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LA STORIA DELLA CHIESA

LA STORIA DELLA CHIESA E LA SANTA INQUISIZIONE

Fra il 100 d.C. e il 500 d.C. la chiesa cristiana cambiò così tanto da risultare alla fine quasi irriconoscibile. Nel 100 d.C. essa non era che una sparuta minoranza, perseguitata a più non posso. Gli Evangeli e le Epistole erano già in circolazione, ma non erano stati ancora raccolti e uniti insieme per formare il «Nuovo Testamento». Nonostante alcune brevi affermazioni di fede, tipo: "Gesù è il Signore", non esisteva però nessun credo formale da recitare. L'organizzazione della chiesa era ancora abbastanza fluida e variava da una zona all'altra, come ai tempi neotestamentari. Infine, non esistevano modelli fissi per il culto, anche se forse certe preghiere, come il Padre nostro, erano in uso.
Verso il 500 d.C. il quadro della situazione era ben diverso. La stragrande maggioranza delle persone all'interno dell'Impero Romano si definiva cristiana, e il cristianesimo era diventato religione ufficiale di Stato. Ma anche al di fuori dei confini dell'Impero, come in Etiopia o in India, vi erano delle chiese di considerevole grandezza. Le Scritture si componevano di due Testamenti: l'Antico e il Nuovo - quest'ultimo, a parte qualche variante locale, era identico a quello che abbiamo noi oggi. Erano due i «credo» maggiormente diffusi, e vi era una chiara comprensione dell'ortodossia in contrapposizione all'eresia, specialmente in riferimento alle dottrine della Trinità e della persona di Cristo. Il ministero della chiesa si espresse ovunque sotto la triplice forma dei vescovi, dei presbìteri e dei diaconi, anche se a livello locale potevano ancora sussistere delle lievi differenze. L'adorazione della chiesa aveva un carattere interamente liturgico, con forme fisse di preghiera.
La maggior parte di questi mutamenti avvenne in maniera graduale nel corso dei quattro secoli in questione; generalmente, erano per il bene della chiesa e ne rispecchiavano una crescita sana. Ma non tutti i cambiamenti migliorarono necessariamente la situazione. Oggi, per esempio, l'alleanza con lo Stato e la trasformazione del cristianesimo in "religione ufficiale" sarebbero da molti considerate al massimo come una benedizione mista, se non addirittura come una vera e propria maledizione. Tanti altri, poi, non sarebbero affatto entusiasti del tipo di ministero emerso nella chiesa ne della soppressione delle forme libere di adorazione.
Furono due le svolte più importanti nella vita della chiesa primitiva. La prima avvenne nell'anno 70 d. C.: fino a quel momento, i discepoli di Gesù erano prevalentemente giudei, e generalmente sarebbero stati considerati come un gruppo "deviante" (o "del dissenso") all'interno del giudaismo. I "nazareni" potevano essere considerati una setta giudaica, come quelle dei Farisei, dei Sadducei e degli Esseni (Atti 24:5). La chiesa-madre era quella di Gerusalemme. L'apostolo Paolo dovette combattere non poco perché la sua missione nei confronti dei "Gentili" (= pagani) fosse riconosciuta. Egli lottò fortemente per stabilire il principio secondo cui non era necessario che i Gentili convertiti "diventassero" giudei facendosi circoncidere. Ma nel 70 d.C. Gerusalemme fu saccheggiata dai Romani, come aveva profetizzato Gesù, e la chiesa di Gerusalemme cessò di esistere. Da allora in avanti, divenne dominante la chiesa gentile. La chiesa-guida ben presto divenne quella di Roma, capitale del mondo pagano. Mentre per la chiesa neotestamentaria il problema principale era: "I Gentili che si convertono devono o non devono essere circoncisi (cioè, diventare giudei)?", per la chiesa del II secolo il problema era un altro: "I cristiani giudei possono continuare a osservare le leggi giudaiche (cioè, rimanere giudei)?". Il cristianesimo si era trasformato da setta giudaica in una fede potenzialmente universale.
La seconda svolta importante si verificò nel 312, con la conversione al cristianesimo dell'imperatore Costantino. Fino a quel momento, la chiesa era una minoranza del dissenso, periodicamente perseguitata. La situazione cambiò rapidamente: Costantino pose fine alle persecuzioni e offrì ufficialmente alla chiesa il suo appoggio e il suo favore. Degli imperatori che gli succedettero, soltanto uno era pagano. Il cristianesimo divenne la "religione ufficiale" dello Stato.
L'unione chiesa-Stato fu subito accolta con entusiasmo da alcuni (Eusebio di Cesarea, per esempio) ed è tuttora difesa da molti. Altri nutrirono dubbi fin dall'inizio. Oggi è sempre più diffuso il pensiero che questo passo sia stato un errore gravissimo. Diverse questioni entrano in gioco. Prima di tutto, l'adozione del cristianesimo come religione di Stato portò a un massiccio afflusso di conversioni superficiali da parte dei pagani. Questo comportò di conseguenza un declino degli standard morali e l'introduzione di alcune pratiche pagane e idolatriche. In secondo luogo, la "chiesa perseguitata dei martiri" divenne ben presto la "chiesa di Stato perseguitante". La coercizione legale fu uno dei primi strumenti utilizzati contro quei gruppi di cristiani che "deviavano" o dissentivano dalla corrente principale della "Chiesa cattolica", e più tardi contro il culto pagano. La chiesa-serva-e-sofferente rischiava così di diventare la chiesa-opprimente. In terzo luogo, via via che l'Europa diventava cristiana, il cristianesimo correva il pericolo di trasformarsi nella religione tribale degli Europei, II legame con lo Stato comportò dei problemi particolari. Ma occorre ricordare che la corrente principale della storia cristiana si è svolta nell'Europa cristiana. È lì che la chiesa a più riprese ha subito dei rinnovamenti, ed è da lì che l'Evangelo si è sparso per tutto il mondo.
La chiesa primitiva, come pure l'Impero Romano, era suddivisa in due tronconi: quello orientale, dove si parlava il greco; e quello occidentale, dove si parlava il latino. Al di là delle differenze linguistiche vi erano ovviamente le differenze culturali fra il mondo greco e quello romano. Il cristianesimo più antico sviluppatesi fra i Gentili era greco, e il Nuovo Testamento, d'altra parte, era scritto in greco. Perfino in Occidente, nelle prime chiese si parlava il greco (nella chiesa di Roma l'uso prevalente del greco si protrasse fino al III secolo). È nell'Africa settentrionale che troviamo le prime tracce del cristianesimo latino, e l'africano Tertulliano (fine II secolo) fu il primo importante scrittore cristiano latino. Nel corso dei primi secoli le chiese di lingua greca e  quelle di lingua latina coesistettero tranquillamente, nonostante alcuni occasionali motivi di tensione. Più avanti, dopo il crollo dell'Impero Romano d'Occidente avvenuto nel v secolo, le due chiese si separarono gradualmente, dando vita nel tempo rispettivamente alla Chiesa ortodossa orientale e alla Chiesa cattolica romana.
Atanasio (c. 296-373)
Campione dell’ortodossia contro l’Arianesimo. Nato da famiglia benestante, era egiziano per nascita e greco per educazione. Nell’eccellente scuola catechetica di Alessandria, egli venne molto impressionato dalla testimonianza dei martiri durante le ultime persecuzioni e fu profondamente influenzato da Alessandro, vescovo di Alessandria, dal quale fu consacrato diacono. Di piccola statura e di intelligenza sottile, Atanasio non ebbe alcun ruolo ufficiale durante il Concilio di Nicea (325), ma come segretario di Alessandro, le sue note, circolari ed encicliche per conto del suo vescovo, ebbero un importante effetto sul suo esito. Egli era in lucido e capace teologo, scrittore prolifico, con l’istinto del giornalista per il potere della penna, e cristiano devoto – le quali cose lo portarono ad essere apprezzato dal più vasto pubblico di Alessandria, e la grande maggioranza del clero e dei monaci d’Egitto.
Atanasio contestò Ario e gli ariani durante la maggior parte del quarto secolo. Ario insegnava che Cristo, il Logos, non fosse l’eterno Figlio di Dio, ma un essere subordinato. Queste concezioni erano un attacco alla dottrina della Trinità, alla Creazione, ed alla Redenzione. Atanasio affermava che le Scritture insegnano l’eterna figliolanza del Logos, la creazione diretta del mondo da parte di Dio, e la redenzione del mondo e degli uomini da parte di Dio in Cristo. Queste verità vengono esposte nel saggio: L’incarnazione della Parola di Dio, scritto quando Atanasio era appena un ventenne.
Alessandro morì nel 328, e su grande richiesta, Atanasio venne nominato vescovo all’età di soli 33 anni. La vittoria di Nicea rimase pregiudicata per due generazioni, ed Atanasio era il punto focale dell’attacco ariano. L’arianesimo aveva nell’impero un grande seguito, come pure le simpatie di Costanzo, il successore di Costantino nel 337. La storia della Chiesa nel quarto secolo va di pari passo con gli avvenimenti della vita e del ministero pubblico di Atanasio. Egli venne perseguito attraverso cinque esili, comprendenti 17 anni di fughe e nascondimenti, non solo fra i monaci del deserto, ma spesso in Alessandria stessa, dove era protetto dal popolo. Durante un esilio, a Roma nel 339, egli stabilì forti legami con la Chiesa occidentale, che appoggiava la sua causa. Gli anni susseguenti li passò in pace ad Alessandria.
Gli storici affermano che Atanasio, quasi da solo, salvò la Chiesa dall’intellettualismo pagano e che, per la sua tenacia e visione nel predicare un Dio e Salvatore, egli avesse preservato dalla dissoluzione l’unità e l’integrità della fede cristiana.
La vastità dei suoi scritti è impressionante. Contra gentes, una confutazione del paganesimo e De Incarnatione, esposizione dell’incarnazione e dell’opera di Cristo, furono scritti presto nella sua vita (c. 318) e sono da considerarsi parti di un’unica opera. Pure importanti scritti dottrinali sono De Decretis e Expositio fidei. Saggi polemici e storici includono: Apologia contra arianos, Ad episcopos egypti, e De Synodis. Egli scrisse molti commentari su libri biblici. Vi sono numerosi altri scritti, incluse lettere, molte delle quali sono ancora accessibili.
Egli discusse dottrine chiave come: la Creazione, l’Incarnazione, lo Spirito Santo, e la Trinità, l’opera di Cristo, il Battesimo e la Cena del Signore.
Atanasio influenzò molto il movimento monastico, soprattutto in Egitto.
(S. J. Mikolaski, in: J. D. Douglas, ed. The New International Dictionary of the Christian Church, Grand Rapids, MI: Zondervan, 1974, p. 67).
Arianesimo
Eresia che negava l’eternità di Gesù Cristo, il Figlio di Dio come il Logos. Fu condannato al Concilio di Nicea nel 325. Rimane oggi molto poco degli scritti di Ario, presbitero di Alessandria (m. 336), ma la controversia ariana (c. 318-381) fu strategica per la cristallizzazione e lo sviluppo della dottrina cristiana.
Insieme ad Eusebio di Nicomedia, Ario studiò sotto Luciano di Antiochia, le cui concezioni precorrono la cristologia ariana. Il genio di Ario fu quello di spingere la questione cristologica fino alle origini del Logos pre-incarnato.
La controversia sembra essere sorta in una disputa fra Ario ed il vescovo di Alessandria Alessandro, sebbene dopo Nicea, fu il giovane Atanasio, diacono di Alessandro, a portare avanti le  argomentazioni contro Ario e la cui difesa della Cristologia biblica a suo tempo trionfò sugli ariani nel quarto secolo.
Affermando un senso univoco di “generare” in riferimento all’essere del nostro Signore “unigenito Figlio”, Ario diceva, citando Socrate Scolastico, “Se il Padre generò il Figlio, di colui che fu generato si può affermare un inizio di esistenza; e da questo è evidente che vi fosse un tempo quando il Figlio non esisteva. Ne consegue necessariamente che egli avesse la sua sussistenza dal nulla”.
Sulla base di una certa logica di termini, la cristologia subordinazionista di Ario è coerente, ma è pure chiaramente eretica, se giudicata dalla testimonianza apostolica. Se Dio è indivisibile e non soggetto a cambiamento, allora, secondo una lettura di “generato”, qualunque cosa venga generata da Dio deve derivare da un suo atto creativo, non dall’essere stesso di Dio. Per cui esso comporta un inizio di esistenza. Il Figlio, quindi, non sarebbe coeterno con il Padre. Il Credo niceno, così, insiste che Cristo è della sostanza del Padre, non sacrificando, così né l’impassibilità di Dio, né la divinità del Figlio. Dire che il Figlio sia generato dal Padre dall’eternità non vuol dire dividere il Dio indivisibile, ma accettare la testimonianza degli Apostoli.
Cruciali per questa questione sono le dottrine della Creazione e della Trinità. A Nicea, i cristiani adottarono la dottrina che l’unico Signore Gesù Cristo dall’eternità è di un’unica sostanza con il Padre (si noti il prologo di Giovanni 1:1-18). Questo segnò la fine del periodo in cui Cristo poteva essere concepito come intermediario di Dio nella Sua opera di creazione e di redenzione. Fu così riaffermata la dottrina veterotestamentaria della creazione diretta del mondo da parte di Dio, piuttosto che il concetto greco di uno o più intermediari che collegavano il mondo a Dio, ma non Dio al mondo. Il concetto di intermediari (come nello Gnosticismo) era stato formulato per vincere l’antinomia di come Dio possa essere non generato ed impassibile, eppure agire per creare il mondo. Contro Ario, Atanasio insisteva come non vi potesse essere spazio nel pensiero cristiano per un qualsiasi essere che agisca da intermediario fra il Creatore e la creatura, e perché la redenzione è una prerogativa divina, solo di Dio in Cristo, non in qualche essere intermediario che possa redimere.
La controversia ariana si protrasse a lungo ed implicò molti complicati documenti che circolavano nel quarto secolo. Gli ariani conseguirono grande popolarità dopo il Concilio di Nicea, specialmente dopo la morte di Costantino nel 337, perché suo figlio e successore, Costanzo, era appassionato di Ario. La forza dell’insegnamento ariano venne a suo tempo dissipata, sebbene solo attraverso l’energica opposizione di Atanasio. Il credo niceno fu confermato dal Concilio di Costantinopoli nel 381.
Oggi, la cristologia che maggiormente si avvicina a quella di Ario si trova nell’insegnamento dei Testimoni di Geova, i quali negano l’eternità del Figlio di Dio, la dottrina della Trinità, e considerano il Logos come essere intermediario fra il Creatore e la creazione.
(S. J. Mikolaski, in: J. D. Douglas, ed. The New International Dictionary of the Christian Church, Grand Rapids, MI: Zondervan, 1974, p. 67).
Implicazioni ideologiche
“Nel cristianesimo trinitario ortodosso, il problema dell’uno e dei molti viene risolto. L’unità e la pluralità sono ugualmente valori ultimi nell’essere di Dio. L’unità temporale e la pluralità sono su una base di validità uguale. Non c’è quindi alcun conflitto di base fra individuo e società. L’individuo vive nella società, e nella società fiorisce come l’individuo che trova sé stesso e cresce in termini di fede cristiana coerente. Invece di un’ostilità filosofica di fondo fra l’individuo ed il governo, fra il credente e la Chiesa, fra persona e famiglia, vi è una necessaria co-esistenza. Né l’uno né i molti sono riducibili all’altro. Essi non possono cercare di obliterare l’altro, perché significherebbe un’auto-obliterazione: La fede agostiniana e calvinista, con la sua ostilità verso il subordinazionismo, comporta, se sviluppata, la possibilità per un ordinamento sociale autentico e, nella misura in cui vengono seguiti agostinismo e calvinismo, la cultura occidentale si è sviluppata sia come libertà che come ordine. Quando il subordinazionismo teologico prevale, cioè si afferma la condizione di subordinazione della seconda Persona della Trinità, sorge lo statalismo, come nella Russia bizantina (con la sua cristologia docetica), l’Anglicanesimo ed il modernismo, per citarne solo alcuni. L’uguaglianza ultima dell’uno e dei molti viene disturbata, e l’ordine della rivelazione pregiudicato. Gli imperatori romani erano intensamente consapevoli di questo fatto e, per promuovere lo statalismo,. Appoggiavano l’arianesimo ed altre concezioni subordinazioniste come essenziali per la conservazione dello stato in cui il vero ordinamento in cui la vita umana dovesse essere compresa totalmente. L’ostilità di Atanasio si fondava su questa premessa. Il Concilio di Calcedonia nel 451, affermando la piena fede trinitaria, era così la vittoria significativa che condusse alla vittoria ciò che oggi chiamiamo civiltà occidentale. Il riduzionismo è il risultato di una cristologia difettosa. Una volta che si neghi l’eterno Uno e Molti nel loro uguale carattere ultimo, esso cessa di essere il quadro di riferimento, e un Uno immanente assorbe i Molti. L’impero romano e bizantino, come lo stato moderno e le Nazioni Unite, cercò di essere l’uno immanente. Invece che al punto focale ci fosse un Uno e Molti trascendentale, che nessun ordine umano, come essere creato, poteva incorporare, l’ordinamento temporale divenne il quadro di riferimento. Fu negato l’ordinamento eterno tanto che uno umano poteva sostituirlo. Gli imperatori divini, il diritto divino dei re, si poggiava su questa premessa filosofica, e la corte bizantina sviluppò una teologia dell’imperatore e della corte”.
(R. J. Rushdoony, The One and the Many,  Fairfax, VA: Thoburn Press, 1978, p.16,17)
Il Natale è una festa cristiana?
Per la maggior parte della gente, chiedersi se il Natale sia una festa cristiana, è privo di senso. Che ci potrebbe essere di più cristiano del Natale? Non è forse il compleanno di Gesù? Eppure molti cristiani si sentono sempre più a disagio con le celebrazioni natalizie. Quando vedono tutti i baccanali che avvengono intorno alle festività natalizie, essi non possono evitare di domandarsi se non vi sia qualcosa di sbagliato in tutto questo. Così continuano a chiedersi: "Non è forse il Natale il compleanno di Gesù? Il mondo ha corrotto il vero senso del Natale, ma si tratta pur sempre di una "festa bellissima", e così anno dopo anno essi lottano per "restituire il Natale a Gesù".
Quanto affermo, per alcuni potrà essere scioccante, ma dopo aver ora per molti anni ben riflettuto sulla questione e fatto ricerche nella Bibbia e nella storia della Chiesa, sono giunto alla conclusione che non v'è nulla di cristiano nel Natale, che sia come ora viene celebrato, come pure nell'origine di questa festa, il Natale non sia che fondamentalmente ed essenzialmente pagano. Se questo pensiero per voi è nuovo e sorprendente, vi invito a considerare la possibilità che il Natale sia per voi un angolo oscuro che debba essere riesplorato mettendolo in luce.
Non intendo dire che tutto il romanticismo dello "spirito natalizio" mi lasci del tutto indifferente. Certo c'è un fascino particolare in questa festività: il pensiero delle riunioni di famiglia, le canzoni e le melodie natalizie tradizionali, le città illuminate di luci multicolori, le strade ed i negozi piene di gente che acquista regali... Nessuno che abbia del sentimento può sfuggire al fascino dello spirito natalizio. Anche il cinico più indurito non può evitare quei sentimenti che inducono ad "essere buoni" e a rinvangare la nostalgia della fanciullezza anche solo per pochi giorni.
Ho provato quell'approccio che ci fa dire: "restituiamo il Natale a Gesù", ma mi sono convinto sempre di più che sia Cristo a non voler essere "restituito" al Natale. Se parliamo contro la commercializzazione del Natale e cerchiamo di mettere in rilievo "il vero significato del Natale", la maggior parte certamente sarebbe d'accordo. La gente è cosciente che a Natale spesso si eccede in senso materialistico, e gradisce sermoni sul "vero" significato del Natale. Mi chiedo però: "Qual è il vero significato del Natale?". Quando giungi proprio alla sua essenza, che cos'è il Natale? Da dove è venuta questa festa? Com'è sorta? Che cosa rappresenta ora per la gente? La vera questione riguarda la natura stessa di questa istituzione.
Credo che sareste scioccati se vi metteste a sondare realisticamente l'istituzione del Natale. Quello che vi chiedo è di mettere da parte pregiudizi e preferenze culturali, e di affrontare la questione con mente aperta. Certo è difficile farlo. Siamo così sommersi da un secolo di tradizioni e di nostalgie, che è quasi impossibile per qualcuno considerare oggettivamente la faccenda. Vi chiedo di mettere da parte le vostre idee preconcette, almeno temporaneamente e considerare onestamente questa istituzione che chiamiamo Natale. Francamente l'intenzione di questo articolo è quella di mettervi in questione, di farvi pensare, di fare si che si produca in voi un cambiamento nel vostro comportamento se si trovasse non conforme alla verità dell'Evangelo.
1. L'origine delle festività natalizie
Qual è l'origine del Natale? Come iniziarono? Al principio si trattava di una festa pagana oppure cristiana? Non c'è indicazione alcuna nel Nuovo Testamento che i primi cristiani celebrassero il Natale. Può essere dimostrato dalla storia della Chiesa che, probabilmente per i primi 300 anni dopo la nascita di Cristo, i cristiani non sapessero nulla delle feste natalizie. Fu soltanto quando la Chiesa cominciò ad allontanarsi dalla dottrina e dalla pratica apostolica ed a corrompersi sempre di più che iniziano le celebrazioni natalizie.
Da dov'è venuto allora il Natale? Da dove ha preso le idee e le usanze associate oggi al Natale la Chiesa in fase di allontanamento dalle sue origini? La fonte della maggior parte delle forme basilari di paganesimo nel mondo antico può essere fatta risalire ai "misteri" babilonesi. Tutte le culture antiche: Egitto, Grecia, Roma, e persino India e Cina, avevano credenze, tradizioni, pratiche dei e dee collegate in qualche modo a quelle di Babilonia. I nomi usati erano diversi, e furono aggiunte ad esse diverse modifiche, fondamentalmente, però, le religioni antiche erano collegate e trovano la loro "forma più pura" a Babilonia. Nell'Antico Testamento Babilonia è considerata l'incarnazione di tutto ciò che è empio e perverso. La più grossa vergogna sofferta dal popolo di Dio a causa dei loro peccati fu quella di essere portata forzosamente in esilio al cuore stesso del mondo pagano.
Nel Nuovo Testamento Babilonia diventa Roma. Era l'impero romano a quel tempo ad incarnare le credenze e le pratiche pagane dell'antica Babilonia, e di fatti viene considerata come il nemico n° uno del popolo di Dio. Nel libro dell'Apocalisse Roma viene chiamata la "grande meretrice, che siede sopra molte acque". Essa viene descritta così: "Poi uno dei sette angeli che avevano le sette coppe venne e mi disse: "Vieni, io ti mostrerò il giudizio della grande meretrice, che siede sopra molte acque, con la quale hanno fornicato i re della terra, e gli abitanti della terra sono stati inebriati col vino della sua fornicazione". Quindi egli mi trasportò in spirito in un deserto, e vidi una donna che sedeva sopra una bestia di colore scarlatto, piena di nomi di bestemmia e che aveva sette teste e dieci corna. La donna era vestita di porpora e di scarlatto, era tutta adorna d'oro, di pietre preziose e di perle, e aveva in mano una coppa d'oro piena di abominazioni e delle immondezze della sua fornicazione. Sulla sua fronte era scritto un nome: "Mistero, Babilonia la grande, la madre delle meretrici e delle abominazioni della terra". E vidi la donna ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù. E, quando la vidi, mi meravigliai di grande meraviglia" (Ap. 17:1-6).
Qual era l'atteggiamento del popolo di Dio verso questa "Babilonia" dei loro tempi? ""Uscite da essa, o popolo mio, affinché non abbiate parte ai suoi peccati e non vi venga addosso alcuna delle sue piaghe" (Ap. 18:4). Naturalmente essi non potevano separarsi fisicamente dall'impero romano in cui vivevano. L'appello era alla separazione spirituale dai suoi atteggiamenti e pratiche. Però, il popolo di Dio aveva ben udito questi ammonimenti tanto da separarsi da Babilonia? No, anzi, fecero proprio l'opposto. Fecero dei compromessi con essa e si contaminarono corrompendo sé stessi. Nell'anno 313 a. D. l'imperatore romano Costantino affermò di essersi convertito al cristianesimo e dichiarò la fede cristiana religione ufficiale del suo regno. Il fatto che lui avesse abbracciato il cristianesimo si comprovò nocivo al vero cristianesimo. Costantino conservò i tradizionali titoli pagani, e le sue monete continuarono a portare l'effigie ed i nomi delle figure dei vecchi déi di Roma.
La Chiesa divenne "la Chiesa cattolica romana" ed i suoi metodi operarono un compromesso con il Paganesimo. Da allora il metodo della Chiesa cattolica romana di convertire i pagani al suo stile di culto è stato quello di assorbirli gradualmente, insieme alle loro osservanze idolatriche. La Chiesa si compiacque di aumentare il numero dei suoi membri includendone cristiani nominali e incontrando il paganesimo a metà strada. Vi furono valenti voci di protesta che amaramente lamentavano l'incoerenza di un simile approccio, ma le loro voci furono elevate invano.
La Chiesa cattolica romana ha continuato fino ad oggi questo tipo di approccio. Esso può essere rilevato molto bene nell'America centrale e meridionale, dove le statue degli idoli sono state semplicemente sostituite con quelle dei santi. Alcuni dei loro nomi e tradizioni si sono persino combinati. In quei paesi le chiese cattoliche si aprono spesso alla gente del luogo per celebrarvi i loro riti per il culto di divinità animiste.
Come dunque abbiamo ricevuto le nostre feste con le loro usanze e tradizioni (Natale, Pasqua, Ognissanti, e lo stesso carnevale)? Ciascuna di esse ha origine in Babilonia, attraverso Roma e poi grazie alla Chiesa cattolica romana.
Era per questa stessa ragione che nella Ginevra di Calvino si poteva essere multati e persino messi in prigione per aver celebrato il Natale. Fu per richiesta dell'Assemblea di Westminster che il Parlamento inglese proibì l'osservanza del Natale, chiamandolo una festa pagana. In un'appendice al loro "Direttorio per il Culto pubblico di Dio", i teologi di Westminster dicono: "Non c'è comando alcuno nelle Scritture a santificare sotto il Nuovo Patto, altri giorni se non il giorno del Signore, la domenica. Altre cosiddette "feste comandate' di tipo religioso, non avendo convalida alcuna nelle Scritture, devono essere abolite" (vedi pure James Bannerman, The Church of Christ, Vol. i, pagine 406-420).
Quando i cristiani riformati soprannominati puritani, andarono in America, stabilirono questa stessa legge. Gli abitanti della Nuova Inghilterra, il 25 dicembre 1620, lavorarono più del solito quel giorno, affinché la festività stessa fosse, sottoposta ad una "negligenza studiata". 40 anni più tardi la Corte civile e penale del Massachusetts decretò persino delle punizioni per chiunque avesse osservato le festività natalizie: "…chiunque venga trovato ad osservare, astenendosi dal lavoro e festeggiando, tali giorni come il cosiddetto Natale, pagherà per questa trasgressione 5 scellini".
Fino al 19° secolo il Natale non aveva rilevanza alcuna nelle chiese riformate. Nella Chiesa presbiteriana del sud degli USA, fino al 1900, nel giorno di Natale nemmeno si tenevano dei culti. La Chiesa presbiteriana degli Stati Uniti, nel 1899, dichiarava: "Non c'è alcuna giustificazione biblica a che si debbano osservare come feste il Natale e la Pasqua, al contrario (vedi Ga. 4:9-11; Cl. 2:16-21) queste osservanze sono contrarie ai principi della Chiesa riformata, conducono ad un culto non prescritto e non sono in armonia con la semplicità dell'Evangelo di Gesù Cristo".
Il riformatore John Knox ed i suoi colleghi, nel loro Primo Libro di Disciplina (1560) vi includeva questa affermazione:
Noi affermiamo che "Tutta la Scrittura è divinamente ispirata e utile a insegnare, a convincere, a correggere e a istruire nella giustizia". Affermiamo che i libri dell'Antico come del Nuovo Testamento contengono e ivi sono sufficientemente espresse tutte le cose necessarie all'istruzione della Chiesa e che possono rendere di nulla mancante l'uomo di Dio. Per questo noi vi leggiamo la condanna di tutte quelle leggi, decreti conciliari o costituzioni imposte sulle coscienze degli uomini prive di chiara convalida da parte della Parola di Dio, come: voti di castità, cerimonie di fidanzamento, il vincolare uomini e donne a vestirsi in un determinato modo, l'osservanza superstiziosa di giorni di digiuno, fare differenza fra le carni da mangiare per scrupolo di coscienza, la preghiera per i morti, l'osservanza di giorni festivi in onore di certi santi stabiliti come tali dall'uomo ed inventati dai papisti, come le cosiddette feste degli Apostoli, dei Martiri, delle Vergini, del Natale, della Circoncisione, dell'Epifania, della Purificazione, ed altre popolari feste in onore della Madonna. Proprio perché queste cose, nelle divine Scritture, non vengono in alcun modo né comandate né raccomandate, sentenziamo che esse vengano del tutto abolite da questo Regno. Affermiamo infine che coloro che si ostinano a mantenere ed insegnare tali abominazioni non dovranno sfuggire al castigo che infliggerà loro il Magistrato civile.
Qual è dunque la storia del Natale? Esso fu introdotto nella Chiesa secoli dopo il Nuovo Testamento, fu condannato dalla Riforma, ed è solo in questo secolo che esso è tornato ad insinuarsi nella Chiesa riformata. Quel che voglio dire, così, è che il vero Natale sia sempre stato pagano, e renderlo una celebrazione cristiana significa aggiungere Cristo od altri elementi biblici ad una festa essenzialmente pagana.
II. La sua istituzione
Consideriamo così alcune fra le usanze più familiari del Natale ed il loro significato. Ne prenderò solo alcune, ma vi assicuro che ciò che dirò di queste è vero pure di tutte le usanze natalizie, e vi incoraggio a verificarlo in qualsiasi enciclopedia.
Si prenda per esempio la data stessa del Natale, il 25 dicembre. Come probabilmente già saprete, nessuno conosce veramente quando nacque Gesù, e il 25 dicembre è molto improbabile. Perché allora il 25 dicembre? Perché è il periodo dell'anno in cui i giorni cominciano ad allungarsi di nuovo e quello in cui i Babilonesi celebravano la vittoria del loro dio Sole. La copia romana di questa usanza babilonese veniva chiamata "Saturnali", la festa della nascita di Sole (Sol). Per secoli agli occhi dei cristiani questa era stata un'abominazione. Questa celebrazione avveniva con feste ed orge sfrenate. La Chiesa, però, invece di contrapporsi fermamente al paganesimo, cominciò a fare compromessi con esso. Desiderava "aiutare" i deboli giovani cristiani che non volevano abbandonare i divertimenti e l'allegria che caratterizzava questo solstizio di inverno. La chiesa, così, diceva loro: "Divertitevi pure in questa stagione, se volete. Soltanto ora la considereremo la celebrazione della nascita del Figlio di Dio. Invece di perdere la gente in favore del paganesimo, combineremo le due celebrazioni e gradualmente conquisteremo dei pagani al cristianesimo. Non costringiamo la gente a fare una scelta fra le due cose".
Consideriamo poi la stretta associazione che sussiste per la Chiesa cattolica romana fra il Natale e la tradizionale "messa di mezzanotte", usanza che affascina pure molti che non sono cattolici-romani. Gli antichi pagani attendevano la nascita del dio Sole in una simile veglia notturna. Nella lingua inglese il nostro "Natale" viene espresso con un termine che ricorda proprio questa speciale messa, il "Christmas", la messa ("mass") speciale in onore di Cristo. In tedesco si dice "Weinacht", la notte santa, il concetto è identico. Qual è il significato della messa? Al cuore stesso della messa, secondo la concezione cattolica-romana, c'è una palese negazione della sufficienza dell'espiazione sacrificale compiuta da Cristo. Nella messa si rinnoverebbe il sacrificio di Cristo per i peccati. Tutto questo, però, non è nulla di meno che rinnegare l'Evangelo (cfr. Eb. 9:12,24-26; 10:10,12,14). La Chiesa cattolica-romana ha molte di queste messe speciali, come quella della festa di S. Michele, ma è quella di Natale che i protestanti sembrano avere conservato.
Che vi potrebbe poi essere di più innocente che i bei alberini di Natale decorati e luccicanti che troneggiano nelle case e persino in certe chiese durante la festa di Natale? Sapete perché noi abbiamo questa tradizione? Dai tempi più antichi gli alberi hanno giocato un ruolo importante nella religione pagana, ed erano persino adorati. I normanni, i celti ed i sassoni usavano gli alberi per tenere lontane le streghe, gli spiriti malvagi ed i fantasmi. In Egitto le palme erano prominenti, a Roma erano gli abeti. A causa di queste associazioni si intagliavano con cura degli idoli da questi alberi. Geremia così ammoniva il popolo di Dio: "Così dice l'Eterno: "Non imparate a seguire la via delle nazioni e non abbiate paura dei segni del cielo, perché sono le nazioni che ne hanno paura. Poiché i costumi dei popoli sono vanità: infatti uno taglia un albero dal bosco, il lavoro delle mani di un operaio con l'ascia. Lo adornano d'argento e d'oro, lo fissano con chiodi e martelli perché non si muova" (Gr. 10:2-4).
Persino la scena della natività, il tradizionale "presepio", che alcuni considerano come "il più cristiano" dei simboli di Natale, è contaminato di influenze pagane. Quasi ogni forma di culto pagano che si conosca, derivata dai misteri babilonesi, focalizza l'attenzione dei fedeli su una dea madre e sulla nascita del suo bambino. Le diverse culture utilizzano nomi diversi, ma il concetto è uniformemente lo stesso. In Babilonia era il culto della Regina del cielo e del suo figlio Tammuz, il dio che si credeva incarnazione del Sole. La nascita di questo dio avveniva proprio durante il solstizio di inverno. Yule era il nome che in Babilonia portava questo bambino, e il giorno di Yule veniva celebrato il 25 dicembre, molto prima della nascita di Cristo. La prossima volta che vedrete una cartolina di Natale con su la scena del presepio, Maria e Gesù con un aureola sulla testa, ricordate che questo concetto cattolico-romano è stato preso a prestito dai misteri babilonesi, ed anche l'iconografia pagana antica presenta impressionanti somiglianze proprio con questa usanza "cristiana". Ricordate, inoltre, che al credente viene fatta proibizione di farsi immagini religiose scolpite: "Non ti farai scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù nei cieli o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra" (Es. 20:4). Prendiamo seriamente questi comandamenti di Dio o pensiamo che siano superati o che possano venire "spiegati" facilmente?
Che dire poi di Babbo Natale, o S. Nicolao? Forse che qualcuno potrebbe negare che è questi che rappresenta "il vero significato del Natale" per la grande maggioranza della gente in occidente? Non mi addentrerò ora nelle molte storie che fanno risalire questa figura ad un santo cattolico-romano, ma che cosa rappresenta oggi? Egli è un inoffensivo, grasso e gioioso elfo, oppure è diventato il simbolo anti-cristiano dell'avidità, del materialismo, dell'egoismo, un espressione di "qualcosa per nulla", "che ce ne ricavo io?".
I genitori che raccontano ai loro bambini il mito di S. Nicolao mettono così in questione la loro propria credibilità di fronte ai loro bambini. Quando essi vi chiedono: "Babbo Natale può vedermi attraverso queste pareti?" che rispondete? I nostri bambini dovrebbero essere in grado di sapere che possono aver fiducia di noi in tutto ciò che diciamo loro senza questione. Come potremmo aspettarci che ci credano quando insegniamo loro fin dall'infanzia "le sacre Scritture, le quali ti possono rendere savio a salvezza, per mezzo della fede che è in Cristo Gesù" (2 Ti. 3:15), e "il mistero della pietà: Dio è stato manifestato in carne" (1 Ti. 3:16)?
Tutto ciò che la nostra cultura crede di Dio è condensato in S. Nicolao! Egli è impegnato in un'attività bella ma piuttosto priva di significato per tutto l'anno. Egli esiste in qualche luogo là nel nord o nei boschi come un vecchio innocuo e amichevole con una lunga barba bianca. Egli visita la gente una volta l'anno, passando 364 giorni nell'oscurità. Un bambino potrebbe scrivergli al Polo Nord, ma la comunicazione è strettamente a senso unico. S. Nicolao non ha nulla a che fare con la vita di tutti i giorni. Il modo in cui un bambino può essergli gradito è quello di "essere buono". S. Nicolao ci ammonisce sulle conseguenze dell'essere "cattivi", ma quello che ci dice, in fondo, non avverrà mai. Il bambino sa di non essere stato perfetto, e sebbene incontrando questa figura, può avere una qualche ansia, egli si ricorda dell'anno passato e sa che non importa che cosa dirà S. Nicolao, alla fine egli sempre gli darà buone cose. S. Nicolao rappresenta un dio che minaccia l'uomo dell'inferno solo per "tenerlo buono" in questa vita, ma che alla fine, bene o male, accetterà poi tutti benevolmente. Se insegnate ai bambini il mito di S. Nicolao, senza saperlo date loro del materiale per far si che essi sviluppino un concetto non biblico del Trascendente.
Non è interessante che i giapponesi abbiano elevato S. Nicolao al rango di divinità e gli abbiano dato un posto uguale alle loro altre divinità della buona fortuna? Fa meraviglia che recentemente un teologo liberale abbia suggerito che S. Nicolao potrebbe ben essere considerato il primo santo veramente ecumenico? Questi afferma che una tale figura potrebbe riscuotere il consenso del pagano medio, del cattolico-romano medio, come pure del protestante: "Anche i buddisti ed i mussulmani che onorano questo vecchietto, potrebbero con lui e con noi fare un buon tratto di strada insieme… egli ha fatto molto per diffondere l'insegnamento che 'è meglio dare che ricevere' più di quanto mai abbia fatto un qualsiasi ecclesiastico nei passati mille anni!" Una simile affermazione la dice lunga, non è vero?
Non è forse molto positivo ricordarsi della nascita del Salvatore scambiandosi doni? Certamente non c'è nulla di non-cristiano nello scambio dei doni, ma non è forse vero che non c'è nessun altro aspetto del cristianesimo che abbia subito più di questo maggior perversione? "Spendiamo del denaro che non abbiamo per comprare doni di cui non abbiamo bisogno per fare impressione su gente che non amiamo". Che presa in giro e che follia tutta questa frenesia per fare compere! Potrebbe forse qualcuno onestamente suggerire che ciò che avviene nelle nostre città intorno al 25 dicembre onora Gesù Cristo, colui che visse una vita di semplicità, umiltà e rinnegamento di sé stesso, che condannò l'ostentazione e l'auto-indulgenza, che ci insegnò che: "Fate attenzione …la vita di uno non consiste nell'abbondanza delle cose che possiede" (Lu. 12:15)? Eppure gente che afferma di essere cristiana spende cifre grandissime per i loro Natali, ed al tempo stesso offre molto poco per l'opera dell'Evangelo nel nostro paese o per le missioni. Non è forse vero che il vero cristiano donare dovrebbe essere qualcosa che avviene per tutto l'anno e dovrebbe scaturire da un cuore che veramente ama, e non per dovere e aspettandoci qualcosa in cambio?
Che dire dei pranzi e delle cene "natalizie", della baldoria, delle dissolutezze che avvengono in questo periodo dell'anno, apparentemente in connessione con la nascita di Gesù Cristo? Come mai gli alcolici sembrano scorrere a fiumi in questo periodo dell'anno? Perché vi sono più incidenti stradali in questo periodo che in tutti gli altri messi assieme? Potremmo pure cavillare sull'origine dell'albero di Natale e del presepio, ma una cosa è certa: se usate l'Incarnazione del nostro Signore come scusa per fare baldoria e dissolutezze di ogni genere, potrete star sicuri che a suo tempo raccoglierete la ferma ed inappellabile sentenza di condanna da parte di Dio. Ora la questione è questa: tutte queste parodie che circondano la stagione natalizia sono incoerenti con il vero significato del Natale, oppure è proprio questo il vero significato del Natale come è derivato dalla sua origine e storia.
Davvero poi le tradizioni che circondano il Natale sono così innocue? Sono poi così innocenti? Mah. Com'è che Satana potrebbe tentarci più efficacemente? Forse che mettendoci di fronte a immagini orribili e grottesche che solo ci ripugnerebbero? Forse che ci assale in vicoli bui vestito di rosso, con la cosa ed il forcone dicendoci: "Ehi, sono il diavolo. Sono venuto per ingannarti e por portarti con me all'inferno?". Naturalmente no. I mezzi che Satana usa sono sottili: si traveste da "angelo di luce" (2 Co. 11:14). Egli ci mette di fronte cose "innocenti", "innocue", "solo per divertimento", cose che "così fan tutti". I cristiani sinceri spesso senza che se ne accorgano sono trascinati nell'idolatria attraverso le tradizioni umane.
III. Le implicazioni
Da questa massa di materiale (e ne abbiamo solo grattato la superficie), tiriamone qualche conclusione. Come dobbiamo reagire come cristiani a tutto questo "Natale" con le sue tradizioni multiformi? Come io la vedo, abbiamo solo tre alternative:
1. Possiamo fare del nostro meglio per "restituire Cristo al Natale", continuare a combattere la battaglia perduta per ricuperare qualcosa di remotamente cristiano da questa festa del tutto pagana. Dobbiamo però chiederci: "Voglio mettere Cristo in una celebrazione pagana?". Dobbiamo allora affrontare la questione di base: "Che cos'è il Natale?", che cos'è veramente? Quando è iniziato e che cos'è stato storicamente?
2. Possiamo cercare di separare interamente il Natale da Cristo. Possiamo considerarlo come una sorta di festa cultural-popolare, osservando che gli elementi pagani in esso siano così remoti storicamente, che queste tradizioni sono state in qualche modo purgate dalla loro idolatria. Questo sarebbe più coerente, ma c'è ancora un problema: i vostri amici non cristiani e la società ancora vagamente associano il Natale con la nascita di Cristo e presumono che, dato che siete cristiani, voi partecipate a questa celebrazione della nascita di Gesù. I cristiani nelle culture primitive hanno avuto questo problema per anni. Essi vengono esortati a partecipare ai riti pagani come una sorta di retaggio culturale, distanziandosi però dalle loro origini idolatriche. Però: riescono ancora a conservare una testimonianza cristiana in tutto questo?
3. La sola altra alternativa è di abbandonare interamente il Natale. Io sono convinto che, per me stesso, questa sia l'unica via coerente che possa essere presa. Ho sentito più volte dire: "Nessuno è sempre coerente". Certo, nessuno è sempre coerente con i propri punti di vista. Questo fatto, però, non ci solleva dall'obbligo di essere coerenti il più possibile, ubbidire ad ogni comando scritturale che noi comprendiamo. "Questo però non è forse una presa di posizione troppo drastica?". Si, molto drastica, ma se vogliamo contrapporci alla marea sempre più invadente del paganesimo moderno, lanciarci una sfida, sono necessarie misure drastiche. "Ma non è una proposta un po' troppo radicale?". Si, ma la fede cristiana è una fede radicale.
"Ma non corro il rischio di essere così considerato un fanatico?". Probabilmente. Quella sarebbe un'esperienza nuova, non è vero? A nessuno piace essere considerati fanatici. C'è qualcosa di sbagliato nel fanatismo. A nessuno piace la persecuzione. Pensate però quanta poca persecuzione noi si debba affrontare come cristiani. Non è forse perché non siamo coerenti? Non c'è forse qualcosa di sbagliato quando la nostra fede e la nostra condotta non disturba il mondo più di quel tanto? Se facciamo compromessi a questo punto, perché non facciamo compromessi anche in altri campi, ed in altri ancora? Noi cristiani spesso ci domandiamo perché oggi non siamo perseguitati. La conclusione che spesso raggiungiamo è che saremmo perseguitati, se fossimo fedeli. Perché il mondo non ci odia? È perché non sfidiamo più il suo modo di essere e di pensare, perché non presentiamo più che cosa invece dovrebbe essere il cristianesimo. Il mondo ha sostituito l'Evangelo con una religione cultural-popolare.
Martin Lutero disse: "Se io professo con voce alta ed esposizione chiara ogni porzione della verità di Dio eccetto precisamente quel punto che il mondo ed il diavolo in questo momento stanno attaccando, io non confesso Cristo, per quanto arditamente possa professare Cristo. Là dove infuria la battaglia è proprio là che si prova quanto il soldato sia valente, ed essere coerente nelle retrovie soltanto significa sfuggire dalle nostre responsabilità".
"È difficile fare questo veramente!". Si, lo è, senza alcun dubbio. La tradizione natalizia è così radicata nella nostra società - anche nel nostro cuore - da rendere particolarmente difficile nuotare contro corrente. La questione non è però: "È difficile?", ma "È giusto?". Le cose giuste non sono sempre facili. Cristo ci ha promesso che seguirlo non sarebbe stato facile. Quando la vita cristiana è facile come la nostra, è inevitabile che in qualche punto essa sia sbagliata.
Quali sono allora le ragioni positive per volere cancellare del tutto la festa del Natale? La prima è che i nostri antenati nella fede, i primi protestanti, cercavano accuratamente di evitare di essere coinvolti nelle celebrazioni natalizie. Era così perché si attenevano alla Parola di Dio come unica regola infallibile di fede e di pratica. La Confessione di Fede di Westminster dice: "L'intero consiglio di Dio riguardo alle cose necessarie alla propria gloria, la salvezza dell'uomo, la fede, e la vita, è o espressamente presentato nelle Scritture, o può essere da esse dedotto come conseguenza buona e necessaria. Ad esse non si dovrà aggiungere nulla, né per rivelazioni dello Spirito, o per tradizione umana" (1,6). "Il modo accettevole per rendere culto a Dio è stato stabilito da Dio stesso, e così limitato dalla Sua propria volontà rivelata, che Egli non potrà essere adorato secondo le immaginazioni e gli artifici dell'uomo, o i suggerimenti di Satana, sotto una qualsiasi rappresentazione visibile, o in modi non prescritti dalle Sacre Scritture" (21:1).
Gesù disse dei Farisei: "Trascurando infatti il comandamento di Dio, vi attenete alla tradizione degli uomini: lavatura di brocche e di coppe; e fate molte altre cose simili... annullando così la parola di Dio con la vostra tradizione, che voi avete tramandata. E fate molte altre cose simili" (Mr. 7:8,13). Paolo tristemente così scriveva ai Galati: "Voi osservate giorni, mesi, stagioni e anni. Io temo di essermi affaticato invano per voi" (Ga. 4:10,11). Egli non li condannava per seguire quelle istituzioni comandate da Dio, ma per osservare quelle di fattura umana, contrarie alla legge di Dio. Per molti oggi la festa principale delle osservanze religiose è una celebrazione senza alcun supporto biblico.
Pensate che mi piaccia tanto dire queste cose? A nessuno piace essere come Ebenezer Scrooge del racconto di Dickens oppure come quello gnomo malvagio che faceva di tutto pur di privare la gente …della gioia del Natale. La vera questione è solo questa: È biblico ciò che ho detto fin ora? È coerente con la Parola di Dio? Se non lo è, allora potete anche non considerarlo. Se però lo è, allora dovreste considerarlo attentamente e metterlo in pratica. Potreste, è vero, a questo punto, non concordare con la mia interpretazione delle Scritture, potreste non essere d'accordo con la mia valutazione del contesto storico e dell'attuale situazione. Potrei anche sbagliarmi. Non sono infallibile. Ciò che però dovete fare con un messaggio come questo è ciò che fecero i cristiani di Berea nel libro degli Atti: "Or costoro erano di sentimenti più nobili di quelli di Tessalonica e ricevettero la parola con tutta prontezza, esaminando ogni giorno le Scritture per vedere se queste cose stavano così" (At. 17:11). Dovete valutare apertamente, onestamente e realisticamente queste argomentazioni da voi stessi e giungere ad una conclusione. Non siete responsabili verso il predicatore, ma verso Dio.
Le Scritture mettono in evidenza il contrasto che ci deve essere fra il cristiano ed il mondo. Oggi largamente non lo si tiene più in considerazione. "Non amate il mondo, né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui" (1 Gv. 2:15). "Perciò uscite di mezzo a loro e separatevene, dice il Signore, e non toccate nulla d'immondo, ed io vi accoglierò" (2 Co. 6:17). "E non vi conformate a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza qual sia la buona, accettevole e perfetta volontà di Dio" (Ro. 12:2). L'idea è: non lasciate che il mondo vi imponga la sua lista delle trattande, non lasciate che il mondo vi dica a quale passo andare o che stabilisca lui i criteri di giudizio. Il cristiano è nel mondo, ma non deve essere del mondo. Egli è cittadino di un altro paese, uno straniero ed un pellegrino quaggiù. Non tiene il passo con i suoi compagni, perché ascolta il ritmo indicato da un altro comandante.
Ciò che voglio mettere in evidenza è il fatto che non potete avere un Natale cristiano. Gli aspetti religiosi sono la parte peggiore del Natale. Non c'è illustrazione più appropriata di questa del contrasto esistente fra la religione cultural-popolare e la fede biblica che il Natale. Il Natale propone un'imitazione dell'Evangelo che di fatto impedisce al mondo di comprendere che cosa sia l'Evangelo. Il Natale presenta un Evangelo alternativo con il quale il mondo può ben convivere. Per il mondo il messaggio cristiano è semplicemente "amore, pace, lo spirito del donare, il sentimento di buona volontà". Questo "Evangelo" spogliato è in grado di fornire al mondo la sua dose di pseudoreligione che non gli permetterà di comprendere il vero Evangelo.
Il mondo ama il Natale perché il Natale promuove un'immagine sentimentale di un bambino in una mangiatoia. Il Natale non rappresenta veramente chi è Gesù. Il Natale è l'unico momento in cui una persona fondamentalmente empia possa sentirsi per un po' religiosa. La maggior parte della gente ama fare di tanto in tanto qualcosa di religioso per mettersi in pace la coscienza e convincere sé stessi che in fondo non sono dopo tutto delle cattive persone. Il Natale concede loro l'opportunità per pensarlo. Per la maggior parte dei pagani non disturba partecipare per un po' allo spirito natalizio. Allora è possibile avere lo spirito natalizio senza avere lo Spirito Santo, senza avere realmente la mente di Cristo.
La stessa popolarità acquisita dal Natale dovrebbe far drizzare le antenne al cristiano e metterlo in guardia contro di esso. Tutti possono celebrare il Natale con cuor contento! I pagani confessi, i cristiani nominali, persino i buddisti possono associarsi a questa celebrazione. Se, in realtà, il 25 dicembre fosse una data stabilita da Dio affinché la osservassimo, potete stare sicuri che il mondo non vorrebbe osservarla. Dopo tutto Dio ha comandato affinché si osservasse come festivo un giorno su sette, il primo giorno della settimana, la domenica. Il mondo lo osserva forse? Naturalmente non ne vuole sapere di osservarlo come Dio richiede. Il mondo lo ignora totalmente. Non dovrebbe il cristiano avere dei sospetti su una celebrazione che il mondo peccatore accetta senza farsi problema alcuno? Vi sono moltitudini di persone che continuamente infangano il Giorno del Signore, ma in qualche modo hanno grande zelo nell'essere in Chiesa a Natale.
La questione cruciale per un cristiano è la Signoria di Gesù Cristo. "Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi, il quale voi avete da Dio, e che voi non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo, glorificate dunque Dio nel vostro corpo e nel vostro spirito, che appartengono a Dio" (1 Co. 6:19,20). Siete disposti sinceramente a pensare su questa questione tutto ciò che Dio desidera che voi pensiate? Siete disposti, se necessario, a fare un drastico cambiamento nel vostro modo di pensare e di agire? È a questo punto che insorge il vero conflitto.
Ho udito molte persone che su questo argomento dicono: "No, non voglio leggere nulla al riguardo. Non ne voglio parlare. Voglio avere il mio Natale qualunque cosa se ne possa pensare. Mi piace e nessuno me lo porterà via" (Dio incluso). È allora che il Natale diventa un idolo. Un idolo è qualunque cosa venga fra voi e Dio; qualunque cosa vi rifiutate di rinunciare, anche con il Suo comando. Esortazioni generiche alla rinuncia non incidono tanto sulla nostra vita. Il discepolato concreto, però, è l'unica cosa che conti perché tocca proprio le cose che ci importano. La questione reale è: potete sinceramente dire al Signore Iddio: "Sia fatta la Tua volontà sulla terra com'è fatta in cielo, la Tua volontà, oh Signore!
[Riflessione tratta da un articolo di M. Schneider, Paolo Castellina, mercoledì 17 dicembre 1997. Tutte le citazioni, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione Nuova Diodati, ediz. La Buona Novella, Brindisi, 1991].
La tradizione orientale a partire dal 500 a. C.

Dal 70 d.C. in poi, il centro di gravita del cristianesimo si spostò nel mondo greco. Quando sulla scena apparve Agostino, l'Occidente latino aveva già fatto molta strada, ma non aveva ancora raggiunto l'Oriente. Le invasioni barbariche, che portarono alla caduta dell'Impero d'Occidente nel v secolo, fecero nuovamente arretrare l'Occidente, e fu soltanto nel XII secolo che l'Occidente ricominciò a costituire una seria minaccia per l'Oriente, quanto a importanza.
Gli occidentali pensano al Medioevo come al periodo storico intercorso fra le vicende della chiesa primitiva e la ripresa che si verificò in epoca più avanzata. Non così in Oriente. L'età dei Padri fu seguita, non da un periodo di decadenza, ma dall'Impero cristiano bizantino, la cui capitale era Bisanzio (Costantinopoli). L'impero e la chiesa erano entrambi soggetti all'imperatore. Il più grande di questi imperatori fu Giustiniano, che regnò dal 527 al 565. In molti modi il suo regno segna il culmine dell'impero bizantino, il cui declino sarebbe iniziato durante il secolo successivo, in seguito alle invasioni islamiche.
Entro la metà del VII secolo, soltanto pochi anni dopo la morte di Maometto avvenuta nel 632, armate musulmane avevano invaso e conquistato tutto l'impero a sud e a est dell'attuale Turchia. Da allora in poi, il progresso fu lento, ma costante, e alla fine, nel 1453, Costantinopoli fu conquistata e divenne Istambul. Queste conquiste, tuttavia, non significarono la fine della chiesa nei territori occupati. I governanti musulmani tolleravano i cristiani, pur considerandoli cittadini di seconda classe. Il prezzo da pagare per aver diritto a tale tolleranza era il tacito accordo di non cercare di far proseliti fra i musulmani. La Chiesa copta in Egitto annovera tuttora più del 10% della popolazione e costituisce una forza non di poco conto all'interno della società egiziana. Queste perdite, però, furono compensate fino a un certo punto dalla conversione della Russia al cristianesimo ortodosso avvenuta nel X secolo.
La Chiesa d'Oriente fu presa dalla controversia intorno alla persona di Gesù Cristo per diversi secoli ancora dopo il Concilio di Calcedonia. Quel concilio non fu mai accettato ne in Egitto ne in altre zone dell'Oriente. Il che sconcertò gli imperatori. Se avessero cercato di riconciliarsi con i non calcedoniani, lasciando cadere tutta la questione sollevata dal concilio, il prezzo da pagare sarebbe stato una rottura con Roma. Cercare invece di mantenere l'unità con l'Occidente, aderendo a Calcedonia, avrebbe significato pagare il prezzo di amare divisioni in Oriente. Furono tentate entrambe le possibilità, ma nessuna di esse diede risultati soddisfacenti. Alla fine, le invasioni islamiche privarono l'Impero proprio di quelle aree in cui si era manifestato il dissenso, e così il problema fu "risolto". L'Ortodossia orientale appoggiò Calcedonia, come fece anche l'Occidente, mentre i non calcedoniani se ne andarono per la loro strada, come fanno tuttora.
La Chiesa d'Oriente divenne rigorosamente tradizionalistica. Finita l'èra dei Padri, la preoccupazione maggiore fu quella di conservare la tradizione ortodossa, senza apportarvi la benché minima variazione, sia nel campo dei dogmi o delle dottrine sia in quello della liturgia o dell'adorazione. Questo corso ebbe inizio nel V secolo, quando si cominciò ad accumulare citazioni patristiche a sostegno di posizioni contrapposte sulla persona di Gesù Cristo. Il periodo dei Padri terminò con *Giovanni Damasceno, che raccolse tutto l'insegnamento patristico in un'opera sistematica.
Agli albori del Medioevo, l'autorità finale nella Chiesa d'Occidente era nelle mani del papa. Roma era l'unico "seggio apostolico" in Occidente, cioè, l'unica chiesa che potesse affermare di essere stata fondata da un apostolo. In Oriente, essendo tante le chiese fondate dagli apostoli, non poté instaurarsi il dominio di un solo vescovo. I vescovi più importanti (quelli di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme) furono chiamati "patriarchi". In Oriente, poi, grazie a una maggiore stabilità politica e a tradizioni di governo più assolutistiche, gli imperatori conservarono sempre il pieno controllo della Chiesa orientale. Le Scritture dovevano essere capite secondo la tradizione dei Padri, e il consenso dei Padri era rintracciabile particolarmente nei concili. Per la Chiesa ortodossa orientale, la massima autorità nella chiesa poggiava sui concili generali o ecumenici (universali), che potevano essere indetti soltanto da un imperatore. La Chiesa ortodossa riconosce quindi solamente sette concili di questo tipo, quelli della chiesa "indivisa" (cioè, indivisa da Roma, non indivisa dall'Egitto e da altre aree in disaccordo con Calcedonia). I concili in questione sono quelli di Nicea (325), Costantinopoli (381), Efeso (431), Calcedonia: (451), Costantinopoli (553), Costantinopoli (680-681), Nicea (787).
L'Occidente e l'Oriente erano divisi dalla lingua a partire dal III secolo; quando la Chiesa occidentale adottò ufficialmente il latino. Nel IV secolo, al tempo delle controversie sulla dottrina della Trinità, avvenne una grave divisione che fu però in larga misura risolta grazie all'accordo raggiunto in Oriente durante il Concilio di Costantinopoli del 381. Nel V secolo, tuttavia, con la caduta dell'Impero d'Occidente, l'unità politica fra Est e Ovest si dissolse, e le due chiese cominciarono a prendere le distanze l'una dall'altra. Ciò avvenne per gradi: gli imperatori orientali continuavano infatti ad avere un certo interesse verso Roma, mentre i  papi dimostravano una certa sollecitudine per un'unione con la Chiesa d'Oriente, con la civiltà. Nell'xi secolo, però, a Roma gli avvenimenti presero un'altra piega: si era instaurato un nuovo "papato di riforma", i cui interessi si rivolgevano ora più verso l'Europa settentrionale e occidentale che verso quella orientale. Questo nuovo approccio portò a un inasprimento di atteggiamenti nei confronti dell'Oriente: si pensi, ad esempio, all'introduzione della parola fìlioque ("e dal Figlio") nel Credo niceno-costantinopolitano. Ne risultarono scomuniche reciproche nel 1054. Ma la cosa non finì lì. Vi furono ancora tentativi di riconciliazione, soprattutto nei secoli XIV e XV, quando Costantinopoli dovette capitolare nelle mani dei musulmani. Ma qualsiasi riconciliazione duratura fu impossibile, perché Roma si dimostrò intransigente riguardo all'autorità papale, che l'Oriente non avrebbe mai accettato.
L’occidente medievale (500-1500)

Per quanto riguarda l’Europa occidentale, la prima parte del Medioevo, o Alto Medioevo, fino all’anno 1000 circa, può essere giustamente chiamata l’«Età buia». La metà occidentale dell’Impero Romano aveva cominciato a sgretolarsi di fronte alle invasioni barbariche della fine del IV secolo, finché nel 410 accadde l’impensabile: Roma stessa fu conquistata. Nel 476 l’imperatore d’Occidente fu destituito da un re barbaro dei goti e l’Impero occidentale praticamente cessò di esistere.
L’Occidente continuò a essere soggetto a ondate di invasioni — da parte dei musulmani attraverso la Spagna e degli scandinavi dal Nord. Fu un periodo di tumulti e di anarchia: il crollo della civilizzazione era imminente. Il retaggio del passato rischiava di andare perduto. La conoscenza della filosofia, ad esempio, era circoscritta principalmente alle opere di Boezio. Quel po’ d’insegnamento che esisteva, era la chiesa a fornirlo, soprattutto attraverso i monasteri, che spesso erano vere e proprie oasi di stabilità. Un po’ di respiro si ebbe grazie alle imprese di Carlomagno, che fu incoronato imperatore nell’anno 800. Egli fondò un impero unito e stabile, in cui fu nuovamente possibile godere di civiltà e istruzione. Difatti, durante questo “Rinascimento carolingio”, vi fu un breve fiorire della cultura, e in questo contesto sbocciò l’unico pensatore veramente originale dell’ ”Età buia”: il filosofo e teologo Giovanni Scoto Eriugena. Ma non passò molto tempo che l’impero di Carlomagno si frammentò e le incursioni vichinghe produssero ulteriori battute d’arresto. La teologia di questo periodo, essendo in larga misura relegata ai monasteri, è conseguentemente chiamata “teologia monastica”. Essa si sviluppò in un’atmosfera d’impegno e di devozione, nell’ambito di un modello di vita vissuta, ad esempio, secondo la Regola di *Benedetto.
La mèta non era la ricerca di una conoscenza fine a sé stessa, ma piuttosto l’edificazione e l’adorazione. L’approccio era infatti caratterizzato da un sentimento di contemplazione e di venerazione. Il teologo non era un osservatore accademico distaccato, che studiava il suo materiale dall’esterno, ma piuttosto era un partecipante impegnato e coinvolto.
Alla vigilia di Capodanno dell’anno 1000, una folla si radunò a Roma in attesa della fine del mondo. La mezzanotte arrivò, ma non accadde nulla, e papa Silvestre II, dopo aver benedetto la folla, la rimandò a casa. Lo stesso Silvestre, precedentemente noto come lo studioso Gerbert d’Aurillac, fu una delle primizie di una nuova èra. Una maggior stabilità stava ora conducendo alla rinascita della civiltà occidentale. Gli invasori barbari erano stati “convertiti” durante l’«Età buia», e oramai l’intera Europa occidentale era cristiana, almeno nominalmente — a parte i giudei nei loro ghetti e i musulmani in Spagna. L’XI secolo fu un tempo di nuovi movimenti. Vi fu un rifiorire del monachesimo; un nuovo “papato riformatore” mirava a purificare la chiesa dalla corruzione; vi fu un ritorno allo studio. Il teologo si trovò ad affrontare la questione del rapporto tra fede (teologia) e ragione (filosofia). Uno scrittore moderno ha affermato: “Lo sforzo di armonizzare fede e ragione fu la forza motrice del pensiero cristiano medievale”. L’impatto della filosofia portò a un nuovo approccio alla teologia: la teologia scolastica, o scolasticismo. Si arrivò a studiare la teologia al di fuori dei chiostri — all’università, ad esempio, o in altri ambienti “secolari” (non monastici).
 L’obiettivo era la conoscenza oggettiva intellettuale. L’approccio era quello di mettere in discussione, di ragionare, di speculare, di disputare. Per il teologo, era più importante essere un filosofo erudito che un santo. La teologia era diventata una scienza oggettiva distaccata. Questo approccio non eliminò quello monastico più vecchio, ma lo spostò dalla “prima linea” della teologia. L’impatto della filosofia sulla teologia cominciò a farsi sentire nel corso dell’XI secolo, mediante la comparsa della ragione (filosofia) come metodo da adoperare nell’ambito della teologia. Anselmo se ne servì per dimostrare la razionalità della dottrina cristiana. La ragione era entrata nella teologia, non (ancora) come strumento per definire la dottrina cristiana (la quale era basata sulla rivelazione), ma piuttosto come tecnica per difendere e capire ancor di più questa fede. Nel secolo successivo il ruolo della ragione fu ulteriormente sviluppato. Gli avvocati avevano cominciato a usare metodi filosofici per decidere o arbitrare fra autorità in conflitto.
Pietro Abelardo andò avanti nell’applicare gli stessi metodi alla teologia. Ma poiché non usava sempre discrezione nel suo approccio, fu condannato per il suo insegnamento, grazie all’intervento di Bernardo di Chiaravalle, l’ultimo grande rappresentante della vecchia teologia monastica. Ma i metodi di Abelardo furono seguiti (con più moderazione) dal suo discepolo Pietro Lombardo, che godeva dell’appoggio di Bernardo. Nel XIII secolo, la teologia entrò in una fase nuova e più pericolosa. La filosofia si presentava ora non soltanto come uno strumento da usare in teologia, ma anche come un sistema antagonistico di pensiero. Ciò ebbe luogo attraverso la traduzione delle opere metafisiche di Aristotele in latino. Questi scritti presentavano un nuovo modo di guardare alla realtà, una nuova visione del mondo o una filosofia della vita come alternativa al cristianesimo. Come affrontare la sfida? Per un certo periodo gli scritti metafisici di Aristotele furono messi al bando, ma si trattò soltanto di una misura temporanea, per poter tirare il fiato. Alcuni cercarono di continuare a sostenere la vecchia visione platonica del mondo, opponendosi alla nuova prospettiva aristotelica. Il teologo francescano Bonaventura fu un pioniere in questo campo.
Ma l’approccio che si dimostrò più influente a lungo termine fu quello di Tommaso d’Aquino, il quale cercò di fare una sintesi tra fede (teologia) e ragione (Aristotele). Egli si propose di dimostrare che la filosofia di Aristotele (interpretata nel modo giusto e corretta laddove era necessario) poteva essere coerentemente sostenuta accanto alla teologia cristiana. I secoli XIV e XV portarono a un declino della chiesa, benché alcuni li considerino come i secoli di “fioritura” del Medioevo. Il papato patì la sua “cattività babilonese”, nel periodo in cui i papi si trovarono ad Avignone, sotto il controllo francese dal 1305 al 1377. Il ritorno del papa a Roma ebbe quasi subito come conseguenza il Grande Scisma (1378-1414); durante questo periodo, vi furono sempre come minimo due papi rivali. Si dovette constatare un certo declino anche nell’ambito degli ordini religiosi. Il fervore dei secoli precedenti era diventato sempre più raro. Mentre il numero decresceva, la corruzione aumentava. Nei secoli XIV e XV vi fu anche un crescente scetticismo riguardo alla possibilità di armonizzare la teologia con la filosofia. Questo processo ebbe inizio con Giovanni Duns Scoto e arrivò al suo culmine con l’insegnamento di Guglielmo di Occam e dei suoi seguaci. La filosofia e la teologia presero vie diverse; la teologia si ritirò dal regno “naturale” per appoggiarsi sempre di più su una fede cieca nella rivelazione divina (la cui razionalità non poteva essere dimostrata). In aggiunta, la teologia scolastica si separò dalla spiritualità pratica, come nel caso di Tommaso da Kempis, ma a danno di entrambe. Spesso il Medioevo è ignorato, specialmente dai protestanti. Questo è un errore. L’epoca medievale copre un periodo di un migliaio di anni circa — più della metà del periodo che va dalla nascita di Gesù Cristo fino a oggi. Non sarà magari il periodo più glorioso della storia della chiesa, ma deve essere preso in seria considerazione come una parte importante di essa. I teologi medievali lottarono con il problema del rapporto tra fede e ragione. Ma questa è tuttora una questione scottante e vi è molto da imparare dall’esperienza del Medioevo. Allora era in ballo Aristotele, oggi potrebbe esservi Darwin o Marx, ma le questioni di fondo restano le stesse.
La "Santa Inquisizione" nella storia della chiesa
Per oltre 1.500 anni la chiesa romana ha fatto del cattolicesimo uno strumento per difendere le classi dirigenti, spesso a scapito delle classi sociali più abbiette. La grande svolta avvenne con il passaggio del cristianesimo da religione tollerata (editto di Costantino: Il primo imperatore cristiano inaugurò la repressione dell'eresia, con lo sterminio del movimento donatista in Africa, prima di allora il concetto di eresia era estraneo al paganesimo così come questo concetto è sempre stato estraneo alle altre religioni monoteiste come il buddismo e l'induismo., 313 d.c) a religione di Stato (editto di Teodosio 381 d.c), da religione degli oppressi a religione degli oppressori.
Il sistema schiavistico romano implodeva schiacciato dalle sue contraddizioni, l'Impero romano era assediato dai barbari e il suo centro economico e politico era passato da Roma a Costantinopoli, le religioni monoteiste soppiantavano il paganesino. A questo stesso periodo risale l'opera di mediazione politica dei custodi della fede cattolica con le popolazioni barbariche e i re nonché l'uso della religione per conciliare e stemperare la lotta di classe dei contadini e delle masse popolari (la cosiddetta teoria della "Tregua di dio" che con la scusa di difendere i poveri contro gli abusi di potere legittimava lo sfruttamento signorile). Nel frattempo con il documento testamentario, inventato di sana pianta dal primo vescovo di Roma, vastissimi possedimenti e beni dell'impero passarono nella mani della chiesa, e da lì nacque e si consolidò il cosiddetto potere temporale (politico e statale) della chiesa.

Il potere temporale della chiesa
Quando dopo la caduta dell'impero romano, emergeranno i primi regni romano-germanici e il sistema schiavistico romano si trasformava nel sistema feudale i tempi saranno maturi per fare del "Sacro romano Impero" il braccio secolare della chiesa per la conservazione della fede e della disciplina ecclesiastica: il potere dei principi e dei grandi proprietari terrieri sarebbe servito per "imporre con il terrore" ciò che i sacerdoti non fossero riusciti ad imporre "con la parola" (Isidoro di Siviglia sec. VI e VII d.c). Tra il VI e VIII secolo la Roma papale, ingrassata parassitariamente dalle "donazioni pie" diviene il principale centro politico dell'Occidente.
La storia della "Santa Inquisizione" non può essere compresa al di fuori del sistema economico dominante dell'epoca storica in cui nacque: il feudalesimo. Gli alti gradi della gerarchia ecclesiastica erano infatti membri di grandi famiglie signorili, determinando tra aristocrazia laica ed alto clero una trama di vincoli di sangue, di interessi, di mentalità quanto mai stretta. Non a caso per tutto il medioevo il possesso della curia romana è il susseguirsi di lotte intestine tra i rappresentanti della nobiltà.
Dio stesso venne effigiato come un signore seduto in trono e attorniato da una corte di vassalli celesti, in atto di concedere in feudo parti del paradiso, i cristiani considerandosi come fedeli presero l'abitudine di di inginocchiarsi a lui in mani giunte, nell'identica posizione cioè del vassallo nei confronti del signore feudale. Il rito della investitura dei beni del proprietario terriero nelle mani del feudatario in cambio della ricompensa dei servigi del vassallaggio erano riprodotti nei riti di conferimento delle cariche ecclesiastiche e persino nel rito con cui il papa incoronava i sovrani d'Europa che stava a rappresentare il controllo indiretto del papato su tutti i feudi di Europa. La religione cristiana e la filosofia (scolastica), così come l'intera cultura (oscurantismo) venivano piegate ed adeguate alla difesa e conservazione dei rapporti di produzione dominanti. In questo senso è interessante notare come il termine "madonna" (domina) cioè il femminile di signore, sia stato scelto sia per indicare la Vergine sia per designare la donna che il cavaliere sceglieva nei riti dell'amore mondano come oggetto di una devozione fedele e di servizi per i quali si attendeva una ricompensa.
Così più o meno al tempo in cui Carlo Magno (definito vescovo dei vescovi) fu incoronato re dal papa (natale del '800), nacque il diritto canonico che, debitamente mescolato al diritto romano, costituirà la più importante sovrastruttura giuridica di tutti regni del medioevo feudale e raggiunse l'universalità in Europa con l'affermazione del papato seguita alla "riforma" gregoriana del sec. XI, che autoproclamò il clero romano gerarchizzato al di sopra di tutte le altre chiese ridotte a sue succursali e concentrò tutto il potere ecclesiastico nelle mani del monarca assoluto, del dio in terra, il papa, eletto solo da una schiera ben selezionata di cardinali (1059). I rilevantissimi patrimoni feudali della chiesa potevano così essere difesi ancor più che con le armi dei principi, dei baroni, dei feudatari e dei vassalli, molto spesso dei re, con altre e ben più potenti armi nelle mani dei papi: la scomunica e l'interdizione che non solo separavano il colpevole dalla comunità di culto, ossia tutto il regno della cristianità, ma lo isolavano anche dal contesto civile, dalla società, privandolo di tutti i suoi diritti e beni. In questo modo i possedimenti depredati dalla chiesa si decuplicarono. Per estendere ancora l'Impero della chiesa il papato, in collaborazione con i vari sovrani e i grandi feudatari del tempo promossero ben otto crociate in Palestina (1096-1274). Sotto la bandiera della "guerra santa contro l'Islam" terrorizzarono e saccheggiarono in lungo e in largo il Mediterraneo mentre in Europa, dalla Spagna al Baltico a Costantinopoli, sterminarono tutti gli elementi o movimenti eterogenei che si ribellavano alla servitù della gleba e che non si lasciavano assimilare nelle strutture civili ed ecclesiastiche. Non a caso proprio nel 1096 ebbero inizio le persecuzioni, le espropriazioni e i massacri delle comunità ebraiche che fino ad allora erano convissute senza grossi problemi nel mondo cristiano. Non fu risparmiata nemmeno la chiesa ortodosso bizantina. Anche la repressione dell'eresia catara aveva lo stesso scopo e assumeva il carattere di una vera e propria "crociata interna" contro gli albigesi (1209-1218) in seguito alla quale gran parte del sud della Francia fu messo a ferro e fuoco.
Dato che le campagne militari non bastavano i papi decisero di costituire per la repressione della eresia una organizzazione giudiziaria permanente e onnipresente che prese il nome di Inquisizione. L'Inquisizione fu la logica conseguenza della sacralizzazione del potere papale, che direttamente, e senza mediazioni, ne concesse e legittimò gli immensi poteri. A monte il "carattere divino" della chiesa, il potere del pontefice di definire la verità e perseguire l'errore, di mediare tra l'aldilà e l'aldiqua, di sciogliere e legare, alla luce della "verità" definita, tutti gli aspetti della vita sociale. è anch'essa un riflesso del consolidarsi dei rapporti feudali e nello stesso tempo il sintomo dello sgretolarsi di questi stessi rapporti. Come i vassalli e valvassori erano stretti in una rete di proibizioni tali da impedirgli di nuocere al signore nel corpo, nei beni e nell'onore, così fu anche per l'intera società imprigionata ogni minuto al rispetto della ferree regole e doveri imposti dal clero. Attraverso i secoli, l'Inquisizione fu il più efficiente e mostruoso meccanismo di controllo sociale della storia dell'Occidente cristiano, poiché il suo potere, prima che sulle azioni, si abbatteva sui pensieri, sulle intenzioni, sulle scelte devianti. Non è un caso che il termine "eresia" voleva dire originariamente "scelta".

L'Inquisizione come metodo di governo
Nel 1184 papa Lucio III in accordo con Federico Barbarossa con la bolla Ad abolendam istituì in ogni diocesi una inquisizione episcopale per individuare e colpire con l'aiuto della autorità secolare persone e parrocchie infette da eresia. Il concilio Lateranense IV confermando ed estendendo nel 1215 le pene spirituali e temporali già in uso affermava la repressione dell'eresia sul piano della legislazione universale della chiesa e fu introdotta la pena di morte mediante il rogo per i delitti di "lesa maestà divina". Grazie alla deduzione del purgatorio, "invenzione" di Bonifazio VIII, primo Jiubilee maker, si accentuò ancora di più la dittatura papale. Nel 1335 in Piemonte, all'Inquisitore che li interroga, i valligiani valdesi, che poi furono tutti impiccati o bruciati, risposero che nell'altra vita si aspettavano solo l'inferno o il paradiso e che il purgatorio è qui sulla terra.
Da Roma si cominciò quindi ad inviare con sempre maggiore frequenza delegati papali da sostituire ed affiancare ai vescovi meno zelanti o efficienti finché Gregorio IX a partire dal 1231 istituì su tutto il territorio della cristianità una rete di tribunali aventi giurisdizione per crimini di eresia. A presiedere questi tribunali erano inviati membri degli appena nati ordini mendicanti (i domenicani soprattutto ma anche i francescani), fedeli esecutori del centralismo papale. Soggetti all'Inquisizione erano tutti i sospetti di eresia (catari, valdesi, beghini, spirituali, ecc.), tutti gli oppositori politici ma anche gli imputati di "delitti" contro la morale e la disciplina della chiesa, i bestemmiatori: tutti i casi in sostanza nei quali l'inquisitore avesse giudicato l'offesa della legge ecclesiastica tanto grave da toccare problemi di fede, ovvero interessi ecclesiastici o nobiliari. La colpevolezza era stabilita mediante prove testimoniali o per la confessione del reo: per ottenerla questa si ricorreva sistematicamente al regime carcerario più duro (digiuni, catene ecc.) e alla tortura (tratti di corda, cavalletto, carboni ardenti, ecc.), la difesa era pressocché inesistente. Le stesse spese dei tribunali venivano sostenute con le multe e la confisca dei beni dei colpevoli. Sin dai tempi della bolla Ad extirpanda (1252) la tortura era sta legittimata come elemento (fondamentale e spesso, di fatto, unico) di prova ed era applicata con puntiglioso formalismo burocratico (la damnatio - correctio giubilare insiste sui "precisi limiti di durata").
Le vittime della "Santa Inquisizione" sarebbero state secondo alcuni storici circa dieci milioni, in maggioranza donne (le cosiddette "streghe") mentre secondo medievalisti cattolici come Gustav Henningsen, solo nell'età moderna in Europa furono centomila i processi di cui la metà si conclusero con la condanna al rogo.
Il re Ferdinando d'Aragona e la regina Isabella di Castiglia nel 1478 chiesero al papa Sisto IV il rafforzamento e la riorganizzazione del tribunale inquisitoriale ottenendo la facoltà di designare essi stessi gli inquisitori. In Spagna l'Inquisizione fu al servizio della crociata per la "riconquista cristiana" del paese, una vera e propria pulizia etnico-religiosa: gli ebrei non convertiti vennero espulsi in blocco dal paese nel 1492, mentre i Mori furono espulsi nel 1609 perché "di sangue impuro". Questi primi esempi di razzismo ed antisemitismo della storia dell'umanità, diedero luogo ad imitazioni in tutto il continente fino alla Russia zarista.
In tutta l'Europa il processo inquisitorio fu definitivamente codificato nella Nuova Inquisizione post-Riforma luterana, a partire dal 1542 (Bolla Licet ab inizio di Paolo III). In seguito alla formazione dei blocchi religiosi contrapposti ed al Concilio di Trento il papato non solo restaurò i tribunali inquisitoriali ma creò in Roma una commissione di cardinali incaricati di coordinare tutti gli interventi repressivi nei confronti degli eretici, la congregazione della Romana e universale inquisizione o Sant'uffizio. Era presieduta dal papa e mantenne intatti i principi fondanti dell'Inquisizione medioevale (crociata contro gli albigesi e loro sterminio), dell'inquisizione di Spagna ("estirpazione" e conversione forzata degli ebrei e dei musulmani) dandosi un'organizzazione totalmente centralizzata, a guardia della imposizione capillare della fede cattolica ortodossa e del controllo sociale di massa che la Controriforma stava consolidando. Il sospetto faceva scattare il meccanismo inquisitorio. Era di per sé il segno della colpa. Qualsiasi altro crimine, se ci sono i segni della "peste eretica" o della trasgressione al modello del magistero, è associato all'eresia. L'intero impianto giudiziario era basato sulla cultura della delazione. Praticata da sempre, all'interno e verso l'esterno, spettava al Santo Uffizio che razionalizza il sospetto come presunzione di colpa e ne introduceva la capillarizzazione sistematica nell'area cattolica - il compito di assicurarne la tutela, e naturalmente la sacralizzazione. La delazione è segreta ("... al-l'imputato deve essere comunicata solo la sostanza delle deposizioni dei testimoni a carico, senza nomi né possibilità di individuarli": decreto della Congregazione del Santo Uffizio, 1566) ed è "un dovere per il popolo cristiano", perché se si è obbligati a denunciare i crimini di lesa maestà, a maggior ragione è doveroso denunciare il supremo peccato-crimine di lesa maestà divina. Così il padre è obbligato a denunciare il figlio, il marito la moglie, e viceversa, anche perché chi rivela al Santo Tribunale l'eresia dei propri consanguinei ("de' loro padri ancorché non fossero nati dopo il paterno delitto", 1621) non solo non incorre nelle pene stabilite e compie "un'impareggiabile opera di carità", ma può anche usufruire di speciali indulgenze per sé e per gli altri suoi defunti.
In piena Controriforma, Dominico Scoto (1582) afferma: "...le orecchie umane giudicano le parole dal suono, ma il giudizio divino considera quei suoni se sono o no in accordo con l'intenzione... Dio ode le parole non pronunciate e le giudica vere anche se l'uomo non è in grado di accorgersi della discrepanza". La tacita cogitatio, il pensare senza parole permette di dirigere l'intenzione in senso contrario rispetto a quanto è indicato dalle parole!" Il massimo della spietatezza, era la "tortura per l'intenzione". Se, dopo una confessione completa, il sospetto-reo negava di avere avuto intenzioni eretiche mentre si comportava da eretico, veniva torturato non sul fatto ma sulla "sua empia credulità ed intenzione". Rovesciamento del principio giuridico antico secondo cui nessuno può essere punito per quello che pensa (Cogitatio poena nemo patitur).
Il Sant'Uffizio ampliò la sfera di competenza e i poteri in particolare durante i pontificati di Paolo IV (1555-1559) e Pio V (1566-1572) che, come molti altri loro colleghi, erano stati cardinali inquisitori prima di accedere al papato, fino ad affermarsi come la prima di tutte le congregazioni nella riorganizzazione della curia romana operata da Sisto V (1588). Ad essa venne affiancandosi una congregazione autonoma ma in realtà strettamente legata e quasi subordinata per l'esame e la censura della stampa, la congregazione dell'indice dei libri proibiti, istituita nel 1571. Per suo tramite gli inquisitori esercitarono una vigilanza speciale sul mondo della cultura, dalla concessione della licenza per la stampa e il commercio del materiale libraio, al bando e alla censura per le opere, compreso i classici, ritenuti, anche indirettamente pericolosi per la dottrina e la morale cattolica. La strage di 10mila ugonotti protestanti il 24 agosto del 1572 a Parigi, la condanna di Galileo, Tommaso Campanella, Erasmo da Rotterdam, Niccolò Cusano, Pico della Mirandola e il processo e il rogo di Giordano Bruno sono il culmine di questa nuova fase inquisitoriale i cui principi fondanti sono dedotti dal suo fine supremo: perseguire "l'eretica gravità" che si macchia del crimine supremo: "lesa maestà divina". Così la "Santa Inquisizione" in Europa continuò a schiacciare soprattutto le classi oppresse dal sistema feudale oltreché i concorrenti politici convertitisi al protestantesimo o al calvinismo anche se tutti, nobili, mercanti, alti prelati compresi i cardinali, funzionari reali, al di fuori soltanto del re, potevano essere inquisiti, se denunciati come sospetti.
Tra il 1500 e il 1600 la chiesa allungò le mani al seguito dei conquistatori e mercanti fino all'America latina, all'Africa e all'Oriente contribuendo ai massacri, a volte al genocidio, delle popolazione indigene ed alla espropriazione e conversione forzata dei superstiti (ricordiamo tra i tanti il tribunale inquisitoriale di Lima che sradicò le religioni precolombiane). Oltre ai domenicani fu il nuovo ordine dei gesuiti (la compagnia di Gesù) a fare delle missioni nei continenti extraeuropei un imponente veicolo di penetrazione coloniale. Tra i crimini della chiesa in Italia non può essere taciuto l'appoggio alla repressione della rivolta popolare antifeudale e antimonarchica guidata dal pescivendolo napoletano Masaniello che aveva costretto alla fuga il vicerè spagnolo (1647) ) e nel giugno del 1799 lo sterminio, compiuto per conto della monarchia e della "Santa Sede" dal cardinale Ruffo, che strumentalizzò debitamente i sentimenti religiosi dei contadini e dei briganti, della borghesia intellettuale partenopea che aveva dato vita alla repubblica partenopea.
Le ultime scorribande armate della chiesa erano il segno che l'Inquisizione stava perdendo progressivamente potere, man mano che il potere economico e poi politico passerà nelle mani della borghesia (l'ultimo tribunale dell'Inquisizione a scomparire è quello spagnolo nel 1834) ma la sua logica rimarrà intatta ben oltre il Concilio Vaticano I (1869-1870) dove venne sancito il dogma indiscutibile ed eterno dell'infallibilità del papa e vennero condannati e messi al bando il razionalismo, il positivismo e le altre dottrine moderne (naturalismo, materialismo, panteismo). L'Inquisizione fu definitivamente soppressa dagli stati costituzionali nati sull'onda dalla rivoluzione francese, senza quindi alcun provvedimento formale da parte della "Santa Sede"; perse di fatto, in concorrenza con gli stati, ogni potere giudiziario pur mantenendo un posto centrale come strumento per la difesa della ortodossia anche nel riordinamento della curia romana operata da Pio X nel 1908. L'Indice dei libri proibiti rimase in vigore ufficialmente fino al 1966.

La borghesia si allea con la chiesa
La borghesia diventata ovunque in Europa classe dominante in molti casi ritenne utile al mantenimento del suo potere l'egemonia religiosa e culturale della chiesa romana. Ciò avvenne con particolare evidenza proprio in Italia dove la borghesia alleata con le vecchie classi sfruttatrici non attuò mai una disarticolazione della organizzazione medioevale della chiesa, né tanto meno l'espropriazione completa e definitiva del suo potere temporale e una vera separazione tra lo Stato borghese e la chiesa. Garibaldi, che lo avrebbe voluto, fu fermato con le armi da Cavour e Vittorio Emanuele II perché il Vaticano, come aveva fatto fin dalla sua nascita si schierò quasi subito con i nuovi padroni capitalisti, con la classe dominante borghese oltreché con i latifondisti con i quali era legato da un millenario intreccio di interessi. Dopo il periodo interlocutorio della "legge delle guarentigie" (che lasciò insoddisfatto Pio IX) il Vaticano terrorizzato dall'esplodere della lotta di classe del proletariato nel nostro paese e dalla Rivoluzione d'Ottobre appoggiò al pari della monarchia sabauda il regime fascista ottenendo in cambio il concordato del 1929 sottoscritto nel palazzo del Laterano da Benito Mussolini e Pietro Gasparri, plenipotenziari del re Vittorio Emanuele III e del pontefice Pio XI: Con esso la religione cattolica diventò la "sola religione di Stato", venne sancita la assoluta libertà di esercizio e organizzazione della chiesa, vennero garantiti da ogni ingerenza statale i possedimenti e l'intera organizzazione dello Stato teocratico monarchico del Vaticano al quale fu versato anche un enorme risarcimento finanziario e garantito il finanziamento pubblico e l'evasione fiscale, fu disposta l'esclusione degli apostati e dei colpiti da censura ecclesiastica dall'insegnamento e dai pubblici uffici. La curia romana in cambio insegnò ai prefetti, ai questori, all'Ovra e alle squadracce fasciste i metodi della "Santa Inquisizione" e quando la gloriosa Resistenza apparve vittoriosa si prodigò per far fuggire all'estero numerosi criminali fascisti e repubblichini. Grazie a De Gasperi e all'opportunismo di Togliatti i patti Lateranensi furono richiamati nella costituzione democratico-borghese all'art. 7 in netta contraddizione con l'art. 8 dove si dichiaravano tutte le confessioni religiose libere davanti alla legge. Nel dopoguerra la chiesa si concentrò nella lotta contro l'eresia comunista: la bolla del Sant'Uffizio papale del 1949, che seguiva quella del 1937, condannava il marxismo e vietava ai cattolici di essere comunisti. Il Vaticano, direttamente e indirettamente tramite la Democrazia Cristiana ed organizzazioni come l'Opus Dei collaborò attivamente con la struttura segreta della Nato a riarruolare in funzione anticomunista mafiosi e fascisti fuggiti all'estero e a finanziarne tramite la Banca Vaticana e lo Ior diretto dal cardinale Marchinkus le logge massoniche e golpiste protagoniste della "guerra civile a bassa intensità" che si trasformò ben presto (Portella delle Ginestre) in stragismo di Stato. Non c'è da stupirsi quindi se negli anni '70 il papa nero Wojtyla andava a stringere la mano del dittatore cileno Pinochet, se il papa ha santificato il franchista e fascista cardinale Escrivar, se lo si vede oggi raccogliere i baciamano del nuovo Hitler Bush e del neoduce Berlusconi, se i suoi cardinali lanciano le crociate contro il divorzio e la libertà sessuale delle donne, per abolire la legge sull'aborto, vietare la fecondazione assistita, sopprimere il darwinismo dall'insegnamento scolastico, fondare i programmi scolastici sulla base dell'"antropolo-gia cristiana", restaurare il dominio clericale in campo scolastico, inserire nella Costituzione europea un riferimento alle "radici cristiane", seguire le missioni imperialiste nel mondo per evangelizzare i popoli sottomessi. l'Inquisizione e il S.Uffizio del resto, anche se non più nella versione medioevale e debitamente riverniciati, esistono ancora, e Paolo VI ne ha solo mutato l'antica denominazione in quella di "sacra congregazione per la dottrina della fede"(1965), il cui compito continua ad essere quello di tutelare la fede e i costumi in tutto il mondo cattolico. Il concilio Vaticano II introdusse dei piccoli cambianti, come un ritorno alla dottrina conciliaristica (più potere ai cardinali), che in passato caratterizzò la breve fase delle duplicazione dei papi, ma complessivamente generò soltanto illusioni tra i cristiani circa la riformabilità della chiesa cattolica.
 




LA RIFORMA E LA REAZIONE
Nel 1500 la supremazia papale sul mondo cristiano sembrava sicura. Le chiese d'Oriente, che erano state a lungo il centro della cristianità, avevano ricevuto un colpo tremendo con la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi (1453). Il «conciliarismo», ovvero la dottrina secondo cui il concilio generale è la suprema autorità nel mondo cristiano, al di sopra anche del papa, parve soccombere sotto il peso di numerose condanne. Ma le fondamenta della potenza papale non erano sicure.
Entro breve tempo, infatti, sarebbero state scosse dal terremoto della Riforma protestante, e alcuni avrebbero addirittura profetizzato che al papa sarebbe rimasto il controllo soltanto dell'Italia e della Spagna. Furono diversi i fattori che spianarono la strada alla Riforma. Da una parte, il papato del tardo Medioevo esemplificava ampiamente il detto secondo cui "il potere assoluto corrompe in modo assoluto"; dall'altra, si era andato diffondendo un notevole sentimento antipapale. La figura di Wyclif sta a dimostrare come un attacco agli abusi possa trasformarsi in una critica alle dottrine. La chiesa si trovava nella vulnerabile condizione di chi, pur possedendo ricchezze favolose, manca però palesemente delle qualifiche morali necessario per giustificare i propri stesso Lutero. Di lì a poco, il Protestantesimo fu diviso in due correnti — quella luterana e quella riformata (o svizzera). Zwingli morì giovane, e il suo posto di principale teologo riformato fu preso dal francese Giovanni Calvino, con il risultato che la fede riformata è spesso conosciuta come Calvinismo.
Luterò e Zwingli furono dei riformatori classici (per distinguerli dall'ala radicale) — introdussero, cioè, una riforma sostenuta dalle autorità ufficiali o magistrati o governatori delle città. Il loro intento non era quello di spezzare il legame fra chiesa e stato. Miravano infatti non tanto a fondare una chiesa nuova, ma piuttosto a riformare quella vecchia. Finché si trattava di una riforma dottrinale, l'ideale della chiesa di stato, a cui appartenevano tutti i cittadini, rimaneva intatto. Ma vi erano alcuni per i quali questa non sarebbe stata che una riforma a metà. I riformatori radicali volevano andare ben oltre i riformatori classici. E lo fecero in diversi modi. Alcuni erano "razionalisti": mettevano cioè in dubbio le dottrine cristiane fondamentali, come la Trinità. Altri erano "spiritualisti": disprezzavano la Bibbia e tutte le forme esteriori, e sottolineavano invece l'importanza dello Spirito Santo che parla all'anima dell'individuo, la cosiddetta "luce intcriore". Alcuni erano "rivoluzionari": credevano cioè che la battaglia finale descritta nel libro dell'Apocalisse stesse per avere luogo, e i giusti avrebbero stabilito il regno di Dio con la forza. Ma gli "evangelici" costituivano il gruppo più numeroso e importante. Essi, alla luce della Bibbia, desideravano una riforma più profonda. Rifiutavano l'idea di una chiesa di stato e il battesimo dei bambini, che inevitabilmente l'accompagnava. I loro oppositori presero di mira la loro consuetudine di "ribattezzare" coloro che erano stati già battezzati da piccoli, e li chiamarono «anabattisti» o «ribattezzatori». Era un'etichetta molto comoda, questa, dato che ribattezzare era considerato un reato molto grave. Gli anabattisti furono quindi perseguitati in modo spietato e sterminati in lungo e in largo, ma le loro idee sopravvissero e divennero progressivamente più influenti.
La Riforma trovò la Chiesa di Roma notevolmente impreparata. Ma tale situazione non durò a lungo. Intorno alla metà del secolo fu convocato infatti il *Concilio di Trento, per definire la dottrina cattolica romana in una prospettiva antiprotestante e presentare un programma di riforma cattolica. I Gesuiti (un ordine religioso fondato da Ignazio di Loyola) costituivano le truppe d'urto della Riforma cattolica e guidarono il contrattacco al Protestantesimo. Il retaggio della spiritualità medievale non era morto nella Chiesa cattolica romana, come si può vedere dai grandi mistici spagnoli Giovanni della Croce e  Teresa d'Àvila.
I primi 50 anni della Riforma furono anni ricchi di nuove idee. Ma i movimenti viventi e creativi del periodo iniziale finirono in breve tempo per essere codificati in dettagliati sistemi dogmatici. Le tre principali confessioni (Cattolicesimo romano. Luteranesimo e Calvinismo), sempre più affannate a definire in maniera precisa e complicata le proprie dottrine, spendevano enormi energie in controversie interne. Si trattava di questioni riguardanti soprattutto il rapporto fra la grazia di Dio e il libero arbitrio dell'uomo. Lo sviluppo di queste nuove ortodossie non si realizzò senza sfide. Il movimento pietista del XVII secolo, capeggiato fra gli altri da Spener, mise l'accento sull'importanza della vita pratica del credente, piuttosto che su discussioni intorno a questioni teologiche secondarie. Il XVIII secolo vide il sorgere del razionalismo in opposizione alla fede cristiana. Per alcuni, esso fu sinonimo di ateismo; per molti altri, invece, rappresentò una nuova religione basata sulla ragione più che sulla rivelazione. Il «deismo» fu considerato una religione della ragione in contrasto con le superstizioni del cristianesimo tradizionale. Il razionalismo, però, sferrando al cristianesimo un attacco dall'esterno della chiesa, influì soltanto limitatamente sulla dottrina cristiana, anche se cominciò di fatto a minare il consenso cristiano nell'Europa occidentale. Una forza che si mosse nella dirczione opposta al razionalismo fu quella del "risveglio" evangelico, che ebbe origine in Inghilterra con i fratelli *Wesley e alcuni altri, per diffondersi poi in tutto il mondo anglofono e oltre. La Riforma inglese presenta delle peculiarità interessanti. Nel breve spazio di venticinque anni vi sono non meno di sei risoluzioni di tipo religioso.
• Fino al 1534 l'Inghilterra era un Paese cattolico romano.
• Nel 1534 Enrico vili fece di sé stesso un papa in Inghilterra, autoproclamandosi «capo unico e supremo in terra» della Chiesa inglese. Ma, a parte l'abolizione del papa, Enrico vili continuò ad attenersi alla quasi totalità delle dottrine cattoliche — egli era in fin dei conti un "anglo-cattolico" del xvi secolo.
• Nel 1549 fu pubblicato il primo libro di preghiere del regno di Edoardo VI. D'ispirazione protestante e in lingua inglese, il libro era stato tuttavia redatto in maniera tale da non recare inutile offesa ai cattolici romani.
• Nel 1552 vide la luce il secondo libro di preghiere del regno di Edoardo VI. Questa volta si trattava di un libro apertamente e inequivocabilmente protestante.
• Sotto Maria Tudor (1553-1558) vi fu un ritorno a una forma dogmatica di Cattolicesimo romano.
• La "Soluzione Elisabettiana" del 1559 ripresentò un librò di preghiere molto simile a quello del 1552. La Soluzione Elisabettiana fu a lungo contestata dai "puritani", i quali desideravano una forma più radicale di Protestantesimo, ma nel 1662 divenne norma definitiva. Questa risoluzione è spesso descritta come una via di mezzo, e in fin dei conti è così, ma non nel senso che spesso intendiamo noi oggi — cioè, una via di mezzo fra Protestantesimo e Cattolicesimo romano. La Soluzione Elisabettiana era una sorta di compromesso fra Elisabetta i, che voleva una forma più conservatrice di Protestantesimo, e coloro che ne volevano invece una più radicale; sotto certi aspetti, la Soluzione potrebbe essere intesa come un compromesso fra Calvinismo e Luteranesimo. Difatti, la dottrina espressa dai •«Trentanove Articoli» era un Calvinismo moderato, ma il mantenimento dei vescovi, della liturgia e di altre forme cerimoniali cattoliche era in linea con il pensiero luterano.
A tempo debito, la Riforma inglese sfociò nell'Anglicanesimo, un ramo distinto del Protestantesimo che si è dimostrato più consenziente all'insegnamento cattolico rispetto alle chiese riformate o a quelle luterane. La Scozia invece divenne, e tuttora rimane, decisamente riformata e presbiteriana. I tentativi da parte degli inglesi di imporre dei vescovi e il Book of common prayer (Libro della preghiera comune) agli scozzesi servirono soltanto a rafforzare le convinzioni presbiteriane della "kirk" (cioè, la chiesa scozzese).
LA TRADIZIONE RIFORMATA
Huldrych Zwingli
La Riforma svizzera
Huldrych Zwingli è il fondatore del Protestantesimo svizzero e il primo dei teologi riformati. Nacque il 1o gennaio del 1484 (cinquantadue giorni dopo Lutero) a Wildhaus, una cittadina a una quarantina di chilometri da Zurigo. Arrivò a una posizione protestante più o meno contemporaneamente a Lutero, ma per lo più indipendentemente da lui.  I loro ambienti erano diversi: Lutero fu istruito dai discepoli di Gabriel Biel secondo i principi della "via moderna"; Zwingli, invece, fu educato secondo il pensiero della "via antiqua" di *Tommaso d'Aquino. Inoltre, a differenza di Lutero, il riformatore svizzero fu anche fortemente influenzato dall'Umanesimo di Erasmo. Come diversa era la loro formazione, così era anche il modo in cui Lutero e Zwingli si avvicinavano alla teologia. In particolare, mentre Zwingli riteneva che nessuna dottrina dovrebbe essere contraria alla ragione, Lutero accordava alla ragione un ruolo decisamente minore in ambito teologico. Tale divergenza risultò quanto mai evidente nel loro atteggiamento a proposito della presenza di Gesù Cristo nella Cena del Signore.
Nel 1506 Zwingli fu nominato parroco a Glarona. Lì cominciò ad attaccare il mestiere dei mercenari. In quel tempo i soldati svizzeri erano molto richiesti come mercenari, e ciò costituiva un grossa fonte di guadagno, quasi come l'odierno sistema bancario svizzero. Zwingli si convinse che si trattava di una condotta immorale e iniziò allora a predicare contro questa attività. La cosa non piacque agli abitanti di Glarona, così nel 1516 Zwingli dovette cambiare città e divenne parroco a Einsiedein — tuttora noto centro di devozione alla Vergine Maria. Durante la sua permanenza a Glarona e a Einsiedein, Zwingli lesse moltissimo, e in quello stesso periodo furono poste le fondamenta delle sue convinzioni riformate. In particolare, egli arrivò a rendersi conto del ruolo supremo e finale delle Scritture. Nel 1518 Zwingli divenne pievano del Grossmùnster, la «Grande Cattedrale» di Zurigo. Là iniziò a predicare sistematicamente su interi libri della Bibbia. Questa consuetudine era diffusa nella chiesa primitiva, ma al tempo di Zwingli si presentò come una radicale innovazione. A Zurigo Zwingli introdusse la Riforma in maniera graduale, inizialmente addirittura con il consenso delle autorità cattoliche romane. Anzi, nel 1523 egli ricevette un'affettuosa lettera da parte del papa! Nel 1522 produsse il primo dei suoi numerosi scritti riformati, con cui le sue idee si diffusero in lungo e in largo per tutta la Svizzera. Entro la fine del 1525, la Riforma a Zurigo  era stata quasi del tutto portata a termine: la messa era stata abolita e sostituita da un semplice servizio eucaristico. Poiché anche altri cantoni svizzeri decisero di appoggiare la Riforma, la mèta di Zwingli di avere una Svizzera evangelica unita sembrava raggiungibile. A tale scopo, egli formò un'alleanza di cantoni evangelici; ma i cantoni cattolici, sentendosi minacciati, formarono un'alleanza contrapposta. Ne scaturì una guerra, nel 1529. Dopo una breve tregua, i combattimenti ripresero nel 1531, e Zwingli stesso fu ucciso sul campo di battaglia, a Kappel.
Uno dei primi scritti di Zwingli fu quello intitolato Chiarezza e certezza ovvero veracità della Parola di Dio  (1522), in cui egli espose il principio basilare del Protestantesimo: l'autorità finale delle Scritture. La Parola di Dio è certa. Quando Dio parla, ciò che dice avviene — "Dio disse: 'Sia la luce!' e la luce fu"  (Genesi 1:3). La Parola di Dio è anche chiara. Il che non significa che non possa essere fraintesa. Se ci avviciniamo alla Bibbia con le nostre congetture e la nostra personale  interpretazione, e cerchiamo di plasmarla su quella falsariga, non udremo il suo messaggio. Ma quando Dio parla ai suoi figli, la sua Parola porta con sé la sua chiarezza. E allora possiamo capirla, senza nessuna istruzione umana — non grazie alla nostra comprensione, ma grazie allo Spirito Santo che ci illumina e ci rende capaci di vedere la Parola di Dio nella sua stessa luce. Dobbiamo evitare l'errore di sottoporre la Parola di Dio a un interprete umano infallibile — come il papa o un concilio. In pratica, ciò significa che la Bibbia risulterà distorta per poter appoggiare certe idee preconcette. La certezza viene, non dalla conoscenza umana o da un'autorità ecclesiastica, ma dall'umile ascolto di Dio stesso. Questa fu proprio l'esperienza di Zwingli:
Durante la mia gioventù, come molti altri della mia generazione, ho imparato molte cose eccellenti della sapienza umana. E quando... ho iniziato ad attenermi solo alla Sacra Scrittura, la filosofìa e la teologia degli attaccabrighe sono divenute un vero e proprio ostacolo. Ho deciso quindi (certo, guidato dalla Scrittura e dalla parola di Dio) di ignorare tutto questo e di conoscere il pensiero di Dio unicamente dalla sua schietta parola. Allora ho chiesto a Dio di concedermi la sua luce e, sebbene leggessi la Scrittura in tutta semplicità, essa ha cominciato a diventare molto più chiara di quando leggevo molti commentali e interpretazioni. Chiarezza e certezza ovvero veracità della Parola di Dio
In pratica, Zwingli scoprì che cercare di ascoltare sinceramente la Parola di Dio non necessariamente poneva fine a ogni disaccordo. Si trovò infatti coinvolto in una controversia con altri due gruppi riformati riguardo alla natura dei sacramenti. Per cominciare, a Zurigo vi erano alcuni che volevano una riforma più radicale: non soddisfatti di una chiesa di stato riformata, chiedevano una chiesa libera, composta da cristiani impegnati, di cui si potesse entrare a far parte attraverso il battesimo da adulti. All'inizio, Zwingli e questi radicali avevano molto in comune; ma nel 1525 le cose precipitarono, e il consiglio municipale di Zurigo, con il consenso dello stesso Zwingli, istituì nei loro confronti delle misure repressive. Quello stesso anno Zwingli scrisse Sul battesimo, sul ribattesimo e sul battesimo dei bambini, con cui difese il battesimo dei bambini, basandosi sul fatto che esso è segno del patto, un patto che comprende tutta la famiglia e non soltanto l'individuo. Ma, pur attenendosi alla pratica del battesimo  dei bambini, Zwingli (a differenza di Lutero) si separò dalla dottrina cattolica secondo cui il battesimo conferisce (anche ai bambini) la nuova nascita e il perdono dei peccati. Arrivò invece a considerare il battesimo innanzi tutto come un segno esteriore della nostra fede. 
La seconda controversia — quella con Lutero — riguardava la presenza di Gesù Cristo nella Cena del Signore. Lutero, pur rifiutando la dottrina cattolica romana della  transustanziazione. continuava a credere nella presenza reale del corpo e del sangue di Cristo "in, con e sotto" le specie del pane e del vino. Nel 1524 Zwingli fu convinto dall'olandese Cornelius Hoen (Honius) ad abbandonare questo modo di pensare. Da allora in poi, infatti, rinnegò la dottrina della presenza reale e sostenne che il pane  e il vino sono semplici simboli del  corpo e del sangue di Cristo.  Mediante l'azione dello Spirito Santo. Gesù Cristo è presente al servizio  eucaristico — ma quanto al suo corpo e al suo sangue, cioè la sua umanità, essi rimangono in cielo, alla destra del Padre. La Cena del Signore è una commemorazione di ringraziamento con la quale possiamo guardare all'opera di Gesù Cristo compiuta sulla croce. È anche un pasto di comunione a cui è presente il corpo di Cristo sotto le forme della congregazione. Zwingli sostenne questa posizione fino al giorno della sua morte. E nella «Fidei ratio» [Confessione di Fede], scritta nel  1530, che egli espose il suo insegnamento ormai maturo:
Credo che nella santa Eucaristia, cioè nella Cena di rendimento di grazie, è presente nella contemplazione della  fede il vero corpo di Cristo. Ciò vuoi dire: coloro che rendono grazie al Signore per il beneficio che ci ha concesso nel Figlio suo, riconoscono che egli ha assunto una vera carne,questa ha veramente patito, ha veramente lavato i nostri peccati con il suo sangue, e così ogni cosa che Cristo ha fatto è resa presente per loro nella contemplazione della fede. Ma che il corpo di Cristo nella sua essenza e realtà, cioè il suo stesso corpo naturale, sia presente nella Cena o sia masticato in bocca dai nostri denti, come sostengono i papisti e alcuni che guardano indietro alle pentole egiziane [i luterani], questo non solo lo neghiamo, ma affermiamo decisamente che è un errore che si oppone alla Parola di Dio... Che, inoltre, il corpo naturale di Cristo non sia mangiato nella nostra bocca, lo afferma lui stesso, quando ai giudei che si opponevano al mangiare materialmente la sua carne, disse: "La carne non giova a nulla" [Giovanni 6:63]... Le parole: "Questo è il mio corpo"  [Matteo 26:26] non vanno intese  naturalmente ma in quanto significano, analogamente alle altre: "Questa è la  Pasqua" [Esodo 12:11]. Confessione di Fede, VIII.
Zwingli ribadisce qui i ragionamenti già usati contro Lutero durante il Colloquio di Marburgo l'anno precedente. Certo, egli usò ragionamenti molto forti in opposizione alla presenza fìsica del corpo di Cristo nella Cena del Signore, ma non sfuggì completamente al pericolo di ridurla a un memoriale puro e semplice. Il  suo contributo consistette principalmente nel lavoro negativo di critica nei confronti del vecchio modo di pensare. Fu lasciato ad altri — in particolare a *Bucero e a *Calvino — il compito di fondare, su quella stessa  base, una dottrina positiva della Cena.
Zwingli incontrò precocemente la morte sul campo di battaglia. Non vi fu tempo perché il suo pensiero maturasse ne perché egli potesse presentare una solida esposizione della teologia riformata. Tale compito fu lasciato a Calvino, con il risultato che il Protestantesimo riformato è oggi conosciuto come Calvinismo, anziché come Zwinglianesimo. Tuttavia, anche se la "costruzione" è passata in mano ad altri e Zwingli è stato in larga misura dimenticato, resta il fatto che fu proprio lui a porre le fondamenta del Protestantesimo svizzero e della  teologia riformata.