la New Age.
La
dottrina Il G. deve il suo nome alla gnosi, cioè, come insegnavano i
maestri gnostici, alla conoscenza di Dio e delle origini e destino della
razza umana, attraverso la "rivelazione". Detta rivelazione era trasmessa
direttamente da Cristo (nella forma gnostico-cristiana) ad una ristretta
cerchia di iniziati e non attraverso la gerarchia della Chiesa. Inoltre
essa doveva giungere attraverso esperienze personali e non attraverso lo
studio dei testi canonici. Per gli G., Dio aveva emanato una serie di entità
incorporee (eoni), per formare tutti insieme il Pleroma (pienezza del
divino), ma l'ultimo degli eoni, Sophia (la Saggezza) o Barbelos si corruppe
con la lussuria, creando il Demiurgo, creatore del mondo materiale. Per
alcuni G., il Demiurgo era identificato con Yahweh, il Dio vendicativo del
Vecchio Testamento, in contrasto con il Dio Buono del Nuovo
Testamento: questa corrente di pensiero gnostico era detta
dualistica. Tuttavia, avendo il Demiurgo creato il mondo materiale e gli
uomini, sua madre Sophia o Barbelos, all'insaputa del figlio, aveva infuso in
alcuni uomini la scintilla spirituale divina, che poteva permettere a costoro
di giungere alla gnosi. I G. tendevano, infatti, a rifiutare
l'universalismo, dividendo gli uomini in: ilici o terreni, psichici che
credevano nel Demiurgo, ma ignoravano l'esistenza di un mondo spirituale
superiore a lui e pneumatici o spirituali (gli iniziati di cui prima), che
erano dotati della scintilla divina. Per portare informare gli iniziati
della loro potenzialità inespressa, cioè la scintilla divina, fu inviato
sulla terra l'eone Cristo come emissario di Dio e guida suprema. Tuttavia
Cristo non si incarnò sulla terra come Gesù, ma fece sì che questo fatto
apparisse agli uomini, e dal greco dokéin, cioè apparire, deriva questo
pensiero filosofico, comune a molti G., cioè il docetismo. Infine lo sviluppo
di questa negazione del concreto e il relativo disprezzo per il mondo
materiale portò, per esempio, molti G. a comportamenti quotidiani
radicalmente opposti: dalla sessualità più sfrenata (Basilide, Carpocrate,
cainiti) alla castità e all'ascetismo più rigorosi (Saturnino).
Della
Pergola, Bartolomeo Golfi (attivo a Modena nel 1544)
Bartolomeo
Golfi Della Pergola fu un predicatore itinerante (come, per esempio, anche il
carmelitano Giambattista Pallavicino) dell'ordine dei francescani minoriti,
che diventò particolarmente popolare negli anni '40 del XVI
secolo. Convinto valdesiano, D. aveva anche letto l'arcinoto Beneficio di
Christo, del benedettino Benedetto Fontanini da Mantova, e questa lettura
rinforzò le sue convinzioni, simili a quelle luterane, sulla giustificazione
per fede, sulla grazia, sulla predestinazione e sul libero arbitrio. D.
predicò a Bergamo, su invito del vescovo Vettore Soranzo, ma soprattutto a
Modena durante la quaresima del 1544, inviato dal cardinale Giovanni Morone,
il quale già l'anno prima aveva invitato il predicatore domenicano eterodosso
Bernardo de' Bartoli. La predica di D. raccolse uno straordinario successo
presso diversi strati della popolazione modenese, sia fra i nobili che fra le
persone più umili, permettendo lo sviluppo di una forte comunità luterana,
ulteriormente consolidata dalla guida, negli immediati mesi successivi, del
confratello di D., Bartolomeo Fonzio. Tuttavia tanto successo non poté
passare inosservato da parte delle autorità ecclesiastiche, che, su
indicazione di alcuni domenicani e perfino pressati dall'Inquisizione romana,
imposero a D. una completa ritrattazione pubblica. Questa venne svolta dal
medesimo pulpito nel giugno dello stesso anno ed alla presenza di centinaia
di persone, tutte attente a cogliere qualsivoglia sfumatura non canonica
delle sue parole.
Gomar (o Gomarus), Franz (o Francois)
(1563-1641) e gomaristi
Il teologo Franz Gomar nacque a Bruges,
in Belgio, il 30 gennaio 1563, da una famiglia, che nel 1578 abbracciò la
fede protestante e fu per questo costretta ad emigrare nel Palatinato, in
Germania. G. studiò a Strasburgo, sotto l'insegnamento dell'educatore
riformato Johannes Sturm (1507-1589), successivamente a Neustadt con i
professori riformati Zacharius Ursinus (Zaccaria Ursino)(1534-1583) e
Girolamo Zanchi, cacciati da Heidelberg perché non luterani, ed infine nel
1582 in Inghilterra, e più precisamente ad Oxford con il puritano John
Rainolds (1549-1607) e a Cambridge con il calvinista William Whitaker
(1548-1598). In quest'ultima università G. si laureò nel 1584. Tra il 1587
ed il 1593 G. fu pastore di una chiesa riformata olandese a Francoforte, ma
nel 1594 gli fu offerto il posto di professore di teologia all'università di
Leida, in Olanda. Nel 1602 divenne suo collega Jacob Arminius, successore del
professore di teologia Franz Junius (1545-1602): lo scontro ideologico fra
Arminio, fautore dell'introduzione del libero arbitrio nel calvinismo e G.,
rigido osservante della forma più estrema del calvinismo, il
cosiddetto supralapsarianismo, fu immediato e senza quartiere. La leadership
di G. fu tale che i suoi seguaci assunsero il nome di
gomaristi. Nonostante la strenua opposizione di G., alla morte di Arminio nel
1609, diventò suo successore alla cattedra di teologia, il suo seguace Konrad
von der Vorst (Vorstius) (1569-1622), che pubblicò nel 1610 il
Tractatus Theologicus de Deo, ritenuto da G. un testo eretico [Vorstius
sarebbe stato poi condannato da sinodo di Dort (1618-19) ed espulso
dall'Olanda]. Nel 1611, però, amareggiato per le polemiche sorte con
l'elezione di Vorstius, G. decise di rassegnare le dimissioni per ricoprire
di seguito i ruoli di predicatore di una chiesa riformata a Middleburg nel
1612, poi professore di teologia a Saumur nel 1614 ed infine, dal 1618 fino
alla morte, professore di teologia e lingua ebraica a Groningen. Ciò non
gli impedì, comunque, di partecipare al sinodo di Dort (Dordrecht) nel
1618-19, dove, grazie alla sua influenza, venne condannata ufficialmente la
dottrina arminiana, e di contribuire alla traduzione in olandese del Vecchio
Testamento nel 1633. G. morì a Groningen l'11 gennaio
1641.
Gonesio, Pietro (Piotr Z Goniadze o Petrus Gonesius)
(ca.1530-1570)
L'antitrinitario polacco Pietro Gonesio (nome
umanistico di Piotr Z Goniadze) nacque a Goniadze (circa 50 km. nord ovest di
Bielostok, in Polonia) nel 1530 (o 1525) circa. Egli si distinse da
giovane intervenendo (a favore dei cattolici) nella polemica tra la Chiesa
Cattolica polacca e il dissidente italiano Francesco Stancaro. Apprezzando le
sue capacità dialettiche, il vescovo della Samogizia (la regione occidentale,
lungo la costa baltica, della Lituania) lo inviò all'estero per completare i
suoi studi, ma le tappe scelte da G. accelerarono invece il suo distacco dal
Cattolicesimo: infatti egli studiò a Wittenberg (roccaforte del
luteranesimo), nella calvinista Ginevra, e soprattutto a Padova nel periodo
1552-54 con Matteo Gribaldi Mofa, che gli fece conoscere gli scritti
antitrinitari di Miguel Servet e lo convertì a questa dottrina. G. rimase poi
per un certo tempo a Padova come professore di logica. Ritornato in
patria, G. inizialmente aderì alla Chiesa Riformata Polacca (fondata da Jan
Laski), ma già nel secondo sinodo del gennaio 1556, egli espresse forti
concetti antitrinitari, criticando il credo niceno e anastasiano e rigettando
il dogma della Trinità e della consustanziazione come un'invenzione
dell'uomo. Fu quindi mandato a Wittenberg nella speranza di Filippo Melantone
lo convincesse del suo errore, ma il brillante discepolo di Lutero nulla poté
contro le convinzioni di G., che rispedì prontamente indietro in
Polonia. L'azione di G. fu rinforzata nel 1558 dall'arrivo di Gribaldi Mofa e
di Lelio Sozzini, che formarono una comunità, soprattutto di esuli italiani,
a Pinczòw vicino a Cracovia. Ma nello stesso anno, in dicembre, un
intervento di G. al sinodo di Brzesk contro il battesimo dei bambini (assieme
al pacifismo, al rifiuto delle armi, delle responsabilità pubbliche e
della proprietà privata, questo era un concetto da lui preso in prestito
dagli anabattisti, dopo averli visitati in Moravia) gli valse una
minaccia ufficiale di scomunica. G. non si uniformò, anzi con la potente
protezione di Jan Kiszka, il magnate o atarost (proprietario terriero) della
Samogizia, in territorio lituano, fondò a Wengrow, nei possedimenti di
Kiszka, la prima chiesa antitrinitaria in Polonia e una stamperia per
diffondere gli scritti antitrinitari. In seguito egli avrebbe costruito circa
venti nuove chiese nei suddetti territori. Nel 1565, alla dieta di
Piotrkòw della Chiesa Riformata Polacca, fu decretata l'esclusione degli
antitrinitari, e quindi si consumò lo strappo tra una ecclesia major
calvinista ed una ecclesia minor di fede antitrinitaria. Quest'ultima,
fino alla morte di G. avvenuta presumibilmente nel 1570, mantenne le
caratteristiche ariane (in particolare il concetto che Cristo era
pre-esistito alla creazione del mondo e quindi era giusto adorarlo)
e anabattiste, datale da G., ma in seguito, soprattutto dopo l'arrivo
di Fausto Sozzini nel 1579, si uniformò alla dottrina unitariana del
teologo italiano.
Gonzaga Colonna, Giulia, contessa di Fondi
(1513-1566)
I primi anni Giulia Gonzaga, una delle più belle
donne del `500, nacque a Gazzuolo (in provincia di Mantova) nel 1513, settima
dei figli di Ludovico Gonzaga (m. 1540), conte di Sabbioneta, e di Francesca
Fieschi. Giovanissima (a soli 13 anni), G. andò sposa nel 1526 al conte
Vespasiano Colonna (1480-1528), conte di Fondi (in provincia di Latina) e
duca di Traetto (oggigiorno Minturno, sempre in provincia di Latina), che
però la lasciò vedova dopo tre anni. G. respinse da quel momento ogni
offerta di matrimonio e si dedicò con grande impegno e saggezza alla
trasformazione del suo palazzo in un centro di elevata cultura tanto da
richiamare i più illustri personaggi del Rinascimento, come Ludovico Ariosto
(1474-1533) (che dedicò un'ottava nel suo celebre Orlando Furioso alla
bellissima Giulia), Annibale Caro (1507-1566), Francesco Berni (1497-1535),
Pier Paolo Vergerio, il conte Fortunato Martinengo, ecc.
Il
tentativo di rapimento La fama della sua bellezza [immortalata da famosi
pittore come Sebastiano del Piombo (1485-1547) ed Agnolo di Cosimo Allori,
detto il Bronzino (1503-1572)] e della sua intelligenza fece concepire al
famigerato corsaro Khayr al-Din (m. 1546), detto il Barbarossa, la folle idea
di un tentativo di rapimento della contessa per portarla in dono al sultano
Solimano II il Magnifico (1520-1566). Secondo altre fonti, invece, il corsaro
era stato prezzolato dalla famiglia Colonna [molto probabilmente l'anima nera
era la figliastra Isabella Colonna (1513-1570), nata dal primo matrimonio
di Vespasiano], che, eliminata così la parente acquisita, voleva rientrare
in possesso dell'asse ereditario del defunto Vespasiano Colonna. L'attacco
del Barbarossa ebbe luogo la notte tra l'8 ed il 9 agosto 1534, quando il
corsaro assalì Fondi, ma G., avvertita in tempo, si diede alla fuga. Il
mancato rapimento spinse il corsaro a sfogare la sua rabbia con il saccheggio
di Fondi ed il massacro dei suoi abitanti. Stessa sorte toccò a Borgo di
Sperlonga, mentre ad Itri il Barbarossa incontrò una strenua resistenza da
parte degli abitanti, che fecero desistere il corsaro, preoccupato anche per
uno scontro armato con l'esercito di 5-6 mila uomini, messo in campo da Papa
Clemente VII (1523-1534) e il cui comando era stato affidato al cardinale
Ippolito de' Medici (1511-1535). Quest'ultimo nutriva una grande passione
amorosa per la bellissima contessa [nel famoso ritratto eseguito da Tiziano
(1490-1576) si nota sul cappello del cardinale un fermaglio, simbolo di
un'impresa d'amore per Giulia] e proprio nei possedimenti di G. il cardinale,
in procinto di partire per Tunisi per raggiungere l'imperatore Carlo V
(1519-1556), morì, molto probabilmente per avvelenamento [il mandante si
ipotizza fosse il cugino invidioso Alessandro de' Medici, duca di Firenze
(1523-1527 e 1531-1537)] il 10 agosto del 1535.
L'incontro con
Valdès Quattro mesi dopo la morte del cardinale Ippolito de' Medici, la
contessa si ritirò nel convento annesso alla chiesa di S. Francesco delle
Monache a Napoli. E qui avvenne l'episodio che fece sì che G. potesse
essere annoverata tra i simpatizzanti alla Riforma protestante, e cioè
l'incontro con Juan de Valdès, avvenuto durante le prediche quaresimali del
1536, tenute da Bernardino Ochino. Il grande pensatore spagnolo la considerò
sempre come la sua erede spirituale e le dedicò la sua opera principale
l'Alfabeto cristiano. Le affidò inoltre tutti i suoi scritti, alla sua
morte sopraggiunta nel 1541 e G. li inviò alla fine del 1541 a
Marcantonio Flaminio, allora residente a Viterbo, per farli tradurre, sentito
anche il parere del cardinale Reginald Pole. Nel periodo 1547-52, Pietro
Carnesecchi, grande amico e confratello in fede di G., venne trasferito in
Francia in qualità di diplomatico al servizio del duca Cosimo I de' Medici
(duca di Firenze: 1537-1569 e granduca di Toscana: 1569-1574): iniziò così un
lungo e intenso carteggio con la contessa di Fondi, considerato un documento
fondamentale per la comprensione delle idee degli spirituali valdesiani. I
due furono i motori propulsori della rete di solidarietà, stesa per cercare
di proteggere gli evangelici, come, ad esempio Bartolomeo
Spadafora, Apollonio Merenda, Mario Galeota (stretto collaboratore della G.),
il vescovo Vittore Soranzo, il cardinale Giovanni Morone, la
nobildonna Isabella Bresegna (o Brisegna), moglie di don Garcia Manrique,
governatore di Piacenza, tutti coinvolti nelle persecuzioni del Grande
Inquisitore Gian Pietro Carafa, poi Papa Paolo IV (1555-1559). Ma la stessa
G. non fu esente da inchieste dell'Inquisizione, come nel 1553, quando inviò
una lettera al cardinale Ercole Gonzaga (1505-1563) per scagionarsi della
proprietà degli ultimi scritti del Valdès. Dopo la morte nel 1558 di
Reginald Pole, il livello delle inchieste dell'Inquisizione si alzò di tono:
G. decise comunque di rimanere al suo posto nel convento di San Francesco
delle Monache a Napoli nonostante una lettera di Carnesecchi, che recitava
letteralmente che il Papa attende ad empiere le prigioni di cardinali e
vescovi per conto dell'Inquisitione. Infine la contessa di Fondi spirò
all'età di 53 anni, il 16 aprile del 1566, sempre nel suo convento
napoletano. Purtroppo la scoperta del suo ricco carteggio con Carnesecchi
mise definitivamente nei guai l'ex protonotario fiorentino, che, su richiesta
di Papa Pio V (1566-1572), l'ex inquisitore Michele Ghisleri, venne arrestato
per ordine di Cosimo de' Medici, indi processato e bruciato sul rogo a Ponte
Sant'Angelo il 1 ottobre 1567.
Goslar, eretici di
(1052)
Nel 1052, avvenne un curioso episodio in Germania
settentrionale, nella cittadina di Goslar (in Sassonia): un gruppo di uomini
furono inquisiti per essersi rifiutati di uccidere un pollo! E' probabile
che l'accusa tendesse ad associare questo atto alla pratica vegetariana dei
manichei. Comunque l'episodio ebbe un tragico epilogo, in quanto l'imperatore
Enrico III (1039-1056) fece condannare all'impiccagione questi presunti
eretici.
Gotescalco (Gottschalk) di Fulda (o di Orbais) (ca. 801- ca.
869)
Gotescalco, teologo medioevale, nacque in Sassonia nel 801
ca. da un nobile di nome Berno, il quale, seguendo la tradizione medioevale
della oblazione, mise il figlio ancora bambino nel convento di Fulda per
essere allevato e fatto monaco. G. cercò di opporsi a questo destino, ma
l'abate del convento e suo superiore, Rabano Mauro (ca,784-856), lo obbligò a
prendere i voti: tuttavia, in un secondo tempo, G. fuggì da Fulda e ottenne
dal Concilio di Mainz del 829 una dispensa dai voti, contro la quale Rabano
si oppose. Fra i due si arrivò alla fine ad un compromesso: G. fu costretto
alla vita di monaco, ma non a Fulda, bensì nel monastero di Orbais nella
diocesi di Soissons, nella Francia settentrionale, dove G. studiò e si
appassionò alle dottrine di Sant'Agostino, particolarmente quelle che si
riferivano alla predestinazione. G., riprendendo gli scritti di Agostino,
era convinto che alcuni uomini sarebbero destinati alla salvezza ed altri
alla dannazione, non per i loro meriti o colpe, ma per volontà divina e che
quindi Cristo era venuto sulla terra solo per annunciare che non tutti gli
uomini erano destinati alla perdizione. Inoltre, questa teoria rendeva
superflua la mediazione della Chiesa, poiché tutto era già stato deciso da
Dio. Le dottrine di G. furono ben presto contestate e confutate sia da
Ratramno di Corbie che da Giovanni Scoto Eriugena, ma ambedue i teologi
caddero in eresie di tipo diverso: Ratramno sviluppò la teoria della
duplice predestinazione, in cui solo la salvezza dei buoni era predestinata
da Dio, mentre la dannazione dei cattivi derivava dal fatto che Dio prevedeva
i relativi peccati. Questa teoria venne poi ripresa con qualche variante da
Incmaro vescovo di Reims. Scoto Eriugena, invece nella sua opera De
praedestinatione, fu ancora più radicale: poiché Dio era eterno, la
predestinazione o la previsione erano la stessa cosa: Dio predestinava alla
dannazione, perché prevedeva i peccati, e predestinava alla salvezza perché
prevedeva i meriti. Inoltre la dannazione e l'inferno non esistevano, perciò
tutti potevano salvarsi, una variante dell'apocatastasi, dottrina già
condannata dal Concilio di Costantinopoli del 543.
Le dottrine di
G. furono da lui propugnate in due viaggi in Italia, tra i quali trovò il
tempo di farsi ordinare sacerdote. Tuttavia il suo avversario di sempre,
Rabano lo denunciò come eretico e G. fu obbligato a comparire davanti al
concilio di Mainz del 848 e di Quiercy sur l'Oise del 849, quest'ultimo
convocato dal suo vescovo, il sopracitato Incmaro di Reims. In quest'ultimo
sinodo, G. fu fustigato pubblicamente e successivamente condannato alla
reclusione a vita nel monastero di Hauptvilliers, dove morì ca. vent'anni
dopo, nel 869.
Soranzo, Vittore (o Vettore), vescovo di Bergamo
(1500-1558)
Vittore (o Vettore) Soranzo, era nato a Venezia nel
1500, primogenito del patrizio Alvise Soranzo e della moglie Lucia Cappello,
ed aveva studiato a Padova. Uscito dall'università, egli intraprese la
carriera ecclesiastica e fu nominato cameriere segreto di Papa Clemente VII
(1523-1534), ma in seguito conobbe importanti figure dell'evangelismo e
riformismo italiano, come Giovanni Morone, Alvise Priuli, Pietro Carnesecchi,
Vittoria Colonna, attraverso i quali venne a contatto con le idee di Juan de
Valdés. Dopo la dissoluzione dei circoli valdesiani, S. abitò, tra la fine
del 1541 e l'inizio del 1542, nella casa viterbese del cardinale Reginald
Pole, dove fece la conoscenza di altri pensatori eterodossi come Apollonio
Merenda e Marcantonio Flaminio, e studiò, apprezzandolo, il Beneficio di
Christo di Benedetto Fontanini da Mantova. Tuttavia, pur sentendo il fascino
delle idee dell'ambiente dei circoli di Valdès e di Pole, S. non avvertì mai
la necessità di doversi distaccare dalle istituzioni ecclesiastiche
cattoliche, e mantenne quindi un atteggiamento abbastanza
nicodemitico. Amico e allievo del cardinale Pietro Bembo, fu da questi
delegato a subentrare come vescovo della diocesi di Bergamo, nel cui ruolo si
installò nel 1544. Pio, onesto e favorevole al dialogo con la Riforma, S.
diede immediatamente luogo ad una decisa svolta nella lotta contro gli abusi
ed i vizi del clero bergamasco, e chiamò a predicare un minorita itinerante
alquanto eterodosso, Bartolomeo Golfi Della Pergola, favorevole alla
giustificazione per fede, ma nel contempo le sue azioni gli inimicarono i
Rettori, cioè le autorità civili locali. Infatti, benché nel 1549 S.
avesse aperto e presieduto, lui stesso, un tribunale dell'Inquisizione
[venne, tra gli altri, condannato a morte in contumacia nel 1551 il medico
calvinista Guglielmo Gratarolo (1516-1568)], ebbe comunque luogo una velenosa
campagna di calunnia nei suoi confronti: mediante anonimi opuscoli, lo si
accusò di eresia luterana, assieme al notaio Giorgio de Vavassori (o
Vavassoribus) di Medolago (o più semplicemente Giorgio Medolago) (1483-ca.
1551). Questi era già stato inquisito per luteranesimo e imprigionato nel
1536 per ordine del vescovo Pietro Lippomano, ma i familiari e amici (i
Vavassori di Medolago erano una conosciuta e potente dinastia di notai a
Bergamo) avevano assaltato la prigione di Santo Stefano, liberandolo e
permettendogli di fuggire a Venezia. Rientrato a Bergamo nel 1549, Giorgio de
Vavassori si trovò coinvolto appunto in questa campagna antiluterana contro
il vescovo della città, complicata dall'arrivo nel 1550 del fanatico
Inquisitore fra Michele Ghisleri, il futuro papa Pio V (1566-1572), il quale,
in un primo momento, dovette ignominiosamente battere in ritirata,
abbandonando Bergamo con un cavallo preso in prestito, poiché si trovò in
grave pericolo di vita a causa dell'ostilità dei bergamaschi. Questi erano
stati sobillati dal clan dei Vavassori, in seguito al nuovo arresto e
trasferimento del loro congiunto nelle carceri di Venezia, dove in seguito
morì. Tuttavia Ghisleri non era certo uno che mollava facilmente la presa,
quando sentiva odore di eresia: continuò quindi a raccogliere testimonianze e
prove contro S., che riuscì a far arrestare nel 1551 e rinchiudere a
Castel Sant'Angelo, a Roma. Particolarmente compromettente fu il ritrovamento
di un quaderno del vescovo, con la trascrizione dei testi della
Confessio Augustana e della Praefatio in Novum Testamentum di Lutero, le
copie di varie lettere, come quelle da Lutero a Baldassarre Altieri d'Aquila,
o di Bucero ai "fratelli italiani" e altre letture proibite. S. fu
processato a Roma, ma assolto dal Santo Uffizio, venne reintegrato nella sua
diocesi nel 1554. Tuttavia, dopo tre anni, egli fu nuovamente inquisito in
seguito all'arresto del cardinale Morone nel 1557. Nell'aprile di quell'anno,
il papa Paolo IV (1555-1559) dichiarò nulli tutti gli atti di S. come vescovo
di Bergamo e considerò la sede vacante dal 1547, in quanto il privilegio a
S., concesso dal Bembo ad beneplacitum nostrum, era venuto a decadere con la
morte di quest'ultimo in quell'anno. Comunque S. morì nel 1558 senza che si
potessero prendere ulteriori provvedimenti contro di lui.
Grebel,
Conrad (ca.1498-1526)
Conrad Grebel, uno dei fondatori del
movimento anabattista, nacque nel 1498 ca. da una famiglia patrizia di
Zurigo. Il padre, Jakob, un ricco commerciante di ferro, ricopriva spesso
incarichi ufficiali nel consiglio cittadino. G. ebbe un'ottima istruzione
studiando a Basilea nel 1514 con l'umanista Heinrich Loriti, detto Glareano
(1488-1563), poi per tre anni a Vienna con l'umanista Joachim von Watt, detto
Vadiano (1484-1551). Alla fine dei suoi studi viennesi, nel 1518, G. si
trasferì a Parigi, dove però fu molto svogliato e non completò nessun corso
di laurea: dopo due anni, rientrò a Zurigo con una buona cultura di base, ma
senza un titolo di studio. Nella sua città natale, G., in perenne contrasto
con il padre per motivi economici, si sposò nel 1522 con una ragazza di umili
origini e nello stesso anno iniziò a frequentare i circoli umanistici che
gravitavano intorno a Zwingli. Questa frequentazione trasformò il giovane,
alquanto indifferente alle problematiche religiose, in un fervente
collaboratore del riformista zurighese. Tuttavia, già nel Gennaio 1523, G.
ed altri, come Felix Mantz, Wilhelm Reublin, Hans Brötli e Simon Stumpf,
cominciarono a contestare la linea riformista di Zwingli. In particolare la
materia del contendere era la superiorità della Sacra Scrittura, propugnata
da G. e compagni, rispetto all'autorità dello stato, voluto da Zwingli, che
lavorava per ottenere il consenso unanime del corpus christianum, inteso come
l'unità dei fedeli. Il 26-28 Ottobre 1523, durante un dibattito pubblico,
organizzato dal Consiglio cittadino, avvenne lo scontro tra G. e Zwingli, in
particolare quando si toccò il punto delicato dell'opportunità, dei tempi e
metodi di abolizione della Messa: la prudenza di Zwingli, che desiderava il
consenso del Consiglio stesso, non soddisfaceva G. più portato a decisioni
radicali ed immediate. Anche i moti popolari contro la lentezza delle
riforme, scoppiati in Dicembre 1523, non fecero altro che fornire alle
autorità cittadine il pretesto per espellere Simon Stumpf. Nel 1524 il
gruppo di G. cercò di uscire dal proprio isolamento, presentando a Zwingli un
progetto di riforma politica, prontamente respinto, e scrivendo una lettera a
Thomas Müntzer per chiedere un confronto sulle rispettive posizioni radicali:
non risulta che il riformatore tedesco abbia
mai risposto. Contemporaneamente si sviluppò la polemica sul battesimo
degli infanti: l'impulso di rigettare il battesimo dei bambini, come
polemica anti-clericale contro i riti della "vecchia" Chiesa, venne da
episodi avvenuti, nella primavera-estate 1524, in due villaggi vicino a
Zurigo, Zollikon, dove operava Johannes (Hans) Brötli, e Wytikon, dove era
pastore Wilhelm Reublin. G. prese spunto da questi episodi per rifiutarsi
di far battezzare il suo bambino, appena nato. La cosa suscitò un grande
scalpore: il rifiutare il battesimo equivaleva a negare al bambino
l'appartenenza alle comunità, sia sociale che cristiana, che a quel tempo
coincidevano nel già menzionato corpus christianum. Si pervenne quindi ad
una disputa pubblica il 10 e 17 Gennaio 1525 tra il gruppo di G., da poco
rinforzato dall'ex sacerdote Jörg Blaurock, e i riformatori svizzeri nelle
persone di Zwingli e Johann Heinrich Bullinger. Ma il risultato fu scontato:
il Consiglio cittadino censurò la posizione del gruppo di G., ordinando il
battesimo immediato di tutti i bambini entro otto giorni dalla loro
nascita. Il 21 Gennaio 1525, sfidando il divieto delle autorità cittadine,
15 anabattisti si riunirono in casa di Felix Mantz, e presero la decisione
di procedere al proprio ribattesimo, cosa che fecero la notte stessa: fu G.
a battezzare Blaurock, che poi ribattezzò gli altri. In seguito
gli anabattisti si trasferirono a Zollikon, dove fondarono la comunità
dei "Fratelli in Cristo". La frattura era avvenuta e la reazione dei
riformatori ortodossi non si fece attendere: il Consiglio cittadino fece
arrestare ed interrogare a più riprese, con una severità sempre più
crescente, gli anabattisti. L'episodio più significativo fu la protesta della
comunità di Grüningen, un distretto vicino a Zurigo, dove lo scontento
popolare fu fomentato proprio dai capi anabattisti Blaurock, G, e Mantz,
arrestati e inviati a Zurigo. Qui si tenne il 6-8 Novembre 1525 un'ulteriore
disputa tra gli anabattisti e Zwingli, che, scontento per l'ostinata
posizione degli avversari, li fece condannare dal Consiglio, il 18 Novembre,
a rimanere in carcere. Il 5 e 6 Marzo 1526, dopo quattro mesi di duro
carcere, il Consiglio cercò di fiaccare la resistenza degli arrestati (i tre
sopramenzionati più altri 14 compagni) condannandoli al carcere a pane e
acqua, finché essi non avessero ritrattato, ma 15 giorni dopo, approfittando
di una clamorosa distrazione, gli anabattisti riuscirono ad evadere. G. si
diresse da solo a casa di sua sorella, che abitava nel Cantone Grigioni, a
Maienfeld. Giuntovi stanco e malato, morì di peste poco dopo, probabilmente
nel Luglio 1526, all'età di soli 28 anni.
Greenwood, John (m.
1593)
Il congregazionalista John Greenwood, un prete anglicano di
Norfolk, si rifiutò nel 1583 di aderire all'uso del Book of Common Prayer
(libro delle preghiere comuni), il libro ufficiale dei rituali della Chiesa
Anglicana, il cui uso era stato imposto dall'arcivescovo di Canterbury, John
Whitgift (ca. 1530-1604). G. decise quindi di trasferirsi a Londra, vicino
alla cattedrale di San Paolo, per entrare in una congregazione di separatisti
o indipendenti, la setta fondata da Robert Browne nel 1581. Nel ottobre
1587 G. e venti altri suoi confratelli furono arrestati, a causa del
tradimento di un certo Clement Gamble e chiusi in prigione. Qui nel novembre
1587 lo venne imprudentemente a trovare per solidarietà Henry Barrow, che,
riconosciuto, venne a sua volta arrestato e rinchiuso nella stessa
prigione. Dalla galera, durante i cinque anni successivi, Barrow e G.
riuscirono a far uscire clandestinamente diversi scritti e perfino ad entrare
in polemica con Browne, da loro definito un traditore e un apostata, sebbene
le loro convinzioni erano piuttosto simili. Browne, a sua volta, scrisse
contro le loro convinzioni nel 1587-88 il polemico trattato Reproofe of
certaine schismalical persons and their doctrine touching the hearing and
preaching of the word of God (Riprova di certe persone scismatiche e delle
loro dottrina riguardante l'ascolto e la predica della parola di Dio). Nel
marzo 1593 Whitgift pervenne ad una decisione e fece condannare Barrow e G.
per aver scritto e diffuso libri sediziosi. Entrambi furono quindi impiccati
il 6 aprile 1593.
Gribaldi Mofa, Matteo
(1506-1562)
La vita Matteo Gribaldi Mofa nacque a Chieri,
vicino a Torino, nel 1506. Dopo la laurea, divenne professore di diritto
civile all'Università di Padova, dove si accostò alle idee riformiste dopo
aver letto il Trattato del Battesimo e della Cena del frate minorita Camillo
Renato (alias Paolo Ricci). Nel proprio ruolo di docente, fu quindi in grado
di influenzare e convertire diversi discepoli, fra cui, più tardi (1552-54),
il polacco Pietro Gonesius (Goniadz). Come apprezzato professore
universitario, G. svolse la sua attività sia in Italia (Padova e Perugia) che
in Francia (es. Grenoble). Durante il suo soggiorno in quest'ultima città
francese, G. acquistò nel 1535 ca. il castello di Farges, nel Pays de Gex, al
tempo sotto la giurisdizione del Cantone Berna. La sua attività accademica
lo costrinse spesso ad un faticoso pendolarismo tra Grenoble, Farges, Padova
(alle sue lezioni assisteva spesso il vescovo di Capodistria, Pier Paolo
Vergerio e nella città patavina egli strinse rapporti di amicizia con Lelio
Sozzini, figlio del suo collega Mariano Sozzini) e Torino, dove viveva la
famiglia. Riuscì comunque a pubblicare nel 1541 il suo De methodo ac ratione
studendi libri tres, uno dei primi esempi d'approccio metodologico agli studi
giuridici. Nel 1546 G. partecipò ai Collegia Vicentina, le riunioni di
tradizione antitrinitaria, e nel 1548 rimase colpito dalla vicenda di
Francesco Spiera, l'avvocato di Cittadella (Padova) convertito alla dottrina
riformista e costretto ad abiurare, poi morto per la disperazione dell'atto
compiuto, triste episodio raccontato anche da Celio Secondo Curione.
Sull'argomento G. scrisse nel 1549 una Historia de quondam quem hostes
Evangelii in Italia coegerunt abijcere agnitam veritatem, basata sui diversi
colloqui che il giurista ebbe direttamente con lo Spiera. Questa
straziante agonia accelerò la decisione di G. di recarsi nel 1552 nella
Ginevra calvinista, dove continuò la sua opera di docenza presso la locale
università. Ma nel 1553 egli prese una posizione coraggiosa nel caso Serveto,
visitando lo sfortunato antitrinitario in prigione, manifestando il suo
accordo in materia dogmatica con il pensiero del medico spagnolo e
chiedendo inutilmente un colloquio a riguardo con Calvino. Successivamente,
indignato per la morte sul rogo del Serveto, egli scrisse (in forma
anonima) l'Apologia pro Serveto, corretto e commentato da Curione e
pubblicato a Basilea. Nello stesso periodo G. ospitò un altro contestatore
italiano di Calvino, Giovanni Valentino Gentile, che, povero in canna, fu
aiutato da G. fino al suo arresto da parte del balivo di Gex, al quale
Gentile fece in seguito un'inopportuna dedica su un suo scritto sulla sua
fede antitrinitariana: la cosa ovviamente fece andare su tutte le furie il
magistrato svizzero. Nel 1555 un ulteriore tentativo di incontro con Calvino
(per la verità richiesto da Calvino stesso) ebbe un epilogo negativo (il
riformatore ginevrino si rifiutò di stringergli la mano, se G. non avesse
cambiato idea sulla propria dottrina religiosa) e da questo momento Calvino
si mise a perseguitare il giurista torinese. Nel frattempo, i suoi scritti
religiosi gli costarono il licenziamento dall'università di Padova e quindi
G. fu lieto di accettare l'invito [su suggerimento di Bonifacio Amerbach
(1495-1562) e di Pier Paolo Vergerio] del Duca Christoph del Württemberg
(1550-1568) di recarsi ad insegnare all'università di Tübingen (in Germania),
ma anche qui non ebbe vita facile: infatti, dopo solo sei mesi, nel giugno
1557, fu convocato dal senato del Württemberg, in seguito alle perplessità
sulla sua fede, in materia di Trinità, proprio da parte di Vergerio, istigato
dal solito Calvino. G. dapprima chiese tre settimane di tempo per preparare
la sua difesa, ma poi improvvisamente, consigliato da amici a corte, decise
di fuggire da Tübingen per rifugiarsi nel suo castello di Farges. Tuttavia
anche qui fu raggiunto dalla lunga mano della giustizia: fu infatti arrestato
dalle autorità di Berna (nella cui giurisdizione stava Farges) sotto l'accusa
di triteismo, a causa del materiale compromettente trovato nella sua
biblioteca di Tübingen e dei libretti di propaganda, che egli faceva
diffondere nel Bernese. Dopo un periodo di quaranta giorni in prigione, egli
dovette firmare un atto di fede e in seguito venne espulso, per un breve
periodo, dal territorio della repubblica di Berna nel 1557. Infatti, già nel
1558, G. era di ritorno a Farges, da dove inviò delle missive al senato di
Tübingen, nell'inutile tentativo di farsi riaccettare come docente
all'università: fu il Vergerio in persona, che, avendo analizzato la
confessione di fede inviata al senato, consigliò di respingere la
richiesta. G. tornò quindi a Grenoble ad insegnare come professore e qui morì
di peste nel 1564.
La dottrina Come viene evidenziato dal suo
scritto Religionis christianae progymnasmata, G. fu un propugnatore del
triteismo (dottrina poi confluita nell'antitrinitarismo) funzionale, che
diffondeva la nozione che le tre persone della Trinità erano tre spiriti o
sostanze spirituali, con il Figlio e lo Spirito Santo inferiori a Dio Padre,
unico vero Dio e fonte della divinità. Questa dottrina è stata anche definita
monoteistica emanistica.
Pomponazzi, Pietro
(1462-1525)
Pietro Pomponazzi nacque a Mantova nel 1462 e si
laureò in medicina all'università di Padova nel 1487. Nel 1488 P. divenne
professore di filosofia allo stesso ateneo, opponendosi alla corrente
averroistica, rappresentata dai filosofi Nicoletto Vernia (1420-1499) e
Alessandro Achillini (1463-1512) e che propendeva per una interpretazione
della filosofia aristotelica nella forma più aderente alla versione originale
e senza implicazioni teologiche. P. invece favoriva l'interpretazione
materialista data dai commentari di Alessandro di Afrodisia (attivo 198-211)
e perciò egli venne considerato il fondatore della cosiddetta corrente
alessandrista. Nel 1511 P. fu nominato a Bologna professore ordinario di
filosofia e qui pubblicò nel 1516 il suo Tractus de immortalitate animae,
dove egli negò l'immortalità dell'anima: questa per P. era solamente il
soffio vitale che permetteva al corpo di agire e pensare: essa moriva con la
morte del corpo stesso. Questa tesi suscitò vive polemiche e il libro fu
dato alle fiamme a Venezia per ordine del doge stesso, mentre P., nonostante
la difesa da parte di Pietro Bembo, suo ex allievo, fu condannato da Papa
Leone X (1513-1521) a ritrattare queste tesi nel 1518. A propria difesa,
comunque, P. aveva già scritto nel 1517 la Apologia, seguita nel 1519 dal
Defensorium adversus Augustinum Niphum, contro gli attacchi del filosofo
avveroista Agostino Nifo (1470-1538). Nonostante tutto, P. poté
successivamente completare altre due importanti opere: il De naturalium
effectuum causis sive de incantationibus liber (1520) in cui attaccò la
superstizione dei miracoli, considerati parte di un disegno astrologico, e il
De fato, libero arbitrio, praedestinatione et providentia Dei, libri quinque
(1523), in cui venne sostenuto che tutto è governato dal fato. Tuttavia
l'amarezza di non poter pubblicare questi ultimi testi, come anche quelli di
molte sue lezioni universitarie, in quanto già troppo compromesso con
l'Inquisizione, portò P. alla depressione e al suicidio nel 1525. Un altro
suo ex allievo Giovanni Grillenzoni avrebbe fondato, qualche anno dopo,
l'Accademia Modenese, che riuniva i principali notabili della città, come, ad
esempio, Filippo Valentini, Ludovico Castelvetro ed il
professore universitario Francesco Porto (1511-1581), per discutere di
teologia, ma anche per studiare e commentare le Sacre
Scritture,
Niclaes (o Niclas), Hendrik (o Heinrich) (ca.1502-
ca.1580) e Famiglia d'amore o familisti e grindletoniani
La
vita I dati sulla nascita di Hendrik Niclaes sono alquanto confusi: egli
nacque il 9 o 10 Gennaio 1502 (o forse 1501), probabilmente a Münster,
dove comunque visse nella prima parte della sua vita come merciaio. Da
piccolo fu soggetto a visioni mistiche e all'età di 27 anni, essendosi
accostato alle dottrine riformiste, fu imprigionato con l'accusa di
eresia. Dopo la sua liberazione dovuta per mancanza di prove, N. emigrò con
la sua famiglia ad Amsterdam, dove però fu nuovamente imprigionato con
l'accusa di essere stato complice nella famosa rivoluzione anabattista di
Münster (1534-1535). In seguito N. si dedicò ad una vita, simile a quella
seguita nel secolo successivo dai pietisti. Nel 1539-40 N. ebbe una visione
di Dio, che riversava su di lui lo spirito del vero amore di Gesù Cristo,
secondo le sue parole. La stessa visione lo sollecitò a fondare una comunità
denominata Famiglia d'amore (Familia caritatis) (solo omonimo del movimento
odierno, fondato nel 1968 da David Brandt Berg): si trasferì quindi nella
remota provincia della Frisia orientale, ad Emden, dove visse per
vent'anni, viaggiando spesso, in Olanda, Fiandre, Francia e Inghilterra, sia
per motivi legati alla sua professione di merciaio che per motivi
religiosi. Il suo credo religioso, come tracciato nel suo principale
libro Un'introduzione alla Santa Comprensione dello Specchio di Giustizia,
era infatti una miscela di varie dottrine: L'antinomianismo (o
antinomismo): le leggi dell'uomo non erano più valide per chi aveva ottenuto
il perfetto stato di grazia divina. Questo spirito divino, secondo il
concetto antinomiano di N., metteva la comunità e suoi adepti al di sopra
della Bibbia, dei Credi, della liturgia e delle leggi. In questo senso, anche
le dottrine della setta medioevale dei Fratelli del libero spirito non gli
erano certo estranee, Il panteismo mistico, e L'anabattismo (per entrare
nella comunità bisognava essere ribattezzati), quest'ultimo derivato
dall'influenza di David Joris. Tuttavia, poiché N. e suoi seguaci non
seguivano alcuna particolare forma di liturgia, molti di loro, compreso lo
stesso N. continuavano a ritenersi parte della Chiesa Cattolica.
Contemporaneamente essi osservavano una stretta forma di nicodemismo (il
praticare di nascosto un credo religioso, adeguandosi in pubblico a seguire
quello ufficiale), che non favorì certo la diffusione della setta, rimasta
sempre confinata a livello di parenti e amici intimi degli
adepti. Tuttavia la propaganda di N. non poté passare inosservata per sempre
e circa vent'anni dopo, nel 1560, egli dovette fuggire per evitare l'arresto
da parte delle autorità di Emden. A quel punto N. condusse una vita
errante, risiedendo a Kampen, Utrecht, in Inghilterra fino al 1569, ed
infine, dal 1570, a Colonia. E fu proprio a Colonia, dove pare N. morì nel
1580 circa.
La Famiglia d'Amore e i familisti La dottrina di N.
sopravvisse al suo ideatore almeno fino al 1604 sotto forma di comunità di
familisti segretamente costituite e sparse in Olanda, Germania, Francia e
Fiandre. Un caso a parte furono i familisti in Inghilterra, il cui capo
Christopher Vitel tradusse molti degli scritti di N. in inglese. Nel 1574
e nel 1580 il governo inglese di Elisabetta I (1558-1603) procedette contro i
familisti, condannando i loro libri e imprigionando gli aderenti.
Particolarmente accanito nella persecuzione nei loro confronti fu il
predicatore puritano John Knewstub (1544-1624). Tuttavia la setta non
scomparve, come testimoniano le petizioni, non accolte, indirizzate dai
familisti al successivo re Giacomo I (1603-1625), il quale comunque accusava
questa setta di essere tra i principali responsabili della nascita del
Puritanesimo. Un caso a parte di familismo fu la setta denominata dei
grindletoniani, dal paese di Grindleton, nella contea inglese dello
Yorkshire, influenzata dalle prediche del pastore Roger Brerely (m. 1637) e
attiva dal 1610 al 1630 circa e i cui collegamenti con i familisti sembrano
abbastanza accertati, particolarmente per quanto concerne la dottrina
antinomiana. Brerely infatti predicava che la dottrina del Vangelo insegnava
non quello che dobbiamo fare a Dio, ma casomai quello che noi dobbiamo
ricevere da Lui. Anche il reverendo John Pordage, fondatore della Società dei
Filadelfi, fu influenzato dal familismo e durante il periodo storico
repubblicano del Commonwealth (1649-1658) di Oliver Cromwell, diversi libri
familisti furono ristampati: si ritiene che per il suo famoso libro Pilgrim's
Progress lo scrittore battista John Bunyan abbia tratto ispirazione da alcuni
concetti familisti. Infine durante la Restaurazione (dopo il 1660), la
setta scomparve, fagocitato da gruppi radicali come i Quaccheri, (George Fox,
il fondatore, disse di aver convertito molti familisti alla sua causa)
Battisti e Unitariani, e all'inizio del diciottesimo secolo, gli autori
riferirono di solo un anziano adepto ancora in vita.
Grozio, Ugo
(De Groot, Huig) (1583-1645)
La vita Il grande giurista e
filosofo Ugo Grozio (forma italianizzata di Huig De Groot) nacque il 10
aprile 1583 a Delft, in Olanda, da Jan De Groot, sindaco di Delft e curatore
dell'università di Leida, discendente da una famiglia nobile di lontane
origini francesi. Bambino prodigio, già all'età di 8 anni G. componeva versi
in latino e, a 11 anni, iniziò a frequentare l'università di Leida, dove si
laureò a soli 15 anni, nel 1598. Nello stesso anno egli accompagnò l'Avvocato
Generale dello Stato Jan Van Oldenbarnevelt in missione diplomatica in
Francia, dove fu benevolmente accolto dal re Enrico IV (1589-1610) come il
miracolo d'Olanda. Nel 1599, rientrato in Olanda, G. iniziò a lavorare come
avvocato all'Aia per la Compagnia Olandese delle Indie Orientali, voluta da
Van Oldenbarnevelt, ma questa attività non gli impedì di scrivere e
pubblicare nel 1610 la storia delle origini della repubblica olandese con il
titolo di De Antiquitate Reipublicae Batavicae. Tuttavia, dall'anno
successivo, 1604, G. iniziò a scrivere i trattati su temi legali, che lo
resero famoso: il primo trattato fu De jure praedae (La legge della preda),
di cui un capitolo, noto come Mare Liberum, disquisiva sull'infondatezza
della pretesa di alcune nazioni, come il Portogallo, di considerare l'oceano
come proprietà privata e quindi sulla legittimità dell'episodio, accaduto in
quegli anni, della cattura di un galeone portoghese da parte del capitano
olandese Heemskirk, comandante di una delle navi della Compagnia Olandese
delle Indie Orientali. Nel 1607 G. fu nominato Avvocato del Fisco Olandese,
che comprendeva i ruoli di Procuratore Generale, Pubblico Ministero e
Sceriffo. Questo fu seguito, nel 1608, dal suo matrimonio con Marie van
Reigersberch (o Reigersberg), una 19enne proveniente da una ottima famiglia
dello Zeeland e dalla quale G. ebbe tre figli. Infine nel 1613 egli fu
nominato rappresentante della città di Rotterdam presso gli Stati Generali
Olandesi, ma la sua buona stella iniziò a declinare quando decise di aderire
al movimento degli arminiani, fondato da Jacob Arminius qualche anno prima.
Ciò lo portò in conflitto con la fazione calvinista osservante, capeggiata
dal teologo Franz Gomar e sostenuta, per motivi di potere politico, dallo
stadtholder (governatore) Maurizio di Orange-Nassau
(1567-1625). Quest'ultimo aveva deciso di farla finita con il suo ex mentore,
ma ora suo avversario politico, Jan Van Oldenbarnevelt e con il movimento
degli arminani, dopo che essi avevano presentato, sotto la guida dei capi
Simon Bischop (nome umanistico: Episcopius) (1583-1643) e Jan
Uytenbogaert (1577-1644) e su consiglio di Van Oldenbarnevelt stesso, le loro
idee con forte spirito polemico (per questo erano stati ribattezzati
rimostranti) agli Stati Generali Olandesi nel 1610. Nel 1618, Maurizio
fece convocare il concilio di Dort (Dordrecht) (novembre 1618- maggio 1619),
dove l'armianismo fu condannato senza appello, nonostante l'autorevole
supporto di Van Oldenbarnevelt e di G. Il 29 agosto 1618 avvenne la resa dei
conti: con un colpo di stato Maurizio fece arrestare e processare l'anziano
Van Oldenbarnevelt per alto tradimento: fu decapitato il 13 maggio
1619. Anche G. fu arrestato e condannato, assieme al rappresentante di
Leida Rombout Hoogerbeets, al carcere a vita nel castello di Loevestein.
Tuttavia, il 22 marzo 1621, la moglie riuscì ad organizzare la sua
rocambolesca fuga dalla fortezza: approfittando che una cassa di libri non
veniva mai aperta e controllata, Marie riuscì a nascondervi dentro il marito
e a farlo portare fuori dal castello dai suoi stessi carcerieri! Una volta
libero, G. fuggì dapprima ad Anversa, poi a Parigi, dove, nonostante una
ricca rendita concessa dal re Luigi XIII (1610-1643) (in realtà mai pagata),
egli si trovò in forti difficoltà economiche. Ciononostante fu proprio qui
dove, dal 1623, G. scrisse la sua opera principale, il De jure belli et pacis
(La legge della guerra e della pace), pubblicata nel 1625 e che, nonostante
un debito di idee nei confronti di precedenti studiosi di legge, come
l'italiano Alberico Gentili (1552-1608), a cui G. si ispirò, fece guadagnare
al suo autore il titolo di Padre del Diritto Internazionale moderno. Nel
1631, forse pensando ad un suo perdono anche in considerazione della morte
del suo persecutore Maurizio di Orange-Nassau, avvenuta nel 1625, G. ritornò
in patria. Per qualche mese lavorò facendo il suo vecchio mestiere di
avvocato e gli fu perfino offerto il posto di Governatore Generale in Asia
della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, ma ben presto i suoi nemici
piazzarono sulla sua testa una taglia di 2.000 guilders : G. decise quindi
nell'aprile 1632 di abbandonare per sempre la sua patria per recarsi in
Germania. Dopo una permanenza ad Amburgo di tre anni, G. si recò a Stoccolma
e qui fu nominato nel 1634 dalla regina Cristina (1632-1654) ambasciatore di
Svezia presso la corte francese di Luigi XIII, dove però fu preso in
antipatia dal famoso e potente cardinale Richelieu (1585-1642), nonostante i
suoi buoni uffici nell'organizzare le prime trattative per la fine della
guerra dei Trent'anni (1618-1648). Nel 1644 G. fu richiamato in Svezia
dalla regina Cristina e nel marzo 1645 prese definitivo congedo dalla corte
svedese, imbarcandosi con la famiglia su una nave, che però fece naufragio
vicino a Danzica. Il 13 agosto la nave riprese il mare con rotta per Lubecca,
otto giorni più tardi dovette però rifugiarsi a Rostock, in Germania, a causa
di violenti tempeste. Qui G. si ammalò gravemente e morì il 28 (o 29) agosto
1645. Le sue ultime (e amare) parole furono: Pur capendo molte cose, non ne
ho portato a termine nessuna. Le opere Come detto l'opera più famosa di
G. fu il De jure belli et pacis (La legge della guerra e della pace), dove G.
espresse il parere che il principio del diritto pubblico dovesse essere
ricercato nelle Leggi della Natura (dottrina chiamata giusnaturalismo), che
le nazioni, per essere riconosciute legittime, avrebbero dovuto rispettare.
Inoltre per G. il potere dello stato doveva essere sancito mediante un patto
che vincolasse tutti, governanti e governati, e che fosse illegale
infrangere. Oltre a lettere, traduzione di classici latini, ecc., le altre
opere di G., degne di nota, sono: Il già citato De jure praedae (La legge
della preda), La storia dell'Olanda (di De Antiquitate Reipublicae
Batavicae), Trattati religiosi come Bewys van den Waren Godtdienst (una prova
della vera religione),e De veritate religionis Christianae (la verità
della religione cristiana) dove entrò in profonda polemica contro Gomar,
invocando la tolleranza ed il liberismo, Il tomo fondamentale per la legge
olandese (fino al 1809): Inleiding tot de Hollandsche Rechtsgeleertheyd
(introduzione alla giurisprudenza in Olanda).
Morato, famiglia (XVI
secolo)
Di questa famiglia di umanisti riformati, si
ricordano:
1) Morato, Fulvio Pellegrino (ca. 1483-1548) L'umanista
Fulvio Pellegrino Morato nacque a Mantova nel 1483 circa. Dopo aver sposato
Lucrezia Gozzi, egli fu assunto come "lettore" (cioè professore)
all'Accademia di Vicenza per sette anni (1532-1539) dove si fece notare per
la forte propaganda anticlericale, mediante la lettura ai suoi allievi, tra
cui Alessandro Trissino, di testi della Riforma , come la Christianae
religionis institutio di Calvino. Queste attività di M. richiamarono
l'attenzione degli inquisitori di Vicenza sulle cellule protestanti in città
e forzarono M. a trasferirsi a Ferrara, alla corte di Renata d'Este, nota
protettrice di riformatori. A Ferrara M. divenne professore di letteratura
classica e precettore dei figli di Renata d'Este e fu definitivamente
convertito, assieme alla figlia quindicenne Olimpia, alla Riforma stessa, da
Celio Secondo Curione nel 1541. M. morì nel 1548 a Ferrara. Curiosamente
l'umanista mantovano è più universalmente conosciuto non tanto per il suo
credo religioso, quanto per una serie di originali studi compiuti nel campo
dei colori e del linguaggio dei fiori. Mediante la pubblicazione del libro
Del significato de Colori, a Venezia nel 1535, M. lanciò la moda di un
galateo dei colori, cercando di confermare le sue tesi mediante il ricorso ai
classici, come Omero, Ovidio, Virgilio, Orazio,
Boccaccio, Petrarca. Nell'appendice dello stesso libro (che avrebbe avuto
ben otto edizioni), egli scrisse un curioso trattato (un divertimento per le
signore, come diceva lui stesso) sul simbolismo e sul linguaggio dei fiori,
sotto forma di dizionario: a determinati fiori corrispondevano specifiche
frasi o pensieri. Comunque la fama di M. è anche dovuta a studi più seri, tra
cui apprezzate edizioni critiche di opere di Dante e Petrarca.
2)
Morato, Olimpia Fulvia (1526-1555) Probabilmente la più famosa umanista donna
del Rinascimento fu Olimpia Fulvia Morato, figlia di Fulvio Pellegrino e
Lucrezia Gozzi, nata a Ferrara nel 1526. Fu educata, fin dalla tenera età,
dal padre in lingua e letteratura latina e greca, rivelandosi inoltre un
genio molto precoce in astronomia, botanica, zoologia e
meteorologia. All'età di 14 anni, Olimpia divenne compagna di studi della
principessa Anna d'Este (1531-1607), figlia di Renata d'Este e cinque anni
più giovane di lei: con la principessa ella fu educata dai precettori, i
fratelli Johann e Kilian Sinapius, originari di Schweinfurt, nella Baviera
settentrionale. L'anno dopo, nel 1541, come già detto, fu convertita, assieme
al padre, alla Riforma da Celio Secondo Curione. Ma, nel giro di pochi
anni, a causa della crescente pressione dell'Inquisizione e dei Gesuiti sul
Duca Ercole II (1543-1559) (questi aveva perfino confinato la moglie Renata
nel palazzo di San Francesco), Olimpia si trovò in una situazione sempre più
difficile resa più penosa dalla morte del padre nel 1548. Nell'inverno
1549 Olimpia decise di sposare il medico riformato Andreas Grundler (ca.
1506-1555), anch'egli di Schweinfurt come i fratelli Sinapius, e che si era
laureato in medicina a Ferrara: una scelta di campo coraggiosa dell'umanista
ferrarese, che lei confermò anche nella primavera 1550, quando, assieme a
Lavinia Franciotti della Rovere Orsini, cercò inutilmente di intercedere per
la liberazione del fornaio di Faenza, Fanino Fanini, imprigionato come
predicatore calvinista e successivamente giustiziato il 22 agosto dello
stesso anno. Le crescenti persecuzioni contro i protestanti italiani
convinsero Olimpia di emigrare in Germania nell'estate 1550 con il marito e
con il fratellino Emilio di 8 anni. Essi si stabilirono a Schweinfurt,
dove Andreas fu nominato medico della città bavarese e dove Olimpia,
incoraggiata da Curione, tradusse i Salmi in greco e mantenne una fitta
corrispondenza con riformatori in tutta Europa. Nell'aprile 1553, durante la
cosiddetta Seconda Guerra dei Margravi (1552-1555), Schweinfurt fu occupata
da Albrecht Alcibiades di Brandenburg-Kulmbach (margravio: 1551-1554), ma la
peste colpì occupanti e cittadini, e peggio ancora la città fu assediata
dalle truppe avversarie di Weigand von Redwitz (1522-1556) e Melchior Zobel
von Guttenberg (1544-1558), principi-vescovi rispettivamente di Bamberg e di
Würzburg. La capitolazione avvenne nel giugno 1554: la città fu messa a ferro
e fuoco e Olimpia, Emilio e Andreas si salvarono per il rotto della cuffia,
sebbene il medico venisse imprigionato per un breve periodo. Purtroppo essi
persero tutti i loro averi, compresi moltissimi manoscritti della
scrittrice. Vagarono per un mese di città in città e la salute di Olimpia
peggiorò sensibilmente, a causa di frequenti attacchi di malaria. Finalmente,
nel luglio 1554, i conti di Erbach, Georg V (1539-1569) e Valentin
II (1539-1563), offrirono a Grundler un posto di professore in
medicina all'università di Heidelberg e l'umanista Jacobus Mycillus (nome
umanistico di Jacob Moeltzer) invitò Olimpia a dare lezione di
greco. Nell'ultimo anno della sua vita a Heidelberg, Olimpia riuscì a
ricostruire a memoria alcuni suoi poemi distrutti, a riformare una nuova
biblioteca con l'aiuto di Curione e a riprendere i contatti con i più famosi
riformatori, come Pier Paolo Vergerio, a cui chiese di tradurre il Grande
Catechismo di Lutero in italiano, ritenendo che potesse essere di grande
utilità "ai nostri italici, specialmente alla gioventù" (tuttavia Vergerio
non poté esaudire la richiesta). Ma la sua salute era definitivamente
compromessa: il 26 ottobre 1555, all'età di soli 29 anni, Olimpia morì di
tubercolosi, seguita alcune settimane dopo dal marito e dal fratello, uccisi
dalla peste. L'amico di sempre, Celio Secondo Curione, pubblicò l'opera omnia
di Olimpia nel 1558 (le ristampe aggiornate furono del 1562, 1570 e
1580).
Gubbio, Fra Bentivegna da (inizio XIV
secolo)
Bentivegna, nato a Gubbio, aderì nel 1304 alla setta
degli apostolici sotto la guida di Fra Dolcino da Novara, ma successivamente
alla repressione del movimento attuata dalle truppe del vescovi di Novara e
Vercelli, abbandonò i dolciniani, entrando nell'ordine dei
francescani. Qui, però, l'irrequieto B. decise di aderire al movimento dei
Fratelli del Libero Spirito, una setta, diffusosi dal XII secolo, che
professava l'indipendenza dall'autorità ecclesiastica e la possibilità di
vivere secondo una vita apostolica e ascetica, poiché i propri adepti
erano convinti di essere pervasi dallo Spirito Santo. Essi infatti
ritenevano di essere talmente perfetti da poter commettere qualsiasi atto
senza correre il rischio di peccare, secondo il detto di San Paolo: Tutto è
puro per i puri (Lettera a Tito 1,15). Alcuni autori cattolici riportarono
che essi, forti di questo convincimento, si lasciavano andare soprattutto ad
atti contro la morale, come atti sessuali extramatrimoniali. B. fondò una
sua variante dei Fratelli del Libero Spirito, denominata Spirito di Libertà,
ma i francescani, scandalizzati da questo atteggiamento antinomiano,
condannarono nel 1307 B. e i suoi seguaci ad essere confinati a vita nelle
loro celle. E, ironia della sorte, fu proprio Ubertino da Casale, diventato
poi uno dei leader storici del movimenti dei francescani spirituali o
fraticelli, a pronunciare la condanna.
Gaufredi, Raymond (m.
1310)
Raymond Gaufredi (o Gaufridi o Ganfredi), nato in Provenza,
fu Generale dell'ordine francescano tra il 1289 ed il 1295 e cercò di
favorire la corrente degli spirituali, che osservavano alla lettera la Regola
ed il Testamento del Santo, desiderando mantenerne l'originale stile di
vita. G. pensò persino di riformare le regole dell'ordine al Capitolo
Generale di Parigi del 1292, ma fu preso in contropiede da una offerta di
Papa Bonifacio VIII (1294-1303) di ricoprire il posto di Vescovo di Padova.
Avendo rifiutato, fu costretto a dare le dimissioni dal Papa stesso, ma in
seguito egli iniziò una nuova attività come uno dei capi degli spirituali
in Provenza. Nel 1310 venne convocato dal Papa Clemente V (1305-1314) ad
Avignone, in seguito all'intercessione del teologo spagnolo Arnaldo di
Villanova (o di Villanueva) presso il re di Napoli Roberto d'Angiò
(1309-1343) e presso lo stesso Clemente V, per cercare una intermediazione
tra spirituali e conventuali. All'incontro, oltre a G., furono convocati
il generale dell'ordine, Gundisalvo di Valleboa e i capi spirituali Guy de
Mirepoix, Bartolomeo Sicar di e Ubertino da Casale. L'incontro sortì
qualche concessione agli spirituali, prontamente revocata alla salita sul
soglio pontificio di Papa Giovanni XXII (1316-1334), mortale nemico degli
spirituali. Ma G. non poté vedere la lotta del suo movimento con Giovanni
perché morì repentinamente, come Guy de Mirepoix e Bartolomeo Sicardi, forse
tutti e tre avvelenati, proprio nel 1310 nei giorni dell'incontro con
Clemente V.
Guglielma di Boemia (m.1281 o 1282) e
guglielmiti
Guglielma, considerata (ma la cosa viene contestata
da alcuni storici) la figlia del re boemo Ottocaro I Pøemysl (1214-1230) e
per questa soprannominata la Boema, giunse, con un figlioletto al seguito,
nel 1260 a Milano, dove divenne una oblata (cioè una laica che viveva in un
monastero) della vicina abbazia cistercense di Chiaravalle. Qui G. visse
secondo l'amore cristiano, i precetti apostolici e la moralità evangelica, e
intorno a lei crebbe rapidamente la sua fama di santa guaritrice. Da lei
prese avvio la setta dei cosiddetti guglielmiti [da non confondere con
l'omonimo ordine di eremiti, fondato da San Guglielmo di Malavalle (m.1157)],
formata soprattutto da donne, anche se non mancarono
aderenti dell'aristocrazia milanese, come Galeazzo, figlio di Ottone
Visconti. Un certo numero delle donne aderenti, tra cui Maifreda (o Manfreda)
da Pirovano, erano suore Umiliate del convento di Biassono (vicino a
Monza). Inoltre ella venne considerata l'incarnazione dello Spirito Santo e
mediante questo miracolo, secondo i suoi seguaci, tra cui spiccava il teologo
della setta, Andrea Saramita, veniva compiuto ciò che venne predetto da
Gioacchino da Fiore. Secondo il mistico calabrese, infatti, l'incarnazione
dello Spirito Santo sarebbe stato, per l'appunto, una donna, destinata a
diventare una Papessa e rifondare la Chiesa, dove, secondo il
concetto dell'apocatastasi, tutti, compresi Giudei e Saraceni, si sarebbero
salvati. G. morì il 24 Agosto del 1281 o 1282, fu traslata e sepolta nel
cimitero di Chiaravalle, e fatta da subito segno di un culto popolarissimo in
quel periodo a Milano. Tuttavia, già due anni dopo, nel 1284, il culto di
"santa" Guglielma attirò l'interesse degli inquisitori, che interrogarono
alcuni aderenti alla setta, estorcendo una confessione seguita da
abiura. Ma fu l'episodio della domenica di Pasqua del 1300 a scatenare la
reazione della Chiesa Cattolica: infatti, secondo la denuncia di alcuni
testimoni, in quella data la sua erede spirituale Maifreda da Pirovano, in
qualità di sacerdote e Papessa, aveva celebrato una solenne messa. Il
culto di G. fu quindi non fu più oggetto di un processo di santificazione,
come chiedevano i suoi seguaci, ma divenne una inchiesta degli inquisitori
domenicani Guido da Cocconato e Ranieri da Pirovano, i quali la condannarono
postuma come eretica e fecero bruciare sul rogo le sue ossa e le sue
immagini, tale e quale come, l'anno successivo, nel 1301, sarebbe successo al
culto di Armanno Pungilupo a Ferrara. Inoltre anche i suoi due più fedeli
seguaci, Maifreda e il teologo Andrea Saramita, finirono sul
rogo.
Guillaume (Guglielmo) Belibasta (perfetto cataro) (m.
1321)
Passato alla storia come l'ultimo "perfetto" cataro,
Guillaume Belibasta era un pastore di Cubières, che dopo aver ucciso un altro
pastore in gioventù ed essersi dato alla macchia per un certo periodo, venne
nominato, appunto, "perfetto" cataro da Pietro Authier. Indubbiamente G.
interpretò i dogmi catari a modo suo (soprattutto quelli contro il matrimonio
e la procreazione), tant'è vero che visse a lungo in Catalogna in compagnia
di Raimonda, la sua donna, e dei loro due figli. Fu fatto rientrare in
Francia e catturato con un tranello nel 1321 da Arnaldo Sicre, un cataro
rinnegato, che lavorava per l'inquisitore Jacques Fournier [il futuro Papa
Benedetto XII (1334-1342)]. Nello stesso anno G. fu arso sul
rogo. Efficace ma poco ortodosso predicatore, G. amava fare esempi concreti
e pratici di tutti i giorni per spiegare i princìpi catari: ciò
era caratteristico del tardo catarismo, più diffuso nei ceti medio-bassi,
come artigiani e pastori. Le immagini infatti utilizzate da G. erano
alquanto vivaci e andavano da un Dio molto tangibile, il quale metteva un
piede sul buco, attraverso il quale gli angeli stavano scappando dal cielo,
attratti da Satana, ad un angelo Giovanni (destinato a diventare poi il
Cristo), il quale aveva perso i sensi, disperato e affranto, quando era stato
informato su che cosa avrebbe dovuto fare e patire per diventare il Figlio di
Dio.
Guglielmo di Conches (ca. 1080- 1154)
Guglielmo,
teologo e filosofo francese della scuola Scolastica, nacque a Conches, vicino
ad Evreux, nel 1080 ca. Studiò alla scuola di teologia e di filosofia
platonica di Chartres sotto Bernardo di Chartres e insegnò per 20 anni nella
stessa scuola. Da vero filosofo platonico, egli si espresse favorevolmente
alla separazione tra scienza e teologia ed era inoltre convinto della
supremazia delle verità scientifiche sui dogmi teologici. Queste erano idee
molto pericolose da esprimere, tuttavia G. non venne processato per eresia,
solamente perché dal 1122, era diventato precettore di Enrico II
Plantageneto, futuro re d'Inghilterra (1154-1189). G. scrisse diversi
lavori come Dragmaticon philosophiae e Magna de naturis philosophia, oltre ad
approfonditi commentari su Platone (Timeo) e Boezio (Consolatio
philosophiae), Inoltre egli studiò anche la filosofia e scienza araba, la
cosmologia e la psicologia. Fu un vero umanista ante
litteram.
Guglielmo di Occam (William of Ockham) (1280-1349) e
occamismo
La vita Guglielmo, famoso filosofo della scuola
Scolastica, nacque a Ockham (nella contea di Surrey, nel sud-est
dell'Inghilterra) nel 1280 ca. e studiò a Oxford nel 1305-1307 circa con
Giovanni Duns Scoto (1265-1308), a Parigi nel 1310 ed infine frequentò la
scuola di teologia a Oxford tra il 1316 ed il 1320. Entrò da giovane
nell'ordine francescano e verso il 1320 iniziò ad insegnare fisica
aristotelica, teologia e logica all'Università di Parigi, ma nel
1323 rassegnò le dimissioni per dedicarsi alla contesa tra filo papali
(guelfi) e filo imperiali (ghibellini): egli si schierò con questi ultimi,
pubblicando diversi libretti di denuncia sull'abuso di potere dei
papi. Per questi egli fu convocato ad Avignone nel 1324 dalla curia papale,
su ordine di Papa Giovanni XXII (1316-1334), assieme ad un gruppo
di francescani spirituali, ma nel 1328 riuscì a fuggire con Michele di
Cesena rifugiandosi a Pisa presso l'imperatore Ludovico IV il Bavaro. G.
si inserì successivamente nella lotta per l'investitura dell'imperatore tra
Giovanni XXII e lo stesso Ludovico e si schierò sulle posizioni ghibelline,
entrando a Roma al seguito di Ludovico in compagnia di Michele di Cesena,
Jean de Jandun e Ubertino da Casale. Successivamente, assieme al Jandun e a
Marsilio da Padova, seguì l'imperatore al suo ritorno a Monaco di Baviera,
dove rimase fino alla morte nel 1349 ca.
La filosofia G.
intervenne nella nota discussione, tipica della Scolastica,
sugli "universali", che avevano infervorato duecento anni prima Roscellino
e Abelardo e allineandosi più sul pensiero concettualistico
(una rappresentazione mentale) del secondo, che sulla corrente nominalistica
(un mero nome) del primo. Infatti per G., mentre le cose reali sono note
mediante la conoscenza intuitiva, gli universali sono oggetti della
conoscenza astratta, cioè della rappresentazione interna delle cose stesse
nella mente, ossia sono i termini del processo di riflessione. Per questo
la filosofia di G. venne definito anche terminista. Un altro punto della
filosofia di G. fu il tentativo di semplificare le dispute nella scuola
Scolastica con il principio denominato "il rasoio di Ockham", cioè che non si
dovevano ipotizzare entità inutili o complesse, se queste non erano state
suffragate dall'esperienza empirica (entia non sunt multiplicanda sine
necessitate). G. tendeva a applicare questi due princìpi (empirismo e
rifiuto dell'astrazione) anche alla sua teologia, da cui deduceva che la
povertà apostolica era stata confermata dal Nuovo Testamento, mentre il
potere civile autonomo era convalidato dalla storia, quindi doveva esserci
una rigida separazione tra stato potente e chiesa apostolica, anche se
poi potevano collaborare insieme.
Le opere Prima del 1328 le
opere di G. furono essenzialmente di tipo filosofico, come i commenti
all'Organon e alla Fisica di Aristotele, ma dopo quella data
si moltiplicarono le opere di polemica contro il papato di Giovanni XXII,
come il De dogmatibus papae Johannis XXII oppure il Compendium errorum
papae Johannis XXII, o contro quello del suo successore, Papa Benedetto
XII (1334-1342), come Tractatus contra Benedictum XII. Scrisse inoltre
lavori sul rapporto tra stato e chiesa, come Breviloquium de potestate papae
e De imperatorum et pontificum potestate.
Saint-Amour, Guglielmo di (m.
1273 ca.)
Guglielmo di Saint-Amour, teologo francese, nacque in
Borgogna e diventò professore di teologia all'Università di Parigi nel
1250. In quel periodo era viva la polemica tra il clero secolare da una parte
e gli ordini dei Predicatori domenicani e dei Spirituali
francescani dall'altra. Ambedue gli ordini si rifacevano alle regole di
povertà stabiliti da San Domenico e San Francesco, ma nel 1256 S. li attacco
nel suo libro De periculis novissimorum temporum, nel quale affermò che non
esisteva alcuna prova che Gesù e gli apostoli vivessero di elemosina, e il
fatto che gli ordini in questione la praticassero egli lo considerò non
cristiano e addirittura degno dell'Anticristo. La polemica montò veloce e
fu arricchita dalle prese di posizione a favore degli ordini da parte dei
grandi teologi, il francescano San Bonaventura da Bagnoregio (1217-1274) e il
domenicano San Tommaso d'Aquino (1225-1274). A quel punto intervenne il Papa
Alessandro IV (1254-1261) e nel 1256 stesso il libro di S. fu condannato e
dato alle fiamme, mentre il teologo fu mandato in esilio lontano dalla
Francia. Solo nel 1263 S. poté ritornare alla sua cattedra a Parigi, dove
morì nel 1273 ca.
Guilhabert de Castres (vescovo cataro)
(XIII secolo)
Vescovo cataro di Tolosa, ottimo polemista, tenne
testa, assieme ad altri teologi catari, nel 1207 a Montrèal e nel 1208 a
Lourac, ai predicatori cattolici, fra cui Domenico di Guzman (il futuro
santo), nei dibattiti pubblici su temi dualistici. Dopo la prima tremenda
crociata contro gli albigesi (1209-1218) e la crociata "reale" (1226-1228)
organizzata dal re di Francia, Luigi VIII (1223-1226), si giunse alla firma,
nel 1229, tra Raimondo VII di Tolosa ed il re Luigi IX (1226-1270), del
trattato di Meaux, che stabilì che Raimondo dovesse dimostrare con i fatti il
suo impegno nell'abbattere l'eresia catara nella sua contea. Raimondo non
tenne fede a questo impegno, anzi cercò di barcamenarsi in mezzo a congiure
ordite, in volta in volta, dallo stesso re di Francia oppure da gruppi di
nobili, appoggiati ora dal re d'Inghilterra Enrico III (1216-1272) e ora
dall'Imperatore Federico II (1220-1250). Intuendo che, in mezzo a tutti
questi intrighi politici, fosse necessario cercare un rifugio sicuro per i
catari, G. si accordò nel 1232 per l'utilizzo del pog (picco) di Montségur
con Ramon de Perella (o Raymond de Péreille), vassallo del conte Ramon-Roger
de Foix, di cui aveva convertito la sorella Esclarmonde de Foixì che divenne
famosa per una disputa teologica con San Domenico di Guzman (1170-1221), dove
questi, alla fine seccato per dover disquisire di teologia con un cataro
oltretutto donna, sibilò uno scortese Ritornate alle Vostre conocchie,
Madame. Esclarmonde divenne un personaggio popolare nell'immaginario
culturale francese del XIX-XX secolo: le sono stati dedicati un'opera lirica
nel 1889 (Esclarmonde di Jules Massenet) e un film nel 1945 (La Fiancée del
Ténèbres di Serge de Poligny), Negli anni successivi, G. ed il suo "figlio
maggiore" Bernard Marty organizzarono la vita dei catari in zona, con
frequenti missioni di predicazione nella regione. Tuttavia, il breve
momento politico favorevole ai catari finì bruscamente in seguito al massacro
ad Avignonnet nel 1242 di due inquisitori (Arnaud Guilhelm de Montpellier e
Étienne de Narbonne) e del loro seguito. Questo fu il pretesto per scatenare
un ultimo colpo di grazia ai catari asserragliati, per l'appunto, a
Montségur. G. non potè assistere all'agonia della sua diocesi, in quanto era
già morto, probabilmente nel 1241: la difesa estrema di Montségur sarebbe
toccata al suo successore Bernard Marty.
Giraude (o Guiraude) de
Lavaur (catara) (m. 1211)
Di tutti i centri conquistati nella
crociata anti-albigese del XIII secolo, Lavaur fu uno di quelli che soffrì di
più per il terrore sparso nella regione. Il 3 Maggio 1211, la fortezza di
Lavaur fu espugnata, dopo un assedio durato 37 giorni, e fu impiccato il suo
comandante, ma sorte ben più atroce fu destinato ai 400 catari, che vivevano
nella città e che furono tutti arsi sul rogo. Tra i convertiti alla fede
catara, c'era anche la sorella del comandante impiccato, Giraude (o Guiraude)
de Lavaur, molto timorata di Dio e amata da tutti i suoi concittadini, anche
cattolici: essa fu gettata in un pozzo e lapidata a morte. La sua morte fu
assunta come simbolo delle atrocità che il mezzogiorno francese dovette
sopportare durante la crociata contro i catari.
Guyon, Jeanne-Marie
Bouvier de la Mothe (detta Madame Guyon) (1648-1717)
La
gioventù La mistica Jeanne-Marie Bouvier (de la Mothe Guyon) nacque il 13
aprile 1648 a Montargis, nella provincia francese dell'Orléanais, da Claude
Bouvier, procuratore legale al tribunale di Montargis. Di costituzione
fragile e impressionabile, ella trascorse un'infanzia tribolata, cambiando
spesso scuola e sviluppando, sotto l'influenza di Marie Fouquet, duchessa
di Béthune-Charost (1640-1716), sua protettrice, un forte senso
religioso ascetico, che le fece propendere verso la decisione di entrare in
convento. Ma i genitori avevano deciso altrimenti e, all'età di 16 anni,
Jeanne andò sposa di Jacques Guyon, un ricco concittadino 22 anni più anziano
di lei. Nei 12 anni di matrimonio, G. perse due dei cinque figli e, nel 1676,
il marito stesso.
Guyon incontra Lacombe Dopo esser diventata
vedova (comunque benestante), G. affidò i figli ai parenti e si ritirò sul
lago di Ginevra, ad Annecy e a Thonon-les-Bains, dove, nel 1681, incontrò il
sacerdote barnabita, François Lacombe (o La Combe) (1643-1715), che la
influenzò verso una scelta ancora più radicalmente mistica: G. infatti iniziò
a mortificare il suo corpo con azioni clamorose, spesso frustandosi, o
portando foglie di ortica a diretto contatto con la pelle o bevendo pozioni
amarissime per rovinare deliberatamente il gusto del poco cibo che
mangiava. Preoccupato per l'influenza negativa di certi esempi, il vescovo di
Ginevra, Jean d'Aranthon d'Alex (m. 1695) espulse Lacombe dalla diocesi e
ordinò a G. di andarsene: per cinque anni i due vagarono per il Piemonte
(Torino e Vercelli) e la Savoia (Grenoble) per propagandare le proprie idee
mistiche, finché un altro prelato, il vescovo di Grenoble, Etienne Le
Camus (1632-1707) non li espulse, a sua volta. Nel frattempo G. aveva
fatto pubblicare, proprio a Grenoble nel 1685, il suo lavoro più famoso:
Moyen court et facile de faire oraison (metodo breve e facile per
pregare). Lacombe e G. decisero quindi di recarsi a Parigi nel 1686, una
scelta decisamente infelice a causa della campagna lanciata proprio in quel
periodo dal re Luigi XIV (1654-1715) contro ogni forma di eterodossia
cristiana, quindi anche contro il quietismo e tutti i fenomeni mistici in
Francia. Lacombe fu arrestato nel 1687 e inviato alla Bastiglia, e
successivamente al castello di Lourdes (usato allora come prigione), dove
morì nel 1715.
Guyon conosce Fenelon G. fu, a sua volta, arrestata
il 9 gennaio 1688 e rinchiusa in convento con l'accusa di eresia, ma liberata
l'anno dopo grazie ad un'abiura delle sue idee e all'interessamento della sua
protettrice, la Duchessa di Béthune-Charost. Quest'ultima la introdusse nei
circoli religiosi che gravitavano intorno alla corte del re e che erano
presieduti dalla moglie morganatica di Luigi XIV, Francoise d'Aubigne,
Marchesa de Maintenon (1635-1719). Qui G. conobbe l'abate François de
Fénelon, che, rimasto affascinato dalla spiritualità e pietà della mistica,
ne divenne (sebbene con una serie di distinguo) il discepolo, ed anche il suo
difensore contro le accuse formulate dal predicatore e vescovo di Meaux
Jacques Bénigne Bossuet (1627-1704).
Condanna e fine di
Guyon Ben presto, tuttavia, il suo linguaggio paradossale ed estremo e le sue
idee mistiche quietiste sconcertarono i suoi amici e la posero al centro di
una inchiesta ecclesiastica. Infatti il vescovo di Chartres, Paul de Godet
des Marais (1647-1709) aveva sottoposto i lavori di G. ad una commissione
riunitasi ad Issy e di cui faceva parte Bossuet e Fénelon (diventato nel
frattempo arcivescovo di Cambrai), e che condannò nel 1694 le idee di G. con
un documento contenete 34 articoli, detti per l'appunto, Articoli di Issy.
Tuttavia, poco dopo, quando Bossuet volle pubblicare un ulteriore
approfondimento sui 34 articoli, Fénelon si rifiutò di firmarli e anzi
alimentò la polemica, pubblicando nel 1697 la propria rilettura in un libro
denominato Explications de Maximes des Saints (spiegazioni delle massime dei
santi). Nel frattempo il momento favorevole per G. volgeva al termine:
venne ospitata, come si direbbe oggigiorno, in libertà vigilata, a Meaux,
sotto il controllo di Bossuet, al quale consegnò la sua sottomissione scritta
alla condanna di Issy, ma poco dopo scomparve. Bossuet la fece cercare
e arrestare nel dicembre 1695 da parte della polizia, che la rinchiuse
nella Bastiglia, dove, il 23 agosto 1696, ella firmò un'ulteriore
sottomissione. G. rimase in carcere per più di sette anni e venne liberata il
21 marzo 1703 a condizione che si ritirasse nella tenuta del figlio a Blois.
Qui G. trascorse gli ultimi anni della sua vita in opere di carità,
ricevendo ospiti e ammiratori stranieri (soprattutto inglesi, olandesi e
tedeschi) e vi morì il 9 giugno 1717.
Il pensiero e le
opere Nelle sue opere G. descrisse di aver sperimentato una serie di
esperienze interiori, basate su tre momenti: Una prima (l'unione dei
poteri), della durata di otto anni, in cui lei aveva percepito la presenza di
Dio come una realtà tangibile. Una seconda (la morte mistica), di sette anni,
in cui lei era entrata in una fase di crisi e dove aveva perso il senso della
grazia di Dio. Una terza fase (lo stato apostolico), dove era risorta a nuova
vita e dove Dio era parte integrante della sua sostanza e agiva in lei,
facendole scrivere cose notevoli senza preparazione apparente o senza
riflettere. Giunta a questo livello, G. affermava di non poter più peccare,
poiché il peccato era parte del proprio sé e lei se ne era sbarazzato (del
suo sé). Tutto ciò fu da G. descritto nelle sue opere, raccolte in ben 40
volumi, ma molte di esse furono poste all'Indice, tra cui Règles des assocées
à l'Enfance de Jesus (regole degli associati all'Infanzia di Gesù),
Les torrents spirituels (i torrenti spirituali) o il più noto Moyen court
et facile de faire oraison (metodo breve e facile per pregare),
quest'ultimo pubblicato, come già detto, a Grenoble nel 1685, dove la mistica
insegnava che la preghiera non veniva fatta per nessun secondo fine, neppure
la salvezza, ma solo come atto di sottomissione a Dio. Rispetto al filone
principale del quietismo, rappresentato da Miguel de Molinos, G. respinse
l'idea del mistico spagnolo che bisognava non offrire resistenza alle
tentazioni: sicuramente la vita di G. fu movimentata, ma non si può certo
dire che non sia stata più che virtuosa. I migliori estimatori delle opere di
G. sono comunque da annoverare tra i protestanti, e non fra i cattolici:
furono i calvinisti olandesi a pubblicare l'elenco completo delle sue opere e
i suoi lavori sono ancora letti in Germania, Svizzera, Inghilterra e Stati
Uniti, soprattutto presso i quaccheri e i metodisti.
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