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OCCULTISMO - LE ERESIE
Testi tratti dal sito: www.eresie.it di Douglas Swannie

PERSONAGGI ERETICI - L'OCCULTISMO

Ofiti (o Naasseni) (II secolo)



Gli ofiti, o naaseni (dal greco òphis e dall'ebraico nâhâsh: serpente)
rappresentano una scuola (di cui non si conosce il capostipite) di pensiero
gnostico, molto popolare nel II secolo, al limite del Cristianesimo tant'è
che alcuni autori sono più propensi a classificarli come gnostici pagani o
ebraizzanti.


La dottrina
La dottrina gnostica degli o. originava dal Padre di Tutti o Primo Uomo, che
aveva emanato il Pensiero o Figlio o Secondo Uomo. A quel punto era comparso
l'Agape o Spirito Santo o Prima Donna. Questa trinità aveva generato Cristo
e sua sorella Sophia (Saggezza), ma uno dei figli di Sophia, il demiurgo
Ialdabaoth si era ribellato creando il mondo materiale e l'uomo.
Egli, identificato come Yahweh nel Vecchio Testamento, aveva messo i primi
uomini, Adamo ed Eva, nell'Eden e preteso di essere venerato da loro.
Tuttavia il serpente, citato nella Genesi (3,1), secondo gli o., era stato
mandato da Sophia per convincere gli uomini ad assaggiare il frutto proibito
della conoscenza per rendersi conto di livelli divini ben superiori di
quello del loro creatore.
Inoltre Sophia, all'insaputa di Ialdabaoth, aveva instillato la scintilla
divina negli uomini, i quali quindi, anche dopo la cacciata dal Paradiso
Terrestre, avevano mantenuto, in maniera latente, la conoscenza della loro
origine nel Padre di Tutti, ma non ne erano consapevoli a causa delle
manovre intenzionalmente distraenti del demiurgo.
Per accendere questa scintilla e portare la conoscenza, Cristo,
impietositosi dello stato degli uomini sotto la tirannia di Ialdabaoth,
decise di scendere sotto forma di Gesù.
Gli ofiti, dunque, veneravano il serpente, primo latore della conoscenza
(gnosi) e, come i cainiti, esaltavano tutti i personaggi del Vecchio
Testamento, che apparivano come nemici di Yahweh, cioè di Ialdabaoth e per
questo vennero perseguitati dai cristiani come blasfemi.


Le opere
Direttamente agli o. vengono fatti risalire la Predica dei Naasseni e il
Diagramma degli ofiti: quest'ultimo, composto prima del 150, è andato
perduto, ma è stato ben descritto dal filosofo pagano Celso (che considerava
gli o. come una setta cristiana) e dal famoso scrittore e teologo Origene,
come rappresentazione della complessa cosmogonia degli o.


Czechowic, Martin (o Marcin) (ca.1532-1613)



Il prete unitariano Martin (o Marcin) Czechowic nacque a Zbaszynie, in
Polonia, nel 1532 ca. Da giovane era un convinto cattolico e entrò quindi in
seminario, diventando prete a Kurnik fino al 1555, quando aderì, a Vilna, al
movimento dei Fratelli Boemi. Tuttavia, 20 anni dopo, nel 1575, egli assunse
una posizione unitariana radicale (quasi ariano) con componenti anabattiste,
una combinazione dottrinale molto popolare nella Polonia del XVI secolo.
Egli infatti credeva che Cristo fosse stato un uomo come gli altri, ma che,
essendo nato senza peccato, fosse stato divinizzato e che fosse giusto
adorarlo. Come Gonesio, C. si opponeva al battesimo dei bambini, all'uso
delle armi (alla nonviolenza C. dedicò il suo libro Dialoghi cristiani del
1575), al coinvolgimento in incarichi pubblici e alla proprietà privata.
Questa sua posizione fu una delle quattro correnti unitariane che si
confrontavano in Polonia fino alla loro riunificazione sotto la guida del
teologo italiano Fausto Sozzini.
C. inoltre entrò in polemica con i rabbini polacchi, in particolare con
Jacob Nahman di Belzyc, perché cercò di dimostrare che le obiezioni degli
ebrei contro Cristo come Messia erano infondate.
C. morì nel 1613.



Rioli, Giorgio (Siculo, Giorgio) (ca. 1517-1551) e i georgiani



La vita
Né con la Chiesa Cattolica, né con i Protestanti: Giorgio Rioli  iniziò
questa sua scomoda avventura di dissidente isolato, nascendo nel 1517 circa
a San Pietro Clarenza, sulle pendici dell'Etna, in provincia di Catania.
Della prima parte della vita di quest'uomo, più universalmente noto come
Giorgio Siculo (che, contrariamente alle convinzioni di alcuni autori, non
ha nulla a che fare con il corregionale Camillo Renato), non si conosce
praticamente nulla fino alla sua ammissione nel monastero benedettino di San
Niccolò l'Arena di Catania il 24 febbraio 1534, dove conobbe e diventò amico
del confratello Benedetto Fontanini da Mantova, l'autore dell'arcinoto
Beneficio di Christo, residente nel monastero di Catania tra il 1537 ed il
1543.
R. fu un uomo indubbiamente carismatico, ma di scarsa cultura: scriveva in
dialetto siciliano e, per poter rendere i propri testi più leggibili,
necessitò spesso di traduzioni in italiano o in latino fornite da parte dei
confratelli, o il sopramenzionato Benedetto Fontanini o Luciano degli
Ottoni, abate di Santa Maria di Pomposa e uno dei suoi più convinti seguaci.
Alla fine del 1546 egli cercò di intervenire nei lavori del Concilio di
Trento (1545-1563), inviando il suo De iustificatione ad Ottoni, poi
cercando di farsi ricevere direttamente dal cardinale Reginald Pole, per
presentare le sue dottrine profetiche ed apocalittiche.
Poco dopo, nel 1548 esplose il caso di Francesco Spiera, l'avvocato di
Cittadella, che aveva dovuto abiurare dal suo credo luterano, ma che, in
seguito, ne era morto per il rimorso. R., dopo il tentativo di intervento al
concilio di Trento, era comunque rimasto in zona, e più precisamente a Riva
di Trento, dove dedicò ai fedeli della cittadina una predica quaresimale sul
caso Spiera, da cui venne tratta la sua opera più nota, l'Epistola di
Georgio Siculo (.).
Ma, solo qualche mese dopo, nel settembre 1550, mentre stava predicando
contro i luterani a Ferrara, fu arrestato con l'accusa di eresia. Da una
parte non poteva certo contare sull'appoggio dei evangelisti e riformatori,
i quali, come Giulio Della Rovere o Celio Secondo Curione o perfino lo
stesso Calvino, lo avevano (o lo avrebbero) attaccato duramente nei loro
scritti, dall'altra il cardinale Ercole Gonzaga (1505-1563) aveva coinvolto
il cugino duca Ercole II d'Este (1534-1559) per poter punire esemplarmente
il monaco benedettino e reprimere il più possibile la setta dei seguaci del
"Don Georgio impio heretico", come R. stesso venne definito da un
inquisitore. Perfino l'Inquisizione romana si interessò a lui e ne chiese
inutilmente l'estradizione, ma il duca di Ferrara si assicurò che il
processo si svolgesse sotto la sua giurisdizione.
Durante il processo R. dichiarò la sua decisione di abiurare, e quindi fu
ordinato che dovesse farlo pubblicamente il 30 marzo 1551 nella chiesa di
San Domenico a Ferrara, davanti all'Inquisitore fra' Michele Ghisleri da
Alessandria (il futuro Pio V: papa dal 1566 al 1572) e ad Ercole II d'Este,
ma sorprendentemente, considerando che egli era stato uno strenuo difensore
dell'atteggiamento nicodemitico, R. si rifiutò.
A quel punto, il suo destino era segnato: riportato in carcere, R. vi fu
strangolato due mesi dopo, la sera del 23 maggio 1551.


Le opere
Detto del De iustificatione del 1546, il libro di R. che ebbe la maggior
diffusione, ma che sollevò anche un grande scalpore, fu l'Epistola di
Georgio Siculo servo fidele di Iesu Christo alli cittadini di Riva di Trento
contra il mendatio di Francesco Spiera et falsa dottrina de' protestanti,
stampata nel 1550 a Bologna. Benché all'apparenza sembri un testo cattolico
tutto proteso contro la dottrina calvinista della predestinazione e di
quella luterana della giustificazione per sola fede, il testo anelava
invece, similmente alla "terza via cristiana", e cioè al pensiero
anabattista e antitrinitario (quest'ultimo secondo la dottrina di Miguel
Serveto), alla palingenesi o apocatàstasi, la salvezza per tutta l'umanità,
grazie all'opera redentrice del Vangelo trasmesso da Cristo morto in croce e
per mezzo della Grazia di Dio.
Poco dopo, nello stesso anno, comparve il suo Espositione.nel nono decimo et
undecimo capo della Epistola di San Paolo alli Romani, con un suo commento
sulla lettera paolina più discussa dai luterani.
Gli altri suoi pensieri, noti in forma orale durante la sua vita, furono
pubblicati postumi in un libro, latinizzato da Luciano degli Ottoni, con il
titolo di Libro maggiore o Libro grande o Libro della verità christiana et
dottrina apostolica.


La dottrina
Profetico, mistico e apocalittico, R. raccontava ai suoi seguaci che Cristo
gli era apparso in persona per comunicargli che tutti i sacramenti erano
completamente inutili (anche il Battesimo, ed in questo si differenziava
dagli anabattisti) e che l'unica cosa che poteva rimettere i peccati era la
fede nel Signore.
R. inoltre negava l'autorità papale, la gerarchia ecclesiastica, il culto
della Vergine e dei santi, il valore meritorio delle opere, la messa, le
indulgenze, la presenza reale nell'Eucaristia, ma esaltava la ragione e la
dignità della natura umana.
Indipendente e critico delle correnti principali del protestantesimo, R.
favoriva una religiosità semplificata e spirituale: per lui, era preferibile
mantenere una certa indifferenza di fronte alle professioni di fede e anzi
perfino accettare esteriormente una confessione religiosa, soprattutto
quella cattolica, anche se non vi si credeva. Da qui le pesanti accuse di
nicodemismo lanciate da Calvino.


I seguaci
Le idee di R. ebbero un certo seguito negli anni successivi ed influenzarono
diversi dissidenti e seguaci, denominati georgiani, come:
Il già citato Luciano degli Ottoni, che dovette dimettersi dall'incarico di
abate di Pomposa e fu processato nel 1552, ma che morì alla fine dello
stesso anno.
Il medico e poeta di Argenta Francesco Severi, che fu decapitato e arso a
Ferrara nel 1570,
Il prete e letterato ferrarese Nascimbene Nascimbeni (m. dopo 1578), che
abiurò per opportunità nel 1551 e nel 1560, ma che nel 1570 si presentò
spontaneamente agli Inquisitori, permettendo di riaprire il procedimento
decisivo a carico dei seguaci di S.  oramai vent'anni dopo la morte del loro
capostipite.
Francesco Pucci, curiosamente considerato l'erede del pensiero di R., pur
non avendolo mai conosciuto.


Nayler, James (1618-1660)



Il quacchero James Nayler nacque nel 1618 a Andersloe (oggi Ardsley), vicino
a Leeds, nella contea inglese del West Yorkshire, da una famiglia di piccoli
proprietari terrieri.
Nel 1642, allo scoppio della guerra civile, N. si arruolò come
quartiermastro (furiere) nella cavalleria dell'esercito parlamentare, ma nel
1650 dovette ritirarsi a vita privata a causa delle sue cattive condizioni
di salute.
Ritornato a casa, ebbe un giorno una visione, mentre arava i suoi campi: una
voce che lo esortava a vendere tutto e ad andarsene dalla casa del padre. Ma
non prese decisioni drastiche finché non ebbe incontrato nel marzo 1652 il
fondatore del movimento dei quaccheri, George Fox. A quel punto N. vendette
tutti i suoi averi e divenne uno dei primi, ed il più dotato come eloquenza,
dei predicatori quaccheri. Il suo pensiero era abbastanza radicale e
nell'esercizio della predicazione, amava inserire concetti cari ai ranters e
ai familisti, ma fu imprigionato diverse volte per blasfemia tra il 1653 ed
il 1655.
Nel 1656, però, N. passò il segno prestandosi ad una rappresentazione che lo
mise nei guai seri con le autorità anglicane. L'anno prima, il 1655, infatti
N. si era recato a Londra, dove aveva conosciuto un gruppo di signore della
setta, affascinate dal suo aspetto e modo di fare. Quando poi, recatosi
nell'ovest del paese, N. era stato arrestato ad Exeter, queste donne, tra
cui Martha Symmonds e Hannah Stranger, erano andate a trovarlo in carcere,
iniziando ad adorarlo come un novello Cristo. Una terza adepta,
particolarmente emotiva, tale Dorcas Erbury, alla vista di N., svenne e
questo svenimento fu esageratamente descritto come una morte improvvisa, per
cui il semplice rinvenimento, avvenuto in presenza di N., fu interpretato
come un vero e proprio miracolo della resurrezione operata dal predicatore
quacchero.
Fox stesso visitò N. in carcere per controllare e reprimere questa
preoccupante divinizzazione del suo ex pupillo, derivata probabilmente da
una interpretazione un po' troppo letterale di una frase di Fox stesso, Dio
è in ogni uomo, ma N., irretito dalle sue seguaci e convinto da loro di
essere lui stesso Gesù Cristo, lo trattò con sufficienza.
Poco dopo il suo rilascio nell'ottobre 1656, il misfatto: preceduto dalla
Symmonds e dalla Stranger, che cantavano: "Santo, Santo, Santo, il Signore
Dio di Israele" e stendevano vesti per terra davanti al corteo, N. entrò a
Bristol a cavallo di un asino, appunto come un novello Gesù Cristo, ad
imitazione dell'entrata in Gerusalemme, descritta nei Vangeli.
Immediatamente arrestato con il suo seguito, egli fu inviato a Londra per
essere interrogato dal parlamento inglese, dominato in quel momento dalla
fazione puritana.
Qui N. fu condannato per blasfemia: egli non avrebbe potuto essere messo in
prigione per più di sei mesi, secondo la legge contro la blasfemia (Blasfemy
Act), se non fosse stato per i conservatori puritani che prima tentarono
inutilmente di farlo condannare a morte e poi concepirono per lui una
tremenda punizione.
Infatti, dopo essere stato esposto per due ore alla gogna, N. fu legato ad
un carro e frustato a sangue per tutto il percorso durante il suo
trasferimento ad un altro luogo di condanna, rimesso alla gogna, gli fu
bucata la lingua con un ferro rovente e fu marchiato a fuoco sulla fronte
con la lettera B (blasfemia).
Non soddisfatti di questo trattamento, i suoi giudici ordinarono che N.
fosse in seguito condotto a Bristol per essere portato in giro per la città,
in segno di scherno, seduto all'incontrario su un cavallo senza sella,
nuovamente frustato ed infine gettato nella prigione di Bridewell a Londra,
dove rimase per due anni e mezzo.
Perfino il Lord Protettore Oliver Cromwell (1599-1658) fu sconvolto da tanta
severità della condanna, ma non riuscì a fermare la punizione.
In prigione, comunque, nonostante la proibizione di ricevere penna e carta,
N. riuscì a scrivere diversi trattati. Finalmente l'8 settembre 1659 N. fu
liberato per ordine del nuovo parlamento e nel gennaio 1660 si riconciliò
con Fox e gli altri quaccheri.
Nell'ottobre 1660 egli si mise in viaggio da Londra per andare a visitare la
sua mai dimenticata, ma un po' trascurata, famiglia che abitava ancora nello
Yorkshire.
Purtroppo non ci arrivò mai: dopo qualche giorno fu trovato legato e
bastonato in un campo di Kings Ripton, vicino a Huntingdon, nella contea del
Cambridgeshire, probabilmente vittima di banditi di strada, e, nonostante i
soccorsi portati da Thomas Parnell, un medico quacchero locale, N. morì a
Kings Ripton il 21 ottobre 1660 per le gravissime ferite riportate al capo.


Nazarei (o nazareni)



Nome che ricorre più volte nella storia del cristianesimo:


1) Primi cristiani
Nomignolo dato dai pagani ai primi cristiani.


2) Setta giudeo-cristiana (1/2  I° secolo)
I N. vivevano vicino al fiume Giordano e facevano voto di castità e
astinenza, facendosi crescere i capelli durante il periodo del voto. E'
molto probabile che il soprannome di Nazareno dato a Gesù Cristo risalga a
questa pratica, poiché è storicamente accertato che all'epoca di Gesù la
città di Nazareth, l'altra possibile origine del Suo soprannome, non era
ancora stata fondata.
Similmente alle altre sette giudeo-cristiane, i N. seguirono parti della
legge mosaica, come la circoncisione e l'osservanza del sabato, ma, rispetto
agli altri, accettarono anche la figura di Gesù Cristo come Messia, nato
dalla Vergine.
Il loro rifiuto nei confronti di San Paolo, invece, fu totale ed il loro
libro di riferimento era il Vangelo degli Ebrei, qualche volta denominato
Vangelo dei Nazareni.
Qualche volta gli stessi Mandei sono stati denominati nazareni.


3) Varie denominazioni del XIX e XX secolo
Church of the Nazarene
Breese, Phineas F. e Chiesa dei Nazareni
Chiesa canadese della Santità dei Nazareni
Shembe e Chiesa battista di Nazareth


Nazario (vescovo cataro) (XIII secolo)



"Figlio maggiore" del vescovo Garatto della chiesa catara di Concorezzo e
suo successore dal 1190 al 1235, Nazario era fautore di un dualismo
moderato, derivato dalla Chiesa di Bulgaria, presso la quale aveva appresa
la dottrina catara.
Durante il suo episcopato, fu portato in Italia (non da Nazario stesso,
sembra accertato, ma da altri fedeli) l'Interrogatio Johannis, celebre
apocrifo di origine  bogomila e considerato il libro segreto (secretum) dei
catari.
L'Interrogatio contiene le "domande di Giovanni, apostolo ed evangelista,
alla Cena segreta del regno dei cieli intorno all'ordinazione di questo
mondo e intorno al principe e intorno ad Adamo".
Esso contiene alcuni punti cardini della dottrina catara come gli angeli
caduti imprigionati nei corpi di Adamo e degli altri uomini e la creazione
del mondo terreno visibile da parte di Satana.
N., inoltre, non credeva all'incarnazione di Cristo né alla Sua
consustanzialità con il Padre, allineandosi così su posizioni simili a
quelle del monarchianismo.


Negri da Bassano, Francesco (1500-1563)



La vita
Francesco Negri, nato nel 1500 da famiglia nobile a Bassano del Grappa
(provincia di Vicenza), era entrato nell'ordine dei Benedettini con il nome
di Fra' Simeone da Bassano e aveva fatto parte dei monasteri di San
Benedetto di Polirone (o San Benedetto Po) e Santa Giustina di Padova.
Fu influenzato dalla dottrina di Lutero fondata sulle Sacre Scritture, come
comunicò al fratello Girolamo, e successivamente riportato da quest'ultimo
in una lettera del 18 febbraio 1524 inviata al loro padre.
Nella primavera 1525, N. fece la sua scelta di campo: abbandonò il monastero
di Santa Giustina preferendo l'esilio in Germania e a Strasburgo, dove abitò
dal 1529 al 1531 e dove seguì i corsi di teologia di Martin Butzer (Bucero)
e Wolfgang Capito (1478-1541). Per mantenere la famiglia, fece il tessitore:
si era infatti sposato nel frattempo con Cunegonda Fessi, da cui ebbe tre
figli, che lasciò in grande indigenza alla sua morte.
Nonostante l'esilio, N. mantenne comunque contatti con i connazionali: nel
1530 fece un viaggio a Brescia, al convento benedettino di San Faustino
Maggiore, per cercare di convincere l'ex fratello e umanista Vincenzo Maggi
(1498-1564) a passare alla Riforma e, nello stesso periodo, mantenne un
fitto carteggio con il sacerdote Lucio Paolo Rosello (m. 1556): qualche anno
dopo ambedue questi personaggi, abbandonata la tonaca, entrarono nello
stesso gruppo evangelico costituitosi a Venezia.
Nel 1531, dietro una raccomandazione di Wolfgang Capito a Zwingli, N. si
trasferì nel Cantone Grigioni (che dal 1512 comprendeva anche la
Valtellina), e nel 1538 fondò una scuola di latino e greco a Chiavenna,
stabilendosi infine, nel 1555, con la famiglia a Tirano.
N. collaborò con il pastore Agostino Mainardi e con l'ex minorita Paolo
Ricci (noto come Camillo Renato dopo la sua conversione al protestantesimo),
autore delTrattato del Battesimo e della Cena, di cui divenne fraterno
amico. Invece con Mainardi (fra l'altro, acerrimo nemico dottrinale di
Renato), i rapporti rimase sempre tesi a causa della pretesa, nel 1548, del
pastore di obbligare tutti i fedeli della Chiesa riformata di Chiavenna di
giurare fedeltà ad una confessione di fede, redatta dallo stesso Mainardi,
il quale l'aveva fatto approvare dalle autorità religiose di Coira, Zurigo e
Basilea.
In questo periodo nei Grigioni (il più fecondo), N. pubblicò, tra il 1546 ed
il 1550, due edizioni del suo popolarissimo libro, la Tragedia intitolata
Libero arbitrio. Nel 1550 l'ex benedettino intervenne in merito
all'esecuzione capitale del fornaio di Faenza Fanino Fanini, in onore del
quale (e del suo conterraneo Domenico Cabianca da Bassano) scrisse De Fanini
faventini ac Dominici bassanensis morte (..). Nello stesso anno scrisse la
Brevissima somma della dottrina christiana, contro il nicodemismo dell'ex
confratello Giorgio Siculo.
Nel 1546 N. lasciò i Grigioni per partecipare a Vicenza ai Collegia
Vicentina, dove si riunirono i principali anabattisti e antitrinitariani
dell'epoca, tra cui Alciati della Motta, Curione, Della Sega, Gentile,
Gherlandi, Gribaldi Mofa e Lelio Sozzini e nel 1550 prese parte al concilio
anabattista a Venezia.
Nel 1562, dietro invito del figlio Giorgio, pastore riformato, N. si
trasferì in Polonia, a Pinczòw, dove insegnò all'effimera comunità
antitrinitariana italiana [l'ecclesiola italica, secondo le parole di
Francesco Lismanini (m. 1566), collaboratore di Giorgio Biandrata].
Intorno a questo nucleo si raccolse il fior fiore dell'intelligencija
antitrinitariana in Polonia: dal Biandrata stesso ad Alciati, Bernardino
Ochino e Gentile.
Il gruppo venne disperso nell'agosto 1564 in seguito all'editto di Parczòw,
ma N. era già morto l'anno precedente, nell'estate 1563.


Tragedia intitolata Libero arbitrio
Pubblicato per la prima volta nel 1546, ampliato dall'autore e ristampato
nel 1547 a cura di Antonio Brucioli e nel 1550 a cura di Dolfino (o
Rodolfino) Landolfi (lo stampatore degli scritti di Pier Paolo Vergerio e
Giulio Della Rovere), il libro più famoso di N., dal titolo Tragedia
intitolata Libero arbitrio, è una satira graffiante, sotto forma di tragedia
in cinque atti, contro le invenzioni teologiche del papato.
Il libro ebbe un successo fenomenale sia in Italia che all'estero, grazie
alle versioni in francese, latino e inglese, ma fu messa all'Indice nel
1548.
Bersagli della Tragedia intitolata Libero arbitrio furono comunque anche
diversi famosi personaggi dell'evangelismo italiano come i cardinali
Reginald Pole e Giovanni Morone, il vescovo Vittore Soranzo, Alvise Priuli e
Marcantonio Flaminio, tutti ferocemente accusati da N. di nicodemismo.


Massacro delle colonie valdesi in Italia meridionale (1561-1563)



Uno degli episodi più truculenti della storia della Riforma in Italia nel
XVI secolo fu il massacro delle colonie valdesi in Calabria e la conversione
forzata al Cattolicesimo di quelle in Puglia. Si trattava di colonie antiche
ben stabilite sul territorio fin dal XIII/XIV secolo e provenienti dalle
valli piemontesi.


Calabria
In Calabria si considera tradizionalmente come prima colonia valdese quella
di Montalto Uffugo (in provincia di Cosenza), di cui si hanno notizie dal
1386, in seguito i valdesi si installarono a San Sisto, a Guardia Piemontese
(ai tempi La Guardia o Guardia dei Valdi), e nei paesini dei dintorni.
Mantennero, come si direbbe oggigiorno, un basso profilo, non facendo
proselitismo, commentando la Bibbia solo in case private, ricevendo visite
molto discrete dei barba (i ministri di culto) e perfino partecipando ai
riti esteriori delle chiese cattoliche locali. I feudatari del luogo li
impiegavano come contadini e artigiani della lana e della pelle e li
apprezzavano per la loro operosità e mitezza.
Tuttavia le cose cambiarono nel XVI secolo con l'avvento della Riforma: già
dal 1532, ai tempi del sinodo di Chanforan (in valle d'Angrogna), queste
colonie valdesi cominciarono a manifestare un vivo interesse nella Riforma
calvinista, ma fu solo dal 1556 che i valdesi di Calabria vollero aderire
alla Riforma, in seguito alle prediche di Gilles de Gilles (che
profeticamente li aveva esortati ad emigrare per la loro stessa incolumità),
ma soprattutto quando, nel 1559, Giacomo Bonello (m. 1560) e Gian Luigi
Pascale (m. 1560), con l'aiuto del barba locale Stefano Negrin (m. 1561),
iniziarono una coraggiosa azione di evangelizzazione.
Purtroppo per loro il papa Paolo IV (1555-1559), l'ex inquisitore Giovanni
Paolo Carafa, e l'Inquisitore Generale Michele Ghisleri [il futuro papa Pio
V (1566-1572)] erano rigorosissimi contro ogni forma di eresia e di dissenso
religioso: in particolare una bolla papale emanata nello stesso 1559, che
non concedeva l'assoluzione a chi era a conoscenza di attività ereticali e
non li aveva prontamente denunciati, tolse ai valdesi calabri l'appoggio, o
perlomeno, la neutralità dei signori locali.
In particolare la minaccia di detta bolla fece rompere gli indugi al
feudatario Salvatore Spinelli, che ordinò l'arresto di Gian Luigi Pascale a
Fuscaldo il 2 maggio 1559: per questa azione Spinelli ottenne in seguito il
titolo di marchese.
Pascale fu condotto a Cosenza, da qui a piedi a Napoli, ed infine a Roma per
cercare inutilmente di farlo abiurare, ma anche un estremo tentativo di suo
fratello Bartolomeo, cattolico, fu vano: Pascale fu impiccato e poi bruciato
a Ponte Sant'Angelo il 16 settembre 1560.
La stessa tremenda sorte era capitata al confratello Giacomo Bonello, che,
dopo un primo arresto a Battipaglia, ne aveva subito un secondo decisivo a
Messina. Dopo un breve processo, Bonello fu arso vivo in Piazza
dell'Ucciardone a Palermo il 18 febbraio 1560.
Senza il conforto dei loro pastori, i valdesi calabri caddero preda degli
inquisitori domenicani Valerio Malvicino e Alfonso Urbino, che, dopo aver
condotto un'inchiesta nelle colonie di Montalto, San Sisto e Guardia,
vennero alla conclusione che erano tutti eretici e che quindi dovevano o
abiurare o morire.
Ma anche quelli che abiuravano erano costretti a sopportare un severo e
umiliante regime di controllo: non potevano parlare in occitano o sposarsi
tra loro, dovevano andare a messa tutti i giorni, osservare l'obbligo del
digiuno settimanale e indossare l'infamante abitello degli eretici. I
valdesi reagirono con la fuga nei boschi circostanti, ma questo diede il
pretesto a Don Parafan de Ribera, Duca di Alcalà e viceré di Napoli (viceré:
1559-1572) di organizzare, nel giugno 1561, una colossale caccia all'uomo,
usando cani mastini, assoldando veri pendagli da forca come soldati e
mettendo taglie sulle teste dei valdesi fuggiti.
Fu la "San Bartolomeo italiana" (secondo le parole dello storico Salvatore
Caponetto): 60 persone furono ucciso a San Sisto ed il paese, che contava
6000 abitanti, distrutto, mentre a Montalto, l'11 giugno 1561, fu
atrocemente tagliata la gola, uno dopo l'altro, a 88 valdesi, che furono
lasciati dissanguare come agnelli sgozzati: i loro cadaveri furono poi
impalati, come monito, sulla strada per Cosenza.
Ma la strage più impressionante avvenne a Guardia Piemontese: dal 3 giugno
1561 (per circa undici giorni) si calcola che 2000 persone furono
barbaramente trucidate e che un altro centinaio di valdesi furono uccisi
nelle campagne circostanti. Il sangue di quei poveri innocenti colò lungo i
vicoli fino alla porta principale del paese e alla piazza antistante,
denominate, in seguito, "Porta del sangue" e "Piazza della strage". Altri
1600 coloni furono fatti prigionieri, tra cui 700 provenienti da Guardia
stessa: il barba Stefano Negrin morì nel carcere di Cosenza, o per le
torture subite o di fame.
Alcuni valdesi riuscirono a fuggire in Sicilia, ma qui furono coinvolti in
processi tra il 1569 ed il 1582 e giustiziati.
Solo pochi riuscirono a raggiungere un rifugio sicuro a Ginevra e a rifarsi
una vita.


Puglia
In Puglia alcune colonie franco-provenzali (presumibilmente valdesi) si
erano insediate intorno al 1440 nella zona della Capitanata, tra Foggia e
Benevento, nei comuni di Montaguto, La Motta, Celle San Vito, Faeto, ed in
seguito (nel 1517) a Volturara, chiamate dal feudatario locale. Qui
adottarono per prudenza un atteggiamento fortemente nicodemitica,
frequentando le funzioni religiose cattoliche, ma nel 1561, durante la
campagna militare conclusosi con la tremenda strage dei loro confratelli
calabri, venne scoperto il legame religioso che li univa a quest'ultimi.
Dopo un primo intervento in zona dell'inquisitore domenicano Valerio
Malvicino, fresco dell'esperienza calabrese, che fece arrestare parecchi
valdesi ed internarli nelle carceri romane (molti di loro morirono per le
torture inflitte), nel 1563 l'Inquisizione romana decise di optare per una
linea più morbida, mandando in zona i gesuiti, al comando di padre
Cristoforo Rodriguez.
Quest'ultimo, spesso in forte contrasto con l'Inquisitore Generale Michele
Ghisleri, decise di cercare di convincere i valdesi ad abiurare senza
minacce o torture, ma solamente interrogandoli anche più volte di seguito,
finché 1500 coloni accettarono di farsi convertire: un peso determinante
comunque lo ebbe la decisione di Rodriguez di far liberare i valdesi
prigionieri nelle carceri romane e di rimandarli a casa.
Inoltre, nel novembre 1565, egli ottenne il permesso di far levare
l'abitello a coloro che avevano abiurato, pur con l'obbligo di indossarlo in
chiesa , mentre l'obbligo del digiuno settimanale diveniva mensile.
Tuttavia, solo nel 1592 vennero abrogate molte restrizioni, come l'obbligo
di portare l'abitello in chiesa e dei matrimoni solo con persone di lingua
italiana.
Pur scomparendo la differenza religiosa grazie alle massicce conversioni,
rimase comunque l'orgoglio di usare la lingua franco-provenzale, abitudine
tramandata fino ai giorni nostri e che fa dei paesi di Faeto e Celle San
Vito (come, del resto, anche di Guardia Piemontese in Calabria per quanto
riguarda la lingua occitana) un'isola etnica, protetta dall'apposita legge
italiana 482/1999 sulle minoranze linguistiche.


Nestorianesimo



L'affermazione del N. in oriente si inserì in una complessa lotta a tre con
gli altri due protagonisti, il cattolicesimo ed il monofisismo.
Nell'anno della morte di Nestorio, 451, si tenne il concilio di Calcedonia,
dove si ripudiò, almeno formalmente, sia il N. che il monofisismo: anche
Teodoreto di Ciro, l'ex-alleato di Nestorio, fu costretto ad allinearsi su
posizioni più ortodosse.
Tuttavia la zona di confine orientale dell'impero e gli stati limitrofi
permisero la propagazione del N. Infatti, già dal Concilio di Efeso del 431,
la Chiesa nestoriana di Seleucia-Ctesiphon, nel regno sassanide della
Persia, fondata nel 410, rifiutò la condanna di Nestorio, isolandosi dalla
Chiesa Cattolica.
Grande promotore del N. in Persia fu Barsumas di Nisibis, che, nel 489, fece
aprire una scuola di teologia nella sua città, accogliendo gli insegnanti
espulsi dall'arcivescovo Ciro in occasione della chiusura della scuola
persiana di teologia di Edessa. Ed anche il direttore della scuola di
Nisibis, il n. Narsai, proveniva dalla scuola di Edessa, dove ricopriva lo
stesso incarico.
Nel 486, al sinodo di Seleucia-Ctesiphon, la Chiesa persiana accettò
ufficialmente il credo n. e nel 498 il patriarca o catholicos di Seleucia
divenne il patriarca n. anche di Persia, Siria, Cina e India e i cattolici
furono trattati alla stregua di eretici ed espulsi dal territorio.
La capacità di fare proselitismo e attività missionaria dei n. in zona fu
sempre molto elevata. Oltre a convertire molti zoroastristi in Persia,
furono portati alla fede cristiana dai n. gli Unni Bianchi nel VI secolo, i
Keraiti (turchi dell'Asia centrale) e gli Onguti (popolazione tartara) nel
XI secolo. La massima diffusione in Cina del n. fu quando i missionari
riuscirono a consacrare un vescovo a Pechino.
Tuttavia due episodi storici segnarono il declino del n. in Asia:
l'invasione di Tamerlano del 1380  e l'espansione dell'islamismo con la
conversione della Persia.
Per la verità finche in Persia dominarono gli arabi Ommiadi, la Chiesa n.
poté continuare a fiorire, ma la situazione peggiorò con la venuta al potere
della dinastia Abbasside.
Rimasero alcune zone isolate:
I n. di Cipro, che si unirono a Roma nel 1445,
La Chiesa n. di Socotra che si estinse nel XVII secolo,
La Chiesa siro-malabarita, sulla costa del Malabar in India, noti anche come
Cristiani di San Tommaso (Mar Thoma). Nel 1599 la Chiesa subì una scissione
in seguito al sinodo di Diamper, dove fu decisa la riunione con il
Cattolicesimo e l'affidamento dei fedeli alla curia portoghese locale.
Infatti una cospicua parte dei fedeli, pur di mantenere rito, liturgia e
lingua siriaca, abbandonarono la Chiesa, aderendo nel 1603 al monofisismo
(sic!) del patriarca Thomas Parampil. Il sito ufficiale della Chiesa siriaca
Mar Thoma del Malabar è http://www.marthomachurch.org
I cristiani assiri, detti caldei, che, in seguito ai massacri di Tamerlano
del 1380, trovarono rifugio sulle montagne dei Kurdistan. Nel XVI secolo, ci
fu un tentativo di conciliazione con la Chiesa Cattolica ed il metropolita
Abdisho fu invitato ad assistere al Concilio di Trento. Una parte dei fedeli
effettivamente si riunì con la Chiesa Cattolica nel 1551, tuttavia questo
tentativo portò alla scissione, guidata dal vescovo Denha Simeon, con la
costituzione della Chiesa Caldea. Nel XX secolo i caldei sono passati
attraverso numerosi espulsioni e stragi compiuti dai Turchi, Curdi, Iracheni
e questo ha portato alla quasi totale estinzione della Chiesa: molti fedeli,
per sopravvivere, hanno dovuto emigrare negli anni '40 in America.
Curiosità: il Primo Ministro dell'ex regime iracheno di Saddam Hussein, il
noto Tarek Aziz, è di religione cristiana caldea. L'attuale numero dei
fedeli cristiani caldei pare non sia superiore a 250.000 unità.

Niceta (o Nicheta o Niquinta)  (vescovo o "papa" cataro) (XII secolo)



Vescovo bogomilo della Ordo Drugunthiae (Chiesa di Dragovitza, in Bosnia),
di ispirazione dualista radicale, in opposizione alla Chiesa di Bulgaria, di
impostazione moderata.
A Niceta venne fatto risalire la fondazione del catarismo occidentale nella
sua forma radicale.
Predicando in Italia settentrionale, egli incontrò Marco di Lombardia, capo
della neonata Chiesa catara d'Italia, di ispirazione moderata bulgara, e lo
convinse ad allinearsi sulle posizioni radicali, nominandolo vescovo di
tutti i catari d'Italia.
Questo episodio ed il successivo concilio di Saint Felix de Caraman fecero
sì che molti autori considerano, impropriamente, N. come il papa dei catari.
Nel 1167, a Saint Felix de Caraman, vicino a Tolosa, in Francia meridionale,
si tenne un importante concilio cataro, presieduto da N. Questi impose le
mani (Consolament) a 7 vescovi e pose le basi del catarismo francese con la
fondazione di quattro diocesi: Albi, la più consistente, da cui la
terminologia di albigesi data ai catari, Agen, Carcassonne e Tolosa.
Tutte queste diocesi francesi aderirono alla corrente radicale, ma in Italia
le cose andarono diversamente: solo la chiesa di Desenzano si schierò
apertamente per la dottrina radicale, mentre le altre cinque, con la chiesa
di Concorezzo in testa, rimasero moderate.
Gli atti del concilio di Saint Felix de Caraman furono trascritti in un
testo, denominato Carta di Niceta, scritto tra il 1223 ed il 1226, di cui ci
sono giunte delle copie del XVII secolo.


Purvey, John (ca. 1354- ca. 1428)



John Purvey, letterato inglese, lavorò insieme a John Wycliffe come
professore all'università di Oxford, e ne seguì gli insegnamenti, diventando
il suo segretario.
Nel 1382, in seguito alla condanna di Wycliffe per il trattato De
Eucharistia, dove il riformatore inglese aveva attaccato la dottrina della
transustanziazione, P. si ritirò con il suo maestro nella parrocchia di
quest'ultimo a Lutterworth, nella contea del Leicestershire, dove lo
assistette fino alla sua morte, avvenuta il 31 Dicembre 1384.
In quegli anni, P. lavorò sulla traduzione inglese della Bibbia, la quale
era stata già redatta dallo scrittore lollardo Nicholas di Hereford, ma che
risultava del tutto illeggibile per i troppi latinismi. P. completò una
versione stilisticamente molto più scorrevole nel 1395: questa ebbe un
enorme successo e fu presa come base per la Bibbia, nella versione
autorizzata in inglese (chiamata familiarmente versione di re Giacomo) del
1611.
Alla morte del capostipite, P. diventò capo del movimento lollardo ed
approfittò della schizofrenia del tirannico re Riccardo II (1377- deposto
1399), per rinforzare la posizione del movimento, protetto da diversi
esponenti della nobiltà. Egli giunse anche a presentare nel 1395 al
Parlamento un progetto di riforma della Chiesa inglese, che fu ovviamente
respinto, in dodici punti ricalcanti i precetti di Wycliffe.
Ma, in seguito alla deposizione di Riccardo da parte di Enrico di Lancaster
(il figlio di Giovanni, il protettore di Wycliffe), divenuto re Enrico IV
(1399-1413), la situazione per i lollardi cambiò radicalmente in senso
peggiorativo. Infatti Enrico, per ringraziarsi la Chiesa iniziò una energica
azione di soppressione del movimento lollardo, contrassegnata dall'Atto De
Hæretico Comburendo (Del bruciare gli eretici) del 1401, che permetteva ai
vescovi di arrestare, imprigionare, torturare e consegnare al braccio
secolare gli eretici.
Proprio nel 1401 P. fu arrestato e tenuto in carcere fino all'anno
successivo, quando, davanti l'arcivescovo di Canterbury, Thomas Arundel
(1353-1414), egli ripudiò le sue idee ed accettò una rendita
dall'arcivescovo.
Ma, già nel 1403, si pentì della scelta e tornò ad essere un lollardo,
finché non fu arrestato definitivamente nel 1421. Da quel momento non si
hanno più notizie di lui, ma si suppone egli sia morto, probabilmente in
carcere, intorno al 1428.


Niclaes (o Niclas), Hendrik (o Heinrich) (ca.1502- ca.1580) e Famiglia
d'amore o familisti e grindletoniani



La vita
I dati sulla nascita di Hendrik Niclaes sono alquanto confusi: egli nacque
il 9 o 10 Gennaio 1502 (o forse 1501), probabilmente a Münster, dove
comunque visse nella prima parte della sua vita come merciaio. Da piccolo fu
soggetto a visioni mistiche e all'età di 27 anni, essendosi accostato alle
dottrine riformiste, fu imprigionato con l'accusa di eresia.
Dopo la sua liberazione dovuta per mancanza di prove, N. emigrò con la sua
famiglia ad Amsterdam, dove però fu nuovamente imprigionato con l'accusa di
essere stato complice nella famosa rivoluzione anabattista di Münster
(1534-1535).
In seguito N. si dedicò ad una vita, simile a quella seguita nel secolo
successivo dai pietisti. Nel 1539-40 N. ebbe una visione di Dio, che
riversava su di lui lo spirito del vero amore di Gesù Cristo, secondo le sue
parole. La stessa visione lo sollecitò a fondare una comunità denominata
Famiglia d'amore (Familia caritatis) (solo omonimo del movimento odierno,
fondato nel 1968 da David Brandt Berg): si trasferì quindi nella remota
provincia della Frisia orientale, ad Emden, dove visse per vent'anni,
viaggiando spesso, in Olanda, Fiandre, Francia e Inghilterra, sia per motivi
legati alla sua professione di merciaio che per motivi religiosi.
Il suo credo religioso, come tracciato nel suo principale libro
Un'introduzione alla Santa Comprensione dello Specchio di Giustizia, era
infatti una miscela di varie dottrine:
L'antinomianismo (o antinomismo): le leggi dell'uomo non erano più valide
per chi aveva ottenuto il perfetto stato di grazia divina. Questo spirito
divino, secondo il concetto antinomiano di N., metteva la comunità e suoi
adepti al di sopra della Bibbia, dei Credi, della liturgia e delle leggi. In
questo senso, anche le dottrine della setta medioevale dei Fratelli del
libero spirito non gli erano certo estranee,
Il panteismo mistico, e
L'anabattismo (per entrare nella comunità bisognava essere ribattezzati),
quest'ultimo derivato dall'influenza di David Joris.
Tuttavia, poiché N. e suoi seguaci non seguivano alcuna particolare forma di
liturgia, molti di loro, compreso lo stesso N. continuavano a ritenersi
parte della Chiesa Cattolica. Contemporaneamente essi osservavano una
stretta forma di nicodemismo (il praticare di nascosto un credo religioso,
adeguandosi in pubblico a seguire quello ufficiale), che non favorì certo la
diffusione della setta, rimasta sempre confinata a livello di parenti e
amici intimi degli adepti.
Tuttavia la propaganda di N. non poté passare inosservata per sempre e circa
vent'anni dopo, nel 1560, egli dovette fuggire per evitare l'arresto da
parte delle autorità di Emden.
A quel punto N. condusse una vita errante, risiedendo a Kampen, Utrecht, in
Inghilterra fino al 1569, ed infine, dal 1570, a Colonia.
E fu proprio a Colonia, dove pare N. morì nel 1580 circa.


La Famiglia d'Amore e i familisti
La dottrina di N. sopravvisse al suo ideatore almeno fino al 1604 sotto
forma di comunità di familisti segretamente costituite e sparse in Olanda,
Germania, Francia e Fiandre.
Un caso a parte furono i familisti in Inghilterra, il cui capo Christopher
Vitel tradusse molti degli scritti di N. in inglese.
Nel 1574 e nel 1580 il governo inglese di Elisabetta I (1558-1603)
procedette contro i familisti, condannando i loro libri e imprigionando gli
aderenti. Particolarmente accanito nella persecuzione nei loro confronti fu
il predicatore puritano John Knewstub (1544-1624).
Tuttavia la setta non scomparve, come testimoniano le petizioni, non
accolte, indirizzate dai familisti al successivo re Giacomo I (1603-1625),
il quale comunque accusava questa setta di essere tra i principali
responsabili della nascita del Puritanesimo.
Un caso a parte di familismo fu la setta denominata dei grindletoniani, dal
paese di Grindleton, nella contea inglese dello Yorkshire, influenzata dalle
prediche del pastore Roger Brerely (m. 1637) e attiva dal 1610 al 1630 circa
e i cui collegamenti con i familisti sembrano abbastanza accertati,
particolarmente per quanto concerne la dottrina antinomiana. Brerely infatti
predicava che la dottrina del Vangelo insegnava non quello che dobbiamo fare
a Dio, ma casomai quello che noi dobbiamo ricevere da Lui.
Anche il reverendo John Pordage, fondatore della Società dei Filadelfi, fu
influenzato dal familismo e durante il periodo storico repubblicano del
Commonwealth (1649-1658) di Oliver Cromwell, diversi libri familisti furono
ristampati: si ritiene che per il suo famoso libro Pilgrim's Progress lo
scrittore battista John Bunyan abbia tratto ispirazione da alcuni concetti
familisti.
Infine durante la Restaurazione (dopo il 1660), la setta scomparve,
fagocitato da gruppi radicali come i Quaccheri, (George Fox, il fondatore,
disse di aver convertito molti familisti alla sua causa) Battisti e
Unitariani, e all'inizio del diciottesimo secolo, gli autori riferirono di
solo un anziano adepto ancora in vita.


Fratelli del Libero spirito (XII - XIII - XIV secolo)



I Fratelli del Libero Spirito fu un movimento, dal XII secolo, diffuso nella
Francia settentrionale, in Germania, nei Paesi Bassi, in Boemia e in Italia,
che professava l'indipendenza dall'autorità ecclesiastica e la possibilità
di vivere secondo una vita apostolica, poiché i propri adepti erano convinti
di essere pervasi dallo Spirito Santo.
Questo stato di divinità coincideva con la totale scomparsa dei tormenti
della coscienza: essi quindi ritenevano di essere talmente perfetti da poter
commettere qualsiasi atto senza correre il rischio di peccare, secondo il
detto di San Paolo: Tutto è puro per i puri (Lettera a Tito 1,15). Alcuni
autori cattolici riportarono che essi, forti di questo convincimento, si
lasciavano andare soprattutto ad atti contro la morale, come atti sessuali
extra matrimoniali.
Se ne ha notizia già dalla metà del XII secolo, quando i F. vennero
identificati nei pifres, predicatori ascetici eterodossi, combattuti dal
monaco Eckbert di Schönau.
La dottrina del movimento fu, all'inizio del XIII secolo, fortemente
influenzata dal pensiero apocalittico di Gioacchino da Fiore e quello
neoplatonico e panteista di Amaury di Bène, e successivamente dal teologo e
mistico Ortlieb di Strasburgo, i cui seguaci, chiamati ortlibarii, vennero
condannati dal Papa Innocenzo III (1198-1216).
Ai F. si fanno risalire parentele più o meno strette con il movimento degli
apostolici di Gerardo Segalelli, fra Dolcino da Novara, i movimenti dei
begardi e delle beghine e il grande mistico tedesco Eckhart von Hocheim.
Nel XIV secolo, il capo dei F. italiani, Bentivegna da Gubbio, fu condannato
al carcere a vita nel 1307 proprio da Ubertino da Casale, diventato poi uno
dei leader storici del movimenti dei francescani spirituali o fraticelli.
In Francia, nello stesso periodo, fece notizia la condanna al rogo della
beghina, simpatizzante con i F., Margherita La Porète nel 1310.
Altri F. condannati al rogo furono Berthold Rohrbach a Spira (Germania) nel
1356, Johannes Hartmann-Spinner nel 1370 ca. e Nicola da Basilea a Vienna
nel 1395.
Il movimento fu definitivamente condannato da Papa Clemente V (1305-1314)
nella bolla Dilectus Domini del 1311.
Tuttavia, alla metà del XIV secolo, apparve una sua variante nel movimento
della Libera Intelligenza o Uomini di Intelligenza, al quale potrebbe aver
aderito, secondo una curiosa ipotesi dello studioso tedesco Wilhelm
Fraenger, il noto pittore fiammingo Hieronymus Bosch (1450-1516).


Nicola da Vicenza (vescovo cataro) (fine XII secolo)



Vescovo cataro della chiesa dualista moderata di Vicenza (o della Marca
Trevigiana), da lui stesso fondata nel 1180, dopo l'investitura ufficiale
ricevuta durante un viaggio in Sclavonia.
Resse questa carica fino al 1210, quando a lui successe il suo "Figlio
maggiore", Pietro Gallo.


Nicolaiti (metà del I° secolo)



Il diacono Nicola, proselita di Antiochia fu uno dei sette prescelti dagli
apostoli per amministrare la comunità dei primi cristiani, ma secondo
Sant'Ireneo (ca. 140-200), Nicola fu anche il fondatore della setta dei
Nicolaiti.
Tuttavia questa paternità viene contestata da altri autori cristiani, come
Eusebio di Cesarea (ca. 265-340).
Che il fondatore fosse questo o un altro Nicola, poco importa: la setta ebbe
una certa diffusione, tale da essere citata anche nell'Apocalisse di
Giovanni 2,6 (tuttavia hai questo: odi le opere dei Nicolaiti che anch'io
odio) e 2,15 (così anche tu, parimenti, hai di quelli che professano la
dottrina dei Nicolaiti), dove una profetessa (probabilmente nicolaita) di
Tiàtira (una città, oggi denominata Akbisar, 100 km. a NE di Efeso), tale
Iezabele, seduceva i cristiani incitandoli a fornicare e a mangiare le carni
consacrate agli idoli. A questo episodio venne dedicata l'intera quarta
lettera dell'Apocalisse 2,18:29.
La dottrina di questa setta, infatti, non ammettendo la divinità di Cristo,
portava ad una interiorizzazione della fede e ad una mancanza di pratiche
esterne, quindi i suoi adepti si dedicavano all'idolatria e libertinismo.
Su quest'ultimo punto si intrecciano le testimonianze, molto spesso di
parte: secondo alcuni, lo stesso Nicola di Antiochia, rimproverato di essere
troppo attaccato alla moglie, la offrì ad un altro per dimostrare di voler
servire solo Dio.


La terminologia di nicolaiti tornò di moda nel Medioevo, per indicare i
religiosi che vivevano in concubinato con donne e contro questa pratica,
alquanto diffusa all'epoca, lottò il movimento riformatore dei patarini.


Nicole, Pierre (1625-1695)



Il filosofo e scrittore giansenista Pierre Nicole, figlio di un avvocato di
provincia, nacque a Chartres, in Francia, nel 1625. Nel 1642 N. fu mandato a
Parigi per studiare teologia e entrò ben presto in contatto con l'ambiente
del convento di Port-Royal, riferimento giansenista all'epoca a Parigi.
N. non prese gli ordini maggiori, rimanendo comunque un teologo di notevole
preparazione, e insegnò per diversi anni letteratura, greco e filosofia
nella scuola di Port-Royal, dove uno dei suoi allievi sarebbe poi diventato
il famoso drammaturgo Jean Racine (1639-1699).
La principale attività di N. fu tuttavia, in collaborazione con Antoine
Arnauld, di rielaborare il pensiero giansenista in opere scritte: la sua
prima incombenza, in difesa dell'amico, fu di raccogliere materiale per
Blaise Pascal, quando quest'ultimo si accingeva a scrivere la prima delle
sue opere maggiori: le sue Lettere provinciali, composte, in forma satirica,
tra il 1656 ed il 1657 come reazione alla condanna (voluta dai gesuiti)
delle idee gianseniste di Arnauld, pronunciata nel 1656 da parte
dell'università della Sorbona.
Nel 1662, N. compose, assieme ad Arnauld, La Logique ou l'art de penser (La
logica, o arte di pensare), noto anche come La logica di Port-Royal, un
testo popolarissimo ai tempi, ristampato ben cinque volte, che trattava temi
di logica, linguaggio, teoria della conoscenza e della metafisica, ed era
un'appassionata difesa delle idee gianseniste confrontate con l'ortodossia
cattolica e le idee protestanti.
Dal 1664 egli scrisse, questa volta da solo, due serie di epistole: Les
Visionnaires (Le visionarie) e Lettres sur l'hérésie imaginaire (lettere a
proposito dell'eresia immaginaria).
Nel 1667, grazie alla trattative condotte da Arnauld, si giunse alla
cosiddetta Pace della Chiesa, una temporanea sospensione delle ostilità tra
cattolici e giansenisti in Francia. N. ne approfittò per scrivere, sempre
con Arnauld, il ponderoso tomo La Perpetuite de la foi de l'eglise
catholique touchant l'eucharistie (la perpetuità della fede della chiesa
cattolica a proposito dell'eucaristia)(1669) a difesa della
transustanziazione contro le idee calviniste.
Nel 1671 fu pubblicato il lavoro più conosciuto di N.: le Essais de morale
(Saggi sulla morale), una serie di brevi discussioni su aspetti pratici
della Cristianità. Tuttavia la fragile tregua tra giansenisti e cattolici si
ruppe nel 1679, il movimento fu perseguitato con sempre più accanimento e
N., assieme ad Arnauld, si rifugiò all'estero. Ma evidentemente egli non
aveva il fisico per sopportare l'esilio e, quando si lamentò con Arnauld di
essere stanco di fuggire dalla persecuzione cattolica, quest'ultimo gli
rispose Sei stanco quando hai tutta l'eternità per riposarti?
Infine N., contrariamente all'amico, venne in seguito a patti con le
autorità ecclesiastiche francesi e gli fu quindi permesso di rientrare in
patria nel 1683. Stabilitosi a Parigi, egli continuò nella sua attività
letteraria fino all'ultimo: infatti la morte lo colse il 16 novembre 1695,
mentre stava scrivendo una confutazione del pensiero quietista.


Nifo, Fabiano (o Fabio) (2° ½ XVI secolo)



Medico e domenicano dal 1560, Fabiano Nifo si era accostato al calvinismo in
seguito ad un viaggio a Parigi.
Tornato in Italia, mentre frequentava la Facoltà di Medicina a Padova, venne
denunciato nel 1575 all'Inquisizione. Imprigionato, riuscì ad evadere,
raggiungendo dapprima Vienna e successivamente Breslavia, in Polonia, dove,
nel 1577, divenne medico di corte. In questa funzione, entrò in polemica con
Niccolò Buccella a proposito dei metodi terapeutici di quest'ultimo.
Lasciò la Polonia per la Transilvania nel 1578, recandosi successivamente a
Londra nel 1580-1581, dove, sempre a causa del suo pessimo carattere, litigò
con altri esuli italiani.
Alla fine della sua carriera, si trasferì nei Paesi Bassi, dove si
riconvertì al Cattolicesimo e dove trascorse gli ultimi anni della sua vita.


Niceta (o Nicheta o Niquinta)  (vescovo o "papa" cataro) (XII secolo)



Vescovo bogomilo della Ordo Drugunthiae (Chiesa di Dragovitza, in Bosnia),
di ispirazione dualista radicale, in opposizione alla Chiesa di Bulgaria, di
impostazione moderata.
A Niceta venne fatto risalire la fondazione del catarismo occidentale nella
sua forma radicale.
Predicando in Italia settentrionale, egli incontrò Marco di Lombardia, capo
della neonata Chiesa catara d'Italia, di ispirazione moderata bulgara, e lo
convinse ad allinearsi sulle posizioni radicali, nominandolo vescovo di
tutti i catari d'Italia.
Questo episodio ed il successivo concilio di Saint Felix de Caraman fecero
sì che molti autori considerano, impropriamente, N. come il papa dei catari.
Nel 1167, a Saint Felix de Caraman, vicino a Tolosa, in Francia meridionale,
si tenne un importante concilio cataro, presieduto da N. Questi impose le
mani (Consolament) a 7 vescovi e pose le basi del catarismo francese con la
fondazione di quattro diocesi: Albi, la più consistente, da cui la
terminologia di albigesi data ai catari, Agen, Carcassonne e Tolosa.
Tutte queste diocesi francesi aderirono alla corrente radicale, ma in Italia
le cose andarono diversamente: solo la chiesa di Desenzano si schierò
apertamente per la dottrina radicale, mentre le altre cinque, con la chiesa
di Concorezzo in testa, rimasero moderate.
Gli atti del concilio di Saint Felix de Caraman furono trascritti in un
testo, denominato Carta di Niceta, scritto tra il 1223 ed il 1226, di cui ci
sono giunte delle copie del XVII secolo.


Noeto di Smirne e noetisti (inizio III secolo)



Noeto era vescovo di Smirne alla fine del II secolo e fu probabilmente un
seguace di Prassea. Tradizionalmente, ma a torto, N. venne considerato il
fondatore del modalismo, che affermava che le persone della Trinità non
erano altro che "modi" di essere dell'unico Dio.
N. venne a Roma all'inizio del III secolo per divulgare la sua dottrina
modalista radicale (detta noetismo), che presentava, tra l'altro, idee
patripassianiste, che propugnavano il concetto di un Dio Padre, che aveva
sofferto e patito la Passione in prima persona, poichè il Figlio era
solamente un "modo" scelto dal Padre stesso per manifestarsi.
La predicazione di N. si inserì in un momento difficile per la Chiesa
Cattolica alle prese con movimenti particolarmente popolari nell'epoca: gli
adozionisti di Teodato di Bisanzio, i gnostici valentiniani e i montanisti.
Poiché i modalisti erano fieramente contrari, in particolare, a quest'ultimo
movimento, si spiega come mai sia Prassea, che il discepolo di N.,  Epigono
furono accolti perfino positivamente dai papi Vittore I (189-198) e Zefirino
(198-217). Altrettanto comprensibile fu la reazione violentemente
antimodalista dello scrittore cartaginese Tertulliano (155-222), noto
simpatizzante del montanismo, al quale avrebbe aderito dal 207, e autore del
libello Adversus Praxean.
Comunque, in patria non andò così bene a N., che fu scomunicato
dall'assemblea di Smirne nel 200 e conseguentemente dichiarato decaduto
dalla carica di vescovo.


Roscellino (1050- ca. 1125) e nominalismo



La vita
Roscellino, monaco filosofo e teologo francese, nacque a Compiégne (a nord
est di Parigi) nel 1050 e fu attivo dal 1087 come maestro della scuola
Scolastica a Compiégne, Loches e a Tours.
Ebbe contatti con Sant'Anselmo (1033-1109) e Lanfranco di Canterbury
(1005-1089), l'oppositore delle teorie di Berengario di Tours, ed ebbe molti
allievi, tra cui spiccò Pietro Abelardo, successivamente suo contestatore.
Al concilio di Soissons del 1093, R. fu accusato di triteismo, ma abiurò
sotto la minaccia della scomunica. Successivamente viaggiò in Inghilterra,
Italia e Francia, dove fu addirittura bastonato dai canonici della scuola di
San Martino di Tours per una diatriba teologica. Così almeno raccontò
Abelardo, che lo dipinse, non certo in maniera lusinghiera, come un uomo
arrogante ed intemperante.
Morì verso il 1125.


La dottrina
R. contribuì all'elaborazione della dottrina del nominalismo nel trattato De
generibus et speciebus, attribuitogli da alcuni esperti, poiché nulla di
sicuramente suo ci è giunto.
In questo trattato, egli affermò che solo le singole essenze esistevano,
mentre i generi e le specie erano concetti universali, noti come
semplicemente "universali".
Per R., gli universali non esistevano nella realtà, come invece le essenze,
ma erano solo segni convenzionali o parole (voces) o nomi. La loro unica
funzione era di muovere l'aria quando venivano pronunciati (flatus vocis).
Contro questa concezione si schierarono i realisti, capeggiati da
Sant'Anselmo, che facevano corrispondere gli universali a idee nella mente
di Dio, da cui l'impianto ontologico di Anselmo, contestato dal monaco
Gaunilone.
Ma R. venne anche accusato di togliere ogni distinzione fra le tre Persone
della Trinità: seguendo infatti il suo ragionamento fino alle estreme
conseguenze, era impossibile affermare l'esistenza di una essenza divina in
tre persone, quindi dovevano esistere tre divinità separate.
Per questo motivo R., come si è detto, fu accusato di triteismo al concilio
di Soissons e fu costretto ad abiurare.


Kuhlmann, Quirinus (1651-1689) e Gesueliti



Premessa
Alla morte di Jacob Boehme, i suoi seguaci, detti behmenisti, si diffusero
ovviamente in Germania, dove l'eredità spirituale di Boehme fu raccolta da
Abraham von Franckenberg (1593-1652) e dal discepolo di questi, il luterano
Johannes Schleffer (1624-1677), convinto quest'ultimo che il misticismo di
Boehme potesse abbattere le barriere esistenti tra le varie confessioni
religiose. Perseguitato dalle autorità luterane, Schleffer negli ultimi anni
si convertì al Cattolicesimo e scrisse alcune opere con lo pseudonimo di
Angelo Silesio.
Il discepolo più noto di Schleffer fu Quirinus Kuhlmann.


La vita
Il poeta mistico Quirinus Kuhlmann nacque a Breslavia il 25 febbraio 1651 da
una famiglia luterana. Dopo aver studiato presso il locale ginnasio, K.
scrisse tra il 1668 ed il 1670 svariati libri di poesie.
Nel 1670 K. fu inviato a Jena per studiare giurisprudenza all'università, e
qui ricevette attestati di stima nei suoi confronti, anche per la sua
originalissima maniera di concepire la poesia: infatti la sua Himmlische
Liebes-küsse (Baci d'amore divino) del 1671 fu una forma eccentrica di
sonetto, ottenuto utilizzando un automa meccanico, in cui le parole
intercambiabili tra loro generavano una serie di combinazioni esprimibile da
un numero a 117 cifre!
Nonostante la fama, K. decise di abbandonare l'ateneo tedesco per recarsi
nel 1673 in Olanda all'università di Leida. Qui conobbe Schleffer, che lo
introdusse alle opere di Boehme e questo fu l'ispirazione per uno dei suoi
lavori più famosi, il Neubegeisterten Böhme (i nuovi entusiasti di Boehme),
che lo rese popolare nell'ambiente dei mistici cristiani.
Nello stesso periodo, K. scrisse un'apologia dei Rosacroce, affermando che i
contenuti della Fama Fraternitas (il testo base rosacrociano) erano in
accordo con la Bibbia, e che la Sesta Era, ancora da venire, sarebbe stato
chiamata l'Era Rosacrociana. K. desiderava accelerare l'avvento di questa
nuova era e per questo fondò una confraternita denominata dei Gesueliti.
Tra il 1674 ed il 1677 K. visse, in giro per l'Europa, ad Amsterdam,
Groningen, Lubecca, Amburgo, in Inghilterra ed in Francia. Fermamente
convinto, come il suo maestro, che l'insegnamento potesse unire le
confessioni religiose, K. si recò in Medio Oriente per cercare di convertire
alla Cristianità, ovviamente senza successo, il Sultano turco [probabilmente
Maometto IV (1648-1687), o suo fratello Solimano III (1687-1691)].
Ma il passo fatale lo fece poco dopo in Russia: K. fu invitato a Mosca
nell'aprile 1689 dai circoli behmenisti, fondati dal mercante tedesco Konrad
Nordemann (m. 1689) e dal pittore Otto Henin (m. 1689). Qui K. non fece
troppo mistero sui suoi sogni millenaristici (la Russia doveva essere il
luogo dove realizzare l'Era Rosacrociana) e inviò diversi petizione al
reggente e futuro zar Pietro I, detto il Grande [come reggente di Ivan V:
1682-1696, come zar (poi imperatore): 1696-1725].
Ma le idee millenaristiche di K. e soci richiamarono l'attenzione del
pastore protestante di Mosca Meinecke, che li denunciò alle autorità. Si può
legittimamente supporre che dette idee non piacessero neppure al Patriarca
di Mosca Yakimovich (1674-1690) e alle autorità ecclesiastiche ortodosse,
già alle prese a reprimere tentativi di scissioni interne (nel 1682
l'arciprete dissidente Avvakum era stato bruciato sul rogo).
Quindi nello stesso 1689, K., Nordemann e Henin furono catturati a Mosca e
processati. Henin non resistette alle torture in carcere e si suicidò,
mentre K. e Nordemann furono condannati a morte per eresia. La sentenza fu
eseguita il 4 ottobre 1689: i due furono rinchiusi in una gabbia di legno
assieme a tutti gli scritti di K., considerati eretici, e bruciati vivi sul
rogo.


Curiosità
L'episodio della condanna ed esecuzione di K. fu descritto anche nel romanzo
Pietro I dello scrittore russo Aleksei Nikolaevic Tolstoy (1887-1945).


Novaziano (antipapa) (m.ca. 257) e novazianismo



La vita
Novaziano, presbitero di Roma, era nato pagano ed aveva studiato filosofia
stoica, prima di convertirsi al Cristianesimo. Fu battezzato quasi in punto
di morte, in seguito ad una possessione demoniaca (dal quale, però, in
seguito guarì) e con questo solo sacramento ricevuto, fu nominato prete da
Papa San Fabiano (236-250), nonostante le proteste del clero romano.
Uomo potente ed influente della Chiesa Cattolica, N. prese posizione nella
polemica contro i modalisti e i sabelliani, scrivendo il De Trinitate, un
libro in otto capitoli, in cui cadde, come molti in quel periodo, in un
eccesso di difesa della divinità del Figlio. Questo lo portò ad allinearsi
alle posizioni subordinazioniste, per non dover scivolare nel diteismo (due
Dei separati).
Nel 249-251, la persecuzione contro i cristiani ordinata dall'imperatore
Decio aveva creato un vuoto di potere nella Chiesa Cristiana: il 20 Gennaio
del 250 era stato martirizzato il papa San Fabiano, e la sede vacante durò
per più di un anno.
In questo periodo la Chiesa fu gestita da diversi presbiteri, uno dei quali
era lo stesso N.
Sul suo comportamento durante le persecuzioni deciane, si racconta che
avesse negato il conforto ai fratelli in pericolo, affermando che non
desiderava esser più un prete. Tuttavia, bisogna tenere conto che la maggior
parte delle informazioni su N. furono riferite da Papa Cornelio (251-253),
che aveva più di un motivo per mettere in cattiva luce il suo nemico ed
antagonista.
Infatti, era successo che improvvisamente, nel marzo del 251, fosse morto
l'imperatore Decio e che la Chiesa Cristiana avesse ritenuto il momento
opportuno per nominare il nuovo papa, per l'appunto Cornelio, un
aristocratico romano di idee moderate.
N. accusò il colpo, poiché non faceva mistero di ambire lui stesso al seggio
di San Pietro e si fece eleggere papa (o meglio antipapa) da tre vescovi,
fatti venire dagli angoli più lontani dell'Italia e immediatamente
dichiarati decaduti dal loro ruolo da Cornelio, che, inoltre, reagì
scomunicando N. nell'Ottobre del 251.
N. era il secondo antipapa della storia del Cristianesimo, dopo S. Ippolito,
del quale alcuni studiosi ritengono che N. fosse un allievo, e fondò anche
una Chiesa novazianista, denominata Chiesa dei Santi.
All'inizio sembrava che la situazione prendesse solamente la piega di un
scisma, ma ben presto si delinearono i contorni di un'eresia, quando N. si
pronunciò sui lapsi (caduti), coloro i quali avevano negato la fede
cristiana durante la persecuzione deciana, nei confronti dei quali N. era
orientato alla massima inflessibilità e in ciò assomigliava al suo
(supposto) maestro, Ippolito.
I lapsi si dividevano in:
Libellatici, che si erano procurati documenti che attestavano, falsamente,
che avevano sacrificati agli dei romani.
Sacrificati, che avevano veramente sacrificato agli dei.
Turificati, che avevano bruciato l'incenso agli dei.
Traditores, che avevano consegnato le Sacre Scritture alle autorità romane.


Molti vescovi, tra cui Cipriano di Cartagine, optarono per una procedura con
penitenza per la riammissione dei lapsi nella Chiesa, ma N., come si è
detto, era per il rifiuto di ogni compromesso. Per lui, la Chiesa doveva
negare il perdono, una facoltà concessa solo a Dio, sia ai lapsi, che a
coloro che avevano commesso peccato mortale (idolatria, omicidio e
adulterio), anche se facevano penitenza.
Questo atteggiamento ricordava una simile intransigenza del movimento dei
montanisti ed in effetti, i seguaci di N. mostravano simpatia per i
montanisti, leggevano spesso le opere di Tertulliano e addirittura in Frigia
i due movimenti si fusero in un'unica struttura.
N. morì nel 257 ca., probabilmente in seguito alle persecuzioni dei
cristiani da parte dell'imperatore Valeriano: nello stesso periodo (258)
morì anche Cipriano di Cartagine.


I novazianisti
I seguaci di N. furono i primi a chiamarsi katharoi (i puri), termine usato
poi nel XII - XIV secolo dai Catari. Furono alquanto numerosi e
sopravvissero fino al VII secolo, particolarmente in Oriente, nominando i
propri vescovi e i vari successori di N. a Roma.
Oltre che ad applicare alcuni precetti montanisti, come già detto, non
impartivano la cresima e proibivano ai vedovi di risposarsi.
Al concilio di Nicea, aderirono alla tesi ufficiale del homooùsios (Cristo
era identico, nella sostanza, a Dio, cioè consustanziale), ma Costantino
intimò loro di rientrare nei ranghi dell'ortodossia, mentre, nel 359,
paradossalmente furono perseguitati alla stregua dei cattolici da parte
dell'imperatore Costanzo, che cercava di imporre la formula di Acacio di
Cesarea.
Successivamente furono perseguitati dall'imperatore Valente nel 378, e da
Onorio nel 412, e tuttavia la loro presenza fu ancora segnalata in
Alessandria d'Egitto fin verso il 600.

Guglielmo di Occam (William of Ockham) (1280-1349) e occamismo



La vita
Guglielmo, famoso filosofo della scuola Scolastica, nacque a Ockham (nella
contea di Surrey, nel sud-est dell'Inghilterra) nel 1280 ca. e studiò a
Oxford nel 1305-1307 circa con Giovanni Duns Scoto (1265-1308), a Parigi nel
1310 ed infine frequentò la scuola di teologia a Oxford tra il 1316 ed il
1320.
Entrò da giovane nell'ordine francescano e verso il 1320 iniziò ad insegnare
fisica aristotelica, teologia e logica all'Università di Parigi, ma nel 1323
rassegnò le dimissioni per dedicarsi alla contesa tra filo papali (guelfi) e
filo imperiali (ghibellini): egli si schierò con questi ultimi, pubblicando
diversi libretti di denuncia sull'abuso di potere dei papi.
Per questi egli fu convocato ad Avignone nel 1324 dalla curia papale, su
ordine di Papa Giovanni XXII (1316-1334), assieme ad un gruppo di
francescani spirituali, ma nel 1328 riuscì a fuggire con Michele di Cesena
rifugiandosi a Pisa presso l'imperatore Ludovico IV il Bavaro.
G. si inserì successivamente nella lotta per l'investitura dell'imperatore
tra Giovanni XXII e lo stesso Ludovico e si schierò sulle posizioni
ghibelline, entrando a Roma al seguito di Ludovico in compagnia di Michele
di Cesena, Jean de Jandun e Ubertino da Casale.
Successivamente, assieme al Jandun e a Marsilio da Padova, seguì
l'imperatore al suo ritorno a Monaco di Baviera, dove rimase fino alla morte
nel 1349 ca.


La filosofia
G. intervenne nella nota discussione, tipica della Scolastica, sugli
"universali", che avevano infervorato duecento anni prima Roscellino e
Abelardo e allineandosi più sul pensiero concettualistico (una
rappresentazione mentale) del secondo, che sulla corrente nominalistica (un
mero nome) del primo.
Infatti per G., mentre le cose reali sono note mediante la conoscenza
intuitiva, gli universali sono oggetti della conoscenza astratta, cioè della
rappresentazione interna delle cose stesse nella mente, ossia sono i termini
del processo di riflessione.
Per questo la filosofia di G. venne definito anche terminista.
Un altro punto della filosofia di G. fu il tentativo di semplificare le
dispute nella scuola Scolastica con il principio denominato "il rasoio di
Ockham", cioè che non si dovevano ipotizzare entità inutili o complesse, se
queste non erano state suffragate dall'esperienza empirica (entia non sunt
multiplicanda sine necessitate).
G. tendeva a applicare questi due princìpi (empirismo e rifiuto
dell'astrazione) anche alla sua teologia, da cui deduceva che la povertà
apostolica era stata confermata dal Nuovo Testamento, mentre il potere
civile autonomo era convalidato dalla storia, quindi doveva esserci una
rigida separazione tra stato potente e chiesa apostolica, anche se poi
potevano collaborare insieme.


Le opere
Prima del 1328 le opere di G. furono essenzialmente di tipo filosofico, come
i commenti all'Organon e alla Fisica di Aristotele, ma dopo quella data si
moltiplicarono le opere di polemica contro il papato di Giovanni XXII, come
il De dogmatibus papae Johannis XXII oppure il Compendium errorum papae
Johannis XXII, o contro quello del suo successore, Papa Benedetto XII
(1334-1342), come Tractatus contra Benedictum XII.
Scrisse inoltre lavori sul rapporto tra stato e chiesa, come Breviloquium de
potestate papae e De imperatorum et pontificum potestate.

Occultismo (XVI e XVII secolo)



Con occultismo si intende una serie di arti e scienze, attivate mediante
l'impiego di forze misteriose e segrete che solo gli eletti o gli iniziati
possono scatenare. Questi iniziati concepiscono il Mondo come un organismo
vivente con una sua energia vitale interna.
Secondo lo studioso P. Riffard, l'occultismo è formato dalle arti occulte
(alchimia, astrologia, magia, mantica, medicina occulta) e dalle scienze
occulte (ermetismo, cabala, scienza dei prodigi e dottrina della
corrispondenza).
L'atteggiamento della Chiesa nei confronti dell'occultismo, per tutto il
Medioevo, è stato abbastanza tollerante: vengono ricordati come alchimisti
famosi uomini di Chiesa come San Alberto Magno (1193-1280), San Tommaso
d'Aquino (1225-1292), i papi Silvestro II (n. 940, papa 999-1003) e Giovanni
XXII (n.1249, papa:1316-1334), mentre il celebrato medico medioevale Arnaldo
da Villanova fu anche astrologo di diversi papi.
Ma dal Rinascimento le arti e scienze occulte divennero non più i mezzi con
cui combattere le forze diaboliche per il trionfo del Cristianesimo (e
perciò tollerate dalla Chiesa), bensì i metodi, ancora empirici, per
conoscere ed indagare la natura. Il naturalismo, nella sua forma
panteistica, con i maggiori esponenti negli italiani Bernardino Telesio,
Tommaso Campanella e soprattutto Giordano Bruno, venne considerato una
disciplina empia da combattere ad ogni costo.
Sempre nel Rinascimento, attraverso gli ebrei spagnoli convertiti e per
mezzo dei lavori di Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494), il mondo
cristiano venne a contatto con i concetti magici della Kabbalah: famosi
cabalisti e maghi dell'epoca furono Johannes Reuchlin, Cornelius Agrippa,
John Dee, Georg von Welling e Guillaume Postel. Queste nuove scienze occulte
si fusero, in un sincretismo occulto-magico giudaico cristiano, con le
consolidate arti dell'astrologia e dell'alchimia, sviluppando nuove figure
di proto-scienziati come Paracelso (Teofrasto Bombast) o Heinrich Khunrath,
e influenzando il pensiero di un grande mistico come Jakob Boehme.
Finché l'uso magico di cose (come, ad esempio, l'olio santo, il sale,
l'acqua santa) era soggetto ad una consacrazione divina o ad una
interpretazione simbolica in senso cristiano, nessun Tribunale
dell'Inquisizione aveva da ridire, ma quando questi nuovi studiosi, oppure
anche umili rappresentanti del popolo, usavano elementi naturali o per i
propri esperimenti o per guarire, attribuendo alle proprietà intrinseche
dell'elemento la guarigione e non ad interventi divini, solo mediati dalla
sostanza in questione, allora gli strali dei teologi non tardavano a
colpire.
E in questo settore vigeva una perfetta par condicio: sia i cattolici che i
protestanti furono spietati nel reprimere ogni fenomeno occulto scoperto nei
loro paesi. Basta ricordare i processi contro le streghe o persone presunte
tali: tutto il periodo della Controriforma e del Seicento fu contraddistinto
da episodi decisamente cruenti da una parte e dall'altra (un esempio per
tutti furono i processi di Salem, nel Massachusetts).


Ochino (o Tommassini), Bernardino (1487-1565)



I primi anni
Bernardino Tommassini, detto Ochino dal nome della contrada dell'Oca, il
Savonarola del Cinquecento secondo lo storico Roland Bainton, nacque a Siena
nel 1487.
Nel 1503 circa entrò giovanissimo nell'ordine dei Francescani osservanti,
dove divenne successivamente Provinciale, e successivamente in quello dei
Cappuccini, intorno al 1534, diventandone Vicario Generale nel 1538.
Come predicatore brillante ed acclamatissimo (veniva considerato il migliore
predicatore dei suoi tempi), percorse in lungo ed in largo l'Italia tra il
1534 ed il 1542: un esempio per tutti, le sue prediche a Siena ammirate da
Aonio Paleario.


O. valdesiano
Iniziò, in questo periodo, a documentarsi sulle dottrine di Lutero e
Melantone, ma l'incontro decisivo per il suo futuro di riformista, lo ebbe a
Napoli, durante le famose prediche quaresimali da lui tenute nel 1536, nella
chiesa del monastero di San Giovanni Maggiore, e che commossero perfino
l'imperatore Carlo V (1519-1558), reduce da una spedizione a Tunisi.
A Napoli, nello stesso periodo, O. entrò nel circolo, fondato da Juan de
Valdès, dove si concentrava il vertice dei riformisti italiani dell'epoca,
composto, tra gli altri, da Pier Martire Vermigli, Pietro Carnesecchi,
Marcantonio Flaminio, Giovanni Bernardino Bonifacio, Benedetto Fontanini da
Mantova, Galeazzo Caracciolo, Bartolomeo Spadafora, Apollonio Merenda,
Vittore Soranzo, le nobildonne Vittoria Colonna, Giulia Colonna Gonzaga e
Caterina Cibo da Camerino. Dalle conversazioni con quest'ultima, O. stese
nel 1539 i suoi Sette Dialoghi, un primo segnale del suo rifiuto verso la
teologia cattolica. Assieme a Vittoria Colonna, O. fondò a Ferrara nel 1537
un monastero di clarisse cappuccine ed ebbe l'occasione di conoscere,
sebbene solo in un secondo momento rispetto agli altri riformatori, il
cardinale inglese Reginald Pole.
A Napoli egli predicò con successo ancora nel 1539 e 1540 (anno in cui si
recò anche in Sicilia). Si diceva che lo stesso Valdès gli suggerisse di
volta in volta il tema da svolgere: gli argomenti erano quelli cari agli
evangelici, come la giustificazione sola fide e sola gratia, il valore delle
opere buone, ecc. A questo periodo, nel 1540 circa, risale la conversione di
O. al luteranesimo, ma mantenendo un atteggiamento molto riservato,
addirittura nicodemitico, egli non attirò i sospetti della Chiesa fino
all'anno dopo, quando una vigorosa predica a Venezia, contenente una
appassionata difesa di Giulio della Rovere ("un predicatore del puro
evangelio", come scrisse O. successivamente in una lettera del 7 dicembre
1542, subito dopo la sua fuga, ai senatori della Serenissima), arrestato
durante la Quaresima dello stesso anno, pose l'O. nel mirino
dell'inquisizione di Papa Paolo III (1534-1549).
Nel 1542 gli fu proibito di predicare da parte del nunzio apostolico di
Venezia: si recò quindi a Verona, dall'amico, il vescovo Gian Matteo
Giberti, e qui lo raggiunse la convocazione a Roma da parte
dell'Inquisizione del cardinale Gian Pietro Carafa, il futuro Papa Paolo IV
(1555-1559).


L'esilio in Svizzera
Nell'agosto dello stesso 1542 O. si avviò alla volta di Roma, ma i due
colloqui avuti lungo la strada con un morente Gasparo Contarini a Bologna  e
un decisivo incontro con Vermigli a Firenze, gli fecero maturare la
decisione di prendere, assieme a Vermigli stesso, la via dell'esilio in
Svizzera. Dopo una breve sosta a casa della duchessa Caterina Cibo, dove
gettò il saio, O. si rifugiò a cavallo, vestito da laico, dapprima a
Morbegno (nella Valtellina sotto il cantone protestante dei Grigioni dal
1512), e poi a Ginevra, dove Calvino lo mise a capo della comunità dei
riformatori italiani esuli. A proposito della fuga in Svizzera del Vermigli
e dell'O., Marcantonio Flaminio commentò pubblicamente nell'autunno 1542
"ch'erano partiti gli apostoli d'Italia" .
La fuga di O. fece un enorme scalpore in tutta l'Italia: Carafa lo paragonò
alla caduta di Lucifero. O. era infatti ammirato, addirittura venerato, dai
potenti, come, sopra riportato, lo stesso imperatore Carlo V, da vescovi e
da cardinali e lo shock per la sua fuga ed implicita ammissione della
conversione alla Riforma fu grandissimo.
A Ginevra, nello stesso 1542, O. fece stampare le sue opere principali, dai
primi volumi delle Prediche ai Sette Dialoghi al pasquillo (un tipo di
satira a sfondo religioso) l'Immagine di Antechristo, e qui conobbe
l'umanista savoiardo Sébastien Castellion.
All'estero risedette, e continuò a svolgere la sua attività di predicatore
(per chi capiva l'italiano) dapprima a Basilea (dove venne pubblicato il suo
Catechismo nel 1551) nell'agosto 1545, poi a Zurigo, nuovamente a Basilea
nel 1546, poi fino al 1547 a Ginevra, per una terza volta a Basilea ed
infine ad Augusta, in Germania, dove ebbe contatti con Caspar Schwenckfeld:
il mistico tedesco aveva letto i suoi Sette Dialoghi, simpatizzava ed ebbe
un intenso scambio epistolare con il senese. Nel 1546 O. conobbe ad un
dibattito pubblico a Regensburg (Ratisbona) Francesco Stancaro, con cui
condivise il rifiuto delle due nature in Cristo e a cui procurò un lavoro di
docente ad Augusta.
Il tono delle prediche dell'O. in questo periodo, oltre ad una netta
influenza calvinista, richiamava vagamente il pensiero di Gioacchino da
Fiore: la suddivisione della storia della religione in tre periodi della
legge, la prima della natura fino a Mosè, la seconda della testimonianza
scritta fino a Gesù, la terza della Grazia e dell'Amore, da Gesù in avanti.


O. in Inghilterra
Dopo la sconfitta nel 1547 della Lega di Smalcalda, formata dai principi
tedeschi luterani, ad opera dell'imperatore Carlo V nella battaglia di
Muhlberg, O. si rifugiò in Inghilterra, a Londra, chiamato dall'arcivescovo
di Canterbury, Thomas Cranmer e dal Duca di Somerset Edward Seymour
(1506-1552), Lord Protettore e reggente del trono del nipote, re minorenne,
Edoardo VI (1547-1553).
In Inghilterra scrisse Una tragedia del Libero Arbitrio, o dialogo della
preminenza ingiustamente usurpata dal vescovo di Roma dove O. ipotizzava che
il vescovo di Roma era stato eletto da Lucifero e Belzebù, cioè era una
manifestazione dell'Anticristo col preciso intento di rovinare il
Cristianesimo.
Ma nel 1553, con l'avvento al trono d'Inghilterra della regina cattolica
Maria Tudor (1553-1558), l'ambiente favorevole ai riformisti si trasformò
ben presto in un incubo: Maria passò alla storia come la Sanguinaria per le
esecuzioni senza pietà di 273 (o 288, secondo altri autori) protestanti sul
rogo.


Nuovamente in Svizzera
O. ritornò allora in Svizzera, arrivando a Ginevra il 28 ottobre 1553,
esattamente il giorno dopo il rogo di Michele Serveto. La morte di
quest'ultimo fece levare moltissime voci di protesta, tra cui quelle degli
antitrinitari italiani Giovanni Valentino Gentile, Matteo Gribaldi Mofa e
Celio Secondo Curione, che dovettero emigrare successivamente da quella che
a loro era sembrata la città della tolleranza religiosa. Anche O. decise di
abbandonare Ginevra nel 1554, tuttavia rimase in Svizzera risiedendo a
Chiavenna, Basilea e, nel 1555, a Zurigo.
A Zurigo O. fu chiamato per fare il pastore di una comunità di riformati di
Locarno, da dove erano fuggiti in massa per motivi religiosi, ospitò, appena
fuggiti dall'Italia, Francesco Betti e Jacopo Aconcio, e conobbe Isabella
Bresegna (ex moglie di don Garcia Manrique, governatore di Piacenza) fuggita
per motiva religiosi. Tuttavia proprio da questa città svizzera fu espulso
da Johann Heinrich Bullinger nel dicembre 1563, assieme a Fausto Sozzini,
per le sue idee sempre più "spirituali", ma anche antiecclesiastiche, contro
i Sacramenti, e antitrinitarie, esposte nell'opera Dialogi triginta.


In Polonia e Moravia
Passò l'inverno 1563/4 a Norimberga e nella primavera 1564 si recò in
Polonia, prima a Cracovia, poi nella vicina Pinczòw, presso il gruppo
formato dagli antitrinitari Giorgio Biandrata, Paolo Alciati della Motta e
Giovanni Valentino Gentile. Qui dovette soffrire per la perdita di due dei
suoi tre figli a causa della peste.
Tuttavia, pochi mesi dopo, nell'agosto 1564, dietro le pressioni del nunzio
apostolico, cardinale Giovanni Francesco Commendone (1523-1584), il re
Sigismondo II Iagellone, detto Augusto (re di Polonia 1548-1572) emise
l'editto di Parczòw, che stabiliva l'espulsione di tutti gli stranieri non
cattolici.
L'ennesima emigrazione portò l'oramai vecchio (78 anni) e deluso riformatore
a Slavkov (Austerlitz), in Moravia, presso Niccolò Paruta, in casa del quale
O. morì nel febbraio 1565.
Alcuni autori hanno voluto vedere in quest'ultima residenza una tardiva
conversione all'anabattismo o al hutterismo, è più probabile che si
trattasse semplicemente del desiderio di trovare l'ospitalità presso un
connazionale antitrinitario, dottrina alla quale egli si era già uniformato,
secondo quanto riferito da Marcantonio Varotta.


Renato, Camillo (o Paolo Ricci o Lisia Fileno o Fileno Lunardi)
(ca.1500-1575)



La vita
Paolo Ricci, meglio conosciuto come Camillo Renato, nacque nel 1500 ca. in
Sicilia, probabilmente a Palermo, ma si hanno poche notizie sulla prima
parte della sua vita: si sa comunque che diventò frate minorita. Va
precisato inoltre che, a parte la regione d'origine ed una certa
misteriosità sulla prima parte della sua vita, R., contrariamente alle
convinzioni di alcuni autori, non ha nulla in comune con il corregionale
Giorgio Rioli (detto Giorgio Siculo).
In seguito R. frequentò i circoli evangelici di Juan de Valdès a Napoli e
visse a Venezia, mentre dalla fine degli anni '30 del XVI secolo egli pose
il suo campo d'azione nell'Emilia, nel triangolo compreso fra Bologna,
Modena e Ferrara. A Bologna, probabilmente sotto lo pseudonimo dello
studente di diritto Fileno Lunardi, R. poté approfondire i suoi studi del
pensiero di Erasmo da Rotterdam, insieme agli agostiniani Giulio Della
Rovere, Ortensio Lando e Ambrogio Cavalli, e all'umanista abruzzese Giovanni
Angelo Odoni. Abitò inoltre a Modena, dove l'Accademia del Grillenzoni fece
da centro di diffusione delle sue idee. R. infatti già iniziava ad esprimere
alcune sue tipiche idee radicali, come l'opposizione del culto dei santi e
della Madonna, e la negazione del valore dei sacramenti.
Inoltre, tra i primi in Italia ad interessarsi all'anabattismo e
all'antitrinitarismo, R. aveva letto i testi di Miguel Serveto e sembra che
avesse, intorno al 1550, convertito all'anabattismo il misterioso Tiziano,
pare un ex frate friulano e poi mercante ed uno dei più attivi propagatori
dell'anabattismo.
Quando finalmente si decise a convertirsi alla dottrina riformata (seppur
con una serie di importanti distinguo), R. decise di cambiare il proprio
nome in Camillo Renato, proprio per sottolineare la sua "rinascita".
Ma, con l'avanzare del suo radicalismo religioso, aumentarono anche i guai
giudiziari: nel 1540 a Modena, sotto lo pseudonimo di Lisia Fileno, aveva
dovuto fare una pubblica ritrattazione delle sue idee e nel 1542 R. fu
arrestato a Ferrara per eresia. Per sua fortuna, Renata di Francia
intercesse per farlo uscire da prigione: libero, R. prese immediatamente la
via dell'esilio per la Valtellina, insieme a Celio Secondo Curione.
In Valtellina, ai tempi parte del territorio elvetico del Cantone Grigioni,
R. divenne dapprima tutore dei figli di Raffaele Pallavicini a Caspano,
vicino a Morbegno, poi, nel 1545 fu maestro di scuola nella vicina Traona e
infine visse a Vicosoprano, in Val Bregaglia.
Nel 1546 fece un viaggio a Vicenza per partecipare ai Collegia Vicentina,
dove si riunirono i principali anabattisti e antitrinitariani veneti
dell'epoca.
Ritornato in Valtellina, nel 1547 R. si trasferì a Chiavenna, il centro più
importante per la Riforma nei cantoni svizzeri di lingua italiana, dove
conobbe Lelio Sozzini, ma qui, dopo un breve periodo iniziale di simpatia
reciproca, egli entrò in rotta di collisione con il pastore riformato
Agostino Mainardi, che, nell'esercizio delle sue funzioni, si sentì in
dovere di contestare le pericolose idee protocristiane e anabattiste, che R.
propagandava presso la popolazione delle vallate valtellinesi. Infatti nel
1548, come reazione all'avanzata delle idee troppo estremiste del pensatore
siciliano, Mainardi, eccessivamente rigoroso, cercò di obbligare tutti i
fedeli della Chiesa riformata di Chiavenna di giurare fedeltà ad una
Confessione di Fede, che egli si era fatto approvare dalle autorità
religiose di Coira, Zurigo e Basilea. L'azione gli alienò l'amicizia con
Francesco Negri da Bassano, con il quale aveva avuto dei buoni rapporti fino
a quel momento e che provocatoriamente si rifiutò di far battezzare il suo
neonato se prima Mainardi non avesse firmato una Confessione di Fede redatta
da Negri stesso, e con Francesco Stancaro, che accusò Mainardi di troppa
ortodossia, e troppo poco dialogo, in questa diatriba sorta sull'opportunità
dei sacramenti.
La lunga e amara controversia sulla Cena del Signore con Mainardi, ebbe un
amaro epilogo per R. (magnus haereticus, secondo Mainardi): essendosi
rifiutato di cessare di propagare le sue dottrine egli fu scomunicato il 6
luglio 1550.
Del resto, anche in una lettera scritta un mese dopo (il 3 agosto 1550) da
Altieri d'Aquila a Heinrich Bullinger (curiosamente anche lo stesso R. aveva
una vasta corrispondenza con il riformatore svizzero) l'ex diplomatico
definì R. anabaptistarum patronus, cioè protettore degli anabattisti.
A R. non rimase che ritirarsi in un punto non meglio precisato della
Valtellina, dopo aver polemicamente pubblicato un elenco di 125 errori,
scandali, contraddizioni vari di Mainardi dal 1545 in poi.
Di R. non si sentì più parlare eccetto che nel 1554, quando, indignato per
l'esecuzione sul rogo di Michele Serveto, R. scrisse a proposito un lungo
poema, De injusto Serveti incendio e lo inviò a Calvino in persona.
In vecchiaia, da una testimonianza del 1560, pare fosse diventato cieco e
morì nel 1575, sempre in Valtellina.


Il pensiero
Il punto essenziale del pensiero mistico spirituale di R., espresso nel suo
Trattato del Battesimo e della Santa Cena, scritta in italiano (cosa rara
all'epoca), era la vera rinascita spirituale del credente, che si sentiva
unito in spirito e carità con gli altri fedeli in un unico corpo mistico.
Il tutto rendeva per R. ovviamente superfluo ogni sacramento e
manifestazione esteriore e utilitaristica della religione cristiana. Da ciò
quindi derivava il principale motivo del contendere con Mainardi: l'idea di
considerare la Cena del Signore come una semplice memoria della morte di
Cristo e, similmente, il Battesimo come una mera affermazione della fede
individuale di ogni credente.
D'altra parte, questa poca importanza attribuita, o addirittura rifiuto del
Battesimo (vedi anche lo scritto Adversus baptismum del 1548) mette in serio
dubbio una supposta appartenenza di R. al movimento anabattista.
Inoltre per R., le anime, dopo la morte, non godevano subito della vita
ultraterrena, ma stavano in uno stato di sonno fino al giorno del Giudizio
Universale, un concetto che accosta curiosamente R. ad un papa medioevale
molto criticato: Giovanni XXII! Questi aveva infatti incautamente dichiarato
nel 1331 che le anime dei morti in grazia di Dio avrebbero goduto della
"visione beatifica" non subito dopo la morte, come affermava la tradizione,
ma solo alla resurrezione dei morti e che, nell'attesa, essi avrebbero
dormito godendo del conforto di Cristo "sotto l'altare". L'affermazione del
papa fu condannata dai teologi dell'Università di Parigi nel 1333.


I seguaci
R. influenzò diversi pensatori e riformati dell'epoca, di cui si possono
citare, a parte l'ebraista Francesco Stancaro, sopra menzionato: il
bolognese Ulisse Aldrovandi (1522-1605), coinvolto nel 1549-50 in un
processo per eresia, proprio come presunto seguace di R.; il pastore di
Casaccia (in Val Bregaglia, nell'attuale cantone Grigioni) e scrittore
Bartolomeo Silvio di Cremona; il medico Pietro Bresciani di Casalmaggiore.


Ofiti (o Naasseni) (II secolo)



Gli ofiti, o naaseni (dal greco òphis e dall'ebraico nâhâsh: serpente)
rappresentano una scuola (di cui non si conosce il capostipite) di pensiero
gnostico, molto popolare nel II secolo, al limite del Cristianesimo tant'è
che alcuni autori sono più propensi a classificarli come gnostici pagani o
ebraizzanti.


La dottrina
La dottrina gnostica degli o. originava dal Padre di Tutti o Primo Uomo, che
aveva emanato il Pensiero o Figlio o Secondo Uomo. A quel punto era comparso
l'Agape o Spirito Santo o Prima Donna. Questa trinità aveva generato Cristo
e sua sorella Sophia (Saggezza), ma uno dei figli di Sophia, il demiurgo
Ialdabaoth si era ribellato creando il mondo materiale e l'uomo.
Egli, identificato come Yahweh nel Vecchio Testamento, aveva messo i primi
uomini, Adamo ed Eva, nell'Eden e preteso di essere venerato da loro.
Tuttavia il serpente, citato nella Genesi (3,1), secondo gli o., era stato
mandato da Sophia per convincere gli uomini ad assaggiare il frutto proibito
della conoscenza per rendersi conto di livelli divini ben superiori di
quello del loro creatore.
Inoltre Sophia, all'insaputa di Ialdabaoth, aveva instillato la scintilla
divina negli uomini, i quali quindi, anche dopo la cacciata dal Paradiso
Terrestre, avevano mantenuto, in maniera latente, la conoscenza della loro
origine nel Padre di Tutti, ma non ne erano consapevoli a causa delle
manovre intenzionalmente distraenti del demiurgo.
Per accendere questa scintilla e portare la conoscenza, Cristo,
impietositosi dello stato degli uomini sotto la tirannia di Ialdabaoth,
decise di scendere sotto forma di Gesù.
Gli ofiti, dunque, veneravano il serpente, primo latore della conoscenza
(gnosi) e, come i cainiti, esaltavano tutti i personaggi del Vecchio
Testamento, che apparivano come nemici di Yahweh, cioè di Ialdabaoth e per
questo vennero perseguitati dai cristiani come blasfemi.


Le opere
Direttamente agli o. vengono fatti risalire la Predica dei Naasseni e il
Diagramma degli ofiti: quest'ultimo, composto prima del 150, è andato
perduto, ma è stato ben descritto dal filosofo pagano Celso (che considerava
gli o. come una setta cristiana) e dal famoso scrittore e teologo Origene,
come rappresentazione della complessa cosmogonia degli o.


Oldcastle, Sir John (ca. 1378- 1417)



Sir John Oldcastle, figlio di Sir Richard Oldcastle, nacque nella contea
inglese del Herefordshire intorno al 1378.
Fu un valorosissimo soldato e combatté al fianco del principe di Galles,
Enrico [futuro re d'Inghilterra come Enrico V (1413-1422)], nelle campagne
militari contro gli scozzesi e i gallesi.
Nel 1408 O. sposò Joan, figlia ed ereditiera di Lord Cobham e nel 1409, con
il titolo di barone (fu in seguito soprannominato "il buon Lord Cobham")
poté sedere con buon diritto alla Camera dei Lord.
Nel 1413, tuttavia, O. fu accusato dal teologo Thomas Netter di simpatie
verso i lollardi e fatto imprigionare su ordine dell`arcivescovo di
Canterbury, Thomas Arundel.
Nonostante l'amicizia personale con il re, egli fu processato e condannato a
morte come eretico, ma approfittò di una sospensione della pena di 40
giorni, sotto forma di incarceramento nella famigerata Torre di Londra, per
evadere dalla prigione e rifugiarsi presso un confratello.
Qui, nel Gennaio 1414, O. architettò assieme ad un gruppo di lollardi, una
insurrezione armata per rapire il re stesso. La chiamata alle armi dei
lollardi fu un vero insuccesso e ben pochi risposero all'appello: secondo
alcuni autori solo 300, di cui 80 furono catturati. Di questi 69 (altri
autori riportano 44) furono messi a morte.
O. nuovamente riuscì a sfuggire alla cattura, tuttavia braccato per 3 anni,
venne catturato nel Novembre 1417 e impiccato, il 14 Dicembre, su una forca,
sotto la quale bruciava un fuoco lento.


Questo personaggio dalla vita alquanto movimentata interessò diversi
letterati, tra cui Thomas Occleve (1368-1450), che scrisse lo scritto
polemico O Oldcastle, ahimè, che cosa mai ti affliggeva per cadere nella
trappola dell'eresia? ed il grande William Shakespeare (1564-1616), che si
ispirò ad O. per la figura, nelle Allegre comari di Windsor, dell'immortale
personaggio di Falstaff (in verità più sfrenato e chiassoso dell'originale),
che nella prima stesura dell'opera aveva perfino lo stesso nome.


Bullinger, Johann Heinrich (1504-1575)



Johann Heinrich Bullinger nacque nel 1504 a Bremgarten, nel cantone di
Argovia, in Svizzera.
Studiò per quattro anni con i monaci certosini ad Emerich (Germania), ma fu
successivamente convertito alla Riforma da Ulrich Zwingli, di cui divenne un
fervente seguace, sposandone la figlia e subentrando a questi nella guida
della Chiesa riformata di Zurigo, dopo la tragica morte di Zwingli durante
la battaglia di Kappel del 1531.
Il suo principale impegno fu quello di evitare il riassorbimento del
pensiero del suo maestro nel più popolare calvinismo, di cui non condivideva
la dottrina della predestinazione (non che lo rifiutasse in toto, ma non
poteva credere che Dio volesse la dannazione dei peccatori), i rapporti
troppo stretti con l'autorità civile, e il concetto di una partecipazione
reale di Cristo nell'Eucaristia.
A proposito di quest'ultimo argomento, nel 1549 B. firmò il Consensus
Tigurinus assieme a Calvino e Farel: nell'accordo non si faceva menzione del
termine substantia, (sebbene il termine presenza reale fosse rimasto nel
testo) un successo comunque per B, che era riuscito a portare Calvino su
posizione più vicine all'interpretazione simbolica dell'Eucaristia, cara a
Zwingli. Tuttavia resta sempre il dubbio che i riformatori ginevrini abbiano
accettato il compromesso dottrinale per un'opportunità politica: quella di
non isolare la loro città dal resto della Svizzera riformata. Nuovamente,
dopo la morte di Calvino, anche il suo successore, il diplomatico Théodore
di Béze, impegnato in una disputa sull'Eucaristia con B., preferì non
insistere sulle sue posizioni per mantenere l'unità della Chiesa riformata.
Nel 1563 B. fu favorevole al Catechismo di Heidelberg (1563): questo testo,
benché scritto dai calvinisti Caspar von der Olewig (Olevianus o Olevian)
(1536-1585) e Zacharias Beer (Ursinus) (1534-1583), non faceva menzione alla
dottrina delle predestinazione e per quanto concerne l'Eucaristia, si
allineava più sulle posizioni zwingliane. Il Catechismo di Heidelberg
influenzò poi il testo della Seconda Confessio Helvetica del 1566, scritto
da B. stesso, in risposta ad una richiesta dell'Elettore-Palatino Federico
III, detto il Pio (1559-1576), che aveva annunciato la sua adesione al
calvinismo nel 1563.
B., saggio e moderato, godeva di grande prestigio all'estero, presso la
Chiesa riformata scozzese di John Knox, in Francia con l'amico filosofo
Pierre de la Ramée (Ramus) (1515-1572), nei Paesi Bassi, dove i suoi scritti
erano molto popolari, e, grazie all'amico John Hooper, negli ambienti
anglicani: quando Pio V (1566-1572) confermò la scomunica di Elisabetta I
d'Inghilterra (1558-1603), fu B. ad aiutare la regina inglese a preparare
un'adeguata risposta. Del resto proprio il riformatore zurighese ospitò
alcuni vescovi riformati inglesi profughi in Svizzera, in occasione delle
persecuzioni durante il regno della sorella cattolica di Elisabetta, Maria
Tudor, detta la Sanguinaria (1553-1558).
L'atteggiamento di B. nei confronti delle frange radicali fu non sempre
costante: da una parte amico dell'antitrinitariano Lelio Sozzini, dall'altra
dapprima ammiratore, ma successivamente avversario del movimento
anabattista, soprattutto dopo le atrocità compiute a Münster.
B. morì a Zurigo nel 1575.



Olivi, Pietro di Giovanni (Petrus Johannis o Pierre Jean Olieu) (ca.
1248-1298)



Pietro di Giovanni Olivi (Pierre Jean Olieu) nacque a Sérignan, vicino a
Béziers, nella Francia meridionale intorno al 1248. All'età di soli dodici
anni entrò nell'ordine dei frati minori a Béziers e, dopo aver conseguito la
laurea in teologia a Parigi, ritornò a operare in Linguadoca.
Si mise ben presto in evidenza come capo dei spirituali della Francia
meridionale, di quei francescani, cioè, che osservavano alla lettera la
Regola ed il Testamento del Santo, desiderando mantenerne l'originale stile
di vita, ed in questo contrastati dai conventuali, i francescani che
volevano operare una parziale revisione in senso mitigatore della Regola
dell'ordine.
Inoltre O. aderì entusiasticamente, come molti spirituali, alle idee e
teorie del mistico calabrese Gioacchino da Fiore.
Nel Capitolo Generale di Strasburgo del 1282 egli fu condannato per eresia e
nell'anno successivo 34 idee delle sue dottrine furono confutate da sette
frati teologi dell'Università di Parigi.
Tuttavia O. si difese così brillantemente che il Capitolo Generale di
Montpellier del 1287 lo assolse: fu successivamente inviato al convento di
Santa Croce a Firenze, dove insegnò come teologo dal 1287 al 1289 e dove
conobbe, divenendone il maestro, Ubertino da Casale. La conferma della sua
ortodossia si ebbe anche al Capitolo Generale di Parigi del 1292.
Nel 1296 O. scrisse la sua opera principale (e più discussa dopo la sua
morte), Postilla (o Lectura) in Apocalypsim, un aggiornamento delle profezie
di Gioacchino da Fiore, dove la terza età gioachimita, secondo O., iniziava
dopo la condanna della Regola di povertà di San Francesco e la "Chiesa
Spirituale" (Ecclesia Spiritualis) coincideva con l'ordine francescano.
O. morì in convento a Narbonne il 14 Marzo 1298.
Dopo la sua morte, le critiche sulle sue idee iniziarono a giungere da più
parti: il Capitolo Generale di Lione del 1299 ordinò il rogo del suo
cadavere e dei suoi scritti e il Concilio di Vienne del 1312 condannò
nuovamente la sua dottrina.
La sua figura, comunque, continuò ad essere un riferimento per gli
spirituali: infatti, durante il periodo di sede vacante del papato tra il
1314 ed il 1316, in una cerimonia, seguita da una grandissima folla, in
memoria proprio di O., Angelo Clareno da Cingoli incitò alla ribellione gli
spirituali di Narbona (nella Francia meridionale) contro i conventuali e in
ciò ebbe un grande appoggio dalla popolazione locale.
Si tornò a parlare delle idee di O. nel 1326, quando alcune frasi contenute
nella Postilla in Apocapypsim vennero condannate da Papa Giovanni XXII
(1316-1334), principalmente per motivi politici in quanto erano state
utilizzate dall'imperatore Ludovico IV il Bavaro nel suo appello di
Sachsenhausen del 1324 per chiedere la convocazione di un concilio
ecumenico, che giudicasse Giovanni XXII per "abuso d'ufficio" (come si
direbbe oggigiorno) a scopo personale.



Acacio di Cesarea (m. ca. 366)



Acacio diventò vescovo di Cesarea (in Palestina) nel 340.
Il periodo storico, in cui egli operò, fu contraddistinto dalle lotte
interne al movimento ariano, sviluppate in seguito alla morte della guida
carismatica, Eusebio di Nicomedia (m. ca. 341) e sintetizzate dalle varie
posizioni assunte, durante i vari sinodi, tenuti tra il 357 ed il 359 a
Sirmio (nella ex Iugoslavia) indetti dall'imperatore Costanzo (337-361,
figlio di Costantino), proprio per cercare di venire a capo delle dispute
teologiche.
Rispetto alla natura di Cristo, le formulazioni presentate risultarono
addirittura quattro:


Homooùsios (identico, nella sostanza, a Dio, cioè consustanziale), secondo
il Credo di Nicea, difeso strenuamente e quasi isolatamente (Athanasius
contra mundum: Atanasio contro il mondo) da Atanasio di Alessandria.
Homoioùsios (simile, nella sostanza, a Dio), propugnato da  Basilio di
Ancyra.
Anòmoios (dissimile da Dio), secondo il credo ariano più canonico, e difeso
da  Aezio di Antiochia o di Celesiria,  Eunomio di Cizico e  Ursacio di
Singiduno.
Homoios (simile a Dio), una formula di semiarianesimo, propugnata, per
l'appunto, da Acacio di Cesarea. I seguaci di Acacio si chiamarono omeisti.


In questa ultima definizione, la più vaga, si parlava di una generica
similitudine tra Padre e Figlio, senza precisare il rapporto sul piano della
sostanza.
L'imperatore Costanzo dapprima (358) aderì alla dottrina dell'homoioùsios di
Basilio, ma successivamente, dopo il sinodo del 359, cercò di imporre la
versione homoios di A. come ufficiale e convocò i vescovi occidentali a
Rimini e quelli orientali a Selucia per ratificare la formula acaciana.
Contemporaneamente fece deporre e relegare a Berea in Tracia Papa Liberio
(352-366). Al suo posto fu eletto l'antipapa, di ispirazione ariana, Felice
(355-365). Papa Liberio poté rientrare ad occupare la sua sede, solo dopo
aver firmato un documento molto vicino alle tesi ariane.
Questo momento storico del Cristianesimo fu ben descritto da S.Girolamo
nella frase: "Il mondo, gemendo, stupì di trovarsi ariano".
Il concilio di Seleucia, nel 359, al quale partecipò A., oltre a 150/160
vescovi orientali, mostrò tutta la ben nota divisione nel partito ariano, e
fu aggiornato dall'imperatore stesso a Costantinopoli, l'anno successivo,
dove fu imposta la formula del homoios.
Ma nel 361, morì l'imperatore Costanzo e la situazione politica divenne poco
chiara: l'ascesa di Giuliano l'Apostata (361-363), paradossalmente, permise
agli ortodossi niceni di serrare le fila.
Nel concilio di Lampsaco del 364, indetto da Valentiniano I (364-375), le
tesi ariane vennero rigettate e i vescovi più in vista vennero condannati,
compreso A.
A. morì, secondo alcuni autori, nel 366.


Basilio di Ancyra (att. 336-360)



Vescovo ariano di Ancyra, successe a Marcello nel 336, durante il concilio,
a forte ispirazione ariana, a Costantinopoli, presieduto da  Eusebio di
Nicomedia, dove Marcello fu condannato per sabellianismo e dichiarato
decaduto dalla sua sede vescovile.
Alla morte dell'imperatore Costantino (337) Marcello ritornò alla sua sede,
da dove, però fu espulso nel 339, con nuovo reintegro di B.
Allora, Marcello si decise di scrivere al papa Giulio I (337-352), che nel
340 lo riabilitò, dichiarandolo ortodosso, ma non si sa se successivamente
M. abbia potuto coprire il suo ruolo almeno prima del 343. In quel anno fu,
infatti, convocato dall'imperatore Costanzo II (337-361, figlio di
Costantino) il concilio di Sardica (l'odierna Sofia in Bulgaria), dove, tra
l'altro, fu chiesto vanamente da parte degli ariani l'espulsione di
Marcello. Alla risposta negativa del concilio, gli ariani abbandonarono il
concilio, che quindi, a maggioranza ortodossa, ratificò il reintegro di
Marcello nella sua sede di Ancyra e l'allontanamento di B..
Pare comunque che Marcello avesse avuto parecchi problemi nel rientrare ad
Ancyra, a causa dell'opposizione della popolazione favorevole a B.
Infine Marcello fu deposto dal vescovo Macedonio di Costantinopoli e
definitivamente sostituito da B. nel 353.
Qualche anno dopo, in seguito alla morte di Eusebio di Nicomedia (m. ca.
341), Costanzo convocò vari sinodi, tenuti tra il 357 ed il 359 a Sirmio
(nella ex Iugoslavia) per cercare di venire a capo delle dispute teologiche,
che dilaniavano il mondo cristiano di allora.


Rispetto alla natura di Cristo, le formulazioni presentate risultarono
addirittura quattro:
Homooùsios (identico, nella sostanza, a Dio, cioè consustanziale), secondo
il Credo di Nicea, difeso strenuamente e quasi isolatamente (Athanasius
contra mundum: Atanasio contro il mondo) da Atanasio di Alessandria.
Homoioùsios (simile, nella sostanza, a Dio), propugnato, per l'appunto, da
Basilio di Ancyra, i cui seguaci si definivani omoiousiani.
Anòmoios (dissimile da Dio), secondo il credo ariano più canonico, e difeso
da Aezio di Antiochia o di Celesiria, Eunomio di Cizico e Ursacio di
Singiduno.
Hòmoios (simile a Dio), proposto da Acacio di Cesarea, definizione vaga,
dove si parlava di una generica similitudine tra Padre e Figlio, senza
precisare il rapporto sul piano della sostanza.


L'imperatore Costanzo dapprima (358) aderì alla dottrina dell'homoioùsios di
B. e, influenzato da quest'ultimo,  fece bandire Aezio e i suoi seguaci.
Tuttavia, dopo il III° sinodo di Sirmio del 359, Costanzo cambiò parere,
preferendo la versione homoios di Acacio come ufficiale e convocò i vescovi
occidentali a Rimini e quelli orientali a Selucia per ratificare la formula
acaciana.
In seguito a questi concili, B. cadde in disgrazia e fu esiliato nel 360.


Origene (ca. 185-ca. 254)



La vita
Il più famoso teologo cristiano prima del concilio di Nicea fu Origene
Adamantio, nato in Egitto nel 185 da genitori cristiani di lingua greca.
Nel 202, durante una feroce persecuzione ordinata dall'imperatore Settimio
Severo nei confronti della chiesa di Alessandria, il padre di O., Leonida,
fu imprigionato e solo grazie ad uno stratagemma della madre (nascose i
vestiti al figlio), O. non seguì le orme paterne, che portavano al martirio.
Dopo che il padre fu ucciso per decapitazione, O. dovette lavorare come
insegnante per mantenere la madre e i sei fratelli più giovani.
Nel 199, a 14 anni O. divenne allievo di Clemente Alessandrino, direttore
della scuola di catechismo e di teologia di Alessandria, il celebre
Didaskaleion e nel 202, in seguito alla fuga di Clemente a Cesarea in
Cappadocia per sottrarsi alle persecuzioni di Settimio Severo, O. fu
chiamato, a soli 18 anni, dal vescovo di Alessandria, Demetrio, a
succedergli.
Nonostante egli fosse stato chiamato ancora molto giovane a ricoprire un
ruolo così importante, O. desiderò comunque completare i suoi studi di
filosofia in particolare, riguardante Platone e gli Stoici, frequentando la
scuola neoplatonica di Ammonio Sacca, e imparando, nel contempo, la lingua
ebraica.
Condusse, in quel periodo, una vita molto ascetica e, in seguito alla
lettura di un passaggio alquanto controverso del Vangelo di Matteo (19,12):
.. e vi sono eunuchi che si sono fatti eunuchi da se stessi, per il regno
dei cieli, O. prese la tremenda decisione di auto-castrarsi. Secondo alcuni
autori, fu questa mutilazione il pretesto perché il suo superiore, il
vescovo Demetrio, in seguito non avesse voluto mai ordinare prete il suo
teologo.
O. viaggiò spesso negli anni successivi, specialmente durante la
persecuzione di Caracalla contro i cristiani egiziani nel 215 e la sua fama
crebbe notevolmente: risiedette per diverso tempo a Cesarea in Palestina
dove ebbe, in particolare, un importante amico e protettore nel vescovo
della città, Teoctisto, che, assieme al vescovo di Gerusalemme, Alessandro,
lo ordinò sacerdote nel 230.
La reazione del suo vescovo ad Alessandria  non si fece attendere: secondo
Eusebio, Demetrio, invidioso del successo del suo catechista, lo depose dal
sacerdozio nel 231 e lo bandì dalla città. O. ritornò, quindi, nel 232 a
stabilirsi a Cesarea in Palestina, dove aprì una nuova scuola di studi
biblici e teologici e dove visse per il resto della sua vita, escludendo un
periodo di due anni (235-237), quando O. fu ospitato a Cesarea in
Cappadocia, presso il vescovo Firmiliano, per sfuggire alle persecuzioni
ordinate dall'imperatore Massimino Trace (235-238).
Sempre attento alle eresie del suo tempo, O. interveniva anche di persona
quando necessario, come nel 244, in Arabia, per rintuzzare gli attacchi
antitrinitari di Berillo, vescovo di Bostra.
Seguì un periodo di relativa tranquillità, specialmente sotto l'imperatore
Filippo l'Arabo (244-249) fino alle massicce persecuzioni contro i cristiani
ordinati dall'imperatore Decio (248-251) nel 250. Fu allora che O. fu
imprigionato, crudelmente torturato e condannato a morte. Benché la sentenza
non fu eseguita per la morte dell'imperatore, O., minato nel fisico dalla
torture subite, morì nel 253 o 254, all'età di 69 anni a Tiro, nell'attuale
Libano.


Le opere
O. fu probabilmente il più prolifico autore del suo tempo: secondo Epifanio,
la summa dei suoi lavori ammontò a ca. seimila scritti (un dato forse un po'
sovrastimato).
La parte principale delle sue opere era composta da lavori di esegesi
biblica sotto forma di commentari, omelie e scoli (dal latino scholia, cioè
spiegazioni di passi difficili), o di filologia come la famosa Hexapla, in
cui vennero paragonate le sei versioni conosciute dell'Antico Testamento.
Ma erano noti anche lavori teologici di grandissima importanza come il De
principiis,  due lavori ascetici come L'esortazione al martirio e Sulla
preghiera, per finire con l'appassionata difesa del Cristianesimo nel Contra
Celsum, nel quale O. ribatté, punto su punto, gli attacchi del filosofo
pagano Celso.


La dottrina
Le audaci speculazioni filosofiche di O. hanno fatto sì che il grande
teologo alessandrino non fosse immune da critiche e condanne, soprattutto
dopo la sua morte, dal IV secolo in poi.
Il punto più basso di popolarità per O. fu durante il II Concilio Ecumenico
di Costantinopoli del 553, dove la sua teologia o meglio l'origenismo fu
condannato come eresia.
Ciò nonostante, ancora oggi, O., pur nell'ammissione di alcuni suoi errori
dottrinali, viene ricordato con venerazione da parte della Chiesa Copta
Ortodossa.
L'esame approfondito della dottrina di O. porterebbe fuori dagli scopi di
questa ricerca: ci si limiterà, quindi, a citare i punti controversi, che
sono stati:


Il Figlio (Logos) era consustanziale (della stessa sostanza) e co-eterno al
Padre, pur essendo una persona o meglio una ipostasi diversa.  Tuttavia,
secondo O., il Figlio era anche solo un attributo del pensiero o della
volontà del Padre: così però si configurava una complessa forma di
subordinazianismo,.
Parimenti, lo Spirito Santo aveva un ruolo subordinato e di minore
importanza.
La pre-esistenza delle anime.
Il libero arbitrio per raggiungere la salvezza.
La ciclicità delle esistenze umane e la reincarnazione.
L'universalismo o apocatastasi, il concetto, cioè, che tutti, angeli, uomini
o diavoli, verranno salvati.
L'esistenza di infiniti mondi prima e dopo quella attuale.
L'interpretazione allegorica e non letterale di alcuni passi della Bibbia,
soprattutto la Genesi.


Origenisti (III - VII secolo)



Influenza su altri scrittori
Enorme fu l'influenza di Origene sul pensiero di altri famosi scrittori
cristiani dal III fino al VII secolo:
San Dionisio (o Dionigi) d'Alessandria, detto il Grande (ca.190-264), che
rifiutò il sabellianesimo, utilizzando argomentazioni origeniste.
Teognosto (m. ca.282) e Pierio (m. ca.310), successori di O. come direttori
(rispettivamente nei periodi 250-280 e 280-305) della scuola di catechismo e
di teologia di Alessandria, il celebre Didaskaleion.
San Panfilo (c.240-309) ed Eusebio (c.260-c.340) (il famoso storico
cristiano), ambedue di Cesarea, che scrissero insieme l'apologia di Origene.
Papa San Damaso I (c.304-384), che tradusse due omelie di O.in latino.
Didimo il Cieco (c.313-398), teologo e strenuo difensore delle idee di O. e
per questo condannato dal Concilio di Calcedonia del 553.
Sant'Ilario, vescovo di Poitiérs (c.315-367), che studiò le opere di O.
durante l'esilio in Frigia.
I tre Padri Cappadoci (San Basilio (c.330-379), San Gregorio di Nissa
(c.330-395) e San Gregorio di Nazianzo (329-389)), strenui difensori del
credo niceno.
Sant'Ambrogio (c.339-397), vescovo di Milano, che ammirava ed utilizzava
largamente l'interpretazione allegorica della Bibbia, tipica di Origene.
San Girolamo (c.342-420), dapprima grande ammiratore di O., poi suo
detrattore.
Tirranio Rufino di Aquileia, traduttore di molte opere di O. in latino,
concittadino e amico di San Girolamo, fino alla polemica tra i due, proprio
sulle dottrine origeniste.
Evagrio Pontico (346-399), grande ispiratore del monachesimo orientale e,
attraverso il suo discepolo Giovanni Cassiano (c.360-435), di quello
occidentale.
San Massimo di Crisopoli (c.580-662), detto il Confessore, massimo teologo
del VII secolo.


I vari seguaci di O. diedero vita ad un movimento noto come origenismo, che,
però, non sempre fu portavoce del pensiero di Origene nell'accezione
originaria e che portò a due profonde crisi con il Cristianesimo ortodosso:


Prima crisi origenista
Un primo movimento origenista, nato nel monastero di Nitra in Egitto e
diffusosi in tutta la Palestina, si creò nella seconda metà del IV secolo,
portando nel 394 a frequenti litigi tra i suoi seguaci, capeggiati da
Giovanni, vescovo di Gerusalemme, e Sant'Epifanio, vescovo di Salamis
(l'odierna Famagosta, in Cipro), convinto anti-origenista.
La polemica si arricchì, ben presto, di altri protagonisti, come San
Girolamo e Tirranio Rufino di Aquileia, traduttore in latino di De
principiis di Origene nel 397, ex amici fraterni che, come già detto, si
divisero, il primo arroccato su posizioni ortodosse, il secondo strenuo
difensore delle idee di Origene.
La situazione, già infuocata, precipitò con il clamoroso voltafaccia di
Teofilo, patriarca di Alessandria, dapprima convinto origenista ed
improvvisamente, dal 400, nemico implacabile di chiunque professasse queste
idee, ma soprattutto avversario di San Giovanni Crisostomo (ca. 345-407),
Patriarca di Costantinopoli, oggeto dell'esagerata invidia di Teofilo.
Casomai ce ne fosse stato bisogno, la decisione di Crisostomo di ospitare
Sant'Isidoro di Pelusio e gli altri origenisti in fuga da Alessandria
aumentò l'acredine di Teofilo, che riuscì nel suo intento di far condannare
dal sinodo di Ad Quercum (la Quercia, sobborgo di Costantinopoli) nel 403 ed
esiliare il povero Crisostomo ad Antiochia e poi nel Ponto.
A quel punto, nuovo voltafaccia di Teofilo: egli, fatto sparire il suo
concorrente, riaccettò le idee origeniste e, come se nulla fosse, si mise
perfino a leggere i testi del teologo alessandrino.


Seconda crisi origenista
Nel 514 nella regione di Gerusalemme nacque il secondo movimento origenista,
infarcito di idee panteiste, i cui capi erano Nonno, che tenne unito il
movimento fino al 547, Teodoro Askidas, vescovo di Ancira e Domiziano,
vescovo di Cesarea in Cappadocia.
Dopo la morte di Nonno nel 547, il movimento si divise in due correnti,
gli isocristi, estremisti, pensavano che alla fine del mondo tutte le menti
sarebbe stati uguali a Cristo, l'unico non macchiato dal peccato originale,
i protoctisti, moderati, consideravano Cristo superiore alle altri menti e
il migliore di tutte le creature. I protoctisti rinunciarono alla dottrina
di O. della pre-esistenza delle anime, schierandosi a fianco dei cattolici
ortodossi contro gli isocristi. Questi li soprannominarono tetraditi,
accusandoli di aver trasformato la Trinità in una tetrade introducendovi
anche la natura umana di Cristo.
In quel periodo l'imperatore Giustiniano scrisse il suo Liber adversus
Origenem in cui condannò 24 punti dal De principiis, 10 dei quali vennero
anatematizzati da un sinodo nel 543, decisione riconfermata durante il II
Concilio ecumenico di Costantinopoli del 553, il punto più basso di
popolarità della teologia di Origene.
Teodoro Askidas e Domiziano, a sorpresa, firmarono il documento, operando
anche loro, come ai tempi Teofilo, un clamoroso voltafaccia, che permise
loro di mantenere onori e potere.
Secondo alcuni storici contemporanei, però, la condanna dell'origenismo
avvenne in sessioni fuori dai lavori ufficiali del Concilio, il cui scopo
principale era la condanna dei Tre Capitoli, cioè dell'attività e dei
scritti di Teodoro di Mopsuestia, di Teodoreto di Ciro e di Iba di Edessa.
A questo punto, c'è da domandarsi se la Chiesa Cattolica, dopo tanti secoli,
debba ancora considerare come vincolante una condanna non pronunciata nei
lavori ufficiali di un concilio.


Orléans, canonici di Santa Croce (1022)



Nel 1022 una decina di chierici della chiesa di Santa Croce ad Orléans
furono accusati di dottrine manichee. Con questo termine si intendeva, come
in altri casi, le eresie, spesso dualiste, di confusa origine bogomila.
La setta fu involontariamente scoperta grazie ad un prete, Eriberto,
cappellano di un nobile francese di nome Arefasto. Eriberto fu istruito ad
Orléans da due canonici, Stefano e Lisoio, ma quando cercò di ritrasmettere
gli insegnamenti ad Arefasto, quest'ultimo si accorse immediatamente
dell'eterodossia della dottrina e ne informò la corte.
Il re di Francia, Roberto II il Pio (972-1031) e la consorte Costanza di
Arles convinsero Arefasto ad agire come infiltrato per raccogliere prove
sulla eresia della setta, ottenuti i quali, fecero arrestare ed interrogare
i canonici.
Lasciando stare strane accuse di orge sataniche con sacrifici di bambini
neonati, un leitmotiv costante in questi tipi di processi, l'interrogatorio
verté sulle dottrine eterodosse dei prelati.
I canonici facevano riferimento ad una diretta ispirazione proveniente dallo
Spirito Santo, conferito mediante l'imposizione delle mani, e negavano la
Trinità, il valore dei sacramenti, la verginità della Madre di Cristo e la
passione e resurrezione del Signore. In quest'ultimo punto essi
rispolverarono l'antica eresia del docetismo.
Il processo ebbe un epilogo drammatico: fu respinto un tentativo di
linciaggio da parte della folla, ma nulla difese i canonici dall'ira della
regina, specialmente quando ella si accorse che la sua guida spirituale,
Stefano, faceva parte degli arrestati: in un attacco di collera la regina
gli cavò un occhio con la punta del suo bastone.
Dei canonici, solo un prete ed una suora abiurarono, mentre gli altri (tra
10 e 14) furono bruciati sul rogo il 28 Dicembre 1022. E questa fu la prima
volta che si bruciavano in Occidente degli eretici sul rogo, un'usanza
purtroppo destinato a divenire alquanto popolare nei secoli a seguire. In
Oriente la tremenda condanna era già stata usata nel 690 durante la campagna
militare, organizzata dall'imperatore Giustiniano II Rinotmeta, per
reprimere la setta dei pauliciani .
Per completare l'opera, il re fece disseppellire il corpo di un altro
canonico, Teodato, morto tre anni prima, e ne fece disperdere le ossa.
Tutta la vicenda ebbe anche una vittima politica: il vescovo di Orléans,
Thierry fu deposto dal re per non essere intervenuto tempestivamente per
stroncare questa eresia.



Fanini, Fanino (o Fannio, Camillo) (ca. 1520-1550)



La vita
Fanino Fanini (o Camillo Fannio) nato a Faenza nel 1520 circa da una agiata
famiglia di fornai, era il primogenito dei tre figli di Melchiorre Fanini
(m. 1546) e Chiara Brini. Nel 1542 F. sposò Barbara Baroncini, da cui ebbe
due figli, Giovanni Battista e Giulia, ed intraprese il mestiere di
famiglia, ma poco dopo iniziò ad interessarsi alle idee calviniste,
probabilmente in seguito alla lettura del Beneficio di Christo di Benedetto
Fontanini da Mantova e della Tragedia intitolata libero arbitrio di
Francesco Negri da Bassano, e, dopo la conversione, si diede ad un'intensa
attività di propaganda.
Fu arrestato nel 1547 e processato dall'inquisitore Alessandro da Lugo, ma
fu liberato "per pietà" e bandito da Faenza e dallo Stato della Chiesa.
Tuttavia F. rimase in Romagna e, associatosi agli evangelisti Barbone
Morisi, Giovan Matteo Bulgarelli, Alessandro Bianchi e Nicola Passerino,
fece una massiccia propaganda calvinista a Lugo, Imola e Bagnacavallo, dove
fecero proselitismo perfino nel convento femminile di Santa Chiara.
I punti principali delle prediche semplici, ma efficaci, di F. furono la
negazione dei sacramenti dell'Eucaristia e dell'Ordinazione, della messa e
dell'intercessione dei santi, della recita del rosario e della pratica del
digiuno, ma a Bagnacavallo il 27 febbraio 1549 F. fu arrestato per la
seconda volta e recluso nella rocca di Lugo per diciotto mesi, ed in seguito
venne trasferito a Ferrara per il processo. Tuttavia immediatamente dopo
l'arresto il cardinale Alessandro Farnese (1520-1589), nipote del Papa Paolo
III (1534-1549), chiese l'estradizione del prigioniero a Roma: era l'inizio
di un lungo tira e molla tra il papato e il duca di Ferrara Ercole II d'Este
(1543-1559), geloso della sua autonomia giudiziaria. Anche durante il
processo, il duca riuscì infatti a far affiancare l'inquisitore di Ferrara
Girolamo Papino da un domenicano, un francescano, ma soprattutto da tre
giudici "laici" nominati dalla corte ducale.
Il processo, comunque, si concluse il 25 settembre 1549 con la condanna al
rogo di F., eppure il duca fu notevolmente recalcitrante nel far eseguire la
sentenza, anche per una inusitata corsa alla solidarietà con tentativi di
far liberare il fornaio faentino da parte di illustri personaggi dell'epoca,
come il famoso capitano di ventura Camillo Orsini(1491-1559), la nuora
Lavinia Franciotti della Rovere Orsini e Olimpia Morato: le ultime due,
probabilmente sollecitate dalla duchessa Renata, moglie di Ercole II,
cercarono di intercedere presso il duca nella primavera 1550 e visitarono il
prigioniero in carcere per portargli l'elemosina della duchessa.
Perfino Renata in persona cercò di intervenire presso il marito, tuttavia
essendo già in odore di eresia calvinista (sarebbe stata poi relegata nel
palazzo di San Francesco, denominata per questo Palazzo della Duchessa), il
suo tentativo fu vano, se non ulteriormente compromettente per la sua
posizione a corte.
Dopo l'elezione del nuovo papa, Giulio III (1550-1555) nel febbraio 1550, il
duca fu fatto oggetto di pressioni e ricatti da parte del famigerato
inquisitore cardinale Giovanni Pietro Carafa, poi Papa Paolo IV (1555-1559):
Carafa alluse che se Ercole non avesse acconsentito all'esecuzione di F.,
l'Inquisitore Generale avrebbe aperto un procedimento contro la duchessa
Renata d'Este.
A questo punto, per scaricarsi la responsabilità, Ercole si fece mandare da
Giulio III una breve di autorizzazione alla condanna a morte di F.: il
povero fornaio, nonostante un tentativo della moglie e dei figli di
convincerlo ad abiurare, fu giustiziato mediante impiccagione, seguita dal
rogo, a Ferrara il 22 agosto 1550.


Le reazioni all'esecuzione
F. fu subito eletto ad esempio di martire protestante da parte di diversi
riformatori, come Francesco Negri, che scrisse nel 1550 De Fanini faventini
ac Dominici bassanensis morte (..) in merito all'esecuzione capitale del
fornaio di Faenza e di Domenico Cabianca da Bassano, conterraneo di Negri.
Anche Giulio Della Rovere esaltò la figura di F. nella seconda edizione
della sua popolare Esortazione alli dispersi per l'Italia, titolo poi
modificato in Esortazione al martirio, testo in cui spingeva i potenziali
martiri della fede riformata ad affrontare la morte.
Anche all'estero, e più precisamente a Ginevra, la vita ed il martirio di F.
furono descritti nel martirologio calvinista Actiones et monimenta martyrum
e nelle Icones di Théodore de Bèze.


Fratelli del Libero spirito (XII - XIII - XIV secolo)



I Fratelli del Libero Spirito fu un movimento, dal XII secolo, diffuso nella
Francia settentrionale, in Germania, nei Paesi Bassi, in Boemia e in Italia,
che professava l'indipendenza dall'autorità ecclesiastica e la possibilità
di vivere secondo una vita apostolica, poiché i propri adepti erano convinti
di essere pervasi dallo Spirito Santo.
Questo stato di divinità coincideva con la totale scomparsa dei tormenti
della coscienza: essi quindi ritenevano di essere talmente perfetti da poter
commettere qualsiasi atto senza correre il rischio di peccare, secondo il
detto di San Paolo: Tutto è puro per i puri (Lettera a Tito 1,15). Alcuni
autori cattolici riportarono che essi, forti di questo convincimento, si
lasciavano andare soprattutto ad atti contro la morale, come atti sessuali
extra matrimoniali.
Se ne ha notizia già dalla metà del XII secolo, quando i F. vennero
identificati nei pifres, predicatori ascetici eterodossi, combattuti dal
monaco Eckbert di Schönau.
La dottrina del movimento fu, all'inizio del XIII secolo, fortemente
influenzata dal pensiero apocalittico di Gioacchino da Fiore e quello
neoplatonico e panteista di Amaury di Bène, e successivamente dal teologo e
mistico Ortlieb di Strasburgo, i cui seguaci, chiamati ortlibarii, vennero
condannati dal Papa Innocenzo III (1198-1216).
Ai F. si fanno risalire parentele più o meno strette con il movimento degli
apostolici di Gerardo Segalelli, fra Dolcino da Novara, i movimenti dei
begardi e delle beghine e il grande mistico tedesco Eckhart von Hocheim.
Nel XIV secolo, il capo dei F. italiani, Bentivegna da Gubbio, fu condannato
al carcere a vita nel 1307 proprio da Ubertino da Casale, diventato poi uno
dei leader storici del movimenti dei francescani spirituali o fraticelli.
In Francia, nello stesso periodo, fece notizia la condanna al rogo della
beghina, simpatizzante con i F., Margherita La Porète nel 1310.
Altri F. condannati al rogo furono Berthold Rohrbach a Spira (Germania) nel
1356, Johannes Hartmann-Spinner nel 1370 ca. e Nicola da Basilea a Vienna
nel 1395.
Il movimento fu definitivamente condannato da Papa Clemente V (1305-1314)
nella bolla Dilectus Domini del 1311.
Tuttavia, alla metà del XIV secolo, apparve una sua variante nel movimento
della Libera Intelligenza o Uomini di Intelligenza, al quale potrebbe aver
aderito, secondo una curiosa ipotesi dello studioso tedesco Wilhelm
Fraenger, il noto pittore fiammingo Hieronymus Bosch (1450-1516).


Osiander (Hosemann), Andreas (1498-1552)



Il teologo luterano Andreas Hosemann (nome umanistico Osiander) nacque nel
1498 a Gunzenhausen, vicino a Norimberga.
Si convertì alla Riforma nel 1522 e nello stesso anno partecipò alla Dieta
imperiale di Norimberga, ed in quella occasione egli conobbe e fece amicizia
con Alberto di Brandeburgo-Ansbach, che partecipava con il preciso intento
di cercare protezione contro le mire del re di Polonia, dopo una guerra
malamente persa.
O. fu un teologo molto prezioso per la diffusione della Riforma nella Svevia
(1528-29) e nel Brandeburgo (1530) e per l'apporto a molti colloqui con i
cattolici e i calvinisti, come ad esempio il colloquio di Marburg
dell'ottobre 1529, dove con grande sconforto di Lutero si approfondì il
divario tra luterani e lo zurighese Huldreich Zwingli sul tema
dell'Eucaristia.
Tuttavia, di carattere alquanto intransigente, O. si pose spesso in
contrasto con altri riformatori, tra cui Zwingli stesso, e nel 1548 questa
sua durezza lo obbligò ad abbandonare la Germania per cercare rifugio presso
Alberto di Brandeburgo, che gli offrì il ruolo di primo professore di
teologia all'università di Köninsberg (in Prussia), fondata da Alberto
stesso nel 1544.
Nel 1550 O. pubblicò il suo principale lavoro De justificatione, dove entrò
in polemica con il suo maestro, contestando la dottrina luterana della
giustificazione per fede (sola fide).
Per i luterani infatti la giustificazione per fede era istantanea: il
credente, cioè, veniva all'istante pronunciato innocente davanti alla corte
divina, il tutto per esclusiva opera dei meriti di Cristo.
Per O. invece, tramite la fede, lo spirito di Cristo viene a dimorare
nell'anima del fedele, non permettendogli di essere automaticamente giusto,
ma facendolo diventare progressivamente giusto. Un'appropriazione interiore,
cioè, della natura divina di Cristo porta quindi alla progressiva
santificazione dell'anima.
O. morì a Köninsberg nel 1552.


Lilburne, John (ca. 1614-1657) e i levellers (XVII secolo)



I Levellers (livellatori), un gruppo politico-religioso inglese del XVII
secolo, erano noti per la loro filosofia rivolta alla democrazia sociale e
per la lotta a favore della tolleranza religiosa.
Il gruppo fu fondato da John Lilburne (ca.1614-1657), un ufficiale
dell'esercito e amico personale del futuro Lord Protettore del Commonwealth
Oliver Cromwell (1599-1658), assieme allo scrittore Richard Overton (att.
1631-1664) e all'umanista William Walwyn (1600-1680).
I l. avevano a cuore i diritti democratici della classe media ed enunciarono
il loro programma (attuale perfino nel XX secolo, ma addirittura
rivoluzionario nel XVII secolo), nel trattato A Remonstrance of many
Thousand Citizens (Una protesta di migliaia di cittadini), scritto da
Overton nel 1646: abolizione della monarchia e della Camera dei Lord,
suffragio universale per la maggior parte degli inglesi (quelli liberamente
nati), separazione Chiesa/Stato, riforme fiscali e legali, un governo che
rispondesse al popolo con diritti garantiti e libertà per il popolo stesso.
Inoltre i l. divennero molto popolari presso l'esercito inglese, quando si
dichiararono favorevoli ad alcune richieste di questo nel 1647, tuttavia,
nel 1648, a fianco degli indipendenti, essi entrarono in conflitto con il
nuovo parlamento controllato dai presbiteriani. Questi stavano cercando di
barattare l'appoggio del re Carlo I (1625-1649), con una riforma, in senso
presbiteriano, della Chiesa Anglicana.
Paradossalmente, l'esecuzione di Carlo I nel gennaio 1649 e la salita al
potere di Oliver Cromwell, due avvenimenti apparentemente a loro favorevoli,
coincise invece con il declino delle fortune dei l. Lilburne accusò
pesantemente l'antico amico di aver scippato il potere dal popolo ed arrivò
al punto di chiedere la messa in stato di accusa di Cromwell per alto
tradimento.
Quest'ultimo cercò quindi di eliminare il movimento, perseguitando i suoi
capi: fece arrestare Lilburne e gli altri fondatori e schiacciò, con la sua
New Model Army [l'esercito parlamentare, comandato da Sir Thomas Fairfax
(1601-1671)] nella battaglia di Burford del maggio 1649, un tentativo di
ammutinamento di solidarietà nell'esercito.
Proprio nel biennio 1649-50, i l. radicalizzarono il loro messaggio sociale
aiutando lo sviluppo del movimento dei diggers, anch'esso una setta
riformatrice ma più interessata alla gente comune e povera: questa
temporanea alleanza alienò molti delle simpatie verso i l. da parte di
persone spaventate dalle tesi da "esproprio proletario" dei diggers.
Comunque nel 1650 i capi l. furono liberati, eccetto Lilburne, il quale,
processato e condannato, fu esiliato a Bruges, in Belgio, da dove rientrò
nel 1653, per essere nuovamente arrestato e mandato alla prigione londinese
di Newgate. Fu in seguito rimandato in esilio, questa volta sull'isola di
Jersey, e solo nel 1655, in seguito al peggioramento del suo stato di
salute, Lilburne, nel frattempo convertitosi al movimento quacchero, fu
fatto liberare da Cromwell, che gli assegnò anche una pensione.
Lilburne morì a Eltham il 29 agosto 1657.
Il movimento l. non sopravvisse molto al proprio fondatore: nonostante si
registrassero ancora loro interventi o scritti negli anni successivi, la
setta si esaurì durante il periodo della Restaurazione del re Carlo II
(1649-1685).