A partire dal 1907, anno in cui fu pubblicata la memoria contenente la
celebre equazione che afferma l'equivalenza fra massa ed energia, Einstein
iniziò a lavorare a una teoria più generale, che potesse essere estesa ai
sistemi non inerziali, cioè in moto accelerato l'uno rispetto all'altro. Il
primo passo fu l'enunciazione del principio di equivalenza, in base al quale
il campo gravitazionale è equivalente a una accelerazione costante che si
manifesti nel sistema di coordinate, e pertanto indistinguibile da essa,
anche sul piano teorico. In altre parole, un gruppo di persone che si
trovino su un ascensore in moto accelerato verso l'alto non possono, per
principio, distinguere se la forza che avvertono è dovuta alla gravitazione
o all'accelerazione costante dell'ascensore. La teoria della relatività
generale venne pubblicata nel 1916, nell'opera intitolata I fondamenti della
relatività generale. In essa le interazioni dei corpi, che prima di allora
erano state descritte in termini di forze gravitazionali, vengono spiegate
come l'azione e la perturbazione esercitata dai corpi sulla geometria dello
spazio-tempo, uno spazio quadridimensionale che oltre alle tre dimensioni
dello spazio euclideo prevede una coordinata temporale.
Einstein, alla luce della sua teoria generale, fornì la spiegazione delle
variazioni del moto orbitale dei pianeti, dando conto in modo soddisfacente
del moto di precessione del perielio di Mercurio, fenomeno fino ad allora
non pienamente compreso, e previde che i raggi luminosi emessi dalle stelle
si incurvassero in prossimità di un corpo di massa elevata quale, ad
esempio, il Sole. In base a quest'ultimo fenomeno, si è avuta una conferma
sperimentale, realizzata in occasione dell'eclissi solare del 1919, che fu
un evento di enorme rilevanza.
Per il resto della sua vita Einstein si dedicò alla ricerca di un'ulteriore
generalizzazione della teoria in una teoria dei campi che fornisse una
descrizione unitaria per i diversi tipi di interazioni che governano i
fenomeni fisici, incluse le interazioni elettromagnetiche, e le interazioni
nucleari deboli e forti.
Tra il 1915 e il 1930 si stava sviluppando la teoria quantistica, che
presentava come concetti fondamentali il dualismo onda-particella, postulato
da Einstein fin dal 1905, nonché il principio di indeterminazione di
Heisenberg, che fornisce un limite intrinseco alla precisione di un processo
di misurazione. Einstein mosse diverse e significative critiche alla nuova
teoria e partecipò attivamente al lungo e tuttora aperto dibattito sulla sua
completezza. Commentando l'impostazione da un punto di vista strettamente
probabilistico della meccanica quantistica, egli affermò che "Dio non gioca
a dadi con il mondo".
Cittadino del mondo
Dopo il 1919 Einstein divenne famoso a livello internazionale; ricevette
riconoscimenti e premi, tra i quali il premio Nobel per la fisica, che gli
fu assegnato nel 1921. Lo scienziato approfittò della fama acquisita per
ribadire le sue opinioni pacifiste in campo politico e sociale.
Durante la prima guerra mondiale fu tra i pochi accademici tedeschi a
criticare pubblicamente il coinvolgimento della Germania nella guerra. Tale
presa di posizione lo rese vittima di gravi attacchi da parte di gruppi di
destra; persino le sue teorie scientifiche vennero messe in ridicolo, in
particolare la teoria della relatività.
Con l'avvento al potere di Hitler, Einstein fu costretto a emigrare negli
Stati Uniti, dove gli venne offerta una cattedra presso l'Institute for
Advanced Study di Princeton, nel New Jersey. Di fronte alla minaccia
rappresentata dal regime nazista egli rinunciò alle posizioni pacifiste e
nel 1939 scrisse assieme a molti altri fisici una famosa lettera indirizzata
al presidente Roosevelt, nella quale veniva sottolineata la possibilità di
realizzare una bomba atomica. La lettera segnò l'inizio dei piani per la
costruzione dell'arma nucleare.
Al termine della seconda guerra mondiale, Einstein si impegnò attivamente
nella causa per il disarmo internazionale e più volte ribadì la necessità
che gli intellettuali di ogni paese dovessero essere disposti a tutti i
sacrifici necessari per preservare la libertà politica e per impiegare le
conoscenze scientifiche a scopi pacifici.
Albert Einstein e il pensiero filosofico
Einstein definì i principi fisici come libere invenzioni del nostro
intelletto anziché come a comode formulazioni sintetiche dei rapporti fra
fenomeni, come avrebbe supposto un vero seguace di Mach. Benché, però,
potesse esserci bisogno dell'intelletto creativo umano per andare oltre i
modi di pensiero tradizionali, ciò non significava che secondo Einstein
qualsiasi vecchio principio potesse funzionare. Egli pensava, piuttosto, che
quando una teoria riusciva a dare una correlazione matematica semplice e una
rappresentazione altrettanto semplice dell'esperienza, stava fornendo una
copia adeguata della realtà. Senza dubbio non intendeva asserire che la
scienza sarebbe riuscita infine a conseguire una descrizione completa e
definitiva del mondo. Nella sua filosofia della scienza c'era nondimeno una
forte componente "realistica": egli credeva che una teoria scientifica fosse
composta da un insieme di assiomi o principi fondamentali che potevano
essere scelti liberamente dall'atto creativo dello scienziato. Da questi
assiomi si potevano dedurre matematicamente teoremi, i quali dovevano poi
essere verificati sperimentalmente. A differenza di Newton, Einstein non
credeva che gli assiomi potessero venire derivati direttamente o logicamente
dai dati dell'esperienza, da fenomeni. Essi richiedevano, invece, un atto
creativo di costruzione matematica. La connessione con i fenomeni veniva
alla fine della catena di deduzioni, quando i teoremi del sistema matematico
venivano messi a confronto con l'esperienza. L'intero processo era guidato
da un assunto apparentemente a priori, che ci fosse una sorta di "armonia
prestabilita" fra pensiero e realtà, quasi come avevano supposto molto tempo
prima gli aristotelici.
Sociologia ed Antropologia
Nietzsche Friedrich
Einstein Albert
Freud Sigmund
Indice Generale
Sigmund Freud
Sigmund Freud segna la rivoluzione del 900 e completa la declamazione
dell'uomo
facendo emergere in esso una natura limitata. La vera natura dell'uomo è
l'irrazionalità,
l'inconscio.
Ebreo di Vienna, dopo l'annessione alla Germania, fugge in Inghilterra. E'
medico un medico specializzato in neuropsichiatria e dà origine alla
psicoanalisi, che però, nonostante il suo impegno, non venne accetta come
scienza. Inizia come neuropsichiatra, accanto al prof. Breuer studiando
l'isteria.
Il primo studio fu il "Caso di Anna O.".
Prima delle innovazioni apportate da Freud, l'isteria veniva studiata
somministrando al paziente dei psicofarmaci che inducevano il sonno; nel
sonno si facevano della domande e il paziente inconsciamente rispondeva.
Quando però finiva l'effetto del farmaco, il malato i ritrovava nelle stese
condizioni di partenza.
Freud capì che i farmaci non erano una cura adeguata, infatti per curare il
problema psichico dell'ammalato bisognava scavare alla radice, attraverso i
sogni o l'ipnosi. All'ammalato da sveglio venivano poste delle domande a cui
lui rispondeva facendo delle associazioni libere.
Da ciò Freud capì che la psiche umana ha delle zone nascoste che devono
essere scoperte e fatte venire alla luce per poter capire il comportamento
di ogni individuo.
Secondo lui la struttura della psiche è triatica:
La zona es oppure id in cui risiede l'inconscio;
La zona super ego o (super ich) in cui risiedono gli insegnamenti sociali e
culturali;
La zona Ego in cui risiede la coscienza;
La zona Es
Nell'es, l'inconscio, è la parte più ricca di noi. Esso si divide in tre
parti:
pre oppure sub conscio
inconscio
inconscio biologico ereditario
Nell'inconscio biologico ci sono le pulsioni che appartengono alla stirpe
ereditaria. Le pulsioni ereditarie sono:
Pulsioni sessuali (cerchiamo di riprodurci)
Pulsioni di conservazione (cerchiamo di salvarci)
Pulsioni Gregario (cerchiamo di stare con gli altri)
Nell'inconscio ci sono le nostre esperienze personali rimosse e represse.
Rimosse significa messe da parte volontariamente, mentre represse quando ce
ne dimentichiamo casualmente. Noi non dimentichiamo niente, specialmente dai
0 ai 5 anni.
Il preconscio è il guardiano che controlla tutte le nostre esperienze, le
pulsioni; quando dormiamo si apre la porta e vengono fuori dai nostri
pensieri i sogni. Tutta la nostra vita cosciente è solo un campo di
battaglia tra la spinta dell'eroe (che rappresenta gli impulsi: il piacere,
l'affermazione) e Thanatos (distruzione, superego) Questa è la spinta di
Eros (subconscio).
Nella vita quotidiana "Patologia della vita quotidiana", abbiamo tanti
piccoli gesti che non facciamo, ma non per dimenticanza, ma perché non la
volevamo fare. Anche i lapsus (penso una cosa ne dico un'altra), in realtà
volevamo dire la cosa "sbagliata". Quello che ricordiamo è solo quello che
vogliamo ricordare.
Scriverà pure "Totem e tabù" sul significato della religione e sul desiderio
della morte del padre.
Freud istituisce quello che ormai e "il rito" della psicoanalisi: il
lettino, il dottore seduto dietro il paziente e gli formula delle domande o
indaga i suoi sogni interpretando ciò che il paziente ricorda (che è ciò che
vuole ricordare). Fu una novità la sua impostazione sessuale, interpretare
la vita solo dall'ottica dell'affettività (piacere - dispiacere)
(affettività non è interesse, esso c'è se è motivato).
La vita di ciascuno di noi è segnata dalle nostre motivazioni affettive.
Adesso si parla di psicologia dinamica (cioè azione e reazione, stimolo e
risposta che avvengono nella psiche). Noi ci andiamo via via strutturando.
Stadi di vita dell'uomo
Per Freud la vita comincia nel grembo materno. Già nel ventre materno, il
bambino avverte se è voluto o meno e se è amato. Quindi il primo è un
rapporto di accettazione, tra madre e figlio si realizza uno scambio di
emozioni oltre che fisiologico.
Durante il parto c'è il momento dell'angoscia, perché siamo abbandonati nel
mondo. Il pianto del bambino è il pianto dell'angoscia, perché prima ha
vissuto un contatto psicologico con la madre, e adesso è solo nel mondo e si
sente abbandonato. Oggi sappiamo che il bimbo, non piange per angoscia, ma
per il dolore dovuto al fatto che respira per la prima volta con i suoi
polmoni. Il pianto è vita. Questo primo momento è quello del vagito.
Durante tutto il primo anno di vita si deve ristabilire l'unione psicologica
che c'era tra madre e figlio, e bisogna ristabilirlo all'inizio per avere
quella fiducia basica che serve al bambino per non sentirsi più angosciato.
Questa fiducia si realizza on le sensazioni termiche; il bambino riconosce
il battito del cuore della madre, ma soprattutto con l'allattamento che
ricostituisce l'unione che c'era con la madre prima del parto. La prima
soddisfazione che prova il bambino appartiene alla "fase orale", ossia
portando tutto in bocca, succhiando e mordendo.
Verso i 3 mesi (Spitz) il bambino ha un modo suo i comunicare: il sorriso,
come se sorridesse al viso materno (visto solo frontalmente e non di
profilo) e contemporaneamente ha l'angoscia per i visi estranei (piange se
non conosce qualcuno).
Al 1° anno inizia la fase "autonoma", il bambino inizia a camminare, scopre
gli oggetti e li esamina. Importante per lui sarà sempre la figura che gli
parlerà e gli lancerà messaggi.
Ai 2 anni si ha la fase "Anale": se prima il bimbo teneva il pannolino ora
impara ad andare in bagno, riconosce lo stimolo: la gratificazione è quella
di saper controllare i propri sfinteri. La fase anale prepara il bambino
alla fase "fallica" (periodo omosessuale: il bambino scopre se stesso). Dopo
essere riuscito a controllare i propri sfinteri scopre i propri organi
sessuali.
Fase Omosessuale (zero - cinque anni):
Fase orale
Fase anale
Fase fallica
Fase Eterosessuale
Dopodiché inizia la fase eterosessuale. Scoprendo i genitali, sposta
l'oggetto
del desiderio da sé al sesso opposto. La prima donna della sua vita è la
madre, il primo amore. (Per la bambina sarà il padre). Qui si innesca quel
processo che prende il nome di "complesso di Edipo" o, per la bambina
"complesso di Elettra".
Il bambino ha sentimenti sessuali verso la madre, ma comprende che
appartiene al padre. Il bambino introietta (fa sua) la figura paterna,
perché ritiene che somigliando al padre potrà avere la madre. Se invece
intrometta la figura materna, diventerà omosessuale.
Dai 5 ai 10 anni c'è la fase "produttiva", il bambino va a scuola, è
indaffarato e non pensa più alla tempesta sessuale che ha avuto dai 0 ai 5
anni. E' una fase di "Plateau" o latenza.
Dopo i 10 anni si ha la "fase puberale" e "prepuberale": tutto ciò che era
in latenza riaffiora di nuovo. E' una fase di ricerca della propria
identità, si avverte che si cresce e ci si sente dibattuti e incerti, non ci
si riconosce neanche esteriormente, fisicamente.
Dai 15 ai 18 anni si cerca di riordinare le proprie idee: è la fase della
"Maturità". Può durare fino ai 24, ma anche fino ai 90. Per Freud essere
maturi vuol dire dare una risposta a tutti i problemi della vita. Se
riusciamo a rispondere a queste domande, noi siamo maturi e siamo pronti a
formare una famiglia.
Verso i 50 anni si attraversa una fase di II immaturità, diffusa nella
società.
Freud era laico, ma rigoroso contro tutto ciò che era contro un ordine
naturale.
Il vivere in società ci procura disagio: l'uomo non può esprimere se stesso
("il disagio della civiltà"). Il motto del cristianesimo: "ama il prossimo
tuo come te stesso" è contro natura, anzi dovrebbe essere "odia il prossimo
tuo con tutto te stesso".
Tutto il romanzo del 900 sarà di tipo psicologico.
Poincaré Henri
Marcuse Herbert
Bergson Henri
Croce Benedetto
Husserl Edmund
Heidegger Martin
Popper Karl
Indice Generale
Poincaré Henri (1854 - 1912)
Secondo Poincaré il compito principale della scienza non è quello di
informarci sulla natura delle cose, ma sui rapporti, sulle relazioni tra
oggetti; le leggi fisiche rappresentano appunto le relazioni esistenti tra
oggetti e solo in queste relazioni consiste l'oggettività della scienza.
Il circolo di Vienna
Caratteri generali del neopositivismo
Durante il secondo quarto del XX secolo emersero due scuole di pensiero
inspirate al filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein. La prima di queste
scuole, l'empirismo logico, o neopositivismo logico, ebbe origine a Vienna
diffondendosi successivamente in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Gli
empiristi logici sostenevano l'esistenza di un solo tipo di conoscenza, la
conoscenza scientifica; la verificabilità empirica di ogni conoscenza
valida; il fatto che ciò che è stato ritenuto filosofia non è né vero né
falso ma letteralmente insensato.
Quindi la filosofia viene ridotta a logica e si arriva a studiare la
filosofia attraverso i simboli matematici.
Avviene quindi una ripresa di Leibiniz riguardo ai principi logici di
identità e di non contraddizione. La filosofia all'interno del circolo di
Vienna, assume un carattere prevalentemente matematico (Rossa fu un grande
rappresentante del circolo viennese a cui si deve la nascita della più
moderna logica matematica fondata su principi atomici e proposizioni
molecolari).
I principi utilizzati dai neopositivisti sono di verificabilità e di
confutabilità (confutabili e quindi scientifici). Questi principi usati in
matematica servono a dimostrare delle tesi e lo stesso ora avviene in
filosofia. "Dobbiamo avere elementi logici su cui basare le nostre
discussioni" (es. le geometrie non euclidee si basavano sulla validità
logica; non importa se vera o falsa).
Il filone del positivismo logico si basa sul linguaggio riprendendo le
teorie di Hume. I neopositivisti dicono: "Se Hume ha usato come criterio
l'esperienza,
noi usiamo come criterio di conoscenza il linguaggio" "Se noi studiamo il
linguaggio come logica scientifica allora siamo di fronte al positivismo
logico, se noi invece cerchiamo di studiare il linguaggio nelle sue regole
quotidiane siamo di fronte alla filosofia analitica di Ayer e Wittgestein".
Quest'ultimo scrive il trattato logico analogico e parla i tautologia
(partire da un discorso in cui poi si rimane intrappolati). Lui parla di
"giochi linguistici".
Sia l'empirismo logico che il neopositivismo logico fanno una distinzione
tra le proposizioni che concernano i fatti e le proposizioni che concernano
le idee.
Le proposizioni che si riferiscono ai fatti non hanno necessità, sono
probabili; le proposizioni che concernano le idee sono tutte ipotesi (non ci
sono certezze).
Popper dirà: "Nella scienza si va avanti senza certezze". Egli fu vicino al
circolo di Vienna ma non ne fece mai arte, rimase sempre isolato.
Poincaré Henri
Marcuse Herbert
Bergson Henri
Croce Benedetto
Husserl Edmund
Heidegger Martin
Popper Karl
Indice Generale
Marcuse Herbert
Nel 1922 un gruppo i intellettuali di orientamento marxista fondò a
Francoforte "l'Istituto per la Ricerca Sociale". Esso fu diretto
dall'economista
Kurt Gerlach, a cui successe nel 1924 il professore si scienze politiche
Karl Grunberg, fondatore dell'"Archivio per la storia del socialismo e del
movimento operaio". Un impulso nuovo alla scuola di Francoforte fu impresso
da Max Horkheimer quando nel 1930 fu nominato direttore. Nella "Rivista per
la ricerca sociale" da lui fondata, venne elaborata la "teoria critica della
società" che si apprestò a fornire delle acute analisi della società
contemporanea.
Dopo l'avvento del nazismo, il gruppo si trasferì a Ginevra e poi a Parigi,
stabilendosi infine negli Stati Uniti. Nel 1950 Horkheimer ritornò in
Germania ridando vita all'Istituto.
I contributi sociologici collettivi più significativi sono stati gli "studi
sull'autorità e la famiglia" e quelli su "La personalità autoritaria".
Fecero parte dell'Istituto pure Franz Neuman e Herbert Marcuse.
Il pensiero di Marcuse ha ottenuto un largo consenso, specie da parte dei
giovani durante la fine degli anni sessanta. Le sue opere fondamentali sono:
"Eros e civiltà" e soprattutto "l'Uomo ad una dimensione". In essa Marcuse
sostiene tre tesi:
La società contemporanea reprime i desideri e la creatività dell'uomo;
Tale società è andata via via integrando tutti i ceti sociali e pertanto
nega l'autonomia e la libertà individuale;
Esistono determinate forze sociali in grado di condurre un processo di
liberazione sociale.
Secondo Marcuse tale repressione è legata allo sviluppo dell'odierna società
"opulenta". L'inconscio è il luogo ove si trovano le tracce delle nostre
fantasie e dei nostri desideri repressi, e l'arte è la forma di
comunicazione che dà voce a queste esigenze di libertà.
L'eros è creatività non repressa né utilizzata a fini di dominio ma di
espansione della libertà umana, e la filosofia ha un compito eminentemente
critico, cioè quello di indicare gli ostacoli da superare per raggiungere la
liberazione umana.
Nella seconda opera citata, egli sostiene che il controllo esercitato dalla
società è oggi così elevato che l'uomo si può definire a una sola
dimensione: quella si supina accettazione del potere, essendogli stata
sottratta la facoltà di decidere autonomamente.
Di fronte a questa situazione, l'unica possibilità di liberazione è affidata
a quei gruppi sociali emarginati: ceti e uomini del tutto estranei a questa
società pertanto disposti a opporvi un "rifiuto totale".
Poincaré Henri
Marcuse Herbert
Bergson Henri
Croce Benedetto
Husserl Edmund
Heidegger Martin
Popper Karl
Indice Generale
Bergson Henri (1859 - 1941)
Bergson è universalmente considerato il maggiore filosofo francese della
prima metà dal XX secolo. Egli rappresenta il punto conclusivo del movimento
spiritualista francese. Caratteristica fondamentale di questa corrente è la
critica al positivismo per mettere in luce i tratti dello spirito umano. Il
Positivismo si è interessato dello spirito come qualcosa di scientifico da
poter analizzare ed è per questo che sono nate le varie scienze umane.
Ma lo spirito vuole essere libero, non vincolato da regole fisse.
Lo spirito ha come caratteristica l'asculatazione interiore cioè la
riflessione interiore: riguarda il nostro stare con noi stessi. Lo
Spiritualismo vuole mettere in luce questa riflessione interiore non
soggetta a leggi universali. Esso prende spunto da filosofi quali S.
Agostino e Cartesio i quali hanno basato la loro filosofia sulla riflessione
interiore.
Punto fondamentale di questo movimento è la superiorità dell'infinito
rispetto al finito.
Per Bergson essenza della vita, dell'universo e della realtà è lo slancio
vitale (cioè l'eros di Platone), un'energia che dà la vita; Leibniz avrebbe
parlato di monadi.
Il mondo però resta mistero: si avverte nei rapporti con questo, uno slancio
vitale per cui il dinamismo del mondo non è l'evoluzione tipica del
Positivismo ma un evoluzione creatrice. (Evoluzione è un termine tipico di
un interpretazione materialista della vita, mentre, evoluzione creatrice
sembra quasi l'accostamento di due termini antitetici a cui Bergson da
un'interpretazione
mistica).
Per Bergson l'uomo conosce attraverso due facoltà: l'istinto e l'intelletto.
Qualsiasi espressione dello slancio vitale come evoluzione creatrice si
presenta sempre con due biforcazioni che lui chiama istinto (parte
materiale) e intelligenza (parte spirituale).
L'aspetto dell'intelligenza si presenta per Spinosa come memoria, come
ricordo. Bergson si sofferma molto sul ricordo che può essere puro o
immagine.
L'istinto si presenta più come percezione per sottolineare il nostro aspetto
legato alla sensibilità. Quest'attività dell'uomo avviene nelle nostra
coscienza, dato essenziale dell'uomo, dato fondamentale.
La coscienza deve essere vista come fluire continuo in cui le immagini, i
ricordi, l'istinto, appartengono alla coscienza che lui chiama durata reale
(tempo della coscienza).
Il tempo non esiste di per sé ma come tempo della coscienza, e lo spazio non
è che il tempo spazializzato cioè un insieme di istanti messi vicini. Tempo
e spazio non sono altro che l'essere della coscienza. S. Agostino diceva che
il tempo è la distensione dell'anima. Il tempo non è oggettivo ma
assolutamente soggettivo.
Il momento finale in cui tutti e due gli aspetti si risolvono in un
tutt'uno,
è il momento dell'intuizione (aspetto del Decadentismo, non consente di
conoscere ma rappresenta il tener presente tutta la persona).
Intuere vuol dire comprendere se stessi immersi nella realtà. Questo si
ritrova nelle "Due sorgenti della morale".
Bergson ci presenta due tipi di morale: la morale aperta e la morale chiusa.
La morale chiusa è quella basata su leggi e norme tradizionali seguite
pedessiquamente.
La morale aperta è basata sull'evoluzione creatrice; è una morale che si
mette in discussione, è critica (rivoluzionaria).
Alle due morali corrispondono due tipi di religione:
La religione chiusa cioè quella del cerimoniale, del rito (la religione
riesce ad incantare).
La religione aperta cioè quella dei grani mistici, di S, Francesco, di Santa
Caterina, di S. Teresa, dei personaggi che sono stati eroi della religione e
che hanno avuto una forza evolutiva, rivoluzionaria. I grandi santi
rappresentano la morale aperta perché vanno avanti.
Poincaré Henri
Marcuse Herbert
Bergson Henri
Croce Benedetto
Husserl Edmund
Heidegger Martin
Popper Karl
Indice Generale
Croce Benedetto (1866 - 1952)
Verso la fine dell'800 si ricomincia a studiare Hegel nella scuola di
Napoli. Tra i maggiori esponenti del neo hegelismo, possiamo ricordare
Augusto Vera e Spaventa zio di Croce.
Croce nasce nel 1866 ma ben presto a causa di un incidente rimase orfano.
Così in età ancora adolescenziale, fu accolto in casa dallo zio Spaventa.
Ciò gli permise di entrare a contatto con personalità molto importanti e di
conoscere pienamente il pensiero hegeliano.
Egli non fece mai parte della vita accademica; fu grande amico di Gentile,
almeno fino a quando dopo l'avvento del fascismo, questo decise di sostenere
il governo autoritario mentre Croce si schierò all'opposizione.
Le opere scritte da Croce, sono tantissime, tra le più importanti
ricordiamo: "La storia come pensiero e azione", "Teoria e storia della
storiografia".
L'enorme eredità lasciatogli dalla famiglia gli permise, senza altre
distrazioni, di dedicarsi agli studi.
Arriva ad Hegel attraverso lo studio dell'economia di Marx e della struttura
dialettica. Di Hegel egli accetta l'interpretazione della realtà come
movimento dello spirito però non accetta che l'attività di quest'ultimo sia
solo dialettica. Secondo lui infatti, l'attività dello spirito sarebbe
regolata da categorie fondamentali legate insieme da un rapporto di
"distinzione".
SPIRITO
Attività teoretica
Del Particolare (intuizione) "estetico"
Dell'Universale (vero) "logica" Attività Pratica
Volizione del particolare (utile) "economia"
Universale "etica"
Secondo Croce le categorie fondamentali dello spirito sono quattro: due
appartenenti all'attività teoretica e due invece all'attività pratica. La
storia è attività teoretica e pratica. Il movimento dello spirito quindi è
storia ed è circolare.
Fra le due categorie appartenenti all'attività teoretica, la prima, ossia
l'estetica,
denota la forma dello Spirito rivolta alla visione. L'opera d'arte è libera,
è manifestazione dello spirito umano. Tutti siamo poeti, tutti possiamo
creare, però non tutti siamo artisti, in quanto l'artista è colui che riesce
ad avere un'intuizione "lirica" che riesce ad esprimere i sentimenti
dell'artista,
trasfigurandoli e purificandoli da ogni contenuto passionale. Ciò non vuol
dire che,non rappresenta la realtà con tutti i suoi aspetti contrastanti, ma
che riesce a ricomporli in una forma più armoniosa. Quindi l'opera d'arte è
un tutt'uno tra intuizione ed espressione; è sintesi a priori.
La logica, denota invece la forma riflessiva, razionale e dà luogo alla
filosofia. Per Croce la filosofia però ci insegna dei concetti che in
effetti sono dei "pseudoconcetti". Il vero concetto è l'universale cioè lo
spirito e quindi l'arte.
L'economia dà luogo alla ricerca "dell'utile". Nell'utile ci rientra lo
Stato in quanto questo nasce solo per utilità (come sosteneva Machiavelli) e
non per etica (come invece affermava Hegel).
I vari movimenti fino al bene appartengono alla storia. Per "storicismo" si
intende una interpretazione della filosofia che voglia cogliere i valori.
Quello di Croce possiamo chiamarlo storicismo assoluto; infatti per lui
tutto il movimento dello spirito è "storia".
Tutta la storia è contemporanea in quanto viene studiata sempre secondo la
mentalità contemporanea. La storia non fa mai morale, non è mai giustiziera,
ma tutto comprende. Davanti al tribunale della storia tutto è giustificato.
Quando studiamo avvenimenti della storia non possiamo fare giudizi; nella
storia non si possono mai mettere "se".
"Ritengo che liberale sia la stessa vita umana", egli ritiene che ci deve
essere sempre rispetto delle libertà umane infatti è proprio della natura
umana rispettare gli altri e le proprie libertà.
Poincaré Henri
Marcuse Herbert
Bergson Henri
Croce Benedetto
Husserl Edmund
Heidegger Martin
Popper Karl
Indice Generale
Husserl Edmund
Edmund Husserl nasce in Moravia e precisamente a Friburgo nel 1859 (morirà
nel 1938). I suoi interessi iniziali sono matematici, comincia i suoi studi
con Frege, uno dei più grandi matematici del '900. Nel 1891 pubblicò anche
un compendio matematico: "Filosofia dell'aritmetica".
Dallo studio dell'analisi matematica Husserl elabora la sua analisi della
realtà che chiama Fenomenologia.
Mentre per Hegel il termine fenomenologia aveva significato tracciare il
cammino della coscienza, per Husserl e Brentano significherà proprio lo
studio della coscienza. Quindi punto chiave della filosofia di Husserl sarà
la coscienza.
Per lo spiritualismo la coscienza era una sostanza, un ente ma Husserl si
vorrà differenziare anche in questo prendendo le distanze da Cartesio.
Husserl dice che la coscienza non è un essenza, un ente, ma è attività
(erlebniz = fluire incessante; un continuo avere coscienza).
La coscienza però è pure intenzionalità (dal termine della scolastica
"intentio" che significa dirigersi verso; avere coscienza di). Noi parliamo
di coscienza solo perché abbiamo coscienza di qualche cosa. Ma di che cosa?
Husserl dice che la coscienza è sempre coscienza di noesis e noema [noesis =
soggetto che conosce (il sogg. ricorda); noema = oggetto conosciuto (noema è
il ricordato)]. Da ciò deriva che la coscienza è sempre una coscienza
soggettiva (protagonista sarà sempre il soggetto).
Per Husserl la filosofia è:
- TEORETICA
- EDETICA
- NON OGGETTIVA
Teoretica in quanto è una filosofia di riflessione, di contemplazione perché
riguarda sempre il soggetto conoscente.
Edetica poiché la filosofia si occupa delle essenze. La filosofia non ha un
rapporto con la realtà come essa è, ma come alla coscienza appare. Ogni
coscienza ha una percezione Analogica = non è la realtà vera e propria che
vede (quella oggettiva), ma è la propria realtà (quella soggettiva).
In questo modo la coscienza si organizza le cosi dette Analogie regionali =
delimitare la conoscenza a ciò che ci pare, noi ci facciamo degli schemi
(appare qui una ripresa di Liebniz).
Husserl, nei rapporti con le altre persone, dice che si può avere solo
Empatia cioè delle corrispondenze: noi giudichiamo l'altro con la nostra
coscienza, attraverso ciò che corrisponde in noi, cioè attraverso ciò che io
nell'altro voglio vedere.
Non oggettiva, in quanto la filosofia sarà sempre più soggettiva. Per questo
lui scrive "Le crisi delle coscienze europee" in cui lui vuole vedere la
crisi delle scienze. Husserl prende le masse da Spengler con il suo libro
"Il tramonto dell'occidente" e da Nietzsche che già aveva parlato di crisi
delle coscienze e delle certezze.
Il '900, in effetti, presenta una crisi un po' generale, si ci ritrova in un
mondo in decadenza, di tenebre, dove i valori tradizionali perdono tutta la
loro importanza.
"Il sonno della ragione genera mostri" aveva detto Gramsci. E' quindi il
periodo della crisi della coscienza della scienza. Per Husserl questa crisi
è dovuta al fatto che si è dato troppo valore alla Natura. Le varie scienze
non hanno avuto altro oggetto che la natura. Ma l'oggetto della ricerca di
ognuno di noi deve essere la coscienza.
Non esiste una realtà oggettiva per tutti, ma la natura è solo ciò che noi
vogliamo vedere in essa.
Quindi la scienza si deve occupare solo della coscienza perché tutta la
realtà è in essa.
Il suo riferimento è quindi l'ascultazione interiore. Quello che lui sta
smantellando è la rappresentazione reale. Potremmo parlare quindi pure di
soggettivismo Husserliano.
La filosofia di Husserl si presenta come Apofantica: la coscienza è solo la
manifestazione dell'essere. Solo la coscienza può rivelare l'essere: essere
è solo ciò che è per la coscienza: ognuno quindi ha una sua interpretazione
della realtà.
Riguardo al momento della maturità, Husserl riprenderà il termine Epochè, ma
mentre inizialmente questo termine indicava una totale sospensione dei
giudizi, lui lo interpreterà come il mettere tra parentesi: per Husserl
quindi il mondo della natura sarà tra parentesi (cioè sarà messo in secondo
piano, come qualcosa di meno importante).
Husserl fa riferimento anche a Kant; per Kant il soggetto conosceva a priori
e la conoscenza era sintesi a priori. Husserl invece per la sua concezione
di conoscenza userà il termine trascendentale.
Per lui base e condizione per fare conoscenza non è basarsi sulla realtà.
Infatti la sua filosofia non si basa sulla realtà oggettiva ma sulla realtà
soggettiva di ogni singola coscienza: siamo noi a dare le leggi alla realtà.
L'esistenzialismo prenderà spunto da Husserl ma vedrà la coscienza
soprattutto come angoscia. Husserl non farà parte di nessun gruppo, la sua
filosofia rimarrà isolata, chiusa.
Edet Starlen, israelita, una sua alunna, dallo studio della coscienza
arriverà a San Tommaso e quindi alla religione cattolica, diventando pure
suora carmelitana.
Lo stesso faranno altri suoi alunni: faranno un salto arrivando alla
religione cattolica. Ad Husserl però non interessa la religione. La
coscienza è solo il nostro essere presente nella realtà. Quindi Husserl ha
dato della coscienza un'interpretazione personale.
Poincaré Henri
Marcuse Herbert
Bergson Henri
Croce Benedetto
Husserl Edmund
Heidegger Martin
Popper Karl
Indice Generale
Martin Heidegger
Martin Heidegger (1889-1976) è il massimo rappresentante
dell'esistenzialismo
europeo. Professore universitario ha legato la sua vita al nazismo.
Un giorno, mentre scartabellava nella biblioteca dell'università, trova
delle opere interessantissime di Kierkegaard. E' infatti a Heidegger che si
deve la riscoperta di Kierkegaard e del suo pensiero filosofico.
Per Heidegger questa scoperta fu fondamentale perché secondo lui,
Kierkegaard è riuscito a capire l'uomo nella sua categoria fondamentale: la
possibilità; infatti la vita dell'uomo è caratterizzata dall'angoscia
(sentirsi abbandonati nel mondo). Questo aspetto sarà la caratteristica
fondamentale dell'esistenzialismo.
Questa corrente si basa sull'analisi dell'esistenza umana. Quindi
l'esistenzialismo
è quella corrente che ha come oggetto l'esistenza, sullo studio di questa,
incidono il pensiero di Husserl, Kierkegaard, Nietzsche (per
l'interpretazione
della vita come irrazionalità), +Pascal (che parla dell'uomo visto come
canna al vento), ma anche scrittori come Dostoieski e Kafka.
I caratteri principali dell'estetismo sono: interpretare l'esistenza umana
come "abbandonata nel mondo" e vedere la ragione ùnell'interpretazione
"apofantica" di Husserl.
Questo movimento si sviluppa nel periodo compreso tra le due guerre; in
Italia come rappresentanti avremo Abbagnano ed Enzo Paci.
Le opere fondamentali per Heidegger sono "Essere e tempo" e "Cos'è la
metafisica".
Prima fase del suo pensiero
Egli affermava che l'"Essere" per ciascuno di noi è sempre un "Esserci" =
Dasein (non esistere il mio essere ma un essere nel mondo).
Noi possiamo essere in due modi nel mondo:
Con angoscia "vita autentica" essere abbandonati nel mondo, non avere alcuna
certezza, vita abbandonata nell'indeterminato. Con cura "vita inautentica"
ci prendiamo "cura" di qualsiasi cura per non pensare all'angoscia; ci
creiamo tanti pensieri.
Però questa è una vita inautentica perché non ci riporta al nostro vero
essere. Caratteristica di questa vita inautentica è la "chiacchiereta" =
vuoto (parlare a vuoto, parlare di niente, di cose vuote).
La vita autentica invece ci dovrebbe fare capire la nostra vera condizione,
che è quella di esseri abbandonati nel mondo. L'angoscia è modalità di
presenza nel nulla, comporta il delineare la nostra esistenza che è
"vivereper la morte": la morte è l'unica nostra vera certezza; "Noi
camminiamo, ma dove conducono i nostri passi? Da nessuna parte, solo verso
la morte".
Se ci divertiamo, se lavoriamo, se facciamo qualsiasi cosa, allora stiamo
conducendo una vita non autentica perché ci discosta dal nostra +vero essere
che è la morte.
Però, si può passare tutta la vita pensando solo alla morte, senza far nulla
per non condurre una vita inautentica? E' impossibile vivere così e ognuno
quindi si dà da fare.
Allora Heidegger afferma: "La morte è lo scacco del nostro esistere". Se io
tutta la vita conduco un'esistenza inautentica, qual è allora il mio momento
autentico? Solo la Morte. Ma io non ci sono più nel momento della morte, ma
in effetti è il momento della morte, ma in effetti è il momento in cui io ci
sono veramente.
"Quindi io sono nel momento in cui non sono" che cosa sono allora io? Nella
mia solitudine esistenziale il vero essere è la morte.
Seconda fase del suo pensiero.
Ma per scoprire l'essere di ognuno di noi, in questa seconda fase, lui
delinea una via alternativa. Durante questo periodo Heidegger scopre
Holderlin e la poesia (linguaggio dell'essere e l'uomo è il custode della
casa dell'essere. Quindi la poesia è l'espressione del nostro essere. (Ogni
manifestazione dell'uomo è poesia). L'uomo con la poesia esprime la sua
esistenza. Ognuno di noi si deve sentire custode di se stesso, della sua
poesia. L'uomo deve cercare di valorizzare la sua propria vita : il valore
della sua vita è fare poesia (linguaggio come poesia).
Il nostro valore è la ricerca dell'essere come linguaggio poetico. "La
poesia è il linguaggio dell'essere l'uomo è il custode della casa
dell'essere".
Tutti noi possiamo fare poesia perché è espressione del nostro essere.
L'uomo
deve cercare di valorizzare la propria vita. Il valore dell'uomo è il
linguaggio ed egli se ne deve fare custode.
La tecnica via via uccide l'uomo che diviene oggetto della tecnica. Il tempo
per Heidegger è l'orizzonte dell'essere (è una linea non definitiva).
Nei momenti conclusivi del suo pensiero fece degli attacchi a ciò che
succedeva intorno a lui. Fu sconvolto dalla scienza e dalla tecnica (in
questo periodo si crea la bomba atomica). Lui fa delle riflessioni sui
prodotti che si stavano realizzando in senso critico: ha paura del valore
che sta assumendo la tecnica la quale si è ormai inserita in tutti i campi
della vita.
La tecnica per Heidegger uccide l'uomo perché sposta lo sguardo dal problema
esistenziale dell'uomo alla scienza.
Poincaré Henri
Marcuse Herbert
Bergson Henri
Croce Benedetto
Husserl Edmund
Heidegger Martin
Popper Karl
Indice Generale
Popper Karl
Nasce a Vienna nel 1902 da una famiglia ebraica e muore nel 1994. Si
avvicinò ben presto al Circolo di Vienna ma non vi partecipò mai. In seguito
alle leggi razziali si trasferì prima a Cambridge, poi ad Oxford e in Nuova
Zelanda tenendo conferenze sul suo razionalismo critico. Popper rappresentò
il punto di riferimento della riflessione scientifica e filosofica di tutto
il '900. Fu un grande musicista. Le sue opere filosofiche più importanti
sono: "La logica della ricerca", "Congetture e confutazioni", "Città
aperta".
Egli afferma che è finito il tempo dell'empirismo classico che si basava
sulla raccolta dei dati dall'esperienza, ma per Popper non ha importanza il
metodo induttivo. La conoscenza si basa sulle intuizioni: anche Einstein si
basa sull'intuizione soggettiva, su ipotesi. Il metodo induttivo non ha a
che fare con la scienza, con Einstein ha inizio la rivoluzione scientifica;
il nucleo è stato l'argomento cosmologico.
Tutta la conoscenza scientifica ha questo nucleo: quale deve essere la linea
di demarcazione tra la scienza e ciò che non lo è?
Spesso la conoscenza scientifica arriva fino ad un certo punto dove si ferma
e lascia che ognuno dia la sua risposta. Quindi lascia il campo alla
metafisica e all'etica.
Per Popper la linea di demarcazione è costituita dal principio di
fallibilità. Al contrario del principio della certezza noi dobbiamo dire che
qualcosa è scienza solo se è fallibile.
Nella scienza noi procediamo sempre per congetture e confutazioni.
Le congetture sono proposizioni, ipotesi non spiegate. Le confutazioni sono
risposte critiche alle congetture.
"Più nelle ipotesi che io vado avanzando trovo critiche, più vado avanti".
Il nostro procedere scientifico è basato su:
1) Il problema
2) Ipotesi di risoluzione del problema
3) Orizzonte prospettico (si aprono nuove prospettive)
La scienza quindi non può dare la risoluzione finale, ma permette di andare
avanti infatti: "Nella scienza si procede senza certezze".
Cosa significa essere fallibile? Essere come Socrate: "Io so di non sapere"
(dotta ignoranza). In questo senso ogni scienziato deve essere come dice
Socrate: deve essere sempre in prospettiva di superare se stesso.
La nostra società deve essere una società aperta (riprende Berson).
Popper va contro tutte le politiche dette solistiche (Marxismo,
Stalinismo,.) cioè organiche, non consone ala natura umana, che ha bisogno
di libertà e di democrazia.
La società aperta
"Noi abbiamo tre mondi: il primo è il mondo degli enti fisici (la natura, il
mondo, l'universo); il secondo è il mondo dello spirito, delle coscienze; il
terzo mondo, è quello dell'arte e della produzione dell'uomo, è il mondo di
tutto ciò che fa l'uomo.
I primi due mondi non sono atti per noi e quindi noi non li possiamo
padroneggiare. Solo il terzo mondo è tutto nostro, perché solo questo
riguarda la produzione dell'uomo."
(Vico dice che la storia è l'unica scienza, una scienza tutta nuova perché
l'abbiamo
fatta tutta noi).
L'ultima sua parola fu: "Noi possiamo definire solo quello che esce dalle
nostre mani, ma la nostra coscienza ci presenta l'orizzonte prospettico che
si va spostando sempre di più".
l lavoro per le tesine dell'esame di maturità.
Grazie al materiale inviato da molti lettori, il sito è in costante
crescita.
I riassunti sono stati suddivisi in capitoli che possono essere raggiunti o
tramite link rapidi; oppure cliccando sui pulsanti storia e filosofia per
avere maggiori dettagli.
Alla sinistra troverete le nuove sezioni riguardanti tutte le principali
civiltà del passato e svariati approfondimenti.
Riassunti di storia
Capitolo 1: Giolitti, Crispi e Depretis
Capitolo 2: Prima guerra mondiale
Capitolo 3: La pace e i problemi del dopoguerra
Capitolo 4: Mussolini: fascismo ed antifascismo
giochi programmi Scommesse Scuola ViboOnLine
Capitolo 5: Hitler: Avvento del Nazismo e scoppio della guerra
Capitolo 6: Seconda guerra mondiale
Capitolo 7: Dopoguerra e miracolo economico
Nuova sezione di storia + romani + Papa Giovanni Paolo II
Filosofico.net - Portale filosofia
Riassunti di filosofia
Capitolo 1: Kant, Fichte, Schelling, Hegel, Schopenhauer,
Feuerbach, Marx
Capitolo 2: Sociologia, Antropologia, Nietzsche, Einstein, Freud
Capitolo 3: Poincaré, Marcuse, Bergson, Croce, Husserl,
Heidegger, Popper
Filosofi
Aristotele
Agostino
Bruno
Cartesio
Epicuro
Hegel
Heidegger
Kant
Marx - Engel
Nietzsche
Platone
Spinoza
Olio su tela 125 x 191 cm. Presentato da Olaf Schou.
Il tema di Munch qui è la danza dell' amore di una donna attraverso la vita.
Un fiore cresce accanto alla giovane donna in bianco: con le guance rosse,
giovane e bellissima cammina verso l' osservatore. La donna in nero, sulla
destra, sta in piedi immobile come una statua con le mani giunte di fronte a
lei e con un espressione avvizzita e terribile sulla faccia. Al centro del
quadro danza la coppia innamorata, assorbita l' uno nell' altra. Il vestito
rosso della donna avvolge lui, e i loro corpi si combinano in una forma
ondulata. Altre coppie sono dipinte mentre danzano estatiche.
Al confine tra rappresentazione naturalistica e simbolismo, quest' opera è
tipica del suo tempo. L' ambiguità dei temi dà credito ad associazioni
entrambi con la moderna vita libera che con i riti primitivi delle stagioni.
Ma in questo dipinto Munch sta trattando prima di tutto un soggetto
ricorrente nella sua arte - i tre stadi della vita di una donna: giovinezza
e innocenza, amore e passione e, finalmente, l' inesorabile insorgere della
vecchiaia.
Dal punto di vista stilistico, colori e forme sono stati più semplificati
qui che in Ceneri. Questa evoluzione è spesso considerata in relazione al
lavoro di Munch su litografie e incisioni nella seconda metà degli anni '90
dell' ottocento. esistenzialismo s.m. Dottrina filosofica secondo la quale
l'esistenza precede e crea continuamente l'essenza. L'e. si è in genere
affermato come una reazione filosofica mirante a valorizzare l'uomo contro
le astrazioni delle filosofie idealistiche. L'e. si presenta come una
volontà di riflessione concreta sull'uomo e sulla sua condizione; e, dato
che ogni individuo possiede una sua personale sensibilità che gli fornisce
una particolare «intuizione del mondo», l'e. si è sviluppato secondo
direttrici diverse, fondate ciascuna su un diverso modo di sentire la
realtà: e. ateo con Heidegger e Sartre, esistenzialismo religioso con
Kierkegaard, Jaspers, Gabriel Marcel, e. «positivo» con Merleau-Ponty e, in
Italia, con Nicola Abbagnano.
essènza s.f. FILOS. Natura propria e necessaria di un essere, che fa sì che
esso sia quello che è, distinguendolo da tutti gli altri. Ciò che
costituisce la natura intima, i caratteri costitutivi di una cosa.
esistenza, della quale non una definizione ma una breve argomentazione che
ho trovato molto esauriente
Se cerchiamo un'essenza che sia comune a tutte le cose, troviamo che la
caratteristica presente in ognuna di esse è il fatto di essere o esistere.
Perciò, possiamo definire l'esistenza come l'essenza più generale comune a
tutte le cose che sono in un qualsiasi modo e che le distingue da ciò che
non è in alcun modo . Di fronte all'esistenza , qualunque altra
caratteristica è meno generale e determina il modo in cui si manifesta
l'esistenza in un certo tipo di cose o in una cosa specifica. Ad es. il
gatto del mio vicino ha una esistenza che noi diciamo fisica , mentre
l'immagine di un centauro ,che creo con la mia mente, ha una esistenza
immaginaria. Perciò ,quando diciamo che una cosa esiste, è preferibile
specificare come esiste e ,quando diciamo che qualcosa non esiste, occorre
specificare se riteniamo che non esista in assoluto o solo riguardo ad una
determinata modalità di esistenza (ad es. fisicamente). Da un punto di vista
linguistico, il verbo esistere equivale al verbo essere, quando quest'ultimo
viene utilizzato senza una parte nominale ( ad es. "Io sono colui che è" =
"Io sono colui che esiste")
Alienazione.Termine che indica il processo di estraniazione del soggetto o
della coscienza da sè stessi. In senso generale il termine indica la
situazione di disagio dell' uomo all' interno della società industriale.
DOTTRINA EPICUREA
E' di Epicuro la celebre sentenza: Vana è la parola del filosofo se non
allevia qualche sofferenza umana. Se la filosofia ha diritto di cittadinanza
nel mondo degli uomini, ciò è dovuto alla sua capacità di placare le
sofferenze che la vita comporta. Il valore della filosofia è dunque
strumentale: il suo fine principale è di raggiungere la felicità. Epicuro
ritiene infatti che la verità possa facilmente essere scoperta e compresa
dall'uomo e che quindi la filosofia, come attività che ci permette di
conoscere razionalmente la verità, sia alla portata di tutti ed abbia un
carattere liberatorio. E' naturale quindi, come corollario, che la filosofia
sia per tutti - uomini e donne - e per tutte le età. Coerentemente con
questa tesi, le comunità epicuree erano aperte a tutti, senza distinzione di
sesso o di condizione sociale. "Se siamo felici abbiamo tutto ciò che ci
occorre", e la felicità è ottenibile da parte di tutti ed è per tutti. Per
possederla però il giovane deve liberarsi dalle paure "per affrontare con
coraggio l'avvenire", mentre il vecchio deve saper conservare i bei ricordi
per rimanere giovane nello spirito. La filosofia si presenta sotto una
duplice veste: da una parte insegna, attraverso la conoscenza della natura
delle cose, a liberare la mente dalle inquietudini; dall'altra insegna a
godere dei piaceri della vita. E' quello che Epicuro esprime nella sua
dottrina del quadrifarmaco: la filosofia 1) libera l'uomo dalla paura degli
dèi; 2) libera l'uomo dalla paura della morte; 3) dimostra la brevità e
provvisorietà del dolore; 4) dimostra la facile raggiungibilità della
felicità, che consiste nel piacere.
Vediamo uno per uno i singoli punti.
1) Per quanto riguarda il timore verso gli dèi, Epicuro sostiene che gli dèi
di certo esistono, hanno forma simile all'umana ma più perfetta, ed abitano
gli spazi vuoti tra i mondi (intermundia) che sono infiniti, ed in essi ogni
cosa è composta di atomi e vuoto. L'uomo non deve avere paura degli dèi
perché essi non si preoccupano né del mondo né tantomeno dell'uomo. Ogni
preoccupazione sarebbe infatti contraria alla loro beatitudine giacché
sarebbe una sorta di obbligo nei nostri confronti, mentre invece essi sono
senza obblighi e beati. D'altra parte, nel mondo vi è il male e ciò indica
che gli dèi non intervengono. Infatti -dice Epicuro - "la divinità o vuol
togliere i mali o non può, oppure può e non vuole o anche non vuole né può o
infine vuole e può. se vuole e non può, è impotente; se può e non vuole, è
invidiosa; se non vuole e non può, è invidiosa e impotente; se vuole e può,
donde viene l'esistenza dei mali e perché non li toglie?". Perciò il saggio,
liberato dalle superstizioni, può vivere con pienezza la sua vita terrena e
attingere in questo modo la felicità.
2) La morte non deve essere temuta perché... non è nulla. "Quando ci siamo
noi, la morte non c'è, e quando c'è la morte, non ci siamo noi", dice
Epicuro. Inoltre, visto che la morte consiste nella separazione dell'anima
dal corpo e visto che per Epicuro anche l'anima è materiale essendo composta
da atomi, nel momento della morte, quando gli atomi si separano, ogni
sensazione cessa, e noi non 'sentiamo' più nulla, né dolore né piacere. La
morte è quindi semplice assenza di sensazioni, ed è dunque sciocco averne
paura.
3) Per dimostrare la brevità del dolore, Epicuro afferma quanto segue: se il
male è lieve, il dolore fisico è sopportabile, e non è mai tale da offuscare
la gioia dell'animo; se è acuto, passa presto; se è acutissimo, conduce
presto alla morte, la quale non è che assoluta insensibilità. E i mali
dell'anima? Essi sono prodotti dalle opinioni fallaci e dagli errori della
mente, contro i quali c'è la filosofia e la saggezza.
La felicità è facilmente raggiungibile e consiste nel piacere. Ma che cosa
intende Epicuro per piacere? Per rispondere dobbiamo anzitutto dire che si
assiste qui ad un clamoroso rovesciamento di valori e di fini: a differenza
di Platonismo, Aristotelismo e anche Stoicismo, il piacere viene considerato
da Epicuro come il principio e il fine della vita felice. Di più: il piacere
è il bene primo, connaturato con noi stessi. L'uomo quindi è felice secondo
natura, a meno che non gli manchi qualcosa. Infatti il piacere è la felice
sensazione di pienezza che l'uomo prova naturalmente se non lo limitano dei
piaceri insoddisfatti. Tutto ciò che dobbiamo fare è mantenerci nel piacere,
eliminando le cause che disperdono la pienezza del nostro essere.
L'infelicità degli uomini deriva dal fatto che essi temono le cose che non
devono essere temute e desiderano le cose che non è necessario desiderare e
che sfuggono loro. Sono dunque privati dell'unico piacere autentico, che è
il piacere di essere. Anziché rappresentarci i mali in anticipo per
prepararci a subirli, dobbiamo, al contrario, staccare la nostra mente dalla
visione delle cose dolorose e fissare lo sguardo sui piaceri. Occorre far
rivivere il ricordo dei piaceri passati e godere dei piaceri del presente,
riconoscendo quanto siano grandi e piacevoli tali piaceri del presente. Non
tanto quindi vigilanza, quanto scelta deliberata, sempre rinnovata, della
distensione e della serenità, ed una gratitudine profonda verso la natura e
la vita che ci offrono incessantemente, se sappiamo trovarli, il piacere e
la gioia ("Sia reso grazie alla beata natura che fece le cose necessarie
facilmente procacciabili, quelle difficilmente procacciabili non
necessarie"). Vivere nel momento presente è, ancora una volta, un invito
alla distensione e alla serenità: la preoccupazione rivolta al futuro, che
ci lacera, ci nasconde il valore incomparabile del semplice fatto di
esistere. Inoltre, per gli Epicurei, proprio il piacere è una sorta di
"esercizio spirituale": piacere intellettuale della contemplazione della
natura, pensiero del piacere passato e presente, piacere infine
dell'amicizia. Nell'esaltare l'amicizia, Epicuro assume a volte dei toni di
pura poesia. Vi è per lui nella amicizia (philia) una serenità più profonda,
superiore anche a quella dell'amore (eros), perché più facilmente si può
conservare libera da sentimenti che procurano dolore come la gelosia o il
dolore del distacco o la paura di non essere riamati. L'atteggiamento di
Epicuro verso gli altri uomini è riassumibile nella sua massima: "E' non
solo più bello ma anche più piacevole fare il bene anziché riceverlo". In
questa massima, il piacere assurge a fondamento e a giustificazione della
solidarietà fra tutti gli uomini. E infatti Diogene Laerzio ci testimonia
l'affetto di Epicuro per i genitori, la sua fedeltà agli amici, il suo senso
di solidarietà umana.
Noi compiamo tutte le nostre azioni - dice Epicuro - al fine di non soffrire
e di non avere l'animo turbato. Se ci troviamo già in questa condizione, non
desideriamo nulla, perché nulla ci manca. E' questo l'obiettivo da
raggiungere, è in questo che consiste la felicità o il piacere, e cioè
appunto nella aponia (assenza di dolore fisico) e nella atarassia (assenza
di dolore spirituale). E' qui il "segreto" della felicità degli dèi ed è
questo il motivo per cui noi dobbiamo imitarli, anche se essi non si curano
di noi. In altre parole, la felicità consiste nel piacere stabile, che è
assenza di dolore, e non nel piacere in movimento, che sono i momenti di
gioia, di allegria, e simili. Se è così, la pienezza del piacere si attinge
nella caduta del desiderio. Non per nulla, per Epicuro, solo i desideri
naturali e necessari vanno appagabili (quelli legati alla salute, alla vita,
al piacere), mentre gli altri vanno limitati o abbandonati. Da questo punto
di vista, è più felice un vecchio che un giovane. Dice infatti Epicuro: "Non
il giovane è felice, ma il vecchio che ha vissuto una vita bella; poiché il
giovane nel fiore dell'età è mutevole ludibrio della sorte; il vecchio
invece giunse a vecchiezza come a tranquillo porto e di tutti i beni che
prima aveva con dubbio sperato ora ha sicuro possesso nella tranquilla gioia
del ricordo".
Il piacere - in quanto sensazione interiore - deve essere posto come norma
delle nostre affezioni. Il principio è il seguente: ogni piacere è di per sé
un bene, ma non è detto che le sue conseguenze nel tempo siano vantaggiose
per noi. Viceversa, ogni dolore è un male, ma non è detto che da un male non
possa derivare un bene per noi. Quindi il piacere diventa la norma su cui
giudicare le nostre azioni perché ci suggerisce cosa scegliere, spingendoci
verso ciò che nel tempo ci è più favorevole. Solamente un accorto calcolo
dei piaceri può far sì che l'uomo basti a se stesso e non diventi schiavo né
dei desideri né delle preoccupazioni, rinunciando ai piaceri da cui deriva
un dolore maggiore e sopportare i dolori da cui potrà derivare un piacere
maggiore. Insomma, per Epicuro il piacere è il bene completo e perfetto
quando sia inteso come non aver dolore nel corpo né turbamento nell'animo.
Per questo egli fa un elogio della phronesis (=saggezza, prudenza),
considerata il fondamento di tutte le virtù. Essa ci abitua a contenere i
desideri, a valutare con cura le conseguenze delle nostre scelte, prevedendo
un ampio margine di sicurezza, per evitare che da un bene abbia a derivarne
un male. Dice infatti Epicuro: "Per ognuno dei desideri va posta questa
domanda: che cosa mi accadrà se si realizza il mio desiderio, e che cosa, se
non si realizza?". In conclusione, la vita sarà felice se saprà essere
vissuta con saggezza, semplicità e giustizia. "Non ci può essere vita felice
se non è anche saggia, bella e giusta; e non vi è vita saggia, bella e
giusta che non sia anche felice. Le virtù sono infatti connaturate ad una
vita felice, è questa è inseparabile dalle virtù".
Agli uomini del suo tempo, Epicuro ricordava che il vero bene è sempre e
soltanto in noi. Il vero bene è la vita, e a mantenere la vita basta
pochissimo, e quel poco è a disposizione di tutti, di ogni singolo uomo.
L'espressionismo si sviluppò in Germania all'inizio del XX secolo, dapprima
nel campo della pittura, poi negli altri settori artistici quali
letteratura, teatro, cinema, musica. Nacque dal contrasto fra il metodico,
tranquillo e burocratico mondo borghese del XIX secolo e le esigenze
individuali dell'artista, insofferente di una realtà ordinata e monotona,
sentita quasi come qualcosa di disumano. Fu quindi un movimento fortemente
antiborghese e polemico contro le strutture della società e sentì in
particolare il bisogno di esprimere (da cui il nome) la parte più segreta
che è nell'uomo e quindi le sue inquietudini.
Contro l'oggettività dell'arte tradizionale che cercava di presentare fatti
e figure come si mostravano agli occhi nelle loro ordinate apparenze,
l'espressionismo propose visioni assolutamente soggettive, trasformando la
realtà in un pretesto per rivelare particolari stati d'animo. Nacque perciò
una concezione di arte come "Urschrei" ("grido originario") come espressione
di un grido dell'anima in preda all'angoscia di fronte a un mondo
insopportabile.
Il movimento pittorico si sviluppò in particolar modo attorno alla
formazione compatta de "Die Brücke" che sorse a Dresda nel 1905 e che si
trasferì nel 1911 a Berlino dove due anni dopo si sarebbe sciolto.
Si tratta di una vera e propria comunità di artisti tra cui Karl Ludwig
Kirchner e Emil Nolde che aderirono ad un programma scritto comune.
L' ESTETISMO
L' estetismo ha origine in Francia, verso il 1835 con Téophile Gautier e
influenza nomi illustri come Oscar Wilde, D'annunzio e Huysmans: è una delle
principali tematiche della cultura decadente. La figura dell' esteta nasce
dal rifiuto della visione utilitaristica del mondo tipica della borghesia
del tempo, nonchè della sua stessa morale, che viene vista sotto occhio
critico e abbandonata per essere sostituita dalla volontà, assolutamente
amorale, dell' individuo.
L' artista, che si è liberato da qualunque imperativo etico, si pone quindi
l' obbiettivo di ricercare e conseguire il bello, il sublime, in qualunque
modo egli voglia e possa esprimersi a cominciare dalla sua stessa vita; se
impegnato in questa missione edonistica si trova a dover agire immoralmente,
lo fa senza curarsene perchè, si è detto, egli trascende i concetti di bene
e di male. Il piacere diviene il fine ultimo, la giovinezza, la potenza, la
nobiltà vengono riscoperte come valori assoluti, da ammirare nel loro
aspetto transeunte ma intensissimo: sembrerebbe che l'estetismo sia la
scelta di un uomo sicuro e già forte di per sè. Prima di vedere che non è
esattamente così, lascio descrivere questa filosofia di vita da chi, esteta,
scrive meglio di me di estetismo.
Quello che segue è un passo del secondo capitolo di The Picture Of Dorian
Gray e descrive gli imperativi dell' esteta, nonchè la concezione di fondo
da cui scaturisce tale figura.
"Let us go and sit in the shade," said Lord Henry. "Parker has brought out
the drinks, and if you stay any longer in this glare, you will be quite
spoiled, and Basil will never paint you again. You really must not allow
yourself to become sunburnt. It would be unbecoming."
"What can it matter?" cried Dorian Gray, laughing, as he sat down on the
seat at the end of the garden.
"It should matter everything to you, Mr. Gray."
"Why?"
"Because you have the most marvellous youth, and youth is the one thing
worth having."
"I don't feel that, Lord Henry."
"No, you don't feel it now. Some day, when you are old and wrinkled and
ugly, when thought has seared your forehead with its lines, and passion
branded your lips with its hideous fires, you will feel it, you will feel it
terribly. Now, wherever you go, you charm the world. Will it always be so? .
. . You have a wonderfully beautiful face, Mr. Gray. Don't frown. You have.
And beauty is a form of genius--is higher, indeed, than genius, as it needs
no explanation. It is of the great facts of the world, like sunlight, or
spring-time, or the reflection in dark waters of that silver shell we call
the moon. It cannot be questioned. It has its divine right of sovereignty.
It makes princes of those who have it. You smile? Ah! when you have lost it
you won't smile. . . . People say sometimes that beauty is only superficial.
That may be so, but at least it is not so superficial as thought is. To me,
beauty is the wonder of wonders. It is only shallow people who do not judge
by appearances. The true mystery of the world is the visible, not the
invisible. . . . Yes, Mr. Gray, the gods have been good to you. But what the
gods give they quickly take away. You have only a few years in which to live
really, perfectly, and fully. When your youth goes, your beauty will go with
it, and then you will suddenly discover that there are no triumphs left for
you, or have to content yourself with those mean triumphs that the memory of
your past will make more bitter than defeats. Every month as it wanes brings
you nearer to something dreadful. Time is jealous of you, and wars against
your lilies and your roses. You will become sallow, and hollow-cheeked, and
dull-eyed. You will suffer horribly.... Ah! realize your youth while you
have it. Don't squander the gold of your days, listening to the tedious,
trying to improve the hopeless failure, or giving away your life to the
ignorant, the common, and the vulgar. These are the sickly aims, the false
ideals, of our age. Live! Live the wonderful life that is in you! Let
nothing be lost upon you. Be always searching for new sensations. Be afraid
of nothing. . . . A new Hedonism--that is what our century wants. You might
be its visible symbol. With your personality there is nothing you could not
do. The world belongs to you for a season. . . . The moment I met you I saw
that you were quite unconscious of what you really are, of what you really
might be. There was so much in you that charmed me that I felt I must tell
you something about yourself. I thought how tragic it would be if you were
wasted. For there is such a little time that your youth will last--such a
little time. The common hill-flowers wither, but they blossom again. The
laburnum will be as yellow next June as it is now. In a month there will be
purple stars on the clematis, and year after year the green night of its
leaves will hold its purple stars. But we never get back our youth. The
pulse of joy that beats in us at twenty becomes sluggish. Our limbs fail,
our senses rot. We degenerate into hideous puppets, haunted by the memory of
the passions of which we were too much afraid, and the exquisite temptations
that we had not the courage to yield to. Youth! Youth! There is absolutely
nothing in the world but youth!"
Insomma, la consapevolezza di un' esistenza fuggevole e di una vecchiaia
sterile, l' esaltazione della giovinezza e del piacere, unico valore reale
che si sublima nelle arti.
L' esteta vive cogliendo l' attimo irripetibile, in cerca di sensazioni
nuove e talvolta deleterie, modello di vita che, se osservato con
attenzione, riflette l' ansia e il desiderio di una vita diversa. L'
estetismo sarà, come vedremo, considerato e superato anche da D' Annunzio.
Questa corrente si sviluppa nel periodo del Decadentismo -D'annunzio
Eterno ritorno
se un giorno o una notte un demone strisciasse dentro la tua più solitaria
solitudine e ti dicesse: "questa vita, questo che adesso tu vivi ed hai
vissuto, dovrai viverla ancora una volta e un numero infinito di volte; e
non vi sarà niente di nuovo, ma tutto ritornerà, ogni dolore e ogni piacere,
ogni pensiero ed ogni sospiro, ogni cosa piccola o grande, e tutto nello
stesso ordine... anche questo ragno, e questo chiaro di luna tra gli alberi,
ed anche questo momento, ed io stesso" [.] Non ti getteresti per terra
digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? [.] Se quel
pensiero si impadronisse di te, farebbe di te un altro da quello che sei. Di
fronte a tutte le cose ti porresti la domanda: "Vuoi questo di nuovo e per
innumerabili volte? ", e questa domanda graverebbe come un peso tremendo su
ogni tuo atto.
Penso che questo aforismo, il 341esimo de La Gaia Scienza chiarisca il
significato dell' eterno ritorno dell' eguale.
Ed all' annuncio dell' eterno ritorno l' uomo normale si dispera, e lo sente
come un peso enorme, più grande di lui, travolto da un ineluttabile destino
è invaso dal terrore; il superuomo (e qui si vede se è tale) invece accoglie
entusiasticamente questa prospettiva, poichè ha accettato totalmente la vita
e ne gioisce come se non avesse mai udito cosa più divina: quindi la
reazione all' eterno ritorno segna la demarcazione tra l' uomo e il
superuomo.
Questa teoria riporta in auge concezioni classiche del tempo come ciclico,
contrapposte a quella dominante della Cristianità, che crede il tempo una
linea retta a senso unico: ciò per Nietzsche porta a considerare ogni attimo
figlio parricida del precedente, secondo un processo che Vattimo ha
denominato "struttura edipica del tempo", ovviamente il valore dell' attimo
in questione diviene poco rilevante e conseguentemente chi lo vive non può
viverlo in piena felicità, sapendo che esso è irripetibile. Ma pensare
invece all' attimo come ripetituro e perciò immortale significa innanzitutto
considerare il senso dell' essere intrinseco dell' essere stesso, e non ad
esso estraniato, attendendo al lato dionisiaco dell' esistenza, vuol dire
poi doversi disporre a vivere la vita come coincidenza di essere e di senso,
e di chiuderla in un circolo di felicità.
L' uomo occidentale che conosciamo, attanagliato da dubbi esistenziali e
convinto della scissione fra essere e senso di esso, non è in grado di
concepire tale prospettiva; per lui il tempo è una tensione angosciosa verso
un compimento sempre al di là da venire: solo il superuomo può godere della
vita come gioco creativo e sensato in sè, per questo la teoria dell' eterno
ritorno rappresenta il massimo grado dell' accettazione della vita in sè,
ovvero la massima espressione del superuomo.
Nietzsche sembra dare anche una spiegazione cosmologica del perchè tutto
dovrebbe ritornare: essendo la quantità di energia dell' universo finita,
mentre è infinito il tempo in cui essa si esprime, le combinazioni di essa
dovranno riproporsi prima o poi; le interpretazioni dell' eterno ritorno
sono comunque diverse: non si capisce se per Nietzsche "decidere" l' eterno
ritorno significhi prendere atto di una struttura cosmica oppure istituirla;
oppure questa concezione è una metafora, e l' eterno ritorno vuole essere
solo un atteggiamento in cui porsi rispetto alla propria esistenza Foscolo
-Nichilismo di Foscolo VS nichilismo attivo di Nietszche
-Alla sera
-Le illusioni -I Sepolcri
ESISTENZIALISMO
Innanzitutto è opportuno chiarire l' obbiettivo della tesina, ovvero
analizzare il significato del termine "esistenzialismo" e le sfumature che
assume in un raggio più ampio possibile di discipline, con particolare
attenzione per alcuni suoi aspetti conseguenti.
Dunque, dopo aver fornito alcune brevi definizioni, passo ad esporre il
problema, perchè di problema si tratta.
Nella filosofia classica fino all' idealismo essenza ed esistenza sono
distinte fra loro: l' essenza è l' essere universale e necessario quale
pensato dall' intelletto; l' esistenza è l' essere particolare e contingente
quale si attua concretamente nella realtà ed è oggetto di esperienza. L'
essenza rappresenta la possibilità di esistere, l' esistenza è l' attuazione
di tale possibilità. L' essenza sembra quindi dia significato all'
esistenza, essendo quest' ultima una manifestazione della prima: l'
esistenzialismo inverte questo rapporto, affermando che è l' esistenza che
dà validità all' essenza perchè l' individuo, soltanto attuandosi nella
singolarità irripetibile del suo essere, acquista la propria essenza, che
altrimenti rimarrebbe astratta e vuota.
L' uomo non deve essere che il risultato delle sue scelte, ovvero deve
creare la sua essenza partendo dal proprio modo di vedere il mondo. Ho
scritto deve non perchè questo rappresenti un qualsivoglia imperativo
morale, bensì perchè, visto che l' essenza crea e precede continuamente l'
esistenza (come avete visto nelle definizioni), l' esistenzialismo è il modo
corretto di porsi rispetto a sè stessi e alla realtà. Scegliere la propria
essenza significa quindi scegliere il proprio modo di vivere secondo la
propria sensibilità personale; ovvio che ciò non è comunque semplice, e una
volta presa coscienza del problema non se ne perviene immediatamente alla
soluzione, perchè esso ne genera altri e altri. Non a caso ho voluto
inserire per primo nel menu sovrastante Kirkegaard, che focalizza la diretta
conseguenza di questa tesi: l'angoscia.
L' angoscia, ovvero un senso di terrore per qualcosa di indefinito, la paura
per la nullità dell' esistenza umana... se l' esistenzialista è preda dell'
ansia è ovvio che rifiuta idee come quelle della felicità, della serenità
stoica, dell' ottimismo; egli vede la vita umana vissuta nella sofferenza,
nel peccato e nella colpa. L' esistenza è vista perciò come assurda: venirsi
a trovare in uno spazio e in un tempo senza ragione di esservi, vivere nella
contingenza. A tal proposito sono significative alcune parole del filosofo e
matematico francese Blaise Pascal:"Quando considero la breve durata della
mia vita, inghiottita nell'eternità prima e dopo, e il minuscolo spazio che
io riempio, e persino che posso vedere, inghiottito nell'infinita immensità
dello spazio che ignoro e che mi ignora, io sono spaventato e stupito di
essere qui piuttosto che là ed adesso piuttosto che allora."
E dunque ci si sente dispersi nel nulla: visto che nessuna essenza può
definire l' uomo, egli rifiuta tutte le filosofie, le scienze, le religioni,
le teorie politiche che falliscono nel rispecchiare la sua esistenza come
essere cosciente; quindi non c' è niente che strutturi il suo mondo, ed egli
si sente angosciato sul bordo dell' abisso, cercando nel vuoto del nulla. Il
tema del nulla è connesso con quello della morte, che è la negazione totale
della coscienza e che emerge continuamente all' attenzione dell'
esistenzialista provocando un senso di angoscia, per affrontare il quale
Foscolo propone alcune (illusorie) teorie.
La morte è una spada di Damocle che pende in ogni istante sulla vita umana,
quando si pensa ad essa ci si sente risucchiati nel nulla, e purtuttavia
Heidegger afferma "la mia morte è il più autentico, significante momento, la
mia personale potenzialità che solo in solitudine devo "soffrire". E se io
accetto la morte nella mia vita, ne sperimento la conoscenza e la affronto
correttamente, mi libererò dall' ansia della morte e dalla meschinità della
vita - e solo allora sarò libero di diventare e stesso"...su questo punto
Sartre dissente "Cos' è la morte? La morte è la mia totale inesistenza. La
morte è assurda some la nascita - non è il definitivo, autentico momento
della mia vita, non è altro che "il passare lo strofinaccio" sulla mia
esistenza come essere cosciente. La morte è un' altra testimone dell'
assurdità dell' esistenza umana"
Nietzsche critica il positivismo e la mentalità scientifica perchè crede che
la scienza non costituisca un sapere oggettivo privo di presupposti, poichè
anch' essa parte dalla concezione extra-scientifica che la conoscenza abbia
un' utilità assoluta e che sia tuttavia disinteressata, pacifica,
autosufficiente; parte da desideri umani di comprendere una saggezza divina,
e infine dalla presunzione di ordinare il mondo, che è caotico,
indeterminabile e pluriforme, in un sistema fatto di astratte matematiche
che non lo possono rappresentare.
E poi c' è la critica al culto del "fatto", che il positivismo ritiene
oggettivo e significativo in sè, quando invece per Nietzsche ha un senso
soltanto la sua interpretazione: essa infatti è ciò che permette realmente
di conoscere l' oggetto; la scienza tende ad esaminare i meccanismi
intrinsechi del reale ma essi non significano nulla per l' uomo, significa
invece l' impressione che l' oggetto lascia, l' interpretazione superficiale
ed esteriore, il "massimamente apparente". Un mondo inteso
meccanicisticamente è privo di senso: Nietzsche fa l' esempio della musica,
la quale si può misurare, calcolare e ridurre in formula, e tuttavia non se
ne avrà mai compreso l' essenza se non la si ascolta.
KIRKEGAARD
L' esistenzialismo di Kirkegaard nasce da una considerazione sulla
possibilità. La possibilità viene intesa come forza attanagliante che
sovrasta l' esistenza umana, che può condurre all' annullamento di tutto e
che lascia l' uomo in un dubbio angoscioso: Kirkegaard ne ha una visione
essenzialmente negativa e minacciosa. Dalla possibilità deriva infatti l'
angoscia, ovvero la consapevolezza delle alternative terribili e
annientatrici che si possono presentare dipendentemente dalle scelte che si
intraprendono.
Scelte che sono per Kirkegaard fondamentalmente tre: lo stadio estetico
(estetismo), quello etico e quello religioso.
Ora Kirkegaard vede in questi tre stili di vita dei passaggi evoluzionistici
ovvero da uno si passa all' altro senza soluzione di continuità bensì
attraverso salti, dovuti a crisi esistenziali.
Lo stadio estetico è basato fondamentalmente sull' inseguimento di
sensazioni sempre nuove, dell' attimo irripetibile: l' esteta vive la vita
come un' opera poetica, della quale coglie l' aspetto meraviglioso e
inebriante, rifugge la banalità e la ripetizione, che lo deprimono nella sua
ricerca del piacere sensistico ed estetico, esalta e sviluppa la propria
raffinatissima sensibilità. L' incarnazione di questo modello di vita,
secondo Kirkegaard è il Don Giovanni del Diario del seduttore, che sa porre
il suo godimento non nella ricerca sfrenata e indiscriminata del piacere, ma
nella limitazione e nell' intensità dell' appagamento. Ma la vita estetica
rappresenta l' ansia di una vita diversa che si prospetta come alternativa
possibile, e infine porta irrimediabilmente alla noia. A questo punto si può
scegliere di disperarsi (perchè per Kirkegaard si può) e considerare un
altro possibile modello di vita, scegliendo lo stadio etico.
Questo significa scegliere di rinunciare ad essere l' eccezione, adeguarsi
all' universale e riscoprire la piacevole continuità del banale; scegliere
di essere sè stessi dopo aver considerato il proprio ruolo, ovvero
affermarsi ed essere fedeli e leali verso ciò che ci rappresenta: significa
scegliere la propria scelta in quanto scegliere di essere sè stessi vuol
dire scegliere la libertà. La persona etica per eccellenza è il marito,
felice del proprio banale matrimonio, che è l' espressione dell' eticità
essendo a portata di tutti; il lavoro è importante in questo stadio, perchè
mette l' uomo in relazione con gli altri, gli fornisce una vocazione e lo
appaga completamente. Così facendo la persona etica riscopre la propria
storia, si rivede nei suoi rapporti interpersonali, scopre in sè una
ricchezza infinita; comunque proprio quando riconsidera la propria vita
passata e vi vede il peccato, non potendo rinnegare niente di sè perchè, si
è detto, ha scelto di non farlo, non può rinnegare nemmeno i suoi peccati.
Quindi si pente di essi. Si pente di tutte le colpe che riguardano lui e
tutto ciò che contribuisce a renderlo ciò che è, quindi il suo pentimento
abbraccia i peccati della sua famiglia, dei suoi antenati, del genere
umano... Riconoscendo la propria colpevolezza si è pronti a passare allo
stadio religioso, che è comunque fortemente desiderato visto che l' uomo
tende per natura a ricercare un significato profondo e metafisico alla
propria esistenza, e l' ansia di questa ricerca non viene placata dalla
condizione etica. Quindi nel pentimento disperato si ritrova in Dio che lo
assolve e gli offre il suo infinito amore.
Il passaggio alla vita religiosa è comunque molto drammatico, come fu
drammatica la scelta di Abramo: viene chiesto di rinunciare alle tradizioni,
alle consuetudini convenzionali e normative, ed il rischio angoscioso di
scegliere l' incertezza è evidente; alla fine però, come Abramo riottenne il
figlio, si ottiene in premio Dio, e per Kirkegaard non si potrebbe ottenere
di più.
"La verità consiste nel colpo di audacia di scegliere ciò che
obbiettivamente è incerto con la passione dell' infinità. Senza rischio non
vi è fede. La fede è appunto la contraddizione tra l'infinita passione dell'
interiorità e la certezza obiettiva".
La figura di Abramo, che incarna il modello della vita religiosa, è
significativa, perchè simboleggia il distacco dai valori morali al cospetto
del verbo divino, nonchè la paura di distaccarsene, la solitudine di fronte
ad una scelta che non può essere condivisa nè approvata da nessuno, l'
incertezza che deriva dal non avere conferma di voci umane, nè un tracciato
di regole scritte: la fede mette in contatto diretto l' uomo con Dio, che è
l' assoluto e l' infinito. Per ottenere questo rapporto l' uomo deve rompere
tutti i legami e dimenticare le leggi secondo le quali ha agito finora.
Ma la solitudine provoca incertezze, come si può essere sicuri che per il
religioso sia lecito trasgredire le leggi dell' etica in quanto chiamato da
Dio? Per Kirkegaard la risposta è proprio nella forza con cui questa domanda
si propone all' attenzione del religioso e nell' angoscia che causa in lui:
la fede è infatti certezza angosciosa, l' angoscia che si rende certa di sè
e di un nascosto rapporto con Dio. L' uomo è posto di fronte a un bivio:
credere o non credere. Da un lato è lui che deve scegliere, dall' altro ogni
sua iniziativa è esclusa perchè Dio è tutto e da lui deriva anche la fede.
La vita religiosa è nelle maglie di questa contraddizione inesplicabile.
-vita religiosa vs Materialismo di Epicuro
-Estetismo di D'Annunzio, Oscar Wilde
Leopardi
Leopardi avverte pesantemente il disagio esistenziale, tutte le sue opere ne
sono più o meno pervase. Il tema centrale del suo pensiero, espresso nello
Zibaldone, è la condizione infelice dell' uomo, che si origina dalla sua
teoria del piacere. Leopardi pensa infatti che la natura umana spinge a
desiderare un piacere (inteso settecentescamente in senso materialistico e
sensistico) infinito per durata ed estensione, impossibile da conseguire
nella finitezza della vita e della realtà. Un desiderio congenito che, non
potendo essere soddisfatto, fa l' uomo preda dell' ansia e lo costringe alla
continua e frustrante ricerca di piaceri che non possono che essere aleatori
e transeunti in confronto a ciò a cui in realtà tende. (Schopenhauer) E
dunque, inappagato e frustrato, l' uomo è infelice per sua stessa natura,
natura che comunque gli fornisce una via di fuga, attraverso le illusioni,
ovvero artifici intellettuali che all' uomo viene concesso di creare per sè,
che in un certo qual modo gli permettono di sopravvivere. L' uomo infatti
possiede una innata e irrefrenabile capacità immaginativa, che può concepire
cose che non sono, e che quindi può figurarsi l' infinito; essendo comunque
il piacere un tema ricorrente nel pensiero umano è poi ovvio che finisca per
essere immaginato, e immaginato con caratteristiche di infinitezza che non
gli corrispondono in realtà. E l' uomo trae sostentamento dalle chimere che
così crea e più ne ha più è felice.
Dunque nasce il contrasto tra le illusioni e la realtà, inferiore ad esse:
toccando con mano la realtà effettuale, tutte le costruzioni psicologiche
che, come detto, le venivano associate quando era ancora semplice
aspettativa vengono infrante nel finito, nell' insoddisfacente e nel
prosaico. La conoscenza del reale perciò mortifica e castra, e coloro che
hanno minore intuizione di esso sono privilegiati (ecco perchè il Leopardi
fa un gran parlare di antichi e fanciulli), vivono nell' illusione, che non
può che essere benigna; tuttavia in alcuni emblematici
componimenti----------A Silvia----------Sabato del villaggio-----------e
nello Zibaldone stesso Leopardi puntualizza l' asprezza dell' infrangersi
dei sogni, che non possono rimanere tali a lungo perchè destinati a
confrontarsi con la realtà: ora vediamo di riassumere i meriti e le colpe
della natura. La natura è in primo luogo maligna, perchè carica l' uomo del
desiderio di un piacere infinito, ma gli fornisce una via di fuga: le
illusioni, che però sono solo un palliativo, visto che poi la realtà si
ripropone violentemente e disastrosamente, causando una sconfitta maggiore.
-pessimismo
-Leopardi e Schopenhauer
Lucrezio
Ovvero un eccellente e fedelissimo epicureo. Le notizie su di lui sono
scarse; Napoli sembra il luogo di nascita attribuitogli per via
dell'epicureismo che svilupperà nelle sue opere; la data di nascita sembra
essere quella riportata da S. Girolamo nel suo Chronicon, il 94 a.C. Si
suppone, con poco fondamento, che sia impazzito a causa di una bevanda
amorosa, e che scrisse tutta la sua opera negli intervalli della pazzia
(sempre notizie reperibili nel Chronicon), ipotesi corroborata dal carattere
discontinuo e a volte controverso dell' opera. Si sarebbe infine suicidato
all'età di quarantaquattro anni. Questa notizia pero`suscita nella critica
pareri contrastanti. Se fosse stato davvero pazzo gli scrittori cristiani
avrebbero sfruttato questa sua condizione per scagliarsi contro il poeta ,
mentre nessuno degli autori fa il benché minimo cenno a questa sua
condizione. Inoltre, anche la data di morte è incerta. Se fosse veramente
morto suicida a quella età, di dovrebbe far risalire la data di scomparsa al
50 a.C, mentre in una lettera di Cicerone al fratello Quintio, del 54 a.C,
esprime un giudizio sulla produzione dell'autore facendone intendere la
recente scomparsa (attorno al 55 quindi). Visse al tempo di Cicerone e
Cesare, ebbe fortissime influenze dall'epicureismo, tanto da farlo celebrare
come poeta dalla filosofia, oltre che della scienza e della natura.
DOTTRINA EPICUREA
L' URLO
1893, olio, tempera e pastello su cartone 91 x 73.5 cm.
Oslo, Nasjonalgalleriet.
L' opera più famosa di Edvard Munch ha guadagnato molto n popolarità,
specialmente dalla Seconda Guerra Mondiale. Forse la paura esistenziale resa
qui dall' artista è divenuta più diffusa nelle decadi recenti?
In primo piano, su una strada con un parapetto che vi corre, si vede una
figura: le mani portate alla testa, occhi fissati, bocca spalancata. Più
avanti due gentiluomini eleganti e dietro di loro un panorama di fiordi e
colline: la prima volta che Munch descrive l' esperienza che diede vita a
questo dipinto fu nel suo diario, sotto il 22 gennaio 1892:
"Camminavo lungo la strada con due amici
quando il sole tramontò
il cielo si tinse all' improvviso di rosso sangue
mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto
sul fiordo neroazzurro e sulla città c' erano sangue e lingue di fuoco
i miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura
e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura."
Il paesaggio serale è distillato attraverso un ritmo astratto di linee
ondulate. L' opera è ricca di significati simbolici: il ponte, che tende
all' infinito rappresenta le innumerevoli difficoltà che presenta la vita
umana e contemporaneamente crea un potente aggancio prospettico
intensificando l' ossessività dell' atmosfera, i due amici, incuranti del
dramma che sta vivendo la figura in primo piano rappresentano la falsità e
la superficialità dei rapporti umani, ovvero l' impossibilità di uscire
dalla solitudine; poi c'e' l' urlante in primo piano, che esprime il dramma
collettivo dell' umanità intera con le sue nere labbra putrescenti che
ricordano quelle di un morto, la testa ridotta ad un teschio, gli occhi
sbarrati e le narici ridotte a due fori; il suo grido disperato e selvaggio
si propaga attraverso la natura circostante: vediamo infatti che il fiordo
oleoso e il cielo infuocato riprendono il movimento serpentinante della
figura, sono pervasi dalla stessa angoscia diffusasi nell' ambiente. L'
opera comunque non ritrae nè un fatto nè un paesaggio ma uno stato della
mente: il dramma è interno, eppure il soggetto è strettamente ancorato alla
topografia di Oslo - la vista è quella che si vede da Nordstrand guardando
verso le due baie di Oslofjord, con Holmenkollen sullo sfondo.
MORTE NELLA CAMERA DELLA MALATA
Tempera e pastello su tela. 125,5 x 169,5 cm. Presentato nel 1910 da Olaf
Schou.
La memoria infantile della morte della sorella di Munch si materializza in
molti quadri ben noti. In Morte nella camera della malata la famiglia è
riunita sul letto di morte di Sofie. Per facilitarle la respirazione, la
paziente siede in una sedia dallo schienale alto, girata di spalle. L'
artista vuole ritrarre non la fanciulla malata ma la reazione degli altri
membri della famiglia quando si trovano faccia a faccia con la morte. Non c'
è comunicazione fra le persone, ognuno è rinchiuso nel proprio mondo. Del
padre, che era un dottore, è visibile la faccia, e le sue mani sono
congiunte in una preghiera. La zia, Karen Bjolstad, attende alla malata. Il
gruppo in primo piano comprende le altre due sorelle di Munch. Laura siede
con le mani in grembo; Inger è in piedi esattamente come nel ritratto del
1892. Edvard è voltato verso la sorella morente, mentre il fratello Peter
Andreas sta lasciano la stanza attraverso la porta sulla sinistra.
"Dipingo non quello che vedo, ma quello che ho visto", diceva Munch della
sua arte. Questo è il ritratto di un ricordo, non uno stato della mente
fedelmente riportato, e così tutti i dettagli non necessari sono omessi. Dal
tempo dell' evento lui e le sue sorelle sono cresciuti, divenuti adulti, e
il padre e la madre sono morti. La disposizione delle figure diviene un
simbolo di dolore intorpidito. Munch ripetè la composizione in molte
versioni e in litografie.
L' ALIENAZIONE
Per Hegel l' alienazione è il momento dialettico (antitesi) in cui l' idea
si oggettiva e diventa altro, cioè natura che viene poi superata dallo
spirito (sintesi). In Feuerbach e in Marx il significato del termine muta.
Per Feuerbach l' alienazione è il processo in cui l' uomo proietta la
propria essenza nella divinità, sottomettendosi ad essa (alienazione in
campo religioso).
Per Marx l' alienazione indica il processo che si verifica nel sistema di
produzione capitalistico per cui il prodotto del lavoro si pone di fronte al
lavoratore come estraneo e il lavoro lungi dall' essere realizzazione dell'
uomo è alienazione e espropriazione (lavoro alienato). E' questa la tesi del
giovane Marx: il lavoratore è alienato da sè stesso, dal prodotto del suo
lavoro, dalla società veneratrice del denaro, da tutte quelle istituzioni
sociali - famiglia, morale, legge, governo - che lo costringono al servizio
del dio denaro e si allontana dal realizzare la sua potenzialità creativa.
Nel Marxismo più maturo, l' alienazione è espressa attraverso la divisione
del lavoro e delle sue molte ramificazioni.
L' alienazione in termini esistenzialistici è in questa considerazione: a
prescindere dal proprio essere cosciente, tutto il resto è alterità da cui
si è alienati. Siamo costretti in un mondo di cose che ci appaiono opache e
che non riusciamo a capire. In più la stessa scienza ci ha alienato dalla
natura con il suo sommergerci di concetti altamente specializzati e resi
matematici e, leggi, teorie e tecnologie che sono incomprensibili ai non
specialisti ed ai profani; questi prodotti della scienza adesso stanno tra
noi e la natura. Inoltre la rivoluzione industriale ha alienato l'operaio
dal prodotto del suo lavoro, rendendolo una componente meccanica del sistema
produttivo, come ci insegna Marx. Noi siamo pure alienati dalle istituzioni
umane - dal governo burocratico, sia a livello nazionale che locale, dai
partiti politici, dalle imprese multinazionali, dalle organizzazioni
religiose nazionali - esse sembrano enormi ed impersonali fonti di potere
aventi vita propria. Come individui noi non sentiamo né di esserene parte di
né possiamo capire come funzionano. Noi viviamo alienati dalle nostre stesse
istituzioni. Inoltre, dicono gli esistenzialisti, noi siamo esclusi dalla
storia. Non abbiamo più il senso delle nostre radici in un passato
significante né vediamo muoverci verso un futuro significante. Come
risultato, noi non apparteniamo né al passato, al presente o al futuro.
E per ultimo punto, forse il più penoso, l'esistenzialismo evidenzia che
tutte le nostre relazioni personali sono avvelenate da sentimenti di
alienazione dall' "altro". L'alienazione e l'ostilità nascono all'interno
delle famiglie tra genitori e figli, tra marito e moglie, tra i figli
stessi. L'alienazione infetta tutte le relazioni sociali e lavorative e, più
crudelmente, essa domina i rapporti sentimentali.
Munch
Munch, uno dei padri dell' espressionismo insieme a Van Gogh, riesce a
rappresentare nelle sue opere l' angoscia e il tormento esistenziale che lo
attanaglia. Nasce nel 1863 a Löten, in Norvegia e l' anno dopo si
trasferisce a Cristiania, l' odierna Oslo. Le disgrazie familiari (la morte
della madre nel 1868, della sorella nel 1877 e del padre nel 1889)
influirono in maniera determinante sulla sua vita da artista: Munch è il
pittore dell' angoscia (L'Urlo), della solitudine, della paura di vivere;
profondamente influenzato dalle teorie esistenzialiste di Kirkegaard, dai
drammi di Ibsen e di Strindberg Munch si sente oppresso dal senso incombente
e angoscioso della morte che pervade insistentemente la maggior parte delle
sue opere. La sua prima formazione, tendenzialmente naturalistica, avviene
alla Scuola Reale di Pittura di Oslo, ma compie anche molti viaggi
soprattutto a Parigi, dove viene in contatto con l' Impressionismo, di cui
non condivise però le premesse: la pittura en plen air infatti non lo
soddisfa in quanto quello che egli vuole rappresentare non è il momento
fuggevole bensì il fatto, denso di significato, che è rimasto impresso nella
memoria. Grazie alla sua tecnica veloce Munch dipinge diversi abbozzi e
copie di ogni sua opera: dipinge finchè quello che rimane sulla tela non
coincide con il ricordo stampato nella memoria dell' artista; quando si
criticò il carattere di incompletezza delle sue opere, il suo maestro e
pittore Christian Krohg rispose per lui: "Oh, si! Sono complete. Uscite
dalla sua mano. L'arte è completa quando l' artista ha detto tutto quello
che doveve dire veramente; e questo è il vantaggio che Munch ha su
generazioni di pittori, ha l' abilità unica di mostrarci cosa ha provato e
cosa lo tormentava, facendo sembrare tutto il resto senza importanza"
Questa parte me l' hanno chiesta in molti: se non è abbastanza esauriente
chiedete pure al riguardo-
Alla base di tutte le correnti letterarie (in latino, inglese, arte, etc)
c'è una filosofia: capita per alcune, come l' estetismo, il neoclassicismo
di foscolo e praticamente tutto il pensiero di Leopardi che tale filosofia
riguardi il porsi dell' uomo di fronte alla propria esistenza (che è ancora
esistenzialismo). Il primo a concentrarsi principalmente sull'
esistenzialismo è Kirkegaard, che analizza il problema essenza-esistenza, e
a ne trae riflessioni sostanzialmente etiche, non fini a dare basi per opere
di poesia, come wilde o d' annunzio, e altri. E quindi Kirkegaard, per
focalizzare il problema, è necessario. Chiarito poi il problema, le
conseguenze etiche, lo si può ampliare con la filosofia di Nietzsche e di
Schopenhauer che, l' uno e l' altro, propongono le proprie posizioni
rispetto all' essere. Da Nietzsche si può passare a D' Annunzio, con il
superuomo, e da Schpenhauer a Leopardi, prima con la comune visione
cosmologica, poi con le conclusioni sul pessimismo. Tornando a Kirkegaard si
può ampliare il discorso sull' esteta e parlare di Oscar Wilde e Dorian
Gray. L' epicureismo (e Lucrezio, che ne è uno dei pochi testimoni) è una
visione rilassata, che parte da una cosmologia come Leopardi e Schopenhauer,
ma giunge ottimisticamente a una soluzione, passando per l' atarassia
(simile all' ascetismo di Schopenhauer, ma non uguale). L' esistenzialismo
ispira anche l' espressionismo, dal tema di partenza dell' angoscia, --non
si può tralasciare almeno l' Urlo di Munch, che è un pò un manifesto di
tutto il discorso--, e poi Gauguin che dedica molti quadri al tema, è un
buon riempitivo. Il tema dell' alienazione (Seneca) nasce da considerazioni
leggermente diverse, dello stato della Roma imperiale, ma comunque ha molto
a che vedere con il rapporto ontologia-etica, su cui (a mio avviso) si basa
l' esistenzialismo.
Se fra le materie d' esame c' è anche Francese (fra le mie non c' era), si
potrebbe fare anche un collegamento a Foscolo e la sua visione della morte
(che è lett. italiana, ma per quello che ne so io il tema si ritrova anche
in letteratura francese).
SCHOPENHAUER
Schopenhauer parte dalla distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno, ma
mentre per Kant il noumeno non è conoscibile e fissa il limite della
conoscenza, per Schopenhauer esso è una realtà che il filosofo in quanto
tale deve riuscire a comprendere. E il fenomeno è invece pura illusorietà,
che Schopenhauer identifica con il "velo di Maya" delle filosofie indiane,
dalle quali trae ispirazione insieme al Buddismo e al kantismo. Dunque, egli
vede kantianamente che l' oggetto conosciuto è passato attraverso tre forme
a priori (spazio, tempo e causalità) ed è stato deformato da esse: nella
realtà non può quindi essere quale noi lo conosciamo. Perciò la vita è un
"sogno" ingannevole, il mondo ci è nascosto e i suoi meccanismi non sono
evidenti, tuttavia nell' uomo c'è una naturale propensione a interrogarsi
sul significato della propria esistenza e a tentare di carpire l' essenza di
questa realtà inconosciuta.
Schopenhauer è un filosofo romantico, che parte dalla filosofia di Kant e si
propone di integrarla: egli crede di aver trovato il modo di conoscere il
noumeno proprio attraverso ciò che un' illuminista non avrebbe mai pensato
essere significativo, ovvero la volontà. La volontà, che costituisce una
parte irrazionale della mente umana, è ciò che ci rende parte del meccanismo
che regola il mondo e che permette di squarciare il velo di Maya.
-Caratteri e manifestazioni della volontà.
-si sottrae alle forme a priori (spazio, tempo e causalità)
-oltre la forma del tempo -> eterna
-oltre la forma della causalità -> libera, indipendente
-si sottrae al principio di individuazione -> unica e si esprime in forme
molteplici
-si oggettiva per fasi, prima nelle idee, o archetipi del mondo, poi nei
singoli individui, che non sono nient' altro che la moltiplicazione delle
idee
-tra individui e idee rapporto copia-modello.
-La vita non ha motivo di essere, essendo la volontà indipendente e fine a
sè stessa.
-la vita tra noia e dolore. -> pessimismo cosmico radicale.
-la formica gigante d' Australia.
-il rifiuto del suicidio.
-arte, morale ed ascesi.
-arte- il soggetto contempla l' idea dietro la forma, trascendendola e
sentendosi in contatto con il principio primo
-morale- compatendo si sente ciò che sentono gli altri, che sono parte di un
tutto Tat Twan Asi (questo vivente sei tu)- giustizia - carità
-L' ascetismo come liberazione. voluntas-noluntas.
SENECA
La filosofia di Seneca unisce elementi pitagorici e cinici, provenienti
dalla sua prima educazione, dando grande importanza all'esame di coscienza
quotidiano e alle scienze naturali.
Anche nelle tragedie vengono rappresentati caratteri estremamente negativi,
forse a significare proprio che "senza retta ratio e filosofia non esiste
via di scampo".
Per inquadrare il pensiero di Seneca bisogna ricordare che essendo figlio di
un importante retore ed era destinato ad una carriera politica di
prim'ordine. Furono però i casi della vita (malattia, esilio, ruolo di
educatore e di consigliere) che accentuarono nella sua filosofia il
carattere etico del quale trattò tutti i temi fondamentali: passioni,
rapporto tra uomo e tempo, libertà, incoerenza della schiavitù, felicità,
ruolo del sovrano. Dal canto suo Seneca aggiunse uno spiccato interesse per
la natura ed i suoi fenomeni. Molte furono le filosofie che ispirarono il
pensiero di Seneca nella sua vita, le principali furono quella stoica,
epicureista e platonica.
Stoicismo in Seneca
- sostiene che ci si possa gradatamente avvicinare alla perfezione del
saggio controllando e superando la propria ira
- è convinto che al raggiungimento della felicità non nuocciano le buone
condizioni
- ha una visione del saggio libero da ogni condizionamento esterno ed è
capace di considerare le difficoltà della vita come puri esercizi alla virtù
- nega la proprietà privata e considera assurda la divisione tra liberi e
schiavi utilizzando questi punti: la fortuna è in grado di invertire in ogni
momento i ruoli, tutti gli uomini appartengono comunemente allo stesso
universo e si può essere liberi giuridicamente, ma schiavi delle proprie
passioni.
Epicureismo in Seneca
- l'invito a non temere la morte
- il tentativo di interiorizzare i problemi esistenziali cercando in se
stessi la soluzione
- la concezione del tempo e l'invito a vivere ogni giorno come se fosse
l'ultimo
Platonismo in Seneca
- l'elogio dalla conoscenza pura
- la filosofia come iniziazione che porta l'uomo dalle tenebre
dell'ignoranza alla luce della conoscenza distinguendolo dall'animale
- la filosofia come mezzo per raggiungere un distacco dalla quotidianità
- il progetto di un principato filosoficamente orientato
IL SUPEROMISMO
Il concetto di superuomo può essere considerato come un' evoluzione di
quello dell esteta, oppure come una reazione decadente e illusoria alla
sensazione di impotenza provata di fronte agli eventi del secolo in cui si
sviluppa.
Le caratteristiche principali del superomismo nietszchiano sono una forte
inclinazione al vitalismo e al materialismo, un rifiuto a priori di ogni
valore che trascende la realtà terrena nichilismo l' imposizione della sua
volontà incontaminata e inalienabile sul mondo esterno. Il superuomo
rappresenta un oltrepassamento del concetto di uomo: l' Ubermensch tedesco
infatti significa oltre-uomo, di cui il "superuomo" italianizzato è
traduzione solo approssimativa, in quanto non rende completamente il
significato di trascendenza dalla condizione umana ma sembra connotare un
potenziamento di essa, cosa che propriamente non è. L' Ubermensch infatti
appartiene ad un' altra razza, egli sta all' uomo come l' uomo sta alla
scimmia, deve essere come un mare che accoglie e purifica le imperfezioni
del fiume che è stato. Peculiare di questo modello di vita perfetto è la
volontà di potenza: una forza libera e creatrice, che impone sè stessa sul
caos del mondo, e ai fatti da e prende per vere le proprie interpretazioni:
questo significa accettare l' essere (amor fati) e ricrearlo a propria
misura; in questo modo la vita reinventa e sorpassa continuamente sè stessa,
tutto sotto il controllo della volontà. Accettare quindi la propria vita e
la sua fine senza appigli metafisici è dunque fondamentale per il superuomo,
che vi si deve lanciare, dominarla e viverla come se dovesse riviverla
infinie volte (eterno ritorno)
-D'Annunzio
-vitalismo estetizzante panico e sensuale
-carattere eroico del superuomo
-Il programma politico del superuomo
-Le vergini delle rocce