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LA STORIA DELLA CHIESA E LE RIFORME
Da: www.riforma.net

STORIA DELLA CHIESA ED IL PERIODO DELLE GRANDI RIFORME

LA TRADIZIONE RIFORMATA
Martin Bucero
II padre del Calvinismo
Martin Bucero nacque nel 1491 a Schlettstadt, in Alsazia. All'età di 15 anni divenne frate domenicano. Come * Zwingli, fu educato nella "via antiqua" di *Tommaso d'Aquino e subì l'influsso dell'Umanesimo di *Erasmo. Nel 1518 presenziò al Capitolo Generale dei frati agostiniani a Heidelberg. Ascoltando *Lutero parlare, Bucero si convertì all'istante. Qualche anno dopo, nel 1523, si stabilì a Strasburgo, dove la Riforma era stata già introdotta grazie a Mathias Zeli, e dove vari  riformatori avrebbero passato periodi  più o meno lunghi della loro vita — ad esempio, *Giovanni Calvino, Wolfango Capitone, Kaspar Hedio, Pietro Martire Vermigli, Jakob e Johannes Sturm. Ma fu Bucero che diventò il principale riformatore di Strasburgo.
Strasburgo divenne un importantissimo centro della Riforma e, sotto molti aspetti, rappresentò un esempio da seguire. Le sue riforme nel campo dell'educazione — avviate in special modo da Johannes Sturm, con l'appoggio di Bucero — furono imitate in tutta Europa. Oltre che per la riforma della dottrina. Bucero mostrò particolare interesse per la cura pastorale. Il suo scritto La vera cura d'anime e il vero servizio pastorale è una delle opere più importanti del XVI secolo sull'argomento. Bucero si avvide anche del bisogno di disciplina nella vita della chiesa e cercò di promuoverla a Strasburgo. Nel 1546 propose l’avviamento di piccoli gruppi o comunità all'interno della congregazione, per l'edificazione spirituale. Probabilmente fu a questa iniziativa che s'ispirò *Spener nel secolo successivo. Purtroppo, nel 1546 Strasburgo dovette arrendersi all'esercito dell'imperatore e accettare ì'Interim, cioè la soluzione provvisoria da lui imposta in campo religioso.
Bucero si rifiutò di scendere a compromessi; accettò quindi l'invito a diventare regio professore di teologia a Cambridge, dove morì nel 1551. Dopo il crollo dell'Interim, Strasburgo divenne attivamente luterana, e Bucero non vi fu più celebrato. Bucero non si lasciò dietro nessun gruppo organizzato e anzi, fino a non molto tempo fa, egli stesso è stato un personaggio in larga misura trascurato. Eppure la sua rilevanza è stata notevole e duplice. Innanzi tutto, mentre si trovava a Cambridge, Bucero potè esercitare una certa influenza sull'andamento della  Riforma inglese, in particolar modo  attraverso Thomas Cranmer. Lo "zampino" di Bucero può essere facilmente individuato nei due libri della preghiera comune pubblicati sotto Edoardo vi (1549 e 1552). Bucero compose anche un'opera intitolata De regno Christi (II regno di  Cristo) come falsariga da seguire per un'Inghilterra cristiana. La morte di Edoardo nel 1553 ne impedì l'attuazione; ciononostante, il suo  libro esercitò ancora una grande influenza, soprattutto sul movimento puritano che sarebbe emerso di lì a qualche tempo. Ancor più rilevante.  tuttavia, è stata l'influenza che Bucero esercitò tramite Giovanni Calvino, il quale aveva vissuto a Strasburgo dal 1538 al 1541. Fu infatti in quegli anni che Bucero lasciò un'impronta non    indifferente sul pensiero di Calvino in merito a diverse questioni fondamentali.
Tant'è vero che egli fu chiamato, in  tono bonariamente esagerato, "padre del Calvinismo". Molti degli sforzi di Bucero furono  consacrati alla causa dell'unità della  chiesa. Alla pari di  Erasmo, egli non amava ne la divisione ne la lotta; come Melantone, poi, fu spesso considerato fin troppo conciliatore, e quindi guardato con sospetto. Le sue iniziative non si dimostrarono sempre avvedute e a volte fallirono. Secondo il parere di un autore moderno, l'approccio di Bucero si trasformava spesso in "un ramo d'ulivo lanciato da una catapulta", e ogni tanto i destinatari ne restavano feriti. Bucero si dedicò con entusiasmo alla ricerca di una riconciliazione fra protestanti e cattolici romani. Fra il 1539 e il 1541 ebbe luogo una serie di colloqui di religione (a Hagenau, Worms e Ratisbona) che miravano a un riavvcinamento fra le due correnti in Germania. L'ultimo colloquio, quello di Ratisbona, registrò un successo quasi completo, dato che fu raggiunto un accordo sulla giustificazione per la fede. Da parte sua. Lutero ritenne invece che Bucero avesse concesso troppo e disse che egli "puzzava a causa di Ratisbona". (A onor del vero, bisognerebbe sottolineare il fatto che anche Melantone e Calvino avevano appoggiato l'accordo.) Bucero si diede da fare anche per convincere gli anabattisti. Dovunque andassero in Europa, essi erano selvaggiamente perseguitati; ma a Strasburgo furono trattati con gentilezza. Bucero ragionò con loro, e molti si persuasero ad aderire alla sua causa. Ma non si trattò di un processo a senso unico: Bucero non parlava soltanto, ascoltava anche, ed era  disposto a imparare. Il suo interesse  per la disciplina ecclesiastica scaturì, almeno in parte, proprio dalle sue discussioni con gli anabattisti. Bucero cercò non soltanto una riconciliazione con i cattolici romani e gli anabattisti, ma tentò anche di  ricucire la spaccatura all'interno del mondo protestante. La disputa  intorno alla presenza di Cristo nella Cena del Signore aveva diviso i riformatori in due opposti  schieramenti — quello luterano e  quello svizzero. Quando Bucero
affrontò per la prima volta la questione del pane e del vino come semplici simboli, cercò di difendere la dottrina della presenza reale, ma alla fine si rese conto che era impossibile, basandosi sulla sola Bibbia. Passò allora dalla parte degli svizzeri. Ma nel 1528, quando ormai la controversia aveva già fatto molta strada. Bucero arrivò alla conclusione che gli svizzeri avevano frainteso Lutero, perché in effetti egli non aveva insegnato una presenza locale del corpo e del sangue di Cristo nel  pane e nel vino. Decise allora che i due schieramenti potevano riavvicinarsi e cercò di fare da mediatore fra le parti. Unì allora alcuni elementi della posizione di Zwingli ad alcuni di quella di Lutero. Con Zwingli,   Bucero sostenne che "il pane e il vino... in sé stessi rimangono del tutto inalterati, ma diventano semplici simboli attraverso le parole e l'ordine del Signore". Con Lutero, invece, sostenne che, con l'Eucaristia, noi riceviamo "il corpo e il sangue stesso del Signore, in modo che attraverso  di essi possiamo maggiormente e in modo più perfetto condividere la comunicazione della rigenerazione" e  "una più perfetta comunione, o una maggiore perfezione in noi della  comunione, nel corpo e nel sangue del Signore" (Confessione sull'Eucaristia 52 [1550]). In altre parole. Bucero sostenne la tesi del vero nutrirsi del corpo e del sangue di Cristo, ma senza la loro presenza reale nel pane e nel vino. Lutero non gradì questa posizione intermedia e, al Colloquio di Marburgo nel 1529, disse apertamente a Bucero: "Non posso considerarti un mio discepolo... E evidente che non abbiamo lo stesso  spirito". Il 1530 fu l'anno della lettura della *Confessione Augustana all'imperatore Carlo v. Bucero e altri ne  presentarono un'altra, la Confessione Tetrapolitana o delle quattro città (Strasburgo, Costanza, Memmingen e  Lindau), nella quale si dichiara: A tutti coloro che hanno dato  sinceramente il loro nome fra i suoi discepoli e ricevono questa Cenasecondo la sua istituzione, [Cristo] si degna di dare il suo vero corpo e il suo vero sangue perché sia veramente mangiato e bevuto come cibo e    bevanda delle anime, per il loro nutrimento a vita eterna.Confessione 18
La confessione rifiuta, fra l'altro, l'idea che "nient'altro che semplice pane e semplice vino è amministrato nelle nostre Cene". Nel 1536 Bucero incontrò i luterani a Wittenberg per ulteriori discussioni sulla questione e firmò la Concordia  di Wittenberg, preparata da Melantone, che pareva indicare una posizione chiaramente luterana. Ma, con sommo dispiacere di Lutero, più avanti Bucero ne diede una sua personale, e alquanto fuorviante, interpretazione, che svuotava molte dichiarazioni del loro significato naturale. I tentativi dello stesso Bucero di stabilire un solido "partito di centro" fra luterani e zwingliani  ottenne soltanto un successo limitato. Il suo risultato più prestigioso fu senz'altro quello del reclutamento di Calvino alla causa.
Ecco come possiamo servire fedelmente  il Signore: dovremmo in maniera ordinata eleggere e insediare dei ministri provenienti da ogni livello sociale. Lo scopo è quello di poter avere coloro che sono oggetto della fiducia e dell'amore di tutti, e che hanno anche i doni e lo zelo per questo ministero e per una vera cura pastorale... In tal modo saranno eseguiti i cinque compiti della  cura pastorale: cercare e trovare tutti i perduti; riportare indietro i dispersi; sanare i feriti; rinvigorire i malati,proteggere i sani e "pascolarli". La vera cura d'anime e il vero servizio pastorale.
LA TRADIZIONE RIFORMATA
Giovanni Calvino
Lo studioso di Ginevra
Giovanni Calvino nacque nel 1509 a Noyon, nel nord della Francia. Studiò alle università di Parigi, Orléans e Bruges e divenne un ammiratore di *Erasmo e dell'Umanesimo. Egli stesso nel 1532 pubblicò un'opera di cultura umanistica (un commento al De clementia del filosofo latino Seneca), che tuttavia non ebbe l'impatto sperato. Più o meno in questo stesso periodo Calvino si convertì:
Poiché ero così fortemente devoto alle superstizioni del papato da non essere facilmente districato da un così profondo abisso di fango. Dio, mediante una conversione improvvisa alla docilità, domò e diede una struttura ricettiva alla mia mente, troppo ostinata per gli anni che aveva.
Si dedicò immediatamente allo studio della teologia. Nel 1533 fu accomunato a un discorso d'inaugurazione, moderatamente protestante, del nuovo rettore dell'Università di Parigi, Nicholas Cop. Calvino dovette abbandonare la   città in tutta fretta. L'anno dopo, diversi "placards",  manifesti violentemente polemici contro la messa, furono affissi in varie parti di Parigi — uno addirittura sulla porta della camera da letto reale, se la notizia è affidabile! Il rè, Francesco I, s'infuriò e lanciò un energico attacco contro gli evangelici. Calvino lasciò la Francia per stabilirsi a Basilea, dove continuò a studiare e a scrivere.
Entro l'estate del 1535 aveva completato la prima stesura della sua Christiance religionis institutio (Istituzione della religione cristiana).
Ma la sua pacifica vita di studio era destinata a durare poco. Nel 1536, mentre era in viaggio per Strasburgo, a causa di guerre locali, fu costretto a cambiare strada e a fare tappa a Ginevra — "la più significativa deviazione nella storia europea", come ha detto qualcuno. Ginevra aveva appena aderito alla Riforma, anche se in parte per motivi politici, vita Calvino fu grandemente rispettato, anche se i suoi desideri non furono sempre assecondati. Morì nel 1564.
Calvino non è stato trattato bene dal mondo della stampa. Egli stesso, nel 1559, scrisse che "mai un uomo fu  assalito, punzecchiato e dilaniato dalla calunnia" quanto lui. Tali parole si sarebbero dimostrate più profetiche di quanto egli avesse mai pensato! Calvino è stato incolpato per la dottrina della predestinazione — così    chiaramente insegnata da *Agostino, dalla maggior parte dei teologi medievali e da tutti i riformatori. Certo, Calvino la accentuò in qualche misura, ma non più di quanto avevano fatto alcuni teologi medievali, come Bradwardine. Egli è poi denigrato per la parte che ebbe nell'esecuzione dell'eretico Serveto (il quale rinnegava la dottrina della Trinità) — eppure i suoi contemporanei l'approvarono quasi all'unanimità, e molti di quelli che oggi sono considerati santi (come Tommaso Moro) perseguitarono gli eretici molto più crudelmente di lui.
Calvino dev'essere giudicato sulla base del contesto dei suoi tempi. Egli è accusato di essere stato il "dittatore di Ginevra" — in realtà, anche all'apice del suo potere, l'autorità che egli esercitò fu principalmente di ordine morale anziché legale; inoltre, prima di poter pubblicare i propri libri, Calvino doveva ricevere l'approvazione dal Consiglio municipale. Ovviamente, egli non era perfetto: si rendeva conto da solo di avere un carattere irascibile. Era intollerante e prendeva per scontato il fatto che l'opposizione al suo insegnamento non era altro che un'opposizione alla Parola di Dio — una pecca, questa, comune a tanti altri dei suoi tempi e dei nostri. In una certa misura, la responsabilità  della cattiva fama di Calvino sarebbe da attribuirsi ai suoi discepoli, che spesso sconvolsero l'attento equilibrio della sua teologia rendendo primaria e fondamentale la dottrina della predestinazione, quando invece  Calvino fu attento a mantenerla nel suo giusto àmbito. Calvino trasformò Ginevra. A tal punto che il riformatore scozzese John Knox la dichiarò "la più perfetta scuola di Cristo sulla terra, dai giorni degli apostoli a oggi. Io ammetto che altrove Cristo è veramente predicato; ma da nessuna parte ho mai visto una religione e delle pratiche così autenticamente riformate". Ciò fu senz'altro l'effetto della rigida disciplina di Calvino, il  quale, a quelli che non amavano tale disciplina, riservò questo suggerimento: "Farebbero bene a     costruirsi una città dove poter vivere a loro piacimento, visto che non vogliono vivere qui, sotto il giogo di Cristo". Poteva essere, tuttavia, anche la conseguenza di un massiccio afflusso in città di profughi francesi e di altre nazioni, attirati soprattutto dalla loro ammirazione di Calvino.
L'interesse primario di Calvino restò sempre quello per la sua patria (la Francia), e molti di coloro che andavano a Ginevra ritornavano in patria come pastori delle sempre più numerose chiese protestanti francesi. Ai fini della loro istruzione, e rifacendosi al sistema educativo che aveva conosciuto a Strasburgo, Calvino fondò un'Accademia, vera e propria antesignana della moderna università di Ginevra. Calvino dichiarò — e in parte aveva ragione — di avere un amore naturale per la brevità. Ciononostante, fu uno degli autori più prolifici nella storia della chiesa. La sua produzione sarebbe stata considerevole per uno studioso a pieno tempo — eppure Calvino la realizzò inserendola in un ritmo di vita che avrebbe logorato, come minimo, un paio d'uomini di calibro inferiore al suo. A parte le molte responsabilità che ebbe a Ginevra, Calvino fu senz'altro il più importante leader della rete internazionale di chiese riformate. Le sue lettere possono dare corpo a molti tomi, e l'elenco dei loro destinatari costituirebbe un vero e  proprio annuario dell'Europa della Riforma.
Calvino scrisse molti trattati polemici: numerosi erano quelli indirizzati contro l'Anabattismo. Ma ancor più importanti furono i suoi attacchi al Cattolicesimo romano. Nel 1539, durante l'esilio di Calvino da Ginevra, il cardinale Sadoleto scrisse ai ginevrini esortandoli a ritornare all'ovile romano. La lettera fu fatta pervenire a Calvino, ed egli, in un solo giorno, scrisse una Responsio ad Sudateti epistulam (Risposta a Sadoleto) in latino. Si tratta di una delle sue opere migliori. Fece pubblicare anche gli Atti delle prime sessioni del •Concilio di Trento — accompagnati da un Antidoto. Calvino fu capace di una satira pungente quanto quella di Erasmo, come si può notare nel suo Trattato delle reliquie (lett. Ammonizione in cui si dimostra quanto gioverebbe alla  cristianità un inventario dei corpi e delle reliquie dei santi).
Di nuovo, consideriamo quanti frammenti [della croce] siano sparpagliati qua e là per il globo. La semplice enumerazione di quelli che io ho registrato riempirebbe senz'altro un grosso volume. Non vi è città, per  quanto piccola, che non abbia un frammento, e ciò, non soltanto nella chiesa principale, ma anche nelle chiese parrocchiali. Non vi è abbazia, per quanto povera, che non ne abbia un campione. In alcuni luoghi esistono frammenti più grossi, come a Parigi nella Santa Cappella, o a Poitiers e a Roma, dove si dice che un crocifisso di una certa grandezza sia interamente formato da essi. In breve, se tutti i pezzi rintracciabili fossero radunati insieme, formerebbero un bei carico per una nave, benché l'Evangelo affermi che una sola persona fu in grado di portarla [la croce]. Che sfrontatezza, quindi, riempire tutto il mondo di frammenti che richiederebbero più di trecento uomini per trasportarli!... Non contenti, poi, di imporsi ai rozzi e agli ignoranti, mostrando un pezzo di legno comune come se fosse il legno della croce, essi l'hanno in effetti dichiarato degno di adorazione. Questa dottrina è assolutamente diabolica Trattato delle reliquie
Calvino, pur essendo personalmente contrario, si trovò costretto a scrivere anche contro i luterani. Due pastori luterani, Westphal e Hesshusius, attaccarono la sua dottrina della Cena del Signore, ed egli replicò. Alla fine, abbandonò la controversia con una certa tristezza, perché si considerava un discepolo di *Lutero. Non tutti i trattati di Calvino furono di natura polemica. Uno dei migliori è II piccolo trattato sulla Santa Cena, che espone il suo insegnamento in un modo conciliatorio, come la "via di mezzo" fra Zwingli e Lutero. Per tutto il tempo che rimase a Ginevra, Calvino predicò in maniera costante. Dal 1549 in poi, i suoi sermoni furono stenografati. Un certo numero di essi fu pubblicato durante il xvi secolo; tutti gli altri (che costituivano la parte più numerosa) furono conservati, sempre in forma stenografata, nella biblioteca di Ginevra. Ma, incredibilmente, finirono per essere venduti a peso nel 1805, con il risultato che un buon 75% di essi andò perso! Attualmente sono in fase di pubblicazione quelli che sono rimasti. Calvino scrisse commentari su molti libri della Bibbia — dalla Genesi fino a Giosuè, poi i Salmi, tutti i libri profetici (tranne Ezechiele capp. 21- 48), e tutto il Nuovo Testamento (eccetto II e ili Giovanni e Apocalisse). I commentari di Calvino, spesso basati su sue lezioni o predicazioni precedenti, sono fra i pochissimi libri scritti prima del secolo scorso che abbiano ancora valore per la comprensione del significato del testo (rispetto a quelli che ai nostri giorni potrebbero essere letti più per l'edificazione che per la luce che gettano sul testo biblico). Calvino è l'unico autore in assoluto che appartenga senza ombra di dubbio sia alla categoria dei migliori  teologi sia a quella dei migliori commentatori.
Calvino è meglio noto per la sua opera intitolata Istituzione della religione cristiana  (comunemente chiamata Y Istituzione). Mentre egli era ancora in vita, ve ne furono quattro edizioni principali in latino. La prima fu quella del 1536. La lunghezza della pubblicazione era quella tipica di un libro tascabile: constava di sei capitoli, i primi quattro dei quali seguivano il modello dei catechismi di Lutero. All'ultimo momento, Calvino aggiunse una lunga dedica al rè, Francesco I, che perseguitava gli evangelici francesi tacciandoli di anabattisti. Calvino presentò la sua opera al re come un'apologia o difesa della dottrina evangelica. La seconda edizione, che apparve nel 1539, era tre volte più lunga della prima. Quella successiva, del 1543, non è che fosse molto più lunga, ma rifletteva senz'altro l'influenza di Bucero e del soggiorno di Calvino a Strasburgo. L'edizione definitiva fu quella del 1559 ed era circa cinque volte più lunga della prima. Calvino affermò: "Non mi sentivo soddisfatto finché l'opera non fosse stata sistemata nell'ordine in cui compare ora". Accanto a queste quattro edizioni in lingua latina vi furono delle traduzioni in francese, per lo più fatte da Calvino stesso. L''Istituzione non era un semplice trattato teologico — era una "somma di pietà" (tale era il frontespizio dell'edizione del 1536), in vista  dell'edificazione del popolo francese. Le edizioni in lingua francese sono importanti per la storia dello sviluppo della lingua, dato che nessun'altra opera di un simile spessore era mai apparsa prima in francese.
Qual era lo scopo dell'Istituzione Calvino stesso lo illustrò nella prefazione all'edizione del 1539.  Poiché credeva nella brevità, non volle invischiarsi in lunghe discussioni teologiche nei suoi commentari.
Trattò invece questo tipo di argomenti nell'Istituzione, che è dunque da considerare un ausilio accanto ai commentari e uno strumento di preparazione allo studio della Bibbia stessa. Quando si studia Calvino, è questo il modello che si  dovrebbe seguire. Quando si fa uso dei commentari, si può consultare l'Istituzione per avere indicazioni teologiche; quando si legge l'Istituzione, si possono consultare i commentari (o dei sermoni) per  giungere a una spiegazione più dettagliata dei brani della Scrittura citati.
. Quasi tutta la somma della nostra sapienza, quella che, tutto considerato, merita di essere reputata vera e completa sapienza, si compone di due elementi e consiste nel fatto che, conoscendo Dio, ciascuno di noi conosca anche sé stesso. Del resto, benché questi punti siano vicendevolmente uniti da  olti legami, non è sempre agevole discernere quale preceda e sia causa dell'altro. In primo luogo, infatti, nessuno può guardare a sé stesso senza subito volgere il suo sentimento a Dio, da cui riceve vita e vigore... Questa sventurata rovina in cui ci ha ridotto la rivolta del primo uomo ci costringe a levare in alto gli occhi... Solo turbati dalle nostre miserie ci volgiamo a considerare i beni di Dio, e non possiamo volgerci a lui seriamente, se non dopo aver cominciato a essere insoddisfatti di noi stessi... D'altra parte, è noto che l'uomo non perviene mai alla conoscenza pura di sé stesso fino a quando non abbia contemplato la faccia di Dio e da essa sia sceso a guardare sé stesso. Infatti, a causa dell'orgoglio radicato in noi, ci sentiamo sempre giusti e completi, savi e santi, fin quando non siamo convinti da argomenti evidenti della nostra ingiustizia, impurità, follia e immondezza. Ora, non ne siamo convinti se gettiamo lo sguardo solamente sulle nostre persone e non pensiamo insieme anche a Dio, il quale è la sola regola a cui bisogna confrontare e allineare questo giudizio... E poiché intorno a noi non vi è nulla che non sia coperto e sfigurato da molte macchie, lo spirito ci è chiuso e come limitato dalle profanazioni di questo mondo; di sorta che, quanto non è completamente brutto come il resto, ci piace come se fosse purissimo. Istituzione della religione cristiana 1:1:1-2
E opportuno ricordare quanto abbiamo detto fin qui: Dio, nell'ordinarci mediante la Legge quanto è da fare, ci minaccia, se sgarriamo minimamente, col giudizio della morte eterna e così ci imbriglia come se dovesse saettare sul nostro capo. Se guardiamo a noi stessi e consideriamo solamente quel che abbiamo meritato e di quale condizione siamo degni, non ci rimane neppure un briciolo di speranza: come povera gente respinta da Dio, siamo affranti in dannazione, poiché l'osservare la Legge come richiesto, non solo è per noi difficile, ma oltrepassa le nostre forze e le nostre facoltà. In terzo luogo, abbiamo dichiarato che esiste un solo mezzo per sottrarci a una calamità così disastrosa e trarci fuori: Gesù Cristo essendo il Redentore, per mano del quale il Padre celeste, pietoso verso di noi secondo la sua misericordia infinita, ci ha voluti soccorrere, afferriamoci a questa misericordia con una fede ferma e affidiamoci a essa con una speranza costante per perseverare. Istituzione della religione cristiana 3:2:1
Di fronte al segno visibile occorre dunque saper vedere di quale realtà è rappresentazione e da chi ci è offerto. Il pane ci è dato, unitamente all'ordine di mangiarlo, come raffigurazione del corpo di Gesù Cristo; e a darlo è Dio stesso, verità assoluta e immutabile. Dato che egli non può ingannare ne mentire, ne consegue che realizza tutto ciò che dice. Se dunque nella Cena il Signore ci annuncia visivamente la comunione col corpo e sangue di Gesù Cristo, quello che riceviamo è realmente il corpo e sangue di Cristo. In caso contrario, se cioè non ci desse che pane e vino, noi mangeremmo il pane e berremmo il vino riconoscendo, certo, che il suo corpo e il suo sangue ci sono nutrimento e bevanda, ma la realtà spirituale sarebbe inesistente. Se così fosse, egli avrebbe istituito questo mistero per ingannarci?... Tutti riconosciamo dunque che, quando riceviamo il sacramento nella fede, secondo le indicazioni del Signore, siamo resi partecipi della sostanza del corpo e del sangue di Gesù Cristo. Come questo avvenga è da alcuni più chiaramente percepito e illustrato che da altri. In sintesi, possiamo dire che dobbiamo evitare ogni interpretazione carnale [cioè, la posizione luterana] e perciò innalzare i nostri cuori verso il ciclo e non pensare che il Signore Gesù sia degradato al punto da essere rinchiuso in elementi corruttibili [cioè, "in, con e sotto" il pane e il vino]. D'altra parte, non si deve sminuire l'efficacia di questo mistero e occorre perciò pensare che questo avviene per opera segreta e misteriosa di Dio e che il suo Spirito costituisce il mezzo che rende possibile questa  partecipazione [al corpo e al sangue di Cristo], che definiamo perciò spirituale. Il Piccolo trattato sulla Santa Cena 16,60.
LA TRADIZIONE RIFORMATA
Il Catechismo di Heidelberg (1563)
Nel 1559 il Palatinato, uno degli stati tedeschi, acquisì un nuovo governatore, il principe elettore Federico in, detto "il Pio", il cui desiderio era che in quella regione si diffondesse la fede riformata. A tale scopo, decretò di formulare un catechismo che potesse essere usato sia nelle chiese sia nelle scuole. La stesura fu curata, nel 1562, da diversi teologi dall'università di Heidelberg, e in particolare da Zacharias Ursino e Kaspar deviano (entrambi meno che trentenni). Dopo essere stato approvato dal sinodo di Heidelberg, il catechismo fu pubblicato l'anno successivo. Quello stesso anno fu tradotto anche in latino e in altre lingue. Si tratta in effetti di uno fra i più noti e diffusi catechismi riformati, a proposito del quale è stato anche detto che combina l'intimità di *Lutero con la carità di Zelantone e il fuoco di *Calvino.
Il testo consiste di 129 domande e relative risposte, suddivise in 52 domeniche, in modo che il catechismo potesse essere inserito in un programma annuale. Globalmente, è ripartito in tre sezioni: la miseria dell'uomo, la redenzione, e la gratitudine dell'uomo.
D. 1: In che cosa consiste la tua unica consolazione in vita e in morte?
R.: Nel fatto che col corpo e con l'anima, in vita e in morte, non son più mio, ma appartengo al mio fedel Salvatore Gesù Cristo, il quale col suo prezioso sangue ha pienamente pagato il prezzo di tutti i miei peccati e mi ha redento da ogni potere del diavolo...
Per mezzo del suo santo Spirito egli mi assicura anche la vita eterna e mi rende di tutto cuore volenteroso e pronto a viver d'ora innanzi per lui.
D. 21: Che cos'è la vera fede?
R.: Non è solo una sicura conoscenza, in virtù della quale tengo per vero tutto ciò che Dio ci ha rivelato nella sua Parola, ma è anche l'intima fiducia, prodotta in me dallo Spirito Santo a mezzo dell'Evangelo, che non solo ad altri, ma a me pure è donato da Dio il perdono dei peccati e un'eterna giustizia e salvezza, per pura grazia e solo per i meriti di Cristo.
D. 56: Che cosa credi della «remissione dei peccati»?
R.: Che Dio, in virtù della soddisfazione resa da Cristo [sulla croce], non terrà mai più conto di tutti i miei peccati ne della natura peccaminosa con cui debbo lottare per tutta la vita; ma che mi elargisce per grazia la giustizia di Cristo, perché non abbia mai più a venire in giudizio.
D. 76: Che cosa significa cibarsi del corpo crocifisso di Cristo e bere del suo sangue versato?
R.: Non significa solo accogliere con animo credente tutta la passione e la morte di Cristo, e ottenere per tal modo perdono dei peccati e vita eterna; ma anche, oltre a ciò, esser sempre più uniti col suo corpo benedetto mediante lo Spirito Santo... così da essere carne della sua carne e ossa delle sue ossa, sebbene egli sia in ciclo e noi sulla terra; e cosi da aver vita ed essere governati eternamente da uno Spirito, come le membra del nostro corpo hanno vita e sono governate da un'anima.
D. 78: II pane e il vino [nella Cena del Signore] diventano dunque il vero corpo e sangue di Cristo?
R.: No; ma, come l'acqua del battesimo non si muta nel sangue di Cristo, ne diviene essa stessa lavacro dei peccati, ma ne è solo un segno e un'assicurazione divina — cosi anche il pane consacrato della Santa Cena non diviene il corpo stesso di Cristo, per quanto, secondo la natura e l'uso del sacramento, lo si chiami «corpo di Cristo».
D. 79: Perché dunque Cristo chiama il pane «mio corpo» e il calice «mio sangue» o «nuovo patto nel mio sangue», e S. Paolo li chiama «comunione col corpo e col sangue di Gesù Cristo»?
R.: Cristo parla così non senza gran ragione: cioè, non solo perché vuoi così insegnarci che, come il pane e il vino sostentano la vita temporale, così il suo corpo crocifisso e il suo sangue versato sono vero cibo e bevanda delle anime nostre, in vita eterna; ma più ancora perché vuole assicurarci mediante questo segno e pegno visibile che, per opera dello Spirito Santo, diveniamo veramente partecipi del suo vero corpo e sangue, con la stessa certezza con cui accogliamo materialmente in bocca questi santi segni, in memoria di lui; e che tutta la sua passione e la sua obbedienza son nostre proprie, come se proprio avessimo sofferto e adempiuto noi stessi ogni cosa nella nostra stessa persona.
LA TRADIZIONE RIFORMATA
Giacomo Arminio
La controversia sulla predestinazione
Giacomo Hermandszoon (che latinizzò il suo cognome in Arminio) nacque intorno al 1560 a Oudewater, in Olanda. Dopo una dolorosa giovinezza, funestata da numerosi lutti, Arminio frequentò diverse università, fra cui quelle di Leida e di Ginevra. A Ginevra studiò sotto Teodoro di Beza (il successore di Calvino), dal quale, poco prima di lasciare la città, ricevette una calorosa lettera di raccomandazione. Arminio fece ritorno ad Amsterdam nel 1587 e vi fu ordinato pastore l'anno successivo. Nel 1589 fu interpellato per difendere la dottrina calvinista della  predestinazione dagli attacchi di Dirk Coornhert. Ma, nel considerare le argomentazioni contrarie, Arminio si ritrovò a prendere le parti di Coornhert e, prudentemente, decise di tacere. Di lì a qualche tempo, mentre insegnava la Lettera ai Romani, arrivò a porre in discussione l'interpretazione calvinista dei capitoli 7 e 9. Il che gli aprì le porte della controversia e lo spinse a mettere in discussione la propria ortodossia: una condizione, questa, che sarebbe durata fino alla sua morte. Nel 1602 vi fu un'epidemia di peste, ma Arminio si prese diligentemente cura del suo gregge, nonostante i rischi che correva. Numerosi professori di Leida morirono, e Arminio fu chiamato a colmare uno dei posti vacanti. La sua nomina fu vigorosamente contestata da Francesco Gomar, professore anziano di teologia a Leida e calvinista convinto. Alla fine, Arminio fu scagionato dalle accuse mossegli contro e assunse il suo ufficio nel 1603. Ma Gomar non si diede per vinto, e la controversia continuò fino alla morte di Anninio, avvenuta nel 1609.
Arminio era riluttante a esporre apertamente le proprie convinzioni — probabilmente per paura delle conseguenze. Ben poco della sua produzione vide la stampa prima della sua morte. Tuttavia, le sue convinzioni sulla predestinazione sono chiaramente esposte nella Dichiarazione di sentimenti del 1608.
Vi sono quattro "decreti" da parte di Dio. Primo: Dio decretò di eleggere Gesù Cristo come mediatore per conquistare la salvezza per l'uomo. Secondo: egli decretò di accogliere e di salvare tutti coloro che si sarebbero pentiti e avrebbero creduto in Gesù Cristo, e di rifiutare gli increduli impenitenti. Terzo: Dio decretò di provvedere il mezzo necessario perché l'uomo potesse pentirsi e credere. Quarto: Dio decretò la salvezza di alcuni individui specifici, perché previde che essi  avrebbero creduto e perseverato fino alla fine.
In questo modo, Arminio rifiutava l'idea agostiniana-calvinista dell'elezione incondizionata — cioè, che Dio sceglie o elegge le persone alla salvezza indipendentemente da qualsiasi merito previsto in loro. Ma non ne consegue necessariamente che Arminio avesse un alto concetto delle capacità naturali dell'uomo.
Nel suo stato decaduto e peccaminoso, l'uomo è incapace, da sé stesso, sia di pensare sia di volere sia di fare ciò che è veramente buono. E invece necessario che egli sia rigenerato e rinnovato nella sua mente, nei suoi affetti o nella sua volontà, e in tutte le sue facoltà, da Dio in Cristo attraverso lo Spirito Santo, in modo da poter avere i requisiti necessari per capire, valutare, considerare e compiere ciò che è veramente buono. Dichiarazione di sentimenti
 Ne risulta che perfino il credente rigenerato o nato di nuovo "non può ne concepire ne  compiere alcun bene ne resistere alla malvagia tentazione, senza la grazia [di Dio] che previene [precede] e stimola, segue e coopera". Arminio aveva cura di sottolineare al  massimo la nostra dipendenza dalla grazia di Dio; ma differiva dalla  posizione agostiniana in un punto fondamentale. Certo, noi dipendiamo dalla grazia di Dio, ma questa grazia è accordata in modo tale che stia all'uomo decidere se vorrà accettarla oppure no. La grazia di Dio rende possibile la nostra salvezza, non inevitabile. Pertanto, è l'uomo stesso che fa la scelta finale riguardo alla salvezza. L'elezione e la predestinazione di individui da parte  di Dio sono entrambe basate non sulla sua scelta sovrana, ma sulla sua preconoscenza della nostra scelta. Quindi, mentre per *Agostino e Calvino in ultima analisi è vero che noi scegliamo Dio perché egli ha scelto noi, per Arminio è vero il contrario. Questa materia divide ancora le persone in "arminiani" e "calvinisti".
Difatti, la morte di Arminio non pose assolutamente fine alla  controversia. Anzi, egli si lasciò alle spalle molti seguaci, e nel 1610 quarantasei pastori arminiani si riunirono a Gouda (Olanda) per formulare una Rimostranza, nella quale evidenziarono cinque punti: 
• Dio decise di salvare attraverso Gesù Cristo tutti coloro che, attraverso la grazia dello Spirito Santo, avrebbero creduto in lui e perseverato fino alla fine.
• Gesù Cristo, tramite la sua morte sulla croce, ottenne il perdono dei peccati per tutti, ma solo i credenti lo ricevono.
• L'uomo "caduto", di sua spontanea volontà, non penserà mai nulla che sia veramente buono. È necessario che egli rinasca da Dio, in Cristo, attraverso lo Spirito Santo, per poter fare ciò che è veramente buono.
• Noi non siamo in grado di fare nessun bene, senza che la grazia di Dio ci preceda, ci risvegli, ci segua e cooperi con noi. Ma questa grazia non è irresistibile.
• I veri credenti sono resi capaci, attraverso la grazia, di perseverare  fino alla fine e di essere salvati. Ma non è sicuro se sia possibile, per pigrizia o negligenza, perdere la grazia oppure no. [Arminio stesso non prese posizione su questo punto.Di solito, fra gli arminiani, vi è stata la tendenza ad asserire che siapossibile scadere dalla grazia e perdere la salvezza, risultando ciò più coerente con il desiderio di dare all'uomo la possibilità della scelta finale in rapporto alla sua  salvezza.]
A causa della Rimostranza, gli arminiani furono anche chiamati "rimostranti". La controversia continuò a infuriare finché il *Sinodo di Dordrecht non confutò i cinque punti della Rimostranza.
LA TRADIZIONE RIFORMATA
Il Sinodo di Dordrecht
(1618-1619)
La controversia riguardo all'insegnamento di *Arminio coinvolse in Olanda anche fazioni politiche rivali. Il pericolo di una guerra civile era reale. Dopo una non piccola lotta, la fazione  "controrimostrante" riuscì a far convocare nel 1618 un Sinodo a Dordrecht (Dort). Il Sinodo non fu semplicemente nazionale — vi parteciparono anche delegazioni provenienti dall'Inghilterra,  dagli stati riformati della Germania, dalla Svizzera e da Ginevra [che ancora non faceva parte della Svizzera]. Dalla chiesa riformata francese [gli ugonotti], a cui il rè. Luigi XIII, non aveva permesso di partecipare al Sinodo, l'approvazione delle decisioni sinodali arrivò solo in un secondo tempo.
La Rimostranza fu rifiutata all'unanimità, e il Sinodo, in risposta, elaborò i cosiddetti "canoni di Dordrecht". Le repliche ai cinque punti della Rimostranza sono suddivise in cinque sezioni — la terza e la quarta sono unite fra di loro,  perché il terzo punto della Rimostranza era. stato considerato ortodosso. I canoni furono firmati da tutti i mèmbri del sinodo. [Fra i firmatari vi era anche *Giovanni Diodati, autorevole traduttore della Bibbia in italiano, all'epoca professore di teologia e pastore a Ginevra— N.d. R]  
L'elezione è il proposito immutabile di Dio secondo il quale, mediante la liberissima scelta della sua volontà, per pura grazia, egli ha, in Gesù Cristo, eletto alla salvezza prima della fondazione del mondo, fra tutto il genere umano caduto per propria colpa  dalla sua iniziale integrità al peccato e alla perdizione, una certa quantità di uomini, ne migliori ne più degni degli altri, anzi che giacevano anch 'essi in una medesima miseria. Questo stesso Cristo, Dio pure l'ha costituito da ogni  eternità mediatore e capo di tutti gli eletti, e fondamento della salvezza. Canone 1:7
Tale è stato il liberìssimo parere, nonché il favorevole volere e l'intenzione di Dio Padre: che l'efficacia vivificante e salutare della morte preziosissima di suo Figlio si estendesse a tutti gli eletti, per dare a essi soli la fede che giustifica e, tramite  essa, attrarli irresistibilmente alla salvezza. In altro modo. Dio ha voluto che Gesù Cristo, mediante il sangue della croce...  riscattasse efficacemente... tutti coloro — e solo essi — che da ogni eternità sono stati eletti alla salvezza. Canone 2:8
Tutti gli uomini sono perciò concepiti nel peccato e nascono figli di collera, incapaci di ogni bene salutare, propensi al male, morti nel peccato e schiavi del peccato. Senza la grazia rigeneratrice dello Spirito Santo non vogliono ne possono tornare a Dio, ne correggere la loro natura depravata e nemmeno portarvi un miglioramento. Canone 3/4:3
Quando Dio mette in opera il suo volere negli eletti, o quando li converte, non solo vigila perché l'Evangelo sia loro predicato esternamente e illumina potentemente il loro intendimento mediante lo Spirito Santo... Con l'efficacia di questo stesso Spirito di rigenerazione, penetra fino all'essenza dell'uomo, apre il cuore chiuso, ammorbidisce quello che è duro, lo circoncide, introduce nuove qualità nella volontà e fa che questa volontà da morta diventi vivente, da cattiva buona, da schiava libera, da ostinata obbediente. Ed egli lavora in questa volontà, la fortifica, affinchè, come un buon albero, possa produrre buoni  frutti. Canone 314:11
A causa di quel che rimane del peccato dimorante [in loro] e delle tentazioni del mondo e di Satana, quelli che sono convertiti non potrebbero resistere in questo stato di grazia se fossero lasciati alle loro sole forze. Ma Dio è fedele, li conferma misericordiosamente nella  grazia che ha conferito loro una volta e li conserva con potenza fino alla fine. Canone 5:3
I punti trattati negli stralci succitati furono successivamente conosciuti come "i cinque punti del Calvinismo".
Depravazione totale. Questa è un'espressione infelice, perché da l'impressione che tutti siano al massimo livello di depravazione possibile. A parte che ciò è manifestamente falso, tale dottrina è chiaramente rinnegata dagli stessi canoni di Dordrecht. L'espressione "depravazione totale"  dev'essere intesa nel senso che ogni parte dell'uomo è intaccata dalla caduta e che egli non può fare nessun passo verso Dio senza la sua grazia.
Elezione incondizionata. Noi scegliamo Dio perché egli ci ha scelti per primo. Questo è il punto cruciale  del dissenso fra la tradizione arminiana e quella agostiniana/calvinista.
Espiazione limitata. Pur essendo la morte di Gesù Cristo più che sufficiente per espiare i peccati di tutti, il proposito di Dio nell'offrire suo Figlio non era semplicemente di rendere possibile la salvezza di tutti, ma di salvare effettivamente e infallibilmente soltanto gli eletti. Tale dottrina, che fu spiegata e commentata ampiamente da John Owen, è estranea a Calvino stesso e non ha mai incontrato il consenso di tutti i calvinisti. Anzi, non è accettato da nessuna scuola di pensiero a parte quella riformata.
Grazia irresistìbile. La grazia di Dio opera negli eletti in modo tale da garantire che essi vi corrispondano. L'effetto di questa grazia non è  quello di annullare la volontà, ma  quello di sollecitare una risposta  favorevole. Il peccatore la trova  irresistibile nello stesso modo in cui  un giovane può trovare "irresistibile"  il fascino di una ragazza.
Perseveranza dei santi. Quelli che sono veramente convertiti saranno sicuramente salvati — non a prescindere dal loro modo di vivere, ma perché Dio li preserverà dal voltargli le spalle alla fine.
LA TRADIZIONE RIFORMATA
Jonathan Edwards
II filosofo revivalista
Jonathan Edwards nacque nel 1703 a East Windsor (Connecticut, USA). Nel 1716 iniziò a frequentare l'università di Yale come studente; più tardi ne divenne un docente. Pur essendo stato religioso fin dalla sua giovinezza, Edwards ebbe  un'esperienza di conversione attorno ai  ent'anni, che lo portò a capire più a fondo la sovranità e la grazia di Dio. Nel 1727, subentrando a suo nonno, Solomon Stoddard, Edwards divenne pastore della Chiesa Congregazionalista di Northampton, nel Massachusetts. Durante la sua  permanenza a Northampton, la congregazione sperimentò un periodo di risveglio — nel 1734-1735 come risultato dalla sua stessa predicazione; a partire dal 1740 come conseguenza del ministero di George Whitefield nel New England. Ma il rapporto fra Edwards e la sua comunità non fu affatto soddisfacente. Egli cercò di restringere i requisiti per diventarne mèmbri, cosa che invece suo nonno aveva allentato, ma finì per essere licenziato dalla sua congregazione nel 1750. L'anno successivo si recò a Stockbridge per lavorare come missionario fra gli indiani; nel contempo iniziò a scrivere diverse delle sue opere più importanti. Nel 1757 fu invitato a diventare rettore del College del New Jersey (oggi Università di Princeton); pur con una certa riluttanza, Edwards accettò l'invito. Al suo arrivo, nel 1758, a causa di un'epidemia locale, dovette essere vaccinato contro il vaiolo, ma di lì a poco morì a motivo degli effetti collaterali del vaccino.
Jonathan Edwards era un difensore, ma anche un critico attento, dei  "risvegli" del suo tempo. Il suo famoso sermone intitolato Peccatori nelle mani di un Dio in collera, con cui sottolineava in maniera particolare l'aspetto dell'ira di Dio, contribuì senz'altro a generare la scintilla che fece "scoppiare" il risveglio.
// Dio che ti tiene sospeso sulla voragine dell'inferno, proprio come si tiene un ragno o un qualche odioso insetto in sospeso sul fuoco, ti aborrisce ed è tremendamente irritato. La sua collera nei tuoi confronti arde come il fuoco; egli non ti considera degno d'altro se non di essere gettato nel fuoco. Dio ha occhi troppo puri per poterti guardare; ai suoi occhi, tu sei diecimila volte più abominevole di quanto lo sia, ai nostri, il più odioso serpente velenoso. Tu l'hai offeso infinitamente più di quanto abbia mai fatto un qualsiasi ostinato ribelle nei confronti del suo principe — eppure è proprio la sua mano che ti trattiene dal cadere nel fuoco in qualsiasi momento.
Nel 1737 egli scrisse Una narrativa personale, un'opera in cui descrive gli effetti del precedente risveglio. Ma, via via che il tempo passava, Edwards  scoprì che non tutte le "conversioni" che erano avvenute durante il risveglio erano sincere — alcuni di  coloro che avevano rivelato di essersi convertiti, tornavano ben presto al loro vecchio e malvagio modo di vivere. Ciò spinse Edwards a scrivere, nel 1746, i Sentimenti religiosi, un libro con cui prese in esame la natura della vera religione. Contro chi si oppone razionalisticamente ai risvegli, egli sostiene che la vera religione ha sede non nella mente, ma nei "sentimenti" (il cuore, le emozioni, la volontà). Contro i sostenitori acritici dei risvegli, invece, egli rileva che non tutti i sentimenti religiosi costituiscono una prova della grazia di Dio. Essi possono essere ardenti o provocare un cambiamento esteriore; possono dare origine a una certa fiducia in Dio o produrre testimonianze commoventi — eppure tutto ciò può avvenire senza che vi sia  un reale cambiamento di cuore. Il libro di Edwards ha molto da dire anche riguardo alle questioni sollevate dal moderno  movimento carismatico". Egli concorda sinceramente con una "religione del cuore" sentita e provata, ma lancia anche un forte avvertimento contro il pericolo di farsi sviare da un'emotività superficiale.
Come nelle cose del mondo i sentimenti mondani costituiscono in gran parte la fonte degli impulsi e delle azioni degli uomini, così nelle questioni religiose la fonte delle azioni umane è costituita in larga misura dai sentimenti religiosi. Chi ha soltanto una conoscenza e una teoria di tipo dottrinale, ma è privo di sentimenti, non sarà mai veramente coinvolto nelle  questioni religiose. E più che evidente, in effetti, che le questioni religiose non prendono l'animo umano più di quanto riescano a influenzarlo... Oso anzi affermare che non si è mai verificato un considerevole mutamento nella mente o nella condotta di una persona mediante qualcosa di natura religiosa che sia stato letto, udito o visto, senza che la persona stessa ne fosse rimasta toccata nei sentimenti... In altri termini, non è mai avvenuto nulla di notevole nel cuore o nella vita  di una persona vivente, attraverso le cose religiose, senza che il suo cuore non ne rimanesse toccato in modo profondo.Sentimenti religiosi 1:2
Jonathan Edwards fu un convinto oppositore dell'arminianesimo. Verso la fine della sua vita, scrisse un'Apologià della dottrina cristiana del peccato originale. Ma la sua opera più nota è senz'altro quella intitolata Libertà della volontà, pubblicata nel 1754. Edwards accetta il "libero arbitrio" in un senso molto ristretto — noi siamo liberi di agire come vogliamo, ma ciò che scegliamo è determinato dai moventi più seri che ci si presentano, o dall'apparente bene maggiore. L'uomo caduto è moralmente impotente — ciò che gli manca non è la capacità di fare il bene. ma la volontà o il desiderio di farlo. Edwards, che soprattutto in virtù di quest'opera è stato considerato il maggior filosofo americano, fu anche il padre della 'Teologia del New England" — della quale un illustre esponente fu il figlio, Jonathan Edwards junior (1745-1801), e dalla quale, con l'andar del tempo, prese  forma la 'Teologia di New Haven", secondo l'esposizione che ne fece Charles Finney.
LA RIFORMA IN ITALIA
(a cura del Prof. Pietro Bolognesi)
Anziché parlare di Riforma in Italia, bisognerebbe parlare di antiriforma, nel senso che in Italia non si produsse quel fenomeno di rinnovamento religioso e sociale che si registrò in altri Paesi, bensì una reazione volta alla conservazione. I motivi per cui la Riforma non si verificò furono senz'altro numerosi, ma ciò non significa che l'Italia fosse rimasta estranea ai fermenti di rinnovamento che si andavano affermando un po' dovunque in Europa. La storiografia recente è ormai in grado di documentare tutto un fiorire di reazioni alla religiosità cattolica dominante, che si esprimevano attraverso le conversazioni private, la predicazione (anche se talvolta "mascarata"), la stampa di testi in lingua volgare, la circolazione di libri. Nel XVI secolo, il bisogno di salvezza e di rinnovamento toccò un po' tutte le regioni italiane e tutti i ceti sociali, a cui appartenevano donne e uomini, umili e illustri, ansiosi di veder risplendere la luce dell'Evangelo. Tra i fattori che contribuirono a soffocare la Riforma in Italia si possono evocare: la presenza oppressiva dell'Impero spagnolo, che, come un rullo compressore, imponeva la civiltà cattolica a gran parte del mondo e all'Italia; la volontà di autoconservazione dei vari principati repubbliche allora esistenti sul territorio italiano, che li rendeva estremamente guardinghi e timorosi di ogni possibile cambiamento; l'incapacità dell'aristocrazia di sottrarsi agli interessi del proprio "particulare" ("Se non fosse stato per lo mio particulare, io mi sarei stato con Martino Lutero per liberare l'Italia dalla tirannide di questi scellerati preti" — Francesco Guicciardini); la situazione culturale, che, a differenza di altri Paesi europei, aveva visto l'affermarsi dell'umanesimo non in concomitanza con la Riforma, ma prima di essa, e registrava quindi una sua autonomia; la confusione dottrinale, che doveva registrare, accanto alla presenza riformata vera e propria, anche tendenze spiritualistiche, radicali ed ereticali, senza possibilità di chiarificazione; infine, l’azione repressiva della Controriforma. Tutti questi elementi contribuirono a smorzare sul nascere un movimento di ampia portata e a riversare in altri Paesi europei importanti energie di spiritualità e di ingegno. Viene da chiedersi se gli atteggiamenti che ancor oggi si continuano a registrare in Italia in merito alle questioni di fede non siano in parte collegabili ai fattori che impedirono la Riforma nel Cinquecento. L'attenzione sembra infatti destarsi solo quando sono toccate questioni formali, mentre, per quelle di sostanza, sembra prevalere una certa reticenza.
In ogni caso, nel Cinquecento, migliaia di persone dovettero pagare con la propria vita la fedeltà all'Evangelo. I rigidi controlli, il fenomeno del «nicodemismo» [tendenza a voler tenere nascosta la fede, per timore del martirio o dell'esilio —N.d.R.], gli spietati processi, le condanne esemplari e i martiri riuscirono a stroncare il movimento della Riforma in Italia, anche se non impedirono a molte persone toccate dal messaggio evangelico di contribuire in maniera notevole allo sviluppo dell'Europa. Furono infatti molte le personalità che dovettero rifugiarsi all'estero, per non perdere la vita, e che trovarono in altri Paesi il modo per contribuire alla crescita del movimento riformato a livello europeo. Una celebre incisione olandese del xvn secolo raffigura, attorno a un tavolo su cui si trova un candeliere, coloro che hanno contribuito alla Riforma del secolo precedente. Tale incisione è interessante non solo per i vari spunti che offre sui collegamenti tra i Riformatori, ma anche perché colloca, proprio a ridosso di *Lutero e *Calvino, Pietro Martire Vermigli e Girolamo Zanchi. In maniera plastica è suggerito quindi il contributo non indifferente dato dagli italiani alla causa riformata europea.
Certamente, il movimento di Riforma era stato preparato da tempo per mezzo di uomini come Pietro Valdo o di movimenti anche all'interno del Cattolicesimo, ma il XVI secolo segnò una svolta unica nella storia dell'Europa, e vale la pena accennare al contributo italiano. Il numero dei personaggi che possono essere associati alla Riforma e il materiale oggi a disposizione sono tali da rendere inimmaginabile una semplice rassegna nei limiti di un capitoletto; tuttavia, in linea con l'impostazione divulgativa di quest'opera, si cercherà di ricordare per sommi capi alcuni di questi personaggi.
Bernardino Ochino (1487-1564)
II predicatore cappuccino
Verso la fine del 1542, soltanto sei anni dopo l'adozione della Riforma a Ginevra, si poteva ascoltare la prima predicazione in lingua italiana a Ginevra. Chi era il predicatore? Bernardino Ochino. Egli era un francescano, diventato poi Generale dei Cappuccini, considerato da tutti un eccellente predicatore. Venuto in contatto con le idee della Riforma per mezzo del circolo di Juan de Valdés a Napoli (1536), Ochino cominciò a sottolineare con sempre maggiore insistenza il "beneficio di Cristo" nelle proprie predicazioni. Più tardi, scrivendo a Vittoria Colonna (1542), dichiarava di aver predicato "Christo mascarato in gergo". Ma una tale predicazione non poteva essere ignorata dall'Inquisizione, che cominciò a nutrire forti sospetti sul suo conto.
A 56 anni, Ochino fuggì dunque dall'Italia e fu accolto da Calvino a Ginevra, dove si occupò della chiesa italiana che si andava formando nella città. Calvino si rese conto che la predicazione di Ochino, accanto a inequivocabili affinità con il messaggio riformato (attribuibili anche all'impostazione francescana), comportava pure particolari sfumature, ma si mostrò aperto a tali diversità. Dopo tré anni di permanenza a Ginevra, Ochino cominciò un ministero itinerante che l'avrebbe portato a Basilea, ad Augusta, a Strasburgo, a Londra  (1547-1553), in Polonia e in Moravia. Fu proprio in questa regione che egli morì in casa di un anabattista italiano.
In conspecto di Dio adunque non vedo altre satisfactioni che quelle di Christo, ne altre indulgentie se no' quelle che per lui haviamo; et solamente in Christo vedo esser purgati li peccati de' suoi electi et pienissimamente... Credo anco et confesso che tutti li electi si salvano per Christo et per mera grana et non per alchuna opera loro: ne in tutto, ne imparte. Et credere cosi è l'unica fede per la quale li veri et boni christiani sonno differenti da tutte le altre false fedi, religioni et sette. Et in più credo et confesso questo essere l'unico et vero evangelio di Dio. Epistola di Bernardino Ochino alii  molto magnifici Signori... di Siena, 1543
Pier Paolo Vergerio (1498-1565)
(vescovo di Cristo)
Nato a Capodistria, Vergerio si laureò in legge all'Università di Padova, dove ebbe per  compagni Pietro Martire Vermigli, Marco Antonio Flaminio e Pietro Bembo. Iniziò un lungo itinerario di ricerca, che doveva portarlo ad abbracciare la fede riformata. Ciò non avvenne però in maniera spettacolare, come in altri casi, ma si andò precisando un po' alla volta, probabilmente anche a causa delle responsabilità che avevano portato Vergerio a diventare vescovo di  Capodistria. Come ebbe egli stesso a ricordare, fu Cristo a guarire la sua cecità in modi diversi, e non è illecito pensare che la sua conversione sia avvenuta in maniera graduale. Dopo il suo incontro padovano con Francesco Spierà, di cui descrisse in seguito la dolorosa vicenda, Vergerio ruppe gli indugi e  decise di prendere posizione in maniera decisa. L'alternativa era chiara: il martirio o l'esilio. Scelse  quest'ultima. Nei suoi Trattatela cercò anche di giustificare tale scelta davanti ai suoi connazionali, ma certamente non si possono ignorare gli interessi politici della Repubblica veneziana, che contribuirono a relativizzare quelli religiosi.
Vergerio decise di stabilirsi nei Grigioni, nel sud della Svizzera. Da lì continuò la sua attività editoriale e la sua polemica antiromana. Con veemenza cercò di contribuire al rinnovamento della chiesa. Emblematica della sua azione di riformatore, fu una delle sue predicazioni contro l'idolatria a Casaccia sopra Vicosoprano. I suoi ascoltatori furono talmente colpiti dalla sua parola che distrussero e  dispersero le statue e le reliquie che si trovavano in quella chiesa, perché essa fosse restituita all'autentico culto evangelico. Vergerio rimase una figura controversa, ma non certo insignificante. Sicuramente, non era più vescovo di Capodistria, bensì "vescovo di Cristo".
Or quando prima io cominciai aprire questi occhi, e essere alla conditione di colui il quale non poteva discemere, ma giudicava che gli huomeni fussero arbori, mi puosi a scrivere alcune casette, et questo fu già tré o quattro anni. Quando poi cominciai a vedere un poco meglio che fu (per grazia di Dio) nell'anno passato quando hebbi alle spali le persecutioni de farisei... Et in fine le terze ho scritto dopo che è piaciuto al signore che fuggito dalle insidie et rabbie di coloro io mi son ritirato in questi luochi, e in queste  fortezze, et rocche secare dove si è ridotto Christo col suo Evangelio.Dodici trattatelli, cc. A2r-A4r.
Pietro Martire Vermigli (1499-1562)
Il pastore del popolo
A Lucca, nella chiesa di San Frediano, si può ancor oggi vedere il pulpito sul quale predicò Pietro Martire Vermigli. A condurlo alla conversione furono lo studio e l'insegnamento della Scrittura a cui egli si era dedicato con grande impegno. La sua formazione, iniziata a Fiesole con la filologia e gli studi umanistici, proseguì a Padova (1517- 1526) e a Bologna con lo studio dell'ebraico. Fu quindi a Napoli, dove divenne abate di San Pietro ad Arame contribuì allo  sviluppo di una comunità pervasa da elementi umanistici, un po' nicodemita per i tempi che correvano, ma senz'altro orientata in senso riformato. Si stabilì quindi a Lucca, dove divenne priore nel convento di San Frediano (1541),  nella speranza di dar corpo ai fermenti religiosi esistenti. Con il suo insegnamento. Vermigli toccò non oltanto le persone più colte, ma  anche l'ambiente popolare, dando ampio spazio al valore della morte di Cristo e alla giustificazione.
Invitato a comparire davanti al Capitolo generale del suo Ordine, e consapevole dei pericoli suscitati dalla sua predicazione, si ridusse anch'egli, per "non voler predicare il falso ne ingannare il Populo", a fuggire all'estero. Svolse un fecondo ministero a Strasburgo, quindi a Oxford, dove divenne professore di teologia. Il ristabilimento della religione romana l'obbligò a ritornare a Strasburgo e quindi a Zurigo. Partito da uno sfondo luterano-zwingliano, Vermigli si avvicinò sempre di più a uno sfondo zwingliano-calvinista e diede un considerevole contributo all'affermazione della Riforma.
Alla persona mia hanno fatto necessario il partire tanti rumori levati a Lucca e a Roma contro la verità; si fussi rimasto mi bisognava al tutto o predicar contro il vero, il che mai non avrei fatto, se mille vite mifussero ite, ovvero saria incappato nelle mani de' persecutori dello Evangelo... Di me poi che si sia non accade cercare, e se pur volete intendere in che loco sono, vi fo sapere che con Cristo sono in croce avendo abnegato per la verità evangelica tanti onori, dignità, servitù e commodi quanti sapete che io avevo già conseguiti, quando tanto non mi fussi curato di ritenere e difendere la  verità cristiana. Lettera ai canonici di San Frediano a Lucca, 1542.
Girolamo Zanchi (1516-1590)
L'umanista riformato
Nacque ad Alzano, presso Bergamo, da una famiglia agiata e fu avviato agli studi umanistici, prima di entrare nel convento degli agostiniani. Si recò quindi a Lucca (1541), dove seguì l'insegnamento di Vermigli e si convertì alle nuove idee che si andavano diffondendo anche attraverso gli scritti dei vari Riformatori d'Oltralpe. "Per motivi di coscienza" e con grande dolore, prese la risoluzione di lasciare l'Italia (1551) e soggiornò nei Grigioni e a Ginevra, dove potè migliorare la propria preparazione teologica. Accettò quindi di insegnare Antico Testamento a Strasburgo (1553-1563) e, dopo un ministero pastorale a Chiavenna (1563-1568), insegnò dogmatica a Heidelberg (1568-1576) e Nuovo Testamento a Neustadt (1576-1590).
Le sue opere, raccolte in otto volumi, costituiscono una testimonianza della sua notevolissima erudizione e gli valsero l'appellativo di "Cicerone della Germania". Egli mise infatti al servizio della Riforma un'enorme cultura con cui si sforzò di illustrare una certa continuità di pensiero fra la Riforma e il passato. Al rigore teologico, che lo induceva a sottolineare la necessità di sottomettersi alla sola Scrittura interpretata sinceramente e fedelmente, Zanchi associava un atteggiamento di grande moderazione e tolleranza. Anche se la sua teologia può essere collegata al filone zwingliano-calvinista, egli cercò sempre di allontanare i rischi di un irrigidimento confessionale, nella costante speranza di una ricomposizione dell'unità della chiesa per mezzo dell'amichevole confronto dottrinale.
Mi si chiama zuingliano o calvinista. Come non sono luterano, ne voglio esserlo, così del pari, se qualcuno mi chiama col nome di Zuinglio o di Calvino o con qualunque altro nome settario, io nego d'esserlo, sebbene di  Luterò, di Zuinglio e di Calvino e di altri dotti uomini io abbia avuto in passato ed abbia al presente una grande stima. E questo per una sola causa e cioè che la dottrina che io ho ricevuto da Cristo, questi uomini interpretarono sinceramente e lucidamente. Sono pertanto un cristiano, ma non un settario. Operum theologicorum, t. VIII, 2
Giovanni Diodati (1576-1649)
// teologo traduttore
Nato a Ginevra, ma di origine lucchese, a soli ventun anni (1597) fu chiamato alla cattedra di ebraico all'Accademia di Ginevra e, due anni dopo, a quella di teologia, che avrebbe mantenuto per quarantasei anni. Il suo impegno aiutò a ridare un certo lustro all'Accademia, che era stata compromessa da interessi personali. Al Sinodo di Dordrecht (1618-1619) rappresentò Ginevra e contribuì in maniera notevole  all'affermazione dell'ortodossia contro le tendenze al compromesso.
Anche come pastore della chiesa di lingua italiana a Ginevra, Diodati cercò di rimanere sempre in contatto con la patria italiana. S'interessò alle vicende di Venezia e intervenne personalmente, sotto false spoglie, per favorire l'adesione alla Riforma. Perché essa si realizzasse. Diodati  preparò lo strumento fondamentale:  la Bibbia in lingua italiana. Pronta nel 1603, essa fu però stampata soltanto nel 1607. Nel 1641 Diodati realizzò una seconda edizione, caratterizzata da uno stile più scorrevole e un formato più grande, e dotata di molte note a pie di pagina (che però, per ordine del Parlamento, furono pubblicate a parte, in inglese, nel 1642, e giunsero in soli due anni alla quarta edizione!). Si trattò di un'impresa non indifferente, che mirava alla chiarezza e alla fedeltà al testo originale.
Ho cercato con tutto il mio potere e con la maggiore integrità di coscienza possibile, aprire ai nostri italiani la porta della conoscenza della verità celeste. Il nostro Signore che mi ha miracolosamente preparato e fortificato in quest'opera, voglia farla fruttare per la sua benedizione, perché è solo ad essa che io rapporto la perfezione della mia opera e da essa sola spero il frutto della sua gloria e della salvezza dei suoi, che è e rimarrà sempre l'unico scopo per cui attraverso la sua grazia farò tutte le mie azioni. Lettera al Presidente del Parlamento di Parigi, 1605
Francesco Turrettini (162:3-1687)
// teologo italiano
Turrettini nacque nel 1623. Fece parte di quel consistente numero di lucchesi che da tempo si erano trasferiti a Ginevra per sfuggire alla reazione cattolica. Nipote di Giovanni Diodati, ebbe il privilegio di una formazione raffinata, che gli permise di essere in contatto con i maggiori centri teologici dell'Europa  del suo tempo. Fu pastore della chiesa di lingua italiana di Ginevra e quindi professore  dell'Accademia, dove rivestì anche la carica di rettore. Con il suo ministero dottorale, Turrettini contribuì a contenere gli slittamenti causati dalle prime tendenze di liberalismo teologico che si andavano diffondendo tramite la scuola di Saumur, e svolse un ruolo considerevole nella redazione della Formula consensus, che doveva  servire a mantenere le varie scuole teologiche nella scia di quello che era stato il pensiero della Riforma. Fu autore di una teologia dogmatica.   Institutio Theologice elenctictica, che avrebbe esercitato una vasta influenza non solo in Europa, ma anche in America. Essa, dopo aver conosciuto fino al secolo scorso numerose edizioni in latino, è ora in fase di  pubblicazione in versione inglese.
Turrettini è importante, perché rappresenta un anello di congiunzione fra il mondo della Riforma del xvi secolo e quello che, più tardi, si sarebbe affermato comeil pensiero evangelico. Turrettini predicava e scriveva presso il lago Lemano, ma pensava in italiano.
La parola teologia fra i cristiani vieneadoperata in significati parziali, con riferimento a colui che ne è l'autore, quando cioè suona come parola di Dio, o a colui che ne è l'oggetto, quando è intesa come discorso intorno a Dio. Viene invece usata nel suo significato pieno e completo quandodesigna ambedue i concetti (parola diDio e parola su Dio), i quali devono fondersi poiché non possiamo parlare di Dio senza Dio. Teologia viene così a designare la dottrina che originariamente proviene da Dio, aggettivamente tratta di Dio, Ideologicamente conduce a Dio, il che felicemente esprime Tommaso: "La teologia è insegnata da Dio, insegna Dio, conduce a Dio". Così, l'uso di codesto nome comprende il duplice principio della teologia: il primo, dell'essere, che è Dio; il secondo, del conoscere, che è il Verbo di lui. Institutio Theologice elencticae, 1685.