GLI ERETICI - GIROLAMO SAVONAROLA |
Pole, Reginald (1500-1558)
I primi anni Il cardinale
Reginald Pole nacque nel marzo 1500 a Stourton Castle, nella contea inglese
dello Staffordshire, secondogenito di Sir Richard Pole (ca. 1462-1505),
cavaliere dell'Ordine della Giarrettiera, e di Margeret Plantagenet
(1473-1541), figlia del duca di Clarence, George (1449-1477), fratello del re
Edoardo IV d'Inghilterra (1461-1483). Quando rimase vedova, la madre di P.
venne successivamente creato contessa di Salisbury e venne associata alla
corte reale come tutrice della principessa (e futura regina) Mary. P. era
quindi strettamente imparentato con la famiglia reale inglese (era cugino di
terzo grado del re Enrico VIII) e ricevette un'ottima
educazione, frequentando la rinomata Charterhouse a Sheen (nella contea
inglese del Surrey) per cinque anni, ed in seguito iscrivendosi
all'università ad Oxford all'età di soli dodici/tredici anni per poi
laurearsi dopo tre anni. A questo punto egli fu avviato alla carriera
ecclesiastica e, benché non avesse ancora ricevuti neppure gli ordini minori,
gli fu concessa nel 1518 una prebenda (un beneficio) come decano della
collegiata di Wimborne (nella contea inglese del Dorset). Nel febbraio
1521 P. si recò a Padova per approfondire i suoi studi umanistici con famosi
letterati come Christoph de Longueil (Longolius) (1488-1522), che gli lasciò
la sua biblioteca personale, il grecista di origine albanese Nicolaus
Leonicus Thomaeus (Niccolò Leonico Tomeo) (1456-1531), l'umanista Pietro
Bembo, il futuro cardinale Gasparo Contarini, e lo studioso inglese Thomas
Lupset (ca. 1498-1530). Ebbe l'occasione anche di conoscere Pier Martire
Vermigli, che frequentava l'università di Padova nello stesso
periodo. Dopo una visita a Roma nel 1526, P. rientrò in Inghilterra nel
1527, proseguendo i suoi studi nella clausura certosina di Sheen, dove
fu raggiunto dalla notizia della sua elezione a decano di
Exeter.
La questione del divorzio di Enrico VIII d'Inghilterra Ma,
poco dopo, egli si trovò nella delicatissima situazione di dover prendere
posizione nella complessa vicenda del divorzio del cugino Enrico VIII da
Caterina d'Aragona: P. tentò di evitare di pronunciare un parere, ottenendo
di continuare i suoi studi a Parigi, ed anche qui, benché gli venisse chiesto
di fare da intermediario per avere un parere dell'università della Sorbona,
riuscì ad evitare di farsi coinvolgere in questo caso di coscienza, che per
lui era molto spinoso. Richiamato in Inghilterra da Enrico VIII, P. si vide
proporre, dopo l'esecuzione capitale del cardinale Thomas Wolsey (1474-1530),
l'offerta dell'arcivescovado di York o del seggio di Wincester, probabilmente
come tentativo del re di comperare la compiacenza di suo cugino. Ma
P. coraggiosamente espresse, in un colloquio privato con il re, i suoi
dubbi sul ripudio di Caterina e fu sufficientemente fortunato da mantenere
la testa sul collo (Enrico VIII, in un momento di rabbia, aveva già estratto
la sua daga!), ed anzi da ottenere dal re la possibilità nel gennaio 1532
di ritornare ai suoi studi padovani (un esilio dorato?), dove conobbe
Jacopo Sadoleto, Alvise Priuli e Benedetto Fontanini da Mantova. Qui poté
anche approfondire i suoi studi di critica biblica nel monastero benedettino
di Santa Giustina a Venezia, sotto la guida dell'ebraista fiammingo Jan
van Kampen (nome umanistico Campensis)(m. 1538). Nel 1535 egli fu
nuovamente al centro di un tentativo di Enrico VIII di tirarlo dalla sua
parte nella richiesta di un parere sulla legalità jure divino del matrimonio
con la vedova del proprio fratello e anche sulla supremazia del papato. La
risposta di P. fu il trattato Pro ecclesiasticæ Unitatis defensione, molto
drastico nelle sue conclusioni e molto coraggioso, visto le
recenti esecuzioni capitali di coloro i quali si erano espressi senza peli
sulla lingua, come il grande filosofo umanista erasminiano ed ex Lord
Cancelliere Tommaso Moro (Thomas More) (1478-1535), e il vescovo di
Rochester, ed ex confessore di Caterina d'Aragona, John Fisher
(1469-1535).
P. si schiera con il papa Nel 1536 il re seccatissimo
convocò P. per esigere spiegazioni sul testo del trattato, ma questi,
consigliato dal vescovo di Verona, Gian Matteo Giberti, e da Gian Pietro
Carafa, il futuro papa Paolo IV (1555-1559), decise di rifiutare l'incontro,
accettando invece l'invito di Papa Paolo III (1534-1549) di recarsi a Roma
nel novembre 1536 per entrare a far parte di una commissione, presieduta dal
cardinale Contarini, per la riforma interna della Chiesa e che sviluppò il
famoso documento "Consilium de emendanda ecclesia". Contestualmente il papa
lo nominò cardinale il 22 dicembre 1536 assieme a Sadoleto, Carafa e altri
prelati. Questa presa di posizione di P. fu considerato un vero e proprio
tradimento da parte di Enrico VIII, che per vendetta fece arrestare i suoi
fratelli e fece mettere a morte sua madre nel 1541, ufficialmente perché
aveva voluto rimanere cattolica. Il re, inoltre, tentò più volte di far
assassinare P. mediante sicari prezzolati. Da parte sua, nel 1538-39, il
cardinale inglese gestì vari tentativi papali di creare una coalizione
cattolica contro l'Inghilterra, ma la rivalità tra l'imperatore Carlo V
(1519-1556) e il re di Francia Francesco I (1515-1547) fece naufragare ogni
tentativo di intesa.
Il circolo degli spirituali a Viterbo In
seguito P. fu richiamato a Roma, dove venne nominato legato di Viterbo
e proprio a quel periodo (1541) risalì la conversione alle idee
sulla giustificazione sola fide di Juan de Valdès, attuata da
Marcantonio Flaminio. In seguito alla morte del Valdès nell'agosto 1541, P. e
Flaminio trasferirono la scuola di pensiero, il cosiddetto circolo degli
spirituali, che aveva raccolto l'eredità del riformatore spagnolo, proprio a
Viterbo, città di residenza di P. Aderirono al circolo di Viterbo, tra gli
altri, Vittore Soranzo, Pietro Carnesecchi, Apollonio Merenda (che divenne
il cappellano di P.), Pietro Antonio Di Capua, Alvise Priuli, la marchesa
di Pescara Vittoria Colonna (che fu molto devota a P.) e la contessa
Giulia Gonzaga. Il circolo, che ebbe vita breve (solo fino all'autunno
1542, sebbene poi, fino al 1550, anno di morte di Flaminio, il gruppo rimase
compatto durante la trasferta a Trento), agì da centro di diffusione degli
scritti riformati o evangelici, come i testi inediti di Valdès, compreso
l'Alphabeto christiano, che furono tradotti da Flaminio, sentito il parere
dello stesso P., il quale era anche un estimatore del notissimo Trattato
utilissimo del beneficio di Giesù Christo crocefisso verso i christiani, o
più brevemente Beneficio di Christo, uno dei libri fondamentali per la
Riforma in Italia. P. fu però un personaggio ambiguo e ondeggiante tra le
idee evangeliche e l'assoluta fedeltà alla Chiesa Cattolica. Personaggio
molto taciturno, egli era da una parte nicodemitico ma, dall'altra, fu capace
di impegnarsi direttamente a difesa degli evangelici, come quando, nel 1547,
egli intercesse personalmente presso il papa Paolo III perché questi emanasse
una breve di assoluzione per il nobile messinese Bartolomeo Spadafora,
inquisito da parte dell'Inquisizione siciliana. Tuttavia l'amicizia
dimostrata dal P. verso Spadafora fu il vero motivo dell'arresto e
incarcerazione del nobile siciliano nel settembre 1556, quando il papa Paolo
IV lo fece perseguitare solamente sulla base di questa
amicizia.
Il concilio di Trento Il 1 novembre 1542 P. fu uno dei
tre legati pontifici [gli altri due erano Giovanni Morone e Pietro Paolo
Parisio(m. 1545)] incaricati da Paolo III di aprire ufficialmente i lavori
del Concilio di Trento (lavori ufficiali:1545-1563), ma questo primo
tentativo di iniziare il tanto atteso concilio fu un vero fallimento.
Comparvero pochissimi delegati e i lavori furono sospesi il 6 luglio
1543. L'apertura ufficiale dei lavori conciliari solo nel dicembre 1545
permise a P., assistito da Alvise Priuli, di scrivere tra il marzo e l'aprile
1545 il trattato De Concilio, dove l'autorità della Chiesa veniva fondata
sulla promessa di Cristo a Pietro (una mossa apparentemente contraddittoria
e ambigua, purtroppo non l'unica, rispetto alle sue precedenti
simpatie valdesiane), e alla ripresa dei lavori nella seconda sessione del
concilio (che P. dovette abbandonare, non si sa se per motivi di salute o
perché non accettava la bozza che andava delineandosi), di presentare, il 7
gennaio 1546, l'Admonitio Legatorum ad Patres Concilii.
P. quasi
papa! Alla morte di Paolo III il 10 novembre 1549, nel conclave che ne seguì,
il cardinale inglese fu lungamente considerato il principale candidato: ad
un certo punto egli mancò per un voto l'elezione a papa e avrebbe
potuto semplicemente accettare l'elezione a Papa per adorationem, ma .....
tacque, permettendo l'elezione del gaudente Giulio III (1550-1555), al quale
dedicò il suo scritto De Summo Pontefice, ma soprattutto spianando la
strada all'elezione, 6 anni dopo, al famigerato, fanatico e violento
cardinale Gian Pietro Carafa, il quale divenne Papa Paolo IV. Carafa,
comunque, già nel conclave del 1549, non mancò di attaccare violentemente P.,
accusandolo di eresia. Dopo la mancata elezione di P. a papa, questi si
ritirò nel 1550-51 presso il convento benedettino di Maguzzano sul Lago di
Garda, dove conobbe lo storico Giovanni Michele Bruto e il diplomatico ed
ecclesiastico italo-ungherese Andrea Dudith Sbardellati.
P. alla
corte di Maria Tudor La morte del re inglese Edoardo VII il 6 luglio 1553
riportò al centro dell'attenzione il ruolo che poteva svolgere P. per
riportare l'Inghilterra al Cattolicesimo: dopo il matrimonio della regina
Maria Tudor (1553-1558) con Filippo di Spagna [il futuro Filippo II
(1556-1598)], P. venne inviato nel novembre 1554 da Giulio III come legato
pontificio. Il 30 novembre 1554 P. formalmente assolse i due rami del
parlamento inglese dall'accusa papale di scomunica e nel novembre dell'anno
successivo convocò un sinodo per attuare diversi decreti di riforma
ecclesiastica, visti i 20 anni di separazione dell'Inghilterra dal
Cattolicesimo. Il 20 marzo 1557 Pole fu finalmente ordinato prete e due
giorni dopo fu consacrato arcivescovo. Tuttavia la crescente repressione
anti-protestante della regina, soprannominata Maria la Sanguinaria (tra 273 e
288 protestanti furono arsi sul rogo), rese estremamente impopolare il regno
di quest'ultima ed P., ormai gravemente ammalato, non poté fare molto per
mitigare la violenza anti-protestante della regina, oltre a rintuzzare gli
attacchi del suo nemico, il papa Paolo IV, filo-francese e anti-spagnolo
(quindi all'epoca anche anti-inglese), che oramai totalmente convinto
dell'eresia dottrinale del cardinale inglese, cercò nel 1557 di sottoporlo,
assieme a Soranzo e Morone, ad un processo dell'Inquisizione. Tuttavia il
papa non poté mai mettere in atto i suoi clamorosi piani di processare
pubblicamente P., perché questi era protetto dalla regina Maria Tudor e poi
perché il cardinale inglese morì il 17 novembre 1558 nel palazzo reale di
Lambeth. Per una singolare coincidenza, la sua morte seguì di solo poche ore
quella della regina inglese, sua protettrice.
Polemone (IV°
secolo)
Seguace di Apollinare di Laodicea, esasperò il concetto
cristologico del maestro, ribadendo la consustanzialità (synousia) del Logos
(sostituto della parte spirituale dell'anima) e del corpo, reso divino, di
Cristo.
Alberto di Brandeburgo-Ansbach (1490-1568)
Alberto di
Brandeburgo, da non confondere con l'omonimo cardinale cattolico (1490-1545)
di Magdeburgo e Mainz e noto avversario di Martin Lutero, nacque il 16 Maggio
1490 ad Ansbach, capitale della Franconia e residenza dei Margravi di
Brandeburgo-Ansbach. Il nonno di A. era il principe elettore Alberto Achille
di Brandeburgo e poiché A. non era il primogenito, quindi escluso dal titolo
di margravio, egli fu avviato alla carriera ecclesiastica, entrando
successivamente nell'ordine dei Cavalieri Teutonici. Nel 1511 A. fu eletto
Grande Maestro dell'ordine stesso e l'anno successivo, il 22 Novembre 1512,
egli si trasferì nella sede dell'ordine a Köningsberg, in Prussia. A quel
tempo le fortune dell'ordine dei cavalieri Teutonici erano in netto declino,
dopo il glorioso periodo durato circa due secoli (dal 1283) nel quale essi
avevano dominato la regione ed erano stati per anni una spina nel fianco
delle varie nazioni slave limitrofe (Polonia, Russia etc.). Già nel 1466 (2°
pace di Thorn), l'ordine aveva dovuto cedere la Prussia occidentale alla
Polonia ed accettare che la parte orientale diventasse feudo del re di
Polonia Casimiro IV (1447-1492). Inoltre i Teutonici avevano perso buona
parte del loro potere politico e sofferto per la evidente incompatibilità tra
vita militare e monastico, alla quale anche il Papa Adriano VI (1522-1523)
aveva richiamato l'ordine ed il suo Grande Maestro, per l'appunto
A. Questi era reduce da una disastrosa quanto inconcludente guerra contro
la Polonia, durata fino al 1521, nel vano tentativo di rendere la
Prussia indipendente, ma alla fine della quale dovette accettare una tregua
di quattro anni. Nel 1522-23 A. partecipò alla Dieta imperiale di
Norimberga nell'inutile tentativo di cercare protezione contro il re di
Polonia, ma fu in quella occasione che egli sentì, per la prima volta, i
sermoni dei predicatori luterani, in particolare di Andreas Osiander.
Approfondì il suo interesse per la Riforma in un successivo colloquio a
Berlino con Martin Lutero e Philipp Melantone, che lo esortarono a
secolarizzare l'ordine e a prendere moglie. Lo stesso consiglio fu dato ad A.
dal fratello Georg, Margravio di Brandeburgo. Il processo di riforma nella
Prussia fu comunque accelerato dall'abile cancelliere e principale
consigliere di A., il vescovo Georg von Polenz (1478-1550), che, convertitosi
al luteranesimo, emanò ordini per il clero prussiano per l'uso della lingua
locale nelle funzioni religiose e per lo studio dei testi di Lutero. Nel
Giugno 1525 Polenz rinunciò ai suoi poteri secolari e si sposò, imitato,
esattamente un anno dopo, da A. Nello stesso 1525, A. sciolse l'ordine
teutonico e trasformò la proprietà dei cavalieri in un ducato ereditario per
la sua dinastia, con il consenso del re di Polonia, che il 10 Aprile lo
nominò Duca di Prussia e feudatario della corona polacca. Il 6 Luglio A.
introdusse ufficialmente la Riforma luterana in Prussia, con i relativi
cambiamenti: abolizione dei digiuni, riduzione dei giorni da santificare,
trasformazione dei conventi in ospedali e liturgia in lingua locale. A.
inoltre fondò l'università di Königsberg nel 1544, attirando i migliori
studiosi locali (prussiani, polacchi, lituani) dell'epoca, come Andreas
Osiander. Tuttavia la vita privata di A. fu molto dolorosa per il Duca a
causa della morte di 6 dei suoi 7 figli e della prima moglie. A. morì il
20 Marzo 1568 ed a lui successe il figlio Alberto Federico, che morì senza
figli maschi nel 1618: a quel punto il ducato passò al ramo principale dei
Brandeburgo.
Pomponazzi, Pietro (1462-1525)
Pietro
Pomponazzi nacque a Mantova nel 1462 e si laureò in medicina all'università
di Padova nel 1487. Nel 1488 P. divenne professore di filosofia allo stesso
ateneo, opponendosi alla corrente averroistica, rappresentata dai filosofi
Nicoletto Vernia (1420-1499) e Alessandro Achillini (1463-1512) e che
propendeva per una interpretazione della filosofia aristotelica nella forma
più aderente alla versione originale e senza implicazioni teologiche. P.
invece favoriva l'interpretazione materialista data dai commentari
di Alessandro di Afrodisia (attivo 198-211) e perciò egli venne considerato
il fondatore della cosiddetta corrente alessandrista. Nel 1511 P. fu
nominato a Bologna professore ordinario di filosofia e qui pubblicò nel 1516
il suo Tractus de immortalitate animae, dove egli negò l'immortalità
dell'anima: questa per P. era solamente il soffio vitale che permetteva al
corpo di agire e pensare: essa moriva con la morte del
corpo stesso. Questa tesi suscitò vive polemiche e il libro fu dato alle
fiamme a Venezia per ordine del doge stesso, mentre P., nonostante la difesa
da parte di Pietro Bembo, suo ex allievo, fu condannato da Papa Leone X
(1513-1521) a ritrattare queste tesi nel 1518. A propria difesa, comunque, P.
aveva già scritto nel 1517 la Apologia, seguita nel 1519 dal Defensorium
adversus Augustinum Niphum, contro gli attacchi del filosofo avveroista
Agostino Nifo (1470-1538). Nonostante tutto, P. poté successivamente
completare altre due importanti opere: il De naturalium effectuum causis sive
de incantationibus liber (1520) in cui attaccò la superstizione dei miracoli,
considerati parte di un disegno astrologico, e il De fato, libero arbitrio,
praedestinatione et providentia Dei, libri quinque (1523), in cui venne
sostenuto che tutto è governato dal fato. Tuttavia l'amarezza di non poter
pubblicare questi ultimi testi, come anche quelli di molte sue lezioni
universitarie, in quanto già troppo compromesso con l'Inquisizione, portò P.
alla depressione e al suicidio nel 1525. Un altro suo ex allievo Giovanni
Grillenzoni avrebbe fondato, qualche anno dopo, l'Accademia Modenese, che
riuniva i principali notabili della città, come, ad esempio, Filippo
Valentini, Ludovico Castelvetro ed il professore universitario Francesco
Porto (1511-1581), per discutere di teologia, ma anche per studiare e
commentare le Sacre Scritture,
Castelvetro, Ludovico
(1505-1571)
Uno dei maggiori studiosi e critici del '500 di Dante
(di cui rimane memorabile un commentario della Divina Commedia), Petrarca e
Aristotele (la sua traduzione della Poetica è un riferimento per gli
studiosi) fu Ludovico Castelvetro, nato a Modena nel 1505 da una famiglia
benestante: suo padre era infatti il ricco banchiere Giacomo Castelvetro. Il
giovane Ludovico si laureò in giurisprudenza all'università di Siena e nel
1532 divenne docente di diritto all'università della sua città
natale. Poco dopo, tuttavia, egli abbandonò gli studi giuridici, per
occuparsi di quelli letterari ed entrare a far parte dell'Accademia modenese,
fondata dal medico Giovanni Grillenzoni, allievo di Pietro Pomponazzi, che
riuniva i principali notabili della città, come, ad esempio, Filippo
Valentini ed il professore universitario Francesco Porto (1511-1581), per
discutere di teologia, ma anche per studiare e commentare le Sacre Scritture,
utilizzando direttamente le fonti originarie, un modus operandi caro alla
Riforma. C. stesso si mise in evidenza, curando nel 1532 la traduzione in
italiano dei Loci communes di Melantone, edito sotto il titolo di I principii
de la theologia. D'altra parte le tendenze riformiste di C. si notarono
anche nella rilettura che egli aveva fatto dei testi di Petrarca, presentato
come un proto-protestante, intento a satireggiare sul papato di Avignone e a
fare richiami continui agli insegnamenti di Sant'Agostino o direttamente
alle Sacre Scritture. Tale fu la popolarità raggiunta dall'Accademia che
il cardinale di Modena, Giovanni Morone, coadiuvato dal cardinale Gasparo
Contarini, costrinse nel settembre 1542 gli aderenti a firmare un formulario
di fede, gli Articuli orthodoxae professionis, che C. si rassegnò a
sottoscrivere: non così per il Porto e il Valentini, che preferirono
allontanarsi dalla città. Tuttavia la messa sotto accusa del C. nell'estate
1556, assieme a Bonifacio e Filippo Valentini e al libraio Antonio Gadaldino,
lo consigliò di fuggire da Modena. Calmate le acque, C. rientrò, ma la
comparsa, intorno al 1559, della sua traduzione (probabilmente risalente al
1541) di un'altra opera di Melantone, De Ecclesiae autoritate et de veterum
scriptis libellus (Dell'autorità della Chiesa e degli scritti degli antichi),
mise questa volta seriamente nei guai l'umanista modenese. Infatti, una volta
salito al potere, il nuovo duca di Ferrara e Modena, Alfonso II (1559-1597),
tutt'altro che tollerante verso i protestanti come invece sua madre Renata di
Francia, cercò inutilmente di far processare C. a Ferrara per eresia. C.
decise quindi di presentarsi spontaneamente nell'ottobre 1560 presso
il tribunale del Sant'Ufficio a Roma, ma il 17 dello stesso mese, avuta
la certezza che i giudici avevano visionato la sua traduzione del De
Ecclesiae, fuggì, con l'aiuto di suo fratello Gian Maria, dal convento di
Santa Maria in Via, dove era confinato, in quanto era sicura la sua condanna
come eretico. La sentenza fu effettivamente emessa, ma gli inquisitori
dovettero accontentarsi, a causa dello stato di contumacia, di bruciare il C.
in effigie. Il C. dapprima si nascose, per qualche mese, nella sua villa
di Verdeda (vicino a Modena), quindi lasciò Modena nella primavera 1561 per
Chiavenna, dove fu visitato dal suo ex allievo Fausto Sozzini e dove fu
raggiunto dall'antico amico Francesco Porto, con il quale si trasferì a
Ginevra. Dal 1562 al 1564 C. visse a Ginevra e qui fu raggiunto dai nipoti
Giacomo (1546-1616) e Lelio (1553-1609) Castelvetro, esuli, come lo zio, per
motivi religiosi. Giacomo, dopo anni di esilio volontario all'estero,
rientrò in Italia (a Venezia) nel 1597 e 14 anni dopo, nel 1611, fu arrestato
con l'accusa di eresia. Per sua fortuna, i potentissimi appoggi
internazionali di cui godeva permisero la sua scarcerazione: era stato
nientedimeno che insegnante di italiano del re di Scozia Giacomo VI, poi
Giacomo I re d'Inghilterra (1603-1625), il quale intervenne tempestivamente
per richiedere il suo rilascio. Morì in Inghilterra nel 1616. Il fratello
minore Lelio fu meno fortunato: fu infatti processato e successivamente
bruciato come eretico a Mantova nel 1609. Lo zio Ludovico abitò
successivamente a Lione, in Valtellina (dal 1512 sotto il cantone protestante
dei Grigioni), a Vienna ed infine ritornò a Chiavenna, dove morì il 21
febbraio 1571. Addolorato per la morte dell'amico modenese, Fausto Sozzini
scrisse, in suo onore, un sonetto, in cui l'antitrinitario senese dichiarò
che C. gli aveva chiaramente mostrato la via da seguire: l'esilio in terra
protestante e la palese professione di fede.
Postel, Guillaume
(ca. 1510-1581)
L'umanista, orientalista e mistico francese
Guillaume Postel nacque nel 1510 ca. a Barenton, in Normandia: dapprima
autodidatta e maestro di scuola a soli tredici anni, P. studiò poi a Parigi,
al collegio Sainte-Barbe, dove rivelò una spiccata attitudine per le
lingue. Nel 1538 P. fu nominato professore reale al Collegio di Francia di
lingua ebraica ed araba, che perfezionò nel corso di una missione ufficiale
in Turchia al seguito dell'ambasciatore francese Jean de la Forêt, ma nel
1542 dovette rifugiarsi in Svizzera per aver difeso pubblicamente il
suo protettore, il Cancelliere di Francia Guillaume Poyet (ca.
1473-1548), caduto in disgrazia ed arrestato. A Basilea, nel 1544, P.
lavorò su una delle sue opere principali, De orbis terrae concordia, un inno
alla concordia tra le religioni, non soltanto cattolica e protestante, ma
anche ebrea ed islamica. Le stesse idee furono ribadite nei trattati
Panthenosia e Unique Moyen de l'accord, del 1562, quest'ultimo fu
successivamente inserito nell'Index librorum prohibitorum. P. fece altri
viaggi in Italia, dove conobbe una mistica italiana, chiamata Madre Giovanna,
che si credeva l'incarnazione dello spirito di Cristo, e in Oriente (Siria e
Palestina), e fu il primo studioso a tradurre in latino testi cabalistici
ebraici come Zohar e Sefer Yetzirah, aggiungendo sue annotazioni mistiche
teosofiche. Pubblicò inoltre, incoraggiato da Madre Giovanna, nel 1552, la
Restitutio rerum omnium conditarum, un'opera millenaristica, che anelava ad
un'era felice attraverso la conoscenza delle leggi della natura. Per
questo, P. fu espulso dalla Compagnia di Gesù e posto sotto
inchiesta dall'Inquisizione: dopo un periodo di prigionia, egli fu costretto
a risiedere, in domicilio coatto, a Saint-Martin-des-Champs a Parigi,
dove morì nel 1581.
Durand de Huesca (Durando d'Osca) (inizio XIII
secolo) e Poveri Cattolici
Nel XIII secolo un personaggio di
spicco del valdismo spagnolo fu Durand de Huesca, un chierico e teologo di
origine spagnola (secondo altri, invece, proveniente dal sud della Francia),
coerentemente impegnato nel fustigare i costumi dei prelati corrotti ed
indegni, cercando però, nel frattempo, di non cadere nell'accusa di essere
simpatizzante dei boni homini o boni christiani , come si denominavano i
catari. Anzi contro questi ultimi D. prese le distanze, scrivendo il Liber
contra Manicheos. Tuttavia in Spagna erano tempi duri anche per i valdesi,
che erano stati perseguitati per ordine del re Alfonso II di Aragona, detto
il Casto (1152-1196). Nel 1204, D. fu sollecitato a riconciliarsi con la
Chiesa Cattolica, durante una disputa teologica a Pamiers, dal vescovo di
Osma, Diego, che, poco dopo, sarebbe partito per una missione di
evangelizzazione tra i catari della Francia Meridionale con il suo
assistente, Domenico di Guzman (1170-1221), il futuro santo e fondatore
dell'ordine dei domenicani. D. accettò la riconciliazione e ne approfittò per
far accettare nel 1208 il suo movimento dei Poveri Cattolici, da parte di
Papa Innocenzo III (1198-1216). Lo scopo del movimento era di favorire il
rientro nel Cattolicesimo dei valdesi desiderosi di essere riaccolti
dall'ortodossia, ma, a parte alcuni successi parziali, come quello
dell'adesione di quei valdesi lombardi, che seguivano Bernardo Primo
(fondatore nel 1210 dell'ordine dei Poveri Riconciliati), la strategia di D.
andò sostanzialmente fallita. Per questo insuccesso e per atteggiamenti,
secondo i cattolici, ancora poco ortodossi, D. fu richiamato all'ordine in
una lettera scrittagli direttamente da Papa Innocenzo III nel
1209.
Valdo (c.1140-c.1217) e valdismo
Il
fondatore Le notizie sul fondatore del movimento dei valdesi sono purtroppo
scarse. Perfino sul suo nome, i vari autori si sbizzarriscono in Valdo,
Valdes, Valdesio, Vaux, con la V o la W iniziale, e, dall'inizio del XIV
secolo, con il nome Pietro probabilmente aggiunto postumo dai suoi seguaci,
in onore dell'apostolo Pietro. V., un ricco mercante di Lione (in
Francia), fu vivamente impressionato nel 1175 da un racconto di un
menestrello che gli descrisse la vita di Sant'Alessio (IV secolo) e della
moglie: essi, il giorno stesso del loro matrimonio, decisero di vivere in
castità e di donare tutti i loro averi ai poveri. A quel punto, V.
espresse il desiderio di approfondire la lettura della Bibbia, tuttavia egli
non conosceva il latino. Chiese quindi a due sacerdoti di tradurgli i Vangeli
in francese, ai quali si aggiunsero poi altre parti della Bibbia. Leggendo
il Vangelo di Matteo, V. fu colpito dal passaggio della predica di Gesù al
giovane ricco: Gli disse Gesù: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello
che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e
seguimi" (Matteo XIX, 21), e decise nel 1176 di abbandonare la moglie e
di donare tutto i suoi averi, parte al monastero di Fontevrault, dove
fece accogliere le sue due figlie minori, ma la maggior parte ai
poveri. Egli successivamente si circondò di un gruppo di seguaci, i quali,
fatto un voto di povertà, erano diventati predicatori erranti, vestiti solo
con un saio. E' importante precisare che V. non aveva alcuna velleità
eterodossa, tuttavia la solita miopia degli alti prelati dell'epoca, che
vedevano dei potenziali catari in ogni movimento spontaneo, fece sì che a V.
fosse proibita la predicazione da parte del vescovo di Lione. V. non si
scoraggiò e si presentò direttamente dal Papa Alessandro III (1159-1181),
durante il III Concilio Laterano del 1179, per ottenere l'autorizzazione
ecclesiastica alla predica. Tuttavia Alessandro non ebbe la lungimiranza (o
l'opportunismo) di Innocenzo III (1198-1216), che 30 anni dopo, nel 1209,
approvò la scelta praticamente identica di San Francesco d'Assisi.
Alessandro, invece, si limitò ad abbracciare commosso V., salvo poi
ordinargli di ubbidire al vescovo di Lione, e stesso trattamento ebbe
il lionese nel 1181 da Papa Lucio III (1181-1185). Quest'ultimo, anzi, gli
fece giurare ubbidienza al suo vescovo. Tuttavia V. non ebbe la pazienza
di accettare obtorto collo, come Francesco, gli ordini della Chiesa, e
continuò la predicazione con i suoi seguaci, denominati Poveri di
Lione. Egli fu allora convocato in un sinodo a Lione nel 1180 dal cardinale
Enrico di Marcy, vescovo di Albano, dove V. fece una confessione ortodossa,
anzi denunciando gli errori dei catari. Tuttavia ciò non gli fu
sufficiente e attirò ugualmente nel 1184 su di lui una scomunica, comminata
con la bolla papale Ad abolendam da Lucio III a Verona. Anche il IV Concilio
Laterano del 1215 condannò il movimento di V. come quello di "eretici
impenitenti". Ma il movimento era ben radicato nel Sud della Francia, in
Spagna e nel Nord dell'Italia, in particolare in Lombardia, dove sia i
seguaci di Arnaldo da Brescia che un gruppo dissidente del movimento degli
Umiliati, confluirono nel movimento valdese, assumendo nel 1205 il nome di
Poveri Lombardi. Queste due anime ben presto provocarono una spaccatura nel
movimento: i Poveri di Lione disdegnavano il matrimonio, il lavoro manuale e
la gerarchia interna, mentre i Lombardi, con a capo Giovanni di Ronco,
accettavano tutto ciò, mentre erano più severi dei francesi nel rigettare i
sacramenti conferiti da sacerdoti indegni. V. morì ca. nel 1217 (secondo
altri autori nel 1207) con l'amarezza di non essere riuscito a mediare le
divergenze dei due gruppi, che neppure una riunione organizzata a Bergamo nel
1218 poté appianare.
Il movimento valdese Dopo la morte del
fondatore, il movimento continuò, nonostante le persecuzioni, la sua
espansione, oltre che in Spagna, Francia meridionale e Italia settentrionale,
anche in Italia meridionale (Puglia, ma soprattutto Calabria, dove però i v.
vennero tutti massacrati nel 1561) in Germania (Strasburgo e Baviera),
Austria e Boemia, dove i v. vennero assorbiti dagli hussiti nel XVI
secolo. In Spagna i v. furono perseguitati per ordine del re Alfonso II di
Aragona, detto il casto (1152-1196). Successivamente furono fatti dei seri
tentativi da parte del teologo spagnolo valdese Durand de Huesca (o Durando
d'Osca), di far accettare i v. come ortodossi da parte della Chiesa. A
riguardo, Durando fondò nel 1208 il movimento dei Poveri Cattolici, accettato
da Papa Innocenzo III. In Francia, la reazione cattolica contro il
movimento v. avvenne soprattutto dopo il 1208, l'inizio della crociata contro
i catari (che i cattolici spesso confondevano con i v.), e già dal 1214
alcuni v. furono bruciati sul rogo a Maurillac. Tuttavia i v. continuarono
ad espandersi nel Delfinato e nella Savoia e né l'Inquisizione né l'azione di
predicatori cattolici come San Vincenzo Ferrer (1350-1419) riuscirono a
sradicarli dal loro territorio. Nel 1478 il re Luigi XI (1461-1483) li
protesse perfino con una ordinanza, tuttavia pochi anni dopo, nel 1488, Papa
Innocenzo VIII (1484-1492) ordinò una crociata per cacciarli dalle valli
alpine francesi verso la Svizzera. Dall'altra parte delle montagne, nelle
valli piemontesi Chisone, San Martino, Pragelato, Perosa, Pellice, Luserna e
Angrogna, il movimento fu perseguitato a lungo sulla base delle solite accuse
infamanti di adorare Lucifero e di praticare il sacrificio rituale dei
bambini durante orge notturne (il tutto alimentato anche da un libro
dell'epoca dal titolo Errores haereticorum Waldensium). La persecuzione
durò per tutto il XIV secolo, con una punta intorno al 1370 quando 170 adepti
furono condannati al rogo, ma il v. riuscì ugualmente a svilupparsi fino al
XVI secolo. Nel 1530 due "barba" (predicatori itineranti) valdesi, Giorgio
Morel e Pietro Masson, vennero inviati presso i riformisti svizzeri Bucero e
Farel per confrontarsi sulle rispettive dottrine, e dopo il rientro di
Morel (Masson venne arrestato e ucciso a Digione), nel 1532 a Chanforan, in
valle d'Angrogna, i v. decisero di aderire alla riforma di ispirazione
calvinista. Questa decisione venne aiutata da una fortunata circostanza: nel
1536 l'invasione (durata 20 anni) delle valli piemontesi da parte
dell'esercito francese rinforzato da diversi reparti mercenari
luterani. Tuttavia nel 1559, i duchi di Savoia, cattolici, ripresero il
controllo della regione ed iniziò una lunga storia di persecuzione dei v. che
portò fino alle stragi del 1655 (Pasque Piemontesi), delle quali si
indignò perfino il famoso poeta inglese John Milton e all'editto di Vittorio
Amedeo II di Savoia del 1686, il quale decretò l'espulsione o la
conversione forzata dei protestanti piemontesi. Nonostante una iniziale
resistenza armata, i v. decisero successivamente di emigrare in Svizzera,
dalla quale però il pastore Henri Arnaud ed il comandante (ex contadino)
Giosuè Gianavello (Javanel) organizzarono il rientro nelle valli piemontesi
nel 1689 ("Glorioso Rimpatrio"). Nel secoli successivi i Savoia cercarono
inutilmente di scacciare i v. sia mediante azioni militari che con campagne
di proselitismo organizzate dai gesuiti, ma alla fine, nel 1848, ai v.
vennero concessi i diritti civili e politici previsti nello statuto di Carlo
Alberto e per loro finì il lungo periodo di "ghettizzazione".
I
valdesi oggi Oggigiorno i v. sono valutabili in ca. 50.000 membri, divisi tra
Italia (29.000 aderenti soprattutto nelle tradizionali valli piemontesi),
Francia meridionale, Germania (dove si sono fusi con i luterani nel
1823), Argentina, Uruguay e Stati Uniti (dove alcuni di loro si sono fusi con
la Chiesa Presbiteriana negli anni '70). In Italia hanno fondato nel 1855
a Torre Pellice una scuola, in seguito facoltà, di teologia, spostata poi a
Firenze nel 1860 ed infine a Roma nel 1922. Inoltre sono stati fondati
diversi ospedali valdesi (Torino, Genova), una Casa Editrice (Claudiana, in
onore di Claudio di Torino) ed il centro ecumenico di Agape. Dal 1979, i v.
italiani formano un'unica chiesa evangelica con i metodisti, denominata
Unione delle chiese valdesi e metodiste.
La
dottrina Come si è detto precedentemente, all'inizio non si notarono
elementi eterodossi nella predicazione di V. La sua fedeltà al Vangelo ed
il desiderio di un ritorno alle origini apostoliche della Chiesa come
reazione alla dilagante corruzione ecclesiastica erano caratteristiche di
molti altri movimenti cristiani medioevali sia tra quelli perseguitati
(arnaldisti, petrobrusiani, enriciani) che tra quelli accettati (patarini,
francescani). Tuttavia la stessa persecuzione nei loro confronti portò i v.
ad accostarsi a dottrine di altri eretici del tempo (soprattutto catari) come
il rifiuto del purgatorio, dei pellegrinaggi, del ricorso all'intercessione
dei santi, della venerazione delle reliquie. Molte di queste idee comunque
erano già stati espressi nel IX secolo dal vescovo Claudio di Torino, che i
v. considerano come un loro precursore. Inoltre, come i catari, i v.
recitavano preferibilmente il Padre Nostro, si erano divisi in perfetti (i
predicatori itineranti poveri e casti, denominati "barba") e uditori e
utilizzavano un battesimo per imposizione delle mani, sebbene, dal punto di
vista teologico, i v. rimasero profondamente cristiani, riconoscendo la deità
del Figlio, senza tentazioni dualiste come i catari. Successivamente, nel
1655, come si è già detto, la Chiesa Valdese aderì alla Riforma,
conformandosi ad una dottrina di ispirazione calvinista, riconoscendo solo
due sacramenti: il Battesimo e la Cena del Signore. Infine le singole
congregazioni sono oggigiorno gestite da un consiglio presieduto dal pastore
locale.
Giovanni di Ronco (o di Roncarolo) (XIII secolo) e Poveri
Lombardi
Nel XIII secolo il valdismo era ben radicato nel sud
della Francia, in Spagna e nel nord dell'Italia. Qui, in particolare in
Lombardia, i seguaci di Arnaldo da Brescia e un gruppo dissidente del
movimento degli Umiliati confluirono nel movimento valdese, assumendo nel
1205 il nome di Poveri Lombardi. Le due anime del valdismo ben presto
arrivarono ad una spaccatura nel movimento: i Poveri di Lione, francesi,
disdegnavano il matrimonio dei ministri del culto, il lavoro manuale e la
gerarchia interna, cosa che i Lombardi, più estremisti, accettavano, oltre ad
essere più severi dei francesi nel rigettare i sacramenti conferiti da
sacerdoti indegni. Essi avevano a capo il piacentino Giovanni di Ronco (o di
Roncarolo), un "illetterato" secondo gli scrittori dell'epoca, ma che aveva
preso posizione assumendo un ruolo quasi sacerdotale nel gruppo lombardo, in
contrasto con il gruppo dei Poveri di Lione, che non prevedevano questa
evoluzione della figura del predicatore valdese. Le caratteristiche del
valdismo italiano (matrimonio dei ministri del culto, lavoro manuale, rifiuto
dei sacerdoti indegni) influenzarono profondamente anche le frange di questo
movimento presenti nel nord dell'Europa (Germania, Austria, Boemia), per non
parlare, due secoli dopo, degli hussiti taboriti del 1420. Nel 1217
(secondo altri autori nel 1207) Valdo morì con l'amarezza di non essere
riuscito a mediare le divergenze dei due gruppi, che neppure una successiva
riunione organizzata a Bergamo nel 1218 poté appianare. Pare comunque che
neppure G. avesse partecipato alla suddetta riunione, essendo morto qualche
anno prima.
Lollardi (XIV-XV secolo)
Il nome di
lollardi venne dato ai seguaci di John Wycliffe e contraddistinse un
movimento eretico inglese del XIV e XV secolo.
Origine del
nome L'origine del nome è incerta: pare dall'olandese lollen, cantare o,
secondo alcuni autori, il soprannome, attribuito sarcasticamente ai lollardi
dai loro avversari cattolici, deriva dall'inglese to lollop,
camminare goffamente o to loll, sedere oziando.
Il movimento A
dir la verità, negli anni di Wycliffe, il termine di L. venne applicato
a diversi movimenti di dissenzienti religiosi, non necessariamente
wycliffiti, come ad esempio i begardi, i fratelli del libero spirito, i
singoli cavalieri in rotta con l'autorità della Chiesa, i parrocchiani che
non volevano pagare le decime, i seguaci del visionario gallese Walter
Brute, ecc. Dopo la morte di Wycliffe nel 1384, divenne il leader del
movimento il suo segretario, John Purvey, che approfittò della schizofrenia
del tirannico re Riccardo II (1377- deposto 1399), per rinforzare la
posizione del movimento, protetto da diversi esponenti della nobiltà. Egli
giunse anche a presentare nel 1395 al Parlamento un progetto di riforma della
Chiesa inglese, che fu ovviamente respinto, in dodici punti, che ricalcavano
i precetti di Wycliffe. Ma, in seguito alla deposizione di Riccardo da
parte di Enrico di Lancaster (il figlio di Giovanni, il protettore di
Wycliffe), divenuto re Enrico IV (1399-1413), la situazione per i L. cambiò
radicalmente in peggio. Infatti Enrico, per ringraziarsi la Chiesa, iniziò
una energica azione di soppressione del movimento L., contrassegnata
dall'Atto De Hæretico Comburendo (Del bruciare gli eretici) del 1401, che
permetteva ai vescovi di arrestare, imprigionare, torturare e consegnare al
braccio secolare gli eretici. Il primo L. a pagare con la vita
l'applicazione di questa legge fu il prete londinese William Sawtrey, che
dichiarò il suo rifiuto nel dogma della transustanziazione e nell'autorità
della Chiesa. Anche all'estero si reagì al movimento L.: in particolare in
Boemia, dove nel 1403 l'università di Praga condannò gli scritti di Wycliffe,
tradotte in boemo dai suoi seguaci. Nel 1408, il grande avversario del
movimento, l'arcivescovo di Canterbury Thomas Arundel, stabilì in un sinodo
ad Oxford le regole (costituzioni) per poter predicare in pubblico, tradurre
le Sacre Scritture e insegnare teologia nelle scuole. Infine nel 1415 fu
pronunciata postuma la condanna di Wycliffe per eresia al Concilio di
Costanza e nel 1428, dietro pressioni di Papa Martino V (1417-1431), il suo
corpo fu riesumato e bruciato sul rogo e le ceneri sparse nel fiume
Swift. Tuttavia, già da prima, nel 1414, i L., vista minacciata la
loro sopravvivenza, avevano organizzato una insurrezione armata per rapire il
re Enrico V (1413-1422), sotto il comando di Sir John Oldcastle,
l'anno precedente processato e imprigionato per eresia, ma che era riuscito
a fuggire dalla famigerata Torre di Londra per mettersi a capo degli
insorti. La chiamata alle armi dei L. fu un vero insuccesso e ben pochi
risposero all'appello: secondo alcuni autori solo 300, di cui 80 furono
catturati. Di questi 69 (altri autori riportano 44) furono messi a morte.
Oldcastle riuscì a sfuggire alla cattura per 3 anni, finché non fu catturato
nel 1417 e impiccato su una forca sotto la quale bruciava un fuoco
lento. La persecuzione del movimento continuò per altri due decenni fino ad
un nuovo tentativo di insurrezione organizzato dal L. William Perkins,
represso nel sangue, nel 1431. I L. continuarono a sopravvivere, ma anche
essere perseguitati fino quasi all'avvento della Chiesa d'Inghilterra nel
1534: perfino durante il regno di Enrico VIII (1509-1547) ne furono bruciati
sul rogo 2 nel 1511 e 4 nel 1522. Nel 1523 furono infine fatti oggetto di un
elogio di Erasmo da Rotterdam, che li definì "conquistati, ma non estinti", e
negli anni successivi furono gradualmente riassorbiti dal Protestantesimo
inglese, di cui avevano promosso le idee due secoli
prima.
Tyndale, William (ca. 1494-1536)
La
vita William Tyndale nacque nel 1494 ca. probabilmente vicino a Dursley,
nella contea inglese del Gloucestershire, da una modesta famiglia, il cui
cognome originario era Hychyns, ma William usò abitualmente il cognome
Tyndale della madre. Egli studiò all'università di Oxford, presso la
Magdalene Hall, ottenendo il baccalaureato in arti nel 1512 e il titolo di
maestro in arti nel 1515. Dopo la laurea, T. si trasferì a Cambridge e qui
simpatizzò con il gruppo di luterani (fondato da Thomas Bilney e
soprannominato Piccola Germania dalle loro simpatie per le dottrine del
riformatore di Wittenberg), che si riuniva alla locanda del Cavallo Bianco
(White Horse Inn). Del gruppo fecero parte religiosi agostiniani, come Robert
Barnes (1495-1540) e Miles Coverdale, e cattedratici dell'università, come lo
stesso Bilney e Hugh Latimer. In seguito ordinato prete, T. ritornò nella sua
contea di origine tra il 1521 ed il 1523, ma, sospettato di eresia lollarda,
decise di recarsi a Londra per cercare di convincere l'arcivescovo Cuthbert
Turnstall (1474-1559) a permettergli di tradurre la Bibbia in inglese. Avendo
ricevuto un netto e scortese rifiuto, T. prese la drastica decisione di
emigrare ad Amburgo, dove si mise all'opera coadiuvato dal frate ex
agostiniano (secondo altri, ex francescano) William Roye. I due tentarono
di pubblicare una prima versione della Bibbia a Colonia nel 1525, ma furono
bloccati dopo la stampa delle prime 80 pagine. Meglio andò a Worms, dove
finalmente nel febbraio 1526 fu pubblicato il primo Nuovo Testamento in
lingua inglese.
La Bibbia in volgare La fama di T. è infatti
soprattutto legata a questa traduzione in lingua inglese del Nuovo Testamento
direttamente dalla versione originaria in greco. Non era stato il primo a
tradurre la Bibbia: infatti precedentemente anche John Wycliffe aveva
provveduto alla traduzione in inglese di parti delle Sacre Scritture, ma la
sua traduzione si riferì al testo in latino di San Girolamo. T. invece
poté usufruire di diversi fonti di informazioni, rese disponibili in Europa
occidentale dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, fatto storico che
obbligò tanti studiosi greci ad emigrare in occidente, particolarmente in
Italia, portando con sé preziosi manoscritti. Così molti biblisti britannici,
soprattutto da Oxford, furono motivati ad imparare il greco antico, per poter
finalmente esaminare questi testi sacri direttamente alla fonte, senza tutte
le varie interpretazioni del periodo scolastico. Uno dei più famosi studiosi
fu John Colet (1467-1519), le cui conferenze influenzarono profondamente il
noto umanista Erasmo da Rotterdam. Erasmo pubblicò nel 1516 la sua versione
del Nuovo Testamento in greco, e da questa edizione fu preso lo spunto per
due traduzioni fondamentali per la storia della Riforma: la versione in
tedesco di Martin Lutero del 1522 e quella, appunto, in inglese di T. del
1525. La versione di T. arrivò in Inghilterra nel 1526 ed ebbe
un'accoglienza molto negativa da parte della Chiesa Inglese: l'influenza
luterana sull'autore era molto evidente, soprattutto nelle prefazioni di
alcune lettere di San Paolo, semplici traduzioni in inglese del testo
luterano. Autorità quindi come l'arcivescovo Turnstall, il grande filosofo
umanista Tommaso Moro (Thomas More) (1478-1535) e il cardinale e Lord
Cancelliere Thomas Wolsey (1474-1530) chiesero a gran voce l'arresto di T.
come eretico. Ma quest'ultimo continuava a produrre lavori, stampati sul
continente ed esportati di nascosto in Inghilterra, come Prologo all'Epistola
ai Romani (1526), Obbedienza di un uomo cristiano (1528) e La pratica dei
prelati (1530), tuttavia nel 1526 egli ritenne più prudente trasferirsi ad
Anversa sotto la protezione di un gruppo di mercanti luterani inglesi, che,
guarda caso!, facevano un notevole guadagno proprio dal contrabbando di
testi proibiti in Inghilterra. Poco dopo T., assieme a Miles Coverdale, si
mise al lavoro per la traduzione di tutto l'Antico Testamento in inglese, una
monumentale impresa che tenne occupati i due studiosi fino al
1531. Diversi di questi lavori fecero infuriare Enrico VIII d'Inghilterra
in persona, che non lesinò alcun sforzo per far arrestare
lo stampatore/traduttore di Dursley, che oltretutto si era permesso
di contestare le ragioni del re per il suo divorzio da Caterina
d'Aragona. Infine nel 1534, con revisione nel 1535, T. pubblicò ad Anversa le
sua versione riveduta del Nuovo Testamento, ma questo fu il suo canto del
cigno. Poco dopo infatti, una spia inglese, tale Henry Phillips, entrò in
amicizia con T. e nel maggio 1535, carpendo la sua buona fede, riuscì a farlo
uscire dal territorio sotto il controllo diplomatico dei mercanti
inglesi, consegnandolo al Procuratore Generale, che lo fece arrestare e
inviare alla fortezza di Vilvorde, vicino a Bruxelles. Nonostante gli
interventi dell'amico e mercante inglese Thomas Poyntz ( lui stesso
arrestato, ma che riuscì poi ad evadere) e, dall'Inghilterra, del Lord Gran
Ciambellano Thomas Cromwell e dell'arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer,
T. fu rapidamente processato e condannato al rogo. Il 6 ottobre 1536 T. fu
condotto sul luogo dell'esecuzione, dichiarato decaduto del titolo di prete e
strozzato come atto di clemenza, prima dell'accensione della pira, che bruciò
il suo corpo senza vita.
Ironia della sorte, pochi mesi dopo la sua
morte, lo stesso Enrico VIII autorizzò la prima traduzione ufficiale della
Bibbia, denominata Bibbia di Matteo, che incorporò la maggioranza delle
traduzioni fatte da T. e perfino nel 1611, quando venne dato alle stampe la
versione autorizzata dalla regina Elisabetta I, le traduzioni di T. formavano
vaste parti del testo.
Pradas Tavernier (perfetto cataro) (inizio XIV
secolo)
Pradas Tavernier, un "perfetto" francese, apprese la
dottrina catara, recandosi in Lombardia alla fine del XIII secolo, assieme ai
fratelli Authier e a Amelio de Perles. La Lombardia, infatti, era
diventata il centro di riferimento per il catarismo, dopo le violenti
repressioni nel sud della Francia degli anni 1209-1244. P. fece, quindi,
parte del revival del catarismo, moralmente meno rigoroso dell'inizio del
movimento e caratterizzato da un maggior impiego dell'endura, il suicidio
volontario per digiuno compiuto spesso quando la scarsità di "perfetti"
poteva rendere impossibile una seconda cerimonia di Consolament, se fosse
stata necessaria.
Girolamo di Praga (ca.
1370-1416)
Girolamo di Praga nacque a Praga nel 1370 ca. e studiò
nella locale Università, subendo l'influenza del predicatore riformatore Jan
Hus. Nel 1398 G. ricevette il titolo di Baccelliere in arti e in seguito
partì per Oxford, in Inghilterra, per completare gli studi di teologia.
Questo viaggio di studio era particolarmente in voga presso i giovani
studenti boemi, in particolare dopo che una prima delegazione si era recata
in Inghilterra al seguito della principessa Anna di Boemia, andata in sposa
a Riccardo II. Anche G., come i suoi predecessori, rimase colpito dagli
insegnamenti di John Wycliffe e non mancò di diffonderli in patria al suo
ritorno nel 1401. Tuttavia non rimase a lungo in Boemia, affrontando un
pellegrinaggio a Gerusalemme nel 1403 e successivamente diventando docente
all'Università Sorbona di Parigi nel 1405 e alle università tedesche di
Colonia e Heidelberg nel 1406: da tutte queste città egli fu espulso per le
sue idee eterodosse allineate sulle posizioni di Wycliffe e per le spietate
denunce della corruzione dilagante nella Chiesa Cattolica. Rientrò a Praga
nel 1407 e collaborò con Hus, organizzando dibattiti pubblici e proponendo di
riformare radicalmente la Chiesa Cattolica. Nel 1410, nuovamente insistendo
sulle sue posizioni all'Università di Vienna fu imprigionato con l'accusa di
eresia, ma riuscì a fuggire, ma evidentemente non aveva imparato la lezione
se, ancora nel 1413, invitato dal re di Polonia, Ladislao II (1386-1434) a
riorganizzare l'Università di Cracovia, ne fu espulso per gli stessi
motivi. Nel frattempo, aveva organizzato nel 1412, insieme a Hus, una
protesta contro l'antipapa Giovanni XXIII per la decisione di finanziare la
guerra contro il papa Gregorio XII mediante la vendita delle indulgenze:
questa posizione scatenò la reazione di Giovanni XXIII, che scomunicò
Hus. La bolla papale di scomunica fu bruciata in piazza durante
una manifestazione popolare, ma tre seguaci di Hus furono arrestati e
decapitati per ordine del re Venceslao. G. in persona guidò la processione
funeraria dei corpi dei tre condannati alla Cappella di
Betlemme. Caratterialmente G. fu sempre generoso, ma molto impulsivo: si
racconta a riguardo una serie di episodi molto significativi: aveva preso a
pugni un frate, a momenti accoltellato un secondo e infine gettato nel
turbolento fiume Vltava un terzo religioso, reo di predicare a favore delle
indulgenze. Tuttavia la sua generosità gli costò cara, quando nel 1415,
contro il parere di amici e seguaci, egli si recò al Concilio di Costanza per
difendere le idee dell'amico Hus. Dopo la condanna al rogo di quest'ultimo
il 6 Luglio 1415, vista la malaparata, G. riuscì a fuggire dalla città
nottetempo per tornare in Boemia, ma la sua fortuna si esaurì in Baviera dove
fu riconosciuto, arrestato e rispedito a Costanza in catene. Qui G.
pubblicamente ricusò le sue precedenti idee, ma gli inquisitori,
non fidandosi del suo pentimento, lo lasciarono letteralmente a marcire
in prigione per quasi un anno. Il 16 Maggio 1416 G. fu richiamato davanti
al tribunale, dove egli ritrattò il precedente atto di
pentimento, giustificandolo con una momentanea paura della morte. Nonostante
una appassionata difesa, G. fu accusato di essere un eretico relapsus (cioè
che aveva ritrattato) e venne bruciato sul rogo il 30 Maggio 1416. G.
viene considerato, assieme a Hus, uno dei primi martiri della
Riforma Protestante.
Prassea (attivo fine II secolo - inizio III
secolo)
Prassea, considerato il fondatore del monarchianismo
modalista, era un confessore nato in Asia Minore nella seconda metà del II
secolo ed inquisito per la sua fede cristiana, ma che riuscì a sopravvivere
alle persecuzioni. Nel 190 ca., forte del prestigio acquisito come difensore
della fede, egli si trasferì a Roma, dove ebbe una certa influenza sui papi
Vittore I (189-198) e Zefirino (198-217) nella lotta contro gli adozionisti
di Teodato di Bisanzio, scomunicati da Vittore nello stesso anno e contro i
montanisti, scomunicati da Zefirino nel 202/203. In quest'ultimo
confronto, P. si tirò addosso le ire di Tertulliano (155-222), simpatizzante
montanista, che scrisse un violento libello contro P. e le sue supposte
dottrine, chiamato Adversos Praxean. Secondo alcuni autori, tuttavia, è
ancora tutto da dimostrare il coinvolgimento di P. nella polemica modalista e
si sospetta che il tutto possa essere stata una vera e propria campagna
denigratoria orchestrata da Tertulliano per togliere credibilità ad uno dei
più strenui oppositori del movimento montanista. Comunque, nonostante
l'attacco di Tertulliano, P. non subì alcuna persecuzione o scomunica durante
i pontificati di Vittore I e di Zefirino.
Pelagio Britannico (ca.
360-420) e pelagianismo e predestinazionismo
Può l'uomo salvarsi
con le sue sole forze, senza la Grazia divina o è predestinato alla salvezza
o alla dannazione eterna? Questo dilemma, ricorrente nella storia del
pensiero Cristiano (basti solamente pensare al dibattito nell'ambito del
Protestantesimo), fu posto, per primo, dal monaco britannico
Pelagio.
La vita Pelagio Britannico, di nome e di fatto poiché era
nato in Britannia nel 360 ca., fu un monaco teologo di grande cultura,
vissuto a Roma almeno dal 400, altamente rispettato da molti personaggi
dell'epoca, tra cui quel Sant'Agostino, che tuttavia diventò in seguito il
suo acerrimo avversario. A Roma egli conobbe Celestio, un uomo di legge di
origini nobili, diventato suo amico e con il quale P. fuggì, in seguito
all'invasione e sacco di Roma da parte dei Goti di Alarico nel 410. I due si
rifugiarono dapprima ad Ippona, in Nord Africa, e poi a Cartagine, dove
rielaborarono la dottrina del pelagianismo. Durante il suo soggiorno in
Africa, P. conobbe solo occasionalmente il suo futuro avversario,
Sant'Agostino, impegnato all'epoca nella disputa contro
i donatisti. Successivamente, P. si trasferì in Palestina, mentre
Celestio, rimasto in Nord Africa, fu condannato dal sinodo di Cartagine nel
411 per le sue dottrine. In Palestina P. produsse svariati scritti, alcuni
dei quali ci sono giunti: una lettera alla nobile romana Demetria, residente
a Cartagine, contenente i principi della sua filosofia e un lavoro, De
natura, del 415, condannato da Sant'Agostino nel suo De natura et
gratia. Nel luglio del 415 San Girolamo e Paolo Orosio, un prete spagnolo,
discepolo di Sant'Agostino, cercarono di far condannare P. da parte di un
sinodo a Gerusalemme, presieduto dal vescovo della città, Giovanni, ma
sia l'atteggiamento di quest'ultimo, favorevole al pelagianismo, che
l'ottima autodifesa di P. fecero sì che il sinodo non prendesse alcuna
decisione rimandando il tutto a Papa Innocenzo I (401-417). Simile
risultato ebbe un ulteriore sinodo nel dicembre dello stesso anno
a Diospolis, convocato in seguito alla denuncia dei vescovi francesi, Ero
di Arles e Lazzaro di Aix. Tuttavia l'offensiva degli ortodossi fu senza
sosta: l'anno successivo, nell'autunno del 416, furono convocati ben due
sinodi, il primo a Cartagine, con la presenza di 67 vescovi ed il secondo a
Milevi (in Numidia) con la presenza di 59 vescovi. Entrambi condannarono il
pelagianismo e i relativi atti, rinforzati da una lettera di Sant'Agostino e
di altri 4 vescovi, furono inviati a Papa Innocenzo I per l'avvallo. Il papa,
pur precisando la suprema autorità di Roma nelle decisioni in materia
dottrinale, in un sinodo a Roma nel 417 condannò il
pelagianismo. Tuttavia, quando tutto sembrò volgere al meglio per gli
ortodossi, il papa Innocenzo I morì ed il suo successore Zozimo (417-418)
venne, in un incontro, abilmente convinto da Celestio, dell'ortodossia del
pelagianismo: il papa prosciolse la dottrina da ogni accusa, anzi addirittura
tirò pure le orecchie a Sant'Agostino e ai vescovi africani per la
precipitazione delle loro decisioni. Successivamente, Zozimo corresse il
tiro, dando ai vescovi il tempo per portare, davanti a lui, le prove
dell'eresia pelagiana. Per ottemperare a questa disposizione papale, fu
convocato il sinodo di Cartagine del 418, dove, in presenza di 200 vescovi,
furono stabiliti otto (o nove) dogmi di confutazione del pelagianismo,
riaffermando il peccato originale, il battesimo degli infanti, l'importanza
della grazia divina ed il ruolo dei santi. Tutti questi dogmi, avvallati da
Papa Zozimo, sono poi diventati articoli di fede per la Chiesa
Cattolica. Inoltre, in seguito al sinodo di Cartagine, anche l'imperatore
Onorio (395-423) scese in campo a fianco degli ortodossi, emanando nel 418
un ordine di espulsione dal territorio italiano per tutti i pelagiani e
per coloro che non approvassero, controfirmandola, l'enciclica di condanna
del pelagianismo Epistola tractoria, inviata da Zozimo a tutti i vescovi:
furono costretti all'esilio Celestio e Giuliano vescovo di Eclano (vicino
a Benevento in Campania). L'ordine non colpì P., che ormai da tempo
risiedeva in Palestina e dove probabilmente morì nel 420 ca.
La
dottrina La dottrina di P. venne da lui sviluppata come reazione al
monachesimo ascetico di San Girolamo e al fatalismo manicheo, molto diffuso
all'epoca: si pensi che anche Sant'Agostino stesso era stato manicheo in
gioventù. Secondo P., gli uomini non erano predestinati (concetto di
Sant'Agostino elaborato da una sua interpretazione molto personale del
pensiero di San Paolo), ma potevano, invece, solamente con la propria volontà
(liberum arbitrium) e per mezzo di preghiere ed opere buone, evitare il
peccato e giungere alla salvezza eterna: non era necessario l'intervento
della Grazia divina. Questo concetto, comunque, non era nuovo, essendo già
stato abbozzato dal grande teologo Origene all'inizio del III secolo, e la
conseguenza di questo revival fu che l'origenismo stesso fu condannato nel
401 dal vescovo di Alessandria, Teofilo. Il pelagianismo inoltre negava la
trasmissione del peccato originale, che aveva danneggiato solo Adamo e non
tutto il genere umano, anche se sembra che questo concetto sia stato per
primo introdotto da un tale Rufino il Siriano, aderente alla setta, e solo
successivamente ripreso da P. Poiché non sussisteva il peccato originale, il
battesimo era visto da P. come un momento di accoglimento nella Chiesa:
tuttavia, se il bambino moriva senza battesimo, veniva ugualmente accolto in
paradiso. Il punto sul peccato originale venne vigorosamente contestato
da Sant'Agostino, convinto assertore che il peccato originale fosse
ereditario e collegato all'atto sessuale (il furore sessuofobico di Agostino
era leggendario), quindi "siamo tutti peccatori". Le idee pessimistiche di
Agostino, molto influenzate da una visione di tipo manicheo, trionfarono
sulla scelta umana di P. e influenzarono il Cristianesimo per secoli. Del
resto la libertà di decisione data all'uomo da P. mal si sposava con
un apparato ecclesiastico, che non aveva altrimenti ragione di esistere, se
non di aiutare l'uomo, perenne peccatore, ad evitare la dannazione
eterna.
Il pelagianismo dopo la morte del fondatore Dopo la morte
di Pelagio nel 420 ca., il bastone del comando fu preso soprattutto da
Giuliano, vescovo di Eclano, che, dal suo esilio in oriente, si impegnò in
una disputa decennale con Sant'Agostino. Tuttavia, un fatto alquanto
imprevedibile segnò il destino dei pelagiani: il supporto dato loro dal
patriarca di Costantinopoli, Nestorio. Quando il nestorianesimo venne
condannato dal Concilio di Efeso del 431, anche il pelagianismo seguì la
stessa sorte e fu perseguitato in Oriente dall'imperatore Teodosio II
(408-450) fino alla sua estinzione. In Occidente esso sopravvisse più a lungo
nelle isole Britanniche, particolarmente in Galles ed in Irlanda, ed in
Gallia, dove fu rielaborata dal monaco Giovanni Cassiano nella forma del
semi-pelagianismo, condannato dal II sinodo di Orange del
529.
Predestinazione, polemiche calviniste sulla (inizio XVII
secolo)
All'inizio del XVII secolo si sviluppò, nell'interno
della chiesa calvinista, un acceso dibattito sulla teoria della
predestinazione, sviluppata da Giovanni Calvino. In pratica si
confrontarono quattro scuole di pensiero: il supralapsarianismo,
l'infralapsarianismo, l'amyraldismo e
l'arminianismo.
Supralapsarianismo Il supralapsarianismo, o
antelapsarianismo, pensiero minoritario nella galassia calvinista ma
preferito (con varie sfumature) da Theodore di Béze, Gisbertus Voetius e
Franz Gomar, era la forma estrema della dottrina di Calvino sulla
predestinazione, in cui si credeva che Dio avesse deciso la salvezza o la
dannazione degli individui prima ancora della caduta di Adamo. Il decreto di
predestinazione (cioè il fine) era avvenuto prima (supra) del decreto della
creazione e il decreto che aveva permesso la caduta (lapsus) era il mezzo
necessario per ottenere il suddetto
fine.
Infralapsarianismo L'infralapsarianismo, o sublapsarianismo
o post-lapsarianismo, dottrina dominante del calvinismo e secondo alcuni
autori la forma preferita da Calvino stesso (tuttavia altri propendono che il
ginevrino fosse supralapsariano), teorizzava invece che, solo dopo la caduta
dell'uomo, Dio avesse deciso chi doveva salvarsi e chi no. Egli quindi,
quando aveva operato la Sua scelta, già poteva contemplare i non eletti come
dannati, coloro che poi si sarebbero persi per i loro peccati. Nelle
principali confessioni di fede delle chiese riformate viene solitamente
ribadita questa forma dottrinale o, perlomeno, non vengono prese posizioni
nette a favore dell'una o dell'altra
tesi.
Amyraldismo L'amyraldismo, dottrina sviluppata dal teologo
calvinista francese Moise Amyraut, e contrastata da Francesco Turrettini, si
basa su un complesso concetto denominato universalismo ipotetico o
condizionale: la volontà, cioè, di Dio di salvare tutti a condizione che essi
credano. Implicita in questa volontà è l'affermazione che, se una persona non
crede, allora Dio non vuole, in pratica, la sua salvezza, cioè senza la
condizione della fede, la salvezza procurata dall'espiazione di Cristo non è
disponibile. A. infatti ipotizzava che erano stati stillati tre patti tra Dio
e l'uomo: il patto della Natura con Adamo, che richiedeva l'obbedienza alla
legge implicita nella Natura; il patto della Legge con Israele, che
richiedeva l'obbedienza alla legge scritta; il patto con la Grazia di Dio,
che constava di: a) una parte condizionata tra Dio e tutta l'umanità basata
sulla grazia universale, e b) una parte non condizionata tra Dio e gli eletti
basata sulla grazia speciale. Quindi, rispetto all'infralapsarianismo,
l'a. prevede che Dio provveda alla salvezza di tutti, ma il problema è che
non tutti possono rispondere alla chiamata a causa del potente effetto
corruttore del peccato. L'universalismo era dunque ipotetico o ideale, mentre
il particolarismo nel discriminare gli eletti era reale e il risultato
pratico finale dell'amyraldismo diventava simile alle altre dottrine
calviniste: la fede diventava una concessione che Dio faceva solamente agli
eletti, cioè a quelli destinati alla
salvezza.
Arminianismo Nettamente diversa, quindi, dalle altre
dottrine calviniste, l'arminianismo credeva che Dio avesse dato all'uomo la
libera scelta di accettarLo o di rifiutarLo. Quindi dopo la caduta dell'uomo,
Dio aveva provveduto per la salvezza di tutti: egli aveva deciso di chiamare
a sé, ma solo chi credeva avrebbe potuto salvarsi, attraverso i meriti
dell'azione di Cristo e per mezzo della Grazia dello Spirito
Santo. Infatti, da una parte, Cristo era morto per tutti, ma solo i
credenti potevano avere la remissione dei peccati, mentre dall'altra era
necessaria la mediazione della Grazia dello Spirito Santo, senza la quale non
era possibile per l'uomo capire, volere e compiere il bene. Quindi tutte
le buone azioni dell'uomo dovevano essere riferite alla Grazia, che però
non era irresistibile: era infatti sempre possibile per il credente
perderla. I seguaci di Arminio, detti rimostranti per il tono con cui
proposero nel 1610 la loro dottrina agli Stati Generali olandesi, furono
perseguitati e le dottrine dell'a. condannate dal concilio di Dort
(Dordrecht) del 1618-19. Contro l'a., infatti, al suddetto concilio furono
elaborati i seguenti cinque punti del calvinismo, denominati Canone di Dort e
noti, nella letteratura anglosassone, con l'acronimo di TULIP (tulipano),
ottenuto con la lettera iniziale (in inglese) di ogni punto: Depravazione
totale (l'uomo caduto in peccato non era assolutamente in grado di
salvarsi). Elezione non condizionata (la volontà di Dio di salvare gli eletti
non poteva essere assolutamente condizionata dall'uomo). Espiazione
limitata (l'espiazione attraverso la morte di Cristo era sufficiente a
salvare tutti gli uomini, ma efficace solo per gli eletti) Grazia
irresistibile (gli eletti non potevano resistere al dono della grazia, dato
dallo Spirito Santo). Perseveranza dei santi (coloro che sono stati
rigenerati e giustificati persevereranno nella
fede).
Presbiterianesimo
Forma di organizzazione
ecclesiastica basata sul governo degli affari religiosi da parte di
presbiteri religiosi e laici e contrapposta all'episcopato (governo di
vescovi) e al congregazionalismo (governo di congregazioni locali). Dal
punto di vista dottrinale, il p. aderisce al pensiero calvinista, e considera
la Bibbia come massimo standard di fede e pratica, sebbene i suoi adepti, in
Inghilterra, adottino la Confessione di Westminster (e il Catechismo
relativo), ratificata dall'assemblea generale della Chiesa di Scozia nel 1647
e approvata dal parlamento inglese nel 1648. Dal punto di vista
organizzativo, il p. prevede una serie di livelli gerarchici, che vanno dal
concistoro, formato dagli anziani e dai ministri del culto, al presbiterio,
al sinodo, fino all'assemblea generale.
Storia Il p. si sviluppò
con la nascita del calvinismo, soprattutto nelle Isole Britanniche.
Precedentemente l'unico esempio di chiesa presbiteriana fu quella protestante
olandese, che tuttavia non si rese indipendente dallo stato fino alla metà
del XIX secolo. In Scozia, la Chiesa di Scozia (denominazione ufficiale:
Church of Scotland), la più estesa, fu fondata da John Knox nel 1560 ed è
oggi l'unica chiesa p. stabilita per legge, mantenendo comunque la sua
indipendenza dallo stato. Conta oggigiorno 641.000 membri. In
Inghilterra i p. ebbero il loro momento di gloria durante il periodo
di Oliver Cromwell (1599-1658). Successivamente il loro movimento si spezzò
in varie branchie, che solo nel 1876 si sono riunite nella Chiesa
Presbiteriana d'Inghilterra. Quest'ultima si è recentemente (1972) fusa
con la Chiesa Congregazionalista in Inghilterra e Galles per formare la
United Reformed Church in Great Britain (Chiesa Riformata Unita in Gran
Bretagna) (150.000 aderenti). Più successo hanno
avuto i p. in Irlanda (soprattutto nel Ulster) con la Presbyterian Church in
Ireland (Chiesa Presbiteriana in Irlanda) (300.000 membri).
Presbiterianesimo
in Stati Uniti Più complessa è stata la storia del p. in Stati Uniti,
iniziata tra la fine del XVII e l'inizio del XVIII secolo nel New England,
della cui storia i p. hanno svolto una parte attiva, fondando tra l'altro la
nota Princeton University. Oggigiorno, dopo una impressionante serie di
fusioni e divisioni, l'organizzazione più numerosa è la Presbyterian Church
(U.S.A.), con circa 3.700.000 fedeli. Altre chiese p.
americane sono la Presbyterian Church in America (270.000 fedeli e la Cumberland
Presbyterian Church.
Il p., che
rappresenta oggigiorno il 2.8% della popolazione statunitense, ha comunque
dato alla storia americana almeno sette presidenti: Andrew Jackson, James
Buchanan, Grover Cleveland, Benjamin Harrison, Woodrow Wilson, Dwight D.
Eisenhower e Ronald Reagan. Altri due presidenti sono cresciuti come p. ma in
seguito si sono convertiti al metodismo: James Knox Polk e Ulysses
S. Grant.
Altri paesi e a livello mondiale Il p. è presente
inoltre, in forma minore, in altri paesi, come Ungheria, Olanda, Svizzera e
Francia. Nel 1970 l'Alleanza Mondiale delle Chiese Riformate e Presbiteriane
si è fusa con il Concilio Internazionale Congregazionale per formare la
World Alliance of Reformed Churches (alleanza mondiale delle chiese
riformate),
Unitarianismo (o unitarismo o antitrinitarismo) (XVI - XVII
secolo)
Termine teologico per indicare la fede nell'unicità di
Dio e nella contemporanea negazione del dogma della Trinità. Ne consegue
anche la negazione della divinità di Cristo. L'unitarianismo è stato, a
parte l'anabattismo, la terza grande alternativa nella galassia protestante,
oltre al luteranesimo e allo zwinglianismo/calvinismo.
La
storia La dottrina dell'unitarianismo viene fatta tradizionalmente risalire
agli inizi del Cristianesimo, ed in particolare agli eretici del periodo
intorno al Concilio di Nicene (325), come Ario (infatti gli unitariani
furono proprio chiamati ariani dai loro detrattori), Paolo di Samosata, Noeto
di Smirne, Prassea e Sabellio. Nel medioevo il concetto antitrinitario
non scomparì del tutto, ma rimase nella filosofia di Abelardo e
Roscellino. Venendo al periodo rinascimentale, i primi studiosi ad aver
espresso concetti antitrinitari furono nel 1527 Martin Borrhaus (nome
umanistico: Cellarius) (1499-1564), amico di Martin Lutero, e il predicatore
anabattista Ludwig Haetzer (1500-1529), ma fu soprattutto la pubblicazione a
Hagenau, in Alsazia, nel 1531, del famoso libro De trinitatis erroribus (Gli
errori sulla Trinità) del medico spagnolo Miguel Servet (Michele Serveto) a
gettare nello scompiglio i più famosi pensatori protestanti dell'epoca, da
Lutero ("un libro abominevolmente malvagio") a Melantone, Ecolampadio,
Bucero. Quest'ultimo tuonò dal proprio pulpito che l'autore avrebbe meritato
di essere squartato! E proprio in seguito alla pubblicazione di questo
libro tutti i riformatori dell'epoca decisero di rinforzare
l'importanza dottrinale della Santa Trinità. Dopo una vita tribolata da
continue persecuzioni, Serveto finì i suoi giorni, messo al rogo a Ginevra
nel 1553 da un altro dei pensatori riformisti, che più lo detestavano,
Giovanni Calvino. Ma la morte di Serveto fece levare moltissime voci di
protesta, tra cui quelle dei protestanti italiani Giovanni Valentino Gentile,
Matteo Gribaldi Mofa, Giorgio Biandrata e Giovanni Paolo Alciati della Motta,
i quali furono costretti ad emigrare da Ginevra, portando, pur con sfumature
diverse, i germi della dottrina antitrinitaria soprattutto dal 1560
nell'Europa orientale, cioè in Polonia, Moravia e
Transilvania.
Antitrinitari in Polonia Qui le dottrine
antitrinitarie non erano totalmente sconosciute, tant'è vero che già nel 1538
una anziana donna di 80 anni, Caterina Weygel (o Vogel), era stata bruciata
sul rogo a Cracovia per una sospetta eresia antitrinitaria. Ma sotto il regno
di Sigismondo II Augusto (1543-1572) si crearono le premesse per lo sviluppo
delle idee antitrinitarie in Polonia. L'antesignano fu Petrus Gonesius (Piotr
Z Goniazde), che aveva studiato a Padova nel 1552-54 con Gribaldi Mofa e da
lui era stato convertito. Già nel secondo sinodo della Chiesa Riformata
Polacca (fondata da Jan Laski) del 1556, Gonesius espresse forti concetti
antitrinitari, ma fu solo con l'arrivo di Giorgio Biandrata e di Lelio
Sozzini nel 1558 che la corrente unitariana trovò dei veri leader e formò una
comunità, soprattutto di esuli italiani, a Piñczòw vicino a
Cracovia. Tuttavia, poco dopo, ci fu per loro un durissimo colpo quando i
cattolici, rappresentati dal nunzio apostolico cardinale Giovanni Francesco
Commendone (1523-1584), convinsero il re Sigismondo II Augusto ad emettere
nell'agosto 1564 l'editto di Parczów, che stabiliva l'espulsione di tutti gli
stranieri non cattolici. Agli antitrinitari italiani, compreso il famoso
ex vicario generale dei Cappuccini, Bernardino Ochino appena giunto in
Polonia, non restò che emigrare in Moravia o in
Transilvania.
L'esilio in Moravia Il margraviato di Moravia, pur
facendo parte dei possedimenti assurgici, godeva di una ampia autonomia,
anche in campo religioso. Un esempio pratico fu l'accoglienza positiva
riservata per le comunità di anabattisti, guidati da Balthasar Hübmaier e
Jakob Hutter, perseguitati senza pietà in tutto il resto
dell'Europa. Austerlitz (Slavkov in ceco), in particolare, fu una città dove
fecero capo diverse correnti religiose dissidenti, compresi gli
antitrinitari: nel 1564, scacciati dalla Polonia in seguito all'editto di
Parczów, un gruppo di antitrinitari italiani, comprendente Niccolò Paruta
(che formò in seguito delle comunità denominate seminaria veritas), Gentile,
Alciati della Motta, Ochino, si recò nella città morava. Furono seguiti nei
successivi anni da altri dissidenti come Marcello Squarcialupi, Andrea
Dudith-Sbardellati e Niccolò Buccella, che man mano, con il miglioramento
della situazione polacca, decisero di rientrare in
Polonia.
Ripresa delle attività in Polonia Già dopo la dieta di
Piotrków della Chiesa Riformata Polacca del 1564 che decretò l'esclusione
degli antitrinitari, ci fu una separazione tra una ecclesia major calvinista
ed una ecclesia minor di fede antitrinitaria. Gli antitrinitari, in quel
periodo, si erano frazionati in quattro correnti, qui riassunti dal nome dei
capi-scuola: Stanislao Farnowski (Farnovius, m.1615): come Gonesio, i suoi
seguaci pensavano che Cristo era pre-esistito alla creazione del mondo e
quindi era giusto adorarlo, ma non adottavano la stessa venerazione per lo
Spirito Santo. Erano inoltre contrari al battesimo degli infanti. Nel 1568
il gruppo di Farnowski si separò dalla chiesa unitariana
polacca, concentrandosi in una zona a cavallo del confine con l'Ungheria.
La secessione durò circa 50 anni e, dopo la morte del loro leader, i
suoi seguaci vennero riassorbiti dagli unitari o dai calvinisti. Martin
Czechowic: egli era un ariano molto radicale: Cristo era un uomo come gli
altri, ma essendo nato senza peccato, fu divinizzato e era giusto adorarlo.
Prendendo, come Gonesio, dagli anabattisti, Czechowic si opponeva al
battesimo dei bambini, all'uso delle armi, al coinvolgimento in
incarichi pubblici e alla proprietà privata. Grzegorz Pawel: il gruppo di
Cracovia di Pawel negava sia la pre-esistenza di Cristo, sia la necessità di
adorarlo. Come Gonesio e Czechowic, Pawel aveva convinzioni anabattiste e in
più era un millenarista. Szymon Budny: per Budny Cristo era un uomo ed era
idolatria adorarlo. Venne scomunicato nonostante il suo vasto seguito in
Lituania. Un punto di svolta fondamentale per l'ecclesia minor fu l'arrivo in
Polonia nel 1579 di Fausto Sozzini, nipote di Lelio, che divenne ben presto
la guida di tutti gli antitrinitariani locali. Socini pose la sua
residenza a Cracovia, sebbene il centro di riferimento per l'unitarismo
polacco fosse la vicina cittadina di Raków, dove era stato fondato un
seminario di studi antitrinitari nel 1569 e dove, tra il 1603 ed il 1605,
sarebbe stato redatto il catechismo ufficiale della setta. Nello stesso
periodo Socini entrò nella polemica tra gli adoranti (al cui pensiero lui
aderiva) e i non-adoranti, come Ferenc Dàvid, Giacomo Paleologo, Jànos Sommer
e Andrea Dudith Sbardellati. (vedi capitolo "Antitrinitari in
Transilvania"). Socini, con il suo De Jesu Christi filii Dei natura sive
essentia, attaccò i non-adoranti come giudaizzanti, che volevano, tra
l'altro, santificare il sabato, secondo un uso sabbatariano, che si sarebbe
poi diffuso in Inghilterra, portatovi proprio dagli unitariani profughi dalla
Polonia. Il pensiero di Socini, fortemente razionale, accettava un solo Dio,
mentre Gesù Cristo era semplicemente un uomo crocefisso, il cui compito era
di rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così la
salvezza, seguendo il Suo esempio. Per lui la Sacra Scrittura, redatta da
uomini, non era indenne da errori, e l'uomo doveva basarsi sulla propria
etica per osservare i comandamenti e non era quindi necessaria la grazia
divina. Egli, inoltre, negava l'esistenza dell'inferno, il peccato originale,
la necessità dei sacramenti, la predestinazione. Un bel programma in un
secolo caratterizzato dal fanatismo religioso degli opposti
estremismi! Nel 1588 Socini riuscì nell'impresa di unire tutte le fazioni
unitariane al sinodo di Brest (in suo onore, da quel momento gli unitariani
si denominarono sociniani), ma negli anni successivi dovette fronteggiare
la reazione, anche di piazza, dei cattolici: nel 1591 il suo punto d'incontro
a Cracovia fu devastato dalla folla e nel 1598 Socini stesso fu
malmenato, scampando per poco ad un linciaggio. Egli morì nel 1604 e sulla
sua tomba vennero scritte queste significative parole: Crolli la superba
Babilonia: Lutero ne distrusse i tetti, Calvino le mura, Socini le
fondamenta. Pochi anni dopo, nel 1610, la potente organizzazione gesuita
sbarcò in Polonia decretando il rapido declino degli unitariani in Polonia:
nel 1611 fu bruciato sul rogo a Varsavia l'unitariano Jan Tyskiewicz, un
agiato cittadino di Bielsk, e nel 1638 i sociniani furono espulsi da Raków e
ne fu chiuso il seminario. Il colpo finale per l'unitarismo in Polonia fu
il bando di espulsione per tutti gli unitariani polacchi, deciso nel 1658 e
diventato esecutivo il 10 luglio 1660, che li costrinse o ad uniformarsi o ad
emigrare in altri paesi europei (in Olanda, dove la maggior parte si trasferì
aderendo alla Chiesa Arminiana dei rimostranti, in Germania, e in
Transilvania, dove però essi non aderirono alla Chiesa Unitariana
Transilvana, ma formarono una chiesa autonoma a Kolozsvàr estinguendosi nel
1793). L'ultima sacca di resistenza unitariana in Polonia si estinse nel 1811
e solo nel 1921 furono riaccettate le congregazioni unitariane nella
nazione rinata dopo secoli di dominazione straniera. Ma la successiva
occupazione nazista nel 1939 e l'instaurazione del comunismo ha fatto sì
che l'unitarianismo polacco potesse incominciare a muovere nuovamente
qualche timido passo solamente dopo la caduta del muro di Berlino, negli anni
'90 del XX secolo. L'attuale Chiesa unitariana in Polonia comprende solo
qualche centinaio di fedeli.
Antitrinitari in Transilvania Nel
1562 Giorgio Biandrata si recò in Transilvania, a Gyulafehérvár (Alba Julia),
dove fece la conoscenza e divenne amico di Ferenc Dàvid, vescovo della Chiesa
Riformata di Transilvania e cappellano personale del principe Giovanni II
Sigismondo Zapolya (1541-1571). Biandrata fece leggere a Dàvid una copia
della famosa Christianismi restitutio (La restaurazione del Cristianesimo) di
Miguel Serveto, convertendolo all'antitrinitarismo. Il successivo sinodo
nazionale a Gyulafehérvár del 1566 risultò un trionfo per gli antitrinitari,
sottolineato dalla pubblicazione del libro di Dàvid De vera et falsa unius
Dei, Filii et Spiritus Sanctii cognitione (Della falsa e vera conoscenza
dell'unità di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo), nel quale il riformatore
transilvano ridicolizzava la dottrina della Trinità e perorava la causa della
tolleranza religiosa per tutte le fedi. Questo discorso venne poi ripreso
durante la Dieta di Torda nel gennaio 1568, dove Giovanni II Sigismondo
Zapolya riconobbe la piena libertà a tutte le confessioni religiose: fu la
prima dichiarazione, al mondo, di tolleranza religiosa mai pronunciata da un
regnante. Oltre a questo, il re aderì apertamente all'unitarismo con molti
nobili della corte e Dàvid divenne il capo della Chiesa Unitariana di
Transilvania. Nel 1570 Dàvid entrò in contatto, e ne fu influenzato, con lo
studioso italo-greco Giacomo Paleologo e il suo discepolo locale, il rettore
del ginnasio di Kolozsvár, János Sommer (1540-1574). Paleologo polemizzava
con un altro famoso antitrinitario, Fausto Socini, a riguardo della figura
di Gesù Cristo, che, per il Socini, era un vero uomo crocefisso, il cui
compito era di rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così
la salvezza, seguendo il Suo esempio. Il Paleologo, invece, negava il ruolo
di guida del Cristo, per i fedeli verso la salvezza, e
rifiutava, conseguentemente, ogni forma di adorazione di Gesù Cristo. Per
questo, il Paleologo e i suoi seguaci, tra cui si associò anche Dàvid,
vennero denominati antitrinitari non-adoranti in contrapposizione al
pensiero sociniano di tipo adorante. Alla corrente non-adorante aderì anche
l'ex vescovo cattolico e ambasciatore (di madre italiana)
Andrea Dudith-Sbardellati. Purtroppo il momento magico per Dàvid finì solo
tre anni dopo, nel 1571 con la morte, a soli 31 anni, di Giovanni II
Sigismondo e la salita al trono del cattolico Stefano I Báthory (1571-1586),
che tolse a Dàvid l'incarico di cappellano personale del re e gli impedì di
pubblicare altri scritti. Nel 1579 i suoi nemici riuscirono a farlo arrestare
e imprigionare nella fortezza di Déva dove, a causa del clima rigido e del
fisico debilitato, Dàvid morì nel novembre dello stesso anno. La Chiesa
Unitariana di Transilvania, fondata da Dàvid, pur attraverso mille traversie,
spietate persecuzioni da parte degli Asburgo cattolici e feroci pogrom da
parte di fanatici ortodossi rumeni, esiste ancora oggi formata da 125 chiese,
sebbene divisa dal 1949 in un troncone in Ungheria (25.000 fedeli) ed uno di etnia
ungherese in Transilvania/Romania (circa 80.000 fedeli).
Sociniani
in Inghilterra Attraverso l'Olanda, che accolse molti esuli sociniani,
l'antitrinitarismo giunse in Inghilterra, dove il principale esponente fu
John Biddle, preside del liceo di Gloucester, che pubblicò, nel 1647, il
primo trattato dell'unitarismo inglese, Twelve arguments against the Deity of
the Holy Spirit (dodici ragioni contro la divinità dello Spirito Santo) a uso
privato per pochi amici, uno dei quali lo tradì, facendolo rinchiudere in
carcere nel 1645 per ordine dei magistrati di Gloucester. Nel 1646 Biddle
fu convocato a Londra per essere giudicato da una commissione di teologi, ma,
nell'attesa della sentenza, fu confinato in prigione a Westminster dove
rimase per vari motivi per i successivi 5 anni. Infatti, imprudentemente, nel
1647, Biddle fece pubblicare le sue Dodici ragioni, suscitando un putiferio:
a gran voce venne chiesta la sua condanna a morte, prevista anche dalla
recentemente approvata (nel 1648) legge Ordinance for punishing heresies and
blasphemies (ordinanza per punire eresie e blasfemie), ma nel 1652, grazie
alla Act of Oblivion (legge di oblio), egli poté finalmente uscire di
prigione. Una volta libero, Biddle fondò una piccola congregazione sociniana
a Londra, traducendo testi base dei sociniani (o unitariani) polacchi, come
il Catechismo di Racow (in Polonia), la prima dichiarazione dei
principi sociniani, ma soprattutto pubblicò nel 1654 la sua opera più
celebre, il Twofold Catechism (Catechismo doppio), dove in 24 capitoli egli
bandì tutte le espressioni e dottrine non originarie delle Scritture,
come transustanziazione, peccato originale, Dio fatto uomo, Madre di Dio
etc. Insomma non ci fu un solo punto della teologia dell'epoca che non
fosse rimesso in discussione da lui, sebbene utilizzasse l'astuta tecnica
delle domande aperte, senza mai precisare la propria fede. Nonostante ciò,
per ordine del parlamento, le copie del suo libro furono bruciate sul rogo e
lui stesso imprigionato nel carcere di Newgate, ma, per l'ennesima evoluzione
della turbolenta situazione politica inglese (era stato sciolto il
parlamento), fu liberato. Biddle continuò per tutta la vita a professare
attivamente le proprie idee e per questo venne più volte condannato al
confino e al carcere fino alla sua morte avvenuta nel 1662. Il principale
esponente dell'unitarismo inglese dopo Biddle fu Thomas Emlyn (1663-1741),
che fondò una congregazione unitariana a Londra nel 1705, ma va anche citata
l'attività del teologo neo-ariano Samuel Clarke con il suo trattato Scripture
Doctrine of the Trinity (Scrittura dottrina sulla Trinità), del 1712. In
seguito si affermò Joseph Priestley (1733-1804), che divise il suo tempo tra
la chimica (individuò, tra l'altro, la molecola dell'ossigeno) e
le predicazioni unitariane, e Theophilus Lindsey che nel 1774 fondò la
prima chiesa ufficiale di ispirazione sociniana a Londra. Nel 1791 un
gruppo di teppisti distrusse sia la casa che il laboratorio di Priestley, che
qualche anno dopo prese la decisione di emigrare in America, dove fondò una
chiesa unitariana in Pennsylvania. Nel frattempo, in Inghilterra si era
formata nel 1825 la British and Foreign Unitarian Association, che dovette
lottare contro le leggi britanniche varate per proibire agli unitariani di
accettare lasciti donati dai puritani, cosa che verrà aggiustata soltanto con
una nuova legge nel 1844. Nel 1840 avvenne una grave scissione nel movimento:
i "cristiani liberi" di James Martineau, convinti in una fede più intuitiva e
meno "razionale", si separarono fino al 1928, anno in cui le due anime
dell'unitarismo inglese si rifusero nella attuale General Assembly of
Unitarian and Free Christian Churches.
Unitariani
in America Come già detto, Joseph Priestley fu uno dei predicatori che aiutò
la diffusione dell'unitarismo negli Stati Uniti, dove la dottrina però
si sviluppò abbastanza lentamente: prendendo spunto dalle prediche
in Inghilterra di Priestley, due chiese di Boston, la West Church del
pastore Jonathan Mayhew (1720-1766) e la First Church del pastore Charles
Chauncy (1705-1787) divennero unitariane. Nel 1825 si formò la American
Unitarian Association, ma, come per la crisi degli unitariani inglesi del
1840, anche il pensiero unitariano americano fu fortemente scosso dalle idee
di William Ellery Channing, che inserì elementi pietisti e filantropici. Lo
scontro tre le due anime, mistica-pietistica da una parte e razionale
dall'altra, avrebbe caratterizzato la storia degli unitariani americani negli
anni seguenti: per esempio, nel 1865 la conferenza nazionale unitariana
adottò una piattaforma programmatica nettamente cristiana, provocando il
distacco della minoranza razionalista che fondò la Free Religious Association
(associazione religiosa libera).
L'unitarianismo odierno Venendo
ai giorni nostri, nel 1961 avvenne la svolta con la fusione degli unitariani
statunitensi con il movimento dell'universalismo, fondato dall'ex pastore
metodista John Murray, che credeva nella salvezza di tutti gli uomini e
negava la dannazione eterna. La fusione diede luogo alla American Unitarian
Universalist Association, poi solo Unitarian Universalist Association, che
conta oggi 502.000 aderenti. Nonostante la diffusione
relativamente bassa dell'unitarismo/universalismo, ben 5 presidenti degli
Stati Uniti hanno professato una fede unitariana e/o universalista: Thomas
Jefferson (che gli unitariani danno come loro seguace, anche se una sua
adesione ufficiale non c'è mai stata), John Adams, John Quincy Adams, Millard
Fillmore William Howard Taft. L'associazione, nella quale la corrente
razionalista ha oramai preso il sopravvento, è un movimento basato su
congregazioni autogestite senza una comune formula religiosa ufficiale,
retaggio della sua travagliata storia e dell'apporto di idee molto
diversificate e perfino contrastanti: si nota un interesse più nella libera
ricerca della verità. Infatti, da una statistica risulta che solo il 3% degli
aderenti considera Dio come un essere soprannaturale e il 40% come simbolo
dell'amore o di altri processi naturali. Inoltre 90% non crede nella
immortalità dell'anima e 64% ammette di non pregare mai o di farlo
raramente. In compenso, gli unitariani universalisti si sono sempre schierati
in battaglie civili contro la pena di morte, a favore del divorzio,
l'aborto, l'eutanasia, per il controllo delle nascite, per la riforma
carceraria, per l'educazione sessuale nelle scuole. L'associazione
mantiene contatti con simili organizzazioni in Inghilterra, Irlanda,
Filippine, Ungheria, Francia e Cecoslovacchia e fa parte della International
Association for (Liberal Christianity) and Religious Freedom (IARF), che
afferma di rappresentare 1.500.000 aderenti in 25 paesi.
Priscilla (o
Prisca)(profetessa montanista) (II secolo)
Profetessa montanista,
Priscilla (o Prisca) iniziò la predicazione assieme a Montano e a Massimilla
nel 156 (o 157) a Pepuza (in Frigia). Fu soprattutto P. ad insistere sul
concetto di castità come preparazione per l'estasi, ma i detrattori cattolici
fecero girare la voce che P. fosse stata precedentemente sposata e questo
fatto fu riportato Eusebio di Cesarea nella sua Historia ecclesiastica ("Che
bugia, dunque, chiamare vergine Priscilla.."), scritta, per la verità, ben
150 anni dopo i fatti in questione. Di P., inoltre, fu il sogno, in
seguito al quale i montanisti decisero che la città di Pepuza fosse la futura
Gerusalemme in terra. Infatti, un giorno P. si addormentò in questa città e
sognò che Cristo, sotto forma di una donna, fosse venuto a dormire vicino a
lei, infondendole saggezza e rivelandole la santità del luogo. Questo
ruolo prevalente che le donne, P. e Massimilla in testa, avevano
nel movimento montanista era uno dei punti più contestati da parte dei
cristiani ortodossi. Non si conosce la data della sua morte, senz'altro
prima di quella dell'altra profetessa, Massimilla, avvenuta nel
179.
Priscilliano (ca.345 - ca.385) e
priscillianismo
Priscilliano, un nobile ed erudito spagnolo,
stabilì, nel 385, il non invidiabile primato di essere stato il primo eretico
messo a morte dalla Chiesa Cristiana, anche se per ordine dell'imperatore
usurpatore Massimo Magno Clemente (383-388).
La vita Egli,
probabilmente nato nel 345, imparò le dottrine gnostiche manichee da un certo
Marco, un egiziano di Memphis e sviluppò un movimento ascetico molto
popolare, al tempo, in Spagna. Il movimento attirò le simpatie di due vescovi
cattolici, Istanzio e Salviano e di uno studioso di retorica, Elpidio, ma
anche le preoccupazioni di tre vescovi ortodossi, Igino di Cordova, Idacio di
Emeritu e Itacio di Ossanova (il più accanito anti-priscillianista), che
convinsero i vescovi spagnoli a convocare un sinodo nel 380 a Saragozza, dove
i priscillianisti furono scomunicati. Nonostante le condanne del suo
movimento, P., diventato dapprima sacerdote, fu nominato vescovo di Avila nel
380 ca., ma poco dopo fu esiliato, nel 381, dall'imperatore Graziano
(375-383). In Italia la sua condanna all'esilio fu condonata e P. rientrò in
Spagna, aumentando il suo seguito e obbligando, a sua volta, Itacio
all'esilio. Quest'ultimo pensò di ricorrere all'imperatore, ma, nel 383, il
legittimo regnante Graziano era stato assassinato dall'usurpatore Massimo
Magno Clemente, al quale, comunque, ricorse Itacio. Massimo convocò il
sinodo di Bordeaux nel 384, dove Itacio riuscì a far condannare il vescovo
priscillianista Istanzio, ma P. stesso si appellò all'imperatore recandosi a
Treviri: ancora una volta Itacio attaccò P. con una tale ferocia che San
Martino di Tours, presente al processo, intervenne, stigmatizzando il fatto
che una causa religiosa fosse finita davanti ad un tribunale civile. San
Martino cercò, inoltre, di convincere Massimo a non applicare la pena
di morte, in caso di condanna, ma quando il santo lasciò la città,
l'imperatore fece decapitare, nel 385, P. e i suoi seguaci, sotto l'accusa di
magia.
Il priscillianismo L'esecuzione fu censurata dal mondo
cattolico, da Papa San Siricio (384-399) fino a Sant'Ambrogio, e l'ondata di
indignazione, che ne seguì, portò, perlomeno, alla definitiva deposizione ed
allontanamento di Itacio e Idacio. Oltretutto, la condanna a morte di P. non
fece che crescere la popolarità del suo movimento, condannato nuovamente, ma
inutilmente, dal sinodo di Toledo del 400. 15 anni più tardi, nel 415, il
prete spagnolo Paolo Orosio, allievo di Sant'Agostino, sentì la necessità di
rivolgersi al suo maestro per chiedere il suo aiuto nella lotta contro il p..
Agostino ne scrisse nella sua opera Sulle eresie. Tuttavia né questo
episodio né vari concili nel V secolo riuscirono a debellare il movimento,
che si poté definire scomparso solo dopo il Sinodo di Braga del
563.
La dottrina La dottrina di P. era una complessa miscela di
manicheismo dualista, docetismo e sabellianismo. Dal manicheismo dualista,
P. predicava che il corpo era opera del demonio, principio del male e delle
tenebre, mentre l'anima era fatta della stessa sostanza di Dio e che avrebbe
potuto vincere contro il regno delle tenebre, ma che era stata intrappolata
nel corpo come punizione per i suoi peccati. Perciò, l'uomo, secondo P.,
poteva redimersi solo con una condotta estremamente virtuosa. Dal
docetismo, P. aveva preso il concetto che Cristo fosse una emanazione divina,
negando la sua incarnazione e il conseguente dogma della resurrezione. Dal
sabellianismo, P. aveva attinto la negazione della pre-esistenza di Cristo
prima della Sua nascita e della Sua natura umana. Inoltre, il Padre ed il
Figlio non erano che due modi di presentarsi della stessa
Persona divina.
I priscillianisti Dal punto di vista
comportamentale, i priscillianisti erano fortemente critici nel confronti di
una crescente esteriorità della Chiesa Cristiana: erano molto ascetici,
digiunavano di Domenica e a Natale, e, poiché spesso erano alquanto
facoltosi, essi vendevano tutti i loro beni per aiutare i poveri. Inoltre
erano soliti portare a casa l'ostia data durante l'Eucaristia in chiesa per
prenderla durante cerimonie private di preghiera, quasi come forma di rifiuto
della Chiesa ufficiale.
Priuli, Alvise (1471-1560)
Il
noto banchiere della Serenissima Alvise Priuli, figlio del nobiluomo Marco
Priuli, nacque a Venezia nel 1471. Membro dell'Oratorio del Divino Amore,
assieme a Gaspare Contarini e Marcantonio Flaminio, conobbe a Padova il
futuro cardinale inglese, di ispirazione erasminiana, Reginald Pole, di cui
divenne, assieme a Flaminio, il più fedele amico (malevoli insinuazioni su
una amicizia "particolare" fra i due sono da respingere) ed assistente: in
effetti, buona parte degli episodi significativi della vita di P. sono da
mettersi in relazione a quelli di Pole. Nel 1540 Flaminio lo convinse,
attraverso uno scambio epistolare, della bontà delle dottrine di Juan de
Valdès sulla giustificazione per grazia divina e l'anno dopo P. seguì Pole a
Viterbo, dove questi era legato pontificio, ed entrò quindi nel circolo degli
spirituali, fondato dal cardinale inglese con Flaminio e Vittoria
Colonna. Nel 1542 P. assistette Pole nella sua preparazione delle sue lezioni
sulla giustificazione per grazia, poi discusse e condannate a quel Concilio
di Trento (1545-1563) che il porporato inglese frequentò nel 1545, ma a
cui rinunciò, per motivi di salute, nell'estate del 1546. Nel 1549 Pole
mancò per un voto l'elezione a papa e avrebbe potuto semplicemente accettare
l'elezione a Papa per adorationem, ma ..... tacque, permettendo l'elezione
del gaudente Giulio III (1550-1555), ma soprattutto spianando la strada
all'elezione, 6 anni dopo, al famigerato, fanatico e violento cardinale Gian
Pietro Carafa, il quale divenne Papa Paolo IV (1555-1559). Carafa, comunque,
già nel conclave del 1549 non mancò di attaccare violentemente Pole,
accusandolo di eresia. Nel 1550 P. curò la redazione in italiano dello
scritto De Summo Pontefice, che Pole aveva dedicato al neo-eletto
papa. Nel gennaio 1555 P. seguì Pole in Inghilterra, dove questi era stato
inviato da Giulio III come legato dopo la salita sul trono d'Inghilterra di
Maria Tudor (1553-1558). Tuttavia la crescente repressione anti-protestante
della regina, soprannominata Maria la Sanguinaria (tra 273 e 288
protestanti furono arsi sul rogo), ma, soprattutto la morte del cardinale
inglese nel 1558, accelerò la decisione di P. di ritornare in Italia nello
stesso 1558 e di occuparsi della raccolta degli scritti di Pole. Tuttavia
in Italia P. dovette sostenere un procedimento inquisitorio intentatogli da
parte del papa Paolo IV, che lo considerò eretico alla stregua del suo
defunto amico Pole. D'altra parte, bisogna anche considerare che, pur
sostenitore della giustificazione per grazia divina, condannata dal Concilio
di Trento, P. era anche favorevole all'autorità del Papa e al culto dei
santi, e questa sua posizione ambigua attirò le critiche di Francesco Negri
da Bassano, che lo accusò di nicodemismo nella sua popolare Tragedia del
libero arbitrio . P. morì a Padova nel 1560.
Taboriti (XV
secolo)
I Taboriti furono gli aderenti alla fazione estremista,
fondata da Vaclav Koranda, del movimento hussita, formata da contadini e
poveri. Essi presero questo nome dal Monte Tabor, una collina vicino alla
città di Serimovo Ústí, nella Boemia meridionale, ribattezzata così in onore
del monte della trasfigurazione di Cristo. I T. divennero universalmente
noti nel Luglio 1419, quando, condotti da Jan Troznowski, detto Zizka, il
leggendario condottiero cieco da un occhio, essi defenestrarono i magistrati
del re Venceslao IV (1378-1419), detto il Pigro, che non intendevano
rilasciare alcuni loro compagni: i giudici trovarono una orribile morte
infilzati sulla punta delle lance dei soldati appostati nel cortile
sottostante. I T. rappresentarono l'ala più radicale e militare degli hussiti
e, sotto il comando di Zizka e successivamente di Andreas Prokop (o
Procopius) (1380-1434), detto il Grande o lo Sbarbato, si distinsero nelle
varie battaglie delle guerre hussite (1420-1431). Tuttavia essi non
accettarono il compromesso con i cattolici, ottenuto dalla fazione moderata
degli Utraquisti al Concilio di Basilea (1431-1439), dove si era arrivati
alla stesura delle Compactata, una serie di deroghe dottrinali, che
riproducevano i Quattro Articoli di Praga. L'inevitabile frizione fra le due
anime del movimento hussite portò alla guerra civile, conclusasi con la
definitiva sconfitta dei T. nella battaglia di Lipau del 30 Maggio 1434, dove
fu ucciso anche Prokop.
Storch, Nicholas o Niklas (m. 1525) e
"Profeti di Zwichau" o abecedariani
Premessa Il paese di
Zwickau era, nel XVI secolo, una ricca città della Sassonia, vicino al
confine con la Boemia, ed aveva basato il suo sviluppo sulle attività
minerarie dell'argento. Questo orientamento dell'economia locale aveva,
tuttavia, portato in rovina la precedente fiorente industria
tessile, generando una vasta disoccupazione tra i lavoratori
tessili.
Nicholas Storch Nicholas (o Niclas) Storch, era, per
l'appunto, uno di questi ex-tessitori, discendente di una ricca e potente
famiglia mandata in bancarotta dai proprietari minerari. Nel Maggio 1520,
era giunto a Zwickau il noto predicatore riformatore Thomas Müntzer, chiamato
come sostituto del precedente pastore della Chiesa di Santa Maria, Johannes
Egranus. La retorica di Müntzer fu forte e radicale, soprattutto quando,
diventato pastore della Chiesa di Santa Caterina nell'Ottobre dello stesso
1520, si scagliò contro i monaci francescani locali. Tra i suoi parrocchiani,
i più attenti alle sue argomentazioni erano, oltre a Storch, l'ex studente di
Wittenberg Markus Stübner e un terzo personaggio, che le varie fonti indicano
o come Thomas Drechsel oppure come Markus Thomä. I tre, denominati
"Profeti di Zwickau", furono fortemente influenzati dalle dottrine dei
Fratelli Boemi con una decisa impronta millenaria - apocalittica, derivata
dagli hussiti taboriti: essi predicavano l'imminenza dell'avvento della
"Chiesa degli Eletti", ricusavano lo studio della teologia e consideravano
gli uomini istruiti come manipolatori della parola di Dio. Per questo erano
convinti che era necessario essere totalmente ignoranti, persino delle prime
lettere dell'alfabeto (ABC), da cui il loro nome di abecedariani. Erano
infatti convinti che Dio avrebbe illuminato i suoi eletti e dato loro la
conoscenza della verità tramite lo Spirito Santo. S. affermava inoltre che
l'arcangelo Gabriele gli era apparso, ordinandogli di diventare capo della
"Chiesa degli Eletti" e di nominare 12 apostoli e 72 discepoli. Finché i
"profeti" potettero godere della benevolenza di Müntzer, non ci furono
problemi, ma il 16 Aprile 1521, quest'ultimo fu espulso dal
consiglio cittadino di Zwickau, nonostante le manifestazioni di piazza
inscenate per solidarietà dai "profeti". Il nuovo pastore, Nicolaus Hausmann,
non fu affatto tenero con il movimento e il 16 Dicembre 1521 fece accusare
gli abecedariani di ripudio del battesimo infantile. A questa data,
quindi, si fa risalire la prima comparsa di un movimento radicale, in realtà
più anti-pedobattista (contrario al battesimo dei bambini) che anabattista
(ri-battesimo degli adulti), concetto, quest'ultimo, espresso da Conrad
Grebel ed i suoi seguaci in Svizzera. S., Stübner e Thomä (o Drechsel),
espulsi da Zwickau, cercarono di esportare le loro idee a Wittenberg: furono
ascoltati dai principali collaboratori di Martin Lutero, Nikolaus von
Amsdorf, Philipp Schwarzerd (Melantone) e Andreas Bodenstein (Carlostadio) e
riuscirono ad impressionare favorevolmente Carlostadio e perfino ad
installare dei dubbi in Melantone, colpito dalla loro conoscenza della
Bibbia. La situazione, precipitata in seguito ad una serie di episodi
di iconoclastia provocati da Carlostadio, divenne così critica che
Lutero stesso dovette lasciare il suo rifugio nel castello di Wartburg
e, travestito da cavaliere, tornare a Wittenberg il 7 Marzo 1522. Le tesi
dei "profeti" furono prontamente respinte da un suo diretto ed energico
intervento, riassunto nell'opuscolo Contro i profeti celesti, dove attaccò
duramente anche il suo ex-amico Carlostadio. Quest'ultimo fu esiliato nel
1524 dal principe Federico III di Sassonia, detto il Saggio (1486-1525) e si
stabilì perfino per un certo periodo nella città mineraria sassone. S. e i
profeti furono espulsi da Wittenberg: in particolare S. viaggiò tra il 1522 e
1524 in Turingia e Slesia, per propagandare le sue dottrine, nonostante
Lutero nel Settembre 1522 tentasse inutilmente di convincerlo a ricusare le
sue idee. All'inizio del 1525, con un piccolo esercito di seguaci, S.
raggiunse a Mühlhausen Müntzer, che capeggiava, assieme a Heinrich Pfeiffer,
la nota Rivolta dei contadini. Questa rivolta aveva tuttavia i giorni
contati in quanto venne soppressa il 15 Maggio 1525 dalle truppe di Filippo,
langravio di Hesse, durante la battaglia di Frankenhausen, risoltasi in una
orrenda carneficina dei contadini, 5.000 dei quali furono fatti
immediatamente a pezzi dai cavalieri e soldati meglio equipaggiati e dotati
di artiglieria, mentre altri 20.000, che si arresero, furono sgozzati senza
pietà. Sia Müntzer che Pfeiffer furono catturati, torturati e
decapitati. Pare che S. fosse sfuggito alla morte in battaglia, ma che,
giunto gravemente ferito a Monaco di Baviera, fosse morto in un ospedale
della città nello stesso 1525.
Seleuciani (o Ermeoniti o Prolinianiti)
(III - IV secolo)
I seguaci di questa setta gnostica, attiva in
Galizia nel III - IV secolo e fondata da Seleuco, con i discepoli Ermia e
Proclino, praticavano un dualismo estremo. Tutte le notizie che abbiamo su
questa setta vengono da Filastrio (Liber Dicersarum Hacreseon).
La
dottrina I seleuciani accettavano che Dio fosse incorporeo, ma erano convinti
che la materia fosse eterna quanto Dio: entrambi, secondo loro, erano
generatori del Male, una posizione molto radicale nel panorama
gnostico. Nella loro dottrina, il leitmotiv ricorrente era il fuoco: Gli
uomini erano stati creati non da Dio, ma dagli angeli da
componenti materiali, il fuoco e l'aria. Cristo non sedeva alla destra del
Padre perché aveva lasciato il Suo corpo nel sole (fuoco). I s.
rifiutavano il battesimo perché il Vangelo di Matteo (3,11), riferendo le
parole di S. Giovanni Battista, citava testualmente Colui che viene dopo di
me .. vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Il mondo attuale era
l'inferno.
Questa setta ebbe molti punti in comune e probabilmente fu
la fonte di ispirazione di un'altra setta quasi identica, quella degli
Ermeoniti o Prolinianiti, fondata da un certo Ermogene.
Origenisti
(III - VII secolo)
Influenza su altri scrittori Enorme fu
l'influenza di Origene sul pensiero di altri famosi scrittori cristiani dal
III fino al VII secolo: San Dionisio (o Dionigi) d'Alessandria, detto il
Grande (ca.190-264), che rifiutò il sabellianesimo, utilizzando
argomentazioni origeniste. Teognosto (m. ca.282) e Pierio (m. ca.310),
successori di O. come direttori (rispettivamente nei periodi 250-280 e
280-305) della scuola di catechismo e di teologia di Alessandria, il celebre
Didaskaleion. San Panfilo (c.240-309) ed Eusebio (c.260-c.340) (il famoso
storico cristiano), ambedue di Cesarea, che scrissero insieme l'apologia di
Origene. Papa San Damaso I (c.304-384), che tradusse due omelie di O.in
latino. Didimo il Cieco (c.313-398), teologo e strenuo difensore delle idee
di O. e per questo condannato dal Concilio di Calcedonia del
553. Sant'Ilario, vescovo di Poitiérs (c.315-367), che studiò le opere di
O. durante l'esilio in Frigia. I tre Padri Cappadoci (San Basilio
(c.330-379), San Gregorio di Nissa (c.330-395) e San Gregorio di Nazianzo
(329-389)), strenui difensori del credo niceno. Sant'Ambrogio (c.339-397),
vescovo di Milano, che ammirava ed utilizzava largamente l'interpretazione
allegorica della Bibbia, tipica di Origene. San Girolamo (c.342-420),
dapprima grande ammiratore di O., poi suo detrattore. Tirranio Rufino di
Aquileia, traduttore di molte opere di O. in latino, concittadino e amico di
San Girolamo, fino alla polemica tra i due, proprio sulle dottrine
origeniste. Evagrio Pontico (346-399), grande ispiratore del monachesimo
orientale e, attraverso il suo discepolo Giovanni Cassiano (c.360-435), di
quello occidentale. San Massimo di Crisopoli (c.580-662), detto il
Confessore, massimo teologo del VII secolo.
I vari seguaci di O.
diedero vita ad un movimento noto come origenismo, che, però, non sempre fu
portavoce del pensiero di Origene nell'accezione originaria e che portò a due
profonde crisi con il Cristianesimo ortodosso:
Prima crisi
origenista Un primo movimento origenista, nato nel monastero di Nitra in
Egitto e diffusosi in tutta la Palestina, si creò nella seconda metà del IV
secolo, portando nel 394 a frequenti litigi tra i suoi seguaci, capeggiati
da Giovanni, vescovo di Gerusalemme, e Sant'Epifanio, vescovo di
Salamis (l'odierna Famagosta, in Cipro), convinto anti-origenista. La
polemica si arricchì, ben presto, di altri protagonisti, come San Girolamo e
Tirranio Rufino di Aquileia, traduttore in latino di De principiis di Origene
nel 397, ex amici fraterni che, come già detto, si divisero, il primo
arroccato su posizioni ortodosse, il secondo strenuo difensore delle idee di
Origene. La situazione, già infuocata, precipitò con il clamoroso voltafaccia
di Teofilo, patriarca di Alessandria, dapprima convinto origenista
ed improvvisamente, dal 400, nemico implacabile di chiunque professasse
queste idee, ma soprattutto avversario di San Giovanni Crisostomo (ca.
345-407), Patriarca di Costantinopoli, oggeto dell'esagerata invidia di
Teofilo. Casomai ce ne fosse stato bisogno, la decisione di Crisostomo di
ospitare Sant'Isidoro di Pelusio e gli altri origenisti in fuga da
Alessandria aumentò l'acredine di Teofilo, che riuscì nel suo intento di far
condannare dal sinodo di Ad Quercum (la Quercia, sobborgo di Costantinopoli)
nel 403 ed esiliare il povero Crisostomo ad Antiochia e poi nel Ponto. A
quel punto, nuovo voltafaccia di Teofilo: egli, fatto sparire il
suo concorrente, riaccettò le idee origeniste e, come se nulla fosse, si
mise perfino a leggere i testi del teologo alessandrino.
Seconda
crisi origenista Nel 514 nella regione di Gerusalemme nacque il secondo
movimento origenista, infarcito di idee panteiste, i cui capi erano Nonno,
che tenne unito il movimento fino al 547, Teodoro Askidas, vescovo di Ancira
e Domiziano, vescovo di Cesarea in Cappadocia. Dopo la morte di Nonno nel
547, il movimento si divise in due correnti, gli isocristi, estremisti,
pensavano che alla fine del mondo tutte le menti sarebbe stati uguali a
Cristo, l'unico non macchiato dal peccato originale, i protoctisti, moderati,
consideravano Cristo superiore alle altri menti e il migliore di tutte le
creature. I protoctisti rinunciarono alla dottrina di O. della pre-esistenza
delle anime, schierandosi a fianco dei cattolici ortodossi contro gli
isocristi. Questi li soprannominarono tetraditi, accusandoli di aver
trasformato la Trinità in una tetrade introducendovi anche la natura umana di
Cristo. In quel periodo l'imperatore Giustiniano scrisse il suo Liber
adversus Origenem in cui condannò 24 punti dal De principiis, 10 dei quali
vennero anatematizzati da un sinodo nel 543, decisione riconfermata durante
il II Concilio ecumenico di Costantinopoli del 553, il punto più basso
di popolarità della teologia di Origene. Teodoro Askidas e Domiziano, a
sorpresa, firmarono il documento, operando anche loro, come ai tempi Teofilo,
un clamoroso voltafaccia, che permise loro di mantenere onori e
potere. Secondo alcuni storici contemporanei, però, la condanna
dell'origenismo avvenne in sessioni fuori dai lavori ufficiali del Concilio,
il cui scopo principale era la condanna dei Tre Capitoli, cioè dell'attività
e dei scritti di Teodoro di Mopsuestia, di Teodoreto di Ciro e di Iba di
Edessa. A questo punto, c'è da domandarsi se la Chiesa Cattolica, dopo tanti
secoli, debba ancora considerare come vincolante una condanna non pronunciata
nei lavori ufficiali di un concilio.
Provana, Prospero (m.
1584)
Prospero Provana, nobile piemontese nato a Collegno e
parente di Celio Secondo Curione, già dagli anni '50 del XVI secolo, si
trasferì in Polonia con il fratello Troiano, per sfuggire alle persecuzioni
contro i riformisti. In Polonia, i due fratelli Provana fecero fortuna,
soprattutto Prospero, che, dotato di un formidabile fiuto per gli affari,
divenne ricco ed influente, sposò una nobildonna locale e nel 1558 fondò la
prima linea postale polacca tra Cracovia e Venezia. Conobbe e frequentò
diversi personaggi dell'antitrinitarismo italiano esiliati in Polonia, fra
cui Giorgio Biandrata, che gli donò i propri libri nel 1562, Giovanni
Bernardino Bonifacio, Andrea Dudith-Sbardellati, Michele Bruto e Fausto
Sozzini, il quale frequentò regolarmente casa sua. A Cracovia partecipò alle
attività dell'Ecclesia Minor polacca, allineandosi ad un antitrinitarismo
non-adorante, ma soprattutto fu interessato ad una serie di lucrose attività
economiche. Infatti nel 1577 gli furono date in gestione le saline di
Wieliczka, vicine a Cracovia, di cui triplicò la rendita in poco tempo. La
cosa fece ovviamente molto piacere al re Stefano Bathory (1575-1586), che nel
1579 gli affidò il monopolio dell'esportazione del sale a Bydgoszcz. P.
compì svariati viaggi in Transilvania e, in occasione di uno di
questi, scampò miracolosamente ad un attentato alla sua vita. Nel 1581, in
seguito alla cattura di Giacomo Paleologo, l'ambiente cattolico polacco
aumentò la pressione per convincere diversi riformati, tra cui Simone Simoni,
Michele Bruto e lo stesso P. ad abiurare. Quest'ultimo lo fece solo nel
Giugno 1584, ormai vecchio e malato, ma soprattutto deluso per l'intolleranza
religiosa che trionfava anche nel mondo riformista. Morì tre mesi più
tardi, nel Settembre 1584.
Pucci, Francesco
(1543-1597)
La vita Il pensatore utopistico Francesco Pucci
nacque nel 1543 a Figline Valdarno rampollo di un ramo della famosa famiglia
nobile fiorentina [pare fosse parente del cardinale Antonio Pucci (m. 1544)],
anche se, per la verità, i parenti non lo vollero mai riconoscere come loro
congiunto. Nel 1570, mentre si trovava a Lione per fare pratica nel
commercio, maturò una conversione che lo spinse ad abbandonare il mestiere e
a dedicarsi "allo studio delle cose celesti ed eterne". Si recò quindi a
Parigi per studiare teologia, ma avendo assistito alle stragi anti-ugonotte
della notte di San Bartolomeo (23 agosto 1572), decise di riparare in
Inghilterra, a Londra, dove entrò a far parte della comunità degli esiliati
religiosi. In seguito P. si iscrisse all'università di Oxford, e, in un
ambiente dominato dalle idee platoniche, ottenne il titolo di Maestro in Arti
Liberali nel 1574, tuttavia la sua vena inquieta e polemica gli fruttò
un'espulsione dall'università nell'anno seguente. Decise allora di
ritornare a Londra, e qui cambiò la chiesa di appartenenza, passando da
quella italiana a quella francese, di credo calvinista, ma anche qui si fece
coinvolgere da polemiche anti-calviniste. Lasciò allora l'Inghilterra nel
1577 alla volta di Basilea, per andare a trovare Fausto Sozzini, ed anche qua
dopo poco il consiglio cittadino lo espulse. Ritornato in Inghilterra, venne
ulteriormente perseguitato, finché per un certo periodo non emigrò in Olanda
ospite di Justus Lipsius (1547-1606), nome umanistico dello studioso Josse
Lips, accusato qualche anno dopo di essere un familista. Dopo l'ennesimo
rientro a Londra, P. scrisse nel 1581 la sua opera principale, la Forma d'una
repubblica cattolica: ma, essendo stato pubblicata in forma anonima, tuttora
alcuni studiosi ritardano una attribuzione certa della paternità del lavoro
al pensatore eterodosso di Figline Valdarno. Nella sua opera P. proponeva una
repubblica segreta (organizzata in collegi o comunità: un vago riferimento ad
una organizzazione di tipo anabattista) di persone di buona volontà,
per preparare un concilio universale, che potesse riunificare tutta
la Cristianità, e perfino gli ebrei ed i mussulmani. La repubblica
doveva rimanere comunque segreta, adeguandosi a seguire l'esteriorità della
Chiesa ufficiale, un concetto nicodemitico, probabilmente preso in prestito
dalla dottrina familista, trasmessogli da Justus Lipsius. Nel 1582 P. si
recò a Cracovia per discutere con Fausto Sozzini e gli altri dissidenti
religiosi residenti in Polonia le sue idee, ma queste furono respinte
praticamente da tutte le confessioni presenti: calvinisti, luterani,
anabattisti e sociniani non diedero molto peso alle sue teorie. In compenso,
a Cracovia nel 1585 P. incontrò e fece amicizia con il mago e astrologo
inglese John Dee, che stava viaggiando in Polonia in compagnia del medium e
ciarlatano Edward Kelly (1555-1593): P. accompagnò i due nel loro viaggio a
Praga per andare a visitare l'imperatore Rodolfo II (1578-1612). Qui il
loquace e polemico P. abbandonò la compagnia dei due maghi (con sollievo di
Dee, che lo considerava pericolosamente chiacchierone e utopico: aveva
perfino cercato di convincere Dee ad andare a Roma per presentare al papa i
suoi esperimenti di necromanzia!) e, deluso dell'accoglienza del variegato
mondo protestante, decise di riconvertirsi al Cattolicesimo nell'estate dello
stesso 1585, pare anche dopo un incontro a Praga con il cardinale Ippolito
Aldobrandini, il futuro Papa Clemente VIII (1592-1605). Trasferitosi in
Olanda, P. lavorò sulla sua ultima opera, il trattato De Christi servatoris
efficacitate in omnibus et singulis hominibus (L'efficacia salvifica del
Cristo in tutti e in ogni uomo), pubblicato nel 1592 e dedicato proprio al
neo-eletto Papa Clemente VIII. Qui P. arrivò all'apice della sua idea di
Chiesa universale ed ecumenica: ogni uomo aveva il diritto di appartenere
alla Chiesa di Cristo e l'amore universale di Dio per l'intera umanità doveva
aiutare ad abbattere le barriere che separavano le chiese. Pubblicata
quest'opera, P. ebbe la temerarietà di voler andare a Roma, probabilmente per
presentarla ufficialmente al papa, ma fu catturato a Salisburgo nel maggio
1594 per ordine dell'Inquisizione e condotto nelle carceri romane, dove
conobbe Giordano Bruno e Tommaso Campanella. Condannato a morte per eresia,
P. fu decapitato e poi bruciato sul rogo a Campo dei Fiori il 5 luglio
1597.
Il pensiero Pensatore utopico, mistico platonizzante, ma
anche antitrinitario razionalista, ammiratore di pensatori e riformatori come
Girolamo Savonarola e Giorgio Siculo, come si è già detto, P. fu molto
polemico contro le principali dottrine religiose dell'epoca. Fondamentale
per capire il suo pensiero religioso fu un manifesto, scritto nel 1578, ed
una successiva lettera (sullo stesso tema) a Niccolò Balbani, sull'innocenza
naturale dell'uomo e contro il peccato originale: secondo P., Cristo ha
redenti tutti, fino "nel ventre materno, quando per benefitio del creatore
semo forniti d'anima all'immagine d'Iddio" e quindi l'uomo si danna solo
quando, razionalmente, devia dalla legge divina. Il Battesimo dunque diventa
inutile, poiché l'uomo, sempre con l'uso del suo raziocinio, si può salvare
anche senza questo sacramento. Inoltre l'ira di Dio si rivolge solo contro i
peccatori consapevoli, e non contro l'intera umanità considerata peccatrice
secondo il noto concetto calvinista. Infine P. dava molta importanza al ruolo
educativo che i padri potevano avere sui propri figli per mantenere il più
possibile questo stato di innocenza.
Massacro delle colonie valdesi
in Italia meridionale (1561-1563)
Uno degli episodi più
truculenti della storia della Riforma in Italia nel XVI secolo fu il massacro
delle colonie valdesi in Calabria e la conversione forzata al Cattolicesimo
di quelle in Puglia. Si trattava di colonie antiche ben stabilite sul
territorio fin dal XIII/XIV secolo e provenienti dalle valli
piemontesi.
Calabria In Calabria si considera tradizionalmente
come prima colonia valdese quella di Montalto Uffugo (in provincia di
Cosenza), di cui si hanno notizie dal 1386, in seguito i valdesi si
installarono a San Sisto, a Guardia Piemontese (ai tempi La Guardia o Guardia
dei Valdi), e nei paesini dei dintorni. Mantennero, come si direbbe
oggigiorno, un basso profilo, non facendo proselitismo, commentando la Bibbia
solo in case private, ricevendo visite molto discrete dei barba (i ministri
di culto) e perfino partecipando ai riti esteriori delle chiese cattoliche
locali. I feudatari del luogo li impiegavano come contadini e artigiani della
lana e della pelle e li apprezzavano per la loro operosità e
mitezza. Tuttavia le cose cambiarono nel XVI secolo con l'avvento della
Riforma: già dal 1532, ai tempi del sinodo di Chanforan (in valle
d'Angrogna), queste colonie valdesi cominciarono a manifestare un vivo
interesse nella Riforma calvinista, ma fu solo dal 1556 che i valdesi di
Calabria vollero aderire alla Riforma, in seguito alle prediche di Gilles de
Gilles (che profeticamente li aveva esortati ad emigrare per la loro stessa
incolumità), ma soprattutto quando, nel 1559, Giacomo Bonello (m. 1560) e
Gian Luigi Pascale (m. 1560), con l'aiuto del barba locale Stefano Negrin (m.
1561), iniziarono una coraggiosa azione di evangelizzazione. Purtroppo per
loro il papa Paolo IV (1555-1559), l'ex inquisitore Giovanni Paolo Carafa, e
l'Inquisitore Generale Michele Ghisleri [il futuro papa Pio V (1566-1572)]
erano rigorosissimi contro ogni forma di eresia e di dissenso religioso: in
particolare una bolla papale emanata nello stesso 1559, che non concedeva
l'assoluzione a chi era a conoscenza di attività ereticali e non li aveva
prontamente denunciati, tolse ai valdesi calabri l'appoggio, o perlomeno, la
neutralità dei signori locali. In particolare la minaccia di detta bolla fece
rompere gli indugi al feudatario Salvatore Spinelli, che ordinò l'arresto di
Gian Luigi Pascale a Fuscaldo il 2 maggio 1559: per questa azione Spinelli
ottenne in seguito il titolo di marchese. Pascale fu condotto a Cosenza,
da qui a piedi a Napoli, ed infine a Roma per cercare inutilmente di farlo
abiurare, ma anche un estremo tentativo di suo fratello Bartolomeo,
cattolico, fu vano: Pascale fu impiccato e poi bruciato a Ponte Sant'Angelo
il 16 settembre 1560. La stessa tremenda sorte era capitata al confratello
Giacomo Bonello, che, dopo un primo arresto a Battipaglia, ne aveva subito un
secondo decisivo a Messina. Dopo un breve processo, Bonello fu arso vivo in
Piazza dell'Ucciardone a Palermo il 18 febbraio 1560. Senza il conforto
dei loro pastori, i valdesi calabri caddero preda degli inquisitori
domenicani Valerio Malvicino e Alfonso Urbino, che, dopo aver condotto
un'inchiesta nelle colonie di Montalto, San Sisto e Guardia, vennero alla
conclusione che erano tutti eretici e che quindi dovevano o abiurare o
morire. Ma anche quelli che abiuravano erano costretti a sopportare un severo
e umiliante regime di controllo: non potevano parlare in occitano o
sposarsi tra loro, dovevano andare a messa tutti i giorni, osservare
l'obbligo del digiuno settimanale e indossare l'infamante abitello degli
eretici. I valdesi reagirono con la fuga nei boschi circostanti, ma questo
diede il pretesto a Don Parafan de Ribera, Duca di Alcalà e viceré di Napoli
(viceré: 1559-1572) di organizzare, nel giugno 1561, una colossale caccia
all'uomo, usando cani mastini, assoldando veri pendagli da forca come soldati
e mettendo taglie sulle teste dei valdesi fuggiti. Fu la "San Bartolomeo
italiana" (secondo le parole dello storico Salvatore Caponetto): 60 persone
furono ucciso a San Sisto ed il paese, che contava 6000 abitanti, distrutto,
mentre a Montalto, l'11 giugno 1561, fu atrocemente tagliata la gola, uno
dopo l'altro, a 88 valdesi, che furono lasciati dissanguare come agnelli
sgozzati: i loro cadaveri furono poi impalati, come monito, sulla strada per
Cosenza. Ma la strage più impressionante avvenne a Guardia Piemontese: dal 3
giugno 1561 (per circa undici giorni) si calcola che 2000 persone
furono barbaramente trucidate e che un altro centinaio di valdesi furono
uccisi nelle campagne circostanti. Il sangue di quei poveri innocenti colò
lungo i vicoli fino alla porta principale del paese e alla piazza
antistante, denominate, in seguito, "Porta del sangue" e "Piazza della
strage". Altri 1600 coloni furono fatti prigionieri, tra cui 700 provenienti
da Guardia stessa: il barba Stefano Negrin morì nel carcere di Cosenza, o per
le torture subite o di fame. Alcuni valdesi riuscirono a fuggire in
Sicilia, ma qui furono coinvolti in processi tra il 1569 ed il 1582 e
giustiziati. Solo pochi riuscirono a raggiungere un rifugio sicuro a Ginevra
e a rifarsi una vita.
Puglia In Puglia alcune colonie
franco-provenzali (presumibilmente valdesi) si erano insediate intorno al
1440 nella zona della Capitanata, tra Foggia e Benevento, nei comuni di
Montaguto, La Motta, Celle San Vito, Faeto, ed in seguito (nel 1517) a
Volturara, chiamate dal feudatario locale. Qui adottarono per prudenza un
atteggiamento fortemente nicodemitica, frequentando le funzioni religiose
cattoliche, ma nel 1561, durante la campagna militare conclusosi con la
tremenda strage dei loro confratelli calabri, venne scoperto il legame
religioso che li univa a quest'ultimi. Dopo un primo intervento in zona
dell'inquisitore domenicano Valerio Malvicino, fresco dell'esperienza
calabrese, che fece arrestare parecchi valdesi ed internarli nelle carceri
romane (molti di loro morirono per le torture inflitte), nel 1563
l'Inquisizione romana decise di optare per una linea più morbida, mandando in
zona i gesuiti, al comando di padre Cristoforo Rodriguez. Quest'ultimo,
spesso in forte contrasto con l'Inquisitore Generale Michele Ghisleri, decise
di cercare di convincere i valdesi ad abiurare senza minacce o torture, ma
solamente interrogandoli anche più volte di seguito, finché 1500 coloni
accettarono di farsi convertire: un peso determinante comunque lo ebbe la
decisione di Rodriguez di far liberare i valdesi prigionieri nelle carceri
romane e di rimandarli a casa. Inoltre, nel novembre 1565, egli ottenne il
permesso di far levare l'abitello a coloro che avevano abiurato, pur con
l'obbligo di indossarlo in chiesa , mentre l'obbligo del digiuno settimanale
diveniva mensile. Tuttavia, solo nel 1592 vennero abrogate molte restrizioni,
come l'obbligo di portare l'abitello in chiesa e dei matrimoni solo con
persone di lingua italiana. Pur scomparendo la differenza religiosa grazie
alle massicce conversioni, rimase comunque l'orgoglio di usare la lingua
franco-provenzale, abitudine tramandata fino ai giorni nostri e che fa dei
paesi di Faeto e Celle San Vito (come, del resto, anche di Guardia Piemontese
in Calabria per quanto riguarda la lingua occitana) un'isola etnica, protetta
dall'apposita legge italiana 482/1999 sulle minoranze
linguistiche.
Pungilupo (o Punzilovo), Armanno (m.
1269)
Il 26 Dicembre 1269, morì a Ferrara Armanno Pungilupo, un
uomo in odore di santità, il cui corpo fu trasportato nella cattedrale della
città e divenne metà di pellegrinaggio da parte di fedeli ferraresi e non.
Immediatamente cominciarono a spargersi notizie di miracoli e guarigioni
improvvise davanti alla tomba del "santo", che venne tumulato in una
cappella, eretta all'uopo. Tuttavia, l'anno successivo, l'Inquisitore frate
Aldobrandino scoprì che nel 1254 P. era stato processato con l'accusa di
essere un eretico cataro, ma era stato prosciolto in seguito ad abiura. In
seguito, però, A. si era riaccostato alla sua antica fede, frequentando la
Chiesa catara di Bagnolo San Vito (Mantova) e ricevendo il Consolament a
Verona. Aldobrandino ordinò quindi ai canonici della cattedrale di esumare la
salma di A. e di buttarlo fuori dalla chiesa, ma, al rifiuto dei prelati,
li scomunicò. I canonici non si lasciarono intimorire e presentarono nel
1272 al Papa Gregorio X (1271-1276) una documentazione con testimonianze,
che attestava che A. si era pentito ed era ritornato ortodosso. Il papa,
convinto, fece sospendere la scomunica, tuttavia questo fu solo il primo
episodio di un lungo braccio di ferro tra i canonici e gli inquisitori che
durò per ben altri 29 anni, passando attraverso i pontificati di Gregorio X,
Innocenzo V (1276), Adriano V (1276), Giovanni XXI (1276-1277), Niccolò III
(1277-1280), Martino IV (1281-1285), Onorio IV (1285-1287), Niccolò IV
(1288-1292), Celestino V (1294) fino a Bonifacio
VIII (1294-1303). Quest'ultimo fece aprire un'inchiesta, che giunse il 23
Marzo 1301 alla definitiva condanna di P., il cui corpo fu riesumato, cremato
e le cui ceneri furono disperse nel Po. P. fu purtroppo un tipico esempio
di come una persona di notevole virtù possa essere stato perseguitato anche
post mortem dall'Inquisizione sulla base di una eterodossia dottrinale (tutta
da dimostrare), indipendentemente da una interpretazione autenticamente
apostolica della vita dedicata all'assistenza di malati e carcerati ed alle
buone opere.
Puritanesimo (XVI - XVII
secolo)
Definizione Il puritanesimo fu un movimento spontaneo
ed estremista, sorto nel XVI secolo, nell'ambito del Protestantesimo inglese,
che tendeva a "purificare", cioè rendere pura, la Chiesa Anglicana da tutte
le forme "corrotte" e non previste dalle Sacre Scritture. I puritani
pensavano, infatti, che la Riforma inglese, sotto Elisabetta I (1558-1603),
non si era spinta a sufficienza nella ristrutturazione dell'impianto
ecclesiastico, accettando troppi compromessi con il Cattolicesimo soprattutto
per quanto riguardava la liturgia, i paramenti e la gerarchia
episcopale.
Le origini Si può far risalire la nascita del p. al
1563, quando scoppiò la Controversia sui Paramenti, generata dall'opposizione
di alcuni prelati e teologi, soprattutto dell'Università di Cambridge,
all'uso, da parte degli ecclesiastici, del cappello e toga nella vita
giornaliera e della cotta in chiesa. Altri bersagli dell'attacco p. furono
altri segni esteriori come il segno della Croce, la musica d'organo in
chiesa, ma soprattutto la gerarchia basata sui arcivescovi e vescovi, in
altre parole, l'episcopato stesso. I teorici del movimento furono i teologi
Thomas Cartwright, Walter Travers (ca. 1548-1635) e William Perkins
(1558-1602).
Dottrina e comportamento La teologia p. era
prevalentemente calvinista, di cui veniva particolarmente sottolineata la
predestinazione, ma venivano anche presi a riferimento alcuni autori classici
pre-cristiani come Seneca e Platone, e l'umanista ugonotto francese Pierre de
la Ramée (Petrus Ramus) (1515-1572) ucciso dai cattolici nella notte di San
Bartolomeo (23 agosto 1572). Una caratteristica della teologia p. era il
patto tra Dio e la comunità dei santi visibili, un concetto non del tutto
nuovo, simile a quello già espresso da alcuni teologi anabattisti come
Balthasar Hubmaier, e da riformisti svizzeri, come lo stesso Giovanni
Calvino. Così Cartwright e Perkins definirono questa dottrina del
patto: Dio aveva promesso ad Adamo la vita eterna, ma la caduta dell'uomo lo
stava portando alla dannazione. Tuttavia era stato sancito un patto tra
Dio ed Abramo e quindi se l'uomo avesse avuto fede in Cristo e nella Sua
opera, si sarebbe salvato. In senso lato, questo patto era stato stabilito
tra Dio e la comunità dei cristiani. Il fedele, dunque, doveva riunirsi a
pregare Dio pubblicamente in comunità con altri fedeli. Il comportamento
dei p. consisteva quindi in esperienze religiose dirette e pubbliche, una
moralità severa (di stile calvinista) e riti religiosi
molto semplificati.
Ramificazioni Il principale filone del P.
fu rappresentato dal presbiterianesimo, che prediligeva una amministrazione
della Chiesa basata su un governo centrale di presbiteri, cioè gli anziani,
sia chierici che laici, simile a quello sviluppato dai presbiteriani in
Scozia, sotto la guida di Andrew Melville. Da questo concetto si discostarono
nettamente i congregazionalisti o indipendenti, che credevano nella
indipendenza ed autonomia di ciascuna congregazione di fedeli.
La
storia Dal 1570 i p. iniziarono ad attaccare il sistema episcopale della
Chiesa Anglicana: nel 1572 fu pubblicato da due puritani, John Field
(1545-1588) e Thomas Wilcox (1549-1603), un appello, sotto forma di
manifesto, dal titolo Admonition to the Parlament (Ammonimento al
Parlamento), che esortava ad organizzare la Chiesa Anglicana con una
struttura non episcopale. Thomas Cartwright, rientrato dalla Svizzera,
condivise questi concetti e contribuì alla stesura di un secondo Ammonimento,
che lo mise seriamente nei guai: dovette fuggire all'estero, rimanendo
lontano dall'Inghilterra fino al 1585. Alla salita al trono di Giacomo I
(già re di Scozia dal 1567 con il titolo di Giacomo VI) nel 1603, i p.
ritornarono a chiedere garanzie per nuove riforme con la Millenary Petition
(petizione millenaria), e una conferenza, sotto la presidenza del re, venne
indetta a Hampton Court nel 1604. Tuttavia ben poche concessioni vennero
fatte ai p. e Giacomo I, che era profondamente convinto che la tesi di fondo
della petizione p. fosse eliminare i vescovi con l'intento successivo di
eliminare il re, ovviamente appoggiò apertamente la posizione dei vescovi
anglicani con la famosa frase che sintetizzava il suo timore di fondo: No
bishop, no king [nessun vescovo (equivale a) nessun re]. L'unica concessione
ai p., degna di nota, fu l'autorizzazione alla pubblicazione di una versione
della Bibbia, compilata da un panel di teologi e studiosi e denominata
Authorised Version (versione autorizzata) o King James Bible (Bibbia di Re
Giacomo). Le successive persecuzioni ordinate dall'arcivescovo di Canterbury,
William Laud (1573-1645) furono durissime: ad esempio nel 1630 il medico
p. Alexander Leighton, padre del futuro arcivescovo di Glasgow
Richard Leighton, per aver osato criticato la Chiesa d'Inghilterra, fu
esposto alla gogna, frustato, gli fu tagliato un orecchio e rotto un lato del
naso. Non contenti i giudici lo fecero marchiare a fuoco sulla faccia con la
scritta SS (seminatore di sedizione). In seguito il medico fu riportato sulla
gogna e fu finito l'opera di mutilazione con il taglio dell'altro orecchio e
la rottura dell'altro lato del naso. Infine il tapino fu sbattuto in
carcere per il resto dei suoi giorni. Non c'è quindi da meravigliarsi che
le persecuzioni provocassero così tante emigrazioni in Olanda e soprattutto
verso colonie americane, come il New England, ed in particolare la
Massachusetts Bay, teatro di una crescente emigrazione di massa di p. e
dissidenti religiosi (più di mille persone solo nel 1630), spinti a fuggire a
causa delle politiche repressive ordinate dal re Carlo I (1625-1649). Entro
il 1640 più di ventimila dissidenti religiosi erano emigrati sulle coste
della Massachusetts Bay, formando uno dei nuclei dei futuri Stati Uniti
d'America. Comunque i p. rimasti in patria si organizzarono a tal punto che,
allo scoppio della Guerra Civile in Inghilterra nel 1642, erano diventati un
vero e proprio influente partito in parlamento, il cui capo, Oliver
Cromwell (1599-1658), sarebbe diventato il futuro Lord Protettore. Essi, con
il soprannome di Roundheads (teste rotonde, dal tipo di elmo
utilizzato), giocarono un ruolo decisivo nell'esercito parlamentare, e
contribuirono all'arresto ed esecuzione capitale dell'odiato arcivescovo Laud
nel 1645, ma soprattutto alla sconfitta e alla successiva decapitazione nel
1649 del re Carlo I. Tuttavia con la restaurazione nel 1660 della
monarchia con Carlo II (1649-1685) i p. furono progressivamente isolati e
perseguitati dalla Chiesa Anglicana in seguito ai vari atti contenuti nel
Codice Clarendon (1661-1665), voluto dal Lord Cancelliere, Edward Hyde, 1°
Conte di Clarendon (1609-1674). I p., oramai una confederazione di varie
sette dissenzienti, avevano perso sia il loro antico potere di influenza che
la loro denominazione originaria e furono chiamati non-conformisti, proprio
perché non avevano voluto mai conformarsi all'Uniformity Act, uno degli atti
del Codice Clarendon, che erano: Corporation Act (1661), che escludeva i
non-conformisti dai pubblici uffici. Uniformity Act (1662), che obbligava
all'uso del Libro delle Preghiere della Chiesa Anglicana. Conventicle Act
(1664), che proibiva funzioni religiose non-conformiste. Five Mile Act
(1665), che proibiva ai pastori non-conformisti di avvicinarsi alle
città.
Il p. rimase nella forma originaria solamente in America,
sulla costa orientale, dove si sviluppò grazie a personaggi come il difensore
della tolleranza religiosa Roger Williams, fondatore della colonia di
Rhode Island, ma ebbe anche oscuri momenti come la caccia alle streghe a
Salem, ispirata dagli scritti del p. Cotton Mather. Iniziò a declinare
gradualmente nel XVIII secolo, sopravvivendo solo nel Massachusetts, con
Jonathan Edwards e i suoi seguaci, fino all'inizio
del 1800.
Purvey, John (ca. 1354- ca. 1428)
John
Purvey, letterato inglese, lavorò insieme a John Wycliffe come professore
all'università di Oxford, e ne seguì gli insegnamenti, diventando il suo
segretario. Nel 1382, in seguito alla condanna di Wycliffe per il trattato
De Eucharistia, dove il riformatore inglese aveva attaccato la dottrina
della transustanziazione, P. si ritirò con il suo maestro nella parrocchia
di quest'ultimo a Lutterworth, nella contea del Leicestershire, dove
lo assistette fino alla sua morte, avvenuta il 31 Dicembre 1384. In quegli
anni, P. lavorò sulla traduzione inglese della Bibbia, la quale era stata già
redatta dallo scrittore lollardo Nicholas di Hereford, ma che risultava del
tutto illeggibile per i troppi latinismi. P. completò una versione
stilisticamente molto più scorrevole nel 1395: questa ebbe un enorme successo
e fu presa come base per la Bibbia, nella versione autorizzata in inglese
(chiamata familiarmente versione di re Giacomo) del 1611. Alla morte del
capostipite, P. diventò capo del movimento lollardo ed approfittò della
schizofrenia del tirannico re Riccardo II (1377- deposto 1399), per
rinforzare la posizione del movimento, protetto da diversi esponenti della
nobiltà. Egli giunse anche a presentare nel 1395 al Parlamento un progetto di
riforma della Chiesa inglese, che fu ovviamente respinto, in dodici punti
ricalcanti i precetti di Wycliffe. Ma, in seguito alla deposizione di
Riccardo da parte di Enrico di Lancaster (il figlio di Giovanni, il
protettore di Wycliffe), divenuto re Enrico IV (1399-1413), la situazione per
i lollardi cambiò radicalmente in senso peggiorativo. Infatti Enrico, per
ringraziarsi la Chiesa iniziò una energica azione di soppressione del
movimento lollardo, contrassegnata dall'Atto De Hæretico Comburendo (Del
bruciare gli eretici) del 1401, che permetteva ai vescovi di arrestare,
imprigionare, torturare e consegnare al braccio secolare gli
eretici. Proprio nel 1401 P. fu arrestato e tenuto in carcere fino
all'anno successivo, quando, davanti l'arcivescovo di Canterbury, Thomas
Arundel (1353-1414), egli ripudiò le sue idee ed accettò una
rendita dall'arcivescovo. Ma, già nel 1403, si pentì della scelta e tornò
ad essere un lollardo, finché non fu arrestato definitivamente nel 1421. Da
quel momento non si hanno più notizie di lui, ma si suppone egli sia morto,
probabilmente in carcere, intorno al 1428.
Segalelli (o Segarelli
o Sagarelli o Cicarelli), Gherardo (o Gherardino) (m. 1300) e
apostolici
La vita Gherardo Segalelli nacque a Segalara,
vicino a Ozzano Taro (Parma) nel 1240 circa. Era un uomo di bassa estrazione
sociale: nel 1260, l'anno delle flagellazioni di massa, che lo lasciarono
profondamente colpito, S. chiese di essere ammesso al convento dei Frati
Minori di Parma, ma ne fu respinto. Decise allora di seguire autonomamente
una propria strada di povertà francescana: vendette i suoi averi, donando il
ricavato ai poveri e si lasciò crescere barba e capelli e si vestì con una
tunica grezza, un mantello bianco e dei sandali. A questo punto, egli
iniziò una vita di rinunce ad ogni possesso e di predicazione del messaggio
evangelico. Ebbe un notevole successo particolarmente tra la popolazione più
umile, non solo a Parma, ma in tutta l'Emilia Romagna e oltre, e i suoi
seguaci, i fratres et sorores apostolicae vitae o semplicemente apostolici o
"minimi" (come definivano sé stessi per distinguersi dai Minori), diventarono
molto più popolari degli stessi predicatori francescani. Tutto ciò allarmò
la Chiesa ufficiale e il Papa, Gregorio X (1271-1276), stabilì, nel 1274 al
II Concilio di Lione, la proibizione di fondare nuovi movimenti religiosi
mendicanti e l'obbligo per quelli esistenti di confluire in organizzazioni
ufficialmente approvate dal clero. Poiché gli apostolici non si adeguarono a
queste direttive, furono condannati per due volte: nel 1286 con la bolla
papale Olim felicis recordationis e nel 1287 con il Concilio di Würzburg,
ambedue voluti da Papa Onorio IV (1285-1287), preoccupato per il diffondersi
della setta. In seguito a questa ultima condanna S. fu imprigionato a Parma,
ma fu successivamente rilasciato dal vescovo parmense Obizzo Sanvitali,
segreto ammiratore di S. e degli apostolici. Secondo il cronista d'epoca
Fra Salimbene de Adam, questo perché il vescovo si divertiva con S. come se
egli fosse stato il suo sciocco giullare di palazzo, ma questa versione dei
fatti è sicuramente una forzatura propagandistica, visto
l'atteggiamento estremamente ostile e prevenuto che Salimbene ebbe nel
descrivere il movimento degli apostolici. Anche il successore di Onorio
IV, Papa Niccolò IV (1288-1292) rinnovò nel 1290 la condanna della setta, ma
solo nel 1294 il S. fu nuovamente messo in prigione, da cui comunque riuscì a
fuggire poco dopo. Tuttavia, sei anni dopo, con a Roma un Papa, Bonifacio
VIII (1294-1303), non certo tenero con i predicatori "irregolari" e senza la
protezione di Obizzo diventato nel frattempo vescovo di Ravenna, S. fu
catturato, processato dall'inquisitore Manfredo da Parma e bruciato sul rogo
a Parma il 18 Luglio 1300.
La dottrina A dir la verità, il
movimento degli apostolici non aveva una vera e propria dottrina: essi non
predicavano una nuova interpretazione del Vangelo come i valdesi, non
contestavano il clero corrotto come i patarini, non erano eretici dualisti
come i catari. Il loro principale riferimento evangelico era il brano degli
Atti degli Apostoli (2,44-45): E tutti quelli che avevano creduto stavano
insieme e avevano tutto in comune. Vendevano poi le proprietà e i beni e
ne distribuivano il ricavato a tutti, secondo che ognuno ne aveva
bisogno. Gli apostolici conducevano quindi una vita semplice fatta di digiuni
e preghiere, spesso lavorando per guadagnare il cibo, altrimenti vivendo
di carità, e predicando con frequenti richiami al pentimento. Infatti il
loro motto era Penitentiam agite (fate penitenza), corrotto poi in
Penitençagite! Essi non avevano neppure un vero capo perché S. si rifiutò
sempre di rivestire questo ruolo nel movimento, permettendo così anche
l'avvento di nuovi capi auto-proclamatisi, come Matteo di Ancona e Guido
Putagio, che portarono scompiglio e divisioni interne al movimento. Quello
che scandalizzò però la Chiesa era, per una società cattolica abbastanza
angosciata e ossessionata dal peccato del sesso, che il movimento degli
apostolici fosse formato sia da donne che da uomini, i quali non davano alcun
valore alla castità (come i Fratelli del Libero Spirito), che la cerimonia di
accettazione di nuovi seguaci (donne e uomini) prevedesse che si spogliassero
nudi in pubblico (ma lo aveva fatto anche San Francesco!), perché essi
dovevano seguire nudi il Cristo nudo. E, a parte il non aver ottemperato alle
disposizioni del II Concilio di Lione in tema di nuovi movimenti religiosi,
fu solo sulla base di accuse, spesso fantasiose, di fornicazione, oscenità,
sodomia e quant'altro che gli apostolici furono perseguitati.
Gli
apostolici dopo la morte del fondatore La setta degli apostolici fu duramente
perseguitata come il suo fondatore: già nel 1294 furono bruciati i primi
quattro apostolici e nei processi del 1299 si cercò di reprimere nel sangue
questo movimento che tanto scandalizzava la Chiesa. Tuttavia da quel
momento di grande difficoltà per gli apostolici uscì quel leader, Fra Dolcino
da Novara, che fece fare un salto di qualità al movimento e tenne in scacco
per sette anni le forze avversarie messe in campo durante una vera e propria
crociata, indetta dal Papa Clemente V (1305-1314). Morto Dolcino nel 1307,
si registrarono ancora apparizioni episodiche degli apostolici nel 1315 in
Spagna, nel 1318 ed infine un'ultima citazione nel Concilio di Narbona del
1374.
Savonarola, Girolamo (1452-1498) e arrabbiati (o compagnacci o piagnoni)
Girolamo Savonarola nacque a Ferrara il 21 Settembre 1452 e, da
giovane intellettualmente dotato com'era, si dedicò con successo a studi di
filosofia e medicina. Nel 1474, senza neppure avvisare la sua famiglia, prese
tuttavia la repentina decisione di entrare nell'Ordine Domenicano a Bologna,
dove fino al 1482 rimase in convento conducendo una vita ascetica dedicata alla
preghiera e all'approfondimento degli studi sulla filosofia di Aristotele e di
San Tommaso Aquino. In quell'anno, 1482, S. si recò a Firenze nella Chiesa di
San Marco, sede dell'Ordine Domenicano in città, da dove iniziò a predicare con
toni violenti contro la vita immorale della corte di Lorenzo de' Medici, ma
sembra questi primi sermoni non sortirono l'effetto desiderato, anzi passarono
abbastanza inosservati. Tuttavia, ritornato nella città toscana nel 1489,
dopo diversi anni di prediche in giro per l'Italia, la sua denuncia del
paganesimo diffuso divenne più incisiva e così dicasi dei suoi attacchi contro
Lorenzo de' Medici, nonostante la generosità di quest'ultimo nei confronti del
convento di San Marco, del quale S. stesso fu nominato priore nel 1491. Nel
1493 Lorenzo morì, tuttavia S., non pago, aumentò ugualmente il livello della
sua denuncia contro l'immoralità e gli abusi, questa volta, del clero e del
nuovo Papa Alessandro VI (1492-1503), il famigerato Rodrigo Borgia, padre di
diversi figli, tra i quali i noti Lucrezia e Cesare ed eletto Papa grazie a
spregiudicati atti di corruzione e simonia. Proprio il contrario degli ideali
di S., che anelava ad una rigenerazione morale e spirituale della Chiesa e che
incominciò ad applicare alcune sue idee, riformando i monasteri toscani
dell'Ordine Domenicano secondo una rigida osservanza della Regola
originariamente stabilita e sottraendo il controllo dalla Congregazione
Lombarda, la Casamadre dell'Ordine. Nel 1494 l'esercito di Carlo VIII di
Francia (1483-1498) invase l'Italia, per riaffermare il diritto del re, di
sangue angioino, alla successione al regno di Napoli, dopo la morte di Ferrante
d'Aragona (1458-1494). S. supportò la causa del re francese, sperando in
cambio di un appoggio per la formazione di un governo democratico in Firenze ed
effettivamente la visita di Carlo VIII a Firenze permise a S. di scacciare
l'indegno figlio di Lorenzo de' Medici, Pietro, e di instaurare una Repubblica
teocratica. In tutta la Repubblica fu messa in vigore una normativa morale
molto severa e basata sulla legge di Cristo, considerato il vero “Re di
Firenze”. Divennero famosi i “falò delle vanità”, roghi pubblici nei quali
vennero bruciati carte e dadi da gioco, libri pagani e immorali (talora bastava
anche un innocente libro di poesie o una copia del Decamerone del Boccaccio),
ornamenti e vestiti lussuosi, e perfino quadri del Botticelli. Dall'alto del
suo successo, S. poté riprendere gli attacchi contro l'immoralità della Curia
romana e di Alessandro VI, ma il Papa contrattaccò nel 1495 convocandolo a Roma
per difendersi dalle accuse di false profezie. S. rifiutò adducendo motivi di
salute cagionevole. Tuttavia Alessandro VI non demorse e nel 1496 stabilì che
i monasteri domenicani toscani avrebbero dovuto riferire ad una nuova
Congregazione situata (ovviamente) in Roma: al rifiuto di S. di obbedire, questi
fu scomunicato il 12 Maggio 1497. A questo provvedimento S. reagì
dichiarandolo privo di valore e continuando le sue prediche nel Duomo di
Firenze, mentre il Papa reagì minacciando di interdizione la città, se al
predicatore non fosse stata tolta la parola. Oltretutto, l'ostilità locale
nei confronti di S., opportunamente orchestrata da parte dei francescani, iniziò
a crescere fino a quando, nel Marzo 1498, il francescano Padre Francesco
Rondinelli sfidò S. ad un'ordalia del fuoco per stabilire la santità del
predicatore domenicano. Quest'ultimo rifiutò, ma, al suo posto, accettò la
sfida il suo devoto discepolo Domenico da Pescia. Il 7 Aprile 1498, data
prescelta per la prova, questa non si poté aver luogo, dapprima per le
lungaggini procedurali, e poi per un improvviso acquazzone. La folla esasperata
e di umore mutevole se la prese con S., arrestato sul luogo assieme a Domenico
da Pescia. A nulla servì la reazione dei suoi seguaci, denominati arrabbiati o
compagnacci o piagnoni (dalle lacrime che versavano ad ogni sermone di S.), i
quali provocarono gravi disordini, assaltando, fra l'altro, il convento di San
Marco al grido di Salvum fac populum tuum, Domine. Il Papa non si fece
scappare la ghiotta occasione di fare i conti con il predicatore ribelle ed
inviò a Firenze il generale dell'Ordine Domenicano e il vescovo di Ilerda ad
assistere al processo. Nonostante le torture, S. non cedette, tuttavia furono
redatti, a cura di alcuni notai compiacenti, degli atti palesemente contraffatti
del processo, nei quali S. avrebbe ammesso di essere un falso profeta. Sulla
base di questa “confessione” S. venne condannato, assieme ai suoi seguaci
Domenico da Pescia e Fra Silvestro, a morte mediante impiccagione, seguita dal
rogo dei corpi e dalla dispersione delle ceneri nell'Arno. La sentenza venne
eseguita il 22 Maggio 1498. La figura di S. fu onorata dal Luteranesimo, come
esempio di antesignano della Riforma e la sua statua fa parte del monumento
dedicato a Lutero, eretto a Worms, in Germania. Comunque, anche la stessa
Chiesa Cattolica sembra aver espresso recentemente l'intenzione di rivalutare la
figura di S. come rinnovatore della Chiesa ed è stato avviato il relativo
processo di beatificazione presso il Tribunale Ecclesiastico, presieduto dal
Cardinale Silvano Piovanelli, arcivescovo di Firenze, secondo il quale S. “morì
e visse come un santo”.
|
|
|
|