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L'IMPERO DI
AUGUSTO
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LA STORIA ROMANA -
AUGUSTO |
L'Impero di Augusto
29 a.C.: Ottaviano rientra a Roma, celebrando un triplice trionfo per le
vittorie nelle campagne di Dalmazia, di Azio e dell’Egitto. 29-28 a.C.:
Ottaviano procede ad una prima revisione delle liste dei senatori. 27 a.C.:
restaurazione della Repubblica. Il senato assegna ad Ottaviano il compito di
governare le province non ancora pacificate, per dieci anni, e gli conferisce
il cognome di Augustus. 27-25 a.C.: Augusto si reca in Gallia e nella
Spagna settentrionale. Operazioni contro gli Asturi e i Cantabri. 25 a.C.:
sottomissione dei Salassi della Valle d’Aosta. 23 a.C.: dopo una grave
malattia, Augusto depone il consolato, che aveva ininterrottamente rivestito
dal 31 a.C. Ottiene tuttavia dal senato l’imperium proconsulare sulle
province assegnategli nel 27 a.C. e i poteri propri di un tribuno della
plebe. Ad Agrippa viene assegnato un imperium proconsulare sulle province
orientali. 22 a.C.: grave carestia a Roma; Augusto rifiuta la dittatura, ma
assume la cura dei rifornimenti alimentari di Roma. 22-19 a.C.: le
trattative diplomatiche condotte da Augusto consentono di recuperare le
insegne delle legioni di Crasso e di Antonio catturate dai Parti. 20 a.C.:
dal matrimonio fra Agrippa e Giulia, figlia di Augusto, nasce un figlio, Caio
Cesare. 19 a.C.: ad Augusto vengono assegnati i poteri dei censori e alcune
prerogative del consolato. 18 a.C.: l’imperium proconsulare di Augusto e
Agrippa viene rinnovato per altri 5 anni. Anche ad Agrippa viene assegnata la
tribunicia potestas. Nasce il secondo figlio di Agrippa e Giulia, Lucio
Cesare. Seconda e più radicale revisione delle liste dei senatori, il cui
numero viene riportato a 600. 17 a.C.: Augusto adotta Caio e Lucio Cesare.
Celebrazione dei ludi saeculares. 16-15 a.C.: i figliastri di Augusto,
Tiberio e Druso maggiore, completano la conquista della Rezia, della
Vindelicia e del Norico. 14-9 a.C.: campagne per la conquista della
Pannonia. 12 a.C.: muore il pontefice massimo Lepido; Augusto viene eletto
suo successore. Muore anche Agrippa. 9 a.C.: Druso maggiore conquista la
Germania fino all’Elba, ma trova la morte durante la campagna; Tiberio
prosegue le campagne militari in Germania. 6 a.C.: Tiberio si ritira a
Rodi. 2 a.C.: il senato, i cavalieri e il popolo assegnano ad Augusto il
titolo di padre della patria. 2 d.C.: muore Lucio Cesare. 4 d.C.: scompare
prematuramente anche Caio Cesare. Augusto richiama da Rodi e adotta
il figliastro Tiberio, designandolo come suo successore. Tiberio a sua volta
adotta Germanico, figlio del fratello Druso. 6 d.C.: viene costituita una
cassa speciale per pagare i premi di congedo ai veterani; la cassa è
finanziata con i proventi dell’imposta sulle eredità. In Germania e in Pannonia
scoppiano rivolte contro il dominio romano. 8 d.C.: Augusto istituisce un
servizio stabile per l’approvvigionamento di Roma, con a capo il prefetto
dell’annona. 9 d.C.: nella foresta di Teutoburgo tre legioni romane vengono
annientate. La frontiera del dominio romano viene arretrata al Reno. La
rivolta in Pannonia viene domata da Tiberio che rende la regione provincia
romana. QUADRO CRONOLOGICO Parte IV L’Impero da Augusto alla crisi del III
secolo 13 d.C.: Tiberio celebra il trionfo sui Germani e riceve un imperium
pari a quello di Augusto. 14 d.C.: Augusto muore in Campania. Tiberio accetta
con riluttanza i poteri che erano stati del padre adottivo. 16 d.C.:
Germanico ottiene significativi successi in Germania, vendicando la disfatta di
Teutoburgo; viene poi inviato in Oriente. 19 d.C.: Germanico muore in
circostanze misteriose presso Antiochia. Il governatore di Siria. Cn.
Calpurnio Pisone è accusato di essere il mandante dell’omicidio. 20 d.C.:
Pisone si suicida prima che sia emessa la sentenza sull’uccisione di
Germanico. 23 d.C.: il prefetto del pretorio Seiano inizia a costruirsi un
potere personale. 26 d.C.: Tiberio decide di ritirarsi a Capri, lasciando a
Seiano campo libero a Roma. 29 d.C.: Agrippina, vedova di Germanico, viene
esiliata. 31 d.C.: viene scoperta una congiura ordita da Seiano; il prefetto
del pretorio viene messo a morte. 33 d.C.: l’Impero è colpito da una grave
crisi finanziaria. 37 d.C.: Tiberio muore. Gli succede il pronipote Gaio,
detto Caligola, figlio di Germanico e Agrippina, allevato dalla nonna
Antonia, vedova di Druso e figlia di M. Antonio. 39-40 d.C.: contrasto con i
Giudei di Alessandria e della Palestina. 41 d.C.: ucciso Caligola, gli
succede lo zio Claudio. 42 d.C.: annessione della Mauretania, riorganizzata
in due province. 43 d.C.: la Britannia meridionale viene ridotta a
provincia. 48 d.C.: Claudio tiene un discorso per la concessione del diritto
di accesso al senato ai notabili della Gallia Comata. Messalina, terza moglie
dell’imperatore, accusata di aver organizzato una congiura, viene messa a
morte. 49 d.C.: Claudio sposa la nipote Agrippina Minore, figlia del fratello
Germanico e di Agrippina Maggiore. 50 d.C.: Claudio adotta il figlio di
Agrippina, L. Domizio Enobarbo, che prende il nome di Nerone Claudio
Druso. 54 d.C.: Claudio muore, forse avvelenato da Agrippina, che riesce ad assicurare il trono a
Nerone. 58-63 d.C.: campagne contro i Parti e gli
Armeni di Cn. Domizio Corbulone. 59 d.C.: Nerone fa uccidere la madre
Agrippina, ripudia Ottavia e sposa Poppea. 62 d.C.: muore Afranio Burro,
prefetto del pretorio e consigliere di Nerone, Seneca viene allontanato.
Viene nominato prefetto del pretorio Ofonio Tigellino. 64 d.C.: riduzione del
peso e del fino del denario. Incendio di Roma, del quale sono accusati i
cristiani. 65 d.C.: congiura pisoniana. 66 d.C.: il re d’Armenia Tiridate
giunge a Roma per farsi incoronare da Nerone. In Palestina scoppia una grave
rivolta, a sedare la quale viene inviato Vespasiano. 67 d.C.: viaggio di
Nerone in Grecia. Il legato della Gallia Lugdunense, C. Giulio Vindice, si
ribella a Nerone. 68 d.C.: la ribellione si estende al governatore della
Spagna Tarraconense, C. Sulpicio Galba. Abbandonato anche dai pretoriani,
Nerone si suicida. Galba viene proclamato imperatore. 69 d.C.: anno dei
quattro imperatori: Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano, che emerge
vincitore dalle sanguinose guerre civili. L’Impero da Augusto alla crisi
del III secolo Parte IV Parte IV L’Impero da Augusto alla crisi del III
secolo 70 d.C.: Tito, figlio di Vespasiano, conquista Gerusalemme e distrugge
il Tempio. In Gallia viene sedata la rivolta di C. Giulio Civile. 71 d.C.:
Vespasiano si associa al potere il figlio Tito. 73/4 d.C.: viene presa la
fortezza di Masada, dove si erano asserragliati gli ultimi
ribelli ebrei. 79 d.C.: Vespasiano muore; gli succede il figlio Tito.
Un’eruzione del Vesuvio distrugge le città di Pompei ed Ercolano. Morte di
Plinio il Vecchio. 81 d.C.: Tito muore dopo un brevissimo regno; gli succede
il fratello Domiziano. 85 d.C.: i Daci, guidati dal re Decebalo, attaccano
l’Impero. 88 d.C.: controffensiva romana contro i Daci, al comando dello
stesso Domiziano. 89 d.C.: la rivolta del legato della Germania superiore, L.
Antonio Saturnino, impedisce a Domiziano di cogliere il frutto delle sue
operazioni contro i Daci; viene conclusa una pace provvisoria con
Decebalo. 96 d.C.: Domiziano cade vittima di una congiura. Accede al trono
l’anziano Nerva. 97 d.C.: in risposta ai problemi politici ed economici che
colpiscono l’Impero, Nerva adotta e associa al potere il senatore spagnolo M.
Ulpio Traiano, comandante delle legioni del Reno. Legge agraria per
l’assegnazione di terreni ai nullatenenti. 98 d.C.: alla morte di Nerva gli
succede sul trono Traiano. 99 d.C.: l’imperatore entra finalmente in Roma,
dopo aver provveduto al consolidamento della frontiera renana. 100 d.C.:
Plinio il Giovane pronuncia il Panegirico di Traiano. 101-102 d.C.: prima
guerra dacica: Decebalo è costretto ad accettare che una guarnigione romana
si installi nella sua capitale Sarmizegetusa. 105-106 d.C.: seconda guerra
dacica: Decebalo si suicida e la Dacia è ridotta a provincia romana. Nello
stesso periodo il territorio dei Nabatei viene trasformato nella
provincia d’Arabia. 111-113 d.C.: Plinio il Giovane governatore di
Bitinia. 114-117 d.C.: Traiano intraprende una grande campagna contro i
Parti, che porta alla conquista dell’Armenia, dell’Assiria e della
Mesopotamia. I Giudei di Cirene e della Palestina si sollevano contro i
Romani. 117 d.C.: una rivolta in Mesopotamia vanifica le vittorie ottenute da
Traiano contro i Parti. L’imperatore muore in Cilicia dopo aver adottato come
successore P. Elio Adriano. Adriano decide di abbandonare le province
orientali create da Traiano e di affidarle a re clienti. 118 d.C.: Adriano
inizia la costruzione della sua grande villa a Tivoli. 121-125 d.C.: primo
grande viaggio di Adriano in Britannia (dove intraprende la costruzione del
celebre vallo), in Gallia, in Spagna in Africa, in Asia Minore e in
Grecia. 128 d.C.: viaggio di Adriano in Africa. 129-134 d.C.: secondo
grande viaggio di Adriano, che tocca la Grecia e le
province orientali. 132 d.C.: scoppia in Palestina una grave rivolta,
guidata da Simone Bar Kochba, a seguito della fondazione sul sito di
Gerusalemme di una colonia romana di nome Elia Capitolina. 136 d.C.: Adriano
adotta L. Ceionio Commodo, che prende il nome di L. Elio Cesare. 138 d.C.:
Elio Cesare muore prematuramente. Adriano sceglie come successore il
senatore della Gallia Narbonese T. Aurelio Antonino, che adotta a sua volta
il figlio di Elio Cesare, che assume il nome di L. Aurelio Vero, e un suo
cugino, M. Annio Vero, il futuro Marco Aurelio. Alla morte di Adriano inizia
il lungo e pacifico regno di Antonino. 142 d.C.: in Britannia viene eretto il
Vallum Antonini. 152 d.C.: viene domata una ribellione nella
Mauretania. 161 d.C.: alla morte di Antonino gli succede Marco Aurelio, che
condivide il potere con il fratello adottivo Lucio Vero. Scoppia una guerra
contro i Parti; il comando è affidato a Lucio Vero. 166 d.C.: Lucio Vero
conclude vittoriosamente una campagna contro i Parti; l’esercito romano torna
dall’Oriente portando con sé la peste. Commodo, figlio di M. Aurelio, riceve
il titolo di Cesare. 167 d.C.: i Quadi e i Marcomanni oltrepassano il
Danubio e invadono le province di Pannonia, Rezia e Norico, giungendo fino ad
Aquileia. 169 d.C.: muore Lucio Vero. 175 d.C.: dopo una serie di lunghe e
difficili campagne, Marco Aurelio riesce a respingere al di là del Danubio i
Quadi e i Marcomanni. Il governatore di Siria Avidio Cassio si
proclama imperatore, ma viene ucciso dalle sue truppe. 177 d.C.: Marco
Aurelio si associa al trono il figlio Commodo. Persecuzione contro i
cristiani a Lione. 180 d.C.: alla morte di Marco Aurelio gli succede
Commodo. 182 d.C.: il prefetto del pretorio Tigidio Perenne assume di fatto
il controllo del governo. 185 d.C.: Perenne viene ucciso; il suo ruolo è
assunto dal liberto Cleandro. 189 d.C.: Cleandro viene fatto giustiziare da
Commodo per placare il malcontento della plebe. 192 d.C.: Commodo viene
eliminato in una congiura; gli succede P. Elvio Pertinace. L’Impero da
Augusto alla crisi del III secolo Parte IV Augusto 1.1 Azio e la cesura
tra storia repubblicana e storia del Principato Nel 31 a.C. Ottaviano,
grazie alla vittoria conseguita ad Azio su Antonio e Cleopatra, si trovò ad
essere padrone assoluto dello Stato romano. La conclusione delle guerre
civili lasciava tuttavia aperta la difficile questione della veste legale da
dare al potere personale del vincitore. L’ipotesi di un regime apertamente
monarchico, che sostituisse e rinnovasse completamente le istituzioni
repubblicane, era forse stata progettata da Cesare, ma il suo assassinio in
senato aveva decretato il fallimento di questo disegno. La soluzione
adottata da Ottaviano, restauratrice nella forma ma rivoluzionaria nella
sostanza, segna una cesura fondamentale nella storia romana.
Convenzionalmente con il 31 a.C. si fa iniziare il Principato, vale a dire il
regime istituzionale incentrato sulla figura di un reggitore unico del
potere, il princeps. Arrivava così a compimento il processo di
personalizzazione della politica che aveva visto, come effetto della crisi
sociale e della spinta espansionistica, l’emergere, nella tarda Repubblica,
di figure di politici e generali che avevano affermato il proprio potere
personale, grazie alla disponibilità di eserciti fedeli, alle guerre di
espansione e allo sfruttamento economico delle province. Il problema di
una nuova sistemazione dei rapporti tra Roma, l’Italia e il Mediterraneo
aveva segnato l’ultimo secolo della Repubblica e spesso l’amministrazione dei
territori conquistati aveva costituito la principale fonte di risorse per
finanziare la carriera politica dei magistrati del ceto dirigente e le
compagnie di appaltatori, trasformate in strumento di potere e oggetto di
contrasti all’interno della politica di Roma. La razionalizzazione
dell’amministrazione attuata da Augusto e dai suoi successori, la progressiva
integrazione in senato delle élites delle diverse regioni dell’Impero e il
ruolo politico e sociale degli eserciti dislocati nelle province, faranno sì
che la «storia romana», a partire da Augusto, divenga sempre più «storia
dell’Impero», intesa come storia del rapporto e dell’integrazione di
territori e popolazioni rispetto al centro del potere. 1.2 Il rapporto con
gli organismi repubblicani e il potere del principe: la
restaurazione della Repubblica del 27 a.C. Il ritorno in Italia di
Ottaviano, nel mese di agosto del 29 a.C., fu segnato dalla celebrazione di
tre trionfi: per le campagne dalmatiche del 35-33 a.C., per la vittoria di
Azio del 31 a.C. e per la vittoria sull’Egitto del 30 a.C. (vd. supra, Parte
III, § 4.5, p. 158). Il processo di riconoscimento giuridico della nuova
forma istituzionale iniziò in realtà solo nel 27 a.C. All’inizio dell’anno
Ottaviano entrò nel suo settimo consolato, avendo come collega l’amico e
fedele collaboratore Agrippa. In una famosa seduta del senato, che ebbe luogo
il 13 gennaio, Ottaviano rinunciò formalmente a tutti i suoi poteri
straordinari, accettando solo un imperium proconsolare per dieci anni sulle
province non pacificate: la Spagna, la Gallia, la Siria, la Cilicia, Cipro e
l’Egitto. Qualche giorno dopo il senato lo proclamò «Augusto», un epiteto che
lo sottraeva alla sfera propriamente politica per proiettarlo in una
dimensione sacrale, religiosa (il termine «Augusto» va ricollegato
etimologicamente al verbo latino augere, che significa ‘innalzare’). Si
aggiunsero la concessione della corona civica fatta di foglie di quercia, che
gli venne assegnata per essersi prodigato per la salvezza dei cittadini, e
l’onore di uno scudo d’oro, che fu appeso nell’aula del senato, sul quale
erano elencate le virtù di Augusto: virtù, clemenza, giustizia e pietà verso
gli dei e verso la patria. Per comprendere meglio i fondamenti del potere di
Ottaviano Augusto dopo il 27 a.C., conviene cedergli la parola e riportare
quanto scritto da lui stesso in un documento di eccezionale interesse che va
sotto il nome di Res Gestae (‘le imprese’), vero testamento politico che egli
redasse verso la fine della sua esistenza e fece affiggere in varie città
dell’Impero: «Successivamente fui superiore a tutti per autorità, pur
non possedendo un potere superiore a quello degli altri che mi furono
colleghi nelle magistrature». È evidente la sottolineatura, da parte di
Augusto, dell’alone carismatico che circondava la sua persona e che ne
faceva davvero il ‘principe’, ovvero il primo uomo dello
Stato. L’architettura istituzionale da lui adottata si rivela ispirata alla
prudenza e al compromesso con la tradizione senatoriale repubblicana. Non
si deve dimenticare però che essa traeva origine dalla drammatica
esperienza delle guerre civili e che non era più immaginabile che si
ponesse in discussione l’opportunità che il potere venisse detenuto da un
solo individuo. La nuova organizzazione dello Stato rappresentava il
definitivo superamento delle istituzioni, ormai non più adeguate, della
città-stato. Il principe si poneva come un punto di riferimento e di
equilibrio fra le diverse componenti della nuova realtà che, a buon diritto,
poteva ormai dirsi «imperiale»: l’esercito, le province, il senato, la plebe
urbana. Era chiaro, infatti, che il benessere materiale di Roma dipendeva
anche dalla prosperità delle province. 1.3 La crisi del 23 a.C. Tra il
27 e il 25 a.C., a regime non ancora stabilizzato, Augusto si recò in Gallia
e poi nella Spagna settentrionale, dove combatté contro gli Asturi e i
Cantabri che non si erano sottomessi al dominio romano. In questo modo
dimostrava di provvedere con solerzia alla pacificazione dei territori
provinciali che gli erano stati assegnati dal senato e, nello stesso tempo,
rafforzava il contatto con l’esercito e con i veterani insediati nelle
province, che costituivano uno dei fattori del suo potere reale. Anche negli
anni successivi Augusto alternerà dei periodi circa triennali di permanenza
nelle province a periodi circa biennali di permanenza a Roma, in modo che l’assestamento del nuovo ordine potesse compiersi
gradualmente e in modo da rispettare, per quanto possibile, l’usuale prassi
secondo la quale a Roma governavano il senato, il popolo e i magistrati,
mentre lui, come promagistrato, si recava nelle province da
pacificare. Nel 23 a.C. si verificò una grave crisi. In Spagna Augusto si era
seriamente ammalato e si sentì in fin di vita. Uno degli aspetti più
delicati del principato augusteo, non solo dal punto di vista istituzionale e
politico, ma anche da quello personale, riguardava la successione
del principe. Il regime presupponeva che alla testa dello Stato ci fosse
una sola persona, di fatto un monarca, ma la mancanza di precedenti e
di una prassi per la successione creava i presupposti per un vuoto di
potere. Nel 23 a.C. la scomparsa prematura di Augusto avrebbe potuto
riaprire il flagello delle guerre civili. In mancanza di figli maschi egli
pensò al genero Marcello, che aveva sposato la sua unica figlia
femmina, Giulia, e agli eventuali nipoti. Ma Marcello morì e Giulia fu data
in moglie ad Agrippa, il grande e fedele generale, che divenne così il
successore designato.Per questa ragione e per altri motivi che non ci sono
del tutto noti, nel nuovo regime furono introdotte delle correzioni che
definirono in modo pressoché definitivo la sostanza dei poteri imperiali.
Augusto depose il consolato, che aveva detenuto ininterrottamente dal 31
a.C., e ottenne un imperium proconsulare che gli consentiva di agire con i
poteri di un promagistrato su tutte le province, anche quelle che nel 27 a.C.
erano state riservate al senato. Questo potere, che fu definito imperium
maius, non consentiva però ad Augusto, quando si trovava a Roma, di agire
nella vita politica. Per ovviare a questo impedimento il principe
ricevette dal senato il potere di un tribuno della plebe, vitalizio, anche se
rinnovato annualmente. In virtù di esso Augusto diveniva protettore della
plebe di Roma, poteva convocare i comizi, porre il veto agli altri tribuni
e godere della sacrosanctitas, ovvero diveniva sacro e inviolabile. A
tale potestà tribunizia il senato aggiunse il diritto di convocare il senato.
In questo modo Augusto continuava a detenere dei poteri che, presi
isolatamente, erano compatibili con la tradizione repubblicana. Del tutto
incompatibile con essa era, invece, il fatto che venissero detenuti
contemporaneamente. Come contropartita, la rinuncia alla carica di console
lasciava piena disponibilità della carica all’aristocrazia senatoria.
Inoltre, con l’introduzione, a partire del 5 d.C., di consoli «suffetti»
(supplenti) si aumentò il numero dei posti da ricoprire. Quanto alle
elezioni, esse erano state ristabilite in forma più o meno regolare sin dal
27 a.C. In realtà, le elezioni erano controllate da Augusto attraverso due
procedure, la nominatio, cioè l’accettazione della candidatura da parte del
magistrato che sovraintendeva all’elezione, e la commendatio, la
raccomandazione da parte dell’imperatore stesso. Augusto realizzò, nel 5
d.C., un sistema di compromesso che teneva conto della nuova realtà politica.
Di fatto all’assemblea popolare fu attribuito un ruolo del tutto marginale,
mentre si perseguiva una sorta di equilibrio tra principe e senato. I comizi
ratificavano infatti i candidati scelti da 10 apposite centurie miste di
cavalieri e di senatori, che li designavano d’accordo con
l’imperatore. Negli anni successivi si aggiunsero altre prerogative. Nel 22
a.C., in seguito a una carestia, Augusto rifiutò la dittatura offertagli dal
popolo e assunse la cura annonae, cioè l’incarico di provvedere
all’approvvigionamento di Roma, seguendo il precedente di Pompeo (vd. supra,
Parte III, § 3.5, p. 143). Nel 19 e nel 18 a.C. esercitò anche i poteri di
censore, ottenendo privilegi legati al consolato, tra cui il diritto di
utilizzare le insegne dei consoli: la sella curulis e i 12 littori che
portavano i fasci. Anche Agrippa aveva ricevuto nel 23 a.C. un imperium
proconsulare di 5 anni, grazie al quale si recò in Oriente, mentre Augusto si
trovava a Roma. Tra il 22 e il 19 a.C., Augusto si portò sul confine
orientale, dove era necessario sistemare la questione partica e armena.
Attraverso una trattativa diplomatica riuscì a recuperare le insegne delle
legioni di Crasso e Marco Antonio. Gli emblemi recuperati furono trasferiti a
Roma nel tempio di Marte Ultore e il negoziato fu celebrato come una
importante vendetta militare delle precedenti sconfitte e come la definitiva
pacificazione dell’Oriente. Intanto Agrippa, ritornato a Roma, sposava la
figlia di Augusto, Giulia, vedova di Marcello. Nel 18 a.C. scadevano il
mandato di 10 anni sulle province non pacificate attribuite ad Augusto nel 27
a.C., e quello concesso ad Agrippa nel 23 a.C. Entrambi si videro rinnovare
per 5 anni l’imperium proconsulare. Agrippa, allo stesso tempo, ricevette
anche la tribunicia potestas, così da rendere la sua posizione sempre più
vicina a quella del princeps. Egli aveva già avuto nel 20 un figlio da
Giulia, Lucio Cesare, e nel 18 un secondo, Caio. Nel 17 a.C. Augusto li
adottò entrambi, facendone di fatto i suoi successori designati (vd. infra, §
1.8, p. 180). Dopo questo momento non vi furono più variazioni di rilievo nei
poteri di Augusto, salvo che nel 12 a.C., quando morì Lepido, che con
Augusto e Antonio aveva costituito il triumvirato ed era sopravvissuto
fino a quel momento rivestendo la carica di pontefice massimo. Fu allora
che ad Augusto fu conferita anche questa carica, che lo poneva alla
guida della vita religiosa di Roma. L’ultima espressione di riconoscimento
ufficiale alla sua posizione di preminenza fu il conferimento del titolo
di pater patriae (‘padre della patria’), che il senato, i cavalieri e il
popolo gli attribuirono nel 2 a.C. 1.5 I ceti dirigenti (senatori ed
equites) L’attribuzione dell’imperium proconsolare e del potere tribunizio,
insieme alle altre prerogative che esaltavano la figura di Augusto,
crearono, a fianco dell’ordinamento repubblicano, un potere personale non
riconducibile alla somma delle magistrature repubblicane da cui esso era
costituito. Sia nell’iniziativa politica a Roma, sia nel governo dell’Impero,
cioè nell’amministrazione delle province, si ebbe una duplice sfera di
competenza: quella tradizionale repubblicana e quella specifica del
princeps. Il senato, il principale organo della politica romana, negli ultimi
anni della Repubblica aveva visto una profonda trasformazione nella
sua composizione tradizionale, con un notevole aumento dei suoi membri (da
600 si era arrivati a più di 1.000) in seguito all’ingresso massiccio
di sostenitori di Cesare e poi dei triumviri. Augusto agì su questa
situazione in varie fasi e attraverso diversi provvedimenti, che miravano a
ripristinare la dignità e il prestigio dell’assemblea senatoria favorendo,
tra l’altro, l’accesso delle élites provinciali più fortemente romanizzate,
ad esempio della Gallia meridionale e della Spagna. Le misure prese da
Augusto furono adottate principalmente in due occasioni, nel 29/28 a.C. e nel
18 a.C. Nella prima, nella sua veste di console, si fece conferire la potestà
censoria e procedette alla lectio senatus, cioè alla revisione delle liste
dei senatori, espellendo dall’assemblea le persone indegne, ovvero quelle la
cui origine e il cui censo non corrispondevano agli standard normalmente
previsti. Nel 18 a.C., sempre grazie alla potestà censoria, condusse una più
radicale revisione, riportando il numero di senatori ai 600 previsti da
Silla. Augusto, inoltre, rese la dignità senatoria una prerogativa
ereditaria. In età imperiale il cursus honorum senatorio, cioè la successione
delle cariche pubbliche riservate al massimo ordine dello Stato, si
sviluppava di regola secondo le seguenti tappe: XXvir. Il vigintivirato
non è una vera e propria magistratura, ma piuttosto la denominazione
collettiva di diversi collegi magistratuali. Xvir stlitibus iudicandis
(decemviro per il giudizio delle controversie: stlis, stlitis è in effetti un
forma arcaica per il termine lis, litis), magistrato incaricato di giudicare
le cause concernenti lo stato civile dei cittadini. IIIvir capitalis
(triumviro per la pena capitale), ausiliare del magistrato che amministrava
la giustizia ed incaricato in modo particolare dell’applicazione della pena
capitale. IIIvir auro argento aere flando feriundo o IIIvir monetalis
(triumviro per la coniazione dell’oro, dell’argento e del bronzo, o triumviro
monetale), il magistrato incaricato della coniazione della moneta in
bronzo senatoria. IIIIvir viarum curandarum (triumviro per la cura delle
vie), magistrato che aveva una funzione di sovrintendenza sulle vie della
città di Roma, sotto la supervisione degli edili. Il numero complessivo di
magistrati che detenevano queste quattro diverse funzioni era appunto di 20
(10+3+3+4), da qui il nome vigintivirato. Un anno di servizio militare come
tribunus militum laticlavius. In età imperiale abbiamo due diversi tipi di
tribunato militare, quello rivestito dagli appartenenti all’ordine senatorio
e quello proprio dei membri Il cursus honorum senatorio in età
imperiale. Augusto e la composizione del senato Parte IV L’Impero da
Augusto alla crisi del III secolo dell’ordine equestre: i diversi tribuni si
distinguevano da una particolarità del loro tradizionale abito, la toga, che
aveva una banda purpurea larga nel caso di un tribuno senatorio (da qui la
denominazione laticlavius), una banda più stretta nel caso dei tribuni
equestri (che in effetti sono noti col nome di tribuni militum
angusticlavii). Non era raro che i giovani predestinati ad una brillante
carriera politica venissero nominati Seviri equitum Romanorum, cioè
comandanti di uno dei sei squadroni dei cavalieri romani. Quaestor. Vi
erano diversi tipi di questori, tra i quali: quaestor urbanus, una sorta di
tesoriere del senato; quaestor propraetore provinciae…, il questore
incaricato dell’amministrazione finanziaria delle province del senato e del
popolo romano, con poteri propretorii, cioè equivalenti a quelli del
pretore; quaestor principis, portavoce dell’imperatore presso il
senato; quaestor consulis, portavoce del console presso il
senato. Tribunus plebis / Aedilis. Le due magistrature erano considerate
sullo stesso piano, un uomo politico poteva cioè rivestire
indifferentemente o l’una o l’altra per poter poi passare al successivo
gradino della carriera. L’edile poteva essere aedilis plebis, una carica
riservata ai plebei, come del resto il tribunato della plebe, o aedilis
curulis, magistratura che poteva essere ricoperta anche dai patrizi. I
patrizi potevano saltare il grado tribunizio/edilizio del cursus honorum per
passare direttamente alla tappa successiva della carriera. Praetor. Vi
erano diversi tipi di pretori, tra i quali: praetor urbanus, che amministrava
le cause giudiziarie che vedevano coinvolti due cittadini romani; praetor
peregrinus, che amministrava la giustizia nelle cause in cui almeno una delle
due parti non aveva la cittadinanza romana; praetor aerarii, incaricato della
sovrintendenza dell’aerarium, la cassa statale. Gli ex pretori erano
chiamati a rivestire alcune funzioni proprie del loro rango; nel detenere
queste funzioni essi non erano vincolati dalla norma dell’annualità e
dell’intervallo di tempo che regolava l’accesso alle magistrature. Tra le
funzioni di rango pretorio possiamo ricordare: legatus legionis, comandante
in capo della legione; legatus Augusti pro praetore provinciae…, governatore
di una delle province imperiali di minore importanza; proconsul,
governatore di una delle province del senato e del popolo romano di minore
importanza. Consul. In età imperiale i consoli possono essere ordinari (i
magistrati che entravano in carica il 1 gennaio ed avevano la funzione
eponima) o suffetti (i consoli che entravano in carica nel corso dell’anno,
sostituendo i consoli ordinari; in un anno vi potevano essere diverse
coppie di consoli suffetti). Durante la Repubblica chi possedeva un censo
pari a 400.000 sesterzi e rispondeva ad alcune caratteristiche che ne
definivano la dignità (nascita libera, esercizio di professioni non
disonorevoli) apparteneva al ceto equestre. Quindi anche i figli dei
senatori, fino al momento in cui non accedevano alla questura, erano semplici
cavalieri. I senatori si distinguevano dagli equites solo per aver intrapreso
una carriera politica, che assicurava loro l’ingresso in senato, e avevano la
possibilità di mostrarlo esteriormente portando il laticlavio, una larga
striscia color porpora sulla toga. Nell’ultima fase della Repubblica numerosi
figli di cavalieri e senatori avevano usurpato questo diritto, portando il
laticlavio senza essere realmente membri del senato. Augusto proibì l’uso del
laticlavio ai figli dei cavalieri, mentre lo consentì ai figli dei senatori,
che rimanevano cavalieri, ma potevano così segnalare la loro condizione.
Infine innalzò il censo minimo per entrare in senato a un milione di
sesterzi. In taluni casi Augusto stesso poteva concedere il diritto ad
entrare in senato a chi non apparteneva a una famiglia senatoria.
Naturalmente era necessario rivestire una magistratura, ma Augusto si
riservava la facoltà di intervenire designando a una carica propri candidati.
Addirittura poteva direttamente cooptare delle persone inserendole in senato
tra le fila di coloro che avevano rivestito una determinata magistratura
(cioè tra gli ex pretori o tra gli ex questori), attraverso la procedura
dell’adlectio. In questo modo Augusto realizzò una distinzione netta tra ordo
equester e senatus, creando un vero e proprio ordo senatorius, non
vincolato alla partecipazione effettiva al senato, ma formato dalle famiglie
senatorie, da cui l’assemblea poteva reintegrarsi in modo
consistente. Anche gli ex consoli erano chiamati a rivestire alcune funzioni
proprie del loro rango, per esempio: Le grandi curatele, come la funzione
di curator operum publicorum; legatus Augusti pro praetore, governatore di
una delle più importanti province imperiali; Proconsul, governatore di una
delle più importanti province del senato e del popolo romano, quelle di
Africa e di Asia; praefectus Urbi. Censor. In età imperiale la censura, un
tempo vertice della carriera politica, viene rivestita solamente dagli
imperatori. La carica come tale scompare con Domiziano. Nella
documentazione epigrafica, il cursus honorum può apparire in ordine diretto,
dalla carica più bassa a quella più alta, o in ordine inverso, dalla più alta
alla più bassa, oppure secondo un ordine personalizzato, per così dire, in
cui sovente si colloca in posizione preminente il consolato e si raggruppano
le altre cariche secondo criteri diversi, per esempio quello geografico.
L’ordine cronologico non è mai rispettato nella menzione delle funzioni
sacerdotali, che sono solitamente collocate in posizione preminente nei testi
delle iscrizioni. Le più importanti funzioni sacerdotali detenute da senatori
in età imperiale sono quelle di augur, flamen, frater Arvalis, pontifex e
XVvir sacris faciundis. D’altra parte anche l’appartenenza all’ordo equester
fu codificata attraverso principi generali e appositi senatoconsulti: anche
in questo caso l’intervento del principe poteva essere determinante per
accedere al ceto equestre. Si definirono così in modo rigoroso i due
raggruppamenti da cui veniva reclutata la classe dirigente dello Stato
romano, gli amministratori militari e civili e i più importanti ufficiali
dell’esercito. I senatori detenevano tutte le più importanti magistrature a
Roma e le maggiori posizioni di comando civile e militare in provincia.
Poiché il loro numero non era sufficiente, vennero impiegati anche dei
membri dell’ordine equestre, oltre che in ambito giudiziario e negli appalti
pubblici, come già nella Repubblica, anche in campo militare e in
cariche amministrative. Non è semplice schematizzare la carriera dei
membri dell’ordine equestre, dal momento che questa, nel corso dell’età
imperiale, non mostra i tratti di regolarità che caratterizzano in buona
misura il cursus honorum senatorio. Tuttavia si può affermare che una
carriera equestre nei primi due secoli dell’Impero si svolgeva tipicamente
attraverso le seguenti tappe: Comandi militari, in genere tre,
ovvero: il comando di un reparto della fanteria ausiliaria (cohors), come
praefectus cohortis; il comando di un reparto legionario, come tribunus
militum angusticlavius; il comando di un reparto della cavalleria ausiliaria
(ala), come praefectus alae. Le procuratele, in particolare: le
procuratele finanziarie, con l’amministrazione dei grandi uffici
finanziari centrali, come per esempio quello relativo alla vicesima
hereditatium, la tassa del 5% sulle successioni creata da Augusto, o la
gestione dei beni imperiali in una provincia (o in gruppo di province); le
procuratele-governatorati di alcune province, come per esempio le province
alpine, la Rezia, il Norico, la Giudea, le province della Mauretania I due
diversi tipi di procuratele non venivano rivestiti secondo un
ordine prefissato: poteva dunque accadere che un equestre fosse
prima procurator finanziario in un provincia, poi procuratore-governatore
in un altro distretto, infine fosse chiamato a dirigere uno dei grandi
uffici finanziari di Roma. A partire dall’età degli Antonini le procuratele
possono piuttosto essere classificate in base alla loro retribuzione
annua, indipendentemente dal carattere dell’incarico: i membri
dell’ordine equestre potevano dunque ricoprire, progressivamente,
procuratele. 1.6 Roma, l’Italia, le province Come veniva dunque governato
lo Stato e amministrata la vasta compagine imperiale a seguito delle
innovazioni introdotte da Augusto? Per quanto riguarda Roma, che contava
probabilmente già quasi un milione di abitanti, l’azione di Augusto si può
valutare su due piani: quello monumentale e quello della razionalizzazione
dei servizi. In coerenza con l’ideologia della restaurazione repubblicana,
Augusto non diede alcun rilievo particolare alla propria residenza, se si
eccettuano i segni di onorificenza che gli aveva conferito il senato (vd.
supra, § 1.1, p. 165: la corona civica, gli allori all’ingresso) e il fatto
che, con la sua elezione a pontefice massimo, una parte di essa era divenuta
un edificio pubblico, ospitandovi il focolare di Vesta, di cui sua moglie
Livia divenne sacerdotessa. Sempre accanto alla sua casa sul Palatino fece
costruire anche un tempio ad Apollo, la sua divinità tutelare. Ma egli
concentrò la sua attività edilizia soprattutto nel Foro Romano, dove completò
i programmi edilizi di Cesare. Nel Foro Giulio Augusto fece costruire un
tempio per Cesare divinizzato, di fronte una tribuna per gli oratori, ornata
con i rostri delle navi battute a Azio, e accanto l’arco partico, su cui
erano raffigurate le insegne di Crasso e Antonio recuperate nel 19 a.C.
Restaurò poi la sede del senato ed eresse in seguito una basilica in nome di
Caio e Lucio Cesari, i figli di Agrippa e Giulia prematuramente scomparsi.
Costruì inoltre un nuovo Foro, il Forum Augusti, con al centro il tempio di
Marte Ultore, nei cui rilievi e statue si celebrava la famiglia Giulia a
partire dalla sua mitica ascendenza nell’eroe troiano Enea. Trasformò poi l’aspetto del Campo Marzio, edificandovi tra l’altro il
Pantheon e il suo mausoleo, un complesso architettonico che occupava
tutta la parte settentrionale del Campo Marzio, in cui, attraverso
immagini sessagenarie, centenarie, ducenarie e infine trecenarie (che
prevedevano, rispettivamente, uno stipendio di 60.000, 100.000, 200.000
e 300.000 sesterzi all’anno). Talvolta il
comando di una delle due flotte imperiali di Miseno e di Classe, in qualità
di praefectus classis. Le grandi prefetture, in particolare le cariche
di: praefectus Aegypti, governatore della importantissima provincia
d’Egitto; questa carica, inizialmente, costituiva il vertice della
carriera equestre; praefectus praetorio, il
comando della guardia pretoriana, il cui straordinario peso politico fece ben
presto del prefetto del pretorio il cavaliere più importante dell’Impero, a
scapito dello stesso prefetto d’Egitto praefectus annonae, responsabile dei
servizi di approvvigionamento della città di Roma; praefectus vigilum,
comandante delle squadre di vigiles addetti alla vigilanza notturna e allo
spegnimento degli incendi. Il programma di rinnovamento edilizio di
Augusto Parte IV L’Impero da Augusto alla crisi del III secolo e
iscrizioni, veniva celebrata l’opera del princeps. Davanti al mausoleo erano
infatti incise su pilastri di bronzo le Res Gestae, la già citata
autobiografia di Augusto. L’originale di questa importante iscrizione è
andato perduto ma possediamo ancora oggi una copia proveniente dall’odierna
Ankara, in Turchia, che ci consente anche di sapere che il testo fu trasmesso
dopo la morte di Augusto, per sua disposizione testamentaria, in tutte le
province dell’Impero. Le immagini di Augusto, il ricordo delle sue imprese e
della sua famiglia, erano mantenute vive per tutta Roma. Durante il
principato di Augusto, soprattutto per opera di Agrippa, furono costruiti o
restaurati anche molti edifici pubblici, acquedotti, terme, teatri e mercati
e ci si preoccupò dell’organizzazione di servizi importanti per
l’approvvigionamento alimentare e idrico e per la protezione dagli incendi e
dalle inondazioni che periodicamente devastavano la città. Furono adottate
disposizioni legislative e furono creati appositi servizi, man mano che le
circostanze dimostravano le lacune del sistema precedente. Augusto Capitolo
1 La carestia che colpì Roma nel 22 a.C. indusse Augusto ad assumere
la cura annonae, e con i propri mezzi finanziari riuscì a fronteggiare
l’emergenza (vd. supra, § 1.4, p. 168). In quell’occasione pare che sia stato
assegnato ad alcuni senatori l’incarico di provvedere alle distribuzioni
gratuite di grano. Solo diversi anni dopo, verso l’8 d.C., in seguito ad
un’altra grave crisi, Augusto istituì un servizio stabile, che doveva
provvedere al rifornimento granario dalle province, con a capo un prefetto di
ordine equestre, il praefectus annonae, che disponeva di un grande potere.
Alla morte di Agrippa, che fino a quel momento si era occupato dei più
importanti servizi dell’Urbe in quanto edile, la cura dell’approvvigionamento
idrico, il mantenimento degli edifici pubblici e sacri, la cura delle strade
e delle rive del Tevere passò a collegi di senatori. Per la prevenzione degli
incendi, dopo diversi esperimenti, Augusto creò un corpo di vigili del fuoco,
organizzati in sette coorti di 500-1000 uomini, ciascuna delle quali doveva
proteggere due dei 14 quartieri in cui aveva diviso Roma. Anche a capo dei
vigili, come già dell’annona, fu messo un prefetto di ordine equestre. Il
governo di Roma era invece attribuito a un praefectus Urbi
appartenente all’ordine senatorio. L’Italia non fu pressoché interessata
da riforme amministrative. Dopo le guerre sociali e la legislazione cesariana
tutti gli abitanti dell’Italia erano diventati cittadini romani. Le circa 400
città italiche godevano di autonomia interna, erano dotate di un proprio
governo municipale e non erano soggette all’imposta fondiaria. Augusto divise
l’Italia in 11 regioni, che servivano in primo luogo per il censimento delle
persone e delle proprietà, ma non vi erano funzionari amministrativi
responsabili di queste suddivisioni. I più importanti provvedimenti
riguardarono in primo luogo l’organizzazione di un sistema di strade e di un
servizio di comunicazioni, soprattutto a scopo militare, affidato alla
responsabilità dei magistrati municipali e organizzato da un praefectus
vehiculorum equestre. Vi furono inoltre numerose iniziative di rinnovamento
edilizio nelle città dell’Italia: porte, mura, strade,
acquedotti. L’amministrazione delle province invece, pur rimanendo
essenzialmente fondata sul sistema repubblicano, vide un cambiamento di
natura soprattutto politica, che rifletteva la duplicità di sfere delle
competenze che si era determinata nello Stato tra princeps da un lato e
senato e popolo dall’altro (vd. Cartina 10, pp. 226-227). Le province che
ricadevano sotto la responsabilità diretta di Augusto erano quelle in cui si
trovavano una o più legioni. Queste province «non pacificate», ovvero di
frontiera o di recente conquista, crebbero dalle iniziali 5 fino a
raggiungere il numero di 13 alla fine del suo principato. Tali province
venivano governate da appositi legati, i cosiddetti legati Augusti pro
praetore, scelti tra i senatori di rango pretorio o consolare (cioè tra ex
consoli ed ex pretori) a seconda del numero di legioni assegnate a ciascuna
provincia: la qualifica di propretore indica che essi erano
subordinati all’imperium di tipo proconsolare detenuto da Augusto. I
legati, il cui mandato era di durata variabile a discrezione della volontà
del principe, avevano il governo della provincia e il comando delle
legioni, ma non il potere di riscuotere le tasse, la cui organizzazione era
affidata a procuratori di rango equestre, che si occupavano anche del
controllo dei beni fondiari imperiali, delle miniere e delle cave. Nelle
altre province, quelle di competenza del popolo romano, che arrivarono a
dieci all’inizio del I secolo d.C., in genere prive di legioni al loro
interno («province pacificate»), i governatori, seguendo la prassi
repubblicana, erano sempre senatori, ma in questo caso erano scelti a
sorte tra i magistrati che avevano ricoperto la pretura o il consolato.
Restavano in carica un solo anno, comandavano le forze militari presenti
nella loro provincia (di solito piccole unità di truppe ausiliarie, visto che
solo in Africa, tra le province del popolo, vi era una legione), assistiti
dai questori. Anche nelle province del popolo Augusto poteva
intervenire in virtù del suo imperium maius (vd. supra, § 1.3, p.
167). Un’eccezione a questo ordinamento era costituito dall’Egitto che,
subito dopo la vittoria su Antonio e Cleopatra, era stata assegnato a un
prefetto di rango equestre, nominato da Augusto. Il prefetto d’Egitto
comandava le legioni ivi installate ed era responsabile dell’amministrazione
e della giustizia. Si trattò probabilmente di una soluzione dettata dalle
particolari circostanze in cui la provincia venne creata e dalla sua
importanza per l’approvvigionamento granario di Roma. L’Egitto, infatti,
rimase l’unica grande provincia governata da un prefetto equestre. Vi furono
alcune regioni rette da cavalieri, come la Giudea, le Alpi Marittime e
Graie e, a partire da Claudio, la Rezia e il Norico, ma si trattava spesso di
piccoli territori, con caratteristiche particolari o esigenze militari
specifiche. Spesso inoltre i governatori equestri erano soggetti al comando
del governatore di rango senatorio della provincia vicina, come nel caso
della provincia di Giudea, il cui prefetto era sottoposto al legato di
Siria. Quella che abbiamo descritto era comunque una situazione in
continua evoluzione. A seconda delle necessità, furono adottate le
soluzioni più idonee: una provincia come la Betica, una volta pacificata,
passò dalla sfera di competenza di Augusto a quella del popolo; altre
province, al contrario, al manifestarsi di fermenti di guerra, passarono
sotto il controllo del principe. Fu necessario inoltre creare un sistema
razionale per l’esazione di imposte e tasse, che mitigasse lo sfruttamento
brutale delle requisizioni adottate per le guerre civili ed esterne. Per
superare i limiti dimostrati nella tarda Repubblica dall’arbitrio di
governatori e appaltatori, Augusto stabilì nuovi criteri per determinare
l’ammontare dei tributi meglio commisurati alle capacità contributive dei
provinciali. Il nuovo sistema aveva come presupposto una misura dei terreni,
su cui era imposta la tassa fondiaria, il tributum soli, e il censimento
della popolazione, con cui si determinava il numero dei provinciali non
cittadini romani, che dovevano pagare la tassa pro capite.
L’esercito, la ‘pacificazione e l’espansione All’indomani di Azio, gli
uomini impegnati nell’esercito superavano di gran lunga le necessità e i
mezzi dell’Impero. La paga dei soldati gravava sulla cassa dello Stato,
l’aerarium Saturni, in cui confluivano le imposte regolari delle province, ma
i costi della liquidazione dei veterani rappresentavano un peso
straordinariamente alto e in un primo tempo furono sostenuti con il bottino
di guerra e con il patrimonio personale di Augusto. Si trattava di
smobilitare gli antichi combattenti – ne furono congedati in più fasi circa
300.000 – conservandone il favore. In un primo tempo i veterani ricevettero
soprattutto terre, in Italia e in alcune province. Successivamente ottennero
per lo più del denaro. Infatti la creazione di una cassa speciale nel 6 d.C.,
l’erario militare, finanziata con i proventi di una tassa apposita sulle
eredità (la vicesima hereditatium), garantì al soldato che avesse ottenuto
l’honesta missio (una sorta di certificato di servizio onorevole) un premio
di congedo. Con Augusto il servizio militare nelle legioni fu riservato in
linea di principio a volontari, che per lo più erano ancora italici, anche se
incominciava ad essere apprezzabile il contributo dei provinciali.
L’esercito, dunque, era formato da professionisti, che restavano in servizio
per venti e più anni e che ricevevano un soldo di 225 denari l’anno. Si
costituì quindi una forza permanente effettiva composta da 25 legioni,
ciascuna delle quali era designata da un numero e da un nome (per esempio
la III Augusta era stanziata in Africa, vd. Cartina 10, pp.
226-227). Un’altra innovazione importante fu l’istituzione di una guardia
pretoriana – permanente, affidata al comando di un prefetto di rango
equestre. Si trattava di un corpo militare d’élite composto da nove coorti
(circa 9.000 uomini), reclutato prevalentemente tra cittadini romani
residenti in Italia, che godeva di privilegi quali un soldo più elevato e
migliori condizioni di servizio, essendo stanziato presso Roma.
Augusto costituì inoltre dei contingenti regolari di truppe ausiliarie di
fanteria e cavalleria, reclutate tra i popoli soggetti all’Impero e comandate
da ufficiali romani ma anche da capi di tribù locali. La flotta stazionava
in due porti, a Miseno e a Ravenna, ed era sottoposta al comando di un
prefetto equestre. Innegabili furono i successi di Augusto anche in quella
che per semplicità chiameremo «politica estera», un campo di attività da lui
sempre considerato di sua diretta competenza. Ciò non toglie che durante il
suo regno le acquisizioni territoriali vere e proprie dell’Impero furono
limitate, malgrado guerre lunghe e impegnative un po’ su tutti i fronti. È
questione controversa se questo sia stato il risultato di una scelta
consapevole oppure il prodotto di una somma di circostanze occasionali.
Non va dimenticato che Augusto compì in tre occasioni, nel 29 a.C. (dopo
la vittoria di Azio), nel 25 a.C. (in seguito alla guerra cantabrica) e
probabilmente nel 10 a.C. (dopo la spedizione in Arabia), un atto di
grande valore simbolico: la chiusura del tempio di Giano, una sorta di gesto
propagandistico per indicare che iniziava una stagione di pace. Augusto
preferì affidare alla diplomazia, piuttosto che alle armi, le questioni
orientali. In Egitto furono estesi i confini meridionali grazie all’azione
del primo prefetto d’Egitto, C. Cornelio Gallo, che concluse un accordo con
gli Etiopi (29-27 a.C.); il secondo prefetto d’Egitto condusse anche una
spedizione fino allo Yemen meridionale, per assicurare le vie commerciali con
l’Oriente (25-24 a.C.). I confini con il regno partico vennero invece
stabilizzati grazie a trattative diplomatiche e grazie ai rapporti politici
stretti con gli Stati contigui ai territori provinciali. Con i sovrani di
tali regni (Erode, re di Giudea, Archelao, re di Cappadocia, e Polemone re
del Ponto) furono stretti trattati di amicizia che li ponevano in un rapporto
di patronato-clientela con l’imperatore, tanto che sono spesso definiti
«regni clienti» di Roma. Si creavano in questo modo alcuni Stati cuscinetto
nell’ambito dell’egemonia romana, che assolvevano a una funzione di controllo
su zone poco urbanizzate al margine del deserto. Al di là dell’Eufrate una
zona particolarmente critica era costituita dall’Armenia, dove gli interessi
di Roma si scontravano con quelli dello Stato partico. Nelle trattative
diplomatiche del 20 a.C., Augusto era riuscito a farsi restituire le insegne
delle legioni romane di Crasso e Antonio da parte di Fraate IV re dei
Parti (vd. supra, § 1.4, p. 168). Nello stesso anno Tiberio, il figlio di
primo letto di sua moglie Livia, riuscì a incoronare re d’Armenia Tigrane
II, che divenne re cliente di Roma. Attraverso questa politica di
accordi Augusto riduceva l’intervento militare e amministrativo in Oriente
per concentrarsi sull’Occidente. Il vero teatro degli scontri militari del
principato di Augusto fu infatti in Occidente. Nei primi anni di regno gli
interventi militari si concentrarono nella penisola iberica (27-25 fino al 19
a.C.), che fu finalmente pacificata (vd. supra, § 1.3, p. 166), e nell’area
alpina occidentale, dove nel 25 a.C. furono sottomessi i Salassi della Val
d’Aosta e fu fondata, a presidio della zona, la colonia di Augusta Praetoria,
l’attuale Aosta. Nel 21-20 a.C. L. Cornelio Balbo, un proconsole originario
di Cadice in Spagna, estese il controllo romano nell’Africa meridionale
e sud-occidentale contro le tribù dei Garamanti. Fu l’ultimo generale
romano a celebrare un trionfo. Ma fu sul confine renano e danubiano che,
attraverso vicende alterne di vittorie e sconfitte, gli eserciti
romani furono impiegati per lungo tempo e i confini furono ampliati
stabilmente con l’occupazione di nuovi territori. La conquista della
Rezia, della Vindelicia e del Norico, cioè dell’arco alpino centrale sino
all’alto corso del Danubio, fu realizzata nel 16 e nel 15 a.C., dai
figliastri di Augusto, Tiberio e Druso. Pochi anni dopo, tra il 14 e il 9
a.C., fu occupata la Pannonia (l’attuale Ungheria). La successiva
acquisizione della Mesia (l’attuale Bulgaria) segnò il definitivo
consolidamento della frontiera danubiana. La propaganda di Augusto non
riuscì, tuttavia, a mascherare quello che innegabilmente fu un insuccesso: la
mancata sottomissione della Germania. L’obiettivo da conseguire, con una
complessa serie di campagne militari, doveva essere la linea del fiume Elba.
All’Elba i Romani arrivarono con Druso nel 9 a.C. e, in seguito, anche con
altri generali, ma il territorio germanico a oriente del Reno non fu mai
stabilmente sottomesso. Nel 6 d.C. scoppiò una grande rivolta delle
tribù germaniche, che riuscirono a far fronte comune contro l’invasore.
Nel 9 d.C. si ebbe un episodio decisivo: nella foresta di Teutoburgo
Quintilio Varo fu sconfitto da Arminio e tre legioni risultarono
annientate. Anche se negli anni successivi si condussero altre spedizioni in
Germania, ormai si trattava solo di operazioni di carattere limitato.
La frontiera, come si sarebbe compreso meglio in seguito, doveva
rimanere il Reno. La successione I particolari poteri che Augusto aveva
via via ricevuto dal senato in diverse circostanze e che insieme al suo
carisma ne avevano creato l’auctoritas non costituivano, tuttavia, una vera e
propria carica a cui dopo la sua morte qualcuno potesse succedere, né tali
poteri e tale posizione potevano essere trasmessi, secondo un principio
dinastico proprio delle monarchie ellenistiche, con un singolo atto a una
persona della sua famiglia o del suo entourage senza ledere le prerogative
dell’ordinamento repubblicano. Augusto, che non aveva figli maschi, ma
solo una figlia femmina, Giulia, doveva trovare dunque il modo di far sì che
la sua posizione di potere non andasse perduta con la sua morte, ma rimanesse
nella sua famiglia, senza tuttavia imporre una svolta apertamente monarchica
alle istituzioni. La prima preoccupazione di Augusto fu quella di
integrare la propria famiglia nel nuovo sistema politico e nella propaganda
ideologica, celebrandone l’ascendenza divina (i capostipiti sarebbero stati
Venere ed Enea), riprendendo così in forma estrema la consuetudine di
nobilitazione degli antenati già propria degli aristocratici romani. Nella
sua veste di pater familias sottolineava inoltre il carattere romano
tradizionale della propria gens, e la ampliava con i successivi matrimoni della
figlia Giulia e le adozioni, allargando l’area del suo prestigio anche ai
più stretti amici e collaboratori. Il ruolo di primo piano assunto dalla
domus principis gli consentiva di trasferire al proprio erede anche le
clientele e il prestigio (ovvero le basi del suo potere) che secondo la
tradizione romana appartenevano al patrimonio di una famiglia della
nobiltà gentilizia. La posizione del princeps nello Stato veniva d’altra
parte rafforzata dai meriti e dalle distinzioni via via acquisiti dai suoi
figli adottivi e dalle persone della sua cerchia, come Agrippa. L’erede
scelto all’interno della famiglia avrebbe ricevuto non solo il patrimonio
privato ma, grazie alla particolare posizione, anche una sorta di prestigio
che gli garantiva un accesso privilegiato alla carriera politico-militare e
un ruolo singolare nella res publica. Tramite una carriera magistratuale
eccezionalmente abbreviata e all’attribuzione di poteri straordinari,
sul modello di Augusto, la potestà tribunizia e l’imperium proconsolare
in primo luogo, veniva di fatto designato alla successione alle
funzioni pubbliche del princeps. Fu attraverso il matrimonio di Giulia con
il nipote Marcello, figlio di sua sorella Ottavia, nel 23 a.C., che Augusto
cercò, per la prima volta, di inserire un discendente maschio nella famiglia,
dotandolo inoltre già da giovanissimo di prerogative quali l’ammissione al
senato e il consolato prima dell’età prevista, per renderlo il più possibile
adatto ad assumere almeno alcune delle proprie competenze, visto che si
sentiva vicino alla morte per la grave malattia che lo aveva colpito in
Spagna. Augusto recuperò la salute e superò la crisi politica, mentre
Marcello morì nello stesso 23 a.C (vd. supra, § 1.3, p. 167). La seconda
personalità a cui Augusto pensò di poter gradualmente trasferire alcune delle
sue prerogative fu Agrippa, il quale divorziò dalla prima moglie e sposò
Giulia, vedova di Marcello, e ricevette l’imperium proconsolare e la potestà
tribunizia. Nel 17 a.C., Augusto adottò i due figli di Giulia e Agrippa, Caio
e Lucio Cesari, preparandoli ad una eventuale successione al padre. Ma nel 12
a.C. Agrippa morì.
Considerato che i due ragazzi erano ancora minorenni, Augusto si rivolse
ai figli della terza moglie Livia, nati dal primo matrimonio di questa con
Tiberio Claudio Nerone: Tiberio e Druso. Tiberio, che aveva sposato Vipsania,
una figlia del primo matrimonio di Agrippa, dovette divorziare e sposare
Giulia nell’11 d.C. Tiberio ricoprì due volte il consolato, celebrò persino
un trionfo per le sue campagne germaniche nel 7 d.C., ricevette nel 6 d.C. la
potestà tribunizia, ma poi si ritirò dalla vita politica e si autoesilò
nell’isola di Rodi, forse a causa del pessimo rapporto con Giulia o forse a
causa della predilezione mostrata da Augusto per i due figli di Agrippa. In
ogni modo Caio Cesare e Lucio Cesare non poterono diventare reali avversari
di Tiberio perché la morte li colse giovanissimi nel 2 e nel 4 d.C. Già nel 2
d.C. Tiberio era tornato a Roma e aveva sciolto il matrimonio con Giulia,
colpita da uno scandalo a causa dei suoi amanti e condannata all’esilio dal
padre stesso; Augusto infatti aveva proposto a Roma una serie di leggi
moralizzatrici che volle applicare a sua figlia stessa, come esempio della
sua sottomissione allo Stato. Augusto pretese allora da Tiberio che
adottasse Germanico, il figlio di suo fratello Druso e di Antonia, figlia di
M. Antonio e di Ottavia, sorella di Augusto, anche se Tiberio aveva un suo
proprio figlio di nome Druso (che chiameremo minore, per distinguerlo dallo
zio Druso maggiore morto nel 9 a.C. in Germania, vd. infra, Stemma, p. 185).
Tiberio adottò Germanico nel 4 d.C. e Augusto adottò contemporaneamente
Tiberio. Successivamente a Tiberio fu conferita la potestà tribunizia e
l’imperium proconsolare. Nel 13 d.C. celebrò il trionfo sui Germani e gli
venne conferito un imperium pari a quello di Augusto, in modo che potesse
intervenire in tutte le province e che l’esercito potesse essere
interamente sotto il suo comando. Così, alla morte di Augusto, esisteva già
una personalità con pari poteri in campo civile e militare che poteva in un
certo modo ereditare l’influsso e il carisma che Augusto aveva reso una
prerogativa della propria casa, anche attraverso una diffusa opera di
propaganda culturale. L’organizzazione della cultura Abbiamo visto
sopra, a proposito di Roma, come il programma edilizio di Augusto mirasse a
completare i progetti di Giulio Cesare e a celebrare propagandisticamente il
ritorno della tradizione repubblicana.
Uno specifico programma figurativo esaltava la pacificazione e una
fittizia discendenza da una progenitrice divina, Venere, e da un mitico
progenitore, Enea. Ma la politica culturale di Augusto non trovò espressione
solo nelle arti figurative e nella trasformazione architettonica di Roma. La
celebrazione della pace e della figura provvidenziale di Augusto si manifestò
anche in pubbliche cerimonie, nella monetazione, nella letteratura e, in
generale, nel coinvolgimento degli intellettuali nella promozione del
consenso al suo programma di restaurazione morale all’interno dello Stato e
di pacificazione all’esterno. Uno dei documenti che più chiaramente lascia
intendere come Augusto interpretasse la propria opera è sicuramente la sua
autobiografia.
Nelle Res Gestae Augusto ripercorre tutte le tappe del proprio operato,
sia costituzionale che militare, illustrando in che modo abbia reso soggetto
il mondo al potere del popolo romano e abbia portato pace e prosperità
estendendo i confini del potere romano. Anche attraverso le opere di storici
come Tito Livio o dei grandi poeti dell’età augustea, tuttavia, possiamo
intendere quali fossero i messaggi, le idee e la politica culturale
dell’epoca. Virgilio nelle Ecloghe e nelle Georgiche canta la pace che il
nuovo regno ha garantito e il ritorno della sicurezza nella tradizionale vita
dei campi, nell’Eneide celebra Enea come antenato di Augusto e profetizza il
suo dominio universale. Così pure in Orazio, Properzio, Ovidio si riflette la
propaganda dominante dell’epoca, con l’estensione del dominio di Roma fino ai
confini dell’ecumene, la sottomissione dei popoli non ancora assoggettati,
l’umiliazione del fasto orientale, la vendetta sui Parti, la celebrazione
della figura di Augusto come il provvidenziale salvatore della romanità
contro la barbarie. L’adesione degli intellettuali al programma del principe
si doveva in gran parte a Mecenate. Questi con un’opera di persuasione
e, in taluni casi, intervenendo per aiutare chi, come Orazio o Virgilio,
si trovava in situazioni critiche a seguito delle guerre civili, riuscì a
legare poeti e artisti agli ideali della politica augustea e a coniugare il
fiorire di una raffinata letteratura basata sui modelli della cultura
letteraria greca con l’adesione ai tradizionali valori italici e
romani. Naturalmente però sarebbe del tutto fuorviante pensare a
un’adesione totale degli intellettuali al programma augusteo. Dobbiamo,
infatti, tener conto anche di quanto non ci è pervenuto e che ha subito un
processo di volontaria o involontaria cancellazione, in quanto non
consono all’atmosfera dominante. Sappiamo con certezza dell’esistenza
di voci dissidenti, come quella dell’antoniano Asinio Pollione o dello
storico greco Timagene, e sappiamo anche che un poeta come Ovidio,
che fece parte del circolo di Mecenate. Questi la fine del principato
augusteo fu relegato a Tomi nel Ponto, accusato di aver scritto carmi che
non erano in linea con la riforma dei costumi introdotta dalla
legislazione moralistica di Augusto. Altri momenti importanti di
esaltazione della figura di Augusto e di diffusione a Roma e nelle province
dell’ideologia provvidenzialistica furono le celebrazioni di particolari
ricorrenze e l’istituzione di un vero e proprio culto della sua persona. Per
le prime, possiamo ricordare la celebrazione dei ludi saeculares, tenuti a
Roma nel 17 a.C. secondo gli antichi riti, per proclamare la rigenerazione di
Roma, o le celebrazioni dei giochi che si tenevano ogni quattro anni a
Nicopoli, la città fondata sul luogo dell’accampamento di Ottaviano ad Azio,
per ricordare la vittoria del 31 a.C. Per quanto riguarda la celebrazione
della persona di Augusto, il suo nome era inserito nelle preghiere del
collegio sacerdotale dei Salii, il suo compleanno era celebrato pubblicamente
ed era prescritto che al suo Genio dovesse essere reso omaggio anche
privatamente. A ciò si aggiunse, nelle province orientali, l’istituzione di
un vero e proprio culto dell’imperatore, che veniva celebrato congiuntamente
a quello della dea Roma. In Occidente, invece, il culto di Roma era
affiancato a quello di Cesare divinizzato, oppure venivano dedicati altari o
templi al Genio di Augusto, ma non direttamente alla sua persona. Fa
eccezione la creazione di un altare del culto di Roma e Augusto a Lugdunum
(Lione) e di altri altari in Germania, sul Reno e sull’Elba.
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