PREFAZIONE<BR>Questo libro si basa sui miei volumi in lingua danese Det Athenske<BR>Demokrati i. 4 arh. f. Kr., I-VI (Copenhagen 1977-81), ma ho totalmente<BR>riscritto, rielaborato e aggiornato il lavoro, e l'ho trasformato<BR>da un manuale (con discussioni di problemi e dozzine di riferimenti<BR>alle fonti in note estremamente ampie) in quella che spero sia una<BR>trattazione generale e più accessibile. Il presente libro si rivolge<BR>pertanto<BR>non a specialisti, ma principalmente a studenti di antichistica,<BR>storia e scienze politiche, così come a chiunque altro abbia interesse<BR>per la storia dell'antica Grecia e della democrazia. A beneficio del<BR>non specialista ho dedicato molto spazio e molta attenzione alla descrizione<BR>delle istituzioni democratiche e a una ricostruzione del<BR>funzionamento della democrazia. Ho anche cercato di analizzare i<BR>principi e gli ideali che stavano alla base delle istituzioni, ma ho<BR>eliminato<BR>la discussione delle controversie erudite. La conclusione, nel<BR>bene e nel male, presenta la mia visione della democrazia ateniese.<BR>Poiché è probabile che molti lettori non conoscano il greco, le citazioni<BR>sono presentate in traduzione e i termini greci sono traslitterati<BR>in corsivo; inoltre, tutti i termini tecnici sono spiegati nel Glossario<BR>(pp. 348-370). Le note sono state abbreviate il più possibile e consistono<BR>esclusivamente in riferimenti alle fonti e alla dottrina moderna:<BR>non solo, ma in ciascun caso mi sono limitato a scegliere una,<BR>due, al massimo tre fonti di riferimento, seguite da opportuni richiami<BR>a trattazioni moderne in cui si possono trovare una più completa<BR>presentazione delle testimonianze e una più dettagliata discussione<BR>dei problemi. I riferimenti agli studiosi di cui non condivido i punti<BR>di vista sono introdotti da pace o contra, a meno che non sia chiaro<BR>dal contesto che le loro opinioni differiscono dalle mie. Nel complesso,<BR>tuttavia, ho preferito, nelle note, fare riferimento direttamente<BR>alle fonti piuttosto che a trattazioni moderne e, nel testo, discutere<BR>le testimonianze piuttosto che le contrastanti interpretazioni moderne<BR>che ne sono state date. Il secondo capitolo presenta le testimonianze<BR>su cui il libro si basa, ma questa è una sede opportuna<BR>per dire qualcosa sullo scopo del libro e sul metodo che ho usato.<BR>Il libro è una trattazione sistematica della democrazia ateniese nel<BR>periodo che va dal 403/2 al 322/1. Non condivido l'opinione secondo<BR>cui la democrazia del quarto secolo fu pressoché identica alla cosiddetta<BR>democrazia «radicale» del 462-411 e 410-404. Al contrario, ritengo<BR>(1) che la democrazia restaurata nel 403 fosse differente dalla democrazia<BR>del quinto secolo sotto molti importanti aspetti e (2) che,<BR>negli anni fra il 403 e il 322, la democrazia sia passata attraverso<BR>cambiamenti<BR>e riforme molto più numerosi di quanto solitamente si ritenga.<BR>Mi sono più specificamente concentrato sul periodo 355-322, che<BR>si distingue sia per gli sviluppi costituzionali sia per la relativa<BR>abbondanza<BR>di fonti. Sembra che le sconfitte nella guerra sociale, nel 355, e<BR>nella seconda guerra contro Filippo di Macedonia, nel 338, abbiano<BR>dato luogo a molte importanti riforme delle istituzioni democratiche,<BR>oltre che a una rinascita degli ideali inerenti alla «democrazia avita di<BR>Solone», anche se la democrazia fu sostituita dall'oligarchia dopo la<BR>conquista macedone di Atene nel 322. Per quanto riguarda le fonti, il<BR>periodo più importante della retorica attica comincia nel 355 e per i<BR>successivi 34 anni disponiamo di una impareggiabile quantità di eccellenti<BR>fonti relative alla vita pubblica ateniese, soprattutto le orazioni<BR>di Demostene, Eschine, Iperide, Licurgo, Dinarco, nonché le ultime<BR>orazioni di Isocrate. La parte sistematica della Costituzione di Atene<BR>di Aristotele descrive le istituzioni democratiche negli anni 30 del<BR>quarto secolo, e la seconda metà del quarto secolo segna l'apice delle<BR>testimonianze epigrafiche. Nessuna orazione è successiva all'abolizione<BR>della democrazia da parte di Antipatro nel 322/1. Il periodo<BR>355-322 coincide anche con la carriera politica di Demostene, incominciata<BR>nel 355 con i processi contro Androzione e Leptine e terminata<BR>con il suo suicidio nel 322. Questa è la ragione per cui ho scelto<BR>di intitolare il libro La democrazia ateniese nell'età di Demostene.<BR>La trattazione si basa su fonti di quel periodo e, a meno che non<BR>sia specificamente dichiarato, esse sono considerate tutte contemporanee.<BR>In alcuni casi, tuttavia, sono state utilizzate fonti di altri perio-<BR>8 Prefazione<BR>di per far luce sulla democrazia del quarto secolo: per esempio, nella<BR>mia descrizione delle istituzioni del quarto secolo vengono usate<BR>fonti che descrivono le istituzioni democratiche nell'età di Pericle,<BR>sempre che vi siano testimonianze del fatto che l'istituzione in questione<BR>non sia stata riformata sotto quel particolare aspetto. Basandosi<BR>poi sul presupposto che gli ideali cambiano più lentamente delle<BR>istituzioni, nei capitoli sull'ideologia e sul carattere della democrazia<BR>ateniese si fa abbastanza spesso riferimento alle numerose fonti del<BR>quinto secolo riguardanti gli ideali democratici. Inoltre, in alcuni casi,<BR>fonti ellenistiche (sempre iscrizioni) sono state usate con riferimento<BR>al quarto secolo per far luce in particolare sul funzionamento dell'<BR>Assemblea<BR>e del Consiglio. Talvolta sono state utilizzate anche fonti che<BR>si occupano della polis democratica in generale, se c'è ragione di ritenere<BR>che le generalizzazioni fossero ispirate da istituzioni ateniesi e<BR>ne fossero il riflesso. In questa categoria le tre fonti più importanti sono<BR>le Leggi e la Repubblica di Platone e la Politica di Aristotele.<BR>Come altri storici, devo talvolta basarmi su analogie o ipotesi<BR>aprioristiche, ma evito analogie con i governi delle democrazie moderne<BR>basate sul principio di rappresentanza, e preferisco analogie<BR>con la Landsgemeinde svizzera, che è un eccezionale ma notevole<BR>esempio di democrazia diretta attuata in una piccola società.<BR>Ho volutamente impiegato termini moderni quali «costituzione»,<BR>«stato», «decisione», «separazione dei poteri», «democrazia», «libertà» e<BR>«uguaglianza» in parte perché è inevitabile e in parte perché è<BR>desiderabile.<BR>È inevitabile perché la sola alternativa sarebbe quella di<BR>scrivere sulla storia romana in latino, sulla storia ateniese in greco e<BR>sulla storia babilonese in cuneiforme, il che è semplicemente impossibile.<BR>Ma è anche desiderabile, perché la prospettiva storica<BR>emerge dal contrasto fra i nostri concetti e il linguaggio delle fonti<BR>che interpretiamo. Solo un pessimo storico potrebbe pretendere di<BR>evitare i concetti contemporanei: in ogni pagina egli inevitabilmente<BR>porterebbe i suoi lettori fuori strada. Uno storico deve essere una<BR>sorta di Giano bifronte e la sua analisi deve muoversi in due opposte<BR>direzioni: deve leggere e capire le sue fonti in lingua originale,<BR>ma nella sua interpretazione di esse deve anche analizzare i concetti<BR>moderni da usare. L'arte di scrivere la storia sta nello scegliere, fra<BR>tutti i concetti che abbiamo a nostra disposizione, quelli che consentono<BR>una significativa descrizione delle società antiche, e nell'evitare<BR>invece quelli che possono fuorviare. Credo, per esempio, che «città-<BR>Prefazione 9<BR>stato», «costituzione» e «democrazia» siano utilizzabili come equivalenti<BR>di polis, politeia e demokratia, mentre concetti quali «sovranità<BR>», «uomo politico» e «partito politico» siano piuttosto da evitare.<BR>Non mi resta che esprimere i miei ringraziamenti.<BR>In primo luogo, vorrei ringraziare il Dr. Oswin Murray che, per<BR>conto di Blackwell, mi ha chiesto di scrivere questo libro.<BR>In secondo luogo, sono grato ai miei colleghi del Dipartimento<BR>di Studi Classici dell'Università di Copenhagen Johnny Christensen,<BR>Minna Skafte Jensen, Jorgen Mejer, Helle Salskov Roberts e a Christian<BR>Marinus Taisbak, che nell'anno accademico 1989-90 mi ha sostituito<BR>nelle mie funzioni di insegnante e amministratore, così che<BR>ho potuto avere un anno sabbatico per finire il libro.<BR>Sono grato poi alla Fondazione Carlsberg per avermi assegnato<BR>la borsa di studio Carlsberg al Churchill College di Cambridge per il<BR>secondo trimestre del 1990. E con ciò vengo ai ringraziamenti di<BR>gran lunga più importanti: al mio amico John Crook che tanto generosamente<BR>si è impegnato a tradurre il mio dattiloscritto in inglese<BR>(fatta eccezione per questa prefazione, della quale sono responsabile<BR>in prima persona), e che durante la mia permanenza a Cambridge<BR>ha dedicato quasi tutto il suo tempo a questo compito. Il mio lavoro<BR>ha tratto giovamento dalla sua eccellente comprensione del danese<BR>e dal suo vivace inglese idiomatico; cosa ancora più importante, oltre<BR>ad aver tradotto il libro, egli ne ha sottoposto il contenuto a un<BR>esame critico e mi ha aiutato nel determinarne la struttura. Gli argomenti<BR>di scarsa efficacia sono stati messi a punto, le ripetizioni eliminate,<BR>le imprecisioni scoperte e messe in evidenza, e le mie interpretazioni<BR>di passi difficili delle fonti sono state accettate solo dopo<BR>lunghe discussioni con "l'avvocato del diavolo", e dunque spesso<BR>con alcune modifiche.<BR>Questo libro è mio - nessun dubbio al riguardo - ma Crook vi<BR>ha sicuramente lasciato la sua impronta e per questo gli sono<BR>particolarmente<BR>grato.<BR>La versione tradotta è stata letta dal Dr. Paul Cartledge e dal Dr.<BR>Paul Millett, che hanno fatto molti utili commenti. Sono molto grato<BR>anche al redattore capo del mio testo, Graham Eyre, che ha fatto un<BR>così eccellente lavoro sul dattiloscritto.<BR>Doverosi ringraziamenti infine a Ollie, senza la cui assistenza<BR>questo libro non sarebbe mai stato terminato.<BR>10 Prefazione<BR>1<BR>DEMOCRAZIA DIRETTA<BR>IN PROSPETTIVA STORICA<BR>Quasi tutti coloro che scrivono sulla democrazia cominciano con la<BR>distinzione tra democrazia «diretta» e «indiretta» o «rappresentativa» 1.<BR>Quelli che si concentrano sulle istituzioni talvolta contrappongono<BR>la «democrazia assembleare» alla «democrazia parlamentare», ma la<BR>distinzione è la stessa: in una democrazia diretta il popolo effettivamente<BR>si autogoverna, cioè tutti hanno diritto di partecipare alle decisioni,<BR>mentre nell'altro tipo di democrazia la sola decisione che<BR>tutti hanno il diritto di prendere è quella di scegliere chi prende le<BR>decisioni.<BR>Anche le analisi strutturali della democrazia richiedono sempre<BR>una prospettiva storica (il che è abbastanza naturale): essa si risolve<BR>nel sostenere che la democrazia diretta non esiste più 2, almeno negli<BR>stati sovrani rispetto a unità più piccole; e questa innegabile verità<BR>tende ad essere seguita dall'affermazione che una tale democrazia<BR>non può più esistere a causa della dimensione delle società moderne<BR>3 (il che significa ignorare il fatto che la tecnologia moderna ha<BR>reso perfettamente realizzabile un ritorno alla democrazia diretta -<BR>se desiderabile o meno, è un'altra questione) 4.<BR>La prospettiva storica nell'altra direzione, cioè verso il passato,<BR>tende a variare a seconda della nazionalità dello scrittore. Il mondo<BR>1 Holden (1774), pp. 5, 26-29; Lively (1975), pp. 29-32; Pennock (1979), p.<BR>7;<BR>Lijphart (1984), p. 1; McLean (1989), p. 5.<BR>2 Sartori (1962), p. 252; Holden (1974), p. 5.<BR>3 Sartori (1962), pp. 255-256; Holden (1974), p. 27.<BR>4 Arterton (1987); McLean (1989). Cfr. Hansen (1989b), p. 6.<BR>di lingua inglese ha prestato attenzione alle città-stato greche e alla<BR>democrazia ateniese classica 5 - se si eccettua il fatto che gli americani<BR>sono irresistibilmente attratti anche dalla loro peculiare forma<BR>di democrazia diretta che si manifesta nell'«Assemblea delle città del<BR>New England» 6. I Francesi, a partire da Rousseau, hanno anche alzato<BR>lo sguardo verso le Alpi per trarne ispirazione 7, mentre alcuni<BR>studiosi tedeschi e scandinavi continuano felicemente a occuparsi<BR>dell'antica democrazia diretta delle tribù germaniche 8. Un altro<BR>esempio storico deve invece essere messo da parte senza ulteriore<BR>confusione: le città italiane del Rinascimento. Venezia, Firenze, Milano<BR>e così via, furono indiscutibilmente città-stato e possono, sotto<BR>questo aspetto, essere utilmente paragonate alle poleis greche; ma<BR>esse furono governate da una monarchia o da una oligarchia 9: la<BR>democrazia emerse in esse solo come una parentesi di breve durata<BR>10. Esse dunque non forniscono un parallelo storico quando la<BR>discussione riguarda la democrazia e lo stato democratico.<BR>Gli altri quattro esempi storici di democrazia diretta richiedono<BR>ulteriori considerazioni; innanzitutto la Urdemokratie tedesca. Essa<BR>risale a una affermazione di Tacito nella Germania, fatta circolare<BR>da Montesquieu 11; ma storici e archeologi in tempi più recenti sono<BR>stati costretti ad abbandonare come un mito la nozione di un antico<BR>sistema egualitario di governo nelle tribù tedesche. Per quanto riguarda<BR>l'idea della Svizzera come culla della democrazia, questa affermazione<BR>ha due fondamenti, uno dei quali molto più solido dell'altro.<BR>Il primo è che a partire dal Medioevo quattro cantoni svizzeri<BR>e quattro mezzi cantoni sono stati governati da assemblee popolari<BR>(Landsgemeinden), cinque delle quali esistono ancora oggi 12: già all'inizio<BR>del sedicesimo secolo Bodin concentrò la propria attenzione<BR>16 Democrazia diretta in prospettiva storica<BR>5 The New Encyclopaedia Britannica (197515), s.v. Democracy.<BR>6 Encyclopaedia Americana (1980), s.v. Democracy.<BR>7 Grand dictionnaire encyclopédique Larousse (1982), s.v. Démocratie.<BR>8 Amira (1913), pp. 126, 149 ss.; Ross (1946), pp. 22-24.<BR>9 Plamenatz (1963), pp. 9-11.<BR>10 Marks (1963).<BR>11 Tacito, Germania, 11. Montesquieu, De l'esprit des lois, 6.11 (p. 167<BR>nell'edizione<BR>Garnier, Parigi 1961).<BR>12 Ryffel (1903); Stauffacher (1962); Kellenberger (1965); Carlen (1976).<BR>su di essi come esempi di democrazia 13. Essi costituiscono un effettivo<BR>- in verità l'unico effettivo - parallelo con la democrazia ateniese.<BR>Nonostante oggi i cantoni siano soltanto unità subordinate,<BR>con limitati poteri locali, a suo tempo furono Stati sovrani governati<BR>mediante una democrazia diretta. L'altro fondamento riguardante la<BR>Svizzera poggia principalmente su Rousseau. Egli menzionò la vera<BR>democrazia dei piccoli cantoni forestali solo di sfuggita 14, e si concentrò<BR>soprattutto sulla sua città natale, Ginevra, che egli riteneva<BR>erroneamente una democrazia 15, mentre nello stesso tempo, ugualmente<BR>sbagliando, affermava che l'Atene di Pericle non lo era stata<BR>16. In effetti c'è ben poco da dire a favore di Rousseau come storico,<BR>anche se le sue idee hanno esercitato un notevole influsso sul<BR>pensiero politico. Per quanto riguarda poi l'Assemblea delle città del<BR>New England 17, essa fu sicuramente una democrazia diretta, ma solo<BR>su scala municipale; così, sebbene sia interessante paragonarla<BR>con l'Assemblea popolare di Atene, essa non fornisce alcuna base<BR>per uno studio della democrazia come forma di governo statale.<BR>(Più interessante è, in effetti, la costituzione "democratica" del 1647<BR>di Rhode Island, alla quale non è stata dedicata l'attenzione che<BR>meriterebbe<BR>18.)<BR>Siamo così ritornati ad Atene, il miglior esempio di uno stato importante<BR>governato da una democrazia diretta. Questa forma di governo<BR>fu introdotta da Clistene nel 508/7 a.C. e abolita dai Macedoni<BR>quando conquistarono Atene nel 322/1. Sappiamo che numerose altre<BR>città-stato greche ebbero costituzioni democratiche; ma di fatto<BR>tutte le testimonianze di cui disponiamo riguardano Atene, che è<BR>quindi la sola democrazia di cui possiamo fornire un'adeguata descrizione,<BR>anche se è possibile dimostrare che sotto alcuni importanti<BR>aspetti Atene era anomala e che il modello ateniese di governo<BR>popolare non era l'unico noto ai Greci. Aristotele nella Politica fa ri-<BR>Democrazia diretta in prospettiva storica 17<BR>13 Bodin, Les six livres de la république, 2.7.<BR>14 Rousseau, Projet de constitution pour la Corse, in Oeuvres, ed. Pléiade<BR>(Parigi<BR>1967), III, p. 906.<BR>15 Rousseau, «Dédicace» a Sur l'origine de l'inegalité, in Oeuvres, pp. III,<BR>111-<BR>121. Miller (1984).<BR>16 Rousseau, Sur l'économie politique, in Oeuvres, III, p. 246.<BR>17 Sly (1930).<BR>18 Ball, Farr e Hanson (1989), pp. 72-73.<BR>ferimento a un tipo di democrazia in cui la sola funzione dell'assemblea<BR>popolare è quella di scegliere i magistrati e di chiamarli a rendere<BR>conto della loro condotta durante la carica, mentre tutte le decisioni<BR>politiche sono prese dai magistrati senza che il popolo abbia<BR>voce in capitolo 19. Questa, naturalmente, è democrazia «indiretta»;<BR>dobbiamo perciò respingere come erronea la nozione comune che<BR>la democrazia greca fu sempre «diretta» 20, mentre la democrazia moderna<BR>è sempre «indiretta». Atene, in ogni caso, fu una democrazia<BR>«diretta», la meglio conosciuta nella storia fino a oggi, ed è questa<BR>democrazia «diretta» che sarà descritta e discussa nelle pagine che<BR>seguono.<BR>18 Democrazia diretta in prospettiva storica<BR>19 Arist. Pol. 1318b, 21-22, 28 ss., 1274a, 15-18, 1281b, 32-34. Hansen<BR>(1989c),<BR>pp. 96-97.<BR>20 Es. Meier (1990), pp. 85, 165, 218.<BR>2<BR>TESTIMONIANZE<BR>Come in ogni ricerca storica, anche in questo libro ci si deve chiedere<BR>innanzitutto quanto sappiamo sul nostro argomento - la famosa<BR>«democrazia diretta» che si suppone sia stata introdotta ad Atene dall'<BR>aristocratico<BR>Clistene circa 2500 anni fa - 1, come lo sappiamo e,<BR>cosa non meno importante, quanto non ne sappiamo. Invece di fornire<BR>un'insopportabile lista di «fonti», in questa sede si tenterà di fornire<BR>un resoconto più critico ed illustrativo dello stato delle testimonianze<BR>sulla democrazia ateniese e di discutere alcuni dei più importanti<BR>problemi relativi alla loro interpretazione, in particolar modo<BR>la loro collocazione nel tempo, che è la principale ragione per la<BR>quale questo libro tratta della democrazia ateniese nell'età di Demostene<BR>e non nell'età di Pericle.<BR>Innanzitutto, però, la vastità e varietà delle fonti a nostra disposizione,<BR>e allo stesso tempo i loro limiti, possono essere illustrati con<BR>una serie di esempi che consistono in 17 brevi squarci, tratti dalla<BR>storia ateniese e disposti in ordine cronologico, ognuno dei quali<BR>viene illustrato da una singola fonte.<BR>ESEMPI<BR>1) Dopo l'introduzione della democrazia da parte di Clistene nel<BR>507, e forse non più tardi del 460 circa, gli Ateniesi si costruirono<BR>1 507 a.C.: Ostwald (1988), pp. 306-307.<BR>una sede per l'assemblea collocandola sul rilievo chiamato Pnice,<BR>appena oltre la collina dell'Areopago; intorno al 400, tale sede fu<BR>ricostruita<BR>e ampliata. Successivamente fu sepolta sotto una terza<BR>enorme ricostruzione risalente ai tempi dell'imperatore Adriano<BR>(quando forse non serviva più come sede per l'assemblea), ma nel<BR>corso degli scavi compiuti negli anni '30 furono riportate alla luce le<BR>fondamenta classiche e fu possibile ricostruire le due prime fasi della<BR>sede dell'assemblea ateniese, Pnice I e Pnice II 2.<BR>2) L'ostracismo, cioè i dieci anni di esilio imposti da una votazione<BR>in cui i voti erano scritti su ostraka, cocci di vaso, fu una delle<BR>più significative e criticate istituzioni della democrazia ateniese. Il<BR>primo ostracismo ebbe luogo nel 487, l'ultimo intorno al 416 3. Circa<BR>11.000 ostraka, sui quali i cittadini incisero (o avevano fatto incidere<BR>per loro) il nome del leader politico che desideravano vedere espulso,<BR>sono stati rinvenuti sulle pendici dell'Acropoli, nell'Agorà e nel<BR>cimitero del Ceramico 4. Non meno di 4.647 degli ostraka del Ceramico<BR>recano inciso il medesimo nome, cioè quello di Megacle nipote<BR>di Clistene, figlio di Ippocrate del demo di Alopece (Megakles<BR>Hippocratous Alopekethen). Effettivamente egli fu ostracizzato due<BR>volte 5, la prima delle quali nel 486 6, ma gli ostraka del Ceramico<BR>sembrano appartenere al suo secondo ostracismo, che probabilmente<BR>avvenne negli anni 70 7.<BR>3) Nei primi anni della guerra del Peloponneso un anonimo ateniese<BR>scrisse un pamphlet in cui il governo ateniese del popolo fu<BR>descritto come il prodotto troppo coerentemente elaborato di una<BR>visione distorta dell'umanità e di una erronea concezione della società.<BR>Il demos è inteso come «la gente comune» e non come «l'insieme<BR>di tutto il popolo» e la democrazia è conseguentemente vista come<BR>«il governo dei poveri» invece che come «il governo del popolo» 8.<BR>20 Testimonianze<BR>2 Thompson (1982). Vd. p. 193 e cartine 3-6.<BR>3 Thomsen (1972). Vd. p. 63.<BR>4 M&amp;L 21.<BR>5 Lys. 14.39.<BR>6 Arist. Ath. Pol. 22.5.<BR>7 Lewis (1974b), pp. 1-4.<BR>8 Ps. Xen. Ath. Pol. Frisch (1942); Treu (1967).<BR>Il pamphlet fu falsamente attribuito a Senofonte e fu tramandato<BR>fra i suoi scritti; ora si suole comunemente 9 chiamarne l'autore il<BR>«Vecchio Oligarca» perché tale egli sembra 10.<BR>4) La commedia di Aristofane Gli Acarnesi fu rappresentata nel<BR>425. Essa comincia con una scena in cui il contadino Diceopoli è seduto<BR>da solo nella sede dell'assemblea e si lamenta del fatto che il<BR>resto dei cittadini stia ancora chiacchierando giù nell'Agorà, sebbene<BR>la seduta debba iniziare poco dopo l'alba.<BR>Egli vede i prytaneis (i presidenti dell'assemblea) che arrivano<BR>affrettandosi perché in ritardo, spingendosi e urtandosi per sedere<BR>in prima fila, mentre gli altri cittadini giù nell'Agorà sono trascinati<BR>sulla Pnice da una fila di poliziotti che tendono fra loro una corda<BR>rossa 11.<BR>In alcuni dei manoscritti in cui la commedia ci è stata tramandata<BR>c'è una nota a margine secondo la quale ogni cittadino che portava<BR>del rosso sul proprio mantello era passibile di una ammenda 12.<BR>5) Alla celebrazione delle Dionisie nel 422 (probabilmente) fu<BR>rappresentata una tragedia di Euripide, in cui il re Teseo appare come<BR>il difensore della libertà e del governo del popolo.<BR>Sostenuto dal suo popolo, egli si oppone alla richiesta del tiranno<BR>di Tebe tesa ad ottenere l'estradizione di alcune donne provenienti<BR>da Argo che hanno cercato asilo politico in Attica. Il re Teseo<BR>e il messaggero mandato dal tiranno di Tebe continuano per più di<BR>cento versi un acceso dibattito sulle costituzioni, in cui Teseo proclama<BR>che la libertà, l'uguaglianza e il rispetto per le leggi si trovano<BR>in un governo del popolo, in contrapposizione al governo arbitrario<BR>di un tiranno 13. La tragedia, intitolata Le Supplici (Hiketides), non è<BR>considerata tra le migliori di Euripide, ed è per una curiosa coincidenza<BR>che ci è stata conservata questa preziosa testimonianza dell'ideologia<BR>della democrazia ateniese nell'età di Pericle: di un'edizione<BR>delle opere complete di Euripide in ordine alfabetico sono soprav-<BR>Testimonianze 21<BR>9 Seguendo Murray (1898).<BR>10 Gomme (1962a), pp. 38-69.<BR>11 Ar. Ach. 1-42. Vd. p. 224.<BR>12 Schol. Ar. Ach. 22.<BR>13 Eur. Supp. 399-510.<BR>vissute per puro caso due serie di cinque tragedie i cui titoli cominciano<BR>con una delle lettere da epsilon a eta o da iota a kappa (Hiketides<BR>comincia con iota, perché il greco non indica l'h con una lettera)<BR>14.<BR>6) Poco prima del 411 il sofista Trasimaco, che non era ateniese,<BR>scrisse un pamphlet sulla «costituzione avita» di Atene, un'opera nostalgica<BR>sulla presunta età in cui i giovani tacevano e lasciavano fare<BR>i discorsi ai cittadini più anziani e più esperti 15. L'inizio del pamphlet<BR>di Trasimaco è citato in un manuale di retorica ellenistico come<BR>pregevole esempio di eloquenza degli oratori del passato 16.<BR>7) Tucidide nelle sue Storie cita, sebbene con parole proprie, il<BR>discorso funebre tenuto da Pericle nel 430, in occasione dell'annuale<BR>funerale di Stato dei soldati caduti combattendo per Atene.<BR>Il nucleo del discorso è un encomio dei caduti, degli antenati,<BR>della polis di Atene e della sua costituzione: di nome essa è una democrazia<BR>e di fatto è un governo della maggioranza in cui tutti hanno<BR>uguali diritti davanti alla legge e gli individui sono rispettati e<BR>ricompensati<BR>in base al merito 17.<BR>8) Alla fine del primo libro della sua Storia della Grecia (Hellenika),<BR>Senofonte descrive per dieci pagine il famoso «Processo degli<BR>Strateghi» svoltosi nel 406, quando otto dei dieci membri del Collegio<BR>dei Generali furono accusati, dopo la vittoria nella battaglia navale<BR>delle isole Arginuse, di non aver raccolto i sopravvissuti e i corpi<BR>dei caduti delle navi affondate dal nemico. Essi risposero all'accusa<BR>dicendo che un'improvvisa tempesta lo aveva reso impossibile,<BR>ma l'Assemblea fu convinta dagli accusatori che gli strateghi erano<BR>colpevoli di tradimento. Essi furono condannati a morte collettivamente<BR>(il che era in realtà illegale) e i sei di loro che si trovavano ad<BR>Atene furono giustiziati.<BR>Senofonte conclude dicendo che di lì a poco gli Ateniesi si pen-<BR>22 Testimonianze<BR>14 Snell (1935), pp. 119-120.<BR>15 DK 85 B 1.<BR>16 Dion. Hal. Dem. 3.<BR>17 Thuc. 2.35-46. Loraux (1986). Vd. p. 116.<BR>tirono della loro sentenza di morte a carico dei generali e procedettero<BR>a condannare e a giustiziare gli accusatori 18.<BR>9) Nel 367 gli Ateniesi conclusero un'alleanza con Dionisio I, il<BR>tiranno di Siracusa. Il trattato fu approvato dall'Assemblea e inciso<BR>su una stele di marmo di cui possediamo ancora alcuni frammenti 19.<BR>L'inizio e la fine delle righe sono andati perduti, ma la parte centrale<BR>è intatta e, poiché l'iscrizione è scritta stoichedon come di consueto<BR>(vale a dire come una scacchiera senza spazi bianchi in cui<BR>ogni lettera si trova sotto quella superiore), si può stimare che ci fossero<BR>trentatré lettere per riga 20. Inoltre le iscrizioni ateniesi erano<BR>scritte in uno stile stereotipo con formule invariabili; di conseguenza<BR>la maggior parte dell'iscrizione di Dionisio può essere ricostruita<BR>con un elevato grado di certezza. Essa dice, inter alia, che l'alleanza<BR>si suppone durare «per sempre»: come ci si poteva aspettare, fu invece<BR>di breve durata.<BR>10) Un centinaio di anni fa fu rinvenuta vicino a Spata, nell'Attica<BR>centrale, in una tomba del 350 a.C. circa, una piccola lamina in<BR>bronzo di 11 cm per 2 e di 3 mm di spessore. Tre nomi sono stati incisi<BR>nel bronzo, ma due di essi sono stati erasi e possono essere solo<BR>indovinati al di sotto del terzo e ultimo: «Eupolemos Timodo(.ou)<BR>Erchieus». La lamina presenta anche una lettera dell'alfabeto e un'incisione<BR>raffigurante una civetta vista di fronte 21. Oggi possediamo<BR>circa un centinaio di lamine del genere e sappiamo che erano le carte<BR>di identità dei giurati ateniesi: la civetta è la stessa che si trova sulle<BR>monete da tre oboli 22, e tre oboli erano appunto il compenso per<BR>un giorno di servizio da giurato.<BR>11) Le prime diciassette delle sessantuno orazioni che ci sono<BR>state tramandate sotto il nome di Demostene si presentano come i<BR>testi pubblicati di orazioni pronunciate in Assemblea. Oggi, quattor-<BR>Testimonianze 23<BR>18 Xen. Hell. 1.7.1-35. Hansen (1975), cat. nr. 66.<BR>19 IG II2 105 = Harding (1985), nr. 52.<BR>20 Woodhead (1981), pp. 29-34.<BR>21 Kroll (1972), pp. 122-123, nr. 16.<BR>22 Kroll (1972), pp. 51-53.<BR>dici di esse sono considerate orazioni autentiche del grande oratore<BR>23. Esse furono pronunziate negli anni 354-341, e la maggior<BR>parte furono dirette contro il nemico per eccellenza di Atene in quegli<BR>anni, Filippo II di Macedonia 24. Demostene stesso pubblicò le<BR>sue orazioni politiche, forse per ripicca, perché quasi mai gli Ateniesi<BR>seguirono i consigli che egli diede loro. È significativo il fatto che<BR>Demostene smise di pubblicare i discorsi da lui tenuti in Assemblea<BR>nel 341, proprio quando l'Assemblea cominciò finalmente ad approvare<BR>i decreti da lui proposti e lo riconobbe come lo statista-guida<BR>nella lotta contro la Macedonia 25. I decreti che egli riuscì a far<BR>approvare<BR>dagli Ateniesi scomparvero molto tempo fa e sono noti solo<BR>attraverso sporadici riferimenti contenuti in altre fonti, ma noi possiamo<BR>ancora leggere le sue orazioni politiche. Fu grazie allo splendore<BR>della sua retorica che l'oratore Demostene riuscì a creare il mito<BR>del Demostene uomo di stato, che ha esercitato il suo influsso fino<BR>al nostro secolo 26, in cui un altro statista, Georges Clemenceau,<BR>ha usato il suo otium per scrivere una brillante biografia su Demostene<BR>visto come il difensore della democrazia in contrapposizione<BR>all'autocrate Filippo 27.<BR>12) Le Leggi sono il magnum opus della maturità di Platone e<BR>forse non erano terminate quando egli morì nel 347. Sono un dialogo<BR>nel quale un ateniese, uno spartano e un cretese discutono non<BR>della migliore costituzione, ma della migliore costituzione realizzabile.<BR>Questa utopia è chiamata Magnesia 28. Si tratta di una città-stato<BR>con 5.040 (7 fattoriale) cittadini maschi adulti 29.<BR>La sua costituzione e la sua amministrazione sono descritte con<BR>la meticolosità di un anziano e molti dei dettagli sono mutuati dall'Atene<BR>contemporanea 30.<BR>24 Testimonianze<BR>23 McCabe (1981) (L'autenticità delle orazioni 5, 8, 10 e della 13 non è al<BR>di sopra<BR>di ogni dubbio).<BR>24 Montgomery (1983), pp. 39-65.<BR>25 Hansen (1989a), pp. 296 nt. 30.<BR>26 Drerup (1923).<BR>27 Clemenceau (1924).<BR>28 Pl. Lg. 848D.<BR>29 Pl. Lg. 737E.<BR>30 Chase (1933).<BR>13) Negli scavi dell'Agorà fu ritrovato il basamento in marmo<BR>della statua eretta dagli Ateniesi negli anni 330 in onore della dea<BR>Demokratia 31, e più tardi fu trovato quello che probabilmente era il<BR>busto della statua stessa 32. Nei frammenti di marmo dei rendiconti<BR>dei Tesorieri di Atena, si trovano, risalenti allo stesso periodo, alcuni<BR>riferimenti ai pagamenti da parte dei generali in relazione ad offerte<BR>fatte a quella dea 33.<BR>14) Nel 336 Ctesifonte, un seguace di Demostene, avanzò la famosa<BR>proposta di onorare il suo capo con una corona d'oro per i risultati<BR>conseguiti nel rafforzare le difese della città dopo la sconfitta<BR>subita da Filippo nel 338. Immediatamente Eschine accusò Ctesifonte<BR>di aver proposto un decreto anticostituzionale, in quanto Demostene<BR>era magistrato quando fu fatta la proposta e gli onori a un magistrato<BR>in carica erano vietati dalla legge. Passò molto tempo prima<BR>che il caso fosse discusso e la giuria lo giudicò soltanto nel 330 34.<BR>Demostene in persona assunse la difesa del suo seguace e, una volta<BR>tanto, possediamo entrambe le orazioni, sia quella dell'accusa che<BR>quella della difesa 35. Da un punto di vista legale Eschine aveva ragione<BR>36, ma il processo si trasformò in una battaglia sulla storia passata,<BR>fra il filomacedone Eschine e l'antimacedone Demostene; e,<BR>sebbene quest'ultimo avesse in realtà fatto perdere la guerra ad Atene,<BR>ciononostante vinse il processo e ottenne più dei quattro quinti<BR>dei voti 37.<BR>(segue)<BR>Testimonianze 25<BR>31 Raubitschek (1962).<BR>32 Palagia (1982).<BR>33 IG II2 1496, 131-132, 140-141.<BR>34 Hansen (1974), cat. nr. 30; (1989a), pp. 273 nt. 11.<BR>35 Aeschin. 3; Dem. 18.<BR>36 Gwatkin (1957).<BR>37 Plut. Mor. 840 C-D; P. Oxy. 1800 (Vite degli Oratori).<BR>13<BR>I CARATTERI<BR>DELLA DEMOCRAZIA ATENIESE<BR>«DEMOCRAZIA DELL'ETÀ DELL'ORO»<BR>Come molti Greci, gli Ateniesi avevano un debole per l'«età dell'oro<BR>», la convinzione che tutto nei tempi antichi fosse migliore e che<BR>conseguentemente la strada verso il miglioramento fosse orientata<BR>verso il passato e non verso il futuro 1. Questo atteggiamento acquistò<BR>importanza pratica per i dibattiti costituzionali e, in particolare<BR>per i cambiamenti costituzionali del quarto secolo ad Atene: se si<BR>voleva difendere il sistema esistente, il modo per farlo era di ancorarlo<BR>al passato e di dichiarare che si stava facendo soltanto quello<BR>che avevano fatto gli avi 2. Se poi si era riformisti, si potevano far<BR>meglio accettare i propri propositi sostenendo che la riforma proposta<BR>non era altro che un ritorno alle equilibrate istituzioni democratiche<BR>che i leader contemporanei avevano trascurato 3. Che la democrazia<BR>stessa fosse sacra va da sé. Gente come Platone e Aristotele<BR>preferiva il governo dei pochi 4 al governo dei molti, e molte altre<BR>città-stato greche erano governate da oligarchi 5, che consideravano<BR>la democrazia come il governo della plebaglia 6. Invece, per i cittadi-<BR>1 Dodds (1973); Dover (1974), pp. 106-108; Hansen (1989c), pp. 71-73.<BR>2 Dem. 20.153, 24.142.<BR>3 Aeschin. 1.33-34; Din. 1.62.<BR>4 Jones (1957), pp. 41-72.<BR>5 Whibley (1896).<BR>6 Hdt. 3.81; Xen. Ath. Pol.; Arist. Pol. 1310a8-12.<BR>ni politicamente attivi la democrazia ad Atene era un valore esclusivamente<BR>positivo: l'oligarchia doveva indossare i panni della democrazia<BR>se voleva rendersi accettabile 7, e «oligarca» era un termine offensivo<BR>ad Atene 8 quanto lo era «democratico» in altri luoghi 9. I<BR>Greci discutevano in generale se la democrazia fosse buona o cattiva<BR>e, poiché guardavano indietro, lo slogan universale non era, come<BR>per noi, «democrazia» 10, ma «patrios politeia", la «costituzione<BR>avita» 11. Questa espressione può comprendere qualsiasi tipo di costituzione<BR>- il governo di uno solo 12, dei pochi 13 o dei molti 14; ma,<BR>qualunque esso fosse, era sempre una Buona Cosa. L'espressione<BR>patrios politeia metteva a tacere i critici ed essi potevano ribattere<BR>solo sostenendo che il loro ideale era la vera costituzione avita 15.<BR>Tuttavia, gli Ateniesi nel quarto secolo evitarono di impiegarla come<BR>uno slogan, senza dubbio perché era stata usata dalle persone sbagliate<BR>nelle lotte costituzionali del 411 e del 404 16; anch'essi continuavano<BR>ad ancorare il loro ideale costituzionale al passato, ma gli<BR>davano altri nomi, come patrios demokratia 17, la «democrazia avita»,<BR>o «la costituzione dei progenitori», he ton progonon politeia 18.<BR>Insistendo sul fatto che la loro «costituzione avita», la loro patrios<BR>politeia, era stata un democrazia, gli Ateniesi nello stesso tempo<BR>ridussero la portata della patrios politeia a un unico significato;<BR>però la lasciarono ancora nel vago cronologicamente. «Avita», patrios,<BR>poteva riferirsi a qualunque periodo del passato: gli avi potevano<BR>essere chiunque, a partire dai nonni degli Ateniesi viventi fino<BR>a Deucalione, l'unico uomo sopravvissuto al Diluvio 19. Al tempo di<BR>432 I caratteri della democrazia ateniese<BR>7 Isoc. 7.57.<BR>8 Dem. 24.75-76; Din. 1-62.<BR>9 Thuc. 6.89.6.<BR>10 Holden (1974), p. 2.<BR>11 Fucks (1953); Ruschenbusch (1958); Finley (1971); Walters (1976); Lévy<BR>(1976), pp. 173-208; Harding (1977); (1978); Mossé (1979a); Hansen (1989c).<BR>12 Hdt. 3.82.5; Arist. Pol. 1285a24.<BR>13 Xen. Hell. 6.5.6; Arist. Ath. Pol. 35.2<BR>14 Andoc. 1.83; Lys. 34.<BR>15 Arist. Ath. Pol. 29.3 versus Thuc. 8.76.6; Arist. Ath. Pol. 34.4 versus<BR>Lys.34.<BR>16 Wallace (1989a), p. 193.<BR>17 Arist. Pol. 1273b38.<BR>18 Isoc. 12.114; Dem. 15.33; Din. 3.21.<BR>19 Hansen (1989c), p. 76.<BR>Demostene, quando gli Ateniesi volevano legittimare il presente con<BR>il passato, quanto indietro collocavano realmente l'«età dell'oro»? Dipende<BR>da ciò di cui stavano parlando. Quando discutevano di politica<BR>estera in Assemblea, si volgevano naturalmente alle guerre persiane<BR>e ai bei tempi della lega delio-attica 20, a eroi come Milziade,<BR>Temistocle, Aristide e Pericle 21; ma quando discutevano della loro<BR>costituzione ritornavano sempre molto più indietro, e i grandi esempi<BR>non erano Efialte o Pericle, e neppure Clistene, ma Solone 22 o il<BR>mitico re Teseo 23. Nell'Agorà si trovava una statua di bronzo del<BR>legislatore<BR>Solone 24, e nella Stoa di Zeus c'era un dipinto di Eufranore<BR>che raffigurava Teseo fra Demos e Demokratia 25; ma né Clistene né<BR>Efialte furono mai commemorati ufficialmente con sculture o dipinti.<BR>La ragione non può essere stata un divieto di commemorare i<BR>contemporanei perché il generale Conone ebbe una statua di bronzo<BR>nell'Agora all'inizio del quarto secolo, forse addirittura prima che<BR>morisse 26.<BR>La democrazia «radicale» abbracciò gli anni 462-404, e se si vuole<BR>trovarne un elogio, bisogna leggere l'orazione funebre di Pericle<BR>in Tucidide 27 - o qualche altra notizia tratta dalla letteratura storica<BR>moderna che, a partire dalla metà del diciannovesimo secolo, ha<BR>scelto la democrazia periclea per legittimare i propri ideali<BR>liberaldemocratici<BR>28. Nel quinto secolo gli Ateniesi credevano che fosse<BR>stato Clistene ad aver inaugurato la loro democrazia 29, ma nel quarto<BR>affermavano che Clistene aveva solo restaurato la democrazia iniziata<BR>da Solone, dopo che questa era stata rovesciata da Pisistrato 30<BR>(e c'era una variante, che la democrazia era stata in realtà inventata<BR>dal re Teseo e si era sviluppata gradualmente fino a Solone 31).<BR>I caratteri della democrazia ateniese 433<BR>20 Isoc. 4.85 ss.; Dem. 18.208-210; Lycurg. 1.108-109.<BR>21 Isoc. 15.234; Dem. 13.21-22; Din. 1.37.<BR>22 Dem. 22.30-32; Aeschin. 3.257; Hyp. 5.22.<BR>23 Dem. 59.75; Isoc. 12.128-148; Theophr. Char. 26.6.<BR>24 Dem. 26.23.<BR>25 Paus. 1.3.3-4.<BR>26 Dem. 20.70.<BR>27 Thuc. 2.35-46. Loraux (1986).<BR>28 Grote (1846-56), pp. 6.180.<BR>29 Hdt. 8.131; Arist. Ath. Pol. 29.3<BR>30 Isoc. 7.16; Arist. Ath. Pol. 41.2.<BR>31 Isoc. 12.131, 148.<BR>Se raggruppiamo tutte le misure costituzionali che gli Ateniesi<BR>del quarto secolo attribuivano a Solone, ne ricaviamo una lista<BR>impressionante<BR>32: egli creò un Consiglio di Quattrocento, 100 da ciascuna<BR>delle quattro tribù 33; istituì il Tribunale popolare, formato da<BR>giurati sorteggiati 34; inventò la differenza fra leggi come norme generali<BR>e decreti come norme specifiche 35 e attribuì il diritto di fare le<BR>prime ai nomothetai, scelti anch'essi fra coloro che avevano prestato<BR>il giuramento 36; fece sì che i magistrati non fossero più semplicemente<BR>eletti, ma sorteggiati da una lista ristretta di eletti 37, che prestassero<BR>servizio senza paga 38, che i loro poteri giudiziari fossero limitati<BR>dal diritto dei cittadini di appellarsi al Tribunale popolare 39;<BR>estese il diritto di accusa attraverso nuove procedure grazie a cui<BR>ogni cittadino, non solo la parte lesa, poteva muovere un'accusa 40;<BR>protesse le leggi con una speciale «accusa per aver proposto una<BR>legge inopportuna» 41, e la costituzione con una nuova eisangelia all'<BR>Areopago<BR>per aver cercato di rovesciare la democrazia 42; rese obbligatorio<BR>per ogni cittadino prendere posizione in caso di stasis 43; e<BR>infine impose speciali requisiti di comportamento a coloro che volevano<BR>partecipare attivamente alla politica - stabilì norme per coloro<BR>che parlavano nell'Assemblea 44, e fu lodato in maniera particolare<BR>per la norma secondo cui il più vecchio doveva parlare per primo 45.<BR>Dato che naturalmente «non c'è fumo senza fuoco», alcune di<BR>quelle riforme possono certo appartenere all'inizio del sesto secolo<BR>ed essere autenticamente soloniane, ma in altri casi vi sono anacro-<BR>434 I caratteri della democrazia ateniese<BR>32 Hansen (1989c), pp. 79, 91-93.<BR>33 Arist. Ath. Pol. 8.4; Dem. 20.90, 24.148.<BR>34 Arist. Ath. Pol. 9.1; Arist. Pol. 1274a3-5, Dem. 24.148.<BR>35 Hyp. 5.22<BR>36 Dem. 20.93; Aeschin. 3.38, cfr. 3.257.<BR>37 Arist. Ath. Pol. 8.1; Dem. 20.90.<BR>38 Isoc. 7.24-25.<BR>39 Arist. Ath. Pol. 9.1.<BR>40 Arist. Ath. Pol. 9.1; Dem. 22.25-30.<BR>41 Dem. 24.212.<BR>42 Arist. Ath. Pol. 8.4.<BR>43 Arist. Ath. Pol. 8.5. Rhodes (1981a), p. 157; David (1984).<BR>44 Aeschin. 1.22-32; Dem. 22.30-32.<BR>45 Aeschin. 1.23, 3.2.<BR>nismi dimostrabili. È del tutto inverosimile che Solone abbia emanato<BR>leggi che regolavano organi democratici di governo 46. Gli Ateniesi<BR>combinavano un grande rispetto per i tempi antichi con un senso<BR>storico molto limitato 47: Demostene nell'orazione contro Leptine<BR>può affermare senza battere ciglio che Solone aveva inventato i nomothetai,<BR>mentre è del tutto sicuro che, quando Demostene parlava,<BR>essi non potevano esistere da più di mezzo secolo 48. Che cosa conoscevano<BR>dunque gli Ateniesi della storia della propria costituzione?<BR>49 Un centinaio di anni dopo Clistene, nessuno ormai conosceva<BR>più l'esatto tenore delle sue leggi 50, sebbene esse costituissero in<BR>realtà il fondamento della democrazia. Al tempo di Demostene, la<BR>maggior parte degli Ateniesi era convinta, senza dubbio in buona<BR>fede, che la loro democrazia risalisse a Solone (o anche a Teseo),<BR>perché non facevano distinzione fra storia e mito, al contrario di noi<BR>che ci vantiamo di farla. Oggi noi mettiamo Solone nei libri di storia<BR>e Teseo in quelli di mitologia, ma per l'ateniese comune essi appartenevano<BR>alla medesima storia; il che rendeva Teseo più storico e<BR>Solone più mitico di quanto noi possiamo accettare. Attribuire gli<BR>inizi della democrazia ateniese a Teseo e a Solone è naturalmente<BR>una cosa senza senso, e noi oggi sappiamo quanto, ma era un'assurdità<BR>alla quale gli Ateniesi credevano. Tuttavia, prima di rilevare la<BR>pagliuzza nei loro occhi faremmo meglio a non dimenticare la trave<BR>nei nostri: le idee diffuse nel diciannovesimo secolo e nella prima<BR>parte del ventesimo riguardo alla germanische Urdemokatie o all'antica<BR>gens germanica erano mitiche e antistoriche tanto quanto lo erano<BR>le credenze degli Ateniesi sulla «democrazia soloniana» 51.<BR>Vale però la pena di dare uno sguardo al mito più da vicino,<BR>perché, così facendo, emerge qualcosa di sorprendente: le presunte<BR>riforme costituzionali di Solone riguardano soprattutto il Tribunale<BR>popolare, i nomothetai, l'Areopago e i magistrati: nessuna fonte collega<BR>Solone con l'Assemblea o con il diritto del popolo di votare in<BR>I caratteri della democrazia ateniese 435<BR>46 Vd. p. 52.<BR>47 Pearson (1941); Perlman (1961); Nouhaud (1982).<BR>48 Vd. p. 167.<BR>49 Thomas (1989), pp. 83-94.<BR>50 Arist. Ath. Pol. 29.3. Hansen (1989c), pp. 85-86. Vd. p. 42.<BR>51 Vd. p. 16.<BR>essa su tutte le questioni importanti. La norme a noi note che riguardano<BR>più da vicino l'Assemblea sono le presunte regole di condotta<BR>prescritte agli oratori 52. Ora, quell'idea di democrazia è completamente<BR>diversa dalla costituzione sotto la quale gli Ateniesi vivevano<BR>realmente nel quinto secolo: al tempo di Pericle non c'erano nomothetai<BR>e non c'era alcuna distinzione tra leggi e decreti, ma tutte le<BR>decisioni importanti (comprese alcune sentenze relative a processi<BR>politici) erano prese in Assemblea. La democrazia periclea era una<BR>democrazia assembleare, nella quale il potere era esercitato direttamente<BR>dal demos nell'ekklesia, mentre la democrazia mitica, che gli<BR>Ateniesi amavano attribuire a Solone, era una democrazia del tribunale<BR>popolare, in cui i poteri del demos nell'ekklesia erano controbilanciati<BR>dai giurati, dall'Areopago e dai magistrati. Nelle orazioni di<BR>Isocrate e nella Politica di Aristotele essa è tratteggiata anche come<BR>una «costituzione mista», con l'Areopago come elemento aristocratico<BR>53. Ma l'ammirazione per le «costituzioni miste» si trova solo nei<BR>teorici come Platone, Aristotele e Isocrate: gli oratori in generale<BR>descrivono<BR>la «democrazia avita» come democrazia «moderata», non<BR>certo come «costituzione mista».<BR>DEMOCRAZIA DEL QUARTO SECOLO<BR>Dove collocheremo allora la democrazia del quarto secolo? Essa fu<BR>una democrazia «radicale», come nel quinto, o una democrazia più<BR>«moderata» come quella attribuita a Solone? Non vi può essere alcun<BR>dubbio che la «costituzione avita» fosse l'ideale che gli Ateniesi sognavano<BR>di ristabilire: il sogno ricorreva con accresciuta intensità<BR>ogni volta che Atene perdeva una guerra - il che avvenne spesso<BR>nel quarto secolo. Il dibattito costituzionale sembra quasi dipendere<BR>dal fallimento della politica estera: nel 404 gli Ateniesi subirono la<BR>più grave disfatta della loro storia; negli anni che seguirono furono<BR>436 I caratteri della democrazia ateniese<BR>52 Hansen (1989c), pp. 97-99.<BR>53 Arist. Pol. 1273b35-41; Isoc. 12.130-132; Pl. Menex. 238C-D. Aalders<BR>(1968),<BR>pp. 52-53; Nippel (1980), p. 99 ss.<BR>prima i Trenta (pretestuosamente) e poi i democratici stessi, ritornati<BR>in patria, a tentare di restaurare la «costituzione avita» 54. Nel 355<BR>Atene perse la guerra contro gli alleati che si erano ribellati, e di<BR>nuovo si presenta nelle fonti il sogno della «costituzione avita» 55; nel<BR>338 Atene fu definitivamente sconfitta da Filippo, e ancora una volta<BR>incontriamo riforme volte a restaurare la «costituzione avita» 56; nel<BR>322 Atene fu di fatto occupata dai Macedoni, che si misero a ricreare<BR>la «costituzione avita» - solo che questa volta, dato che dipendeva<BR>dal potere militare macedone, apparve sotto sembianze oligarchiche<BR>57, mentre fino ad allora i cambiamenti non erano stati altro<BR>che modificazioni della democrazia.<BR>Rammentiamo sommariamente questi mutamenti. In occasione<BR>della restaurazione della democrazia nel 403/2 le leggi furono ricodificate<BR>e incise su pietra 58, e da allora in poi fu fatta una distinzione<BR>fra nomoi e psephismata 59. I nomoi dovevano essere creati o modificati<BR>mediante una nuova, speciale procedura incentrata sui nomothetai<BR>60, ed erano protetti da una nuova graphe 61; nello stesso tempo,<BR>all'Areopago fu dato il ruolo di sovrintendere alla loro applicazione<BR>da parte dei magistrati 62. Dokimasia 63 ed euthynai 64 furono<BR>riformate così da accrescere il ruolo dei tribunali in relazione ad esse;<BR>ma i tribunali furono alleggeriti di molta giurisdizione relativa ai<BR>processi privati di prima istanza, che furono affidati a diaitetai 65.<BR>Intorno<BR>al 400, la presidenza del Consiglio e dell'Assemblea fu affidata<BR>ai proedroi (un titolo che era stato usato in precedenza solo nel 411<BR>e che perciò difficilmente poteva suonare «radical-democratico») 66,<BR>I caratteri della democrazia ateniese 437<BR>54 Vd. pp. 72, 226.<BR>55 Vd. p. 237.<BR>56 Vd. p. 424.<BR>57 Plut. Phocion, 27.5; Diod. 18.18.4-5.<BR>58 Vd. pp. 244-245.<BR>59 Vd. p. 254.<BR>60 Vd. p. 249.<BR>61 Vd. p. 312.<BR>62 Vd. p. 424.<BR>63 Vd. p. 348.<BR>64 Piérart (1971).<BR>65 Vd. p. 137.<BR>66 Vd. p. 211.<BR>e negli anni fra il 380 e il 370 (probabilmente) fu introdotto il sorteggio<BR>dei giurati all'inizio di ogni giornata di attività 67.<BR>Alla prima metà del quarto secolo appartiene anche il merismos,<BR>la determinazione per mezzo di un nomos, dell'attribuzione dei fondi<BR>pubblici 68, e la creazione di nuovi incarichi finanziari (a cui si<BR>aggiunge,<BR>dopo il 338, ho epi tei dioikesei) 69; durante questo periodo,<BR>inoltre, furono create sfere di responsabilità individuale all'interno<BR>del Collegio dei Generali 70. Intorno al 355 (probabilmente) furono<BR>eliminati gli ultimi poteri giurisdizionali dell'Assemblea 71 e il numero<BR>delle sedute dell'Assemblea fu ridotto a trenta (più tardi a quaranta)<BR>72.<BR>Alla seconda metà del secolo appartiene la nuova procedura<BR>della apophasis 73 (forse dopo la pace di Filocrate del 346), che accrebbe<BR>ulteriormente i poteri dell'Areopago, e il decreto di Demostene<BR>del 338 che gli conferiva una giurisdizione generale 74. Dopo<BR>Cheronea fu inoltre rivista anche l'organizzazione del servizio efebico,<BR>con l'introduzione di nuovi funzionari: un kosmetes («prefetto»)<BR>e un collegio di sophronistai («moderatori») 75, che venivano scelti<BR>con una doppia procedura, cioè mediante elezione da una lista ristretta<BR>di pre-eletti 76. I loro nomi, di tono moralizzatore e spartano,<BR>sono eloquenti.<BR>Riuscirono forse gli Ateniesi, per mezzo di questi cambiamenti,<BR>a realizzare il loro sogno di restaurare la «democrazia avita» che<BR>attribuivano<BR>a Solone? No, se diamo retta ai filosofi e ai critici della<BR>della democrazia, che classificavano ancora la costituzione di Atene<BR>come «democrazia radicale» (il tipo IV di Aristotele). Essi ragionavano<BR>in questi termini.<BR>(segue)<BR>438 I caratteri della democrazia ateniese<BR>68 Vd. p. 227.<BR>69 Vd. p. 395.<BR>70 Vd. p. 350.<BR>71 Vd. p. 237.<BR>72 Vd. p. 202.<BR>73 Vd. pp. 424-427.<BR>74 Vd. p. 424.<BR>75 Vd. p. 137.<BR>76 Arist. Ath. Pol. 42.2. Hansen (1986b), p. 225.<BR>GLOSSARIO<BR>accusa pubblica ¨ graphe (1).<BR>agones timetoi Processi sia privati<BR>che pubblici in cui la pena non era<BR>fissata dalla legge, ma doveva essere<BR>determinata dai giurati in base alle<BR>proposte delle parti.<BR>agora (1) Ampio spazio aperto ad<BR>Atene, centro politico ed economico<BR>della città, situato a nord dell'Acropoli.<BR>(2) Assemblea politica in cui i<BR>membri di un demo [¨ demo (5)] o<BR>di una trittia o di una phyle si incontravano<BR>per discutere e approvare decisioni<BR>relative ad affari locali. Le<BR>phylai tenevano le loro agorai ad Atene;<BR>i demi tenevano le loro o localmente<BR>o ad Atene.<BR>anagrapheis ton nomon Collegio<BR>di magistrati istituito nel 410 per codificare<BR>le leggi di Draconte e Solone.<BR>La loro opera cessò alla fine della<BR>guerra del Peloponneso, fu ripresa<BR>con la restaurazione della democrazia<BR>nel 403 e conclusa nel 399 con la<BR>pubblicazione di un calendario di sacrifici.<BR>anakrisis L'indagine preliminare svolta<BR>in una causa dal magistrato che più<BR>tardi avrebbe presieduto la sezione<BR>del Tribunale popolare che giudicava<BR>il caso.<BR>anapsephisis Revisione e, in particolare,<BR>seconda votazione (per alzata<BR>di mano) nell'Assemblea su una questione<BR>che il popolo aveva già dibattuto<BR>e deciso in una precedente sessione.<BR>antidosis Scambio di patrimoni. Se<BR>un cittadino ricco riteneva di essere<BR>stato designato in maniera ingiustificata<BR>per una liturgia, poteva sfidare<BR>un altro cittadino ricco chiedendogli<BR>di farsi carico della liturgia o di scambiare<BR>tutto il suo patrimonio con lui.<BR>Se l'altro cittadino rifiutava la sfida, il<BR>Tribunale popolare decideva chi dei<BR>due doveva farsi carico della liturgia.<BR>Non si sa se un'antidosis abbia mai<BR>portato a un effettivo scambio di proprietà.<BR>antigraphe La risposta scritta dell'accusato<BR>alla graphe [¨ graphe (2)] dell'accusatore.<BR>antomosia Giuramento deferito dal<BR>magistrato in occasione dell'anakrisis<BR>e prestato da entrambe le parti (in<BR>causa).<BR>apagoge Accusa pubblica a cui un<BR>privato cittadino dava inizio arrestando<BR>(apagoge) una persona catturata<BR>mentre commetteva un grave crimine.<BR>L'apagoge era impiegata (1) con-<BR>tro i kakourgoi colti sul fatto (ep'autophoro);<BR>(2) contro gli atimoi che esercitavano<BR>diritti dei quali erano stati<BR>privati; (3) contro gli esiliati che ritornavano<BR>ad Atene senza che la pena<BR>fosse stata sospesa. In (1) e (3) gli<BR>Undici (hoi hendeka) erano autorizzati<BR>a giustiziare l'arrestato, se confessava.<BR>In (2) egli era tenuto in carcere<BR>fino a che il caso non era stato esaminato<BR>da una sezione del Tribunale<BR>popolare.<BR>Apaturie Festa celebrata nelle fratrie<BR>nel mese Boedromion. Nel terzo giorno<BR>della festa i cittadini registravano i<BR>figli nelle loro fratrie.<BR>apocheirotonia Voto dell'Assemblea<BR>per alzata di mano con il quale un<BR>magistrato veniva sospeso dal suo incarico<BR>fino a che il Tribunale popolare<BR>aveva esaminato l'accusa mossa<BR>contro di lui per aver commesso abusi<BR>nell'esercizio della sua carica.<BR>Apodektai Collegio di magistrati finanziari<BR>composto da un membro per<BR>ciascuna delle tribù (phylai) e scelto<BR>per sorteggio. In collaborazione con<BR>il Consiglio dei Cinquecento il collegio<BR>sovrintendeva a tutte le entrate<BR>dello stato e le distribuiva ai vari collegi<BR>di magistrati competenti a spendere<BR>il denaro pubblico.<BR>apodokimasia Bocciatura di un candidato<BR>alla sua dokimasia.<BR>apographe Lista di beni e, in particolare,<BR>di beni da confiscare. La lista doveva<BR>essere letta per intero alla ekklesia<BR>kyria e se qualcuno sollevava<BR>un'obiezione o avanzava pretese su<BR>qualcosa in lista, tra lo stato e e colui<BR>che avanzava la pretesa aveva luogo<BR>una diadikasia. Chi aveva compilato<BR>la lista agiva come accusatore davanti<BR>al Tribunale popolare e, se vinceva la<BR>causa, riceveva un terzo del valore<BR>della proprietà contesa.<BR>apophasis Accusa pubblica usata nei<BR>casi di tradimento, attentato alla democrazia<BR>e corruzione. La procedura<BR>era avviata nell'Assemblea, talvolta<BR>nel Consiglio dell'Areopago. Esaminata<BR>la denuncia, il popolo decretava<BR>che il Consiglio dell'Areopago dovesse<BR>effettuare un'indagine preliminare<BR>sul caso ed emanare un verdetto preliminare<BR>(katagnosis). Il Consiglio<BR>dell'Areopago presentava poi una relazione<BR>sulla sua indagine all'Assemblea,<BR>che a sua volta rinviava la questione<BR>a una sezione del Tribunale<BR>popolare. Il tribunale emanava la<BR>sentenza definitiva e fissava la pena<BR>se l'accusato era giudicato colpevole.<BR>aporoi I poveri; non i bisognosi,<BR>bensì tutti coloro che avevano abbastanza<BR>per vivere, ma nulla di più; opposto<BR>a euporoi, i ricchi.<BR>araldo ¨ keryx<BR>archairesia Elezione di magistrati,<BR>specificamente la riunione dell'Assemblea<BR>in cui l'elezione dei magistrati<BR>(militari) era la voce più importante<BR>all'ordine del giorno.<BR>arche (pl. archai) (1) Magistratura.<BR>(2) Specialmente al plurale: magistrati<BR>(termine generico per tutti i magistrati<BR>cioè i 500 consiglieri e circa 700 altri).<BR>archon (pl. -ntes) Arconte/i. (1) Un<BR>magistrato (= arche). (2) il plurale hoi<BR>archontes comunemente designa i<BR>nove più alti magistrati dello stato:<BR>archon, basileus (arconte re), polemarchos<BR>(polemarco) e i sei tesmothetai<BR>(tesmoteti). (3) Il singolare archon<BR>designa comunemente il più alto<BR>magistrato dello stato da cui prendeva<BR>nome l'anno («sotto l'arcontato<BR>di N.»). Egli era responsabile dell'organizzazione<BR>delle feste statali e presiedeva<BR>il Tribunale popolare nei processi<BR>riguardanti il diritto di famiglia e<BR>le eredità.<BR>arcieri sciti Corpo di 300 schiavi<BR>474 Glossario<BR>pubblici tra i cui doveri rientrava<BR>mantenere l'ordine e far rispettare la<BR>legge nell'Assemblea. Essi erano armati<BR>di archi ed erano perciò chiamati<BR>«gli arcieri» (toxotai) o anche «gli<BR>Sciti» (hoi Skythoi). Sembra che il corpo<BR>sia stato sciolto prima della metà<BR>del quarto secolo.<BR>arcontato Durata della carica (un anno)<BR>di un archon [¨ archon (3)].<BR>arconte re ¨ basileus (2).<BR>areopagites (pl. -tai) Membro del<BR>Consiglio dell'Areopago.<BR>Areopagos (1) La collina di Ares (dio<BR>della guerra), situata a sud dell'agora,<BR>tra l'Acropoli e la pnyx. (2) Abbreviazione<BR>per il Consiglio dell'Areopago.<BR>aristokratia Aristocrazia, cioè governo<BR>dei "migliori" membri della comunità.<BR>Arpalo (l'affare di) Scandalo provocato<BR>da un caso di corruzione nel<BR>325/4, che ebbe luogo quando Arpalo,<BR>il tesoriere di Alessandro Magno,<BR>scappò ad Atene e cercò di corrompere<BR>i leader politici per ottenere asilo.<BR>L'affare provocò una serie di processi<BR>pubblici (apophaseis), compreso<BR>quello intentato contro Demostene.<BR>assemblea ¨ ekklesia (1).<BR>asty (1) Città in contrappozione a<BR>chora, campagna. (2) Quella delle tre<BR>parti dell'Attica che comprendeva<BR>Atene, il Pireo e la pianura circostante,<BR>delimitata dai monti Egaleo a<BR>ovest e Imetto a est. Una delle tre regioni<BR>(asty, paralia e mesogeios) nelle<BR>quali l'Attica era stata divisa dalle riforme<BR>di Clistene.<BR>astynomoi Collegio di magistrati cittadini<BR>composto da un membro per<BR>ciascuna tribù (phyle) designato per<BR>sorteggio. I loro compiti erano inter<BR>alia di assicurare che le strade fossero<BR>tenute pulite e i regolamenti edilizi<BR>rispettati.<BR>atimia Perdita dell'onore. Pena imposta<BR>ai cittadini maschi ateniesi soprattutto<BR>se erano debitori dello stato o<BR>avevano trascurato i loro doveri civili.<BR>Tali cittadini (atimoi) erano privati di<BR>tutti i diritti politici, il diritto alla tutela<BR>legale e il diritto di entrare nella piazza<BR>del mercato e nei santuari.<BR>atimos (pl. -oi) Persona punita con<BR>l'atimia.<BR>Atthis (pl. -ides) Cronache di Atene<BR>e dell'Attica.<BR>attidografo L'autore di una Atthis.<BR>autarkeia Autosufficienza rispetto alle<BR>risorse economiche e umane indispensabili<BR>per formare una "autentica"<BR>polis.<BR>axon (pl. -nes) Tavola rotante. Grande<BR>blocco di legno quadrato iscritto<BR>su tutti e quattro i lati (con le leggi di<BR>Draconte o Solone). Era posto in una<BR>cornice e incastrato su un perno, così<BR>che il lettore potesse girare tutte e<BR>quattro le parti verso di sé.<BR>azione privata ¨ dike.<BR>banausos (pl. -oi) Un artigiano o<BR>(talvolta) un commerciante. Parola<BR>sempre spregiativa, essa era usata, in<BR>un contesto politico, soprattutto dai<BR>filosofi che criticavano la democrazia.<BR>basanos Interrogatorio di uno schiavo<BR>sotto tortura: la procedura aveva<BR>inizio con l'invito di una delle parti in<BR>causa alla controparte (mediante una<BR>proklesis) e l'interrogatorio doveva<BR>conformarsi a un contratto concluso a<BR>questo scopo tra le parti. Una basanos<BR>era obbligatoria se la testimonianza<BR>di uno schiavo doveva essere<BR>prodotta come prova davanti a un tribunale.<BR>basileia Monarchia.<BR>basileus (1) Re. (2) L'arconte re, uno<BR>dei nove arconti. Era responsabile<BR>delle feste statali e presiedeva il Consiglio<BR>dell'Areopago nei processi per<BR>omicidio.<BR>Glossario 475<BR>bema La tribuna dell'oratore (1) nell'Assemblea,<BR>(2) nel Consiglio dei<BR>Cinquecento, (3) nel Tribunale popolare.<BR>Boedromion Il terzo mese dell'anno<BR>attico, Settembre-Ottobre.<BR>boule Consiglio. Boule di solito di riferisce<BR>al Consiglio dei Cinquecento,<BR>ma può anche indicare il Consiglio<BR>dell'Areopago.<BR>bouleuterion Edificio pubblico dove<BR>il Consiglio dei Cinquecento teneva la<BR>maggior parte delle sue sessioni. Costruzione<BR>piana rettangolare sul lato<BR>ovest dell'agora vicino alla tholos, al<BR>metroon e al Monumento agli eroi<BR>eponimi. Fu eretta alla fine del quinto<BR>secolo e aveva una sala del consiglio<BR>che misurava 19x20 metri.<BR>bouleutes (pl. -tai) Consigliere,<BR>membro della boule.<BR>cheirotonia Voto per alzata di mano<BR>usato nell'Assemblea, nel Consiglio<BR>dei Cinquecento, e dai nomothetai.<BR>chora (1) Territorio. (2) La campagna<BR>in contrapposizione alla città (asty o<BR>polis)<BR>choregia La liturgia in cui il ricco liturgista<BR>doveva allestire e addestrare<BR>a proprie spese un coro drammatico<BR>o lirico per una rappresentazione alle<BR>Dionysia o alle Thargelia. Egli era<BR>perciò chiamato choregos.<BR>Consiglio dei Cinquecento (he<BR>boule hoi pentakosioi) Il Consiglio<BR>comprendeva cinquanta cittadini per<BR>ciascuna delle dieci phylai, sorteggiati<BR>per un anno fra i candidati nominati<BR>nei 139 demi. Il Consiglio si riuniva<BR>ogni giorno lavorativo (circa 250 volte<BR>in un anno) nel bouleuterion nell'agora.<BR>Esso predisponeva tutto il lavoro<BR>per l'Assemblea e per i nomothetai<BR>ed era a capo dell'amministrazione<BR>dello stato.<BR>Consiglio dell'Areopago (he boule<BR>he ex Areiou pagou) Consiglio formato<BR>da tutti gli ex-arconti, che ne diventavano<BR>membri a vita dopo il loro<BR>anno di carica. Il Consiglio aveva circa<BR>150 membri. Di solito si riuniva<BR>sull'Areopagos per giudicare i processi<BR>di omicidio in cui la vittima era un<BR>cittadino ateniese. Nel sesto secolo il<BR>Consiglio fu l'organo più importante<BR>delle stato ateniese, ma perse la maggior<BR>parte dei suoi poteri con le riforme<BR>di Efialte nel 462. Dopo il 403 il<BR>consiglio riacquistò alcuni dei suoi<BR>precedenti poteri.<BR>decreto ¨ psephisma.<BR>Lega delio-Attica Alleanza di stati<BR>sotto la guida di Atene, creata nel<BR>478/7 e inizialmente rivolta contro il<BR>re Persiano. Si trasformò in un impero<BR>marittimo ateniese e fu sciolta nel<BR>404 dopo la sconfitta di Atene nella<BR>guerra del Peloponneso. [¨ anche<BR>Seconda Confederazione Ateniese].<BR>demagogos (pl. -oi) Leader del popolo,<BR>cioè un oratore e proponente di<BR>mozioni nell'Assemblea. Il termine fu<BR>spesso usato in senso spregiativo<BR>("demagogo") da coloro che criticavano<BR>la democrazia e solo raramente<BR>(in un senso neutro) dai sostenitori<BR>della democrazia o dai leaders politici<BR>stessi.<BR>demarchos «Sindaco». Magistrato a<BR>capo di un demo [¨ demos (5)] nominato<BR>per un anno fra i membri del<BR>demo per elezione o per sorteggio.<BR>demegoria Orazione pronunciata da<BR>un demegoros.<BR>demegoros (pl. -oi) Oratore che si<BR>rivolge al popolo (nell'Assemblea).<BR>demos Popolo. La parola indica (1)<BR>la totalità del popolo ateniese (= lo<BR>stato ateniese), (2) la gente comune<BR>(= i poveri), (3) l'Assemblea del popolo<BR>(= ekklesia), (4) il governo del<BR>popolo (= demokratia), (5) un distretto/<BR>comune, cioè uno dei 139 demi<BR>creati da Clistene nel 507 e riuniti<BR>476 Glossario<BR>in trenta trittyes, a loro volta raccolte<BR>in dieci phylai.<BR>demosios (pl. -ioi) Aggettivo che significa<BR>«pubblico» in contrapposizione<BR>a «privato» (idios), usato al maschile<BR>come sostantivo per indicare<BR>gli schiavi pubblici e al neutro singolare<BR>(to demosion) per indicare il tesoro<BR>o l'archivio.<BR>demotes (pl. -tai) Membro di un demo,<BR>cioè un cittadino maschio adulto<BR>iscritto in uno dei 139 demi [¨ demos<BR>(5)].<BR>demotikon Terzo elemento del nome<BR>completo di un cittadino ateniese,<BR>indicante il suo demo, per esempio<BR>Sokrates Sophroniskou Alopekethen<BR>(«del demo di Alopece»).<BR>diacheirotonia Voto per alzata di<BR>mano in due fasi. Il voto era o pro o<BR>contro una singola proposta oppure<BR>era una scelta fra due proposte.<BR>diadikasia Processo tra due o più<BR>parti che rivendicavano la proprietà<BR>dello stesso bene. La diadikasia era<BR>impiegata da coloro che si contendevano<BR>una eredità, o anche in caso di<BR>controversie fra un cittadino e la<BR>polis.<BR>diaitetes (pl. -tai) Arbitro. La maggior<BR>parte delle cause private era affidata<BR>ad un arbitro dai Quaranta (hoi<BR>tettarakonta) e sottoposta al Tribunale<BR>popolare soltanto se una delle parti<BR>non era disposta ad accettare il verdetto<BR>dell'arbitro. Era nominato un arbitro<BR>per ogni processo e gli arbitri<BR>erano selezionati fra i riservisti entrati<BR>nel sessantesimo anno di età.<BR>diapsephismos Revisione generale<BR>dei registri locali dei cittadini (i lexiarchika<BR>grammmateia) eseguita in<BR>tutti i 139 demi, in seguito alla quale<BR>gli intrusi potevano essere espulsi e<BR>cancellati dalla lista, qualche volta<BR>dopo un processo davanti al Tribunale<BR>popolare.<BR>dikasterion (1) Tribunale, specialmente<BR>il Tribunale popolare in cui la<BR>maggior parte dei processi privati (dikai)<BR>e dei processi pubblici (graphai)<BR>erano esaminati da sezioni di parecchie<BR>centinaia di giurati (dikastai):<BR>201 o 401 giurati nei processi privati,<BR>501 nella maggior parte dei processi<BR>pubblici. Oltre ad occuparsi delle<BR>cause civili e penali il Tribunale popolare<BR>esaminava i magistrati, pronunziava<BR>sentenze nei processi pubblici<BR>e qualche volta riesaminava i decreti<BR>(psephismata) approvati nell'Assemblea<BR>e le leggi (nomoi) approvate<BR>dai nomothetai. Il Tribunale del popolo<BR>si riuniva circa 200 volte all'anno,<BR>sotto la presidenza dei magistrati,<BR>nella maggior parte dei casi i nove<BR>arconti. (2) Una sezione (di 500 giurati).<BR>Alcuni importanti processi pubblici,<BR>specialmente processi a leader<BR>politici, erano esaminati non da 501<BR>giurati (un dikasterion), ma da 1.501<BR>giurati (tre dikasteria) o anche più.<BR>dikastes (pl. -tai) Giurato della Lista<BR>dei 6.000, sorteggiato per prestare<BR>servizio per un giorno come membro<BR>di un dikasterion.<BR>dikastikon Pagamento di 3 oboli che<BR>un giurato riceveva ogni giorno che<BR>prestava servizio in un dikasterion.<BR>dike (pl. -kai) Azione privata che poteva<BR>essere intentata solo dalla parte<BR>lesa e poteva sempre essere sospesa<BR>prima del verdetto in seguito a un accordo<BR>fra le parti. La maggior parte<BR>delle dikai era portata innanzitutto<BR>davanti a un arbitro (diaitetes), ma<BR>era possibile ricorrere contro questo<BR>verdetto a una sezione del Tribunale<BR>popolare composta da 201 o 401 giurati.<BR>Colui che vinceva il processo<BR>aveva il diritto di riavere la sua proprietà,<BR>o di ottenere un risarcimento<BR>monetario, a seconda del caso; ma<BR>non riceveva nessun aiuto dall'autori-<BR>Glossario 477<BR>tà pubblica nell'esecuzione della sentenza.<BR>dike aprostasiou Azione privata<BR>contro un meteco per non essersi<BR>procurato un prostates.<BR>dike blabes Azione privata per danni<BR>dike demosia Azione pubblica (graphe)<BR>in contrapposizione all'azione<BR>privata (dike o dike idia).<BR>dike idia Azione privata in contrapposizione<BR>all'azione pubblica (graphe<BR>o dike demosia).<BR>dike kakegorias Azione privata per<BR>diffamazione.<BR>dike phonou Azione privata per<BR>omicidio, intentata dalla famiglia della<BR>vittima, di competenza del Consiglio<BR>dell'Areopago se l'accusa era l'omicidio<BR>(o il ferimento) premeditati di<BR>un cittadino Ateniese.<BR>Dionysia Feste di Dioniso. Le più<BR>spettacolari erano le Grandi Dionisie,<BR>tenute nel mese Elaphebolion in onore<BR>di Dionysos Eleutheros, il cui tempio<BR>era situato sulle pendici meridionali<BR>dell'Acropoli. Oltre alla processione<BR>con il fallo e ad altre processioni,<BR>le Grandi Dionisie comprendevano<BR>rappresentazioni di tragedie, commedie<BR>e ditirambi.<BR>dokimasia ton adynaton Esame nel<BR>Consiglio dei Cinquecento degli invalidi<BR>(adynatoi) che possedevano un<BR>patrimonio di valore inferiore a 300<BR>dracme e che facevano domanda per<BR>una pensione giornaliera di 1 obolo<BR>(più tardi di 2 oboli).<BR>dokimasia ton archon Esame di un<BR>candidato per una magistratura (arche)<BR>prima che entrasse in carica. La<BR>maggior parte dei candidati era esaminata<BR>solamente davanti a una sezione<BR>del Tribunale popolare, ma gli<BR>esami per il Consiglio dei Cinquecento<BR>e dei nove arconti erano tenuti innanzitutto<BR>davanti al Consiglio dei<BR>Cinquecento e solo successivamente<BR>davanti a una sezione del Tribunale<BR>popolare.<BR>dokimasia degli efebi Esame dei<BR>nuovi cittadini (epheboi) iscritti durante<BR>l'anno precedente nel lexiarchikon<BR>grammateion del loro demo. L'esame<BR>era condotto dal Consiglio dei<BR>Cinquecento, e il suo scopo era verificare<BR>che i nuovi cittadini avessero<BR>compiuto i diciotto anni.<BR>dokimasia ton hippon Esame dinanzi<BR>al Consiglio dei Cinquecento<BR>dei cavalli (hippoi) dei cavalieri.<BR>dokimasia ton rhetoron Accusa<BR>pubblica intentata contro un cittadino<BR>che svolgeva funzioni di rhetor pur<BR>essendo colpevole di reati militari, di<BR>maltrattamenti dei genitori, di dissipazione<BR>del proprio patrimonio e di<BR>prostituzione maschile. La procedura<BR>iniziava in Assemblea mediante una<BR>denuncia (epangelia) e continuava<BR>dinanzi al Tribunale popolare.<BR>drachma (pl. -ai) Unità di peso o<BR>moneta: 4.3 grammi (di argento). Era<BR>coniata in monete da 1, 2 e 4 dracme.<BR>edoxe (tei boulei kai) toi demoi<BR>«Fu deciso (dal Consiglio e) dal popolo<BR>». Formula di approvazione usata<BR>nei probuleumata ratificati dall'Assemblea.<BR>eisangelia eis ten boulen Denuncia<BR>(al Consiglio dei Cinquecento). Processo<BR>pubblico intentato contro un<BR>magistrato per abusi commessi nell'esercizio<BR>della sua carica. Il caso era<BR>giudicato innanzitutto dal Consiglio<BR>dei Cinquecento, che era autorizzato<BR>a imporre una multa fino a 500 dracme.<BR>Per i reati più gravi il caso era affidato<BR>a un dikasterion. L'Assemblea<BR>non era coinvolta.<BR>eisangelia eis ton demon Denuncia<BR>al popolo (nell'Assemblea). Processo<BR>pubblico intentato contro persone accusate<BR>di tradimento, attentato alla<BR>democrazia o corruzione. Iniziava di<BR>478 Glossario<BR>solito con una denuncia presentata in<BR>una ekklesia kyria, che portava a un<BR>decreto con il quale il processo era affidato<BR>a un dikasterion. Prima del 355<BR>circa l'Assemblea poteva essa stessa<BR>svolgere la funzione di tribunale in<BR>questi casi. Eisangeliai erano intentate<BR>in particolare contro gli strategoi.<BR>eisphora Tassa sul patrimonio. In<BR>origine era una tassa di guerra straordinaria<BR>votata dall'Assemblea, in base<BR>alla necessità; dal 347/6 essa fu (anche)<BR>una tassa ordinaria di 10 talenti<BR>all'anno. Era pagata sia dai cittadini<BR>che dai meteci sulla base di una valutazione<BR>della proprietà (timema), ma<BR>solo dai cittadini più ricchi, che a<BR>questo scopo furono divisi in 100<BR>symmories.<BR>ekklesia (pl. -ai) (1) L'Assemblea popolare,<BR>nella quale tutti i cittadini maschi<BR>adulti avevano il diritto di parlare<BR>e votare. Nell'età di Demostene si teneva<BR>quaranta volte l'anno, solitamente<BR>sulla Pnice, ed era generalmente<BR>frequentata da almeno 6.000<BR>cittadini. L'Assemblea votava per alzata<BR>di mano sull'elezione dei magistrati,<BR>sui trattati con gli altri stati e,<BR>nella politica interna, su tutte le singole<BR>questioni importanti. L'Assemblea<BR>era convocata dai prytaneis e<BR>presieduta dai proedroi e poteva discutere<BR>solo questioni che erano state<BR>prima esaminate dal Consiglio dei<BR>Cinquecento. (2) Ogni riunione dell'Assemblea<BR>che non fosse una ekklesia<BR>kyria.<BR>ekklesia kyria Assemblea principale:<BR>la più importante e lunga seduta<BR>dell'Assemblea, che si teneva una<BR>volta ogni pritania.<BR>ekklesiasterion Luogo di riunione<BR>di un'ekklesia.<BR>ekklesiastes (pl. -tai) Cittadino che<BR>partecipa a un'ekklesia.<BR>ekklesiastikon Paga per la partecipazione<BR>all'Assemblea, introdotta nel<BR>403-393: aumentò velocemente da 1<BR>obolo a 2 e 3 oboli (prima del 393/2)<BR>e si stabilizzò negli anni intorno al<BR>330 a 1 dracma per un'ekklesia [¨ ekklesia<BR>(2)] e una dracma e mezza per<BR>un'ekklesia kyria.<BR>ekklesia synkletos Seduta dell'Assemblea<BR>convocata in maniera straordinaria,<BR>cioè con meno di quattro<BR>giorni di preavviso o con decreto.<BR>ekphyllophoria Voto con foglie d'ulivo<BR>espresso nel Consiglio dei Cinquecento<BR>per espellere o meno dal<BR>Consiglio un membro indegno.<BR>Elaphebolion Il nono mese dell'anno<BR>attico, Marzo-Aprile.<BR>eleutheria (1) Autonomia. Un ideale<BR>politico tenuto in gran conto ugualmente<BR>da oligarchici e democratici.<BR>(2) Libertà. Un ideale costituzionale<BR>strettamente connesso con la democrazia.<BR>Nella sfera pubblica eleutheria<BR>era il diritto di ogni cittadino di partecipare<BR>al governo delle istituzioni dello<BR>stato; nella sfera privata era il diritto<BR>di ogni cittadino di vivere come gli<BR>piaceva senza essere oppresso da altri<BR>(zen hos bouletai tis).<BR>eleutheros (pl. -oi) Aggettivo che significa<BR>«libero» e che indica (1) una<BR>persona libera in contrapposizione<BR>a uno schiavo (doulos); (2) un cittadino<BR>di nascita in contrapposizione a<BR>uno straniero libero (xenos) o a uno<BR>schiavo (doulos); (3) una comunità<BR>autonoma (opposta a una che dipende).<BR>endeixis Denuncia (agli hoi hendeka<BR>o ai thesmothetai). Processo pubblico<BR>intentato specialmente contro atimoi<BR>che esercitavano irregolarmente i diritti<BR>che avevano perso in forza dell'atimia.<BR>La persona denunciata era di<BR>solito arrestata e tenuta in prigione fino<BR>al processo.<BR>enktesis ges kai oikias Acquisizione<BR>Glossario 479<BR>di terra e casa. Un privilegio che l'Assemblea<BR>poteva concedere ai meteci,<BR>senza il quale non avevano il diritto<BR>di comprare ed essere proprietari di<BR>beni immobili in Attica.<BR>efebi (ephebos, pl. -oi) Cittadini di<BR>diciotto e diciannove anni che ricevevano<BR>il loro addestramento militare<BR>durante questi due anni e nel<BR>secondo anno prestavano servizio<BR>nei presidi situati nel territorio dell'Attica.<BR>ephegesis Processo pubblico, uguale<BR>all'apagoge, tranne nel fatto che<BR>l'arresto era eseguito dal magistrato<BR>competente e non da un privato cittadino.<BR>ephetai Cinquantuno uomini sorteggiati<BR>(?) forse dal Consiglio dell'Areopago<BR>o forse dalla lista dei 6.000 giurati.<BR>Costituivano la giuria in tutti i casi<BR>di omicidio involontario o legittimo<BR>e nei casi di omicidio premeditato di<BR>xenoi o schiavi.<BR>epibatai Soldati di marina. Soldati<BR>(opliti) che prestavano servizio a bordo<BR>di una trieres.<BR>epibole Multa, di solito fino a 50<BR>dracme, che un magistrato era autorizzato<BR>a imporre a chiunque non obbedisse<BR>ai suoi ordini.<BR>epicheirotonia ton archon Voto<BR>espresso in ogni ekklesia kyria su<BR>ogni magistrato che era sospettato di<BR>aver commesso abusi durante la sua<BR>carica. Un voto di censura (apocheirotonia)<BR>portava a un processo contro il<BR>magistrato davanti a un dikasterion.<BR>epicheirotonia ton nomon Un voto<BR>per alzata di mano espresso ogni<BR>anno dall'Assemblea durante la sua<BR>prima seduta per confermare o meno<BR>il codice di leggi o per cambiare una<BR>o più leggi. Se il voto era contrario a<BR>una singola legge, che doveva quindi<BR>essere sottoposta a revisione, la questione<BR>era affidata a un collegio di nomothetai,<BR>che sceglievano tra la legge<BR>in vigore e una o più proposte alternative.<BR>epikleros «Ereditiera». Se un uomo<BR>alla sua morte non lasciava alcun discendente<BR>maschio, ma solo una figlia<BR>femmina, questa subentrava nell'eredità<BR>(cioè diventava un'epikleros)<BR>nel modo seguente: il parente maschio<BR>più vicino aveva il diritto (e il<BR>dovere) di accasarla, a meno che non<BR>preferisse sposarla egli stesso e amministrare<BR>l'eredità fino a che il figlio<BR>(o i figli) nato dal matrimonio diventava<BR>maggiorenne e poteva subentrare<BR>nell'eredità.<BR>epimeletai tes phyles Collegio di<BR>tre presidenti della tribù (phyle), uno<BR>per ciascuna delle trittie della tribù<BR>(trittyes).<BR>epimeletai ton neorion Sovrintendenti<BR>dell'Arsenale: un collegio di<BR>dieci membri che sovrintendeva alle<BR>navi da guerra e agli arsenali della<BR>flotta ateniese. Il collegio presiedeva<BR>il Tribunale popolare nei casi concernenti<BR>l'amministrazione navale.<BR>epimeletes ton krenon Sovrintendente<BR>alle Fontane: un magistrato<BR>eletto per alzata di mano e incaricato<BR>dell'approvvigionamento idrico.<BR>epistates ton proedron Presidente<BR>dei proedroi, sorteggiato fra i nove<BR>proedroi per prestare servizio per<BR>quel giorno come presidente del<BR>Consiglio dei Cinquecento e (quaranta<BR>volte l'anno) dell'Assemblea.<BR>epistates ton prytaneon Presidente<BR>dei prytaneis, sorteggiato fra i cinquanta<BR>prytaneis per prestare servizio<BR>come presidente dello stato ateniese<BR>per ventiquattro ore.<BR>epitimos (pl. -oi) Cittadino in pieno<BR>possesso dei suoi diritti; contrario di<BR>atimos.<BR>
Home | Storia | Arte e letteratura | Foto | Ceramica | Moda | Info | Mappa
STORIA E LEGGENDA
HOTELS E RISTORANTI
ARTE E LETTERATURA
FOTO
CERAMICA
MODA

ANTICA GRECIA - RICERCHE

RICERCHE VARIE SULL'ANTICA GRECIA


Testi tratti dal sito: www.locriantica.it di Salvatore La Rosa

LA COLONIZZAZIONE E LE ORIGINI DEI COLONI

La data della fondazione della colonia di Locri Epizefiri è, ancora oggi, un
argomento dibattuto tra gli esperti; ciò deriva soprattutto dal fatto che la
tradizione storica ci ha tramandato tre differenti date per tale evento:
Eusebio, vescovo di Cesarea (IV sec. d.C.), nella traduzione armena della
sua opera, ci indica l'anno 673 a.C.; Gerolamo (che curò la traduzione
latina dell'opera di Eusebio) fa risalire la fondazione al 679 a.C.;
Strabone, infine, senza indicarci una data ben precisa, riferisce che la
fondazione avvenne poco dopo quelle di Siracusa (733 a.C.) e di Crotone (709
a.C.), quindi entro la fine dell'VIII sec. a.C. o nei primissimi anni del
VII sec. a.C.


In generale, gli storici moderni hanno considerato la data del 673 a.C.,
fornitaci da Eusebio, come la più attendibile; oggi, invece, grazie a nuovi
dati archeologici, si tende ad ipotizzare una data antecedente, più vicina
alla tesi di Strabone.

Non vi sono, invece, dubbi sul luogo ove sbarcarono i greci, ossia capo
Zefirio (da cui poi prese il nome la città - vedi COLL. GEOGRAFICA), l'
odierno capo Bruzzano, che i coloni abbandonarono dopo pochi anni per
trasferirsi 25 km più a nord dove, risolti i problemi di "coabitazione" con
gli indigeni, diedero vita allo sviluppo della polis.
Un'altra questione ancora aperta riguardante la colonizzazione è quale sia
il luogo di provenienza dei coloni greci. Come del resto suggerisce il nome
stesso della polis (unico caso nell'occidente greco), i coloni provenivano
dalla regione della Locride, sita nella Grecia centrale. Questo è il dato
certo; il problema si pone perché la regione era a sua volta suddivisa in
tre subregioni: la Locride Ozolia o Occidentale, la Locride Opunzia o
Orientale e la Locride Epicnemide. Tenendo conto che quest'ultima
subregione, l'Epicnemide, nella tradizione omerica e della Grecia arcaica
veniva considerata parte integrante della Locride Opunzia (la regione dei
locresi di Aiace Oileo), la provenienza dei coloni greci va quindi ricercata
in quest'ultima regione o nella Locride Ozolia.
N.B.: La probabile data di fondazione per Zancle va ricercata tra il 730 ed
il 725 a.C. con Reggio, di conseguenza, fondata pochi anni dopo; Metaponto
venne, probabilmente, fondata verso il 690 a.C., mentre Poseidonia risale al
VII sec. a.C. La presenza tra le date di Eusebio (e di Gerolamo che curò la
traduzione latina della sua opera) di indicazioni cronologiche molto alte è,
probabilmente, dovuta al tentativo della tradizione storica antica di
stabilire una certa continuità tra le frequentazioni greche più antiche ed
il periodo coloniale dell'VIII secolo; fatto, questo, escluso dagli studiosi
moderni.

Già gli antichi non erano concordi sull'origine dei coloni; in particolare
Strabone, rifacendosi probabilmente ad una fonte più antica (Antioco),
affermava con certezza che Locri Epizefiri era stata fondata da coloni
provenienti dalla Locride Ozolia guidati da un ecista di nome Evante. Al
contrario, altre tradizioni, come quella di Eforo, facevano provenire i
coloni dalla Locride Opunzia. Entrambe le tesi sono accompagnate da
argomenti più o meno favorevoli all'una ed all'altra tradizione, che spesso
si basano su considerazioni legate ad un altro problema insoluto sull'
identità dei coloni locresi: le loro origini sociali.

Anche qui la tradizione riporta tesi discordanti, le quali sono
essenzialmente due: quella semi-servile, di origine aristotelica, confermata
da Polibio (Storie XII, 5-10) che vuole i locresi discendenti dall'unione di
servi (iloti) con le loro padrone; e quella nobiliare, di Timeo, che
contestava la tradizione aristotelica attribuendole solo una volontà
"ateniese" di screditare Locri, alleata della rivale Sparta, affermando che,
al contrario, le origini dei locresi erano nobili in quanto essi erano
discendenti diretti delle "Cento Case", le cento famiglie più nobili della
Locride di Grecia.
MAGNA GRECIA E SICILIA

L'orientamento degli studiosi, senza però considerare chiusa la questione, è
che la regione di provenienza dei coloni sia stata la Locride Opunzia, non
escludendo una partecipazione di coloni provenienti della Locride Ozolia, e
che nelle origini dei coloni siano da riscontrare, senza dubbio, elementi
servili.
ORGANIZZAZIONE ED ESPANSIONE DELLA POLIS


La polis di Locri Epizefiri era organizzata secondo un modello tipico della
madrepatria. Una rigida aristocrazia conservatrice e guerresca deteneva il
potere e lo esercitava attraverso l'"Assemblea dei Mille" che comprendeva,
probabilmente, tutti i cittadini che godevano dei pieni diritti politici; la
popolazione era, poi, suddivisa in tre tribù e trentasei fratrie.

Ma il cuore dell'ordinamento locrese era la legislazione di ZALEUCO, il
primo legislatore occidentale, risalente, con molta probabilità, al VII sec.
a.C. Era, questa, una legislazione assolutamente straordinaria per l'epoca;
innanzitutto era scritta e, quindi, come del resto sottolinea Strabone, non
sottostava all'arbitrarietà dei giudici; inoltre, le sue leggi, basate sulla
"legge del taglione", severissime, che oggi potrebbero sembrare "barbare",
per l'epoca rappresentavano senz'altro un progresso di civiltà e di umanità
ed evitavano vere e proprie "faide" con vendette familiari in serie, che
erano una consuetudine per l'epoca.

Era, senza dubbio, una legislazione estremamente conservatrice, chiusa ad
ogni possibile mutamento degli equilibri esistenti, che permise alla polis,
per un lungo periodo, di prosperare in pace con ben pochi problemi interni
da risolvere, permettendo, quindi, alla classe dirigente, di concentrarsi
sulla crescita della città, sull'espansione dei territori controllati e sul
controllo delle popolazioni nemiche.

Per meglio comprendere la società locrese dell'epoca si deve anche ricordare
l'importanza del ruolo ed il prestigio sociale della donna a Locri.
Prestigio che ad essa derivava non solo dal ruolo rivestito nei culti
cittadini, ma anche dai notevoli diritti sul piano giuridico, di cui era in
possesso, come ad esempio il diritto a perpetuare nel tempo l'eredità (e
quindi il nome) della famiglia anche in caso di scomparsa degli uomini
(mariti, figli, fratelli ecc.); tutto ciò, unito anche a quanto riferisce
Polibio sulla nobiltà locrese (che, secondo lo storico, traeva origine dalle
donne e non dagli uomini), ha portato molti ad ipotizzare a Locri la
presenza di una forma di matriarcato che non è, però, suffragata da dati
certi.


Tra il VII ed il VI sec. a.C. lo sviluppo della polis era ormai ben avviato;
la città si era sviluppata con un impianto urbanistico razionale ed
ordinato, ed i suoi santuari con i loro culti cominciavano ad essere
conosciuti ovunque nel mondo greco. La situazione interna era quindi più che
ottimale e si poté pianificare un'espansione del controllo sul territorio
anche attraverso la fondazione di subcolonie; ciò venne dettato, oltre che
da un desiderio di maggiore controllo della zona, anche dal notevole
sviluppo demografico della città che rischiava di far vacillare i fragili
equilibri esistenti. Così, probabilmente verso la fine del VII sec. a.C.,
sorsero Medma (l'odierna Rosarno) ed Hipponion (oggi Vibo Valentia).

L'ESPANSIONE SUL TIRRENO


Con la fondazione di queste due subcolonie Locri Epizefiri controllava ormai
una parte notevole di territorio che andava dallo Ionio al Tirreno e
comprendeva le zone montuose racchiuse tra le due coste; incominciavano così
a nascere le storiche rivalità con Crotone e Reggio che vedevano in Locri un
problema ed un pericolo per i rispettivi progetti espansionistici e si
ponevano, quindi, le basi per i futuri scontri.
IL VI SECOLO E LO SCONTRO CON CROTONE
- BATTAGLIA DELLA SAGRA -


Agli inizi del VI secolo ormai tutte le principali polis della Magna Grecia
che si affacciavano sul Mar Ionio avevano raggiunto un elevato sviluppo
economico, culturale e demografico. Ciò, pertanto, spostava gli interessi
delle singole città verso l'ampliamento del territorio da esse controllato.

Ma ormai tutti i territori della Calabria dell'epoca ricadevano sotto l'
influenza di questa o quell'altra città; cercare di espandere il proprio
territorio significava, quindi, muovere guerra ad un'altra polis.

Il VI secolo fu, dunque, caratterizzato da grandi scontri tra le colonie
della Magna Grecia; scontri che  stabilirono i nuovi equilibri ed i nuovi
rapporti di forza e che furono: la battaglia del fiume Sagra (lo scontro tra
Locri Epizefiri e Crotone), la distruzione di Siri (operata da Sibari e
Metaponto), lo scontro tra Crotone e Sibari (che si concluse con la
distruzione di quest'ultima).

Come per tutti gli avvenimenti di questo periodo, anche per gli scontri
militari non disponiamo di date precise; per quanto riguarda la distruzione
di Sibari gli studiosi, rifacendosi alle fonti storiche, ritengono possa
essere avvenuta intorno al 510 a.C., mentre è, invece, più difficile
indicare una data certa per gli altri due grandi scontri (da porsi intorno
al 560-550 a.C.)
LA BATTAGLIA DELLA SAGRA

Nel quadro degli scontri per l'espansione territoriale rientra, quindi, la
battaglia del fiume Sagra (corso d'acqua non ancora identificato con
precisione; dovrebbe essere uno tra gli odierni Torbido, Amusa o Allaro)
combattuta tra gli eserciti di Locri Epizefiri e Crotone.

Siamo all'incirca alla metà del VI secolo e le due città, Locri e Crotone,
avevano raggiunto un elevato sviluppo economico e sociale; entrambe si erano
espanse territorialmente: Locri verso il Tirreno, mentre Crotone verso sud,
comprendendo nel suo territorio la città di Kaulon (il cui nome rimanderebbe
all'odierna Caulonia, situata a circa 25 km. dal sito dell'antica Locri
Epizefiri; in realtà le sue rovine sono state portate alla luce presso l'
odierno paese di Monasterace, che dista dal sito dell'antica Locri circa 35
km), ultimo avamposto crotonese prima del territorio di Locri Epizefiri.

In questo periodo si ha, dunque, una situazione di stasi in quanto le due
città non avevano altre possibilità di espansione: Locri, una volta
completata l'espansione sul Tirreno, non poteva espandersi oltre in quanto
bloccata a sud da Reggio ed a nord, appunto da Crotone; stesso dicasi per
Crotone, la quale a nord si ritrovava la strada sbarrata da Sibari, mentre a
sud non poteva andare oltre Kaulon.

Con tali premesse e visto che il desiderio di espansione era forte in
entrambe, la guerra era solo questione di tempo.

A questo punto, però, si deve tener conto di un altro elemento: la forza
delle due città. Infatti, nonostante entrambe godessero di una florida
situazione economica, dal punto di vista demografico Crotone, rispetto a
Locri, era una metropoli. La popolazione di Locri Epizefiri, infatti, pur
nel suo momento di massima espansione, non superava di certo le 40.000 unità
e, pur con l'aiuto delle sub-colonie (e, forse, di Reggio, almeno in questa
periodo storico), il suo esercito non superava i 10-15.000 uomini. Al
contrario Crotone, potendo attingere ad un bacino di risorse umane molto
superiore, era in grado di schierare un esercito di circa 120.000 uomini.

Considerato anche che, in questo periodo, la potenza militare di Sibari era
quanto meno pari a quella di Crotone, sembra quasi ovvio che Crotone pose
gli occhi su Locri, decisa a conquistarla e convinta, vista anche la
schiacciante superiorità, di riuscirvi con estrema facilità, aprendosi così
la via verso sud, verso Reggio.

Ma i crotoniati non avevano fatto i conti con la rabbia e con l'istinto di
sopravvivenza di un popolo, quello locrese, che ben sapeva che un'eventuale
resa o sconfitta avrebbe coinciso con la sua fine, e che era quindi disposto
a tutto pur di respingere una simile eventualità.

I locresi, dunque, non si fecero prendere dal panico e pianificarono al
meglio la difesa. Decisero di non attendere il nemico in città, all'interno
delle mura; ritennero, a ragione, che non sarebbero stati in grado di tenere
a bada la schiacciante superiorità dei crotoniati, che sarebbero riusciti,
prima o poi, a far breccia nelle mura.

Si decise quindi per lo scontro in campo aperto, e qui i comandanti locresi
compirono il loro capolavoro; scelsero, infatti, un punto lungo il fiume
Sagra stretto fra il mare da una parte e le ultime pendici delle montagne
dall'altra, un punto dove era impossibile dispiegare un gran numero di
forze.

In quel punto si schierò l'esercito locrese in attesa del nemico crotoniate.
L'esercito crotoniate arrivò in quel punto e, come previsto dai comandanti
locresi, non poté dispiegarsi e quindi esprimere tutta la sua potenza e
superiorità. A questo punto furono i locresi a lanciarsi all'attacco, col
furore e l'incoscienza di chi sa di non avere più nulla da perdere, ed in
breve riuscirono a far breccia nella parte centrale dello schieramento
nemico, ferendone il comandante in capo, Leonimo, e gettando nello sconforto
l'intero esercito crotoniate (del quale bisogna anche considerare la
situazione psicologica di chi, sicuro di vincere, si trova dinanzi ad una
rovinosa sconfitta) che, ormai in rotta, veniva preso alle spalle dalla
cavalleria locrese.

Fu una vittoria talmente straordinaria ed inaspettata che numerosi furono i
racconti e le leggende che su di essa fiorirono; tra queste va citata la
Leggenda dei DIOSCURI. Vuole, infatti, la tradizione che, durante la
battaglia, tra le migliaia di contendenti, si ergessero due giovani, armati
diversamente dagli altri, che non davano tregua ai soldati crotoniati e che,
una volta conclusasi la battaglia, sparirono nel nulla. Questi giovani
vennero subito identificati con i DIOSCURI, Castore e Polluce, gemelli figli
di Zeus e di Leda, moglie di Tindaro, re di Sparta e fratelli di Elena e
Clitennestra.
CONSEGUENZE

La sconfitta di Crotone comportò, ovviamente, pesanti conseguenze sul piano
del controllo del territorio. Locri, infatti, espanse il suo controllo molto
più a nord di quanto non avesse mai fatto, inglobando sotto la sua influenza
Caulonia e, probabilmente, Scillezio sulla costa Ionica e Terina e Temesa
(anche se i dubbi al riguardo sono molti) sulla costa tirrenica; arrivando
così a controllare il territorio posto tra i golfi di Squillace e di S.
Eufemia. A sud, invece, almeno in questa fase, Locri aveva stretto rapporti
di buon vicinato con Reggio (salvata, grazie alla vittoria locrese, da una
successiva avanzata crotoniate).

La situazione era quindi florida per Locri Epizefiri che, infatti, visse in
questi anni tra la metà del VI secolo e la sua fine (Crotone sconfisse
Sibari intorno al 510 a.C. riacquistando l'antica forza), un periodo di
grande prosperità.
IL V SECOLO - L'ALLEANZA CON SIRACUSA E SPARTA E GLI SCONTRI CON ATENE E
REGGIO


Agli inizi del V secolo gli equilibri tra le colonie della Magna Grecia
mutarono nuovamente. Crotone, infatti, dopo aver distrutto Sibari (nel 510
a.C.) riacquistò il controllo di gran parte del territorio che le era stato
sottratto dopo la SCONFITTA DELLA SAGRA e, addirittura, lo ampliò.

Tutto questo danneggiò soprattutto Locri Epizefiri, la quale, dopo aver
vissuto quello che fu uno dei periodi più floridi di tutta la sua storia,
dopo la vittoria contro Crotone, si trovava ora a dover affrontare una
difficilissima situazione che la vedeva, giorno dopo giorno, perdere il
controllo di zone sempre più ampie di quello che fu il vasto territorio da
essa controllata.

Infatti, in questi anni, sembra che Locri perse il controllo diretto di
tutte le sue sub-colonie e delle città che aveva integrato sotto la sua
influenza dopo la VITTORIA DELLA SAGRA, compresa la vicina Kaulon, la quale
ricadde nuovamente sotto il controllo di Crotone.

Nonostante questo, però, durante il V secolo, Crotone non costituì mai una
vera minaccia per Locri Epizefiri.

La vera minaccia per Locri venne da Reggio la quale, una volta capito che
Crotone, pur rappresentando sempre una minaccia per il proprio territorio,
non sembrava al momento interessata a muovere guerra verso sud, pose gli
occhi su Locri, in questo momento in difficoltà, per liberarsi finalmente
dal giogo geografico che Locri stessa le aveva imposto impedendole di
espandersi visti i confini ravvicinati tra le due città.

Nel 477 a.C. l'esercito reggino guidato da Leofrone, figlio di Anassilao,
signore di Reggio, si preparava ad attaccare in forze Locri Epizefiri. Lo
scontro venne, però, evitato grazie ad un deciso intervento diplomatico di
Gerone, tiranno di Siracusa (al quale i Locresi avevano chiesto aiuto), che
riuscì a dissuadere Anassilao dai suoi intenti.

Da questo momento, i rapporti tra Locri e Siracusa divennero sempre più
stretti, dando vita ad un'alleanza che avrà un peso rilevante per la storia
della Magna Grecia.

LA GUERRA DEL PELOPONNESO
E LE SUE CONSEGUENZE IN OCCIDENTE

Nella seconda metà del V sec., la grande guerra tra Atene e Sparta (la
guerra del Peloponneso) ebbe, inevitabilmente, le sue ripercussioni anche
nel mondo greco d'occidente, soprattutto a causa della politica ateniese,
improntata, in quel periodo, a cercare di estendere la propria influenza (e
quindi il proprio controllo) sulle colonie greche in Italia ed in Sicilia.
Controllo che cercò di esercitare anche mediante la fondazione di città
(come Thurii), la colonizzazione di Neapolis ed alcuni trattati, come quelli
con Reggio, Leontini ed altre città. Situazioni, queste, che indubbiamente
presagivano ad un impegno militare ateniese in queste terre molto più ampio
di quanto si potesse allora immaginare.

Il pretesto per l'invio della propria flotta in Occidente venne offerto ad
Atene dalla richiesta di aiuto di Leontini nello scontro con Siracusa (siamo
nel 427 a.C.). Subito Reggio si schierò al fianco di Atene, diventandone la
base per le operazioni navali in Occidente; mentre, naturalmente, Locri
insieme alle altre città fedeli alla lega di Sparta, scese in campo al
fianco dell'alleato siracusano.

Questa prima fase delle operazioni militari ateniesi in Occidente si
concluse nel 426 a.C. con una sconfitta presso Locri che costrinse
l'esercito e la flotta ateniese ad una temporanea ritirata.

L'anno seguente Locri e Siracusa, convinte del fatto che il controllo dello
stretto fosse di fondamentale importanza strategica per le sorti della
guerra, decisero un attacco comune via mare contro Messane (l'antica Zancle,
alla quale Anassilao di Reggio, una volta assuntone il controllo, aveva
imposto il nome della sua città d'origine) e la occuparono; nel contempo,
mentre la flotta era impegnata a Messane, l'esercito Locrese attaccò in
forze il territorio reggino per evitare che Reggio potesse intervenire in
soccorso di Messane e, dopo averlo devastato, si ritirò.

Seguì un periodo di scontri continui, sia per mare che per terra, tra gli
eserciti Siracusani e Locresi contro i loro nemici Ateniesi e Reggini, in
cui si ebbero alterne vicende e che si conclusero intorno al 422 a.C.

Dopo un breve periodo di tranquillità, nel 416 a.C. Atene tentò nuovamente
di partire alla conquista della Sicilia e, per far questo, spostò da Corcira
a Reggio una flotta di 136 navi da guerra con a bordo un esercito di circa
6500 uomini; nell'inverno del 415 a.C., avendo la flotta ateniese ricevuto
ulteriori rinforzi, tutto era pronto per lo scontro che si ebbe ben presto e
che, in un primo tempo fu favorevole agli ateniesi. Nel 414 a.C., infatti,
l'esercito e la flotta ateniese assediarono Siracusa.

L'assedio si protrasse a lungo ma, grazie all'intervento dei suoi alleati, e
di una flotta spartana in particolare, Siracusa non venne mai espugnata ed
anzi, l'anno seguente, nel 413 a.C., la flotta di Siracusa e dei suoi
alleati inferse una dura sconfitta alla flotta ateniese; sconfitta che
l'esercito ateniese subì, nei giorni successivi anche sulla terraferma.
L'assedio era stato ormai spezzato e la flotta ateniese era in grave
difficoltà, tanto che subì un'ulteriore grave sconfitta, questa volta
definitiva e che costrinse gli ateniesi dapprima alla ritirata e, in
seguito, alla resa definitiva.

CONSEGUENZE

La guerra era ormai finita e le conseguenze principali che essa ebbe per
Locri Epizefiri furono l'aver, almeno per il momento, respinto il pericolo
che ad essa veniva da Reggio e, soprattutto, l'aver stabilito un rapporto
strettissimo con Siracusa; rapporto che verrà ancor di più rinforzato agli
inizi del IV sec. a.C. con il matrimonio tra Dionisio I, tiranno di
Siracusa, e la figlia di una illustre famiglia dell'aristocrazia Locrese.
IL IV SECOLO - IL RITROVATO SPLENDORE E
L'INSTAURAZIONE DI UN GOVERNO DEMOCRATICO


Nel 398 a.C. l'alleanza tra Locri Epizefiri e Siracusa si rafforzò
ulteriormente grazie al matrimonio tra Dionisio I, tiranno di Siracusa, e la
fanciulla Doride, figlia di Seneto, uno dei più illustri membri
dell'aristocrazia Locrese.

Questo avvenimento fu di eccezionale importanza per la polis di Locri che,
nella prima metà del IV secolo a.C. trasse notevoli vantaggi dai trionfi
militari dell'alleato Siracusano, diventandone il punto di riferimento per
ogni sua spedizione in Magna Grecia e, soprattutto, contro Reggio ed i suoi
alleati.

In cambio Locri fu sempre pronta a rispondere ad ogni richiesta d'aiuto
(mediante l'invio di truppe e di navi da guerra) da parte dell'alleato,
anche durante i continui scontri tra le truppe di Dionisio I ed i
Cartaginesi, desiderosi di assumere il controllo dell'intera Sicilia.

In questo periodo, dunque, Locri riacquistò in parte l'antico splendore
degli anni successivi alla BATTAGLIA DELLA SAGRA, riprendendo il controllo
del territorio di Kaulon (definitivamente distrutta da Dionisio I nel 389
a.C.), di Hipponion (nel 388 a.C.) e di Scillezio (tra il 386 a.C. ed il 384
a.C.); espandendosi, quindi, nuovamente verso nord a danno del territorio di
Crotone.

Nel frattempo l'esercito di Dionisio I espugnò Reggio (nel 386 a.C.), la
quale perse definitivamente la propria indipendenza, ricadendo direttamente
sotto il controllo di Siracusa e cessando di essere una minaccia per Locri
Epizefiri.

Senza più la minaccia reggina, e con la stessa potenza crotoniate ormai al
tramonto e costretta a difendersi dagli attacchi continui di Dionisio I,
Locri poteva riprendere a prosperare in tranquillità.

Ed in effetti il IV Secolo a.C. fu per Locri Epizefiri un periodo di grande
splendore artistico, economico e, soprattutto, culturale. Da ricordare, in
particolare, di questo periodo la poetessa NOSSIDE ed i filosofi Echecrate,
TIMEO ed Arione, fondatori di una fiorente scuola di Pitagorismo (introdotto
a Locri all'epoca di Dionisio I) alla quale si interessò lo stesso Platone
che, stando a quanto attesta Cicerone (De Finibus Bonorum et Malorum, V -
29, 87), si recò di persona a Locri per apprenderne i fondamenti.

Ma verso la metà del secolo un nuovo evento turbò la vita della polis
Locrese.

Nel 367 a.C., infatti, moriva Dionisio I, ed il suo figlio e successore,
Dionisio II, del padre aveva solo il nome; tant'è vero che venne scacciato
dai suoi concittadini Siracusani nel 356 a.C.

Dionisio II, comunque, grazie al fatto che, pur non essendosi dimostrato
all'altezza del padre, era pur sempre figlio di una donna appartenente ad
una delle famiglie più illustri dell'aristocrazia Locrese, trovò asilo
presso la città di Locri Epizefiri.

Ben presto, però, egli, desideroso di accumulare capitali per finanziare il
proprio rientro in Siracusa, prese il potere instaurando a Locri Epizefiri
la tirannide nel 352 a.C., scalzando dal potere l'aristocrazia che da sempre
governava Locri e rendendosi autore di numerose angherie ed atrocità nei
confronti della popolazione Locrese.
Popolazione che, ormai esasperata, nel 346 a.C. si ribellò al tiranno,
massacrandone la famiglia durante una sua assenza ed impedendogli il
ritorno.

Tale avvenimento segnò una svolta per la storia della città di Locri
Epizefiri in quanto l'aristocrazia perse definitivamente il potere a
vantaggio di un ordinamento democratico i cui organismi principali furono un
consiglio (bulè), affiancato da un'assemblea che comprendeva tutti i
cittadini (demo).

In questo periodo Locri incominciò anche a BATTERE MONETA, soprattutto in
considerazione della nuova importanza che il commercio aveva assunto per la
polis.

Il IV secolo a.C., per Locri Epizefiri, si chiude, dunque, sotto il segno di
un ritrovato splendore e di una prosperità mai raggiunta prima. Un periodo
questo che, purtroppo per Locri, non durerà a lungo in quanto da nord nuove
popolazioni (i Bruzzii) minacciavano i confini e l'antico alleato siracusano
aveva ormai perso l'antica potenza; mentre, nel frattempo, Roma espandeva i
suoi confini e mirava, ormai, al controllo dell'antica Magna Grecia.
IL IV SECOLO - IL RITROVATO SPLENDORE E
L'INSTAURAZIONE DI UN GOVERNO DEMOCRATICO


Nel 398 a.C. l'alleanza tra Locri Epizefiri e Siracusa si rafforzò
ulteriormente grazie al matrimonio tra Dionisio I, tiranno di Siracusa, e la
fanciulla Doride, figlia di Seneto, uno dei più illustri membri
dell'aristocrazia Locrese.

Questo avvenimento fu di eccezionale importanza per la polis di Locri che,
nella prima metà del IV secolo a.C. trasse notevoli vantaggi dai trionfi
militari dell'alleato Siracusano, diventandone il punto di riferimento per
ogni sua spedizione in Magna Grecia e, soprattutto, contro Reggio ed i suoi
alleati.

In cambio Locri fu sempre pronta a rispondere ad ogni richiesta d'aiuto
(mediante l'invio di truppe e di navi da guerra) da parte dell'alleato,
anche durante i continui scontri tra le truppe di Dionisio I ed i
Cartaginesi, desiderosi di assumere il controllo dell'intera Sicilia.

In questo periodo, dunque, Locri riacquistò in parte l'antico splendore
degli anni successivi alla BATTAGLIA DELLA SAGRA, riprendendo il controllo
del territorio di Kaulon (definitivamente distrutta da Dionisio I nel 389
a.C.), di Hipponion (nel 388 a.C.) e di Scillezio (tra il 386 a.C. ed il 384
a.C.); espandendosi, quindi, nuovamente verso nord a danno del territorio di
Crotone.

Nel frattempo l'esercito di Dionisio I espugnò Reggio (nel 386 a.C.), la
quale perse definitivamente la propria indipendenza, ricadendo direttamente
sotto il controllo di Siracusa e cessando di essere una minaccia per Locri
Epizefiri.

Senza più la minaccia reggina, e con la stessa potenza crotoniate ormai al
tramonto e costretta a difendersi dagli attacchi continui di Dionisio I,
Locri poteva riprendere a prosperare in tranquillità.

Ed in effetti il IV Secolo a.C. fu per Locri Epizefiri un periodo di grande
splendore artistico, economico e, soprattutto, culturale. Da ricordare, in
particolare, di questo periodo la poetessa NOSSIDE ed i filosofi Echecrate,
TIMEO ed Arione, fondatori di una fiorente scuola di Pitagorismo (introdotto
a Locri all'epoca di Dionisio I) alla quale si interessò lo stesso Platone
che, stando a quanto attesta Cicerone (De Finibus Bonorum et Malorum, V -
29, 87), si recò di persona a Locri per apprenderne i fondamenti.

Ma verso la metà del secolo un nuovo evento turbò la vita della polis
Locrese.

Nel 367 a.C., infatti, moriva Dionisio I, ed il suo figlio e successore,
Dionisio II, del padre aveva solo il nome; tant'è vero che venne scacciato
dai suoi concittadini Siracusani nel 356 a.C.

Dionisio II, comunque, grazie al fatto che, pur non essendosi dimostrato
all'altezza del padre, era pur sempre figlio di una donna appartenente ad
una delle famiglie più illustri dell'aristocrazia Locrese, trovò asilo
presso la città di Locri Epizefiri.

Ben presto, però, egli, desideroso di accumulare capitali per finanziare il
proprio rientro in Siracusa, prese il potere instaurando a Locri Epizefiri
la tirannide nel 352 a.C., scalzando dal potere l'aristocrazia che da sempre
governava Locri e rendendosi autore di numerose angherie ed atrocità nei
confronti della popolazione Locrese.
Popolazione che, ormai esasperata, nel 346 a.C. si ribellò al tiranno,
massacrandone la famiglia durante una sua assenza ed impedendogli il
ritorno.

Tale avvenimento segnò una svolta per la storia della città di Locri
Epizefiri in quanto l'aristocrazia perse definitivamente il potere a
vantaggio di un ordinamento democratico i cui organismi principali furono un
consiglio (bulè), affiancato da un'assemblea che comprendeva tutti i
cittadini (demo).

In questo periodo Locri incominciò anche a BATTERE MONETA, soprattutto in
considerazione della nuova importanza che il commercio aveva assunto per la
polis.

Il IV secolo a.C., per Locri Epizefiri, si chiude, dunque, sotto il segno di
un ritrovato splendore e di una prosperità mai raggiunta prima. Un periodo
questo che, purtroppo per Locri, non durerà a lungo in quanto da nord nuove
popolazioni (i Bruzzii) minacciavano i confini e l'antico alleato siracusano
aveva ormai perso l'antica potenza; mentre, nel frattempo, Roma espandeva i
suoi confini e mirava, ormai, al controllo dell'antica Magna Grecia.
LA DECADENZA DELLA POLIS GRECA
PIRRO E L'AVVENTO DI ROMA


I primi vent'anni del III secolo a.C. coincidono con l'ultimo periodo di
indipendenza e prosperità per la polis di Locri Epizefiri.

L'ultimo grande avvenimento di questo periodo fu, probabilmente, il
tentativo di Siracusa, sotto la guida del tiranno Agatocle, insieme
all'alleata Locri, di riprendere il controllo di quello che fu, sotto
Dionisio I, il vasto territorio che ricadeva sotto l'influenza di Siracusa.

Ma tale tentativo, sebbene inizialmente segnato da numerosi successi (la
presa di Crotone nel 295 a.C., la liberazione di Hipponion nel 292 a.C. dal
dominio dei Bruzzii), fallì a causa della malattia che colpì il tiranno e lo
portò alla morte (avvenuta nel 289 a.C.).

Le conseguenze di tale fallimento furono disastrose, non solo per Siracusa e
la stessa Locri Epizefiri, ma anche per tutte le altre città greche
dell'Italia meridionale, le quali, ormai smarrito l'antico splendore e
fortemente indebolite dal punto di vista militare, si trovarono impreparate
ad affrontare la minaccia che per esse ormai rappresentavano i Bruzzii e le
altre popolazioni indigene, quali i Sanniti ed i Lucani; lo stesso accadeva
per le città greche della Sicilia le quali, ormai senza la protezione di
Siracusa, erano facili prede per i cartaginesi.

Non potendo difendersi e, temendo ormai per la loro stessa sopravvivenza,
alle città greche dell'Italia meridionale non restava ormai che chiedere
l'aiuto di Roma. La quale, naturalmente, sfruttò l'occasione di estendere il
proprio controllo verso sud e rispose, quindi, favorevolmente alle richieste
d'aiuto e di invio di un presidio militare che una dopo l'altra le città
greche dell'Italia meridionale le presentavano.

Richiesta che la stessa Locri fu costretta a fare, ricevendo anch'essa, nel
282 a.C., un presidio militare romano.

PIRRO IN ITALIA

Nel 280 a.C., però, l'arrivo in Italia di Pirro, il cui aiuto era stato
richiesto da Taranto per arginare l'avanzata romana verso sud, mutò
nuovamente i fragili equilibri che si erano prodotti in quegli anni in Magna
Grecia e Sicilia.

E questo perché la grande maggioranza delle città d'origine greca
dell'Italia meridionale (ed in particolare quelle basate su un ordinamento
democratico, come appunto Locri Epizefiri) non vedevano di buon occhio la
presenza di Roma nel loro territorio, sentendosi, quindi, ad essa
sottomesse.

Con queste premesse, supportate dai primi successi (sebbene parziali) che
Pirro ottenne contro i romani, ben presto le varie città incominciarono a
schierarsi dalla parte del re Epirota, allontanando, spesso con la forza, i
presidi che Roma aveva in esse posto.

Lo stesso fece Locri, decidendo quindi di seguire le sorti di Pirro. Durante
tale periodo, comunque, Locri Epizefiri non fu coinvolta in scontri di
rilevante importanza, eccezion fatta per un tentativo congiunto di
cartaginesi e romani (alleati contro un nemico comune in questo periodo
storico) che nel 278 a.C. tentarono contro di essa una sortita via mare,
venendo, però, respinti.

La spedizione di Pirro proseguiva, intanto, con alcuni successi che però non
avevano portato a grossi risultati, mentre, invece, l'esercito romano si
andava riorganizzando e sembrava ormai poter avere il sopravvento su Pirro
ed i suoi alleati tarantini.

Tale situazione, aggravata dalle prepotenze e dalle angherie di cui spesso
si resero colpevoli le truppe di Pirro nelle città che le ospitavano, fu
causa di numerosi contrasti all'interno delle città greche tra gli
schieramenti aristocratici (favorevoli a Roma) e democratici (schierati con
Pirro) e portò, nel 277 a.C., la città di Locri Epizefiri, nella quale
prevalse il partito aristocratico, a consegnare la città al console romano
Publio Cornelio Rufino che stava avanzando verso sud con le sue truppe dopo
aver ripreso il controllo di numerose città che si erano in un primo momento
schierate con Pirro.

Roma, dunque, controllava ormai gran parte dell'Italia meridionale e, Pirro,
impegnato in Sicilia contro i cartaginesi, si vide costretto a tornare nel
Bruzzio per tentare di arginare l'avanzata romana.

Spostò quindi le sue truppe e si mosse innanzitutto verso Locri,
riprendendone il controllo nel 275 a.C. e vendicandosi aspramente nei
confronti della popolazione che aveva consegnato la città ai romani; non
contento di ciò si rese protagonista di devastazioni e saccheggi, che non
risparmiarono nemmeno il famoso PERSEPHONEION, come lo stesso Livio (Ab Urbe
Condita XXIX 8, 9) ci tramanda:

"Iam avaritia ne sacrorum quidem spoliatione abstinuit; nec alia modo templa
violata sed Proserpinae etiam intacti omni aetate thesauri, praeterquam quod
a Pyrrho [...] spoliati dicebantur."

"Infatti, la cupidigia delle spogliazioni non risparmiò neppure le cose
sacre; e non solo furono profanati altri templi, ma fu anche depredato il
tesoro di Proserpina (Persephone), che da sempre era rimasto inviolato; si
diceva che solo Pirro l'avesse saccheggiato".

Lo stesso Livio, però, proseguendo nella narrazione, ci riferisce di come
Pirro, pentito del grave oltraggio perpetrato nei confronti della dea,
interpretò alcune sue disgrazie successive come una punizione della dea
stessa nei suoi confronti e decise di restituire il tesoro del SANTUARIO per
tentare di placarne l'ira:

"(Pyrrho), qui cum magno piaculo sacrilegii sui manubias rettulit."

"(Ma si diceva anche che Pirro), dopo una grave espiazione, restituì le
ricchezze (ricavate) dal suo atto sacrilego".

Ma il fallimento per Pirro era, comunque, ormai vicino, e si consumò, sempre
nel 275 a.C., con la sconfitta di Maleventum (l'odierna Benevento), che lo
costrinse ad abbandonare l'Italia.

L'effetto principale che, quindi, ebbe la venuta in Italia di Pirro fu
l'aver permesso a Roma di accelerare la propria espansione verso sud,
prendendo il controllo di quella che un tempo era stata la Magna Grecia; e
come accadde a tutte le altre città del Bruzzio, anche Locri Epizefiri
ricadde sotto il controllo di Roma seguendone, d'ora innanzi, le sorti.

<- Indietro - Continua ->