LA STORIA DELLE ERESIE
- IL PURITANESIMO |
Patripassianismo (III secolo)
Il patripassianismo era una
variante del monarchianismo modalista Il concetto base del p. derivava dalla
negazione della Trinità: poiché il Figlio era solo un "modo" scelto dal Padre
per manifestarsi agli uomini, fu in realtà il Padre a incarnarsi, a soffrire
e patire la Passione. Tutto ciò venne sintetizzato dalla frase di Tertulliano
su Prassea, che lo scrittore cartaginese accusò di patripassianismo: "Patrem
cruci fixit", cioè "ha crocefisso il Padre".
Telesio, Bernardino
(1509-1588)
La vita Il filosofo Bernardino Telesio, figlio
dell'aristocratico Giovanni Telesio, nacque verso la fine del 1509 a Cosenza.
La sua educazione fu curata dallo zio Antonio Telesio (1482-1534), un
umanista di certo valore, che lo portò a Milano nel 1518, e a Roma nel 1521,
dove zio e nipote vissero fino al 1527, anno del Sacco di Roma, durante il
quale T. fu incarcerato per un breve periodo. Riacquistata la libertà, egli
si trasferì con lo zio a Venezia e, in seguito studiò a Padova filosofia con
Geronimo Amaltea e matematica, astronomia e filosofia morale con Federico
Delfino fino al 1535. Profondamente insoddisfatto degli insegnamenti della
filosofia aristotelica, T. si ritirò a meditare in un convento benedettino in
Calabria, pur non prendendo gli ordini, fino al 1544-45. Successivamente
egli fu ospitato nella casa napoletana del Duca di Nocera, Alfonso III Carafa
[la stessa casata di Papa Paolo IV (1555-1559)] fino al 1553, anno in cui si
sposò e ritornò a Cosenza, dove entrò nell'Accademia Cosentina, in seguito
denominata in suo onore Telesiana, portandola a nuova vita e influenzando gli
interessi accademici, precedentemente orientati alla letteratura, verso
l'osservazione e l'indagine, sebbene con metodi ancora empirici, della
natura. Questa disciplina venne denominata naturalismo e, nella sua forma
panteistica, ha i suoi maggiori esponenti in T., ma anche in Tommaso
Campanella (che aderì all'Accademia Telesiana, come lo fece anche
il riformato calabrese Giovanni Valentino Gentile) e soprattutto in
Giordano Bruno, che per questo vennero considerati eretici da
perseguire. T. fu invece protetto dall'alto e non dovette subire persecuzioni
di qualsivoglia tipo, anzi, dopo la morte della moglie (da lui sposata
nel 1522) nel 1561, il papa Pio IV (1559-1565) gli offrì perfino il titolo
di arcivescovo di Cosenza (subordinato comunque ad una regolare consacrazione
a sacerdote), ma questi declinò l'invito a favore del fratello
Tommaso. Nel 1565 egli si trasferì a Roma: questo fu anche l'anno nel quale
apparve i primi due libri della sua opera principale De rerum natura juxta
propria principia (l'edizione completa in nove volumi fu stampata nel 1586) e
a Roma T. poté godere della benevolenza del papa Gregorio XIII (1572-1585),
che lo invitò ad esporre la sua filosofia e lo protesse, come già Pio IV,
dalle critiche. Infatti il De rerum natura venne iscritto all'Indice dei
libri proibiti nel 1593, cioè solo dopo la morte del suo autore. Sempre a
Roma T. conobbe e entrò in vivace polemica con il filosofo dalmata
neoplatonico Francesco Patrizi (o Patrizzi) (1529-1597). Dal 1576 al 1586
T. visse a Napoli, ospite del nuovo Duca di Nocera, il figlio di Alfonso,
Ferrante Carafa (al quale fu dedicata l'edizione definitiva del De rerum
natura), tornandosene quindi a Cosenza, dove morì nell'ottobre 1588. Dopo
la sua morte, il suo discepolo più fervente, Antonio Persio (1542-1612), fece
pubblicare alcuni suoi scritti minori con il titolo di Varii de rebus
naturalibus libelli.
Il pensiero Come già detto, T. fu un
importante esponente del naturalismo rinascimentale e il suo lavoro De rerum
natura il lavoro più importante dell'epoca. Per T., in contrapposizione ad
Aristotele, la natura può essere osservata non già dalla ragione, la quale
sviluppa solo concetti astratti come forza e potenza, bensì dall'esperienza
dei sensi, i quali rivelano la presenza di forze meccaniche attive, il caldo
ed il freddo, che agiscono continuamente, trasformandola, sulla materia, o
terra (concetto contestato dal neoplatonico Francesco Patrizi poiché
anch'esso non sarebbe comunque misurabile dall'esperienza dei sensi). In
particolare il caldo, incontrando la terra, genera la vita degli essere
animati, e poiché il caldo è più o meno ritrovabile ovunque nell'universo,
allora l'universo stesso, fornito di una sua sensibilità, è animato. Questa
teoria si denomina panpsichismo. Tutto è regolato dalla quantità di calore:
la vita animale è superiore a quella vegetale a causa del grado di calore, e
sempre il caldo permette la superiorità del livello cognitivo rispetto alla
vita animale. Ovviamente, riducendo tutto alla sensazione, T. si poteva
trovare in difficoltà a spiegare la conoscenza di Dio, poiché Egli non può
essere oggetto dei nostri sensi, oltre che l'immortalità dell'anima. Ma per
il filosofo calabrese Dio trascende il mondo fisico e l'anima
immortale dell'uomo è stata infusa da Dio stesso. Le prove sono il bisogno
dell'uomo del divino e l'esigenza di una giustizia ultraterrena. Il
pensiero di T. influenzò diversi filosofi del XVI e XVII secolo, come i già
citati Campanella e Bruno, ma anche gli inglesi Francis Bacon (1561-1626) e
Thomas Hobbes (1588-1679).
Pawel, Grzegorz (o Gregor Pauli)
(1525-1591)
Nato nel 1525 a Brzeziny, nella Polonia centrale,
Grzegorz Pawel (o Gregor Pauli), esponente antitrinitario di lontane origini
italiane, studiò teologia a Cracovia, dove si laureò. Nel 1547 egli
frequentò l'università di Königsberg (oggi Kaliningrad) e nel 1549 tenne
delle lezioni a Poznan, dove si distinse per le sue posizioni calviniste. Nel
1551 divenne parroco riformato nel sua città natia, ma in seguito si convertì
al antitrinitarismo e già nel secondo sinodo della Chiesa Riformata Polacca
(fondata da Jan Laski) del 1556, P. si allineò con le posizioni antitrinitari
di Petrus Gonesius. La corrente antitrinitaria tuttavia trovò solo nel 1558
un vero leader nell'italiano Giorgio Biandrata, che formò una comunità,
soprattutto di esuli italiani, a Piñczów vicino a Cracovia. P., diventato
amico di Biandrata, rinforzò ulteriormente la propria convinzione religiosa
antitrinitaria nel 1559, dopo il sinodo, proprio a Piñczów, dedicato alle
polemiche suscitate dall'ebraista mantovano Francesco Stancaro, tacciato di
sabellianesimo. Quando poi nel 1562, Biandrata decise di emigrare in
Transilvania, toccò proprio a P. continuare la sua opera. Dopo la dieta di
Piotrków della Chiesa Riformata Polacca del 1564 che decretò l'esclusione
degli antitrinitari, ci fu la definitiva separazione tra una ecclesia major
calvinista ed una ecclesia minor di fede antitrinitaria. Ma gli
antitrinitari, in quel periodo, si erano già polemicamente frazionati in
quattro correnti, con i quattro capi-scuola, Stanislao Farnowski (Farnovius,
m.1615), Martin Czechowic, Symon Budny, e appunto P. Il gruppo di
quest'ultimo, sito a Cracovia, negava la pre-esistenza di Cristo, un essere
umano come gli altri, e che quindi non aveva bisogno di essere adorato.
Inoltre, come Gonesio e Czechowic, P. aveva convinzioni anabattiste: infatti
egli si opponeva al battesimo dei bambini, all'uso delle armi, al
coinvolgimento in incarichi pubblici e alla proprietà privata. P. infine
era convinto che la morte non separasse il corpo dall'anima, che ambedue
risorgessero insieme nel giorno del giudizio e che quest'ultimo non dovesse
essere molto lontano, il che dava un sapore millenarista alle
sue dottrine. Nel 1569 sorse a Raków, vicino a Cracovia, una comunità
antitrinitaria con forti connotati anabattisti e utopistici, e a condurlo fu
proprio P. che mantenne la leadership fino alla sua morte nel
1591. Tuttavia, nel 1572 egli entrò in polemica sul rapporto tra cristiano e
stato con Giacomo Paleologo, poiché quest'ultimo, difendendo l'autorità
statale, aveva attaccato esperimenti "anarchici" come quello di Raków.
Per difendersi, tuttavia, P. attaccò innanzitutto la cristologia del
Paleologo, a parere del polacco, troppo accentrata sulla figura trionfale di
Cristo, salito con potenza (non agnello, ma leone delle tribù di Giuda) sul
trono divino, dopo la sua morte in terra, e ben lontano da quel concetto di
Gesù Cristo, che aveva voluto i suoi discepoli umili e pacifici e non
coinvolti in ruoli pubblici. Alla polemica si aggiunse nel 1579 Fausto
Sozzini, nipote di Lelio Sozzini, arrivato da poco in Polonia e che sarebbe
diventato ben presto la guida di tutti gli antitrinitari locali, riunendo i
vari gruppuscoli. Socini difese l'operato della comunità di Raków e attaccò i
non-adoranti, come Paleologo, Ferenc Dàvid, Jànos Sommer e Andrea Dudith
Sbardellati. Come già detto, P. morì a Raków nel 1591.
Paolo
di Samosata (o il Samosateno) (adozionista)(ca. 200-ca. 275)
La
vita Nato nel 200 ca. e di umili origini, Paolo di Samosata divenne vescovo
di Antiochia nel 260. Si interessò alle dottrine adozioniste, sviluppate
da Teodato di Bisanzio durante il papato di Vittore I (189-198) e rielaborate
da Artemone alla metà del III secolo. Fu accusato, quindi, di adozionismo
in tre sinodi tenuti tra il 264 ed il 268: i primi due finirono con un nulla
di fatto, ma nel terzo, tenuto ad Antiochia nel 268, egli fu accusato di
eresia dagli origenisti, con a capo Malchione, rettore della scuola di
letteratura greca di Antiochia, il quale scrisse una lettera a papa Dionisio
(259-268) e a principali vescovi del mondo cristiano. Di questa missiva ci
sono pervenuti alcuni brani non precisamente lusinghieri per P., accusato di
essersi arricchito illecitamente e di circondarsi di donne. Il sinodo di
Antiochia condannò P. e lo depose dalla carica di vescovo e al suo posto fu
nominato Domno, figlio del vescovo Demetriano, predecessore
di P. Nonostante la condanna, tuttavia, P. rimase al suo posto, godendo
della protezione di Zenobia, regina (267-272) di Palmira, regno di cui
Antiochia faceva parte. P. svolgeva, infatti, la funzione di tesoriere della
regina. Nel 272, l'imperatore Aureliano mosse guerra al regno di Palmira e
avendo conquistato Antiochia, accolse la supplica dei cristiani della città
di assegnare la sede vescovile al legittimo titolare. Alcuni autori
suppongono che Aureliano, solitamente non particolarmente tenero con i
cristiani, avesse applicato alla lettera l'editto di tolleranza di Gallieno e
avesse deciso di assegnare la sede a coloro che erano in sintonia con Roma e
i vescovi italiani. P. scomparve dalla scena e morì pochi anni dopo,
probabilmente nel 275.
I seguaci I suoi seguaci, denominato
paoliani o paulianisti, rimasero attivi fino al IV secolo, quando furono
condannati dal Concilio di Nicea e riassorbiti in seguito dal Cristianesimo
ufficiale. E', invece, priva di fondamento l'ipotesi che a Paolo di Samosata
possono essersi ispirati i Pauliciani, setta dualista del VII secolo, il cui
nome derivava probabilmente da uno dei fondatori, Paolo l'Armeno, oppure
dalla particolare importanza data da questa setta alle lettere di San
Paolo.
La dottrina Secondo P., il Padre, il Figlio e lo Spirito
Santo erano una sola persona (prosopon), ma il Figlio e lo Spirito Santo,
essendo rispettivamente il Verbo (Logos) e la Saggezza (Sophia), erano senza
ipostasi (stato): in pratica l'unica persona era il Padre, mentre le altre
figure erano degli attributi o appellativi impersonali del Padre. Gesù
Cristo, a sua volta, era sostanzialmente un uomo con una sua personalità,
nato senza peccato dalla nascita. In egli dimorava il Logos, che lo ispirava,
essendosi unito a lui non in sostanza, ma solo in qualità. P. quindi teneva
rigorosamente separate le due nature di Cristo, sebbene questo concetto
rischiasse di concepire due persone, l'una divina e l'altra umana, diverse
tra loro e unite tra loro solo per volontà del Cristo stesso. Ma P. preferiva
correre questo rischio, piuttosto che ammettere la presenza di due Dei,
eresia denominata diteismo.
Pawel, Grzegorz (o Gregor Pauli)
(1525-1591)
Nato nel 1525 a Brzeziny, nella Polonia centrale,
Grzegorz Pawel (o Gregor Pauli), esponente antitrinitario di lontane origini
italiane, studiò teologia a Cracovia, dove si laureò. Nel 1547 egli
frequentò l'università di Königsberg (oggi Kaliningrad) e nel 1549 tenne
delle lezioni a Poznan, dove si distinse per le sue posizioni calviniste. Nel
1551 divenne parroco riformato nel sua città natia, ma in seguito si convertì
al antitrinitarismo e già nel secondo sinodo della Chiesa Riformata Polacca
(fondata da Jan Laski) del 1556, P. si allineò con le posizioni antitrinitari
di Petrus Gonesius. La corrente antitrinitaria tuttavia trovò solo nel 1558
un vero leader nell'italiano Giorgio Biandrata, che formò una comunità,
soprattutto di esuli italiani, a Piñczów vicino a Cracovia. P., diventato
amico di Biandrata, rinforzò ulteriormente la propria convinzione religiosa
antitrinitaria nel 1559, dopo il sinodo, proprio a Piñczów, dedicato alle
polemiche suscitate dall'ebraista mantovano Francesco Stancaro, tacciato di
sabellianesimo. Quando poi nel 1562, Biandrata decise di emigrare in
Transilvania, toccò proprio a P. continuare la sua opera. Dopo la dieta di
Piotrków della Chiesa Riformata Polacca del 1564 che decretò l'esclusione
degli antitrinitari, ci fu la definitiva separazione tra una ecclesia major
calvinista ed una ecclesia minor di fede antitrinitaria. Ma gli
antitrinitari, in quel periodo, si erano già polemicamente frazionati in
quattro correnti, con i quattro capi-scuola, Stanislao Farnowski (Farnovius,
m.1615), Martin Czechowic, Symon Budny, e appunto P. Il gruppo di
quest'ultimo, sito a Cracovia, negava la pre-esistenza di Cristo, un essere
umano come gli altri, e che quindi non aveva bisogno di essere adorato.
Inoltre, come Gonesio e Czechowic, P. aveva convinzioni anabattiste: infatti
egli si opponeva al battesimo dei bambini, all'uso delle armi, al
coinvolgimento in incarichi pubblici e alla proprietà privata. P. infine
era convinto che la morte non separasse il corpo dall'anima, che ambedue
risorgessero insieme nel giorno del giudizio e che quest'ultimo non dovesse
essere molto lontano, il che dava un sapore millenarista alle
sue dottrine. Nel 1569 sorse a Raków, vicino a Cracovia, una comunità
antitrinitaria con forti connotati anabattisti e utopistici, e a condurlo fu
proprio P. che mantenne la leadership fino alla sua morte nel
1591. Tuttavia, nel 1572 egli entrò in polemica sul rapporto tra cristiano e
stato con Giacomo Paleologo, poiché quest'ultimo, difendendo l'autorità
statale, aveva attaccato esperimenti "anarchici" come quello di Raków.
Per difendersi, tuttavia, P. attaccò innanzitutto la cristologia del
Paleologo, a parere del polacco, troppo accentrata sulla figura trionfale di
Cristo, salito con potenza (non agnello, ma leone delle tribù di Giuda) sul
trono divino, dopo la sua morte in terra, e ben lontano da quel concetto di
Gesù Cristo, che aveva voluto i suoi discepoli umili e pacifici e non
coinvolti in ruoli pubblici. Alla polemica si aggiunse nel 1579 Fausto
Sozzini, nipote di Lelio Sozzini, arrivato da poco in Polonia e che sarebbe
diventato ben presto la guida di tutti gli antitrinitari locali, riunendo i
vari gruppuscoli. Socini difese l'operato della comunità di Raków e attaccò i
non-adoranti, come Paleologo, Ferenc Dàvid, Jànos Sommer e Andrea Dudith
Sbardellati. Come già detto, P. morì a Raków nel 1591.
Pelagio
Britannico (ca. 360-420) e pelagianismo e predestinazionismo
Può
l'uomo salvarsi con le sue sole forze, senza la Grazia divina o
è predestinato alla salvezza o alla dannazione eterna? Questo dilemma,
ricorrente nella storia del pensiero Cristiano (basti solamente pensare al
dibattito nell'ambito del Protestantesimo), fu posto, per primo, dal monaco
britannico Pelagio.
La vita Pelagio Britannico, di nome e di fatto
poiché era nato in Britannia nel 360 ca., fu un monaco teologo di grande
cultura, vissuto a Roma almeno dal 400, altamente rispettato da molti
personaggi dell'epoca, tra cui quel Sant'Agostino, che tuttavia diventò in
seguito il suo acerrimo avversario. A Roma egli conobbe Celestio, un uomo di
legge di origini nobili, diventato suo amico e con il quale P. fuggì, in
seguito all'invasione e sacco di Roma da parte dei Goti di Alarico nel 410. I
due si rifugiarono dapprima ad Ippona, in Nord Africa, e poi a Cartagine,
dove rielaborarono la dottrina del pelagianismo. Durante il suo soggiorno
in Africa, P. conobbe solo occasionalmente il suo futuro avversario,
Sant'Agostino, impegnato all'epoca nella disputa contro
i donatisti. Successivamente, P. si trasferì in Palestina, mentre
Celestio, rimasto in Nord Africa, fu condannato dal sinodo di Cartagine nel
411 per le sue dottrine. In Palestina P. produsse svariati scritti, alcuni
dei quali ci sono giunti: una lettera alla nobile romana Demetria, residente
a Cartagine, contenente i principi della sua filosofia e un lavoro, De
natura, del 415, condannato da Sant'Agostino nel suo De natura et
gratia. Nel luglio del 415 San Girolamo e Paolo Orosio, un prete spagnolo,
discepolo di Sant'Agostino, cercarono di far condannare P. da parte di un
sinodo a Gerusalemme, presieduto dal vescovo della città, Giovanni, ma
sia l'atteggiamento di quest'ultimo, favorevole al pelagianismo, che
l'ottima autodifesa di P. fecero sì che il sinodo non prendesse alcuna
decisione rimandando il tutto a Papa Innocenzo I (401-417). Simile
risultato ebbe un ulteriore sinodo nel dicembre dello stesso anno
a Diospolis, convocato in seguito alla denuncia dei vescovi francesi, Ero
di Arles e Lazzaro di Aix. Tuttavia l'offensiva degli ortodossi fu senza
sosta: l'anno successivo, nell'autunno del 416, furono convocati ben due
sinodi, il primo a Cartagine, con la presenza di 67 vescovi ed il secondo a
Milevi (in Numidia) con la presenza di 59 vescovi. Entrambi condannarono il
pelagianismo e i relativi atti, rinforzati da una lettera di Sant'Agostino e
di altri 4 vescovi, furono inviati a Papa Innocenzo I per l'avvallo. Il papa,
pur precisando la suprema autorità di Roma nelle decisioni in materia
dottrinale, in un sinodo a Roma nel 417 condannò il
pelagianismo. Tuttavia, quando tutto sembrò volgere al meglio per gli
ortodossi, il papa Innocenzo I morì ed il suo successore Zozimo (417-418)
venne, in un incontro, abilmente convinto da Celestio, dell'ortodossia del
pelagianismo: il papa prosciolse la dottrina da ogni accusa, anzi addirittura
tirò pure le orecchie a Sant'Agostino e ai vescovi africani per la
precipitazione delle loro decisioni. Successivamente, Zozimo corresse il
tiro, dando ai vescovi il tempo per portare, davanti a lui, le prove
dell'eresia pelagiana. Per ottemperare a questa disposizione papale, fu
convocato il sinodo di Cartagine del 418, dove, in presenza di 200 vescovi,
furono stabiliti otto (o nove) dogmi di confutazione del pelagianismo,
riaffermando il peccato originale, il battesimo degli infanti, l'importanza
della grazia divina ed il ruolo dei santi. Tutti questi dogmi, avvallati da
Papa Zozimo, sono poi diventati articoli di fede per la Chiesa
Cattolica. Inoltre, in seguito al sinodo di Cartagine, anche l'imperatore
Onorio (395-423) scese in campo a fianco degli ortodossi, emanando nel 418
un ordine di espulsione dal territorio italiano per tutti i pelagiani e
per coloro che non approvassero, controfirmandola, l'enciclica di condanna
del pelagianismo Epistola tractoria, inviata da Zozimo a tutti i vescovi:
furono costretti all'esilio Celestio e Giuliano vescovo di Eclano (vicino
a Benevento in Campania). L'ordine non colpì P., che ormai da tempo
risiedeva in Palestina e dove probabilmente morì nel 420 ca.
La
dottrina La dottrina di P. venne da lui sviluppata come reazione al
monachesimo ascetico di San Girolamo e al fatalismo manicheo, molto diffuso
all'epoca: si pensi che anche Sant'Agostino stesso era stato manicheo in
gioventù. Secondo P., gli uomini non erano predestinati (concetto di
Sant'Agostino elaborato da una sua interpretazione molto personale del
pensiero di San Paolo), ma potevano, invece, solamente con la propria volontà
(liberum arbitrium) e per mezzo di preghiere ed opere buone, evitare il
peccato e giungere alla salvezza eterna: non era necessario l'intervento
della Grazia divina. Questo concetto, comunque, non era nuovo, essendo già
stato abbozzato dal grande teologo Origene all'inizio del III secolo, e la
conseguenza di questo revival fu che l'origenismo stesso fu condannato nel
401 dal vescovo di Alessandria, Teofilo. Il pelagianismo inoltre negava la
trasmissione del peccato originale, che aveva danneggiato solo Adamo e non
tutto il genere umano, anche se sembra che questo concetto sia stato per
primo introdotto da un tale Rufino il Siriano, aderente alla setta, e solo
successivamente ripreso da P. Poiché non sussisteva il peccato originale, il
battesimo era visto da P. come un momento di accoglimento nella Chiesa:
tuttavia, se il bambino moriva senza battesimo, veniva ugualmente accolto in
paradiso. Il punto sul peccato originale venne vigorosamente contestato
da Sant'Agostino, convinto assertore che il peccato originale fosse
ereditario e collegato all'atto sessuale (il furore sessuofobico di Agostino
era leggendario), quindi "siamo tutti peccatori". Le idee pessimistiche di
Agostino, molto influenzate da una visione di tipo manicheo, trionfarono
sulla scelta umana di P. e influenzarono il Cristianesimo per secoli. Del
resto la libertà di decisione data all'uomo da P. mal si sposava con
un apparato ecclesiastico, che non aveva altrimenti ragione di esistere, se
non di aiutare l'uomo, perenne peccatore, ad evitare la dannazione
eterna.
Il pelagianismo dopo la morte del fondatore Dopo la morte
di Pelagio nel 420 ca., il bastone del comando fu preso soprattutto da
Giuliano, vescovo di Eclano, che, dal suo esilio in oriente, si impegnò in
una disputa decennale con Sant'Agostino. Tuttavia, un fatto alquanto
imprevedibile segnò il destino dei pelagiani: il supporto dato loro dal
patriarca di Costantinopoli, Nestorio. Quando il nestorianesimo venne
condannato dal Concilio di Efeso del 431, anche il pelagianismo seguì la
stessa sorte e fu perseguitato in Oriente dall'imperatore Teodosio II
(408-450) fino alla sua estinzione. In Occidente esso sopravvisse più a lungo
nelle isole Britanniche, particolarmente in Galles ed in Irlanda, ed in
Gallia, dove fu rielaborata dal monaco Giovanni Cassiano nella forma del
semi-pelagianismo, condannato dal II sinodo di Orange del 529.
Penn,
William (1644-1718)
Il fondatore della Pennsylvania, William Penn
(junior) nacque il 14 ottobre 1644 a Londra, figlio di Margaret Jasper e del
famoso ammiraglio Sir William Penn (senior) (1621-1670), conquistatore di
Giamaica nel 1655, e altamente stimato come Commissario della Flotta sia dal
re Carlo II (1649-1685) che dal figlio, il duca di York e futuro re Giacomo
II (1685-1688). P. frequentò l'università di Oxford, al Christ Church
College, dove venne convertito al quaccherismo da John Owen, un discepolo di
George Fox. Tuttavia questa conversione aumentò una sua aggressività e
insofferenza verso le istituzioni anglicane a tal punto che venne
espulso dall'università. Saputo dell'accaduto, l'ammiraglio Penn punì il
figlio ribelle con una solenne battuta e buttandolo fuori casa, ma in seguito
lo perdonò inviandolo nel 1666 in Irlanda ad amministrare i terreni e le
proprietà di famiglia. Tuttavia, al suo rientro in Inghilterra, P. trovò la
maniera di litigare nuovamente con il padre a causa della sua usanza
quacchera di non levare il cappello davanti a nessuno, neppure davanti al re
d'Inghilterra! Nel 1668 P. fu rinchiuso nella famigerata Torre di Londra per
aver pubblicato un lavoro nel quale egli attaccava la dottrina della Trinità
e la giustificazione per fede. In carcere scrisse i suoi libri più famosi
No Cross, No Crown (nessuna croce, nessuna corona) e Innocency with her
open face (innocenza con la sua faccia manifesta). Due anni dopo il padre
morì, lasciandolo erede di una tenuta e di crediti verso la Corona per
£16.000. Eppure P. continuò la sua missione e visitò, suo malgrado, ancora la
Torre di Londra nel 1671, quando fu arrestato per predicazione non
autorizzata. Durante il relativo processo, da buon quacchero, P. si rifiutò
di giurare, e fu perciò rinchiuso nella prigione di Newgate per sei
mesi. Nel 1672, al ritorno di un viaggio in Germania e Olanda assieme a
George Fox, P. si sposò con Gulielma Maria Springett e dal 1675 aumentò il
suo interesse verso le nuove colonie americane. Aiutò infatti i nuovi
coloni quaccheri a tracciare le concessioni e gli accordi necessari per
stabilirsi nel territorio del New Jersey occidentale. Nel 1681 egli
rilevò, con alcuni soci, un vasto territorio equivalente all'attuale New
Jersey orientale da un quacchero che aveva fatto bancarotta e nello stesso
anno, egli convertì i suoi crediti con il re d'Inghilterra nella concessione
di un territorio a nord del Maryland, che egli dapprima battezzò Sylvania,
cambiando poi il nome, dietro sollecitazione del re Carlo II in persona, in
Pennsylvania in onore del padre. Nel 1682, a bordo della nave Welcome, egli
si trasferì nel suo territorio americano, di cui fu nominato governatore, e
fondò la città di Philadelphia, cioè Città dell'Amore fraterno, massima
rappresentazione di quella tolleranza religiosa che P. desiderava applicare
nei confronti di qualsiasi religione. Anche nei confronti degli indiani
locali, i Delaware, P. fu molto corretto, acquistando il territorio da loro
in un accordo siglato il 30 novembre 1862 sotto un grande olmo a
Shackamaxon. La sua colonia fu terra di libertà sia per i quaccheri che per
altre sette non-conformiste perseguitate ed anche in patria egli si impegnò
per la libertà religiosa, riuscendo a far liberare più di 1.200 quaccheri,
grazie all'antica amicizia del padre con il re Giacomo II, quando questi era
ancora il Duca di York. Nel 1687 P. ringraziò pubblicamente, il re, a nome
dei quaccheri, per la dichiarazione di indulgenza, emanata in
quell'anno. Fu quindi abbastanza scontato che, a causa dei rapporti
amichevoli con l'ex re, con la salita al potere di Guglielmo III d'Orange
(1689-1702) nel 1689, P. venisse accusato diverse volte di tradimento e
cospirazione, ma fu sempre assolto: tuttavia nel 1692 gli fu revocato il
titolo di governatore della Pennsylvania. Un sua imprudenza, visto
l'accanimento sopra descritto contro la sua persona, fu la partecipazione ai
funerali di George Fox nel 1691, quando evitò, per un pelo, di essere
arrestato. Alla morte della prima moglie nel 1694, egli si risposò con Hannah
Callowill e nel 1699 si recò nuovamente in Pennsylvania, che trovò in
eccellenti condizioni economiche e dove emanò la Charter of Privileges (la
carta dei privilegi) nel 1701. Non altrettanto floride furono però le sue
proprietà in Inghilterra: infatti tornato nel 1701, si trovò letteralmente in
bancarotta a causa della disonestà del suo amministratore, un tale Ford e
dovette patire la galera nel 1707/8 per debiti. Fu liberato per
intercessione di amici potenti, ma visse gli ultimi anni in miseria,
preoccupato sia per le notizie d'oltreoceano, non sempre positive, sulla sua
colonia che per i continui problemi creati dal figlio maggiore. Tutte queste
preoccupazioni gli provocarono nel 1712 un ictus, nella cui condizione di
forte menomazione P. rimase fino alla morte avvenuta il 30 luglio 1718 a
Ruscombe, nella contea del Berkshire.
Penry, John
(1559-1593)
Il congregazionalista John Penry nacque nel 1559
nella regione gallese del Breconshire. Il Galles in quel periodo era una
zona molto depressa anche dal punto di vista religioso: era per esempio
fortemente carente di buoni predicatori, il cui numero, secondo un'inchiesta
avviata dal vescovo Meyrick di Bangor nel 1560, era perfino inferiore a
quello delle concubine mantenute dal clero locale! Inoltre, benché la
traduzione della Bibbia in gallese fosse stata già pronta nel 1563, si
dovette attendere fino al 1588 che qualcuno si desse la briga di darla alle
stampe e distribuirla. P., che aveva studiato sia a Cambridge (collegio
Peterhouse) che ad Oxford (collegio St. Alban's Hall), fu fortemente critico
nei confronti delle responsabilità della Chiesa Anglicana per questa penosa
situazione in Galles e nel 1587 scrisse Aequity of a humble supplication
(giustizia di una umile supplica), dove richiedeva l'aumento della presenza
di predicatori di lingua gallese in Galles, il ritorno in patria di quelli
che si erano trasferiti in Inghilterra, l'impiego di predicatori laici, la
fine dell'assenteismo clericale. Tuttavia l'arcivescovo di Canterbury,
John Whitgift (ca. 1530-1604), uomo notoriamente non molto democratico, lo
fece mettere sotto accusa e imprigionare per un mese: il risultato fu che P.
uscì da prigione più anti-episcopale che mai. Nel 1588-89 circolarono in
Inghilterra dei trattati satirici (Marprelate Tracts), dal contenuto violento
e spesso scurrile, che mettevano alla berlina l'episcopato inglese e
Whitgift, come suo capo supremo, soprannominato "Papa meschino" (petty pope).
Erano di chiara ispirazione puritana e l'autore si era nascosto sotto lo
pseudonimo di Martin Marprelate, ma molti indizi facevano pensare che
l'ideatore fosse proprio P., tant'è che quando venne arrestato lo stampatore
dei trattati John Hodgkins, P. pensò bene nel 1589 di riparare in
Scozia. Così come Robert Browne nel 1584, anche P. non si convertì
al presbiterianesimo scozzese, anzi tornato in Inghilterra, a Londra,
nel settembre 1592, entrò a far parte di una congregazione di separatisti
o indipendenti, il cui pastore era Francis Johnson (1562-1618), un
puritano presbiteriano convertito al congregazionalismo da Henry Barrow e
John Greenwood, mentre quest'ultimi erano in prigione. Purtroppo per P. e
Johnson, essi non poterono rimanere liberi per molto: in dicembre 1592
Johnson e in marzo 1593 P. furono arrestati, ma mentre Johnson se la cavò con
quattro anni di galera, P., identificato dal vendicativo Whitgift come uno
dei responsabili dei Marprelate Tracts, fu condannato a morte e impiccato il
29 maggio 1593.
Lollardi (XIV-XV secolo)
Il nome di
lollardi venne dato ai seguaci di John Wycliffe e contraddistinse un
movimento eretico inglese del XIV e XV secolo.
Origine del
nome L'origine del nome è incerta: pare dall'olandese lollen, cantare o,
secondo alcuni autori, il soprannome, attribuito sarcasticamente ai lollardi
dai loro avversari cattolici, deriva dall'inglese to lollop,
camminare goffamente o to loll, sedere oziando.
Il movimento A
dir la verità, negli anni di Wycliffe, il termine di L. venne applicato
a diversi movimenti di dissenzienti religiosi, non necessariamente
wycliffiti, come ad esempio i begardi, i fratelli del libero spirito, i
singoli cavalieri in rotta con l'autorità della Chiesa, i parrocchiani che
non volevano pagare le decime, i seguaci del visionario gallese Walter
Brute, ecc. Dopo la morte di Wycliffe nel 1384, divenne il leader del
movimento il suo segretario, John Purvey, che approfittò della schizofrenia
del tirannico re Riccardo II (1377- deposto 1399), per rinforzare la
posizione del movimento, protetto da diversi esponenti della nobiltà. Egli
giunse anche a presentare nel 1395 al Parlamento un progetto di riforma della
Chiesa inglese, che fu ovviamente respinto, in dodici punti, che ricalcavano
i precetti di Wycliffe. Ma, in seguito alla deposizione di Riccardo da
parte di Enrico di Lancaster (il figlio di Giovanni, il protettore di
Wycliffe), divenuto re Enrico IV (1399-1413), la situazione per i L. cambiò
radicalmente in peggio. Infatti Enrico, per ringraziarsi la Chiesa, iniziò
una energica azione di soppressione del movimento L., contrassegnata
dall'Atto De Hæretico Comburendo (Del bruciare gli eretici) del 1401, che
permetteva ai vescovi di arrestare, imprigionare, torturare e consegnare al
braccio secolare gli eretici. Il primo L. a pagare con la vita
l'applicazione di questa legge fu il prete londinese William Sawtrey, che
dichiarò il suo rifiuto nel dogma della transustanziazione e nell'autorità
della Chiesa. Anche all'estero si reagì al movimento L.: in particolare in
Boemia, dove nel 1403 l'università di Praga condannò gli scritti di Wycliffe,
tradotte in boemo dai suoi seguaci. Nel 1408, il grande avversario del
movimento, l'arcivescovo di Canterbury Thomas Arundel, stabilì in un sinodo
ad Oxford le regole (costituzioni) per poter predicare in pubblico, tradurre
le Sacre Scritture e insegnare teologia nelle scuole. Infine nel 1415 fu
pronunciata postuma la condanna di Wycliffe per eresia al Concilio di
Costanza e nel 1428, dietro pressioni di Papa Martino V (1417-1431), il suo
corpo fu riesumato e bruciato sul rogo e le ceneri sparse nel fiume
Swift. Tuttavia, già da prima, nel 1414, i L., vista minacciata la
loro sopravvivenza, avevano organizzato una insurrezione armata per rapire il
re Enrico V (1413-1422), sotto il comando di Sir John Oldcastle,
l'anno precedente processato e imprigionato per eresia, ma che era riuscito
a fuggire dalla famigerata Torre di Londra per mettersi a capo degli
insorti. La chiamata alle armi dei L. fu un vero insuccesso e ben pochi
risposero all'appello: secondo alcuni autori solo 300, di cui 80 furono
catturati. Di questi 69 (altri autori riportano 44) furono messi a morte.
Oldcastle riuscì a sfuggire alla cattura per 3 anni, finché non fu catturato
nel 1417 e impiccato su una forca sotto la quale bruciava un fuoco
lento. La persecuzione del movimento continuò per altri due decenni fino ad
un nuovo tentativo di insurrezione organizzato dal L. William Perkins,
represso nel sangue, nel 1431. I L. continuarono a sopravvivere, ma anche
essere perseguitati fino quasi all'avvento della Chiesa d'Inghilterra nel
1534: perfino durante il regno di Enrico VIII (1509-1547) ne furono bruciati
sul rogo 2 nel 1511 e 4 nel 1522. Nel 1523 furono infine fatti oggetto di un
elogio di Erasmo da Rotterdam, che li definì "conquistati, ma non estinti", e
negli anni successivi furono gradualmente riassorbiti dal Protestantesimo
inglese, di cui avevano promosso le idee due secoli
prima.
Puritanesimo (XVI - XVII
secolo)
Definizione Il puritanesimo fu un movimento spontaneo
ed estremista, sorto nel XVI secolo, nell'ambito del Protestantesimo inglese,
che tendeva a "purificare", cioè rendere pura, la Chiesa Anglicana da tutte
le forme "corrotte" e non previste dalle Sacre Scritture. I puritani
pensavano, infatti, che la Riforma inglese, sotto Elisabetta I (1558-1603),
non si era spinta a sufficienza nella ristrutturazione dell'impianto
ecclesiastico, accettando troppi compromessi con il Cattolicesimo soprattutto
per quanto riguardava la liturgia, i paramenti e la gerarchia
episcopale.
Le origini Si può far risalire la nascita del p. al
1563, quando scoppiò la Controversia sui Paramenti, generata dall'opposizione
di alcuni prelati e teologi, soprattutto dell'Università di Cambridge,
all'uso, da parte degli ecclesiastici, del cappello e toga nella vita
giornaliera e della cotta in chiesa. Altri bersagli dell'attacco p. furono
altri segni esteriori come il segno della Croce, la musica d'organo in
chiesa, ma soprattutto la gerarchia basata sui arcivescovi e vescovi, in
altre parole, l'episcopato stesso. I teorici del movimento furono i teologi
Thomas Cartwright, Walter Travers (ca. 1548-1635) e William Perkins
(1558-1602).
Dottrina e comportamento La teologia p. era
prevalentemente calvinista, di cui veniva particolarmente sottolineata la
predestinazione, ma venivano anche presi a riferimento alcuni autori classici
pre-cristiani come Seneca e Platone, e l'umanista ugonotto francese Pierre de
la Ramée (Petrus Ramus) (1515-1572) ucciso dai cattolici nella notte di San
Bartolomeo (23 agosto 1572). Una caratteristica della teologia p. era il
patto tra Dio e la comunità dei santi visibili, un concetto non del tutto
nuovo, simile a quello già espresso da alcuni teologi anabattisti come
Balthasar Hubmaier, e da riformisti svizzeri, come lo stesso Giovanni
Calvino. Così Cartwright e Perkins definirono questa dottrina del
patto: Dio aveva promesso ad Adamo la vita eterna, ma la caduta dell'uomo lo
stava portando alla dannazione. Tuttavia era stato sancito un patto tra
Dio ed Abramo e quindi se l'uomo avesse avuto fede in Cristo e nella Sua
opera, si sarebbe salvato. In senso lato, questo patto era stato stabilito
tra Dio e la comunità dei cristiani. Il fedele, dunque, doveva riunirsi a
pregare Dio pubblicamente in comunità con altri fedeli. Il comportamento
dei p. consisteva quindi in esperienze religiose dirette e pubbliche, una
moralità severa (di stile calvinista) e riti religiosi
molto semplificati.
Ramificazioni Il principale filone del P.
fu rappresentato dal presbiterianesimo, che prediligeva una amministrazione
della Chiesa basata su un governo centrale di presbiteri, cioè gli anziani,
sia chierici che laici, simile a quello sviluppato dai presbiteriani in
Scozia, sotto la guida di Andrew Melville. Da questo concetto si discostarono
nettamente i congregazionalisti o indipendenti, che credevano nella
indipendenza ed autonomia di ciascuna congregazione di fedeli.
La
storia Dal 1570 i p. iniziarono ad attaccare il sistema episcopale della
Chiesa Anglicana: nel 1572 fu pubblicato da due puritani, John Field
(1545-1588) e Thomas Wilcox (1549-1603), un appello, sotto forma di
manifesto, dal titolo Admonition to the Parlament (Ammonimento al
Parlamento), che esortava ad organizzare la Chiesa Anglicana con una
struttura non episcopale. Thomas Cartwright, rientrato dalla Svizzera,
condivise questi concetti e contribuì alla stesura di un secondo Ammonimento,
che lo mise seriamente nei guai: dovette fuggire all'estero, rimanendo
lontano dall'Inghilterra fino al 1585. Alla salita al trono di Giacomo I
(già re di Scozia dal 1567 con il titolo di Giacomo VI) nel 1603, i p.
ritornarono a chiedere garanzie per nuove riforme con la Millenary Petition
(petizione millenaria), e una conferenza, sotto la presidenza del re, venne
indetta a Hampton Court nel 1604. Tuttavia ben poche concessioni vennero
fatte ai p. e Giacomo I, che era profondamente convinto che la tesi di fondo
della petizione p. fosse eliminare i vescovi con l'intento successivo di
eliminare il re, ovviamente appoggiò apertamente la posizione dei vescovi
anglicani con la famosa frase che sintetizzava il suo timore di fondo: No
bishop, no king [nessun vescovo (equivale a) nessun re]. L'unica concessione
ai p., degna di nota, fu l'autorizzazione alla pubblicazione di una versione
della Bibbia, compilata da un panel di teologi e studiosi e denominata
Authorised Version (versione autorizzata) o King James Bible (Bibbia di Re
Giacomo). Le successive persecuzioni ordinate dall'arcivescovo di Canterbury,
William Laud (1573-1645) furono durissime: ad esempio nel 1630 il medico
p. Alexander Leighton, padre del futuro arcivescovo di Glasgow
Richard Leighton, per aver osato criticato la Chiesa d'Inghilterra, fu
esposto alla gogna, frustato, gli fu tagliato un orecchio e rotto un lato del
naso. Non contenti i giudici lo fecero marchiare a fuoco sulla faccia con la
scritta SS (seminatore di sedizione). In seguito il medico fu riportato sulla
gogna e fu finito l'opera di mutilazione con il taglio dell'altro orecchio e
la rottura dell'altro lato del naso. Infine il tapino fu sbattuto in
carcere per il resto dei suoi giorni. Non c'è quindi da meravigliarsi che
le persecuzioni provocassero così tante emigrazioni in Olanda e soprattutto
verso colonie americane, come il New England, ed in particolare la
Massachusetts Bay, teatro di una crescente emigrazione di massa di p. e
dissidenti religiosi (più di mille persone solo nel 1630), spinti a fuggire a
causa delle politiche repressive ordinate dal re Carlo I (1625-1649). Entro
il 1640 più di ventimila dissidenti religiosi erano emigrati sulle coste
della Massachusetts Bay, formando uno dei nuclei dei futuri Stati Uniti
d'America. Comunque i p. rimasti in patria si organizzarono a tal punto che,
allo scoppio della Guerra Civile in Inghilterra nel 1642, erano diventati un
vero e proprio influente partito in parlamento, il cui capo, Oliver
Cromwell (1599-1658), sarebbe diventato il futuro Lord Protettore. Essi, con
il soprannome di Roundheads (teste rotonde, dal tipo di elmo
utilizzato), giocarono un ruolo decisivo nell'esercito parlamentare, e
contribuirono all'arresto ed esecuzione capitale dell'odiato arcivescovo Laud
nel 1645, ma soprattutto alla sconfitta e alla successiva decapitazione nel
1649 del re Carlo I. Tuttavia con la restaurazione nel 1660 della
monarchia con Carlo II (1649-1685) i p. furono progressivamente isolati e
perseguitati dalla Chiesa Anglicana in seguito ai vari atti contenuti nel
Codice Clarendon (1661-1665), voluto dal Lord Cancelliere, Edward Hyde, 1°
Conte di Clarendon (1609-1674). I p., oramai una confederazione di varie
sette dissenzienti, avevano perso sia il loro antico potere di influenza che
la loro denominazione originaria e furono chiamati non-conformisti, proprio
perché non avevano voluto mai conformarsi all'Uniformity Act, uno degli atti
del Codice Clarendon, che erano: Corporation Act (1661), che escludeva i
non-conformisti dai pubblici uffici. Uniformity Act (1662), che obbligava
all'uso del Libro delle Preghiere della Chiesa Anglicana. Conventicle Act
(1664), che proibiva funzioni religiose non-conformiste. Five Mile Act
(1665), che proibiva ai pastori non-conformisti di avvicinarsi alle
città.
Il p. rimase nella forma originaria solamente in America,
sulla costa orientale, dove si sviluppò grazie a personaggi come il difensore
della tolleranza religiosa Roger Williams, fondatore della colonia di
Rhode Island, ma ebbe anche oscuri momenti come la caccia alle streghe a
Salem, ispirata dagli scritti del p. Cotton Mather. Iniziò a declinare
gradualmente nel XVIII secolo, sopravvivendo solo nel Massachusetts, con
Jonathan Edwards e i suoi seguaci, fino all'inizio
del 1800.
Lentulo (o Lentolo), Scipione
(1525-1599)
Scipione Lentulo (o Lentolo), nato a Napoli nel 1525,
entrò, a vent'anni, nell'ordine dei francescani ed ottenne il dottorato di
teologia a Venezia nel 1549. Nel 1555 lasciò il monastero per sposarsi,
per questo fu imprigionato dall'Inquisizione per due anni: solo nel 1557
riuscì a fuggire a Ginevra, dove fu convertito alla religione
riformata. Dotto e valente storico, L. scrisse probabilmente l'unica opera
storica dell'epoca sui valdesi, dal titolo Historia delle grandi e
crudeli persecutioni fatte ai tempi nostri in Provenza, Calabria e Piemonte
contro il popolo che chiamano valdese dove entrò in polemica con i
nicodemiti, esaltando il martirio di coraggiosi personaggi, come l'ex
cappuccino e pastore riformato della valle d'Angrogna, Gioffredo Varaglia,
bruciato sul rogo a Torino nel 1558 e il posto, lasciato vacante proprio da
Varaglia, fu offerto nel 1559 a L. da parte dei pastori di Ginevra. Nel
1560 L. tradusse in lingua italiana la bozza della confessione di fede degli
ugonotti per inviarla al duca di Savoia, Emanuele Filiberto (1559-1580), ma
da lì a poco scoppiarono nuovamente gli scontri (soprattutto in Valle
d'Angrogna) tra valdesi e savoiardi, dopo il lungo periodo di pace per le
Valli Valdesi, favorito dall'occupazione militare da parte dell'esercito
francese rinforzato da diversi reparti mercenari luterani. Nel 1561 tra il
Duca di Savoia e i valdesi si arrivò ad un armistizio, l'accordo di Cavour,
che portò ad una qualche forma di libertà di culto per i Valdesi. Ma l'ala
oltranzista di L. contestò questo patto e i maggiorenti valdesi decisero di
espellere il focoso pastore di Angrogna per motivi di sicurezza. L. dovette
quindi emigrare in Valtellina (dal 1512 sotto il cantone protestante dei
Grigioni), dove accettò il pastorato della comunità di Montesondrio.
Tuttavia, dopo alcuni anni, oppresso dalla gotta e affaticato dalle grandi
distanze che doveva percorrere nella sua comunità frazionata in tanti
villaggi dispersi sulle montagne (di cui si lamentò in una lettera
al riformatore Johann Heinrich Bullinger a Zurigo dell'8 settembre 1567),
egli assunse, nel 1567, il compito di pastore a Chiavenna, posizione che
detenne per ben 30 anni, fino a poco prima della sua morte nel 1599. Egli
era succeduto a Girolamo Zanchi, il quale aveva abbandonato questo posto, tra
gli altri motivi, a causa dall'irrequietezza dei gruppi settari, anabattisti
e antitrinitari. Anche L. dovette gestire sia a Montesondrio, che a
Chiavenna, il difficile rapporto soprattutto con gli antitrinitari: prese
infatti posizione contro Camillo, fratello di Lelio Sozzini, opponendosi a
che egli risiedesse a Chiavenna. Ma prese anche le sue brave cantonate:
ospitando per esempio il bolognese Battista Bovio, che in seguito si rivelò
essere un antitrinitario difensore del libero arbitrio e probabile seguace di
Sébastien Castellion, oppure raccomandando presso Bullinger e Theodore de
Béze l'ex domenicano pugliese Alessandro Maranta, che poi si fece espellere
ignominiosamente da Ginevra nel 1573, riconvertendosi infine al
cattolicesimo. Contro il proliferare di sette eterodosse, L. riuscì a far
intervenire i pastori di Coira: essi emisero nel 1570 un decreto, che
obbligava qualsiasi predicatore riformato nella Valtellina a dichiarare la
propria adesione alla Confessio Rhaetica. Tuttavia, L. non riuscì a
convincere lo svizzero Fabrizio Pestalozzi, trasferito in Polonia, a
mantenere la fede riformata, nonostante un intenso scambio epistolare:
Pestalozzi sarebbe infatti diventato un antitrinitario. Nel 1575 L.
partecipò al Sinodo di Coira, organizzato dal pastore Kaspar Hubenschmid (ca.
1535-1595), e nel 1596, un anno prima di ritirarsi, per i servizi resi alla
comunità, gli fu assegnato una pensione di sei pezzi d'oro all'anno. Morì
a Chiavenna nel 1599.
Petri (o Peterson), Olof (o Olaus o Olavus)
(1493-1552) e Lars (o Laurentius) (1498-1573) e la Riforma in
Svezia.
Introduzione I fratelli Olof e Lars Petri giocarono un
ruolo decisivo nell'affermazione della Riforma in Svezia. Olof nacque nel
1493 e Lars nel 1498, figli di un fabbro di Orebro, nella Svezia centrale.
Olof fu poi inviato dal padre a studiare a Wittenberg dal 1516 al 1518 e qui
assorbì gli insegnamenti riformisti di Martin Lutero e Philipp
Melantone.
L'indipendenza della Svezia In quel periodo era re di
Danimarca, Norvegia e Svezia, il danese Cristiano II (1513-1522), sanguinario
e despota, che non esitava di usare il pugno di ferro, ed anche il
tradimento, per tenere soggiogata la Svezia: l'episodio più truce fu il
cosiddetto "Bagno di sangue di Stoccolma" del Novembre 1520, nel quale
ottanta oppositori politici svedesi del re, incluso il padre del futuro re,
Gustavo Vasa, furono invitati ad un banchetto, con la promessa
di un'amnistia, e successivamente messi tutti a morte, con l'accusa di
eresia. L'indignazione culminò nell'insurrezione armata della Svezia, guidata
da Gustavo Vasa, che assunse il titolo di re Gustavo I (1523-1560) di
Svezia nel 1523. Contemporaneamente l'ostilità della gerarchia cattolica e
il rifiuto di Papa Clemente VII (1523-1534) di ratificare l'elezione di
quattro cardinali svedesi, a meno di non ricevere una adeguata annona in
denaro, accelerò la decisione del re di introdurre l'insegnamento
luterano. L'anno successivo alla salita al potere di Gustavo I, Olof iniziò
a predicare a Stoccolma, non senza qualche rischio: si narra infatti che
egli fu spesso attaccato dalla folla sobillata dai cattolici, e che in
qualche occasione rischiò perfino la vita. Tuttavia nei momenti difficili
Olof e Lars, nel frattempo diventato professore all'università di Uppsala,
furono protetti dal re, che permise anche il matrimonio di Olof nel 1525,
nonostante le polemiche sorte in seguito a questa decisione. Il rapporto,
comunque, dei riformatori con il re non fu sempre idilliaco, anche perché
Gustavo, dovendo pagare i debiti contratti durante la guerra contro i danesi,
fu spesso interessato a vedere la Chiesa (cattolica o luterana che fosse)
come una fonte di introiti per le esigue casse reali.
La Svezia
diventa protestante Nel 1527 si tenne la dieta di Västerås, per discutere il
futuro assetto religioso del paese: la fazione luterana, sostenuta da alcune
proposte elaborate dal re stesso, fu messa però in minoranza. Intervenne
allora Gustavo I, che, minacciando la propria abdicazione, agitò lo
spettro dell'anarchia e di una probabile nuova invasione da parte della
Danimarca. Ciò fu sufficiente per convincere gli indecisi, i quali
appoggiarono il proclama del re a favore della nuova religione luterana con
la liturgia in svedese. Il tutto venne poi ratificato dalla assemblea
nazionale a Orebro del 1529, che abolì la religione cattolica a favore di
quella luterana, dispose l'incameramento dei beni della chiesa cattolica da
parte della corona ed abrogò il celibato dei religiosi, il monachesimo e il
sacramento della confessione. Due anni dopo, nel 1531, Lars fu nominato
arcivescovo luterano di Uppsala e Olof cancelliere del re. Nonostante
tutto, però, la rivoluzione protestante fu abbastanza morbida in Svezia,
rispetto, per esempio, alla Germania: infatti fu mantenuta una struttura
episcopale e buona parte dei rituali cattolici, e spesso non vennero neppure
tolte le immagini dalle chiese. Come si è già detto, il rapporto di Gustavo I
con la Chiesa luterana fu alquanto difficoltosa, poiché il re non intendeva
lasciare ai luterani, né il potere, concentrato invece nelle sue mani come
capo supremo della Chiesa, né molta libertà d'azione o rispetto. Il
risultato fu che la Chiesa luterana iniziò ad attaccare Gustavo nei propri
sermoni (notevoli quelli di Olof del 1537) e fu coinvolta in una vera e
propria congiura per abbattere il re, ma questo complotto fu scoperta
nel 1540 e i fratelli Petri, condannati a morte. In seguito la condanna fu
convertita in una pesante multa pecuniaria (la passione di Gustavo per i
soldi era proverbiale!) e Lars fu dichiarato decaduto dal suo seggio di
arcivescovo di Uppsala. Nel 1541 i fratelli Petri ritornarono nelle grazie
del re, grazie alla traduzione in svedese la Bibbia (denominata Bibbia
"Vasa") e Olof fu nominato pastore della Cattedrale di San Nicola a
Stoccolma. Nel 1544 i due parteciparono alla II dieta di Västerås, che
sancì definitivamente il protestantesimo come religione della Svezia e il
diritto al trono per i discendenti della dinastia Vasa. Nel 1552 morì Olof
Petri. Lars continuò da solo l'opera di riforma e nel 1571 riuscì finalmente
ad imporre un ordine alla Chiesa svedese, basato su un'elevata autonomia
dallo stato: ciò gli fu però permesso solo dalla morte di Gustavo I, avvenuta
nel 1560. Infine nel 1573 morì anche Lars Petri.
Bruys, Pietro
(Pierre de Bruys)(m. ca. 1132) e petrobrusiani
Sulla vita di
Pietro, le notizie sono scarsissime e derivano quasi esclusivamente da un
trattato, Contra Petrobrusianos hereticos, scritto da Pietro il Venerabile,
abate di Cluny (1092-1156): egli era nato probabilmente nell'omonimo
villaggio di Bruys, nel cantone di Rosans (nel sud est della Francia), alla
fine del XI secolo ed era diventato prete, sebbene fosse stato
successivamente espulso dalla Chiesa. Egli iniziò la sua attività come
predicatore itinerante nel 1112-1113, scendendo dalle Alpi, per vagare nella
Francia meridionale, in particolare in Provenza, nel Delfinato e in
Linguadoca. Per P., tutti avevano diritto ad un accesso diretto a Dio ovunque
fossero, anche in una stalla, e l'unico testo sacro era il Vangelo, mentre
egli rifiutò sia gli altri scritti del Nuovo Testamento, perché di
dubbia origine, che l'Antico Testamento. Egli contestava violentemente
qualsiasi forma esteriore della Chiesa Cattolica, come le chiese, le croci,
viste come lo strumento della tortura di Gesù Cristo, i preti, le preghiere
dei defunti o le cerimonie religiose, rifiutava i sacramenti (eccetto il
battesimo agli adulti), a cui attribuiva un valore puramente simbolico e che
non erano utili per la salvezza, la quale infatti si poteva ottenere solo per
fede personale del credente. In particolare P. respinse ogni valore dato
all'eucaristia come la transustanziazione, forse riprendendo i concetti di
Berengario di Tours. Egli fondò una setta, chiamata, dal suo nome, dei
petrobrusiani, i quali si diedero ad intolleranze e provocazioni nei
confronti della Chiesa, come forzare i monaci a sposarsi o bruciare le croci
in un falò sul quale cuocere della carne, offerta poi ai presenti: il tutto
naturalmente di Venerdì Santo! E fu proprio un Venerdì Santo,
probabilmente nel 1132 (o perlomeno in un anno non meglio precisato tra il
1131 ed il 1139) che la popolazione di Saint Gilles, vicino a Nimes,
esasperata dagli atteggiamenti estremisti di P. e dei suoi seguaci, dopo una
ennesima provocazione, lo assalì e lo bruciò sul rogo. Dopo la sua morte,
le sue prediche furono riprese in forma modificata dall'ex monaco Enrico di
Losanna. Alcuni autori ravvisano nelle prediche di P. elementi che ricordano
il furore iconoclasta di Claudio di Torino, altri vedono
infiltrazioni bogomile, come se egli fosse stato un precursore dei catari
(sebbene manchino completamente le caratteristiche dualiste), altri infine
notano nelle sue dottrine, ma non certo nei metodi, alcuni punti ripresi poi
dal pensiero protestante.
Stregoneria (dal XIV
secolo)
Origine della stregoneria come eresia Contrariamente
ad altre eresie, che si basavano su riletture dell'insegnamento cristiano,
oppure movimenti riformatori nell'ambito della Chiesa, oppure riformulazioni
della dottrina cristiana, la stregoneria è sempre sfuggita ad una
classificazione precisa, sebbene alcuni autori moderni propendono per un
proseguimento di antichi riti pagani precristiani. Altri ipotizzano
addirittura che la stregoneria fosse stata "inventata" dall'Inquisizione,
quando, alla metà del XIV secolo, debellati i grandi movimenti eretici come i
catari, o presunti tali come i templari, gli inquisitori, per non rimanere
disoccupati, avevano creato questa nuova eresia. Effettivamente, fino a
quel momento, vigeva la posizione ufficiale, stabilita dal Canon Episcopi, un
documento ecclesiastico scritto intorno al 906 da Regino di Prüm, abate di
Treviri (in Germania), che affermava che la vera eresia stava nel credere
all'esistenza della stregoneria, e non la stregoneria in sé.
Il
caso di Lady Alice Kyteler Questo fu uno dei primi casi di processi per
stregoneria del Medioevo che si ricordi. Alice Kyteler (o Kettle), una
facoltosa nobildonna irlandese di Kilkenny, fu accusata nel 1324 di
stregoneria ed eresia, ed in particolare di aver ucciso i suoi tre (o forse
quattro) mariti e di aver compiuto le solite cose, rinfacciate alle streghe
per tutti i secoli successivi: aver avuto rapporti sessuali con il diavolo
(apparso a lei sotto il nome di Robin Artisson), aver compiuto sacrifici di
animali, aver parodiato cerimonie religiose, aver fatto delle profezie
attraverso i demoni e aver preparato delle pozioni magiche, facendole bollire
nel teschio di un ladro decapitato sopra un fuoco di legno scuro. Essa,
pur scomunicata, si difese contrattaccando e riuscendo perfino a convincere
le autorità a far imprigionare per 17 giorni il suo accusatore, il vescovo di
Ossory, Riccardo di Ledrede. Tuttavia Ledrede lanciò l'interdizione
sull'intera diocesi (nessuno poteva ricevere alcun sacramento) e quindi
Alice, aiutata da alcuni nobili locali, pensò bene di fuggire in Inghilterra
per chiedere protezione al re Edoardo II (1307-1327). Non così bene andò alla
sua cameriera, Petronilla de Meath, che fu catturata, torturata e bruciata
sul rogo il 3 Novembre dello stesso 1324.
L'Inquisizione e la
stregoneria Nello stesso periodo, durante il papato di Giovanni XXII
(1316-1334), il pontefice esortò gli inquisitori a perseguitare stregoni e
maghi come eretici e i casi di processi per stregoneria si moltiplicarono
negli anni successivi: nel 1390, in Francia, fu trascritto agli atti il primo
processo ufficiale con questa causale. L'interesse degli inquisitori
incrementò con l'aumento delle pubblicazioni, che, soprattutto nella seconda
metà del XV secolo, trattavano di stregoneria, come Fortalicium fidei,
scritta nel 1459 dal francescano Alfonso de Spina, Flagellum Haereticorum
Fascinariorum, scritta dal domenicano Nicholas Jacquier nel 1458, ma
soprattutto il famigerato Malleus Maleficarum (martello delle streghe),
scritto in Germania dai domenicani Heinrich Krämer e Jakob Sprenger intorno
al 1485. Quest'ultimo testo, un vero e proprio manuale per l'inquisitore alle
prese con casi di stregoneria, fu stampato per ben 28 volte e fu usato dai
giudici cattolici, ma anche da quelli protestanti, nella caccia alle streghe,
che seguì nei secoli successivi e che portò alla morte di
200.000/300.000 persone, soprattutto donne. Tuttavia, secondo altri testi,
ben 3 milioni (o addirittura 9!) di vittime caddero in 5 secoli di
persecuzioni contro la stregoneria. Un caso molto famoso si ebbe anche
nelle colonie inglesi dell'America: nel 1692 nella cittadina di Salem, nel
Massachusetts, il puritano Cotton Mather guidò una serie di processi, nei
quali 20 persone furono uccise con l'accusa di
stregoneria.
Petrucci, Pier Matteo, cardinale e vescovo di Iesi
(1636-1701)
Pier Matteo Petrucci nacque a Jesi il 20 maggio 1636
dal nobile Giambattista Petrucci e da Aurelia Stella, e nel 1652 conseguì
precocemente la laurea in diritto civile e canonico, a soli 16 anni,
all'Università di Macerata. In seguito P. entrò nel circolo spirituale
formato dal futuro cardinale Alderano Cybo (m. 1700), vescovo di Jesi,
diventandone il segretario. Nel contempo egli studiò francese, spagnolo,
greco e musica all'Oratorio di S. Filippo, sempre a Jesi (pare che fosse un
valente violinista). E proprio nell'ordine degli oratoriani [fondato nel 1575
da San Filippo Neri (1515-1595)] P. si fece sacerdote il 2 febbraio 1661,
approfondendo poi lo studio delle Sacre Scritture e delle opere dei Padri e
dei Dottori della Chiesa, come San Tommaso d'Aquino (1225-1274) e San
Bonaventura (1217-1274), e dei grandi mistici cristiani del XVI secolo, come
Santa Teresa d'Avila (1515-1582), San Giovanni della Croce (1542-1591), e San
Francesco di Sales (1567-1622). Inoltre, uomo mite e pio, egli si impegnò
nelle prediche ed omelie, nelle lezioni di filosofia e nella gestione di un
istituto per fanciulle traviate, fondato con il cardinale Cybo. In seguito
fu incaricato dal suo ordine di intervenire come paciere in una diatriba
sorta presso la Congregazione dell'Oratorio di Venezia e, ritornato a Jesi
l'8 aprile 1678, venne nominato Preposto della Congregazione. Nel febbraio
1681, a 45 anni di età, egli venne convocato a Roma da papa Innocenzo XI
(1676-1689), che lo nominò vescovo di Jesi, posizione consacrata in una
cerimonia del 20 aprile dello stesso anno da parte del suo predecessore e
mentore, cardinale Cybo. Cinque anni dopo, nel 1686, egli venne elevato alla
porpora cardinalizia sempre da Innocenzo XI. In occasione della sua nomina
a vescovo di Jesi, P. diede prova della sua passione per la teologia mistica,
soprattutto lanciandosi in lunga discussione teologica con gli esaminatori
Lauria e P. Capizucchi, che rimasero vivamente impressionati della
preparazione dottrinale. Nel frattempo, nel 1675, era stato pubblicato a Roma
il testo base del quietismo, la Guida spirituale, che disinvolge l'anima e la
conduce per l'interior cammino all'acquisto della perfetta contemplazione e
del ricco tesoro della pace interiore (seguita poco dopo dal Trattato della
Comunione quotidiana) del mistico spagnolo Miguel de Molinos, amico di
Innocenzo XI (1676-1689) ma non a tal punto da non subire nel 1681 una
denuncia da parte del predicatore gesuita Paolo Segneri (1624-1694). P.
lesse e si appassionò alla dottrina quietista di Molinos, basata su
un rapporto diretto, una vera unione, con Dio, ottenuto mediante uno stato
di quiete, di passività, di annullamento della volontà e di ogni
pensiero intellettuale. Questa era una vigorosa reazione ad una religiosità
che, durante la Controriforma, si era andata sempre più irrigidendo in
pratiche e schemi rigidi e fissi. Per P., dedito alla ricerca interiore,
ciò era il modo più diretto per avvicinare Dio e unirsi misticamente a Lui,
per ottenere così la meta ultima, cioè la perfezione dello Spirito.
Sull'argomento compose le sue principali opere, come Lettere e trattati
spirituali e mistici (1679), Il nulla delle creature e il tutto di Dio (1682)
e Mistici enigmi disvelati (1683). Purtroppo, poco dopo, anch'egli fu
travolto dall'onda delle reazioni contro le idee quietiste che non
risparmiarono neppure lo stesso fondatore: Molinos fu infatti arrestato nel
maggio 1685, processato per eresia e condannato il 3 settembre 1687 ad una
pubblica abiura delle proprie idee e alla condanna alla prigione a vita (morì
in carcere nel 1696). Come maggiore quietista italiano, P. fu, a sua volta,
denunciato per eresia e condannato nel settembre 1687 alla ritrattazione di
45 sue proposizioni, ritenute appunto eretiche. Il 2 novembre 1687
Innocenzo XI firmò la bolla Colestis pastor, che condannò 68 proposizioni
contenute nelle opere di Molinos, ma il 17 dicembre 1687 il papa fu
abbastanza clemente con P., facendolo liberare e assolvendolo da ulteriori
accuse, a patto però che il cardinale di Jesi accettasse la pubblica
distruzione, eseguita il 5 febbraio 1688, dei suoi scritti
messi all'Indice. Dopo la morte di Innocenzo XI nel 1689, il successore
Alessandro VIII (1689-1691) nominò nel 1690 Orazio Perozzi come vicario
apostolico di Jesi, tuttavia non accettò le dimissioni di P., assegnandogli
invece una pensione: P. visse a Roma partecipando a diversi conclavi e
ricoprendo nel 1694-95 il ruolo di camerlengo del Sacro Collegio dei
cardinali. Non si occupò più di quietismo, anzi si dedicò alla meditazione e
alla composizione di poesie ispirate alla Vergine Maria, e morì a Montefalco
(in Umbria) il 5 luglio 1701.
Pfeiffer, Heinrich (m.
1525)
Heinrich Pfeiffer, nato a Mühlhausen (in Turingia), divenne
monaco del chiostro cistercense di Reifenstein, nella regione dei monti Harz,
nella Germania centrale. Nel 1521 egli abbandonò il convento per aderire
alla Riforma luterana e diventando, nel Febbraio 1523, pastore della Chiesa
di San Nicola nella sua città natale di Mühlhausen. Ben presto si distinse
per le sue idee radicali, con cui infiammò la popolazione locale e cercò di
fondare una Lega degli Eletti, una "comunità di santi", secondo uno schema
ideato dal riformatore Thomas Müntzer. Per questo, P. fu espulso dalla città
nell'Agosto 1523, ma nel Dicembre dello stesso anno fu invitato a
tornare. Il 10 Agosto 1524, egli fu raggiunto da Müntzer stesso, il
quale, abbandonando moglie, figli e proprietà, aveva lasciato Alstedt, dove
il consiglio cittadino stava comunque per decidere se espellerlo per le
sue idee sovversive. Il 22-23 Settembre i due pubblicarono gli Undici
Articoli di Mühlhausen, con l'obiettivo di unificare un partito di
opposizione radicale, formato da contadini e artigiani, ma tanto fu lo
scompiglio combinato in città, che Müntzer e P. furono cacciati, il 27
Settembre, da un esercito di mercenari, chiamati dai nobili locali. Allora
essi si recarono allora a Norimberga, dove Müntzer fece pubblicare da uno
stampatore (probabilmente l'anabattista Hans Hut), uno dei suoi più violenti
opuscoli contro Lutero (che chiamò Dottor bugiardo e il Drago), Apologia ben
fondata e risposta alla carne senza spirito che vive mollemente in
Wittenberg. La reazione delle autorità locali fu l'espulsione di Müntzer e
P., l'arresto della stampatore ed il rogo del libello. Mentre Müntzer viaggiò
alla ricerca, vana, di nuovi alleati in Svizzera, incontrando il riformatore
zwingliano Ecolampadio e l'anabattista pacifista Hübmaier, P. ritornò in
Dicembre a Mühlhausen, e con il suo partito radicale, prese il controllo
della città, attaccando e saccheggiando chiese e chiostri. Nel Febbraio
1525 ritornò Müntzer e in Marzo i due armarono i loro fedeli ed espulsero gli
oppositori: il consiglio cittadino fu abbattuto e rimpiazzato da un
"Consiglio Eterno". L'episodio di Mühlhausen si inserì nella più vasta Guerra
(o Rivolta) dei Contadini del 1525: attratti dalle prediche millenaristiche
ed apocalittiche di Müntzer, arrivarono da tutta la Germania derelitti,
esaltati e disperati, ma anche piccoli eserciti organizzati, come quello del
"Profeta di Zwickau" Nicholas Storch. All'inizio di Maggio 1525 i
rivoltosi arrivarono fino al numero di 10.000 persone e si accamparono
intorno a Frankenhausen, una città conquistata dagli insorti di Mühlhausen, e
si lasciarono andare a saccheggi e incendi, come quello del convento di
Reifenstein, proprio quello dal quale P. era uscito 4 anni prima. Tuttavia
i principi e nobili locali, con in testa Giovanni di Sassonia, detto il
Risoluto (1525-1532), succeduto nel frattempo al fratello Federico, diedero
l'incarico a Filippo, langravio di Hesse, di marciare con il suo esercito di
5.000 soldati, rinforzati da 2.000 cavalieri e pezzi di artiglieria e di
reprimere la rivolta. All'onor del vero, Filippo cercò di convincere i
contadini ad arrendersi dietro consegna di Müntzer, ma quest'ultimo fece una
epica arringa, promettendo di catturare la palle di cannoni con il proprio
mantello (sic!) e garantendo l'incolumità dalle pallottole per i propri
seguaci: il resto lo fece un arcobaleno, simbolo dei rivoltosi, che apparve
in cielo, proprio in quel momento. I contadini respinsero le condizioni di
Filippo, il quale attaccò il 15 Maggio 1525. Fu una carneficina: 5.000
rivoltosi furono immediatamente fatti a pezzi dai soldati meglio addestrati e
successivamente altri 20.000, in tutta la Germania, furono sgozzati. P.
rimase a difesa della città di Mühlhausen, che però si arrese
all'assedio delle truppe di Filippo il 24 Maggio, mentre Müntzer cercò di
nascondersi in una soffitta in Frankenhausen, ma fu catturato dai soldati. Il
suo debole tentativo di dichiararsi estraneo alla vicenda fallì miseramente a
causa dei suoi appunti trovati nella stanza. Il 26 Maggio 1525 Müntzer, P.
ed altri furono decapitati in piazza a Mühlhausen. Mentre Müntzer, prima
della sua morte, ritrattò le sue convinzioni e fece la comunione, P. morì,
rifiutandosi di abiurare come atto di suprema sfida.
Filadelfi,
Società dei (Philadelphian Society) (1670-1730)
Una setta di
mistici religiosi operanti a Londra nella seconda metà del 1600, fondati dal
reverendo John Pordage e dalla behmenista Jane Leade
(o Lead).
John Pordage (1608-1681) John Pordage, un uomo di
chiesa molto devoto, era il rettore della chiesa di Bradfield, vicino a
Reading, nella contea inglese del Surrey, Egli fu influenzato dalle idee del
movimento familista di Henrik Niclaes, ma soprattutto si appassionò agli
scritti di Jacob Boehme, leggendoli avidamente, man mano che venivano
tradotti e pubblicati tra il 1644 ed il 1662. Per queste sue idee, nel
1655 a P. furono sospesi i benefici per ordine dei Triers, un corpo di
commissari, fondato da Oliver Cromwell (1599-1658) e preposto ad esaminare ed
approvare predicatori e professori universitari prima del loro insediamento.
Solo nel 1660, con la restaurazione del re Carlo II (1649-1685), egli fu
reintegrato nella sua precedente funzione. Nel 1663 P. incontrò Jane Leade e,
insieme a lei, proprio per promuovere un maggiore interesse verso il pensiero
di Boehme, P. fondò nel 1670 il circolo teosofico dei Filadelfi (The
Philadelphians) dal nome della chiesa menzionata nel seguente passo
dell'Apocalisse di San Giovanni (Ap. 3,7): All'angelo della Chiesa di
Filadelfia scrivi: Così parla il Santo, il Verace, Colui che ha la chiave
di Davide: quando egli apre nessuno chiude, e quando chiude nessuno
apre. Dopo la morte di P. nel 1681, Leade divenne, a tutti gli effetti, capo
del circolo.
Jane Leade (1623-1704) Nata nel 1623 da una
famiglia agiata di Norfolk, Jane Ward, nel 1638 all'età di 15 anni, ebbe
un'esperienza mistica quando, ballando durante una festa di Natale, sentì una
voce che le diceva: "Cessa tutto questo, Io voglio condurti ad un altro
ballo, poiché questo è solo Vanità". Da questo momento L. divenne melanconica
e si isolò dal mondo esterno, assumendo di fatto un pensiero simile a quello
della corrente dei quietisti, tutto ciò fino al 1643, quando sposò il
mercante William Leade, con il quale ebbe quattro figlie ed un matrimonio
tutto sommato felice durato 27 anni. Nel 1663 L. incominciò a frequentare il
reverendo Pordage e nel 1670, dopo la morte del marito, con lui fondò a
Bradfield il circolo teosofico dei Filadelfi (The Philadelphians) [in seguito
Società dei Filadelfi per la promozione della pietà e della filosofia divina
(The Philadelphian Society for the Advancement of Piety and Divine
Philosophy)] diventandone la profetessa. Infatti nello stesso 1670, L.
ebbe, per ben tre volte, una visione di una dama, che si definiva la Vergine
Sapienza (Sophia). In seguito annotò le sue esperienze mistiche nel suo
diario, dal titolo A Fountain of Gardens (una fontana di giardini), dove
tracciò le regole del circolo (dette Leggi del Paradiso dal titolo di uno dei
suoi numerosi libri) il cui scopo era di "promuovere il Regno di Dio
migliorando la vita, insegnando la moralità più eccelsa e facendo valere il
dovere della fratellanza universale, della pace e dell'amore". La dottrina
di L. era una miscela di quietismo, come già detto, e di dualismo behmenita.
Inoltre ella credeva nella rigenerazione e nella resurrezione delle anime,
nella parusia (secondo venuta di Cristo) e nell'apocatastasi (la salvezza per
tutto il creato: angeli e uomini, anche se peccatori o dannati, e
demoni). Nelle riunioni del circolo, gli aderenti praticavano, come i
sufi nell'Islam, una meditazione silenziosa o un ballo ritmico e armonico
per migliorare la disciplina spirituale. L. pubblicò molti libri sulle sue
esperienze, come Heavenly Cloud (la nube celeste) del 1681, The Revelation of
the Revelations (la rivelazione delle rivelazioni) del 1683, anno in cui L.
si occupò anche di far pubblicare, postumo, il libro di Pordage, Theologica
Mistica. In 23 anni, tra il 1681 ed il 1704, L. scrisse e pubblicò circa 15
libri. Dal 1693 i libri di L. furono tradotti in olandese e tedesco,
stimolando la diffusione delle sue idee anche sul continente. In Germania Eva
von Buttlar fondò nel 1697 il ramo tedesco della Società dei Filadelfi sotto
forma di una comunità rigorosamente regolamentata, dove beni e relazioni
sessuali (sic!) erano a disposizione di tutti i membri. L'esperimento tedesco
fallì ben presto, chiudendo le attività nel 1706. Dal 1694 L. iniziò ad
essere aiutata dal giovane medico Francis Lee (1661-1719), professore di
Oxford, che divenne in seguito suo genero e suo successore nella guida della
Società dei Filadelfi. Infine, dopo 65 anni di attività, L. morì il 19 agosto
1704 all'età di 81 anni. L'anno prima (1703) sotto la spinta di Lee, i
filadelfi avevano tracciato la loro confessione scritta di fede, tuttavia,
dopo la morte della fondatrice e, nel 1719, quella di Lee stesso, la setta
rapidamente declinò scomparendo intorno al 1730.
Huska, Martin
(XV secolo) e Adamiti
Nel 1418 alcuni profughi francesi
perseguitati per le loro idee religiose, provenienti dalla zona di Lilla e
Tournai, cioè dalla Piccardia, e per questo denominati piccardi (secondo
alcuni fantasiosi autori una corruzione del termine begardi) raggiunsero la
Boemia hussita. Essi predicavano le dottrine dei Fratelli del Libero Spirito,
e della Libera Intelligenza, due movimenti diffusi, dal XII secolo, nella
Francia settentrionale, in Germania, nei Paesi Bassi e in Italia, e che
professavano l'indipendenza dall'autorità ecclesiastica e la possibilità di
vivere secondo una vita apostolica, poiché i propri adepti erano convinti di
essere pervasi dallo Spirito Santo. Questo stato di divinità coincideva
con la totale scomparsa dei tormenti della coscienza: essi quindi ritenevano
di essere talmente perfetti da poter commettere qualsiasi atto senza correre
il rischio di peccare, secondo il detto di San Paolo: Tutto è puro per i puri
(Lettera a Tito 1,15). Alcuni autori cattolici riportarono che i piccardi si
lasciavano andare ad atti contro la morale, come atti sessuali extra
matrimoniali, avevano l'abitudine di girare nudi come Adamo ed Eva nell'Eden,
e mettevano in comune tutte le cose, comprese le donne. Per questo furono
soprannominati Adamiti. A capo di questo gruppo si mise un predicatore
hussita, Martin Huska, soprannominato Loquis, precedentemente aderente
all'ala estremista dei taboriti. Egli fissò il quartiere generale della setta
su un'isola sul fiume Nezàrka e diede alla dottrina del gruppo una
interpretazione pessimistica ed apocalittica della società, come quella degli
Zeloti (la setta apocalittica giudaica, risalente ai tempi di Gesù e opposta
ai Romani e che annoverò tra i suoi aderenti anche l'apostolo Simone). H.
inoltre negava la transustanziazione (la presenza del Corpo di
Cristo nell'Eucaristia) e incoraggiava atroci profanazioni. Per questo egli
venne arrestato, torturato e bruciato sul rogo dentro un barile. Anche la
sua setta non durò molto a lungo: il comportamento dei suoi seguaci disgustò
gli hussiti, che nell'Ottobre 1421, al comando di Jan Zizka, circondarono gli
Adamiti nel loro accampamento e li massacrarono tutti.
Savonarola,
Girolamo (1452-1498) e arrabbiati (o compagnacci o
piagnoni)
Girolamo Savonarola nacque a Ferrara il 21 Settembre
1452 e, da giovane intellettualmente dotato com'era, si dedicò con successo a
studi di filosofia e medicina. Nel 1474, senza neppure avvisare la sua
famiglia, prese tuttavia la repentina decisione di entrare nell'Ordine
Domenicano a Bologna, dove fino al 1482 rimase in convento conducendo una
vita ascetica dedicata alla preghiera e all'approfondimento degli studi sulla
filosofia di Aristotele e di San Tommaso Aquino. In quell'anno, 1482, S.
si recò a Firenze nella Chiesa di San Marco, sede dell'Ordine Domenicano in
città, da dove iniziò a predicare con toni violenti contro la vita immorale
della corte di Lorenzo de' Medici, ma sembra questi primi sermoni non
sortirono l'effetto desiderato, anzi passarono abbastanza
inosservati. Tuttavia, ritornato nella città toscana nel 1489, dopo diversi
anni di prediche in giro per l'Italia, la sua denuncia del paganesimo
diffuso divenne più incisiva e così dicasi dei suoi attacchi contro Lorenzo
de' Medici, nonostante la generosità di quest'ultimo nei confronti del
convento di San Marco, del quale S. stesso fu nominato priore nel
1491. Nel 1493 Lorenzo morì, tuttavia S., non pago, aumentò ugualmente il
livello della sua denuncia contro l'immoralità e gli abusi, questa volta, del
clero e del nuovo Papa Alessandro VI (1492-1503), il famigerato Rodrigo
Borgia, padre di diversi figli, tra i quali i noti Lucrezia e Cesare ed
eletto Papa grazie a spregiudicati atti di corruzione e simonia. Proprio
il contrario degli ideali di S., che anelava ad una rigenerazione morale e
spirituale della Chiesa e che incominciò ad applicare alcune sue idee,
riformando i monasteri toscani dell'Ordine Domenicano secondo una rigida
osservanza della Regola originariamente stabilita e sottraendo il controllo
dalla Congregazione Lombarda, la Casamadre dell'Ordine. Nel 1494 l'esercito
di Carlo VIII di Francia (1483-1498) invase l'Italia, per riaffermare il
diritto del re, di sangue angioino, alla successione al regno di Napoli, dopo
la morte di Ferrante d'Aragona (1458-1494). S. supportò la causa del re
francese, sperando in cambio di un appoggio per la formazione di un governo
democratico in Firenze ed effettivamente la visita di Carlo VIII a Firenze
permise a S. di scacciare l'indegno figlio di Lorenzo de' Medici, Pietro, e
di instaurare una Repubblica teocratica. In tutta la Repubblica fu messa in
vigore una normativa morale molto severa e basata sulla legge di Cristo,
considerato il vero "Re di Firenze". Divennero famosi i "falò delle vanità",
roghi pubblici nei quali vennero bruciati carte e dadi da gioco, libri pagani
e immorali (talora bastava anche un innocente libro di poesie o una copia del
Decamerone del Boccaccio), ornamenti e vestiti lussuosi, e perfino quadri del
Botticelli. Dall'alto del suo successo, S. poté riprendere gli attacchi
contro l'immoralità della Curia romana e di Alessandro VI, ma il Papa
contrattaccò nel 1495 convocandolo a Roma per difendersi dalle accuse di
false profezie. S. rifiutò adducendo motivi di salute
cagionevole. Tuttavia Alessandro VI non demorse e nel 1496 stabilì che i
monasteri domenicani toscani avrebbero dovuto riferire ad una nuova
Congregazione situata (ovviamente) in Roma: al rifiuto di S. di obbedire,
questi fu scomunicato il 12 Maggio 1497. A questo provvedimento S. reagì
dichiarandolo privo di valore e continuando le sue prediche nel Duomo di
Firenze, mentre il Papa reagì minacciando di interdizione la città, se al
predicatore non fosse stata tolta la parola. Oltretutto, l'ostilità locale
nei confronti di S., opportunamente orchestrata da parte dei francescani,
iniziò a crescere fino a quando, nel Marzo 1498, il francescano Padre
Francesco Rondinelli sfidò S. ad un'ordalia del fuoco per stabilire la
santità del predicatore domenicano. Quest'ultimo rifiutò, ma, al suo posto,
accettò la sfida il suo devoto discepolo Domenico da Pescia. Il 7 Aprile
1498, data prescelta per la prova, questa non si poté aver luogo, dapprima
per le lungaggini procedurali, e poi per un improvviso acquazzone. La folla
esasperata e di umore mutevole se la prese con S., arrestato sul luogo
assieme a Domenico da Pescia. A nulla servì la reazione dei suoi seguaci,
denominati arrabbiati o compagnacci o piagnoni (dalle lacrime che versavano
ad ogni sermone di S.), i quali provocarono gravi disordini, assaltando, fra
l'altro, il convento di San Marco al grido di Salvum fac populum tuum,
Domine. Il Papa non si fece scappare la ghiotta occasione di fare i conti con
il predicatore ribelle ed inviò a Firenze il generale dell'Ordine Domenicano
e il vescovo di Ilerda ad assistere al processo. Nonostante le torture, S.
non cedette, tuttavia furono redatti, a cura di alcuni notai compiacenti,
degli atti palesemente contraffatti del processo, nei quali S. avrebbe
ammesso di essere un falso profeta. Sulla base di questa "confessione" S.
venne condannato, assieme ai suoi seguaci Domenico da Pescia e Fra Silvestro,
a morte mediante impiccagione, seguita dal rogo dei corpi e dalla dispersione
delle ceneri nell'Arno. La sentenza venne eseguita il 22 Maggio 1498. La
figura di S. fu onorata dal Luteranesimo, come esempio di antesignano della
Riforma e la sua statua fa parte del monumento dedicato a Lutero, eretto a
Worms, in Germania. Comunque, anche la stessa Chiesa Cattolica sembra aver
espresso recentemente l'intenzione di rivalutare la figura di S. come
rinnovatore della Chiesa ed è stato avviato il relativo processo di
beatificazione presso il Tribunale Ecclesiastico, presieduto dal Cardinale
Silvano Piovanelli, arcivescovo di Firenze, secondo il quale S. "morì e visse
come un santo".
Spener, Philipp Jakob (1635-1705) e Speneriani e
Pietismo
Introduzione Dopo la morte di Martin Lutero nel 1546,
tra i suoi seguaci si sviluppò un acceso dibattito con la contrapposizione
tra la scuola adiaforista di Philipp Melantone e i gnesio-luterani,
capeggiati da Nikolaus von Amsdorf, che rigidamente seguivano l'insegnamento
di Lutero. La divisione fu faticosamente ricomposta solamente con la Formula
(1577) e il Libro (1580) di Concordia. Tuttavia, successivamente proprio i
teologi luterani caddero in quella cristallizzazione scolastica, che tanto
avevano criticato nei studiosi cattolici. Contro questa cristallizzazione
e contro un'osservanza rigida e superficiale della vita religiosa reagì il
movimento dei pietisti, una corrente luterana sviluppatosi nel XVII e XVIII
secolo in Germania grazie all'azione del teologo alsaziano Philipp Jakob
Spener, ispirato, a sua volta, dai lavori di Johannes Arndt, il padre
teologico del pietismo, e del mistico francese Jean de Labadie.
La
vita Il teologo Philipp Jakob Spener, fondatore del movimento pietista,
nacque il 13 gennaio 1635 a Rappoltsweiler, in Alsazia. Egli frequentò
dapprima il ginnasio di Colmar, e successivamente l'università di Strasburgo,
dove studiò filologia, storia e filosofia, ottenendo il titolo di Maestro di
arti liberali nel 1653. Dal 1659 al 1662 egli viaggiò visitando le università
di Basilea, Tübingen e Ginevra, ed iniziò i suoi studi di araldica, che
portò avanti per tutta la sua vita. A Ginevra, fondamentale per le sue
future scelte teologiche fu l'incontro con il riformatore Jean de
Labadie. Nel 1663 S. ritornò a Strasburgo come predicatore e oratore, ma solo
tre anni più tardi egli decise di accettare il posto di Pastore capo
della chiesa luterana di Francoforte sul Meno: qui riscossero un vivo
successo i suoi sermoni ispirati alla necessità di una fede più viva e
alla santificazione della vita quotidiana e qui, nel 1670, concepì i
cosiddetti Collegia pietatis (da cui il nome del movimento), riunioni in case
private per lo studio delle letture sacre e per approfondire le
esperienze interiori. Nel contempo egli scrisse il suo lavoro principale:
Pia desideria oder herzliches Verlangen nach gottgefälliger Besserung der
wahren evangelischen Kirche (Pii desideri, o la viva aspirazione ad un
miglioramento, gradito a Dio, della vera chiesa evangelica) (1675), in realtà
una lunga introduzione della nuova edizione, voluta da S. stesso, dei Vier
Bücher vom Wahren Christhentum (Quattro libri sul vero cristianesimo) di
Johann Arndt. Nella sua prefazione S. ipotizzava una riforma della chiesa
luterana basata su sei pii desideri: A causa dell'inadeguatezza dei
sermoni, bisognava favorire lo studio delle Sacre Scritture attraverso
riunioni private. Era necessario sviluppare un sacerdozio universale con
laici accanto ai pastori. La conoscenza del Cristianesimo doveva essere
accompagnate dalle virtù cristiane della Carità e del
Perdono. L'attitudine verso i non credenti doveva basarsi non sulla
polemica virulenta, ma sul desiderio di convertirli. Andava sviluppato
negli studenti di teologia non solo lo zelo per lo studio, ma anche verso una
vita devota. La retorica nella predicazione doveva essere abbandonata per
favorire una vita cristiana pratica, piena di fede, ma anche severa [tra il
1680 ed il 1690 S. pubblicò tre opere contro il gioco, il teatro e la danza,
le cosiddette adiaphora (cose, per Melantone, indifferenti dal punto di
vista morale, un pensiero evidentemente non condiviso da S.!)]. Nel 1686
S. accettò il posto di cappellano di corte a Dresda, presso il principe
elettore di Sassonia, Johann Georg (Giovanni Giorgio) III (1680-1691), ma nel
1691, il principe, constatato lo scarso interesse di S. al ruolo
assegnatogli, riuscì a convincere i principi di Brandeburgo a farlo nominare
rettore della chiesa di San Nicola a Berlino e consigliere
del concistoro. Qui S. fu tenuto in alta considerazione da parte del
principe elettore di Brandeburgo, Federico III (principe elettore: 1688-1701
e, come Federico I, re di Prussia: 1701-1713) e fu decisivo nella scelta dei
professori per la facoltà di teologia della neonata università di Halle.
Questa università diventò ben presto il centro di riferimento del pietismo
tedesco e il suo sviluppo venne ulteriormente implementato dall'erede
spirituale di S., August Hermann Franke, che vi fondò scuole di carità,
orfanotrofi, case di riposo per anziani, laboratori artigiani, centri di
studio della Bibbia. Tuttavia l'ortodossia luterana non abbassò mai la
guardia contro S.: nel 1695 la facoltà teologica dell'università di
Wittenberg lo accusò di 264 errori dottrinali e solo la sua morte il 5
febbraio 1705 lo liberò per sempre da questi attacchi.
Il
Pietismo Già nell'anno di nomina (1686) di S. a cappellano di corte a Dresda,
August Hermann Franke e i colleghi Johann Kaspar Schade (1666-1698) e Paul
Anton (1661-1730) fondarono a Lipsia i Collegia philobiblica, scuole per
la spiegazione pratica e devozionale delle Sacre Scritture. Essi invitarono
i cittadini di Lipsia a parteciparvi, e nel 1689/90 a creare essi stessi
i loro collegi. Ma l'iniziativa fu ostacolata dall'ortodossia luterana
e tramontò solo cinque anni più tardi, nel 1691. A Franke fu revocato
lo stipendio e proibito di organizzare incontri di qualsiasi tipo: non
gli restò che recarsi ad Halle (poco dopo fu raggiunto da Anton) per
diventarvi professore e pastore nel 1692. Franke, vero diffusore del
pietismo in Germania, come già sopradetto, formò una schiera di teologi
pietisti, che si contrapposero al centro dei luterani tradizionali, cioè
l'università di Wittenberg. Tra gli altri teologi o fondatori di movimenti
religiosi, nati come pietisti, ma che hanno poi sviluppato posizioni diversi
si annoverano: Gottfried Arnold, Johann Konrad Dippel, Johann Albrecht
Bengel,(che operò proprio a Wittenberg) ed infine il conte Nikolaus Ludwig
Graf von Zizendorf, fondatore della Herrnhuter Brüdergemeine (comunità dei
fratelli a Herrnhut), nella quale confluirono i discendenti dei Fratelli
Moravi, fondati da Luca di Praga nel XV secolo, i labadisti, ed alcuni
schwenckfeldiani. Anche sul movimento fondato dal mistico svedese Emmanuel
Swedenborg fu forte l'influenza del pietismo. La massima fioritura per il
pietismo in Germania, che comunque non creò mai una chiesa separata, si ebbe
sotto Federico I di Prussia e il successore Federico Guglielmo I (1713-1740),
ma declinò ben presto sotto il famoso (e scettico) Federico II, detto il
Grande (1740-1786). All'estero l'influenza del pietismo fu più duraturo, in
Danimarca con il re Federico IV (1699-1730), che nel 1705 scelse i primi
missionari per le Indie fra i pietisti, ma soprattutto in Inghilterra e Nord
America, nei confronti di movimenti religiosi protestanti come quello
Anglicano, Puritano, Battista e Metodista.
Pietro Authier
(perfetto cataro) (m. 1310)
La vita Il più noto di una
famiglia di catari, originaria di Ax -les Termes, nel Sabarthés (regione
della Francia meridionale) e protagonista della rinascita catara dell'inizio
del XIV secolo. Pietro era un notaio e si convertì al catarismo nel 1295: per
completare la sua formazione spirituale partì nello stesso anno per la
Lombardia (centro di riferimento alla fine del XIII secolo) e ricevette il
Consolament a Cuneo. Rientrò nel Sabarthés nel 1299 ed iniziò, assieme a
suo figlio Giacomo, suo fratello Guglielmo, ad Amelio de Perles ed a Pradas
Tavernier, una massiccia evangelizzazione della zona, dando luogo al revival
del tardo catarismo. Ciò era anche dovuto alla sua ottima preparazione
dottrinale e alla sua capacità dialettica. Il successo fu tale che dovette
nominare diversi "perfetti" per diffondere il credo cataro. Tra questi, si
ricorda Guglielmo Belibasta, solitamente noto come l'ultimo dei perfetti
catari. Nell'aprile 1310, in seguito ad una controffensiva dell'inquisizione,
P. fu catturato e condannato al rogo, assieme al fratello Guglielmo ed al
figlio Giacomo, dal famoso inquisitore Bernardo Gui (ricordato anche nel
"Nome della Rosa" di Umberto Eco).
La dottrina In campo
dottrinale, P. diede molta importanza alla pratica dell'endura, il suicidio
per digiuno, utilizzato quando un cataro gravemente ammalato, che aveva già
ricevuto il Consolament, si lasciava morire per non essere costretto a
commettere peccati gravi.
Le opere P. è noto per avere tradotto in
provenzale la Visione di Isaia, un testo bogomilo del II secolo molto diffuso
presso i catari nel XIII secolo.
Pietro (Lombardo) di Firenze
(vescovo cataro) (XII secolo)
Capo della frazione scismatica dei
catari italiani, sotto l'episcopato di Giovanni Giudeo, e primo vescovo della
chiesa catara di Firenze, città che si affermò come importante centro
dell'eresia catara per lungo tempo. Si ricorda, a riguardo, un altro famoso
cataro fiorentino del XIII secolo, Farinata degli Uberti, cantato da Dante
Alighieri nell'Inferno.
Pietro Gallo (vescovo cataro) (inizio XIII
secolo)
Nobile vicentino e vescovo cataro della chiesa di Vicenza
(o della Marca Trevigiana), dualista moderata, "Figlio maggiore" del vescovo
Nicola da Vicenza e a lui succeduto nel 1210. Venne ricordato come un
polemista di spicco, indirettamente attraverso le citazioni, tese a confutare
le sue idee catare, contenute nella Summa contra hereticos scritta da S.
Pietro Martire da Verona. Quest'ultimo, secondo alcune leggende, fu un cataro
pentito, diventato poi un inquisitore domenicano.
Beghine e
begardi (o bizocchi o pinzocheri o beghini) (dal XIII secolo)
Il
fenomeno medioevale delle beghine vide, per la prima volta, le donne prendere
l'iniziativa in un importante movimento
religioso.
L'etimologia L'etimologia del nome beghina è oscura:
l'ipotesi più probabile è che derivi dalla parola fiamminga medioevale
beghen, che significa pregare. Altri lo collegano: al francese begard
(mendicare), al sassone (e inglese) beg (chiedere l'elemosina), a San Bega
(o Begga), patrono di Nivelles, in Brabante (Belgio) dove fu fondata una
delle prime comunità, al prete (o frate) fiammingo Lambert le Bègue (cioè il
Balbuziente), fondatore a Liegi nel 1170 di una comunità per vedove e orfani
dei crociati, a un supposto collegamento con gli (al)bigesi (o catari), al
colore beige del vestito portato dagli aderenti al
movimento.
L'origine Nel XII secolo, particolarmente in Francia,
Germania e nei Paesi Bassi, vi era un numero elevato di donne sole, di
estrazione sociale medio-bassa, che non potevano maritarsi per penuria di
uomini decimati da crociate o guerre locali e non venivano, d'altra parte,
accettate dai pochi conventi femminili esistenti all'epoca, più interessati a
domande provenienti da fanciulle ricche e nobili. L'unica alternativa per
queste donne era di vivere da sole nelle periferie delle città, pregando e
occupandosi di lavori manuali o di insegnamento. Con l'andare del tempo molte
di esse, chiamate beghine (vedi sopra per l'etimologia), unirono le loro
dimore, l'una vicino all'altra, e da questo nacquero le prime comunità,
denominate beghinaggi, il primo dei quali comparve nel 1170 circa a Liegi (o
forse a Nivelles) in Brabante (Belgio) su iniziativa del prete Lambert le
Bègue. Le b. non erano delle suore, non prendevano infatti i voti e
potevano ritornare alla vita normale in qualsiasi momento: vivevano in
castità e spesso dedite alla carità, un po' come delle converse, cioè delle
suore laiche. Inoltre non chiedevano l'elemosina (da cui si capisce che è
errata l'etimologia da beg o begard), ma mantenevano le loro proprietà
originarie, se ne avevano, oppure, se necessario, lavoravano, per esempio
filando la lana o tessendo. La prima donna ad essere identificata come b.
fu la mistica Maria di Oignies, che influenzò il cardinale Jacques di Vitry
(1160-1240), protettore del movimento, di cui Vitry ottenne il
riconoscimento, purtroppo solo a parole, da Papa Onorio III (1216-1227) nel
1216. Con l'andare del tempo i beginaggi divennero delle vere e proprie
comunità, orientate alla cura dei malati e all'aiuto di donne sole, non
accettate dai conventi. Ci furono beginaggi, forti anche di migliaia di b.
(come a Ghent), in tutte le città e paesi del Belgio e dell'Olanda, dove,
nonostante le vicissitudini storiche (furono per esempio aboliti durante la
Rivoluzione Francese), esistono oggigiorno, dopo ben sette secoli, ancora 11
comunità in Belgio e 2 in Olanda.
I begardi Ci fu anche una
forma maschile di b., che ebbe minore diffusione rispetto alla controparte
femminile e fu denominata (con un connotato negativo in senso eretico)
begardi. In Italia vennero denominati anche bizzocchi o pinzocheri o beghini
e condussero spesso una vita da predicatori erranti (molto diffusa
nel Medioevo) e furono molto impegnati nel denunciare il nicolaismo e
la corruzione del clero, propendendo per una vita apostolica e povera,
come quella di Gesù e dei primi Apostoli. Su questi punti in comune si
allearono spesso con i Francescani spirituali nel combattere il comune nemico
Papa Giovanni XXII (1316-1334), che contro di loro scatenò il famoso (o
meglio famigerato) inquisitore Bernardo Gui (1261-1331).
La
condanna Benché le b. non dessero alcun segno di eresia (per i begardi il
discorso è più complesso), esse vennero dapprima condannate allo scioglimento
delle loro comunità dal IV Concilio Laterano (1215), ma successivamente
accettate verbalmente da Onorio III nel 1216 ed approvate da Papa Gregorio
IX (1227-1241) nella sua bolla Gloriam virginalem del 1233, il che non
impedì, tuttavia, il rogo della prima b. condannata come eretica, una tale
Aleydis. Nonostante l'approvazione papale, negli anni successivi seguì una
raffica di condanne, a loro carico, ai sinodi di Fritzlar (1259) e Mainz
(1261), concilio di Lione (1274), sinodi di Eichstätt (1282) e Béziers
(1299), ed infine al Concilio di Vienne (1311-12), dove vennero condannate
come eretiche, sebbene venisse precisato nel contempo che non c'era nulla di
male in comunità formate da donne penitenti anche senza che esse avessero
preso i voti. Nel 1310 fu bruciata sul rogo Marguerite La Porète, una b.
con simpatie verso i Fratelli del Libero Spirito ed autrice del libro Le
miroir des simples âmes (lo specchio delle anime semplici), attribuito per
anni a Santa Margherita d'Ungheria. Il solito Giovanni XXII perseguitò con
furore beghine e begardi, come si è detto, mediante Bernardo Gui, benché il
Papa stesso cercasse di distinguere tra forme eretiche e forme ortodosse del
movimento. Pur tuttavia, l'elenco dei processi e relativi roghi di b. durante
questo periodo, soprattutto in Francia meridionale, è impressionante: a
Marsiglia (il beghino Pierre Trancavel e sua figlia Andreina), Narbona,
Carcassonne, Béziers e Tolosa si giustiziarono senza pietà i b. Alcuni
episodi denotarono l'accanimento degli inquisitori, come a Lodève, dove fu
bruciata la b. Esclarmonda Durban, e, quando il fratello cercò
di raccoglierne le reliquie, fu giustiziato anche lui. O a Mirepoix, dove
si dovettero costruire delle nuove carceri tanti che erano gli "eretici"
(b., spirituali, catari) in attesa di essere interrogati dall'Inquisizione. O
nel 1325 a Carcassonne dove 82 b. vennero processati semplicemente
per manifestazioni di devozione sulla tomba del capo degli spirituali
francesi, Pietro di Giovanni Olivi.
La dottrina La stragrande
maggioranza delle b. e dei begardi era cattolica ortodossa, e tutt'altro che
eretica, tuttavia fu la vicinanza e la frequentazione dei Francescani
spirituali e dei Fratelli del libero spirito (delle cui dottrine venne
accusata Margherita la Porète), che permise agli inquirenti di fare di tutte
le erbe un fascio e processare anche gli aderenti al movimento
b., soprattutto i begardi. Giovanni XXII cercò di distinguere in b. buoni
e cattivi, tracciando una linea immaginaria tra i "cattivi", che stavano in
Italia e in Francia meridionale (Provenza e Linguadoca) e i "buoni" che
stavano in Germania, Paesi Bassi e Francia settentrionale, ma questa
classificazione era alquanto semplicistica. Oltretutto, durante il periodo
di persecuzioni, era sufficiente che il b., a cui venisse ordinato di
ritirarsi in clausura in un ordine religioso "approvato", si opponesse alla
questa decisione per essere automaticamente considerato eretico. Infine il
linguaggio, volutamente provocatorio, di alcuni scritti, come quelli di
Margherita la Porète fu strumentalmente interpretato dagli inquisitori come
dichiarazioni di antinomismo.
Maifreda (o Manfreda o Maufreda) da
Pirovano (m.1300) (guglielmita)
Maifreda da Pirovano era suora
dell'ordine delle Umiliate del convento di Biassono (vicino a Monza), quando
decise di seguire le orme di Guglielma di Boemia, una oblata (di origini
boeme), cioè una laica che viveva in un monastero, dell'abbazia cistercense
di Chiaravalle (vicino a Milano), la quale viveva secondo l'amore cristiano,
i precetti apostolici e la moralità evangelica, e intorno alla quale era
cresciuta rapidamente la fama di santa guaritrice. Alla morte di Guglielma
nel 1281 o 1282, M. fu considerata la sua erede spirituale ed investita del
titolo di Papessa. Aiutata da Andrea Saramita, il teologo della setta, M.
elaborò un vero e proprio culto della figura di Guglielma, riempendo le
chiese milanesi, come ad esempio Santa Eufemia o Santa Maria Minore, di
immagini della "santa", componendo litanie e inni dedicati a lei, diffondendo
la convinzione che Guglielma fosse stata l'incarnazione dello Spirito Santo e
perfino spargendo la voce di una sua imminente risurrezione. Per
mascherare il culto agli occhi della Chiesa ufficiale, le immagini
di Guglielma vennero attribuite a Santa Caterina di Alessandria e la sua
data di celebrazione coincise con quella della santa, il 25
Novembre. Tuttavia M. si spinse troppo in là, quando la domenica di Pasqua
del 1300, ella officiò, con tutti i paramenti sacri come un vero sacerdote,
una solenne messa in onore di Guglielma, dichiarata risorta come Gesù Cristo
da M. stessa. La cosa venne denunciata e a quel punto il culto di
Guglielma non fu più oggetto di un processo di santificazione, come
chiedevano i suoi seguaci, ma divenne una inchiesta degli inquisitori
domenicani Guido da Cocconato e Ranieri da Pirovano, i quali la condannarono
postuma come eretica e fecero bruciare sul rogo le sue ossa e le sue
immagini, tale e quale come, l'anno successivo, nel 1301, sarebbe successo al
culto di Armanno Pungilupo a Ferrara. Stessa sorte seguirono M. e il
teologo Andrea Saramita, finiti sul rogo a Milano, nella zona dell'attuale
Piazza Vetra, nel 1300.
Gallicanesimo (dal XVII
secolo)
Per Gallicanesimo si intende quel complesso di dottrine,
che asserivano l'autonomia, più o meno estesa, della Chiesa francese
dall'autorità del Papato. Il G. si opponeva all'ultramontanismo, che favoriva
la centralizzazione dell'autorità della Curia papale.
Origini del
Gallicanesimo Il G. ha radici lontane: già nel IX secolo i papi,
trovandosi nell'impossibilità di ricondurre all'obbedienza quei nobili locali
che si erano impossessati di sedi vescovili in Francia, diedero
un'autorità spirituale ai re della dinastia carolingia, e i loro successori
non mancarono di esercitarla. All'inizio del XIV secolo, le lotte fra
Filippo il Bello e Papa Bonifacio VIII (1294-1303) portarono drammaticamente
alla luce lo scontro fra questi due centri di potere. In questo contesto si
inserì l'esilio del papato ad Avignone (1309-1377) e le contestazioni del
potere ecclesiastico di Papa Giovanni XXII da parte dai pensatori Guglielmo
di Ockham, Jean de Jandun e Marsilio da Padova. Il lavoro principale di
Marsilio, Defensor Pacis, fece da riferimento alla successiva diatriba, che
vide contrapposti i re di Francia e l'università della Sorbona da una parte e
il Papa [soprattutto l'antipapa Benedetto XIII (1394-1423)] dall'altra, e
sfociò nella Sanzione Pragmatica di Bourges del 1438, voluta dal re Carlo VII
(1422-1461) e che proibì al papa di nominare suoi candidati per i benefici
vacanti sul territorio francese. La situazione migliorò con il Concordato di
Bologna (1516) tra il re di Francia, Francesco I (1515-1547), e Papa Leone
X (1513-1521): al re fu permesso di nominare vescovi ed altri
ecclesiastici francesi, che dovevano però essere confermati dal papa. Alla
fine del XVI secolo si affacciarono sulla scena il teologo zwingliano Thomas
Erastus, che nel 1589 pubblicò La nullità delle censure della Chiesa, e
l'avvocato calvinista, poi convertito al cattolicesimo, Pierre
Pithou (1539-1596), il quale nel 1594 pubblicò il caposaldo, contenenti 83
articoli ben codificati, dei testi gallicani, Les libertés de l'église
gallicane (Le libertà della chiesa gallicana).
Il Gallicanesimo
durante il regno di Luigi XIV di Francia Ma fu soprattutto con il regno di
Luigi XIV (1643-1715) che il g. divenne sempre forte, dapprima con la
dichiarazione dell'università della Sorbona contro l'infallibilità del Papa e
contro ogni possibile autorità gerarchica di quest'ultimo sui re di Francia,
poi con la crisi del 1682, scoppiata tra Luigi XIV e Papa Innocenzo XI
(1676-1689) e sfociata nei quattro articoli gallicani approvati da
un'assemblea del clero francese e che stabilivano: 1. Il Papa non aveva
autorità sul potere temporale e il Re non era soggetto alla Chiesa in materia
di cose civili. 2. Il Concilio Generale aveva autorità sul Papa. 3. Le
antiche libertà della Chiesa francese erano inviolabili. 4. Il giudizio del
Papa non era inconfutabile. Nonostante le proteste di Innocenzo e del
successore Alessandro VIII (1689-1691), la polemica rientrò, almeno
formalmente, con Innocenzo XII (1691-1700), al quale lo stesso Luigi XIV
scrisse per comunicare che era stato impedita l'esecuzione pratica
dell'editto del 1682. Ciononostante lo spirito gallicano rimase vivo nel
clero francese e ricomparve in occasione della bolla Unigenitus del 1713.
Questa bolla era stata emanata da Papa Clemente XI (1700-1721) come condanna
delle Reflexions morales, un testo giansenista di Pasquier Quesnel, ma con
una insolita durezza, essa condannava frasi perfettamente ortodosse contenute
nel testo. Questo fatto provocò una momentanea scissione nella Chiesa
Cattolica francese quando il cardinale Louis Antoine De Noailles, arcivescovo
di Parigi (1651-1729), e otto (in seguito diciotto) altri vescovi,
appoggiati dalle facoltà di Parigi, Reims e Nantes, oltre a circa 3000
ecclesiastici, non accettarono affatto i contenuti della bolla e si
appellarono al sinodo generale francese. La reazione di Clemente XI fu
durissima con l'emissione della bolla Pastoralis officii (1718), che condannò
l'appello e scomunicò gli appellanti. Tuttavia i dissidenti rimasero sulle
loro posizioni ed anche il ritorno di De Noailles all'ortodossia nel 1728 non
riportò la situazione alla normalità: il parlamento francese continuò ancora
per molto tempo a rifiutare la bolla Unigenitus.
Il Gallicanesimo
in altre nazioni Nella metà del XVIII secolo, il g. iniziò ad attecchire in
Olanda, in Germania, dove prese il nome di febronianismo dallo pseudonimo
(Febronio) di Johann Nikolaus Hontheim, e perfino in Italia con il sinodo di
Pistoia del 1786, presieduto dal vescovo Scipione de' Ricci, che tentò
inutilmente una riforma della Chiesa con l'introduzione di elementi
gallicani, di una maggiore moralizzazione del clero e, curiosamente, con
l'abolizione del latino nei riti: De' Ricci fu deposto nel 1790 e le
conclusioni del sinodo condannate dalla bolla Auctorem fidei del 1794, emessa
da Papa Pio VI (1775-1799). Il g. tramontò definitivamente con il
Concordato del 1801 tra Napoleone Bonaparte (come imperatore: 1804-1814) e
Papa Pio VII (1800-1823).
Fontanini da Mantova, Benedetto (ca.
1490-dopo 1555)
La vita Benedetto Fontanini, l'autore
dell'arcinoto Beneficio di Christo, era nato a Mantova intorno al 1490 ed
aveva studiato a San Benedetto Po (o San Benedetto di Padolirone, o
Polirone), dove aveva preso i voti ed era entrato nel monastero benedettino
il 16 febbraio 1511, avendo come confratelli Giambattista e il fratello di
quest'ultimo, Gerolamo (più noto con il nome, assunto in convento, di
Teofilo) Folengo (1491-1544), l'originale scrittore del `500, inventore del
genere maccheronico goliardico e che si firmava anche con lo pseudonimo di
Merlin Cocai o Limerno Pitocco. Nel 1533/34 F. passò, con i due Folengo, al
monastero di San Giorgio Maggiore, a Venezia (prima di una lunga serie di
tappe, che lo avrebbero portato in giro per l'Italia), dove fece la
conoscenza di Reginald Pole e Marcantonio Flaminio: quest'ultimo diventò suo
collaboratore per la stesura del Beneficio di Christo. Nella primavera
1537 i suoi superiori disposero il trasferimento di F. al monastero di San
Niccolò l'Arena di Catania, ma, durante il viaggio verso la Sicilia, egli si
fermò per diversi mesi nel monastero dei Santi Severino e Sossi a Napoli,
dove entrò in contatto con il circolo valdesiano di Napoli e alcuni suoi
frequentatori, come Bernardino Ochino, Pier Martire Vermigli, Pietro
Carnesecchi, Ludovico Manna e Vittore Soranzo. La frequentazione di tutti
questi nomi illustri dell'evangelismo italiano stimolò senz'altro F. nella
stesura, una volta giunto a Catania, della 1° versione del Trattato
utilissimo del beneficio di Giesù Christo crocefisso verso i christiani, o
più brevemente Beneficio di Christo, uno dei libri fondamentali per la
Riforma in Italia. Il testo venne spedito da F. a Flaminio, che lo rilesse e
lo rielaborò. Nel monastero di Catania, dove F. stette tra il 1537 ed il
1543, egli conobbe e diventò amico del confratello Giorgio Siculo, di cui F.
aiutò la diffusione del Libro Grande. In seguito fu rettore a Santa Maria
di Pomposa tra il 1544 ed il 1546, mentre nel 1546 tornò a San Benedetto
Po. Tuttavia, poco dopo (nel 1548), venne segnalato, da parte di
Angelo Massarelli, agente dell'Inquisizione, la sua presenza a Chioggia,
dove probabilmente F. si fece notare per le sue idee riformiste. Infatti
fu imprigionato nel 1549 a Verona, e trasferito poi a Padova nel
carceri conventuali di Santa Giustina per tre anni, assieme a Giorgio Siculo,
e in seguito confinato fino al 1552 nel monastero di Santa Croce di
Campese, presso Bassano del Grappa. Nel 1555 lo ritroviamo per la terza
volta al monastero di San Benedetto Po e da questa data si perdono le sue
tracce: presumibilmente morì poco dopo.
Il Beneficio di Christo Il
libro, che girava in forma manoscritta già dal 1540 [l'originale era
in possesso del segretario di Cosimo I de' Medici (1537-1574), il
valdesiano Pier Francesco Riccio], venne edito a Venezia dallo stampatore
Bernardino de Bindonis nel 1543, uscendo in una forma anonima (alcuni
riformatori conoscevano bene l'identità dell'autore e del revisore, ma solo
nel 1566, sotto tortura, Pietro Carnesecchi confessò all'Inquisizione che
l'autore era effettivamente F.), ed ebbe un successo clamoroso: venne
ristampato più volte e, secondo Pier Paolo Vergerio, in sei anni ne furono
prodotte almeno 40.000 copie (secondo altre fonti fino a 80.000 copie)! Il
libro, che attinge dal pensiero e dagli scritti dei Padri della
Chiesa Agostino, Origene, Basilio, Ilario e Ambrogio e dei massimi
riformatori come Lutero, Valdés, Melantone, Calvino e Bucero, consta di sei
capitoli, che trattano del peccato originale (1°), della legge di Mosè (2°),
della missione di Cristo fra gli uomini (3°), delle nozze mistiche dell'anima
con Cristo grazie alla fede (4°), di come il cristiano si vesta di Cristo
(5°), della Comunione e del Battesimo e della predestinazione (6°). Il
libro, come detto, si diffuse rapidamente negli ambienti evangelisti:
era quindi prevedibile che l'ortodossia cattolica reagisse ben presto
con energia. Già segnalato nel 1544 nel Compendio d'errori e inganni
luterani del domenicano senese Ambrogio Catarino Politi (ca. 1484-1553), il
Beneficio di Christo venne definitivamente condannato il 21 luglio 1546, in
seguito ad un pesante intervento censorio del vescovo di Aquino e Sessa,
Galeazzo Florimonte (m. 1567), al Concilio di Trento. Inserito nel
Catalogo dei libri proibiti [il famigerato l'Index librorum prohibitorum,
formalizzato successivamente, nel 1557, da Papa Paolo IV (1555-1559)], ogni
copia del libro fu così sistematicamente scovata e distrutta
dall'Inquisizione che se ne perse completamente le tracce finché nel 1855
fece scalpore la scoperta di una preziosa copia nella Biblioteca del St.
John's College a Cambridge.
Sacro Macello in Valtellina (luglio
1620)
Situazione della Valtellina durante la Riforma Il
Cantone Grigioni aveva aderito nel 1497-98 alla Confederazione Svizzera e il
27 giugno 1512, con il Giuramento di Teglio, aveva inglobato la Valtellina e
le valli a sud delle Alpi. Tuttavia, con l'avvento della Riforma di tipo
zwingliano dal 1524 in avanti, le cose si erano complicate per la convivenza
di una maggioranza protestante nei Grigioni ed una maggioranza cattolica in
Valtellina. La situazione era stata aggiustata con la Dieta di Ilanz del 7
gennaio 1526 nella quale era stata data a ciascun fedele il diritto di
scegliere la propria confessione tra cattolica e protestante (la fede
anabattista era stata bandita). Oltre a questo va anche considerato che il
fattore della lingua italiana, usata nelle sei valli a sud delle Alpi del
cantone (Bregaglia, Poschiavo, Mesolcina, Bormio, Chiavenna e Valtellina)
favorì l'azione di esuli riformati italiani, i quali poterono agire come
pastori locali. Si ricordano a riguardo Agostino Mainardi, Camillo Renato,
Girolamo Zanchi, Scipione Lentulo, Pier Paolo Vergerio, Scipione Calandrini,
Francesco Negri da Bassano, Ulisse e Celso Martinengo e Filippo
Valentini. Ma con l'avanzare della Controriforma, l'odio dei cattolici
valtellinesi verso la minoranza protestante, fomentata dai predicatori
francescani e domenicani, inviati dall'arcivescovo di Milano cardinale San
Carlo Borromeo (1538-1584), arrivò a livelli di elevata intolleranza,
nonostante i richiami alla pacifica convivenza lanciati dai pastori Ulisse
Martinengo e Scipione Calandrini (e proprio per questo motivo i cattolici,
sobillati dall'arciprete di Sondrio Nicolò Rusca, per ben due volte,
cercarono di uccidere quest'ultimo). L'episodio più significativo,
ispirato da Papa Pio V (1566-1572), ex Inquisitore di Morbegno, fu il
rapimento da parte dei domenicani del pastore della chiesa riformata di
Morbegno, l'ex frate minorita Francesco Cellario, di ritorno da un sinodo di
pastori tenuto a Coira. Cellario fu portato in catene a Roma e, dopo un lungo
interrogatorio per farlo abiurare, impiccato e bruciato sul rogo a Ponte
Sant'Angelo il 25 maggio 1569.
Il Sacro Macello Ma questo fu
niente in confronto alla rivolta dei cattolici contro i protestanti della
Valtellina del 1620, che sfociò in uno spaventoso pogrom, chiamato dal
celebre storico Cesare Cantù (1804-1895), il Sacro Macello della
Valtellina. Il fomentatore principale fu il fanatico arciprete di Sondrio
Nicolò Rusca, vero agitatore delle folle cattoliche e sprezzante delle leggi
che cercavano di mantenere un pur delicato equilibrio tra le due comunità.
Egli venne arrestato e processato a Thusis nel 1618 per il tentato
omicidio, sopraccitato, di Scipione Calandrini, ma morì durante le
torture dell'interrogatorio. Nello stesso processo furono condannati, ma
si rifugiarono all'estero, i fratelli Rodolfo e Pompeo Planta e il genero
di Rodolfo, Giacomo Robustelli. Quest'ultimo, una volta rientrato due anni
dopo, organizzò l'atroce vendetta contro i protestanti locali: nella notte
tra il 18 ed il 19 luglio 1620, i congiurati trucidarono quasi tutti i
protestanti di Tirano. Passarono quindi a Teglio, dove fu compiuta una strage
(72 persone) direttamente nella chiesa evangelica: 17 tra uomini, donne e
bambini, rifugiatisi nel campanile, bruciarono vivi per il fuoco acceso dai
fanatici cattolici. Terza tappa Sondrio, dove solo un gruppo di 70 riformati
con le armi in pugno poterono, grazie ad una tregua, rifugiarsi in Engadina:
tutti gli altri (anche di nobili famiglie) furono trucidati. In tutto si
calcola che furono sterminati circa 600 persone. Questo episodio, assieme
alla rivolta anti-asburgica della Boemia, portò allo scoppio della Guerra dei
Trent'anni (1618-1648) e alla fine del primo periodo della guerra, nel 1639,
la Valtellina venne riconsegnata al Cantone Grigioni (che lo tenne fino
all'annessione alla Repubblica Cisalpina del 1797), a condizione di
accettarvi solo la religione cattolica. L'esperimento di libera convivenza
tra cattolici e protestanti in Valtellina era dunque finito nel peggiore dei
modi.
Macedonio di Costantinopoli (m. ca.362) e macedonianismo o
pneumatomachia
Macedonio era un presbitero di Costantinopoli, di
fede ariana. Alla morte di Eusebio di Nicomedia nel 341, la fazione ortodossa
di Costantinopoli aveva approfittato della situazione per insidiare il
proprio candidato Paolo, creando tumulti e uccidendo il comandante della
guarnigione imperiale, Ermogene. Tuttavia, a queste notizie, l'imperatore
Costanzo (337-361), di fede ariana, che si trovava ad Antiochia, tornò
immediatamente a Costantinopoli, cacciando Paolo e nominando M. come vescovo
della città. M. si allineò ben presto sulle posizioni semiariane di Basilio
di Ancyra, che suggeriva la formula homoioùsios (simile nella sostanza) come
forma di compromesso tra gli ortodossi, legati alla formula nicena
homoùsios (identico nella sostanza), e gli ariani radicali, capeggiati da
Aezio di Celesiria, favorevole alla formula anàmoios (dissimile da
Dio). Tutti i vescovi, compreso M., furono convocati da Costanzo in
diversi sinodi, tra il 357 ed il 359, a Sirmio (in Bosnia) per dirimere
la questione, ma la formula finale, accettata ed imposta da Costanzo, non
fu nessuna delle sopramenzionate, bensì la formula omea proposta da Acacio
di Cesarea, cioè hòmoios (simile a Dio). Questa conclusione finale fu
definita la "Blasfemia di Sirmio" da Sant'Ilario di Poitiers. A quel
punto, Costanzo convocò a Rimini, per i vescovi occidentali, ed a Seleucia,
per quelli orientali, due riunioni per imporre la propria decisione, ma nel
sinodo di Seleucia, nel 359, M. difese coraggiosamente la propria posizione.
Per questo, venne deposto dal concilio, a maggioranza omea, di Costantinopoli
nel 360. M. morì ca. nel 362.
Pneumatomachia Alla figura di M.
è legata una particolare eresia chiamata pneumatomachia (cioè ostilità allo
Spirito Santo), che alcuni autori pensano essere stata fondata da M. stesso e
per questo viene denominata anche macedonianismo. Pare invece che M., dopo la
sua deposizione da vescovo, avesse contribuito alla diffusione di questa
eresia, già esistente da qualche anno, come rielaborazione del
subordinazionismo ariano: infatti gli aderenti a questo pensiero credevano
che lo Spirito Santo fosse una creatura di Dio, superiore agli angeli, ma non
certo consustanziale al Padre e al Figlio. L'eresia fu combattuta da Atanasio
di Alessandria in quattro lettere inviate al vescovo Serapione di Thmuis e
nel sinodo di Alessandria del 362. Alla morte dell'indomabile Atanasio nel
373, la lotta contro i pneumatomachi, capeggiati da Eleusio di Cizico, venne
continuata da Didimo il Cieco e da Basilio il Grande, il quale cercò
inutilmente di convertire il macedoniano Eustazio, vescovo di Sebaste, ma fu
soprattutto la condanna al concilio di Costantinopoli del 381 a togliere
consensi ai pneumatomachi. Tuttavia, la tentazione di rimettere in auge la
subordinazione dello Spirito Santo rimase per molto tempo, se si pensa che
ancora nel XII secolo, al II concilio Lateranense del 1139, si dovette
ribadire la divinità dello Spirito Santo.
Podiebrad Kunstadt,
Georg von (1420-1471)
Georg von Podiebrad Kunstadt nacque da
famiglia nobile nel 1420 a Podèbrady, in Boemia e, intorno al 1445, fu
nominato governatore di Praga dall'imperatore Federico III (1440-1493),
tutore del re minorenne di Boemia e d'Ungheria, Ladislao V Postumo (n. 1440-
m. 1457). Era il periodo immediatamente successivo alle Compactata di
Basilea, una serie di deroghe dottrinali, che riproducevano i Quattro
Articoli di Praga (concepiti nel 1420 da Jakoubek di Stribo): esse furono
concesse agli hussiti dal Concilio di Basilea (1431-1439) e quindi ratificate
nel 1436 dalla Dieta di Iglau (Jihlava) in Moravia, dove i cattolici e gli
hussiti avevano accettato reciprocamente le Compactata e l'obbedienza al
Concilio. Tuttavia l'accordo non aveva portato la sperata pace in Boemia,
dove continuarono nuove lotte interne culminate nel 1448, quando il
governatore P. reagì con forza ai tentativi dei cattolici di riprendersi i
beni confiscati durante le guerre hussite e di rievangelizzare la regione con
una attività martellante dei predicatori francescani agli ordini del
Vicario generale, San Giovanni Capistrano (1386-1456). P. venne
successivamente nominato reggente nel 1452 e, alla morte di Ladislao Postumo
nel 1457, diventò re di Boemia il 2 Marzo 1458. In quegli anni egli si
impegnò attivamente a reprimere gli ultimi focolai dei taboriti, che erano
già stati duramente sconfitti dagli utraquisti, alleati per l'occasione con i
cattolici, nella battaglia di Lipau (Lipany) del 1434. Ma nel 1462 avvenne
l'inaspettata rottura con Roma: il Papa Pio II (1458-1464) dichiarò nulle le
Compactata del 1436, da sempre sostenute da P., convinto utraquista. P.
ignorò le disposizioni papali, scontrandosi duramente con il successore Papa
Paolo II (1464-1471), il quale lo convocò a Roma nel 1465 e, di fronte al
rifiuto del re di comparire, lo scomunicò nel 1466. P. divenne quindi per i
cattolici il "Re degli eretici" e contro la Boemia nel 1467 fu indetta da
Paolo II una crociata capeggiata dal re ungherese Mattia Corvino
(1458-1490). Dopo tre anni di guerra, nella quale le truppe di Mattia
occuparono la Moravia, Slesia e Lusazia, P. fu deposto nel 1470 e morì il 22
Marzo 1471. In seguito la Boemia cadde sotto il dominio della dinastia
polacca degli Jagelloni: divenne infatti re di Boemia (e dal 1490 anche di
Ungheria) Ladislao II (1471-1516), figlio di Casimiro IV di Polonia
(1444-1492).
Matthys (o Matthijsz o Mathussen o Mathis), Jan (m.1534)
e la dittatura di Münster
Jan Matthys Jan Matthys, un
fornaio di Haarlem (Olanda) di cui non si sa niente prima della sua
conversione, venne avviato all'anabattismo da Melchior Hofmann nel 1532,
durante un viaggio di quest'ultimo in Olanda. Precedentemente, nel dicembre
1530, a causa dell'arresto ed esecuzione di Jan Trijpmacher e altri nove
anabattisti, Hofmann aveva prudentemente ordinato agli adepti un arresto
temporaneo (Stillstand) di tutte le attività religiose per due anni, ma M.,
appena convertito, si mise in luce contestando da subito l'ordine di
sospensione. Del resto, il fornaio di Haarlem, privo di cultura, era molto
fanatico e intransigente, di temperamento rozzo e collerico, e tutto compreso
nel suo ruolo di novello profeta apocalittico. Si recò dapprima ad
Amsterdam con la giovane amante (e futura moglie) Divara, figlia di un
birraio ed ex religiosa, e spodestò il predicatore anabattista Cornelis
Polderman, precedentemente riconosciuto come nuovo Enoch, il profeta citato
dall'Apocalisse: M. fece delle incredibili sceneggiate di collera finché i
radicali olandesi della capitale non riconobbero e accettarono solo lui come
capo e profeta. M. sviluppò quindi il movimento anabattista nel vasto
territorio che andava dall'Olanda fino a Colonia, risalendo la valle del
Reno, e inviò a tutti i fedeli un messaggio fortemente apocalittico, simile a
quello di Hofmann (nel frattempo arrestato a Strasburgo nel maggio 1533), ma
con un forte rilievo dato allo sterminio di tutti gli empi e alla propria
figura di profeta di Dio. Trascorso poco tempo, gli anabattisti si
scordarono dell'infelice Hofmann e seguirono senza riserve l'esaltato M., che
già dal novembre 1533, si poteva considerare l'unico profeta dell'imminente
parusia (la nuova venuta di Cristo), da lui prevista per la Pasqua del
1534.
M. a Münster Il 23 febbraio 1534 una circostanza fortunata
inviò un segno del destino atteso da M.: gli anabattisti, durante le
elezioni, riuscirono a conquistare il consiglio comunale di Münster, capitale
della Westphalia ed immediatamente M. vi si trasferì, dichiarando che quella
era la Nuova Gerusalemme dove attendere il ritorno di Cristo. Fu dichiarato
borgomastro Bernhard Knipperdolling, e si misero in luce altri predicatori
come il sarto Jan Bockelson (Giovanni da Leida) e l'ex pastore luterano
Bernhard Rothmann. Furono prese misure radicali, come l'espulsione, anche con
la violenza, di tutti i cattolici e luterani (a fatica Knipperdolling e
Bockelson riuscirono a convincere M. dell'assurdità di massacrarli tutti,
come invece il profeta pretendeva!) e confisca dei loro beni, ribattesimo di
coloro che era rimasti in città, abolizione della proprietà privata, incluso
il denaro, falò di tutti i libri della città eccetto la Bibbia. M.
proclamò la Nuova Sion in terra ed invitò tutti gli anabattisti ad accorrere
a Münster: nonostante che l'ex vescovo, Franz von Waldeck (vescovo:
1532-1534, m. 1553), oramai cingesse d'assedio la città con le sue truppe
(per la verità non molto numerose): circa 2.500 fedeli risposero all'appello,
tra cui i due fratelli ed ex preti Bernhard ed Hinrich Krechting, che
avrebbero assunto in seguito incarichi ufficiali nel governo della
città. All'interno della città i capi si spartirono i compiti: M. assunse
il comando della dittatura teocratica, Bockelson il governatorato, Rothmann
si occupò della propaganda e Knipperdolling della difesa. I metodi di M.
furono rapidi e non ammettevano discussioni: quando un fabbro, tale Hubert
Ruecher, osò criticare la gestione di M., fu arrestato e sommariamente ucciso
in pubblico da M. in persona. Il giorno di Pasqua, 4 aprile 1534, giorno
previsto per la fine del mondo, M. guidò una folle sortita con soli 20
compagni contro le truppe del vescovo e cercò perfino di arringare i soldati
per passare dalla parte degli assediati, ma fu ucciso da un ufficiale con un
colpo di spada al petto. Successivamente le truppe cattoliche sfogarono la
loro rabbia, riducendo in mille pezzi il corpo senza vita del profeta
anabattista. Come mai M. si decise a questo passo, un vero e proprio suicidio
deliberato? Probabilmente ciò era derivato dalla consapevolezza che nessun
aiuto sarebbe giunto dall'esterno e che l'esperimento di Münster fosse
destinato a fallire. O forse M. era così invasato da pensare che il
Padreterno desiderasse un suo sacrificio per dare luogo alla
parusia?
Il regno di Münster Caduto il profeta M., si poteva
ipotizzare che l'intero pazzesco complesso da lui architettato sarebbe
crollato ed invece se ne approfittò Jan Bockelson per prendere il potere.
Ancora più fanatico e sanguinario di M. stesso, Bockelson fu investito del
titolo di profeta di Sion in seguito ad un quanto mai "opportuno" sogno di
Knipperdolling, nel quale Dio in persona gli aveva comunicato che il nuovo
profeta sarebbe stato proprio.l'ex sarto di Leida. Questi non rinunciò ad
una sceneggiata di fanatismo, pochi giorni dopo, sotto forma di delirio
mistico, nel quale comunicò che il governo della città sarebbe stato gestito
da un consiglio di dodici anziani, che sarebbero state varate delle nuove
leggi molto severe, che ogni insubordinazione sarebbe stata punita con la
morte. Ma fu soprattutto la pazzesca pretesa, dal luglio 1534, di introdurre
la poligamia obbligatoria, idea che ricordava gli Adamiti e i Fratelli
del Libero Spirito, a minare l'unità degli assediati. Bockelson stesso sposò
15 mogli, tutte giovani e belle, tra cui la vedova di M., Divara,
mentre Rothmann si accontentò di 9 mogli e via di seguito. La
disposizione, imposta con la forza, incontrò una crescente resistenza: una
congiura fu repressa nel sangue e tutte le donne che rifiutavano
il matrimonio forzato venivano orribilmente torturate ed uccise. In
Settembre nuova puntata della farsa di Bockelson: un suo fedelissimo,
ex orefice di Warendorf, raccontò di aver sognato che Dio gli comunicava
la designazione di Bockelson come novello Re Davide del regno della
Nuova Gerusalemme. L'ex sarto si schermì giusto il necessario per salvare
la faccia e poi dichiarò di accettare, minacciando di morte coloro che si
fossero opposti. Si fece quindi sfarzosamente incoronare, con la sua regina
Divara al suo fianco, circondato da dignitari e guardie del corpo: un bello
smacco per la sincera umiltà e povertà dei primi anabattisti! Tra ottobre
e dicembre 1534 Rothmann scrisse e pubblicò due opuscoli cercando di
sostenere la causa degli assediati, ma i dissidi interni tra gli immigrati,
favoriti da Bockelson, e gli abitanti originari di Münster, portarono a nuove
esecuzioni capitali, a causa dei quali lo stesso Knipperdolling si ribellò,
guidando una congiura per rovesciare il "re": scoperto fu imprigionato, ma
almeno conservò la vita (per il momento) grazie alla "generosità" di
Bockelson. Oramai le follie sanguinarie di Bockelson erano all'ordine del
giorno: una volta convocò un banchetto per tutti, dove decapitò di persona un
mercenario del vescovo von Waldeck, da poco catturato, e poco dopo, come se
nulla fosse, celebrò la Cena del Signore! Tuttavia la pazienza del vescovo
e dei principi tedeschi della zona era agli sgoccioli, e dal gennaio 1535
l'assedio divenne rigorosissimo: nulla poteva passare, neanche i viveri che
precedentemente riuscivano a filtrare attraverso le maglie dell'assedio. La
fame avanzò rapidamente e quando finì il cibo, gli abitanti si misero a
mangiare di tutto: cani, gatti, topi, erbe, scarpe bollite e
quant'altro. Una profezia di Bockelson che a Pasqua sarebbero stati liberati
si rivelò la solita bufala ed in seguito allo scoramento generale, il re
dovette lasciar partire un gruppo di circa 500 persone che desideravano
andarsene. Sfortunatamente gli ordini del vescovo erano di non lasciar uscire
nessuno e quindi la maggior parte degli esuli furono uccisi dai mercenari
vescovili. Era il preludio dell'espugnazione della città avvenuta il 24
giugno 1535 grazie al tradimento di un cittadino di Münster, che apri le
porte della città durante un violento temporale. Le truppe del vescovo
poterono quindi entrare, procedendo ad un massacro sistematico dei difensori,
nonostante la strenua lotta organizzata da Bernhard Krechting. Furono
catturati Bockelson, Knipperdolling e Bernhard Krechting, mentre di Rothmann
non si seppe mai più niente e il solo dei capi a sfuggire fu Hinrich
Krechting, che finì i suoi giorni come ministro calvinista in Olanda. I
tre prigionieri furono interrogati e torturati per farli invano
abiurare. Infine il 22 gennaio 1536 i tre furono portati sulla piazza del
mercato per essere giustiziati: furono loro strappati pezzi di carne con
tenaglie roventi fino all'agonia, e successivamente finiti a colpi di
pugnale. I cadaveri furono poi appesi in gabbie di ferro sul campanile della
chiesa di san Lamberto.
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