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STORIA DELLA CHIESA

LE RIFORME

Storia della Riforma e Controriforma nelle valli meridionali del Canton Grigioni
Introduzione
Situazione geografica delle quattro valli meridionali: Mesolcina, Calanca, Bregaglia e Poschiavo.
Situazione religiosa prima della Riforma
Condizioni politiche che prepararono il mutamento religioso.
L'inizio della Riforma in Italia e nelle regioni soggette ai Grigioni
La Riforma nelle valli di Poschiavo, Bregaglia e Mesolcina
La Riforma nella valle di Poschiavo
La Riforma in Val Bregaglia
La Riforma in Mesolcina
La Controriforma
Introduzione
La Controriforma in Mesolcina e Calanca
La Controriforma nella Valtellina e nel Contado di Chiavenna
La Controriforma nella valle di Poschiavo
La Controriforma in Val Bregaglia
1.1 Situazione geografica
Le particolari condizioni geografiche, ecclesiastiche e politiche non furono senza effetto nelle quattro valli meridionali al momento della Riforma. Il fatto che la Bregaglia e Poschiavo si aprono verso l'Italia, e la Mesolcina e Calanca verso il Ticino, che appartiene linguisticamente all'Italia, ha senza dubbio avuto un'importanza decisiva nella loro sorte: lo dimostra l'affermazione del prete poschiavino Paolo Beccaria, immediatamente anteriore al massacro di Poschiavo del 1623, secondo la quale la valle di Poschiavo è una parte dell'Italia ed egli per questo aveva ricevuto l'incarico da Roma di ripulirla dall'eresia.
Le quattro valli meridionali giacciono tutte a sud del baluardo alpino: i loro pascoli e alpeggi si spingono a nord tra le rupi ed i ghiacci del Bernina, Piz Cambrena e Piz Palù, del Settimo, del Maloggia e del Lunghino, della Margna e nel massiccio dell'Albula ricco di ghiacciai. A sud le saluta il cielo azzurro d'Italia, e invece di pascoli e di alpeggi, vi trovi prati e campi, invece di rose alpine e di genziane, ammiri castagni e vigneti.
Durante l'inverno i passi che congiungono le valli con le Tre Leghe erano quasi impraticabili ed anche durante l'estate erano malfamati a causa di pericoli di ogni sorta. Vergerio, il Riformatore della Bregaglia, che nel settembre del 1550 dalla Svizzera Bassa si portava a Vicosoprano, si lagna che nelle Alpi (ed allude certamente al valico del Settimo) avesse incontrato grave pericolo poiché era rimasto quasi sepolto in una massa insolita di neve che ostruiva la via. Sererhard, che per recarsi ai sinodi ed in altre occasioni ebbe ad attraversare il Bernina ed il Maloggia, racconta che il sentiero, il quale dal passo del Bernina discende verso Cavaglia, già stretto e malagevole, ad un certo punto attraversa presso Cavaglia un burrone per mezzo di un ponticello dal quale non si può fare a meno di guardare con spavento il fondo del torrente. Lo stesso autore non mostra un'impressione migliore per il valico che conduce nella Mesolcina. Dal villaggio di Hinterrhein una strada porta in due ore lungo le scoscese pendici del monte al giogo di S. Bernardino: estate ed inverno viene tenuta aperta, ma in inverno è più pericolosa a causa delle valanghe.
Se udremo più tardi che degli Italiani portarono il puro Evangelo alle valli meridionali, dovremo pensare chi vi hanno contribuito le particolari condizioni delle vie di comunicazione assieme ad altri importanti motivi.
La particolarità geografica delle quattro valli è finemente simboleggiata dallo stemma di Poschiavo: due chiavi unite da una catenella. La spiegazione comune indica in una chiave la porta di Germania, nella altra quella d'Italia.
Simile alla posizione del passo del Bernina è anche quella del Giulia, del Maloggia, del Settimo e del S. Bernardino.
1.2 Situazione religiosa prima della Riforma
Dal punto di vista della storia ecclesiastica, le tre valli (calcolando come una sola la Calanca con la Mesolcina) non hanno nessuna sorte comune: Si suppone generalmente che il Cristianesimo vi sia stato introdotto dal sud, ma si ignora come, quando, da chi ed in quali circostanze. Nella Bregaglia tale fatto viene messo in relazione con S. Gaudenzio, intorno al quale la leggenda è fiorita assai, ma di cui non sono stati tramandati fatti storici degni di fede. Delle sue reliquie e della chiesa a lui consacrata verremo a sapere qualche cosa di più preciso quando tratteremo ì della conversione di Casaccia alla nuova fede.
La tradizione narra che la Mesolcina ebbe presto la sua fede cristiana in dono dalla Italia.
Nelle due valli è provato che si trovassero a metà del secolo XVI tre chiese: la chiesa di S. Croce sul comune di S. Vittore nella Bassa Mesolcina, la Madonna del Castello a S. Maria di Mesocco, nella Mesolcina Alta, e S. Maria in Calanca. Quali chiese più antiche della valle di Poschiavo figurano S. Pietro e l'odierna chiesa della Collegiata, S. Vittore S. Pietro deve aver servito quale prima chiesa della valle. Le chiese più antiche della Bregaglia sono Nossa Donna di Castromuro fra Sopra- e Sotto-Porta, e S. Gaudenzio presso Casaccia, di cui si fa menzione rispettivamente nel 10° e 9° secolo: naturalmente la prima testimonianza documentata non coincide con la data di costruzione e l'età di queste chiese è da ritenersi più antica.
Col crescere della popolazione e col continuo propagarsi del Cristianesimo, si accrebbe anche il numero delle chiese Al tempo dei Carolingi venne fabbricata a Roveredo in Mesolcina la chiesa consacrata a S. Giorgio. Intorno al secolo 12° sorsero a S. Vittore la chiesa di S. Lorenzo e . nella Calanca Superiore un tempio in onore di S. Domenica. Nel 1219, Enrico de Sax, signore del cartello di Mesocco, fondò in S. Vittore la Collegiata di S. Giovanni Battista e S. Vittore Martire: questa fondazione doveva mantenere sei canonici di famiglie patrizie della Mesolcina e Calanca, i quali dovevano esercitare le loro funzioni sotto la direzione di un prevosto. Oltre al servizio del coro nella prepositura, dovevano provvedere al servizio pastorale nelle due valli Mesolcina e Calanca. Ai due canonici destinati a Mesocco spettava pure il servizio ecclesiastico a S. Pietro al di là del S. Bernardino, nella valle di Reno.
Verso la fine del 15° secolo si incominciò a costruire delle chiese in ogni villaggio e a servirsi di propri ecclesiastici. Intorno al 1521 vengono menzionate non meno di 13 prebende; esse possono venire enumerato nella ordine seguito dal Dr. J. Simonet: 1° Prevostura di S. Vittore, 2° Parrocchia di Roveredo, 3° Parrocchia di Grono, 4° Cappellania di Cama, 5° Cappellania di Leggia, 6° Cappellania curiale in Verdabbio, 7° Parrocchia di S. Maria di Calanca, 8° Parrocchia di S. Domenica, 9° Cappellania di S. Pietro a Buseno, 10° Parrocchia di Lostallo, 11° Cappellania di Mesocco, 12° Parrocchia di S. Maria al Castello, 13° Cappellania di Soazza. Il gran numero di luoghi di culto nelle due valli fa supporre una fiorente vita religiosa ed ecclesiastica.
Secondo l'ultimo censimento le due valli contano 6253 abitanti (circoscrizione di Roveredo 3057, circoscrizione di Mesocco 1895 e circoscrizione della Calanca 1301): non è probabile che alla fine del secolo XVI la popolazione fosse più numerosa e che fosse quindi necessario un maggior numero di preti.
La Bregaglia ha una superficie minore e quindi possiede anche un minor numero di edifici ecclesiastici. In confronto al numero degli abitanti (che ammonta attualmente a 1564 anime, cattolici compresi) ,era riccamente dotata di chiese; del tempo anteriore alla Riforma se ne conoscono nove. Le contiamo nella ordine presentatoci dal primo documento ufficiale:
1° S. Gaudenzio a Casaccia viene menzionata la prima volta in documenti della 831. La chiesa si trova a circa 10 minuti sopra il villaggio. su una terrazza. Essa venne riconsacrata il 14 aprile 1359 in onore dei SS. Gaudenzio, Florinus, Antonius e di Maria Maddalena; una ricostruzione con consacrazione di cinque altari e col cimitero ebbe luogo poco prima della introduzione della Riforma, il 13 maggio 1518. Unito alla chiesa, vi era pure un ospizio o ospedale, pure consacrato a S. Gaudenzio e di origine più remota, per quanto attestato con documenti 9010 nel 1336. Ne avevano cura un monaco, un sacrestano ed un amministratore. Ancora oggidì in Bregaglia il sacrestano viene chiamato "al monac", perché probabilmente il monaco avrà adempiuto agli uffici di sacrestano. L'ospizio era proprietà di tutta la valle, Sopra- e Sotto-Porta.
2° S. Maria presso Castromuro, citata nel 988, costruita su di una collina rocciosa che si prolunga fino alla Maira presso il castello di Castelmur sopra Promontogno. Questa chiesa serviva alla grande prebenda della Bregaglia, che comprendeva tutta la valle; il parroco della medesima si nominava «Plebanus o Archipresbyter vallis Pregalliae apud ecclesiam Sanctae Virginis Mariae de Castromuro». A lui erano sottomessi i cappellani delle altre chiese della valle, Soglio, Castasegna, Bondo, Vicosoprano, Casaccia, come pure il cappellano di S. Maria di Castromuro. La campana grande della Chiesa, fusa dal fonditore mastro Ulrico di Coira 1492, aveva un suono così vibrante che si sentiva in tutta la valle dal Lovero al Settimo, e si soleva sonarla quando veniva sepolto un podestà o un membro della famiglia de Salis; per acquistarla Giovanni de Salis aveva contribuito largamente, anche impegnando i suoi eredi. Il prevosto che funzionava nella vecchia e rinomata chiesa era chiamato, secondo il documento latino, in dialetto bregagliotto: Prevosto della valle Bregaglia.
3° S. Martino a Bondo, inaugurata il 30 gennaio 1250.
4° S. Giorgio a Stampa, in comune con Borgonovo, menzionata per la prima volta nel 1327.
5° S. Lorenzo a Soglio appare documentata senza dubbio molto più tardi della sua fondazione, cioè nel 1354. Una riconsacrazione ebbe luogo il 16 agosto 1471, probabilmente, come ritiene il Poschel, in seguito ad un incendio. Essa possedeva tre altari, dei quali uno era consacrato a S. Lucio, l'altro a S. Sebastiano ed il terzo a S. Maddalena.
6° S. Cassiano a Vicosoprano, menzionata in documenti del 1355. Il 30 ottobre del 1452 venne inaugurato un altare laterale in onore di S. Sebastiano, nel 1491 fu eseguito un restauro radicale. La chiesa è situata sul pendio a destra della Maira, nella frazione di S. Cascian.
7° La chiesa di S. Giovanni Battista a Castasegna vien menzionata nel 1409; probabilmente a causa di restauri si deve la riconsacrazione del 29 giugno 1421. La cappella aveva un altare in onore di S. Giovanni Battista. Si trova in mezzo al lungo villaggio, un po' all'infuori dei rumori della strada.
8° S. Pietro a Coltura. Si trova su di una collina elevata ed è visibile da lontano. Serviva all'uso comune delle frazioni di Coltura, Montaccio e Caccior.
9° L'odierna chiesa protestante di Casaccia, costruita in onore di S. Anna, S. Sebastiano e S. Rocco. La vicinanza ebbe il permesso di costruirla poco prima della Riforma, cioè il 13 dicembre 1522.
Se teniamo presente il gran numero di chiese, non possiamo fare a rneno di condividere l'opinione del canonico Dr. Simonet riguardo a quelle ancor più numerose della Mesolcina e Calanca, a proposito delle quali egli dice che meglio sarebbe avere in ogni comune una chiesa sola, ma tenuta con cura, piuttosto che averne tante in sì pietose condizioni
1.3 Condizioni politiche che prepararono il mutamento religioso
Allo zelo religioso della popolazione non si esprime con questo nessun rimprovero. Le numerose chiese ed altari dimostrano invece che c'erano dei bisogni religiosi che si cercava di appagare con la costruzione di chiese, cappelle ed acari; più di una povera famiglia può aver rinunciato ad una parte del suo pane quotidiano per poter offrire alla chiesa il suo obolo destinato ad acquistarle il cielo....
Una situazione analoga si trova a Poschiavo. La valle, che conta 5448 abitanti (circoscrizione di Poschiavo 3978, di Brusio 1470), è cosparsa di chiese e cappelle. G. Leonardi, che dal 1855 al 1883 fu parroco evangelico a Brusio, nel suo opuscoletto sulla valle di Poschiavo ne cita ben oltre una dozzina Naturalmente non tutte risalgono a tempi anteriori alla Riforma: come già abbiamo detto sono da ritenersi tra le più antiche S. Vittore, I'odierna Chiesa della Collegiata, che serviva un tempo a cattolici e protestanti in comune, e S. Pietro; esse sono menzionate in documenti, la prima nel 703, I'ultima nel 767. In occasione della sua visita pastorale del 1589-93 il Vescovo di Como Ninguarda cita le seguenti chiese come profanate dagli eretici: Assuntio S. Mariae, St. Petrus, St. Antonius, St. Rochus, St. Sebastianus e St. Jacobus Apostolus a Pisciadello. St. Petrus è la già citata chiesa di S. Pietro. Ad eccezione di S. Martino, delle altre si hanno prove ancora oggi. Nella relazione di Ninguarda si trovano inoltre menzionate altre quattro chiese, cioè St. lohannes e St. Bartholomaeus a Poschiavo, St. Nikolaus a Aino e St. Bernardus a de Beda.
E' inoltre particolarmente degna di nota la chiesa della S. Trinità a Brusio, che serviva come S. Vittore ad ambedue le confessioni, che si trovava nel luogo attualmente occupato dal giardino della parrocchia cattolica." Un parroco brusiasco e cittadino di Poschiavo, Tommaso Semadeni, deceduto da pochi anni, fa il seguente rilievo circa le chiese della sua valle natia: se altrove le rovine dei castelli sono il contrassegno di una valle, a Poschiavo esso è costituito dalle chiese.
Per quel che concerne la dipendenza da Vescovadi, rileviamo che la Mesolcina, la Calanca e la Bregaglia appartenevano al Vescovado di Coira, le due parrocchie di Poschiavo e Brusio dipendevano da quello di Como.
Per le riunioni del Capitolo, già in uso allora come oggidì, i preti poschiavini e brusaschi si recavano al di là di Piattamala a Tirano o a Sondrio per consigliarsi con gli ecclesiastici della Valtellina Superiore: se non erano spinti a ciò da uno spirito grigione, lo erano certamente da uno spirito valtellinese. Un esempio probante di tale spirito è il prete poschiavino Paolo Beccaria che abbiamo citato al principio di questo studio, vissuto nella prima metà del secolo XVII°.
Delle altre tre valli dipendenti del Vescovado di Coira, la Mesolcina e la Calanca erano incorporate alla Collegiata di S. Giovanni e S. Vittore a S. Vittore, e la Bregaglia il decanato di Churwalden Superiore. A questo ultimo apparteneva anche la Val Sursette, unii alla Bregaglia dal valico del Settimo, Avers, Val di Reno, Sessame con Ferrera, Heinzenberg, Domigliasca e Safien. Mentre alla prepositura di Mesocco appartenevano solamente le regioni vicine di lingua italiana, il decanato di Churwalden Superiore comprendeva oltre i comuni della Bregaglia di lingua italiana, i comuni romanci e tedeschi al di là delle Alpi, circostanza questa che non poteva restare senza riflessi nella posizione della Bregaglia di fronte alla Chiesa.
Come presso gli altri capitoli, alla testa del decanato di Churwalden Superiore si trovava un decano, incaricato della direzione del Capitolo e della esecuzione degli ordini capitolari; è da escludere che in un decanato così vasto e linguisticamente così misto abbiano potuto aver luogo frequenti riunioni. Tuttavia, da quando nel 1387 il bregagliotto Giacomo de Castelmur iniziò la costruzione della strada carrozzabile del Settimo, si accrebbero i contatti spirituali e anche l'influenza settentrionale di oltre-alpi. Quando le discussioni erano limitate tra gli ecclesiastici della Valle, esse erano dirette dal prevosto di Castromuro, che in tal caso rivestiva la stessa autorità del prevosto di S. Vittore in Mesolcina e Calanca. In queste riunioni del Capitolo non si affrontava probabilmente mai nessun problema di innovazioni: il puro Evangelo col suo spirito rivoluzionario non avrebbe dovuto essere portato nella valle da altri luoghi.
Non è facile capire fino a qual punto le condizioni politiche della regione abbiano avuto importanza nel sorgere e nello sviluppo della fede riformata: si deve però senza altro ammettere che lo spirito di indipendenza e individualistico che spirava nelle valli grigionesi ha esercitato una notevole influenza nel periodo del cambiamento di religione. Anche il fatto che la Bregaglia e Poschiavo erano politicamente sottomesse al vescovo, può aver dato un forte impulso allo sconvolgimento ecclesiastico: lo possiamo supporre con buona ragione tenendo presente il primo articolo della II. Carta degli articoli di Ilanz del 1526, in base alla quale il vescovo veniva privato di tutto il suo potere temporale.
Una decisione del genere era possibile soltanto perché la sovranità popolare del vescovo non era gradita; i delegati delle quattro valli meridionali, sette in tutto (Mesolcina, Calanca, Roveredo tre, Bregaglia, Sopra-e Sotto-Porta due, Poschiavo due), contribuirono insieme agli altri delegati alla votazione definitiva di condanna dell'attività politica del vescovo. La Bregaglia e Poschiavo - votarono quali membri della Lega Caddea, la Mesolcina e la Calanca quali membri della Lega Grigia.
II. L'inizio della Riforma in Italia e nelle regioni soggette ai Grigioni



Il sorgere della Riforma religiosa in Bregaglia e Poschiavo ed in parte anche in Mesolcina sta in diretto rapporto col risveglio religioso io Italia e nelle regioni dipendenti dai Grigioni, la Valtellina, Chiavenna e Bormio: fin dal 1512 i Grigioni signoreggiavano su queste belle valli, amministrate per loro da un numero rilevante di funzionari. Il Governatore generale risiedeva in Sondrio, ed aveva al suo fianco quale collaboratore il Vice-Governatore o Vicario, risiedente come lui a Sondrio. Nei singoli distretti di Tirano, Teglio, Traona e Morbegno risiedevano i cosiddetti Podestà, quali giudici e amministratori. Tutte le cariche avevano la durata di due anni, anche per il Governatore ed il Vicario. Bormio e Chiavenna godevano della stessa parità amministrativa, con la sola differenza che il podestà di Chiavenna si chiamava Commissario, mentre quello di Bormio aveva un potere più limitato.
Allo scoppio della Riforma, non di rado accadeva che le cariche fossero affidate a funzionari evangelici, i quali spesso si facevano seguire dalle loro famiglie e quindi da ministri evangelici assunti come precettori privati.
Non è certo questa la ragione che ha favorito la causa evangelica sulle rive del lago di Como e dell'Adda: la ragione va ricercata in altre circostanze. già verso la fine del primo ventennio del secolo XVI, ma specialmente dopo il 1542, comparvero nella Valtellina e a Chiavenna dei preti e monaci italiani, che molto avevano sofferto per la loro fedeltà all'Evangelo, e che non potevano fare a meno di parlarne ancora. Le prediche di costoro, unite al racconto delle loro sofferenze, sovente della prigione e della tortura, destarono grande stupore ed interesse nei paesi soggetti ai Grigioni. L'attenzione con cui si seguivano le loro vicende destava spontaneamente il confronto tra la loro predicazione e quella che ancora si andava facendo nelle chiese cattoliche della regione. Questi perseguitati dall'Inquisizione Romana e Spagnola venivano tutti ad affluire nei Grigioni, quasi come in seguito ad una parola d'ordine, e capitavano in un momento propizio per impressionare il popolo.
Per comprendere la riforma nei paesi soggetti ai Grigioni e nelle valli limitrofe, conviene prima dare una idea chiara del contemporaneo risveglio religioso in Italia.
Come i Tedeschi e gli Svizzeri, anche gli Italiani sentivano la necessità di risalire alle fonti originali della fede, le Sacre Scritture, Antico e Nuovo Testamento: il fenomeno dell'Umanesimo, col volgere gli spiriti allo studio ed alla ricerca dell'antichità classica greca e romana, aveva pure favorito lo studio e l'indagine relativi ai testi delle Sacre Scritture; ne sorsero cosi nuove traduzioni ed interpretazioni.
Desiderio Erasmo di Basilea pubblicò nel 1516 il Nuovo Testamento nel testo greco originale, mentre quasi contemporaneamente veniva pubblicata in Spagna la cosiddetta Bibbia Poliglotta a cura della Arcivescovo Ximenes di Toledo, contenente l'Antico ed il Nuovo Testamento in greco ed in ebraico, con la traduzione greca della Antico, e latina di tutta la Bibbia. In Italia furono in parte introdotte delle riforme nei conventi con lo scopo di favorire lo studio del libro sacro: tale passo non poteva fare a meno di portare ad un confronto tra l'ideale biblico e la realtà quotidiana e ad un esame critico delle istituzioni ecclesiastiche.
I principali centri della nuova indagine biblica erano in Italia: Napoli, allora spagnola (Juan de Valdèz), Lucca (Pier Martire Vermigli, Aonio Paleario), Modena (Giovanni Morone), Ferrara (Renata D'Este, figlia di Luigi XII re di Francia, viva simpatizzante per la Riforma e circondata da letterari e studiosi, tra cui si trovarono di passaggio Calvino stesso e Clemente Marot, il famoso traduttore dei Salmi), Venezia (Gaspare Contarini, Reginaldo Polo). Benché allora pochi, forse anzi nessuno, penasse di uscire dal Cattolicesimo, tuttavia nei vari centri di risveglio religioso si veniva sviluppando accanto all'amoroso studio per la Bibbia anche l'adesione al dogma della giustificazione per fede e non per le opere: ma quando gli scritti dei Riformatori furono portati d'oltralpe, la loro lettura cominciò a creare una situazione sempre più pericolosa. Un libraio di Pavia, Francesco Calvi, che diffondeva tale letteratura, dichiara che essa veniva ricercata ed accolta con favore in tutta Italia e perfino in Roma.
Questi avvenimenti non potevano passare inosservati alla Curia Papale, tanto più che lo sviluppo della Riforma in Germania ed in Svizzera dimostrava ormai dove il movimento sarebbe andato a sfociare. Già il Papa Clemente VII, il cui pontificato va dal 1523 al 1534, in una bolla diretta particolarmente alla Inquisitore di Ferrara, manifesta la sua inquietudine per il propagarsi della "pestilenziale eresia luterana" in diverse contrade d'Italia, e non solo tra i laici, ma anche tra preti e monaci, e perfino tra i frati minori, fino allora "i più fedeli difensori del gregge cristiano". Veniva inoltre ordinato a tutti gli inquisitori di procedere con il massimo rigore contro i sospetti di eresia della Ordine Domenicano o dei Predicatori, degli altri ordini monacali e in genere contro tutti i Luterani segreti e contro coloro che leggevano libri di Lutero o protestanti.
Nella sua Istruzione consegnata alla Imperatore dal delegato Campeggio alla Dieta di Augusta del 1530 (Instructio data Caesari a Reverendissimo Campeggio in Dieta Augustana 1530), egli emette questa terribile sentenza contro il Protestantesimo: "La pianta velenosa deve venire estirpata col ferro e col fuoco" (S. M. potrà mettere la mano al ferro et al foco et radictus extirpare questa mala velenosa pianta). L'intenzione di dare alla Inquisizione un carattere di sempre maggiore severità era ormai manifesta, ma fu poi merito del Papa Paolo III (1534 1549) che istituì nel 1542 la Congregazione della S. Inquisizione o S. Uffizio destinato a combattere la corruzione eretica: essa aveva il compito e l'autorità di procedere al di qua e al di là dei monti contro tutti coloro che in qualche modo deviassero dalla fede cattolica, errando in materia di fede o appartenendo a qualsiasi eresia; avrebbero dovuto rendere conto del loro operare tutti i favoreggiatori di eresie, qualunque fosse il loro rango o la loro posizione sociale.
I colpevoli, e sovente anche i soli sospetti, venivano incarcerati in seguito a denuncia e, se risultavano colpevoli, erano puniti secondo il codice canonico; se condannati a morte, i loro beni venivano confiscati e venduti all'asta.
La Congregazione del S. Uffizio era diretta da Giampiero Caraffa, in seguito elevato al soglio pontificio col nome di Paolo IV: ormai il suo compito più urgente era quello di preparare carceri e sale di tortura destinate alle vittime della crudele persecuzione religiosa, e fu egli stesso che anticipò di tasca sua i mezzi necessari per affrettare l'esecuzione dei processi.
Quasi contemporaneamente alla istituzione della Inquisizione era avvenuto il riconoscimento della ordine dei Gesuiti (27 luglio 1540), e subito dopo, l'apertura del concilio di Trento (dicembre 1545). Tutte queste disposizioni miravano evidentemente a sopprimere la nuova dottrina, almeno in Italia.
Si incominciò col reprimere la letteratura eretica, proibendo la pubblicazione e la diffusione di tutto quanto non avesse avuto l'approvazione preventiva dell'Inquisizione, e mediante la pubblicazione del famoso "Index librorum prohibitorum" si impedì perfino di stampare integralmente le opere dei padri della chiesa. Era ormai inevitabile una rottura completa.
Molti, che avevano sperato che la chiesa cattolica si riformasse di propria iniziativa quanto alla fede e all'organizzazione ecclesiastica, rimasero profondamente delusi; i deboli, quelli incapaci di sostenere la lotta, si prepararono a subire l'imposizione dell'autorità religiosa; i più forti e risoluti invece, infiammati dallo spirito e persuasi come Lutero che non bisognasse agire contro la propria coscienza, ruppero le loro relazioni col papato. Allora, come riferisce Ferdi. Meyer, in breve tempo le carceri si riempirono e le strade che conducevano alle Alpi furono piene di fuggiaschi.
E' facile a capire come i perseguitati si avviassero con speranza di una vita più libera verso le terre soggette ai Grigioni, mentre altri scelsero come meta del loro esilio la Svizzera o la Germania o l'Inghilterra o anche i paesi nordici; quivi molti diedero lustro alle università che li avevano accolti o divennero ministri delle comunità di rifugiati italiani.
Le vicende di vita dei singoli profughi italiani ci chiariscono nel modo migliore l'aspetto generale del movimento riformato italiano nonché la sua formazione ed i suoi progressi. Fra di loro consideriamo due personaggi tipici: un oratore eloquente e predicatore di gran fama, Bernardino Ochino, e un dotto di gran fama, Pier Martire Vermigli.
Bernardino Ochino nacque in Siena nell'anno 1487. Egli aveva una forte predisposizione per la vita devota e religiosa, e perciò entrò molto giovane nell'Ordine dei Conventuali Francescani, per passare in seguito, a 47 anni, all'ordine più disciplinato ed austero dei Cappuccini, fondato nel 1525 ed approvato da Papa Clemente VII nel 1528. Egli così pregava: «Signore, se non ho trovato la pace finora, non so quel che debba ancora fare». Quella pace dell'anima che egli invocava, la trovò però soltanto quando si diede allo studio della S. Scrittura e quando comprese che Cristo ha fatto quello che ci è necessario con la sua morte redentrice, che i voti monastici erano biasimevoli e che la chiesa romana era in contraddizione con la Scrittura. Tali convinzioni non si formarono certamente d'un tratto nella sua anima, ma furono frutto di una lunga meditazione e maturarono lentamente fino a raggiungere la forza e l'entusiasmo necessari ad un difensore della verità evangelica. Egli aveva ottenuto in quel tempo una fama straordinaria a causa della sua eloquenza, dimostratasi specialmente in occasione delle predicazioni di quaresima, per le quali si cercavano degli oratori valenti tra i vari ordini religiosi. Dotato dalla Provvidenza di un raro talento oratorio ed infiammato da ardente convinzione, egli era diventato un irresistibile annunciatore della fede: le chiese più vaste non riuscivano a contenere le folle accorse ad ascoltarlo, principi e vescovi lo onoravano, cardinali gli aprivano il loro cuore, e perfino Paolo III lo aveva scelto come suo confessore, mentre Carlo V aveva esclamato dopo una sua predica: «Farebbe piangere i sassi!» La sua vita ascetica ed il suo aspetto venerando davano inoltre alla sua parola una insolita autorità: al vedere la sua faccia patita, i suoi capelli bianchi e la sua barba profluente fino alla cintola, il popolo lo considerava come un santo.
Nel 1538 il Capitolo lo aveva nominato Generale dell'Ordine. Ma nelle sue prediche cominciò a farsi notare un'inclinazione sempre crescente verso le idee dei riformatori. Il primo a rendersene conto fu Juan De Valdèz a Napoli, che lo introdusse nel suo circolo dopo aver udita una delle sue impressionanti prediche e ne rafforzò la fede evangelica che già lo possedeva; fu in questo ambiente che Ochino venne a conoscenza degli scritti di Lutero.
Quando le repressioni religiose presero un ritmo più preoccupante, uno dei primi a disapprovarle fu l'Ochino, e, in una pubblica predica a Venezia, egli vi si dichiarò apertamente contrario: ciò succedeva nella quaresima precedente alla comparsa della bolla dell'Inquisizione. Fu allora invitato ad un colloquio a Roma. Si mise in viaggio per raggiungere la sede papale, passando da Bologna e Firenze, ma durante il viaggio fu segretamente avvertito dei pericoli che a Roma lo attendevano. Allora ritornò a Ferrara, dove la duchessa Renata lo aiutò nella fuga (1542). La conversione di Ochino alla Riforma produsse un'impressione straordinaria nella maggior parte delle città d'Italia che lo conoscevano come il più popolare predicatore; il Cardinale Caraffa se la prese a cuore e fece mettere sotto inchiesta tutto l'ordine dei Cappuccini e si giunse quasi alla sua soppressione.
Ritroviamo in seguito Ochino ad Augusta nel 1545 quale ministro dei profughi italiani, quindi a Zurigo con lo stesso incarico e più tardi a Londra. Caduto però in sospetto di non osservare le credenze riformate ortodosse, si recò in Polonia e quivi terminò la sua vita travagliata ed inquieta morendo in Moravia nel 1564.
Pier Martire Vermigli fu nel campo degli studiosi quello che Ochino era stato tra il popolo. Mentre Ochino proveniva da povera gente, Vermigli discendeva da una ricca famiglia di Firenze ed ebbe un'educazione accurata. Nato nel 1500, a soli 16 anni, spinto da un'irresistibile vocazione, entrò nel convento degli Agostiniani di Fiesole, molto ben attrezzato per gli studi. Passò poi a Padova per lo studio del greco e della filosofia aristotelica.
Subito notato per la sua gran dottrina, venne scelto per la predica quaresimale appena ventiseienne e predicò a Brescia, Mantova, Venezia, Bologna, Parma e Roma. Teneva inoltre dei corsi filosofici ed esegetici nei conventi del suo ordine, durante i quali ebbe occasione di approfondirsi nello studio delle S. Scritture ed anche dell'ebraico, raramente conosciuto in quei tempi. Nel 1541 venne nominato priore del Convento di S. Frediano in Lucca e vi introdusse con altre riforme anche lo studio della Bibbia, per le cui lezioni si serviva quotidianamente dei commentari dei Riformatori.
Juan de Valdez aveva avuto su di lui una grande influenza durante un suo soggiorno a Napoli, nel corso del quale aveva anche avuto occasione di conoscere Bernardino Ochino, e di leggere gli scritti di Erasmo, Zwingli e Lutero. Grande impressione gli aveva fatto l'opinione di Valdèz secondo la quale la Bibbia è sì il libro dei libri, ma l'uomo è la più alta espressione dello spirito divino. A Napoli egli fu esposto alla prima reazione, e solo grazie all'intervento di un amico, fu ritirato l'ordine che gli proibiva di predicare.
A Lucca egli teneva delle lezioni di lingue antiche, latino, greco ed ebraico, per incitare allo studio della Bibbia e teneva inoltre ogni domenica delle prediche seguite da gran numero di notabili.
Intanto egli era stato segretamente denunciato a Roma, e la celebrazione della S. Cena sotto le due specie (pane e vino) alla maniera dei Riformati può anche aver aggravato l'accusa mossa contro di lui. Vi furono pure contro di lui delle oscure macchinazioni di confratelli dello stesso ordine. Avvertito da amici, e dopo matura riflessione, si decise per la fuga, finché essa era possibile: accompagnato da tre fidati amici, passò a Pisa, ove celebrò la Cena con i fratelli in fede, e quindi, seguendo Ochino, si recò a Ferrara e di lì attraverso le Alpi Retiche raggiunse Zurigo. Anche dopo la misura inquisitoriale contro Vermigli, a Lucca i fratelli in fede del Convento continuarono a predicare come volevano i padri della Chiesa ed i Riformatori; solo verso il 1551, in un solo anno, diciotto di loro seguirono l'esempio del loro venerato maestro, e diversi si rifugiarono a Chiavenna, Tirano ed altrove. Ricordiamo di essi due uomini eccellenti che operarono anche in Valtellina ed a Chiavenna: Massimiliano Celso Martinengo, di nobile famiglia bresciana e Girolamo Zanchi, Bergamasco, per quattro anni ministro a Chiavenna.
Da Zurigo Vermigli si rifugiò a Strasburgo, ove gli verme assegnata una cattedra; invitato poi dal vescovo anglicano Crammer, partì nel 1547 per l'Inghilterra assieme a Ochino ed altri, dove fu professore di esegetica del Nuovo Testamento all'università di Oxford. Abbandonata in seguito l'Inghilterra per dei mutamenti politici, insieme ad Ochino, si recò nuovamente a Strasburgo e nel 1556 a Zurigo, ove insegnò filosofia e condusse a termine i suoi giorni nel 1568. Ovunque si distinse come profondo conoscitore delle lingue classiche e si fece notare per la straordinaria capacità di interessare i suoi uditori; a Zurigo era successo a Pellican, deceduto nel 1556, come professore di esegesi ebraica dell'Antico Testamento. Legato al Bullinger da comuni sentimenti e da salda amicizia, collaborò con lui alla redazione della seconda Confessione di fede Elvetica (Confessio Helvetica Posterior). In diverse controversie teologiche si fece ricorso alla sua autorità, e fu sempre membro fedele e generoso della comunità locarnese di Zurigo; questa città gli concesse poi la cittadinanza in segno di riconoscimento dei suoi meriti.
L'arrivo dei rifugiati italiani nei Grigioni e nei territori soggetti ebbe una grandissima importanza, poiché coincideva con l'inizio della Riforma e veniva a soddisfare le richieste di predicatori in lingua italiana.
I territori soggetti sottostavano, come Poschiavo, al vescovado di Como, che doveva vegliare sulla integrità morale e religiosa di quelle regioni. L'inquisitore diocesano, Fra Modesto Scrofeo, fin dal 12 settembre 1512 aveva dichiarato una donna di Sondrio «heretica, apostata, idolatra, sacrilega, malefica et della profana et nefandissima sette delle strie impenitente», ma egli stesso fu poi scacciato dal paese ,per il suo fare insopportabile e la sua sordida avarizia: dal che ricaviamo in complesso una poco favorevole impressione sullo stato della fede popolare e sull'autorità ecclesiastica. Non vogliamo però dare un valore di carattere generale a questi fatti.
Da altre fonti si apprendono fatti ancora peggiori, che inondano di fosca luce la morale e la fede del clero e del popolo. P. D. R. à Porta narra nella sua «Historia Reformationis Ecclesiarum Raeticarum, liber II, p. 15, e segg. che il prete Cesare de Berli di Samolaco presso Chiavenna diceva di aver avuto un'apparizione della Madonna, durante la quale essa minacciava una tremenda disgrazia per Chiavenna se la maledetta eresia dei luterani non fosse stata soppressa ed i suoi seguaci sterminati e messi in bando del paese. In seguito a tale apparizione si tennero feste e processioni; inoltre dei predicatori quaresimali, sempre secondo l' à Porta, tennero per tre giorni consecutivi delle prediche infocate contro i Luterani, incitando il popolo ad estirparli; però dopo alcuni mesi l'inganno fu scoperto, ed il prete colpevole, esaminato e torturato, confessò e fu decapitato alla presenza di un'enorme folla. Tale fatto si verificò sotto il commissario Giovanni de Capaul di Flims, che governò a Chiavenna dal 1531 al 1533, e produsse una grande impressione anche oltre i confini delle regioni sottomesse, come risulta da una lettera che il parroco di Coira, Giovanni Comander, scrisse al riformatore e medico sangallese Giochino de Watt il 17 novembre 1532.
Un decreto della Dieta dell' 11 gennaio 1541 imponeva ai funzionari della Valtellina e di Chiavenna di esortare i loro preti ad annunciare al popolo la santa parola di Dio e ad insegnare il Credo, il Padre Nostro, l'Avemaria ed i 10 comandamenti sotto pena della perdita delle loro prebende.
Il popolo era privo della più elementare conoscenza della dottrina cristiana: molti anni dopo lo scoppio della Riforma le genti della Valtellina e di Chiavenna ne accusavano apertamente i loro preti. Il 6 febbraio 1577 si presentarono infatti davanti ai rappresentanti delle Tre Leghe a Coira, Mattias Hopper di Morbegno a nome di tutta la Valtellina, e Paolo de Porto di Chiavenna per chiedere che fosse loro concesso di assumere predicanti e monaci stranieri per annunciare la parola di Dio, poiché i preti ed i monaci locali non ne erano capaci.
La più antica, grande e promettente delle comunità evangeliche dei paesi sottomessi era Chiavenna. Poiché già nei tempi antichi la grossa borgata era un centro di comunicazioni e dopo l'annessione ai Grigioni si era ancora più fortemente sviluppata, è facile capire che questo luogo fosse un punto di incontro tra la gente del nord e quella del sud, come è naturale che vi giungessero fuggiaschi in gran numero. Il Meyer chiama Chiavenna il principale centro di riunione dei fuggiaschi italiani: accanto a uomini di notevole erudizione e nobiltà si trovarono anime incerte e in cerca della verità.
Il primo predicatore riconosciuto dalla comunità fu Agostino Mainardi. Egli era nato nel 1482 a Saluzzo in Piemonte ed era appartenuto all'ordine degli Agostiniani, dove si acquistò gran fama a causa della sua erudizione. In seguito a prediche tenute in Asti, cadde in sospetto di eresia, ma ne fu assolto e si recò quindi a Pavia, dove tenne pure delle prediche. In quella città ed in altre si espose sempre maggiormente, finché si decise anche' egli per l'esilio volontario e comparve a Chiavenna nel 1539, dove assunse l'ufficio di predicatore.
Mainardo non fu il fondatore della comunità di Chiavenna: prima di lui vi era stato Francesco Negri, altro profugo italiano oriundo di Bassano nel Veneto. Fu al principio del terzo decennio che si manifestò nel comune la prima attività evangelica, e la formazione della comunità si può attribuirla all'attività del Negri. Tra i nobili troviamo aderenti alla nuova fede Ercole de Salis (deceduto nel 1578 a 75 anni a Soglio in Bregaglia) e Paolo Pestalozzi: figurano inoltre quali aderenti e sostenitori della comunità i Follizzeri, Stoppa, Bottagiso, Costa, Pizarda, Pelasico, Poverello.
Salis si prese cura del Mainardo e gli mise a disposizione per il culto evangelico la sua cappella privata, nonché l'abitazione del parroco con un giardino e le rendite di un fondo.
La comunità crebbe continuamente fino a comprendere un terzo degli abitanti; essa aveva la propria scuola stabilita nella casa parrocchiale di S. Pietro. Le spese di culto erano sostenute pubblicamente (dalla cassa comunale e dalle entrate della principale chiesa cattolica, S. Lorenzo). Da membro fedele del Sinodo Evangelico-retico, Mainardi si atteneva ai principi della Confessione Retica, e predicava senza fatica per cinque volte alla settimana ai suoi parrocchiani. Gravi preoccupazioni quali furono arrecate dalle opinioni non ortodosse del Siciliano Camillo Renato, di Francesco Stancaro, Pietro Leoni, Simone Florillo ed altri. I punti controversi riguardavano l'immortalità dell'anima, la risurrezione dei morti, la trinità, i sacramenti (Battesimo e S. Cena), la verginità di Maria, l'origine del bene e del male, il merito di Cristo ed altri ancora. Mainardi mori a 81 anni il 3 luglio 1563.
Gli successe Girolamo Zanchi, discepolo di Pietro Martire Vermigli, fin da quando erano insieme nel convento di Lucca. Il suo collega Florillo, che già aveva cagionato dei guai al suo predecessore, fu causa per lo Zanchi di gravi seccature: il conflitto verteva su alcuni punti di dottrina, ed ebbe disgraziatamente un seguito doloroso con la scissione della comunità, che ne soffrì nel suo sviluppo esteriore ed interno.
Fortuna volle che l'ufficio di pastore fosse in seguito assunto da Scipione Lentulo, di origine Napoletana, che già aveva provato i rigori della Inquisizione e la prigionia, ed era stato in seguito pastore dei Valdesi del Piemonte. Nel 1549 si era acquistato a Venezia la laurea di dottore in teologia e malgrado la sua malferma salute, resistette 30 anni al suo posto (1567-1597) .
Anche egli predicava da quattro a cinque volte alla settimana, con una retribuzione annua di cento corone. Per porre fine ai fastidiosi dissidi di carattere teologico, aveva ottenuto che la Dieta privasse del domicilio coloro che non volevano firmare la Confessio Raetica.
Nella contea di Chiavenna si formarono altre piccole comunità evangeliche a Piuro, sulla strada della Bregaglia, e su ambedue rive della Maira, a Pontiglia (Pontaila), presso Castasegna, a Prata (Prada) a sud, a Mese a sud-ovest di Chiavenna.
Capitolo III A. La Riforma nelle valli di Poschiavo, Bregaglia, Mesolcina



a) La Riforma nella valle di Poschiavo
Al tempo della Riforma e della Controriforma, Poschiavo divise completamente con la Valtellina il proprio destino, il che non può destare meraviglia, se si tiene conto del fatto che la valle è rivolta verso il mezzodì e che le sue acque sfociano nell'Adda, poiché appartengono al bacino del Po; d'altra parte le sue relazioni commerciali la legavano fin dai più antichi tempi alla Valtellina ed a Tirano. Anche ecclesiasticamente essa era legata insieme alla Valtellina alla diocesi di Como, e ne seguiva la direzione episcopale. Politicamente la situazione era invece ben diversa ed essa facilitò la sua adesione alla Riforma, in quanto che la valle apparteneva alla Lega Caddea, e come tale era considerata come terra dominante e non come terra soggetta, quale la Valtellina. Fortunato Sprecher di Berneck nella sua "Pallas Rhaetica armata et togata" (51) così si esprime concisamente: «Essa si estende al di là del massiccio del Bernina, da cui scaturisce il Poschiavino, affluente della Adda, e forma un distretto (Conventus magnus), che è stato lungamente soggetto ai vescovi di Coira; più tardi ebbe come legittimi signori i duchi di Milano, per ritornare ancora in seguito al vescovado di Coira nel 1408 ed essere finalmente ammessa nella Lega Caddea nel 1487. La comunità riuscì poi a riscattare dal vescovado nel 1537, mediante il pagamento di 1200 ducati d'oro e adottò un regime repubblicano per la sua amministrazione.» Il distretto inoltre, sempre secondo lo Sprecher, era il decimo della Lega Caddea e si divideva ancora in quattro contrade: I° Poschiavo, centro importante, in posizione favorevole, nucleo principale del distretto, sede di una tipografia. II° La contrada interna, con i villaggi di Ainum, Cavaglia, Pisciatello e Campello, dove sorgono le notevoli rovine del castello di Olzate. III° La contrada esterna, con Prada, Campilionum, e Motta di Pedenale, dove sorgeva il castello e la sede del balivo vescovile. IV° Brusio con sei cantoni, cioè Brusio con la sua chiesa parrocchiale, Campascio, Zalende, Le Prese, Lacus, notevole per l'abbondanza delle sue acque e per i suoi pesci, e la montagna di Viano.
Il distacco della valle dalla signoria di Milano e la sua incorporazione nel vescovado di Coira, a cui allude lo Sprecher, avvenne nel 1408, mentre è del 1487 l'unione alle Tre Leghe; col passaggio del 1537, che liberava la valle dal dominio vescovile, anche il diritto di eleggersi il podestà fu acquistato dal comune, e tale fatto ebbe certamente grande influenza nell'introduzione della Riforma nella valle (52). Per quanto riguarda l'adesione alla Riforma, possiamo accettare la data fissata dal Ninguarda del 1528, a cui egli allude nella sua relazione della visita pastorale diocesana (1589-1593): essa appare del resto una conseguenza degli articoli di Ilanz del 1526, 25 giugno, come avvenne anche per tanti altri comuni delle Tre Leghe. Essi dichiaravano che era lecito ad ogni comune di scegliersi a piacimento i propri ecclesiastici e di optare per la vecchia o la nuova fede. A Poschiavo si applicarono tali disposizioni e non si tardò a trasformare l'antica istituzione ecclesiastica cattolica secondo i principi riformati. Il vescovo, durante la sua visita pastorale, non trascurò di invitare la popolazione a rispettare i suoi obblighi verso la sede vescovile ed a pagare il cosiddetto «denaro della mensa» (satisfacere Mensae Episcopali). La parte cattolica della popolazione fu pronta all'obbedienza, ma naturalmente la parte protestante respinse la pretesa, poiché la loro valle ed il distretto erano stati ammessi nella Lega Caddea, e gran parte della gente non riconosceva più la fede cattolica. Possiamo perciò concludere che ancora nel 1590 Poschiavo contava un gran numero di protestanti, tale da potersi opporre senza paura alle richieste del vescovo e continuare nell'atteggiamento negativo anche in occasione di successivi ammonimenti (53).
Il quadro che Ninguarda presenta a proposito della situazione degli evangelici è assai edificante: Brusio conta su circa duecento famiglie pressappoco un terzo di eretici, che hanno il proprio pastore nella persona di Antonio Andreoscha di Samedan in Engadina; per il suo mantenimento gli viene dato uno stipendio di ottanta libbre imperiali, equivalenti alla metà degli introiti parrocchiali. Dato che nel paese non vi sono altre chiese, che quella dedicata a S. Trinità, adatte al culto divino ed all'amministrazione dei SS Sacramenti, egli se ne serve come della propria chiesa, vi predica la dottrina eretica e vi celebra la S. Cena, come è chiarata la messa presso gli evangelici («Suam pariter esercet sinagogam haeretice praedicando et ccenam [ut vocant] ministrando»). A circa sei miglia da Brusio, si trova il borgo di Poschiavo colla chiesa parrocchiale di S. Vittore, in cui funziona come parroco Gabriele di Tresivio in Valtellina, coadiuvato da un cappellano. Nella borgata e nel circondario vi sono inoltre diverse chiese, di cui tre usate dai cattolici, mentre le altre sono state profanate dagli eretici. In S. Nicolao di Aino e in S. Bernardo di de Beda si celebra la messa. S. Maria, S. Pietro, S. Martino, S. Rocco, S. Sisto, S. Pietro, che si trovano tutte nel concentrico di Poschiavo o nelle sue vicinanze, S. Sebastiano a Selva, a due miglia da Poschiavo, e S. Giacomo a Pisciadello a quattro miglia, sono disgraziatamente in possesso degli eretici. Due altre chiese poste nella borgata stessa e consacrate a S. Giovanni e a S. Bartolomeo, sono state profanate colla loro trasformazione, la prima in stalla e l'altra in segheria.
La situazione ecclesiastica a Poschiavo è la seguente: dei quattrocentosessanta fuochi, un quarto è passato all'eresia in Poschiavo e Pisciadello, i cattolici fanno tutto ciò che è nelle loro forze per difendere proteggere la loro antica fede e 1200 persone di ambo i sessi hanno partecipato alla santa comunione; gli eretici hanno il loro pastore, che tiene celata la propria origine, ma che proviene probabilmente dal Bergamasco o da Cremona: si tratta di un monaco agostiniano apostata di circa 75 anni, chiamato comunemente Augustinus Italus (54).
In mancanza di altre fonti storiche all'infuori di questa relazione della visita pastorale, noi avremmo soltanto poche e sfavorevoli informazioni sui riformati della valle. Ad ogni modo appare assai sospetto il fatto che il vescovo abbia per il clero soltanto delle parole di lode e non accenni affatto alle gravi colpe di cui era responsabile e che diedero origine allo sviluppo evangelico della valle. Il ricordo di Giulio della Rovere di Milano, personalità dai costumi illibati e che aveva predicato in tutta la regione con umiltà e zelo apostolici, doveva essere ancora ben vivo presso cattolici e riformati; e doveva pure essere noto al vescovo che proprio per opera sua, per quanto eretico e apostata, erano state impedite le profanazioni della chiesa, ed i costumi e la vita morale erano stati risanati a pro di entrambe le confessioni. Ma il vescovo lo ignora completamente. Ci mancano i documenti relativi alla prima opera di rinnovamento (55). Si può solo affermare che ciò avvenne circa due decenni prima dell'arrivo di Giulio da Milano; forse in base agli articoli di Ilanz, gli abitanti si erano liberati dalla sudditanza al vescovo, per essi straniero, e subito dopo avevano iniziato la trasformazione religiosa. All'inizio il movimento dovette essere prettamente laico, poiché prima della venuta di Giulio non risulta che nella valle vi siano stati degli ecclesiastici evangelici. La curia vescovile di Como era allora tenuta da Cesare Trivulzio (1527-1548), al quale, come ai suoi successori, Bernardino della Croce e Giasantonio Volpi, erano interdette visite pastorali nei paesi sottomessi alla Lega e nella Valle di Poschiavo; senza contare che i due primi vissero nel periodo anteriore al Concilio di Trento e quindi, mancavano di quello zelo religioso che invece caratterizzava il vescovo Ninguarda, per cui accadde che il movimento riformatore nella valle poté svilupparsi pacificamente (56).
Si può arguire che le località in cui si affermarono prima i principi evangelici furono quelle a settentrione di Poschiavo, in direzione del valico del Bernina, e cioè i villaggi menzionati dallo Sprecher di Aino, Cavallio, Pisciadello e Capellum, poiché dalla relazione del Ninguarda essi risultano completamente eretici. Ma il movimento riformatore acquistò poi importanza e notorietà all'arrivo di Giulio da Milano, quivi pervenuto fuggiasco per motivi religiosi e ben felice di avervi potuto trovarci una nuova patria. Discendente dalla nobile famiglia milanese dei Della Rovere, egli era entrato nell'Ordine degli Eremitani Agostiniani e godette la fama di un monaco serio e pieno di zelo. Ebbe poi modo nella sua cella e nei suoi rapporti con gli altri frati di venire a contatto con i principi della Riforma: però il tenore delle sue prediche ed il favore che lo accompagnava lo resero sospetto alle autorità dell'Inquisizione fin dal 1538; venne un po' alla volta sorvegliato con maggiore attenzione ed alla fine messo in carcere nel 1541, dopo aver predicato come quaresimalista a Venezia. Dalla severa perquisizione fattagli, egli risultò in possesso di uno scritto del riformatore zurighese Bullinger e di altri scritti sospetti: senza altro fu dichiarato affetto di eresia e rinchiuso in carcere (57).
Il verdetto degli inquisitori gli proibì di predicare e di confessare. Ignoriamo il modo con cui egli riacquistasse la libertà, ad ogni modo, non essendo più sicuro in Italia, se ne fuggi e lo troviamo nei Grigioni, che allora erano rifugio fissato per molti profughi italiani. Insegnò dapprima a Vicosoprano, quale successore di Bartolomeo Maturo, e in seguito, nel 1547, si trasferì come predicatore a Poschiavo: come già abbiamo detto, l'ambiente era già preparato a ricevere la sua attività riformatrice. Egli lavorò quivi in tutta tranquillità con l'insegnamento pubblico e privato, colla spiegazione della Bibbia e del Catechismo, senza incontrare grande resistenza da parte del clero della valle.
Circa in quel tempo deve essere stato accolto nel numero dei pastori grigioni: infatti il Sinodo dovette essere molto felice di sapere al di là del Bernina un ministro evangelico degno di fiducia e valente come si era dimostrato Giulio da Milano (58). Non si trova però il suo nome nell'elenco sinodale.
Un grande aiuto nella sua opera di evangelizzazione gli fu recata dall'arrivo nel 1549 di Pier Paolo Vergerio, proveniente dall'Italia ed accompagnato da Baldassare Altieri, che godeva di altissima stima per lo zelo dimostrato nel Veneto per la causa dell'Evangelo. Vergerio, già vescovo e nunzio, si era riempito di sdegno e d'ira contro il papa e si dimostrava animato da ardente spirito evangelico, nonché da un desiderio intenso di operosità. Resosi conto del favore che il movimento evangelico aveva incontrato nella valle si mise immediatamente al lavoro per la santa causa e operò con tanta intensità da gettare nell'ombra l'opera dell'umile Giulio da Milano, tanto che la tradizione popolare considera il primo e non l'ultimo quale riformatore di Poschiavo. Dice Leonhardi che Giulio da Milano aveva fin allora fatto di tutto per cacciare gli idoli dal cuore dei Poschiavini, ma nulla ancora per allontanarli dai templi; l'iscrizione originale nella chiesa di Poschiavo era la seguente: "Chiesa cristiana evangelica riformata in questo Comune nell'anno 1548 da Pietro Paolo Vergerio, fu Vescovo di Justinopoli".
Senza dubbio Vergerio, favorito dalla sua risolutezza, da un'eloquenza irresistibile e da un mirabile tatto organizzativo diede alla Comunità di Poschiavo una fisionomia definitiva, I'arricchì di nuovi membri in gran numero, le diede coscienza completa della separazione dal papato. Egli fu attivo a Poschiavo sia con la parola, sia con gli scritti, per i quali gli fu di prezioso ausilio l'esistenza della tipografia Landolfi. Crediamo di non errare, affermando che essa già era in funzione prima dell'arrivo del Vergerio e che non sia stata fondata da lui, come altri hanno affermato. Infatti leggiamo in una lettera scritta il 3 agosto 1549 dall'Altieri al riformatore Bullinger: «Sono venuto a Poschiavo col vescovo Vergerio; l'ardente difensore di Cristo passerà qui l'inverno ed ha già preparato contro la persona del papa un vero arsenale di acutissimi strali.» Pensiamo che appunto la tipografia ve l'avesse attirato (59) e che egli avesse l'intenzione di farvi stampare i suoi manoscritti italiani e latini contro l'anticristo. Da quella borgata situata al confine della Valtellina e alle porte dei territori milanese e veneziano, come da una sicura fortezza, l'esiliato principe della chiesa poteva diffondere una letteratura di tal genere e colpire direttamente la Chiesa Romana ed il suo aborrito capo. Vergerio però non si accontentò di pubblicare opuscoli polemici; il dott. Francesco Herbert, nel suo accurato studio sull'attività pubblicistica del Vergerio, menziona fra le 171 pubblicazioni dell'instancabile scrittore un catechismo pubblicato dal Landolfo nel 1549 ed intitolato: «Institutione Christiana », recante la seguente epigrafe: «Tibi nihil, Deo omnia». Si legge in questo trattatello: "Nel mondo avete tribolazione, ma fatevi animo, poiché io ho vinto il mondo» (Giov. 16, 33); tieni fermo in Cristo per la grazia di Dio; se vedi che i fedeli testimoni della fede vengono esiliati, incarcerati, uccisi, od esposti alle atrocità del fuoco, persevera ugualmente, soffri per la tua fede nella certezza della misericordiosa assistenza di Dio. E più avanti: Se vieni maltrattato per causa della fede, gioisci, lascia che ti chiamino pazzo, e grida ai persecutori: la mia non è pazzia, ma sapienza, ed io sono certo che il mio Redentore che ho confessato dinanzi al mondo non mi rinnegherà davanti a Dio".
Da queste affermazioni possiamo arguire in quale modo l'Evangelo fosse proclamato a Poschiavo e in altre comunità e rimaniamo colpiti da questo fiducioso e tranquillo abbandono in Dio che animava la sua predicazione! E' il fuoco sacro dell'Evangelo che lo spinge alla lotta ed alla sofferenza, come ai tempi del Cristianesimo primitivo, e che gli promette di conquistare i cuori (60). Molto significativa a tale riguardo anche la presentazione del trattatello, a cura dell'editore Dolfino Landolfi; in essa egli scrive che il libro, mentre tratterà della fede cristiana, testimonierà pure della vivente comunità di Poschiavo; poiché i Poschiavini, come vedremo anche in seguito, si erano sinceramente dichiarati per l'Evangelo, e fra i più fedeli bisognava annoverare precisamente i proprietari della tipografia.
Vergerio non dimorò a Poschiavo fino alla primavera del 1550 come era stata sua primitiva intenzione e come aveva dichiarato all'Altieri. Egli vi era probabilmente giunto alla fine di luglio del 1549. Al tempo della vendemmia, lo troviamo già a Chiavenna ed al principio di novembre a Basilea: se quindi, la sua attività a Poschiavo fu notevole, non fu che di breve durata. Giulio da Milano rimase nuovamente solo e con le sue sole forze; ma si diede con rinnovato zelo a predicare e ad insegnare l'Evangelo e trovò anche il tempo di lavorare e di trovare seguaci nella vicina Valtellina, a Tirano, Sondrio e Teglio. Vi esplicò la sua attività specialmente nell'estate del 1555, e in modo particolare nei due primi centri, dove erano stati nel biennio precedente come governatore Giovanni Planta, come vice governatore Pietro Planta e come podestà Alessandro Mengold. Infatti il 4 novembre dello stesso anno egli scriveva da Poschiavo pieno di gioia a Bullinger di essersi recato in giugno a Sondrio, capoluogo della Valtellina, e di esserne ritornato in ottobre a Tirano ed a Poschiavo. Al termine della lettera egli palesa la sua soddisfazione per il favore che l'Evangelo ha incontrato nel suo campo di lavoro e aggiunge che i comuni della Valtellina, Poschiavo, Tirano, Teglio e Sondrio si dichiarano sempre più favorevoli per la semplice dottrina evangelica ed apostolica, che allora, grazie a Dio, veniva nuovamente insegnata nella Svizzera e nella Rezia (6l). «Vogliamo pressare, dice, il nostro Redentore, che è anche il gran Salvatore e Pacificatore, di conservare l'unità col vincolo della fede.» Da queste ultime parole rileviamo una preziosa caratteristica di Giulio da Milano tanto più notevole in confronto con gli altri Italiani, e cioè il suo desiderio di pace unito all'azione efficace per la pura dottrina. La sua posizione non era evidentemente facile in una regione in cui accorrevano tanti Italiani di così diverse tendenze religiose, ma lo vediamo mantenersi saldo come una colonna fino ai suoi ultimi giorni (62).
Egli trovò anche un valido aiuto in Paolo Gadius da Cremona, dal 1554 parroco di Teglio, e nel valente e dotto Scipione Lentulo, parroco dapprima al Monte Sondrio e poi a Chiavenna. D'altra parte non ci è noto in che modo si sviluppasse la comunità di Poschiavo fino all'arrivo di Ninguarda per la sua visita pastorale; anche di Giulio da Milano non ci sono pervenute notizie e non conosciamo sue lettere posteriori al 1555 dirette a Bullinger. Nel giugno del 1568, in occasione del Sinodo di Zuoz, Giulio insieme a Lentulo invia dei cari saluti all'amico di Zurigo; nel Sinodo di Coira del 1571 egli parlò a proposito della questione riferentesi al parroco Giovanni Gantner con tanto fervore, che, come già abbiamo notato, il parroco principale di Coira, Tobia Egli, non trova parole sufficienti, scrivendo a Bullinger, per lodare come si conveniva la sua eloquenza, pietà ed erudizione. Il successore di Egli, Gaspare Hubenschmid, nel suo rapporto a Bullinger sul Sinodo del 1575, tenuto a Coira, scrive che dalla Valtellina si sono soltanto presentati Lentulo e Calandrino, mentre i due veterani, Giulio e Gadius, non vi avevano potuto partecipare per motivi di età o per mancanza di mezzi. Secondo Campell, Giulio morì a 76 anni nel 1581, a Tirano, dopo aver per parecchio tempo provveduto a quella comunità, ed ebbe sepoltura nella chiesa evangelica. Il medesimo autore dichiara che si era distinto per moralità, per devozione, erudizione ed una rara eloquenza.
Nel frattempo la tipografia landolfiana non era rimasta inattiva. Oltre li Statuti di Valtellina e di Poschiavo del 1549e del 1550, fu pubblicata nel 1552 la traduzione del catechismo del Comander e di Blasio, a cura del Bifrun; e la predica di Vergerio contro il culto della Vergine e dei Santi, a cura di Guido Zonca (63). Possiamo anche presumere che l'attiva tipografia abbia stampato delle opere anonime di carattere religioso o polemico di Giulio da Milano, di Altieri o dell'erudito parroco chiavennasco Mainardo. I profughi italiani erano certamente pieni di fuoco nel parlare e facili alla penna, specialmente se si trattava di combattere la chiesa romana, il Papa e l'Inquisizione. Non è perciò da stupirsi se gli ambienti cattolici sorvegliassero la tipografia e cercassero di impedire la sua attività (64).
Ma la lettura di quelle pubblicazioni incoraggiò molti cattolici, vicini e lontani, alla nuova fede, mentre vi rafforzò quelli che già vi avevano aderito.
Nel 1561 la minacciosa animosità cattolica contro i Landolfi si trasformò in tempesta: già nel 1554 I'arcivescovo di Milano, Giovanni Angelo Arcibaldo, ed il maestro dell'Inquisizione Bonaventura Castiglione, avevano emanato un rigorosissimo editto contro ecclesiastici o laici che leggessero le Sacre Scritture in lingua volgare, contro coloro che non ne denunciassero i possessori e stabilivano la Scomunica contro tutti quelli che comunque non erano autorizzati a tale lettura. Nel 1561 pervenne alla Dieta delle Tre Leghe un reclamo relativo alla tipografia dei Landolfi: il 7 giugno di quell'anno ci presentò ai delegati comunali delle Tre Leghe, radunati a Coira, il nunzio pontificio Bernardino Bianchi, prevosto di S. Maria della Scala a Milano, con alcuni ricorsi, tra i quali uno di questo genere: A Poschiavo, nella giurisdizione del vescovo di Como, si tollera una tipografia, i cui libri oltraggiano Dio, vilipendono la santità papale, lanciano veleno contro la santa sede di Roma, contraddicono la santa dottrina della chiesa, accusano di falso la messa, come gli altri sacramenti, si oppongono a tutto quello che i concili e la chiesa cattolica considerano come dottrina intangibile.
L'assemblea prese nota di tutta la relazione del nunzio, che era fiancheggiato dall'ambasciatore spagnolo Angelo Ricci, e promise di sottoporre le lagnanze all'esame dei comuni prima della prossima Dieta: poiché i reclamanti consideravano troppo lungo l'intervallo che li separava dall'assemblea ordinaria, se ne fissò una in sessione straordinaria per il 20 di ottobre, la cui spesa sarebbe stata a carico degli interpellanti.
Ebbe cosi luogo la Dieta di Ilanz, a cui intervennero numerosi gli ecclesiastici delle due confessioni. Il parroco di Coira Fabritius predicò due volte durante le sedute, e fra gli ascoltatori si notarono anche dei parroci cattolici. Al termine delle riunioni furono rivolti sentiti e ferventi ringraziamenti alla Santità Papale, pur osservando che nei tempi precedenti si erano sempre amichevolmente risolte tutte le questioni della vita religiosa tra i vari comuni delle Tre Leghe, e si esprimeva la speranza che anche per l'avvenire la buona armonia avrebbe potuto regnare e favorire delle condizioni tanto privilegiate.
Per quanto riguardava la tipografia di Poschiavo, si sarebbe procurato di impedire la pubblicazione di qualsiasi opera in contrasto con le Sacre Scritture e la Santità del Papa; le eventuali pubblicazioni del genere già fatte, sarebbero state senza altro soppresse. Così la Dieta costò ai due delegati la somma di 660 corone, ma non diede in alcun modo soddisfazione alle loro esigenze (65) La delusione fu specialmente letta in viso al delegato papale, quando lo si vide mordere furiosamente la catena d'oro che portava al collo in segno di distinzione, e partirsene in tutta fretta la sera del 23 ottobre in compagnia del suo malizioso compare. Quanto alla tipografia essa poté essere conservata a Poschiavo e in seguito fu ancora di prezioso ausilio nella propagazione della fede, e senza alcun timore della censura della Dieta grigionese. Sulla Riforma a Brusio mancano delle notizie precise; ma se il vescovo Ninguarda nella sua relazione afferma che un terzo degli abitanti avevano aderito alla nuova fede e che su duecento famiglie circa sessantacinque o settanta erano evangeliche, si può affermare che il movimento riformatore vi abbia avuto inizio prima ancora che a Poschiavo. Anche il fatto che i Cattolici e gli Evangelici dividessero l'uso dell'unica chiesa, sta a dimostrare che questi ultimi erano in numero assi ragguardevole. Possiamo inoltre affermare con una certa sicurezza che anche a Brusio, Giulio da Milano abbia esercitato il suo ministero.
Pare però che le relazioni tra Poschiavini e Brusiaschi non siano sempre state delle migliori: infatti notiamo, a mo' d'esempio, che nel 1521 Brusio dovette prender l'impegno di fronte a Poschiavo di provvedere al restauro del ponte di Piattamala, e di mantenere in efficienza la strada da Piattamala al termine del lago; ma nel 1541 Brusio dovette rivolgersi alla Dieta per reclamare contro la vendita fatta da Poschiavo di alcune terre appartenenti invece a loro; un'altra vertenza sorse poi quando Poschiavo si servì del denaro del fondo comune per il lavoro di restauro della chiesa di S. Vittore e per la costruzione dell'ossario vicino alla Cap-pella dell'Oratorio. Pare inoltre che non fosse cosa facile raggiunger un accordo per la nomina dei podestà e dei giudici ecc.
Tutti questi dissidi non impedirono a Giulio si portare anche ai Brusiaschi la pura parola di Dio: non si comprenderebbe d'altra parte come egli avrebbe potuto tralasciare di annunziare la parola di Dio a Brusio, mentre esercitava il suo ministero nel «Tertiarium» superiore e in quello centrale della Valtellina. La prova più evidente può essere che, alla sua morte, il monaco Cesare Gafforus, guardiano del convento francescano di Piacenza, passato alla Riforma, divenne il suo degno successore e si prese la parrocchia di Poschiavo e di Brusio.
All'epoca della visita pastorale del Ninguarda, il pastore di Brusio, come già abbiamo detto, era Giovanni Andreoscha (66). Dovevano esserci degli evangelici anche nel ristretto territorio di Meschino, fra Brusio e Poschiavo: risulta infatti da una deliberazione del principio sel XVII° secolo che quei parrocchiani potevano a piacimento rivolgersi per i servizi liturgici (battesimi e funerali) sia a Poschiavo che a Brusio. Nella valle di Poschiavo risulta che cattolici e protestanti vissero in armonia e con reciproco rispetto fino all'arrivo del Ninguarda che se ne volle immischiare. Quell'accordo confessionale che la Dieta del 1561 aveva lodato e che si conservò ancora per alcuni decenni, si trasformò poi al principio del XVII° secolo in odio e sete di sangue da parte dell'elemento cattolico. Una prova della buona armonia e della reciproca comprensione si può avere dal seguente fatto: il servizio divino era fatto per ambedue le confessioni nella chiesa di S. Vittore spogliata da ogni sorta di immagini. Una conferma ne è inoltre data dalla deliberazione patriziale del 1572 con cui si permetteva ad ogni cittadino di assistere alla predica od alla messa: non si può certamente spiegare tale deliberazione come frutto di indifferensa religiosa, poichè vi si aggiungeva che chiunque non avesse frequentato l'uno o l'altro culto, perderebbe il diritto di essere nominato alle cariche comunali. Fu inoltre stabilito nel 1573 che tanto il parroco evangelico quanto il prete cattolico dovevano ricevere dalla cassa comunale duecento lire di stipendio ciascuno e che pure il sacrestano fosse retribuito dalla medesima cassa per il servizio che egli avrebbe prestato per le due confessioni, e che infine il camposanto fosse di proprietà collettiva. Queste decisioni furono poi riconfermate nel 1595 (67).
Capitolo III B. La Riforma nelle valli di Poschiavo, Bregaglia, Mesolcina



b) La Riforma in Val Bregaglia
Se nella valle di Poschiavo la Riforma non riportò vittoria completa, la Bregaglia nel volgere di pochi anni si trasformò in una valle protestante. La valle, che si percorre a piedi in quattro ore, si abbassa fortemente dal Settimo e dal Maloggia su Casaccia, Vicosoprano, Stampa, Promontogno e Castasegna fino alla frontiera italiana. Mentre l'altezza ai piedi del Maloggia raggiunge i 1634 m., Castasegna non giace che a 682 m. sul livello del mare. La forte pendenza verso il sud rende la valle, come si esprime anche un dotto Bregagliotto, un paese ricco di contrasti, ove contemporaneamente si danno la mano inverno ed estate, nord e sud, e dove selvaggi alpi confinano immediatamente con gli ubertosi campi del clima d'Italia: il maestoso castagno ed il modesto cembro, la rosa delle alpi ed il fico sono in stretta vicinanza tra di loro.
Politicamente la valle, al tempo della Riforma, si divideva nelle due circoscrizioni di Sopra- e Sotto-Porta, che insieme costituivano una giurisdizione (68). Sprecher, nella sua cronaca retica (Pallas Rhaetica armata et togata), ci dice che la valle aveva posseduto numerosi antichi e notevoli privilegi imperiali; era divisa in due circoscrizioni; Casaccia, ai piedi del Maloggia e del Settimo, ove le due strade alpine si separano, rappresentava la settima parte della circoscrizione superiore. Quel luogo era importante per le reliquie di S. Gaudenzio, che quivi era stato sepolto, dopo aver portato fin là il suo capo reciso; al villaggio, nei pressi del quale si innalzava una antica torre, appartenevano Cavril e la montagna del Maloggia; i suoi abitanti avevano un proprio landamano per gli affari civili (69). La rimanente zona di Sopra-Porta, continua Sprecher, era formata di quattro squadre: La Plaza (Platea); San Cassian; Burnov (Burgus Novus, Borgonovo); Coltura e Stampa. I nomi dei villaggi erano Vespran, in cui si trovavano Sot Castel e un'altra torre, con Rutic e Pungel, Burnov, Stampa con Muntac ed altre frazioni.70 Il landamano con dodici giudici aveva compe-tenza giudiziaria sopra tutti i casi civili.
Sotto-Porta invece si suddivideva in tre parti, di cui due erano costituite da Soglio e Castasegna (71), e l'altra da Pont (Bondo) e Promontogno, che anticamente aveva nome Muri. Soglio, località molto rinomata alle falde del monte, era molto conosciuta perchè quivi fin dai tempi più antichi aveva avuto sede la nobile famiglia dei de Salis. Il landamano della circoscrizione inferiore aveva le stesse mansioni del suo collega della Superiore e lo stesso numero di collaboratori. La sede del tribunale criminale per tutta la valle era Vicosoprano; esso era presieduto dal podestà, coadiuvato da 18 giurati; le questioni matrimoniali invece erano di competenza di un apposito giudice con la giunta di sei membri.
Come già si è detto in un precedente capitolo, dal punto di vista eccle-siastico la valle costituiva una comunità Sola alle dipendenze del parroco di S. Maria di Castelmuro. situata sul colle che divide le due circoscrizioni. Egli aveva il titolo di arciprete e vigilava sulle diverse chiese e cappelle della valle e sui loro ecclesiastici, i quali si riunivano occasionalmente sotto la sua presidenza per prendere delle decisioni; la Sua nomina non dipendeva dai vicini, come sarebbe awenuto nella prassi evnngelica, ma dal vescovo di Coira. Si conoscono anche i nomi di parecchi prelati di quell'importante posto del periodo anteriore alla Riforma: cosi per es. Tomaso Planta, Giorgio de Stupanis, Simeone Prevosti, Antonio de Negrinis (72).
Quale ultimo pievano della chiesa di S. Maria della Val Bregaglia officiò Alberto de Andrianis (1521-1536): i nomi degli ecclesiastici al lavoro nella valle attorno al 1521 si conservano in un documento dell'archivio vescovile di Coira (Catalogus Curiensis) ed erano: lacobo de Prepositis (Prevosti), cappellano a S. Cassiano, Antonius Lumaga, cappellano a S. Gaudenzio, Giovanni Alberti a Bondo, Giovanni de Bondio a Soglio; Simone Faschila a S. Lorenzo in Soglio; Giovanni de Pastelia a Castssegna. La Bregaglia ospitava dunque nel 1521, alla vigilia della Riforma, almeno nove ecclesiastici per una popolazione relativamente scarsa (73). Bisogna però tener conto che in quel tempo il traffico attraverso alla valle era intenso e che evidentemente aumentava le responsabilità e le mansioni del clero. Il quadro migliore della situazione ecclesiastica di quel tempo lo si ottiene, Specialmente per Sotto-Porta, dai protocolli dei notai di Bregaglia dal 1474 1494 (74).
Cristina von Hoiningen-Huene, in base a profondi studi, ci fa rilevare. che i Bregagliotti furono un popolo intensamente religioso, prima e dopo la Riforma. Non si pronunciava un giudizio od una sentenza, se non si era invocato in precedenza il nome di Dio e di Gesù Cristo o senza raccogliersi in preghiera. Nei processi, per cause di matrimonio, i giudici indugiavano a pronunciare la sentenza fin che non sentivano l'ispirazione divina. In un processo criminale si invocava il Sommo Iddio che illumi-nasse i giudici alla ricerca della verità. Nel caso di un grave misfatto, si diceva del colpevole che egli aveva dimenticato l'eterna salvezza, ia Sacra Scrittura, i comandamenti divini, e si era lasciato sviare dalle maligne arti del diavolo.
Dopo il rinnovamento della fede, molti protocolli cominciavano: In nomine Salvatoris nostri Jesu Christi, oppure: In nomine Domini. Prima della Riforma, i notai invocavano pure l'assistenza della Vergine.
Prima che i Bregagliotti pensassero minimamente al rinnovo della fede, solevano recarsi in pellegrinaggio alla tomba di S. Jacobo di Campostella (ancora nel 1518); di frequente pagavano delle messe per il suffragio dei defunti; nelle ore di durissime prove (morti, malattie ecc.), facevano voti e disponevano per testamento delle somme a favore dei patroni delle chiese del proprio villaggio o di quelli circonvicini, come ad esempio di S. Martino di Bondo, S. Lorenzo di Soglio, S. Giovanni Battista di Chiavenna, S. Giorgio di Stampa, S. Pietro di Coltura, S. Cassiano di Vicosoprano, S. Gaudenzio di Casaccia, la Madonna di Castromuro, la Madonna di Tirano, S. Sebastiano di Pontela, S. Sebastiano di Piuro, S. Gallo di Bivio. Gli ex-voto erano costituiti da vacche, pecore, cera per le candele dell'altare, olio, strutto, burro per la luce eterna, cereali, denaro, formaggio, vino. Alle volte erano donazioni di una volta sola, ma sovente esse si ripetevano annualmente, e per il cui adempimento si impe-gnavano da prima dei fondi. Le pecore offerte in dono andavano a finire sulla mensa del prete; le vacche, secondo le circostanze, si assegnavano a contadini in cambio del pagamento di un certo fitto, come per esempio di otto libbre di burro fresco. Avvenne perfino che una vacca si diede in affitto per metà a due contadini, e ciascuno di essi doveva consegnare annualmente due libbre di lardo.
Dalle registrazioni protocollari citate e da molte altre risulta che il popolo bregagliotto si sentiva molto legato alla chiesa e lo dimostrava apertamente in molte circostanze: era una gente animata da profondi sentimenti religiosi.
Meno favorevole è l'impressione che si può avere sul conto del clero. Si sa che il pievano Alberto de Andrianis aveva una figlia di nome Caterina, che più tardi divenne moglie del parroco evangelico di S. Giorgio (Stampa) e di S. Pietro (Coltura), Laurentius de Vignano. Anche di un prete itinerante di nome Bernardino Battaglia di Brixen, parroco della vicina Ponteggia, si narra che una volta tornò da un suo giro tutto pesto e rovinato. Il 17 dicembre del 1542 venne insediato quale cappellano di S. Giorgio e di S. Pietro (per Stampa, Coltura e Gualdo) il signor Vincenzo Ballo di Coltura, con promessa da parte dei parrocchiani di garantirgli il necessario, purchè si comportasse come un sacerdote (se salvando, ut licet sacerdoti) (75).
Che i preti poi non si scandalizzassero di accusarsi a vicenda davanti al popolo e davanti ai giudici, lo dimostra un processo tra il pievano Alberto de Andrianis e i due preti Giovanni di Bondo e Giovanni Repfallet, durante il quale il primo cercò invano di sottrarsi alle accuse dei due altri, perchè i giudici lo condannarono alla prigione. Meno scandaloso, ma pur seguito con occhio critico dal popolo, il traffico di beni terreni da parte di parecchi ecclesiastici. Risulta registrato che Urbano Prevosti, cappellano di S. Giorgio e di S. Pietro, nel 1537 aveva acquistato dei beni per sè e per i suoi eredi, consistenti in una casa, giardino e vigneto a Betto per 44 libbre e che li aveva dati in affitto per tre staia di vino annue. Già prima, il 2 marzo 1523, egli era diventuto padrone a Ultremura, vicino a Chiavenna, di una casa in muratura con giardino sulla strada imperiale per il valore di 65 libbre, e che l'aveva affittata per una brenta di vino buono all'anno. Nello stesso anno poi aveva comperato una casupola con un piccolo giardino a Gualdo, su cui gravava una regalia ecclesiastica a favore della chiesa di S. Giorgio. Non senza stupore poi si apprende che egli aveva concluso nella sua casa di S. Giorgio un contratto per la compera di svariate obbligazioni per un importo di 427 libbre. Il suo salario evidentemente non gli avrebbe mai concesso di effettuare delle operasioni pecuniarie di tal portata. Egli infatti aveva concluso il 1° maggio 1523 un contratto con i rappresentanti di Stampa, Gualdo e Coltura, in base al quale essi gli garantivano quale cappellano di S. Giorgio e di S. Pietro un salario a vita di nove fiorini e dieci grossi per leggere regolarmente la messa in chiesa (76). E' quasi certo però che i parrocchiani si diedero pensiero e si preoccuparono per il contegno del loro parroco, che 1'8 maggio fu chiamato curatore di S. Giorgio, esprimendosi qualche volta in modo poco lusinghiero.
Una vera corrente di sdegno si manifestò poi contro l'ultimo parroco cattolico di Sopra-Porta, Ser Vincenz di Vicosoprano. Costui, dopo la morte di suo fratello Tonella, vendette, all'insaputa della vedova, tutti i beni mobili del defunto, cioè 14 cavalli, 16 pecore, tutto il fieno, la pa-glia, il guaime che aveva a Coltura, le bardature dei cavalli, e tutto ciò che con questi veniva da Dalla (Dall nel Tirolo), sale ecc., per l'importo di 400 fiorini e pagamento dei debiti di osteria del fratello, a cominciare da quelli all'albergo di Dalla.
La vedova, di nome Ursa, il 14 dicembre del 1542 gli intentò una causa per questo procedere cosi violento: essa si sentiva lesa ed offesa dopo 18 anni di vita coniugale col Tonella, e non riusciva a capire perchè il cappellano la trattasse in quel modo. Se la cosa si avviava in questo senso, diceva essa, tutto il necessario le sarebbe mancato, e di che avrebbe dovuto vivere se le fossero tolti anche i cibi e i vestiti? Il cappellano le rispose che in primo luogo occorreva provvedere al sostentamento della madre ed estinguere i debiti, quindi non avrebbe avuto nulla in contrario se il resto si passasse alla vedova.
Il tribunale dispose: 1° Per il sostentamento della madre si doveva ricorrere al patrimonio comune; 2° I debiti del defunto Tonella e le spese del mantenimento della vedova erano da prelevarsi dal bene ereditato, fintanto che essa sarebbe rimasta vedova Le furono pertanto assegnati due curatori, che dovevano sorvegliare a che le somministrazioni in viveri e abbigliamento fossero sufficienti. Sentenza ottima ed assai amara per il cognato prete.
Non si ricava quasi nulla dai protocolli notarili circa la preparazione culturale dei sacerdoti; in nessun posto però ssi trovano tracce di studi superiori (77). Il "praecantare ecclesiam o cappellam", menzionato nei protocolli, che consisteva in un debole ed atono suggerimento di certe preghiere liturgiche, era un'antica usanza e non si può considerare un sintomo di una cultura deficiente. E' invece sorprendente che i preti solo eccezionalmente venivano considerati eruditi; ad Alberto de Andrianis, che abbiamo già più volte menzionato, è riservato tale attributo in un passo dei protocolli. Altri preti vengono citati quali assistenti legali, come per es. il cappellano di Bondo, Giovanni de Picenoni ab Acqua, nella cui dimora furono di frequente conclusi dei contratti. Altri funzionavano occasionalmente quali notai, come nel 148s il signor Giacomo de Castelmur. Il popolo accettava la situazione che attraverso un lungo periode di tempo si era radicata, ma in fondo si sentiva insoddisfatto particolarmente per quel che concerneva il servizio dei parroci (78). Ma appunto in ciò erano nascosti i germi che avrebbero dovuto produrre il rinnovamento della fede. Avrebbero dovuto comparire soltanto gli uomini versati nelle Sacre Scritture e pervasi di spirito evangelistico per pronunciare le parole decisive e strappare la maggior parte del popolo all'antico sistema.
Le persecuzioni religiose in Italia furono appunto quelle che procurarono il passaggio attraverso la Valtellina di simili uomini, e quindi nel contado di Chiavenna e poi nella valle Bregaglia, dove incominciarono con lo spirito intraprendente proprio dei meridionali a scrollare il già vacillante edifizio del cattolicesimo locale.
Alla testa di quei profughi, come ben presto vedremo, stava Pier Paolo Vergerio, di cui già abbiamo avuto occasione di parlare; come centro di ritrovo, ci fu la casa parrocchiale di Vicosoprano. Il rinnovamento della fede si sarebbe forse sviluppato in un modo più rapido se se ne fosse occupato il parroco di Nostra Donna (79). Probabilmente la valle avrebbe evitato molte lotte ed il sacro bronzo, fuso nel 1492 dal mastro Ulrico di Coira, coi suoi fieri rintocchi che risonavano fino al Settimo ed al Lovero, avrebbe fatto accorrere la gente ad ascoltare la parola di Dio, di recente riscoperta, con la stessa gioia di una solenne messa.
Ma non fu alla chiesa di S. Maria di Castromuro che si annunciò per prima il puro Evangelo, senza le deviazioni di Roma, ma a S.Cassiano di Vicosoprano. In essa, già prima del 1533, venne annunziata la verace parola di Dio: in data 5 ottobre di quell'anno infatti dei delegati di Sotto-Porta si lagnarono davanti al landamano Christoffel Bernard di Bergün ed i suoi consiglieri, che sedevano a Casaccia per incarico della Lega delle 10 giurisdizioni come tribunale, perchè Sopra-Porta si permetteva di amministrare e di reggere da sola l'ospedale di Casaccia, benchè esso fosse di proprietà di tutta la valle. I tre rappresentanti di Sotto-Porta si lamentarono inoltre in modo particolare della vicinanza di Vicosoprano che aveva abbandonato la messa e adottato un parroco evangelico, tentando poi di impossessarsi dei beni della chiesa valligiana di S. Maria per retribuire il suo parroco. Il collegio giudiziario dispose che l'attuale intendente dell'ospedale dovesse mantenere la carica e gli onori e che dopo la sua morte si sarebbe passati in buon accordo alla nomina del successore.
Per quanto concerneva la chiesa di Castromuro, propose di affidarla alla sorveglianza di due galantuomini, I'uno di Sotto- e l'altro di Sopra-Porta, e che la maggioranza del popolo avrebbe poi scelto se preferire la messa o la predica; nel caso si fosse deciso per l'abolizione della messa,i beni sarebbero serviti alla manutenzione dei poveri della valle (80).
Tale sentenza ci permette di dare uno sguardo aisai istruttivo sulla situazione confessionale della valle: è soltanto perchè la Riforma già aveva attecchito con una certa profondità che ci si poteva domandare quale delle due confessioni dovesse essere annunziata alla S. Maria o persino se cotesta chiesa dovesse essere per sempre chiusa.
Non dobbiamo indagare a lungo per sapere quali siano stati i pionieri della Riforma in Val Bregaglia: essi non provenivano nè dall'Engadina né dalla Val Sursette, che a quel tempo seguivan rigidamente la dottrina cattolica, ma dall'Italia. Fra gli ecclesiastici indigeni, benchè numerosi, nessuno possedeva le cognizioni richieste e l'indipendenza necessaria per poter sopprimere i disordini della chiesa. Fu lo straniero Bartolomeo Maturo che per primo iniziò in Bregaglia la predicazione deila schietta parola di Dio (81).
Maturo, già priore del convento dei domenicani a Cremona, sul corso medio del Po, era stato costretto a lasciare il convento e l'ordine dei predicatori specialmente a causa dei miracoli di Maria, inventati per ingannare più facilmente le menti credulone, e per le arti che impiegavano i frati a dominare il popolo ignorante. Come altri Italiani di comune vicenda, egli passò in Valtellina, dove iniziò la sua opera di evangelizzazione: è quasi sicuro che fosse costui quel fratello italiano che, secondo quanto ebbe a scriverne, il 12 aprile del 152s Giovanni Comander al medico Gioacchino de Watt di S. Gallo, era stato invitato a comparire da-vanti alla Dieta a Ilanz per rispondere circa la sua predicazione in Valtellina e che, nonostante la sua valente difesa ed il suo fervente spirito evangelico, era stato condannato a lasciare il baliaggio ed a smettere il suo apostolato. Il povero sbandito fu poi accolto da un deputato brega-liotto e condotto nella sua valle. Più tardi acconsenti all'invito di un uomo pieno del timor di Dio e annunciò l'Evangelo nell'Alta Engadina, dove fino allora tale predicazione era sconosciuta. Se ne fece gran rumore, ma non vi furono gravi conseguenze. Interessante il fatto che il bandito predicò proprio a coloro che poco prima l'avevano cacciato e condannato. Ma quel che i rivali dello straniero credevano di aver costrutto a propria difesa, Iddio trasformò invece in una potente arma di offesa contro di loro. I potenti dell'Engadina avevano fino allora circondato la loro valle come di un muraglione insormontabile, in modo che non un raggio di luce vi potesse penetrare; ma grazie a Dio, inutilmente (82).
Maturo si stabilì a Vicosoprano, che era il capoluogo di Sopra-Porta e della valle in generale. Il deputato che alla seduta di Ilanz l'aveva benignamente protetto, ottenne, aiutato sa altri seguaci della Riforma, che egli fosse impiegato nel Sopra-Porta. Con tale provvedimento però l'antica credenza non era ancora tolta: dai protocolli notarili si può rilevare che accanto al nuovo culto si continuava a celebrare anche quello cattolico. Nel 1542 si assiste ancora nel Sopra-Porta allo spettacolo insolito che tanto la messa quanto la predica avevano nel medesimo posto i loro officianti (83).
Il signor Vincenzo Ballo, fratello del somiere Tonella e figlio di Peter Zeus di Coltura, che abbiamo già altrove menzionato, era allora prete: il contratto che aveva stipulato il 1° dicembre 1542 a Stampa, quale cappellano di S. Giorgio e S. Pietro, contenente la clausola per cui egli avrebbe doruto comportarsi sacerdotalmente, ed inoltre il suo violento procedere contro la cognata Ursa, non ce lo fanno apparire quale degno rappresentante della vecchia fede. Egli dimorava a Coltura nella casa paterna: nel caso che avesse voluto trasferirsi a Vicosoprano, il sacrestano avrebbe dovuto sgomberare la casa parrocchiale e riconsegnare tutto ciò che easa conteneva. Se la comunità di Sopra-Porta avesse deciso di retribuire il parroco ed il prete dai medesimi fondi pubblici, si sarebbero considerati ugualmente aventi diritto tanto l'uno che l'altro.
Dalle clausole di questo contratto si ritiene che attorno al 1542 la predicazione dell'Evangelo nel Sopra-Porta era ben avviata e che ormai nessuno intendeva opporvisi. Le funzioni cattoliche venivano officiate dal cappellano di Coltura, Stampa e Gualdo, a disposizione del quale stava la casa parrocchiale di Vicosoprano nel caso che egli avesse voluto trasferirvisi. Da tutto quanto sopra si vede che la vecchia fede stava perdendo man mano terreno, mentre la nuova ne guadagnava. Si può ritenere che dal 1542 in poi a Vicosoprano si sia celebrato il culto evangelico regolarmente e che anche nelle altre comunità in numero sempre crescente i valligiani si allontanavano dal culto cattolico.
Maturo era al tempo stesso prudente ed audace. Egli non temeva di presentarsi in pubblico a parlare; ma la sua forza consisteva maggiormente nel criticare alla base la fede da lui ahbandonata che nell'esporre i concetti di quella abbracciata; data la sua qualità di ex-priore di convento, non gli si possono però negare delle eccellenti conoscenze. Egli era passato al protestantesimo per una sincera convinzione interiore, senza la quale non si spiega come egli avrebbe abbandonata la sua riguardevole posizione e la ricca tavola per le miserie della vita di un profugo (84).
Nei sinodi si faceva notare per le sue richieste noiose e per le sue cavillose discussioni, ma era anche facilmente ridotto al silenzio e rimesso sulla buona strada. Nella corrispondenza dei Grigioni con Bullinger è menzionato una volta sola il 19 dic. 1545 insieme a Camillo Renato, come ministro dell'Evangelo nel Sopra-Porta (evangelicus Superioris Praegalliae minister). Nella sua non facile attività di riformatore gli stavano a fianco come laici influentissimi le famiglie Prevosti (Dott. Rodolfo de Prevosti) e Pontisella (Dott. e can. Johannes de Pontisella). Quest' ultimo abitava un po' al di sopra del villaggio sulla destra della Maira, cioè a Pungello. Con Vicosoprano saranno passati alla Riforma anche i villaggi e le borgate di Roticcio, Cant, Crana, Castellaut. Invece Borgonovo, Stampa, Coltura e Gualdo verso il 1542 praticavano ancora probabilmente la vecchia fede, perchè a quel tempo, come abbiamo visto, vi officiava ancora vincenzo Ballo. Per ultimo deve essere passato alla Riforma il paesetto di Montaccio: colà si era espresso il desiderio di voler restare fedeli al Santo Antonio, di cui si conservavano altare e dipinto nella chiesa di S. Pietro a Coltura.
Quel che ne sia stato in seguito di Maturo, non ci è noto: secondo il De Porta si sarebbe recato a Scharans nella Val Domigliasca ed ivi sarebbe morto. Nell'elenco dei parroci di Scharans, la cui prima parte è poco attendibile, si trova registrato quale secondo ecclesiastico di quella comu-ità un certo «Giovanni, un Italiano». Dall'elenco dei parroci composto da Truog risulta effettivamente che dal 1547 in poi il Maturo lavorò in quella località.
Giulio della Rovere da Milano fu suo successore a Vicosoprano; noi lo conosciamo ormai col nome di Giulio da Milano, riformatore di Poschiavo, che appunto in quell'anno diede inizio alla sua attività in questo Borgonovo, Stampa e Coltura appare come primo parroco Lorenzo Martinengo, 1549-1586. Nel frattempo Vincenzo Ballo o era morto o si era ritirato. A Lorenzo Martinengo successero ancora nel XVI° secolo Lorenzo Sancino, 157s1585, e Alberto Martinengo (1584- 1662) (85).
La Riforma in Bregaglia ebbe un notevole impulso quando vi accorse Pier Paolo Vergerio, proveniente da Poschiavo. Nonostante il suo brillante successo, non si intrattenne a lungo nella valle ai piedi del Bernina: nell'autunno del 1549 lo ritroviamo a Chiavenna, intento ad appianare divergenze teologiche sorte in quella comunità, e nel novembre dello stesso anno era a Basilea, donde diresse la sua prima lettera a Bullinger. La comunità di Vicosoprano lo aveva nominato pastore probabilmente perchè da Chiavenna e da Poschiavo la sua fama era giunta fino a loro (86). Il nunzio papale destò un moto di sorpresa quando accettò l'invito a Vicosoprano; il 22 gennaio del 1550 si mise in cammino per la Bregaglia. Quando gli si comunicò la notizia della sua nomina in questa parrocchia, probabilmente si curò pure di informarlo che la valle era pronta per la messe e che era nel nome di Dio che egli era pregato di porre le sue forze e il suo insolito talento al servizio della buona causa. Sebbene fosse a Basilea per delle conversazioni durante l'inverno con i dotti della città e per curare la stampa di certe sue pubblicazioni, egli non indugiò affatto a partire, rinunciando ai suoi progetti. Il 20 gennaio del 1550 egli scriveva al medico della città di S. Gallo, Gioacchino de Watt, di essersi recato a Basilea nell'intento di passarvi l'inverno, ma che Dio aveva diversamente disposto di lui. Egli l'aveva chiamato in un villaggetto delle Alpi retiche di nome Vicosoprano e sentiva il dovere di ubbidire a tale voce. In quella lettera aggiungeva inoltre che avrebbe lasciato Basilea due giorni dopo. In caso che Vadiano avesse comunicazioni da fargli, gli facesse pervenire le lettere a Coira, donde esse gli sarebbero state inoltrate senza difficoltà.
Vergerio comparve dunque in Bregaglia e si rivelò veramente l'uomo ispirato da Dio per guadagnare all'Evangelo la valle intera, dal Settimo al Lovero. Non aveva studiato teologia, ma giurisprudenza, e quale giurista era entrato al servizio della curia papale. In ricompensa dei suoi preziosi servizi, gli era stato conferito il vescovato di Capodistria (Istria). Quale nunzio papale, egli dovette avere frequenti contatti con i protestanti, e fu in seguito sospettato di eresia, poichè manteneva con essi rapporti troppo amichevoli. Per sottrarsi a tali accuse, credette di pubblicare un opuscolo contro gli eretici, ma nello studio della letteratura riformata si sentì tanto scosso dal}e verità in essa affermate, che la rottura con la Chiesa Romana divenne inevitabile.
Quando la sua posizione di fronte al papato fu nota a tutti, non gli restò altro che fuggire per sottrarsi all'Insuisizione. E' logico che a Roma, data la posizione dell'Inquisizione, egli fosse vittima del violento odio che si nutriva contro tutti gli eretici, come si può facilmente capire che egli per conto suo non risparmiasse affatto Roma. Dalla sua penna infatti uscirono degli scritti contro il papa, contro la tradizione trasmessa da una generazione all'altra, contro i miracoli della Vergine, le immagini ecc., i quali suscitarono grande impressione.
C'è da meraviglisrsi che un uomo di tal fatta abbia destato la Val Bregaglia e sia riuscito a demolire completamente la chiesa già vacillante? Egli era molto superiore agli ecclesiastici della valle ed inoltre disponeva di una brillante vena oratoria e di un portamento nobile e dignitoso, derivatogli dalle investiture ecclesiastiche precedenti. Cosi in breve debellò le ultime resistenze (87). Una cosa però gli mancava: egli non sapeva agire con la dovuta calma ed attendere pazientemente che maturasse il seme che aveva sparso. La conversione della Val Bregaglia cosparsa di idoli gli stava certamente a cuore, ed era senza dubbio pervaso da un sincero amore per la sua comunità. In una lettera a Bullinger del 1° senembre 1552 egli chiama cari bambini che nutre col latte dell'Evangelo i suoi parrocchiani. Era insomma tutto fervente di zelo. Predicava per es. nell'autunno del 1551 tre volte alla settimana ed era certamente anche impegnato per l'istruzione della gioventù, poichè fu autore di un catechismo. Ma la sua bella attività si svolgeva anche all'esterno della parrocchia. Una una parte cercava di acquistarsi una posizione predominante nel Sinodo retico e di allacciare relazioni con importanti personaggi evangelici, ecclesiastici e politici, e dall'altro canto si dimostrava intrepido nella lotta contro la Chiesa Romana e nel mettere in guardia contro il Concilio, appunto allora convocato a Trento.
Per la vastità e la mole delle sue occupazioni, un uomo del genere dimenticava sovente i compiti del suo ministero. Ora era a S. Gallo, ora a Zurigo, ora a Basilea, ora visitava la vicina Chiavenna, ora la Valtellina. Nel 1550 fu per es. assente da Vicosoprano dal principio di giugno al principio di settembre e nel 1551 dalla fine di giugno alla fine di settembre (88) Anche nell'Alta Engadina egli si fece sovente vedere, e vi operò con successo e con merito a diffondere le nuove idee. Più volte comunicò a Bullinger (per es. il 23 gennaio ed il 15 febbraio 1553) che il Signore, servendosi di lui, aveva abolito la messa in otto borgate. Nello stesso tempo Vergerio impegnava parecchie tipografie per la pubblicazione di scritti tradotti o redatti da lui medesimo, diretti in gran maggioranza contro il papa, che egli detestava, o contro i suoi satelliti (89).
Nel frattempo cercava di procurarsi un posto in Inghilterra: tale instabilità è in parte scusabile, poichè il suo campo di lavoro si trovava in un punto di transito delle soldatesche e al passaggio delle Alpi: il suo pensiero era sovente trasportato altrove dai racconti dei soldati o dei dignitari politici od ecclesiastici che passavano, e ci si può facilmente immaginare come la sua mente seguisse, al di là dei confini della sua comunità, le vicende d'Italia e gli intrighi religiosi in Isvizzera e in Germania. Una volta egli scriveva infatti che un fratello fuggitivo era stato poco prima da lui e che ben volentieri accetti discepoli di Cristo, ma che non tutti meritino tale nome; un'altra volta, che molti fratelli italiani non solo gli scrivevano lettere, ma anche lo visitavano per intrattenersi personalmente con lui e rifornirsi di libri; una terza volta ancora, che a delle persone di passaggio avesse consegnato delle lettere per Bullinger, con la speranza che giungessero a destinazione, per quanto i latori di esse non condividessero la sua fede; e che i suoi nemici resterebbero assai avviliti se vedessero la sua casa parrocchiale diventata un asilo per i devoti perseguitati in Italia.
Da tutto questo possiamo non solo immaginarci come Vergerio fosse di frequente assente col pensiero, ma anche comprenderlo. Egli era l'uomo ospitale che aveva percorso molti paesi, arricchendosi di esperienze, ma pur ancora desideroso di novità. Da una sua lettera del novembre 1551 indirizzata a Bullinger, togliamo il seguente quadretto: "Sette siamo nella mia rustica casa"; sei ospiti erano dunque riuniti in quella circostanza attorno al paterno amico ed ospite, difensore dei profughi provenienti dall'Italia (90) e certo provenienti da diverse regioni d'Italia, pieni di notizie allarmanti e di molteplici esperienze, I profughi, raccontando le loro peripezie e la condotta obbrobriosa dell'Inquisizione in Italia, tenevano in sospeso di continuo l'animo del Vergerio, infiammavano ancora maggiormente la sua ira contro la Chiesa Romana, ed eccitavano il suo zelo per l'attività letteraria. Questi stranieri poi l'assistevano nel suo lavoro, si prestavano quali messaggieri e probabilmente lo sostituirono, quando egli si dovette assentare per molto tempo da Vicosoprano. Uno di costoro fu senza dubbio Pietro Parsoto di Bergamo, il quale fu incaricato in seguito della parrocchia di Bever e Samedan. I pellegrinaggi a Casaccia rappresentavano per Vergerio un contatto con gli orrori papistici, ed egli fece di tutto per guadagnare all'Evangelo il piccolo villaggio, allora importante per le sue soste (magazzini). Già da parecchi anni si discuteva quivi a proposito della nuova fede: il 14 febbraio 1545 Giovanni Travers di Zuoz, nella sua qualità di giudice della Lega Caddea, aveva deciso che Casaccia potesse adottare a suo piacimento un prete per la messa od un predicatore evangelico. Il 7 settembre 1547 un comitato formato da cinque consiglieri e presieduto ancora da Giòvanni Travers, stabilì che i fedeli di Casaccia non dovessero partecipare in nessun modo alle spese della parrocchia di Sopra-Porta, fin-tanto che fosse mantenuto un prete od un predicante per S. Gaudenzio. In data 23 gennaio 1549 gli abitanti di Casaccia pretesero da quelli di Sopra- e Sotto-Porta di provvedere al mantenimento di un loro parroco, e ad essi la Dieta della Lega Caddea rispose di attenersi alle decisioni di cui sopra.
Capitolo IV. La Controriforma



4.1 Introduzione
Borromeo ci è noto; il suo nome e quello del nunzio pontificio sono strettamente legati con il movimento della Controriforma nelle valli di Poschiavo, della Mesolcina e nei baliaggi delle Tre Leghe. Conosciamo già anche i mezzi adoperati da questo movimento per raggiungere i suoi scopi. La brutale ed intollerante pressione politica della Spagna e dei Confederati cattolici, il blocco delle derrate alimentari provenienti dalla Lombardia, la paralizzazione del traffico e del commercio grigionesi nell'Italia settentrionale, l'incarceramento di sudditi evangelici delle Tre Leghe e dei loro baliaggi oltre i confini politici della Valtellina e del Chiavennasco per ordine dell'Inquisizione, sono cose ormai a tutti note. Seguirono a questi altri provvedimenti, come vedremo più tardi, e tutti questi mezzi di pressione contribuirono a trasformare in minoranza la già maggioranza evangelica della Valle di Poschiavo, a scacciare l'Evangelo dalla Mesolcina ed a soffocare nel sangue il protestantesimo dei baliaggi.
La Controriforma nacque col Concilio di Trento. L'Inquisizione e l'ordine dei gesuiti lavoravano bensì già prima in questo senso, ma il loro lavoro prese pieno sviluppo ed impulso soltanto dopo il Concilio.
La cittadina di Trento situata all'estremo confine meridionale dell'Impero nella Valle dell'Adige, fu sede della grande dieta ecclesiastica, che ebbe nel rinnovamento della Chiesa Cattolica un'importanza eccezionale. Il concilio durò, salvo due lunghi periodi di interruzione, dal 1545 al 1563: i capi di parte evangelica rinunziarono al colloquio, ma ne seguirono da lontano gli sviluppi; neppure i Grigionesi se ne disinteressarono. Le lettere scritte a Bullinger da molti ecclesiastici e laici delle Tre Leghe lo dimostrano chiaramente: esse dicevano fra l'altro sia che il Concilio si era sciolto lasciando cattivo ricordo di sé (18 settembre 1545), sia che esso doveva presto venire riconvocato per la dannazione del Cristianesimo e dell'Evangelo (20 ottobre 1550), sia che non se ne sentiva più parlare e che aveva poco peso, benché frequentato da molti cardinali (12 ottobre 1551), sia che il Vescovo di Coira, Tommaso Planta, vi aveva partecipato, tornando da Roma, ma senza il permesso delle autorità locali (23 novembre 1551), sia che i prelati del Concilio si erano bisticciati e presi a pugni, aggiornando i dibattiti a Pentecoste o forse a mai più (18 aprile 1552), sia che esso si era sciolto perché colpito dal fulmine (18 maggio 1552), Sia che i prelati si erano seriamente impensieriti del propagarsi dell'eresia luterana (17 febbraio 1562) . Altre lettere dicevano che in una sommossa a Trento erano stati uccisi 30 preti, ed un cardinale era stato pugnalato dal suo albergatore per delle proposte immorali alla di lui moglie (13 marzo 1562), che il numero dei partecipanti al Concilio era salito a centocinquanta vescovi ed alcuni cardinali, specialmente italiani e spagnoli, che avevano condannato tutti i libri pubblicati da uomini pii simpatizzanti per la causa evangelica e scomunicato gli autori di libri anti-papali (3 aprile 1562); che il cardinale di Ems aveva schiaffeggiato in piena seduta uno spagnolo che gli aveva rimproverato la scarsa conoscenza del latino (24 agosto 1562), che i servitori degli Italiani e degli Spagnoli si erano azzuffati tra di loro, facendo tredici morti e molti feriti, fino a che gli abitanti di Trento ed i cardinali non li avevano rappacificati (29 marzo 1563), che l'abate di Einsiedeln, Joachin Eichhorn, era ritornato al Concilio il 13 dicembre con tredici cavalli (17 dicembre 1563), che il Concilio pareva sciolto e che Fabritius, parroco di Coira, doveva chiedere ragguagli al Vescovo di Coira (31 dicembre 1563).
Colui che seguiva il Concilio con la massima attenzione in tutte le sue fasi era Vergerio, ex-vescovo e legato papale. Egli ne sconsigliava la partecipazione ed inveiva senza ritegno contro il Papa e i prelati del Concilio. A questa sua avversione egli dava sfogo con espressioni di rabbia in numerose epistole e stampati mordaci. Una delle sue più note epistole è intitolata "Concilium Tridentinum fugiendum esse omnibus piis", che contiene diversi documenti ed un poco lusinghiero commiato all'indirizzo del Papa: "Ti giudichiamo per la tua bocca. I tuoi pensieri ci sono ormai noti. Festeggia pure le tue radunanze ecclesiastiche a tuo piacimento. Noi rimarremo a casa ad annichilire i tuoi empi editti con la spada della parola divina. Per l'amore di Dio, Padre Eterno, e di Suo Figlio Gesù Cristo, la tua potenza e la tua persona verranno soppresse".
Le lettere di cui abbiamo parlato si basavano per lo più soltanto su dicerie e disconoscevano un po' la portata del Concilio. I circoli evangelici andavano però d'accordo nel giudicare il Concilio Tridentino guidato dal Papa e ostile alla Riforma ed in ciò non si sbagliavano: tutte le forze religiose e scientifiche delle quali la chiesa poteva ancora vantarsi (e non erano poche malgrado l'incredibile degenerazione), si unirono per soffocare il protestantesimo e per rafforzare il prodotto dogmatico delle tradizioni medievali.
Specialmente Vergerio sentiva con giusto istinto che con il Concilio sarebbe nata un'idea inconciliabile con lo spirito della Riforma, una potenza avente anzi lo scopo di annientare completamente l'opera dei Riformatori. Questa intenzione esisteva veramente ed era propugnata energicamente e con raffinatezza specialmente da parte del partito curialesco. Questo è anche ammesso da uno storiografo cattolico moderno, il quale dichiara apertamente che il Concilio di Trento valse a salvaguardare il cattolicesimo da tutta una serie di eresie ed a diffonderlo in tutto il mondo; fu capace di lottare per i santi beni della Chiesa, per i Santi Sacramenti allora intaccati e vituperati, e di salvare le sacre usanze apostoliche; con uno sforzo quasi sovrumano e coscienzioso i migliori architetti dell'epoca eressero il grandioso edificio del Concilio Tridentino sulla Santa Scrittura e sulle tradizioni apostoliche, edificio che nella notte tempestosa della scissione della fede è diventato e si è mantenuto come faro luminoso della Chiesa cattolica per ogni età.
Le armi approntate dal Concilio di Trento per combattere la Riforma sorsero dall'ardente spirito di un cattolicesimo ringiovanito, come si può riscontrare perfettamente in Carlo Borromeo, e si temperarono nella volontà di riformare rigorosamente la vita monastica degenerata e di combattere l'ignoranza e la scostumatezza del clero secolare e dei parrocchiani. A tale scopo fu preparato un catechismo (Cathechismus Romanus), un vasto elenco di libri proibiti (Index librorum prohibitorum); un manuale di confessione dei preti (Confessio fidei tridentinae); e la pubblicazione di una Bibbia in lingua latina (Vulgata). La pubblicazione di tutte queste opere fu affidata alla Curia.
Per poter scendere in lizza contro gli aborriti eretici, frenarne l'impeto e riconquistare il terreno perduto, bisognava ora trovare degli uomini ripieni dello spirito tridentino, ciò che non fu difficile, poiché nel 1528 i cappuccini e nel 1540 i gesuiti avevano iniziato la loro opera. Quando entrò in vigore l'Inquisizione e si mise a coadiuvarli, essi diedero inizio ai più sanguinosi procedimenti contro gli eretici.
a) La Controriforma in Mesolcina e Calanca
Un funesto uragano si avvicinava dal sud alle valli meridionali: neri nuvoloni preannunciavano la tempesta. Borromeo, plenipotenziario papale, cardinale ed arcivescovo, veniva personalmente nelle aspre regioni mesolcinesi per porre mano all'opera di conversione. Una statua colossale di questo uomo, venerato dai cattolici come un Santo, ma chiamato nel protocollo di un sinodo evangelico contemporaneo coll'epiteto di bestia nefasta, guarda ancora oggi da un'altura a sud del Lago Maggiore verso feconde pianure padane. Borromeo era nipote di Pio IV (Giovanni Angelo de' Medici), che una volta fu sul di punto di essere nominato vescovo di Coira, e del famigerato castellano di Musso, Giovanni Giacomo de' Medici. Nacque nell'anno 1538 nel castello di Arona sul Lago Maggiore, dal Conte Gilberto II e da Margherita de' Medici. Già da bambino Borromeo frequentava assiduamente le chiese ed adoperava le elemosine della badia affidatagli per i poveri. A 16 anni lo troviamo all'Università di Pavia quale studente di diritti civile e canonico. Terminò i suoi studi conseguendo il dottorato. Dopo la morte del suo genitore, egli entrò in possesso del ricco dominio di Arona, e approfittò della nuova situazione per migliorare nel suo territorio la disciplina ecclesiastica, che era scesa ad un livello notevolmente basso, specie nei conventi. Per raggiungere tale scopo egli non risparmiava i colpevoli ne dalla pena corporale ne dall'incarcerazione. Insignito dallo zio papa di diverse cariche ecclesiastiche e dotato di vistose entrate, egli progettò la fondazione di una scuola per la formazione di preti capaci e costumati, progetto che trovò la sua realizzazione nel Collegio Elvetico. Alla fine di gennaio dell'anno 1560 diventò cardinale e all'8 febbraio dello stesso anno arcivescovo di Milano: come tale egli si accinse subito con uno zelo incomparabile a riformare la propria diocesi malandata e trascurata. Egli voleva anzitutto consolidare la disciplina ecclesiastica ed estirpare le correnti eretiche; a tale scopo egli richiese l'aiuto dei gesuiti e della inquisizione. Notevole è il fatto che il suo padre confessore era un gesuita.
Borromeo operò dapprima quasi esclusivamente da Roma; nel 1515 si stabilì definitivamente a Milano e estese la sua attività missionaria sempre più verso settentrione, nei baliaggi svizzeri, ai piedi del Gottardo, e nella Svizzera cattolica.
La vita cattolica di quei paesi doveva subire il medesimo mutamento ed adattarsi alle decisioni del Concilio di Trento. Per frenare l'inselvatichimento morale dei preti, fu convocato a Locarno un gruppo di gesuiti, dove già, come abbiamo visto, si era andata formando una fiorente comunità riformata fin dal 1555. Nel 1570, in occasione di una sua visita pastorale nel Ticino, Borromeo valicò il Gottardo e si spinse nella Svizzera interna: nella Valle di Orsera ebbe il menzionato colloquio con Beato à Porta, vescovo di Coira, con l'abate di Disentis ed il giudice capo della Lega Grigia. Vi si discussero le misure da prendersi contro il protestantesimo grigionese, specialmente contro gli evangelici della Mesolcina.
In questa valle l'opera sovvertitrice cominciò il 27 novembre 1582, allorché Borromeo si lasciò nominare dal Papa Gregorio XIII come visitatore della Svizzera e delle Tre Leghe. Per il conseguimento del medesimo scopo, Borromeo rivolse all'imperatore della Germania ed ai re di Francia e di Spagna la preghiera di rimuovere gli ostacoli dei Grigionesi per mezzo dei loro ambasciatori e di appianargli la via nella Mesolcina ed eventualmente anche nel restante territorio delle Tre Leghe. Nella sua diocesi egli ordinò pubbliche preghiere ed implorò sulla sua impresa la celeste benedizione, si provvide largamente di quattrini per elargire delle elemosine, e pani. Allorché il 12 novembre 1588 egli giunse a Roveredo su terra grigionese, trovò il terreno preparato: un battistrada, il gesuita milanese, avvocato Francesco Borsatto, I'aveva preceduto ed aveva saputo allontanare le difficoltà giuridiche, sicché da parte delle autorità valligiane non c'erano più da temere ostacoli. Il pericoloso visitatore era accompagnato da tre eloquenti predicatori, il gesuita Achille Gagliardi, il francescano P. Pignarola ed il canonico Ottavio Albiati; il futuro vescovo Bernardino Marra gli serviva da segretario.
A che punto si trovasse la situazione morale e religiosa nella Mesolcina si può leggere in una relazione del citato compagno del Borromeo, gesuita padre Achille Gagliardi: egli scrive che la valle era completamente nelle mani di profughi apostati che vi esercitavano il ministero pastorale; mentre alcuni di loro propagavano dottrine eretiche, altri davano cattivi esempi con la loro condotta; molti parrocchiani erano anzi stati indotti ad apostatare dalla incapacità dei pastori. Persino il prevosto di S. Vittore, primo dignitario della chiesa mesolcinese, era stato infettato e funzionava da capostregone; tutta la valle era inoltre piena di usurai, di matrimoni illegittimi, e di inimicizie pericolose, spesso culminanti in omicidi. Nessuno si era assunto l'insegnamento dei costumi e della dottrina cristiana, cosicché l'ignoranza vi si era propagata in modo incomparabile. Borromeo cercava di por fine a questi inconvenienti, esercitando in ogni parrocchia una zelante attività di proselitismo, basata su di un ricco programma d'azione: al mattino predicava il padre Pignarola, Borromeo leggeva poi la messa, elargiva la comunione e teneva una seconda predica. Nel pomeriggio concedeva delle udienze per comporre inimicizie e regolare matrimoni illegali ecc. Quindi ritornava in chiesa, cantava le litanie, istruiva la gioventù e l'esaminava nel catechismi; il padre Achille teneva poi una terza predica sulle verità della fede. La sera era riservata per discutere il proseguimento del programma d'azione.
Nella predica Borromeo si paragonava a Giuseppe mandato dal padre in cerca dei fratelli. Tutto ciò però non gli bastava ancora per conseguire i suoi scopi. Con estrema severità fece pulizia tra i preti incolti e inetti, rimandò i monaci fuggiti nei loro conventi, rimise in ufficio i penitenti e allontanò gli ostinati, fra i quali anche il citato prevosto di S. Vittore, Domenico Quattrini, a Roveredo. Al suo posto insediò Pietro Stoppani, rettore del Collegio Elvetico a Milano, che nominò nello stesso tempo parroco di Rovereto; al posto di altri preti sfrattati mise dei gesuiti e dei ferventi preti milanesi.
A Borromeo stava a cuore anche la scuola: fondò un collegio di gesuiti a Roveredo e promise l'invio di maestri per aprire delle scuole ed introdurre nella valle un metodo didattico moderno. Egli era naturalmente molto attivo anche nella diffusione di libri ortodossi e di catechismi destinati all'istruzione del popolo: a tale scopo fondò anche una libreria, e contemporaneamente si andò alla ricerca dei libri eretici stampati o manoscritti per darli alle fiamme. Gli evangelici, minacciati da tutte le parti, privati dei loro maestri e rimasti senza aiuto efficace da parte dei correligionari d'oltralpe, passarono dei brutti giorni. Se Borromeo procedeva con severità contro i propri correligionari, aveva ancora meno riguardi verso gli eretici. I prelati del Concilio di Trento avevano chiuso la loro ultima seduta col grido: "maledizione agli eretici!" e Borromeo si accinse a tradurlo in atto contro gli evangelici della Mesolcina. Egli si diede certamente tutto quanto per ricondurre in grembo alla Chiesa i più tiepidi e gli apostati. Ma chi resisteva ai tentativi di conversione aveva da aspettarsi la peggio. Come si sa da tradizione cattolica, quattro famiglie di Andergia (Toscano, Albertini, Cavallari) abbandonarono la valle al solo sentore della venuta di Borromeo. Egli poi, approfittando della superstizione regnante nella valle, trattò gli altri da stregoni e streghe, e li sottopose ad un severo interrogatorio: chi non era disposto a sottomettersi veniva consegnato per la punizione al tribunale civile. Stando al rapporto del Padre Achille, molti di essi confessarono di essere in lega col diavolo, di tenere riunioni notturne e di uccidere persone, specialmente bambini, con una polvere fatta di corpi essiccati e di scheletri umani. Di 162 donne, 150 ritrattarono la lega col diavolo (dice l'Achille), ma 12 rimasero decise ed ostinate malgrado tutte le minacce: queste ultime furono consegnate alle autorità civili e punite col rogo.
Questo modo di convertire avrà forse corrisposto al fanatismo della Controriforma, ma è indegno dl un arcivescovo e cardinale, e soprattutto di un uomo dell'importanza di Borromeo. Che gli evangelici avuto la peggio con tali metodi è comprensibile, ma non c'è da meravigliarsi che il Sinodo abbia qualificato il cardinale come una bestia nefasta. Nella valle l'azione sua non è stata dimenticata: e ancor oggi nella Mesolcina regna uno spirito di indipendenza di fronte alle organizzazioni ecclesiastiche, questo non si deve solo attribuire al lavoro liberale di Beccaria, ma anche alla reazione contro il provocante metodo inquisitorio di Borromeo. Questa specie di "Missione Cristiana" non risvegliò soltanto l'indignazione del Sinodo evangelico retico, ma anche provocò l'atteggiamento contrario della Lega Caddea e della Lega delle Dieci Giurisdizioni; si trattava infatti di flagranti offese ai diritti delle Tre Leghe. In occasione della Dieta di S. Martino dell'11 novembre 1583 si constatò che l'arcivescovo di Milano e cardinale Borromeo era stato invitato dapprima ad inviare in Mesolcina un inquisitore e che poi era venuto personalmente a Roveredo dove i caporioni cospiratori gli avevano messo a disposizione il palazzo ed il giardino dei Trivulzio, permettendogli, pure contrariamente alle disposizioni legali, di erigervi un collegio di gesuiti. In un rapporto del 1584, sommario ma ufficiale, si contattava inoltre che ben diverse persone eminenti della Lega Grigia erano sospettate di prendere parte a tali manovre, in cui pesavano evidentemente delle pericolose considerazioni politiche per le Leghe. Per indagare e giudicare su questi tradimenti le Tre Leghe avevano istituito un tribunale composto di un giudice istruttore e di cinque giudici per ogni Lega; ma poiché non ci si fidava troppo della Lega Grigia, si erano nominati previdentemente altri cinque giudici della Lega Caddea e di quella delle Dieci Giurisdizioni, in modo che il tribunale potesse funzionare qualora si fosse dovuto impedire ai rappresentanti della Lega Grigia di parteciparvi. Da tutto questo risulta evidente che il procedere di Borromeo con i suoi supplizi di streghe, i suoi licenziamenti ed insediamenti dispotici di ecclesiastici e le sue fondazioni di scuole non poteva piacere ed era riconosciuto contrario alle leggi, ma che non ci si poteva opporre con sufficiente efficacia. Si poté bensì impedire la fondazione del collegio dei gesuiti, ma non si poté rimediare alla soppressione del movimento evangelico. Se l'Evangelo non poté dunque mantenersi nella Mesolcina, non è colpa da attribuirsi alla tiepidezza della predicazione o degli insegnamenti del Beccaria o del Viscardi: ciò che condusse all'estirpazione della Riforma fu in modo particolare l'azione priva di scrupoli del Borromeo, che coadiuvato ora apertamente ora segretamente dalla Spagna arcicattolica, dai Cantoni primitivi della Svizzera, e dalla maggioranza cattolica della Lega Grigia, non recedeva neanche davanti alle sentenze capitali.
 
4.3 La Controriforma nella Valtellina e nel Contado di Chiavenna
La Riforma aveva appena iniziata la sua opera nelle terre sottomesse che già la Controriforma preparava le armi per combatterla. Da un lato erano scese in lizza le Tre Leghe, di maggioranza evangelica, con i loro decreti favorevoli al movimento riformatore, dall'altro erano scese in campo Roma e la Spagna arcicattolica con i più svariati mezzi di pressione, come spionaggio, rivolte, inquisizione, chiusura dei confini ecc. Il popolo era, stando alla relazione della visita pastorale del vescovo Ninguarda, in grandissima maggioranza cattolico o propenso alla vecchia fede e parteggiava per Roma e la Spagna.
I dibattiti alle diete di Coira e di Ilanz del 7 giugno e 20 ottobre 1561 di cui abbiamo già parlato, ci danno un'idea esatta della situazione determinatasi dopo l'inizio del rinnovamento della fede.
Il legato papale Bernardino Bianchi e l'ambasciatore milanese (spagnolo) Gian Angelo Rizzio, si presentarono il 5 giugno davanti ai deputati con delle pretese, che in quanto a vastità ed asprezza non la cedevano a nessuna altra. Dapprima ebbe la parola il delegato papale: egli era veduto per incarico di S. S. Pio IV, di cui recava i saluti e gli auguri, per presentare a suo nome le seguenti lamentele ai magnifici signori: 1° essi proteggevano i falsi predicanti ed altri eretici venuti dall'Italia, invece di scacciarli dalla Valtellina e da Chiavenna; 2° essi obbligavano il popolo pio e devoto alla Santa Sede di Roma a passare stipendi a dei falsi, boriosi ambiziosi, cattivi e scellerati annunciatori di un falso Evangelo; 3° essi vietavano agli ecclesiastici della vecchia fede di predicare nelle due valli, e quando adempivano al loro dovere essi vi si opponevano persino con minacce e castighi; 4° essi impedivano la costruzione di case di Dio, come per es. la scuola dei gesuiti a Ponte, destinata a diventare un modello di buoni principi e di costumi esemplari; 5° essi tolleravano la tipografia di Poschiavo, che pubblicava libelli diffamatori della Santa Sede e delle vecchie dottrine; 6° essi impedivano al vescovo di Como di esercitare i propri diritti nelle regioni grigionesi della sua diocesi (terre sottomesse e Poschiavo) e di disporre liberamente delle proprie rendite e benefizi, e avevano scacciato dalle loro chiese e privato delle loro rendite i sacerdoti ortodossi e destituito il vecchio culto; 7° essi avevano vietato al convento dei domenicani, situato in Morbegno, su terra della diocesi di Como, di assumere dei sacerdoti stranieri o di accogliere dei monaci, che guidano il popolo sulla retta via con la loro condotta onesta: proibizione odiosa, con cui non si mirava ad altro che alla distruzione e sopraffazione della vecchia fede, come lo dimostrava l'esempio di Coira e di molti altri luoghi; 8° essi proibivano inoltre di pubblicare nella Valtellina le bolle ed i brevi papali, che le comunità scegliessero in piena autonomia i loro parroci e pievani: tutte disposizioni che lasciano intravedere apertamente lo scopo di allontanare la Valtellina dalla fede ortodossa.
Il legato completò le sue querele con l'esortazione di partecipare al Concilio di Trento, dove si cercava con cura di riunire la chiesa divisa. Nel caso che le Tre Leghe non ovviassero agli inconvenienti di cui si era lamentato, il Beatissimo Padre si sarebbe visto costretto ad invitare i principi dei paesi cattolici confinanti a rompere con loro ogni trattato commerciale e di amicizia. Il Signore onnipotente avrebbe aiutato con la sua imperscrutabile misericordia la Santa Sede e la chiesa Cristiana nei loro intenti.
L'ambasciatore spagnolo ripete le pretese del legato, chiedendo anzitutto che le Tre Leghe si facessero rappresentare al Concilio di Trento e che impedissero di accogliere in Valtellina od a Chiavenna dei profughi italiani per religione, che permettessero anzi ai dignitari della Chiesa ed ai monaci stranieri con sede nel Convento di Morbegno di prendersi cura delle anime in quei paesi.
A nome dei loro mandanti essi invitavano le Tre Leghe a rispondere quanto prima per iscritto. Le Tre Leghe non si affrettarono per la risposta: alla Dieta di llanz del 20 ottobre 1561 esse consegnarono ai due delegati la seguente dichiarazione munita dei sigilli della Lega Grigia: 1° In affari di religione e di fede le Tre Leghe erano sino allora, grazie a Dio, vissute in concordia ed in pace, conservasse Iddio tale accordo anche per l'avvenire. 2° Non potevano recarsi al Concilio di Trento, perché esso non era un concilio generale e non vi partecipavano neppure i Confederati, loro alleati. 3° Tutto ciò che riguardava i predicanti scacciati dall'Italia era per loro cosa nuova: esse non avrebbero certamente dato loro asilo se fossero stati dei gaglioffi o dei malfattori, come veniva asserito; se erano veramente tali, esse erano pronte a punirli, ma non potevano certamente allontanarli per motivi religiosi. Avrebbero provveduto a che nella tipografia di Poschiavo non fosse stampato nulla di contrario alle Scritture e lesivo per il Beatissimo Padre: gli eventuali opuscoli diffamatori sarebbero stati ricercati. 5° Il vescovo di Como avrebbe ricevuto tutte le rendite ed i censi che gli spettavano nel contado di Chiavenna e nella Valtellina. 6° Le lagnanze riguardanti il convento di Morbegno, l'ordine dei gesuiti, le entrate delle chiese delle due vallate e della curia vescovile erano tutte, a loro parere, infondate: non si era preso nei loro riguardi nessuna decisione sconveniente od anticristiana.
Questa pubblica discussione, che costò ai due delegati 660 corone dimostra come nessuna delle due parti fosse disposta a mancò quindi lo sperato successo. Ma essi non si dettero per vinti: se non riusciva la diplomazia, vi erano altri mezzi ancora per rendere docili le Tre Leghe e raggiungere lo scopo prefisso di ridare al cattolicesimo i paesi sottomessi. Le intenzioni di Roma e della Spagna erano già note prima del 1561: nell'agosto del 1553 il Papa aveva mandato nelle Tre Leghe il legato ed inquisitore Paolo Odescalco, più tardi vescovo di Atri e di Penna, con l'incarico di lodare e rassicurare i cattolici credenti, di ricondurre alla vecchia fede i titubanti e di domandare conto a tutti coloro che persistevano nella miscredenza. Nel 1556 il predicatore pasquale, Fra Angelo da Cremona, cagionò a Teglio, come già abbiamo detto, con le sue prediche ostili al governo grigionese e con le sue inaudite ingiurie contro i riformati e specialmente contro le donne evangeliche, una pericolosa sommossa. Vivevano in quell'epoca a Bergün, di cui avevano acquistato la cittadinanza, due onorati fratelli oriundi di Bergamo, Francesco ed Alessandro Bellinchetti. Essi si erano convertiti al protestantesimo e si guadagnavano onestamente il pane sfruttando una cava di ferro. Nel 1556 essendosi allontanati per degli affari privati nella natia città, vennero arrestati dalI'Inquisizione e imprigionati per essere tradotti davanti al famoso tribunale.
Nell' anno 1559 si inizio a Ponte sull' Adda, a circa metà strada tra Sondrio e Teglio, la fondazione di una scuola per gesuiti, e malgrado le riserve delle Tre Leghe, vi si impegnarono dodici monaci spagnoli (gesuiti), e due altri preti. L'intenzione era quella di allevare tra i giovani retici dei fanatici paladini della fede cattolica. Fino allora le Tre Leghe avevano dimostrato di essere le più forti: era persino accaduto che degli appartenenti ad ambedue le confessioni avevano unanimemente respinto le minacce di potenze straniere e del papa stesso. Quando si palesarono al popolo le arroganti pretese della Santa Sede e della Spagna nella Dieta di Coira del 1561, un'ondata di indignazione si sollevò in tutto il paese: si diceva ovunque che quei signori, papa e re di Spagna, volevano per forza coinvolgere il paese in una guerra, o che si burlavano del popolo retico o che erano essi stessi dei pazzi inguaribili. Le loro richieste di fronte alla Dieta erano state così villane e grossolane, che anche i più semplici contadini ne potevano arguire le intenzioni: ma c'era da sperare che Iddio mandasse in fumo i loro propositi. Gli evangelici erano nondimeno gravemente impensieriti; uno di essi, certamente il più perspicace, Fabritius, scrisse il 26 agosto 1560 che le mene degli avversari erano inquietanti, ma che era ancora un po' fiducioso perché essi avevano subito da trent'anni uno scorno dopo l'altro.
Il mutamento della proporzione delle forze cominciò nel 1561. Si facevano sempre più manifesti gli effetti delle decisioni di Trento ed il modo imperioso di procedere del Borromeo. E' precisamente da attribuire all'atteggiamento di quest'ultimo se i Cantoni cattolici della Svizzera e la maggioranza ortodossa della Lega Grigia si opponevano apertamente alla Dieta, in maggior parte evangelica, e prestavano aiuto alla politica vaticana. I casi di confisca di merci, di cattura e di incarceramento di evangelici grigionesi e sudditi aumentavano. Ciò è dimostrato dai casi della ricca famiglia Pellizzari di Chiavenna (1562), di Giovanni Antonio de Pero di Chiavenna (1569), del nobile Geremia Vertemati di Piuro (1570), del parroco Francesco Cellario di Morbegno (1568), del ricco commerciante Francesco Lumaga (1581), del predicante Francesco Soncini di Chiavenna (1588), ed altri ancora. I rapporti delle visite dei vescovi Buonuomini e del già citato Ninguarda ci fanno conoscere ancor meglio i piani per riportare la fede cattolica in quelle regioni sottomesse. Buonuomini, amico e affine di Borromeo, vescovo di Vercelli nella provincia di Novara dal 1573 era stato dal papa nominato nunzio apostolico per la Svizzera e le Tre Leghe. Con il consenso di Roma e di Borromeo egli visitava anche quella parte della diocesi di Como situata su territorio delle Tre Leghe. Borromeo gli consigliò dapprima di farsi indicare da gente fidata quali erano i mezzi migliori per allontanare gli ostacoli che i stessi sovrani avrebbero potuto frapporre; procedere questo che Borromeo aveva già sperimentato nella sua vita in Mesolcina e non senza efficacia. Buonuomini arrivò in Valtellina il 14 luglio 1578 senza incontrare nessuna difficoltà; per illudere maggiormente i Grigionesi, aveva fatto credere che egli stava facendo un viaggio ai bagni di Bormio. il che poteva sembrare degno di fede in quanto che egli soffriva di podagra. Il suo precursore e fedele compagno fu il padre Bormio, un cappuccino ardente, che nel 1575 era stato mandato a Sondrio da Borromeo, e che non poteva essere scacciato dal paese perché Valtellinese. Giunto a Bormio, Buonuomini si fece invitare dalla popolazione a predicare ed a permettere che i cinque padri predicatori che lo accompagnavano, fra i quali il gesuita Giulio Mazzarini, praticassero la confessione. Egli mise anche i credenti in guardia contro gli eretici ed i falsi profeti, ne ebbimo più di mille e somministrò la comunione a più di trecento persone. Il podestà Michele Wehrli di Saas assunse di fronte a questi avvenimenti un atteggiamento titubante, ma infine ordinò che si dovesse ubbidire a lui solo.
Si riferì allora a Buonuomini che lo si voleva arrestare e trascinare a Coira, poiché non aveva intrapreso il viaggio per la cura dei suoi piedi, ma per incarico del papa. Senza troppo affrettarsi egli lasciò Bormio il 23 luglio, e poco curandosi delle disposizioni delle Tre Leghe, che gli avevano concesso soltanto di leggere la messa, esercitò l'ufficio di predicatore apostolico a Grosio, Grosotto, Ponte, Berbenno, Ardanno, Caspano, Morbegno e certamente anche in altri luoghi. Egli abbandonò poi la Valtellina l' 8 agosto, esattamente sei giorni dopo che le Tre Leghe avevano emanato nei suoi riguardi un severo decreto.
Le intenzioni del Buonuomini prima e durante il suo viaggio ai bagni si rilevano dalla sua corrispondenza col Borromeo assai chiaramente. Prima di intraprendere il suo viaggio, egli chiese da Como come avrebbe dovuto comportarsi nel caso che lo avessero scacciato dalla valle, che degli eretici avessero predicato in sua presenza contro la fede cattolica, che non gli fosse stato concesso di entrare nella valle in qualità di visitatore apostolico. Dalla Valtellina egli scrisse al suo amico e consigliere Borromeo che i cattolici erano tiepidi, gli eretici forestieri, di fronte ai quali ogni tentativo di conversione era poco promettente. Era triste cosa, continuava egli, che in molte chiese della valle erano seppelliti dei funzionari eretici: con ciò le chiese erano profanate; ma egli non osava allontanarne i cadaveri temendo di recare danno alla popolazione cattolica.
E' molto sibillino ciò che egli scrive al suo consigliere circa il suo viaggio in Valtellina, chiamato: viaggio ai bagni per dar colore alla venuta pubblica. L'opera iniziata da padre Buonuomini venne proseguita poi da padre Bormio, al quale come coadiutore del papa furono promessi quattro o cinque valenti predicatori dell' ordine dei cappuccini.
Feliciano Ninguarda, che come oriundo della Valtellina poteva liberamente circolarvi per le sue visite, si occupava soprattutto di scoprire gli evangelici e le chiese a loro concesse. Come già abbiamo visto parlando della Riforma nella Valtellina, egli ricercava nelle singole parrocchie il numero dei focolari evangelici o cattolici, e si dava cura di trovare tra i primi dei nomi di personaggi nobili od influenti, per poi farne un elenco nominativo. Egli si interessava in modo particolare degli ecclesiastici evangelici, scrutandone le origini, le condizioni di famiglia e la precedente posizione in seno alla chiesa. Accanto a ciò egli sottoponeva le chiese ad una severa ispezione ed applicava al popolo ed al clero le prescrizioni tridentine. Egli stesso spiega nella prefazione al suo rapporto, che il suo compito consisteva anzitutto nel descrivere la diocesi e le chiese, i conventi e gli ospizi, nell' accertare le fondazioni pie ed il numero dei fedeli, specialmente quello dei comunicanti, e nel notare in genere tutto quello che era necessario per conoscere la situazione. Era indispensabile per un vescovo, dice egli, conoscere non 9010 i luoghi e le chiese. ma anche le anime affidate alla sua cura e giurisdizione.
Prescindendo dalle note sfavorevoli ai decreti governativi, dalle denigrazioni dei culti evangelici nelle chiese loro concesse a torto, dalle osservazioni spregevoli sui cimiteri aperti ai morti di ambo le confessioni, non si trova nel rapporto niente di urtante. Che però egli continuasse l'opera intrapresa dal Buonuomini e cercasse di inculcare alla popolazione da lungo tempo trascurata le idee del Concilio Tridentino, è più che comprensibile per un partecipante al Concilio stesso e visitatore apostolico. Nell'intervallo tra i due viaggi di ispezione fu fondata a Sondrio la scuola statale (1584). Essa servì ai fautori di Borromeo per agitare il popolo contro gli eretici. Allorché se ne decise la fondazione, la Dieta era partita dalla considerazione che sarebbe stato molto utile per i giovani dei paesi sovrani di potersi dedicare allo studio dell'italiano nella Valtellina, imparando a conoscere per tempo e da vicino il paese e la popolazione. Questa scuola avrebbe dovuto restare aperta ai giovani di ambo le confessioni e non essere luogo di alcuna coercizione religiosa. Malgrado queste tolleranti promesse, la fondazione inoltrò notevoli difficoltà. L'arciprete di Sondrio, Gian Giacomo Pusterla, si agitava contro la scuola chiamandola un seminario di luterani, che avrebbe favorito la religione riformata ed avrebbe portato dal lato morale frutti ancora peggiori: in realtà non si trattava di una scuola, ma di un centro di spionaggio per i signori delle Tre Leghe. Il compagno di Pusterla, un certo monaco francescano di nome Francesco di Balerna, ci dimostra con le sue pretese come venissero fomentati presso la popolazione l'ira e lo spirito di ribellione: egli osò proibire ai suoi fedeli ogni rapporto con i protestanti, sotto pena di scomunica; pretese dai padroni cattolici il licenziamento dei famigli e delle serve protestanti e domandò che le donne cattoliche sciogliessero ogni legame con i mariti protestanti; lanciò la parola d'ordine per l'espulsione degli stranieri gridando: Abbasso Calandrino! Altri invocavano un Vespro siciliano. Alla minaccia dei funzionari statali di chiamare alcune squadre per ristabilire l'ordine, si rispose:- E noi chiameremo gli Spagnoli! Solo a stento si riuscì ad impedire una sanguinosa sommossa: mancava poco a quella disposizione d'animo che condusse più tardi al macello di Valtellina. Onde illuminare il crescente fermento dei sudditi e le misure di difesa prese dalle Tre Leghe, faremo ora seguire un compendio dei protocolli e degli atti statali del Sinodo evangelico retico. A tale scopo risaliamo un po' oltre il 1584.
19 giugno 157: Il vescovo di Vercelli (Bonhomini) si è recato nei nostri domini per visitare le chiese cattoliche; ma i nostri magistrati l'hanno respinto. Antonio Calmona, come ambasciatore del governatore spagnolo di Milano, si è lamentato di ciò e desidera che le Tre Leghe trattino il vescovo di Como con la medesima cordialità con cui lo trattano i Confederati nei paesi sudditi a sud del Gottardo. Inoltre desidera che i monaci certosini, i quali si nutrono solo di cibi che la gente pia passa loro, possano rimanere a vivere tranquilli nei paesi sottoposti, e ciò perché tale ordine era sommamente gradito al suo signore, re di Spagna. Infine chiede egli che i perversi profughi religiosi provenienti dall'Italia e che si spacciano esser predicatori della parola di Dio, vengano espulsi dalle regioni sottomesse. S. M. che sosteneva in tutto il suo regno la fede cattolica, aspetta a tale riguardo una risposta favorevole: in caso contrario egli si sarebbe visto costretto a rompere con le Tre Leghe ogni rapporto commerciale, ed a ricorrere inoltre ad altri mezzi di pressione. La Dieta riprese la risposta del 1561 e respinse ogni pretesa.
16 gennaio 1581: I delegati delle Tre Leghe, riuniti ad Ilanz, decidono: 1° che nessuno dei sudditi della Valtellina, Chiavenna e Bormio, possa portare da Roma, comperare e vendere dei brevi di indulgenza e dei giubilei, salvo gravi pene. 2° Che nessuna persona privata o comunità o parrocchia possa prestare ospitalità, aiuto, consiglio, protezione o nascondiglio ne ai monaci di qualsiasi ordine ne a chierici di sorta. Tutte queste persone ecclesiastiche trovate nel paese sono immediatamente da incarcerare ed i loro protettori da punire severamente.
26 giugno 1584: Allo scopo di protestare presso la Dieta, il Sinodo decide che Scipione Calandrino e Raffaello Egli (direttore della scuola statale) abbiano a fare un brevissimo esposto (brevissimum compendium) degli avvenimenti di Piuro, Chiavenna, Sondrio, Tirano e Poschiavo, in cui devono figurare anche i tumulti cagionati in quei paesi dai papisti durante la settimana della passione. A Piuro per es., un mandatario di Borromeo (secretarius) introdusse un catechismo, per merito del quale gli evangelici dovettero assoggettarsi ai più svariati oltraggi. Durante il culto evangelico, i fedeli venivano disturbati dalle campane dei cattolici. Un monaco, introdottosi furtivamente a Chiavenna, intimava al popolo di trucidare gli evangelici (ad Lutheranos trucidandos) ed istruiva le donne cattoliche sul modo di respingere i loro mariti protestanti (debitum matrimoniale officium denegare). Queste agitazioni avevano avuto per conseguenza tali disordini, che i Bregagliotti erano pronti a marciare su Chiavenna per indurre i tumultuanti ad espellere l'agitatore ed a comportarsi decentemente. A Sondrio un monaco del ducato di Milano, oriundo dei baliaggi svizzeri, aveva invitato il popolo con le sue prediche a ribellarsi ed a trucidare i luterani. L'arciprete di Sondrio col suo suonare a stormo tendeva alla stessa cosa. In questa occasione i tre commissari grigionesi, che si trovavano appunto a Sondrio a causa della scuola statale, poterono a stento ritirarsi incolumi e scongiurare una rivolta popolare.
A Tirano era stato rapito astutamente e tradotto a Milano il figlio del defunto predicatore Giulio da Milano. Anche a Poschiavo erano scoppiati dei tumulti per colpa di un monaco straniero. Onde comporre tutte queste faccende erano stati nominati su proposta del Sinodo quindici commissari il 4 giugno 1588: In occasione del Sinodo di Tosanna, i predicatori Scipione Calandrino di Sondrio e Ottaviano Meyns di Teglio (più tardi di Chiavenna) spiegarono ai loro colleghi le intenzioni dell'Inquisizione papale di assassinare o di rapire i predicatori evangelici ed altri riformati stranieri. Tali intenzioni erano da rendere note alle autorità statali insieme ad altre mene oscure, che dovevano essere scongiurate di prendere delle misure di difesa. Il Sinodo decise inoltre di ricordare ai delegati alla Dieta che, contrariamente ai decreti e agli editti governativi, venivano promulgati dei giubilei e che alcuni sicari stranieri giravano armati per la Valtellina minacciando gli evangelici. Non si era solo rapito nel 1568 e poi condotto a Roma il pio pastore di Morbegno, Francesco Cellario: si erano tesi precedentemente anche dei lacci ad altri pastori valligiani. Persino al principio di aprile dell'anno in corso, 1588, era stato rapito il pastore di Mello, Lorenzo Soncino, e sul principio di giugno era stato assassinato il parroco Frilius Paravicinio.
29 maggio 1589: Bisogna ispirare energicamente alla nostra autorità di adoperarsi in difesa degli evangelici nei paesi sudditi, affinché essi possano vivere tranquillamente protetti dai decreti e dalle disposizioni da lungo tempo emanate.
10 giugno 1596: I cattolici di Bormio che hanno bruciato delle Bibbie ed altri sacri libri, debbono venire citati davanti alle autorità.
10 agosto 1597: I consiglieri delle Tre Leghe, radunati a Coira, constatano che al tempo della guerra contro Meneghino alcuni monaci del convento di Morbegno sono stati sospettati di tradimento ed anche più tardi sono successi da parte di altri monaci e preti vari atti scellerati, e era precisamente per evitare questi inconvenienti, che i nostri antenati avevano disposto di non accettare mai e tollerare nel paese dei monaci e dei preti stranieri. I comuni, come autorità sovrane, hanno ordinato di rinnovare queste disposizioni, e di inculcarne ad ognuno il rispetto. In conformità di questo non poteva venire accolto nel paese, in nessun tempo, compresa la quaresima, nessun ecclesiastico, se non sarà nativo dei baliaggi o delle Leghe o della Confederazione, secondo il decreto del 16 gennaio 1581: in caso che si trovino nel paese degli ecclesiastici privi di tali requisiti, i magistrati debbono arrestarli e castigarli: i paesi e le persone private che accordano ricovero e questi stranieri sono parimenti da punire in conformità del decreto del 1581. Si dispose inoltre che in conformità del decreto del 1584 le persone ecclesiastiche non potevano recarsi in paesi stranieri ne averne corrispondenza senza un esplicito permesso delle autorità. Chi non si attenesse a queste disposizioni sarebbe caduto in disgrazia presso i signori delle Tre Leghe ed avrebbe dovuto aspettarsi una punizione sia come privato che come comunità.
22 maggio 1600: In contraddizione con i decreti e con la libertà cristiana si vuole costringere i fratelli di Morbegno a celebrare le feste cattoliche. Si impedisce loro inoltre l'uso delle chiese per costringerli ad abbandonare la fede od emigrare in terre straniere. Poiché già se ne conoscono i frutti, bisogna negare al vescovo di Como di poter visitare le chiese. I papisti si rifiutano in certi posti di portare i nostri morti nel camposanto. E' da proibirsi il salvacondotto ai sicari; a quanto pare un individuo del genere gironzolava in Morbegno.
14 giugno 1604: E' desiderabile uno statuto che prescriva di mantenere le comunità evangeliche nei paesi sudditi od almeno nei capoluoghi distrettuali.
19 giugno 1606: Si dice che i gesuiti abbiano incominciato a costruire una chiesa a Piuro; essa potrebbe col tempo diventare una roccaforte ed un baluardo inespugnabile: i signori deputati devono essere resi consapevoli del pericolo, affinché il gesuita ivi dimorante debba abbandonare il paese secondo le disposizioni vigenti.
4 giugno 1607: Il Sinodo è venuto a sapere che un gentiluomo, membro della parrocchia evangelica di Teglio, è stato assassinato da un papista. Perciò esso decide di invitare i parroci a indurre i deputati dei loro comuni ad escogitare dei mezzi per garantire agli evangelici la dovuta sicurtà e per scacciare dal paese l'assassino.
1° giugno 1608: I ministri delle chiese evangeliche della Valtellina si lagnano in maniera emozionante della grande ingiustizia loro arrecata dall' inizio della costruzione della fortezza di Fuentes. Gli evangelici che non permettono di lasciar esporre sulle loro finestre o balconi dei drappi in occasione della festa del Corpus Domini vengono attaccati dai cattolici con discorsi mordaci, con sassi e colpi di archibugio. I cattolici contendono ai riformati l'uso delle campane, le quali invece secondo le decisioni della Dieta devono essere di uso comune. Essi trattano crudelmente i bambini della nostra religione che non cedono ai loro tentativi di conversione. I profughi religiosi vengono rapiti di notte, non tanto per la loro apostasia quanto piuttosto per il denaro che hanno in prestito dai riformati. I preti per introdurre i principi del Concilio non amministrano i sacramenti ai cattolici coniugati con gli evangelici. Il culto evangelico viene disturbato col suono delle campane e col lancio di pietre sul tetto delle chiese; le porte delle case di Dio vengono imbrattate con ogni sorta di sudiciume.
Gli uomini benemeriti della religione riformata vengono seppelliti nel cimitero dei delinquenti. Col pretesto della giurisdizione ecclesiastica si lede l'autorità degli stati sovrani in un modo finora inaudito. Si propaga l'idea di un Vespro Siciliano. Un bambino demente di genitori evangelici è stato legato ad un palo, dopo essere stato spogliato, e spruzzato di sangue. I predicanti della Valtellina si lagnano in modo particolare del podestà di Traona, Baldassarre de Mont, il quale dopo che i preti negarono la sepoltura di nn bambino morto senza battesimo, ha ordinato di sotterrarlo nel cimitero dei riformati; in tale occasione le porte della chiesa evangelica sono state aperte con la forza. Inoltre si lamentano che il medesimo magistrato abbia fatto incarcerare il parroco di Traona, perché aveva assistito alla celebrazione di un matrimonio misto. Il Sinodo ha accolto questo reclamo con indignazione e dispiacere ed ha deciso di trasmetterlo alla imminente Dieta per mezzo di cinque delegati: Giorgio Cazin, Antonio Andreoscha, M. Giovanni Betschla, Giovanni Dorta e Stefano Gabriel.
Questi pochi estratti dovrebbero bastare per illuminare 1a disposizione di animo tanto dell'una quanto dell'altra parte. La reazione dei sudditi contro la concessa libertà di fede cominciò ad aumentare dopo il 1561. Il numero dei monaci stranieri apparsi a Chiavenna e nella Valtellina aumentò senza tregua e con esso cresceva pure il pericolo di sobillazione del popolo. Già nell'anno 1584 si era arrivato al grido: Morte ai luterani! Da allora cominciarono a spargersi le voci di un Vespro Siciliano; anzi già nell'anno 1572, in occasione del fallito attentato contro Scipione Calandrino, di Mello, due monaci si vantarono pubblicamente della loro azione e annunziavano la prossima fine della eresia, tanto nelle Tre Leghe, quanto nella Valtellina.
Anche il disturbo dei culti evangelici, gli scandali in occasione di sepolture ecc. ecc. si verificavamo senza ritegno ed apertamente. Come abbiamo visto, persino un podestà grigionese, oriundo del cattolico Lugnez, si schierava dalla parte degli istigatori e accondiscendeva ai loro desideri. Tale uomo non era l'unico della sua specie: ed in tali tumulti non si trattava solo di questioni religiose: sin dal principio entrarono in giuoco anche degli interessi politici che promovevano il fanatismo religioso.
Come lo dimostrano i riassunti degli atti statali e i protocolli dei Sinodi, era specialmente la Spagna, dominatrice del vicino ducato di Milano, a intromettersi nella politica grigionese ora con minacce ora con promesse. L'ambasciatore spagnolo non teneva nascosto che il suo mandatario parteggiava per il papa e sosteneva la fede cattolica in tutto e dappertutto. L'accenno alla fortezza di Fuentes, fabbricata poco lungi da Colico sul confine della Valtellina, e sulla strada che conduce a Chiavenna, dimostra chiaramente l'intenzione della Spanna di fronte alle Tre Leghe: se non si voleva aprire volontariamente i passi a questa potenza arcicattolica, essa non esitava a ricorre alla violenza. Ma giacché anche la Francia e Venezia nel medesimo tempo ambivano i favori delle Tre Leghe, si svilupparono accanto alle lotte religiose degli intrighi politici incomparabili. I monaci stranieri divennero degli spioni spagnoli e degli istigatori, i predicatori evangelici passarono al ruolo di consiglieri del governo grigionese, ora più, ora meno graditi.
Rinunciamo però ad entrare nella trattazione degli sforzi veneziani presso le Tre Leghe, come non vogliamo neppure entrare nella questione della lotta tra Spagna ed Austria da una parte e Francia dall'altra per il conseguimento della supremazia in Europa, per quanto questi avvenimenti coinvolsero il nostro alpestre staterello ed i paesi sudditi in modo assai dannoso. Ci ripugna pure la descrizione dei vari tribunali penali e del massacro della Valtellina, fatti che coronarono e condussero a termine tutte le mene della Controriforma.
Il cosiddetto "Massacro della Valtellina" ricorda le «Nozze di Sangue» di Parigi dell' agosto 1572 ed i «Vespri Siciliani» del marzo 1282. Principiò nella notte dal 19 al 20 luglio 1620 e durò in tutto 14 giorni (nella Valtellina, a Bormio ed a Brusio fino al 4 agosto). Ciò che non era riuscito a Rinaldo Tenone con la sua soldatesca appositamente arruolata ed il suo appoggio da parte delle più alte autorità ecclesiastiche. riuscì ora completamente al Robustelli ed ai suoi assassini. Alla testa degli avversari pieni di odio stava il successore di Gian Giacomo Pusterla di Sondrio, l'arciprete Nic. Rusca, un Ticinese oriundo di Bedano, ed allievo del Collegio Borromeo (Helveticum) di Milano. E precisamente dovuto alla sua azione se l'avversità tra le due confessioni aveva raggiunto nn grado tale che la catastrofe era inevitabile. I cattolici lo veneravamo alla pari di un santo, ma gli evangelici lo consideravano la causa principale di tutti i loro mali. Nel 1618 ebbe inizio il famigerato tribunale di Tosanna, che fu fatale per il Rusca. Il proposito di questo tribunale era di giudicare i propugnatori della alleanza ideata con la Spagna: Rusca ne fu uno degli accusati principali: venne sottoposto ad un penoso interrogatorio e morì col supplizio.
I tribunali di ambo le parti suscitavano coi loro procedimenti provocatori la critica universale dei benpensanti ed aumentavano l'avversità e l'odio contro i sovrani, il cui prestigio era già assai scosso a causa della ingordigia ed il deposito dei funzionari. Ciò che era particolarmente odioso il tribunale di Tosanna ai Valtellinesi fu l'influenza che vi eccitarono i predicatori. L'uccisione del Rusca venne imputata a loro, e produsse l'effetto di una scintilla in una botte di dinamite. Il medesimo tribunale condannò pure i fratelli Rodolfi e Pompeo Planta ed il genero del primo, Giacomo Robustelli di Grosotto nella Valtellina. I due fratelli Planta erano i capi del partito austro-spagnolo:
Rodolfo abitava nel castello di Wildenberg a Zernez, Pompeo m quello di Rietberg nella Domigliasca. Questi signori condannati cercarono aiuto all' estero dove trovarono ascolto. Terminato il periodo della esilio, Robustelli, tornò a Grosotto, col cuore pieno di odio e meditando vendetta. Oltre a voler soddisfare il suo spirito di vendetta, egli ordiva liberare le tre terre dalla signoria retica. Non operava però da solo: si assicurò l'appoggio e l'accordo della Spagna e dell'Austria, che avrebbero ben volentieri occupato la strada sull'Adda. Anche i fratelli Planta viventi ancora in esilio, si mantenevamo in relazione con Robustelli ed il suo partito: essi volevano ritornare in patria con l'aiuto di mercenari per rovesciare il partito avverso ed annullare le sentenze del tribunale di Tosanna.
Robustelli compì l'infame vendetta politica e religiosa al riparo di una congiura, le cui maglie arrivavano fino a Roma ed a Parigi, e con l'aiuto di banditi prezzolati. La strage iniziò a Tirano nella none dal 18 al 19 luglio 1620. Per non lasciare a nessuno la possibilità di evadere, i congiurati occuparono le porte della cittadina di nottetempo, mentre tutto era immerso nel sommo. La gente, destata dal suono delle campane e di un rumore insolito di trombe, si riversò nelle strade, dove i riformati vennero trucidati senza pietà salvo poche eccezioni. I congiurati si recarono quindi a Teglio, dove trovarono i riformati riuniti nella chiesa per il culto domenicale. Gli assassini aprirono le porte e fecero fuoco sul predicatore: allora i fedeli si misero in difesa e barricarono l'entrata. Ma gli assalitori spararono attraverso le finestre e sfondarono le porte, quindi assassinarono tutti gli nomini, dopo aver allontanate le donne ed i bambini. Diciassette persone, nomini, donne e fanciulli, cercarono rifugio sul campanile: i briganti vi accostarono le sedie della chiesa e le incendiarono, facendo così perire tra il fuoco e le fiamme gli infelici.
Compiuta questa carneficina, i congiurati si affrettarono verso Sondrio. Parve dapprima che gli abitanti di quel borgo, cattolici e riformati, volessero opporsi loro; ma i cattolici si dissuasero però ben presto e coloro che non vollero partecipare alla orribile strage, dovessero mettersi in salvo davanti ai propri correligionari. Gli altri fecero causa comune con gli assassini, e diedero addosso ai riformati. Settanta di questi riuscirono a rifugiarsi in una casa dove opposero ai cattolici un'energica resistenza, che concesse loro di potersi ritirare liberamente: con le armi in pugno abbandonarono essa o si ritirarono nell'Engadina sopra il Muretto.
Si trovavano fra questi il parroco di Sondrio, Gaspare Alexius, e quello di Berbenno, Giorgio Jenatsch. Gli assassini sfogarono la loro ira sui restanti.
La strage durò tre giorni: non si badò ne all'età ne al sesso ne alla parentela: vennero persino esumati dei cadaveri e gettati nell'acqua.
La carneficina si protrasse fin in fondo alla valle della Adda. A macello ultimato, i Valtellinesi si dichiararono liberi e sciolti dalle Tre Leghe e si diedero un governo autonomo con a capo Robustelli. Di fronte ai Confederati, ai principi italiani, il re di Francia ed a quello di Spagna ed al Papa si scusarono con delle epistole in cui dichiararono di aver combattuto per la religione e la libertà. Mentre i nemici dichiarati e nascosti dei paesi sovrani appresero con piacere e soddisfazione la notizia del "Sacro Macello", i Grigionesi ed i Confederati evangelici ne furono indignati ed atterriti. La scellerata azione era però compiuta e non si poteva ornai più porvi rimedio. La Chiesa cattolica aveva raggiunto (come dice Fr. Pieth) il suo scopo: a sud delle Alpi non esistevano più dei governatori eretici. I torbidi che seguirono la insurrezione in Valtellina e che videro sanguinare le Tre Leghe ed i paesi sottoposti, sono la pressione degli eserciti spagnoli, austriaci e francesi, terminarono nel 1639 con la cosiddetta capitolazione di Milano, in forza della quale la Valtellina venne riconsegnata ai Grigionesi a condizione di tollerarvi solo la religione cattolica. Salvo i funzionari governativi, nessun protestante vi poteva dimorare più a lungo di tre mesi. A Chiavenna, che era stata risparmiata dall'eccidio, si conservò un piccolo numero di evangelici.
4.4 La controriforma nella Valle di Poschiavo
In Controriforma nella Valle di Poschiavo sta in stretta relazione con gli avvenimenti della Valtellina allo scorcio dei secoli XVI e XVII. Il vescovo di Como, Ninguarda, estese la sua visita pastorale da quella contrada fino alla Valle di Poschiavo, in cui agì completamente secondo le decisioni del Concilio di Trento, nonostante il suo mite contegno. Si può benissimo attribuire a lui quel movimento antiriformatorio che condusse ben presto il massacro di Brusio e di Poschiavo. Alcune osservazioni contenute nel suo rapporto e riguardanti i riformati dimostrano chiaramente il suo modo di agire. In quel rapporto si legge fra l'altro che l'eretico predicatore di Brusio insegnava nella chiesa cattolica le sue false dottrine e vi amministrava la S. Cena, che gli eretici poschiavini avevano profanato tutte le chiese eccetto tre (esclusivamente quella di S. Vittore), trasformandone una in una stalla (stabulum animalium), e facendo dell'altra una segheria (officina pro secandis asseribus), che il predicatore di Poschiavo era un vecchio monaco agostiniano apostata che non osava neppure palesare la propria origine (qui patriam suam non propalavit), ecc.
Ninguarda si esprimeva a voce in modo indubbiamente assai più mordace ed aizzava cosi il clero od il popolo all'odio ed alla resistenza contro i riformati.
Le minacciose pretese del delegato papale e della ambasciatore spagnolo davanti alla Dieta di llanz del 1561 dimostrano che già prima della comparsa del Ninguarda si tennero d'occhio le relazioni religiose nella Valle di Poschiavo. Essi avevamo preteso tra l'altro la soppressione della tipografia Landolfi a Poschiavo. Roma e la Spagna non poterono però impedire che vi si stampassero degli opuscoletti in lingua italiana contrari alla chiesa ed alla fede cattolica e che si diffondessero nella Valtellina e nell'Italia settentrionale. Questi stampati venivano senza dubbio letti con particolare interesse nelle vicinanze della tipografia, cioè a Poschiavo, tanto negli ambienti cattolici quanto in quelli evangelici: ciò costituiva vera propaganda per l'Evangelo.
Le rimostranze e le minacce dei due prepotenti non incontrarono favore ne presso la Dieta ne presso i Poschiavini. Come già accennammo in un capitolo precedente, le due confessioni convissero in pace fin verso il 1600; tanto i cattolici quanto i riformati tenevano il loro culto nella chiesa di S. Vittore, privata delle immagini. L'assemblea comunale stabilì il 9 ottobre 1572 che nelle questioni religiose dovesse regnare completa libertà e che ognuno potesse frequentare a sua scelta la messa od il culto.
Una decisione dell'anno seguente assegnò al prete ed al predicatore uno stipendio di 200 lire ciascuno dalla cassa comunale. Il sacrestano, pagato pure dal comune doveva prestare i suoi servizi per entrambe le confessioni; il camposanto doveva parimenti essere a disposizione degli uni e degli altri.
Il 14 giugno 1585, e cioè poco prima della venuta del Ninguarda, il comune riconfermò questi decisioni senza opposizione alcuna, in uno spirito di reciproca tolleranza. Nello stesso anno era stata presa la decisione di non affidare delle cariche comunali ad alcuno che non frequentasse la predica o la messa o non professasse apertamente la propria religiosità. Lo stato di felice tolleranza non si può dunque attribuire ad indifferenza religiosa.
La situazione si trasformò completamente col propagarsi della odio confessionale sviluppatosi e promosso con ogni mezzo in Valtellina. La parola dei prelati cattolici valeva anche per la Val Poschiavo: a sud delle Alpi non doveva più sussistere alcun riformato. Non c'è dunque da meravigliarsi che le bande assassine del Robustelli si siamo spinte fimo oltre Piattamala trucidando ben 27 protestanti di Brusio. Il 19 luglio, domenica, si incominciò con la demolizione del ponte di Piattamala sono Zalende, frazione di Brusio, e si preparò l'assalto a Brusio per uccidervi gli evangelici. Questi stavano riformati nella chiesa per il culto divino e non sospettavano di nulla; un giovanotto cattolico ed una ragazza riformata in servizio presso gente cattolica portarono loro l'annunzio di quanto si stava verificando presso Piattamala. Terminato il culto e rinfrancati da una preghiera, i riformati lasciarono la chiesa per mettersi in stato di difesa. Gli nomini marciarono armati vergo un ponte nelle vicinanze del villaggio, dove già si scorgevamo le avanguardie del nemico. Al loro comparire, esso si ritirò lestamente per ricomparire due giorni dopo in numero maggiore e rinforzato da alcuni cattolici di Zalende e di Brusio. Questa volta i seguaci di Robustelli riuscirono nel loro intento: incendiarono le case di Antonio Montio, di Pietro Agostino e di alcuni altri riformati; poco mancò che non pigliasse fuoco anche la casa del prete. In tutto vennero saccheggiate e ridotte in cenere venti case. Pare che Robustelli, presente al saccheggio, esclamasse al bagliore delle case in fiamme, che la riconquista della libertà doveva pure venire celebrata con dei fuochi di gioia. Quella sera ed il giorno seguente ebbe luogo il macello di Brusio, nel quale trovò modo di distinguersi Antonio Paganini di Zalende. Fra le vittime trovansi per es. il 45.enne Cenino di Azzala, sua moglie Perotta di anni 40, ed il loro figlio dodicenne; Andreino Zoppo di anni 40, Jacopo Quadernetto di 30, Giovanni Monagani di 58, Jacomina de Enrico di 50, Michele della Rossa di 38. Come ultima figura la vecchia contadina Lena Moneta, la quale, dopo ripetute intimazioni di ritornare alla vecchia fede e di salvare con ciò la propria vita, rispose impavidamente: "Giammai. Io sono già con un piede nella tomba e non voglio nei miei vecchi giorni abbandonare Gesù Cristo, mio Signore. Io non voglio ritornare ad adorare delle creature ed anteporre la tradizione umana alla luminosa parola di Dio". La buona vecchia pagò il suo coraggio e la sua fede con la vita.
Il 22 luglio Robustelli spinse le sue orde fino al lago di Poschiavo coll' intenzione di ripulire dagli eretici anche Poschiavo, ed occupare il Bernina, L'avvicinarsi degli Engadinesi accorsi in aiuto ai minaecidi gli fece cambiare di progetto e gi ritirò prima di aver raggiunto il suo scopo .
L'eccidio dei riformati di Poschiavo era però soltanto sospeso provvisoriamente e non tardò molto a compiersi. A capo della congiura stava il prete poschiavino Paolo Beccaria, di Bente valtellinese: egli si intese con Robustelli ed allora il capoluogo della Valtellina minacciò il 3 dicembre 1622 di sospendere la fornitura di cereali e di vino se Poschiavo non consegnasse gli evangelici fuggiti dalla Valtellina e non impedisse ai riformati locali la celebrazione del culto protestante. L'ordine trovò facile appoggio e non mancò chi lo eseguisse a puntino. La chiesa di S. Vittore, fino allora comune, fu interdetta agli evangelici; il pastore Jac. Rampa di Zuoz che viveva un continuo pericolo di vita dovette lasciare la valle. Diversi indizi e complotti lasciavano intravedere ciò che si stava macchinando. Il Podestà di Brusio, Michele Monti, riformato, fu fucilato all' imbrunire sulla soglia della sua casa.
Il prete Beccaria andava dicendo apertamente che Poschiavo non apparteneva più al Grigioni, ma all Italia e che perciò i riformati non potevano più appellarsi alla libertà di credenza stabilita a Lindau. Nella Valtellina e in Val Camonica vennero arruolati degli assassini, alla cui testa si posero il Poschiavino don. Lanfranchi e Claudio Dabene. Il primo era fratello del prete di Tirano, il secondo un servitore e confidente del Robustelli. L'assalto si compì nella none del 25 aprile 1623: vi trovarono la morte 21 Poschiavini riformati, di cui 18 uomini 3 donne.
Trecento erano stati avvertiti per tempo e avevano potuto salvarsi sopra il Bernina. Il saccheggio delle abitazioni degli assassinati e dei fuggiti durò tre giorni. Le Bibbie ed i libri di edificazione trovati vennero raccolti e dati alle fiamme sulla pubblica piazza. La tipografia Landolfi, che sin dal principio era stata una spina nell' occhio della curia, venne distrutta. Il massacro ebbe come conseguenza di dare la minoranza alla già maggioranza evangelica, situazione che è durata sino ai giorni nostri. Delle tante famiglie fuggite, venti non fecero più ritorno. Quelli che ritornarono man mano alle loro dimore saccheggiate o distrutte rimasero ancora a lungo esposti alle più dure percezioni. Allorché il pastore Rampa ritornò nel 1627 al suo gregge, il vescovo di Como si adoprò a un solo uomo per allontanarlo, ma non vi riuscì per la protezione delle Tre Leghe. Rampa ritrovò la casa parrocchiale occupata dal prete Massella. Le percezioni non cessarono neppure durante il ministerio del coraggioso successore del Rampa, il Poschiavino Giacomo Serena de Matossi. All'epoca della guerra dei Trent'anni, la comunità perseguitata lamentarsi a più riprese presso la Dieta perché i suoi membri erano esclusi da qualsiasi ufficio pubblico, si impediva loro di professare apertamente la propria fede, imponevano loro delle gravose multe quando lavoravano nei giorni di festa cattolici.
La sentenza del 1642, pur non essendo troppo favorevole ai riformati, pose fine si peggiori eccessi dei cattolici. La Dieta mandò nella valle tre delegati, la cui opera di mediazione fruttò il rappacificamento tra le due confessioni: i due terzi delle autorità dovevano da allora in poi comporsi di rappresentare cattolici, un terzo di riformati; in avvenire l'officio di podestà e di nohio doveva essere concesso ai riformati ogni quattro anni; due terzi dei beni comunali furono attribuiti ai cattolici ed un terzo ai protestanti. Le controversie sorte per delle questioni ecclesiastiche vennero risolte un maniera che i riformati dovevano rinunciare alle chiese, campane, cimiteri, fondi e bgati dietro nn compenso di 1000 fiorini. Per quanto riguarda le festa di precetto, dovevano avere le disposizioni del 1620.
Se si considera che l'asse ecclesiastico era di circa 50 mila fiorini e che il danno cagionato ai riformati era di circa 450 mila lire, si capisce che l'indennizzo stabilito era alquanto ingiusto. E non era neppure segno di buona volontà se la popolazione cattolica non volle concedere ai riformati neanche una delle tante chiese esistenti. Finalmente dopo venti anni di aspre persecuzioni e dopo essere stati a lungo privati del più elementare diritto religioso e politico, i riformati ottennero una base legale, sulla quale almeno potevano far valere dei diritti. Nel 1642 iniziarono la costruzione di una chiesa, che possono condurre a costruire nel 1649 con l'aiuto dei correligionari d'oltralpi.Cosi non erano più costretti a tenere i loro culti nelle case private; e quando tra il 1677 ed i 1682 sorse anche il campanile, essi poterono cantare e ringraziare come il salmista: "Oh quanto sono amabili le tue dimore, o Eterno degli eserciti L'anima mia brama i cortili dell' Eterno". I fatti dimostrano però che la pace confessionale non era ancora ottenuta definitivamente: sia prima che dopo la sentenza i riformati si videro costretti a ricorrere di continuo alla Dieta, sia perché li si voleva costringere a scoprirsi il capo davanti alle varie cappellani e croci, sia perché nei giorni di festa di precetto si voleva loro proibire di tenere le loro vetrine aperte o di recarsi nei campi a lavorare, o persino di recarsi fuor di paese, sia perché i parroci cattolici adoperavano l'altare per intimare ai loro fedbli di boicottare gli evangelici ecc.
Con l'accomodamento del 1642 I'ideale della libertà di fede e di coscienza non era però che ai suoi inizi.



d) La Controriforma in Val Bregaglia
Al tempo della Controriforma la Val Bregaglia si trovava in una situazione più fortunata che la Valle di Poschiavo e la Mesolcina. Grazie all opera di Vergerio essa si era schierata per tempo dalla parte del movimento riformatore e così le furono risparmiati i combattimenti religiosi che abbiamo visto a Poschiavo ed in Mesolcina. Gli sporadici tentativi di ricondurre la valle all'antica fede rimasero infruttuosi. Da parte cattolica ci gi lamentarsi rassegnare a vedere il grande traffico del Maloggia svolgersi su terra riformata ed assistere alla continuazione della fede protestante nel contado di Chiavenna.
Un tentativo che dei cattolici viene considerato come riuscito, ebbe luogo (come già accennammo in un capitolo precedente) intorno alla Pentecoste dal 1551, poco dopo la distruzione delle immagini a S. Gaudenzio sopra Casaccia. Il 31 luglio 1551, dopo il fallito tentativo di catturare il Vergerio a Novate, Vincenzo de Quadrio scriveva all'arciprete Bart. de Salis, allora a Roma, di aver indotto il padre domenicano Lector di Como a recarsi in Bregaglia a sradicarvi con la sua parola la semenza sparsa da Vergerio. Il tentativo di combattere la Riforma era tanto più promettente in quanto avviato sono il nome della famiglia Salis: il padre Lector spiegò In sua attività a Soglio ed a Nossa Donna di Castelmur. Quadrio scrive che In popolazione gli era completamente favorevole e che grazie a Dio molti degli apostati erano ritornati in grembo alla madre chiesa.
Quest'azione antiriformatoria durò indubbiamente solo pochi giorni e rimase senza conseguenze per la Riforma stessa. Eguale sorte toccò ad un secondo tentativo ispirato da Carlo Borromeo una trentina di amni più tardi Nel 1582 comparvero nella valle tre gesuiti (Adorno, Grattarola, Boverio), coll'intenzione di aprire con le armi di Trento una breccia nella nuova chiesa. I predicatori ottennero però dai tribunali la loro espulsione. Tale insuccesso dovette naturalmente rattristare Borromeo, che era dedicato allo sterminio degli eretici. Solo un cieco fanatismo poteva intraprendere simili tentativi di ricattolicizzazione e un tal modo di procedere era tanto più riprovevole in quanto condono solo da stranieri.
Ma non ci si limitò a questi due tentativi: In Bregaglia dovette più tardi combattere di quelli più severi. Gli avvenimenti a Chiavenna e nella Valtellina portarono nonché nella Bregaglia degli sconvolgimenti politici ed ecclesiastici La fortezza di Fuentes inquietò tutta la Rezia riformata e particolarmente la Bregaglia.
La Spagna si era ritirata per la capitolazione conchiusa il 15 agosto 1603 con Venezia. Il conte di Fuentes Don Pedro di Alzervedo, governatore spagnolo di Milano, per vendicarsi dei Grigionesi eresse la fortezza sul Monteschio nelle vicinanze di Colico, e le diede il suo nome. La costruzione si iniziò nell' ottobre del 1603 e ad opera finita Fuentes fornì la fortezza di cannoni, munizioni e soldatesche: da quest'altura il conte poteva assalire improvvisamente la Valtellina e Chiavenna, ed interrompero le vie di comunicazione con Venezia. In Bregaglia e nel resto del cantone si sapeva abbastanza bene che la Spagna tentava di danneggiare gli evangelici grigionesi. La guerra dei Trent'anni ed i torbidi nei Grigioni, contemporaneamente incominciati, cagionarono una nova crociata antiriformatoria; per cui i Bregagliotti, come gli abitanti dell'Engadina Bassa e della Prettigovia, ebbero a soffrire enormemente. Nel 1621 fu bloccata ogni importazione di viveri nella repubblica retica; nello stesso anno le truppe di Baldiron invasero In Prettigovia e la Bassa Engadina; nell'ottobre il duca di Feria, governatore di Milano, irruppe nella cittadina di Chiavenna: il colonnello Battista de Salis coi suoi 30 Bregagliotti ed il capitano Ulisse de Salis pure con cento uomini, diversi volontari del contado di Chiavenna e parecchi riformati valtellinesi non riuscirono a contenere il nemico. Caddero 24 Bregagliotti, fra i quali il capitano Giovanni Corn. da Castelmur e Dietegen de Salis, figlio del podestà Guberto de Salis. Gli Spagnoli saccheggiarono per tre giorni le case degli evangelici di Chiavenna. Il conte Giovanni Sorbelloni, che era stato eletto comandano della città, intraprese con la sua soldatesca un campagna nella Bregaglia, dove saccheggiò Castasegna, Bondo e Promontogno, fece bottino e mise in fiamme i villaggi. Soglio ed il Sopra Porta poterono sottrarsi alla contribuzione di guerra soltanto promettendo di sospendere il loro culto fino alla sentenza del duca di Feria.
Il parroco di Vicosoprano, che ugualmente aveva osato di predicare, fu fatto prigioniero e Serbelloni lo consegno all'Inquisizione di Milano. Quel che non era riuscito né ai domenicani ed ai gesuiti col loro ammaestramento, doveva ora essere ottenuto con l'aiuto delle truppe spagnole.
Più desolante ancora fu quel che successe nel 1624, quando truppe papiste marciarono nella Bregaglia coll'ordine del marchese di Bagno di scacciare i promontori evangelici e di affidare tutte le chiese della valle ai cappuccini. Ci si può facilmente immaginare la desolazione della popolazione evangelica, che da 70 anni aveva aderito alla fede protestante, quando si vide umiliata e spiritualmente martirizzata dai fanatici monaci protetti da armi straniere.
Fu perfino interdetta la lettura di libri evangelici. Lo due leghe (quella Caddea e quella delle Dieci Giurisdizioni) e In signorie di Meienfeld votarono di ridare la libertà di fede alla popolazione ed inviarono a questo scopo Gaspare Sehmid di Grünek e Guberto de Salis, il giovane, dal marchese: ma furono decisamente respinti. Come avrebbe potuto agire diversamente un comandante di truppe papiste senza cadere in disgrazia presso i suoi superiori? Per fortuna questo stato umiliante di cose non durò a lungo. Come racconta P. D. R. à Porta nella sua Storia Ecclesiastica della Bregaglia, verso la fine dell'anno comparve il marchese di Creuvre con le sue truppe francesi: i cappuccini, privati della protezione delle armi papiste ,dovettero ritirarsi donde erano venuti; i predicatori evangelici poterono nuovamente occuparsi del loro gregge.
Dopo quel tempo turbinoso, a Vicosoprano, al posto di Plinio Paravicini, che era stato trascinato a Milano, e che aveva ultimato miseramente la sua vita in un convento, predicò Samuele Paravicini.
La chiusura del capitolato di Milano, che era stato favorevole ben poco ai Grigionesi, significò per la Bregaglia, come per altre regioni, una liberazione: si bramava ardentemente la pace. Dopo la partenza degli Spagnoli da Chiavenna, molti evangelici che erano stati negli anni turbinosi tollerati a Mese, Prada, Gordona, ritornarono a stabilirvisi. Parecchi di loro lasciarono poi la patria malsicura e vennero n stabilirsi in Bregaglia, come i Pomatti a Castasegna e i Giovannettoni n Vicosoprano. I riformati rimasti a Chiavenna celebravano il culto a Castasegna, dove erano stati costruiti nel 1667 la nuova chiesa ed il cimitero. Il parroco di Castasegna. come pastore itinerante, si curava anche delle anime dei fratelli in fede dispersi nella regione di Chiavenna.