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LA STORIA DELLA
CHIESA
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LA STORIA DELLA CHIESA
E LA SANTA INQUISIZIONE |
Fra il 100 d.C. e il 500 d.C. la chiesa cristiana cambiò così tanto da risultare
alla fine quasi irriconoscibile. Nel 100 d.C. essa non era che una sparuta
minoranza, perseguitata a più non posso. Gli Evangeli e le Epistole erano già in
circolazione, ma non erano stati ancora raccolti e uniti insieme per formare il
«Nuovo Testamento». Nonostante alcune brevi affermazioni di fede, tipo: "Gesù è
il Signore", non esisteva però nessun credo formale da recitare.
L'organizzazione della chiesa era ancora abbastanza fluida e variava da una zona
all'altra, come ai tempi neotestamentari. Infine, non esistevano modelli fissi
per il culto, anche se forse certe preghiere, come il Padre nostro, erano in
uso. Verso il 500 d.C. il quadro della situazione era ben diverso. La
stragrande maggioranza delle persone all'interno dell'Impero Romano si definiva
cristiana, e il cristianesimo era diventato religione ufficiale di Stato. Ma
anche al di fuori dei confini dell'Impero, come in Etiopia o in India, vi erano
delle chiese di considerevole grandezza. Le Scritture si componevano di due
Testamenti: l'Antico e il Nuovo - quest'ultimo, a parte qualche variante locale,
era identico a quello che abbiamo noi oggi. Erano due i «credo» maggiormente
diffusi, e vi era una chiara comprensione dell'ortodossia in contrapposizione
all'eresia, specialmente in riferimento alle dottrine della Trinità e della
persona di Cristo. Il ministero della chiesa si espresse ovunque sotto la
triplice forma dei vescovi, dei presbìteri e dei diaconi, anche se a livello
locale potevano ancora sussistere delle lievi differenze. L'adorazione della
chiesa aveva un carattere interamente liturgico, con forme fisse di
preghiera. La maggior parte di questi mutamenti avvenne in maniera graduale
nel corso dei quattro secoli in questione; generalmente, erano per il bene della
chiesa e ne rispecchiavano una crescita sana. Ma non tutti i cambiamenti
migliorarono necessariamente la situazione. Oggi, per esempio, l'alleanza con lo
Stato e la trasformazione del cristianesimo in "religione ufficiale" sarebbero
da molti considerate al massimo come una benedizione mista, se non addirittura
come una vera e propria maledizione. Tanti altri, poi, non sarebbero affatto
entusiasti del tipo di ministero emerso nella chiesa ne della soppressione delle
forme libere di adorazione. Furono due le svolte più importanti nella vita
della chiesa primitiva. La prima avvenne nell'anno 70 d. C.: fino a quel
momento, i discepoli di Gesù erano prevalentemente giudei, e generalmente
sarebbero stati considerati come un gruppo "deviante" (o "del dissenso")
all'interno del giudaismo. I "nazareni" potevano essere considerati una setta
giudaica, come quelle dei Farisei, dei Sadducei e degli Esseni (Atti 24:5). La
chiesa-madre era quella di Gerusalemme. L'apostolo Paolo dovette combattere non
poco perché la sua missione nei confronti dei "Gentili" (= pagani) fosse
riconosciuta. Egli lottò fortemente per stabilire il principio secondo cui non
era necessario che i Gentili convertiti "diventassero" giudei facendosi
circoncidere. Ma nel 70 d.C. Gerusalemme fu saccheggiata dai Romani, come aveva
profetizzato Gesù, e la chiesa di Gerusalemme cessò di esistere. Da allora in
avanti, divenne dominante la chiesa gentile. La chiesa-guida ben presto divenne
quella di Roma, capitale del mondo pagano. Mentre per la chiesa neotestamentaria
il problema principale era: "I Gentili che si convertono devono o non devono
essere circoncisi (cioè, diventare giudei)?", per la chiesa del II secolo il
problema era un altro: "I cristiani giudei possono continuare a osservare le
leggi giudaiche (cioè, rimanere giudei)?". Il cristianesimo si era trasformato
da setta giudaica in una fede potenzialmente universale. La seconda svolta
importante si verificò nel 312, con la conversione al cristianesimo
dell'imperatore Costantino. Fino a quel momento, la chiesa era una minoranza del
dissenso, periodicamente perseguitata. La situazione cambiò rapidamente:
Costantino pose fine alle persecuzioni e offrì ufficialmente alla chiesa il suo
appoggio e il suo favore. Degli imperatori che gli succedettero, soltanto uno
era pagano. Il cristianesimo divenne la "religione ufficiale" dello
Stato. L'unione chiesa-Stato fu subito accolta con entusiasmo da alcuni
(Eusebio di Cesarea, per esempio) ed è tuttora difesa da molti. Altri nutrirono
dubbi fin dall'inizio. Oggi è sempre più diffuso il pensiero che questo passo
sia stato un errore gravissimo. Diverse questioni entrano in gioco. Prima di
tutto, l'adozione del cristianesimo come religione di Stato portò a un massiccio
afflusso di conversioni superficiali da parte dei pagani. Questo comportò di
conseguenza un declino degli standard morali e l'introduzione di alcune pratiche
pagane e idolatriche. In secondo luogo, la "chiesa perseguitata dei martiri"
divenne ben presto la "chiesa di Stato perseguitante". La coercizione legale fu
uno dei primi strumenti utilizzati contro quei gruppi di cristiani che
"deviavano" o dissentivano dalla corrente principale della "Chiesa cattolica", e
più tardi contro il culto pagano. La chiesa-serva-e-sofferente rischiava così di
diventare la chiesa-opprimente. In terzo luogo, via via che l'Europa diventava
cristiana, il cristianesimo correva il pericolo di trasformarsi nella religione
tribale degli Europei, II legame con lo Stato comportò dei problemi particolari.
Ma occorre ricordare che la corrente principale della storia cristiana si è
svolta nell'Europa cristiana. È lì che la chiesa a più riprese ha subito dei
rinnovamenti, ed è da lì che l'Evangelo si è sparso per tutto il mondo. La
chiesa primitiva, come pure l'Impero Romano, era suddivisa in due tronconi:
quello orientale, dove si parlava il greco; e quello occidentale, dove si
parlava il latino. Al di là delle differenze linguistiche vi erano ovviamente le
differenze culturali fra il mondo greco e quello romano. Il cristianesimo più
antico sviluppatesi fra i Gentili era greco, e il Nuovo Testamento, d'altra
parte, era scritto in greco. Perfino in Occidente, nelle prime chiese si parlava
il greco (nella chiesa di Roma l'uso prevalente del greco si protrasse fino al
III secolo). È nell'Africa settentrionale che troviamo le prime tracce del
cristianesimo latino, e l'africano Tertulliano (fine II secolo) fu il primo
importante scrittore cristiano latino. Nel corso dei primi secoli le chiese di
lingua greca e quelle di lingua latina coesistettero tranquillamente,
nonostante alcuni occasionali motivi di tensione. Più avanti, dopo il crollo
dell'Impero Romano d'Occidente avvenuto nel v secolo, le due chiese si
separarono gradualmente, dando vita nel tempo rispettivamente alla Chiesa
ortodossa orientale e alla Chiesa cattolica romana. Atanasio (c.
296-373) Campione dell’ortodossia contro l’Arianesimo. Nato da famiglia
benestante, era egiziano per nascita e greco per educazione. Nell’eccellente
scuola catechetica di Alessandria, egli venne molto impressionato dalla
testimonianza dei martiri durante le ultime persecuzioni e fu profondamente
influenzato da Alessandro, vescovo di Alessandria, dal quale fu consacrato
diacono. Di piccola statura e di intelligenza sottile, Atanasio non ebbe alcun
ruolo ufficiale durante il Concilio di Nicea (325), ma come segretario di
Alessandro, le sue note, circolari ed encicliche per conto del suo vescovo,
ebbero un importante effetto sul suo esito. Egli era in lucido e capace teologo,
scrittore prolifico, con l’istinto del giornalista per il potere della penna, e
cristiano devoto – le quali cose lo portarono ad essere apprezzato dal più vasto
pubblico di Alessandria, e la grande maggioranza del clero e dei monaci
d’Egitto. Atanasio contestò Ario e gli ariani durante la maggior parte del
quarto secolo. Ario insegnava che Cristo, il Logos, non fosse l’eterno Figlio di
Dio, ma un essere subordinato. Queste concezioni erano un attacco alla dottrina
della Trinità, alla Creazione, ed alla Redenzione. Atanasio affermava che le
Scritture insegnano l’eterna figliolanza del Logos, la creazione diretta del
mondo da parte di Dio, e la redenzione del mondo e degli uomini da parte di Dio
in Cristo. Queste verità vengono esposte nel saggio: L’incarnazione della Parola
di Dio, scritto quando Atanasio era appena un ventenne. Alessandro morì nel
328, e su grande richiesta, Atanasio venne nominato vescovo all’età di soli 33
anni. La vittoria di Nicea rimase pregiudicata per due generazioni, ed Atanasio
era il punto focale dell’attacco ariano. L’arianesimo aveva nell’impero un
grande seguito, come pure le simpatie di Costanzo, il successore di Costantino
nel 337. La storia della Chiesa nel quarto secolo va di pari passo con gli
avvenimenti della vita e del ministero pubblico di Atanasio. Egli venne
perseguito attraverso cinque esili, comprendenti 17 anni di fughe e
nascondimenti, non solo fra i monaci del deserto, ma spesso in Alessandria
stessa, dove era protetto dal popolo. Durante un esilio, a Roma nel 339, egli
stabilì forti legami con la Chiesa occidentale, che appoggiava la sua causa. Gli
anni susseguenti li passò in pace ad Alessandria. Gli storici affermano che
Atanasio, quasi da solo, salvò la Chiesa dall’intellettualismo pagano e che, per
la sua tenacia e visione nel predicare un Dio e Salvatore, egli avesse
preservato dalla dissoluzione l’unità e l’integrità della fede cristiana. La
vastità dei suoi scritti è impressionante. Contra gentes, una confutazione del
paganesimo e De Incarnatione, esposizione dell’incarnazione e dell’opera di
Cristo, furono scritti presto nella sua vita (c. 318) e sono da considerarsi
parti di un’unica opera. Pure importanti scritti dottrinali sono De Decretis e
Expositio fidei. Saggi polemici e storici includono: Apologia contra arianos, Ad
episcopos egypti, e De Synodis. Egli scrisse molti commentari su libri biblici.
Vi sono numerosi altri scritti, incluse lettere, molte delle quali sono ancora
accessibili. Egli discusse dottrine chiave come: la Creazione,
l’Incarnazione, lo Spirito Santo, e la Trinità, l’opera di Cristo, il Battesimo
e la Cena del Signore. Atanasio influenzò molto il movimento monastico,
soprattutto in Egitto. (S. J. Mikolaski, in: J. D. Douglas, ed. The New
International Dictionary of the Christian Church, Grand Rapids, MI: Zondervan,
1974, p. 67). Arianesimo Eresia che negava l’eternità di Gesù Cristo, il
Figlio di Dio come il Logos. Fu condannato al Concilio di Nicea nel 325. Rimane
oggi molto poco degli scritti di Ario, presbitero di Alessandria (m. 336), ma la
controversia ariana (c. 318-381) fu strategica per la cristallizzazione e lo
sviluppo della dottrina cristiana. Insieme ad Eusebio di Nicomedia, Ario
studiò sotto Luciano di Antiochia, le cui concezioni precorrono la cristologia
ariana. Il genio di Ario fu quello di spingere la questione cristologica fino
alle origini del Logos pre-incarnato. La controversia sembra essere sorta in
una disputa fra Ario ed il vescovo di Alessandria Alessandro, sebbene dopo
Nicea, fu il giovane Atanasio, diacono di Alessandro, a portare avanti le
argomentazioni contro Ario e la cui difesa della Cristologia biblica a suo tempo
trionfò sugli ariani nel quarto secolo. Affermando un senso univoco di
“generare” in riferimento all’essere del nostro Signore “unigenito Figlio”, Ario
diceva, citando Socrate Scolastico, “Se il Padre generò il Figlio, di colui che
fu generato si può affermare un inizio di esistenza; e da questo è evidente che
vi fosse un tempo quando il Figlio non esisteva. Ne consegue necessariamente che
egli avesse la sua sussistenza dal nulla”. Sulla base di una certa logica di
termini, la cristologia subordinazionista di Ario è coerente, ma è pure
chiaramente eretica, se giudicata dalla testimonianza apostolica. Se Dio è
indivisibile e non soggetto a cambiamento, allora, secondo una lettura di
“generato”, qualunque cosa venga generata da Dio deve derivare da un suo atto
creativo, non dall’essere stesso di Dio. Per cui esso comporta un inizio di
esistenza. Il Figlio, quindi, non sarebbe coeterno con il Padre. Il Credo
niceno, così, insiste che Cristo è della sostanza del Padre, non sacrificando,
così né l’impassibilità di Dio, né la divinità del Figlio. Dire che il Figlio
sia generato dal Padre dall’eternità non vuol dire dividere il Dio indivisibile,
ma accettare la testimonianza degli Apostoli. Cruciali per questa questione
sono le dottrine della Creazione e della Trinità. A Nicea, i cristiani
adottarono la dottrina che l’unico Signore Gesù Cristo dall’eternità è di
un’unica sostanza con il Padre (si noti il prologo di Giovanni 1:1-18). Questo
segnò la fine del periodo in cui Cristo poteva essere concepito come
intermediario di Dio nella Sua opera di creazione e di redenzione. Fu così
riaffermata la dottrina veterotestamentaria della creazione diretta del mondo da
parte di Dio, piuttosto che il concetto greco di uno o più intermediari che
collegavano il mondo a Dio, ma non Dio al mondo. Il concetto di intermediari
(come nello Gnosticismo) era stato formulato per vincere l’antinomia di come Dio
possa essere non generato ed impassibile, eppure agire per creare il mondo.
Contro Ario, Atanasio insisteva come non vi potesse essere spazio nel pensiero
cristiano per un qualsiasi essere che agisca da intermediario fra il Creatore e
la creatura, e perché la redenzione è una prerogativa divina, solo di Dio in
Cristo, non in qualche essere intermediario che possa redimere. La
controversia ariana si protrasse a lungo ed implicò molti complicati documenti
che circolavano nel quarto secolo. Gli ariani conseguirono grande popolarità
dopo il Concilio di Nicea, specialmente dopo la morte di Costantino nel 337,
perché suo figlio e successore, Costanzo, era appassionato di Ario. La forza
dell’insegnamento ariano venne a suo tempo dissipata, sebbene solo attraverso
l’energica opposizione di Atanasio. Il credo niceno fu confermato dal Concilio
di Costantinopoli nel 381. Oggi, la cristologia che maggiormente si avvicina
a quella di Ario si trova nell’insegnamento dei Testimoni di Geova, i quali
negano l’eternità del Figlio di Dio, la dottrina della Trinità, e considerano il
Logos come essere intermediario fra il Creatore e la creazione. (S. J.
Mikolaski, in: J. D. Douglas, ed. The New International Dictionary of the
Christian Church, Grand Rapids, MI: Zondervan, 1974, p. 67). Implicazioni
ideologiche “Nel cristianesimo trinitario ortodosso, il problema dell’uno e
dei molti viene risolto. L’unità e la pluralità sono ugualmente valori ultimi
nell’essere di Dio. L’unità temporale e la pluralità sono su una base di
validità uguale. Non c’è quindi alcun conflitto di base fra individuo e società.
L’individuo vive nella società, e nella società fiorisce come l’individuo che
trova sé stesso e cresce in termini di fede cristiana coerente. Invece di
un’ostilità filosofica di fondo fra l’individuo ed il governo, fra il credente e
la Chiesa, fra persona e famiglia, vi è una necessaria co-esistenza. Né l’uno né
i molti sono riducibili all’altro. Essi non possono cercare di obliterare
l’altro, perché significherebbe un’auto-obliterazione: La fede agostiniana e
calvinista, con la sua ostilità verso il subordinazionismo, comporta, se
sviluppata, la possibilità per un ordinamento sociale autentico e, nella misura
in cui vengono seguiti agostinismo e calvinismo, la cultura occidentale si è
sviluppata sia come libertà che come ordine. Quando il subordinazionismo
teologico prevale, cioè si afferma la condizione di subordinazione della seconda
Persona della Trinità, sorge lo statalismo, come nella Russia bizantina (con la
sua cristologia docetica), l’Anglicanesimo ed il modernismo, per citarne solo
alcuni. L’uguaglianza ultima dell’uno e dei molti viene disturbata, e l’ordine
della rivelazione pregiudicato. Gli imperatori romani erano intensamente
consapevoli di questo fatto e, per promuovere lo statalismo,. Appoggiavano
l’arianesimo ed altre concezioni subordinazioniste come essenziali per la
conservazione dello stato in cui il vero ordinamento in cui la vita umana
dovesse essere compresa totalmente. L’ostilità di Atanasio si fondava su questa
premessa. Il Concilio di Calcedonia nel 451, affermando la piena fede
trinitaria, era così la vittoria significativa che condusse alla vittoria ciò
che oggi chiamiamo civiltà occidentale. Il riduzionismo è il risultato di una
cristologia difettosa. Una volta che si neghi l’eterno Uno e Molti nel loro
uguale carattere ultimo, esso cessa di essere il quadro di riferimento, e un Uno
immanente assorbe i Molti. L’impero romano e bizantino, come lo stato moderno e
le Nazioni Unite, cercò di essere l’uno immanente. Invece che al punto focale ci
fosse un Uno e Molti trascendentale, che nessun ordine umano, come essere
creato, poteva incorporare, l’ordinamento temporale divenne il quadro di
riferimento. Fu negato l’ordinamento eterno tanto che uno umano poteva
sostituirlo. Gli imperatori divini, il diritto divino dei re, si poggiava su
questa premessa filosofica, e la corte bizantina sviluppò una teologia
dell’imperatore e della corte”. (R. J. Rushdoony, The One and the Many,
Fairfax, VA: Thoburn Press, 1978, p.16,17) Il Natale è una festa
cristiana? Per la maggior parte della gente, chiedersi se il
Natale sia una festa cristiana, è privo di senso. Che ci potrebbe essere di più
cristiano del Natale? Non è forse il compleanno di Gesù? Eppure molti cristiani
si sentono sempre più a disagio con le celebrazioni natalizie. Quando vedono
tutti i baccanali che avvengono intorno alle festività natalizie, essi non
possono evitare di domandarsi se non vi sia qualcosa di sbagliato in tutto
questo. Così continuano a chiedersi: "Non è forse il Natale il compleanno di
Gesù? Il mondo ha corrotto il vero senso del Natale, ma si tratta pur sempre di
una "festa bellissima", e così anno dopo anno essi lottano per "restituire il
Natale a Gesù". Quanto affermo, per alcuni potrà essere scioccante, ma dopo
aver ora per molti anni ben riflettuto sulla questione e fatto ricerche nella
Bibbia e nella storia della Chiesa, sono giunto alla conclusione che non v'è
nulla di cristiano nel Natale, che sia come ora viene celebrato, come pure
nell'origine di questa festa, il Natale non sia che fondamentalmente ed
essenzialmente pagano. Se questo pensiero per voi è nuovo e sorprendente, vi
invito a considerare la possibilità che il Natale sia per voi un angolo oscuro
che debba essere riesplorato mettendolo in luce. Non intendo dire che tutto
il romanticismo dello "spirito natalizio" mi lasci del tutto indifferente. Certo
c'è un fascino particolare in questa festività: il pensiero delle riunioni di
famiglia, le canzoni e le melodie natalizie tradizionali, le città illuminate di
luci multicolori, le strade ed i negozi piene di gente che acquista regali...
Nessuno che abbia del sentimento può sfuggire al fascino dello spirito
natalizio. Anche il cinico più indurito non può evitare quei sentimenti che
inducono ad "essere buoni" e a rinvangare la nostalgia della fanciullezza anche
solo per pochi giorni. Ho provato quell'approccio che ci fa dire:
"restituiamo il Natale a Gesù", ma mi sono convinto sempre di più che sia Cristo
a non voler essere "restituito" al Natale. Se parliamo contro la
commercializzazione del Natale e cerchiamo di mettere in rilievo "il vero
significato del Natale", la maggior parte certamente sarebbe d'accordo. La gente
è cosciente che a Natale spesso si eccede in senso materialistico, e gradisce
sermoni sul "vero" significato del Natale. Mi chiedo però: "Qual è il vero
significato del Natale?". Quando giungi proprio alla sua essenza, che cos'è il
Natale? Da dove è venuta questa festa? Com'è sorta? Che cosa rappresenta ora per
la gente? La vera questione riguarda la natura stessa di questa
istituzione. Credo che sareste scioccati se vi metteste a sondare
realisticamente l'istituzione del Natale. Quello che vi chiedo è di mettere da
parte pregiudizi e preferenze culturali, e di affrontare la questione con mente
aperta. Certo è difficile farlo. Siamo così sommersi da un secolo di tradizioni
e di nostalgie, che è quasi impossibile per qualcuno considerare oggettivamente
la faccenda. Vi chiedo di mettere da parte le vostre idee preconcette, almeno
temporaneamente e considerare onestamente questa istituzione che chiamiamo
Natale. Francamente l'intenzione di questo articolo è quella di mettervi in
questione, di farvi pensare, di fare si che si produca in voi un cambiamento nel
vostro comportamento se si trovasse non conforme alla verità
dell'Evangelo. 1. L'origine delle festività natalizie Qual è l'origine del
Natale? Come iniziarono? Al principio si trattava di una festa pagana oppure
cristiana? Non c'è indicazione alcuna nel Nuovo Testamento che i primi cristiani
celebrassero il Natale. Può essere dimostrato dalla storia della Chiesa che,
probabilmente per i primi 300 anni dopo la nascita di Cristo, i cristiani non
sapessero nulla delle feste natalizie. Fu soltanto quando la Chiesa cominciò ad
allontanarsi dalla dottrina e dalla pratica apostolica ed a corrompersi sempre
di più che iniziano le celebrazioni natalizie. Da dov'è venuto allora il
Natale? Da dove ha preso le idee e le usanze associate oggi al Natale la Chiesa
in fase di allontanamento dalle sue origini? La fonte della maggior parte delle
forme basilari di paganesimo nel mondo antico può essere fatta risalire ai
"misteri" babilonesi. Tutte le culture antiche: Egitto, Grecia, Roma, e persino
India e Cina, avevano credenze, tradizioni, pratiche dei e dee collegate in
qualche modo a quelle di Babilonia. I nomi usati erano diversi, e furono
aggiunte ad esse diverse modifiche, fondamentalmente, però, le religioni antiche
erano collegate e trovano la loro "forma più pura" a Babilonia. Nell'Antico
Testamento Babilonia è considerata l'incarnazione di tutto ciò che è empio e
perverso. La più grossa vergogna sofferta dal popolo di Dio a causa dei loro
peccati fu quella di essere portata forzosamente in esilio al cuore stesso del
mondo pagano. Nel Nuovo Testamento Babilonia diventa Roma. Era l'impero
romano a quel tempo ad incarnare le credenze e le pratiche pagane dell'antica
Babilonia, e di fatti viene considerata come il nemico n° uno del popolo di Dio.
Nel libro dell'Apocalisse Roma viene chiamata la "grande meretrice, che siede
sopra molte acque". Essa viene descritta così: "Poi uno dei sette angeli che
avevano le sette coppe venne e mi disse: "Vieni, io ti mostrerò il giudizio
della grande meretrice, che siede sopra molte acque, con la quale hanno
fornicato i re della terra, e gli abitanti della terra sono stati inebriati col
vino della sua fornicazione". Quindi egli mi trasportò in spirito in un deserto,
e vidi una donna che sedeva sopra una bestia di colore scarlatto, piena di nomi
di bestemmia e che aveva sette teste e dieci corna. La donna era vestita di
porpora e di scarlatto, era tutta adorna d'oro, di pietre preziose e di perle, e
aveva in mano una coppa d'oro piena di abominazioni e delle immondezze della sua
fornicazione. Sulla sua fronte era scritto un nome: "Mistero, Babilonia la
grande, la madre delle meretrici e delle abominazioni della terra". E vidi la
donna ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù. E, quando la
vidi, mi meravigliai di grande meraviglia" (Ap. 17:1-6). Qual era
l'atteggiamento del popolo di Dio verso questa "Babilonia" dei loro tempi?
""Uscite da essa, o popolo mio, affinché non abbiate parte ai suoi peccati e non
vi venga addosso alcuna delle sue piaghe" (Ap. 18:4). Naturalmente essi non
potevano separarsi fisicamente dall'impero romano in cui vivevano. L'appello era
alla separazione spirituale dai suoi atteggiamenti e pratiche. Però, il popolo
di Dio aveva ben udito questi ammonimenti tanto da separarsi da Babilonia? No,
anzi, fecero proprio l'opposto. Fecero dei compromessi con essa e si
contaminarono corrompendo sé stessi. Nell'anno 313 a. D. l'imperatore romano
Costantino affermò di essersi convertito al cristianesimo e dichiarò la fede
cristiana religione ufficiale del suo regno. Il fatto che lui avesse abbracciato
il cristianesimo si comprovò nocivo al vero cristianesimo. Costantino conservò i
tradizionali titoli pagani, e le sue monete continuarono a portare l'effigie ed
i nomi delle figure dei vecchi déi di Roma. La Chiesa divenne "la Chiesa
cattolica romana" ed i suoi metodi operarono un compromesso con il Paganesimo.
Da allora il metodo della Chiesa cattolica romana di convertire i pagani al suo
stile di culto è stato quello di assorbirli gradualmente, insieme alle loro
osservanze idolatriche. La Chiesa si compiacque di aumentare il numero dei suoi
membri includendone cristiani nominali e incontrando il paganesimo a metà
strada. Vi furono valenti voci di protesta che amaramente lamentavano
l'incoerenza di un simile approccio, ma le loro voci furono elevate
invano. La Chiesa cattolica romana ha continuato fino ad oggi questo tipo di
approccio. Esso può essere rilevato molto bene nell'America centrale e
meridionale, dove le statue degli idoli sono state semplicemente sostituite con
quelle dei santi. Alcuni dei loro nomi e tradizioni si sono persino combinati.
In quei paesi le chiese cattoliche si aprono spesso alla gente del luogo per
celebrarvi i loro riti per il culto di divinità animiste. Come dunque abbiamo
ricevuto le nostre feste con le loro usanze e tradizioni (Natale, Pasqua,
Ognissanti, e lo stesso carnevale)? Ciascuna di esse ha origine in Babilonia,
attraverso Roma e poi grazie alla Chiesa cattolica romana. Era per questa
stessa ragione che nella Ginevra di Calvino si poteva essere multati e persino
messi in prigione per aver celebrato il Natale. Fu per richiesta dell'Assemblea
di Westminster che il Parlamento inglese proibì l'osservanza del Natale,
chiamandolo una festa pagana. In un'appendice al loro "Direttorio per il Culto
pubblico di Dio", i teologi di Westminster dicono: "Non c'è comando alcuno nelle
Scritture a santificare sotto il Nuovo Patto, altri giorni se non il giorno del
Signore, la domenica. Altre cosiddette "feste comandate' di tipo religioso, non
avendo convalida alcuna nelle Scritture, devono essere abolite" (vedi pure James
Bannerman, The Church of Christ, Vol. i, pagine 406-420). Quando i cristiani
riformati soprannominati puritani, andarono in America, stabilirono questa
stessa legge. Gli abitanti della Nuova Inghilterra, il 25 dicembre 1620,
lavorarono più del solito quel giorno, affinché la festività stessa fosse,
sottoposta ad una "negligenza studiata". 40 anni più tardi la Corte civile e
penale del Massachusetts decretò persino delle punizioni per chiunque avesse
osservato le festività natalizie: "…chiunque venga trovato ad osservare,
astenendosi dal lavoro e festeggiando, tali giorni come il cosiddetto Natale,
pagherà per questa trasgressione 5 scellini". Fino al 19° secolo il Natale
non aveva rilevanza alcuna nelle chiese riformate. Nella Chiesa presbiteriana
del sud degli USA, fino al 1900, nel giorno di Natale nemmeno si tenevano dei
culti. La Chiesa presbiteriana degli Stati Uniti, nel 1899, dichiarava: "Non c'è
alcuna giustificazione biblica a che si debbano osservare come feste il Natale e
la Pasqua, al contrario (vedi Ga. 4:9-11; Cl. 2:16-21) queste osservanze sono
contrarie ai principi della Chiesa riformata, conducono ad un culto non
prescritto e non sono in armonia con la semplicità dell'Evangelo di Gesù
Cristo". Il riformatore John Knox ed i suoi colleghi, nel loro Primo Libro di
Disciplina (1560) vi includeva questa affermazione: Noi affermiamo che "Tutta
la Scrittura è divinamente ispirata e utile a insegnare, a convincere, a
correggere e a istruire nella giustizia". Affermiamo che i libri dell'Antico
come del Nuovo Testamento contengono e ivi sono sufficientemente espresse tutte
le cose necessarie all'istruzione della Chiesa e che possono rendere di nulla
mancante l'uomo di Dio. Per questo noi vi leggiamo la condanna di tutte quelle
leggi, decreti conciliari o costituzioni imposte sulle coscienze degli uomini
prive di chiara convalida da parte della Parola di Dio, come: voti di castità,
cerimonie di fidanzamento, il vincolare uomini e donne a vestirsi in un
determinato modo, l'osservanza superstiziosa di giorni di digiuno, fare
differenza fra le carni da mangiare per scrupolo di coscienza, la preghiera per
i morti, l'osservanza di giorni festivi in onore di certi santi stabiliti come
tali dall'uomo ed inventati dai papisti, come le cosiddette feste degli
Apostoli, dei Martiri, delle Vergini, del Natale, della Circoncisione,
dell'Epifania, della Purificazione, ed altre popolari feste in onore della
Madonna. Proprio perché queste cose, nelle divine Scritture, non vengono in
alcun modo né comandate né raccomandate, sentenziamo che esse vengano del tutto
abolite da questo Regno. Affermiamo infine che coloro che si ostinano a
mantenere ed insegnare tali abominazioni non dovranno sfuggire al castigo che
infliggerà loro il Magistrato civile. Qual è dunque la storia del Natale?
Esso fu introdotto nella Chiesa secoli dopo il Nuovo Testamento, fu condannato
dalla Riforma, ed è solo in questo secolo che esso è tornato ad insinuarsi nella
Chiesa riformata. Quel che voglio dire, così, è che il vero Natale sia sempre
stato pagano, e renderlo una celebrazione cristiana significa aggiungere Cristo
od altri elementi biblici ad una festa essenzialmente pagana. II. La sua
istituzione Consideriamo così alcune fra le usanze più familiari del Natale
ed il loro significato. Ne prenderò solo alcune, ma vi assicuro che ciò che dirò
di queste è vero pure di tutte le usanze natalizie, e vi incoraggio a
verificarlo in qualsiasi enciclopedia. Si prenda per esempio la data stessa
del Natale, il 25 dicembre. Come probabilmente già saprete, nessuno conosce
veramente quando nacque Gesù, e il 25 dicembre è molto improbabile. Perché
allora il 25 dicembre? Perché è il periodo dell'anno in cui i giorni cominciano
ad allungarsi di nuovo e quello in cui i Babilonesi celebravano la vittoria del
loro dio Sole. La copia romana di questa usanza babilonese veniva chiamata
"Saturnali", la festa della nascita di Sole (Sol). Per secoli agli occhi dei
cristiani questa era stata un'abominazione. Questa celebrazione avveniva con
feste ed orge sfrenate. La Chiesa, però, invece di contrapporsi fermamente al
paganesimo, cominciò a fare compromessi con esso. Desiderava "aiutare" i deboli
giovani cristiani che non volevano abbandonare i divertimenti e l'allegria che
caratterizzava questo solstizio di inverno. La chiesa, così, diceva loro:
"Divertitevi pure in questa stagione, se volete. Soltanto ora la considereremo
la celebrazione della nascita del Figlio di Dio. Invece di perdere la gente in
favore del paganesimo, combineremo le due celebrazioni e gradualmente
conquisteremo dei pagani al cristianesimo. Non costringiamo la gente a fare una
scelta fra le due cose". Consideriamo poi la stretta associazione che
sussiste per la Chiesa cattolica romana fra il Natale e la tradizionale "messa
di mezzanotte", usanza che affascina pure molti che non sono cattolici-romani.
Gli antichi pagani attendevano la nascita del dio Sole in una simile veglia
notturna. Nella lingua inglese il nostro "Natale" viene espresso con un termine
che ricorda proprio questa speciale messa, il "Christmas", la messa ("mass")
speciale in onore di Cristo. In tedesco si dice "Weinacht", la notte santa, il
concetto è identico. Qual è il significato della messa? Al cuore stesso della
messa, secondo la concezione cattolica-romana, c'è una palese negazione della
sufficienza dell'espiazione sacrificale compiuta da Cristo. Nella messa si
rinnoverebbe il sacrificio di Cristo per i peccati. Tutto questo, però, non è
nulla di meno che rinnegare l'Evangelo (cfr. Eb. 9:12,24-26; 10:10,12,14). La
Chiesa cattolica-romana ha molte di queste messe speciali, come quella della
festa di S. Michele, ma è quella di Natale che i protestanti sembrano avere
conservato. Che vi potrebbe poi essere di più innocente che i bei alberini di
Natale decorati e luccicanti che troneggiano nelle case e persino in certe
chiese durante la festa di Natale? Sapete perché noi abbiamo questa tradizione?
Dai tempi più antichi gli alberi hanno giocato un ruolo importante nella
religione pagana, ed erano persino adorati. I normanni, i celti ed i sassoni
usavano gli alberi per tenere lontane le streghe, gli spiriti malvagi ed i
fantasmi. In Egitto le palme erano prominenti, a Roma erano gli abeti. A causa
di queste associazioni si intagliavano con cura degli idoli da questi alberi.
Geremia così ammoniva il popolo di Dio: "Così dice l'Eterno: "Non imparate a
seguire la via delle nazioni e non abbiate paura dei segni del cielo, perché
sono le nazioni che ne hanno paura. Poiché i costumi dei popoli sono vanità:
infatti uno taglia un albero dal bosco, il lavoro delle mani di un operaio con
l'ascia. Lo adornano d'argento e d'oro, lo fissano con chiodi e martelli perché
non si muova" (Gr. 10:2-4). Persino la scena della natività, il tradizionale
"presepio", che alcuni considerano come "il più cristiano" dei simboli di
Natale, è contaminato di influenze pagane. Quasi ogni forma di culto pagano che
si conosca, derivata dai misteri babilonesi, focalizza l'attenzione dei fedeli
su una dea madre e sulla nascita del suo bambino. Le diverse culture utilizzano
nomi diversi, ma il concetto è uniformemente lo stesso. In Babilonia era il
culto della Regina del cielo e del suo figlio Tammuz, il dio che si credeva
incarnazione del Sole. La nascita di questo dio avveniva proprio durante il
solstizio di inverno. Yule era il nome che in Babilonia portava questo bambino,
e il giorno di Yule veniva celebrato il 25 dicembre, molto prima della nascita
di Cristo. La prossima volta che vedrete una cartolina di Natale con su la scena
del presepio, Maria e Gesù con un aureola sulla testa, ricordate che questo
concetto cattolico-romano è stato preso a prestito dai misteri babilonesi, ed
anche l'iconografia pagana antica presenta impressionanti somiglianze proprio
con questa usanza "cristiana". Ricordate, inoltre, che al credente viene fatta
proibizione di farsi immagini religiose scolpite: "Non ti farai scultura alcuna
né immagine alcuna delle cose che sono lassù nei cieli o quaggiù sulla terra o
nelle acque sotto la terra" (Es. 20:4). Prendiamo seriamente questi comandamenti
di Dio o pensiamo che siano superati o che possano venire "spiegati"
facilmente? Che dire poi di Babbo Natale, o S. Nicolao? Forse che qualcuno
potrebbe negare che è questi che rappresenta "il vero significato del Natale"
per la grande maggioranza della gente in occidente? Non mi addentrerò ora nelle
molte storie che fanno risalire questa figura ad un santo cattolico-romano, ma
che cosa rappresenta oggi? Egli è un inoffensivo, grasso e gioioso elfo, oppure
è diventato il simbolo anti-cristiano dell'avidità, del materialismo,
dell'egoismo, un espressione di "qualcosa per nulla", "che ce ne ricavo
io?". I genitori che raccontano ai loro bambini il mito di S. Nicolao mettono
così in questione la loro propria credibilità di fronte ai loro bambini. Quando
essi vi chiedono: "Babbo Natale può vedermi attraverso queste pareti?" che
rispondete? I nostri bambini dovrebbero essere in grado di sapere che possono
aver fiducia di noi in tutto ciò che diciamo loro senza questione. Come potremmo
aspettarci che ci credano quando insegniamo loro fin dall'infanzia "le sacre
Scritture, le quali ti possono rendere savio a salvezza, per mezzo della fede
che è in Cristo Gesù" (2 Ti. 3:15), e "il mistero della pietà: Dio è stato
manifestato in carne" (1 Ti. 3:16)? Tutto ciò che la nostra cultura crede di
Dio è condensato in S. Nicolao! Egli è impegnato in un'attività bella ma
piuttosto priva di significato per tutto l'anno. Egli esiste in qualche luogo là
nel nord o nei boschi come un vecchio innocuo e amichevole con una lunga barba
bianca. Egli visita la gente una volta l'anno, passando 364 giorni
nell'oscurità. Un bambino potrebbe scrivergli al Polo Nord, ma la comunicazione
è strettamente a senso unico. S. Nicolao non ha nulla a che fare con la vita di
tutti i giorni. Il modo in cui un bambino può essergli gradito è quello di
"essere buono". S. Nicolao ci ammonisce sulle conseguenze dell'essere "cattivi",
ma quello che ci dice, in fondo, non avverrà mai. Il bambino sa di non essere
stato perfetto, e sebbene incontrando questa figura, può avere una qualche
ansia, egli si ricorda dell'anno passato e sa che non importa che cosa dirà S.
Nicolao, alla fine egli sempre gli darà buone cose. S. Nicolao rappresenta un
dio che minaccia l'uomo dell'inferno solo per "tenerlo buono" in questa vita, ma
che alla fine, bene o male, accetterà poi tutti benevolmente. Se insegnate ai
bambini il mito di S. Nicolao, senza saperlo date loro del materiale per far si
che essi sviluppino un concetto non biblico del Trascendente. Non è
interessante che i giapponesi abbiano elevato S. Nicolao al rango di divinità e
gli abbiano dato un posto uguale alle loro altre divinità della buona fortuna?
Fa meraviglia che recentemente un teologo liberale abbia suggerito che S.
Nicolao potrebbe ben essere considerato il primo santo veramente ecumenico?
Questi afferma che una tale figura potrebbe riscuotere il consenso del pagano
medio, del cattolico-romano medio, come pure del protestante: "Anche i buddisti
ed i mussulmani che onorano questo vecchietto, potrebbero con lui e con noi fare
un buon tratto di strada insieme… egli ha fatto molto per diffondere
l'insegnamento che 'è meglio dare che ricevere' più di quanto mai abbia fatto un
qualsiasi ecclesiastico nei passati mille anni!" Una simile affermazione la dice
lunga, non è vero? Non è forse molto positivo ricordarsi della nascita del
Salvatore scambiandosi doni? Certamente non c'è nulla di non-cristiano nello
scambio dei doni, ma non è forse vero che non c'è nessun altro aspetto del
cristianesimo che abbia subito più di questo maggior perversione? "Spendiamo del
denaro che non abbiamo per comprare doni di cui non abbiamo bisogno per fare
impressione su gente che non amiamo". Che presa in giro e che follia tutta
questa frenesia per fare compere! Potrebbe forse qualcuno onestamente suggerire
che ciò che avviene nelle nostre città intorno al 25 dicembre onora Gesù Cristo,
colui che visse una vita di semplicità, umiltà e rinnegamento di sé stesso, che
condannò l'ostentazione e l'auto-indulgenza, che ci insegnò che: "Fate
attenzione …la vita di uno non consiste nell'abbondanza delle cose che possiede"
(Lu. 12:15)? Eppure gente che afferma di essere cristiana spende cifre
grandissime per i loro Natali, ed al tempo stesso offre molto poco per l'opera
dell'Evangelo nel nostro paese o per le missioni. Non è forse vero che il vero
cristiano donare dovrebbe essere qualcosa che avviene per tutto l'anno e
dovrebbe scaturire da un cuore che veramente ama, e non per dovere e
aspettandoci qualcosa in cambio? Che dire dei pranzi e delle cene
"natalizie", della baldoria, delle dissolutezze che avvengono in questo periodo
dell'anno, apparentemente in connessione con la nascita di Gesù Cristo? Come mai
gli alcolici sembrano scorrere a fiumi in questo periodo dell'anno? Perché vi
sono più incidenti stradali in questo periodo che in tutti gli altri messi
assieme? Potremmo pure cavillare sull'origine dell'albero di Natale e del
presepio, ma una cosa è certa: se usate l'Incarnazione del nostro Signore come
scusa per fare baldoria e dissolutezze di ogni genere, potrete star sicuri che a
suo tempo raccoglierete la ferma ed inappellabile sentenza di condanna da parte
di Dio. Ora la questione è questa: tutte queste parodie che circondano la
stagione natalizia sono incoerenti con il vero significato del Natale, oppure è
proprio questo il vero significato del Natale come è derivato dalla sua origine
e storia. Davvero poi le tradizioni che circondano il Natale sono così
innocue? Sono poi così innocenti? Mah. Com'è che Satana potrebbe tentarci più
efficacemente? Forse che mettendoci di fronte a immagini orribili e grottesche
che solo ci ripugnerebbero? Forse che ci assale in vicoli bui vestito di rosso,
con la cosa ed il forcone dicendoci: "Ehi, sono il diavolo. Sono venuto per
ingannarti e por portarti con me all'inferno?". Naturalmente no. I mezzi che
Satana usa sono sottili: si traveste da "angelo di luce" (2 Co. 11:14). Egli ci
mette di fronte cose "innocenti", "innocue", "solo per divertimento", cose che
"così fan tutti". I cristiani sinceri spesso senza che se ne accorgano sono
trascinati nell'idolatria attraverso le tradizioni umane. III. Le
implicazioni Da questa massa di materiale (e ne abbiamo solo grattato la
superficie), tiriamone qualche conclusione. Come dobbiamo reagire come cristiani
a tutto questo "Natale" con le sue tradizioni multiformi? Come io la vedo,
abbiamo solo tre alternative: 1. Possiamo fare del nostro meglio per
"restituire Cristo al Natale", continuare a combattere la battaglia perduta per
ricuperare qualcosa di remotamente cristiano da questa festa del tutto pagana.
Dobbiamo però chiederci: "Voglio mettere Cristo in una celebrazione pagana?".
Dobbiamo allora affrontare la questione di base: "Che cos'è il Natale?", che
cos'è veramente? Quando è iniziato e che cos'è stato storicamente? 2.
Possiamo cercare di separare interamente il Natale da Cristo. Possiamo
considerarlo come una sorta di festa cultural-popolare, osservando che gli
elementi pagani in esso siano così remoti storicamente, che queste tradizioni
sono state in qualche modo purgate dalla loro idolatria. Questo sarebbe più
coerente, ma c'è ancora un problema: i vostri amici non cristiani e la società
ancora vagamente associano il Natale con la nascita di Cristo e presumono che,
dato che siete cristiani, voi partecipate a questa celebrazione della nascita di
Gesù. I cristiani nelle culture primitive hanno avuto questo problema per anni.
Essi vengono esortati a partecipare ai riti pagani come una sorta di retaggio
culturale, distanziandosi però dalle loro origini idolatriche. Però: riescono
ancora a conservare una testimonianza cristiana in tutto questo? 3. La sola
altra alternativa è di abbandonare interamente il Natale. Io sono convinto che,
per me stesso, questa sia l'unica via coerente che possa essere presa. Ho
sentito più volte dire: "Nessuno è sempre coerente". Certo, nessuno è sempre
coerente con i propri punti di vista. Questo fatto, però, non ci solleva
dall'obbligo di essere coerenti il più possibile, ubbidire ad ogni comando
scritturale che noi comprendiamo. "Questo però non è forse una presa di
posizione troppo drastica?". Si, molto drastica, ma se vogliamo contrapporci
alla marea sempre più invadente del paganesimo moderno, lanciarci una sfida,
sono necessarie misure drastiche. "Ma non è una proposta un po' troppo
radicale?". Si, ma la fede cristiana è una fede radicale. "Ma non corro il
rischio di essere così considerato un fanatico?". Probabilmente. Quella sarebbe
un'esperienza nuova, non è vero? A nessuno piace essere considerati fanatici.
C'è qualcosa di sbagliato nel fanatismo. A nessuno piace la persecuzione.
Pensate però quanta poca persecuzione noi si debba affrontare come cristiani.
Non è forse perché non siamo coerenti? Non c'è forse qualcosa di sbagliato
quando la nostra fede e la nostra condotta non disturba il mondo più di quel
tanto? Se facciamo compromessi a questo punto, perché non facciamo compromessi
anche in altri campi, ed in altri ancora? Noi cristiani spesso ci domandiamo
perché oggi non siamo perseguitati. La conclusione che spesso raggiungiamo è che
saremmo perseguitati, se fossimo fedeli. Perché il mondo non ci odia? È perché
non sfidiamo più il suo modo di essere e di pensare, perché non presentiamo più
che cosa invece dovrebbe essere il cristianesimo. Il mondo ha sostituito
l'Evangelo con una religione cultural-popolare. Martin Lutero disse: "Se io
professo con voce alta ed esposizione chiara ogni porzione della verità di Dio
eccetto precisamente quel punto che il mondo ed il diavolo in questo momento
stanno attaccando, io non confesso Cristo, per quanto arditamente possa
professare Cristo. Là dove infuria la battaglia è proprio là che si prova quanto
il soldato sia valente, ed essere coerente nelle retrovie soltanto significa
sfuggire dalle nostre responsabilità". "È difficile fare questo veramente!".
Si, lo è, senza alcun dubbio. La tradizione natalizia è così radicata nella
nostra società - anche nel nostro cuore - da rendere particolarmente difficile
nuotare contro corrente. La questione non è però: "È difficile?", ma "È
giusto?". Le cose giuste non sono sempre facili. Cristo ci ha promesso che
seguirlo non sarebbe stato facile. Quando la vita cristiana è facile come la
nostra, è inevitabile che in qualche punto essa sia sbagliata. Quali sono
allora le ragioni positive per volere cancellare del tutto la festa del Natale?
La prima è che i nostri antenati nella fede, i primi protestanti, cercavano
accuratamente di evitare di essere coinvolti nelle celebrazioni natalizie. Era
così perché si attenevano alla Parola di Dio come unica regola infallibile di
fede e di pratica. La Confessione di Fede di Westminster dice: "L'intero
consiglio di Dio riguardo alle cose necessarie alla propria gloria, la salvezza
dell'uomo, la fede, e la vita, è o espressamente presentato nelle Scritture, o
può essere da esse dedotto come conseguenza buona e necessaria. Ad esse non si
dovrà aggiungere nulla, né per rivelazioni dello Spirito, o per tradizione
umana" (1,6). "Il modo accettevole per rendere culto a Dio è stato stabilito da
Dio stesso, e così limitato dalla Sua propria volontà rivelata, che Egli non
potrà essere adorato secondo le immaginazioni e gli artifici dell'uomo, o i
suggerimenti di Satana, sotto una qualsiasi rappresentazione visibile, o in modi
non prescritti dalle Sacre Scritture" (21:1). Gesù disse dei Farisei:
"Trascurando infatti il comandamento di Dio, vi attenete alla tradizione degli
uomini: lavatura di brocche e di coppe; e fate molte altre cose simili...
annullando così la parola di Dio con la vostra tradizione, che voi avete
tramandata. E fate molte altre cose simili" (Mr. 7:8,13). Paolo tristemente così
scriveva ai Galati: "Voi osservate giorni, mesi, stagioni e anni. Io temo di
essermi affaticato invano per voi" (Ga. 4:10,11). Egli non li condannava per
seguire quelle istituzioni comandate da Dio, ma per osservare quelle di fattura
umana, contrarie alla legge di Dio. Per molti oggi la festa principale delle
osservanze religiose è una celebrazione senza alcun supporto biblico. Pensate
che mi piaccia tanto dire queste cose? A nessuno piace essere come Ebenezer
Scrooge del racconto di Dickens oppure come quello gnomo malvagio che faceva di
tutto pur di privare la gente …della gioia del Natale. La vera questione è solo
questa: È biblico ciò che ho detto fin ora? È coerente con la Parola di Dio? Se
non lo è, allora potete anche non considerarlo. Se però lo è, allora dovreste
considerarlo attentamente e metterlo in pratica. Potreste, è vero, a questo
punto, non concordare con la mia interpretazione delle Scritture, potreste non
essere d'accordo con la mia valutazione del contesto storico e dell'attuale
situazione. Potrei anche sbagliarmi. Non sono infallibile. Ciò che però dovete
fare con un messaggio come questo è ciò che fecero i cristiani di Berea nel
libro degli Atti: "Or costoro erano di sentimenti più nobili di quelli di
Tessalonica e ricevettero la parola con tutta prontezza, esaminando ogni giorno
le Scritture per vedere se queste cose stavano così" (At. 17:11). Dovete
valutare apertamente, onestamente e realisticamente queste argomentazioni da voi
stessi e giungere ad una conclusione. Non siete responsabili verso il
predicatore, ma verso Dio. Le Scritture mettono in evidenza il contrasto che
ci deve essere fra il cristiano ed il mondo. Oggi largamente non lo si tiene più
in considerazione. "Non amate il mondo, né le cose che sono nel mondo. Se uno
ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui" (1 Gv. 2:15). "Perciò uscite di
mezzo a loro e separatevene, dice il Signore, e non toccate nulla d'immondo, ed
io vi accoglierò" (2 Co. 6:17). "E non vi conformate a questo mondo, ma siate
trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per
esperienza qual sia la buona, accettevole e perfetta volontà di Dio" (Ro. 12:2).
L'idea è: non lasciate che il mondo vi imponga la sua lista delle trattande, non
lasciate che il mondo vi dica a quale passo andare o che stabilisca lui i
criteri di giudizio. Il cristiano è nel mondo, ma non deve essere del mondo.
Egli è cittadino di un altro paese, uno straniero ed un pellegrino quaggiù. Non
tiene il passo con i suoi compagni, perché ascolta il ritmo indicato da un altro
comandante. Ciò che voglio mettere in evidenza è il fatto che non potete
avere un Natale cristiano. Gli aspetti religiosi sono la parte peggiore del
Natale. Non c'è illustrazione più appropriata di questa del contrasto esistente
fra la religione cultural-popolare e la fede biblica che il Natale. Il Natale
propone un'imitazione dell'Evangelo che di fatto impedisce al mondo di
comprendere che cosa sia l'Evangelo. Il Natale presenta un Evangelo alternativo
con il quale il mondo può ben convivere. Per il mondo il messaggio cristiano è
semplicemente "amore, pace, lo spirito del donare, il sentimento di buona
volontà". Questo "Evangelo" spogliato è in grado di fornire al mondo la sua dose
di pseudoreligione che non gli permetterà di comprendere il vero Evangelo. Il
mondo ama il Natale perché il Natale promuove un'immagine sentimentale di un
bambino in una mangiatoia. Il Natale non rappresenta veramente chi è Gesù. Il
Natale è l'unico momento in cui una persona fondamentalmente empia possa
sentirsi per un po' religiosa. La maggior parte della gente ama fare di tanto in
tanto qualcosa di religioso per mettersi in pace la coscienza e convincere sé
stessi che in fondo non sono dopo tutto delle cattive persone. Il Natale concede
loro l'opportunità per pensarlo. Per la maggior parte dei pagani non disturba
partecipare per un po' allo spirito natalizio. Allora è possibile avere lo
spirito natalizio senza avere lo Spirito Santo, senza avere realmente la mente
di Cristo. La stessa popolarità acquisita dal Natale dovrebbe far drizzare le
antenne al cristiano e metterlo in guardia contro di esso. Tutti possono
celebrare il Natale con cuor contento! I pagani confessi, i cristiani nominali,
persino i buddisti possono associarsi a questa celebrazione. Se, in realtà, il
25 dicembre fosse una data stabilita da Dio affinché la osservassimo, potete
stare sicuri che il mondo non vorrebbe osservarla. Dopo tutto Dio ha comandato
affinché si osservasse come festivo un giorno su sette, il primo giorno della
settimana, la domenica. Il mondo lo osserva forse? Naturalmente non ne vuole
sapere di osservarlo come Dio richiede. Il mondo lo ignora totalmente. Non
dovrebbe il cristiano avere dei sospetti su una celebrazione che il mondo
peccatore accetta senza farsi problema alcuno? Vi sono moltitudini di persone
che continuamente infangano il Giorno del Signore, ma in qualche modo hanno
grande zelo nell'essere in Chiesa a Natale. La questione cruciale per un
cristiano è la Signoria di Gesù Cristo. "Non sapete che il vostro corpo è il
tempio dello Spirito Santo che è in voi, il quale voi avete da Dio, e che voi
non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo,
glorificate dunque Dio nel vostro corpo e nel vostro spirito, che appartengono a
Dio" (1 Co. 6:19,20). Siete disposti sinceramente a pensare su questa questione
tutto ciò che Dio desidera che voi pensiate? Siete disposti, se necessario, a
fare un drastico cambiamento nel vostro modo di pensare e di agire? È a questo
punto che insorge il vero conflitto. Ho udito molte persone che su questo
argomento dicono: "No, non voglio leggere nulla al riguardo. Non ne voglio
parlare. Voglio avere il mio Natale qualunque cosa se ne possa pensare. Mi piace
e nessuno me lo porterà via" (Dio incluso). È allora che il Natale diventa un
idolo. Un idolo è qualunque cosa venga fra voi e Dio; qualunque cosa vi
rifiutate di rinunciare, anche con il Suo comando. Esortazioni generiche alla
rinuncia non incidono tanto sulla nostra vita. Il discepolato concreto, però, è
l'unica cosa che conti perché tocca proprio le cose che ci importano. La
questione reale è: potete sinceramente dire al Signore Iddio: "Sia fatta la Tua
volontà sulla terra com'è fatta in cielo, la Tua volontà, oh
Signore! [Riflessione tratta da un articolo di M. Schneider, Paolo
Castellina, mercoledì 17 dicembre 1997. Tutte le citazioni, salvo diversamente
indicato, sono tratte dalla versione Nuova Diodati, ediz. La Buona Novella,
Brindisi, 1991]. La tradizione orientale a partire dal 500 a. C.
Dal
70 d.C. in poi, il centro di gravita del cristianesimo si spostò nel mondo
greco. Quando sulla scena apparve Agostino, l'Occidente latino aveva già fatto
molta strada, ma non aveva ancora raggiunto l'Oriente. Le invasioni barbariche,
che portarono alla caduta dell'Impero d'Occidente nel v secolo, fecero
nuovamente arretrare l'Occidente, e fu soltanto nel XII secolo che l'Occidente
ricominciò a costituire una seria minaccia per l'Oriente, quanto a
importanza. Gli occidentali pensano al Medioevo come al periodo storico
intercorso fra le vicende della chiesa primitiva e la ripresa che si verificò in
epoca più avanzata. Non così in Oriente. L'età dei Padri fu seguita, non da un
periodo di decadenza, ma dall'Impero cristiano bizantino, la cui capitale era
Bisanzio (Costantinopoli). L'impero e la chiesa erano entrambi soggetti
all'imperatore. Il più grande di questi imperatori fu Giustiniano, che regnò dal
527 al 565. In molti modi il suo regno segna il culmine dell'impero bizantino,
il cui declino sarebbe iniziato durante il secolo successivo, in seguito alle
invasioni islamiche. Entro la metà del VII secolo, soltanto pochi anni dopo
la morte di Maometto avvenuta nel 632, armate musulmane avevano invaso e
conquistato tutto l'impero a sud e a est dell'attuale Turchia. Da allora in poi,
il progresso fu lento, ma costante, e alla fine, nel 1453, Costantinopoli fu
conquistata e divenne Istambul. Queste conquiste, tuttavia, non significarono la
fine della chiesa nei territori occupati. I governanti musulmani tolleravano i
cristiani, pur considerandoli cittadini di seconda classe. Il prezzo da pagare
per aver diritto a tale tolleranza era il tacito accordo di non cercare di far
proseliti fra i musulmani. La Chiesa copta in Egitto annovera tuttora più del
10% della popolazione e costituisce una forza non di poco conto all'interno
della società egiziana. Queste perdite, però, furono compensate fino a un certo
punto dalla conversione della Russia al cristianesimo ortodosso avvenuta nel X
secolo. La Chiesa d'Oriente fu presa dalla controversia intorno alla persona
di Gesù Cristo per diversi secoli ancora dopo il Concilio di Calcedonia. Quel
concilio non fu mai accettato ne in Egitto ne in altre zone dell'Oriente. Il che
sconcertò gli imperatori. Se avessero cercato di riconciliarsi con i non
calcedoniani, lasciando cadere tutta la questione sollevata dal concilio, il
prezzo da pagare sarebbe stato una rottura con Roma. Cercare invece di mantenere
l'unità con l'Occidente, aderendo a Calcedonia, avrebbe significato pagare il
prezzo di amare divisioni in Oriente. Furono tentate entrambe le possibilità, ma
nessuna di esse diede risultati soddisfacenti. Alla fine, le invasioni islamiche
privarono l'Impero proprio di quelle aree in cui si era manifestato il dissenso,
e così il problema fu "risolto". L'Ortodossia orientale appoggiò Calcedonia,
come fece anche l'Occidente, mentre i non calcedoniani se ne andarono per la
loro strada, come fanno tuttora. La Chiesa d'Oriente divenne rigorosamente
tradizionalistica. Finita l'èra dei Padri, la preoccupazione maggiore fu quella
di conservare la tradizione ortodossa, senza apportarvi la benché minima
variazione, sia nel campo dei dogmi o delle dottrine sia in quello della
liturgia o dell'adorazione. Questo corso ebbe inizio nel V secolo, quando si
cominciò ad accumulare citazioni patristiche a sostegno di posizioni
contrapposte sulla persona di Gesù Cristo. Il periodo dei Padri terminò con
*Giovanni Damasceno, che raccolse tutto l'insegnamento patristico in un'opera
sistematica. Agli albori del Medioevo, l'autorità finale nella Chiesa
d'Occidente era nelle mani del papa. Roma era l'unico "seggio apostolico" in
Occidente, cioè, l'unica chiesa che potesse affermare di essere stata fondata da
un apostolo. In Oriente, essendo tante le chiese fondate dagli apostoli, non
poté instaurarsi il dominio di un solo vescovo. I vescovi più importanti (quelli
di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme) furono chiamati
"patriarchi". In Oriente, poi, grazie a una maggiore stabilità politica e a
tradizioni di governo più assolutistiche, gli imperatori conservarono sempre il
pieno controllo della Chiesa orientale. Le Scritture dovevano essere capite
secondo la tradizione dei Padri, e il consenso dei Padri era rintracciabile
particolarmente nei concili. Per la Chiesa ortodossa orientale, la massima
autorità nella chiesa poggiava sui concili generali o ecumenici (universali),
che potevano essere indetti soltanto da un imperatore. La Chiesa ortodossa
riconosce quindi solamente sette concili di questo tipo, quelli della chiesa
"indivisa" (cioè, indivisa da Roma, non indivisa dall'Egitto e da altre aree in
disaccordo con Calcedonia). I concili in questione sono quelli di Nicea (325),
Costantinopoli (381), Efeso (431), Calcedonia: (451), Costantinopoli (553),
Costantinopoli (680-681), Nicea (787). L'Occidente e l'Oriente erano divisi
dalla lingua a partire dal III secolo; quando la Chiesa occidentale adottò
ufficialmente il latino. Nel IV secolo, al tempo delle controversie sulla
dottrina della Trinità, avvenne una grave divisione che fu però in larga misura
risolta grazie all'accordo raggiunto in Oriente durante il Concilio di
Costantinopoli del 381. Nel V secolo, tuttavia, con la caduta dell'Impero
d'Occidente, l'unità politica fra Est e Ovest si dissolse, e le due chiese
cominciarono a prendere le distanze l'una dall'altra. Ciò avvenne per gradi: gli
imperatori orientali continuavano infatti ad avere un certo interesse verso
Roma, mentre i papi dimostravano una certa sollecitudine per un'unione con la
Chiesa d'Oriente, con la civiltà. Nell'xi secolo, però, a Roma gli avvenimenti
presero un'altra piega: si era instaurato un nuovo "papato di riforma", i cui
interessi si rivolgevano ora più verso l'Europa settentrionale e occidentale che
verso quella orientale. Questo nuovo approccio portò a un inasprimento di
atteggiamenti nei confronti dell'Oriente: si pensi, ad esempio, all'introduzione
della parola fìlioque ("e dal Figlio") nel Credo niceno-costantinopolitano. Ne
risultarono scomuniche reciproche nel 1054. Ma la cosa non finì lì. Vi furono
ancora tentativi di riconciliazione, soprattutto nei secoli XIV e XV, quando
Costantinopoli dovette capitolare nelle mani dei musulmani. Ma qualsiasi
riconciliazione duratura fu impossibile, perché Roma si dimostrò intransigente
riguardo all'autorità papale, che l'Oriente non avrebbe mai
accettato. L’occidente medievale (500-1500)
Per quanto riguarda
l’Europa occidentale, la prima parte del Medioevo, o Alto Medioevo, fino
all’anno 1000 circa, può essere giustamente chiamata l’«Età buia». La metà
occidentale dell’Impero Romano aveva cominciato a sgretolarsi di fronte alle
invasioni barbariche della fine del IV secolo, finché nel 410 accadde
l’impensabile: Roma stessa fu conquistata. Nel 476 l’imperatore d’Occidente fu
destituito da un re barbaro dei goti e l’Impero occidentale praticamente cessò
di esistere. L’Occidente continuò a essere soggetto a ondate di invasioni —
da parte dei musulmani attraverso la Spagna e degli scandinavi dal Nord. Fu un
periodo di tumulti e di anarchia: il crollo della civilizzazione era imminente.
Il retaggio del passato rischiava di andare perduto. La conoscenza della
filosofia, ad esempio, era circoscritta principalmente alle opere di Boezio.
Quel po’ d’insegnamento che esisteva, era la chiesa a fornirlo, soprattutto
attraverso i monasteri, che spesso erano vere e proprie oasi di stabilità. Un
po’ di respiro si ebbe grazie alle imprese di Carlomagno, che fu incoronato
imperatore nell’anno 800. Egli fondò un impero unito e stabile, in cui fu
nuovamente possibile godere di civiltà e istruzione. Difatti, durante questo
“Rinascimento carolingio”, vi fu un breve fiorire della cultura, e in questo
contesto sbocciò l’unico pensatore veramente originale dell’ ”Età buia”: il
filosofo e teologo Giovanni Scoto Eriugena. Ma non passò molto tempo che
l’impero di Carlomagno si frammentò e le incursioni vichinghe produssero
ulteriori battute d’arresto. La teologia di questo periodo, essendo in larga
misura relegata ai monasteri, è conseguentemente chiamata “teologia monastica”.
Essa si sviluppò in un’atmosfera d’impegno e di devozione, nell’ambito di un
modello di vita vissuta, ad esempio, secondo la Regola di *Benedetto. La
mèta non era la ricerca di una conoscenza fine a sé stessa, ma piuttosto
l’edificazione e l’adorazione. L’approccio era infatti caratterizzato da un
sentimento di contemplazione e di venerazione. Il teologo non era un osservatore
accademico distaccato, che studiava il suo materiale dall’esterno, ma piuttosto
era un partecipante impegnato e coinvolto. Alla vigilia di Capodanno
dell’anno 1000, una folla si radunò a Roma in attesa della fine del mondo. La
mezzanotte arrivò, ma non accadde nulla, e papa Silvestre II, dopo aver
benedetto la folla, la rimandò a casa. Lo stesso Silvestre, precedentemente noto
come lo studioso Gerbert d’Aurillac, fu una delle primizie di una nuova èra. Una
maggior stabilità stava ora conducendo alla rinascita della civiltà occidentale.
Gli invasori barbari erano stati “convertiti” durante l’«Età buia», e oramai
l’intera Europa occidentale era cristiana, almeno nominalmente — a parte i
giudei nei loro ghetti e i musulmani in Spagna. L’XI secolo fu un tempo di nuovi
movimenti. Vi fu un rifiorire del monachesimo; un nuovo “papato riformatore”
mirava a purificare la chiesa dalla corruzione; vi fu un ritorno allo studio. Il
teologo si trovò ad affrontare la questione del rapporto tra fede (teologia) e
ragione (filosofia). Uno scrittore moderno ha affermato: “Lo sforzo di
armonizzare fede e ragione fu la forza motrice del pensiero cristiano
medievale”. L’impatto della filosofia portò a un nuovo approccio alla teologia:
la teologia scolastica, o scolasticismo. Si arrivò a studiare la teologia al di
fuori dei chiostri — all’università, ad esempio, o in altri ambienti “secolari”
(non monastici). L’obiettivo era la conoscenza oggettiva intellettuale.
L’approccio era quello di mettere in discussione, di ragionare, di speculare, di
disputare. Per il teologo, era più importante essere un filosofo erudito che un
santo. La teologia era diventata una scienza oggettiva distaccata. Questo
approccio non eliminò quello monastico più vecchio, ma lo spostò dalla “prima
linea” della teologia. L’impatto della filosofia sulla teologia cominciò a farsi
sentire nel corso dell’XI secolo, mediante la comparsa della ragione (filosofia)
come metodo da adoperare nell’ambito della teologia. Anselmo se ne servì per
dimostrare la razionalità della dottrina cristiana. La ragione era entrata nella
teologia, non (ancora) come strumento per definire la dottrina cristiana (la
quale era basata sulla rivelazione), ma piuttosto come tecnica per difendere e
capire ancor di più questa fede. Nel secolo successivo il ruolo della ragione fu
ulteriormente sviluppato. Gli avvocati avevano cominciato a usare metodi
filosofici per decidere o arbitrare fra autorità in conflitto. Pietro
Abelardo andò avanti nell’applicare gli stessi metodi alla teologia. Ma poiché
non usava sempre discrezione nel suo approccio, fu condannato per il suo
insegnamento, grazie all’intervento di Bernardo di Chiaravalle, l’ultimo grande
rappresentante della vecchia teologia monastica. Ma i metodi di Abelardo furono
seguiti (con più moderazione) dal suo discepolo Pietro Lombardo, che godeva
dell’appoggio di Bernardo. Nel XIII secolo, la teologia entrò in una fase nuova
e più pericolosa. La filosofia si presentava ora non soltanto come uno strumento
da usare in teologia, ma anche come un sistema antagonistico di pensiero. Ciò
ebbe luogo attraverso la traduzione delle opere metafisiche di Aristotele in
latino. Questi scritti presentavano un nuovo modo di guardare alla realtà, una
nuova visione del mondo o una filosofia della vita come alternativa al
cristianesimo. Come affrontare la sfida? Per un certo periodo gli scritti
metafisici di Aristotele furono messi al bando, ma si trattò soltanto di una
misura temporanea, per poter tirare il fiato. Alcuni cercarono di continuare a
sostenere la vecchia visione platonica del mondo, opponendosi alla nuova
prospettiva aristotelica. Il teologo francescano Bonaventura fu un pioniere in
questo campo. Ma l’approccio che si dimostrò più influente a lungo termine
fu quello di Tommaso d’Aquino, il quale cercò di fare una sintesi tra fede
(teologia) e ragione (Aristotele). Egli si propose di dimostrare che la
filosofia di Aristotele (interpretata nel modo giusto e corretta laddove era
necessario) poteva essere coerentemente sostenuta accanto alla teologia
cristiana. I secoli XIV e XV portarono a un declino della chiesa, benché alcuni
li considerino come i secoli di “fioritura” del Medioevo. Il papato patì la sua
“cattività babilonese”, nel periodo in cui i papi si trovarono ad Avignone,
sotto il controllo francese dal 1305 al 1377. Il ritorno del papa a Roma ebbe
quasi subito come conseguenza il Grande Scisma (1378-1414); durante questo
periodo, vi furono sempre come minimo due papi rivali. Si dovette constatare un
certo declino anche nell’ambito degli ordini religiosi. Il fervore dei secoli
precedenti era diventato sempre più raro. Mentre il numero decresceva, la
corruzione aumentava. Nei secoli XIV e XV vi fu anche un crescente scetticismo
riguardo alla possibilità di armonizzare la teologia con la filosofia. Questo
processo ebbe inizio con Giovanni Duns Scoto e arrivò al suo culmine con
l’insegnamento di Guglielmo di Occam e dei suoi seguaci. La filosofia e la
teologia presero vie diverse; la teologia si ritirò dal regno “naturale” per
appoggiarsi sempre di più su una fede cieca nella rivelazione divina (la cui
razionalità non poteva essere dimostrata). In aggiunta, la teologia scolastica
si separò dalla spiritualità pratica, come nel caso di Tommaso da Kempis, ma a
danno di entrambe. Spesso il Medioevo è ignorato, specialmente dai protestanti.
Questo è un errore. L’epoca medievale copre un periodo di un migliaio di anni
circa — più della metà del periodo che va dalla nascita di Gesù Cristo fino a
oggi. Non sarà magari il periodo più glorioso della storia della chiesa, ma deve
essere preso in seria considerazione come una parte importante di essa. I
teologi medievali lottarono con il problema del rapporto tra fede e ragione. Ma
questa è tuttora una questione scottante e vi è molto da imparare
dall’esperienza del Medioevo. Allora era in ballo Aristotele, oggi potrebbe
esservi Darwin o Marx, ma le questioni di fondo restano le stesse. La "Santa
Inquisizione" nella storia della chiesa Per oltre 1.500 anni la chiesa
romana ha fatto del cattolicesimo uno strumento per difendere le classi
dirigenti, spesso a scapito delle classi sociali più abbiette. La grande svolta
avvenne con il passaggio del cristianesimo da religione tollerata (editto di
Costantino: Il primo imperatore cristiano inaugurò la repressione dell'eresia,
con lo sterminio del movimento donatista in Africa, prima di allora il concetto
di eresia era estraneo al paganesimo così come questo concetto è sempre stato
estraneo alle altre religioni monoteiste come il buddismo e l'induismo., 313
d.c) a religione di Stato (editto di Teodosio 381 d.c), da religione degli
oppressi a religione degli oppressori. Il sistema schiavistico romano
implodeva schiacciato dalle sue contraddizioni, l'Impero romano era assediato
dai barbari e il suo centro economico e politico era passato da Roma a
Costantinopoli, le religioni monoteiste soppiantavano il paganesino. A questo
stesso periodo risale l'opera di mediazione politica dei custodi della fede
cattolica con le popolazioni barbariche e i re nonché l'uso della religione per
conciliare e stemperare la lotta di classe dei contadini e delle masse popolari
(la cosiddetta teoria della "Tregua di dio" che con la scusa di difendere i
poveri contro gli abusi di potere legittimava lo sfruttamento signorile). Nel
frattempo con il documento testamentario, inventato di sana pianta dal primo
vescovo di Roma, vastissimi possedimenti e beni dell'impero passarono nella mani
della chiesa, e da lì nacque e si consolidò il cosiddetto potere temporale
(politico e statale) della chiesa.
Il potere temporale della
chiesa Quando dopo la caduta dell'impero romano, emergeranno i primi regni
romano-germanici e il sistema schiavistico romano si trasformava nel sistema
feudale i tempi saranno maturi per fare del "Sacro romano Impero" il braccio
secolare della chiesa per la conservazione della fede e della disciplina
ecclesiastica: il potere dei principi e dei grandi proprietari terrieri sarebbe
servito per "imporre con il terrore" ciò che i sacerdoti non fossero riusciti ad
imporre "con la parola" (Isidoro di Siviglia sec. VI e VII d.c). Tra il VI e
VIII secolo la Roma papale, ingrassata parassitariamente dalle "donazioni pie"
diviene il principale centro politico dell'Occidente. La storia della "Santa
Inquisizione" non può essere compresa al di fuori del sistema economico
dominante dell'epoca storica in cui nacque: il feudalesimo. Gli alti gradi della
gerarchia ecclesiastica erano infatti membri di grandi famiglie signorili,
determinando tra aristocrazia laica ed alto clero una trama di vincoli di
sangue, di interessi, di mentalità quanto mai stretta. Non a caso per tutto il
medioevo il possesso della curia romana è il susseguirsi di lotte intestine tra
i rappresentanti della nobiltà. Dio stesso venne effigiato come un signore
seduto in trono e attorniato da una corte di vassalli celesti, in atto di
concedere in feudo parti del paradiso, i cristiani considerandosi come fedeli
presero l'abitudine di di inginocchiarsi a lui in mani giunte, nell'identica
posizione cioè del vassallo nei confronti del signore feudale. Il rito della
investitura dei beni del proprietario terriero nelle mani del feudatario in
cambio della ricompensa dei servigi del vassallaggio erano riprodotti nei riti
di conferimento delle cariche ecclesiastiche e persino nel rito con cui il papa
incoronava i sovrani d'Europa che stava a rappresentare il controllo indiretto
del papato su tutti i feudi di Europa. La religione cristiana e la filosofia
(scolastica), così come l'intera cultura (oscurantismo) venivano piegate ed
adeguate alla difesa e conservazione dei rapporti di produzione dominanti. In
questo senso è interessante notare come il termine "madonna" (domina) cioè il
femminile di signore, sia stato scelto sia per indicare la Vergine sia per
designare la donna che il cavaliere sceglieva nei riti dell'amore mondano come
oggetto di una devozione fedele e di servizi per i quali si attendeva una
ricompensa. Così più o meno al tempo in cui Carlo Magno (definito vescovo dei
vescovi) fu incoronato re dal papa (natale del '800), nacque il diritto canonico
che, debitamente mescolato al diritto romano, costituirà la più importante
sovrastruttura giuridica di tutti regni del medioevo feudale e raggiunse
l'universalità in Europa con l'affermazione del papato seguita alla "riforma"
gregoriana del sec. XI, che autoproclamò il clero romano gerarchizzato al di
sopra di tutte le altre chiese ridotte a sue succursali e concentrò tutto il
potere ecclesiastico nelle mani del monarca assoluto, del dio in terra, il papa,
eletto solo da una schiera ben selezionata di cardinali (1059). I rilevantissimi
patrimoni feudali della chiesa potevano così essere difesi ancor più che con le
armi dei principi, dei baroni, dei feudatari e dei vassalli, molto spesso dei
re, con altre e ben più potenti armi nelle mani dei papi: la scomunica e
l'interdizione che non solo separavano il colpevole dalla comunità di culto,
ossia tutto il regno della cristianità, ma lo isolavano anche dal contesto
civile, dalla società, privandolo di tutti i suoi diritti e beni. In questo modo
i possedimenti depredati dalla chiesa si decuplicarono. Per estendere ancora
l'Impero della chiesa il papato, in collaborazione con i vari sovrani e i grandi
feudatari del tempo promossero ben otto crociate in Palestina (1096-1274). Sotto
la bandiera della "guerra santa contro l'Islam" terrorizzarono e saccheggiarono
in lungo e in largo il Mediterraneo mentre in Europa, dalla Spagna al Baltico a
Costantinopoli, sterminarono tutti gli elementi o movimenti eterogenei che si
ribellavano alla servitù della gleba e che non si lasciavano assimilare nelle
strutture civili ed ecclesiastiche. Non a caso proprio nel 1096 ebbero inizio le
persecuzioni, le espropriazioni e i massacri delle comunità ebraiche che fino ad
allora erano convissute senza grossi problemi nel mondo cristiano. Non fu
risparmiata nemmeno la chiesa ortodosso bizantina. Anche la repressione
dell'eresia catara aveva lo stesso scopo e assumeva il carattere di una vera e
propria "crociata interna" contro gli albigesi (1209-1218) in seguito alla quale
gran parte del sud della Francia fu messo a ferro e fuoco. Dato che le
campagne militari non bastavano i papi decisero di costituire per la repressione
della eresia una organizzazione giudiziaria permanente e onnipresente che prese
il nome di Inquisizione. L'Inquisizione fu la logica conseguenza della
sacralizzazione del potere papale, che direttamente, e senza mediazioni, ne
concesse e legittimò gli immensi poteri. A monte il "carattere divino" della
chiesa, il potere del pontefice di definire la verità e perseguire l'errore, di
mediare tra l'aldilà e l'aldiqua, di sciogliere e legare, alla luce della
"verità" definita, tutti gli aspetti della vita sociale. è anch'essa un riflesso
del consolidarsi dei rapporti feudali e nello stesso tempo il sintomo dello
sgretolarsi di questi stessi rapporti. Come i vassalli e valvassori erano
stretti in una rete di proibizioni tali da impedirgli di nuocere al signore nel
corpo, nei beni e nell'onore, così fu anche per l'intera società imprigionata
ogni minuto al rispetto della ferree regole e doveri imposti dal clero.
Attraverso i secoli, l'Inquisizione fu il più efficiente e mostruoso meccanismo
di controllo sociale della storia dell'Occidente cristiano, poiché il suo
potere, prima che sulle azioni, si abbatteva sui pensieri, sulle intenzioni,
sulle scelte devianti. Non è un caso che il termine "eresia" voleva dire
originariamente "scelta".
L'Inquisizione come metodo di governo Nel
1184 papa Lucio III in accordo con Federico Barbarossa con la bolla Ad abolendam
istituì in ogni diocesi una inquisizione episcopale per individuare e colpire
con l'aiuto della autorità secolare persone e parrocchie infette da eresia. Il
concilio Lateranense IV confermando ed estendendo nel 1215 le pene spirituali e
temporali già in uso affermava la repressione dell'eresia sul piano della
legislazione universale della chiesa e fu introdotta la pena di morte mediante
il rogo per i delitti di "lesa maestà divina". Grazie alla deduzione del
purgatorio, "invenzione" di Bonifazio VIII, primo Jiubilee maker, si accentuò
ancora di più la dittatura papale. Nel 1335 in Piemonte, all'Inquisitore che li
interroga, i valligiani valdesi, che poi furono tutti impiccati o bruciati,
risposero che nell'altra vita si aspettavano solo l'inferno o il paradiso e che
il purgatorio è qui sulla terra. Da Roma si cominciò quindi ad inviare con
sempre maggiore frequenza delegati papali da sostituire ed affiancare ai vescovi
meno zelanti o efficienti finché Gregorio IX a partire dal 1231 istituì su tutto
il territorio della cristianità una rete di tribunali aventi giurisdizione per
crimini di eresia. A presiedere questi tribunali erano inviati membri degli
appena nati ordini mendicanti (i domenicani soprattutto ma anche i francescani),
fedeli esecutori del centralismo papale. Soggetti all'Inquisizione erano tutti i
sospetti di eresia (catari, valdesi, beghini, spirituali, ecc.), tutti gli
oppositori politici ma anche gli imputati di "delitti" contro la morale e la
disciplina della chiesa, i bestemmiatori: tutti i casi in sostanza nei quali
l'inquisitore avesse giudicato l'offesa della legge ecclesiastica tanto grave da
toccare problemi di fede, ovvero interessi ecclesiastici o nobiliari. La
colpevolezza era stabilita mediante prove testimoniali o per la confessione del
reo: per ottenerla questa si ricorreva sistematicamente al regime carcerario più
duro (digiuni, catene ecc.) e alla tortura (tratti di corda, cavalletto, carboni
ardenti, ecc.), la difesa era pressocché inesistente. Le stesse spese dei
tribunali venivano sostenute con le multe e la confisca dei beni dei colpevoli.
Sin dai tempi della bolla Ad extirpanda (1252) la tortura era sta legittimata
come elemento (fondamentale e spesso, di fatto, unico) di prova ed era applicata
con puntiglioso formalismo burocratico (la damnatio - correctio giubilare
insiste sui "precisi limiti di durata"). Le vittime della "Santa
Inquisizione" sarebbero state secondo alcuni storici circa dieci milioni, in
maggioranza donne (le cosiddette "streghe") mentre secondo medievalisti
cattolici come Gustav Henningsen, solo nell'età moderna in Europa furono
centomila i processi di cui la metà si conclusero con la condanna al rogo. Il
re Ferdinando d'Aragona e la regina Isabella di Castiglia nel 1478 chiesero al
papa Sisto IV il rafforzamento e la riorganizzazione del tribunale
inquisitoriale ottenendo la facoltà di designare essi stessi gli inquisitori. In
Spagna l'Inquisizione fu al servizio della crociata per la "riconquista
cristiana" del paese, una vera e propria pulizia etnico-religiosa: gli ebrei non
convertiti vennero espulsi in blocco dal paese nel 1492, mentre i Mori furono
espulsi nel 1609 perché "di sangue impuro". Questi primi esempi di razzismo ed
antisemitismo della storia dell'umanità, diedero luogo ad imitazioni in tutto il
continente fino alla Russia zarista. In tutta l'Europa il processo
inquisitorio fu definitivamente codificato nella Nuova Inquisizione post-Riforma
luterana, a partire dal 1542 (Bolla Licet ab inizio di Paolo III). In seguito
alla formazione dei blocchi religiosi contrapposti ed al Concilio di Trento il
papato non solo restaurò i tribunali inquisitoriali ma creò in Roma una
commissione di cardinali incaricati di coordinare tutti gli interventi
repressivi nei confronti degli eretici, la congregazione della Romana e
universale inquisizione o Sant'uffizio. Era presieduta dal papa e mantenne
intatti i principi fondanti dell'Inquisizione medioevale (crociata contro gli
albigesi e loro sterminio), dell'inquisizione di Spagna ("estirpazione" e
conversione forzata degli ebrei e dei musulmani) dandosi un'organizzazione
totalmente centralizzata, a guardia della imposizione capillare della fede
cattolica ortodossa e del controllo sociale di massa che la Controriforma stava
consolidando. Il sospetto faceva scattare il meccanismo inquisitorio. Era di per
sé il segno della colpa. Qualsiasi altro crimine, se ci sono i segni della
"peste eretica" o della trasgressione al modello del magistero, è associato
all'eresia. L'intero impianto giudiziario era basato sulla cultura della
delazione. Praticata da sempre, all'interno e verso l'esterno, spettava al Santo
Uffizio che razionalizza il sospetto come presunzione di colpa e ne introduceva
la capillarizzazione sistematica nell'area cattolica - il compito di assicurarne
la tutela, e naturalmente la sacralizzazione. La delazione è segreta ("...
al-l'imputato deve essere comunicata solo la sostanza delle deposizioni dei
testimoni a carico, senza nomi né possibilità di individuarli": decreto della
Congregazione del Santo Uffizio, 1566) ed è "un dovere per il popolo cristiano",
perché se si è obbligati a denunciare i crimini di lesa maestà, a maggior
ragione è doveroso denunciare il supremo peccato-crimine di lesa maestà divina.
Così il padre è obbligato a denunciare il figlio, il marito la moglie, e
viceversa, anche perché chi rivela al Santo Tribunale l'eresia dei propri
consanguinei ("de' loro padri ancorché non fossero nati dopo il paterno
delitto", 1621) non solo non incorre nelle pene stabilite e compie
"un'impareggiabile opera di carità", ma può anche usufruire di speciali
indulgenze per sé e per gli altri suoi defunti. In piena Controriforma,
Dominico Scoto (1582) afferma: "...le orecchie umane giudicano le parole dal
suono, ma il giudizio divino considera quei suoni se sono o no in accordo con
l'intenzione... Dio ode le parole non pronunciate e le giudica vere anche se
l'uomo non è in grado di accorgersi della discrepanza". La tacita cogitatio, il
pensare senza parole permette di dirigere l'intenzione in senso contrario
rispetto a quanto è indicato dalle parole!" Il massimo della spietatezza, era la
"tortura per l'intenzione". Se, dopo una confessione completa, il sospetto-reo
negava di avere avuto intenzioni eretiche mentre si comportava da eretico,
veniva torturato non sul fatto ma sulla "sua empia credulità ed intenzione".
Rovesciamento del principio giuridico antico secondo cui nessuno può essere
punito per quello che pensa (Cogitatio poena nemo patitur). Il Sant'Uffizio
ampliò la sfera di competenza e i poteri in particolare durante i pontificati di
Paolo IV (1555-1559) e Pio V (1566-1572) che, come molti altri loro colleghi,
erano stati cardinali inquisitori prima di accedere al papato, fino ad
affermarsi come la prima di tutte le congregazioni nella riorganizzazione della
curia romana operata da Sisto V (1588). Ad essa venne affiancandosi una
congregazione autonoma ma in realtà strettamente legata e quasi subordinata per
l'esame e la censura della stampa, la congregazione dell'indice dei libri
proibiti, istituita nel 1571. Per suo tramite gli inquisitori esercitarono una
vigilanza speciale sul mondo della cultura, dalla concessione della licenza per
la stampa e il commercio del materiale libraio, al bando e alla censura per le
opere, compreso i classici, ritenuti, anche indirettamente pericolosi per la
dottrina e la morale cattolica. La strage di 10mila ugonotti protestanti il 24
agosto del 1572 a Parigi, la condanna di Galileo, Tommaso Campanella, Erasmo da
Rotterdam, Niccolò Cusano, Pico della Mirandola e il processo e il rogo di
Giordano Bruno sono il culmine di questa nuova fase inquisitoriale i cui
principi fondanti sono dedotti dal suo fine supremo: perseguire "l'eretica
gravità" che si macchia del crimine supremo: "lesa maestà divina". Così la
"Santa Inquisizione" in Europa continuò a schiacciare soprattutto le classi
oppresse dal sistema feudale oltreché i concorrenti politici convertitisi al
protestantesimo o al calvinismo anche se tutti, nobili, mercanti, alti prelati
compresi i cardinali, funzionari reali, al di fuori soltanto del re, potevano
essere inquisiti, se denunciati come sospetti. Tra il 1500 e il 1600 la
chiesa allungò le mani al seguito dei conquistatori e mercanti fino all'America
latina, all'Africa e all'Oriente contribuendo ai massacri, a volte al genocidio,
delle popolazione indigene ed alla espropriazione e conversione forzata dei
superstiti (ricordiamo tra i tanti il tribunale inquisitoriale di Lima che
sradicò le religioni precolombiane). Oltre ai domenicani fu il nuovo ordine dei
gesuiti (la compagnia di Gesù) a fare delle missioni nei continenti extraeuropei
un imponente veicolo di penetrazione coloniale. Tra i crimini della chiesa in
Italia non può essere taciuto l'appoggio alla repressione della rivolta popolare
antifeudale e antimonarchica guidata dal pescivendolo napoletano Masaniello che
aveva costretto alla fuga il vicerè spagnolo (1647) ) e nel giugno del 1799 lo
sterminio, compiuto per conto della monarchia e della "Santa Sede" dal cardinale
Ruffo, che strumentalizzò debitamente i sentimenti religiosi dei contadini e dei
briganti, della borghesia intellettuale partenopea che aveva dato vita alla
repubblica partenopea. Le ultime scorribande armate della chiesa erano il
segno che l'Inquisizione stava perdendo progressivamente potere, man mano che il
potere economico e poi politico passerà nelle mani della borghesia (l'ultimo
tribunale dell'Inquisizione a scomparire è quello spagnolo nel 1834) ma la sua
logica rimarrà intatta ben oltre il Concilio Vaticano I (1869-1870) dove venne
sancito il dogma indiscutibile ed eterno dell'infallibilità del papa e vennero
condannati e messi al bando il razionalismo, il positivismo e le altre dottrine
moderne (naturalismo, materialismo, panteismo). L'Inquisizione fu
definitivamente soppressa dagli stati costituzionali nati sull'onda dalla
rivoluzione francese, senza quindi alcun provvedimento formale da parte della
"Santa Sede"; perse di fatto, in concorrenza con gli stati, ogni potere
giudiziario pur mantenendo un posto centrale come strumento per la difesa della
ortodossia anche nel riordinamento della curia romana operata da Pio X nel 1908.
L'Indice dei libri proibiti rimase in vigore ufficialmente fino al
1966.
La borghesia si allea con la chiesa La borghesia diventata
ovunque in Europa classe dominante in molti casi ritenne utile al mantenimento
del suo potere l'egemonia religiosa e culturale della chiesa romana. Ciò avvenne
con particolare evidenza proprio in Italia dove la borghesia alleata con le
vecchie classi sfruttatrici non attuò mai una disarticolazione della
organizzazione medioevale della chiesa, né tanto meno l'espropriazione completa
e definitiva del suo potere temporale e una vera separazione tra lo Stato
borghese e la chiesa. Garibaldi, che lo avrebbe voluto, fu fermato con le armi
da Cavour e Vittorio Emanuele II perché il Vaticano, come aveva fatto fin dalla
sua nascita si schierò quasi subito con i nuovi padroni capitalisti, con la
classe dominante borghese oltreché con i latifondisti con i quali era legato da
un millenario intreccio di interessi. Dopo il periodo interlocutorio della
"legge delle guarentigie" (che lasciò insoddisfatto Pio IX) il Vaticano
terrorizzato dall'esplodere della lotta di classe del proletariato nel nostro
paese e dalla Rivoluzione d'Ottobre appoggiò al pari della monarchia sabauda il
regime fascista ottenendo in cambio il concordato del 1929 sottoscritto nel
palazzo del Laterano da Benito Mussolini e Pietro Gasparri, plenipotenziari del
re Vittorio Emanuele III e del pontefice Pio XI: Con esso la religione cattolica
diventò la "sola religione di Stato", venne sancita la assoluta libertà di
esercizio e organizzazione della chiesa, vennero garantiti da ogni ingerenza
statale i possedimenti e l'intera organizzazione dello Stato teocratico
monarchico del Vaticano al quale fu versato anche un enorme risarcimento
finanziario e garantito il finanziamento pubblico e l'evasione fiscale, fu
disposta l'esclusione degli apostati e dei colpiti da censura ecclesiastica
dall'insegnamento e dai pubblici uffici. La curia romana in cambio insegnò ai
prefetti, ai questori, all'Ovra e alle squadracce fasciste i metodi della "Santa
Inquisizione" e quando la gloriosa Resistenza apparve vittoriosa si prodigò per
far fuggire all'estero numerosi criminali fascisti e repubblichini. Grazie a De
Gasperi e all'opportunismo di Togliatti i patti Lateranensi furono richiamati
nella costituzione democratico-borghese all'art. 7 in netta contraddizione con
l'art. 8 dove si dichiaravano tutte le confessioni religiose libere davanti alla
legge. Nel dopoguerra la chiesa si concentrò nella lotta contro l'eresia
comunista: la bolla del Sant'Uffizio papale del 1949, che seguiva quella del
1937, condannava il marxismo e vietava ai cattolici di essere comunisti. Il
Vaticano, direttamente e indirettamente tramite la Democrazia Cristiana ed
organizzazioni come l'Opus Dei collaborò attivamente con la struttura segreta
della Nato a riarruolare in funzione anticomunista mafiosi e fascisti fuggiti
all'estero e a finanziarne tramite la Banca Vaticana e lo Ior diretto dal
cardinale Marchinkus le logge massoniche e golpiste protagoniste della "guerra
civile a bassa intensità" che si trasformò ben presto (Portella delle Ginestre)
in stragismo di Stato. Non c'è da stupirsi quindi se negli anni '70 il papa nero
Wojtyla andava a stringere la mano del dittatore cileno Pinochet, se il papa ha
santificato il franchista e fascista cardinale Escrivar, se lo si vede oggi
raccogliere i baciamano del nuovo Hitler Bush e del neoduce Berlusconi, se i
suoi cardinali lanciano le crociate contro il divorzio e la libertà sessuale
delle donne, per abolire la legge sull'aborto, vietare la fecondazione
assistita, sopprimere il darwinismo dall'insegnamento scolastico, fondare i
programmi scolastici sulla base dell'"antropolo-gia cristiana", restaurare il
dominio clericale in campo scolastico, inserire nella Costituzione europea un
riferimento alle "radici cristiane", seguire le missioni imperialiste nel mondo
per evangelizzare i popoli sottomessi. l'Inquisizione e il S.Uffizio del resto,
anche se non più nella versione medioevale e debitamente riverniciati, esistono
ancora, e Paolo VI ne ha solo mutato l'antica denominazione in quella di "sacra
congregazione per la dottrina della fede"(1965), il cui compito continua ad
essere quello di tutelare la fede e i costumi in tutto il mondo cattolico. Il
concilio Vaticano II introdusse dei piccoli cambianti, come un ritorno alla
dottrina conciliaristica (più potere ai cardinali), che in passato caratterizzò
la breve fase delle duplicazione dei papi, ma complessivamente generò soltanto
illusioni tra i cristiani circa la riformabilità della chiesa
cattolica.
LA RIFORMA E LA REAZIONE Nel 1500 la
supremazia papale sul mondo cristiano sembrava sicura. Le chiese d'Oriente, che
erano state a lungo il centro della cristianità, avevano ricevuto un colpo
tremendo con la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi (1453). Il
«conciliarismo», ovvero la dottrina secondo cui il concilio generale è la
suprema autorità nel mondo cristiano, al di sopra anche del papa, parve
soccombere sotto il peso di numerose condanne. Ma le fondamenta della potenza
papale non erano sicure. Entro breve tempo, infatti, sarebbero state scosse
dal terremoto della Riforma protestante, e alcuni avrebbero addirittura
profetizzato che al papa sarebbe rimasto il controllo soltanto dell'Italia e
della Spagna. Furono diversi i fattori che spianarono la strada alla Riforma. Da
una parte, il papato del tardo Medioevo esemplificava ampiamente il detto
secondo cui "il potere assoluto corrompe in modo assoluto"; dall'altra, si era
andato diffondendo un notevole sentimento antipapale. La figura di Wyclif sta a
dimostrare come un attacco agli abusi possa trasformarsi in una critica alle
dottrine. La chiesa si trovava nella vulnerabile condizione di chi, pur
possedendo ricchezze favolose, manca però palesemente delle qualifiche morali
necessario per giustificare i propri stesso Lutero. Di lì a poco, il
Protestantesimo fu diviso in due correnti — quella luterana e quella riformata
(o svizzera). Zwingli morì giovane, e il suo posto di principale teologo
riformato fu preso dal francese Giovanni Calvino, con il risultato che la fede
riformata è spesso conosciuta come Calvinismo. Luterò e Zwingli furono dei
riformatori classici (per distinguerli dall'ala radicale) — introdussero, cioè,
una riforma sostenuta dalle autorità ufficiali o magistrati o governatori delle
città. Il loro intento non era quello di spezzare il legame fra chiesa e stato.
Miravano infatti non tanto a fondare una chiesa nuova, ma piuttosto a riformare
quella vecchia. Finché si trattava di una riforma dottrinale, l'ideale della
chiesa di stato, a cui appartenevano tutti i cittadini, rimaneva intatto. Ma vi
erano alcuni per i quali questa non sarebbe stata che una riforma a metà. I
riformatori radicali volevano andare ben oltre i riformatori classici. E lo
fecero in diversi modi. Alcuni erano "razionalisti": mettevano cioè in dubbio le
dottrine cristiane fondamentali, come la Trinità. Altri erano "spiritualisti":
disprezzavano la Bibbia e tutte le forme esteriori, e sottolineavano invece
l'importanza dello Spirito Santo che parla all'anima dell'individuo, la
cosiddetta "luce intcriore". Alcuni erano "rivoluzionari": credevano cioè che la
battaglia finale descritta nel libro dell'Apocalisse stesse per avere luogo, e i
giusti avrebbero stabilito il regno di Dio con la forza. Ma gli "evangelici"
costituivano il gruppo più numeroso e importante. Essi, alla luce della Bibbia,
desideravano una riforma più profonda. Rifiutavano l'idea di una chiesa di stato
e il battesimo dei bambini, che inevitabilmente l'accompagnava. I loro
oppositori presero di mira la loro consuetudine di "ribattezzare" coloro che
erano stati già battezzati da piccoli, e li chiamarono «anabattisti» o
«ribattezzatori». Era un'etichetta molto comoda, questa, dato che ribattezzare
era considerato un reato molto grave. Gli anabattisti furono quindi perseguitati
in modo spietato e sterminati in lungo e in largo, ma le loro idee sopravvissero
e divennero progressivamente più influenti. La Riforma trovò la Chiesa di
Roma notevolmente impreparata. Ma tale situazione non durò a lungo. Intorno alla
metà del secolo fu convocato infatti il *Concilio di Trento, per definire la
dottrina cattolica romana in una prospettiva antiprotestante e presentare un
programma di riforma cattolica. I Gesuiti (un ordine religioso fondato da
Ignazio di Loyola) costituivano le truppe d'urto della Riforma cattolica e
guidarono il contrattacco al Protestantesimo. Il retaggio della spiritualità
medievale non era morto nella Chiesa cattolica romana, come si può vedere dai
grandi mistici spagnoli Giovanni della Croce e Teresa d'Àvila. I primi 50
anni della Riforma furono anni ricchi di nuove idee. Ma i movimenti viventi e
creativi del periodo iniziale finirono in breve tempo per essere codificati in
dettagliati sistemi dogmatici. Le tre principali confessioni (Cattolicesimo
romano. Luteranesimo e Calvinismo), sempre più affannate a definire in maniera
precisa e complicata le proprie dottrine, spendevano enormi energie in
controversie interne. Si trattava di questioni riguardanti soprattutto il
rapporto fra la grazia di Dio e il libero arbitrio dell'uomo. Lo sviluppo di
queste nuove ortodossie non si realizzò senza sfide. Il movimento pietista del
XVII secolo, capeggiato fra gli altri da Spener, mise l'accento sull'importanza
della vita pratica del credente, piuttosto che su discussioni intorno a
questioni teologiche secondarie. Il XVIII secolo vide il sorgere del
razionalismo in opposizione alla fede cristiana. Per alcuni, esso fu sinonimo di
ateismo; per molti altri, invece, rappresentò una nuova religione basata sulla
ragione più che sulla rivelazione. Il «deismo» fu considerato una religione
della ragione in contrasto con le superstizioni del cristianesimo tradizionale.
Il razionalismo, però, sferrando al cristianesimo un attacco dall'esterno della
chiesa, influì soltanto limitatamente sulla dottrina cristiana, anche se
cominciò di fatto a minare il consenso cristiano nell'Europa occidentale. Una
forza che si mosse nella dirczione opposta al razionalismo fu quella del
"risveglio" evangelico, che ebbe origine in Inghilterra con i fratelli *Wesley e
alcuni altri, per diffondersi poi in tutto il mondo anglofono e oltre. La
Riforma inglese presenta delle peculiarità interessanti. Nel breve spazio di
venticinque anni vi sono non meno di sei risoluzioni di tipo religioso. •
Fino al 1534 l'Inghilterra era un Paese cattolico romano. • Nel 1534 Enrico
vili fece di sé stesso un papa in Inghilterra, autoproclamandosi «capo unico e
supremo in terra» della Chiesa inglese. Ma, a parte l'abolizione del papa,
Enrico vili continuò ad attenersi alla quasi totalità delle dottrine cattoliche
— egli era in fin dei conti un "anglo-cattolico" del xvi secolo. • Nel 1549
fu pubblicato il primo libro di preghiere del regno di Edoardo VI. D'ispirazione
protestante e in lingua inglese, il libro era stato tuttavia redatto in maniera
tale da non recare inutile offesa ai cattolici romani. • Nel 1552 vide la
luce il secondo libro di preghiere del regno di Edoardo VI. Questa volta si
trattava di un libro apertamente e inequivocabilmente protestante. • Sotto
Maria Tudor (1553-1558) vi fu un ritorno a una forma dogmatica di Cattolicesimo
romano. • La "Soluzione Elisabettiana" del 1559 ripresentò un librò di
preghiere molto simile a quello del 1552. La Soluzione Elisabettiana fu a lungo
contestata dai "puritani", i quali desideravano una forma più radicale di
Protestantesimo, ma nel 1662 divenne norma definitiva. Questa risoluzione è
spesso descritta come una via di mezzo, e in fin dei conti è così, ma non nel
senso che spesso intendiamo noi oggi — cioè, una via di mezzo fra
Protestantesimo e Cattolicesimo romano. La Soluzione Elisabettiana era una sorta
di compromesso fra Elisabetta i, che voleva una forma più conservatrice di
Protestantesimo, e coloro che ne volevano invece una più radicale; sotto certi
aspetti, la Soluzione potrebbe essere intesa come un compromesso fra Calvinismo
e Luteranesimo. Difatti, la dottrina espressa dai •«Trentanove Articoli» era un
Calvinismo moderato, ma il mantenimento dei vescovi, della liturgia e di altre
forme cerimoniali cattoliche era in linea con il pensiero luterano. A tempo
debito, la Riforma inglese sfociò nell'Anglicanesimo, un ramo distinto del
Protestantesimo che si è dimostrato più consenziente all'insegnamento cattolico
rispetto alle chiese riformate o a quelle luterane. La Scozia invece divenne, e
tuttora rimane, decisamente riformata e presbiteriana. I tentativi da parte
degli inglesi di imporre dei vescovi e il Book of common prayer (Libro della
preghiera comune) agli scozzesi servirono soltanto a rafforzare le convinzioni
presbiteriane della "kirk" (cioè, la chiesa scozzese). LA TRADIZIONE
RIFORMATA Huldrych Zwingli La Riforma svizzera Huldrych Zwingli è il
fondatore del Protestantesimo svizzero e il primo dei teologi riformati. Nacque
il 1o gennaio del 1484 (cinquantadue giorni dopo Lutero) a Wildhaus, una
cittadina a una quarantina di chilometri da Zurigo. Arrivò a una posizione
protestante più o meno contemporaneamente a Lutero, ma per lo più
indipendentemente da lui. I loro ambienti erano diversi: Lutero fu istruito dai
discepoli di Gabriel Biel secondo i principi della "via moderna"; Zwingli,
invece, fu educato secondo il pensiero della "via antiqua" di *Tommaso d'Aquino.
Inoltre, a differenza di Lutero, il riformatore svizzero fu anche fortemente
influenzato dall'Umanesimo di Erasmo. Come diversa era la loro formazione, così
era anche il modo in cui Lutero e Zwingli si avvicinavano alla teologia. In
particolare, mentre Zwingli riteneva che nessuna dottrina dovrebbe essere
contraria alla ragione, Lutero accordava alla ragione un ruolo decisamente
minore in ambito teologico. Tale divergenza risultò quanto mai evidente nel loro
atteggiamento a proposito della presenza di Gesù Cristo nella Cena del
Signore. Nel 1506 Zwingli fu nominato parroco a Glarona. Lì cominciò ad
attaccare il mestiere dei mercenari. In quel tempo i soldati svizzeri erano
molto richiesti come mercenari, e ciò costituiva un grossa fonte di guadagno,
quasi come l'odierno sistema bancario svizzero. Zwingli si convinse che si
trattava di una condotta immorale e iniziò allora a predicare contro questa
attività. La cosa non piacque agli abitanti di Glarona, così nel 1516 Zwingli
dovette cambiare città e divenne parroco a Einsiedein — tuttora noto centro di
devozione alla Vergine Maria. Durante la sua permanenza a Glarona e a
Einsiedein, Zwingli lesse moltissimo, e in quello stesso periodo furono poste le
fondamenta delle sue convinzioni riformate. In particolare, egli arrivò a
rendersi conto del ruolo supremo e finale delle Scritture. Nel 1518 Zwingli
divenne pievano del Grossmùnster, la «Grande Cattedrale» di Zurigo. Là iniziò a
predicare sistematicamente su interi libri della Bibbia. Questa consuetudine era
diffusa nella chiesa primitiva, ma al tempo di Zwingli si presentò come una
radicale innovazione. A Zurigo Zwingli introdusse la Riforma in maniera
graduale, inizialmente addirittura con il consenso delle autorità cattoliche
romane. Anzi, nel 1523 egli ricevette un'affettuosa lettera da parte del papa!
Nel 1522 produsse il primo dei suoi numerosi scritti riformati, con cui le sue
idee si diffusero in lungo e in largo per tutta la Svizzera. Entro la fine del
1525, la Riforma a Zurigo era stata quasi del tutto portata a termine: la messa
era stata abolita e sostituita da un semplice servizio eucaristico. Poiché anche
altri cantoni svizzeri decisero di appoggiare la Riforma, la mèta di Zwingli di
avere una Svizzera evangelica unita sembrava raggiungibile. A tale scopo, egli
formò un'alleanza di cantoni evangelici; ma i cantoni cattolici, sentendosi
minacciati, formarono un'alleanza contrapposta. Ne scaturì una guerra, nel 1529.
Dopo una breve tregua, i combattimenti ripresero nel 1531, e Zwingli stesso fu
ucciso sul campo di battaglia, a Kappel. Uno dei primi scritti di Zwingli fu
quello intitolato Chiarezza e certezza ovvero veracità della Parola di Dio
(1522), in cui egli espose il principio basilare del Protestantesimo: l'autorità
finale delle Scritture. La Parola di Dio è certa. Quando Dio parla, ciò che dice
avviene — "Dio disse: 'Sia la luce!' e la luce fu" (Genesi 1:3). La Parola di
Dio è anche chiara. Il che non significa che non possa essere fraintesa. Se ci
avviciniamo alla Bibbia con le nostre congetture e la nostra personale
interpretazione, e cerchiamo di plasmarla su quella falsariga, non udremo il suo
messaggio. Ma quando Dio parla ai suoi figli, la sua Parola porta con sé la sua
chiarezza. E allora possiamo capirla, senza nessuna istruzione umana — non
grazie alla nostra comprensione, ma grazie allo Spirito Santo che ci illumina e
ci rende capaci di vedere la Parola di Dio nella sua stessa luce. Dobbiamo
evitare l'errore di sottoporre la Parola di Dio a un interprete umano
infallibile — come il papa o un concilio. In pratica, ciò significa che la
Bibbia risulterà distorta per poter appoggiare certe idee preconcette. La
certezza viene, non dalla conoscenza umana o da un'autorità ecclesiastica, ma
dall'umile ascolto di Dio stesso. Questa fu proprio l'esperienza di
Zwingli: Durante la mia gioventù, come molti altri della mia generazione, ho
imparato molte cose eccellenti della sapienza umana. E quando... ho iniziato ad
attenermi solo alla Sacra Scrittura, la filosofìa e la teologia degli
attaccabrighe sono divenute un vero e proprio ostacolo. Ho deciso quindi (certo,
guidato dalla Scrittura e dalla parola di Dio) di ignorare tutto questo e di
conoscere il pensiero di Dio unicamente dalla sua schietta parola. Allora ho
chiesto a Dio di concedermi la sua luce e, sebbene leggessi la Scrittura in
tutta semplicità, essa ha cominciato a diventare molto più chiara di quando
leggevo molti commentali e interpretazioni. Chiarezza e certezza ovvero veracità
della Parola di Dio In pratica, Zwingli scoprì che cercare di ascoltare
sinceramente la Parola di Dio non necessariamente poneva fine a ogni disaccordo.
Si trovò infatti coinvolto in una controversia con altri due gruppi riformati
riguardo alla natura dei sacramenti. Per cominciare, a Zurigo vi erano alcuni
che volevano una riforma più radicale: non soddisfatti di una chiesa di stato
riformata, chiedevano una chiesa libera, composta da cristiani impegnati, di cui
si potesse entrare a far parte attraverso il battesimo da adulti. All'inizio,
Zwingli e questi radicali avevano molto in comune; ma nel 1525 le cose
precipitarono, e il consiglio municipale di Zurigo, con il consenso dello stesso
Zwingli, istituì nei loro confronti delle misure repressive. Quello stesso anno
Zwingli scrisse Sul battesimo, sul ribattesimo e sul battesimo dei bambini, con
cui difese il battesimo dei bambini, basandosi sul fatto che esso è segno del
patto, un patto che comprende tutta la famiglia e non soltanto l'individuo. Ma,
pur attenendosi alla pratica del battesimo dei bambini, Zwingli (a differenza
di Lutero) si separò dalla dottrina cattolica secondo cui il battesimo
conferisce (anche ai bambini) la nuova nascita e il perdono dei peccati. Arrivò
invece a considerare il battesimo innanzi tutto come un segno esteriore della
nostra fede. La seconda controversia — quella con Lutero — riguardava la
presenza di Gesù Cristo nella Cena del Signore. Lutero, pur rifiutando la
dottrina cattolica romana della transustanziazione. continuava a credere nella
presenza reale del corpo e del sangue di Cristo "in, con e sotto" le specie del
pane e del vino. Nel 1524 Zwingli fu convinto dall'olandese Cornelius Hoen
(Honius) ad abbandonare questo modo di pensare. Da allora in poi, infatti,
rinnegò la dottrina della presenza reale e sostenne che il pane e il vino sono
semplici simboli del corpo e del sangue di Cristo. Mediante l'azione dello
Spirito Santo. Gesù Cristo è presente al servizio eucaristico — ma quanto al
suo corpo e al suo sangue, cioè la sua umanità, essi rimangono in cielo, alla
destra del Padre. La Cena del Signore è una commemorazione di ringraziamento con
la quale possiamo guardare all'opera di Gesù Cristo compiuta sulla croce. È
anche un pasto di comunione a cui è presente il corpo di Cristo sotto le forme
della congregazione. Zwingli sostenne questa posizione fino al giorno della sua
morte. E nella «Fidei ratio» [Confessione di Fede], scritta nel 1530, che egli
espose il suo insegnamento ormai maturo: Credo che nella santa Eucaristia,
cioè nella Cena di rendimento di grazie, è presente nella contemplazione della
fede il vero corpo di Cristo. Ciò vuoi dire: coloro che rendono grazie al
Signore per il beneficio che ci ha concesso nel Figlio suo, riconoscono che egli
ha assunto una vera carne,questa ha veramente patito, ha veramente lavato i
nostri peccati con il suo sangue, e così ogni cosa che Cristo ha fatto è resa
presente per loro nella contemplazione della fede. Ma che il corpo di Cristo
nella sua essenza e realtà, cioè il suo stesso corpo naturale, sia presente
nella Cena o sia masticato in bocca dai nostri denti, come sostengono i papisti
e alcuni che guardano indietro alle pentole egiziane [i luterani], questo non
solo lo neghiamo, ma affermiamo decisamente che è un errore che si oppone alla
Parola di Dio... Che, inoltre, il corpo naturale di Cristo non sia mangiato
nella nostra bocca, lo afferma lui stesso, quando ai giudei che si opponevano al
mangiare materialmente la sua carne, disse: "La carne non giova a nulla"
[Giovanni 6:63]... Le parole: "Questo è il mio corpo" [Matteo 26:26] non vanno
intese naturalmente ma in quanto significano, analogamente alle altre: "Questa
è la Pasqua" [Esodo 12:11]. Confessione di Fede, VIII. Zwingli ribadisce qui
i ragionamenti già usati contro Lutero durante il Colloquio di Marburgo l'anno
precedente. Certo, egli usò ragionamenti molto forti in opposizione alla
presenza fìsica del corpo di Cristo nella Cena del Signore, ma non sfuggì
completamente al pericolo di ridurla a un memoriale puro e semplice. Il suo
contributo consistette principalmente nel lavoro negativo di critica nei
confronti del vecchio modo di pensare. Fu lasciato ad altri — in particolare a
*Bucero e a *Calvino — il compito di fondare, su quella stessa base, una
dottrina positiva della Cena. Zwingli incontrò precocemente la morte sul
campo di battaglia. Non vi fu tempo perché il suo pensiero maturasse ne perché
egli potesse presentare una solida esposizione della teologia riformata. Tale
compito fu lasciato a Calvino, con il risultato che il Protestantesimo riformato
è oggi conosciuto come Calvinismo, anziché come Zwinglianesimo. Tuttavia, anche
se la "costruzione" è passata in mano ad altri e Zwingli è stato in larga misura
dimenticato, resta il fatto che fu proprio lui a porre le fondamenta del
Protestantesimo svizzero e della teologia riformata.
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