Home | Storia | Arte e letteratura | Foto | Ceramica | Moda | Info | Mappa
STORIA E LEGGENDA
HOTELS E RISTORANTI
ARTE E LETTERATURA
FOTO
CERAMICA
MODA

STORIA DELLE ERESIE - GIROLAMO SAVONAROLA
Testi tratti dal sito: www.eresie.it di Douglas Swannie

GLI ERETICI - GIROLAMO SAVONAROLA


Pole, Reginald (1500-1558)



I primi anni
Il cardinale Reginald Pole nacque nel marzo 1500 a Stourton Castle, nella
contea inglese dello Staffordshire, secondogenito di Sir Richard Pole (ca.
1462-1505), cavaliere dell'Ordine della Giarrettiera, e di Margeret
Plantagenet (1473-1541), figlia del duca di Clarence, George (1449-1477),
fratello del re Edoardo IV d'Inghilterra (1461-1483). Quando rimase vedova,
la madre di P. venne successivamente creato contessa di Salisbury e venne
associata alla corte reale come tutrice della principessa (e futura regina)
Mary.
P. era quindi strettamente imparentato con la famiglia reale inglese (era
cugino di terzo grado del re Enrico VIII) e ricevette un'ottima educazione,
frequentando la rinomata Charterhouse a Sheen (nella contea inglese del
Surrey) per cinque anni, ed in seguito iscrivendosi all'università ad Oxford
all'età di soli dodici/tredici anni per poi laurearsi dopo tre anni.
A questo punto egli fu avviato alla carriera ecclesiastica e, benché non
avesse ancora ricevuti neppure gli ordini minori, gli fu concessa nel 1518
una prebenda (un beneficio) come decano della collegiata di Wimborne (nella
contea inglese del Dorset).
Nel febbraio 1521 P. si recò a Padova per approfondire i suoi studi
umanistici con famosi letterati come Christoph de Longueil (Longolius)
(1488-1522), che gli lasciò la sua biblioteca personale, il grecista di
origine albanese Nicolaus Leonicus Thomaeus (Niccolò Leonico Tomeo)
(1456-1531), l'umanista Pietro Bembo, il futuro cardinale Gasparo Contarini,
e lo studioso inglese Thomas Lupset (ca. 1498-1530). Ebbe l'occasione anche
di conoscere Pier Martire Vermigli, che frequentava l'università di Padova
nello stesso periodo.
Dopo una visita a Roma nel 1526, P. rientrò in Inghilterra nel 1527,
proseguendo i suoi studi nella clausura certosina di Sheen, dove fu
raggiunto dalla notizia della sua elezione a decano di Exeter.


La questione del divorzio di Enrico VIII d'Inghilterra
Ma, poco dopo, egli si trovò nella delicatissima situazione di dover
prendere posizione nella complessa vicenda del divorzio del cugino Enrico
VIII da Caterina d'Aragona: P. tentò di evitare di pronunciare un parere,
ottenendo di continuare i suoi studi a Parigi, ed anche qui, benché gli
venisse chiesto di fare da intermediario per avere un parere dell'università
della Sorbona, riuscì ad evitare di farsi coinvolgere in questo caso di
coscienza, che per lui era molto spinoso.
Richiamato in Inghilterra da Enrico VIII, P. si vide proporre, dopo
l'esecuzione capitale del cardinale Thomas Wolsey (1474-1530), l'offerta
dell'arcivescovado di York o del seggio di Wincester, probabilmente come
tentativo del re di comperare la compiacenza di suo cugino. Ma P.
coraggiosamente espresse, in un colloquio privato con il re, i suoi dubbi
sul ripudio di Caterina e fu sufficientemente fortunato da mantenere la
testa sul collo (Enrico VIII, in un momento di rabbia, aveva già estratto la
sua daga!), ed anzi da ottenere dal re la possibilità nel gennaio 1532 di
ritornare ai suoi studi padovani (un esilio dorato?), dove conobbe Jacopo
Sadoleto, Alvise Priuli e Benedetto Fontanini da Mantova. Qui poté anche
approfondire i suoi studi di critica biblica nel monastero benedettino di
Santa Giustina a Venezia, sotto la guida dell'ebraista fiammingo Jan van
Kampen (nome umanistico Campensis)(m. 1538).
Nel 1535 egli fu nuovamente al centro di un tentativo di Enrico VIII di
tirarlo dalla sua parte nella richiesta di un parere sulla legalità jure
divino del matrimonio con la vedova del proprio fratello e anche sulla
supremazia del papato.
La risposta di P. fu il trattato Pro ecclesiasticæ Unitatis defensione,
molto drastico nelle sue conclusioni e molto coraggioso, visto le recenti
esecuzioni capitali di coloro i quali si erano espressi senza peli sulla
lingua, come il grande filosofo umanista erasminiano ed ex Lord Cancelliere
Tommaso Moro (Thomas More) (1478-1535), e il vescovo di Rochester, ed ex
confessore di Caterina d'Aragona, John Fisher (1469-1535).


P. si schiera con il papa
Nel 1536 il re seccatissimo convocò P. per esigere spiegazioni sul testo del
trattato, ma questi, consigliato dal vescovo di Verona, Gian Matteo Giberti,
e da Gian Pietro Carafa, il futuro papa Paolo IV (1555-1559), decise di
rifiutare l'incontro, accettando invece l'invito di Papa Paolo III
(1534-1549) di recarsi a Roma nel novembre 1536 per entrare a far parte di
una commissione, presieduta dal cardinale Contarini, per la riforma interna
della Chiesa e che sviluppò il famoso documento "Consilium de emendanda
ecclesia". Contestualmente il papa lo nominò cardinale il 22 dicembre 1536
assieme a Sadoleto, Carafa e altri prelati.
Questa presa di posizione di P. fu considerato un vero e proprio tradimento
da parte di Enrico VIII, che per vendetta fece arrestare i suoi fratelli e
fece mettere a morte sua madre nel 1541, ufficialmente perché aveva voluto
rimanere cattolica. Il re, inoltre, tentò più volte di far assassinare P.
mediante sicari prezzolati.
Da parte sua, nel 1538-39, il cardinale inglese gestì vari tentativi papali
di creare una coalizione cattolica contro l'Inghilterra, ma la rivalità tra
l'imperatore Carlo V (1519-1556) e il re di Francia Francesco I (1515-1547)
fece naufragare ogni tentativo di intesa.


Il circolo degli spirituali a Viterbo
In seguito P. fu richiamato a Roma, dove venne nominato legato di Viterbo e
proprio a quel periodo (1541) risalì la conversione alle idee sulla
giustificazione sola fide di Juan de Valdès, attuata da Marcantonio
Flaminio. In seguito alla morte del Valdès nell'agosto 1541, P. e Flaminio
trasferirono la scuola di pensiero, il cosiddetto circolo degli spirituali,
che aveva raccolto l'eredità del riformatore spagnolo, proprio a Viterbo,
città di residenza di P. Aderirono al circolo di Viterbo, tra gli altri,
Vittore Soranzo, Pietro Carnesecchi, Apollonio Merenda (che divenne il
cappellano di P.), Pietro Antonio Di Capua, Alvise Priuli, la marchesa di
Pescara Vittoria Colonna (che fu molto devota a P.) e la contessa Giulia
Gonzaga.
Il circolo, che ebbe vita breve (solo fino all'autunno 1542, sebbene poi,
fino al 1550, anno di morte di Flaminio, il gruppo rimase compatto durante
la trasferta a Trento), agì da centro di diffusione degli scritti riformati
o evangelici, come  i testi inediti di Valdès, compreso l'Alphabeto
christiano, che furono tradotti da Flaminio, sentito il parere dello stesso
P., il quale era anche un estimatore del notissimo Trattato utilissimo del
beneficio di Giesù Christo crocefisso verso i christiani, o più brevemente
Beneficio di Christo, uno dei libri fondamentali per la Riforma in Italia.
P. fu però un personaggio ambiguo e ondeggiante tra le idee evangeliche e
l'assoluta fedeltà alla Chiesa Cattolica. Personaggio molto taciturno, egli
era da una parte nicodemitico ma, dall'altra, fu capace di impegnarsi
direttamente a difesa degli evangelici, come quando, nel 1547, egli
intercesse personalmente presso il papa Paolo III perché questi emanasse una
breve di assoluzione per il nobile messinese Bartolomeo Spadafora, inquisito
da parte dell'Inquisizione siciliana. Tuttavia l'amicizia dimostrata dal P.
verso Spadafora fu il vero motivo dell'arresto e incarcerazione del nobile
siciliano nel settembre 1556, quando il papa Paolo IV lo fece perseguitare
solamente sulla base di questa amicizia.


Il concilio di Trento
Il 1 novembre 1542 P. fu uno dei tre legati pontifici [gli altri due erano
Giovanni Morone e Pietro Paolo Parisio(m. 1545)] incaricati da Paolo III di
aprire ufficialmente i lavori del Concilio di Trento (lavori
ufficiali:1545-1563), ma questo primo tentativo di iniziare il tanto atteso
concilio fu un vero fallimento. Comparvero pochissimi delegati e i lavori
furono sospesi il 6 luglio 1543.
L'apertura ufficiale dei lavori conciliari solo nel dicembre 1545 permise a
P., assistito da Alvise Priuli, di scrivere tra il marzo e l'aprile 1545 il
trattato De Concilio, dove l'autorità della Chiesa veniva fondata sulla
promessa di Cristo a Pietro (una mossa apparentemente contraddittoria e
ambigua, purtroppo non l'unica, rispetto alle sue precedenti simpatie
valdesiane), e alla ripresa dei lavori nella seconda sessione del concilio
(che P. dovette abbandonare, non si sa se per motivi di salute o perché non
accettava la bozza che andava delineandosi), di presentare, il 7 gennaio
1546, l'Admonitio Legatorum ad Patres Concilii.


P. quasi papa!
Alla morte di Paolo III il 10 novembre 1549, nel conclave che ne seguì, il
cardinale inglese fu lungamente considerato il principale candidato: ad un
certo punto egli mancò per un voto l'elezione a papa e avrebbe potuto
semplicemente accettare l'elezione a Papa per adorationem, ma ..... tacque,
permettendo l'elezione del gaudente Giulio III (1550-1555), al quale dedicò
il suo scritto De Summo Pontefice, ma soprattutto spianando la strada
all'elezione, 6 anni dopo, al famigerato, fanatico e violento cardinale Gian
Pietro Carafa, il quale divenne Papa Paolo IV. Carafa, comunque, già nel
conclave del 1549, non mancò di attaccare violentemente P., accusandolo di
eresia.
Dopo la mancata elezione di P. a papa, questi si ritirò nel 1550-51 presso
il convento benedettino di Maguzzano sul Lago di Garda, dove conobbe lo
storico Giovanni Michele Bruto e il diplomatico ed ecclesiastico
italo-ungherese Andrea Dudith Sbardellati.


P. alla corte di Maria Tudor
La morte del re inglese Edoardo VII il 6 luglio 1553 riportò al centro
dell'attenzione il ruolo che poteva svolgere P. per riportare l'Inghilterra
al Cattolicesimo: dopo il matrimonio della regina Maria Tudor (1553-1558)
con Filippo di Spagna [il futuro Filippo II (1556-1598)], P. venne inviato
nel novembre 1554 da Giulio III come legato pontificio. Il 30 novembre 1554
P. formalmente assolse i due rami del parlamento inglese dall'accusa papale
di scomunica e nel novembre dell'anno successivo convocò un sinodo per
attuare diversi decreti di riforma ecclesiastica, visti i 20 anni di
separazione dell'Inghilterra dal Cattolicesimo. Il 20 marzo 1557 Pole fu
finalmente ordinato prete e due giorni dopo fu consacrato arcivescovo.
Tuttavia la crescente repressione anti-protestante della regina,
soprannominata Maria la Sanguinaria (tra 273 e 288 protestanti furono arsi
sul rogo), rese estremamente impopolare il regno di quest'ultima ed P.,
ormai gravemente ammalato, non poté fare molto per mitigare la violenza
anti-protestante della regina, oltre a rintuzzare gli attacchi del suo
nemico, il papa Paolo IV, filo-francese e anti-spagnolo (quindi all'epoca
anche anti-inglese), che oramai totalmente convinto dell'eresia dottrinale
del cardinale inglese, cercò nel 1557 di sottoporlo, assieme a Soranzo e
Morone, ad un processo dell'Inquisizione.
Tuttavia il papa non poté mai mettere in atto i suoi clamorosi piani di
processare pubblicamente P., perché questi era protetto dalla regina Maria
Tudor e poi perché il cardinale inglese morì il 17 novembre 1558 nel palazzo
reale di Lambeth. Per una singolare coincidenza, la sua morte seguì di solo
poche ore quella della regina inglese, sua protettrice.


Polemone (IV° secolo)



Seguace di Apollinare di Laodicea, esasperò il concetto cristologico del
maestro, ribadendo la consustanzialità (synousia) del Logos (sostituto della
parte spirituale dell'anima) e del corpo, reso divino, di Cristo.


Alberto di Brandeburgo-Ansbach (1490-1568)

Alberto di Brandeburgo, da non confondere con l'omonimo cardinale cattolico
(1490-1545) di Magdeburgo e Mainz e noto avversario di Martin Lutero, nacque
il 16 Maggio 1490 ad Ansbach, capitale della Franconia e residenza dei
Margravi di Brandeburgo-Ansbach.
Il nonno di A. era il principe elettore Alberto Achille di Brandeburgo e
poiché A. non era il primogenito, quindi escluso dal titolo di margravio,
egli fu avviato alla carriera ecclesiastica, entrando successivamente
nell'ordine dei Cavalieri Teutonici.
Nel 1511 A. fu eletto Grande Maestro dell'ordine stesso e l'anno successivo,
il 22 Novembre 1512, egli si trasferì nella sede dell'ordine a Köningsberg,
in Prussia.
A quel tempo le fortune dell'ordine dei cavalieri Teutonici erano in netto
declino, dopo il glorioso periodo durato circa due secoli (dal 1283) nel
quale essi avevano dominato la regione ed erano stati per anni una spina nel
fianco delle varie nazioni slave limitrofe (Polonia, Russia etc.).
Già nel 1466 (2° pace di Thorn), l'ordine aveva dovuto cedere la Prussia
occidentale alla Polonia ed accettare che la parte orientale diventasse
feudo del re di Polonia Casimiro IV (1447-1492). Inoltre i Teutonici avevano
perso buona parte del loro potere politico e sofferto per la evidente
incompatibilità tra vita militare e monastico, alla quale anche il Papa
Adriano VI (1522-1523) aveva richiamato l'ordine ed il suo Grande Maestro,
per l'appunto A.
Questi era reduce da una disastrosa quanto inconcludente guerra contro la
Polonia, durata fino al 1521, nel vano tentativo di rendere la Prussia
indipendente, ma alla fine della quale dovette accettare una tregua di
quattro anni.
Nel 1522-23 A. partecipò alla Dieta imperiale di Norimberga nell'inutile
tentativo di cercare protezione contro il re di Polonia, ma fu in quella
occasione che egli sentì, per la prima volta, i sermoni dei predicatori
luterani, in particolare di Andreas Osiander. Approfondì il suo interesse
per la Riforma in un successivo colloquio a Berlino con Martin Lutero e
Philipp Melantone, che lo esortarono a secolarizzare l'ordine e a prendere
moglie. Lo stesso consiglio fu dato ad A. dal fratello Georg, Margravio di
Brandeburgo.
Il processo di riforma nella Prussia fu comunque accelerato dall'abile
cancelliere e principale consigliere di A., il vescovo Georg von Polenz
(1478-1550), che, convertitosi al luteranesimo, emanò ordini per il clero
prussiano per l'uso della lingua locale nelle funzioni religiose e per lo
studio dei testi di Lutero. Nel Giugno 1525 Polenz rinunciò ai suoi poteri
secolari e si sposò, imitato, esattamente un anno dopo, da A.
Nello stesso 1525, A. sciolse l'ordine teutonico e trasformò la proprietà
dei cavalieri in un ducato ereditario per la sua dinastia, con il consenso
del re di Polonia, che il 10 Aprile lo nominò Duca di Prussia e feudatario
della corona polacca.
Il 6 Luglio A. introdusse ufficialmente la Riforma luterana in Prussia, con
i relativi cambiamenti: abolizione dei digiuni, riduzione dei giorni da
santificare, trasformazione dei conventi in ospedali e liturgia in lingua
locale. A. inoltre fondò l'università di Königsberg nel 1544, attirando i
migliori studiosi locali (prussiani, polacchi, lituani) dell'epoca, come
Andreas Osiander.
Tuttavia la vita privata di A. fu molto dolorosa per il Duca a causa della
morte di 6 dei suoi 7 figli e della prima moglie.
A. morì il 20 Marzo 1568  ed a lui successe il figlio Alberto Federico, che
morì senza figli maschi nel 1618: a quel punto il ducato passò al ramo
principale dei Brandeburgo.


Pomponazzi, Pietro (1462-1525)



Pietro Pomponazzi nacque a Mantova nel 1462 e si laureò in medicina
all'università di Padova nel 1487. Nel 1488 P. divenne professore di
filosofia allo stesso ateneo, opponendosi alla corrente averroistica,
rappresentata dai filosofi Nicoletto Vernia (1420-1499) e Alessandro
Achillini (1463-1512) e che propendeva per una interpretazione della
filosofia aristotelica nella forma più aderente alla versione originale e
senza implicazioni teologiche.
P. invece favoriva l'interpretazione materialista data dai commentari di
Alessandro di Afrodisia (attivo 198-211) e perciò egli venne considerato il
fondatore della cosiddetta corrente alessandrista.
Nel 1511 P. fu nominato a Bologna professore ordinario di filosofia e qui
pubblicò nel 1516 il suo Tractus de immortalitate animae, dove egli negò
l'immortalità dell'anima: questa per P. era solamente il soffio vitale che
permetteva al corpo di agire e pensare: essa moriva con la morte del corpo
stesso.
Questa tesi suscitò vive polemiche e il libro fu dato alle fiamme a Venezia
per ordine del doge stesso, mentre P., nonostante la difesa da parte di
Pietro Bembo, suo ex allievo, fu condannato da Papa Leone X (1513-1521) a
ritrattare queste tesi nel 1518. A propria difesa, comunque, P. aveva già
scritto nel 1517 la Apologia, seguita nel 1519 dal Defensorium adversus
Augustinum Niphum, contro gli attacchi del filosofo avveroista Agostino Nifo
(1470-1538).
Nonostante tutto, P. poté successivamente completare altre due importanti
opere: il De naturalium effectuum causis sive de incantationibus liber
(1520) in cui attaccò la superstizione dei miracoli, considerati parte di un
disegno astrologico, e il De fato, libero arbitrio, praedestinatione et
providentia Dei, libri quinque (1523), in cui venne sostenuto che tutto è
governato dal fato. Tuttavia l'amarezza di non poter pubblicare questi
ultimi testi, come anche quelli di molte sue lezioni universitarie, in
quanto già troppo compromesso con l'Inquisizione, portò P. alla depressione
e al suicidio nel 1525.
Un altro suo ex allievo Giovanni Grillenzoni avrebbe fondato, qualche anno
dopo, l'Accademia Modenese, che riuniva i principali notabili della città,
come, ad esempio, Filippo Valentini, Ludovico Castelvetro ed il professore
universitario Francesco Porto (1511-1581), per discutere di teologia, ma
anche per studiare e commentare le Sacre Scritture,


Castelvetro, Ludovico (1505-1571)



Uno dei maggiori studiosi e critici del '500 di Dante (di cui rimane
memorabile un commentario della Divina Commedia), Petrarca e Aristotele (la
sua traduzione della Poetica è un riferimento per gli studiosi) fu Ludovico
Castelvetro, nato a Modena nel 1505 da una famiglia benestante: suo padre
era infatti il ricco banchiere Giacomo Castelvetro. Il giovane Ludovico si
laureò in giurisprudenza all'università di Siena e nel 1532 divenne docente
di diritto all'università della sua città natale.
Poco dopo, tuttavia, egli abbandonò gli studi giuridici, per occuparsi di
quelli letterari ed entrare a far parte dell'Accademia modenese, fondata dal
medico Giovanni Grillenzoni, allievo di Pietro Pomponazzi, che riuniva i
principali notabili della città, come, ad esempio, Filippo Valentini ed il
professore universitario Francesco Porto (1511-1581), per discutere di
teologia, ma anche per studiare e commentare le Sacre Scritture, utilizzando
direttamente le fonti originarie, un modus operandi caro alla Riforma.
C. stesso si mise in evidenza, curando nel 1532 la traduzione in italiano
dei Loci communes di Melantone, edito sotto il titolo di I principii de la
theologia. D'altra parte le tendenze riformiste di C. si notarono anche
nella rilettura che egli aveva fatto dei testi di Petrarca, presentato come
un proto-protestante, intento a satireggiare sul papato di Avignone e a fare
richiami continui agli insegnamenti di Sant'Agostino o direttamente alle
Sacre Scritture.
Tale fu la popolarità raggiunta dall'Accademia che il cardinale di Modena,
Giovanni Morone, coadiuvato dal cardinale Gasparo Contarini, costrinse nel
settembre 1542 gli aderenti a firmare un formulario di fede, gli Articuli
orthodoxae professionis, che C. si rassegnò a sottoscrivere: non così per il
Porto e il Valentini, che preferirono allontanarsi dalla città.
Tuttavia la messa sotto accusa del C. nell'estate 1556, assieme a Bonifacio
e Filippo Valentini e al libraio Antonio Gadaldino, lo consigliò di fuggire
da Modena.
Calmate le acque, C. rientrò, ma la comparsa, intorno al 1559, della sua
traduzione (probabilmente risalente al 1541) di un'altra opera di Melantone,
De Ecclesiae autoritate et de veterum scriptis libellus (Dell'autorità della
Chiesa e degli scritti degli antichi), mise questa volta seriamente nei guai
l'umanista modenese. Infatti, una volta salito al potere, il nuovo duca di
Ferrara e Modena, Alfonso II (1559-1597), tutt'altro che tollerante verso i
protestanti come invece sua madre Renata di Francia, cercò inutilmente di
far processare C. a Ferrara per eresia.
C. decise quindi di presentarsi spontaneamente nell'ottobre 1560 presso il
tribunale del Sant'Ufficio a Roma, ma il 17 dello stesso mese, avuta la
certezza che i giudici avevano visionato la sua traduzione del De Ecclesiae,
fuggì, con l'aiuto di suo fratello Gian Maria, dal convento di Santa Maria
in Via, dove era confinato, in quanto era sicura la sua condanna come
eretico.
La sentenza fu effettivamente emessa, ma gli inquisitori dovettero
accontentarsi, a causa dello stato di contumacia, di bruciare il C. in
effigie.
Il C. dapprima si nascose, per qualche mese, nella sua villa di Verdeda
(vicino a Modena), quindi lasciò Modena nella primavera 1561 per Chiavenna,
dove fu visitato dal suo ex allievo Fausto Sozzini e dove fu raggiunto
dall'antico amico Francesco Porto, con il quale si trasferì a Ginevra.
Dal 1562 al 1564 C. visse a Ginevra e qui fu raggiunto dai nipoti Giacomo
(1546-1616) e Lelio (1553-1609) Castelvetro, esuli, come lo zio, per motivi
religiosi.
Giacomo, dopo anni di esilio volontario all'estero, rientrò in Italia (a
Venezia) nel 1597 e 14 anni dopo, nel 1611, fu arrestato con l'accusa di
eresia. Per sua fortuna, i potentissimi appoggi internazionali di cui godeva
permisero la sua scarcerazione: era stato nientedimeno che insegnante di
italiano del re di Scozia Giacomo VI, poi Giacomo I re d'Inghilterra
(1603-1625), il quale intervenne tempestivamente per richiedere il suo
rilascio. Morì in Inghilterra nel 1616. Il fratello minore Lelio fu meno
fortunato: fu infatti processato e successivamente bruciato come eretico a
Mantova nel 1609.
Lo zio Ludovico abitò successivamente a Lione, in Valtellina (dal 1512 sotto
il cantone protestante dei Grigioni), a Vienna ed infine ritornò a
Chiavenna, dove morì il 21 febbraio 1571.
Addolorato per la morte dell'amico modenese, Fausto Sozzini scrisse, in suo
onore, un sonetto, in cui l'antitrinitario senese dichiarò che C. gli aveva
chiaramente mostrato la via da seguire: l'esilio in terra protestante e la
palese professione di fede.


Postel, Guillaume (ca. 1510-1581)



L'umanista, orientalista e mistico francese Guillaume Postel nacque nel 1510
ca. a Barenton, in Normandia: dapprima autodidatta e maestro di scuola a
soli tredici anni, P. studiò poi a Parigi, al collegio Sainte-Barbe, dove
rivelò una spiccata attitudine per le lingue.
Nel 1538 P. fu nominato professore reale al Collegio di Francia di lingua
ebraica ed araba, che perfezionò nel corso di una missione ufficiale in
Turchia al seguito dell'ambasciatore francese Jean de la Forêt, ma nel 1542
dovette rifugiarsi in Svizzera per aver difeso pubblicamente il suo
protettore, il Cancelliere di Francia Guillaume Poyet (ca. 1473-1548),
caduto in disgrazia ed arrestato.
A Basilea, nel 1544, P. lavorò su una delle sue opere principali, De orbis
terrae concordia, un inno alla concordia tra le religioni, non soltanto
cattolica e protestante, ma anche ebrea ed islamica. Le stesse idee furono
ribadite nei trattati Panthenosia e Unique Moyen de l'accord, del 1562,
quest'ultimo fu successivamente inserito nell'Index librorum prohibitorum.
P. fece altri viaggi in Italia, dove conobbe una mistica italiana, chiamata
Madre Giovanna, che si credeva l'incarnazione dello spirito di Cristo, e in
Oriente (Siria e Palestina), e fu il primo studioso a tradurre in latino
testi cabalistici ebraici come Zohar e Sefer Yetzirah, aggiungendo sue
annotazioni mistiche teosofiche. Pubblicò inoltre, incoraggiato da Madre
Giovanna, nel 1552, la Restitutio rerum omnium conditarum, un'opera
millenaristica, che anelava ad un'era felice attraverso la conoscenza delle
leggi della natura.
Per questo, P. fu espulso dalla Compagnia di Gesù e posto sotto inchiesta
dall'Inquisizione: dopo un periodo di prigionia, egli fu costretto a
risiedere, in domicilio coatto, a Saint-Martin-des-Champs a Parigi, dove
morì nel 1581.


Durand de Huesca (Durando d'Osca) (inizio XIII secolo) e Poveri Cattolici



Nel XIII secolo un personaggio di spicco del valdismo spagnolo fu Durand de
Huesca, un chierico e teologo di origine spagnola (secondo altri, invece,
proveniente dal sud della Francia), coerentemente impegnato nel fustigare i
costumi dei prelati corrotti ed indegni, cercando però, nel frattempo, di
non cadere nell'accusa di essere simpatizzante dei boni homini o boni
christiani , come si denominavano i catari. Anzi contro questi ultimi D.
prese le distanze, scrivendo il Liber contra Manicheos.
Tuttavia in Spagna erano tempi duri anche per i valdesi, che erano stati
perseguitati per ordine del re Alfonso II di Aragona, detto il Casto
(1152-1196).
Nel 1204, D. fu sollecitato a riconciliarsi con la Chiesa Cattolica, durante
una disputa teologica a Pamiers, dal vescovo di Osma, Diego, che, poco dopo,
sarebbe partito per una missione di evangelizzazione tra i catari della
Francia Meridionale con il suo assistente, Domenico di Guzman (1170-1221),
il futuro santo e fondatore dell'ordine dei domenicani.
D. accettò la riconciliazione e ne approfittò per far accettare nel 1208 il
suo movimento dei Poveri Cattolici, da parte di Papa Innocenzo III
(1198-1216). Lo scopo del movimento era di favorire il rientro nel
Cattolicesimo dei valdesi desiderosi di essere riaccolti dall'ortodossia,
ma, a parte alcuni successi parziali, come quello dell'adesione di quei
valdesi lombardi, che seguivano Bernardo Primo (fondatore nel 1210
dell'ordine dei Poveri Riconciliati), la strategia di D. andò
sostanzialmente fallita.
Per questo insuccesso e per atteggiamenti, secondo i cattolici, ancora poco
ortodossi, D. fu richiamato all'ordine in una lettera scrittagli
direttamente da Papa Innocenzo III nel 1209.



Valdo (c.1140-c.1217) e valdismo



Il fondatore
Le notizie sul fondatore del movimento dei valdesi sono purtroppo scarse.
Perfino sul suo nome, i vari autori si sbizzarriscono in Valdo, Valdes,
Valdesio, Vaux, con la V o la W iniziale, e, dall'inizio del XIV secolo, con
il nome Pietro probabilmente aggiunto postumo dai suoi seguaci, in onore
dell'apostolo Pietro.
V., un ricco mercante di Lione (in Francia), fu vivamente impressionato nel
1175 da un racconto di un menestrello che gli descrisse la vita di
Sant'Alessio (IV secolo) e della moglie: essi, il giorno stesso del loro
matrimonio, decisero di vivere in castità e di donare tutti i loro averi ai
poveri.
A quel punto, V. espresse il desiderio di approfondire la lettura della
Bibbia, tuttavia egli non conosceva il latino. Chiese quindi a due sacerdoti
di tradurgli i Vangeli in francese, ai quali si aggiunsero poi altre parti
della Bibbia.
Leggendo il Vangelo di Matteo, V. fu colpito dal passaggio della predica di
Gesù al giovane ricco: Gli disse Gesù: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi
quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni
e seguimi" (Matteo XIX, 21), e decise nel 1176 di abbandonare la moglie e di
donare tutto i suoi averi, parte al monastero di Fontevrault, dove fece
accogliere le sue due figlie minori, ma la maggior parte ai poveri.
Egli successivamente si circondò di un gruppo di seguaci, i quali, fatto un
voto di povertà, erano diventati predicatori erranti, vestiti solo con un
saio. E' importante precisare che V. non aveva alcuna velleità eterodossa,
tuttavia la solita miopia degli alti prelati dell'epoca, che vedevano dei
potenziali catari in ogni movimento spontaneo, fece sì che a V. fosse
proibita la predicazione da parte del vescovo di Lione.
V. non si scoraggiò e si presentò direttamente dal Papa Alessandro III
(1159-1181), durante il III Concilio Laterano del 1179, per ottenere
l'autorizzazione ecclesiastica alla predica. Tuttavia Alessandro non ebbe la
lungimiranza (o l'opportunismo) di Innocenzo III (1198-1216), che 30 anni
dopo, nel 1209, approvò la scelta praticamente identica di San Francesco
d'Assisi. Alessandro, invece, si limitò ad abbracciare commosso V., salvo
poi ordinargli di ubbidire al vescovo di Lione, e stesso trattamento ebbe il
lionese nel 1181 da Papa Lucio III (1181-1185). Quest'ultimo, anzi, gli fece
giurare ubbidienza al suo vescovo.
Tuttavia V. non ebbe la pazienza di accettare obtorto collo, come Francesco,
gli ordini della Chiesa, e continuò la predicazione con i suoi seguaci,
denominati Poveri di Lione.
Egli fu allora convocato in un sinodo a Lione nel 1180 dal cardinale Enrico
di Marcy, vescovo di Albano, dove V. fece una confessione ortodossa, anzi
denunciando gli errori dei catari.
Tuttavia ciò non gli fu sufficiente e attirò ugualmente nel 1184 su di lui
una scomunica, comminata con la bolla papale Ad abolendam da Lucio III a
Verona. Anche il IV Concilio Laterano del 1215 condannò il movimento di V.
come quello di "eretici impenitenti".
Ma il movimento era ben radicato nel Sud della Francia, in Spagna e nel Nord
dell'Italia, in particolare in Lombardia, dove sia i seguaci di Arnaldo da
Brescia che un gruppo dissidente del movimento degli Umiliati, confluirono
nel movimento valdese, assumendo nel 1205 il nome di Poveri Lombardi. Queste
due anime ben presto provocarono una spaccatura nel movimento: i Poveri di
Lione disdegnavano il matrimonio, il lavoro manuale e la gerarchia interna,
mentre i Lombardi, con a capo Giovanni di Ronco, accettavano tutto ciò,
mentre  erano più severi dei francesi nel rigettare i sacramenti conferiti
da sacerdoti indegni.
V. morì ca. nel 1217 (secondo altri autori nel 1207) con l'amarezza di non
essere riuscito a mediare le divergenze dei due gruppi, che neppure una
riunione organizzata a Bergamo nel 1218 poté appianare.


Il movimento valdese
Dopo la morte del fondatore, il movimento continuò, nonostante le
persecuzioni, la sua espansione, oltre che in Spagna, Francia meridionale e
Italia settentrionale, anche in Italia meridionale (Puglia, ma soprattutto
Calabria, dove però i v. vennero tutti massacrati nel 1561) in Germania
(Strasburgo e Baviera), Austria e Boemia, dove i v. vennero assorbiti dagli
hussiti nel XVI secolo.
In Spagna i v. furono perseguitati per ordine del re Alfonso II di Aragona,
detto il casto (1152-1196). Successivamente furono fatti dei seri tentativi
da parte del teologo spagnolo valdese Durand de Huesca (o Durando d'Osca),
di far accettare i v. come ortodossi da parte della Chiesa. A riguardo,
Durando fondò nel 1208 il movimento dei Poveri Cattolici, accettato da Papa
Innocenzo III.
In Francia, la reazione cattolica contro il movimento v. avvenne soprattutto
dopo il 1208, l'inizio della crociata contro i catari (che i cattolici
spesso confondevano con i v.), e già dal 1214 alcuni v. furono bruciati sul
rogo a Maurillac.
Tuttavia i v. continuarono ad espandersi nel Delfinato e nella Savoia e né
l'Inquisizione né l'azione di predicatori cattolici come San Vincenzo Ferrer
(1350-1419) riuscirono a sradicarli dal loro territorio.
Nel 1478 il re Luigi XI (1461-1483) li protesse perfino con una ordinanza,
tuttavia pochi anni dopo, nel 1488, Papa Innocenzo VIII (1484-1492) ordinò
una crociata per cacciarli dalle valli alpine francesi verso la Svizzera.
Dall'altra parte delle montagne, nelle valli piemontesi Chisone, San
Martino, Pragelato, Perosa, Pellice, Luserna e Angrogna, il movimento fu
perseguitato a lungo sulla base delle solite accuse infamanti di adorare
Lucifero e di praticare il sacrificio rituale dei bambini durante orge
notturne (il tutto alimentato anche da un libro dell'epoca dal titolo
Errores haereticorum Waldensium).
La persecuzione durò per tutto il XIV secolo, con una punta intorno al 1370
quando 170 adepti furono condannati al rogo, ma il v. riuscì ugualmente a
svilupparsi fino al XVI secolo.
Nel 1530 due "barba" (predicatori itineranti) valdesi, Giorgio Morel e
Pietro Masson, vennero inviati presso i riformisti svizzeri Bucero e Farel
per confrontarsi sulle rispettive dottrine, e dopo il rientro di Morel
(Masson venne arrestato e ucciso a Digione), nel 1532 a Chanforan, in valle
d'Angrogna, i v. decisero di aderire alla riforma di ispirazione calvinista.
Questa decisione venne aiutata da una fortunata circostanza: nel 1536
l'invasione (durata 20 anni) delle valli piemontesi da parte dell'esercito
francese rinforzato da diversi reparti mercenari luterani.
Tuttavia nel 1559, i duchi di Savoia, cattolici, ripresero il controllo
della regione ed iniziò una lunga storia di persecuzione dei v. che portò
fino alle stragi del 1655 (Pasque Piemontesi), delle quali si indignò
perfino il famoso poeta inglese John Milton e all'editto di Vittorio Amedeo
II di Savoia del 1686, il quale decretò l'espulsione o la conversione
forzata dei protestanti piemontesi. Nonostante una iniziale resistenza
armata, i v. decisero successivamente di emigrare in Svizzera, dalla quale
però il pastore Henri Arnaud ed il comandante (ex contadino) Giosuè
Gianavello (Javanel) organizzarono il rientro nelle valli piemontesi nel
1689 ("Glorioso Rimpatrio").
Nel secoli successivi i Savoia cercarono inutilmente di scacciare i v. sia
mediante azioni militari che con campagne di proselitismo organizzate dai
gesuiti, ma alla fine, nel 1848, ai v. vennero concessi i diritti civili e
politici previsti nello statuto di Carlo Alberto e per loro finì il lungo
periodo di "ghettizzazione".


I valdesi oggi
Oggigiorno i v. sono valutabili in ca. 50.000 membri, divisi tra Italia
(29.000 aderenti soprattutto nelle tradizionali valli piemontesi), Francia
meridionale, Germania (dove si sono fusi con i luterani nel 1823),
Argentina, Uruguay e Stati Uniti (dove alcuni di loro si sono fusi con la
Chiesa Presbiteriana negli anni '70).
In Italia hanno fondato nel 1855 a Torre Pellice una scuola, in seguito
facoltà, di teologia, spostata poi a Firenze nel 1860 ed infine a Roma nel
1922. Inoltre sono stati fondati diversi ospedali valdesi (Torino, Genova),
una Casa Editrice (Claudiana, in onore di Claudio di Torino) ed il centro
ecumenico di Agape. 
Dal 1979, i v. italiani formano un'unica chiesa evangelica con i metodisti,
denominata Unione delle chiese valdesi e metodiste. 


La dottrina
Come si è detto precedentemente, all'inizio non si notarono elementi
eterodossi nella predicazione di V.
La sua fedeltà al Vangelo ed il desiderio di un ritorno alle origini
apostoliche della Chiesa come reazione alla dilagante corruzione
ecclesiastica erano caratteristiche di molti altri movimenti cristiani
medioevali sia tra quelli perseguitati (arnaldisti, petrobrusiani,
enriciani) che tra quelli accettati (patarini, francescani).
Tuttavia la stessa persecuzione nei loro confronti portò i v. ad accostarsi
a dottrine di altri eretici del tempo (soprattutto catari) come il rifiuto
del purgatorio, dei pellegrinaggi, del ricorso all'intercessione dei santi,
della venerazione delle reliquie. Molte di queste idee comunque erano già
stati espressi nel IX secolo dal vescovo Claudio di Torino, che i v.
considerano come un loro precursore.
Inoltre, come i catari, i v. recitavano preferibilmente il Padre Nostro, si
erano divisi in perfetti (i predicatori itineranti poveri e casti,
denominati "barba") e uditori e utilizzavano un battesimo per imposizione
delle mani, sebbene, dal punto di vista teologico, i v. rimasero
profondamente cristiani, riconoscendo la deità del Figlio, senza tentazioni
dualiste come i catari.
Successivamente, nel 1655, come si è già detto, la Chiesa Valdese aderì alla
Riforma, conformandosi ad una dottrina di ispirazione calvinista,
riconoscendo solo due sacramenti: il Battesimo e la Cena del Signore. Infine
le singole congregazioni sono oggigiorno gestite da un consiglio presieduto
dal pastore locale.


Giovanni di Ronco (o di Roncarolo) (XIII secolo) e Poveri Lombardi



Nel XIII secolo il valdismo era ben radicato nel sud della Francia, in
Spagna e nel nord dell'Italia.
Qui, in particolare in Lombardia, i seguaci di Arnaldo da Brescia e un
gruppo dissidente del movimento degli Umiliati  confluirono nel movimento
valdese, assumendo nel 1205 il nome di Poveri Lombardi.
Le due anime del valdismo ben presto arrivarono ad una spaccatura nel
movimento: i Poveri di Lione, francesi, disdegnavano il matrimonio dei
ministri del culto, il lavoro manuale e la gerarchia interna, cosa che i
Lombardi, più estremisti, accettavano, oltre ad essere più severi dei
francesi nel rigettare i sacramenti conferiti da sacerdoti indegni.
Essi avevano a capo il piacentino Giovanni di Ronco (o di Roncarolo), un
"illetterato" secondo gli scrittori dell'epoca, ma che aveva preso posizione
assumendo un ruolo quasi sacerdotale nel gruppo lombardo, in contrasto con
il gruppo dei Poveri di Lione, che non prevedevano questa evoluzione della
figura del predicatore valdese.
Le caratteristiche del valdismo italiano (matrimonio dei ministri del culto,
lavoro manuale, rifiuto dei sacerdoti indegni) influenzarono profondamente
anche le frange di questo movimento presenti nel nord dell'Europa (Germania,
Austria, Boemia), per non parlare, due secoli dopo, degli hussiti taboriti
del 1420.
Nel 1217 (secondo altri autori nel 1207) Valdo morì con l'amarezza di non
essere riuscito a mediare le divergenze dei due gruppi, che neppure una
successiva riunione organizzata a Bergamo nel 1218 poté appianare.
Pare comunque che neppure G. avesse partecipato alla suddetta riunione,
essendo morto qualche anno prima.



Lollardi (XIV-XV secolo)



Il nome di lollardi venne dato ai seguaci di John Wycliffe e contraddistinse
un movimento eretico inglese del XIV e XV secolo.


Origine del nome
L'origine del nome è incerta: pare dall'olandese lollen, cantare o, secondo
alcuni autori, il soprannome, attribuito sarcasticamente ai lollardi dai
loro avversari cattolici, deriva dall'inglese to lollop, camminare
goffamente o to loll, sedere oziando.


Il movimento
A dir la verità, negli anni di Wycliffe, il termine di L. venne applicato a
diversi movimenti di dissenzienti religiosi, non necessariamente wycliffiti,
come ad esempio i begardi, i fratelli del libero spirito, i singoli
cavalieri in rotta con l'autorità della Chiesa, i parrocchiani che non
volevano pagare le decime, i seguaci del visionario gallese Walter Brute,
ecc.
Dopo la morte di Wycliffe nel 1384, divenne il leader del movimento il suo
segretario, John Purvey, che approfittò della schizofrenia del tirannico re
Riccardo II (1377- deposto 1399), per rinforzare la posizione del movimento,
protetto da diversi esponenti della nobiltà. Egli giunse anche a presentare
nel 1395 al Parlamento un progetto di riforma della Chiesa inglese, che fu
ovviamente respinto, in dodici punti, che ricalcavano i precetti di
Wycliffe.
Ma, in seguito alla deposizione di Riccardo da parte di Enrico di Lancaster
(il figlio di Giovanni, il protettore di Wycliffe), divenuto re Enrico IV
(1399-1413), la situazione per i L. cambiò radicalmente in peggio.
Infatti Enrico, per ringraziarsi la Chiesa, iniziò una energica azione di
soppressione del movimento L., contrassegnata dall'Atto De Hæretico
Comburendo (Del bruciare gli eretici) del 1401, che permetteva ai vescovi di
arrestare, imprigionare, torturare e consegnare al braccio secolare gli
eretici.
Il primo L. a pagare con la vita l'applicazione di questa legge fu il prete
londinese William Sawtrey, che dichiarò il suo rifiuto nel dogma della
transustanziazione e nell'autorità della Chiesa.
Anche all'estero si reagì al movimento L.: in particolare in Boemia, dove
nel 1403 l'università di Praga condannò gli scritti di Wycliffe, tradotte in
boemo dai suoi seguaci.
Nel 1408, il grande avversario del movimento, l'arcivescovo di Canterbury
Thomas Arundel, stabilì in un sinodo ad Oxford le regole (costituzioni) per
poter predicare in pubblico, tradurre le Sacre Scritture e insegnare
teologia nelle scuole.
Infine nel 1415 fu pronunciata postuma la condanna di Wycliffe per eresia al
Concilio di Costanza e nel 1428, dietro pressioni di Papa Martino V
(1417-1431), il suo corpo fu riesumato e bruciato sul rogo e le ceneri
sparse nel fiume Swift.
Tuttavia, già da prima, nel 1414, i L., vista minacciata la loro
sopravvivenza, avevano organizzato una insurrezione armata per rapire il re
Enrico V (1413-1422), sotto il comando di Sir John Oldcastle, l'anno
precedente processato e imprigionato per eresia, ma che era riuscito a
fuggire dalla famigerata Torre di Londra per mettersi a capo degli insorti.
La chiamata alle armi dei L. fu un vero insuccesso e ben pochi risposero
all'appello: secondo alcuni autori solo 300, di cui 80 furono catturati. Di
questi 69 (altri autori riportano 44) furono messi a morte. Oldcastle riuscì
a sfuggire alla cattura per 3 anni, finché non fu catturato nel 1417 e
impiccato su una forca sotto la quale bruciava un fuoco lento.
La persecuzione del movimento continuò per altri due decenni fino ad un
nuovo tentativo di insurrezione organizzato dal L. William Perkins, represso
nel sangue, nel 1431.
I L. continuarono a sopravvivere, ma anche essere perseguitati fino quasi
all'avvento della Chiesa d'Inghilterra nel 1534: perfino durante il regno di
Enrico VIII (1509-1547) ne furono bruciati sul rogo 2 nel 1511 e 4 nel 1522.
Nel 1523 furono infine fatti oggetto di un elogio di Erasmo da Rotterdam,
che li definì "conquistati, ma non estinti", e negli anni successivi furono
gradualmente riassorbiti dal Protestantesimo inglese, di cui avevano
promosso le idee due secoli prima.


Tyndale, William (ca. 1494-1536)



La vita
William Tyndale nacque nel 1494 ca. probabilmente vicino a Dursley, nella
contea inglese del Gloucestershire, da una modesta famiglia, il cui cognome
originario era Hychyns, ma William usò abitualmente il cognome Tyndale della
madre.
Egli studiò all'università di Oxford, presso la Magdalene Hall, ottenendo il
baccalaureato in arti nel 1512 e il titolo di maestro in arti nel 1515.
Dopo la laurea, T. si trasferì a Cambridge e qui simpatizzò con il gruppo di
luterani (fondato da Thomas Bilney e soprannominato Piccola Germania dalle
loro simpatie per le dottrine del riformatore di Wittenberg), che si riuniva
alla locanda del Cavallo Bianco (White Horse Inn). Del gruppo fecero parte
religiosi agostiniani, come Robert Barnes (1495-1540) e Miles Coverdale, e
cattedratici dell'università, come lo stesso Bilney e Hugh Latimer.
In seguito ordinato prete, T. ritornò nella sua contea di origine tra il
1521 ed il 1523, ma, sospettato di eresia lollarda, decise di recarsi a
Londra per cercare di convincere l'arcivescovo Cuthbert Turnstall
(1474-1559) a permettergli di tradurre la Bibbia in inglese. Avendo ricevuto
un netto e scortese rifiuto, T. prese la drastica decisione di emigrare ad
Amburgo, dove si mise all'opera coadiuvato dal frate ex agostiniano (secondo
altri, ex francescano) William Roye.
I due tentarono di pubblicare una prima versione della Bibbia a Colonia nel
1525, ma furono bloccati dopo la stampa delle prime 80 pagine. Meglio andò a
Worms, dove finalmente nel febbraio 1526 fu pubblicato il primo Nuovo
Testamento in lingua inglese.


La Bibbia in volgare
La fama di T. è infatti soprattutto legata a questa traduzione in lingua
inglese del Nuovo Testamento direttamente dalla versione originaria in
greco. Non era stato il primo a tradurre la Bibbia: infatti precedentemente
anche John Wycliffe aveva provveduto alla traduzione in inglese di parti
delle Sacre Scritture, ma la sua traduzione si riferì al testo in latino di
San Girolamo.
T. invece poté usufruire di diversi fonti di informazioni, rese disponibili
in Europa occidentale dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, fatto
storico che obbligò tanti studiosi greci ad emigrare in occidente,
particolarmente in Italia, portando con sé preziosi manoscritti.
Così molti biblisti britannici, soprattutto da Oxford, furono motivati ad
imparare il greco antico, per poter finalmente esaminare questi testi sacri
direttamente alla fonte, senza tutte le varie interpretazioni del periodo
scolastico. Uno dei più famosi studiosi fu John Colet (1467-1519), le cui
conferenze influenzarono profondamente il noto umanista Erasmo da Rotterdam.
Erasmo pubblicò nel 1516 la sua versione del Nuovo Testamento in greco, e da
questa edizione fu preso lo spunto per due traduzioni fondamentali per la
storia della Riforma: la versione in tedesco di Martin Lutero del 1522 e
quella, appunto, in inglese di T. del 1525.
La versione di T. arrivò in Inghilterra nel 1526 ed ebbe un'accoglienza
molto negativa da parte della Chiesa Inglese: l'influenza luterana
sull'autore era molto evidente, soprattutto nelle prefazioni di alcune
lettere di San Paolo, semplici traduzioni in inglese del testo luterano.
Autorità quindi come l'arcivescovo Turnstall, il grande filosofo umanista
Tommaso Moro (Thomas More) (1478-1535) e il cardinale e Lord Cancelliere
Thomas Wolsey (1474-1530) chiesero a gran voce l'arresto di T. come eretico.
Ma quest'ultimo continuava a produrre lavori, stampati sul continente ed
esportati di nascosto in Inghilterra, come Prologo all'Epistola ai Romani
(1526), Obbedienza di un uomo cristiano (1528) e La pratica dei prelati
(1530), tuttavia nel 1526 egli ritenne più prudente trasferirsi ad Anversa
sotto la protezione di un gruppo di mercanti luterani inglesi, che, guarda
caso!, facevano un notevole guadagno proprio dal contrabbando di testi
proibiti in Inghilterra.
Poco dopo T., assieme a Miles Coverdale, si mise al lavoro per la traduzione
di tutto l'Antico Testamento in inglese, una monumentale impresa che tenne
occupati i due studiosi fino al 1531.
Diversi di questi lavori fecero infuriare Enrico VIII d'Inghilterra in
persona, che non lesinò alcun sforzo per far arrestare lo
stampatore/traduttore di Dursley, che oltretutto si era permesso di
contestare le ragioni del re per il suo divorzio da Caterina d'Aragona.
Infine nel 1534, con revisione nel 1535, T. pubblicò ad Anversa le sua
versione riveduta del Nuovo Testamento, ma questo fu il suo canto del cigno.
Poco dopo infatti, una spia inglese, tale Henry Phillips, entrò in amicizia
con T. e nel maggio 1535, carpendo la sua buona fede, riuscì a farlo uscire
dal territorio sotto il controllo diplomatico dei mercanti inglesi,
consegnandolo al Procuratore Generale, che lo fece arrestare e inviare alla
fortezza di Vilvorde, vicino a Bruxelles.
Nonostante gli interventi dell'amico e mercante inglese Thomas Poyntz ( lui
stesso arrestato, ma che riuscì poi ad evadere) e, dall'Inghilterra, del
Lord Gran Ciambellano Thomas Cromwell e dell'arcivescovo di Canterbury,
Thomas Cranmer, T. fu rapidamente processato e condannato al rogo.
Il 6 ottobre 1536 T. fu condotto sul luogo dell'esecuzione, dichiarato
decaduto del titolo di prete e strozzato come atto di clemenza, prima
dell'accensione della pira, che bruciò il suo corpo senza vita.


Ironia della sorte, pochi mesi dopo la sua morte, lo stesso Enrico VIII
autorizzò la prima traduzione ufficiale della Bibbia, denominata Bibbia di
Matteo, che incorporò la maggioranza delle traduzioni fatte da T. e perfino
nel 1611, quando venne dato alle stampe la versione autorizzata dalla regina
Elisabetta I, le traduzioni di T. formavano vaste parti del testo.


Pradas Tavernier (perfetto cataro) (inizio XIV secolo)



Pradas Tavernier, un "perfetto" francese, apprese la dottrina catara,
recandosi in Lombardia alla fine del XIII secolo, assieme ai fratelli
Authier e a Amelio de Perles.
La Lombardia, infatti, era diventata il centro di riferimento per il
catarismo, dopo le violenti repressioni nel sud della Francia degli anni
1209-1244.
P. fece, quindi, parte del revival del catarismo, moralmente meno rigoroso
dell'inizio del movimento e caratterizzato da un maggior impiego
dell'endura, il suicidio volontario per digiuno compiuto spesso quando la
scarsità di "perfetti" poteva rendere impossibile una seconda cerimonia di
Consolament, se fosse stata necessaria.



Girolamo di Praga (ca. 1370-1416)



Girolamo di Praga nacque a Praga nel 1370 ca. e studiò nella locale
Università, subendo l'influenza del predicatore riformatore Jan Hus.
Nel 1398 G. ricevette il titolo di Baccelliere in arti e in seguito partì
per Oxford, in Inghilterra, per completare gli studi di teologia. Questo
viaggio di studio era particolarmente in voga presso i giovani studenti
boemi, in particolare dopo che una prima delegazione si era recata in
Inghilterra al seguito della principessa Anna di Boemia, andata in sposa a
Riccardo II.
Anche G., come i suoi predecessori, rimase colpito dagli insegnamenti di
John Wycliffe e non mancò di diffonderli in patria al suo ritorno nel 1401.
Tuttavia non rimase a lungo in Boemia, affrontando un pellegrinaggio a
Gerusalemme nel 1403 e successivamente diventando docente all'Università
Sorbona di Parigi nel 1405 e alle università tedesche di Colonia e
Heidelberg nel 1406: da tutte queste città egli fu espulso per le sue idee
eterodosse allineate sulle posizioni di Wycliffe e per le spietate denunce
della corruzione dilagante nella Chiesa Cattolica.
Rientrò a Praga nel 1407 e collaborò con Hus, organizzando dibattiti
pubblici e proponendo di riformare radicalmente la Chiesa Cattolica.
Nel 1410, nuovamente insistendo sulle sue posizioni all'Università di Vienna
fu imprigionato con l'accusa di eresia, ma riuscì a fuggire, ma
evidentemente non aveva imparato la lezione se, ancora nel 1413, invitato
dal re di Polonia, Ladislao II (1386-1434) a riorganizzare l'Università di
Cracovia, ne fu espulso per gli stessi motivi.
Nel frattempo, aveva organizzato nel 1412, insieme a Hus, una protesta
contro l'antipapa Giovanni XXIII per la decisione di finanziare la guerra
contro il papa Gregorio XII mediante la vendita delle indulgenze: questa
posizione scatenò la reazione di Giovanni XXIII, che scomunicò Hus.
La bolla papale di scomunica fu bruciata in piazza durante una
manifestazione popolare, ma tre seguaci di Hus furono arrestati e decapitati
per ordine del re Venceslao.
G. in persona guidò la processione funeraria dei corpi dei tre condannati
alla Cappella di Betlemme.
Caratterialmente G. fu sempre generoso, ma molto impulsivo: si racconta a
riguardo una serie di episodi molto significativi: aveva preso a pugni un
frate, a momenti accoltellato un secondo e infine gettato nel turbolento
fiume Vltava un terzo religioso, reo di predicare a favore delle indulgenze.
Tuttavia la sua generosità gli costò cara, quando nel 1415, contro il parere
di amici e seguaci, egli si recò al Concilio di Costanza per difendere le
idee dell'amico Hus.
Dopo la condanna al rogo di quest'ultimo il 6 Luglio 1415, vista la
malaparata, G. riuscì a fuggire dalla città nottetempo per tornare in
Boemia, ma la sua fortuna si esaurì in Baviera dove fu riconosciuto,
arrestato e rispedito a Costanza in catene.
Qui G. pubblicamente ricusò le sue precedenti idee, ma gli inquisitori, non
fidandosi del suo pentimento, lo lasciarono letteralmente a marcire in
prigione per quasi un anno. Il 16 Maggio 1416 G. fu richiamato davanti al
tribunale, dove egli ritrattò il precedente atto di pentimento,
giustificandolo con una momentanea paura della morte. Nonostante una
appassionata difesa, G. fu accusato di essere un eretico relapsus (cioè che
aveva ritrattato) e venne bruciato sul rogo il 30 Maggio 1416.
G. viene considerato, assieme a Hus, uno dei primi martiri della Riforma
Protestante.


Prassea (attivo fine II secolo - inizio III secolo)



Prassea, considerato il fondatore del  monarchianismo modalista, era un
confessore nato in Asia Minore nella seconda metà del II secolo ed inquisito
per la sua fede cristiana, ma che riuscì a sopravvivere alle persecuzioni.
Nel 190 ca., forte del prestigio acquisito come difensore della fede, egli
si trasferì a Roma, dove ebbe una certa influenza sui papi Vittore I
(189-198) e Zefirino (198-217) nella lotta contro gli adozionisti di Teodato
di Bisanzio, scomunicati da Vittore nello stesso anno e contro i montanisti,
scomunicati da Zefirino nel 202/203.
In quest'ultimo confronto, P. si tirò addosso le ire di Tertulliano
(155-222), simpatizzante montanista, che scrisse un violento libello contro
P. e le sue supposte dottrine, chiamato Adversos Praxean.
Secondo alcuni autori, tuttavia, è ancora tutto da dimostrare il
coinvolgimento di P. nella polemica modalista e si sospetta che il tutto
possa essere stata una vera e propria campagna denigratoria orchestrata da
Tertulliano per togliere credibilità ad uno dei più strenui oppositori del
movimento montanista.
Comunque, nonostante l'attacco di Tertulliano, P. non subì alcuna
persecuzione o scomunica durante i pontificati di Vittore I e di Zefirino.


Pelagio Britannico (ca. 360-420) e pelagianismo e predestinazionismo



Può l'uomo salvarsi con le sue sole forze, senza la Grazia divina o è
predestinato alla salvezza o alla dannazione eterna?
Questo dilemma, ricorrente nella storia del pensiero Cristiano (basti
solamente pensare al dibattito nell'ambito del Protestantesimo), fu posto,
per primo, dal monaco britannico Pelagio.


La vita
Pelagio Britannico, di nome e di fatto poiché era nato in Britannia nel 360
ca., fu un monaco teologo di grande cultura, vissuto a Roma almeno dal 400,
altamente rispettato da molti personaggi dell'epoca, tra cui quel
Sant'Agostino, che tuttavia diventò in seguito il suo acerrimo avversario.
A Roma egli conobbe Celestio, un uomo di legge di origini nobili, diventato
suo amico e con il quale P. fuggì, in seguito all'invasione e sacco di Roma
da parte dei Goti di Alarico nel 410. I due si rifugiarono dapprima ad
Ippona, in Nord Africa, e poi a Cartagine, dove rielaborarono la dottrina
del pelagianismo.
Durante il suo soggiorno in Africa, P. conobbe solo occasionalmente il suo
futuro avversario, Sant'Agostino, impegnato all'epoca nella disputa contro i
donatisti.
Successivamente, P. si trasferì in Palestina, mentre Celestio, rimasto in
Nord Africa, fu condannato dal sinodo di Cartagine nel 411 per le sue
dottrine. In Palestina P. produsse svariati scritti, alcuni dei quali ci
sono giunti: una lettera alla nobile romana Demetria, residente a Cartagine,
contenente i principi della sua filosofia e un lavoro, De natura, del 415,
condannato da Sant'Agostino nel suo De natura et gratia.
Nel luglio del 415 San Girolamo e Paolo Orosio, un prete spagnolo, discepolo
di Sant'Agostino, cercarono di far condannare P. da parte di un sinodo a
Gerusalemme, presieduto dal vescovo della città, Giovanni, ma sia
l'atteggiamento di quest'ultimo, favorevole al pelagianismo, che l'ottima
autodifesa di P. fecero sì che il sinodo non prendesse alcuna decisione
rimandando il tutto a Papa Innocenzo I (401-417).
Simile risultato ebbe un ulteriore sinodo nel dicembre dello stesso anno a
Diospolis, convocato in seguito alla denuncia dei vescovi francesi, Ero di
Arles e Lazzaro di Aix.
Tuttavia l'offensiva degli ortodossi fu senza sosta: l'anno successivo,
nell'autunno del 416, furono convocati ben due sinodi, il primo a Cartagine,
con la presenza di 67 vescovi ed il secondo a Milevi (in Numidia) con la
presenza di 59 vescovi. Entrambi condannarono il pelagianismo e i relativi
atti, rinforzati da una lettera di Sant'Agostino e di altri 4 vescovi,
furono inviati a Papa Innocenzo I per l'avvallo. Il papa, pur precisando la
suprema autorità di Roma nelle decisioni in materia dottrinale, in un sinodo
a Roma nel 417 condannò il pelagianismo.
Tuttavia, quando tutto sembrò volgere al meglio per gli ortodossi, il papa
Innocenzo I morì ed il suo successore Zozimo (417-418) venne, in un
incontro, abilmente convinto da Celestio, dell'ortodossia del pelagianismo:
il papa prosciolse la dottrina da ogni accusa, anzi addirittura tirò pure le
orecchie a Sant'Agostino e ai vescovi africani per la precipitazione delle
loro decisioni.
Successivamente, Zozimo corresse il tiro, dando ai vescovi il tempo per
portare, davanti a lui, le prove dell'eresia pelagiana.
Per ottemperare a questa disposizione papale, fu convocato il sinodo di
Cartagine del 418, dove, in presenza di 200 vescovi, furono stabiliti otto
(o nove) dogmi di confutazione del pelagianismo, riaffermando il peccato
originale, il battesimo degli infanti, l'importanza della grazia divina ed
il ruolo dei santi. Tutti questi dogmi, avvallati da Papa Zozimo, sono poi
diventati articoli di fede per la Chiesa Cattolica.
Inoltre, in seguito al sinodo di Cartagine, anche l'imperatore Onorio
(395-423) scese in campo a fianco degli ortodossi, emanando nel 418 un
ordine di espulsione dal territorio italiano per tutti i pelagiani e per
coloro che non approvassero, controfirmandola, l'enciclica di condanna del
pelagianismo Epistola tractoria, inviata da Zozimo a tutti i vescovi: furono
costretti all'esilio Celestio e Giuliano vescovo di Eclano (vicino a
Benevento in Campania).
L'ordine non colpì P., che ormai da tempo risiedeva in Palestina e dove
probabilmente morì nel 420 ca.


La dottrina
La dottrina di P. venne da lui sviluppata come reazione al monachesimo
ascetico di San Girolamo e al fatalismo manicheo, molto diffuso all'epoca:
si pensi che anche Sant'Agostino stesso era stato manicheo in gioventù.
Secondo P., gli uomini non erano predestinati (concetto di Sant'Agostino
elaborato da una sua interpretazione molto personale del pensiero di San
Paolo), ma potevano, invece, solamente con la propria volontà (liberum
arbitrium) e per mezzo di preghiere ed opere buone, evitare il peccato e
giungere alla salvezza eterna: non era necessario l'intervento della Grazia
divina.
Questo concetto, comunque, non era nuovo, essendo già stato abbozzato dal
grande teologo Origene all'inizio del III secolo, e la conseguenza di questo
revival fu che l'origenismo stesso fu condannato nel 401 dal vescovo di
Alessandria, Teofilo.
Il pelagianismo inoltre negava la trasmissione del peccato originale, che
aveva danneggiato solo Adamo e non tutto il genere umano, anche se sembra
che questo concetto sia stato per primo introdotto da un tale Rufino il
Siriano, aderente alla setta, e solo successivamente ripreso da P.
Poiché non sussisteva il peccato originale, il battesimo era visto da P.
come un momento di accoglimento nella Chiesa: tuttavia, se il bambino moriva
senza battesimo, veniva ugualmente accolto in paradiso.
Il punto sul peccato originale venne vigorosamente contestato da
Sant'Agostino, convinto assertore che il peccato originale fosse ereditario
e collegato all'atto sessuale (il furore sessuofobico di Agostino era
leggendario), quindi "siamo tutti peccatori".
Le idee pessimistiche di Agostino, molto influenzate da una visione di tipo
manicheo, trionfarono sulla scelta umana di P. e influenzarono il
Cristianesimo per secoli.
Del resto la libertà di decisione data all'uomo da P. mal si sposava con un
apparato ecclesiastico, che non aveva altrimenti ragione di esistere, se non
di aiutare l'uomo, perenne peccatore, ad evitare la dannazione eterna.


Il pelagianismo dopo la morte del fondatore
Dopo la morte di Pelagio nel 420 ca., il bastone del comando fu preso
soprattutto da Giuliano, vescovo di Eclano, che, dal suo esilio in oriente,
si impegnò in una disputa decennale con Sant'Agostino.
Tuttavia, un fatto alquanto imprevedibile segnò il destino dei pelagiani: il
supporto dato loro dal patriarca di Costantinopoli, Nestorio. Quando il
nestorianesimo venne condannato dal Concilio di Efeso del 431, anche il
pelagianismo seguì la stessa sorte e fu perseguitato in Oriente
dall'imperatore Teodosio II (408-450) fino alla sua estinzione.
In Occidente esso sopravvisse più a lungo nelle isole Britanniche,
particolarmente in Galles ed in Irlanda, ed in Gallia, dove fu rielaborata
dal monaco Giovanni Cassiano nella forma del semi-pelagianismo, condannato
dal II sinodo di Orange del 529.

Predestinazione, polemiche calviniste sulla (inizio XVII secolo)



All'inizio del XVII secolo si sviluppò, nell'interno della chiesa
calvinista, un acceso dibattito sulla teoria della predestinazione,
sviluppata da Giovanni Calvino.
In pratica si confrontarono quattro scuole di pensiero: il
supralapsarianismo, l'infralapsarianismo, l'amyraldismo e l'arminianismo.


Supralapsarianismo
Il supralapsarianismo, o antelapsarianismo, pensiero minoritario nella
galassia calvinista ma preferito (con varie sfumature) da Theodore di Béze,
Gisbertus Voetius e Franz Gomar, era la forma estrema della dottrina di
Calvino sulla predestinazione, in cui si credeva che Dio avesse deciso la
salvezza o la dannazione degli individui prima ancora della caduta di Adamo.
Il decreto di predestinazione (cioè il fine) era avvenuto prima (supra) del
decreto della creazione e il decreto che aveva permesso la caduta (lapsus)
era il mezzo necessario per ottenere il suddetto fine.


Infralapsarianismo
L'infralapsarianismo, o sublapsarianismo o post-lapsarianismo, dottrina
dominante del calvinismo e secondo alcuni autori la forma preferita da
Calvino stesso (tuttavia altri propendono che il ginevrino fosse
supralapsariano), teorizzava invece che, solo dopo la caduta dell'uomo, Dio
avesse deciso chi doveva salvarsi e chi no. Egli quindi, quando aveva
operato la Sua scelta, già poteva contemplare i non eletti come dannati,
coloro che poi si sarebbero persi per i loro peccati. Nelle principali
confessioni di fede delle chiese riformate viene solitamente ribadita questa
forma dottrinale o, perlomeno, non vengono prese posizioni nette a favore
dell'una o dell'altra tesi.


Amyraldismo
L'amyraldismo, dottrina sviluppata dal teologo calvinista francese Moise
Amyraut, e contrastata da Francesco Turrettini, si basa su un complesso
concetto denominato universalismo ipotetico o condizionale: la volontà,
cioè, di Dio di salvare tutti a condizione che essi credano. Implicita in
questa volontà è l'affermazione che, se una persona non crede, allora Dio
non vuole, in pratica, la sua salvezza, cioè senza la condizione della fede,
la salvezza procurata dall'espiazione di Cristo non è disponibile.
A. infatti ipotizzava che erano stati stillati tre patti tra Dio e l'uomo:
il patto della Natura con Adamo, che richiedeva l'obbedienza alla legge
implicita nella Natura; il patto della Legge con Israele, che richiedeva
l'obbedienza alla legge scritta; il patto con la Grazia di Dio, che constava
di: a) una parte condizionata tra Dio e tutta l'umanità basata sulla grazia
universale, e b) una parte non condizionata tra Dio e gli eletti basata
sulla grazia speciale.
Quindi, rispetto all'infralapsarianismo, l'a. prevede che Dio provveda alla
salvezza di tutti, ma il problema è che non tutti possono rispondere alla
chiamata a causa del potente effetto corruttore del peccato.
L'universalismo era dunque ipotetico o ideale, mentre il particolarismo nel
discriminare gli eletti era reale e il risultato pratico finale
dell'amyraldismo diventava simile alle altre dottrine calviniste: la fede
diventava una concessione che Dio faceva solamente agli eletti, cioè a
quelli destinati alla salvezza.


Arminianismo
Nettamente diversa, quindi, dalle altre dottrine calviniste, l'arminianismo
credeva che Dio avesse dato all'uomo la libera scelta di accettarLo o di
rifiutarLo. Quindi dopo la caduta dell'uomo, Dio aveva provveduto per la
salvezza di tutti: egli aveva deciso di chiamare a sé, ma solo chi credeva
avrebbe potuto salvarsi, attraverso i meriti dell'azione di Cristo e per
mezzo della Grazia dello Spirito Santo.
Infatti, da una parte, Cristo era morto per tutti, ma solo i credenti
potevano avere la remissione dei peccati, mentre dall'altra era necessaria
la mediazione della Grazia dello Spirito Santo, senza la quale non era
possibile per l'uomo capire, volere e compiere il bene. Quindi tutte le
buone azioni dell'uomo dovevano essere riferite alla Grazia, che però non
era irresistibile: era infatti sempre possibile per il credente perderla.
I seguaci di Arminio, detti rimostranti per il tono con cui proposero nel
1610 la loro dottrina agli Stati Generali olandesi, furono perseguitati e le
dottrine dell'a. condannate dal concilio di Dort (Dordrecht) del 1618-19.
Contro l'a., infatti, al suddetto concilio furono elaborati i seguenti
cinque punti del calvinismo, denominati Canone di Dort e noti, nella
letteratura anglosassone, con l'acronimo di TULIP (tulipano), ottenuto con
la lettera iniziale (in inglese) di ogni punto:
Depravazione totale (l'uomo caduto in peccato non era assolutamente in grado
di salvarsi).
Elezione non condizionata (la volontà di Dio di salvare gli eletti non
poteva essere assolutamente condizionata dall'uomo).
Espiazione limitata (l'espiazione attraverso la morte di Cristo era
sufficiente a salvare tutti gli uomini, ma efficace solo per gli eletti)
Grazia irresistibile (gli eletti non potevano resistere al dono della
grazia, dato dallo Spirito Santo).
Perseveranza dei santi (coloro che sono stati rigenerati e giustificati
persevereranno nella fede).


Presbiterianesimo



Forma di organizzazione ecclesiastica basata sul governo degli affari
religiosi da parte di presbiteri religiosi e laici e contrapposta
all'episcopato (governo di vescovi) e al congregazionalismo (governo di
congregazioni locali).
Dal punto di vista dottrinale, il p. aderisce al pensiero calvinista, e
considera la Bibbia come massimo standard di fede e pratica, sebbene i suoi
adepti, in Inghilterra, adottino la Confessione di Westminster (e il
Catechismo relativo), ratificata dall'assemblea generale della Chiesa di
Scozia nel 1647 e approvata dal parlamento inglese nel 1648.
Dal punto di vista organizzativo, il p. prevede una serie di livelli
gerarchici, che vanno dal concistoro, formato dagli anziani e dai ministri
del culto, al presbiterio, al sinodo, fino all'assemblea generale.


Storia
Il p. si sviluppò con la nascita del calvinismo, soprattutto nelle Isole
Britanniche. Precedentemente l'unico esempio di chiesa presbiteriana fu
quella protestante olandese, che tuttavia non si rese indipendente dallo
stato fino alla metà del XIX secolo.
In Scozia, la Chiesa di Scozia (denominazione ufficiale: Church of
Scotland), la più estesa, fu fondata da John Knox nel 1560 ed è oggi l'unica
chiesa p. stabilita per legge, mantenendo comunque la sua indipendenza dallo
stato. Conta oggigiorno 641.000 membri.
In Inghilterra i p. ebbero il loro momento di gloria durante il periodo di
Oliver Cromwell (1599-1658). Successivamente il loro movimento si spezzò in
varie branchie, che solo nel 1876 si sono riunite nella Chiesa Presbiteriana
d'Inghilterra.
Quest'ultima si è recentemente (1972) fusa con la Chiesa Congregazionalista
in Inghilterra e Galles per formare la United Reformed Church in Great
Britain (Chiesa Riformata Unita in Gran Bretagna) (150.000 aderenti). 
Più successo hanno avuto i p. in Irlanda (soprattutto nel Ulster) con la
Presbyterian Church in Ireland (Chiesa Presbiteriana in Irlanda) (300.000
membri).


Presbiterianesimo in Stati Uniti
Più complessa è stata la storia del p. in Stati Uniti, iniziata tra la fine
del XVII e l'inizio del XVIII secolo nel New England, della cui storia i p.
hanno svolto una parte attiva, fondando tra l'altro la nota Princeton
University.
Oggigiorno, dopo una impressionante serie di fusioni e divisioni,
l'organizzazione più numerosa è la Presbyterian Church (U.S.A.), con circa
3.700.000 fedeli.
Altre chiese p. americane sono la Presbyterian Church in America (270.000
fedeli e la Cumberland Presbyterian Church.

Il p., che rappresenta oggigiorno il 2.8% della popolazione statunitense, ha
comunque dato alla storia americana almeno sette presidenti: Andrew Jackson,
James Buchanan, Grover Cleveland, Benjamin Harrison, Woodrow Wilson, Dwight
D. Eisenhower e Ronald Reagan. Altri due presidenti sono cresciuti come p.
ma in seguito si sono convertiti al metodismo: James Knox Polk e Ulysses S.
Grant.


Altri paesi e a livello mondiale
Il p. è presente inoltre, in forma minore, in altri paesi, come Ungheria,
Olanda, Svizzera e Francia.
Nel 1970 l'Alleanza Mondiale delle Chiese Riformate e Presbiteriane si è
fusa con il Concilio Internazionale Congregazionale per formare la World
Alliance of Reformed Churches (alleanza mondiale delle chiese riformate),

Unitarianismo (o unitarismo o antitrinitarismo) (XVI - XVII secolo)



Termine teologico per indicare la fede nell'unicità di Dio e nella
contemporanea negazione del dogma della Trinità. Ne consegue anche la
negazione della divinità di Cristo.
L'unitarianismo è stato, a parte l'anabattismo, la terza grande alternativa
nella galassia protestante, oltre al luteranesimo e allo
zwinglianismo/calvinismo.


La storia
La dottrina dell'unitarianismo viene fatta tradizionalmente risalire agli
inizi del Cristianesimo, ed in particolare agli eretici del periodo intorno
al Concilio di Nicene (325), come Ario (infatti gli unitariani furono
proprio chiamati ariani dai loro detrattori), Paolo di Samosata, Noeto di
Smirne, Prassea e Sabellio. Nel medioevo il concetto antitrinitario non
scomparì del tutto, ma rimase nella filosofia di Abelardo e Roscellino.
Venendo al periodo rinascimentale, i primi studiosi ad aver espresso
concetti antitrinitari furono nel 1527 Martin Borrhaus (nome umanistico:
Cellarius) (1499-1564), amico di Martin Lutero, e il predicatore anabattista
Ludwig Haetzer (1500-1529), ma fu soprattutto la pubblicazione a Hagenau, in
Alsazia, nel 1531, del famoso libro De trinitatis erroribus (Gli errori
sulla Trinità) del medico spagnolo Miguel Servet (Michele Serveto) a gettare
nello scompiglio i più famosi pensatori protestanti dell'epoca, da Lutero
("un libro abominevolmente malvagio") a Melantone, Ecolampadio, Bucero.
Quest'ultimo tuonò dal proprio pulpito che l'autore avrebbe meritato di
essere squartato! E proprio in seguito alla pubblicazione di questo libro
tutti i riformatori dell'epoca decisero di rinforzare l'importanza
dottrinale della Santa Trinità. Dopo una vita tribolata da continue
persecuzioni, Serveto finì i suoi giorni, messo al rogo a Ginevra nel 1553
da un altro dei pensatori riformisti, che più lo detestavano, Giovanni
Calvino.
Ma la morte di Serveto fece levare moltissime voci di protesta, tra cui
quelle dei protestanti italiani Giovanni Valentino Gentile, Matteo Gribaldi
Mofa, Giorgio Biandrata e Giovanni Paolo Alciati della Motta, i quali furono
costretti ad emigrare da Ginevra, portando, pur con sfumature diverse, i
germi della dottrina antitrinitaria soprattutto dal 1560 nell'Europa
orientale, cioè in Polonia, Moravia e Transilvania.


Antitrinitari in Polonia
Qui le dottrine antitrinitarie non erano totalmente sconosciute, tant'è vero
che già nel 1538 una anziana donna di 80 anni, Caterina Weygel (o Vogel),
era stata bruciata sul rogo a Cracovia per una sospetta eresia
antitrinitaria. Ma sotto il regno di Sigismondo II Augusto (1543-1572) si
crearono le premesse per lo sviluppo delle idee antitrinitarie in Polonia.
L'antesignano fu Petrus Gonesius (Piotr Z Goniazde), che aveva studiato a
Padova nel 1552-54 con Gribaldi Mofa e da lui era stato convertito.
Già nel secondo sinodo della Chiesa Riformata Polacca (fondata da Jan Laski)
del 1556, Gonesius espresse forti concetti antitrinitari, ma fu solo con
l'arrivo di Giorgio Biandrata e di Lelio Sozzini nel 1558 che la corrente
unitariana trovò dei veri leader e formò una comunità, soprattutto di esuli
italiani, a Piñczòw vicino a Cracovia.
Tuttavia, poco dopo, ci fu per loro un durissimo colpo quando i cattolici,
rappresentati dal nunzio apostolico cardinale Giovanni Francesco Commendone
(1523-1584), convinsero il re Sigismondo II Augusto ad emettere nell'agosto
1564 l'editto di Parczów, che stabiliva l'espulsione di tutti gli stranieri
non cattolici.
Agli antitrinitari italiani, compreso il famoso ex vicario generale dei
Cappuccini, Bernardino Ochino appena giunto in Polonia, non restò che
emigrare in Moravia o in Transilvania.


L'esilio in Moravia
Il margraviato di Moravia, pur facendo parte dei possedimenti assurgici,
godeva di una ampia autonomia, anche in campo religioso. Un esempio pratico
fu l'accoglienza positiva riservata per le comunità di anabattisti, guidati
da Balthasar Hübmaier e Jakob Hutter, perseguitati senza pietà in tutto il
resto dell'Europa.
Austerlitz (Slavkov in ceco), in particolare, fu una città dove fecero capo
diverse correnti religiose dissidenti, compresi gli antitrinitari: nel 1564,
scacciati dalla Polonia in seguito all'editto di Parczów, un gruppo di
antitrinitari italiani, comprendente Niccolò Paruta (che formò in seguito
delle comunità denominate seminaria veritas), Gentile, Alciati della Motta,
Ochino, si recò nella città morava. Furono seguiti nei successivi anni da
altri dissidenti come Marcello Squarcialupi, Andrea Dudith-Sbardellati e
Niccolò Buccella, che man mano, con il miglioramento della situazione
polacca, decisero di rientrare in Polonia.


Ripresa delle attività in Polonia
Già dopo la dieta di Piotrków della Chiesa Riformata Polacca del 1564 che
decretò l'esclusione degli antitrinitari, ci fu una separazione tra una
ecclesia major calvinista ed una ecclesia minor di fede antitrinitaria.
Gli antitrinitari, in quel periodo, si erano frazionati in quattro correnti,
qui riassunti dal nome dei capi-scuola:
Stanislao Farnowski (Farnovius, m.1615): come Gonesio, i suoi seguaci
pensavano che Cristo era pre-esistito alla creazione del mondo e quindi era
giusto adorarlo, ma non adottavano la stessa venerazione per lo Spirito
Santo.  Erano inoltre contrari al battesimo degli infanti. Nel 1568 il
gruppo di Farnowski si separò dalla chiesa unitariana polacca,
concentrandosi in una zona a cavallo del confine con l'Ungheria. La
secessione durò circa 50 anni e, dopo la morte del loro leader, i suoi
seguaci vennero riassorbiti dagli unitari o dai calvinisti.
Martin Czechowic: egli era un ariano molto radicale: Cristo era un uomo come
gli altri, ma essendo nato senza peccato, fu divinizzato e era giusto
adorarlo. Prendendo, come Gonesio, dagli anabattisti, Czechowic si opponeva
al battesimo dei bambini, all'uso delle armi, al coinvolgimento in incarichi
pubblici e alla proprietà privata.
Grzegorz Pawel: il gruppo di Cracovia di Pawel negava sia la pre-esistenza
di Cristo, sia la necessità di adorarlo. Come Gonesio e Czechowic, Pawel
aveva convinzioni anabattiste e in più era un millenarista.
Szymon Budny: per Budny Cristo era un uomo ed era idolatria adorarlo. Venne
scomunicato nonostante il suo vasto seguito in Lituania.
Un punto di svolta fondamentale per l'ecclesia minor fu l'arrivo in Polonia
nel 1579 di Fausto Sozzini, nipote di Lelio, che divenne ben presto la guida
di tutti gli antitrinitariani locali.
Socini pose la sua residenza a Cracovia, sebbene il centro di riferimento
per l'unitarismo polacco fosse la vicina cittadina di Raków, dove era stato
fondato un seminario di studi antitrinitari nel 1569 e dove, tra il 1603 ed
il 1605, sarebbe stato redatto il catechismo ufficiale della setta.
Nello stesso periodo Socini entrò nella polemica tra gli adoranti (al cui
pensiero lui aderiva) e i non-adoranti, come Ferenc Dàvid, Giacomo
Paleologo, Jànos Sommer e Andrea Dudith Sbardellati. (vedi capitolo
"Antitrinitari in Transilvania").
Socini, con il suo De Jesu Christi filii Dei natura sive essentia, attaccò i
non-adoranti come giudaizzanti, che volevano, tra l'altro, santificare il
sabato, secondo un uso sabbatariano, che si sarebbe poi diffuso in
Inghilterra, portatovi proprio dagli unitariani profughi dalla Polonia.
Il pensiero di Socini, fortemente razionale, accettava un solo Dio, mentre
Gesù Cristo era semplicemente un uomo crocefisso, il cui compito era di
rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così la salvezza,
seguendo il Suo esempio. Per lui la Sacra Scrittura, redatta da uomini, non
era indenne da errori, e l'uomo doveva basarsi sulla propria etica per
osservare i comandamenti e non era quindi necessaria la grazia divina. Egli,
inoltre, negava l'esistenza dell'inferno, il peccato originale, la necessità
dei sacramenti, la predestinazione.
Un bel programma in un secolo caratterizzato dal fanatismo religioso degli
opposti estremismi!
Nel 1588 Socini riuscì nell'impresa di unire tutte le fazioni unitariane al
sinodo di Brest (in suo onore, da quel momento gli unitariani si
denominarono sociniani), ma negli anni successivi dovette fronteggiare la
reazione, anche di piazza, dei cattolici: nel 1591 il suo punto d'incontro a
Cracovia fu devastato dalla folla e nel 1598 Socini stesso fu malmenato,
scampando per poco ad un linciaggio.
Egli morì nel 1604 e sulla sua tomba vennero scritte queste significative
parole: Crolli la superba Babilonia: Lutero ne distrusse i tetti, Calvino le
mura, Socini le fondamenta.
Pochi anni dopo, nel 1610, la potente organizzazione gesuita sbarcò in
Polonia decretando il rapido declino degli unitariani in Polonia: nel 1611
fu bruciato sul rogo a Varsavia l'unitariano Jan Tyskiewicz, un agiato
cittadino di Bielsk, e nel 1638 i sociniani furono espulsi da Raków e ne fu
chiuso il seminario.
Il colpo finale per l'unitarismo in Polonia fu il bando di espulsione per
tutti gli unitariani polacchi, deciso nel 1658 e diventato esecutivo il 10
luglio 1660, che li costrinse o ad uniformarsi o ad emigrare in altri paesi
europei (in Olanda, dove la maggior parte si trasferì aderendo alla Chiesa
Arminiana dei rimostranti, in Germania, e in Transilvania, dove però essi
non aderirono alla Chiesa Unitariana Transilvana, ma formarono una chiesa
autonoma a Kolozsvàr estinguendosi nel 1793).
L'ultima sacca di resistenza unitariana in Polonia si estinse nel 1811 e
solo nel 1921 furono riaccettate le congregazioni unitariane nella nazione
rinata dopo secoli di dominazione straniera. Ma la successiva occupazione
nazista nel 1939 e l'instaurazione del comunismo ha fatto sì che
l'unitarianismo polacco potesse incominciare a muovere nuovamente qualche
timido passo solamente dopo la caduta del muro di Berlino, negli anni '90
del XX secolo.
L'attuale Chiesa unitariana in Polonia comprende solo qualche centinaio di
fedeli.


Antitrinitari in Transilvania
Nel 1562 Giorgio Biandrata si recò in Transilvania, a Gyulafehérvár (Alba
Julia), dove fece la conoscenza e divenne amico di Ferenc Dàvid, vescovo
della Chiesa Riformata di Transilvania e cappellano personale del principe
Giovanni II Sigismondo Zapolya (1541-1571). Biandrata fece leggere a Dàvid
una copia della famosa Christianismi restitutio (La restaurazione del
Cristianesimo) di Miguel Serveto, convertendolo all'antitrinitarismo.
Il successivo sinodo nazionale a Gyulafehérvár del 1566 risultò un trionfo
per gli antitrinitari, sottolineato dalla pubblicazione del libro di Dàvid
De vera et falsa unius Dei, Filii et Spiritus Sanctii cognitione (Della
falsa e vera conoscenza dell'unità di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo),
nel quale il riformatore transilvano ridicolizzava la dottrina della Trinità
e perorava la causa della tolleranza religiosa per tutte le fedi.
Questo discorso venne poi ripreso durante la Dieta di Torda nel gennaio
1568, dove  Giovanni II Sigismondo Zapolya riconobbe la piena libertà a
tutte le confessioni religiose: fu la prima dichiarazione, al mondo, di
tolleranza religiosa mai pronunciata da un regnante. Oltre a questo, il re
aderì apertamente all'unitarismo con molti nobili della corte e Dàvid
divenne il capo della Chiesa Unitariana di Transilvania.
Nel 1570 Dàvid entrò in contatto, e ne fu influenzato, con lo studioso
italo-greco Giacomo Paleologo e il suo discepolo locale, il rettore del
ginnasio di Kolozsvár, János Sommer (1540-1574). Paleologo polemizzava con
un altro famoso antitrinitario, Fausto Socini, a riguardo della figura di
Gesù Cristo, che, per il Socini, era un vero uomo crocefisso, il cui compito
era di rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così la
salvezza, seguendo il Suo esempio. Il Paleologo, invece, negava il ruolo di
guida del Cristo, per i fedeli verso la salvezza, e rifiutava,
conseguentemente, ogni forma di adorazione di Gesù Cristo. Per questo, il
Paleologo e i suoi seguaci, tra cui si associò anche Dàvid, vennero
denominati antitrinitari non-adoranti in contrapposizione al pensiero
sociniano di tipo adorante. Alla corrente non-adorante aderì anche l'ex
vescovo cattolico e ambasciatore (di madre italiana) Andrea
Dudith-Sbardellati.
Purtroppo il momento magico per Dàvid finì solo tre anni dopo, nel 1571 con
la morte, a soli 31 anni, di Giovanni II Sigismondo e la salita al trono del
cattolico Stefano I Báthory (1571-1586), che tolse a Dàvid l'incarico di
cappellano personale del re e gli impedì di pubblicare altri scritti. Nel
1579 i suoi nemici riuscirono a farlo arrestare e imprigionare nella
fortezza di Déva dove, a causa del clima rigido e del fisico debilitato,
Dàvid  morì nel novembre dello stesso anno.
La Chiesa Unitariana di Transilvania, fondata da Dàvid, pur attraverso mille
traversie, spietate persecuzioni da parte degli Asburgo cattolici e feroci
pogrom da parte di fanatici ortodossi rumeni, esiste ancora oggi formata da
125 chiese, sebbene divisa dal 1949 in un troncone in Ungheria (25.000
fedeli) ed uno di etnia ungherese in
Transilvania/Romania (circa 80.000 fedeli).


Sociniani in Inghilterra
Attraverso l'Olanda, che accolse molti esuli sociniani, l'antitrinitarismo
giunse in Inghilterra, dove il principale esponente fu John Biddle, preside
del liceo di Gloucester, che pubblicò, nel 1647, il primo trattato
dell'unitarismo inglese, Twelve arguments against the Deity of the Holy
Spirit (dodici ragioni contro la divinità dello Spirito Santo) a uso privato
per pochi amici, uno dei quali lo tradì, facendolo rinchiudere in carcere
nel 1645 per ordine dei magistrati di Gloucester.
Nel 1646 Biddle fu convocato a Londra per essere giudicato da una
commissione di teologi, ma, nell'attesa della sentenza, fu confinato in
prigione a Westminster dove rimase per vari motivi per i successivi 5 anni.
Infatti, imprudentemente, nel 1647, Biddle fece pubblicare le sue Dodici
ragioni, suscitando un putiferio: a gran voce venne chiesta la sua condanna
a morte, prevista anche dalla recentemente approvata (nel 1648) legge
Ordinance for punishing heresies and blasphemies (ordinanza per punire
eresie e blasfemie), ma nel 1652, grazie alla Act of Oblivion (legge di
oblio), egli poté finalmente uscire di prigione.
Una volta libero, Biddle fondò una piccola congregazione sociniana a Londra,
traducendo testi base dei sociniani (o unitariani) polacchi, come il
Catechismo di Racow (in Polonia), la prima dichiarazione dei principi
sociniani, ma soprattutto pubblicò nel 1654 la sua opera più celebre, il
Twofold Catechism (Catechismo doppio), dove in 24 capitoli egli bandì tutte
le espressioni e dottrine non originarie delle Scritture, come
transustanziazione, peccato originale, Dio fatto uomo, Madre di Dio etc.
Insomma non ci fu un solo punto della teologia dell'epoca che non fosse
rimesso in discussione da lui, sebbene utilizzasse l'astuta tecnica delle
domande aperte, senza mai precisare la propria fede.
Nonostante ciò, per ordine del parlamento, le copie del suo libro furono
bruciate sul rogo e lui stesso imprigionato nel carcere di Newgate, ma, per
l'ennesima evoluzione della turbolenta situazione politica inglese (era
stato sciolto il parlamento), fu liberato.
Biddle continuò per tutta la vita a professare attivamente le proprie idee e
per questo venne più volte condannato al confino e al carcere fino alla sua
morte avvenuta nel 1662.
Il principale esponente dell'unitarismo inglese dopo Biddle fu Thomas Emlyn
(1663-1741), che fondò una congregazione unitariana a Londra nel 1705, ma va
anche citata l'attività del teologo neo-ariano Samuel Clarke con il suo
trattato Scripture Doctrine of the Trinity (Scrittura dottrina sulla
Trinità), del 1712.
In seguito si affermò Joseph Priestley (1733-1804), che divise il suo tempo
tra la chimica (individuò, tra l'altro, la molecola dell'ossigeno) e le
predicazioni unitariane, e Theophilus Lindsey che nel 1774 fondò la prima
chiesa ufficiale di ispirazione sociniana a Londra.
Nel 1791 un gruppo di teppisti distrusse sia la casa che il laboratorio di
Priestley, che qualche anno dopo prese la decisione di emigrare in America,
dove fondò una chiesa unitariana in Pennsylvania.
Nel frattempo, in Inghilterra si era formata nel 1825 la British and Foreign
Unitarian Association, che dovette lottare contro le leggi britanniche
varate per proibire agli unitariani di accettare lasciti donati dai
puritani, cosa che verrà aggiustata soltanto con una nuova legge nel 1844.
Nel 1840 avvenne una grave scissione nel movimento: i "cristiani liberi" di
James Martineau, convinti in una fede più intuitiva e meno "razionale", si
separarono fino al 1928, anno in cui le due anime dell'unitarismo inglese si
rifusero nella attuale General Assembly of Unitarian and Free Christian
Churches.

Unitariani in America
Come già detto, Joseph Priestley fu uno dei predicatori che aiutò la
diffusione dell'unitarismo negli Stati Uniti, dove la dottrina però si
sviluppò abbastanza lentamente: prendendo spunto dalle prediche in
Inghilterra di Priestley, due chiese di Boston, la West Church del pastore
Jonathan Mayhew (1720-1766) e la First Church del pastore Charles Chauncy
(1705-1787) divennero unitariane.
Nel 1825 si formò la American Unitarian Association, ma, come per la crisi
degli unitariani inglesi del 1840, anche il pensiero unitariano americano fu
fortemente scosso dalle idee di William Ellery Channing, che inserì elementi
pietisti e filantropici. Lo scontro tre le due anime, mistica-pietistica da
una parte e razionale dall'altra, avrebbe caratterizzato la storia degli
unitariani americani negli anni seguenti: per esempio, nel 1865 la
conferenza nazionale unitariana adottò una piattaforma programmatica
nettamente cristiana, provocando il distacco della minoranza razionalista
che fondò la Free Religious Association (associazione religiosa libera).


L'unitarianismo odierno
Venendo ai giorni nostri, nel 1961 avvenne la svolta con la fusione degli
unitariani statunitensi con il movimento dell'universalismo, fondato dall'ex
pastore metodista John Murray, che credeva nella salvezza di tutti gli
uomini e negava la dannazione eterna.
La fusione diede luogo alla American Unitarian Universalist Association, poi
solo Unitarian Universalist Association, che conta oggi 502.000 aderenti.
Nonostante la diffusione relativamente bassa dell'unitarismo/universalismo,
ben 5 presidenti degli Stati Uniti hanno professato una fede unitariana e/o
universalista: Thomas Jefferson (che gli unitariani danno come loro seguace,
anche se una sua adesione ufficiale non c'è mai stata), John Adams, John
Quincy Adams, Millard Fillmore  William Howard Taft.
L'associazione, nella quale la corrente razionalista ha oramai preso il
sopravvento, è un movimento basato su congregazioni autogestite senza una
comune formula religiosa ufficiale, retaggio della sua travagliata storia e
dell'apporto di idee molto diversificate e perfino contrastanti: si nota un
interesse più nella libera ricerca della verità.
Infatti, da una statistica risulta che solo il 3% degli aderenti considera
Dio come un essere soprannaturale e il 40% come simbolo dell'amore o di
altri processi naturali. Inoltre 90% non crede nella immortalità dell'anima
e 64% ammette di non pregare mai o di farlo raramente.
In compenso, gli unitariani universalisti si sono sempre schierati in
battaglie civili contro la pena di morte, a favore del divorzio, l'aborto,
l'eutanasia, per il controllo delle nascite, per la riforma carceraria, per
l'educazione sessuale nelle scuole.
L'associazione mantiene contatti con simili organizzazioni in Inghilterra,
Irlanda, Filippine, Ungheria, Francia e Cecoslovacchia e fa parte della
International Association for (Liberal Christianity) and Religious Freedom
(IARF), che afferma di rappresentare 1.500.000 aderenti in 25 paesi.


Priscilla (o Prisca)(profetessa montanista) (II secolo)



Profetessa montanista, Priscilla (o Prisca) iniziò la predicazione assieme a
Montano e a  Massimilla nel 156 (o 157) a Pepuza (in Frigia).
Fu soprattutto P. ad insistere sul concetto di castità come preparazione per
l'estasi, ma i detrattori cattolici fecero girare la voce che P. fosse stata
precedentemente sposata e questo fatto fu riportato Eusebio di Cesarea nella
sua Historia ecclesiastica ("Che bugia, dunque, chiamare vergine
 Priscilla.."), scritta, per la verità, ben 150 anni dopo i fatti in
questione.
Di P., inoltre, fu il sogno, in seguito al quale i montanisti decisero che
la città di Pepuza fosse la futura Gerusalemme in terra. Infatti, un giorno
P. si addormentò in questa città e sognò che Cristo, sotto forma di una
donna, fosse venuto a dormire vicino a lei, infondendole saggezza e
rivelandole la santità del luogo.
Questo ruolo prevalente che le donne, P. e Massimilla in testa, avevano nel
movimento montanista era uno dei punti più contestati da parte dei cristiani
ortodossi.
Non si conosce la data della sua morte, senz'altro prima di quella
dell'altra profetessa, Massimilla, avvenuta nel 179.


Priscilliano (ca.345 - ca.385) e priscillianismo



Priscilliano, un nobile ed erudito spagnolo, stabilì, nel 385, il non
invidiabile primato di essere stato il primo eretico messo a morte dalla
Chiesa Cristiana, anche se per ordine dell'imperatore usurpatore Massimo
Magno Clemente (383-388).


La vita
Egli, probabilmente nato nel 345, imparò le dottrine gnostiche manichee da
un certo Marco, un egiziano di Memphis e sviluppò un movimento ascetico
molto popolare, al tempo, in Spagna.
Il movimento attirò le simpatie di due vescovi cattolici, Istanzio e
Salviano e di uno studioso di retorica, Elpidio, ma anche le preoccupazioni
di tre vescovi ortodossi, Igino di Cordova, Idacio di Emeritu e Itacio di
Ossanova (il più accanito anti-priscillianista), che convinsero i vescovi
spagnoli a convocare un sinodo nel 380 a Saragozza, dove i priscillianisti
furono scomunicati.
Nonostante le condanne del suo movimento, P., diventato dapprima sacerdote,
fu nominato vescovo di Avila nel 380 ca., ma poco dopo fu esiliato, nel 381,
dall'imperatore Graziano (375-383).
In Italia la sua condanna all'esilio fu condonata e P. rientrò in Spagna,
aumentando il suo seguito e obbligando, a sua volta, Itacio all'esilio.
Quest'ultimo pensò di ricorrere all'imperatore, ma, nel 383, il legittimo
regnante Graziano era stato assassinato dall'usurpatore Massimo Magno
Clemente, al quale, comunque, ricorse Itacio.
Massimo convocò il sinodo di Bordeaux nel 384, dove Itacio riuscì a far
condannare il vescovo priscillianista Istanzio, ma P. stesso si appellò
all'imperatore recandosi a Treviri: ancora una volta Itacio attaccò P. con
una tale ferocia che San Martino di Tours, presente al processo, intervenne,
stigmatizzando il fatto che una causa religiosa fosse finita davanti ad un
tribunale civile.
San Martino cercò, inoltre, di convincere Massimo a non applicare la pena di
morte, in caso di condanna, ma quando il santo lasciò la città, l'imperatore
fece decapitare, nel 385, P. e i suoi seguaci, sotto l'accusa di magia.


Il priscillianismo
L'esecuzione fu censurata dal mondo cattolico, da Papa San Siricio (384-399)
fino a Sant'Ambrogio, e l'ondata di indignazione, che ne seguì, portò,
perlomeno, alla definitiva deposizione ed allontanamento di Itacio e Idacio.
Oltretutto, la condanna a morte di P. non fece che crescere la popolarità
del suo movimento, condannato nuovamente, ma inutilmente, dal sinodo di
Toledo del 400.
15 anni più tardi, nel 415, il prete spagnolo Paolo Orosio, allievo di
Sant'Agostino, sentì la necessità di rivolgersi al suo maestro per chiedere
il suo aiuto nella lotta contro il p.. Agostino ne scrisse nella sua opera
Sulle eresie.
Tuttavia né questo episodio né vari concili nel V secolo riuscirono a
debellare il movimento, che si poté definire scomparso solo dopo il Sinodo
di Braga del 563.


La dottrina
La dottrina di P. era una complessa miscela di manicheismo dualista,
docetismo e sabellianismo.
Dal manicheismo dualista, P. predicava che il corpo era opera del demonio,
principio del male e delle tenebre, mentre l'anima era fatta della stessa
sostanza di Dio e che avrebbe potuto vincere contro il regno delle tenebre,
ma che era stata intrappolata nel corpo come punizione per i suoi peccati.
Perciò, l'uomo, secondo P., poteva redimersi solo con una condotta
estremamente virtuosa.
Dal docetismo, P. aveva preso il concetto che Cristo fosse una emanazione
divina, negando la sua incarnazione e il conseguente dogma della
resurrezione.
Dal sabellianismo, P. aveva attinto la negazione della pre-esistenza di
Cristo prima della Sua nascita e della Sua natura umana. Inoltre, il Padre
ed il Figlio non erano che due modi di presentarsi della stessa Persona
divina.


I priscillianisti
Dal punto di vista comportamentale, i priscillianisti erano fortemente
critici nel confronti di una crescente esteriorità della Chiesa Cristiana:
erano molto ascetici, digiunavano di Domenica e a Natale, e, poiché spesso
erano alquanto facoltosi, essi vendevano tutti i loro beni per aiutare i
poveri.
Inoltre erano soliti portare a casa l'ostia data durante l'Eucaristia in
chiesa per prenderla durante cerimonie private di preghiera, quasi come
forma di rifiuto della Chiesa ufficiale.


Priuli, Alvise (1471-1560)



Il noto banchiere della Serenissima Alvise Priuli, figlio del nobiluomo
Marco Priuli, nacque a Venezia nel 1471.
Membro dell'Oratorio del Divino Amore, assieme a Gaspare Contarini e
Marcantonio Flaminio, conobbe a Padova il futuro cardinale inglese, di
ispirazione erasminiana, Reginald Pole, di cui divenne, assieme a Flaminio,
il più fedele amico (malevoli insinuazioni su una amicizia "particolare" fra
i due sono da respingere) ed assistente: in effetti, buona parte degli
episodi significativi della vita di P. sono da mettersi in relazione a
quelli di Pole.
Nel 1540 Flaminio lo convinse, attraverso uno scambio epistolare, della
bontà delle dottrine di Juan de Valdès sulla giustificazione per grazia
divina e l'anno dopo P. seguì Pole a Viterbo, dove questi era legato
pontificio, ed entrò quindi nel circolo degli spirituali, fondato dal
cardinale inglese con Flaminio e Vittoria Colonna.
Nel 1542 P. assistette Pole nella sua preparazione delle sue lezioni sulla
giustificazione per grazia, poi discusse e condannate a quel Concilio di
Trento (1545-1563) che il porporato inglese frequentò nel 1545, ma a cui
rinunciò, per motivi di salute, nell'estate del 1546.
Nel 1549 Pole mancò per un voto l'elezione a papa e avrebbe potuto
semplicemente accettare l'elezione a Papa per adorationem, ma ..... tacque,
permettendo l'elezione del gaudente Giulio III (1550-1555), ma soprattutto
spianando la strada all'elezione, 6 anni dopo, al famigerato, fanatico e
violento cardinale Gian Pietro Carafa, il quale divenne Papa Paolo IV
(1555-1559). Carafa, comunque, già nel conclave del 1549 non mancò di
attaccare violentemente Pole, accusandolo di eresia.
Nel 1550 P. curò la redazione in italiano dello scritto De Summo Pontefice,
che Pole aveva dedicato al neo-eletto papa.
Nel gennaio 1555 P. seguì Pole in Inghilterra, dove questi era stato inviato
da Giulio III come legato dopo la salita sul trono d'Inghilterra di Maria
Tudor (1553-1558). Tuttavia la crescente repressione anti-protestante della
regina, soprannominata Maria la Sanguinaria (tra 273 e 288 protestanti
furono arsi sul rogo), ma, soprattutto la morte del cardinale inglese nel
1558, accelerò la decisione di P. di ritornare in Italia nello stesso 1558 e
di occuparsi della raccolta degli scritti di Pole.
Tuttavia in Italia P. dovette sostenere un procedimento inquisitorio
intentatogli da parte del papa Paolo IV, che lo considerò eretico alla
stregua del suo defunto amico Pole. D'altra parte, bisogna anche considerare
che, pur sostenitore della giustificazione per grazia divina, condannata dal
Concilio di Trento, P. era anche favorevole all'autorità del Papa e al culto
dei santi, e questa sua posizione ambigua attirò le critiche di Francesco
Negri da Bassano, che lo accusò di nicodemismo nella sua popolare Tragedia
del libero arbitrio .
P. morì a Padova nel 1560.

Taboriti (XV secolo)



I Taboriti furono gli aderenti alla fazione estremista, fondata da Vaclav
Koranda, del movimento hussita, formata da contadini e poveri.
Essi presero questo nome dal Monte Tabor, una collina vicino alla città di
Serimovo Ústí, nella Boemia meridionale, ribattezzata così in onore del
monte della trasfigurazione di Cristo.
I T. divennero universalmente noti nel Luglio 1419, quando, condotti da Jan
Troznowski, detto Zizka, il leggendario condottiero cieco da un occhio, essi
defenestrarono i magistrati del re Venceslao IV (1378-1419), detto il Pigro,
che non intendevano rilasciare alcuni loro compagni: i giudici trovarono una
orribile morte infilzati sulla punta delle lance dei soldati appostati nel
cortile sottostante.
I T. rappresentarono l'ala più radicale e militare degli hussiti e, sotto il
comando di Zizka e successivamente di Andreas Prokop (o Procopius)
(1380-1434), detto il Grande o lo Sbarbato, si distinsero nelle varie
battaglie delle guerre hussite (1420-1431).
Tuttavia essi non accettarono il compromesso con i cattolici, ottenuto dalla
fazione moderata degli Utraquisti al Concilio di Basilea (1431-1439), dove
si era arrivati alla stesura delle Compactata, una serie di deroghe
dottrinali, che riproducevano i Quattro Articoli di Praga.
L'inevitabile frizione fra le due anime del movimento hussite portò alla
guerra civile, conclusasi con la definitiva sconfitta dei T. nella battaglia
di Lipau del 30 Maggio 1434, dove fu ucciso anche Prokop.



Storch, Nicholas o Niklas (m. 1525) e "Profeti di Zwichau" o abecedariani



Premessa
Il paese di Zwickau era, nel XVI secolo, una ricca città della Sassonia,
vicino al confine con la Boemia, ed aveva basato il suo sviluppo sulle
attività minerarie dell'argento. Questo orientamento dell'economia locale
aveva, tuttavia, portato in rovina la precedente fiorente industria tessile,
generando una vasta disoccupazione tra i lavoratori tessili.


Nicholas Storch
Nicholas (o Niclas) Storch, era, per l'appunto, uno di questi ex-tessitori,
discendente di una ricca e potente famiglia mandata in bancarotta dai
proprietari minerari.
Nel Maggio 1520, era giunto a Zwickau il noto predicatore riformatore Thomas
Müntzer, chiamato come sostituto del precedente pastore della Chiesa di
Santa Maria, Johannes Egranus. La retorica di Müntzer fu forte e radicale,
soprattutto quando, diventato pastore della Chiesa di Santa Caterina
nell'Ottobre dello stesso 1520, si scagliò contro i monaci francescani
locali. Tra i suoi parrocchiani, i più attenti alle sue argomentazioni
erano, oltre a Storch, l'ex studente di Wittenberg Markus Stübner e un terzo
personaggio, che le varie fonti indicano o come Thomas Drechsel oppure come
Markus Thomä.
I tre, denominati "Profeti di Zwickau", furono fortemente influenzati dalle
dottrine dei Fratelli Boemi con una decisa impronta millenaria -
apocalittica, derivata dagli hussiti taboriti: essi predicavano l'imminenza
dell'avvento della "Chiesa degli Eletti", ricusavano lo studio della
teologia e consideravano gli uomini istruiti come manipolatori della parola
di Dio. Per questo erano convinti che era necessario essere totalmente
ignoranti, persino delle prime lettere dell'alfabeto (ABC), da cui il loro
nome di abecedariani.
Erano infatti convinti che Dio avrebbe illuminato i suoi eletti e dato loro
la conoscenza della verità tramite lo Spirito Santo. S. affermava inoltre
che l'arcangelo Gabriele gli era apparso, ordinandogli di diventare capo
della "Chiesa degli Eletti" e di nominare 12 apostoli e 72 discepoli.
Finché i "profeti" potettero godere della benevolenza di Müntzer, non ci
furono problemi, ma il 16 Aprile 1521, quest'ultimo fu espulso dal consiglio
cittadino di Zwickau, nonostante le manifestazioni di piazza inscenate per
solidarietà dai "profeti". Il nuovo pastore, Nicolaus Hausmann, non fu
affatto tenero con il movimento e il 16 Dicembre 1521 fece accusare gli
abecedariani di ripudio del battesimo infantile.
A questa data, quindi, si fa risalire la prima comparsa di un movimento
radicale, in realtà più anti-pedobattista (contrario al battesimo dei
bambini) che anabattista (ri-battesimo degli adulti), concetto,
quest'ultimo, espresso da Conrad Grebel ed i suoi seguaci in Svizzera.
S., Stübner e Thomä (o Drechsel), espulsi da Zwickau, cercarono di esportare
le loro idee a Wittenberg: furono ascoltati dai principali collaboratori di
Martin Lutero, Nikolaus von Amsdorf, Philipp Schwarzerd (Melantone) e
Andreas Bodenstein (Carlostadio) e riuscirono ad impressionare
favorevolmente Carlostadio e perfino ad installare dei dubbi in Melantone,
colpito dalla loro conoscenza della Bibbia.
La situazione, precipitata in seguito ad una serie di episodi di
iconoclastia provocati da Carlostadio, divenne così critica che Lutero
stesso dovette lasciare il suo rifugio nel castello di Wartburg e,
travestito da cavaliere, tornare a Wittenberg il 7 Marzo 1522.
Le tesi dei "profeti" furono prontamente respinte da un suo diretto ed
energico intervento, riassunto nell'opuscolo Contro i profeti celesti, dove
attaccò duramente anche il suo ex-amico Carlostadio. Quest'ultimo fu
esiliato nel 1524 dal principe Federico III di Sassonia, detto il Saggio
(1486-1525) e si stabilì perfino per un certo periodo nella città mineraria
sassone.
S. e i profeti furono espulsi da Wittenberg: in particolare S. viaggiò tra
il 1522 e 1524 in Turingia e Slesia, per propagandare le sue dottrine,
nonostante Lutero nel Settembre 1522 tentasse inutilmente di convincerlo a
ricusare le sue idee.
All'inizio del 1525, con un piccolo esercito di seguaci, S. raggiunse a
Mühlhausen Müntzer, che capeggiava, assieme a Heinrich Pfeiffer, la nota
Rivolta dei contadini.
Questa rivolta aveva tuttavia i giorni contati in quanto venne soppressa il
15 Maggio 1525 dalle truppe di Filippo, langravio di Hesse, durante la
battaglia di Frankenhausen, risoltasi in una orrenda carneficina dei
contadini, 5.000 dei quali furono fatti immediatamente a pezzi dai cavalieri
e soldati meglio equipaggiati e dotati di artiglieria, mentre altri 20.000,
che si arresero, furono sgozzati senza pietà. Sia Müntzer che Pfeiffer
furono catturati, torturati e decapitati.
Pare che S. fosse sfuggito alla morte in battaglia, ma che, giunto
gravemente ferito a Monaco di Baviera, fosse morto in un ospedale della
città nello stesso 1525.

Seleuciani (o Ermeoniti o Prolinianiti) (III - IV secolo)



I seguaci di questa setta gnostica, attiva in Galizia nel III - IV secolo e
fondata da Seleuco, con i discepoli Ermia e Proclino, praticavano un
dualismo estremo. Tutte le notizie che abbiamo su questa setta vengono da
Filastrio (Liber Dicersarum Hacreseon).


La dottrina
I seleuciani accettavano che Dio fosse incorporeo, ma erano convinti che la
materia fosse eterna quanto Dio: entrambi, secondo loro, erano generatori
del Male, una posizione molto radicale nel panorama gnostico.
Nella loro dottrina, il leitmotiv ricorrente era il fuoco:
Gli uomini erano stati creati non da Dio, ma dagli angeli da componenti
materiali, il fuoco e l'aria.
Cristo non sedeva alla destra del Padre perché aveva lasciato il Suo corpo
nel sole (fuoco).
I s. rifiutavano il battesimo perché il Vangelo di Matteo (3,11), riferendo
le parole di S. Giovanni Battista, citava testualmente Colui che viene dopo
di me .. vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
Il mondo attuale era l'inferno.


Questa setta ebbe molti punti in comune e probabilmente fu la fonte di
ispirazione di un'altra setta quasi identica, quella degli Ermeoniti o
Prolinianiti, fondata da un certo Ermogene.


Origenisti (III - VII secolo)



Influenza su altri scrittori
Enorme fu l'influenza di Origene sul pensiero di altri famosi scrittori
cristiani dal III fino al VII secolo:
San Dionisio (o Dionigi) d'Alessandria, detto il Grande (ca.190-264), che
rifiutò il sabellianesimo, utilizzando argomentazioni origeniste.
Teognosto (m. ca.282) e Pierio (m. ca.310), successori di O. come direttori
(rispettivamente nei periodi 250-280 e 280-305) della scuola di catechismo e
di teologia di Alessandria, il celebre Didaskaleion.
San Panfilo (c.240-309) ed Eusebio (c.260-c.340) (il famoso storico
cristiano), ambedue di Cesarea, che scrissero insieme l'apologia di Origene.
Papa San Damaso I (c.304-384), che tradusse due omelie di O.in latino.
Didimo il Cieco (c.313-398), teologo e strenuo difensore delle idee di O. e
per questo condannato dal Concilio di Calcedonia del 553.
Sant'Ilario, vescovo di Poitiérs (c.315-367), che studiò le opere di O.
durante l'esilio in Frigia.
I tre Padri Cappadoci (San Basilio (c.330-379), San Gregorio di Nissa
(c.330-395) e San Gregorio di Nazianzo (329-389)), strenui difensori del
credo niceno.
Sant'Ambrogio (c.339-397), vescovo di Milano, che ammirava ed utilizzava
largamente l'interpretazione allegorica della Bibbia, tipica di Origene.
San Girolamo (c.342-420), dapprima grande ammiratore di O., poi suo
detrattore.
Tirranio Rufino di Aquileia, traduttore di molte opere di O. in latino,
concittadino e amico di San Girolamo, fino alla polemica tra i due, proprio
sulle dottrine origeniste.
Evagrio Pontico (346-399), grande ispiratore del monachesimo orientale e,
attraverso il suo discepolo Giovanni Cassiano (c.360-435), di quello
occidentale.
San Massimo di Crisopoli (c.580-662), detto il Confessore, massimo teologo
del VII secolo.


I vari seguaci di O. diedero vita ad un movimento noto come origenismo, che,
però, non sempre fu portavoce del pensiero di Origene nell'accezione
originaria e che portò a due profonde crisi con il Cristianesimo ortodosso:


Prima crisi origenista
Un primo movimento origenista, nato nel monastero di Nitra in Egitto e
diffusosi in tutta la Palestina, si creò nella seconda metà del IV secolo,
portando nel 394 a frequenti litigi tra i suoi seguaci, capeggiati da
Giovanni, vescovo di Gerusalemme, e Sant'Epifanio, vescovo di Salamis
(l'odierna Famagosta, in Cipro), convinto anti-origenista.
La polemica si arricchì, ben presto, di altri protagonisti, come San
Girolamo e Tirranio Rufino di Aquileia, traduttore in latino di De
principiis di Origene nel 397, ex amici fraterni che, come già detto, si
divisero, il primo arroccato su posizioni ortodosse, il secondo strenuo
difensore delle idee di Origene.
La situazione, già infuocata, precipitò con il clamoroso voltafaccia di
Teofilo, patriarca di Alessandria, dapprima convinto origenista ed
improvvisamente, dal 400, nemico implacabile di chiunque professasse queste
idee, ma soprattutto avversario di San Giovanni Crisostomo (ca. 345-407),
Patriarca di Costantinopoli, oggeto dell'esagerata invidia di Teofilo.
Casomai ce ne fosse stato bisogno, la decisione di Crisostomo di ospitare
Sant'Isidoro di Pelusio e gli altri origenisti in fuga da Alessandria
aumentò l'acredine di Teofilo, che riuscì nel suo intento di far condannare
dal sinodo di Ad Quercum (la Quercia, sobborgo di Costantinopoli) nel 403 ed
esiliare il povero Crisostomo ad Antiochia e poi nel Ponto.
A quel punto, nuovo voltafaccia di Teofilo: egli, fatto sparire il suo
concorrente, riaccettò le idee origeniste e, come se nulla fosse, si mise
perfino a leggere i testi del teologo alessandrino.


Seconda crisi origenista
Nel 514 nella regione di Gerusalemme nacque il secondo movimento origenista,
infarcito di idee panteiste, i cui capi erano Nonno, che tenne unito il
movimento fino al 547, Teodoro Askidas, vescovo di Ancira e Domiziano,
vescovo di Cesarea in Cappadocia.
Dopo la morte di Nonno nel 547, il movimento si divise in due correnti,
gli isocristi, estremisti, pensavano che alla fine del mondo tutte le menti
sarebbe stati uguali a Cristo, l'unico non macchiato dal peccato originale,
i protoctisti, moderati, consideravano Cristo superiore alle altri menti e
il migliore di tutte le creature. I protoctisti rinunciarono alla dottrina
di O. della pre-esistenza delle anime, schierandosi a fianco dei cattolici
ortodossi contro gli isocristi. Questi li soprannominarono tetraditi,
accusandoli di aver trasformato la Trinità in una tetrade introducendovi
anche la natura umana di Cristo.
In quel periodo l'imperatore Giustiniano scrisse il suo Liber adversus
Origenem in cui condannò 24 punti dal De principiis, 10 dei quali vennero
anatematizzati da un sinodo nel 543, decisione riconfermata durante il II
Concilio ecumenico di Costantinopoli del 553, il punto più basso di
popolarità della teologia di Origene.
Teodoro Askidas e Domiziano, a sorpresa, firmarono il documento, operando
anche loro, come ai tempi Teofilo, un clamoroso voltafaccia, che permise
loro di mantenere onori e potere.
Secondo alcuni storici contemporanei, però, la condanna dell'origenismo
avvenne in sessioni fuori dai lavori ufficiali del Concilio, il cui scopo
principale era la condanna dei Tre Capitoli, cioè dell'attività e dei
scritti di Teodoro di Mopsuestia, di Teodoreto di Ciro e di Iba di Edessa.
A questo punto, c'è da domandarsi se la Chiesa Cattolica, dopo tanti secoli,
debba ancora considerare come vincolante una condanna non pronunciata nei
lavori ufficiali di un concilio.


Provana, Prospero (m. 1584)



Prospero Provana, nobile piemontese nato a Collegno e parente di Celio
Secondo Curione, già dagli anni '50 del XVI secolo, si trasferì in Polonia
con il fratello Troiano, per sfuggire alle persecuzioni contro i riformisti.
In Polonia, i due fratelli Provana fecero fortuna, soprattutto Prospero,
che, dotato di un formidabile fiuto per gli affari, divenne ricco ed
influente, sposò una nobildonna locale e nel 1558 fondò la prima linea
postale polacca tra Cracovia e Venezia.
Conobbe e frequentò diversi personaggi dell'antitrinitarismo italiano
esiliati in Polonia, fra cui Giorgio Biandrata, che gli donò i propri libri
nel 1562,  Giovanni Bernardino Bonifacio, Andrea Dudith-Sbardellati, Michele
Bruto e Fausto Sozzini, il quale frequentò regolarmente casa sua.
A Cracovia partecipò alle attività dell'Ecclesia Minor polacca, allineandosi
ad un antitrinitarismo non-adorante, ma soprattutto fu interessato ad una
serie di lucrose attività economiche.
Infatti nel 1577 gli furono date in gestione le saline di Wieliczka, vicine
a Cracovia, di cui triplicò la rendita in poco tempo. La cosa fece
ovviamente molto piacere al re Stefano Bathory (1575-1586), che nel 1579 gli
affidò il monopolio dell'esportazione del sale a Bydgoszcz.
P. compì svariati viaggi in Transilvania e, in occasione di uno di questi,
scampò miracolosamente ad un attentato alla sua vita.
Nel 1581, in seguito alla cattura di Giacomo Paleologo, l'ambiente cattolico
polacco aumentò la pressione per convincere diversi riformati, tra cui
Simone Simoni, Michele Bruto e lo stesso P. ad abiurare.
Quest'ultimo lo fece solo nel Giugno 1584, ormai vecchio e malato, ma
soprattutto deluso per l'intolleranza religiosa che trionfava anche nel
mondo riformista.
Morì tre mesi più tardi, nel Settembre 1584.


Pucci, Francesco (1543-1597)



La vita
Il pensatore utopistico Francesco Pucci nacque nel 1543 a Figline Valdarno
rampollo di un ramo della famosa famiglia nobile fiorentina [pare fosse
parente del cardinale Antonio Pucci (m. 1544)], anche se, per la verità, i
parenti non lo vollero mai riconoscere come loro congiunto.
Nel 1570, mentre si trovava a Lione per fare pratica nel commercio, maturò
una conversione che lo spinse ad abbandonare il mestiere e a dedicarsi "allo
studio delle cose celesti ed eterne". Si recò quindi a Parigi per studiare
teologia, ma avendo assistito alle stragi anti-ugonotte della notte di San
Bartolomeo (23 agosto 1572), decise di riparare in Inghilterra, a Londra,
dove entrò a far parte della comunità degli esiliati religiosi. In seguito
P. si iscrisse all'università di Oxford, e, in un ambiente dominato dalle
idee platoniche, ottenne il titolo di Maestro in Arti Liberali nel 1574,
tuttavia la sua vena inquieta e polemica gli fruttò un'espulsione
dall'università nell'anno seguente.
Decise allora di ritornare a Londra, e qui cambiò la chiesa di appartenenza,
passando da quella italiana a quella francese, di credo calvinista, ma anche
qui si fece coinvolgere da polemiche anti-calviniste.
Lasciò allora l'Inghilterra nel 1577 alla volta di Basilea, per andare a
trovare Fausto Sozzini, ed anche qua dopo poco il consiglio cittadino lo
espulse. Ritornato in Inghilterra, venne ulteriormente perseguitato, finché
per un certo periodo non emigrò in Olanda ospite di Justus Lipsius
(1547-1606), nome umanistico dello studioso Josse Lips, accusato qualche
anno dopo di essere un familista.
Dopo l'ennesimo rientro a Londra, P. scrisse nel 1581 la sua opera
principale, la Forma d'una repubblica cattolica: ma, essendo stato
pubblicata in forma anonima, tuttora alcuni studiosi ritardano una
attribuzione certa della paternità del lavoro al pensatore eterodosso di
Figline Valdarno. Nella sua opera P. proponeva una repubblica segreta
(organizzata in collegi o comunità: un vago riferimento ad una
organizzazione di tipo anabattista) di persone di buona volontà, per
preparare un concilio universale, che potesse riunificare tutta la
Cristianità, e perfino gli ebrei ed i mussulmani. La repubblica doveva
rimanere comunque segreta, adeguandosi a seguire l'esteriorità della Chiesa
ufficiale, un concetto nicodemitico, probabilmente preso in prestito dalla
dottrina familista, trasmessogli da Justus Lipsius.
Nel 1582 P. si recò a Cracovia per discutere con Fausto Sozzini e gli altri
dissidenti religiosi residenti in Polonia le sue idee, ma queste furono
respinte praticamente da tutte le confessioni presenti: calvinisti,
luterani, anabattisti e sociniani non diedero molto peso alle sue teorie. In
compenso, a Cracovia nel 1585 P. incontrò e fece amicizia con il mago e
astrologo inglese John Dee, che stava viaggiando in Polonia in compagnia del
medium e ciarlatano Edward Kelly (1555-1593): P. accompagnò i due nel loro
viaggio a Praga per andare a visitare l'imperatore Rodolfo II (1578-1612).
Qui il loquace e polemico P. abbandonò la compagnia dei due maghi (con
sollievo di Dee, che lo considerava pericolosamente chiacchierone e utopico:
aveva perfino cercato di convincere Dee ad andare a Roma per presentare al
papa i suoi esperimenti di necromanzia!) e, deluso dell'accoglienza del
variegato mondo protestante, decise di riconvertirsi al Cattolicesimo
nell'estate dello stesso 1585, pare anche dopo un incontro a Praga con il
cardinale Ippolito Aldobrandini, il futuro Papa Clemente VIII (1592-1605).
Trasferitosi in Olanda, P. lavorò sulla sua ultima opera, il trattato De
Christi servatoris efficacitate in omnibus et singulis hominibus
(L'efficacia salvifica del Cristo in tutti e in ogni uomo), pubblicato nel
1592 e dedicato proprio al neo-eletto Papa Clemente VIII. Qui P. arrivò
all'apice della sua idea di Chiesa universale ed ecumenica: ogni uomo aveva
il diritto di appartenere alla Chiesa di Cristo e l'amore universale di Dio
per l'intera umanità doveva aiutare ad abbattere le barriere che separavano
le chiese.
Pubblicata quest'opera, P. ebbe la temerarietà di voler andare a Roma,
probabilmente per presentarla ufficialmente al papa, ma fu catturato a
Salisburgo nel maggio 1594 per ordine dell'Inquisizione e condotto nelle
carceri romane, dove conobbe Giordano Bruno e Tommaso Campanella.
Condannato a morte per eresia, P. fu decapitato e poi bruciato sul rogo a
Campo dei Fiori il 5 luglio 1597.


Il pensiero
Pensatore utopico, mistico platonizzante, ma anche antitrinitario
razionalista, ammiratore di pensatori e riformatori come Girolamo Savonarola
e Giorgio Siculo, come si è già detto, P. fu molto polemico contro le
principali dottrine religiose dell'epoca.
Fondamentale per capire il suo pensiero religioso fu un manifesto, scritto
nel 1578, ed una successiva lettera (sullo stesso tema) a Niccolò Balbani,
sull'innocenza naturale dell'uomo e contro il peccato originale: secondo P.,
Cristo ha redenti tutti, fino "nel ventre materno, quando per benefitio del
creatore semo forniti d'anima all'immagine d'Iddio" e quindi l'uomo si danna
solo quando, razionalmente, devia dalla legge divina. Il Battesimo dunque
diventa inutile, poiché l'uomo, sempre con l'uso del suo raziocinio, si può
salvare anche senza questo sacramento. Inoltre l'ira di Dio si rivolge solo
contro i peccatori consapevoli, e non contro l'intera umanità considerata
peccatrice secondo il noto concetto calvinista. Infine P. dava molta
importanza al ruolo educativo che i padri potevano avere sui propri figli
per mantenere il più possibile questo stato di innocenza.


Massacro delle colonie valdesi in Italia meridionale (1561-1563)



Uno degli episodi più truculenti della storia della Riforma in Italia nel
XVI secolo fu il massacro delle colonie valdesi in Calabria e la conversione
forzata al Cattolicesimo di quelle in Puglia. Si trattava di colonie antiche
ben stabilite sul territorio fin dal XIII/XIV secolo e provenienti dalle
valli piemontesi.


Calabria
In Calabria si considera tradizionalmente come prima colonia valdese quella
di Montalto Uffugo (in provincia di Cosenza), di cui si hanno notizie dal
1386, in seguito i valdesi si installarono a San Sisto, a Guardia Piemontese
(ai tempi La Guardia o Guardia dei Valdi), e nei paesini dei dintorni.
Mantennero, come si direbbe oggigiorno, un basso profilo, non facendo
proselitismo, commentando la Bibbia solo in case private, ricevendo visite
molto discrete dei barba (i ministri di culto) e perfino partecipando ai
riti esteriori delle chiese cattoliche locali. I feudatari del luogo li
impiegavano come contadini e artigiani della lana e della pelle e li
apprezzavano per la loro operosità e mitezza.
Tuttavia le cose cambiarono nel XVI secolo con l'avvento della Riforma: già
dal 1532, ai tempi del sinodo di Chanforan (in valle d'Angrogna), queste
colonie valdesi cominciarono a manifestare un vivo interesse nella Riforma
calvinista, ma fu solo dal 1556 che i valdesi di Calabria vollero aderire
alla Riforma, in seguito alle prediche di Gilles de Gilles (che
profeticamente li aveva esortati ad emigrare per la loro stessa incolumità),
ma soprattutto quando, nel 1559, Giacomo Bonello (m. 1560) e Gian Luigi
Pascale (m. 1560), con l'aiuto del barba locale Stefano Negrin (m. 1561),
iniziarono una coraggiosa azione di evangelizzazione.
Purtroppo per loro il papa Paolo IV (1555-1559), l'ex inquisitore Giovanni
Paolo Carafa, e l'Inquisitore Generale Michele Ghisleri [il futuro papa Pio
V (1566-1572)] erano rigorosissimi contro ogni forma di eresia e di dissenso
religioso: in particolare una bolla papale emanata nello stesso 1559, che
non concedeva l'assoluzione a chi era a conoscenza di attività ereticali e
non li aveva prontamente denunciati, tolse ai valdesi calabri l'appoggio, o
perlomeno, la neutralità dei signori locali.
In particolare la minaccia di detta bolla fece rompere gli indugi al
feudatario Salvatore Spinelli, che ordinò l'arresto di Gian Luigi Pascale a
Fuscaldo il 2 maggio 1559: per questa azione Spinelli ottenne in seguito il
titolo di marchese.
Pascale fu condotto a Cosenza, da qui a piedi a Napoli, ed infine a Roma per
cercare inutilmente di farlo abiurare, ma anche un estremo tentativo di suo
fratello Bartolomeo, cattolico, fu vano: Pascale fu impiccato e poi bruciato
a Ponte Sant'Angelo il 16 settembre 1560.
La stessa tremenda sorte era capitata al confratello Giacomo Bonello, che,
dopo un primo arresto a Battipaglia, ne aveva subito un secondo decisivo a
Messina. Dopo un breve processo, Bonello fu arso vivo in Piazza
dell'Ucciardone a Palermo il 18 febbraio 1560.
Senza il conforto dei loro pastori, i valdesi calabri caddero preda degli
inquisitori domenicani Valerio Malvicino e Alfonso Urbino, che, dopo aver
condotto un'inchiesta nelle colonie di Montalto, San Sisto e Guardia,
vennero alla conclusione che erano tutti eretici e che quindi dovevano o
abiurare o morire.
Ma anche quelli che abiuravano erano costretti a sopportare un severo e
umiliante regime di controllo: non potevano parlare in occitano o sposarsi
tra loro, dovevano andare a messa tutti i giorni, osservare l'obbligo del
digiuno settimanale e indossare l'infamante abitello degli eretici. I
valdesi reagirono con la fuga nei boschi circostanti, ma questo diede il
pretesto a Don Parafan de Ribera, Duca di Alcalà e viceré di Napoli (viceré:
1559-1572) di organizzare, nel giugno 1561, una colossale caccia all'uomo,
usando cani mastini, assoldando veri pendagli da forca come soldati e
mettendo taglie sulle teste dei valdesi fuggiti.
Fu la "San Bartolomeo italiana" (secondo le parole dello storico Salvatore
Caponetto): 60 persone furono ucciso a San Sisto ed il paese, che contava
6000 abitanti, distrutto, mentre a Montalto, l'11 giugno 1561, fu
atrocemente tagliata la gola, uno dopo l'altro, a 88 valdesi, che furono
lasciati dissanguare come agnelli sgozzati: i loro cadaveri furono poi
impalati, come monito, sulla strada per Cosenza.
Ma la strage più impressionante avvenne a Guardia Piemontese: dal 3 giugno
1561 (per circa undici giorni) si calcola che 2000 persone furono
barbaramente trucidate e che un altro centinaio di valdesi furono uccisi
nelle campagne circostanti. Il sangue di quei poveri innocenti colò lungo i
vicoli fino alla porta principale del paese e alla piazza antistante,
denominate, in seguito, "Porta del sangue" e "Piazza della strage". Altri
1600 coloni furono fatti prigionieri, tra cui 700 provenienti da Guardia
stessa: il barba Stefano Negrin morì nel carcere di Cosenza, o per le
torture subite o di fame.
Alcuni valdesi riuscirono a fuggire in Sicilia, ma qui furono coinvolti in
processi tra il 1569 ed il 1582 e giustiziati.
Solo pochi riuscirono a raggiungere un rifugio sicuro a Ginevra e a rifarsi
una vita.


Puglia
In Puglia alcune colonie franco-provenzali (presumibilmente valdesi) si
erano insediate intorno al 1440 nella zona della Capitanata, tra Foggia e
Benevento, nei comuni di Montaguto, La Motta, Celle San Vito, Faeto, ed in
seguito (nel 1517) a Volturara, chiamate dal feudatario locale. Qui
adottarono per prudenza un atteggiamento fortemente nicodemitica,
frequentando le funzioni religiose cattoliche, ma nel 1561, durante la
campagna militare conclusosi con la tremenda strage dei loro confratelli
calabri, venne scoperto il legame religioso che li univa a quest'ultimi.
Dopo un primo intervento in zona dell'inquisitore domenicano Valerio
Malvicino, fresco dell'esperienza calabrese, che fece arrestare parecchi
valdesi ed internarli nelle carceri romane (molti di loro morirono per le
torture inflitte), nel 1563 l'Inquisizione romana decise di optare per una
linea più morbida, mandando in zona i gesuiti, al comando di padre
Cristoforo Rodriguez.
Quest'ultimo, spesso in forte contrasto con l'Inquisitore Generale Michele
Ghisleri, decise di cercare di convincere i valdesi ad abiurare senza
minacce o torture, ma solamente interrogandoli anche più volte di seguito,
finché 1500 coloni accettarono di farsi convertire: un peso determinante
comunque lo ebbe la decisione di Rodriguez di far liberare i valdesi
prigionieri nelle carceri romane e di rimandarli a casa.
Inoltre, nel novembre 1565, egli ottenne il permesso di far levare
l'abitello a coloro che avevano abiurato, pur con l'obbligo di indossarlo in
chiesa , mentre l'obbligo del digiuno settimanale diveniva mensile.
Tuttavia, solo nel 1592 vennero abrogate molte restrizioni, come l'obbligo
di portare l'abitello in chiesa e dei matrimoni solo con persone di lingua
italiana.
Pur scomparendo la differenza religiosa grazie alle massicce conversioni,
rimase comunque l'orgoglio di usare la lingua franco-provenzale, abitudine
tramandata fino ai giorni nostri e che fa dei paesi di Faeto e Celle San
Vito (come, del resto, anche di Guardia Piemontese in Calabria per quanto
riguarda la lingua occitana) un'isola etnica, protetta dall'apposita legge
italiana 482/1999 sulle minoranze linguistiche.


Pungilupo (o Punzilovo), Armanno (m. 1269)



Il 26 Dicembre 1269, morì a Ferrara Armanno Pungilupo, un uomo in odore di
santità, il cui corpo fu trasportato nella cattedrale della città e divenne
metà di pellegrinaggio da parte di fedeli ferraresi e non. Immediatamente
cominciarono a spargersi notizie di miracoli e guarigioni improvvise davanti
alla tomba del "santo", che venne tumulato in una cappella, eretta all'uopo.
Tuttavia, l'anno successivo, l'Inquisitore frate Aldobrandino scoprì che nel
1254 P. era stato processato con l'accusa di essere un eretico cataro, ma
era stato prosciolto in seguito ad abiura. In seguito, però, A. si era
riaccostato alla sua antica fede, frequentando la Chiesa catara di Bagnolo
San Vito (Mantova) e ricevendo il Consolament a Verona.
Aldobrandino ordinò quindi ai canonici della cattedrale di esumare la salma
di A. e di buttarlo fuori dalla chiesa, ma, al rifiuto dei prelati, li
scomunicò. I canonici non si lasciarono intimorire e presentarono nel 1272
al Papa Gregorio X (1271-1276) una documentazione con testimonianze, che
attestava che A. si era pentito ed era ritornato ortodosso.
Il papa, convinto, fece sospendere la scomunica, tuttavia questo fu solo il
primo episodio di un lungo braccio di ferro tra i canonici e gli inquisitori
che durò per ben altri 29 anni, passando attraverso i pontificati di
Gregorio X, Innocenzo V (1276), Adriano V (1276), Giovanni XXI (1276-1277),
Niccolò III (1277-1280), Martino IV (1281-1285), Onorio IV (1285-1287),
Niccolò IV (1288-1292), Celestino V (1294) fino a Bonifacio VIII
(1294-1303).
Quest'ultimo fece aprire un'inchiesta, che giunse il 23 Marzo 1301 alla
definitiva condanna di P., il cui corpo fu riesumato, cremato e le cui
ceneri furono disperse nel Po.
P. fu purtroppo un tipico esempio di come una persona di notevole virtù
possa essere stato perseguitato anche post mortem dall'Inquisizione sulla
base di una eterodossia dottrinale (tutta da dimostrare), indipendentemente
da una interpretazione autenticamente apostolica della vita dedicata
all'assistenza di malati e carcerati ed alle buone opere.


Puritanesimo (XVI - XVII secolo)



Definizione
Il puritanesimo fu un movimento spontaneo ed estremista, sorto nel XVI
secolo, nell'ambito del Protestantesimo inglese, che tendeva a "purificare",
cioè rendere pura, la Chiesa Anglicana da tutte le forme "corrotte" e non
previste dalle Sacre Scritture. I puritani pensavano, infatti, che la
Riforma inglese, sotto Elisabetta I (1558-1603), non si era spinta a
sufficienza nella ristrutturazione dell'impianto ecclesiastico, accettando
troppi compromessi con il Cattolicesimo soprattutto per quanto riguardava la
liturgia, i paramenti e la gerarchia episcopale.


Le origini
Si può far risalire la nascita del p. al 1563, quando scoppiò la
Controversia sui Paramenti, generata dall'opposizione di alcuni prelati e
teologi, soprattutto dell'Università di Cambridge, all'uso, da parte degli
ecclesiastici, del cappello e toga nella vita giornaliera e della cotta in
chiesa. Altri bersagli dell'attacco p. furono altri segni esteriori come il
segno della Croce, la musica d'organo in chiesa, ma soprattutto la gerarchia
basata sui arcivescovi e vescovi, in altre parole, l'episcopato stesso.
I teorici del movimento furono i teologi Thomas Cartwright, Walter Travers
(ca. 1548-1635) e William Perkins (1558-1602).


Dottrina e comportamento
La teologia p. era prevalentemente calvinista, di cui veniva particolarmente
sottolineata la predestinazione, ma venivano anche presi a riferimento
alcuni autori classici pre-cristiani come Seneca e Platone, e l'umanista
ugonotto francese Pierre de la Ramée (Petrus Ramus) (1515-1572) ucciso dai
cattolici nella notte di San Bartolomeo (23 agosto 1572).
Una caratteristica della teologia p. era il patto tra Dio e la comunità dei
santi visibili, un concetto non del tutto nuovo, simile a quello già
espresso da alcuni teologi anabattisti come Balthasar Hubmaier, e da
riformisti svizzeri, come lo stesso Giovanni Calvino.
Così Cartwright e Perkins definirono questa dottrina del patto:
Dio aveva promesso ad Adamo la vita eterna, ma la caduta dell'uomo lo stava
portando alla dannazione.
Tuttavia era stato sancito un patto tra Dio ed Abramo e quindi se l'uomo
avesse avuto fede in Cristo e nella Sua opera, si sarebbe salvato.
In senso lato, questo patto era stato stabilito tra Dio e la comunità dei
cristiani. Il fedele, dunque, doveva riunirsi a pregare Dio pubblicamente in
comunità con altri fedeli.
Il comportamento dei p. consisteva quindi in esperienze religiose dirette e
pubbliche, una moralità severa (di stile calvinista) e riti religiosi molto
semplificati.


Ramificazioni
Il principale filone del P. fu rappresentato dal presbiterianesimo, che
prediligeva una amministrazione della Chiesa basata su un governo centrale
di presbiteri, cioè gli anziani, sia chierici che laici, simile a quello
sviluppato dai presbiteriani in Scozia, sotto la guida di Andrew Melville.
Da questo concetto si discostarono nettamente i congregazionalisti o
indipendenti, che credevano nella indipendenza ed autonomia di ciascuna
congregazione di fedeli.


La storia
Dal 1570 i p. iniziarono ad attaccare il sistema episcopale della Chiesa
Anglicana: nel 1572 fu pubblicato da due puritani, John Field (1545-1588) e
Thomas Wilcox (1549-1603), un appello, sotto forma di manifesto, dal titolo
Admonition to the Parlament (Ammonimento al Parlamento), che esortava ad
organizzare la Chiesa Anglicana con una struttura non episcopale.
Thomas Cartwright, rientrato dalla Svizzera, condivise questi concetti e
contribuì alla stesura di un secondo Ammonimento, che lo mise seriamente nei
guai: dovette fuggire all'estero, rimanendo lontano dall'Inghilterra fino al
1585.
Alla salita al trono di Giacomo I (già re di Scozia dal 1567 con il titolo
di Giacomo VI) nel 1603, i p. ritornarono a chiedere garanzie per nuove
riforme con la Millenary Petition (petizione millenaria), e una conferenza,
sotto la presidenza del re, venne indetta a Hampton Court nel 1604. Tuttavia
ben poche concessioni vennero fatte ai p. e Giacomo I, che era profondamente
convinto che la tesi di fondo della petizione p. fosse eliminare i vescovi
con l'intento successivo di eliminare il re,  ovviamente appoggiò
apertamente la posizione dei vescovi anglicani con la famosa frase che
sintetizzava il suo timore di fondo: No bishop, no king [nessun vescovo
(equivale a) nessun re]. L'unica concessione ai p., degna di nota, fu
l'autorizzazione alla pubblicazione di una versione della Bibbia, compilata
da un panel di teologi e studiosi e denominata Authorised Version (versione
autorizzata) o King James Bible (Bibbia di Re Giacomo).
Le successive persecuzioni ordinate dall'arcivescovo di Canterbury, William
Laud (1573-1645) furono durissime: ad esempio nel 1630 il medico p.
Alexander Leighton, padre del futuro arcivescovo di Glasgow Richard
Leighton, per aver osato criticato la Chiesa d'Inghilterra, fu esposto alla
gogna, frustato, gli fu tagliato un orecchio e rotto un lato del naso. Non
contenti i giudici lo fecero marchiare a fuoco sulla faccia con la scritta
SS (seminatore di sedizione). In seguito il medico fu riportato sulla gogna
e fu finito l'opera di mutilazione con il taglio dell'altro orecchio e la
rottura dell'altro lato del naso. Infine il tapino fu sbattuto in carcere
per il resto dei suoi giorni.
Non c'è quindi da meravigliarsi che le persecuzioni provocassero così tante
emigrazioni in Olanda e soprattutto verso colonie americane, come il New
England, ed in particolare la Massachusetts Bay, teatro di una crescente
emigrazione di massa di p. e dissidenti religiosi (più di mille persone solo
nel 1630), spinti a fuggire a causa delle politiche repressive ordinate dal
re Carlo I (1625-1649). Entro il 1640 più di ventimila dissidenti religiosi
erano emigrati sulle coste della Massachusetts Bay, formando uno dei nuclei
dei futuri Stati Uniti d'America.
Comunque i p. rimasti in patria si organizzarono a tal punto che, allo
scoppio della Guerra Civile in Inghilterra nel 1642, erano diventati un vero
e proprio influente partito in parlamento, il cui capo, Oliver Cromwell
(1599-1658), sarebbe diventato il futuro Lord Protettore. Essi, con il
soprannome di Roundheads (teste rotonde, dal tipo di elmo utilizzato),
giocarono un ruolo decisivo nell'esercito parlamentare, e contribuirono
all'arresto ed esecuzione capitale dell'odiato arcivescovo Laud nel 1645, ma
soprattutto alla sconfitta e alla successiva decapitazione nel 1649 del re
Carlo I.
Tuttavia con la restaurazione nel 1660 della monarchia con Carlo II
(1649-1685) i p. furono progressivamente isolati e perseguitati dalla Chiesa
Anglicana in seguito ai vari atti contenuti nel Codice Clarendon
(1661-1665), voluto dal Lord Cancelliere, Edward Hyde, 1° Conte di Clarendon
(1609-1674). I p., oramai una confederazione di varie sette dissenzienti,
avevano perso sia il loro antico potere di influenza che la loro
denominazione originaria e furono chiamati non-conformisti, proprio perché
non avevano voluto mai conformarsi all'Uniformity Act, uno degli atti del
Codice Clarendon, che erano:
Corporation Act (1661), che escludeva i non-conformisti dai pubblici uffici.
Uniformity Act (1662), che obbligava all'uso del Libro delle Preghiere della
Chiesa Anglicana.
Conventicle Act (1664), che proibiva funzioni religiose non-conformiste.
Five Mile Act (1665), che proibiva ai pastori non-conformisti di avvicinarsi
alle città.


Il p. rimase nella forma originaria solamente in America, sulla costa
orientale, dove si sviluppò grazie a personaggi come il difensore della
tolleranza religiosa Roger Williams, fondatore della colonia di Rhode
Island, ma ebbe anche oscuri momenti come la caccia alle streghe a Salem,
ispirata dagli scritti del p. Cotton Mather.
Iniziò a declinare gradualmente nel XVIII secolo, sopravvivendo solo nel
Massachusetts, con Jonathan Edwards e i suoi seguaci, fino all'inizio del
1800.


Purvey, John (ca. 1354- ca. 1428)



John Purvey, letterato inglese, lavorò insieme a John Wycliffe come
professore all'università di Oxford, e ne seguì gli insegnamenti, diventando
il suo segretario.
Nel 1382, in seguito alla condanna di Wycliffe per il trattato De
Eucharistia, dove il riformatore inglese aveva attaccato la dottrina della
transustanziazione, P. si ritirò con il suo maestro nella parrocchia di
quest'ultimo a Lutterworth, nella contea del Leicestershire, dove lo
assistette fino alla sua morte, avvenuta il 31 Dicembre 1384.
In quegli anni, P. lavorò sulla traduzione inglese della Bibbia, la quale
era stata già redatta dallo scrittore lollardo Nicholas di Hereford, ma che
risultava del tutto illeggibile per i troppi latinismi. P. completò una
versione stilisticamente molto più scorrevole nel 1395: questa ebbe un
enorme successo e fu presa come base per la Bibbia, nella versione
autorizzata in inglese (chiamata familiarmente versione di re Giacomo) del
1611.
Alla morte del capostipite, P. diventò capo del movimento lollardo ed
approfittò della schizofrenia del tirannico re Riccardo II (1377- deposto
1399), per rinforzare la posizione del movimento, protetto da diversi
esponenti della nobiltà. Egli giunse anche a presentare nel 1395 al
Parlamento un progetto di riforma della Chiesa inglese, che fu ovviamente
respinto, in dodici punti ricalcanti i precetti di Wycliffe.
Ma, in seguito alla deposizione di Riccardo da parte di Enrico di Lancaster
(il figlio di Giovanni, il protettore di Wycliffe), divenuto re Enrico IV
(1399-1413), la situazione per i lollardi cambiò radicalmente in senso
peggiorativo. Infatti Enrico, per ringraziarsi la Chiesa iniziò una energica
azione di soppressione del movimento lollardo, contrassegnata dall'Atto De
Hæretico Comburendo (Del bruciare gli eretici) del 1401, che permetteva ai
vescovi di arrestare, imprigionare, torturare e consegnare al braccio
secolare gli eretici.
Proprio nel 1401 P. fu arrestato e tenuto in carcere fino all'anno
successivo, quando, davanti l'arcivescovo di Canterbury, Thomas Arundel
(1353-1414), egli ripudiò le sue idee ed accettò una rendita
dall'arcivescovo.
Ma, già nel 1403, si pentì della scelta e tornò ad essere un lollardo,
finché non fu arrestato definitivamente nel 1421. Da quel momento non si
hanno più notizie di lui, ma si suppone egli sia morto, probabilmente in
carcere, intorno al 1428.


Segalelli (o Segarelli o Sagarelli o Cicarelli), Gherardo (o Gherardino) (m.
1300) e apostolici



La vita
Gherardo Segalelli nacque a Segalara, vicino a Ozzano Taro (Parma) nel 1240
circa. Era un uomo di bassa estrazione sociale: nel 1260, l'anno delle
flagellazioni di massa, che lo lasciarono profondamente colpito, S. chiese
di essere ammesso al convento dei Frati Minori di Parma, ma ne fu respinto.
Decise allora di seguire autonomamente una propria strada di povertà
francescana: vendette i suoi averi, donando il ricavato ai poveri e si
lasciò crescere barba e capelli e si vestì con una tunica grezza, un
mantello bianco e dei sandali.
A questo punto, egli iniziò una vita di rinunce ad ogni possesso e di
predicazione del messaggio evangelico. Ebbe un notevole successo
particolarmente tra la popolazione più umile, non solo a Parma, ma in tutta
l'Emilia Romagna e oltre, e i suoi seguaci, i fratres et sorores apostolicae
vitae o semplicemente apostolici o "minimi" (come definivano sé stessi per
distinguersi dai Minori), diventarono molto più popolari degli stessi
predicatori francescani.
Tutto ciò allarmò la Chiesa ufficiale e il Papa, Gregorio X (1271-1276),
stabilì, nel 1274 al II Concilio di Lione, la proibizione di fondare nuovi
movimenti religiosi mendicanti e l'obbligo per quelli esistenti di confluire
in organizzazioni ufficialmente approvate dal clero.
Poiché gli apostolici non si adeguarono a queste direttive, furono
condannati per due volte: nel 1286 con la bolla papale Olim felicis
recordationis  e nel 1287 con il Concilio di Würzburg, ambedue voluti da
Papa Onorio IV (1285-1287), preoccupato per il diffondersi della setta. In
seguito a questa ultima condanna S. fu imprigionato a Parma, ma fu
successivamente rilasciato dal vescovo parmense Obizzo Sanvitali, segreto
ammiratore di S. e degli apostolici. Secondo il cronista d'epoca Fra
Salimbene de Adam, questo perché il vescovo si divertiva con S. come se egli
fosse stato il suo sciocco giullare di palazzo, ma questa versione dei fatti
è sicuramente una forzatura propagandistica, visto l'atteggiamento
estremamente ostile e prevenuto che Salimbene ebbe nel descrivere il
movimento degli apostolici.
Anche il successore di Onorio IV, Papa Niccolò IV (1288-1292) rinnovò nel
1290 la condanna della setta, ma solo nel 1294 il S. fu nuovamente messo in
prigione, da cui comunque riuscì a fuggire poco dopo.
Tuttavia, sei anni dopo, con a Roma un Papa, Bonifacio VIII (1294-1303), non
certo tenero con i predicatori "irregolari" e senza la protezione di Obizzo
diventato nel frattempo vescovo di Ravenna, S. fu catturato, processato
dall'inquisitore Manfredo da Parma e bruciato sul rogo a Parma il 18 Luglio
1300.


La dottrina
A dir la verità, il movimento degli apostolici non aveva una vera e propria
dottrina: essi non predicavano una nuova interpretazione del Vangelo come i
valdesi, non contestavano il clero corrotto come i patarini, non erano
eretici dualisti come i catari.
Il loro principale riferimento evangelico era il brano degli Atti degli
Apostoli (2,44-45): E tutti quelli che avevano creduto stavano insieme e
avevano tutto in comune. Vendevano poi le proprietà e i beni e ne
distribuivano il ricavato a tutti, secondo che ognuno ne aveva bisogno.
Gli apostolici conducevano quindi una vita semplice fatta di digiuni e
preghiere, spesso lavorando per guadagnare il cibo, altrimenti vivendo di
carità, e predicando con frequenti richiami al pentimento. Infatti il loro
motto era Penitentiam agite (fate penitenza), corrotto poi in Penitençagite!
Essi non avevano neppure un vero capo perché S. si rifiutò sempre di
rivestire questo ruolo nel movimento, permettendo così anche l'avvento di
nuovi capi auto-proclamatisi, come Matteo di Ancona e Guido Putagio, che
portarono scompiglio e divisioni interne al movimento.
Quello che scandalizzò però la Chiesa era, per una società cattolica
abbastanza angosciata e ossessionata dal peccato del sesso, che il movimento
degli apostolici fosse formato sia da donne che da uomini, i quali non
davano alcun valore alla castità (come i Fratelli del Libero Spirito), che
la cerimonia di accettazione di nuovi seguaci (donne e uomini) prevedesse
che si spogliassero nudi in pubblico (ma lo aveva fatto anche San
Francesco!), perché essi dovevano seguire nudi il Cristo nudo. E, a parte il
non aver ottemperato alle disposizioni del II Concilio di Lione in tema di
nuovi movimenti religiosi, fu solo sulla base di accuse, spesso fantasiose,
di fornicazione, oscenità, sodomia e quant'altro che gli apostolici furono
perseguitati.


Gli apostolici dopo la morte del fondatore
La setta degli apostolici fu duramente perseguitata come il suo fondatore:
già nel 1294 furono bruciati i primi quattro apostolici e nei processi del
1299 si cercò di reprimere nel sangue questo movimento che tanto
scandalizzava la Chiesa.
Tuttavia da quel momento di grande difficoltà per gli apostolici uscì quel
leader, Fra Dolcino da Novara, che fece fare un salto di qualità al
movimento e tenne in scacco per sette anni le forze avversarie messe in
campo durante una vera e propria crociata, indetta dal Papa Clemente V
(1305-1314).
Morto Dolcino nel 1307, si registrarono ancora apparizioni episodiche degli
apostolici nel 1315 in Spagna, nel 1318 ed infine un'ultima citazione nel
Concilio di Narbona del 1374.


Savonarola, Girolamo (1452-1498) e arrabbiati (o compagnacci o piagnoni)



Girolamo Savonarola nacque a Ferrara il 21 Settembre 1452 e, da giovane intellettualmente dotato com'era, si dedicò con successo a studi di filosofia e medicina.
Girolamo SavonarolaNel 1474, senza neppure avvisare la sua famiglia, prese tuttavia la repentina decisione di entrare nell'Ordine Domenicano a Bologna, dove fino al 1482 rimase in convento conducendo una vita ascetica dedicata alla preghiera e all'approfondimento degli studi sulla filosofia di Aristotele e di San Tommaso Aquino.
In quell'anno, 1482, S. si recò a Firenze nella Chiesa di San Marco, sede dell'Ordine Domenicano in città, da dove iniziò a predicare con toni violenti contro la vita immorale della corte di Lorenzo de' Medici, ma sembra questi primi sermoni non sortirono l'effetto desiderato, anzi passarono abbastanza inosservati.
Tuttavia, ritornato nella città toscana nel 1489, dopo diversi anni di prediche in giro per l'Italia, la sua denuncia del paganesimo diffuso divenne più incisiva e così dicasi dei suoi attacchi contro Lorenzo de' Medici, nonostante la generosità di quest'ultimo nei confronti del convento di San Marco, del quale S. stesso fu nominato priore nel 1491.
Nel 1493 Lorenzo morì, tuttavia S., non pago, aumentò ugualmente il livello della sua denuncia contro l'immoralità e gli abusi, questa volta, del clero e del nuovo Papa Alessandro VI (1492-1503), il famigerato Rodrigo Borgia, padre di diversi figli, tra i quali i noti Lucrezia e Cesare ed eletto Papa grazie a spregiudicati atti di corruzione e simonia.
Proprio il contrario degli ideali di S., che anelava ad una rigenerazione morale e spirituale della Chiesa e che incominciò ad applicare alcune sue idee, riformando i monasteri toscani dell'Ordine Domenicano secondo una rigida osservanza della Regola originariamente stabilita e sottraendo il controllo dalla Congregazione Lombarda, la Casamadre dell'Ordine.
Nel 1494 l'esercito di Carlo VIII di Francia (1483-1498) invase l'Italia, per riaffermare il diritto del re, di sangue angioino, alla successione al regno di Napoli, dopo la morte di Ferrante d'Aragona (1458-1494).
S. supportò la causa del re francese, sperando in cambio di un appoggio per la formazione di un governo democratico in Firenze ed effettivamente la visita di Carlo VIII a Firenze permise a S. di scacciare l'indegno figlio di Lorenzo de' Medici, Pietro, e di instaurare una Repubblica teocratica.
In tutta la Repubblica fu messa in vigore una normativa morale molto severa e basata sulla legge di Cristo, considerato il vero “Re di Firenze”. Divennero famosi i “falò delle vanità”, roghi pubblici nei quali vennero bruciati carte e dadi da gioco, libri pagani e immorali (talora bastava anche un innocente libro di poesie o una copia del Decamerone del Boccaccio), ornamenti e vestiti lussuosi, e perfino quadri del Botticelli.
Dall'alto del suo successo, S. poté riprendere gli attacchi contro l'immoralità della Curia romana e di Alessandro VI, ma il Papa contrattaccò nel 1495 convocandolo a Roma per difendersi dalle accuse di false profezie. S. rifiutò adducendo motivi di salute cagionevole.
Tuttavia Alessandro VI non demorse e nel 1496 stabilì che i monasteri domenicani toscani avrebbero dovuto riferire ad una nuova Congregazione situata (ovviamente) in Roma: al rifiuto di S. di obbedire, questi fu scomunicato il 12 Maggio 1497.
A questo provvedimento S. reagì dichiarandolo privo di valore e continuando le sue prediche nel Duomo di Firenze, mentre il Papa reagì minacciando di interdizione la città, se al predicatore non fosse stata tolta la parola.
Oltretutto, l'ostilità locale nei confronti di S., opportunamente orchestrata da parte dei francescani, iniziò a crescere fino a quando, nel Marzo 1498, il francescano Padre Francesco Rondinelli sfidò S. ad un'ordalia del fuoco per stabilire la santità del predicatore domenicano.
Quest'ultimo rifiutò, ma, al suo posto, accettò la sfida il suo devoto discepolo Domenico da Pescia.
Il 7 Aprile 1498, data prescelta per la prova, questa non si poté aver luogo, dapprima per le lungaggini procedurali, e poi per un improvviso acquazzone. La folla esasperata e di umore mutevole se la prese con S., arrestato sul luogo assieme a Domenico da Pescia. A nulla servì la reazione dei suoi seguaci, denominati arrabbiati o compagnacci o piagnoni (dalle lacrime che versavano ad ogni sermone di S.), i quali provocarono gravi disordini, assaltando, fra l'altro, il convento di San Marco al grido di Salvum fac populum tuum, Domine.
Il Papa non si fece scappare la ghiotta occasione di fare i conti con il predicatore ribelle ed inviò a Firenze il generale dell'Ordine Domenicano e il vescovo di Ilerda ad assistere al processo. Nonostante le torture, S. non cedette, tuttavia furono redatti, a cura di alcuni notai compiacenti, degli atti palesemente contraffatti del processo, nei quali S. avrebbe ammesso di essere un falso profeta.
Sulla base di questa “confessione” S. venne condannato, assieme ai suoi seguaci Domenico da Pescia e Fra Silvestro, a morte mediante impiccagione, seguita dal rogo dei corpi e dalla dispersione delle ceneri nell'Arno.
La sentenza venne eseguita il 22 Maggio 1498.
La figura di S. fu onorata dal Luteranesimo, come esempio di antesignano della Riforma e la sua statua fa parte del monumento dedicato a Lutero, eretto a Worms, in Germania.
Comunque, anche la stessa Chiesa Cattolica sembra aver espresso recentemente l'intenzione di rivalutare la figura di S. come rinnovatore della Chiesa ed è stato avviato il relativo processo di beatificazione presso il Tribunale Ecclesiastico, presieduto dal Cardinale Silvano Piovanelli, arcivescovo di Firenze, secondo il quale S. “morì e visse come un santo”.