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STORIA DELLA
CHIESA
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LE RIFORME |
Storia della Riforma e Controriforma nelle valli meridionali del Canton
Grigioni Introduzione Situazione geografica delle quattro valli
meridionali: Mesolcina, Calanca, Bregaglia e Poschiavo. Situazione religiosa
prima della Riforma Condizioni politiche che prepararono il mutamento
religioso. L'inizio della Riforma in Italia e nelle regioni soggette ai
Grigioni La Riforma nelle valli di Poschiavo, Bregaglia e Mesolcina La
Riforma nella valle di Poschiavo La Riforma in Val Bregaglia La Riforma
in Mesolcina La Controriforma Introduzione La Controriforma in
Mesolcina e Calanca La Controriforma nella Valtellina e nel Contado di
Chiavenna La Controriforma nella valle di Poschiavo La Controriforma in
Val Bregaglia 1.1 Situazione geografica Le particolari condizioni
geografiche, ecclesiastiche e politiche non furono senza effetto nelle quattro
valli meridionali al momento della Riforma. Il fatto che la Bregaglia e
Poschiavo si aprono verso l'Italia, e la Mesolcina e Calanca verso il Ticino,
che appartiene linguisticamente all'Italia, ha senza dubbio avuto un'importanza
decisiva nella loro sorte: lo dimostra l'affermazione del prete poschiavino
Paolo Beccaria, immediatamente anteriore al massacro di Poschiavo del 1623,
secondo la quale la valle di Poschiavo è una parte dell'Italia ed egli per
questo aveva ricevuto l'incarico da Roma di ripulirla dall'eresia. Le
quattro valli meridionali giacciono tutte a sud del baluardo alpino: i loro
pascoli e alpeggi si spingono a nord tra le rupi ed i ghiacci del Bernina, Piz
Cambrena e Piz Palù, del Settimo, del Maloggia e del Lunghino, della Margna e
nel massiccio dell'Albula ricco di ghiacciai. A sud le saluta il cielo azzurro
d'Italia, e invece di pascoli e di alpeggi, vi trovi prati e campi, invece di
rose alpine e di genziane, ammiri castagni e vigneti. Durante l'inverno i
passi che congiungono le valli con le Tre Leghe erano quasi impraticabili ed
anche durante l'estate erano malfamati a causa di pericoli di ogni sorta.
Vergerio, il Riformatore della Bregaglia, che nel settembre del 1550 dalla
Svizzera Bassa si portava a Vicosoprano, si lagna che nelle Alpi (ed allude
certamente al valico del Settimo) avesse incontrato grave pericolo poiché era
rimasto quasi sepolto in una massa insolita di neve che ostruiva la via.
Sererhard, che per recarsi ai sinodi ed in altre occasioni ebbe ad attraversare
il Bernina ed il Maloggia, racconta che il sentiero, il quale dal passo del
Bernina discende verso Cavaglia, già stretto e malagevole, ad un certo punto
attraversa presso Cavaglia un burrone per mezzo di un ponticello dal quale non
si può fare a meno di guardare con spavento il fondo del torrente. Lo stesso
autore non mostra un'impressione migliore per il valico che conduce nella
Mesolcina. Dal villaggio di Hinterrhein una strada porta in due ore lungo le
scoscese pendici del monte al giogo di S. Bernardino: estate ed inverno viene
tenuta aperta, ma in inverno è più pericolosa a causa delle valanghe. Se
udremo più tardi che degli Italiani portarono il puro Evangelo alle valli
meridionali, dovremo pensare chi vi hanno contribuito le particolari condizioni
delle vie di comunicazione assieme ad altri importanti motivi. La
particolarità geografica delle quattro valli è finemente simboleggiata dallo
stemma di Poschiavo: due chiavi unite da una catenella. La spiegazione comune
indica in una chiave la porta di Germania, nella altra quella d'Italia.
Simile alla posizione del passo del Bernina è anche quella del Giulia, del
Maloggia, del Settimo e del S. Bernardino. 1.2 Situazione religiosa prima
della Riforma Dal punto di vista della storia ecclesiastica, le tre valli
(calcolando come una sola la Calanca con la Mesolcina) non hanno nessuna sorte
comune: Si suppone generalmente che il Cristianesimo vi sia stato introdotto dal
sud, ma si ignora come, quando, da chi ed in quali circostanze. Nella Bregaglia
tale fatto viene messo in relazione con S. Gaudenzio, intorno al quale la
leggenda è fiorita assai, ma di cui non sono stati tramandati fatti storici
degni di fede. Delle sue reliquie e della chiesa a lui consacrata verremo a
sapere qualche cosa di più preciso quando tratteremo ì della conversione di
Casaccia alla nuova fede. La tradizione narra che la Mesolcina ebbe presto
la sua fede cristiana in dono dalla Italia. Nelle due valli è provato che si
trovassero a metà del secolo XVI tre chiese: la chiesa di S. Croce sul comune di
S. Vittore nella Bassa Mesolcina, la Madonna del Castello a S. Maria di Mesocco,
nella Mesolcina Alta, e S. Maria in Calanca. Quali chiese più antiche della
valle di Poschiavo figurano S. Pietro e l'odierna chiesa della Collegiata, S.
Vittore S. Pietro deve aver servito quale prima chiesa della valle. Le chiese
più antiche della Bregaglia sono Nossa Donna di Castromuro fra Sopra- e
Sotto-Porta, e S. Gaudenzio presso Casaccia, di cui si fa menzione
rispettivamente nel 10° e 9° secolo: naturalmente la prima testimonianza
documentata non coincide con la data di costruzione e l'età di queste chiese è
da ritenersi più antica. Col crescere della popolazione e col continuo
propagarsi del Cristianesimo, si accrebbe anche il numero delle chiese Al tempo
dei Carolingi venne fabbricata a Roveredo in Mesolcina la chiesa consacrata a S.
Giorgio. Intorno al secolo 12° sorsero a S. Vittore la chiesa di S. Lorenzo e .
nella Calanca Superiore un tempio in onore di S. Domenica. Nel 1219, Enrico de
Sax, signore del cartello di Mesocco, fondò in S. Vittore la Collegiata di S.
Giovanni Battista e S. Vittore Martire: questa fondazione doveva mantenere sei
canonici di famiglie patrizie della Mesolcina e Calanca, i quali dovevano
esercitare le loro funzioni sotto la direzione di un prevosto. Oltre al servizio
del coro nella prepositura, dovevano provvedere al servizio pastorale nelle due
valli Mesolcina e Calanca. Ai due canonici destinati a Mesocco spettava pure il
servizio ecclesiastico a S. Pietro al di là del S. Bernardino, nella valle di
Reno. Verso la fine del 15° secolo si incominciò a costruire delle chiese in
ogni villaggio e a servirsi di propri ecclesiastici. Intorno al 1521 vengono
menzionate non meno di 13 prebende; esse possono venire enumerato nella ordine
seguito dal Dr. J. Simonet: 1° Prevostura di S. Vittore, 2° Parrocchia di
Roveredo, 3° Parrocchia di Grono, 4° Cappellania di Cama, 5° Cappellania di
Leggia, 6° Cappellania curiale in Verdabbio, 7° Parrocchia di S. Maria di
Calanca, 8° Parrocchia di S. Domenica, 9° Cappellania di S. Pietro a Buseno, 10°
Parrocchia di Lostallo, 11° Cappellania di Mesocco, 12° Parrocchia di S. Maria
al Castello, 13° Cappellania di Soazza. Il gran numero di luoghi di culto nelle
due valli fa supporre una fiorente vita religiosa ed ecclesiastica. Secondo
l'ultimo censimento le due valli contano 6253 abitanti (circoscrizione di
Roveredo 3057, circoscrizione di Mesocco 1895 e circoscrizione della Calanca
1301): non è probabile che alla fine del secolo XVI la popolazione fosse più
numerosa e che fosse quindi necessario un maggior numero di preti. La
Bregaglia ha una superficie minore e quindi possiede anche un minor numero di
edifici ecclesiastici. In confronto al numero degli abitanti (che ammonta
attualmente a 1564 anime, cattolici compresi) ,era riccamente dotata di chiese;
del tempo anteriore alla Riforma se ne conoscono nove. Le contiamo nella ordine
presentatoci dal primo documento ufficiale: 1° S. Gaudenzio a Casaccia viene
menzionata la prima volta in documenti della 831. La chiesa si trova a circa 10
minuti sopra il villaggio. su una terrazza. Essa venne riconsacrata il 14 aprile
1359 in onore dei SS. Gaudenzio, Florinus, Antonius e di Maria Maddalena; una
ricostruzione con consacrazione di cinque altari e col cimitero ebbe luogo poco
prima della introduzione della Riforma, il 13 maggio 1518. Unito alla chiesa, vi
era pure un ospizio o ospedale, pure consacrato a S. Gaudenzio e di origine più
remota, per quanto attestato con documenti 9010 nel 1336. Ne avevano cura un
monaco, un sacrestano ed un amministratore. Ancora oggidì in Bregaglia il
sacrestano viene chiamato "al monac", perché probabilmente il monaco avrà
adempiuto agli uffici di sacrestano. L'ospizio era proprietà di tutta la valle,
Sopra- e Sotto-Porta. 2° S. Maria presso Castromuro, citata nel 988,
costruita su di una collina rocciosa che si prolunga fino alla Maira presso il
castello di Castelmur sopra Promontogno. Questa chiesa serviva alla grande
prebenda della Bregaglia, che comprendeva tutta la valle; il parroco della
medesima si nominava «Plebanus o Archipresbyter vallis Pregalliae apud ecclesiam
Sanctae Virginis Mariae de Castromuro». A lui erano sottomessi i cappellani
delle altre chiese della valle, Soglio, Castasegna, Bondo, Vicosoprano,
Casaccia, come pure il cappellano di S. Maria di Castromuro. La campana grande
della Chiesa, fusa dal fonditore mastro Ulrico di Coira 1492, aveva un suono
così vibrante che si sentiva in tutta la valle dal Lovero al Settimo, e si
soleva sonarla quando veniva sepolto un podestà o un membro della famiglia de
Salis; per acquistarla Giovanni de Salis aveva contribuito largamente, anche
impegnando i suoi eredi. Il prevosto che funzionava nella vecchia e rinomata
chiesa era chiamato, secondo il documento latino, in dialetto bregagliotto:
Prevosto della valle Bregaglia. 3° S. Martino a Bondo, inaugurata il 30
gennaio 1250. 4° S. Giorgio a Stampa, in comune con Borgonovo, menzionata
per la prima volta nel 1327. 5° S. Lorenzo a Soglio appare documentata senza
dubbio molto più tardi della sua fondazione, cioè nel 1354. Una riconsacrazione
ebbe luogo il 16 agosto 1471, probabilmente, come ritiene il Poschel, in seguito
ad un incendio. Essa possedeva tre altari, dei quali uno era consacrato a S.
Lucio, l'altro a S. Sebastiano ed il terzo a S. Maddalena. 6° S. Cassiano a
Vicosoprano, menzionata in documenti del 1355. Il 30 ottobre del 1452 venne
inaugurato un altare laterale in onore di S. Sebastiano, nel 1491 fu eseguito un
restauro radicale. La chiesa è situata sul pendio a destra della Maira, nella
frazione di S. Cascian. 7° La chiesa di S. Giovanni Battista a Castasegna
vien menzionata nel 1409; probabilmente a causa di restauri si deve la
riconsacrazione del 29 giugno 1421. La cappella aveva un altare in onore di S.
Giovanni Battista. Si trova in mezzo al lungo villaggio, un po' all'infuori dei
rumori della strada. 8° S. Pietro a Coltura. Si trova su di una collina
elevata ed è visibile da lontano. Serviva all'uso comune delle frazioni di
Coltura, Montaccio e Caccior. 9° L'odierna chiesa protestante di Casaccia,
costruita in onore di S. Anna, S. Sebastiano e S. Rocco. La vicinanza ebbe il
permesso di costruirla poco prima della Riforma, cioè il 13 dicembre 1522.
Se teniamo presente il gran numero di chiese, non possiamo fare a rneno di
condividere l'opinione del canonico Dr. Simonet riguardo a quelle ancor più
numerose della Mesolcina e Calanca, a proposito delle quali egli dice che meglio
sarebbe avere in ogni comune una chiesa sola, ma tenuta con cura, piuttosto che
averne tante in sì pietose condizioni 1.3 Condizioni politiche che
prepararono il mutamento religioso Allo zelo religioso della popolazione non
si esprime con questo nessun rimprovero. Le numerose chiese ed altari dimostrano
invece che c'erano dei bisogni religiosi che si cercava di appagare con la
costruzione di chiese, cappelle ed acari; più di una povera famiglia può aver
rinunciato ad una parte del suo pane quotidiano per poter offrire alla chiesa il
suo obolo destinato ad acquistarle il cielo.... Una situazione analoga si
trova a Poschiavo. La valle, che conta 5448 abitanti (circoscrizione di
Poschiavo 3978, di Brusio 1470), è cosparsa di chiese e cappelle. G. Leonardi,
che dal 1855 al 1883 fu parroco evangelico a Brusio, nel suo opuscoletto sulla
valle di Poschiavo ne cita ben oltre una dozzina Naturalmente non tutte
risalgono a tempi anteriori alla Riforma: come già abbiamo detto sono da
ritenersi tra le più antiche S. Vittore, I'odierna Chiesa della Collegiata, che
serviva un tempo a cattolici e protestanti in comune, e S. Pietro; esse sono
menzionate in documenti, la prima nel 703, I'ultima nel 767. In occasione della
sua visita pastorale del 1589-93 il Vescovo di Como Ninguarda cita le seguenti
chiese come profanate dagli eretici: Assuntio S. Mariae, St. Petrus, St.
Antonius, St. Rochus, St. Sebastianus e St. Jacobus Apostolus a Pisciadello. St.
Petrus è la già citata chiesa di S. Pietro. Ad eccezione di S. Martino, delle
altre si hanno prove ancora oggi. Nella relazione di Ninguarda si trovano
inoltre menzionate altre quattro chiese, cioè St. lohannes e St. Bartholomaeus a
Poschiavo, St. Nikolaus a Aino e St. Bernardus a de Beda. E' inoltre
particolarmente degna di nota la chiesa della S. Trinità a Brusio, che serviva
come S. Vittore ad ambedue le confessioni, che si trovava nel luogo attualmente
occupato dal giardino della parrocchia cattolica." Un parroco brusiasco e
cittadino di Poschiavo, Tommaso Semadeni, deceduto da pochi anni, fa il seguente
rilievo circa le chiese della sua valle natia: se altrove le rovine dei castelli
sono il contrassegno di una valle, a Poschiavo esso è costituito dalle chiese.
Per quel che concerne la dipendenza da Vescovadi, rileviamo che la
Mesolcina, la Calanca e la Bregaglia appartenevano al Vescovado di Coira, le due
parrocchie di Poschiavo e Brusio dipendevano da quello di Como. Per le
riunioni del Capitolo, già in uso allora come oggidì, i preti poschiavini e
brusaschi si recavano al di là di Piattamala a Tirano o a Sondrio per
consigliarsi con gli ecclesiastici della Valtellina Superiore: se non erano
spinti a ciò da uno spirito grigione, lo erano certamente da uno spirito
valtellinese. Un esempio probante di tale spirito è il prete poschiavino Paolo
Beccaria che abbiamo citato al principio di questo studio, vissuto nella prima
metà del secolo XVII°. Delle altre tre valli dipendenti del Vescovado di
Coira, la Mesolcina e la Calanca erano incorporate alla Collegiata di S.
Giovanni e S. Vittore a S. Vittore, e la Bregaglia il decanato di Churwalden
Superiore. A questo ultimo apparteneva anche la Val Sursette, unii alla
Bregaglia dal valico del Settimo, Avers, Val di Reno, Sessame con Ferrera,
Heinzenberg, Domigliasca e Safien. Mentre alla prepositura di Mesocco
appartenevano solamente le regioni vicine di lingua italiana, il decanato di
Churwalden Superiore comprendeva oltre i comuni della Bregaglia di lingua
italiana, i comuni romanci e tedeschi al di là delle Alpi, circostanza questa
che non poteva restare senza riflessi nella posizione della Bregaglia di fronte
alla Chiesa. Come presso gli altri capitoli, alla testa del decanato di
Churwalden Superiore si trovava un decano, incaricato della direzione del
Capitolo e della esecuzione degli ordini capitolari; è da escludere che in un
decanato così vasto e linguisticamente così misto abbiano potuto aver luogo
frequenti riunioni. Tuttavia, da quando nel 1387 il bregagliotto Giacomo de
Castelmur iniziò la costruzione della strada carrozzabile del Settimo, si
accrebbero i contatti spirituali e anche l'influenza settentrionale di
oltre-alpi. Quando le discussioni erano limitate tra gli ecclesiastici della
Valle, esse erano dirette dal prevosto di Castromuro, che in tal caso rivestiva
la stessa autorità del prevosto di S. Vittore in Mesolcina e Calanca. In queste
riunioni del Capitolo non si affrontava probabilmente mai nessun problema di
innovazioni: il puro Evangelo col suo spirito rivoluzionario non avrebbe dovuto
essere portato nella valle da altri luoghi. Non è facile capire fino a qual
punto le condizioni politiche della regione abbiano avuto importanza nel sorgere
e nello sviluppo della fede riformata: si deve però senza altro ammettere che lo
spirito di indipendenza e individualistico che spirava nelle valli grigionesi ha
esercitato una notevole influenza nel periodo del cambiamento di religione.
Anche il fatto che la Bregaglia e Poschiavo erano politicamente sottomesse al
vescovo, può aver dato un forte impulso allo sconvolgimento ecclesiastico: lo
possiamo supporre con buona ragione tenendo presente il primo articolo della II.
Carta degli articoli di Ilanz del 1526, in base alla quale il vescovo veniva
privato di tutto il suo potere temporale. Una decisione del genere era
possibile soltanto perché la sovranità popolare del vescovo non era gradita; i
delegati delle quattro valli meridionali, sette in tutto (Mesolcina, Calanca,
Roveredo tre, Bregaglia, Sopra-e Sotto-Porta due, Poschiavo due), contribuirono
insieme agli altri delegati alla votazione definitiva di condanna dell'attività
politica del vescovo. La Bregaglia e Poschiavo - votarono quali membri della
Lega Caddea, la Mesolcina e la Calanca quali membri della Lega Grigia. II.
L'inizio della Riforma in Italia e nelle regioni soggette ai Grigioni
Il sorgere della Riforma religiosa in Bregaglia e Poschiavo ed
in parte anche in Mesolcina sta in diretto rapporto col risveglio religioso io
Italia e nelle regioni dipendenti dai Grigioni, la Valtellina, Chiavenna e
Bormio: fin dal 1512 i Grigioni signoreggiavano su queste belle valli,
amministrate per loro da un numero rilevante di funzionari. Il Governatore
generale risiedeva in Sondrio, ed aveva al suo fianco quale collaboratore il
Vice-Governatore o Vicario, risiedente come lui a Sondrio. Nei singoli distretti
di Tirano, Teglio, Traona e Morbegno risiedevano i cosiddetti Podestà, quali
giudici e amministratori. Tutte le cariche avevano la durata di due anni, anche
per il Governatore ed il Vicario. Bormio e Chiavenna godevano della stessa
parità amministrativa, con la sola differenza che il podestà di Chiavenna si
chiamava Commissario, mentre quello di Bormio aveva un potere più limitato.
Allo scoppio della Riforma, non di rado accadeva che le cariche fossero
affidate a funzionari evangelici, i quali spesso si facevano seguire dalle loro
famiglie e quindi da ministri evangelici assunti come precettori privati.
Non è certo questa la ragione che ha favorito la causa evangelica sulle rive
del lago di Como e dell'Adda: la ragione va ricercata in altre circostanze. già
verso la fine del primo ventennio del secolo XVI, ma specialmente dopo il 1542,
comparvero nella Valtellina e a Chiavenna dei preti e monaci italiani, che molto
avevano sofferto per la loro fedeltà all'Evangelo, e che non potevano fare a
meno di parlarne ancora. Le prediche di costoro, unite al racconto delle loro
sofferenze, sovente della prigione e della tortura, destarono grande stupore ed
interesse nei paesi soggetti ai Grigioni. L'attenzione con cui si seguivano le
loro vicende destava spontaneamente il confronto tra la loro predicazione e
quella che ancora si andava facendo nelle chiese cattoliche della regione.
Questi perseguitati dall'Inquisizione Romana e Spagnola venivano tutti ad
affluire nei Grigioni, quasi come in seguito ad una parola d'ordine, e
capitavano in un momento propizio per impressionare il popolo. Per
comprendere la riforma nei paesi soggetti ai Grigioni e nelle valli limitrofe,
conviene prima dare una idea chiara del contemporaneo risveglio religioso in
Italia. Come i Tedeschi e gli Svizzeri, anche gli Italiani sentivano la
necessità di risalire alle fonti originali della fede, le Sacre Scritture,
Antico e Nuovo Testamento: il fenomeno dell'Umanesimo, col volgere gli spiriti
allo studio ed alla ricerca dell'antichità classica greca e romana, aveva pure
favorito lo studio e l'indagine relativi ai testi delle Sacre Scritture; ne
sorsero cosi nuove traduzioni ed interpretazioni. Desiderio Erasmo di
Basilea pubblicò nel 1516 il Nuovo Testamento nel testo greco originale, mentre
quasi contemporaneamente veniva pubblicata in Spagna la cosiddetta Bibbia
Poliglotta a cura della Arcivescovo Ximenes di Toledo, contenente l'Antico ed il
Nuovo Testamento in greco ed in ebraico, con la traduzione greca della Antico, e
latina di tutta la Bibbia. In Italia furono in parte introdotte delle riforme
nei conventi con lo scopo di favorire lo studio del libro sacro: tale passo non
poteva fare a meno di portare ad un confronto tra l'ideale biblico e la realtà
quotidiana e ad un esame critico delle istituzioni ecclesiastiche. I
principali centri della nuova indagine biblica erano in Italia: Napoli, allora
spagnola (Juan de Valdèz), Lucca (Pier Martire Vermigli, Aonio Paleario), Modena
(Giovanni Morone), Ferrara (Renata D'Este, figlia di Luigi XII re di Francia,
viva simpatizzante per la Riforma e circondata da letterari e studiosi, tra cui
si trovarono di passaggio Calvino stesso e Clemente Marot, il famoso traduttore
dei Salmi), Venezia (Gaspare Contarini, Reginaldo Polo). Benché allora pochi,
forse anzi nessuno, penasse di uscire dal Cattolicesimo, tuttavia nei vari
centri di risveglio religioso si veniva sviluppando accanto all'amoroso studio
per la Bibbia anche l'adesione al dogma della giustificazione per fede e non per
le opere: ma quando gli scritti dei Riformatori furono portati d'oltralpe, la
loro lettura cominciò a creare una situazione sempre più pericolosa. Un libraio
di Pavia, Francesco Calvi, che diffondeva tale letteratura, dichiara che essa
veniva ricercata ed accolta con favore in tutta Italia e perfino in Roma.
Questi avvenimenti non potevano passare inosservati alla Curia Papale, tanto
più che lo sviluppo della Riforma in Germania ed in Svizzera dimostrava ormai
dove il movimento sarebbe andato a sfociare. Già il Papa Clemente VII, il cui
pontificato va dal 1523 al 1534, in una bolla diretta particolarmente alla
Inquisitore di Ferrara, manifesta la sua inquietudine per il propagarsi della
"pestilenziale eresia luterana" in diverse contrade d'Italia, e non solo tra i
laici, ma anche tra preti e monaci, e perfino tra i frati minori, fino allora "i
più fedeli difensori del gregge cristiano". Veniva inoltre ordinato a tutti gli
inquisitori di procedere con il massimo rigore contro i sospetti di eresia della
Ordine Domenicano o dei Predicatori, degli altri ordini monacali e in genere
contro tutti i Luterani segreti e contro coloro che leggevano libri di Lutero o
protestanti. Nella sua Istruzione consegnata alla Imperatore dal delegato
Campeggio alla Dieta di Augusta del 1530 (Instructio data Caesari a
Reverendissimo Campeggio in Dieta Augustana 1530), egli emette questa terribile
sentenza contro il Protestantesimo: "La pianta velenosa deve venire estirpata
col ferro e col fuoco" (S. M. potrà mettere la mano al ferro et al foco et
radictus extirpare questa mala velenosa pianta). L'intenzione di dare alla
Inquisizione un carattere di sempre maggiore severità era ormai manifesta, ma fu
poi merito del Papa Paolo III (1534 1549) che istituì nel 1542 la Congregazione
della S. Inquisizione o S. Uffizio destinato a combattere la corruzione eretica:
essa aveva il compito e l'autorità di procedere al di qua e al di là dei monti
contro tutti coloro che in qualche modo deviassero dalla fede cattolica, errando
in materia di fede o appartenendo a qualsiasi eresia; avrebbero dovuto rendere
conto del loro operare tutti i favoreggiatori di eresie, qualunque fosse il loro
rango o la loro posizione sociale. I colpevoli, e sovente anche i soli
sospetti, venivano incarcerati in seguito a denuncia e, se risultavano
colpevoli, erano puniti secondo il codice canonico; se condannati a morte, i
loro beni venivano confiscati e venduti all'asta. La Congregazione del S.
Uffizio era diretta da Giampiero Caraffa, in seguito elevato al soglio
pontificio col nome di Paolo IV: ormai il suo compito più urgente era quello di
preparare carceri e sale di tortura destinate alle vittime della crudele
persecuzione religiosa, e fu egli stesso che anticipò di tasca sua i mezzi
necessari per affrettare l'esecuzione dei processi. Quasi contemporaneamente
alla istituzione della Inquisizione era avvenuto il riconoscimento della ordine
dei Gesuiti (27 luglio 1540), e subito dopo, l'apertura del concilio di Trento
(dicembre 1545). Tutte queste disposizioni miravano evidentemente a sopprimere
la nuova dottrina, almeno in Italia. Si incominciò col reprimere la
letteratura eretica, proibendo la pubblicazione e la diffusione di tutto quanto
non avesse avuto l'approvazione preventiva dell'Inquisizione, e mediante la
pubblicazione del famoso "Index librorum prohibitorum" si impedì perfino di
stampare integralmente le opere dei padri della chiesa. Era ormai inevitabile
una rottura completa. Molti, che avevano sperato che la chiesa cattolica si
riformasse di propria iniziativa quanto alla fede e all'organizzazione
ecclesiastica, rimasero profondamente delusi; i deboli, quelli incapaci di
sostenere la lotta, si prepararono a subire l'imposizione dell'autorità
religiosa; i più forti e risoluti invece, infiammati dallo spirito e persuasi
come Lutero che non bisognasse agire contro la propria coscienza, ruppero le
loro relazioni col papato. Allora, come riferisce Ferdi. Meyer, in breve tempo
le carceri si riempirono e le strade che conducevano alle Alpi furono piene di
fuggiaschi. E' facile a capire come i perseguitati si avviassero con
speranza di una vita più libera verso le terre soggette ai Grigioni, mentre
altri scelsero come meta del loro esilio la Svizzera o la Germania o
l'Inghilterra o anche i paesi nordici; quivi molti diedero lustro alle
università che li avevano accolti o divennero ministri delle comunità di
rifugiati italiani. Le vicende di vita dei singoli profughi italiani ci
chiariscono nel modo migliore l'aspetto generale del movimento riformato
italiano nonché la sua formazione ed i suoi progressi. Fra di loro consideriamo
due personaggi tipici: un oratore eloquente e predicatore di gran fama,
Bernardino Ochino, e un dotto di gran fama, Pier Martire Vermigli.
Bernardino Ochino nacque in Siena nell'anno 1487. Egli aveva una forte
predisposizione per la vita devota e religiosa, e perciò entrò molto giovane
nell'Ordine dei Conventuali Francescani, per passare in seguito, a 47 anni,
all'ordine più disciplinato ed austero dei Cappuccini, fondato nel 1525 ed
approvato da Papa Clemente VII nel 1528. Egli così pregava: «Signore, se non ho
trovato la pace finora, non so quel che debba ancora fare». Quella pace
dell'anima che egli invocava, la trovò però soltanto quando si diede allo studio
della S. Scrittura e quando comprese che Cristo ha fatto quello che ci è
necessario con la sua morte redentrice, che i voti monastici erano biasimevoli e
che la chiesa romana era in contraddizione con la Scrittura. Tali convinzioni
non si formarono certamente d'un tratto nella sua anima, ma furono frutto di una
lunga meditazione e maturarono lentamente fino a raggiungere la forza e
l'entusiasmo necessari ad un difensore della verità evangelica. Egli aveva
ottenuto in quel tempo una fama straordinaria a causa della sua eloquenza,
dimostratasi specialmente in occasione delle predicazioni di quaresima, per le
quali si cercavano degli oratori valenti tra i vari ordini religiosi. Dotato
dalla Provvidenza di un raro talento oratorio ed infiammato da ardente
convinzione, egli era diventato un irresistibile annunciatore della fede: le
chiese più vaste non riuscivano a contenere le folle accorse ad ascoltarlo,
principi e vescovi lo onoravano, cardinali gli aprivano il loro cuore, e perfino
Paolo III lo aveva scelto come suo confessore, mentre Carlo V aveva esclamato
dopo una sua predica: «Farebbe piangere i sassi!» La sua vita ascetica ed il suo
aspetto venerando davano inoltre alla sua parola una insolita autorità: al
vedere la sua faccia patita, i suoi capelli bianchi e la sua barba profluente
fino alla cintola, il popolo lo considerava come un santo. Nel 1538 il
Capitolo lo aveva nominato Generale dell'Ordine. Ma nelle sue prediche cominciò
a farsi notare un'inclinazione sempre crescente verso le idee dei riformatori.
Il primo a rendersene conto fu Juan De Valdèz a Napoli, che lo introdusse nel
suo circolo dopo aver udita una delle sue impressionanti prediche e ne rafforzò
la fede evangelica che già lo possedeva; fu in questo ambiente che Ochino venne
a conoscenza degli scritti di Lutero. Quando le repressioni religiose
presero un ritmo più preoccupante, uno dei primi a disapprovarle fu l'Ochino, e,
in una pubblica predica a Venezia, egli vi si dichiarò apertamente contrario:
ciò succedeva nella quaresima precedente alla comparsa della bolla
dell'Inquisizione. Fu allora invitato ad un colloquio a Roma. Si mise in viaggio
per raggiungere la sede papale, passando da Bologna e Firenze, ma durante il
viaggio fu segretamente avvertito dei pericoli che a Roma lo attendevano. Allora
ritornò a Ferrara, dove la duchessa Renata lo aiutò nella fuga (1542). La
conversione di Ochino alla Riforma produsse un'impressione straordinaria nella
maggior parte delle città d'Italia che lo conoscevano come il più popolare
predicatore; il Cardinale Caraffa se la prese a cuore e fece mettere sotto
inchiesta tutto l'ordine dei Cappuccini e si giunse quasi alla sua soppressione.
Ritroviamo in seguito Ochino ad Augusta nel 1545 quale ministro dei profughi
italiani, quindi a Zurigo con lo stesso incarico e più tardi a Londra. Caduto
però in sospetto di non osservare le credenze riformate ortodosse, si recò in
Polonia e quivi terminò la sua vita travagliata ed inquieta morendo in Moravia
nel 1564. Pier Martire Vermigli fu nel campo degli studiosi quello che
Ochino era stato tra il popolo. Mentre Ochino proveniva da povera gente,
Vermigli discendeva da una ricca famiglia di Firenze ed ebbe un'educazione
accurata. Nato nel 1500, a soli 16 anni, spinto da un'irresistibile vocazione,
entrò nel convento degli Agostiniani di Fiesole, molto ben attrezzato per gli
studi. Passò poi a Padova per lo studio del greco e della filosofia
aristotelica. Subito notato per la sua gran dottrina, venne scelto per la
predica quaresimale appena ventiseienne e predicò a Brescia, Mantova, Venezia,
Bologna, Parma e Roma. Teneva inoltre dei corsi filosofici ed esegetici nei
conventi del suo ordine, durante i quali ebbe occasione di approfondirsi nello
studio delle S. Scritture ed anche dell'ebraico, raramente conosciuto in quei
tempi. Nel 1541 venne nominato priore del Convento di S. Frediano in Lucca e vi
introdusse con altre riforme anche lo studio della Bibbia, per le cui lezioni si
serviva quotidianamente dei commentari dei Riformatori. Juan de Valdez aveva
avuto su di lui una grande influenza durante un suo soggiorno a Napoli, nel
corso del quale aveva anche avuto occasione di conoscere Bernardino Ochino, e di
leggere gli scritti di Erasmo, Zwingli e Lutero. Grande impressione gli aveva
fatto l'opinione di Valdèz secondo la quale la Bibbia è sì il libro dei libri,
ma l'uomo è la più alta espressione dello spirito divino. A Napoli egli fu
esposto alla prima reazione, e solo grazie all'intervento di un amico, fu
ritirato l'ordine che gli proibiva di predicare. A Lucca egli teneva delle
lezioni di lingue antiche, latino, greco ed ebraico, per incitare allo studio
della Bibbia e teneva inoltre ogni domenica delle prediche seguite da gran
numero di notabili. Intanto egli era stato segretamente denunciato a Roma, e
la celebrazione della S. Cena sotto le due specie (pane e vino) alla maniera dei
Riformati può anche aver aggravato l'accusa mossa contro di lui. Vi furono pure
contro di lui delle oscure macchinazioni di confratelli dello stesso ordine.
Avvertito da amici, e dopo matura riflessione, si decise per la fuga, finché
essa era possibile: accompagnato da tre fidati amici, passò a Pisa, ove celebrò
la Cena con i fratelli in fede, e quindi, seguendo Ochino, si recò a Ferrara e
di lì attraverso le Alpi Retiche raggiunse Zurigo. Anche dopo la misura
inquisitoriale contro Vermigli, a Lucca i fratelli in fede del Convento
continuarono a predicare come volevano i padri della Chiesa ed i Riformatori;
solo verso il 1551, in un solo anno, diciotto di loro seguirono l'esempio del
loro venerato maestro, e diversi si rifugiarono a Chiavenna, Tirano ed altrove.
Ricordiamo di essi due uomini eccellenti che operarono anche in Valtellina ed a
Chiavenna: Massimiliano Celso Martinengo, di nobile famiglia bresciana e
Girolamo Zanchi, Bergamasco, per quattro anni ministro a Chiavenna. Da
Zurigo Vermigli si rifugiò a Strasburgo, ove gli verme assegnata una cattedra;
invitato poi dal vescovo anglicano Crammer, partì nel 1547 per l'Inghilterra
assieme a Ochino ed altri, dove fu professore di esegetica del Nuovo Testamento
all'università di Oxford. Abbandonata in seguito l'Inghilterra per dei mutamenti
politici, insieme ad Ochino, si recò nuovamente a Strasburgo e nel 1556 a
Zurigo, ove insegnò filosofia e condusse a termine i suoi giorni nel 1568.
Ovunque si distinse come profondo conoscitore delle lingue classiche e si fece
notare per la straordinaria capacità di interessare i suoi uditori; a Zurigo era
successo a Pellican, deceduto nel 1556, come professore di esegesi ebraica
dell'Antico Testamento. Legato al Bullinger da comuni sentimenti e da salda
amicizia, collaborò con lui alla redazione della seconda Confessione di fede
Elvetica (Confessio Helvetica Posterior). In diverse controversie teologiche si
fece ricorso alla sua autorità, e fu sempre membro fedele e generoso della
comunità locarnese di Zurigo; questa città gli concesse poi la cittadinanza in
segno di riconoscimento dei suoi meriti. L'arrivo dei rifugiati italiani nei
Grigioni e nei territori soggetti ebbe una grandissima importanza, poiché
coincideva con l'inizio della Riforma e veniva a soddisfare le richieste di
predicatori in lingua italiana. I territori soggetti sottostavano, come
Poschiavo, al vescovado di Como, che doveva vegliare sulla integrità morale e
religiosa di quelle regioni. L'inquisitore diocesano, Fra Modesto Scrofeo, fin
dal 12 settembre 1512 aveva dichiarato una donna di Sondrio «heretica, apostata,
idolatra, sacrilega, malefica et della profana et nefandissima sette delle strie
impenitente», ma egli stesso fu poi scacciato dal paese ,per il suo fare
insopportabile e la sua sordida avarizia: dal che ricaviamo in complesso una
poco favorevole impressione sullo stato della fede popolare e sull'autorità
ecclesiastica. Non vogliamo però dare un valore di carattere generale a questi
fatti. Da altre fonti si apprendono fatti ancora peggiori, che inondano di
fosca luce la morale e la fede del clero e del popolo. P. D. R. à Porta narra
nella sua «Historia Reformationis Ecclesiarum Raeticarum, liber II, p. 15, e
segg. che il prete Cesare de Berli di Samolaco presso Chiavenna diceva di aver
avuto un'apparizione della Madonna, durante la quale essa minacciava una
tremenda disgrazia per Chiavenna se la maledetta eresia dei luterani non fosse
stata soppressa ed i suoi seguaci sterminati e messi in bando del paese. In
seguito a tale apparizione si tennero feste e processioni; inoltre dei
predicatori quaresimali, sempre secondo l' à Porta, tennero per tre giorni
consecutivi delle prediche infocate contro i Luterani, incitando il popolo ad
estirparli; però dopo alcuni mesi l'inganno fu scoperto, ed il prete colpevole,
esaminato e torturato, confessò e fu decapitato alla presenza di un'enorme
folla. Tale fatto si verificò sotto il commissario Giovanni de Capaul di Flims,
che governò a Chiavenna dal 1531 al 1533, e produsse una grande impressione
anche oltre i confini delle regioni sottomesse, come risulta da una lettera che
il parroco di Coira, Giovanni Comander, scrisse al riformatore e medico
sangallese Giochino de Watt il 17 novembre 1532. Un decreto della Dieta
dell' 11 gennaio 1541 imponeva ai funzionari della Valtellina e di Chiavenna di
esortare i loro preti ad annunciare al popolo la santa parola di Dio e ad
insegnare il Credo, il Padre Nostro, l'Avemaria ed i 10 comandamenti sotto pena
della perdita delle loro prebende. Il popolo era privo della più elementare
conoscenza della dottrina cristiana: molti anni dopo lo scoppio della Riforma le
genti della Valtellina e di Chiavenna ne accusavano apertamente i loro preti. Il
6 febbraio 1577 si presentarono infatti davanti ai rappresentanti delle Tre
Leghe a Coira, Mattias Hopper di Morbegno a nome di tutta la Valtellina, e Paolo
de Porto di Chiavenna per chiedere che fosse loro concesso di assumere
predicanti e monaci stranieri per annunciare la parola di Dio, poiché i preti ed
i monaci locali non ne erano capaci. La più antica, grande e promettente
delle comunità evangeliche dei paesi sottomessi era Chiavenna. Poiché già nei
tempi antichi la grossa borgata era un centro di comunicazioni e dopo
l'annessione ai Grigioni si era ancora più fortemente sviluppata, è facile
capire che questo luogo fosse un punto di incontro tra la gente del nord e
quella del sud, come è naturale che vi giungessero fuggiaschi in gran numero. Il
Meyer chiama Chiavenna il principale centro di riunione dei fuggiaschi italiani:
accanto a uomini di notevole erudizione e nobiltà si trovarono anime incerte e
in cerca della verità. Il primo predicatore riconosciuto dalla comunità fu
Agostino Mainardi. Egli era nato nel 1482 a Saluzzo in Piemonte ed era
appartenuto all'ordine degli Agostiniani, dove si acquistò gran fama a causa
della sua erudizione. In seguito a prediche tenute in Asti, cadde in sospetto di
eresia, ma ne fu assolto e si recò quindi a Pavia, dove tenne pure delle
prediche. In quella città ed in altre si espose sempre maggiormente, finché si
decise anche' egli per l'esilio volontario e comparve a Chiavenna nel 1539, dove
assunse l'ufficio di predicatore. Mainardo non fu il fondatore della
comunità di Chiavenna: prima di lui vi era stato Francesco Negri, altro profugo
italiano oriundo di Bassano nel Veneto. Fu al principio del terzo decennio che
si manifestò nel comune la prima attività evangelica, e la formazione della
comunità si può attribuirla all'attività del Negri. Tra i nobili troviamo
aderenti alla nuova fede Ercole de Salis (deceduto nel 1578 a 75 anni a Soglio
in Bregaglia) e Paolo Pestalozzi: figurano inoltre quali aderenti e sostenitori
della comunità i Follizzeri, Stoppa, Bottagiso, Costa, Pizarda, Pelasico,
Poverello. Salis si prese cura del Mainardo e gli mise a disposizione per il
culto evangelico la sua cappella privata, nonché l'abitazione del parroco con un
giardino e le rendite di un fondo. La comunità crebbe continuamente fino a
comprendere un terzo degli abitanti; essa aveva la propria scuola stabilita
nella casa parrocchiale di S. Pietro. Le spese di culto erano sostenute
pubblicamente (dalla cassa comunale e dalle entrate della principale chiesa
cattolica, S. Lorenzo). Da membro fedele del Sinodo Evangelico-retico, Mainardi
si atteneva ai principi della Confessione Retica, e predicava senza fatica per
cinque volte alla settimana ai suoi parrocchiani. Gravi preoccupazioni quali
furono arrecate dalle opinioni non ortodosse del Siciliano Camillo Renato, di
Francesco Stancaro, Pietro Leoni, Simone Florillo ed altri. I punti controversi
riguardavano l'immortalità dell'anima, la risurrezione dei morti, la trinità, i
sacramenti (Battesimo e S. Cena), la verginità di Maria, l'origine del bene e
del male, il merito di Cristo ed altri ancora. Mainardi mori a 81 anni il 3
luglio 1563. Gli successe Girolamo Zanchi, discepolo di Pietro Martire
Vermigli, fin da quando erano insieme nel convento di Lucca. Il suo collega
Florillo, che già aveva cagionato dei guai al suo predecessore, fu causa per lo
Zanchi di gravi seccature: il conflitto verteva su alcuni punti di dottrina, ed
ebbe disgraziatamente un seguito doloroso con la scissione della comunità, che
ne soffrì nel suo sviluppo esteriore ed interno. Fortuna volle che l'ufficio
di pastore fosse in seguito assunto da Scipione Lentulo, di origine Napoletana,
che già aveva provato i rigori della Inquisizione e la prigionia, ed era stato
in seguito pastore dei Valdesi del Piemonte. Nel 1549 si era acquistato a
Venezia la laurea di dottore in teologia e malgrado la sua malferma salute,
resistette 30 anni al suo posto (1567-1597) . Anche egli predicava da
quattro a cinque volte alla settimana, con una retribuzione annua di cento
corone. Per porre fine ai fastidiosi dissidi di carattere teologico, aveva
ottenuto che la Dieta privasse del domicilio coloro che non volevano firmare la
Confessio Raetica. Nella contea di Chiavenna si formarono altre piccole
comunità evangeliche a Piuro, sulla strada della Bregaglia, e su ambedue rive
della Maira, a Pontiglia (Pontaila), presso Castasegna, a Prata (Prada) a sud, a
Mese a sud-ovest di Chiavenna. Capitolo III A. La Riforma nelle valli di
Poschiavo, Bregaglia, Mesolcina
a) La Riforma nella valle di
Poschiavo Al tempo della Riforma e della Controriforma, Poschiavo divise
completamente con la Valtellina il proprio destino, il che non può destare
meraviglia, se si tiene conto del fatto che la valle è rivolta verso il mezzodì
e che le sue acque sfociano nell'Adda, poiché appartengono al bacino del Po;
d'altra parte le sue relazioni commerciali la legavano fin dai più antichi tempi
alla Valtellina ed a Tirano. Anche ecclesiasticamente essa era legata insieme
alla Valtellina alla diocesi di Como, e ne seguiva la direzione episcopale.
Politicamente la situazione era invece ben diversa ed essa facilitò la sua
adesione alla Riforma, in quanto che la valle apparteneva alla Lega Caddea, e
come tale era considerata come terra dominante e non come terra soggetta, quale
la Valtellina. Fortunato Sprecher di Berneck nella sua "Pallas Rhaetica armata
et togata" (51) così si esprime concisamente: «Essa si estende al di là del
massiccio del Bernina, da cui scaturisce il Poschiavino, affluente della Adda, e
forma un distretto (Conventus magnus), che è stato lungamente soggetto ai
vescovi di Coira; più tardi ebbe come legittimi signori i duchi di Milano, per
ritornare ancora in seguito al vescovado di Coira nel 1408 ed essere finalmente
ammessa nella Lega Caddea nel 1487. La comunità riuscì poi a riscattare dal
vescovado nel 1537, mediante il pagamento di 1200 ducati d'oro e adottò un
regime repubblicano per la sua amministrazione.» Il distretto inoltre, sempre
secondo lo Sprecher, era il decimo della Lega Caddea e si divideva ancora in
quattro contrade: I° Poschiavo, centro importante, in posizione favorevole,
nucleo principale del distretto, sede di una tipografia. II° La contrada
interna, con i villaggi di Ainum, Cavaglia, Pisciatello e Campello, dove sorgono
le notevoli rovine del castello di Olzate. III° La contrada esterna, con Prada,
Campilionum, e Motta di Pedenale, dove sorgeva il castello e la sede del balivo
vescovile. IV° Brusio con sei cantoni, cioè Brusio con la sua chiesa
parrocchiale, Campascio, Zalende, Le Prese, Lacus, notevole per l'abbondanza
delle sue acque e per i suoi pesci, e la montagna di Viano. Il distacco
della valle dalla signoria di Milano e la sua incorporazione nel vescovado di
Coira, a cui allude lo Sprecher, avvenne nel 1408, mentre è del 1487 l'unione
alle Tre Leghe; col passaggio del 1537, che liberava la valle dal dominio
vescovile, anche il diritto di eleggersi il podestà fu acquistato dal comune, e
tale fatto ebbe certamente grande influenza nell'introduzione della Riforma
nella valle (52). Per quanto riguarda l'adesione alla Riforma, possiamo
accettare la data fissata dal Ninguarda del 1528, a cui egli allude nella sua
relazione della visita pastorale diocesana (1589-1593): essa appare del resto
una conseguenza degli articoli di Ilanz del 1526, 25 giugno, come avvenne anche
per tanti altri comuni delle Tre Leghe. Essi dichiaravano che era lecito ad ogni
comune di scegliersi a piacimento i propri ecclesiastici e di optare per la
vecchia o la nuova fede. A Poschiavo si applicarono tali disposizioni e non si
tardò a trasformare l'antica istituzione ecclesiastica cattolica secondo i
principi riformati. Il vescovo, durante la sua visita pastorale, non trascurò di
invitare la popolazione a rispettare i suoi obblighi verso la sede vescovile ed
a pagare il cosiddetto «denaro della mensa» (satisfacere Mensae Episcopali). La
parte cattolica della popolazione fu pronta all'obbedienza, ma naturalmente la
parte protestante respinse la pretesa, poiché la loro valle ed il distretto
erano stati ammessi nella Lega Caddea, e gran parte della gente non riconosceva
più la fede cattolica. Possiamo perciò concludere che ancora nel 1590 Poschiavo
contava un gran numero di protestanti, tale da potersi opporre senza paura alle
richieste del vescovo e continuare nell'atteggiamento negativo anche in
occasione di successivi ammonimenti (53). Il quadro che Ninguarda presenta a
proposito della situazione degli evangelici è assai edificante: Brusio conta su
circa duecento famiglie pressappoco un terzo di eretici, che hanno il proprio
pastore nella persona di Antonio Andreoscha di Samedan in Engadina; per il suo
mantenimento gli viene dato uno stipendio di ottanta libbre imperiali,
equivalenti alla metà degli introiti parrocchiali. Dato che nel paese non vi
sono altre chiese, che quella dedicata a S. Trinità, adatte al culto divino ed
all'amministrazione dei SS Sacramenti, egli se ne serve come della propria
chiesa, vi predica la dottrina eretica e vi celebra la S. Cena, come è chiarata
la messa presso gli evangelici («Suam pariter esercet sinagogam haeretice
praedicando et ccenam [ut vocant] ministrando»). A circa sei miglia da Brusio,
si trova il borgo di Poschiavo colla chiesa parrocchiale di S. Vittore, in cui
funziona come parroco Gabriele di Tresivio in Valtellina, coadiuvato da un
cappellano. Nella borgata e nel circondario vi sono inoltre diverse chiese, di
cui tre usate dai cattolici, mentre le altre sono state profanate dagli eretici.
In S. Nicolao di Aino e in S. Bernardo di de Beda si celebra la messa. S. Maria,
S. Pietro, S. Martino, S. Rocco, S. Sisto, S. Pietro, che si trovano tutte nel
concentrico di Poschiavo o nelle sue vicinanze, S. Sebastiano a Selva, a due
miglia da Poschiavo, e S. Giacomo a Pisciadello a quattro miglia, sono
disgraziatamente in possesso degli eretici. Due altre chiese poste nella borgata
stessa e consacrate a S. Giovanni e a S. Bartolomeo, sono state profanate colla
loro trasformazione, la prima in stalla e l'altra in segheria. La situazione
ecclesiastica a Poschiavo è la seguente: dei quattrocentosessanta fuochi, un
quarto è passato all'eresia in Poschiavo e Pisciadello, i cattolici fanno tutto
ciò che è nelle loro forze per difendere proteggere la loro antica fede e 1200
persone di ambo i sessi hanno partecipato alla santa comunione; gli eretici
hanno il loro pastore, che tiene celata la propria origine, ma che proviene
probabilmente dal Bergamasco o da Cremona: si tratta di un monaco agostiniano
apostata di circa 75 anni, chiamato comunemente Augustinus Italus (54). In
mancanza di altre fonti storiche all'infuori di questa relazione della visita
pastorale, noi avremmo soltanto poche e sfavorevoli informazioni sui riformati
della valle. Ad ogni modo appare assai sospetto il fatto che il vescovo abbia
per il clero soltanto delle parole di lode e non accenni affatto alle gravi
colpe di cui era responsabile e che diedero origine allo sviluppo evangelico
della valle. Il ricordo di Giulio della Rovere di Milano, personalità dai
costumi illibati e che aveva predicato in tutta la regione con umiltà e zelo
apostolici, doveva essere ancora ben vivo presso cattolici e riformati; e doveva
pure essere noto al vescovo che proprio per opera sua, per quanto eretico e
apostata, erano state impedite le profanazioni della chiesa, ed i costumi e la
vita morale erano stati risanati a pro di entrambe le confessioni. Ma il vescovo
lo ignora completamente. Ci mancano i documenti relativi alla prima opera di
rinnovamento (55). Si può solo affermare che ciò avvenne circa due decenni prima
dell'arrivo di Giulio da Milano; forse in base agli articoli di Ilanz, gli
abitanti si erano liberati dalla sudditanza al vescovo, per essi straniero, e
subito dopo avevano iniziato la trasformazione religiosa. All'inizio il
movimento dovette essere prettamente laico, poiché prima della venuta di Giulio
non risulta che nella valle vi siano stati degli ecclesiastici evangelici. La
curia vescovile di Como era allora tenuta da Cesare Trivulzio (1527-1548), al
quale, come ai suoi successori, Bernardino della Croce e Giasantonio Volpi,
erano interdette visite pastorali nei paesi sottomessi alla Lega e nella Valle
di Poschiavo; senza contare che i due primi vissero nel periodo anteriore al
Concilio di Trento e quindi, mancavano di quello zelo religioso che invece
caratterizzava il vescovo Ninguarda, per cui accadde che il movimento
riformatore nella valle poté svilupparsi pacificamente (56). Si può arguire
che le località in cui si affermarono prima i principi evangelici furono quelle
a settentrione di Poschiavo, in direzione del valico del Bernina, e cioè i
villaggi menzionati dallo Sprecher di Aino, Cavallio, Pisciadello e Capellum,
poiché dalla relazione del Ninguarda essi risultano completamente eretici. Ma il
movimento riformatore acquistò poi importanza e notorietà all'arrivo di Giulio
da Milano, quivi pervenuto fuggiasco per motivi religiosi e ben felice di avervi
potuto trovarci una nuova patria. Discendente dalla nobile famiglia milanese dei
Della Rovere, egli era entrato nell'Ordine degli Eremitani Agostiniani e godette
la fama di un monaco serio e pieno di zelo. Ebbe poi modo nella sua cella e nei
suoi rapporti con gli altri frati di venire a contatto con i principi della
Riforma: però il tenore delle sue prediche ed il favore che lo accompagnava lo
resero sospetto alle autorità dell'Inquisizione fin dal 1538; venne un po' alla
volta sorvegliato con maggiore attenzione ed alla fine messo in carcere nel
1541, dopo aver predicato come quaresimalista a Venezia. Dalla severa
perquisizione fattagli, egli risultò in possesso di uno scritto del riformatore
zurighese Bullinger e di altri scritti sospetti: senza altro fu dichiarato
affetto di eresia e rinchiuso in carcere (57). Il verdetto degli inquisitori
gli proibì di predicare e di confessare. Ignoriamo il modo con cui egli
riacquistasse la libertà, ad ogni modo, non essendo più sicuro in Italia, se ne
fuggi e lo troviamo nei Grigioni, che allora erano rifugio fissato per molti
profughi italiani. Insegnò dapprima a Vicosoprano, quale successore di
Bartolomeo Maturo, e in seguito, nel 1547, si trasferì come predicatore a
Poschiavo: come già abbiamo detto, l'ambiente era già preparato a ricevere la
sua attività riformatrice. Egli lavorò quivi in tutta tranquillità con
l'insegnamento pubblico e privato, colla spiegazione della Bibbia e del
Catechismo, senza incontrare grande resistenza da parte del clero della valle.
Circa in quel tempo deve essere stato accolto nel numero dei pastori
grigioni: infatti il Sinodo dovette essere molto felice di sapere al di là del
Bernina un ministro evangelico degno di fiducia e valente come si era dimostrato
Giulio da Milano (58). Non si trova però il suo nome nell'elenco sinodale.
Un grande aiuto nella sua opera di evangelizzazione gli fu recata
dall'arrivo nel 1549 di Pier Paolo Vergerio, proveniente dall'Italia ed
accompagnato da Baldassare Altieri, che godeva di altissima stima per lo zelo
dimostrato nel Veneto per la causa dell'Evangelo. Vergerio, già vescovo e
nunzio, si era riempito di sdegno e d'ira contro il papa e si dimostrava animato
da ardente spirito evangelico, nonché da un desiderio intenso di operosità.
Resosi conto del favore che il movimento evangelico aveva incontrato nella valle
si mise immediatamente al lavoro per la santa causa e operò con tanta intensità
da gettare nell'ombra l'opera dell'umile Giulio da Milano, tanto che la
tradizione popolare considera il primo e non l'ultimo quale riformatore di
Poschiavo. Dice Leonhardi che Giulio da Milano aveva fin allora fatto di tutto
per cacciare gli idoli dal cuore dei Poschiavini, ma nulla ancora per
allontanarli dai templi; l'iscrizione originale nella chiesa di Poschiavo era la
seguente: "Chiesa cristiana evangelica riformata in questo Comune nell'anno 1548
da Pietro Paolo Vergerio, fu Vescovo di Justinopoli". Senza dubbio Vergerio,
favorito dalla sua risolutezza, da un'eloquenza irresistibile e da un mirabile
tatto organizzativo diede alla Comunità di Poschiavo una fisionomia definitiva,
I'arricchì di nuovi membri in gran numero, le diede coscienza completa della
separazione dal papato. Egli fu attivo a Poschiavo sia con la parola, sia con
gli scritti, per i quali gli fu di prezioso ausilio l'esistenza della tipografia
Landolfi. Crediamo di non errare, affermando che essa già era in funzione prima
dell'arrivo del Vergerio e che non sia stata fondata da lui, come altri hanno
affermato. Infatti leggiamo in una lettera scritta il 3 agosto 1549 dall'Altieri
al riformatore Bullinger: «Sono venuto a Poschiavo col vescovo Vergerio;
l'ardente difensore di Cristo passerà qui l'inverno ed ha già preparato contro
la persona del papa un vero arsenale di acutissimi strali.» Pensiamo che appunto
la tipografia ve l'avesse attirato (59) e che egli avesse l'intenzione di farvi
stampare i suoi manoscritti italiani e latini contro l'anticristo. Da quella
borgata situata al confine della Valtellina e alle porte dei territori milanese
e veneziano, come da una sicura fortezza, l'esiliato principe della chiesa
poteva diffondere una letteratura di tal genere e colpire direttamente la Chiesa
Romana ed il suo aborrito capo. Vergerio però non si accontentò di pubblicare
opuscoli polemici; il dott. Francesco Herbert, nel suo accurato studio
sull'attività pubblicistica del Vergerio, menziona fra le 171 pubblicazioni
dell'instancabile scrittore un catechismo pubblicato dal Landolfo nel 1549 ed
intitolato: «Institutione Christiana », recante la seguente epigrafe: «Tibi
nihil, Deo omnia». Si legge in questo trattatello: "Nel mondo avete
tribolazione, ma fatevi animo, poiché io ho vinto il mondo» (Giov. 16, 33);
tieni fermo in Cristo per la grazia di Dio; se vedi che i fedeli testimoni della
fede vengono esiliati, incarcerati, uccisi, od esposti alle atrocità del fuoco,
persevera ugualmente, soffri per la tua fede nella certezza della misericordiosa
assistenza di Dio. E più avanti: Se vieni maltrattato per causa della fede,
gioisci, lascia che ti chiamino pazzo, e grida ai persecutori: la mia non è
pazzia, ma sapienza, ed io sono certo che il mio Redentore che ho confessato
dinanzi al mondo non mi rinnegherà davanti a Dio". Da queste affermazioni
possiamo arguire in quale modo l'Evangelo fosse proclamato a Poschiavo e in
altre comunità e rimaniamo colpiti da questo fiducioso e tranquillo abbandono in
Dio che animava la sua predicazione! E' il fuoco sacro dell'Evangelo che lo
spinge alla lotta ed alla sofferenza, come ai tempi del Cristianesimo primitivo,
e che gli promette di conquistare i cuori (60). Molto significativa a tale
riguardo anche la presentazione del trattatello, a cura dell'editore Dolfino
Landolfi; in essa egli scrive che il libro, mentre tratterà della fede
cristiana, testimonierà pure della vivente comunità di Poschiavo; poiché i
Poschiavini, come vedremo anche in seguito, si erano sinceramente dichiarati per
l'Evangelo, e fra i più fedeli bisognava annoverare precisamente i proprietari
della tipografia. Vergerio non dimorò a Poschiavo fino alla primavera del
1550 come era stata sua primitiva intenzione e come aveva dichiarato
all'Altieri. Egli vi era probabilmente giunto alla fine di luglio del 1549. Al
tempo della vendemmia, lo troviamo già a Chiavenna ed al principio di novembre a
Basilea: se quindi, la sua attività a Poschiavo fu notevole, non fu che di breve
durata. Giulio da Milano rimase nuovamente solo e con le sue sole forze; ma si
diede con rinnovato zelo a predicare e ad insegnare l'Evangelo e trovò anche il
tempo di lavorare e di trovare seguaci nella vicina Valtellina, a Tirano,
Sondrio e Teglio. Vi esplicò la sua attività specialmente nell'estate del 1555,
e in modo particolare nei due primi centri, dove erano stati nel biennio
precedente come governatore Giovanni Planta, come vice governatore Pietro Planta
e come podestà Alessandro Mengold. Infatti il 4 novembre dello stesso anno egli
scriveva da Poschiavo pieno di gioia a Bullinger di essersi recato in giugno a
Sondrio, capoluogo della Valtellina, e di esserne ritornato in ottobre a Tirano
ed a Poschiavo. Al termine della lettera egli palesa la sua soddisfazione per il
favore che l'Evangelo ha incontrato nel suo campo di lavoro e aggiunge che i
comuni della Valtellina, Poschiavo, Tirano, Teglio e Sondrio si dichiarano
sempre più favorevoli per la semplice dottrina evangelica ed apostolica, che
allora, grazie a Dio, veniva nuovamente insegnata nella Svizzera e nella Rezia
(6l). «Vogliamo pressare, dice, il nostro Redentore, che è anche il gran
Salvatore e Pacificatore, di conservare l'unità col vincolo della fede.» Da
queste ultime parole rileviamo una preziosa caratteristica di Giulio da Milano
tanto più notevole in confronto con gli altri Italiani, e cioè il suo desiderio
di pace unito all'azione efficace per la pura dottrina. La sua posizione non era
evidentemente facile in una regione in cui accorrevano tanti Italiani di così
diverse tendenze religiose, ma lo vediamo mantenersi saldo come una colonna fino
ai suoi ultimi giorni (62). Egli trovò anche un valido aiuto in Paolo Gadius
da Cremona, dal 1554 parroco di Teglio, e nel valente e dotto Scipione Lentulo,
parroco dapprima al Monte Sondrio e poi a Chiavenna. D'altra parte non ci è noto
in che modo si sviluppasse la comunità di Poschiavo fino all'arrivo di Ninguarda
per la sua visita pastorale; anche di Giulio da Milano non ci sono pervenute
notizie e non conosciamo sue lettere posteriori al 1555 dirette a Bullinger. Nel
giugno del 1568, in occasione del Sinodo di Zuoz, Giulio insieme a Lentulo invia
dei cari saluti all'amico di Zurigo; nel Sinodo di Coira del 1571 egli parlò a
proposito della questione riferentesi al parroco Giovanni Gantner con tanto
fervore, che, come già abbiamo notato, il parroco principale di Coira, Tobia
Egli, non trova parole sufficienti, scrivendo a Bullinger, per lodare come si
conveniva la sua eloquenza, pietà ed erudizione. Il successore di Egli, Gaspare
Hubenschmid, nel suo rapporto a Bullinger sul Sinodo del 1575, tenuto a Coira,
scrive che dalla Valtellina si sono soltanto presentati Lentulo e Calandrino,
mentre i due veterani, Giulio e Gadius, non vi avevano potuto partecipare per
motivi di età o per mancanza di mezzi. Secondo Campell, Giulio morì a 76 anni
nel 1581, a Tirano, dopo aver per parecchio tempo provveduto a quella comunità,
ed ebbe sepoltura nella chiesa evangelica. Il medesimo autore dichiara che si
era distinto per moralità, per devozione, erudizione ed una rara eloquenza.
Nel frattempo la tipografia landolfiana non era rimasta inattiva. Oltre li
Statuti di Valtellina e di Poschiavo del 1549e del 1550, fu pubblicata nel 1552
la traduzione del catechismo del Comander e di Blasio, a cura del Bifrun; e la
predica di Vergerio contro il culto della Vergine e dei Santi, a cura di Guido
Zonca (63). Possiamo anche presumere che l'attiva tipografia abbia stampato
delle opere anonime di carattere religioso o polemico di Giulio da Milano, di
Altieri o dell'erudito parroco chiavennasco Mainardo. I profughi italiani erano
certamente pieni di fuoco nel parlare e facili alla penna, specialmente se si
trattava di combattere la chiesa romana, il Papa e l'Inquisizione. Non è perciò
da stupirsi se gli ambienti cattolici sorvegliassero la tipografia e cercassero
di impedire la sua attività (64). Ma la lettura di quelle pubblicazioni
incoraggiò molti cattolici, vicini e lontani, alla nuova fede, mentre vi
rafforzò quelli che già vi avevano aderito. Nel 1561 la minacciosa animosità
cattolica contro i Landolfi si trasformò in tempesta: già nel 1554 I'arcivescovo
di Milano, Giovanni Angelo Arcibaldo, ed il maestro dell'Inquisizione
Bonaventura Castiglione, avevano emanato un rigorosissimo editto contro
ecclesiastici o laici che leggessero le Sacre Scritture in lingua volgare,
contro coloro che non ne denunciassero i possessori e stabilivano la Scomunica
contro tutti quelli che comunque non erano autorizzati a tale lettura. Nel 1561
pervenne alla Dieta delle Tre Leghe un reclamo relativo alla tipografia dei
Landolfi: il 7 giugno di quell'anno ci presentò ai delegati comunali delle Tre
Leghe, radunati a Coira, il nunzio pontificio Bernardino Bianchi, prevosto di S.
Maria della Scala a Milano, con alcuni ricorsi, tra i quali uno di questo
genere: A Poschiavo, nella giurisdizione del vescovo di Como, si tollera una
tipografia, i cui libri oltraggiano Dio, vilipendono la santità papale, lanciano
veleno contro la santa sede di Roma, contraddicono la santa dottrina della
chiesa, accusano di falso la messa, come gli altri sacramenti, si oppongono a
tutto quello che i concili e la chiesa cattolica considerano come dottrina
intangibile. L'assemblea prese nota di tutta la relazione del nunzio, che
era fiancheggiato dall'ambasciatore spagnolo Angelo Ricci, e promise di
sottoporre le lagnanze all'esame dei comuni prima della prossima Dieta: poiché i
reclamanti consideravano troppo lungo l'intervallo che li separava
dall'assemblea ordinaria, se ne fissò una in sessione straordinaria per il 20 di
ottobre, la cui spesa sarebbe stata a carico degli interpellanti. Ebbe cosi
luogo la Dieta di Ilanz, a cui intervennero numerosi gli ecclesiastici delle due
confessioni. Il parroco di Coira Fabritius predicò due volte durante le sedute,
e fra gli ascoltatori si notarono anche dei parroci cattolici. Al termine delle
riunioni furono rivolti sentiti e ferventi ringraziamenti alla Santità Papale,
pur osservando che nei tempi precedenti si erano sempre amichevolmente risolte
tutte le questioni della vita religiosa tra i vari comuni delle Tre Leghe, e si
esprimeva la speranza che anche per l'avvenire la buona armonia avrebbe potuto
regnare e favorire delle condizioni tanto privilegiate. Per quanto
riguardava la tipografia di Poschiavo, si sarebbe procurato di impedire la
pubblicazione di qualsiasi opera in contrasto con le Sacre Scritture e la
Santità del Papa; le eventuali pubblicazioni del genere già fatte, sarebbero
state senza altro soppresse. Così la Dieta costò ai due delegati la somma di 660
corone, ma non diede in alcun modo soddisfazione alle loro esigenze (65) La
delusione fu specialmente letta in viso al delegato papale, quando lo si vide
mordere furiosamente la catena d'oro che portava al collo in segno di
distinzione, e partirsene in tutta fretta la sera del 23 ottobre in compagnia
del suo malizioso compare. Quanto alla tipografia essa poté essere conservata a
Poschiavo e in seguito fu ancora di prezioso ausilio nella propagazione della
fede, e senza alcun timore della censura della Dieta grigionese. Sulla Riforma a
Brusio mancano delle notizie precise; ma se il vescovo Ninguarda nella sua
relazione afferma che un terzo degli abitanti avevano aderito alla nuova fede e
che su duecento famiglie circa sessantacinque o settanta erano evangeliche, si
può affermare che il movimento riformatore vi abbia avuto inizio prima ancora
che a Poschiavo. Anche il fatto che i Cattolici e gli Evangelici dividessero
l'uso dell'unica chiesa, sta a dimostrare che questi ultimi erano in numero assi
ragguardevole. Possiamo inoltre affermare con una certa sicurezza che anche a
Brusio, Giulio da Milano abbia esercitato il suo ministero. Pare però che le
relazioni tra Poschiavini e Brusiaschi non siano sempre state delle migliori:
infatti notiamo, a mo' d'esempio, che nel 1521 Brusio dovette prender l'impegno
di fronte a Poschiavo di provvedere al restauro del ponte di Piattamala, e di
mantenere in efficienza la strada da Piattamala al termine del lago; ma nel 1541
Brusio dovette rivolgersi alla Dieta per reclamare contro la vendita fatta da
Poschiavo di alcune terre appartenenti invece a loro; un'altra vertenza sorse
poi quando Poschiavo si servì del denaro del fondo comune per il lavoro di
restauro della chiesa di S. Vittore e per la costruzione dell'ossario vicino
alla Cap-pella dell'Oratorio. Pare inoltre che non fosse cosa facile raggiunger
un accordo per la nomina dei podestà e dei giudici ecc. Tutti questi dissidi
non impedirono a Giulio si portare anche ai Brusiaschi la pura parola di Dio:
non si comprenderebbe d'altra parte come egli avrebbe potuto tralasciare di
annunziare la parola di Dio a Brusio, mentre esercitava il suo ministero nel
«Tertiarium» superiore e in quello centrale della Valtellina. La prova più
evidente può essere che, alla sua morte, il monaco Cesare Gafforus, guardiano
del convento francescano di Piacenza, passato alla Riforma, divenne il suo degno
successore e si prese la parrocchia di Poschiavo e di Brusio. All'epoca
della visita pastorale del Ninguarda, il pastore di Brusio, come già abbiamo
detto, era Giovanni Andreoscha (66). Dovevano esserci degli evangelici anche nel
ristretto territorio di Meschino, fra Brusio e Poschiavo: risulta infatti da una
deliberazione del principio sel XVII° secolo che quei parrocchiani potevano a
piacimento rivolgersi per i servizi liturgici (battesimi e funerali) sia a
Poschiavo che a Brusio. Nella valle di Poschiavo risulta che cattolici e
protestanti vissero in armonia e con reciproco rispetto fino all'arrivo del
Ninguarda che se ne volle immischiare. Quell'accordo confessionale che la Dieta
del 1561 aveva lodato e che si conservò ancora per alcuni decenni, si trasformò
poi al principio del XVII° secolo in odio e sete di sangue da parte
dell'elemento cattolico. Una prova della buona armonia e della reciproca
comprensione si può avere dal seguente fatto: il servizio divino era fatto per
ambedue le confessioni nella chiesa di S. Vittore spogliata da ogni sorta di
immagini. Una conferma ne è inoltre data dalla deliberazione patriziale del 1572
con cui si permetteva ad ogni cittadino di assistere alla predica od alla messa:
non si può certamente spiegare tale deliberazione come frutto di indifferensa
religiosa, poichè vi si aggiungeva che chiunque non avesse frequentato l'uno o
l'altro culto, perderebbe il diritto di essere nominato alle cariche comunali.
Fu inoltre stabilito nel 1573 che tanto il parroco evangelico quanto il prete
cattolico dovevano ricevere dalla cassa comunale duecento lire di stipendio
ciascuno e che pure il sacrestano fosse retribuito dalla medesima cassa per il
servizio che egli avrebbe prestato per le due confessioni, e che infine il
camposanto fosse di proprietà collettiva. Queste decisioni furono poi
riconfermate nel 1595 (67). Capitolo III B. La Riforma nelle valli di
Poschiavo, Bregaglia, Mesolcina
b) La Riforma in Val Bregaglia
Se nella valle di Poschiavo la Riforma non riportò vittoria completa, la
Bregaglia nel volgere di pochi anni si trasformò in una valle protestante. La
valle, che si percorre a piedi in quattro ore, si abbassa fortemente dal Settimo
e dal Maloggia su Casaccia, Vicosoprano, Stampa, Promontogno e Castasegna fino
alla frontiera italiana. Mentre l'altezza ai piedi del Maloggia raggiunge i 1634
m., Castasegna non giace che a 682 m. sul livello del mare. La forte pendenza
verso il sud rende la valle, come si esprime anche un dotto Bregagliotto, un
paese ricco di contrasti, ove contemporaneamente si danno la mano inverno ed
estate, nord e sud, e dove selvaggi alpi confinano immediatamente con gli
ubertosi campi del clima d'Italia: il maestoso castagno ed il modesto cembro, la
rosa delle alpi ed il fico sono in stretta vicinanza tra di loro.
Politicamente la valle, al tempo della Riforma, si divideva nelle due
circoscrizioni di Sopra- e Sotto-Porta, che insieme costituivano una
giurisdizione (68). Sprecher, nella sua cronaca retica (Pallas Rhaetica armata
et togata), ci dice che la valle aveva posseduto numerosi antichi e notevoli
privilegi imperiali; era divisa in due circoscrizioni; Casaccia, ai piedi del
Maloggia e del Settimo, ove le due strade alpine si separano, rappresentava la
settima parte della circoscrizione superiore. Quel luogo era importante per le
reliquie di S. Gaudenzio, che quivi era stato sepolto, dopo aver portato fin là
il suo capo reciso; al villaggio, nei pressi del quale si innalzava una antica
torre, appartenevano Cavril e la montagna del Maloggia; i suoi abitanti avevano
un proprio landamano per gli affari civili (69). La rimanente zona di
Sopra-Porta, continua Sprecher, era formata di quattro squadre: La Plaza
(Platea); San Cassian; Burnov (Burgus Novus, Borgonovo); Coltura e Stampa. I
nomi dei villaggi erano Vespran, in cui si trovavano Sot Castel e un'altra
torre, con Rutic e Pungel, Burnov, Stampa con Muntac ed altre frazioni.70 Il
landamano con dodici giudici aveva compe-tenza giudiziaria sopra tutti i casi
civili. Sotto-Porta invece si suddivideva in tre parti, di cui due erano
costituite da Soglio e Castasegna (71), e l'altra da Pont (Bondo) e Promontogno,
che anticamente aveva nome Muri. Soglio, località molto rinomata alle falde del
monte, era molto conosciuta perchè quivi fin dai tempi più antichi aveva avuto
sede la nobile famiglia dei de Salis. Il landamano della circoscrizione
inferiore aveva le stesse mansioni del suo collega della Superiore e lo stesso
numero di collaboratori. La sede del tribunale criminale per tutta la valle era
Vicosoprano; esso era presieduto dal podestà, coadiuvato da 18 giurati; le
questioni matrimoniali invece erano di competenza di un apposito giudice con la
giunta di sei membri. Come già si è detto in un precedente capitolo, dal
punto di vista eccle-siastico la valle costituiva una comunità Sola alle
dipendenze del parroco di S. Maria di Castelmuro. situata sul colle che divide
le due circoscrizioni. Egli aveva il titolo di arciprete e vigilava sulle
diverse chiese e cappelle della valle e sui loro ecclesiastici, i quali si
riunivano occasionalmente sotto la sua presidenza per prendere delle decisioni;
la Sua nomina non dipendeva dai vicini, come sarebbe awenuto nella prassi
evnngelica, ma dal vescovo di Coira. Si conoscono anche i nomi di parecchi
prelati di quell'importante posto del periodo anteriore alla Riforma: cosi per
es. Tomaso Planta, Giorgio de Stupanis, Simeone Prevosti, Antonio de Negrinis
(72). Quale ultimo pievano della chiesa di S. Maria della Val Bregaglia
officiò Alberto de Andrianis (1521-1536): i nomi degli ecclesiastici al lavoro
nella valle attorno al 1521 si conservano in un documento dell'archivio
vescovile di Coira (Catalogus Curiensis) ed erano: lacobo de Prepositis
(Prevosti), cappellano a S. Cassiano, Antonius Lumaga, cappellano a S.
Gaudenzio, Giovanni Alberti a Bondo, Giovanni de Bondio a Soglio; Simone
Faschila a S. Lorenzo in Soglio; Giovanni de Pastelia a Castssegna. La Bregaglia
ospitava dunque nel 1521, alla vigilia della Riforma, almeno nove ecclesiastici
per una popolazione relativamente scarsa (73). Bisogna però tener conto che in
quel tempo il traffico attraverso alla valle era intenso e che evidentemente
aumentava le responsabilità e le mansioni del clero. Il quadro migliore della
situazione ecclesiastica di quel tempo lo si ottiene, Specialmente per
Sotto-Porta, dai protocolli dei notai di Bregaglia dal 1474 1494 (74).
Cristina von Hoiningen-Huene, in base a profondi studi, ci fa rilevare. che
i Bregagliotti furono un popolo intensamente religioso, prima e dopo la Riforma.
Non si pronunciava un giudizio od una sentenza, se non si era invocato in
precedenza il nome di Dio e di Gesù Cristo o senza raccogliersi in preghiera.
Nei processi, per cause di matrimonio, i giudici indugiavano a pronunciare la
sentenza fin che non sentivano l'ispirazione divina. In un processo criminale si
invocava il Sommo Iddio che illumi-nasse i giudici alla ricerca della verità.
Nel caso di un grave misfatto, si diceva del colpevole che egli aveva
dimenticato l'eterna salvezza, ia Sacra Scrittura, i comandamenti divini, e si
era lasciato sviare dalle maligne arti del diavolo. Dopo il rinnovamento
della fede, molti protocolli cominciavano: In nomine Salvatoris nostri Jesu
Christi, oppure: In nomine Domini. Prima della Riforma, i notai invocavano pure
l'assistenza della Vergine. Prima che i Bregagliotti pensassero minimamente
al rinnovo della fede, solevano recarsi in pellegrinaggio alla tomba di S.
Jacobo di Campostella (ancora nel 1518); di frequente pagavano delle messe per
il suffragio dei defunti; nelle ore di durissime prove (morti, malattie ecc.),
facevano voti e disponevano per testamento delle somme a favore dei patroni
delle chiese del proprio villaggio o di quelli circonvicini, come ad esempio di
S. Martino di Bondo, S. Lorenzo di Soglio, S. Giovanni Battista di Chiavenna, S.
Giorgio di Stampa, S. Pietro di Coltura, S. Cassiano di Vicosoprano, S.
Gaudenzio di Casaccia, la Madonna di Castromuro, la Madonna di Tirano, S.
Sebastiano di Pontela, S. Sebastiano di Piuro, S. Gallo di Bivio. Gli ex-voto
erano costituiti da vacche, pecore, cera per le candele dell'altare, olio,
strutto, burro per la luce eterna, cereali, denaro, formaggio, vino. Alle volte
erano donazioni di una volta sola, ma sovente esse si ripetevano annualmente, e
per il cui adempimento si impe-gnavano da prima dei fondi. Le pecore offerte in
dono andavano a finire sulla mensa del prete; le vacche, secondo le circostanze,
si assegnavano a contadini in cambio del pagamento di un certo fitto, come per
esempio di otto libbre di burro fresco. Avvenne perfino che una vacca si diede
in affitto per metà a due contadini, e ciascuno di essi doveva consegnare
annualmente due libbre di lardo. Dalle registrazioni protocollari citate e
da molte altre risulta che il popolo bregagliotto si sentiva molto legato alla
chiesa e lo dimostrava apertamente in molte circostanze: era una gente animata
da profondi sentimenti religiosi. Meno favorevole è l'impressione che si può
avere sul conto del clero. Si sa che il pievano Alberto de Andrianis aveva una
figlia di nome Caterina, che più tardi divenne moglie del parroco evangelico di
S. Giorgio (Stampa) e di S. Pietro (Coltura), Laurentius de Vignano. Anche di un
prete itinerante di nome Bernardino Battaglia di Brixen, parroco della vicina
Ponteggia, si narra che una volta tornò da un suo giro tutto pesto e rovinato.
Il 17 dicembre del 1542 venne insediato quale cappellano di S. Giorgio e di S.
Pietro (per Stampa, Coltura e Gualdo) il signor Vincenzo Ballo di Coltura, con
promessa da parte dei parrocchiani di garantirgli il necessario, purchè si
comportasse come un sacerdote (se salvando, ut licet sacerdoti) (75). Che i
preti poi non si scandalizzassero di accusarsi a vicenda davanti al popolo e
davanti ai giudici, lo dimostra un processo tra il pievano Alberto de Andrianis
e i due preti Giovanni di Bondo e Giovanni Repfallet, durante il quale il primo
cercò invano di sottrarsi alle accuse dei due altri, perchè i giudici lo
condannarono alla prigione. Meno scandaloso, ma pur seguito con occhio critico
dal popolo, il traffico di beni terreni da parte di parecchi ecclesiastici.
Risulta registrato che Urbano Prevosti, cappellano di S. Giorgio e di S. Pietro,
nel 1537 aveva acquistato dei beni per sè e per i suoi eredi, consistenti in una
casa, giardino e vigneto a Betto per 44 libbre e che li aveva dati in affitto
per tre staia di vino annue. Già prima, il 2 marzo 1523, egli era diventuto
padrone a Ultremura, vicino a Chiavenna, di una casa in muratura con giardino
sulla strada imperiale per il valore di 65 libbre, e che l'aveva affittata per
una brenta di vino buono all'anno. Nello stesso anno poi aveva comperato una
casupola con un piccolo giardino a Gualdo, su cui gravava una regalia
ecclesiastica a favore della chiesa di S. Giorgio. Non senza stupore poi si
apprende che egli aveva concluso nella sua casa di S. Giorgio un contratto per
la compera di svariate obbligazioni per un importo di 427 libbre. Il suo salario
evidentemente non gli avrebbe mai concesso di effettuare delle operasioni
pecuniarie di tal portata. Egli infatti aveva concluso il 1° maggio 1523 un
contratto con i rappresentanti di Stampa, Gualdo e Coltura, in base al quale
essi gli garantivano quale cappellano di S. Giorgio e di S. Pietro un salario a
vita di nove fiorini e dieci grossi per leggere regolarmente la messa in chiesa
(76). E' quasi certo però che i parrocchiani si diedero pensiero e si
preoccuparono per il contegno del loro parroco, che 1'8 maggio fu chiamato
curatore di S. Giorgio, esprimendosi qualche volta in modo poco lusinghiero.
Una vera corrente di sdegno si manifestò poi contro l'ultimo parroco
cattolico di Sopra-Porta, Ser Vincenz di Vicosoprano. Costui, dopo la morte di
suo fratello Tonella, vendette, all'insaputa della vedova, tutti i beni mobili
del defunto, cioè 14 cavalli, 16 pecore, tutto il fieno, la pa-glia, il guaime
che aveva a Coltura, le bardature dei cavalli, e tutto ciò che con questi veniva
da Dalla (Dall nel Tirolo), sale ecc., per l'importo di 400 fiorini e pagamento
dei debiti di osteria del fratello, a cominciare da quelli all'albergo di Dalla.
La vedova, di nome Ursa, il 14 dicembre del 1542 gli intentò una causa per
questo procedere cosi violento: essa si sentiva lesa ed offesa dopo 18 anni di
vita coniugale col Tonella, e non riusciva a capire perchè il cappellano la
trattasse in quel modo. Se la cosa si avviava in questo senso, diceva essa,
tutto il necessario le sarebbe mancato, e di che avrebbe dovuto vivere se le
fossero tolti anche i cibi e i vestiti? Il cappellano le rispose che in primo
luogo occorreva provvedere al sostentamento della madre ed estinguere i debiti,
quindi non avrebbe avuto nulla in contrario se il resto si passasse alla vedova.
Il tribunale dispose: 1° Per il sostentamento della madre si doveva
ricorrere al patrimonio comune; 2° I debiti del defunto Tonella e le spese del
mantenimento della vedova erano da prelevarsi dal bene ereditato, fintanto che
essa sarebbe rimasta vedova Le furono pertanto assegnati due curatori, che
dovevano sorvegliare a che le somministrazioni in viveri e abbigliamento fossero
sufficienti. Sentenza ottima ed assai amara per il cognato prete. Non si
ricava quasi nulla dai protocolli notarili circa la preparazione culturale dei
sacerdoti; in nessun posto però ssi trovano tracce di studi superiori (77). Il
"praecantare ecclesiam o cappellam", menzionato nei protocolli, che consisteva
in un debole ed atono suggerimento di certe preghiere liturgiche, era un'antica
usanza e non si può considerare un sintomo di una cultura deficiente. E' invece
sorprendente che i preti solo eccezionalmente venivano considerati eruditi; ad
Alberto de Andrianis, che abbiamo già più volte menzionato, è riservato tale
attributo in un passo dei protocolli. Altri preti vengono citati quali
assistenti legali, come per es. il cappellano di Bondo, Giovanni de Picenoni ab
Acqua, nella cui dimora furono di frequente conclusi dei contratti. Altri
funzionavano occasionalmente quali notai, come nel 148s il signor Giacomo de
Castelmur. Il popolo accettava la situazione che attraverso un lungo periode di
tempo si era radicata, ma in fondo si sentiva insoddisfatto particolarmente per
quel che concerneva il servizio dei parroci (78). Ma appunto in ciò erano
nascosti i germi che avrebbero dovuto produrre il rinnovamento della fede.
Avrebbero dovuto comparire soltanto gli uomini versati nelle Sacre Scritture e
pervasi di spirito evangelistico per pronunciare le parole decisive e strappare
la maggior parte del popolo all'antico sistema. Le persecuzioni religiose in
Italia furono appunto quelle che procurarono il passaggio attraverso la
Valtellina di simili uomini, e quindi nel contado di Chiavenna e poi nella valle
Bregaglia, dove incominciarono con lo spirito intraprendente proprio dei
meridionali a scrollare il già vacillante edifizio del cattolicesimo locale.
Alla testa di quei profughi, come ben presto vedremo, stava Pier Paolo
Vergerio, di cui già abbiamo avuto occasione di parlare; come centro di ritrovo,
ci fu la casa parrocchiale di Vicosoprano. Il rinnovamento della fede si sarebbe
forse sviluppato in un modo più rapido se se ne fosse occupato il parroco di
Nostra Donna (79). Probabilmente la valle avrebbe evitato molte lotte ed il
sacro bronzo, fuso nel 1492 dal mastro Ulrico di Coira, coi suoi fieri rintocchi
che risonavano fino al Settimo ed al Lovero, avrebbe fatto accorrere la gente ad
ascoltare la parola di Dio, di recente riscoperta, con la stessa gioia di una
solenne messa. Ma non fu alla chiesa di S. Maria di Castromuro che si
annunciò per prima il puro Evangelo, senza le deviazioni di Roma, ma a
S.Cassiano di Vicosoprano. In essa, già prima del 1533, venne annunziata la
verace parola di Dio: in data 5 ottobre di quell'anno infatti dei delegati di
Sotto-Porta si lagnarono davanti al landamano Christoffel Bernard di Bergün ed i
suoi consiglieri, che sedevano a Casaccia per incarico della Lega delle 10
giurisdizioni come tribunale, perchè Sopra-Porta si permetteva di amministrare e
di reggere da sola l'ospedale di Casaccia, benchè esso fosse di proprietà di
tutta la valle. I tre rappresentanti di Sotto-Porta si lamentarono inoltre in
modo particolare della vicinanza di Vicosoprano che aveva abbandonato la messa e
adottato un parroco evangelico, tentando poi di impossessarsi dei beni della
chiesa valligiana di S. Maria per retribuire il suo parroco. Il collegio
giudiziario dispose che l'attuale intendente dell'ospedale dovesse mantenere la
carica e gli onori e che dopo la sua morte si sarebbe passati in buon accordo
alla nomina del successore. Per quanto concerneva la chiesa di Castromuro,
propose di affidarla alla sorveglianza di due galantuomini, I'uno di Sotto- e
l'altro di Sopra-Porta, e che la maggioranza del popolo avrebbe poi scelto se
preferire la messa o la predica; nel caso si fosse deciso per l'abolizione della
messa,i beni sarebbero serviti alla manutenzione dei poveri della valle (80).
Tale sentenza ci permette di dare uno sguardo aisai istruttivo sulla
situazione confessionale della valle: è soltanto perchè la Riforma già aveva
attecchito con una certa profondità che ci si poteva domandare quale delle due
confessioni dovesse essere annunziata alla S. Maria o persino se cotesta chiesa
dovesse essere per sempre chiusa. Non dobbiamo indagare a lungo per sapere
quali siano stati i pionieri della Riforma in Val Bregaglia: essi non
provenivano nè dall'Engadina né dalla Val Sursette, che a quel tempo seguivan
rigidamente la dottrina cattolica, ma dall'Italia. Fra gli ecclesiastici
indigeni, benchè numerosi, nessuno possedeva le cognizioni richieste e
l'indipendenza necessaria per poter sopprimere i disordini della chiesa. Fu lo
straniero Bartolomeo Maturo che per primo iniziò in Bregaglia la predicazione
deila schietta parola di Dio (81). Maturo, già priore del convento dei
domenicani a Cremona, sul corso medio del Po, era stato costretto a lasciare il
convento e l'ordine dei predicatori specialmente a causa dei miracoli di Maria,
inventati per ingannare più facilmente le menti credulone, e per le arti che
impiegavano i frati a dominare il popolo ignorante. Come altri Italiani di
comune vicenda, egli passò in Valtellina, dove iniziò la sua opera di
evangelizzazione: è quasi sicuro che fosse costui quel fratello italiano che,
secondo quanto ebbe a scriverne, il 12 aprile del 152s Giovanni Comander al
medico Gioacchino de Watt di S. Gallo, era stato invitato a comparire da-vanti
alla Dieta a Ilanz per rispondere circa la sua predicazione in Valtellina e che,
nonostante la sua valente difesa ed il suo fervente spirito evangelico, era
stato condannato a lasciare il baliaggio ed a smettere il suo apostolato. Il
povero sbandito fu poi accolto da un deputato brega-liotto e condotto nella sua
valle. Più tardi acconsenti all'invito di un uomo pieno del timor di Dio e
annunciò l'Evangelo nell'Alta Engadina, dove fino allora tale predicazione era
sconosciuta. Se ne fece gran rumore, ma non vi furono gravi conseguenze.
Interessante il fatto che il bandito predicò proprio a coloro che poco prima
l'avevano cacciato e condannato. Ma quel che i rivali dello straniero credevano
di aver costrutto a propria difesa, Iddio trasformò invece in una potente arma
di offesa contro di loro. I potenti dell'Engadina avevano fino allora circondato
la loro valle come di un muraglione insormontabile, in modo che non un raggio di
luce vi potesse penetrare; ma grazie a Dio, inutilmente (82). Maturo si
stabilì a Vicosoprano, che era il capoluogo di Sopra-Porta e della valle in
generale. Il deputato che alla seduta di Ilanz l'aveva benignamente protetto,
ottenne, aiutato sa altri seguaci della Riforma, che egli fosse impiegato nel
Sopra-Porta. Con tale provvedimento però l'antica credenza non era ancora tolta:
dai protocolli notarili si può rilevare che accanto al nuovo culto si continuava
a celebrare anche quello cattolico. Nel 1542 si assiste ancora nel Sopra-Porta
allo spettacolo insolito che tanto la messa quanto la predica avevano nel
medesimo posto i loro officianti (83). Il signor Vincenzo Ballo, fratello
del somiere Tonella e figlio di Peter Zeus di Coltura, che abbiamo già altrove
menzionato, era allora prete: il contratto che aveva stipulato il 1° dicembre
1542 a Stampa, quale cappellano di S. Giorgio e S. Pietro, contenente la
clausola per cui egli avrebbe doruto comportarsi sacerdotalmente, ed inoltre il
suo violento procedere contro la cognata Ursa, non ce lo fanno apparire quale
degno rappresentante della vecchia fede. Egli dimorava a Coltura nella casa
paterna: nel caso che avesse voluto trasferirsi a Vicosoprano, il sacrestano
avrebbe dovuto sgomberare la casa parrocchiale e riconsegnare tutto ciò che easa
conteneva. Se la comunità di Sopra-Porta avesse deciso di retribuire il parroco
ed il prete dai medesimi fondi pubblici, si sarebbero considerati ugualmente
aventi diritto tanto l'uno che l'altro. Dalle clausole di questo contratto
si ritiene che attorno al 1542 la predicazione dell'Evangelo nel Sopra-Porta era
ben avviata e che ormai nessuno intendeva opporvisi. Le funzioni cattoliche
venivano officiate dal cappellano di Coltura, Stampa e Gualdo, a disposizione
del quale stava la casa parrocchiale di Vicosoprano nel caso che egli avesse
voluto trasferirvisi. Da tutto quanto sopra si vede che la vecchia fede stava
perdendo man mano terreno, mentre la nuova ne guadagnava. Si può ritenere che
dal 1542 in poi a Vicosoprano si sia celebrato il culto evangelico regolarmente
e che anche nelle altre comunità in numero sempre crescente i valligiani si
allontanavano dal culto cattolico. Maturo era al tempo stesso prudente ed
audace. Egli non temeva di presentarsi in pubblico a parlare; ma la sua forza
consisteva maggiormente nel criticare alla base la fede da lui ahbandonata che
nell'esporre i concetti di quella abbracciata; data la sua qualità di ex-priore
di convento, non gli si possono però negare delle eccellenti conoscenze. Egli
era passato al protestantesimo per una sincera convinzione interiore, senza la
quale non si spiega come egli avrebbe abbandonata la sua riguardevole posizione
e la ricca tavola per le miserie della vita di un profugo (84). Nei sinodi
si faceva notare per le sue richieste noiose e per le sue cavillose discussioni,
ma era anche facilmente ridotto al silenzio e rimesso sulla buona strada. Nella
corrispondenza dei Grigioni con Bullinger è menzionato una volta sola il 19 dic.
1545 insieme a Camillo Renato, come ministro dell'Evangelo nel Sopra-Porta
(evangelicus Superioris Praegalliae minister). Nella sua non facile attività di
riformatore gli stavano a fianco come laici influentissimi le famiglie Prevosti
(Dott. Rodolfo de Prevosti) e Pontisella (Dott. e can. Johannes de Pontisella).
Quest' ultimo abitava un po' al di sopra del villaggio sulla destra della Maira,
cioè a Pungello. Con Vicosoprano saranno passati alla Riforma anche i villaggi e
le borgate di Roticcio, Cant, Crana, Castellaut. Invece Borgonovo, Stampa,
Coltura e Gualdo verso il 1542 praticavano ancora probabilmente la vecchia fede,
perchè a quel tempo, come abbiamo visto, vi officiava ancora vincenzo Ballo. Per
ultimo deve essere passato alla Riforma il paesetto di Montaccio: colà si era
espresso il desiderio di voler restare fedeli al Santo Antonio, di cui si
conservavano altare e dipinto nella chiesa di S. Pietro a Coltura. Quel che
ne sia stato in seguito di Maturo, non ci è noto: secondo il De Porta si sarebbe
recato a Scharans nella Val Domigliasca ed ivi sarebbe morto. Nell'elenco dei
parroci di Scharans, la cui prima parte è poco attendibile, si trova registrato
quale secondo ecclesiastico di quella comu-ità un certo «Giovanni, un Italiano».
Dall'elenco dei parroci composto da Truog risulta effettivamente che dal 1547 in
poi il Maturo lavorò in quella località. Giulio della Rovere da Milano fu
suo successore a Vicosoprano; noi lo conosciamo ormai col nome di Giulio da
Milano, riformatore di Poschiavo, che appunto in quell'anno diede inizio alla
sua attività in questo Borgonovo, Stampa e Coltura appare come primo parroco
Lorenzo Martinengo, 1549-1586. Nel frattempo Vincenzo Ballo o era morto o si era
ritirato. A Lorenzo Martinengo successero ancora nel XVI° secolo Lorenzo
Sancino, 157s1585, e Alberto Martinengo (1584- 1662) (85). La Riforma in
Bregaglia ebbe un notevole impulso quando vi accorse Pier Paolo Vergerio,
proveniente da Poschiavo. Nonostante il suo brillante successo, non si
intrattenne a lungo nella valle ai piedi del Bernina: nell'autunno del 1549 lo
ritroviamo a Chiavenna, intento ad appianare divergenze teologiche sorte in
quella comunità, e nel novembre dello stesso anno era a Basilea, donde diresse
la sua prima lettera a Bullinger. La comunità di Vicosoprano lo aveva nominato
pastore probabilmente perchè da Chiavenna e da Poschiavo la sua fama era giunta
fino a loro (86). Il nunzio papale destò un moto di sorpresa quando accettò
l'invito a Vicosoprano; il 22 gennaio del 1550 si mise in cammino per la
Bregaglia. Quando gli si comunicò la notizia della sua nomina in questa
parrocchia, probabilmente si curò pure di informarlo che la valle era pronta per
la messe e che era nel nome di Dio che egli era pregato di porre le sue forze e
il suo insolito talento al servizio della buona causa. Sebbene fosse a Basilea
per delle conversazioni durante l'inverno con i dotti della città e per curare
la stampa di certe sue pubblicazioni, egli non indugiò affatto a partire,
rinunciando ai suoi progetti. Il 20 gennaio del 1550 egli scriveva al medico
della città di S. Gallo, Gioacchino de Watt, di essersi recato a Basilea
nell'intento di passarvi l'inverno, ma che Dio aveva diversamente disposto di
lui. Egli l'aveva chiamato in un villaggetto delle Alpi retiche di nome
Vicosoprano e sentiva il dovere di ubbidire a tale voce. In quella lettera
aggiungeva inoltre che avrebbe lasciato Basilea due giorni dopo. In caso che
Vadiano avesse comunicazioni da fargli, gli facesse pervenire le lettere a
Coira, donde esse gli sarebbero state inoltrate senza difficoltà. Vergerio
comparve dunque in Bregaglia e si rivelò veramente l'uomo ispirato da Dio per
guadagnare all'Evangelo la valle intera, dal Settimo al Lovero. Non aveva
studiato teologia, ma giurisprudenza, e quale giurista era entrato al servizio
della curia papale. In ricompensa dei suoi preziosi servizi, gli era stato
conferito il vescovato di Capodistria (Istria). Quale nunzio papale, egli
dovette avere frequenti contatti con i protestanti, e fu in seguito sospettato
di eresia, poichè manteneva con essi rapporti troppo amichevoli. Per sottrarsi a
tali accuse, credette di pubblicare un opuscolo contro gli eretici, ma nello
studio della letteratura riformata si sentì tanto scosso dal}e verità in essa
affermate, che la rottura con la Chiesa Romana divenne inevitabile. Quando
la sua posizione di fronte al papato fu nota a tutti, non gli restò altro che
fuggire per sottrarsi all'Insuisizione. E' logico che a Roma, data la posizione
dell'Inquisizione, egli fosse vittima del violento odio che si nutriva contro
tutti gli eretici, come si può facilmente capire che egli per conto suo non
risparmiasse affatto Roma. Dalla sua penna infatti uscirono degli scritti contro
il papa, contro la tradizione trasmessa da una generazione all'altra, contro i
miracoli della Vergine, le immagini ecc., i quali suscitarono grande
impressione. C'è da meraviglisrsi che un uomo di tal fatta abbia destato la
Val Bregaglia e sia riuscito a demolire completamente la chiesa già vacillante?
Egli era molto superiore agli ecclesiastici della valle ed inoltre disponeva di
una brillante vena oratoria e di un portamento nobile e dignitoso, derivatogli
dalle investiture ecclesiastiche precedenti. Cosi in breve debellò le ultime
resistenze (87). Una cosa però gli mancava: egli non sapeva agire con la dovuta
calma ed attendere pazientemente che maturasse il seme che aveva sparso. La
conversione della Val Bregaglia cosparsa di idoli gli stava certamente a cuore,
ed era senza dubbio pervaso da un sincero amore per la sua comunità. In una
lettera a Bullinger del 1° senembre 1552 egli chiama cari bambini che nutre col
latte dell'Evangelo i suoi parrocchiani. Era insomma tutto fervente di zelo.
Predicava per es. nell'autunno del 1551 tre volte alla settimana ed era
certamente anche impegnato per l'istruzione della gioventù, poichè fu autore di
un catechismo. Ma la sua bella attività si svolgeva anche all'esterno della
parrocchia. Una una parte cercava di acquistarsi una posizione predominante nel
Sinodo retico e di allacciare relazioni con importanti personaggi evangelici,
ecclesiastici e politici, e dall'altro canto si dimostrava intrepido nella lotta
contro la Chiesa Romana e nel mettere in guardia contro il Concilio, appunto
allora convocato a Trento. Per la vastità e la mole delle sue occupazioni,
un uomo del genere dimenticava sovente i compiti del suo ministero. Ora era a S.
Gallo, ora a Zurigo, ora a Basilea, ora visitava la vicina Chiavenna, ora la
Valtellina. Nel 1550 fu per es. assente da Vicosoprano dal principio di giugno
al principio di settembre e nel 1551 dalla fine di giugno alla fine di settembre
(88) Anche nell'Alta Engadina egli si fece sovente vedere, e vi operò con
successo e con merito a diffondere le nuove idee. Più volte comunicò a Bullinger
(per es. il 23 gennaio ed il 15 febbraio 1553) che il Signore, servendosi di
lui, aveva abolito la messa in otto borgate. Nello stesso tempo Vergerio
impegnava parecchie tipografie per la pubblicazione di scritti tradotti o
redatti da lui medesimo, diretti in gran maggioranza contro il papa, che egli
detestava, o contro i suoi satelliti (89). Nel frattempo cercava di
procurarsi un posto in Inghilterra: tale instabilità è in parte scusabile,
poichè il suo campo di lavoro si trovava in un punto di transito delle
soldatesche e al passaggio delle Alpi: il suo pensiero era sovente trasportato
altrove dai racconti dei soldati o dei dignitari politici od ecclesiastici che
passavano, e ci si può facilmente immaginare come la sua mente seguisse, al di
là dei confini della sua comunità, le vicende d'Italia e gli intrighi religiosi
in Isvizzera e in Germania. Una volta egli scriveva infatti che un fratello
fuggitivo era stato poco prima da lui e che ben volentieri accetti discepoli di
Cristo, ma che non tutti meritino tale nome; un'altra volta, che molti fratelli
italiani non solo gli scrivevano lettere, ma anche lo visitavano per
intrattenersi personalmente con lui e rifornirsi di libri; una terza volta
ancora, che a delle persone di passaggio avesse consegnato delle lettere per
Bullinger, con la speranza che giungessero a destinazione, per quanto i latori
di esse non condividessero la sua fede; e che i suoi nemici resterebbero assai
avviliti se vedessero la sua casa parrocchiale diventata un asilo per i devoti
perseguitati in Italia. Da tutto questo possiamo non solo immaginarci come
Vergerio fosse di frequente assente col pensiero, ma anche comprenderlo. Egli
era l'uomo ospitale che aveva percorso molti paesi, arricchendosi di esperienze,
ma pur ancora desideroso di novità. Da una sua lettera del novembre 1551
indirizzata a Bullinger, togliamo il seguente quadretto: "Sette siamo nella mia
rustica casa"; sei ospiti erano dunque riuniti in quella circostanza attorno al
paterno amico ed ospite, difensore dei profughi provenienti dall'Italia (90) e
certo provenienti da diverse regioni d'Italia, pieni di notizie allarmanti e di
molteplici esperienze, I profughi, raccontando le loro peripezie e la condotta
obbrobriosa dell'Inquisizione in Italia, tenevano in sospeso di continuo l'animo
del Vergerio, infiammavano ancora maggiormente la sua ira contro la Chiesa
Romana, ed eccitavano il suo zelo per l'attività letteraria. Questi stranieri
poi l'assistevano nel suo lavoro, si prestavano quali messaggieri e
probabilmente lo sostituirono, quando egli si dovette assentare per molto tempo
da Vicosoprano. Uno di costoro fu senza dubbio Pietro Parsoto di Bergamo, il
quale fu incaricato in seguito della parrocchia di Bever e Samedan. I
pellegrinaggi a Casaccia rappresentavano per Vergerio un contatto con gli orrori
papistici, ed egli fece di tutto per guadagnare all'Evangelo il piccolo
villaggio, allora importante per le sue soste (magazzini). Già da parecchi anni
si discuteva quivi a proposito della nuova fede: il 14 febbraio 1545 Giovanni
Travers di Zuoz, nella sua qualità di giudice della Lega Caddea, aveva deciso
che Casaccia potesse adottare a suo piacimento un prete per la messa od un
predicatore evangelico. Il 7 settembre 1547 un comitato formato da cinque
consiglieri e presieduto ancora da Giòvanni Travers, stabilì che i fedeli di
Casaccia non dovessero partecipare in nessun modo alle spese della parrocchia di
Sopra-Porta, fin-tanto che fosse mantenuto un prete od un predicante per S.
Gaudenzio. In data 23 gennaio 1549 gli abitanti di Casaccia pretesero da quelli
di Sopra- e Sotto-Porta di provvedere al mantenimento di un loro parroco, e ad
essi la Dieta della Lega Caddea rispose di attenersi alle decisioni di cui
sopra. Capitolo IV. La Controriforma
4.1
Introduzione Borromeo ci è noto; il suo nome e quello del nunzio pontificio
sono strettamente legati con il movimento della Controriforma nelle valli di
Poschiavo, della Mesolcina e nei baliaggi delle Tre Leghe. Conosciamo già anche
i mezzi adoperati da questo movimento per raggiungere i suoi scopi. La brutale
ed intollerante pressione politica della Spagna e dei Confederati cattolici, il
blocco delle derrate alimentari provenienti dalla Lombardia, la paralizzazione
del traffico e del commercio grigionesi nell'Italia settentrionale,
l'incarceramento di sudditi evangelici delle Tre Leghe e dei loro baliaggi oltre
i confini politici della Valtellina e del Chiavennasco per ordine
dell'Inquisizione, sono cose ormai a tutti note. Seguirono a questi altri
provvedimenti, come vedremo più tardi, e tutti questi mezzi di pressione
contribuirono a trasformare in minoranza la già maggioranza evangelica della
Valle di Poschiavo, a scacciare l'Evangelo dalla Mesolcina ed a soffocare nel
sangue il protestantesimo dei baliaggi. La Controriforma nacque col Concilio
di Trento. L'Inquisizione e l'ordine dei gesuiti lavoravano bensì già prima in
questo senso, ma il loro lavoro prese pieno sviluppo ed impulso soltanto dopo il
Concilio. La cittadina di Trento situata all'estremo confine meridionale
dell'Impero nella Valle dell'Adige, fu sede della grande dieta ecclesiastica,
che ebbe nel rinnovamento della Chiesa Cattolica un'importanza eccezionale. Il
concilio durò, salvo due lunghi periodi di interruzione, dal 1545 al 1563: i
capi di parte evangelica rinunziarono al colloquio, ma ne seguirono da lontano
gli sviluppi; neppure i Grigionesi se ne disinteressarono. Le lettere scritte a
Bullinger da molti ecclesiastici e laici delle Tre Leghe lo dimostrano
chiaramente: esse dicevano fra l'altro sia che il Concilio si era sciolto
lasciando cattivo ricordo di sé (18 settembre 1545), sia che esso doveva presto
venire riconvocato per la dannazione del Cristianesimo e dell'Evangelo (20
ottobre 1550), sia che non se ne sentiva più parlare e che aveva poco peso,
benché frequentato da molti cardinali (12 ottobre 1551), sia che il Vescovo di
Coira, Tommaso Planta, vi aveva partecipato, tornando da Roma, ma senza il
permesso delle autorità locali (23 novembre 1551), sia che i prelati del
Concilio si erano bisticciati e presi a pugni, aggiornando i dibattiti a
Pentecoste o forse a mai più (18 aprile 1552), sia che esso si era sciolto
perché colpito dal fulmine (18 maggio 1552), Sia che i prelati si erano
seriamente impensieriti del propagarsi dell'eresia luterana (17 febbraio 1562) .
Altre lettere dicevano che in una sommossa a Trento erano stati uccisi 30 preti,
ed un cardinale era stato pugnalato dal suo albergatore per delle proposte
immorali alla di lui moglie (13 marzo 1562), che il numero dei partecipanti al
Concilio era salito a centocinquanta vescovi ed alcuni cardinali, specialmente
italiani e spagnoli, che avevano condannato tutti i libri pubblicati da uomini
pii simpatizzanti per la causa evangelica e scomunicato gli autori di libri
anti-papali (3 aprile 1562); che il cardinale di Ems aveva schiaffeggiato in
piena seduta uno spagnolo che gli aveva rimproverato la scarsa conoscenza del
latino (24 agosto 1562), che i servitori degli Italiani e degli Spagnoli si
erano azzuffati tra di loro, facendo tredici morti e molti feriti, fino a che
gli abitanti di Trento ed i cardinali non li avevano rappacificati (29 marzo
1563), che l'abate di Einsiedeln, Joachin Eichhorn, era ritornato al Concilio il
13 dicembre con tredici cavalli (17 dicembre 1563), che il Concilio pareva
sciolto e che Fabritius, parroco di Coira, doveva chiedere ragguagli al Vescovo
di Coira (31 dicembre 1563). Colui che seguiva il Concilio con la massima
attenzione in tutte le sue fasi era Vergerio, ex-vescovo e legato papale. Egli
ne sconsigliava la partecipazione ed inveiva senza ritegno contro il Papa e i
prelati del Concilio. A questa sua avversione egli dava sfogo con espressioni di
rabbia in numerose epistole e stampati mordaci. Una delle sue più note epistole
è intitolata "Concilium Tridentinum fugiendum esse omnibus piis", che contiene
diversi documenti ed un poco lusinghiero commiato all'indirizzo del Papa: "Ti
giudichiamo per la tua bocca. I tuoi pensieri ci sono ormai noti. Festeggia pure
le tue radunanze ecclesiastiche a tuo piacimento. Noi rimarremo a casa ad
annichilire i tuoi empi editti con la spada della parola divina. Per l'amore di
Dio, Padre Eterno, e di Suo Figlio Gesù Cristo, la tua potenza e la tua persona
verranno soppresse". Le lettere di cui abbiamo parlato si basavano per lo
più soltanto su dicerie e disconoscevano un po' la portata del Concilio. I
circoli evangelici andavano però d'accordo nel giudicare il Concilio Tridentino
guidato dal Papa e ostile alla Riforma ed in ciò non si sbagliavano: tutte le
forze religiose e scientifiche delle quali la chiesa poteva ancora vantarsi (e
non erano poche malgrado l'incredibile degenerazione), si unirono per soffocare
il protestantesimo e per rafforzare il prodotto dogmatico delle tradizioni
medievali. Specialmente Vergerio sentiva con giusto istinto che con il
Concilio sarebbe nata un'idea inconciliabile con lo spirito della Riforma, una
potenza avente anzi lo scopo di annientare completamente l'opera dei
Riformatori. Questa intenzione esisteva veramente ed era propugnata
energicamente e con raffinatezza specialmente da parte del partito curialesco.
Questo è anche ammesso da uno storiografo cattolico moderno, il quale dichiara
apertamente che il Concilio di Trento valse a salvaguardare il cattolicesimo da
tutta una serie di eresie ed a diffonderlo in tutto il mondo; fu capace di
lottare per i santi beni della Chiesa, per i Santi Sacramenti allora intaccati e
vituperati, e di salvare le sacre usanze apostoliche; con uno sforzo quasi
sovrumano e coscienzioso i migliori architetti dell'epoca eressero il grandioso
edificio del Concilio Tridentino sulla Santa Scrittura e sulle tradizioni
apostoliche, edificio che nella notte tempestosa della scissione della fede è
diventato e si è mantenuto come faro luminoso della Chiesa cattolica per ogni
età. Le armi approntate dal Concilio di Trento per combattere la Riforma
sorsero dall'ardente spirito di un cattolicesimo ringiovanito, come si può
riscontrare perfettamente in Carlo Borromeo, e si temperarono nella volontà di
riformare rigorosamente la vita monastica degenerata e di combattere l'ignoranza
e la scostumatezza del clero secolare e dei parrocchiani. A tale scopo fu
preparato un catechismo (Cathechismus Romanus), un vasto elenco di libri
proibiti (Index librorum prohibitorum); un manuale di confessione dei preti
(Confessio fidei tridentinae); e la pubblicazione di una Bibbia in lingua latina
(Vulgata). La pubblicazione di tutte queste opere fu affidata alla Curia.
Per poter scendere in lizza contro gli aborriti eretici, frenarne l'impeto e
riconquistare il terreno perduto, bisognava ora trovare degli uomini ripieni
dello spirito tridentino, ciò che non fu difficile, poiché nel 1528 i cappuccini
e nel 1540 i gesuiti avevano iniziato la loro opera. Quando entrò in vigore
l'Inquisizione e si mise a coadiuvarli, essi diedero inizio ai più sanguinosi
procedimenti contro gli eretici. a) La Controriforma in Mesolcina e Calanca
Un funesto uragano si avvicinava dal sud alle valli meridionali: neri
nuvoloni preannunciavano la tempesta. Borromeo, plenipotenziario papale,
cardinale ed arcivescovo, veniva personalmente nelle aspre regioni mesolcinesi
per porre mano all'opera di conversione. Una statua colossale di questo uomo,
venerato dai cattolici come un Santo, ma chiamato nel protocollo di un sinodo
evangelico contemporaneo coll'epiteto di bestia nefasta, guarda ancora oggi da
un'altura a sud del Lago Maggiore verso feconde pianure padane. Borromeo era
nipote di Pio IV (Giovanni Angelo de' Medici), che una volta fu sul di punto di
essere nominato vescovo di Coira, e del famigerato castellano di Musso, Giovanni
Giacomo de' Medici. Nacque nell'anno 1538 nel castello di Arona sul Lago
Maggiore, dal Conte Gilberto II e da Margherita de' Medici. Già da bambino
Borromeo frequentava assiduamente le chiese ed adoperava le elemosine della
badia affidatagli per i poveri. A 16 anni lo troviamo all'Università di Pavia
quale studente di diritti civile e canonico. Terminò i suoi studi conseguendo il
dottorato. Dopo la morte del suo genitore, egli entrò in possesso del ricco
dominio di Arona, e approfittò della nuova situazione per migliorare nel suo
territorio la disciplina ecclesiastica, che era scesa ad un livello notevolmente
basso, specie nei conventi. Per raggiungere tale scopo egli non risparmiava i
colpevoli ne dalla pena corporale ne dall'incarcerazione. Insignito dallo zio
papa di diverse cariche ecclesiastiche e dotato di vistose entrate, egli
progettò la fondazione di una scuola per la formazione di preti capaci e
costumati, progetto che trovò la sua realizzazione nel Collegio Elvetico. Alla
fine di gennaio dell'anno 1560 diventò cardinale e all'8 febbraio dello stesso
anno arcivescovo di Milano: come tale egli si accinse subito con uno zelo
incomparabile a riformare la propria diocesi malandata e trascurata. Egli voleva
anzitutto consolidare la disciplina ecclesiastica ed estirpare le correnti
eretiche; a tale scopo egli richiese l'aiuto dei gesuiti e della inquisizione.
Notevole è il fatto che il suo padre confessore era un gesuita. Borromeo
operò dapprima quasi esclusivamente da Roma; nel 1515 si stabilì definitivamente
a Milano e estese la sua attività missionaria sempre più verso settentrione, nei
baliaggi svizzeri, ai piedi del Gottardo, e nella Svizzera cattolica. La
vita cattolica di quei paesi doveva subire il medesimo mutamento ed adattarsi
alle decisioni del Concilio di Trento. Per frenare l'inselvatichimento morale
dei preti, fu convocato a Locarno un gruppo di gesuiti, dove già, come abbiamo
visto, si era andata formando una fiorente comunità riformata fin dal 1555. Nel
1570, in occasione di una sua visita pastorale nel Ticino, Borromeo valicò il
Gottardo e si spinse nella Svizzera interna: nella Valle di Orsera ebbe il
menzionato colloquio con Beato à Porta, vescovo di Coira, con l'abate di
Disentis ed il giudice capo della Lega Grigia. Vi si discussero le misure da
prendersi contro il protestantesimo grigionese, specialmente contro gli
evangelici della Mesolcina. In questa valle l'opera sovvertitrice cominciò
il 27 novembre 1582, allorché Borromeo si lasciò nominare dal Papa Gregorio XIII
come visitatore della Svizzera e delle Tre Leghe. Per il conseguimento del
medesimo scopo, Borromeo rivolse all'imperatore della Germania ed ai re di
Francia e di Spagna la preghiera di rimuovere gli ostacoli dei Grigionesi per
mezzo dei loro ambasciatori e di appianargli la via nella Mesolcina ed
eventualmente anche nel restante territorio delle Tre Leghe. Nella sua diocesi
egli ordinò pubbliche preghiere ed implorò sulla sua impresa la celeste
benedizione, si provvide largamente di quattrini per elargire delle elemosine, e
pani. Allorché il 12 novembre 1588 egli giunse a Roveredo su terra grigionese,
trovò il terreno preparato: un battistrada, il gesuita milanese, avvocato
Francesco Borsatto, I'aveva preceduto ed aveva saputo allontanare le difficoltà
giuridiche, sicché da parte delle autorità valligiane non c'erano più da temere
ostacoli. Il pericoloso visitatore era accompagnato da tre eloquenti
predicatori, il gesuita Achille Gagliardi, il francescano P. Pignarola ed il
canonico Ottavio Albiati; il futuro vescovo Bernardino Marra gli serviva da
segretario. A che punto si trovasse la situazione morale e religiosa nella
Mesolcina si può leggere in una relazione del citato compagno del Borromeo,
gesuita padre Achille Gagliardi: egli scrive che la valle era completamente
nelle mani di profughi apostati che vi esercitavano il ministero pastorale;
mentre alcuni di loro propagavano dottrine eretiche, altri davano cattivi esempi
con la loro condotta; molti parrocchiani erano anzi stati indotti ad apostatare
dalla incapacità dei pastori. Persino il prevosto di S. Vittore, primo
dignitario della chiesa mesolcinese, era stato infettato e funzionava da
capostregone; tutta la valle era inoltre piena di usurai, di matrimoni
illegittimi, e di inimicizie pericolose, spesso culminanti in omicidi. Nessuno
si era assunto l'insegnamento dei costumi e della dottrina cristiana, cosicché
l'ignoranza vi si era propagata in modo incomparabile. Borromeo cercava di por
fine a questi inconvenienti, esercitando in ogni parrocchia una zelante attività
di proselitismo, basata su di un ricco programma d'azione: al mattino predicava
il padre Pignarola, Borromeo leggeva poi la messa, elargiva la comunione e
teneva una seconda predica. Nel pomeriggio concedeva delle udienze per comporre
inimicizie e regolare matrimoni illegali ecc. Quindi ritornava in chiesa,
cantava le litanie, istruiva la gioventù e l'esaminava nel catechismi; il padre
Achille teneva poi una terza predica sulle verità della fede. La sera era
riservata per discutere il proseguimento del programma d'azione. Nella
predica Borromeo si paragonava a Giuseppe mandato dal padre in cerca dei
fratelli. Tutto ciò però non gli bastava ancora per conseguire i suoi scopi. Con
estrema severità fece pulizia tra i preti incolti e inetti, rimandò i monaci
fuggiti nei loro conventi, rimise in ufficio i penitenti e allontanò gli
ostinati, fra i quali anche il citato prevosto di S. Vittore, Domenico
Quattrini, a Roveredo. Al suo posto insediò Pietro Stoppani, rettore del
Collegio Elvetico a Milano, che nominò nello stesso tempo parroco di Rovereto;
al posto di altri preti sfrattati mise dei gesuiti e dei ferventi preti
milanesi. A Borromeo stava a cuore anche la scuola: fondò un collegio di
gesuiti a Roveredo e promise l'invio di maestri per aprire delle scuole ed
introdurre nella valle un metodo didattico moderno. Egli era naturalmente molto
attivo anche nella diffusione di libri ortodossi e di catechismi destinati
all'istruzione del popolo: a tale scopo fondò anche una libreria, e
contemporaneamente si andò alla ricerca dei libri eretici stampati o manoscritti
per darli alle fiamme. Gli evangelici, minacciati da tutte le parti, privati dei
loro maestri e rimasti senza aiuto efficace da parte dei correligionari
d'oltralpe, passarono dei brutti giorni. Se Borromeo procedeva con severità
contro i propri correligionari, aveva ancora meno riguardi verso gli eretici. I
prelati del Concilio di Trento avevano chiuso la loro ultima seduta col grido:
"maledizione agli eretici!" e Borromeo si accinse a tradurlo in atto contro gli
evangelici della Mesolcina. Egli si diede certamente tutto quanto per ricondurre
in grembo alla Chiesa i più tiepidi e gli apostati. Ma chi resisteva ai
tentativi di conversione aveva da aspettarsi la peggio. Come si sa da tradizione
cattolica, quattro famiglie di Andergia (Toscano, Albertini, Cavallari)
abbandonarono la valle al solo sentore della venuta di Borromeo. Egli poi,
approfittando della superstizione regnante nella valle, trattò gli altri da
stregoni e streghe, e li sottopose ad un severo interrogatorio: chi non era
disposto a sottomettersi veniva consegnato per la punizione al tribunale civile.
Stando al rapporto del Padre Achille, molti di essi confessarono di essere in
lega col diavolo, di tenere riunioni notturne e di uccidere persone,
specialmente bambini, con una polvere fatta di corpi essiccati e di scheletri
umani. Di 162 donne, 150 ritrattarono la lega col diavolo (dice l'Achille), ma
12 rimasero decise ed ostinate malgrado tutte le minacce: queste ultime furono
consegnate alle autorità civili e punite col rogo. Questo modo di convertire
avrà forse corrisposto al fanatismo della Controriforma, ma è indegno dl un
arcivescovo e cardinale, e soprattutto di un uomo dell'importanza di Borromeo.
Che gli evangelici avuto la peggio con tali metodi è comprensibile, ma non c'è
da meravigliarsi che il Sinodo abbia qualificato il cardinale come una bestia
nefasta. Nella valle l'azione sua non è stata dimenticata: e ancor oggi nella
Mesolcina regna uno spirito di indipendenza di fronte alle organizzazioni
ecclesiastiche, questo non si deve solo attribuire al lavoro liberale di
Beccaria, ma anche alla reazione contro il provocante metodo inquisitorio di
Borromeo. Questa specie di "Missione Cristiana" non risvegliò soltanto
l'indignazione del Sinodo evangelico retico, ma anche provocò l'atteggiamento
contrario della Lega Caddea e della Lega delle Dieci Giurisdizioni; si trattava
infatti di flagranti offese ai diritti delle Tre Leghe. In occasione della Dieta
di S. Martino dell'11 novembre 1583 si constatò che l'arcivescovo di Milano e
cardinale Borromeo era stato invitato dapprima ad inviare in Mesolcina un
inquisitore e che poi era venuto personalmente a Roveredo dove i caporioni
cospiratori gli avevano messo a disposizione il palazzo ed il giardino dei
Trivulzio, permettendogli, pure contrariamente alle disposizioni legali, di
erigervi un collegio di gesuiti. In un rapporto del 1584, sommario ma ufficiale,
si contattava inoltre che ben diverse persone eminenti della Lega Grigia erano
sospettate di prendere parte a tali manovre, in cui pesavano evidentemente delle
pericolose considerazioni politiche per le Leghe. Per indagare e giudicare su
questi tradimenti le Tre Leghe avevano istituito un tribunale composto di un
giudice istruttore e di cinque giudici per ogni Lega; ma poiché non ci si fidava
troppo della Lega Grigia, si erano nominati previdentemente altri cinque giudici
della Lega Caddea e di quella delle Dieci Giurisdizioni, in modo che il
tribunale potesse funzionare qualora si fosse dovuto impedire ai rappresentanti
della Lega Grigia di parteciparvi. Da tutto questo risulta evidente che il
procedere di Borromeo con i suoi supplizi di streghe, i suoi licenziamenti ed
insediamenti dispotici di ecclesiastici e le sue fondazioni di scuole non poteva
piacere ed era riconosciuto contrario alle leggi, ma che non ci si poteva
opporre con sufficiente efficacia. Si poté bensì impedire la fondazione del
collegio dei gesuiti, ma non si poté rimediare alla soppressione del movimento
evangelico. Se l'Evangelo non poté dunque mantenersi nella Mesolcina, non è
colpa da attribuirsi alla tiepidezza della predicazione o degli insegnamenti del
Beccaria o del Viscardi: ciò che condusse all'estirpazione della Riforma fu in
modo particolare l'azione priva di scrupoli del Borromeo, che coadiuvato ora
apertamente ora segretamente dalla Spagna arcicattolica, dai Cantoni primitivi
della Svizzera, e dalla maggioranza cattolica della Lega Grigia, non recedeva
neanche davanti alle sentenze capitali. 4.3 La Controriforma nella
Valtellina e nel Contado di Chiavenna La Riforma aveva appena iniziata la
sua opera nelle terre sottomesse che già la Controriforma preparava le armi per
combatterla. Da un lato erano scese in lizza le Tre Leghe, di maggioranza
evangelica, con i loro decreti favorevoli al movimento riformatore, dall'altro
erano scese in campo Roma e la Spagna arcicattolica con i più svariati mezzi di
pressione, come spionaggio, rivolte, inquisizione, chiusura dei confini ecc. Il
popolo era, stando alla relazione della visita pastorale del vescovo Ninguarda,
in grandissima maggioranza cattolico o propenso alla vecchia fede e parteggiava
per Roma e la Spagna. I dibattiti alle diete di Coira e di Ilanz del 7
giugno e 20 ottobre 1561 di cui abbiamo già parlato, ci danno un'idea esatta
della situazione determinatasi dopo l'inizio del rinnovamento della fede. Il
legato papale Bernardino Bianchi e l'ambasciatore milanese (spagnolo) Gian
Angelo Rizzio, si presentarono il 5 giugno davanti ai deputati con delle
pretese, che in quanto a vastità ed asprezza non la cedevano a nessuna altra.
Dapprima ebbe la parola il delegato papale: egli era veduto per incarico di S.
S. Pio IV, di cui recava i saluti e gli auguri, per presentare a suo nome le
seguenti lamentele ai magnifici signori: 1° essi proteggevano i falsi predicanti
ed altri eretici venuti dall'Italia, invece di scacciarli dalla Valtellina e da
Chiavenna; 2° essi obbligavano il popolo pio e devoto alla Santa Sede di Roma a
passare stipendi a dei falsi, boriosi ambiziosi, cattivi e scellerati
annunciatori di un falso Evangelo; 3° essi vietavano agli ecclesiastici della
vecchia fede di predicare nelle due valli, e quando adempivano al loro dovere
essi vi si opponevano persino con minacce e castighi; 4° essi impedivano la
costruzione di case di Dio, come per es. la scuola dei gesuiti a Ponte,
destinata a diventare un modello di buoni principi e di costumi esemplari; 5°
essi tolleravano la tipografia di Poschiavo, che pubblicava libelli diffamatori
della Santa Sede e delle vecchie dottrine; 6° essi impedivano al vescovo di Como
di esercitare i propri diritti nelle regioni grigionesi della sua diocesi (terre
sottomesse e Poschiavo) e di disporre liberamente delle proprie rendite e
benefizi, e avevano scacciato dalle loro chiese e privato delle loro rendite i
sacerdoti ortodossi e destituito il vecchio culto; 7° essi avevano vietato al
convento dei domenicani, situato in Morbegno, su terra della diocesi di Como, di
assumere dei sacerdoti stranieri o di accogliere dei monaci, che guidano il
popolo sulla retta via con la loro condotta onesta: proibizione odiosa, con cui
non si mirava ad altro che alla distruzione e sopraffazione della vecchia fede,
come lo dimostrava l'esempio di Coira e di molti altri luoghi; 8° essi
proibivano inoltre di pubblicare nella Valtellina le bolle ed i brevi papali,
che le comunità scegliessero in piena autonomia i loro parroci e pievani: tutte
disposizioni che lasciano intravedere apertamente lo scopo di allontanare la
Valtellina dalla fede ortodossa. Il legato completò le sue querele con
l'esortazione di partecipare al Concilio di Trento, dove si cercava con cura di
riunire la chiesa divisa. Nel caso che le Tre Leghe non ovviassero agli
inconvenienti di cui si era lamentato, il Beatissimo Padre si sarebbe visto
costretto ad invitare i principi dei paesi cattolici confinanti a rompere con
loro ogni trattato commerciale e di amicizia. Il Signore onnipotente avrebbe
aiutato con la sua imperscrutabile misericordia la Santa Sede e la chiesa
Cristiana nei loro intenti. L'ambasciatore spagnolo ripete le pretese del
legato, chiedendo anzitutto che le Tre Leghe si facessero rappresentare al
Concilio di Trento e che impedissero di accogliere in Valtellina od a Chiavenna
dei profughi italiani per religione, che permettessero anzi ai dignitari della
Chiesa ed ai monaci stranieri con sede nel Convento di Morbegno di prendersi
cura delle anime in quei paesi. A nome dei loro mandanti essi invitavano le
Tre Leghe a rispondere quanto prima per iscritto. Le Tre Leghe non si
affrettarono per la risposta: alla Dieta di llanz del 20 ottobre 1561 esse
consegnarono ai due delegati la seguente dichiarazione munita dei sigilli della
Lega Grigia: 1° In affari di religione e di fede le Tre Leghe erano sino allora,
grazie a Dio, vissute in concordia ed in pace, conservasse Iddio tale accordo
anche per l'avvenire. 2° Non potevano recarsi al Concilio di Trento, perché esso
non era un concilio generale e non vi partecipavano neppure i Confederati, loro
alleati. 3° Tutto ciò che riguardava i predicanti scacciati dall'Italia era per
loro cosa nuova: esse non avrebbero certamente dato loro asilo se fossero stati
dei gaglioffi o dei malfattori, come veniva asserito; se erano veramente tali,
esse erano pronte a punirli, ma non potevano certamente allontanarli per motivi
religiosi. Avrebbero provveduto a che nella tipografia di Poschiavo non fosse
stampato nulla di contrario alle Scritture e lesivo per il Beatissimo Padre: gli
eventuali opuscoli diffamatori sarebbero stati ricercati. 5° Il vescovo di Como
avrebbe ricevuto tutte le rendite ed i censi che gli spettavano nel contado di
Chiavenna e nella Valtellina. 6° Le lagnanze riguardanti il convento di
Morbegno, l'ordine dei gesuiti, le entrate delle chiese delle due vallate e
della curia vescovile erano tutte, a loro parere, infondate: non si era preso
nei loro riguardi nessuna decisione sconveniente od anticristiana. Questa
pubblica discussione, che costò ai due delegati 660 corone dimostra come nessuna
delle due parti fosse disposta a mancò quindi lo sperato successo. Ma essi non
si dettero per vinti: se non riusciva la diplomazia, vi erano altri mezzi ancora
per rendere docili le Tre Leghe e raggiungere lo scopo prefisso di ridare al
cattolicesimo i paesi sottomessi. Le intenzioni di Roma e della Spagna erano già
note prima del 1561: nell'agosto del 1553 il Papa aveva mandato nelle Tre Leghe
il legato ed inquisitore Paolo Odescalco, più tardi vescovo di Atri e di Penna,
con l'incarico di lodare e rassicurare i cattolici credenti, di ricondurre alla
vecchia fede i titubanti e di domandare conto a tutti coloro che persistevano
nella miscredenza. Nel 1556 il predicatore pasquale, Fra Angelo da Cremona,
cagionò a Teglio, come già abbiamo detto, con le sue prediche ostili al governo
grigionese e con le sue inaudite ingiurie contro i riformati e specialmente
contro le donne evangeliche, una pericolosa sommossa. Vivevano in quell'epoca a
Bergün, di cui avevano acquistato la cittadinanza, due onorati fratelli oriundi
di Bergamo, Francesco ed Alessandro Bellinchetti. Essi si erano convertiti al
protestantesimo e si guadagnavano onestamente il pane sfruttando una cava di
ferro. Nel 1556 essendosi allontanati per degli affari privati nella natia
città, vennero arrestati dalI'Inquisizione e imprigionati per essere tradotti
davanti al famoso tribunale. Nell' anno 1559 si inizio a Ponte sull' Adda, a
circa metà strada tra Sondrio e Teglio, la fondazione di una scuola per gesuiti,
e malgrado le riserve delle Tre Leghe, vi si impegnarono dodici monaci spagnoli
(gesuiti), e due altri preti. L'intenzione era quella di allevare tra i giovani
retici dei fanatici paladini della fede cattolica. Fino allora le Tre Leghe
avevano dimostrato di essere le più forti: era persino accaduto che degli
appartenenti ad ambedue le confessioni avevano unanimemente respinto le minacce
di potenze straniere e del papa stesso. Quando si palesarono al popolo le
arroganti pretese della Santa Sede e della Spagna nella Dieta di Coira del 1561,
un'ondata di indignazione si sollevò in tutto il paese: si diceva ovunque che
quei signori, papa e re di Spagna, volevano per forza coinvolgere il paese in
una guerra, o che si burlavano del popolo retico o che erano essi stessi dei
pazzi inguaribili. Le loro richieste di fronte alla Dieta erano state così
villane e grossolane, che anche i più semplici contadini ne potevano arguire le
intenzioni: ma c'era da sperare che Iddio mandasse in fumo i loro propositi. Gli
evangelici erano nondimeno gravemente impensieriti; uno di essi, certamente il
più perspicace, Fabritius, scrisse il 26 agosto 1560 che le mene degli avversari
erano inquietanti, ma che era ancora un po' fiducioso perché essi avevano subito
da trent'anni uno scorno dopo l'altro. Il mutamento della proporzione delle
forze cominciò nel 1561. Si facevano sempre più manifesti gli effetti delle
decisioni di Trento ed il modo imperioso di procedere del Borromeo. E'
precisamente da attribuire all'atteggiamento di quest'ultimo se i Cantoni
cattolici della Svizzera e la maggioranza ortodossa della Lega Grigia si
opponevano apertamente alla Dieta, in maggior parte evangelica, e prestavano
aiuto alla politica vaticana. I casi di confisca di merci, di cattura e di
incarceramento di evangelici grigionesi e sudditi aumentavano. Ciò è dimostrato
dai casi della ricca famiglia Pellizzari di Chiavenna (1562), di Giovanni
Antonio de Pero di Chiavenna (1569), del nobile Geremia Vertemati di Piuro
(1570), del parroco Francesco Cellario di Morbegno (1568), del ricco
commerciante Francesco Lumaga (1581), del predicante Francesco Soncini di
Chiavenna (1588), ed altri ancora. I rapporti delle visite dei vescovi
Buonuomini e del già citato Ninguarda ci fanno conoscere ancor meglio i piani
per riportare la fede cattolica in quelle regioni sottomesse. Buonuomini, amico
e affine di Borromeo, vescovo di Vercelli nella provincia di Novara dal 1573 era
stato dal papa nominato nunzio apostolico per la Svizzera e le Tre Leghe. Con il
consenso di Roma e di Borromeo egli visitava anche quella parte della diocesi di
Como situata su territorio delle Tre Leghe. Borromeo gli consigliò dapprima di
farsi indicare da gente fidata quali erano i mezzi migliori per allontanare gli
ostacoli che i stessi sovrani avrebbero potuto frapporre; procedere questo che
Borromeo aveva già sperimentato nella sua vita in Mesolcina e non senza
efficacia. Buonuomini arrivò in Valtellina il 14 luglio 1578 senza incontrare
nessuna difficoltà; per illudere maggiormente i Grigionesi, aveva fatto credere
che egli stava facendo un viaggio ai bagni di Bormio. il che poteva sembrare
degno di fede in quanto che egli soffriva di podagra. Il suo precursore e fedele
compagno fu il padre Bormio, un cappuccino ardente, che nel 1575 era stato
mandato a Sondrio da Borromeo, e che non poteva essere scacciato dal paese
perché Valtellinese. Giunto a Bormio, Buonuomini si fece invitare dalla
popolazione a predicare ed a permettere che i cinque padri predicatori che lo
accompagnavano, fra i quali il gesuita Giulio Mazzarini, praticassero la
confessione. Egli mise anche i credenti in guardia contro gli eretici ed i falsi
profeti, ne ebbimo più di mille e somministrò la comunione a più di trecento
persone. Il podestà Michele Wehrli di Saas assunse di fronte a questi
avvenimenti un atteggiamento titubante, ma infine ordinò che si dovesse ubbidire
a lui solo. Si riferì allora a Buonuomini che lo si voleva arrestare e
trascinare a Coira, poiché non aveva intrapreso il viaggio per la cura dei suoi
piedi, ma per incarico del papa. Senza troppo affrettarsi egli lasciò Bormio il
23 luglio, e poco curandosi delle disposizioni delle Tre Leghe, che gli avevano
concesso soltanto di leggere la messa, esercitò l'ufficio di predicatore
apostolico a Grosio, Grosotto, Ponte, Berbenno, Ardanno, Caspano, Morbegno e
certamente anche in altri luoghi. Egli abbandonò poi la Valtellina l' 8 agosto,
esattamente sei giorni dopo che le Tre Leghe avevano emanato nei suoi riguardi
un severo decreto. Le intenzioni del Buonuomini prima e durante il suo
viaggio ai bagni si rilevano dalla sua corrispondenza col Borromeo assai
chiaramente. Prima di intraprendere il suo viaggio, egli chiese da Como come
avrebbe dovuto comportarsi nel caso che lo avessero scacciato dalla valle, che
degli eretici avessero predicato in sua presenza contro la fede cattolica, che
non gli fosse stato concesso di entrare nella valle in qualità di visitatore
apostolico. Dalla Valtellina egli scrisse al suo amico e consigliere Borromeo
che i cattolici erano tiepidi, gli eretici forestieri, di fronte ai quali ogni
tentativo di conversione era poco promettente. Era triste cosa, continuava egli,
che in molte chiese della valle erano seppelliti dei funzionari eretici: con ciò
le chiese erano profanate; ma egli non osava allontanarne i cadaveri temendo di
recare danno alla popolazione cattolica. E' molto sibillino ciò che egli
scrive al suo consigliere circa il suo viaggio in Valtellina, chiamato: viaggio
ai bagni per dar colore alla venuta pubblica. L'opera iniziata da padre
Buonuomini venne proseguita poi da padre Bormio, al quale come coadiutore del
papa furono promessi quattro o cinque valenti predicatori dell' ordine dei
cappuccini. Feliciano Ninguarda, che come oriundo della Valtellina poteva
liberamente circolarvi per le sue visite, si occupava soprattutto di scoprire
gli evangelici e le chiese a loro concesse. Come già abbiamo visto parlando
della Riforma nella Valtellina, egli ricercava nelle singole parrocchie il
numero dei focolari evangelici o cattolici, e si dava cura di trovare tra i
primi dei nomi di personaggi nobili od influenti, per poi farne un elenco
nominativo. Egli si interessava in modo particolare degli ecclesiastici
evangelici, scrutandone le origini, le condizioni di famiglia e la precedente
posizione in seno alla chiesa. Accanto a ciò egli sottoponeva le chiese ad una
severa ispezione ed applicava al popolo ed al clero le prescrizioni tridentine.
Egli stesso spiega nella prefazione al suo rapporto, che il suo compito
consisteva anzitutto nel descrivere la diocesi e le chiese, i conventi e gli
ospizi, nell' accertare le fondazioni pie ed il numero dei fedeli, specialmente
quello dei comunicanti, e nel notare in genere tutto quello che era necessario
per conoscere la situazione. Era indispensabile per un vescovo, dice egli,
conoscere non 9010 i luoghi e le chiese. ma anche le anime affidate alla sua
cura e giurisdizione. Prescindendo dalle note sfavorevoli ai decreti
governativi, dalle denigrazioni dei culti evangelici nelle chiese loro concesse
a torto, dalle osservazioni spregevoli sui cimiteri aperti ai morti di ambo le
confessioni, non si trova nel rapporto niente di urtante. Che però egli
continuasse l'opera intrapresa dal Buonuomini e cercasse di inculcare alla
popolazione da lungo tempo trascurata le idee del Concilio Tridentino, è più che
comprensibile per un partecipante al Concilio stesso e visitatore apostolico.
Nell'intervallo tra i due viaggi di ispezione fu fondata a Sondrio la scuola
statale (1584). Essa servì ai fautori di Borromeo per agitare il popolo contro
gli eretici. Allorché se ne decise la fondazione, la Dieta era partita dalla
considerazione che sarebbe stato molto utile per i giovani dei paesi sovrani di
potersi dedicare allo studio dell'italiano nella Valtellina, imparando a
conoscere per tempo e da vicino il paese e la popolazione. Questa scuola avrebbe
dovuto restare aperta ai giovani di ambo le confessioni e non essere luogo di
alcuna coercizione religiosa. Malgrado queste tolleranti promesse, la fondazione
inoltrò notevoli difficoltà. L'arciprete di Sondrio, Gian Giacomo Pusterla, si
agitava contro la scuola chiamandola un seminario di luterani, che avrebbe
favorito la religione riformata ed avrebbe portato dal lato morale frutti ancora
peggiori: in realtà non si trattava di una scuola, ma di un centro di spionaggio
per i signori delle Tre Leghe. Il compagno di Pusterla, un certo monaco
francescano di nome Francesco di Balerna, ci dimostra con le sue pretese come
venissero fomentati presso la popolazione l'ira e lo spirito di ribellione: egli
osò proibire ai suoi fedeli ogni rapporto con i protestanti, sotto pena di
scomunica; pretese dai padroni cattolici il licenziamento dei famigli e delle
serve protestanti e domandò che le donne cattoliche sciogliessero ogni legame
con i mariti protestanti; lanciò la parola d'ordine per l'espulsione degli
stranieri gridando: Abbasso Calandrino! Altri invocavano un Vespro siciliano.
Alla minaccia dei funzionari statali di chiamare alcune squadre per ristabilire
l'ordine, si rispose:- E noi chiameremo gli Spagnoli! Solo a stento si riuscì ad
impedire una sanguinosa sommossa: mancava poco a quella disposizione d'animo che
condusse più tardi al macello di Valtellina. Onde illuminare il crescente
fermento dei sudditi e le misure di difesa prese dalle Tre Leghe, faremo ora
seguire un compendio dei protocolli e degli atti statali del Sinodo evangelico
retico. A tale scopo risaliamo un po' oltre il 1584. 19 giugno 157: Il
vescovo di Vercelli (Bonhomini) si è recato nei nostri domini per visitare le
chiese cattoliche; ma i nostri magistrati l'hanno respinto. Antonio Calmona,
come ambasciatore del governatore spagnolo di Milano, si è lamentato di ciò e
desidera che le Tre Leghe trattino il vescovo di Como con la medesima cordialità
con cui lo trattano i Confederati nei paesi sudditi a sud del Gottardo. Inoltre
desidera che i monaci certosini, i quali si nutrono solo di cibi che la gente
pia passa loro, possano rimanere a vivere tranquilli nei paesi sottoposti, e ciò
perché tale ordine era sommamente gradito al suo signore, re di Spagna. Infine
chiede egli che i perversi profughi religiosi provenienti dall'Italia e che si
spacciano esser predicatori della parola di Dio, vengano espulsi dalle regioni
sottomesse. S. M. che sosteneva in tutto il suo regno la fede cattolica, aspetta
a tale riguardo una risposta favorevole: in caso contrario egli si sarebbe visto
costretto a rompere con le Tre Leghe ogni rapporto commerciale, ed a ricorrere
inoltre ad altri mezzi di pressione. La Dieta riprese la risposta del 1561 e
respinse ogni pretesa. 16 gennaio 1581: I delegati delle Tre Leghe, riuniti
ad Ilanz, decidono: 1° che nessuno dei sudditi della Valtellina, Chiavenna e
Bormio, possa portare da Roma, comperare e vendere dei brevi di indulgenza e dei
giubilei, salvo gravi pene. 2° Che nessuna persona privata o comunità o
parrocchia possa prestare ospitalità, aiuto, consiglio, protezione o
nascondiglio ne ai monaci di qualsiasi ordine ne a chierici di sorta. Tutte
queste persone ecclesiastiche trovate nel paese sono immediatamente da
incarcerare ed i loro protettori da punire severamente. 26 giugno 1584: Allo
scopo di protestare presso la Dieta, il Sinodo decide che Scipione Calandrino e
Raffaello Egli (direttore della scuola statale) abbiano a fare un brevissimo
esposto (brevissimum compendium) degli avvenimenti di Piuro, Chiavenna, Sondrio,
Tirano e Poschiavo, in cui devono figurare anche i tumulti cagionati in quei
paesi dai papisti durante la settimana della passione. A Piuro per es., un
mandatario di Borromeo (secretarius) introdusse un catechismo, per merito del
quale gli evangelici dovettero assoggettarsi ai più svariati oltraggi. Durante
il culto evangelico, i fedeli venivano disturbati dalle campane dei cattolici.
Un monaco, introdottosi furtivamente a Chiavenna, intimava al popolo di
trucidare gli evangelici (ad Lutheranos trucidandos) ed istruiva le donne
cattoliche sul modo di respingere i loro mariti protestanti (debitum
matrimoniale officium denegare). Queste agitazioni avevano avuto per conseguenza
tali disordini, che i Bregagliotti erano pronti a marciare su Chiavenna per
indurre i tumultuanti ad espellere l'agitatore ed a comportarsi decentemente. A
Sondrio un monaco del ducato di Milano, oriundo dei baliaggi svizzeri, aveva
invitato il popolo con le sue prediche a ribellarsi ed a trucidare i luterani.
L'arciprete di Sondrio col suo suonare a stormo tendeva alla stessa cosa. In
questa occasione i tre commissari grigionesi, che si trovavano appunto a Sondrio
a causa della scuola statale, poterono a stento ritirarsi incolumi e scongiurare
una rivolta popolare. A Tirano era stato rapito astutamente e tradotto a
Milano il figlio del defunto predicatore Giulio da Milano. Anche a Poschiavo
erano scoppiati dei tumulti per colpa di un monaco straniero. Onde comporre
tutte queste faccende erano stati nominati su proposta del Sinodo quindici
commissari il 4 giugno 1588: In occasione del Sinodo di Tosanna, i predicatori
Scipione Calandrino di Sondrio e Ottaviano Meyns di Teglio (più tardi di
Chiavenna) spiegarono ai loro colleghi le intenzioni dell'Inquisizione papale di
assassinare o di rapire i predicatori evangelici ed altri riformati stranieri.
Tali intenzioni erano da rendere note alle autorità statali insieme ad altre
mene oscure, che dovevano essere scongiurate di prendere delle misure di difesa.
Il Sinodo decise inoltre di ricordare ai delegati alla Dieta che, contrariamente
ai decreti e agli editti governativi, venivano promulgati dei giubilei e che
alcuni sicari stranieri giravano armati per la Valtellina minacciando gli
evangelici. Non si era solo rapito nel 1568 e poi condotto a Roma il pio pastore
di Morbegno, Francesco Cellario: si erano tesi precedentemente anche dei lacci
ad altri pastori valligiani. Persino al principio di aprile dell'anno in corso,
1588, era stato rapito il pastore di Mello, Lorenzo Soncino, e sul principio di
giugno era stato assassinato il parroco Frilius Paravicinio. 29 maggio 1589:
Bisogna ispirare energicamente alla nostra autorità di adoperarsi in difesa
degli evangelici nei paesi sudditi, affinché essi possano vivere tranquillamente
protetti dai decreti e dalle disposizioni da lungo tempo emanate. 10 giugno
1596: I cattolici di Bormio che hanno bruciato delle Bibbie ed altri sacri
libri, debbono venire citati davanti alle autorità. 10 agosto 1597: I
consiglieri delle Tre Leghe, radunati a Coira, constatano che al tempo della
guerra contro Meneghino alcuni monaci del convento di Morbegno sono stati
sospettati di tradimento ed anche più tardi sono successi da parte di altri
monaci e preti vari atti scellerati, e era precisamente per evitare questi
inconvenienti, che i nostri antenati avevano disposto di non accettare mai e
tollerare nel paese dei monaci e dei preti stranieri. I comuni, come autorità
sovrane, hanno ordinato di rinnovare queste disposizioni, e di inculcarne ad
ognuno il rispetto. In conformità di questo non poteva venire accolto nel paese,
in nessun tempo, compresa la quaresima, nessun ecclesiastico, se non sarà nativo
dei baliaggi o delle Leghe o della Confederazione, secondo il decreto del 16
gennaio 1581: in caso che si trovino nel paese degli ecclesiastici privi di tali
requisiti, i magistrati debbono arrestarli e castigarli: i paesi e le persone
private che accordano ricovero e questi stranieri sono parimenti da punire in
conformità del decreto del 1581. Si dispose inoltre che in conformità del
decreto del 1584 le persone ecclesiastiche non potevano recarsi in paesi
stranieri ne averne corrispondenza senza un esplicito permesso delle autorità.
Chi non si attenesse a queste disposizioni sarebbe caduto in disgrazia presso i
signori delle Tre Leghe ed avrebbe dovuto aspettarsi una punizione sia come
privato che come comunità. 22 maggio 1600: In contraddizione con i decreti e
con la libertà cristiana si vuole costringere i fratelli di Morbegno a celebrare
le feste cattoliche. Si impedisce loro inoltre l'uso delle chiese per
costringerli ad abbandonare la fede od emigrare in terre straniere. Poiché già
se ne conoscono i frutti, bisogna negare al vescovo di Como di poter visitare le
chiese. I papisti si rifiutano in certi posti di portare i nostri morti nel
camposanto. E' da proibirsi il salvacondotto ai sicari; a quanto pare un
individuo del genere gironzolava in Morbegno. 14 giugno 1604: E'
desiderabile uno statuto che prescriva di mantenere le comunità evangeliche nei
paesi sudditi od almeno nei capoluoghi distrettuali. 19 giugno 1606: Si dice
che i gesuiti abbiano incominciato a costruire una chiesa a Piuro; essa potrebbe
col tempo diventare una roccaforte ed un baluardo inespugnabile: i signori
deputati devono essere resi consapevoli del pericolo, affinché il gesuita ivi
dimorante debba abbandonare il paese secondo le disposizioni vigenti. 4
giugno 1607: Il Sinodo è venuto a sapere che un gentiluomo, membro della
parrocchia evangelica di Teglio, è stato assassinato da un papista. Perciò esso
decide di invitare i parroci a indurre i deputati dei loro comuni ad escogitare
dei mezzi per garantire agli evangelici la dovuta sicurtà e per scacciare dal
paese l'assassino. 1° giugno 1608: I ministri delle chiese evangeliche della
Valtellina si lagnano in maniera emozionante della grande ingiustizia loro
arrecata dall' inizio della costruzione della fortezza di Fuentes. Gli
evangelici che non permettono di lasciar esporre sulle loro finestre o balconi
dei drappi in occasione della festa del Corpus Domini vengono attaccati dai
cattolici con discorsi mordaci, con sassi e colpi di archibugio. I cattolici
contendono ai riformati l'uso delle campane, le quali invece secondo le
decisioni della Dieta devono essere di uso comune. Essi trattano crudelmente i
bambini della nostra religione che non cedono ai loro tentativi di conversione.
I profughi religiosi vengono rapiti di notte, non tanto per la loro apostasia
quanto piuttosto per il denaro che hanno in prestito dai riformati. I preti per
introdurre i principi del Concilio non amministrano i sacramenti ai cattolici
coniugati con gli evangelici. Il culto evangelico viene disturbato col suono
delle campane e col lancio di pietre sul tetto delle chiese; le porte delle case
di Dio vengono imbrattate con ogni sorta di sudiciume. Gli uomini benemeriti
della religione riformata vengono seppelliti nel cimitero dei delinquenti. Col
pretesto della giurisdizione ecclesiastica si lede l'autorità degli stati
sovrani in un modo finora inaudito. Si propaga l'idea di un Vespro Siciliano. Un
bambino demente di genitori evangelici è stato legato ad un palo, dopo essere
stato spogliato, e spruzzato di sangue. I predicanti della Valtellina si lagnano
in modo particolare del podestà di Traona, Baldassarre de Mont, il quale dopo
che i preti negarono la sepoltura di nn bambino morto senza battesimo, ha
ordinato di sotterrarlo nel cimitero dei riformati; in tale occasione le porte
della chiesa evangelica sono state aperte con la forza. Inoltre si lamentano che
il medesimo magistrato abbia fatto incarcerare il parroco di Traona, perché
aveva assistito alla celebrazione di un matrimonio misto. Il Sinodo ha accolto
questo reclamo con indignazione e dispiacere ed ha deciso di trasmetterlo alla
imminente Dieta per mezzo di cinque delegati: Giorgio Cazin, Antonio Andreoscha,
M. Giovanni Betschla, Giovanni Dorta e Stefano Gabriel. Questi pochi
estratti dovrebbero bastare per illuminare 1a disposizione di animo tanto
dell'una quanto dell'altra parte. La reazione dei sudditi contro la concessa
libertà di fede cominciò ad aumentare dopo il 1561. Il numero dei monaci
stranieri apparsi a Chiavenna e nella Valtellina aumentò senza tregua e con esso
cresceva pure il pericolo di sobillazione del popolo. Già nell'anno 1584 si era
arrivato al grido: Morte ai luterani! Da allora cominciarono a spargersi le voci
di un Vespro Siciliano; anzi già nell'anno 1572, in occasione del fallito
attentato contro Scipione Calandrino, di Mello, due monaci si vantarono
pubblicamente della loro azione e annunziavano la prossima fine della eresia,
tanto nelle Tre Leghe, quanto nella Valtellina. Anche il disturbo dei culti
evangelici, gli scandali in occasione di sepolture ecc. ecc. si verificavamo
senza ritegno ed apertamente. Come abbiamo visto, persino un podestà grigionese,
oriundo del cattolico Lugnez, si schierava dalla parte degli istigatori e
accondiscendeva ai loro desideri. Tale uomo non era l'unico della sua specie: ed
in tali tumulti non si trattava solo di questioni religiose: sin dal principio
entrarono in giuoco anche degli interessi politici che promovevano il fanatismo
religioso. Come lo dimostrano i riassunti degli atti statali e i protocolli
dei Sinodi, era specialmente la Spagna, dominatrice del vicino ducato di Milano,
a intromettersi nella politica grigionese ora con minacce ora con promesse.
L'ambasciatore spagnolo non teneva nascosto che il suo mandatario parteggiava
per il papa e sosteneva la fede cattolica in tutto e dappertutto. L'accenno alla
fortezza di Fuentes, fabbricata poco lungi da Colico sul confine della
Valtellina, e sulla strada che conduce a Chiavenna, dimostra chiaramente
l'intenzione della Spanna di fronte alle Tre Leghe: se non si voleva aprire
volontariamente i passi a questa potenza arcicattolica, essa non esitava a
ricorre alla violenza. Ma giacché anche la Francia e Venezia nel medesimo tempo
ambivano i favori delle Tre Leghe, si svilupparono accanto alle lotte religiose
degli intrighi politici incomparabili. I monaci stranieri divennero degli spioni
spagnoli e degli istigatori, i predicatori evangelici passarono al ruolo di
consiglieri del governo grigionese, ora più, ora meno graditi. Rinunciamo
però ad entrare nella trattazione degli sforzi veneziani presso le Tre Leghe,
come non vogliamo neppure entrare nella questione della lotta tra Spagna ed
Austria da una parte e Francia dall'altra per il conseguimento della supremazia
in Europa, per quanto questi avvenimenti coinvolsero il nostro alpestre
staterello ed i paesi sudditi in modo assai dannoso. Ci ripugna pure la
descrizione dei vari tribunali penali e del massacro della Valtellina, fatti che
coronarono e condussero a termine tutte le mene della Controriforma. Il
cosiddetto "Massacro della Valtellina" ricorda le «Nozze di Sangue» di Parigi
dell' agosto 1572 ed i «Vespri Siciliani» del marzo 1282. Principiò nella notte
dal 19 al 20 luglio 1620 e durò in tutto 14 giorni (nella Valtellina, a Bormio
ed a Brusio fino al 4 agosto). Ciò che non era riuscito a Rinaldo Tenone con la
sua soldatesca appositamente arruolata ed il suo appoggio da parte delle più
alte autorità ecclesiastiche. riuscì ora completamente al Robustelli ed ai suoi
assassini. Alla testa degli avversari pieni di odio stava il successore di Gian
Giacomo Pusterla di Sondrio, l'arciprete Nic. Rusca, un Ticinese oriundo di
Bedano, ed allievo del Collegio Borromeo (Helveticum) di Milano. E precisamente
dovuto alla sua azione se l'avversità tra le due confessioni aveva raggiunto nn
grado tale che la catastrofe era inevitabile. I cattolici lo veneravamo alla
pari di un santo, ma gli evangelici lo consideravano la causa principale di
tutti i loro mali. Nel 1618 ebbe inizio il famigerato tribunale di Tosanna, che
fu fatale per il Rusca. Il proposito di questo tribunale era di giudicare i
propugnatori della alleanza ideata con la Spagna: Rusca ne fu uno degli accusati
principali: venne sottoposto ad un penoso interrogatorio e morì col supplizio.
I tribunali di ambo le parti suscitavano coi loro procedimenti provocatori
la critica universale dei benpensanti ed aumentavano l'avversità e l'odio contro
i sovrani, il cui prestigio era già assai scosso a causa della ingordigia ed il
deposito dei funzionari. Ciò che era particolarmente odioso il tribunale di
Tosanna ai Valtellinesi fu l'influenza che vi eccitarono i predicatori.
L'uccisione del Rusca venne imputata a loro, e produsse l'effetto di una
scintilla in una botte di dinamite. Il medesimo tribunale condannò pure i
fratelli Rodolfi e Pompeo Planta ed il genero del primo, Giacomo Robustelli di
Grosotto nella Valtellina. I due fratelli Planta erano i capi del partito
austro-spagnolo: Rodolfo abitava nel castello di Wildenberg a Zernez, Pompeo
m quello di Rietberg nella Domigliasca. Questi signori condannati cercarono
aiuto all' estero dove trovarono ascolto. Terminato il periodo della esilio,
Robustelli, tornò a Grosotto, col cuore pieno di odio e meditando vendetta.
Oltre a voler soddisfare il suo spirito di vendetta, egli ordiva liberare le tre
terre dalla signoria retica. Non operava però da solo: si assicurò l'appoggio e
l'accordo della Spagna e dell'Austria, che avrebbero ben volentieri occupato la
strada sull'Adda. Anche i fratelli Planta viventi ancora in esilio, si
mantenevamo in relazione con Robustelli ed il suo partito: essi volevano
ritornare in patria con l'aiuto di mercenari per rovesciare il partito avverso
ed annullare le sentenze del tribunale di Tosanna. Robustelli compì l'infame
vendetta politica e religiosa al riparo di una congiura, le cui maglie
arrivavano fino a Roma ed a Parigi, e con l'aiuto di banditi prezzolati. La
strage iniziò a Tirano nella none dal 18 al 19 luglio 1620. Per non lasciare a
nessuno la possibilità di evadere, i congiurati occuparono le porte della
cittadina di nottetempo, mentre tutto era immerso nel sommo. La gente, destata
dal suono delle campane e di un rumore insolito di trombe, si riversò nelle
strade, dove i riformati vennero trucidati senza pietà salvo poche eccezioni. I
congiurati si recarono quindi a Teglio, dove trovarono i riformati riuniti nella
chiesa per il culto domenicale. Gli assassini aprirono le porte e fecero fuoco
sul predicatore: allora i fedeli si misero in difesa e barricarono l'entrata. Ma
gli assalitori spararono attraverso le finestre e sfondarono le porte, quindi
assassinarono tutti gli nomini, dopo aver allontanate le donne ed i bambini.
Diciassette persone, nomini, donne e fanciulli, cercarono rifugio sul campanile:
i briganti vi accostarono le sedie della chiesa e le incendiarono, facendo così
perire tra il fuoco e le fiamme gli infelici. Compiuta questa carneficina, i
congiurati si affrettarono verso Sondrio. Parve dapprima che gli abitanti di
quel borgo, cattolici e riformati, volessero opporsi loro; ma i cattolici si
dissuasero però ben presto e coloro che non vollero partecipare alla orribile
strage, dovessero mettersi in salvo davanti ai propri correligionari. Gli altri
fecero causa comune con gli assassini, e diedero addosso ai riformati. Settanta
di questi riuscirono a rifugiarsi in una casa dove opposero ai cattolici
un'energica resistenza, che concesse loro di potersi ritirare liberamente: con
le armi in pugno abbandonarono essa o si ritirarono nell'Engadina sopra il
Muretto. Si trovavano fra questi il parroco di Sondrio, Gaspare Alexius, e
quello di Berbenno, Giorgio Jenatsch. Gli assassini sfogarono la loro ira sui
restanti. La strage durò tre giorni: non si badò ne all'età ne al sesso ne
alla parentela: vennero persino esumati dei cadaveri e gettati nell'acqua.
La carneficina si protrasse fin in fondo alla valle della Adda. A macello
ultimato, i Valtellinesi si dichiararono liberi e sciolti dalle Tre Leghe e si
diedero un governo autonomo con a capo Robustelli. Di fronte ai Confederati, ai
principi italiani, il re di Francia ed a quello di Spagna ed al Papa si
scusarono con delle epistole in cui dichiararono di aver combattuto per la
religione e la libertà. Mentre i nemici dichiarati e nascosti dei paesi sovrani
appresero con piacere e soddisfazione la notizia del "Sacro Macello", i
Grigionesi ed i Confederati evangelici ne furono indignati ed atterriti. La
scellerata azione era però compiuta e non si poteva ornai più porvi rimedio. La
Chiesa cattolica aveva raggiunto (come dice Fr. Pieth) il suo scopo: a sud delle
Alpi non esistevano più dei governatori eretici. I torbidi che seguirono la
insurrezione in Valtellina e che videro sanguinare le Tre Leghe ed i paesi
sottoposti, sono la pressione degli eserciti spagnoli, austriaci e francesi,
terminarono nel 1639 con la cosiddetta capitolazione di Milano, in forza della
quale la Valtellina venne riconsegnata ai Grigionesi a condizione di tollerarvi
solo la religione cattolica. Salvo i funzionari governativi, nessun protestante
vi poteva dimorare più a lungo di tre mesi. A Chiavenna, che era stata
risparmiata dall'eccidio, si conservò un piccolo numero di evangelici. 4.4
La controriforma nella Valle di Poschiavo In Controriforma nella Valle di
Poschiavo sta in stretta relazione con gli avvenimenti della Valtellina allo
scorcio dei secoli XVI e XVII. Il vescovo di Como, Ninguarda, estese la sua
visita pastorale da quella contrada fino alla Valle di Poschiavo, in cui agì
completamente secondo le decisioni del Concilio di Trento, nonostante il suo
mite contegno. Si può benissimo attribuire a lui quel movimento antiriformatorio
che condusse ben presto il massacro di Brusio e di Poschiavo. Alcune
osservazioni contenute nel suo rapporto e riguardanti i riformati dimostrano
chiaramente il suo modo di agire. In quel rapporto si legge fra l'altro che
l'eretico predicatore di Brusio insegnava nella chiesa cattolica le sue false
dottrine e vi amministrava la S. Cena, che gli eretici poschiavini avevano
profanato tutte le chiese eccetto tre (esclusivamente quella di S. Vittore),
trasformandone una in una stalla (stabulum animalium), e facendo dell'altra una
segheria (officina pro secandis asseribus), che il predicatore di Poschiavo era
un vecchio monaco agostiniano apostata che non osava neppure palesare la propria
origine (qui patriam suam non propalavit), ecc. Ninguarda si esprimeva a
voce in modo indubbiamente assai più mordace ed aizzava cosi il clero od il
popolo all'odio ed alla resistenza contro i riformati. Le minacciose pretese
del delegato papale e della ambasciatore spagnolo davanti alla Dieta di llanz
del 1561 dimostrano che già prima della comparsa del Ninguarda si tennero
d'occhio le relazioni religiose nella Valle di Poschiavo. Essi avevamo preteso
tra l'altro la soppressione della tipografia Landolfi a Poschiavo. Roma e la
Spagna non poterono però impedire che vi si stampassero degli opuscoletti in
lingua italiana contrari alla chiesa ed alla fede cattolica e che si
diffondessero nella Valtellina e nell'Italia settentrionale. Questi stampati
venivano senza dubbio letti con particolare interesse nelle vicinanze della
tipografia, cioè a Poschiavo, tanto negli ambienti cattolici quanto in quelli
evangelici: ciò costituiva vera propaganda per l'Evangelo. Le rimostranze e
le minacce dei due prepotenti non incontrarono favore ne presso la Dieta ne
presso i Poschiavini. Come già accennammo in un capitolo precedente, le due
confessioni convissero in pace fin verso il 1600; tanto i cattolici quanto i
riformati tenevano il loro culto nella chiesa di S. Vittore, privata delle
immagini. L'assemblea comunale stabilì il 9 ottobre 1572 che nelle questioni
religiose dovesse regnare completa libertà e che ognuno potesse frequentare a
sua scelta la messa od il culto. Una decisione dell'anno seguente assegnò al
prete ed al predicatore uno stipendio di 200 lire ciascuno dalla cassa comunale.
Il sacrestano, pagato pure dal comune doveva prestare i suoi servizi per
entrambe le confessioni; il camposanto doveva parimenti essere a disposizione
degli uni e degli altri. Il 14 giugno 1585, e cioè poco prima della venuta
del Ninguarda, il comune riconfermò questi decisioni senza opposizione alcuna,
in uno spirito di reciproca tolleranza. Nello stesso anno era stata presa la
decisione di non affidare delle cariche comunali ad alcuno che non frequentasse
la predica o la messa o non professasse apertamente la propria religiosità. Lo
stato di felice tolleranza non si può dunque attribuire ad indifferenza
religiosa. La situazione si trasformò completamente col propagarsi della
odio confessionale sviluppatosi e promosso con ogni mezzo in Valtellina. La
parola dei prelati cattolici valeva anche per la Val Poschiavo: a sud delle Alpi
non doveva più sussistere alcun riformato. Non c'è dunque da meravigliarsi che
le bande assassine del Robustelli si siamo spinte fimo oltre Piattamala
trucidando ben 27 protestanti di Brusio. Il 19 luglio, domenica, si incominciò
con la demolizione del ponte di Piattamala sono Zalende, frazione di Brusio, e
si preparò l'assalto a Brusio per uccidervi gli evangelici. Questi stavano
riformati nella chiesa per il culto divino e non sospettavano di nulla; un
giovanotto cattolico ed una ragazza riformata in servizio presso gente cattolica
portarono loro l'annunzio di quanto si stava verificando presso Piattamala.
Terminato il culto e rinfrancati da una preghiera, i riformati lasciarono la
chiesa per mettersi in stato di difesa. Gli nomini marciarono armati vergo un
ponte nelle vicinanze del villaggio, dove già si scorgevamo le avanguardie del
nemico. Al loro comparire, esso si ritirò lestamente per ricomparire due giorni
dopo in numero maggiore e rinforzato da alcuni cattolici di Zalende e di Brusio.
Questa volta i seguaci di Robustelli riuscirono nel loro intento: incendiarono
le case di Antonio Montio, di Pietro Agostino e di alcuni altri riformati; poco
mancò che non pigliasse fuoco anche la casa del prete. In tutto vennero
saccheggiate e ridotte in cenere venti case. Pare che Robustelli, presente al
saccheggio, esclamasse al bagliore delle case in fiamme, che la riconquista
della libertà doveva pure venire celebrata con dei fuochi di gioia. Quella sera
ed il giorno seguente ebbe luogo il macello di Brusio, nel quale trovò modo di
distinguersi Antonio Paganini di Zalende. Fra le vittime trovansi per es. il
45.enne Cenino di Azzala, sua moglie Perotta di anni 40, ed il loro figlio
dodicenne; Andreino Zoppo di anni 40, Jacopo Quadernetto di 30, Giovanni
Monagani di 58, Jacomina de Enrico di 50, Michele della Rossa di 38. Come ultima
figura la vecchia contadina Lena Moneta, la quale, dopo ripetute intimazioni di
ritornare alla vecchia fede e di salvare con ciò la propria vita, rispose
impavidamente: "Giammai. Io sono già con un piede nella tomba e non voglio nei
miei vecchi giorni abbandonare Gesù Cristo, mio Signore. Io non voglio ritornare
ad adorare delle creature ed anteporre la tradizione umana alla luminosa parola
di Dio". La buona vecchia pagò il suo coraggio e la sua fede con la vita. Il
22 luglio Robustelli spinse le sue orde fino al lago di Poschiavo coll'
intenzione di ripulire dagli eretici anche Poschiavo, ed occupare il Bernina,
L'avvicinarsi degli Engadinesi accorsi in aiuto ai minaecidi gli fece cambiare
di progetto e gi ritirò prima di aver raggiunto il suo scopo . L'eccidio dei
riformati di Poschiavo era però soltanto sospeso provvisoriamente e non tardò
molto a compiersi. A capo della congiura stava il prete poschiavino Paolo
Beccaria, di Bente valtellinese: egli si intese con Robustelli ed allora il
capoluogo della Valtellina minacciò il 3 dicembre 1622 di sospendere la
fornitura di cereali e di vino se Poschiavo non consegnasse gli evangelici
fuggiti dalla Valtellina e non impedisse ai riformati locali la celebrazione del
culto protestante. L'ordine trovò facile appoggio e non mancò chi lo eseguisse a
puntino. La chiesa di S. Vittore, fino allora comune, fu interdetta agli
evangelici; il pastore Jac. Rampa di Zuoz che viveva un continuo pericolo di
vita dovette lasciare la valle. Diversi indizi e complotti lasciavano
intravedere ciò che si stava macchinando. Il Podestà di Brusio, Michele Monti,
riformato, fu fucilato all' imbrunire sulla soglia della sua casa. Il prete
Beccaria andava dicendo apertamente che Poschiavo non apparteneva più al
Grigioni, ma all Italia e che perciò i riformati non potevano più appellarsi
alla libertà di credenza stabilita a Lindau. Nella Valtellina e in Val Camonica
vennero arruolati degli assassini, alla cui testa si posero il Poschiavino don.
Lanfranchi e Claudio Dabene. Il primo era fratello del prete di Tirano, il
secondo un servitore e confidente del Robustelli. L'assalto si compì nella none
del 25 aprile 1623: vi trovarono la morte 21 Poschiavini riformati, di cui 18
uomini 3 donne. Trecento erano stati avvertiti per tempo e avevano potuto
salvarsi sopra il Bernina. Il saccheggio delle abitazioni degli assassinati e
dei fuggiti durò tre giorni. Le Bibbie ed i libri di edificazione trovati
vennero raccolti e dati alle fiamme sulla pubblica piazza. La tipografia
Landolfi, che sin dal principio era stata una spina nell' occhio della curia,
venne distrutta. Il massacro ebbe come conseguenza di dare la minoranza alla già
maggioranza evangelica, situazione che è durata sino ai giorni nostri. Delle
tante famiglie fuggite, venti non fecero più ritorno. Quelli che ritornarono man
mano alle loro dimore saccheggiate o distrutte rimasero ancora a lungo esposti
alle più dure percezioni. Allorché il pastore Rampa ritornò nel 1627 al suo
gregge, il vescovo di Como si adoprò a un solo uomo per allontanarlo, ma non vi
riuscì per la protezione delle Tre Leghe. Rampa ritrovò la casa parrocchiale
occupata dal prete Massella. Le percezioni non cessarono neppure durante il
ministerio del coraggioso successore del Rampa, il Poschiavino Giacomo Serena de
Matossi. All'epoca della guerra dei Trent'anni, la comunità perseguitata
lamentarsi a più riprese presso la Dieta perché i suoi membri erano esclusi da
qualsiasi ufficio pubblico, si impediva loro di professare apertamente la
propria fede, imponevano loro delle gravose multe quando lavoravano nei giorni
di festa cattolici. La sentenza del 1642, pur non essendo troppo favorevole
ai riformati, pose fine si peggiori eccessi dei cattolici. La Dieta mandò nella
valle tre delegati, la cui opera di mediazione fruttò il rappacificamento tra le
due confessioni: i due terzi delle autorità dovevano da allora in poi comporsi
di rappresentare cattolici, un terzo di riformati; in avvenire l'officio di
podestà e di nohio doveva essere concesso ai riformati ogni quattro anni; due
terzi dei beni comunali furono attribuiti ai cattolici ed un terzo ai
protestanti. Le controversie sorte per delle questioni ecclesiastiche vennero
risolte un maniera che i riformati dovevano rinunciare alle chiese, campane,
cimiteri, fondi e bgati dietro nn compenso di 1000 fiorini. Per quanto riguarda
le festa di precetto, dovevano avere le disposizioni del 1620. Se si
considera che l'asse ecclesiastico era di circa 50 mila fiorini e che il danno
cagionato ai riformati era di circa 450 mila lire, si capisce che l'indennizzo
stabilito era alquanto ingiusto. E non era neppure segno di buona volontà se la
popolazione cattolica non volle concedere ai riformati neanche una delle tante
chiese esistenti. Finalmente dopo venti anni di aspre persecuzioni e dopo essere
stati a lungo privati del più elementare diritto religioso e politico, i
riformati ottennero una base legale, sulla quale almeno potevano far valere dei
diritti. Nel 1642 iniziarono la costruzione di una chiesa, che possono condurre
a costruire nel 1649 con l'aiuto dei correligionari d'oltralpi.Cosi non erano
più costretti a tenere i loro culti nelle case private; e quando tra il 1677 ed
i 1682 sorse anche il campanile, essi poterono cantare e ringraziare come il
salmista: "Oh quanto sono amabili le tue dimore, o Eterno degli eserciti L'anima
mia brama i cortili dell' Eterno". I fatti dimostrano però che la pace
confessionale non era ancora ottenuta definitivamente: sia prima che dopo la
sentenza i riformati si videro costretti a ricorrere di continuo alla Dieta, sia
perché li si voleva costringere a scoprirsi il capo davanti alle varie
cappellani e croci, sia perché nei giorni di festa di precetto si voleva loro
proibire di tenere le loro vetrine aperte o di recarsi nei campi a lavorare, o
persino di recarsi fuor di paese, sia perché i parroci cattolici adoperavano
l'altare per intimare ai loro fedbli di boicottare gli evangelici ecc. Con
l'accomodamento del 1642 I'ideale della libertà di fede e di coscienza non era
però che ai suoi inizi.
d) La Controriforma in Val Bregaglia
Al tempo della Controriforma la Val Bregaglia si trovava in una situazione
più fortunata che la Valle di Poschiavo e la Mesolcina. Grazie all opera di
Vergerio essa si era schierata per tempo dalla parte del movimento riformatore e
così le furono risparmiati i combattimenti religiosi che abbiamo visto a
Poschiavo ed in Mesolcina. Gli sporadici tentativi di ricondurre la valle
all'antica fede rimasero infruttuosi. Da parte cattolica ci gi lamentarsi
rassegnare a vedere il grande traffico del Maloggia svolgersi su terra riformata
ed assistere alla continuazione della fede protestante nel contado di Chiavenna.
Un tentativo che dei cattolici viene considerato come riuscito, ebbe luogo
(come già accennammo in un capitolo precedente) intorno alla Pentecoste dal
1551, poco dopo la distruzione delle immagini a S. Gaudenzio sopra Casaccia. Il
31 luglio 1551, dopo il fallito tentativo di catturare il Vergerio a Novate,
Vincenzo de Quadrio scriveva all'arciprete Bart. de Salis, allora a Roma, di
aver indotto il padre domenicano Lector di Como a recarsi in Bregaglia a
sradicarvi con la sua parola la semenza sparsa da Vergerio. Il tentativo di
combattere la Riforma era tanto più promettente in quanto avviato sono il nome
della famiglia Salis: il padre Lector spiegò In sua attività a Soglio ed a Nossa
Donna di Castelmur. Quadrio scrive che In popolazione gli era completamente
favorevole e che grazie a Dio molti degli apostati erano ritornati in grembo
alla madre chiesa. Quest'azione antiriformatoria durò indubbiamente solo
pochi giorni e rimase senza conseguenze per la Riforma stessa. Eguale sorte
toccò ad un secondo tentativo ispirato da Carlo Borromeo una trentina di amni
più tardi Nel 1582 comparvero nella valle tre gesuiti (Adorno, Grattarola,
Boverio), coll'intenzione di aprire con le armi di Trento una breccia nella
nuova chiesa. I predicatori ottennero però dai tribunali la loro espulsione.
Tale insuccesso dovette naturalmente rattristare Borromeo, che era dedicato allo
sterminio degli eretici. Solo un cieco fanatismo poteva intraprendere simili
tentativi di ricattolicizzazione e un tal modo di procedere era tanto più
riprovevole in quanto condono solo da stranieri. Ma non ci si limitò a
questi due tentativi: In Bregaglia dovette più tardi combattere di quelli più
severi. Gli avvenimenti a Chiavenna e nella Valtellina portarono nonché nella
Bregaglia degli sconvolgimenti politici ed ecclesiastici La fortezza di Fuentes
inquietò tutta la Rezia riformata e particolarmente la Bregaglia. La Spagna
si era ritirata per la capitolazione conchiusa il 15 agosto 1603 con Venezia. Il
conte di Fuentes Don Pedro di Alzervedo, governatore spagnolo di Milano, per
vendicarsi dei Grigionesi eresse la fortezza sul Monteschio nelle vicinanze di
Colico, e le diede il suo nome. La costruzione si iniziò nell' ottobre del 1603
e ad opera finita Fuentes fornì la fortezza di cannoni, munizioni e soldatesche:
da quest'altura il conte poteva assalire improvvisamente la Valtellina e
Chiavenna, ed interrompero le vie di comunicazione con Venezia. In Bregaglia e
nel resto del cantone si sapeva abbastanza bene che la Spagna tentava di
danneggiare gli evangelici grigionesi. La guerra dei Trent'anni ed i torbidi nei
Grigioni, contemporaneamente incominciati, cagionarono una nova crociata
antiriformatoria; per cui i Bregagliotti, come gli abitanti dell'Engadina Bassa
e della Prettigovia, ebbero a soffrire enormemente. Nel 1621 fu bloccata ogni
importazione di viveri nella repubblica retica; nello stesso anno le truppe di
Baldiron invasero In Prettigovia e la Bassa Engadina; nell'ottobre il duca di
Feria, governatore di Milano, irruppe nella cittadina di Chiavenna: il
colonnello Battista de Salis coi suoi 30 Bregagliotti ed il capitano Ulisse de
Salis pure con cento uomini, diversi volontari del contado di Chiavenna e
parecchi riformati valtellinesi non riuscirono a contenere il nemico. Caddero 24
Bregagliotti, fra i quali il capitano Giovanni Corn. da Castelmur e Dietegen de
Salis, figlio del podestà Guberto de Salis. Gli Spagnoli saccheggiarono per tre
giorni le case degli evangelici di Chiavenna. Il conte Giovanni Sorbelloni, che
era stato eletto comandano della città, intraprese con la sua soldatesca un
campagna nella Bregaglia, dove saccheggiò Castasegna, Bondo e Promontogno, fece
bottino e mise in fiamme i villaggi. Soglio ed il Sopra Porta poterono sottrarsi
alla contribuzione di guerra soltanto promettendo di sospendere il loro culto
fino alla sentenza del duca di Feria. Il parroco di Vicosoprano, che
ugualmente aveva osato di predicare, fu fatto prigioniero e Serbelloni lo
consegno all'Inquisizione di Milano. Quel che non era riuscito né ai domenicani
ed ai gesuiti col loro ammaestramento, doveva ora essere ottenuto con l'aiuto
delle truppe spagnole. Più desolante ancora fu quel che successe nel 1624,
quando truppe papiste marciarono nella Bregaglia coll'ordine del marchese di
Bagno di scacciare i promontori evangelici e di affidare tutte le chiese della
valle ai cappuccini. Ci si può facilmente immaginare la desolazione della
popolazione evangelica, che da 70 anni aveva aderito alla fede protestante,
quando si vide umiliata e spiritualmente martirizzata dai fanatici monaci
protetti da armi straniere. Fu perfino interdetta la lettura di libri
evangelici. Lo due leghe (quella Caddea e quella delle Dieci Giurisdizioni) e In
signorie di Meienfeld votarono di ridare la libertà di fede alla popolazione ed
inviarono a questo scopo Gaspare Sehmid di Grünek e Guberto de Salis, il
giovane, dal marchese: ma furono decisamente respinti. Come avrebbe potuto agire
diversamente un comandante di truppe papiste senza cadere in disgrazia presso i
suoi superiori? Per fortuna questo stato umiliante di cose non durò a lungo.
Come racconta P. D. R. à Porta nella sua Storia Ecclesiastica della Bregaglia,
verso la fine dell'anno comparve il marchese di Creuvre con le sue truppe
francesi: i cappuccini, privati della protezione delle armi papiste ,dovettero
ritirarsi donde erano venuti; i predicatori evangelici poterono nuovamente
occuparsi del loro gregge. Dopo quel tempo turbinoso, a Vicosoprano, al
posto di Plinio Paravicini, che era stato trascinato a Milano, e che aveva
ultimato miseramente la sua vita in un convento, predicò Samuele Paravicini.
La chiusura del capitolato di Milano, che era stato favorevole ben poco ai
Grigionesi, significò per la Bregaglia, come per altre regioni, una liberazione:
si bramava ardentemente la pace. Dopo la partenza degli Spagnoli da Chiavenna,
molti evangelici che erano stati negli anni turbinosi tollerati a Mese, Prada,
Gordona, ritornarono a stabilirvisi. Parecchi di loro lasciarono poi la patria
malsicura e vennero n stabilirsi in Bregaglia, come i Pomatti a Castasegna e i
Giovannettoni n Vicosoprano. I riformati rimasti a Chiavenna celebravano il
culto a Castasegna, dove erano stati costruiti nel 1667 la nuova chiesa ed il
cimitero. Il parroco di Castasegna. come pastore itinerante, si curava anche
delle anime dei fratelli in fede dispersi nella regione di Chiavenna.
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