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STORIA DEI
VENETI, DEI LIGURI E CELTI
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ANTICHI POPOLI DEL NORD
ITALIA - VENETI - LIGURI - CELTI |
LIGURI Popolazione autoctona abitante nell'odierna Liguria. Ebbe il
proprio centro politico principale nella città di Luni (odierna La Spezia).
Vivevano prevalentemente di pesca e di commercio. Erano in contatto con i Greci
di Marsiglia e con le coste corse, dove avevano alcuni porti di
scambio. Protetti dalle montagne liguri, preservarono la loro integrità
socio-culturale fino all'avvento dei Romani, che approfittarono della battaglia
di Talamone contro i Celti (225 a.C.) per annettere anche la regione ligure.
Abili nella navigazione, insegnarono ai Romani le loro tecniche. Le loro
città conobbero un periodo di floridezza economica fino in epoca medioevale,
tanto che dal loro territorio nacque la Repubblica Marinara di
Genova. VENETI Popolazione di origine celtica , che risiedette
prevalentemente nell'odierno Veneto. Abili nella navigazione, insegnarono a
Giulio Cesare come attraversare la Manica nel suo progetto di invasione della
Britannia e come affrontare la popolazione celtica dei Bretoni. Non era una
popolazione molto evoluta dal punto di vista sociale, ma lo era dal punto di
vista militare. Vivevano in villaggi e non ebbero uno sviluppo
urbanistico. Vennero lentamente assoggettati dai Romani.
NOTA gentilmente fornita dal Dottor M. Palombi:
Volevo segnalarVi che nel Vs sito si fa riferimento per errore ai Veneti di Gallia (quelli dell'invasione romana guidata da Cesare) e non ai Veneti d'Italia, popolazione autoctona dalle origini culturali legate, appunto, alle culture protoitaliche e protovillanoviane. Il delta padano conobbe anche presenze e influssi tardo micenei e colonizzazioni ed emporizzazioni greche successive. La civiltà veneta o cultura veneta (mi riferisco sempre a quella presente in territorio italiano) evolse fino a livelli considerati dagli archeologi, tra quelli delle civiltà indigene, subito secondi a quelli degli etruschi.Le espressioni artistiche presentano una differenziazione che nei secoli va dagli influssi orientalizzanti alle acquisizioni La tene di IV-III secolo a.C. La lingua era indoeuropea e affine al Latino.Il territorio era suddiviso in polis secondo un modello analogo, ancora una volta a quello etrusco, in cui la città stato aveva un territorio di perti nenza.I Veneti d'Italia, alleati da sempre dei Romani, ne favorirono il sopraggiungere in Pianura Padana e ne assecondarono gli intenti.
Dott.M.Palombi
I CELTI Origini L’origine del popolo dei Celti è indoeuropea. La parola
celtico ha origine dal greco keltai che gli abitanti di Marsiglia, città fondata
dai Focei, attribuirono ai membri di queste tribù belligeranti. La loro
prima area geografica di residenza è l’Europa centrale, in particolare tra la
Boemia e la Baviera, dove ha avuto luogo la cosiddetta " Cultura di Unetice",
particolarmente legata alla lavorazione dei minerali ed alla pastorizia. Da
questa cultura hanno avuto origine anche gli italici, gli illiri ed i veneti.
Sicuramente la genesi dei Celti ha risentito di una interazione tra varie
popolazioni. E’ dunque opportuno fare una premessa. Intorno al 4000 a.C.
esisteva una civiltà, denominata di Atlantide, che abitava nella zona del
Baltico (che sarà nel medioevo luogo della Lega Anseatica), in particolare nello
Jutland e nella bassa Scandinavia. Questa civiltà, racconta Erotodo, era
particolarmente progredita. Abile nella costruzione dei templi e degli stadi,
aveva una certa esperienza nella navigazione. Ciò è provato dalle costruzioni
megalitiche dei menhir della Bretagna (Carnac), dell’Irlanda, del Galles e
dell’Inghilterra (Stonehenge), dove nelle vicinanze è stato forse rinvenuto un
probabile stadio per le corse equestri. Tali costruzioni di dolmen avevano come
scopo la guida agli astri, in cui tali popolazioni credevano. A seguito di
siccità, terremoti e carestie, tale popolo è migrato verso l’Europa centrale, la
Grecia (dove c’erano le culture achea e micenea, che furono distrutte),
l’Anatolia (dove erano presenti gli Ittiti ), la Palestina (in cui hanno avuto
origine le civiltà fenicia e semita) e l’Egitto. Questa migrazione è nota come
quella dei "popoli del mare". Solo in Egitto, Tolomeo riuscì a respingere la
loro invasione. La coda della migrazione dei popoli del mare fu rappresentata
dai Dori che si stanziarono in Grecia ed in Egeo. Intanto, quasi
contemporaneamente, secondo una teoria più accreditata tra il 3000 e il 2500
a.C. in Oriente c’erano tre popolazioni indoeuropee: i Kurgan (per le tombe a
tumulo che usavano) della zona del Volga - alto Mar Caspio, i Transcaucasici del
Caucaso, i Nordpontini della zona del Mar Nero. Queste popolazioni, in
particolare la prima, influenzandosi e mescolandosi tra loro fino alla fine
dell’età del rame, eseguirono delle migrazioni in: Anatolia ( Ittiti ), in
Mesopotamia (Arii), Grecia (Macedoni e Micenei), Europa (Cultura di Unetice in
Boemia, crocevia di popolazioni). La divisione cominciò con l’inizio dell’età
del bronzo e si perfezionò con l’età del ferro (la Boemia era ricca di ferro) e
si implementò con l’addomesticamento della razza equina (la parola cavallo ha la
stessa radice in tutte le lingue indoeuropee) e del bestiame. Contemporaneamente
nel nord europa, in particolare nella zona della Polonia, compare la civiltà dei
Campi di Urne , di origine nordica, che prende il nome dal modo in cui
seppellivano i loro morti. La coda di questa migrazione orientale ebbe luogo con
gli Sciti, nell’800 a.C., che si diffusero in Mesopotamia (originando prima la
cultura caldea, di cui Abramo ne sarà un rappresentante, e poi quella assira che
sarà dominante fino all’avvento dei Persiani), in Anatolia (ove erano presenti
già i Frigi, i Lidi ed i Pontini), in Grecia, in Italia (dove dal 900 a.C. erano
presenti gli Etruschi e ancora prima i Liguri e gli Italici ) ed in Europa
centrale (dove era presente la migrazione dei popoli del nord). In
particolare, con riferimento a quest’ultima, intorno al 700 a.C., nella zona del
Salzkammergut (Salisburgo e Carinzia), fino al 450 a.C. si diffuse la cultura di
Hallstatt , abile nel commerciare sale (di cui la loro regione era ricca) con i
popoli italici e nordici. Si trattava dunque di una cultura di crocevia, basata
prevalentemente su due classi sociali legate all’aristocrazia e alla pastorizia.
La fine della cultura di Hallstatt segna l’inizio della cultura di La Tene (450
– 50 a.C.), situata sulle rive del lago di Neuchatel e caratterizzata dall’arte
espressionista, dalle rappresentazioni del particolare e dei dettagli,
dall’inizio di migrazioni di popoli, dalla valida rete di commercio di massa che
furono in grado di impiantare, dalla conseguente nascita di una protoborghesia.
Questo passaggio è stato motivato anche da una differente esigenza sociale:
nuovi ceti aspirano al potere, per cui la vecchia aristocrazia hallstattiana
viene soppiantata. Dunque all’inizio del 600 a.C., come risultato di queste
due ultime culture appena descritte, nella zona che comprende il basso Rodano e
l’alto Danubio ha origine la popolazione celtica che, di cultura nomade,
comincia a migrare verso l’Italia settentrionale, dove si stanzia attorno a
Mediolanum ed entra in contatto con gli Etruschi, l’Europa centrale, facendo
scomparire la cultura di Hallstatt, la Francia, da cui hanno origine i Galli, la
Germania, dove si integrano con i Germani (Suebi, Marcomanni, Longobardi,
Ermunduri, Quadi e Semnoni), popolo proveniente dall’area del Baltico,
differente da quello dei Celti, la Gran Bretagna, dove ebbero uno sviluppo più
arretrato, la Serbia, la Macedonia e l’Anatolia, dove compaiono i Galati (la
parola celtico in greco si scrive gàlatos), che importarono culti religiosi
orientali. In particolare per la Gran Bretagna è opportuno precisare che
intorno al 900 a.C. ed al 500 a.C. ci furono due ondate di migrazioni di popoli
di origine indoeuropea che si sovrapposero alle popolazioni preesistenti
derivate dagli "ex Atlantidi" giunte nel 3000 -2000 a.C..
Gruppi
linguistici celti e derivati La prima fu legata a popoli di lingua gaelica,
che partiti dalla Spagna settentrionale, approdarono in Irlanda, Scozia e Isola
di Mann. Svilupparono una lingua denominata "celtico Q", poiché al posto della
lettera k si utilizzava la lettera q. La seconda migrazione fu caratterizzata da
popoli britannici, che partiti dal Belgio, in piena età lateniana, dunque nella
massima fase dello sviluppo socio-economico, colonizzarono Inghilterra, Galles e
Cornovaglia, sviluppando il "celtico P", poiché la k era sostituita da p. Ad
esempio, la parola indoeuropea ekuos (cavallo), si scrive equos in gaelico ed
epos in britannico. Dunque la mutazione consonantica q-p caratterizzò due
tipologie di popolazioni, che si differenziavano anche per scelte
architettoniche ed urbanistiche: le prime vivevano in fortificazioni, le seconde
in villaggi. E’ anche probabile che la migrazione dei secondi spinse i primi
verso zone più lontane. Il termine gaelico deriva dalla parola gwyddel che
significa "selvaggi" e fu attribuita, in una fase di migrazione, dai Gallesi
agli avi degli Irlandesi che vi si insediarono. I Celti hanno risentito
molto della cultura scita, sia per l’uso delle tombe a tumulo, sia per
l’allevamento del cavallo, ritenuto sacro, sia per il rito di tagliare e
conservare la testa del nemico a protezione della propria capanna, sia per la
suddivisione in classi sociali, ove l’aristocratico era chi possedeva più
cavalli. Dunque i Celti hanno subito influenze orientali (Sciti, Kurgan, Greci,
Etruschi) ed europee (culture di Hallstatt e di La Tene, popoli del nord),
sviluppando a loro volta una propria cultura. Società
Il tessuto
sociale celtico si articolava su tre livelli: il druida, sommo sacerdote che
presso i Galli aveva il nome di virgobrete (in realtà questo era più un
magistrato), uomo di legge, di scienze esoteriche, indovino, conoscitore degli
astri e della natura, medico, interprete dei sogni; il cavaliere, uomo di potere
economico, politico e militare, la cui fonte di ricchezza era il bestiame
(periodo hallstattiano) e l’industria ed il commercio (periodo lateniano); il
popolo, composto da servitori. In realtà le decisioni più importanti spettavano
al druida. Dunque chi aveva più cavalli (o in generale bestiame) oppure attività
commerciali gestiva il potere economico ed era il re della tribù, cioè il capo
dei cavalieri. Questa suddivisione dimostra come l’evoluzione dei popoli
celtici andò assieme all’evoluzione del cavallo, animale di grande importanza e
di ausilio per loro. Tutto ciò ci mostra come in effetti i Celti derivarono
dagli Sciti e dunque dalla cultura dei Kurgan, che avevano la stessa
considerazione per il cavallo, mezzo di sopravvivenza sia in pace che in guerra.
Tra l’altro, gli Sciti avevano sostanzialmente la stessa struttura sociale.
In particolare dopo il periodo lateniano, ogni comunità celtica si
identificava in un gruppo economico: tutti vivevano per quella o quelle attività
che gestiva un signore locale. Per questo motivo quando il cavaliere decideva di
combattere, tutto il popolo si mobilitava, perché era in gioco la loro
sopravvivenza; quando si decideva di migrare, tutti partivano. Nel corso degli
anni i diversi gruppi economici si sono unificati, per esigenze commerciali e
gestionali, dando vita così a tribù più estese e complesse. I clan scozzesi sono
un’espressione di questi antichi raggruppamenti sociali. Anche le costruzioni
dei villaggi venivano realizzate attorno a quella del cavaliere. La
contrapposizione maggiore tra la cultura greco-romana e quella celtica
consisteva nel fatto che mentre la prima si proponeva di conquistare la natura e
di dominarla, conoscendo le sue leggi, la seconda preferiva conviverci, sentirsi
parte integrante, conoscere il proprio destino per abbandonarsi ad esso.
Nell’arte, dunque, non si ricerca la perfezione e la bellezza, ma l’emozione e
la libertà. Nella società celtica il maschio era espressione di vigore e
forza e viveva assieme ad altri maschi, fino a che non era tempo di avere figli,
per cui si avvicinava alle donne, con cui avrebbe vissuto assieme, continuando
comunque a frequentare comunità maschili. Le donne, a loro volta, vivevano in
gruppi, separati dagli uomini dove allevavano i figli. Esse esprimevano il
coraggio e la tenacia. Gli uomini avevano grande rispetto per loro e ad esse
erano molto legate. La prova di ciò ci è data dalle regine della Britannia che
hanno combattuto i Romani, come vedremo dopo. Addirittura si dice che in
battaglia esse trasmettevano il coraggio ai guerrieri. Tale affermazione rientra
in un discorso esoterico che riprenderemo nel prossimo paragrafo. Tuttavia,
alcune di esse, di rango basso, potevano essere barattate con dei cavalli.
Al largo della Bretagna esisteva un’isola abitata solo da donne che vi
vivevano in comunità ed assunse un ruolo di sacralità. Gli uomini celtici
amavano le feste, dove si raccoglievano assieme e raccontavano saghe e favole, i
riti comunitari, dove, alle volte, compivano dei duelli mortali, prediligevano
bere (vino, birra, whisky) e mangiare in particolare il maiale arrosto (il
cavallo ed il toro erano impiegati per riti sacri). Secondo la tradizione, un
buon celtico, oltre che un valente guerriero, doveva essere eloquente. Il
guerriero celtico in battaglia si dipingeva il volto di vari colori, urlava sia
perchè voleva spaventare il nemico, sia per esprimere il proprio vigore fisico,
di cui era fiero. Amava radersi (i Britanni portavano anche i baffi) e viveva a
contatto con la natura. Dunque, la struttura sociale dei Celti era molto
semplice ed in essa nel corso degli anni e dello sviluppo economico si potè
inserire anche la borghesia (età lateniana). La società celtica non ebbe modo di
articolarsi, viste le contaminazioni romano - germaniche. Solo in Irlanda, dove
potè svilupparsi in pieno, andò articolandosi su più livelli: re, druidi
(filid), nobili inferiori, contadini (perché possessori di terra), bardi (ceto
borghese, a cui era affidato il tramandare la tradizione), lavoratori ed artisti
di intrattenimento. Questi ultimi due rappresentano classi sociali non libere.
Più tardi, con l’avvento del cristianesimo, il druida diventa anacoreta ed
assume un ruolo di consigliere nella chiesa celtica, che avrà dei contrasti con
quella romana, sfociati in alcuni casi in eresia. Sviluppo I Celti
erano composti da diverse tribù, ognuna delle quali si diffuse in uno specifico
territorio. Si difesero dai Romani, dai Germani e dalle invasioni asiatiche. Nel
corso delle loro migrazioni popolarono un vasto territorio. Videro lo sviluppo
di diverse società (kurgan, halstattiana, lateniana) che corrispose anche ad uno
sviluppo economico e sociale. In base alla premessa fatta in precedenza,
possiamo visualizzare la seguente situazione, legata sia al popolo celtico che
alla regione di influenza relativa, frutto di continue migrazioni: Serbia:
Scordisci (325 a.C.); Bulgaria: Bastarni (fondatori del regno di Tylis);
Ungheria, Romania, Boemia : Carnuti, Teutoni, Cimbri (forse di origine
germana), Menapi, Treviri, Ubii; Svizzera: Rezi, Rauraci, Carnuti, Elvezi;
Austria: Taurisci, Norici; Italia Settentrionale : Boi, Senoni,Veneti,
Gesati, Insubri, Taurisci; Spagna e Portogallo : Celtiberi che si
mescolarono con la popolazione locale degli Iberi e che ebbero un sviluppo
diverso rispetto ai Galli, i Gallaeci e gli Asturi (Galizia), i Cantabri (zona
di Bilbao), i Tarragonesi, i Baeti (zona di Siviglia), i Vasconi (Pirenei, da
cui è originato il termine guascone), gli Arevaci, i Vaccei, i Lusitani ed i
Vettoni (nel Portogallo); Anatolia: Galati (276 a.C.) abitanti della
Galazia, arrivati dalle regioni del Danubio; Macedonia: Tettosagi, Trocmeri,
Tolistoagi, che entrano in contatto anche con Alessandro Magno; Francia:
Sequani, Edui, Alverni, Ambroni, Arverni, Parisii (che diedero i natali a
Parigi), Aquitani, Vocati, Volci, Bellovaci, Venelli, Eburovaci, Suessioni,
Tricassi, Mandubii, Carnuti, Veneti, Namneti, Pitti, Biturgi, Allobrogi, Gesati,
Ceutroni, Eburoni; Paesi Bassi e Belgio : Nervii, Menapi, Suessoni, Remi,
Belgi (forse di origine germana); Germania: Ambroni, Teutoni, Boi, Nemeti,
Vangioni, Treviri, Advatici, Usipeti, Tenteri, Eburoni, Ubii, Sicambri(si tratta
in prevalenza di popolazioni germaniche, di influenza celtica); Irlanda:
Ulsteriani (con capitale Emain Magach), abitanti del Mide (centro-est), del
Connacht (ovest) e del Munster (sud-est), Scotti (che migrarono in Caledonia che
prese il nome di Scozia); Scozia: Pitti e Caledoni; Galles: Ordovici,
Siluri e Cornovii (che poi migreranno in Cornovaglia) Inghilterra: Atrebati,
Belgi, Catuvellani, Trinovanti, Dumnoni (in Cornovaglia), Coritani, Briganti,
Suessoni, Carataci, Novanti, Segovii, Trinovanti, Iceni; Danimarca: Arudi,
Cimbri, Ambroni (si tratta in prevalenza di popolazioni germaniche, di influenza
celtica). Dunque i Celti, durante una loro migrazione, giunsero fino in
Turchia. Nel 278 a.C. Brenno, omonimo del condottiero che un secolo prima
sconfisse i Romani, invase la Pannonia e da lì, attraverso l’Illiria, giunse in
Grecia, distruggendo Delfi, dove venne ferito. Tra il 278 a.C. ed il 270 a.C.,
trovando resistenza in Grecia, in particolare in Macedonia, una parte della
popolazione celtica attraversò lo stretto dei Dardanelli e si stanziò a ridosso
della Bitinia, approfittando anche dell’invito del re locale Nicomede, che, in
cambio di territori, li assoldò come mercenari per conquistare l’Anatolia ed
avere uno stato cuscinetto con i Frigi. La loro espansione ed i loro saccheggi
furono interrotti dall’imperatore di Siria Antioco I, che li sottomise e li
confinò in Galazia, regione nei pressi di Ankara. Successivamente, nel 230 a.C.,
il re di Pergamo Attalo I, sconfigge i Galati che si erano ribellati e fa
erigere, come segno di trionfo, dei gruppi marmorei. Di questi oggi ci rimane
una copia romana del "Galata Morente". L’altra parte della popolazione, che
costituiva il flusso migratorio, caratterizzata in particolare dalla presenza
dei Bastarni, sconfitta in Macedonia dal re Filippo, padre di Alessandro Magno,
si stanziò in Bulgaria, fondando il regno di Tylis. E’ opportuno fare una
considerazione sull’Irlanda. Fu l’unico paese celtico che non subì invasioni,
per cui sviluppò la propria cultura completamente senza subire influenze
esterne. Era divisa in cinque regioni: a nord l’Ulster, con capitale Emain
Magach, a sud il Munster, con capitale Caisel, ad ovest il Connaught, con
capitale Cruachain, ae est il Leinster, con capitale Dinn Rig ed al centro-est
il Mide, con capitale Tara, luogo sacro vicino a Dublino. La prima e l’ultima
regione furono le più progredite, con la prevalenza finale dell’ultima. Nel 450
d.C. l’Irlanda era divisa in due regni. Il regno del nord abitato dagli Uì Neìll
e quello del sud, popolato dagli Eòganachta. Dediti alla pastorizia, gli
abitanti dell’Isola Verde, non erano molto progrediti scientificamente. Amavano
la musica, le arti esoteriche, la natura e svilupparono l’alfabeto ogamico fatto
di segni, con il quale composero fiabe, divinizzando eroi nazionali, tra cui Cù
Chulainn . Il mito, presso i Celti era importante e questo gli Irlandesi lo
applicarono abbastanza. Favole quali l a conquista di Etain , Tàin Bò Cùailnge
(la cattura del toro di Cooley), the Book of Leinster , the book of Dun Cow, the
yellow book of Lecan (le tre massime fonti mitologiche gaeliche), novità sul
maiale di Mac Da Thò sono saghe che raccontano di eroi popolari, di dei, come
Maeve, divinità della guerra che visse tre volte, ricalcando le religioni scite
e le strutture celesti degli inferi, riprese da tutte le altre religioni. Si
ripete il tema della reincarnazione e della resurrezione. Gli Scotti
migrarono in Galles, dove i loro discendenti furono chiamati "selvaggi"
(gaelici) dalle tribù locali ed in Caledonia, a cui diedero il nome di Scozia,
tra questi, sull’isola sacra di Iona approdò San Colombano (563 d.C.) che
evangelizzò la regione assieme a dodici discepoli. Dunque la cultura celtica
si interseca con il cristianesimo. Sia l’Irlanda che la Gallia furono sede
di molti conventi, che in realtà erano comuni. La seconda, poi, fu patria di San
Martino, vescovo di Tours, nonché della setta eretica pelagiana, che
contrapponeva alla grazia divina, professata da S. Agostino, solo la capacità
umana. L’Irlanda era la patria della chiesa celtica, che già esisteva prima
dell’evangelizzazione della chiesa romana operata da San Patrizio e da Palladio.
Questa fu importata dall’Aquitania che aveva frequenti commerci con l’isola
verde, ricca di stagno. Nella chiesa celtica non c’era una struttura ed
un’organizzazione, esistevano solo abati, la pastorale era semplice, i frati
vivevano in luoghi appartati (isole, eremi…), lontano dai conventi, il simbolo
più usato era la croce celtica, segno di rigenerazione, contenente al centro la
ruota solare, imitando i druidi gli abati al posto della chierica usavano una
rasatura da orecchio a orecchio, lasciando i capelli sulla nuca lunghi. La
chiesa celtica adattò il modello cristiano all’amore per la natura, per la
fantasia, per i luoghi fiabeschi. E’ evidente che, nonostante le dominazioni e
le influenze, la filosofia dei Celti rimase incontaminata. In Irlanda, come in
Scozia, non si annoverano martiri, segno che il modello cristiano fu accolto
pacificamente. Tuttavia ci sono molti santi, nominati anche con la segnalazione
degli anacoreti, uomini, che si distinguevano per la semplicità, il vigore, la
mitezza. Ci furono notevoli dissidi tra chiesa celtica e chiesa romana: alle
volte si rasentava la scomunica, come quando Fergal, vescovo di Salisburgo,
credeva che sottoterra esistesse un mondo parallelo, in base al modello celtico.
Lo scontro decisivo tra le due chiese fu nel 663 d.C. nel concilio di
Whiotby. In questa sede il dissidio principale, preso a pretesto dalla chiesa
romana, consisteva nella festa della Pasqua, che gli abati celtici festeggiavano
tre giorni dopo le Palme, secondo la tradizione di Giovanni Evangelista. La
chiesa di Pietro e Paolo uscì vincitrice. Tuttavia gli abati celtici
continuano la loro evangelizzazione in Europa: Sangallo (Svizzera), Bobbio
(Pavia), Francia, Salisburgo, Scozia, Inghilterra, Germania. Nel 410 d.C. i
Sassoni, gli Angli e gli Juti, popoli germanici, occupano l’Inghilterra. I
Britanni si ritirano in Cornovaglia, Galles (dove c’è il vallo di Olla),
Bretagna e Scozia. Nel 440 Ambrogio Aureliano prende il potere e sconfigge i
germani. Nel 491 compare il mito di Artù che, attraverso dodici battaglie,
scaccia gli invasori. Dopo il 500 l’Inghilterra è di nuovo in mano ai germanici,
che abbracciano la chiesa romana. L’Irlanda vivrà le invasioni vichinghe (793
d.C.) e comincia un periodo di migrazioni degli irlandesi verso l’Europa.
Successivamente sarà la volta delle invasioni normanne, che importeranno l’amore
per l’agricoltura e la pastorizia. Nel 1066 il duca Guglielmo di Normandia
riprende l’Inghilterra e restaura la chiesa celtica, rinasce il mito del Graal e
di Artù, che viene abbracciato anche dalla Francia, per puri scopi politici, in
opposizione al domino della chiesa romana. Nel 1180 Chretien de Troyes scrive il
Perceval, nel 1210 Wolfram von Eschenbach compone il Parsival. Il re Artù
non sappiamo se sia esistito veramente. Sappiamo che richiama il dio celtico
Artaios. Questo re si avvaleva del druida Merlino, il cui padre, secondo la
tradizione, era Ambrogio Aureliano, a sua volta fratello di Uther. Da
quest’ultimo nasce Artù che estrae la spada dalla roccia (caliburnus) e diventa
signore di Camelot. Sposa Ginevra e fonda una tavola rotonda di 150 cavalieri.
Con essi battè i Sassoni, i Pitti e gli Scotti. Suoi compagni sono:
Tristano, che innamorato di Isotta, andò in Francia dove morì;
Lancillotto, che circuì Ginevra; Galvano, che si avventura sulle Orcadi,
combattendo contro il cavaliere verde; Galahad, figlio di Lancillotto, e
Percivale che vanno alla ricerca del Graal. Artù, alla fine, accompagnato da
alcune donne, si ritira su un’isola, da cui farà ritorno successivamente.
Dunque, ci sono tutti gli elementi delle saghe celtiche: il re e il druida,
che lo consiglia e guida; le riunioni assieme, rievocate dalla tavola rotonda;
le sofferenze per l’amore, vissute da Tristano e Lancillotto; la lotta contro il
nemico di Galvano, come Cù Chulainn, contro il drago; la rigenerazione, come
quella di Artù, che fa ritorno da un’isola misteriosa, cioè muore e si rigenera.
Siamo di fronte ad un eroe mitizzato, come è nella cultura celtica. Il
Graal, poi, rappresenta le nature di Cristo: umana nel sangue e divina
nell’acqua. Entrambe sono unite assieme dallo spirito. Questi sono i tre
elementi raccontati da Giovanni, che era il più seguito dalla chiesa celtica.
Chi possedeva il Graal, possedeva questi tre elementi. Di nuovo la fantasia
serve ai Celti per superare le avversità della vita, che in questo caso erano
rappresentate dai Germani. Tuttavia, come già detto, questa figura mitica fu
strumentalizzata dai popoli invasori che volevano contrapporsi alla chiesa di
Roma. Attività Le fonti storiche che raccontano dei Celti sono
svariate: Erodoto, Cesare, Livio, Polibio (il più accurato), Posidonio, Diodoro
Siculo, Dionigi di Alicarnasso, Strabone, Dione Cassio, Tacito. I Celti
erano una popolazione prettamente nomade. Furono i primi ad introdurre l’uso dei
mantelli colorati e dei pantaloni (brache) entrambi ereditati dagli Sciti. Molto
bravi dunque nell’arte della tessitura e della tintura. Abilissimi, poi,
nella lavorazione dei minerali, in particolare del ferro, introdussero l’ottone
e per molto tempo lavorarono la smithsonite, un particolare minerale,
sostitutivo dello zinco. Conoscevano molto bene le varie tecniche di fusione.
Erano anche capaci nella cottura del vetro (bianco e colorato), nell’uso dello
smalto e nella lavorazione dell’ambra. Tali pratiche furono perfezionate nel
corso del passaggio dalla cultura hallstattiana a quella lateniana. Era
dedito all’allevamento del bestiame (la parola pecus la ritroviamo anche tra i
Galati), in particolare mucche e pecore; da queste ultime si traeva la lana.
Popolo guerriero, utilizzavano splenditi elmi piumati ed alcune volte corazze
(anche se combattevano quasi sempre nudi), tipo quelle medioevali. La spada
celtica era corta e veniva impiegata come arma da taglio. Più tardi ne furono
forgiate di più lunghe, tutte intarsiate e adornate di pietre, ma si parla di
dopo il 500 d.C.. Amavano radersi il volto e pettinare i biondi capelli
all’insù, indurendoli con del gesso. In battaglia si coloravano il viso e, dopo
aver danzato, si lanciavano nudi addosso al nemico urlando: prediligevano il
corpo a corpo ed il primo assalto. Per questo con le spade colpivano, menando
dei fendenti, che non si rivelavano mai colpi mortali. Polibio racconta che le
loro piccole spade si piegavano dopo i primi colpi. Fu questo uno dei motivi che
li fece perdere contro i Romani, che invece usavano la spada e le lance,
colpendo con dei colpi mortali, evitando il corpo a corpo. Solo successivamente
gli Etruschi ridestarono l’uso del carro da guerra che avevano prima appreso sia
dagli Sciti che dai popoli del nord (ex Atlantidi) e poi dimenticato. Gli scudi,
poi, ben rifiniti ed incisi, erano piccoli rispetto al corpo, sempre perché i
Celti confidavano nell’impeto dell’assalto. I Romani avevano scudi lunghi; fu
anche questo un motivo della disfatta celtica. Tra l’altro i loro eserciti non
erano ben organizzati e le loro tattiche di guerra si basavano prevalentemente
sul furore bellico. Dunque i Celti, per via del loro furore e della
scarsa tattica, erano destinati a perdere le battaglie contro un esercito
organizzato. Questa particolarità costituì un serio pericolo per Annibale, nella
sua calata in Italia, poiché, in battaglia, la parte celtica del proprio fronte
di attacco era la prima a cedere. Il generale punico seppe utilizzare questo
potenziale difetto a proprio vantaggio, inserendo i Celti al centro del proprio
schieramento, dando origine alla sua famosa tattica a tenaglia, nella quale il
centro cedeva e risucchiava il nemico che veniva finito dalle ali, ove era
presente la cavalleria.
L’unico re celtico che capì che, in battaglia,
bisognava usare una strategia oltre al furore fu il gallo Vercingetorige, che,
impiegando la tattica della "terra bruciata", minava a colpire gli
approvvigionamenti dei Romani, ottenendo qualche successo. In particolare, aveva
capito che se avesse accettato lo scontro diretto con i Romani avrebbe perso.
Dal punto di vista dell’edilizia, i Celti abitavano prevalentemente in
capanne di legno, circolari o rettangolari, ed in villaggi. Cesare chiama
vici i villaggi non fortificati e oppidum le costruzioni - roccaforti, di cui le
terre celtiche sono piene. I Celti, invece, indicavano con il termine dunum la
fortezza e con nemeton un luogo sacro. Soprattutto in Gallia, le loro città
avevano mura di cinta spesse.
Con l’influenza degli Etruschi e dei
Greci, che avevano fondato Marsiglia ed influenzavano il commercio di quelle
regioni, costruirono case di pietra con piccoli vani. Amavano vivere all’aperto,
sotto le querce, ritenute sacre, secondo la cultura del drynemeton (luogo delle
querce), ove si tenevano riti sacri e processi. Un esempio è la città di
Manching, nelle paludi del Danubio, crocevia tra Ungheria e Baviera, distrutta
nel 15 d.C. in modo misterioso e violento. Città grandissima (7 km mura di
cinta), conteneva tante fabbriche, vicine tra loro, basate sul prototipo della
catena di montaggio, introdotto dai Greci. Si trattava di una città tipica
dell’espressione lateniana, dove c’erano schiavi e signori, dove il commercio
aveva il suo valore (specie quello di massa), dove il denaro aveva la sua
importanza. Come sepolture dapprima utilizzarono le tombe a tumulo, tipiche
della cultura indoeuropea ereditata dai Kurgan (si ritrova tra gli italici, i
sanniti, gli illiri….), poi predilessero l’inumazione. Commerciavano e
lavoravano il sale, in celtico hal: molte città della zona del sale hanno come
suffisso iniziale questo termine. Prediligevano l’uso delle botti a quello delle
anfore. Inoltre lavoravano l’ambra, con la quali arricchivano le loro collane.
Amanti del vino, producevano anche la birra. Inventarono il servizio
turistico della pensione completa, che si teneva nelle stazioni di cambio.
In generale, erano dediti alla manifattura (questo fu trasmesso loro dagli
Etruschi) ed al commercio, anche per questo si frazionarono molto (di cui Roma
approfittò): si può dire che ciascuna unità economica era una tribù (questo fu
un difetto della cultura lateniana). Quindi davano una grande importanza al
denaro. I Celti che vivevano in zone marittime svilupparono un’abile
capacità di navigazione. Possedevano navi più robuste di quelle romane: erano
fatte di quercia, con vele di pelle. Le caravelle della Lega Anseatica del 1300
erano fatte su questa stessa base, mentre le navi vichinghe erano più sul
modello leggero. I Bretoni ed i Britanni in particolare esercitarono un’attività
piratesca. Il popolo celtico amava molto la musica (in particolare l’arpa)
che veniva impiegata per celebrare riti sacri e di preparazione bellica, per
raccontare le gesta di eroi e per impiegare la propria fantasia, luogo di
rifugio dalle storture della vita. Infatti era molto diffusa la divinizzazione
di eroi espressa attraverso le saghe.
Per i Celti la fama era
tutto, soprattutto nella misura in cui gli altri ti ricordavano. A tale
proposito espressero una tradizione soprattutto orale. Un esempio relativo a
questo argomento è dato dai Celti d’Irlanda, che, per mezzo del loro isolamento
storico, rappresentano una razza celtica incontaminata. Essi usavano molto le
saghe ed i miti. Erano anche conoscitori della magia e delle scienze
esoteriche. Religione
Secondo la tradizione Eracle, divinità -
eroe ellenico, giunto in Gallia, fondò Alesia e si invaghì di una principessa
locale. Questa colpita dal suo vigore e dalla sua possenza fisica, si unì
all’eroe orientale. Frutto dell’unione fu il giovane Galates, che salito al
trono, diede il suo nome al popolo: galati o galli. Questa tesi propagandistica
dimostra il legame tra Occidente ed Oriente.
La religione celtica ha
molte affinità con le religioni delle culture indoeuropee, in particolare con
quella scita. Essa si basa su concetti molto semplici: la reincarnazione della
vita, la rigenerazione, la resurrezione, l’amore per la natura, la sacralità di
alcune piante (la quercia in Gallia e Galizia, il tasso in Britannia, il torbo
in Irlanda). Gli alberi erano il tramite con il firmamento e separavano l’uomo
dagli dei celesti. Attorno ad ogni villaggio c’erano dei boschi sacri
(drynemeton) dove si eseguivano riti e dove veniva giudicata la gente dai
druidi. Si usavano spesso anche i dolmen ed i menir megalitici, già
realizzati dalle precedenti civiltà, per rappresentare una continuità tra l’uomo
ed il firmamento. La morte rappresentava per i Celti una breve pausa per una
vita eterna: esisteva infatti la reincarnazione (in cui si crede anche in
India), per questo si amava la natura, perché si poteva rinascere in altre forme
di vita. Il concetto di rigenerazione era fondamentale ed a simboleggiarlo c’era
la croce celtica. Il tema della resurrezione è importante, perché indica una
continuità della vita ai danni della limitatezza della morte. Dunque il
celtico non si preoccupava se in battaglia moriva, anzi questo gli dava più
onore, tanto poi risorgeva. Andavano nudi in battaglia perché, in preda al loro
furore bellico, comunicavano con gli dei direttamente e quindi emettevano
calore. Non è escluso che i druidi conoscessero delle tecniche yoga, atte a
creare uno stato di trance nei guerrieri nella fase pre-bellica. Essi infatti
eseguivano dei passi di danza prima di combattere, proprio per entrare in
contatto con le divinità. I Celti, specialmente quelli d’Irlanda, credevano
che alcune divinità vivessero sottoterra. Con loro si entrava in contatto
attraverso pozzi e stagni. Attorno ad ogni villaggio c’erano zone ritenute sacre
anche per questo. In Vandea sono stati trovati pozzi contenenti alberi e resti
umani e animali: agli dei si sacrificava tutto, sia il simbolo della fertilità
che la vita stessa. Esistevano cerimonie celtiche, presiedute da druidi, in cui,
con un sottofondo musicale, si portavano in processione alberi che, alla fine,
venivano sepolti in pozzi. I Celti non credevano nel peccato, quindi la loro
morale era molto semplice. Collezionavano le teste dei nemici (in Irlanda il
cervello) sopra le porte delle loro capanne o su pali conficcati nel terreno,
sia perché questo accresceva la loro fama, sia perché quando il nemico fosse
rinato lo avrebbe fatto senza testa, quindi più debole. I Galati trasmisero
ai loro cugini europei il mito scita del piccolo dio Attis e della sua madre
Cibele, dispensatrice di coraggio e gran madre di tutti, che poi, se vogliamo, è
lo stesso mito fenicio del dio Baal e della dea Baalat. Dunque la donna
rappresentava il coraggio, che specialmente in battaglia era molto utile, e la
fertilità che si ricollega alla rigenerazione della vita: esisteva una forte
venerazione per la madre. Non è escluso che esistessero druidesse, come le
abitanti dell’isola bretone o la sacerdotessa di Vix della Baviera. Il ruolo
del druida è molto simile a quello del bramino indiano (la società celtica e
quella indiana sono simili: il re - cavaliere assomiglia al rajas indiano). A
tale proposito si sottolinea che alcune parole del gaelico sono molto simili al
loro omologo indiano. I druidi erano il centro della religione celtica.
Ebbero anche una valenza politica. In Gallia, in particolare, sotto la
dominazione romana, difesero i costumi celtici e portarono avanti un sentimento
rivoluzionario antiromano che sfociò secoli dopo durante la fine dell’Impero
Romano. Essi non pagavano tasse, non espletavano il servizio militare, non erano
legati al loro territorio come il resto della popolazione. Erano, in pratica, i
veri capi della tribù. Avevano un falcetto in mano che li rappresentava, anche
perché erano conoscitori di erbe mediche, che venivano raccolte con una certa
ritualità. Alcune, perché velenose, erano raccolte con la mano sinistra (era
quella che valeva di meno), altre con la destra. Essi seppellivano i morti in
tumuli, secondo la tradizione dei kurgan. I druidi si riunivano in assemblee
e c’era il majestix (il grande re) che affidava i vari compiti a loro. Si
diventava druida solo dopo aver superato una prova che consisteva nel ritirarsi
nel bosco sacro e giungere all’aldilà (attraverso prove di allucinazioni ed
ipnosi): solo chi vi era stato ed aveva fatto ritorno tra i mortali poteva
guidare un popolo. I Celti avevano 374 divinità. In realtà molte erano copie
di altre, per cui se ne contano circa 60. Tra questi si ricorda: Teutate, dio
barbuto, presente nei riti sacrificali, Beleno omonimo di Apollo, Arduinna da
cui presero il nome le Ardenne, Belisama omonima di Minerva, Nemetona dea della
guerra. Il più importante di tutti era Lug, che diede il nome a Lione e Leida.
Simboleggiava un grande druida e sapeva suonare l’arpa, lavorare il ferro,
combattere da valoroso, fare magie. Questi fu il progenitore del germano Wotan,
che era chiamato anche Odino ed era il signore del Walhalla. Wotan era il
grande druida ed era il signore del calore magico che infiamma il guerriero.
Dunque tra Germani e Celti c’è questa trinità divina in comune: Wotan-Odino,
Donar-Thor, Ziu-Tyr, presso i primi; Teutate, Eso e Tarani presso i secondi.
Teutate era il più potente e si placava con sacrifici di sangue. Eso era
identificato con il toro, anche egli assetato di sangue. Tarani era il dio della
guerra e preferiva il rogo. Successivamente, Lug prese il potere su tutti. La
volta celeste era la proiezione della vita terrena, per questo si ipotizzavano
lotte e nascite di dei. Alla fine uno prevalse e fu il successo dei druidi. Il
concetto di trinità è molto ricorrente nelle religioni dei popoli di origine
orientale.
DRUIDI E DRUIDISMO
E' molto difficile al giorno d'oggi ricostruire con un
certo rigore scientifico il corpus dottrinale, mistico, magico e l'insieme di
conoscenze scientifiche e tradizionali possedute dagli antichi Druidi. Essi,
infatti, non ci hanno trasmesso nulla di codificato, e la quasi totalità della
loro dottrina è andata perduta con la morte dell'ultimo di essi. Tuttavia,
attraverso una cauta analisi di un certo numero di fonti indirette (romane e
greche) o tardive (che si riducono a qualche cenno nei manoscritti di eta'
cristiana), aiutandosi anche con elementi del folklore nordeuropeo sopravvissuti
nei secoli, si è riusciti, negli ultimi due secoli, a dipingere un quadro
generale, a dire il vero piuttosto vago, ma comunque estremamente
interessante. Innanzi tutto, la figura del Druido era centrale nella civiltà
celtica, ed assommava in sé diverse caratteristiche peculiari, che possono
venire sommariamente suddivise in due aspetti principali: la funzione
sacerdotale, e quella politica. Analizzeremo per prima quest'ultima, in quanto è
quella oggi conosciuta con maggior precisione. Nella società celtica il
potere politico, detenuto saldamente dal Re, aveva origine sacrale: il sovrano
era anche l'incarnazione di un simbolo solare, la cui forza e virtù dovevano
procurare alla Tuath il favore degli dei, la vittoria in battaglia e
l'abbondanza dei raccolti. Proprio per questo motivo era compito della classe
druidica insignire il nuovo Re, allorché il precedente moriva o non poteva più
guidare la tribù (si noti che questo avveniva anche in seguito ad una
mutilazione o menomazione di qualsiasi tipo: il Re , in quanto simbolo vivente
del suo popolo, doveva essere perfetto nel corpo e nello spirito, in caso
contrario avrebbe attirato sul suo popolo lo sfavore dell'Annwyn). Oltre a
questa determinante funzione di nomina del Re, la classe druidica esercitava un
controllo politico forte, benché velato: in primo luogo deteneva il potere
legislativo e giudiziario; in secondo luogo era la depositaria ufficiale di
tutto il sapere e provvedeva essa stessa all'educazione dei giovani e di quanti
volessero entrare nel sacerdozio; ma soprattutto aveva (nella persona del Capo
Druido) fondamentali funzioni consultive: riassumendo, si potrebbe
schematicamente dire che il Druido era tenuto a consigliare il Re per il meglio
(aveva la prerogativa di parlare prima del Re), ed il Sovrano aveva il dovere di
tenerne in grande considerazione i pronunciamenti, onde non perdere il favore
dell'Annwyn (parola che designa genericamente l'Aldilà, includendo gli spiriti,
le anime dei defunti, le forze magiche e naturali, le entità divine o
semidivine... in poche parole, l'Occulto). Tale favore sussisteva proprio in
virtù di un giusto equilibrio fra l'uomo e la natura, fra la Terra e l'Aldilà,
che era compito dei druidi mantenere, anche attraverso l'esercizio di rituali e
cerimonie particolari. L'ordinamento politico della civiltà celtica era, in
sostanza, bipartito, e rispecchiava la concezione druidica dell'Universo: un
concetto analogo verrà espresso attorno al 1000 d.C. da Adalberone di Laon, che
descriverà la società medievale tripartita (in quanto specchio della Trinità).
Al di là di queste motivazioni di carattere mistico, questa struttura gerarchica
aveva indubbiamente molti pregi: in particolare quello di fornire un elemento
unificante comune a tutte le varie Tuath sparse per l'Europa e per l'Asia. Fu
proprio il Druidismo, oltre alla lingua e alle comuni tradizioni, a rendere i
Celti una Civiltà; alcuni storici parlano addirittura di un Impero ("Celtica"),
nonostante la forza dei vari particolarismi e la totale indipendenza delle Tuath
(venuta meno solo in brevi periodi): un impero, dunque, unificato ed uniformato,
in prima istanza, dal Druidismo e dalla classe sacerdotale. Per concludere il
discorso, si noti di sfuggita come delle tre classi sociali celtiche
(Aristocrazia terriera fondata sul possesso del bestiame, Classe Sacerdotale e
Aes Dana, cioè gente in possesso di abilità manuali o tecniche, ivi inclusa la
coltivazione della terra) solo la prima comportasse una qualche forma di
"impermeabilità", peraltro relativa e ferma soltanto ad alcune prerogative
sociali (comunque subordinate al possesso dell'abilità in campo bellico); in
particolare potevano accedere ad una formazione druidica tutti coloro che ne
facessero richiesta e che mostrassero in tenera età disposizione allo studio:
anche il figlio del più povero dei contadini avrebbe potuto ottenere in questo
modo posizioni di prestigio nella società, o imparando a padroneggiare un
mestiere, o addirittura entrando nell'Ordine dei Saggi: fatto praticamente
isolato nelle civiltà antiche, senza echi nemmeno in quelle cosiddette
"democratiche" e "fondate sul diritto" (?????) come quella romana. Veniamo
ora alla funzione sacrale dei Druidi. Essi erano gli unici intermediari tra
l'Uomo e l'Assoluto, ma non si limitavano all'esercizio di pratiche
esclusivamente sacerdotali: amministravano la giustizia, svolgevano mansioni di
guaritori e medici, indagavano la natura, il moto degli astri, la filosofia, la
teologia e le scienze naturali nell'accezione più vasta del termine. La loro
dottrina era giunta in questi campi a livelli considerati alti persino dai dotti
greci (ai quali, verosimilmente, ne venne rivelata solo una parte infinitesima,
in quanto le conoscenze dei Druidi erano loro retaggio esclusivo, fonte di
potere e prestigio, custodite gelosamente e tramandate unicamente per via orale,
da maestro a discepolo). Tale dottrina doveva avere notevoli profondità di
contenuti, se si tiene conto che il periodo standard di apprendimento da parte
dell'apprendista aveva una durata superiore ai vent'anni. Poco ci è noto
della struttura gerarchica dell'Ordine dei Saggi ( "Molto Saggio" sarebbe
verosimilmente il significato etimologico della parola Druido, composta delle
radici Der + wydds; fino a non molto tempo fa però era quasi universalmente
accettato il significato (piuttosto forzato) di "Figli della Quercia"). Si sa da
fonti classiche che era suddiviso in tre rami: i Druidi veri e propri, i Filidh
(veggenti) e i Bardi. Alla quasi unanimità degli studiosi pare verosimile che la
distinzione tra le prime due categorie non fosse così accentuata; diverso è il
discorso per i Bardi, di cui ci si occuperà, brevemente, in
seguito. Analizzando e comparando un certo numero di fonti, si è giunti a
distinguere i Druidi veri e propri in un certo numero di "specializzazioni", che
sono le seguenti: Filidh: Si occupava delle profezie, e dei riti divinatori
in genere. Atheberth: Si occupa dei sacrifici e della divinazione ad essi
connessa. Liaigh: E' un guaritore, specializzato nell'applicazione delle tre
medicine: magica, chirurgica e vegetale. Brithem: Si occupa del
tramandamento e dell'applicazione della legge. Scelaige: Il "Contatore",
esperto in matematica e nella valutazione del numero delle armate nemiche,
dell'estensione della terra, nella conta degli alberi, dei frutti, nella stima
dei capi di bestiame e delle messi... leggende raccontano che questi druidi
fossero in grado di dare una stima abbastanza precisa con un solo colpo
d'occhio. Gutuater: L'Esortatore, l'Invocatore, che guidava i riti invocando
la presenza e l'ascolto dell'Annwyn. Per quanto concerne l'ordinamento
gerarchico, ogni Clan aveva i suoi Druidi, i migliori dei quali prestavano
servizio per l'intera Tuath al Bosco Sacro, vero cuore di ogni popolazione
celtica. Qui i Druidi eseguivano i riti solenni connessi alle quattro Festività,
ed esercitavano la loro arte nell'interesse dell'intera Tuath; alcuni studiosi
ritengono che non vi fosse ordinamento gerarchico (in quanto scarseggiano cenni
espliciti nei pochi documenti in nostro possesso), ma sembra verosimile che ogni
Bosco Sacro avesse un Capo Druido, alla cui guida gli altri Druidi erano
sottomessi (fatto che emerge da una serie di indicazioni implicite evinte da
svariate fonti, non ultimo Cesare). Ciò che invece si sa per certo, al di là di
ogni possibile dubbio storico, è che esisteva un Bosco Sacro (quello dei
Carnuti, chiamato significativamente il "Cuore di tutte le Gallie") che aveva
una sorta di "prevalenza" su tutti gli altri, e in cui tutti i (Capi)Druidi si
recavano in occasione della Festa di Samhain. E' verosimile supporre che il
Capodruido dei Carnuti avesse un ruolo di guida almeno sui Druidi della Gallia,
e probabilmente anche su quelli insulari. A questo proposito, si ha traccia
di un Santuario Druidico sull'isola di Môn (attualmente Anglesey) che era,
secondo Cesare, il "Centro del Druidismo", più probabilmente di quello cimrico;
è verosimile che sull'isola di Mona venissero addestrati gli iniziati della
zona, e si trattava sicuramente di un luogo sacro. Svetonio Paolino, comandante
in capo delle forze romane in Britannia, attaccò massicciamente l'Isola nel
60-61 d.C. Dopo un'iniziale terrore dovuto, secondo la cronaca romana, ad
"incantesimi e malefici" scagliati sui legionari in avvicinamento (!!), i romani
ebbero facilmente ragione degli abitanti dell'isola, per lo più sacerdoti, e
massacrandoli senza incontrare ulteriori problemi. Disgraziatamente per loro, la
notizia di questa profanazione si diffuse, e portò in ultimo alla rivolta delle
Tuath capeggiata da Boudicca, Regina degli Iceni. Suo marito, Prasutagus, aveva
tentato un compromesso con Roma per salvare dall'estinzione il proprio popolo,
rendendo l'imperatore Nerone co-erede dei suoi possedimenti. Tuttavia in seguito
alla sua morte (61 d.C.) Boudicca venne fustigata e le sue figlie furono
violentate dai soldati romani... La rivolta dunque non attendeva che una
scintilla per accendersi, e divampò in modo violentissimo, portando al
saccheggio della maggior parte degli insediamenti romani della zona, i cui
abitanti vennero, secondo cronisti romani, sacrificati dai druidi nel corso dei
loro riti... Per inciso la pratica dei sacrifici umani, per quanto
assolutamente esecrabile nonostante la peculiare concezione di aldilà in cui i
celti credevano, era molto meno frequente di quanto i romani non amassero
descrivere, e veniva per lo più applicata a criminali o prigionieri di guerra:
una sorte non dissimile a quella riservata dagli stessi romani alle loro
vittime, che venivano condotte a milioni in schiavitù, massacrate "per
divertimento" nelle arene o uccise direttamente sul posto della cattura dai
legionari: donne, vecchi e bambini inclusi... Dopo aver dato una sommaria
descrizione dei Druidi, vale forse la pena di spendere qualche parola sui Bardi.
La funzione del Bardo era duplice: da un lato egli era responsabile
dell'intrattenimento dell'aristocrazia guerriera, specie durante i lunghi mesi
invernali durante i quali l'attività bellica e venatoria venivano
necessariamente meno; accanto a questo compito per così dire "frivolo" ve n'era
un altro di peculiare importanza: così come il Druido era il depositario della
Sapienza, della Legge e della Magia, il Bardo era il custode delle Tradizioni,
della Storia, delle Leggende, in una parola dell'identità culturale del suo
popolo; tutto ciò veniva affidato alla sua memoria attraverso canti e ballate in
metrica e in rima, che nel complesso formavano un corpus poetico di dimensioni
impressionanti, monumentali; oltre a ciò il Bardo era l'autorità inappellabile
nel risolvere le questioni dinastiche, e si ritiene che fosse in grado di
recitare l'intera genealogia di qualunque guerriero fino almeno alla nona
generazione (e anche più in là per i Campioni dall'ascendenza illustre o
regale). Infine il Bardo era tradizionalmente ritenuto in grado di padroneggiare
la magia della Musica, capace secondo le leggende di indurre al riso o alla
tristezza, di infondere coraggio ai propri guerrieri e di terrorizzare le
schiere nemiche, o addirittura di farle cadere in un sonno magico... Una
testimonianza, in chiave mitica naturalmente, di quanto gli antichi Celti
amassero la musica e la poesia, da loro innalzata a forme tutt'altro che
primitive, come vorrebbero invece le fonti classiche loro contemporanee. Per
quanto riguarda l'ordinamento gerarchico, i Bardi erano considerati Druidi a
tutti gli effetti, e pare (almeno secondo alcuni) che potessero persino venire
eletti capi-druidi (purché ritenuti abili anche nelle dottrine magiche e
mistiche), ma avevano una propria gerarchia e proprie sotto-specializzazioni:
tra queste, brevemente, il Sencha, o Storico, era custode della storia del suo
popolo; i Cainte, specializzati nell’uso della satira; i Bardagh, aspiranti
bardi che studiavano presso un maestro; i Cithradrag, bardi esperti solo
nell’uso degli strumenti e non della voce; il Dorsaid, facente funzioni di
araldo… Analogamente ai Druidi, in ogni Tuath il bardo più dotato veniva eletto
dai suoi simili Penkerrd, Capo-Bardo, sedeva alla sinistra del Re (il Capo
Druido alla destra) ed aveva diritto a portare un mantello a sei colori, simbolo
della sua carica. Druidismo Come si è detto alla voce “la spiritualità dei
celti”, la società celtica era espressione del divino; ed avendo loro
un’immagine del divino tripartito secondo i principi Skiant, Nerz e Karantez,
espressione dell’Awen, anche la società era così ripartita. Quindi se a Nerz
corrispondeva la classe guerriera e a Karantez la classe produttiva, Skiant
(conoscenza/saggezza) era rappresentata dai sacerdoti. Tali sacerdoti hanno
il nome di druidi, appellativo sulle cui origini si è molto discusso. Ci
sono alcune teorie elaborate a tale proposito tra cui quella che vuole la parola
druido come derivazione di quercia dal gaelico Duir; tale ipotesi venne fatta
sia per la somiglianza tra i nomi Druid (druido) e Duir (quercia) e dal fatto
che la quercia era un albero sacro e caro ai druidi. Però questa ipotesi è stata
superata in quanto anche se si somigliano, duir è diverso da druid. L’ipotesi
più accreditata è quella sostenuta da etimologisti come Whitley Stokes e Rudolf
Thurneysen i quali sostengono che la parola deriva dalla radice linguistica
dru-wid “conscenza della quercia”, in cui wid significa “conoscere” o “vedere”.
Secondo questa tesi quindi, il significato non letterale equivale a “quello la
cui conoscenza è grande”. L’origine della casta dei druidi si fa risalire ad
un periodo antecedente il 400 a.C., quando l’Europa era quasi interamente
ricoperta di foreste di querce e la popolazione usava le ghiande come risorsa
alimentare durante i periodi difficili; la quercia quindi veniva venerata come
simbolo della crescita della vegetazione ed era considerata albero sacro da
tutti i popoli che discendevano dagli indoeuropei. I druidi non erano
semplicemente sacerdoti o sacerdotesse, ma erano una classe di intellettuali, la
cui casta riuniva tutte le funzioni erudite. Quindi fra i druidi si trovavano
sì coloro che si occupavano di questioni religiose, ma anche storici, giudici,
poeti, musicisti, medici, insegnanti, alcuni potevano essere anche re o comunque
le guide della loro tribù o magari dei consiglieri politici. Il loro ruolo
era estremamente rilevante, al punto che per poter essere definiti druidi
all’interno della società era necessario fare un praticantato molto lungo, a
volte anche di vent’anni durante i quali l’allievo apprendeva una quantità
enorme di nozioni relative a tutti i settori dello scibile, senza che vi fosse
un testo scritto a supportarlo. Le informazioni infatti venivano passate
dall’insegnante all’allievo oralmente per due motivi fondamentali: per impedire
al volgo di venirne a conoscenza e per impedire che l’impegno dell’apprendista
venisse meno grazie ai testi scritti. Chiunque lo desiderasse poteva
accedere alla “scuola” druidica, e il titolo di druida di otteneva per merito
mai per eredità. Chi voleva accedere alla scuola doveva comunque essere immune
da qualsiasi tara e da qualsiasi difetto fisico o intellettuale. Il druida al
termine della sua lunghissima iniziazione, veniva considerato l’intermediario
tra gli dei e gli uomini (guerrieri e artigiani) rappresentanti dal re. Dato
che deteneva l’autorità spirituale era amministratore del sacro ed era
responsabile del sapere, della conoscenza, di tutte le speculazioni e attività
intellettuali e religiose (sacrifici, magia, medicina, diritto, predizione,
divinazione, genealogia, astronomia ecc.). Uno dei suoi compiti era di
orientare e consigliare, a volte vincolando mediante un’ingiunzione o un
interdetto e il suo ruolo gli dava il diritto di parlare prima del re.
Ovviamente non era vincolato da nessun tipo di obbligo o interdizione ed era
esentato dal pagamento di qualsiasi imposta. All’interno verranno analizzati
nel dettaglio tutti i ruoli ricoperti dai druidi in quei campi di conoscenza nei
quali erano maestri. Tutto questo nel tentativo di cercare di conoscere
meglio una casta, quella dei druidi, che ha esercitato l’influenza spirituale
più illuminata e civilizzata di tutta l’Europa preistorica.
I druidi
occupavano un gradino davvero notevole all'interno della società, tanto che a
Dione Crisostomo sembrava che costoro detenessero un posto addirittura superiore
a quello del re, e che questi non fosse che un misero fantoccio nelle loro mani.
Ciò non è del tutto esatto, ma contribuisce a rendere bene l'idea della potenza
druidica, che compare anche in numerosi testi mitologici. Basti leggere questa
frase tratta dall'immortale Tain Bo Cuailnge: " Nessuno rispose, poiché era
proibito agli Ulaid parlare prima di Conchobar, e Conchobar non parlava mai
prima dei suoi tre druidi." In effetti, similmente a quanto accade nella
mitologia indiana con la coppia Mithra- Varuna, il druida non ha il potere
materiale e decisionale, che spetta di diritto al re, ma possiede comunque
un'influenza innegabile in quanto rappresentante della dimensione trascendentale
in un popolo che aveva sempre rifiutato il dualismo aristotelico tra "realtà" e
"irrealtà". Il druida consiglia il re come intermediario che riferisce i
piani divini: il re, quindi, non può esimersi dall'ascoltarlo. Il potere
giuridico, riferendosi al discorso precedente, spettava ai druidi in quanto
brithem, ossia magistrati che conoscono, interpretano ed applicano la complessa
legislatura trasmessa, naturalmente, per via orale. Quella di brithem non
però è che una delle numerose funzioni attribuite ai druidi. Queste complesse
figure, ammantate di mistero, possedevano diverse cariche specifiche di estrema
importanza all'interno della società. Degni esempi possono essere druidi
"specializzati" come il sencha, che svolge la funzione di storico ed è
incaricato di tramandare la memoria collettiva di una società che si basava
sull'oralità; o il cainte, l'invocatore, colui al quale spettava il compito di
lanciare maledizioni e benedizioni e di evocare gli spiriti attraverso il canto
magico; lo scelaige, il narratore, esperto dei racconti epici; il dogbaire,
grande conoscitore di erbe inebrianti ed allucinogene; il liaig, preparato
medico in grado di combinarei i rimedi magici a quelli scientifici, come la
chirurgia, che era praticata ad un livello impressionante, e alle piante
curative. Diversi druidi avevano anche doti di vati, come dimostrano anche molti
testi mitologici in cui essi compiono predizioni di tutto rispetto, a volte
ottenute con il sacrificio rituale degli animali e a volte derivate da una sorta
di coscienza "superiore".
nfine, tra di loro, va annoverato il
cruitire, l'arpista, in grado di suonare con tecniche così raffinate da
suscitare ilarità, pianto o sonnolenza nei suoi ascoltatori, secondo i suoi
desideri. Questi rappresenta una figura di spicco all'interno della cultura e
del panorama mitologico celtico. Più e più volte sono nominati, nell'epica
irlandese, musici dotati di queste doti particolari. Ad esempio, poco dopo il
ritrovamento, riportato più sopra, della spada Orna da parte di Ogmè, il dio In
Dagda riprende possesso di un'arpa che gli era stata rubata dai mitici Fomoire.
Questa, lungi dall'essere raffigurata come un mero oggetto, ha ben due nomi che
indicano il rispetto che i Celti dovevano a questo tipo di strumento. Si dice
inoltre che In Dagda "aveva racchiuso le proprie melodie" nell'arpa. Il dio,
poi, la utilizza per suonare le "tre arie che distinguono l'artista", facendo
dapprima lacrimare, quindi piangere ed infine addormentare i Fomoire che stavano
per attaccarlo, e riuscendo così ad andarsene incolume. Tale episodio è ben
esplicativo del grande rispetto che la gente comune attribuiva ai bardi. I Celti
erano grandi amanti della musica; a tutt'oggi possiamo ascoltare con ammirazione
gli armoniosi brani degli artisti contemporanei, che hanno saputo conservare
l'incanto e la magia dei loro predecessori. Un altro aneddoto molto
significativo è il fatto che l'Irlanda, dopo le innumerevoli invasioni di popoli
mitologici, sia stata conquistata definitivamente, secondo la leggenda, non
dalle armi ma dall'arpa e dal canto di Amergin, il poeta. I Celti avevano un
grande rispetto per tutte le categorie di artisti, dai bardi agli artigiani.
Questi ultimi, chiamati aes dana, godevano di privilegi spesso non accordati
nemmeno alla nobiltà, come ad esempio la possibilità di varcare impunemente i
confini tribali. Possedevano notevoli tecniche di lavorazione, ammirate sia dai
loro vicini, i Romani, che dai moderni studiosi dell'arte. Si può restare ancora
stupefatti dinanzi alla intricata bellezza di una torquis, di un elmo o di uno
dei loro splendidi e ostentatamente preziosi manufatti, ornati con migliaia di
figure simboliche stilizzate con abilità. Anche nei testi mitologici si esalta
l'amore celtico per la bellezza dei monili, descrivendo con accuratezza i
preziosi e gli artefatti scolpiti dagli artigiani più dotati. Abbandonando
questa parentesi, possiamo notare come il rispetto di cui, pare, godessero i
druidi fosse davvero straordinario. La mitologia, come sempre, è una delle
nostre maggiori fonti di informazione: veniamo così ad apprendere che, durante
una lotta o addirittura una battaglia, bastava che uno di loro alzasse un ramo
di quercia perché cadesse il silenzio e ogni combattimento cessasse. Durante
uno scontro, ogni druida e bardo godeva di totale immunità, tanto da potersi
aggirare per il campo di battaglia liberamente senza che nessuno potesse fargli
del male, in parte anche per il suo compito di storico. Questo speciale
salvacondotto non veniva a cadere nemmeno nel caso che un druida decidesse di
schierarsi con una delle sue parti o esasperasse un guerriero in modo eccessivo:
Cù Chulainn trova la morte per aver infranto tutti i gessa che gravavano su di
lui, e tra questi si trova il divieto universale di uccidere un membro della
classe druidica (nel caso specifico un satirista, che pure lo aveva provocato e
ripetutamente insidiato). I druidi, in effetti, pur non essendo ufficialmente
costretti a partecipare alle guerre, spesso vi si recavano in ogni caso, di loro
volontà. Numerose sono le descrizioni di druidi pronti per la battaglia; a
quanto pare, alle numerose magie guerresche che compivano, essi univano anche
una buona preparazione bellica più materiale. Anche Diviziaco, il druido degli
Edui divenuto confidente di Cesare, parlava nel Senato appoggiandosi al suo
scudo, e non esitava a pianificare le tattiche delle sue truppe come un vero
stratega, pur sotto le direttive romane. I druidi erano estremamente
apprezzati anche dai loro contemporanei Latini e soprattutto Greci. Basti
pensare a come Cicerone si vantasse pubblicamente, con aperto orgoglio, di aver
potuto parlare ad uno di essi. Da più e più autori classici, i druidi vengono
messi in relazione con la dottrina pitagorica. Ciò non è assolutamente vero -
l'unica credenza da loro condivisa era quella dell'immortalità dell'anima - ma
testimonia, comunque, il rispetto di cui dovevano godere questi filosofi anche
presso i popoli mediterranei, ben lungi dal catalogarli come selvaggi e anzi
propensi a riconoscere la loro alta levatura intellettuale e di pensiero.
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