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IL MEDIOEVO
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STORIA DEL MEDIOEVO |
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IL MEDIOEVO
Dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, sotto i colpi delle invasioni
barbariche si apre un periodo della durata di circa un millennio che
storicamente, per definizione prende il nome di "Medioevo", ecco i
principali avvenimenti sintetizzati cronologicamente:
451 Gli Unni di Attila invadono l'Italia e distruggono Aquileia (452)
455 Roma è messa a sacco dai Vandali di Genserico
476 Odoacre, depone Romolo Augustolo; l'Impero Romano d'Occidente cessa di
esistere.
489 L'Italia, è invasa dagli Ostrogoti.
493 Teodorico fonda il regno romano-barbarico degli Ostrogoti.
526 Teodorico muore a Ravenna inizia la guerra gotico-bizantina (535-553).
540 Dopo l'assedio di Ravenna, il re dei Goti Vitige è fatto prigioniero da
Belisario, ma il nuovo re Totila (541) riconquista l'Italia.
554 Sconfitti gli Ostrogoti, l'Italia passa sotto la diretta amministrazione
imperiale di Bisanzio.
568 I Longobardi, guidati dal re Alboino, penetrano nel Friuli e da lì
dilagano nella Pianura Padana, per poi dirigersi a sud, pur senza mai
riuscire a costituire un unico regno.
584 Viene eletto re dei longobardi Autari, sposo di Teodolinda, figlia del
duca di Baviera.
590 Agilulfo sposa Teodolinda rimasta vedova e stabilisce relazioni
pacifiche con i Franchi e con i Bizantini. Sotto il pontificato di Gregorio
Magno (590-604) cresce l'autonomia della Chiesa ponendo così le basi del
potere temporale dei papi.
643 Rotari promulga la prima legislazione scritta del suo popolo, l'Editto
di Rotari, una raccolta organica delle leggi consuetudinarie germaniche in
vigore presso i Longobardi, notevolmente influenzata dal diritto romano.
712 Sale al trono Liutprando, il regno longobardo raggiunge il suo culmine.
Il re tenta di completare la conquista dell'Italia, occupando l'esarcato di
Ravenna e giungendo ai confini del Ducato Romano. Ma poi rinuncia ai suoi
propositi piegandosi all'autorità del papa.
751 Il re Astolfo riprende l'offensiva contro l'Italia centrale. Papa
Stefano II invoca l'aiuto di Pipino, re dei Franchi, che sconfigge Astolfo
nel 754 e lo costringe a cedere al papa i territori da lui sottratti ai
Bizantini (donazione di Pipino); nell'Italia centrale finisce il dominio
bizantino e inizia quello della Chiesa.
756 Desiderio succede ad Astolfo. Desiderio fa sposare le sue due figlie ai
figli di Pipino, Carlomanno e Carlo (il futuro Carlo Magno), per cercare
l'alleanza
con i Franchi. Ma, morto Carlomanno, Carlo usurpa i diritti della cognata,
ripudia la moglie e si impossessa della corona dei Franchi.
774 Carlo Magno chiamato in aiuto dal papa Adriano I, espugna Pavia e
cattura Desiderio, poi sconfigge Adelchi, figlio di Desiderio, ponendo fine
alla dominazione longobarda in Italia. L'Italia settentrionale passa sotto
il dominio di Carlo Magno, intitolatosi re dei Franchi e dei Longobardi.
781 Carlo Magno investe del regno, ribattezzato Regno italico, il figlio
Pipino.
800 Carlo Magno è incoronato a Roma imperatore da Leone III. Il Regno
italico, sempre con Pavia come capitale, diviene parte integrante
dell'Impero
romano ricostituito in Occidente. All'Impero bizantino restano ( in
Italia ): Puglia, Basilicata, Calabria, la Sicilia e la Sardegna; restano di
fatto indipendenti Venezia e Napoli.
827 Gli arabi Aghlabiti iniziano la conquista della Sicilia, strappandola
facilmente ai Bizantini.
888 Fine della dinastia carolingia; l'Italia centro-settentrionale cade
preda dei contrasti tra i grandi signori feudali per il titolo di re
d'Italia
e di imperatore. Berengario, marchese del Friuli, ha la meglio e viene
incoronato re d'Italia, titolo che perderà e riconquisterà di nuovo nel 898.
915 Berengario è incoronato imperatore da papa Giovanni X.
924 Pavia viene saccheggiata dagli Ungari.
950 Berengario II è eletto re dai feudatari. Lo stesso vorrebbe imporre ad
Adelaide, vedova di Lotario, suo predecessore, il matrimonio con il proprio
figlio Adalberto. Adelaide rifiuta e chiede aiuto a Ottone I che scende in
Italia e la sposa (951). Alla Dieta di Augusta nel 952 Berengario II si
riconosce vassallo di Ottone, cosicché l'Italia diventa feudo della Corona
germanica.
962 Viene stipulato un patto con papa Giovanni XII, così Ottone I si
assicura il controllo sull'elezione del pontefice, in cambio del
riconoscimento della legittimità del dominio della Santa Sede. Ottone crea
il Sacro Romano Impero, unendo il regno d'Italia al Sacro Romano Impero.
973 Sale al trono Ottone II che tenta la conquista militare delle regioni
dell'Italia meridionale occupate dai Saraceni, ma è duramente sconfitto
dagli Arabi in Calabria. I Bizantini approfittano dell'insuccesso di Ottone
II per rafforzare le proprie posizioni a spese degli Arabi e dei Longobardi.
1009 Melo di Bari guida una rivolta antibizantina, aiutato nell'impresa da
un gruppo di Normanni, che fanno così la loro comparsa in Italia.
1015 Genova si allea con Pisa e occupa la Corsica e la Sardegna, ma subito
comincia la rivalità fra le due repubbliche marinare.
1035 Scoppia la rivolta dei valvassori contro i feudatari maggiori per
ottenere l'ereditarietà dei feudi minori; bersaglio della rivolta è anche
l'arcivescovo
Ariberto che invece è spalleggiato dalla cittadinanza milanese. Le parti si
confrontano a Campomalo, dove i milanesi si stringono intorno al Carroccio.
1037 L'imperatore condanna Ariberto ed estende l'ereditarietà ai feudi
minori.
1046 Enrico III è incoronato imperatore.
1059 Col decreto di Niccolò II si delibera che il Papa venga eletto dai
cardinali, senza intromissioni della nobiltà romana, né dell'imperatore. Nel
Sinodo di Melfi i Normanni si riconoscono vassalli del papa. Quindi pongono
fine alla dominazione bizantina nell'Italia meridionale ed a quella araba in
Sicilia.
1075 In un nuovo Concilio la Chiesa rivendicava per sé sola il diritto di
conferire le investiture spirituali, apre la lotta per le investiture tra
Papato e impero.
1076 Al Sinodo di Worms Enrico IV e i vescovi tedeschi dichiarano deposto il
Papa. Nello stesso anno, al Concilio lateranense, Gregorio VII scomunica e
depone l'imperatore.
1077 Enrico IV a Canossa si umilia ai piedi di Gregorio VII per chiedere
l'assoluzione.
Nello stesso anno conferisce al Patriarca Sigeardo l'investitura feudale
con prerogative ducali su tutta la contea del Friuli che manterrà la sua
integrità territoriale e la sua autonomia politica fino al 1420.
1084 Enrico IV, dopo aver conquistato Roma, si fa incoronare imperatore
dall'antipapa
Clemente III. Gregorio VII fugge da Castel Sant'Angelo con l'aiuto dei
Normanni.
1104 Enrico V costringe il padre Enrico IV ad abdicare e, alla sua morte nel
1106, è eletto imperatore con l'appoggio di papa Pasquale II.
1122 Con il Concordato di Worms vengono accordati all'imperatore precisi
diritti nella creazione dei vescovi-conti e degli abati-conti, ma si riserva
esclusivamente al Papa l'investitura spirituale.
1127 Ruggero II di Altavilla unifica il dominio normanno di Sicilia con gli
altri dell'Italia meridionale, fondando il Regno di Sicilia.
1130 Venezia con l'istituzione del Commune Veneciarum, diventa una
Repubblica oligarchica; accresce la sua potenza commerciale.
1135 Pisa distrugge Amalfi.
1153 L'Imperatore Federico I di Svevia "Barbarossa" stringe un patto col
Papato per restaurare l'autorità imperiale sull'Italia, dove numerosi Comuni
dell'Italia settentrionale si erano resi autonomi da ogni autorità esterna,
e la stessa Roma aveva cacciato il papa e si era costituita in comune sotto
Arnaldo da Brescia.
1154 Federico scende per la prima volta in Italia, distrugge Tortona, libera
Roma da Arnaldo e si fa incoronare imperatore dal papa Adriano IV.
1158 Federico scende per la seconda volta in Italia; Crema e Milano vengono
rase al suolo.
1163 Federico incontra la resistenza della Lega dei Comuni della Marca
Veronese.
1166-1168 Federico si scontra con la Lega Lombarda, costituita col
giuramento di Pontida nel 1167.
1176 A Legnano i comuni capitanati da Alberto da Giussano conseguono una
decisiva vittoria contro il Barbarossa.
1177 Federico I stipula la pace con il papa e con il re di Sicilia.
1183 Con la Pace di Costanza l'imperatore riconosce l'autonomia dei Comuni
della Lega Lombarda.
1184 Federico I scende in Italia e si allea con Milano dove suo figlio
Enrico VI è incoronato re d'Italia. Federico I riesce ad assicurare alla
casa di Svevia il controllo dell'Italia meridionale, grazie alle nozze nel
1186 fra Enrico VI e Costanza d'Altavilla.
1197 Enrico VI muore prematuramente. Il figlio di tre anni, Federico, è
affidato alla tutela del Papa Innocenzo III.
1192-1205 I veneziani, sotto il doge Enrico Dandolo, trasportano i crociati
in Terra Santa e guadagnano porti e concessioni dall'Adriatico al Mar Nero.
1220 Federico II è incoronato imperatore, a condizione che parta per una
crociata; egli fissa la sua sede a Palermo, che diviene un centro culturale
di primo piano.
1226 I Comuni si oppongono a Federico II e rinnovano la Lega Lombarda.
1228-29 Federico II guida la incruenta V crociata, che gli procura il regno
di Gerusalemme.
1237 Federico sconfigge la Lega Lombarda nella battaglia di Cortenuova.
1239 La sua lotta contro il papa per affermare il potere imperiale in Italia
lo porta alla scomunica da parte di Gregorio IX e poi di Innocenzo IV (
1243 ).
1248-1249 Federico II subisce due gravi sconfitte ad opera dei comuni a
Parma ed a Fossalta.
1250 Federico II muore in Puglia. Papa Clemente IV dà la corona di Sicilia a
Carlo d'Angiò, fratello del re di Francia Luigi IX, per sradicare
dall'Italia
la dinastia Sveva.
1264 In Italia si affermano le prime Signorie, come quella estense di
Ferrara.
1261 Genova stabilisce le sue basi commerciali in Oriente, cosa che provoca
l'inizio di un'aspra rivalità con Venezia.
1268 Carlo d'Angiò dà inizio alla dominazione angioina del regno
meridionale, spostando la capitale a Napoli.
1277 a Milano, i Visconti, ghibellini, sconfiggono i rivali Torriani,
guelfi.
1282 scoppia a Palermo la rivolta dei Vespri, originata dallo scontento per
la dura dominazione angioina.
1284 La battaglia di Meloria pone fine alla Repubblica marinara pisana
sconfitta dalla città di Genova.
1298 I guelfi fiorentini sconfiggono a Campaldino i ghibellini di Arezzo,
affermando la loro egemonia sulla Toscana.
1302 Con la Pace di Caltabellotta, termina la guerra dei Vespri: la Sicilia
passa agli Aragonesi, sotto Federico III, re di Trinacria, alla condizione,
mai soddisfatta, che alla sua morte ritorni agli Angioini, mentre l'Italia
meridionale resta a questi ultimi.
1312 L'imperatore Enrico VII di Lussemburgo insedia come vicari imperiali a
Milano i Visconti ed a Verona gli Scaligeri.
1339 Venezia conquista Treviso, iniziando l'espansione in terraferma.
1348 Scoppia la peste nera, la prima di una lunga serie di epidemie che
infesterà l'Italia e l'Europa per secoli.
1355 L'imperatore Carlo IV scende in Italia, ma solo per ricevere la corona,
disinteressandosi completamente dell'Italia, che lascia sotto l'influenza
della Santa Sede e dei Visconti.
1359 Galeazzo II Visconti occupa Pavia.
1378 Tra Venezia e Genova scoppia la guerra per l'egemonia nel Levante che
vedrà la vittoria dei veneziani (1381).
1385 Gian Galeazzo Visconti, unifica al suo dominio Pisa e Siena, e nel 1395
ottiene dall'imperatore Venceslao il titolo di duca di Milano. La Signoria
si estende fino a Perugia, mentre fallisce il tentativo di sottomettere
anche Firenze.
1402 Muore di peste Gian Galezzao e l'egemonia viscontea è ridotta al solo
Ducato di Milano.
1406 Firenze conquista Pisa.
1407 Insorgono numerose signorie locali, come quella di Gian Francesco
Gonzaga a Mantova e, soprattutto Venezia che avanza rapidamente, eliminando
per sempre gli Scaligeri e Carraresi, nel Padovano, nel Vicentino e nel
Veronese. A Genova è fondato il Banco di San Giorgio (prima banca pubblica
d'Europa).
1412 Filippo Maria Visconti intraprende, sulle orme del padre Gian Galeazzo,
la riconquista dei territori perduri; in un decennio ricompone il ducato da
Vercelli a Brescia e da Alessandria a Parma e ottiene la signoria su Genova.
1416 I Veneziani sconfiggono a Gallipoli la flotta turca.
1420 I veneziani conquistano il Friuli e l'Istria (1421).
1427 Venezia alleata con il pontefice, Firenze ed i Savoia sconfigge a
Maclodio Filippo Maria Visconti.
1428 Le ostilità contro Venezia e Firenze terminano con la Pace di Ferrara
in cui Filippo Maria cede ai Veneziani Bergamo e Brescia.
1435 Alfonso V d'Aragona si allea a Filippo Maria Visconti per combattere
gli Angioini e i suoi alleati Italiani ( il papa, Venezia, Firenze e
Francesco Sforza ). Contemporaneamente Firenze cresce di prestigio e di
potenza con l'avvento della signoria di Cosimo de' Medici.
1441 La lotta per la successione al regno di Napoli termina con la Pace di
Cremona che prevede quanto segue: Cremona va a Francesco Sforza, Genova
ridiviene indipendente, Venezia ha Ravenna e Firenze mentre il regno di
Napoli va ad Alfonso d'Aragona, così tutta l'Italia meridionale e insulare a
eccezione della Corsica genovese rientra nel circuito politico iberico.
1447 Muore Filippo Maria, l'aristocrazia di Milano proclama la Repubblica
ambrosiana. Il doge veneziano Francesco Foscari promuove una lega contro
Milano, allo scopo di unire il Ducato alla Repubblica di Venezia. La difesa
di Milano è affidata a Francesco Sforza, che dopo aver sconfitto gli
avversari, si proclama signore della città nel 1450.
1454 La caduta di Costantinopoli (1453) e il conseguente appello di papa
Niccolò V alla pace e alla difesa dal pericolo che minacciava la
cristianità, spinge i contendenti alla Pace di Lodi con cui Sforza è
riconosciuto duca di Milano e il confine fra Venezia e Milano è fissato
sull'Adda.
Segue, sempre sotto l'egida del papa, la Lega Italica, un patto di non
aggressione e di mutuo appoggio tra Milano, Venezia, Firenze, Roma e Napoli,
i cinque maggiori stati italiani che durerà per quarant'anni.
1469 Lorenzo detto il Magnifico diventa signore di Firenze e porta la città
al suo massimo splendore.
1483 Venezia sconfigge il duca di Ferrara e si impossessa del Polesine, e
nel 1489 conquista Cipro.
STORIA DELL'IMPERO ROMANO D'ORIENTE
Nel 330 l'imperatore romano Costantino il Grande trasferì la capitale
dell'Impero romano da Roma a Bisanzio, la città situata sul Bosforo, a
cavallo tra Europa ed Asia. Bisanzio fu dapprima ribattezzata come "Nuova
Roma" poi come Costantinopoli.
L'Impero romano, per la sua grande estensione, era divenuto difficilmente
governabile. Alla morte di Teodosio (395) l'Impero fu diviso in due parti:
un Impero d'Occidente, con capitale prima a Milano e poi a Ravenna, e un
Impero d'Oriente con capitale a Costantinopoli. L'Impero d'Oriente
comprendeva alcune tra le più ricche e floride province dell'Impero Romano:
l'Asia minore, la Grecia, la Siria, l'Egitto.
Il 476 segna la data tradizionale della fine dell'Impero d'Occidente,
caduto sotto i colpi delle invasioni barbariche dopo due secoli di
inarrestabile declino. L'Impero d'Oriente, geograficamente meno esposto alle
invasioni barbariche e dotato di una struttura economica e politica più
solida, sopravvisse.
Nel 527 Giustiniano divenne Imperatore d'Oriente. Il suo sogno era quello di
riportare alla sua antica grandezza l'Impero Romano riconquistando le terre
d'Occidente, occupate dai barbari. Sotto il comando del generale Belisario,
l'esercito imperiale strappò l'Africa settentrionale ai Vandali (533), la
Spagna meridionale ai Visigoti (544) e l'Italia agli Ostrogoti. La guerra
per la riconquista dell'Italia fu durissima e durò diciotto anni, dal 535 al
553.
Giustiniano fu anche un grande legislatore. Egli volle che fossero
riordinate le antiche leggi romane, attraverso un monumentale lavoro di
ricerca affidato ai più celebri giuristi dell'epoca. Videro così la luce
opere giuridica di valore universale: il Digesto, le Istituzioni, il Corpus
Iuris Civilis, che costituì - e per molti aspetti costituisce tuttora - la
base degli ordinamenti giuridici delle epoche successive. Giustiniano ordinò
anche la costruzione della chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli, che fu
definita "la più bella chiesa del mondo".
Nel 568, tre anni dopo la morte di Giustiniano, l'Italia fu invasa dai
Longobardi. I bizantini non riuscirono ad arginare l'invasione, ma
mantennero il controllo di alcune aree della penisola: la Romagna, le
Marche, l'Umbria, il Lazio, la Liguria, la Calabria, la Puglia, la Sicilia,
la Sardegna nonché le coste venete, campane e lucane.
La minaccia più pericolosa per l'Impero proveniva però dall'Oriente: nel 626
i Persiani, dopo aver conquistato l'Asia minore, assediarono Bisanzio.
L'attacco fu respinto energicamente dall'imperatore Eraclio (610-641) che
sconfisse ripetutamente i Persiani riconquistando i territori perduti.
L'Impero non poté però resistere agli Arabi, che dilagarono nel Medio
Oriente e nell'Africa settentrionale.
L'Impero d'Oriente perdeva così buona parte dei suoi territori. Bisanzio
controllava però ancora l'Asia minore, la Grecia e una parte dell'Italia.
Persa ormai ogni velleità di impero universale, si andava accentuando il
carattere orientale dell'Impero. Eraclio adottò il greco come lingua
ufficiale, ponendo fine al bilinguismo greco-latino e lo stesso imperatore
assunse il titolo greco di "Basileus".
Anche la Chiesa orientale si andava allontanando da quella occidentale. Nel
726 l'imperatore Leone III Isaurico entrò in contrasto con il Papa allorché
proibì la venerazione, ritenuta pagana, delle immagini sacre e ne ordinò la
distruzione; da allora i rapporti tra Roma e Bisanzio furono sempre critici
culminando, tre secoli più tardi, nella scisma tra la Chiesa occidentale e
quella orientale, che segnò la nascita della religione ortodossa.
Placatesi la spinta espansionistica islamica l'Impero conobbe una fase di
ripresa, ma fu minacciato dagli Slavi e dai Bulgari che si erano insediati
nei Balcani. Nel 1018, dopo anni di guerra, l'imperatore Basilio II
(976-1025) riuscì a sottomettere i Bulgari.
Le ingenti spese militari e la corruzione interna avevano però sgretolato la
struttura economica e politica dell'Impero. L'esercito bizantino fu
annientato dai turchi selgiuchidi nella battaglia di Manzikert (1071) e da
allora l'Impero fu impegnato in una costante lotta contro i turchi per il
controllo dell'Anatolia. Nello stesso anno, con la conquista normanna di
Bari, scompare l'ultimo dominio bizantino in Italia.
Nel frattempo le repubbliche marinare di Venezia e Genova, interessate al
controllo dei traffici con l'Oriente, erano penetrate nei punti strategici
dell'Impero. Nel 1204 la IV Crociata fu deviata dai Veneziani verso
Costantinopoli, che fu messa a sacco. L'impero cadde nelle mani dei
crociati, che lo spartirono in piccoli stati sotto la platonica guida di un
imperatore latino. Solo nel 1261 la riscossa bizantina segnò la rinascita
dell'Impero d'Oriente.
Nel XIV secolo l'Impero perse progressivamente territori sotto la pressione
turca ad est e quella serba ad ovest. Già alla fine del secolo l'Impero era
ridotto ormai alla sola capitale; nel 1453 i turchi sferrarono l'attacco
decisivo, assediando e conquistando Costantinopoli. L'impero bizantino
scompariva per sempre dalla storia.
Nella seconda metà del V secolo d.C. , l'Italia cominciò a essere invasa da
orde barbariche di origine germanica che ormai da lungo tempo premevano ai
confini nel tentativo di sfiancare la potenza dell'impero, debellarlo e
conquistarne i territori, nella loro eterna ricerca di terre nuove. Noi le
chiamiamo invasioni barbariche, perché l'Italia effettivamente fu invasa;
per loro si trattò soltanto della conquista di nuovi spazi vitali.
Cominciò un lungo periodo sventurato per l'Italia, implose la potenza della
Roma imperiale ed ebbe inizio quella fase di predomini stranieri, variamente
alternati fra loro, che ebbe fine solo nella seconda metà del XIX secolo con
il Risorgimento e l'unificazione dell'Italia da parte del Piemonte.
Precisiamo subito, per inciso, che parliamo di Roma come simbolo storico
dell'impero d'Occidente: in realtà, già dal 402, al tempo dell'invasione di
Alarico re dei Visigoti, l'imperatore Onorio aveva trasferito
l'establishment
e la capitale a Ravenna per la sua migliore posizione strategica: sia per le
operazioni militari di terra (la città era pressoché inespugnabile: mare da
una parte e paludi dall'altra), sia per meglio impiegare la flotta
dell'Adriatico,
stanziata nel porto di Classe (classis, in latino, vuol dire flotta), contro
le turbolenze barbariche che venivano dall'Est.
Il crollo definitivo dell'impero si ha nel 476 d.C.: una data alla quale si
fissa la caduta dell'impero romano d'Occidente (quello d'Oriente, con
capitale Bisanzio, durerà per altri mille anni, debellato poi e sostituito
dall'impero Ottomano).
In questo periodo, e ormai da decenni, l'organizzazione militare romana era
in mano a generali di origine barbarica, che l'Urbe aveva cooptato nelle
fila dell'esercito, irreggimentandoli in una cornice di legalità statale. Ma
l'influenza e il potere senatoriale, già indebolito da secoli di regime
autocratico imperiale, esistevano ormai solo di nome: i veri padroni dello
Stato erano quei generali barbarici, che eleggevano e deponevano a loro
piacimento gli imperatori, anch'essi divenuti orma impotenti figure
simboliche nella mani dei primi.
Uno di questi fu Oreste, un barbaro della Pannonia (Ungheria), già ministro
di quel flagello di Dio che era stato Attila, che l'imperatore Giulio Nepote
aveva nominato patrizio romano e comandante dell'esercito in Gallia, quasi
certamente per allontanarlo dall'Italia. E ne aveva ben donde l'imperatore,
perché Oreste aveva ben altri progetti che non restare tutta la vita a
conservare la Gallia sotto il dominio di Roma: abbandonò quelle terre a
nuovi destini, scese in Italia col suo esercito e - col favore delle truppe
alle quali aveva promesso in proprietà un terzo delle terre italiche,
secondo un'usanza molto diffusa nel mondo militare romano - depose Giulio
Nepote e mise al suo posto il proprio figlio Romolo Augusto, detto Augustolo
(Augustulus, piccolo Augusto) a causa della sua giovanissima età. In realtà,
chi governava era il padre.
Ma i tempi erano turbolenti: l'autorevolezza di Roma, degli imperatori e
soprattutto dello stesso Senato, era ormai definitivamente tramontata, e
troppi, da troppo tempo e troppo agguerriti erano coloro che se ne
contendevano le spoglie; non necessariamente e sempre per distruggere la
civiltà latina.
Un anno dopo la deposizione di Giulio Nepote e l'ascesa al potere del già
citato Oreste dietro il paravento imperiale del giovane figlio, nel 476 d.C.
spunta all'orizzonte Odoacre, re degli Eruli e di altre milizie barbariche
federate con Roma, colui che dà la definitiva spallata a quel che resta
della potenza romana. Sconfigge Oreste presso Pavia e ne depone il figlio,
l'adolescente
e inutile Romolo Augusto.
Povero Romoletto; si chiamava come il primo re di Roma e fu l'ultimo Cesare.
Finì prigioniero a vita in un castello vicino a Napoli dove morì dopo
trentacinque anni.
Si potrebbe pensare che, preso il potere, Odoacre si autoproclamasse
imperatore, ma non fu così. La fisionomia dell'ormai moribondo impero romano
d'Occidente era da tempo cambiata: l'Italia, ultimo baluardo di tanta
grandezza, divenne una sorta di protettorato di Bisanzio; l'aquila imperiale
non abitava più da queste parti, era l'impero d'Oriente l'unico erede di
Roma e la sola potenza egèmone. Odoacre, quindi, dichiarato estinto l'impero
romano d'Occidente, si proclamò re d'Italia e fu lui stesso a ottenere che
l'imperatore
d'Oriente dichiarasse il suo regno un vicariato di Bisanzio.
Questa fu la fine della grandezza di Roma, o di quel poco che ne restava.
L'egemonia
sul mondo latino passò a Bisanzio, la nuova Roma, e durò per altri mille
anni. Poi, sconfitta dai Turchi, l'aquila imperiale lasciò le rive del
Bosforo per trasferirsi più a nord, sulle rive della Moscova: dove, nelle
sue farneticanti illusioni, Ivan IV il Terribile, principe di Moscovia (XVI
secolo), si autoproclamò Zar (Czar, Cesare) e fece della sua capitale Mosca
la Terza Roma, l'ultima erede del potere dei Cesari nel mondo.
I re barbarici, comunque, non avevano voluto distruggere quello che nella
civiltà umana Roma costituiva e significava, ma impadronirsene
rinvigorendola e conservarne l'eredità: linfa nuova per un albero
rinsecchito. Significative, a tale proposito, le parole di Ataulfo, re dei
Visigoti successore di Alarico, alleato dell'impero (412 d.C.) e grande
ammiratore della civiltà romana:
"Dapprima avrei voluto trasformare l'impero romano in un impero gotico; ma i
Goti sono barbari, non sanno obbedire e non sono capaci di creare uno Stato.
Perciò pensai di riportare, con le armi dei Goti, il nome di Roma alla sua
antica gloria. Non potendo essere il distruttore dell'impero, decisi di
esserne il restauratore".
Roma moriva, ma la sua civiltà ne aveva già decretato la continuazione nei
secoli.
I TEMPLARI E LA LORO STORIA:
I Templari
Le origini dei Templari risalgono al 1118, anno in cui sorse l'Ordine dei
"Poveri Cavalieri di Cristo", con lo scopo di difendere il Santo Sepolcro,
riconquistato dai cristiani dopo la prima crociata. Il re di Gerusalemme,
Baldovino II, li alloggiò nella moschea di Al-Aqsa, che sorgeva sulle
macerie del Tempio di Salomone: da qui il nome di Templari con cui da allora
furono indicati gli appartenenti all'ordine. Scrive Guglielmo di Tiro:
".nel 1118 alcuni pii nobili timorosi di Dio, del rango di cavalieri, e
devoti al Signore, professarono di voler vivere perpetuamente in povertà,
castità ed obbedienza. Al cospetto del patriarca si votarono al servizio di
Dio come regolari canonici. I primi e i più illustri tra questi furono
Hugues des Payns e Geoffroy de Saint-Omer."
Un altro personaggio ebbe una importanza fondamentale nella storia dei
Templari: San Bernardo di Chiaravalle. Egli elaborò la regola dell'Ordine;
con il De laude novae militiae, esaltò le virtù del nuovo ordine nel
Concilio di Troyes (1128), argomentando a favore della fusione tra valori
religiosi e militari:
"...il Cavaliere porta la spada come ministro di Dio, loda i buoni e punisce
i malvagi, uccide con sicurezza e muore con baldanza perchè giova a se
stesso quando muore e a Cristo quando uccide, se muore infatti non perisce,
ma giunge alla meta..."
Nasceva insomma una casta di monaci-soldati, una novità assoluta per la
società di quel tempo, ancora basata sulla rigida distinzione tra
laboratores (coloro che lavorano), oratores (coloro che pregano) e
bellatores (coloro che combattono).
Il Concilio di Troyes legittimò i Templari e, a partire da esso, la Chiesa
decise di sostenere l'Ordine con convizione. Nel 1139 papa Innocenzo II
statuì l'esonero dal pagamento di tasse e gabelle per il nuovo ordine, il
quale era tenuto a render conto del proprio operato solo al Pontefice.
Nell'ordine
confluivano intanto esponenti di spicco della nobiltà europea. Crescevano a
dismisura le donazioni e i lasciti di denaro e terreni a favore dei
Templari, i quali andarono così accumulando ingentissime ricchezze e vasti
possedimenti in tutta Europa.
Nascevano così le Commanderie Templari, disseminate in tutto il continente,
centri di potere economico, politico, religioso e militare. I Templari
indossano una tunica bianca con una croce rossa. Quando non combattevano,
pregavano e lavoravano la terra. I Templari divennero anche banchieri,
esercitando anche l'usura. Le loro ricchezze si accrescevano sempre più. La
regola restava comunque molto rigida, con precise prescrizioni riguardo al
modo di mangiare, di vestire, di atteggiarsi; vietava il contatto con le
donne, la caccia, il gioco dei dadi e, più in generale, qualsiasi forma di
svago; imponeva, quindi, una condotta di vita molto spartana (la sveglia era
fissata alle quattro d'inverno e alle due d'estate, e c'era l'obbligo di
dormire armati, per essere pronti a qualsiasi evenienza).
L'Ordine era strutturato secondo una rigida gerarchia, al vertice della
quale c'era il Maestro, affiancato dal Maresciallo che guidava le operazioni
militari. L'amministrazione di ciascuna Commanderia era affidata ad un
Commendatario. Alla base della piramide vi erano i Fratelli, che
costituivano il vero e proprio "corpo" dei Templari.
I Templari furono valenti guerrieri. Combatterono con grandissima audacia,
senza temere la morte, affrontando impavidamente eserciti nemici molto
superiori per numero. Combatterono non solo in Palestina, ma anche in Spagna
contro i Mori, nell'Europa orientale contro i Mongoli. Si calcola che, in
meno di due secoli, dodicimila Templari persero la vita combattendo in Terra
Santa. Dopo la caduta di Gerusalemme in mano agli infedeli il comando
templare si trasferì a San Giovanni d'Acri, che costituì l'ultima roccaforte
cristiana in Terra Santa. Nonostante la strenua difesa dei Templari, la
città cadde in mano ai nemici nel 1297; il quartier generale templare fu
trasferito prima a Cipro e poi a Parigi.
I Normanni
La parola "normanno" significa letteralmente "uomo del nord". Con questo
termine erano dagli europei genericamente indicati i popoli scandinavi
conosciuti anche come "vichinghi".
I vichinghi furono un popolo di feroci guerrieri che dalla scandinavia
giungevano sulle coste dell'europa attraverso il mare del nord per compiere
scorribande e razzie. Crudeli e spietati, i vichinghi saccheggiavano città e
villaggi, uccidevano indiscriminatamente uomini, donne, vecchi e bambini,
profanavano le chiese e poi scomparivano rapidamente. Erano dei grandi
navigatori (si spinsero sino alla Groenlandia e quasi certamente toccarono
le sponde americane prima di Cristoforo Colombo) ma non dei conquistatori:
non avevano infatti lo scopo di sottomettere altri popoli o di occupare
territori sui quali insediarsi stabilmente, ma solo quello di depredare il
nemico e ritornare in patria con un ricco bottino.
Le incursioni vichinghe tormentarono le coste inglesi e francesi per almeno
tre secoli. Nel 911 il re di Francia, Carlo il Semplice, non sapendo come
far fronte a questo flagello, cedette le terre settentrionali del suo Paese
ad un capo vichingo chiamato Rollone, sperando così di placare la furia dei
suoi nemici. I vichinghi insediati nella regione, abbandonando le loro
credenze pagane, si convertirono al cristianesimo ed iniziarono a parlare il
francese. Da questo momento inizia la storia dei normanni.
Seppur profondamente diversi dai loro antenati vichinghi per molti aspetti,
i normanni non persero il loro spirito guerriero: nel 1066 attraversarono la
Manica guidati dal duca Guglielmo e sbarcarono in Inghilterra. Qui, nella
celebre battaglia di Hastings, sconfissero l'esercito di re Aroldo e
conquistarono l'isola. Guglielmo, da allora noto come il Conquistatore, fu
incoronato re d'Inghilterra nell'abbazia di Westminster. Il successo fu
certamente dovuto alla straordinaria abilità dei cavalieri normanni, a
quell'epoca sicuramente tra i più forti d'Europa. In Inghilterra i normanni
introdussero diversi vocaboli di origine francese, cioè neolatina: è per
questo motivo che alcuni termini inglesi assomigliano all'italiano.
I valenti soldati normanni erano molto richiesti in tutta Europa come
mercenari. Fu così che i primi normanni approdarono, nell'XI secolo, in
Italia. Nel 1030 Rainolfo, dopo aver prestato servizio come mercenario,
riuscì con la sua banda a conquistare la fortezza di Aversa. Era nato il
primo stato normanno in Italia. Sempre più normanni arrivavano nella nostra
penisola in cerca d'avventura. Tra questi c'erano i cinque figli di Tancredi
d'Altavilla. Tre di loro si resero protagonisti di grandi imprese.
A quell'epoca l'Italia era divisa: il Nord faceva parte del Sacro Romano
Impero, al Centro c'era lo Stato della Chiesa. Al Sud la situazione era
ancora più complessa. Nell'interno c'era il longobardo Principato di
Benevento. Sulle coste permanevano i residui domini bizantini, mentre la
Sicilia era dominata dai saraceni.
Un figlio di Tancredi d'Altavilla, Guglielmo, conquistò la Puglia. Un altro
figlio, Roberto il Guiscardo, dopo aver fatto il ladro di bestiame per
alcuni anni, sconfisse i bizantini e, nel 1059, divenne duca di Puglia e
Calabria. Subito dopo, aiutato dal fratello Ruggero, combattè contro i
saraceni e, a seguito di una lunga guerra durata trent'anni, conquistò la
Sicilia. I normanni avevano così un nuovo stato che comprendeva tutta
l'Italia meridionale, con capitale a Palermo. Nel 1130 Ruggero II, figlio di
Ruggero, fu incoronato re. Il figlio di Roberto il Guiscardo, Boemondo il
Gigante, prese parte alla prima crociata e conquistò Antiochia. In questa
città asiatica nacque un piccolo principato in cui regnarono per anni gli
eredi di Boemondo.
Lo stato normanno in Italia meridionale fu uno dei più fiorenti e potenti
d'Europa. Governarlo non era affatto cosa semplice, perchè la popolazione
era molto eterogenea, ma i re normanni, dimostrandosi oltre che valenti
soldati anche ottimi governanti, riuscirono a far convivere cattolici,
musulmani e ortodossi. Scrisse un viaggiatore arabo di Palermo: "E' la più
vasta e la più bella metropoli del mondo, la città di tutte le eleganze,
della quale non si finirebbe mai di enumerare gli incanti".
I normanni furono anche dei grandi costruttori. In Inghilterra, Italia e
Normandia hanno lasciato chiese, cattedrali e castelli, opere che possiamo
tutt'oggi ammirare: celebri sono il duomo di Monreale e il Palazzo dei
Normanni a Palermo. I Normanni non crearono un proprio stile architettonico,
ma rielaborarono e combinarono sapientemente elementi arabi, bizantini e
romani.
La società normanna era di tipo feudale: al vertice c'era il re, poi
venivano i nobili e i vescovi, quindi i coltivatori liberi ed infine i servi
della gleba. I più ricchi vivevano in case in muratura, i più poveri in
capanne di legno e fango. Il passatempo preferito dai nobili era la caccia,
ma anche la musica e il gioco (erano molto diffusi i dadi e un gioco simile
agli scacchi) erano molto graditi. Scrive uno storico dell'XI secolo: "Le
armi e i cavalli, il lusso nel vestire, gli esercizi della caccia in genere
e della caccia col falco, sono la delizia dei normanni; ma in caso di
necessità sono capaci di sopportare con incredibile pazienza ogni inclemenza
del clima e le fatiche e le privazioni della vita militare".
Ovunque vissero, i normanni si integrarono perfettamente con le popolazioni
locali, spesso assumendone gli usi, parlando la lingua locale e sposando
donne del posto. Si comprende così come finirono col fondersi con altri
popoli e perdere ogni elemento di differenziazione. Ad un certo punto ben
poco a parte l'origine legava i vari normanni d'Europa. La civiltà normanna
scomparve, o per meglio dire si mescolò con altre culture, senza clamore. Il
dominio normanno sul Nord della Francia terminò nel 1204, con la conquista
della regione da parte dei francesi, regione che però tuttora si chiama
Normandia.
In Italia l'ultima discendente della dinastia d'Altavilla, Costanza, sposò
un principe tedesco; dalla loro unione nacque un figlio, il celebre Federico
II di Svevia. Federico II fu un grandissimo sovrano, che dalla parte di
madre ereditò il regno normanno e dal padre il titolo di Imperatore
germanico. Nelle sue vene scorreva quindi per metà sangue normanno e per
metà sangue tedesco, ma Federico II sentiva maggiormente le sue origini
normanne e stabilì la sua corte a Palermo, corte che divenne il faro della
cultura dell'epoca.
La fine dei Templari arrivò improvvisamente. Il loro enorme potere politico
ed economico iniziava ad essere visto con sospetto in Europa, in particolare
in Francia, dove l'Ordine era potentissimo. La Chiesa non sembrava più
disponibile ad offrire loro protezione. Il 13 ottobre 1307 il re di Francia,
Filippo IV, ordinò l'arresto in massa di tutti i Templari presenti in terra
francese, compreso il Maestro Jacques de Molay, e la confisca dei loro
beni, rivolgendo loro queste accuse:
"I frati dell'ordine della milizia del Tempio, lupi nascosti sotto un
aspetto da agnello e sotto l'abito dell'ordine, insultando in modo
sciagurato la religione della nostra fede, sono accusati di rinnegare il
Cristo, di sputare sulla croce, di lasciarsi andare ad atti osceni al
momento dell'ammissione all'ordine: essi si impegnano con il voto che
proferiscono, e senza timore di contravvenire alla legge umana, a darsi
l'uno all'altro, senza rifiutarsi, se vengono richiesti..."
I Templari furono accusati di blasfemia, idolatria, eresia, sodomia: si
imputava loro di adorare un idolo chiamato Baphomet. Dietro queste accuse
infami si celava lo scopo del re di Francia di incamerare i beni dell'Ordine
per far fronte alla grave crisi economica in cui versava il Paese e di
eliminare un potere considerato pericoloso per la monarchia.
I Templari arrestati furono sottoposti a processo e barbaramente torturati
per estorcere loro delle confessioni. Nel 1312 il papa francese Clemente V,
molto vicino a Filippo IV, nel Concilio di Vienne, dispose la soppressione
dell'Ordine. Due anni più tardi, venivano condannati al rogo il Maestro e
altri Templari che avevano ritrattato le loro confessioni estorte con la
tortura.
La leggenda
Sembra che il Maestro, prima di essere bruciato sul rogo, avesse maledetto i
suoi carnefici. Clemente V e Filippo IV morirono entrambi nel giro di pochi
mesi. Si diffuse così la leggenda della maledizione dei Templari. Ma questo
non è che uno dei tanti misteri associati all'Ordine. Vi è chi sostiene che
sia da qualche parte nascosto il tesoro dei Templari, costituito dal Sacro
Graal, dall'Arca dell'Alleanza, dalla Croce di Cristo, nonché da altre
relique sacre e ingentissime ricchezze. Qualcuno afferma addirittura, sulla
base di alcune osservazioni, che i Templari avessero scoperto l'America due
secoli prima di Colombo: i Templari avevano allestito una grande flotta in
un porto bretone, cosa insolita perché le rotte commerciali erano racchiuse
nel Mediterraneo; le caravelle di Colombo avevano vele bianche con una
croce rossa, il grande esploratore poteva aver basato le sue certezze sulla
conoscenza dell'esperienza segreta dei Templari. Un altro mistero riguarda
la presunta attribuzione ai Templari di segrete conoscenze architettoniche,
il che consentirebbe di spiegare come siano d'improvviso potute sorgere le
maestose cattedrali gotiche, che rappresentano un esempio di una maestria
architettonica che stupisce tuttora. Cattedrali che si inserirebbero in un
complesso quadro esoterico: tutte rivolte verso est, unite insieme
formerebbero la costellazione della Vergine Maria. Secondo altre leggende,
tutte collegate all'esoterismo, i Templari avrebbero esercitato l'alchimia,
avrebbero posseduto la Sindone, avrebbero edificato Castel del Monte. E la
loro attività sarebbe continuata in segreto anche dopo il Concilio di
Vienne.
I FRANCHI E L'EPOPEA CAROLINGIA
I Franchi costituirono il più potente e duraturo regno barbarico del
Medioevo. Essi erano originariamente divisi in due ceppi: i Franchi Ripuari,
che vivevano presso le rive del fiume Reno, e i Franchi Salii, così chiamati
perché erano insediati nei pressi del fiume Sala, nell'attuale Olanda. A
partire dal IV secolo d.C. i Franchi, il cui nome significa "uomini liberi",
iniziarono a penetrare nel territorio della Gallia romana.
Nel 481 Clodoveo, della dinastia dei Merovingi (dal capostipite Meroveo),
divenne re dei Franchi Salii. Egli può essere considerato come il fondatore
del regno franco. Clodoveo intraprese guerre vittoriose contro tutti i regni
vicini: sconfisse dapprima il romano Siagro (488), poi i Burgundi (500), gli
Alemanni (506), i Visigoti (507), conquistando infine anche il regno dei
Franchi Ripuari. Clodoveo era così riuscito a creare un vasto regno nel
cuore dell'Europa. Egli è ricordato anche per essere stato il primo re
barbaro a convertirsi al cattolicesimo.
Dopo la morte di Clodoveo (511) i Merovingi continuarono a regnare sui
Franchi, ma l'incapacità per la dinastia di esprimere altri personaggi di
spicco determinò il progressivo indebolimento del regno franco.
L'inettitudine dei sovrani merovingi divenne celebre, tanto che essi si
meritarono l'appellativo di "re fannulloni". L'autorità regia andava
gradualmente svuotandosi, mentre specularmente si rafforzava la posizione
del maggiordomo o "maestro di palazzo", una sorta di primo ministro che si
occupava dell'amministrazione del territorio. Ad un certo punto quasi tutti
i poteri si concentravano nelle mani del maestro di palazzo, restando al re
un ruolo puramente formale ed un potere sostanzialmente platonico.
La carica di maestro di palazzo divenne ereditaria, appannaggio della
dinastia dei Pipinidi (dal nome del suo fondatore, Pipino di Heristal). Il
primo maestro di palazzo che salì alla ribalta della storia fu Carlo
Martello. Nel 732 egli sconfisse i Saraceni nella celebre battaglia di
Poitiers, impedendo così l'avanzata islamica in Europa. Il successore di
Carlo Martello, Pipino il Breve, deposto l'ultimo sovrano merovingio, si
proclamò re dei Franchi (751).
Pipino il Breve, invocato dal Papa, scese in Italia e sconfisse i Longobardi
che volevano conquistare Roma. Pipino donò i territori dell'Italia centrale
al Papa (756). Nasceva lo Stato della Chiesa.
Alla morte di Pipino il regno franco fu spartito tra i suoi figli, Carlo
(che sarà poi noto come "Carlo Magno") e Carlomanno. La morte di Carlomanno
fece sì che Carlo Magno diventasse sovrano dell'intero regno. Su invito del
Papa, nel 774 Carlo Magno discese in Italia e sconfisse i Longobardi che
avevano nuovamente minacciato Roma; le regioni centro-settentrionali della
penisola furono annesse al regno franco. Carlo Magno condusse altre
vittoriose campagne militari contro i Sassoni (che furono convertiti al
cattolicesimo), gli Avari e i Saraceni. Il regno franco si estendeva ormai
dai Pirenei all'Europa centrale, dal Mare del Nord alla Toscana. Carlo Magno
poteva considerarsi come il sovrano indiscusso dell'Occidente. Il 25
dicembre dell'anno 800, il re franco fu incoronato imperatore a Roma da papa
Leone III. Nasceva il Sacro Romano Impero, con capitale ad Aquisgrana.
L'incoronazione di Carlo Magno
Un così vasto territorio era difficilmente governabile. Carlo Magno pensò di
suddividerlo in territori più piccoli, i "feudi". A capo di ciascun feudo
pose un suo dignitario di fiducia, il feudatario o vassallo, che aveva la
funzione di rappresentare l'imperatore e amministrare il territorio locale,
riscuotendo i tributi e comandando il piccolo esercito del luogo.
Sull'operato dei vassalli vigilavano i "missi dominici", inviati
dall'imperatore. A loro volta i feudatari potevano suddividere il loro feudo
affidandone porzioni di territorio a persone di fiducia, e così via. Nasceva
il sistema feudale.
Durante il regno di Carlo Magno si produssero profonde innovazioni anche nel
campo della cultura, tanto che il periodo è stato designato come
"rinascimento carolingio". L'imperatore promosse l'alfabetizzazione e
l'istruzione ordinando l'istituzione di scuole nei monasteri e nelle
cattedrali. L'Accademia Paladina, nella quale insegnarono gli uomini più
dotti dell'epoca - Alcuino, Eginardo, Paolo Diacono - divenne il faro della
cultura carolingia.
Finché Carlo Magno fu in vita, egli riuscì a tenere saldamente sotto
controllo il territorio del Sacro Romano Impero. Ma alla sua morte (814)
l'Impero fu conteso e diviso tra i suoi tre figli, mentre il potere centrale
andava progressivamente indebolendosi a vantaggio dei feudatari. L'ultimo
esponente della dinastia carolingia, Carlo il Grosso, fu deposto nell'887. I
territori occidentali dell'Impero avrebbero costituito il nucleo della
Francia, mentre il Sacro Romano Impero, la cui anima era ormai
esclusivamente germanica, sarebbe stato protagonista della storia europea,
tra alterne vicende, sino al 1806.
I LONGOBARDI
Nel 568 l'Italia fu invasa dai Longobardi. Erano costoro dei barbari
originari della Scandinavia, ferocissimi e implacabili guerrieri dalla forza
distruttiva. L'etimologia del loro nome è incerta: qualcuno sostiene che
esso derivasse da "Longobardiz" (guerrieri che attraversano il mare) altri
credono che fossero così chiamati per via delle lunghe barbe (Longbarte) che
erano soliti portare, o per la lunga lancia (alabarda) che essi usavano in
guerra.
Quando i Longobardi, guidati dal re Alboino, invasero la penisola, l'Italia
era sotto il controllo dell'Impero d'Oriente. Dopo l'invasione l'Italia
rimase divisa in due: una parte (Piemonte, Lombardia, Veneto, Trentino,
Friuli, Emilia, Toscana, Abruzzo, l'interno della Campania e della
Basilicata) fu occupata dai Longobardi, l'altra rimase sotto il dominio
bizantino. L'Italia perdeva così la sua unità politica, che avrebbe
riacquistato solo 1300 anni dopo.
La capitale del regno longobardo fu prima a Verona e poi a Pavia. Il
territorio era diviso in ducati, a capo del quale c'era un duca. Alcuni
duchi, come quelli del Friuli, di Spoleto e di Benevento, erano molto
potenti e talvolta insofferenti all'autorità regia; i rapporti tra il re e i
duchi era spesso segnato da conflitti, congiure, tradimenti.
La dominazione longobarda fu, inizialmente, crudele e oppressiva. I vecchi
abitanti della penisola furono ridotti in una condizione servile o
para-servile, i terreni furono espropriati, le leggi germaniche presero il
posto delle leggi romane. Al vertice della gerarchia sociale c'erano gli
arimanni, i guerrieri che costituivano l'esercito e facevano parte della
assemblea popolare, preposta ad eleggere il re e ad assistirlo nelle
decisioni più importanti. Venivano poi i gli altri Longobardi, unici che
potessero considerarsi "uomini liberi" e che detenevano la maggior parte
della proprietà terriera. Alla base della piramide sociale erano i Latini,
considerati "semi-liberi" o "non liberi". Con il tempo le differenze tra
Longobardi e Latini si attenuarono e i Latini riuscirono addirittura a
rivestire cariche di rilievo.
Anticamente pagani, i Longobardi si erano poi convertiti all'arianesimo.
Essi perseguitarono i cattolici, bruciarono le chiese, confiscarono i beni
agli ecclesiastici. Solo da quando divenne regina la cattolica Teodolinda
(591) l'atteggiamento dei Longobardi verso i cattolici si fece
progressivamente più mite; sotto l'impulso di Papa Gregorio Magno (590-604)
la regina decise infatti di convertire il suo popolo al cattolicesimo. La
conversione fu piuttosto lenta, e per anni la popolazione longobarda fu
divisa tra ariani e cattolici, fino alla prevalenza di questi ultimi. Dopo
la conversione, i Longobardi eressero molte chiese, che possiamo ancora oggi
ammirare: celebre la chiesa di San Pietro in Ciel d'Oro a Pavia, costruita
da Liutprando, che ospita le reliquie di Sant'Agostino
.
A sinistra: croce di Agilulfo; a destra: fibula longobarda
Il più grande re longobardo del VII secolo fu certamente Rotari (636-652).
Egli emanò il celebre Editto che porta il suo nome, nel quale raccolse tutte
le leggi civili e penali, codificando il diritto consuetudinario longobardo,
aprendolo però all'influenza del cristianesimo e del diritto romano. Rotari
sostituì la faida, una forma di vendetta personale, con il guidrigildo,
basato sul principio del risarcimento pecuniario dell'offesa. I delitti più
gravi erano sanzionati con pene corporali o con la pena di morte.
Nel 712 fu eletto re Liutprando, probabilmente il più grande sovrano
longobardo. Egli modificò l'Editto di Rotari aggiungendo nuove leggi e
combatté vittoriosamente contro i Bizantini, sottraendo loro dei territori.
Il tentativo di unificare l'Italia sotto lo scettro longobardo fu continuato
da Astolfo (749-756), che riuscì a conquistare la più importante roccaforte
bizantina, Ravenna. Ma quando egli tentò di conquistare anche Roma, il Papa
invocò il soccorso del re dei Franchi, Pipino il Breve, che sconfisse i
Longobardi (756). L'ultimo re dei Longobardi, Desiderio, cercò di stringere
un'allenza con i temuti Franchi, dando in sposa sua figlia Ermengarda al re
franco Carlo Magno. Quando però Desiderio sottrasse alcuni territori al Papa
questi chiamò nuovamente in aiuto i Franchi; Carlo Magno ripudiò Ermengarda,
discese in Italia e, con la complicità di alcuni duchi traditori, sconfisse
l'esercito longobardo (773). Il figlio di Desiderio, Adelchi, fuggì a
Bisanzio, da dove ritornò in Italia con un nuovo esercito: ma fu sconfitto e
ucciso in battaglia dai Franchi. Sedate le ultime ribellioni dei duchi,
Carlo Magno consolidò il dominio franco in Italia.
La corona di Teodolinda, conservata nel Tesoro del Duomo di Monza
Cosa è rimasto della dominazione longobarda in Italia? Innanzi tutto, molte
opere d'arte: alcuni importanti monumenti, come l'Altare del duca Rachis e
il Battistero di Callisto, sono conservati nel Duomo di Cividale; sempre a
Cividale, nel Museo Archeologico, sono conservati molti prodotti dell'arte e
dell'artigianato longobardi. Nel Duomo di Monza si possono ammirare la
Corona ferrea di Teodolinda e la splendida croce pettorale di Berengario.
Altri reperti dell'epoca longobarda sono sparsi per l'intera penisola. Ai
Longobardi dobbiamo il nome della regione Lombardia (da Longobardia), alcuni
nomi di città (come Sala e Gualdo), di persona (Corrado, Aldo, Federico) e
parole entrate nella lingua italiana, come bosco, sala, stamberga, graffio,
trappola, zaino, spada, maresciallo.
I Mongoli
La storia
Intorno all'anno Mille, le steppe dell'Asia centrale sono abitate da tribù
nomadi o seminomadi di pastori. Essi vivono al riparo di tende, si muovono a
cavallo, vestono con pelli di animali e si nutrono di carne, di latticini e
di bevande fermentate. Si spostano continuamente in cerca di nuovi pascoli e
per compiere razzie.
Al principio del XIII secolo, si affaccia prepotentemente sulla scena
mondiale la titanica figura di Gengis Khan, il cui appellativo significa
"sovrano oceanico, universale". Egli riunisce sotto il proprio scettro tutte
le genti mongole e le guida verso ovest alla conquista del mondo. Le orde
mongole conquistano la Cina settentrionale (1212) poi si espandono verso la
Russia e la Persia: nel 1223 i Mongoli sconfiggono i principi russi sul
fiume Kalba.
La conquista è proseguita dal figlio di Gengis Khan, Ogodai (1227-1241).
Conquistate la Persia e la Corea, l'ondata mongola travolge la Russia,
espugnando Mosca (1238) e Kiev (1240); un anno dopo, la sua furia si abbatte
sull'Europa. Distrutta Cracovia, e massacrati i suoi abitanti (1241) i
Mongoli invadono la Slesia, ma qui sono respinti dalla strenua resistenza
opposta da un esercito formato da cavalieri teutonici, templari e polacchi;
assalgono allora l'Ungheria e la Croazia, giungendo a lambire le sponde
dell'Adriatico. Solo l'improvvisa morte di Ogodai (1241), che induce i
Mongoli a ritirarsi, salva l'Europa da un ineluttabile sfacelo.
Ovunque i Mongoli seminano morte e distruzione. Spietati massacratori,
devastano, uccidono, saccheggiano, stuprano. La loro arma più efficace è il
terrore che sono capaci di suscitare con il loro terribile aspetto, con la
fama delle loro azioni atroci, con il loro insopportabile fetore. Ma le loro
vittorie sono principalmente dovute alla loro abilità di guerrieri e alla
loro originale arte bellica. Formidabili arcieri a cavallo, attaccano
improvvisamente e poi velocemente scompaiono; racconta Marco Polo che la
loro tecnica principale consiste nel ritirarsi e farsi inseguire, per poi
voltarsi inaspettatamente per attaccare il nemico spossato; i loro cavalli
sono addestrati per cambiare rapidamente direzione, voltandosi "qua e là
come farebbe un cane".
La morte di Ogodai non arresta l'impeto dei Mongoli. I suoi successori
sottomettono i Turchi selgiuchidi (1243); nel 1258 conquistano Baghdad,
capitale dell'impero islamico. La spinta espansionistica si è mai esaurita,
ma i Mongoli dominano l'impero più grande della storia, che si estende dai
Balcani al Mar Giallo, dal Golfo Persico alla Siberia.
Per circa un secolo il dominio mongolo conferisce unità e stabilità al
continente asiatico; placata la furia distruttrice, inizia il periodo della
cosiddetta pax mongolica. Si sviluppano i commerci tra Occidente e Oriente.
In prima fila è Venezia: un mercante veneziano, Marco Polo, soggiorna per
anni in Cina, descrivendone con dovizia di particolari le usanze nella sua
celebre opera, il Milione.
Inizialmente sciamanisti, cioè dediti a pratiche di stregoneria e magia,
falliti i tentativi di convertirli al cristianesimo da parte dei missionari
europei, i Mongoli si convertono alla religione islamica e buddhista.
La pax mongolica si dimostra effimera, allorché compare sulla scena un nuovo
capo carismatico, Tamerlano, che intende emulare le gesta di Gengis Khan.
Tra il 1364 e il 1370 egli conquista l'intera Transoxania; invade poi Iran,
Mesopotamia, Armenia e Georgia e compie ripetute incursioni in Russia e
Lituania. Nel 1389-95 attacca il khanato dell'Orda d'Oro, nel 1398 invade
l'India, occupando Delhi e massacrandone gli abitanti. Nel 1401 sottrae la
Siria ai Mamelucchi, saccheggia Damasco e devasta Baghdad. L'anno successivo
piega il sultano ottomano Bayazid I. Muore nel 1405 mentre pianifica
l'invasione della Cina. I suoi discendenti, i Timuridi, avrebbero governato
l'Iran e la Transoxania fino agli inizi del XVI secolo; uno di essi, Babur,
nel 1526 avrebbe fondato la potente dinastia indiana dei Moghul destinata a
regnare fino al 1858.
Il mito
Nell'immaginario dell'Europa cristiana i Mongoli assumono i connotati
diabolici di Gog e Magog, le nazioni dell'Anticristo. Magog è citato per la
prima volta in Genesi, 10, 2 tra i figli
di Iafet. Ricompare poi come toponimo, accoppiato a Gog, in Ezechiele,
38-39, dove i due nomi sono impiegati per designare i popoli selvaggi di
Settentrione chiamati a eseguire la giustizia divina ma destinati infine ad
essere sconfitti e annientati. In Apocalisse, 20, 7-10 il binomio indica le
tribù devastatrici sedotte da Satana che allo scadere del millennio
dilagheranno furiose dai quattro canti della terra stringendo d'assedio la
città santa e l'accampamento dei santi.
D'altra parte, i popoli maledetti delle Scritture presentano tratti che si
attagliano perfettamente ai barbari delle steppe: i nemici di Israele
vengono dagli estremi quadranti settentrionali e procedono a cavallo, armati
di archi e frecce. Scrive Ezechiele: "et venies de loco tuo a lateribus
aquilonis tu et populi multi tecum ascensores equorum universi coetus magnus
et exercitus vehemens" (38, 15); "et percutiam arcum tuum in manu sinistra
tua et sagittas tuas de manu dextera tua deiciam" (39, 3).
I Mongoli sono descritti dagli autori delle cronache dell'epoca come una
stirpe maledetta di fetidi demoni antropofagi vomitati dalle viscere
infernali. Il loro numero è infinito. Per Giovanni le orde di Gog e Magog
sono numerose sicut harena maris (Apocalisse, 20, 7); nei Chronica majora di
Matteo di Parigi, a proposito dell'orda mongola, si parla di exercitus
infinitus. Gli autori occidentali insistono sulla crudeltà animalesca dei
Mongoli. Scrive Ivo di Narbona che i Mongoli "si cibavano di carne umana,
come se fosse un piatto squisito e consideravano una vera e propria
leccornia i seni delle ragazze". Per Matteo di Parigi si tratta di "esseri
umani che assomigliano a bestie e si devono chiamare piuttosto mostri che
uomini, che hanno sete di sangue e ne bevono; che cercano e divorano la
carne dei cani e persino la carne umana". Poiché paiono esseri terrificanti,
gli Europei li chiamano spesso Tartari, che evoca scenari infernali e
demoniaci perché il Tartaro è il luogo più profondo dell'Inferno. "Se i
Tartari verranno, noi li ricacceremo in quel Tartaro dal quale sono venuti",
afferma un sovrano francese; gli fa eco Matteo di Parigi: "exeuntes ad
instar daemonum solutorum a Tartaro, ut bene Tartari, quasi tartarei,
nuncupentur".
La Falconeria
Le origini della falconeria si perdono nella notte dei tempi. L'esistenza
della tecnica di cacciare col falcone è accertata nell'antichità, in Cina,
Egitto e Mesopotamia; nell'antica Roma, certamente nota, non conobbe però
una vasta diffusione.
Sin dall'Alto Medioevo la falconeria è praticata: un editto del VI secolo
d.C. vieta agli ecclesiastici di esercitarla. Tre secoli dopo, Carlo Magno
punisce con una multa chi ruba un falco addestrato. La falconeria è molto
apprezzata presso gli arabi, per mezzo dei quali avviene l'incontro tra la
tradizione asiatica e la tradizione europea.
Per merito di Federico II di Svevia (1194-1250) la falconeria diviene
oggetto di uno studio scientifico. Il grande imperatore redige un trattato
approfondito, il "De arte venandi cum avibus", nel quale, dopo aver
attentamente descritto le abitudini e le capacità dei rapaci, espone le
tecniche di addestramento.
Nei secoli successivi la falconeria diviene una passione e una moda. Si
diffonde non solo presso gli aristocratici, ma anche presso le classi più
umili. Il rapace è indicativo dello status sociale: gli uccelli più belli e
più abili sono più rari e costosi. Da un testo del Quattrocento apprendiamo
che l'Aquila reale è riservata all'Imperatore, il Girifalco al Re, il Falco
Pellegrino femmina ai Principi, a Duchi, e Conti. Il Falco Pellegrino
maschio, più piccolo, ai Baroni; il Falco sacro al cavaliere, il Falco
lanario al Nobile di campagna; ; il Lodaiolo ai paggi. Anche le donne si
avvicinano alla falconeria, attratte più dalla bellezza dei rapaci che da
un'autentica passione per la caccia. Appannaggio della Dama è lo Smeriglio,
un falco piccolo ed elegante che può essere tenuto in pugno senza fatica. I
rapaci meno pregiati, come l'Astore e lo Sparviere, sono destinati alle
classi sociali inferiori.
Nella Divina Commedia, Dante fa più volte riferimento al falcone e alla
falconeria:
"quale il falcon che prima à pié' il mira
indi si volge al grido e si protende
per lo desio del pasto che là il tira"
(Purgatorio, XIX, 64-66)
"come il falcon, ch'è stato assai sull'ali
che senza veder logoro od uccello
fa dire al falconiere: oimé tu cali,
discend basso onde si mosse snello
per cento ruote e da lungi si pone
del suo maestro disdegnoso e fello"
(Inferno, XVII, 127-132)
"Quasi falcone ch'esce del cappello,
move la testa e con l'ali si plaude,
voglia mostrando e faccendosi bello"
(Paradiso, XIX, 34-36)
Leggiamo nel Decameron di Giovanni Boccaccio:
"Federigo degli Alberighi ama e non è amato, ed in cortesia spendendo, si
consuma; e rimagli un sol falcone, il quale, non avendo altro, dà a mangiare
alla sua donna venutagli a casa; la qual ciò sappiendo, mutata d'animo, il
prende per marito e fallo ricco".
Giustiniano
Imperatoriam maiestatem non solum armis decoratam, sed etiam legibus oportet
esse armatam, ut utrumque tempus et bellorum et pacis recte possit gubernari
et princeps Romanus victor existat non solum in hostilibus proeliis, sed
etiam per legitimos tramites calumniantium iniquitates expellens, et fiat
tam iuris religiosissimus quam victis hostibus triumphator. Quorum utramque
viam cum summis vigiliis et summa providentia adnuente deo perfecimus et
bellicos quidem sudores nostros barbaricae gentes sub iuga nostra deductae
cognoscunt et tam Africa quam aliae innumerosae provinciae post tanta
temporum spatia nostris victoriis a caelesti numine praestitis iterum
dicioni Romanae nostroque additae imperio protestantur. Omnes vero populi
legibus iam a nobis vel promulgatis vel compositis reguntur.
E' necessario che la maestà imperiale sia adornata di armi, ma anche armata
di leggi, cosicchè entrambi i periodi, di guerra e di pace, possano essere
ben governati e l'imperatore romano risulti vincitore non solo nelle
battaglie contro il nemico, ma anche respinga l'iniquità dei cavillatori
mediante il ricorso agli strumenti del diritto, e sia tanto rispettosissimo
del diritto quanto trionfatore sul nemico vinto. Col favore di Dio,
percorremmo l'una e l'altra strada con grandissima attività e saggezza, e le
genti barbare condotte sotto il nostro dominio conoscono per certo la nostra
capacità guerriera e tanto l'Africa quanto altre innumerevoli province, dopo
tanto tempo, per via delle nostre vittorie conseguite con l'aiuto del cielo,
di nuovo si dichiarano soggette al dominio romano e al nostro potere. Invero
ormai tutti i popoli sono retti dalle leggi da noi promulgate o sistemate.
CONSTITUTIO IMPERATORIAM, Costantinopoli, 21 novembre 533
Giustiniano nacque a Tauresium, in Macedonia, nel 486, da una famiglia di
pastori, ma compì i suoi studi di diritto e teologia a Costantinopoli. Suo
zio Giustino, divenuto imperatore in modo fortunoso, lo associò al trono nel
527. Alla morte di Giustino, avvenuta lo stesso anno, Giustiniano si ritrovò
a regnare da solo sull'Impero d'Oriente. Sempre nel 527 Giustiniano sposò
Teodora, personalità forte, che avrebbe avuto grande influenza sulle scelte
del sovrano.
Nel 528 Giustiniano incaricò una commissione, composta dai migliori
professori, avvocati e giuristi dell'epoca, presieduta dal magister
officiorum Triboniano, di compilare un nuovo codice del diritto vigente che
sostitutisse i precedenti. Frutto di un lavoro di eccezionale celerità,
l'anno
successivo vedeva la luce il Novus Codex. Il passo successivo fu quello
della raccolta sistematica dell'antico sapere giuridico. Una nuova
commissione, sempre presieduta da Triboniano, fu incaricata di ricomporre,
come in un mosaico, i frammenti degli iura, cioè gli scritti degli antichi
giureconsulti.
Il grandioso progetto rischiò di andare in rovina, allorché, nel 532
scoppiò a Costantinopoli una rivolta guidata dalle fazioni oppositrici dei
Verdi e degli Azzurri: la rivolta di Nika (da nikan, vincere), il grido che
lanciavano gli insorti. La rivolta fu repressa nel sangue.
L'anno successivo la ciclopica opera di ricomposizione degli iura (50 libri)
fu ultimata e prese il nome di Digesto (Pandette in greco). Sempre nel 533
furono pubblicate le Institutiones, opera in quattro libri a scopo didattico
ma con valore normativo. Nel 534 la compilazione giustinianea arrivava a
compimento con la pubblicazione di una nuova edizione del Codice (Codex
repetitae praelectionis).
Il più ambizioso sogno di Giustiniano era quello di restaurare la grandezza
dell'antico Impero Romano, riconquistando i territori d'Occidente, in mano
ai barbari. Il comando delle forze armate fu affidato a un generale di nome
Belisario. Nel 534, con la fulminea vittoria sui Vandali, fu riconquistata
l'Africa
nord-occidentale. Il dominio imperiale sull'Italia fu invece ristabilito
solamente dopo la ventennale guerra contro i Goti (535-555), che ridusse
allo stremo la penisola. Nel 554, con la pragmatica sanctio, la compilazione
giustinianea fu estesa all'Italia. Sul lato orientale, l'Impero dovette
fronteggiare gli attacchi persiani in Asia le incursioni dei barbari nei
Balcani.
In quegli anni falliva il progetto di unificazione religiosa e di lotta alle
eresie perseguito dall'Imperatore, le cui intromissioni nel campo della
teologia aggravarono anzi le lacerazioni interne al mondo cristiano.
Durante il regno di Giustiniano, Costantinopoli fu colpita dalla peste e per
due volte dal terremoto (542 e 557). Il secondo terremoto provocò la
distruzione della basilica di Santa Sofia, fatta erigere da Giustiniano e
successivamente ricostruita.
L'imperatore morì nel 565. Le riconquiste militari si dimostrano effimere:
tre anni dopo, l'Italia fu invasa dai Longobardi; nel secolo successivo,
l'Africa
fu occupata dagli Arabi. Più lunga vita e miglior sorte ebbe la
compilazione giustinianea che costituì la base del diritto comune e il punto
di riferimento per i giuristi di tutte le epoche; di essa gli ordinamenti
giuridici moderni sono ancora in grande misura debitori.
I giudizi storici su Giustiniano sono discordanti: vi è chi lo proclama uno
dei più grandi imperatori romani di tutti i tempi, chi lo accusa di aver
compromesso la sicurezza e dissestato le finanze dell'Impero in nome della
sua mania di grandezza. Dante lo colloca nel Paradiso, tra gli spiriti
attivi:
Cesare fui e son Giustiniano,
che, per voler del primo amor ch'i' sento,
d'entro le leggi trassi il troppo e'l vano
(Paradiso, canto VI, 10-12)
Opposto a quello dantesco è il giudizio dello storico Evagrio Scolastico (VI
sec. d.C.): "Giustiniano, avendo riempito il mondo di sconvolgimenti e per
questo avendo ricevuto adeguata ricompensa verso la fine della vita, emigrò
verso i luoghi di pena dell'Inferno" (Historiae ecclesiasticae).
IL SISTEMA FEUDALE
I) E' la forma del governo medievale, per la quale il re o l'imperatore o un
grande proprietario terriero, organizza il lavoro dei suoi sudditi (servi
della gleba soprattutto) attraverso una gerarchia di persone (vassalli) che
vengono compensate non mediante denaro ma mediante la concessione di terre
(beneficio). Quando col decadere dell'autorità regia o imperiale, il
beneficio da vitalizio diventa ereditario, e al godimento delle rendite
delle terre si aggiunge l'esenzione delle imposte (immunità) e il diritto di
esercitare pubbliche funzioni (giurisdizione) si ha il feudo vero e proprio.
L'atto con cui un sovrano o un signore dà in investitura un feudo, è detto
omaggio, in quanto il vassallo gli giura fedeltà, sottoponendosi a
determinati obblighi, primo fra tutti il servizio militare a cavallo. La
terra, mezzo principale di produzione feudale, era di proprietà dei
feudatari. La terra veniva suddivisa dal nobile in appezzamenti dati in uso
perpetuo ai singoli contadini, i quali disponevano di tutti i mezzi
necessari per lavorarla.
II) La società feudale. Si presenta sotto l'aspetto di una grande piramide
con al vertice il re, al centro i feudatari e alla base i servi della gleba.
La classe dei feudatari possiede la terra in proprietà ed esercita il
comando politico-militare, sostituendosi alle funzioni dello Stato. Il
nobile amministra la giustizia per tutti gli abitanti del villaggio e quindi
realizza un supplemento di entrate extra-agricole; obbliga il villaggio a
servirsi dei suoi mulini, forni, taverne... vietando qualunque forma di
concorrenza; impone tasse sull'attività di scambio, pedaggi sulle strade e
ponti; esige prestazioni di lavoro e imposte ordinarie e straordinarie. In
queste condizioni il ricambio sociale, l'ascesa di gruppi sociali e di
individui è assai difficile e lenta. Fanno eccezione i funzionari dipendenti
dal signore, addetti alle gestione dei domini, all'amministrazione della
giustizia, all'ordine pubblico, al reclutamento.
III) Nei primi secoli dell'Alto Medioevo (476-1000 d.C.) la vita economica
dell'Europa occidentale, a causa delle invasioni barbariche, si frantuma in
"unità locali relativamente autonome e chiuse", e si trasferisce nei
villaggi rurali, mentre le città assumono la fisionomia più di fortezze che
di centri commerciali. L'agricoltura torna a livelli primitivi, poiché i
popoli germanici preferiscono l'attività guerriera. La viabilità diventa
insicura, il mercato è solo locale, gli scambi in natura.
IV) Sul piano economico:
il numero degli schiavi era diminuito col diminuire delle capacità belliche
dei romani rispetto a quelle dei barbari;
gli schiavi non avevano alcun interesse a lavorare, mentre i servi della
gleba, essendo proprietari di una parte dei mezzi produttivi, lo erano di
più, anche se erano sottoposti a vari tributi da parte del signore feudale;
le invasioni barbariche inducono i liberi contadini piccoli a sottomettersi
spontaneamente ai grandi proprietari fondiari.
V) In pratica si ha: da un lato sostituzione dello schiavismo in decadenza
con il servaggio (colonato e servitù della gleba) che è meno disumano ma più
generalizzato; dall'altro disgregazione della libera comune agricola, in
quanto la proprietà terriera passa nelle mani della nobiltà feudale. Questi
due fenomeni si verificano soprattutto in Francia e Italia, perché qui i
rapporti schiavistici erano stati molto più duri e intesi.
VI) Il sistema feudale già esisteva sotto i Merovingi in Francia, dopo il
crollo dell'impero romano. Quando Carlo Magno diventa sovrano del nuovo
Impero d'Occidente, si trova agli inizi dell'800 a governare una società in
cui si erano già costituiti i rapporti sociali di tipo curtense, mentre la
ricchezza fondiaria era venuta concentrandosi in unità economiche locali,
tendenti all'autogoverno politico. Alla sua morte, i vincoli fra il sovrano
e i signori (grandi e piccoli) diventano sempre più fragili, mentre si
consolidano quelli diretti e personali fra i signori e gli immediati
dipendenti. Si pensi al Capitolare di Kiersy, con cui Carlo il Calvo
nell'877 riconosce l'ereditarietà dei feudi maggiori e la Costitutio de
feudis di Corrado II il Salico con cui nel 1037 si estende lo stesso favore
ai feudi minori. Con questi due provvedimenti il feudo diventa, sul piano
giuridico, la forma universale del possesso terriero. Nel X sec. esso era
già dominante, sul piano economico, nella maggior parte dell'Europa
occidentale. Si può anzi dire che la società feudale vera e propria fu
caratteristica dei secoli IX e XII. Il suo declino è netto nel XV sec. Il
termine "feudo" cominciò ad essere usato, alla fine del sec. IX, per
indicare la concessione di beni in cambio di obbligazioni di servizi.
VII) Sarà poi la lotta politica contro le rivendicazioni dei contadini (ad
es. i Ciompi a Firenze nel XIV sec. o della Jacquierie in Francia e di Wat
Tyler in Inghilterra nel XIV sec.), nonché l'esigenza borghese di formare un
mercato interno nazionale, che costringerà i vassalli a costituire degli
Stati centralizzati. Nel secoli XIII e XV nascono le monarchie feudali di
Francia, Inghilterra, Spagna e Russia, con la rappresentanza degli stati del
clero e della nobiltà (parlamento). Con queste monarchie si pose fine alle
guerre feudali, si favorì la produzione agricola, il commercio e le città.
In Germania e in Italia il mercato unico interno si formerà solo verso la
fine del XIX sec.: forte però fu il potere locale (signorie e principati).
VIII) L'istituto del feudo è completo quando esistono tre elementi
costitutivi: beneficio (elemento economico), vassallaggio (elemento
etico-sociale), immunità (elemento politico). Questi elementi, pur
percorrendo ciascuno una propria linea di sviluppo, vennero a congiungersi
nell'epoca della decadenza dell'impero carolingio.
IX) Vassallaggio. Consiste in un vincolo morale personale fra chi chiede e
chi dà protezione. Le sue origini risiedono nel fatto che con le continue
incursioni barbariche le popolazioni europee avevano bisogno di garantirsi
una certa sicurezza. Man mano che lo Stato e il diritto romano scompaiono,
le popolazioni cercano di mettersi al servizio dei grandi proprietari
fondiari. Esse, se libere giuridicamente, rinunciano in parte a questa
libertà e diventano "semilibere", lavorando come servi presso il feudatario.
Il vassallaggio è quindi un legame di dipendenza personale che due uomini
liberi decidono di realizzare. Naturalmente il latifondista è più "libero"
del piccolo proprietario, avendo più potere economico. Fra le classi
superiori il servizio corrispondente alla protezione non era il servaggio,
bensì l'aiuto militare (che poteva includere anche l'esercizio di una
funzione pubblica). Solo queste persone vengono chiamate "vassalli"; i
piccoli proprietari diventano "servi della gleba". L'"omaggio" è la
cerimonia di rito con cui il vassallo (marchesi e conti francesi, duchi
longobardi...) giura fedeltà al suo signore, ricevendone in cambio
protezione e assistenza (cioè beneficio e immunità).
Vassalli sono coloro che ricevono direttamente dal re il beneficio cui è
congiunta la dignità di un ufficio (conte, vescovo...). Sono tenuti ad
offrire guarnigioni armate, fortezze in caso di guerra; devono partecipare
alle assemblee plenarie dei notabili che deliberano e rendono giustizia;
offrire consiglio e assistenza al signore nell'attività di governo e
giudiziaria; fornire aiuti economici in circostanze particolari: p.es. per
il riscatto del signore se fatto prigioniero, per il matrimonio della
figlia, per l'investitura a cavaliere del primogenito, per una crociata...
Valvassori sono coloro che ricevono dai vassalli il beneficio, cui non è
congiunto ufficio o dignità particolare.
Valvassini ricevono il beneficio dai valvassori: possiedono cavallo e
armatura, ma non giurisdizione, cioè non possono disporre di uomini liberi
armati, legati a loro da vincoli di fedeltà, però possono armare servi e
plebi rurali.
Ciascun feudatario è legato al suo signore dal vincolo di fedeltà, che è
personale-privato e insieme pubblico-politico. Infrangere questo vincolo
significa cadere nel delitto di Fellonìa, che è il più grande che si possa
commettere. Solo il vincolo di fedeltà a un signore più grande (re,
imperatore, papa, Dio) poteva giustificare la disobbedienza.
X) Successione ereditaria dei feudi: Capitolare di Kiersy dell'877 e
Costitutio de feudis del 1037. In Francia prevale il principio
dell'integrità del feudo attraverso il maggiorasco (primogenito). In Italia
e in Germania prevale il principio della divisione fra tutti i figli del
signore. I cadetti (secondogeniti) diventavano cavalieri-mercenari,
affidando alle armi la possibilità di acquistare potenza e ricchezza: di qui
guerre-saccheggi-rapine-crociate (oppure entravano nei monasteri). La Chiesa
tentò di nobilitare lo spirito guerriero dei cavalieri indirizzandolo verso
finalità etico-religiose: difesa dei deboli e poveri (orfani e vedove),
della giustizia, dell'onore, dei diritti religiosi... Di qui l'Ordine degli
Ospedalieri, dei Cavalieri di Malta, dei Templari, dei Cavalieri
Teutonici...i quali però più che altro servirono per cattolicizzare i popoli
islamici, ortodossi e pagani (arabi, bizantini e slavi).
XI) Beneficio. In cambio del servizio militare, il signore conferisce al
vassallo un beneficio. La cerimonia si chiama "investitura": con essa il
signore cede una porzione di terra a titolo gratuito, temporaneo o
vitalizio, in uso non in proprietà e quindi revocabile (perché in rapporto a
un servizio). Il beneficio era una conseguenza del servizio militare e
questo veniva prestato a favore del re in proporzione all'entità del
beneficio. Infatti ogni tanti mansi (con un manso si manteneva una famiglia)
il vassallo doveva fornire tanti uomini armati. Col tempo agli uomini armati
il vassallo sostituirà una quota di denaro. Va però detto che erano
soprattutto i piccoli proprietari, liberi ma deboli, che preferivano cedere
le proprie terre ai signori potenti, per riaverle sotto forma di beneficio,
accettando protezione, servizi e fedeltà.
XII) Immunità. S'intende l'esenzione dagli oneri pubblici, ovvero dal
pagamento dei tributi: i funzionari regi avevano il divieto di recarsi nei
territori dichiarati "immuni" per riscuotere le imposte o per esercitarvi
atti di pubblica giurisdizione. Per immunità s'intende anche il diritto di
regalìa. Gli imperatori cioè, privi di un forte potere, per assicurarsi
l'aiuto e la fedeltà dei grandi feudatari, rinunciano ai loro diritti
sovrani o prerogative (regalìe) trasferendone a privati (conti, duchi,
marchesi...) l'esercizio. Le immunità possono essere fiscali (riscuotere le
imposte), militari (arruolare milizie) e giurisdizionali (amministrare la
giustizia). Da un lato quindi si verifica una sottrazione dell'autorità
dall'alto; dall'altro un'imposizione di autorità in basso. Le funzioni
amministrative e giudiziarie esercitate prima a vantaggio dell'imperatore,
ora vengono esercitate dal feudatario a proprio vantaggio.
L'economia feudale
1) E' chiusa e autarchica (autosufficiente), perché il feudo produce tutto
ciò che consuma (autoconsumo). E' naturale, perché gli scambi non sono
legati alla moneta, riguardano il valore d'uso delle cose (cioè quanto più è
usuale e necessario alla vita, reperibile facilmente ovunque). Non si
produce per il mercato. Sul mercato si vende il superfluo (surplus) e si
acquistano cose essenziali che in loco non si producono a sufficienza o per
niente (ad es. sale, certi tessuti...).
2) Il sistema curtense. Il nuovo fattore di aggregazione e di organizzazione
della società è la signoria rurale. La villa si trasforma in luogo
fortificato (castello), ed assorbe funzioni politico-militari proprie dello
Stato, istituendo nuovi rapporti di produzione con la massa dei contadini.
Il sistema curtense (da curtis = spazio chiuso) è l'unità produttiva rurale.
In esso si possono distinguere la parte del signore feudale (pars dominica)
con al centro il castello, le botteghe di artigiani, magazzini, frantoi,
mulini ecc. Le terre di questa parte appartengono al signore e i
coloni-servi della gleba devono lavorarle gratis. L'altra parte di
territorio (pars massaricia) era costituita dai fondi minori (mansi),
assegnati ai coloni con le famiglie, che vi lavoravano per mantenersi.
Queste terre erano gestite come se fossero di proprietà comune, non erano
recintate. La rotazione delle colture era decisa dalla comunità di
villaggio. I prodotti spettavano alle singole famiglie che lavoravano gli
appezzamenti. Completamente in comune erano la spigolatura, il pascolo, i
maggesi (terreni incolti o a riposo). Per usare i boschi o i prati del
signore i coloni dovevano pagare dei pedaggi, così come per attraversare
strade e ponti. Strumenti di lavoro, domestici, vestiti, armi... erano
prodotti dagli stessi contadini-artigiani.
3) I commerci sono scarsissimi, perché il valore fondamentale è costituito
dalla terra. Esistono ancora mercati locali settimanali e fiere annuali in
occasione di feste religiose. Bisanzio produce articoli di lusso ricercati
da sovrani, corti, feudatari. Una forma di scambio molto usata è il
baratto.
4) L'industria non esiste: tutto si riduce all'artigianato domestico (il
contadino è anche artigiano oppure l'artigiano svolgeva anche lavori da
contadino). Industrie tessili non occorrono perché ogni famiglia si veste
con lana e lino prodotti in proprio, filati e tessuti dalle donne.
L'economia è agricola, perché nell'agricoltura si riassumono quasi tutte le
attività economiche.
5) La rendita è lo sfruttamento tipico del feudalesimo. Il contadino è
costretto a cedere al nobile tutto il prodotto del proprio lavoro che superi
il minimo indispensabile per l'esistenza della sua famiglia. La rendita può
essere in lavoro (manodopera gratuita o corvées), in natura (pagamento in
prodotti), in denaro (ma questa dipende dallo sviluppo dei commerci e delle
città). Esse sono in ordine cronologico. L'esiguo volume del commercio
naturalmente limitava il desiderio di appropriarsi del plusprodotto altrui.
Inoltre la rendita in natura trovava un limite nella stessa capacità di
consumo del nobile. Le comunità rurali talvolta riuscivano a limitare le
pretese dei signori, facendo redigere degli "statuti" in cui erano indicati
gli obblighi tradizionali degli abitanti del villaggio verso il signore.
Quando tutta la rendita si trasformerà in denaro, il servo della gleba si
trasformerà in fittavolo, mezzadro, salariato agricolo, bracciante: il
rapporto non è più personale ma economico.
6) La città. La campagna domina sulla città. Solo col perfezionamento delle
tecniche agricole e con le crociate si cominciano a vedere diversi prodotti
sui mercati urbani. Le crociate infatti stimolarono l'importanza dei
commerci e lo sviluppo delle città e quindi la rendita in denaro. Con la
crescita delle forze produttive si rafforza la divisione sociale del
lavoro: nei secoli X e XI in Europa c'è la separazione dell'artigianato
dall'agricoltura e la formazione vera e propria delle città (aumento
demografico). Da centri amministrativi e religiosi o militari, le città
diventano anche centri dell'artigianato e del commercio. Inizia la
specializzazione dei singoli rami dell'economia. Sorgono città entro i
limiti del possesso feudale: iniziano le lotte tra cittadini e feudatari;
all'interno della città la lotta è tra ricchi mercanti-usurai e artigiani;
all'interno delle corporazioni artigiane tra i capimastri e i garzoni.
Tuttavia, per molto tempo i centri di vita organizzata del mondo feudale
resteranno il castello signorile, i villaggi rurali e i monasteri, non le
città. I monasteri promuovevano attività simili a quelle del castello,
organizzando la vita rurale, mentre a livello culturale svolsero
un'importante opera di mediazione fra civiltà antica e medievale: ad es.
raccolta e trascrizione dei codici dei testi antichi.
7) Cultura feudale. La cultura è prevalentemente religiosa, anche se si
continua a studiare il diritto. La lingua ufficiale, scritta è il latino
(anche se verso il Mille iniziano a comparire i volgari scritti). Nelle
corti signorili e curie ecclesiastiche si insegnano le 7 arti liberali:
TRIVIO (grammatica, dialettica e retorica) e QUADRIVIO (aritmetica,
geometria, musica, astronomia). La cultura è ristretta a poche persone. Gli
intellettuali dominanti fino al Mille sono i chierici; ad essi, dopo il
Mille, si affiancano gli intellettuali laici e umanisti.
8) Feudalità e chiesa. L'attribuzione di funzioni politico-amministrative
ai vescovi da parte dei sovrani fu determinata soprattutto dall'esigenza dei
sovrani di limitare l'autorità dei grandi funzionari laici. In origine, al
vescovo spettava il controllo della città, mentre al conte quello della
campagna (contado). In seguito, intere contee vennero affidate ai vescovi
dagli imperatori.
STORIA DELLA CHIESA MEDIEVALE
La chiesa cristiana, così come intesa, ha iniziato a svolgere un ruolo che
potremmo definire "antidemocratico" sin da quando ha accettato, con
Teodosio, nel 380, d'essere considerata la religione ufficiale dell'impero
romano, facendo mettere al bando tutto quanto non rientrava esplicitamente
nell'ortodossia o comunque non opponendosi a questa decisione statale.
L'ufficialità di questa religione non ha semplicemente voluto dire il suo
riconoscimento istituzionale, e quindi la fine delle persecuzioni da parte
dello Stato romano (come di fatto era già avvenuto con Costantino nel 313),
ma ha pure voluto dire la sua esclusiva legittimità, a discapito di tutte le
altre confessioni. L'errore della chiesa è stato proprio quello d'aver
accettato tale posizione di privilegio, che se da un lato l'ha politicamente
favorita nel confronto con le altre religioni, dall'altro l'ha culturalmente
danneggiata, in quanto le ha fatto perdere i vantaggi di un confronto
dialettico con la diversità. Senza considerare che il privilegio
istituzionale l'ha pure ingabbiata in una posizione di continuo compromesso
coi poteri dello Stato.
Sin dalle origini la chiesa cristiana aveva tenuto nei confronti
dell'impegno politico un atteggiamento ambivalente: sicuramente l'esperienza
del movimento nazareno guidato dal Cristo (e la sua morte in croce lo
documenta) aveva avuto una chiara connotazione politico-rivoluzionaria.
Subito dopo la sua morte e fino almeno al 70 d.C. il movimento ha sperato in
una rivoluzione nazionale che desse l'indipendenza a Israele. Tuttavia, dopo
questa data cominciarono a prevalere le tesi paoline che chiedevano al
movimento di trasformarsi in un'istituzione meramente religiosa e di porsi
in maniera impolitica nel confronto coi poteri istituzionali.
La vittoria del paolinismo fece definitivamente perdere al movimento la
carica rivoluzionaria, ma gli permise comunque di continuare a sentirsi
relativamente indipendente dai tentativi di strumentalizzazione politica da
parte degli imperatori romani, tant'è che la chiesa fu soggetta a
persecuzioni per circa tre secoli. Non dimentichiamo che il cristianesimo
rifiutava di considerare l'imperatore un dio e quindi non gli prestava alcun
culto religioso, il che praticamente equivaleva a un reato di tradimento o
di slealtà nei confronti dello Stato.
La storica decisione teodosiana ebbe tuttavia effetti diversi in Occidente
rispetto all'Oriente, poiché qui la chiesa ortodossa assunse un
atteggiamento di relativa condiscendenza, accettando di non svolgere alcuna
attività politica, riconoscendo allo Stato la propria autonomia e
riservandosi il diritto di legiferare in piena indipendenza in materia di
principi religiosi.
Viceversa, in Occidente la chiesa romana cominciò a impostarsi in maniera
politica, mirando a togliere all'imperatore, che sentiva troppo lontano per
poterlo temere, qualunque forma di controllo su di sé o riducendo questi
controlli a questioni meramente burocratiche.
Le due confessioni, fino all'incoronazione di Carlo Magno nell'800, non si
distinguevano in maniera sostanziale: la prima vera diversità ideologica fu
quella del Filioque, conseguenza della suddetta incoronazione, che fu
abusiva in quanto avvenne senza il consenso del basileus bizantino, che era
l'unico legittimo imperatore del sacro impero romano-cristiano; e anzi
avvenne proprio per contrastare questo potere, tant'è che allo scopo venne
successivamente usata l'eresia del Filioque.
L'eresia filioquista nacque in Spagna in occasione della lotta contro
l'arianesimo, il quale sminuiva il ruolo del Cristo per sminuire quello
della chiesa, a tutto vantaggio dello Stato, mentre l'eresia filioquista
serviva appunto per accentuare al massimo il ruolo del Cristo, che doveva
superare persino quello dello Spirito e che faceva del "figlio" una sorta di
"secondo padre" nella dimensione teologica della trinità: il che in sostanza
portava ad affermare una chiesa aventi gli stessi poteri dello Stato.
Ovviamente tra le due confessioni, cattolica e ortodossa, esistevano
differenze rilevanti in campi non strettamente dogmatici già prima
dell'inserimento del Filioque nel Credo: erano relative al culto, ad alcune
norme di rito, di calendario liturgico, di comportamento religioso...
Ma c'erano anche questioni politico-amministrative. Quando in Italia, prima
ancora dell'intesa col potere dei Franchi, giunsero gli Ostrogoti di
Teodorico, di religione ariana, e quindi contrari al potere temporale del
clero, la chiesa romana si alleò subito coi bizantini per cacciare gli
Ostrogoti, ma subito dopo fece di tutto per cacciare gli stessi bizantini
dall'Esarcato di Ravenna, dalla Pentapoli delle Marche e dal Ducato romano.
In pratica, quanto più il basileus bizantino concedeva ai vescovi latini il
potere di governare sulle città italiane, tanto più essi ne approfittavano
per rivendicare un potere ancora più grande.
La debolezza dei bizantini determinerà la conquista della penisola da parte
dei Longobardi, i quali, per convivere pacificamente con la chiesa romana,
dalla quale peraltro erano stati chiamati, furono costretti a concederle
grandi privilegi nel Ducato romano (il più importante dei quali fu forse la
donazione del Castello di Sutri nel 729). I Longobardi comprometteranno lo
sviluppo dell'economia urbana almeno sino al Mille.
I Franchi furono chiamati in Italia dalla chiesa romana solo perché essa
voleva togliere ai Longobardi l'Esarcato, la Pentapoli e alcuni territori
meridionali che, guarda caso, era quelli in cui più forte era o era stata
l'influenza bizantina. Nell'800, come già detto, essa si servì dei Franchi
per realizzare un'alternativa imperiale occidentale ai bizantini.
L'impero carolingio crollò anche perché la chiesa romana, divenuta ormai un
potente latifondista, non aveva alcuna intenzione di lasciarsi governare da
un sovrano laico. A tale scopo essa cercò un alleato nella grande feudalità,
trascinando così l'Italia in una grave anarchia feudale e in una non meno
grave decadenza morale e materiale.
Il cesaro-papismo degli Ottoni di Sassonia fu in sostanza una conseguenza
delle pretese egemoniche del papato, che voleva comandare a livello politico
ed economico. Gli Ottoni assecondarono queste ambizioni, ma nominando
autonomamente i vescovi e riservandosi il diritto di confermare l'elezione
del pontefice: così fecero della chiesa cattolica il loro strumento politico
più significativo.
La chiesa romana, che avrebbe potuto realizzare un rapporto alla pari
coll'impero bizantino, si trovò a essere completamente sottomessa alla
politica sassone. Quando poi cercò di reagire a tale soggezione, con la
lotta per le investiture, la sua unica preoccupazione fu quella di far
prevalere il suo potere sul potere dell'imperatore occidentale, e non quello
di rivendicare una pari dignità.
Per buona parte del Medioevo infatti la chiesa romana ha rifiutato il
principio della "sacra diarchia" bizantina, in quanto per il papato
l'imperatore doveva ricevere la propria autorità non direttamente da dio ma
attraverso il beneplacito della stessa chiesa.
Quando la chiesa romana iniziò la lotta per le investiture, inaugurò nello
stesso tempo il progetto di teocrazia papale universale, ratificando
ufficialmente nel 1054 la rottura con la chiesa ortodossa, al fine di poter
scatenare senza riserve l'avventura coloniale delle crociate, che investì
praticamente tutta l'Europa centro-orientale (dai paesi baltici sino
all'impero bizantino) e buona parte dell'attuale Vicino e Medio Oriente, per
occupare terre appartenenti a popolazioni pagane, cristiano-ortodosse e
islamiche. Le crociate porteranno al crollo prematuro dello stesso impero
bizantino.
Ovviamente il fenomeno delle crociate andò di pari passo col progressivo
decadimento morale e materiale dell'Europa occidentale, rovinata dal
crescente latifondismo ma anche dall'emergere di una borghesia comunale
portatrice di valori tutt'altro che cristiani.
La nascita e lo sviluppo impetuoso delle eresie pauperistiche, che
porteranno poi alla riforma protestante, è un fenomeno quasi esclusivamente
basso-medievale (inizia intorno al Mille). Queste eresie spesso maturano in
ambienti di piccola borghesia, contro i poteri feudali (laici ed
ecclesiastici) e anche contro i poteri della grande borghesia. Furono un
tentativo pacifico di porre un freno alla decadenza della chiesa romana,
restando nell'ambito dell'ortodossia ideologica; il loro fallimento e la
volontà controriformatrice della chiesa romana porteranno alla riforma.
Pur di occupare le ultime terre bizantine rimaste nel sud d'Italia la chiesa
romana fu persino disposta a far venire i Normanni. Praticamente non c'è
quasi stata invasione barbarica che la chiesa romana non abbia cercato di
favorire o di strumentalizzare per le proprie esigenze di dominio.
In sostanza, quando, con la riforma gregoriana, essa cercò di rimediare al
processo di formalizzazione della fede, cioè di svuotamento dei suoi
contenuti più democratici, gli strumenti che si diede furono quelli di
accentuare ancor più gli aspetti reazionari dell'ideologia teocratica;
aspetti che sino al Mille si erano mantenuti entro i limiti della teologia
agostiniana, ma che ad un certo punto (specie con la riscoperta accademica
dell'aristotelismo e quindi con lo sviluppo del tomismo), assumeranno una
colorazione politico-egemonica ben determinata.
E' stato in questo momento di transizione che la chiesa ha preteso di
trasformarsi in un soggetto politico capace di influenzare direttamente
tutta l'attività politica del potere laico. Un primo ridimensionamento di
queste pretese sarà determinato dall'emancipazione economica e politica
della classe borghese, che segnerà la fine del Medioevo e l'inizio
dell'epoca moderna.
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