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STORIA DELLA CHIESA - RIFORME

RIFORME VARIE NELLA STORIA DELLA CHIESA

RIFORMA IN BREGAGLIA
Prefazione
La presente esposizione si articola in tre parti:
•     Un percorso lungo varie stazioni, da San Gaudenzio presso Gasacela fino l confine con l’Italia
•     Un’esposizione nella chiesa di Castasegna e
•     Un’esposizione a Chiavenna.
Le varie stazioni del percorso illustrano temi diversi, senza tenere conto dell’insieme. Lo svolgimento storico potrebbe cosi essere un po’ confuso. Con il presente saggio tentiamo quindi di dare una visione d’insieme sulla storia della Valle e delle sue chiese, dalla Riforma in poi. Speriamo che i diversi aspetti dell’esposizione possano cosi ordinarsi più facilmente nell’insieme.
Che cos’è la Riforma?
Il termine “Riforma” indica bene il suo significato: si tratta della vera forma che la chiesa deve ritrovare. Cristo è il centro al quale essa sempre deve riferirsi. Spesso la sua forma è invece alterata da desideri umani, troppo umani. Bisogna quindi riportare la chiesa a Cristo, perché le dia la forma che Lui ha voluto. “Il più gran pregio della chiesa è che essa non può mai disfarsi del suo fondatore” (Peter Bichsel).
Gesù Cristo è l’unica sorgente di salvezza: questo e il messaggio della Riforma. Chi vuole reggere al cospetto di Dio, non può fare affidamento sulle sue forze, ma deve affidarsi a Cristo.
Qual e la tua unica consolazione in vita e in morte? Che il corpo e l’anima mia, in vita e in morte, non appartengono a me, ma sono del mio Salvatore, Gesù Cristo... (Dal Catechismo riformato di Heidelberg, dom. 1).
I riformatori non ebbero mai l’intenzione di fondare una nuova chiesa. Essi speravano che, proprio quella chiesa alla quale essi appartenevano dalla nascita, potesse rinnovarsi. La scissione avvenne contro la loro volontà. Riformare era per loro il compito d’ogni cristiano. Questo compito resta più che mai attuale: confrontati con le sfide del nostro tempo, tutti noi siamo chiamati a riformare la chiesa.
“La vera unione trova in Te, Signore, il suo principio e il suo fine. Ogni volta che ci hai dato pace e concordia Ti sei anche rivelato come l’unico vincolo d’unione” (Giovanni Calvino).
Come riconoscere la vera forma della chiesa? I riformatori hanno indicato tre aspetti:
Pregare insieme di essere illuminati dallo Spirito Santo ascoltare la Parola di Dio quale e testimoniata nelle Sacre Scritture rievocare Cristo mediante la Santa Cena,
La chiesa è una comunità che riunisce uomini e donne con doti diverse. Ognuno dà il suo contributo. Le decisioni sorgono dal dialogo e dallo scambio d’idee e non vanno prese dal singolo, bensì dalla comunità. Il fine e sempre quello di dare alla chiesa la sua vera forma.
La chiesa può sbagliare: ha commesso degli errori e può tornare a commetterne. Essa, però, ha la promessa che “Dio è fedele”. Egli porterà sempre la Sua Parola a manifestarsi. La chiesa vive di risurrezioni.
Confini, comuni e tribunali
L’attuale confine fra la Bregaglia e l’Italia, che corre lungo due affluenti della Maira a Castasegna, risale all’imperatore Ottone I. Per assicurarsi il passaggio del Settimo, nel 960 egli assegnò il territorio superiore alla sovranità del vescovo di Coira. Fino allora la Bregaglia aveva fatto parte della diocesi di Como, che mette lungamente in questione questo confine, senza ottenerne però la rimozione. Il vescovo delegava i diritti sulle strade a famiglie della Valle: ai Prevosti, Torriani, Castelmur e Salis. Questi dovevano impegnarsi a garantire il transito sul valico del Settimo. Un contratto del genere venne per esempio stipulato nel 1387 con la famiglia Castelmur. Il territorio si suddivide in due parti: Sopraporta e Sottoporta. Il nome Porta designa la strozzatura fortificata sopra Promontogno, dove una volta si riscuotevano i pedaggi stradali.
Nel corso dei secoli la Bregaglia acquistò una certa indipendenza nei confronti del vescovo di Coira. A partire dal 14° secolo venne governata da un podestà locale. La regione formava dapprima un’unica circoscrizione; nel 15° secolo questa si suddivise in due comuni. Il comune di Sottoporta ebbe il suo tribunale amministrativo indipendente. Il tribunale penale restava invece unificato ed aveva la sua sede nel pretorio di Vicosoprano.
Nel medioevo la Bregaglia formava un’unica parrocchia. Nossa Donna a Castelmur, il promontorio che divide Sopraporta da Sottoporta, era la chiesa madre della Valle. Vi risiedeva un arciprete, nominato dal vescovo di Coira. Nei singoli villaggi esistevano piccole chiese o cappelle, servite da cappellani. Nel 1520 ce n’erano otto.
La Riforma portò profondi cambiamenti nella struttura ecclesiastica. Il comune di Sopraporta s’apre per primo ai moti riformatori. Già nel 1532 Bartolomeo Maturo vi fonda una comunità riformata. Sottoporta aderisce alla nuova fede soltanto venti anni dopo. La grande importanza che la Riforma attribuiva alle comunità locali,  contribuisce a dare loro una maggiore importanza.
Nei singoli villaggi si nominarono dei parroci; ci furono ben presto tre parroci a Sopraporta ed altrettanti a Sottoporta. Nel 17° e nel 18° secolo si costruirono nuove chiese a Castasegna, Stampa, Borgonovo, Vicosoprano e Gasacela. Il santuario di San Gaudenzio e la chiesa parrocchiale di Nossa Dona vengono invece abbandonate e cominciano ad andare in rovina. Solo nel 19° secolo rinacque l’interesse per i vecchi edifici. Nel 1839 il barone Giovanni de Castelmur acquistò la zona fortificata della Porta e la fece restaurare quale simbolo della Valle.
La Riforma in Bregaglia
Fin da tempi remoti la Bregaglia e stata una via di comunicazione. La strada che proviene da sud si biforca a Chiavenna: a sinistra conduce a nord sopra il valico dello Spluga, a destra sopra il Settimo o il Maloja. I due tracciati confluiscono a Coira per proseguire verso Zurigo e il Lago Bodanico. Già nel quarto secolo la vai Bregaglia era percorsa da una strada romana ed essa restò per secoli uno dei principali passaggi sopra le Alpi. La storia della Bregaglia e indissolubilmente legata alla storia della sua strada. La Valle e sempre stata aperta agli influssi provenienti sia da sud che da nord.
Il cristianesimo giunse in Bregaglia da sud (4° secolo). Uno dei più importanti evangelizzatori fu Gaudenzio, vescovo di Vercelli, nell’Italia settentrionale. Più strano è il fatto che pure la Riforma entrò in Valle da sud. La conversione avvenne nella prima meta del 16° secolo ad opera di profughi italiani che erano passati alla nuova fede. Il contatto con la Riforma a nord delle Alpi (Coirà, Zurigo e Ginevra) si stabili solo in un secondo momento. All’epoca della Riforma l’attuale Grigioni formava uno stato autonomo (Rezia) che comprendeva tré leghe: la Lega Caddea, la Lega delle dieci Giurisdizioni e la Lega Grigia. Dall’inizio del 16° secolo la Rezia dominava sulle terre soggette di Chiavenna, Bormio e Valtellina. Le grandi potenze dell’epoca, sia la Spagna e l’Austria che la Francia e Venezia, sollecitavano l’alleanza della Rezia per assicurarsi il passaggio sulle Alpi.
Nel 16° secolo la crescente repressione dei moti riformatori in Italia spinse molti esuli verso la Repubblica retica. Il messaggio della Riforma trovò un’eco, sia nelle Valli meridionali come pure nei paesi soggetti; richiamò pero sempre maggiormente in causa anche le forze della Controriforma. Nel corso dei torbidi dei Grigioni (1618-1639) la Rezia dovette cedere temporaneamente alla Spagna il dominio sulle terre soggette; lo riconquistò con il Capitolato di Milano (1639) a condizione che la pratica della confessione riformata vi restasse vietata.
Nell’era napoleonica il dominio della Rezia su Chiavenna, Bormio e la Valtellina andò perso per sempre. Le terre soggette passarono alla Repubblica Cisalpina per fare poi parte dell’attuale Italia. Soltanto allora il confine a Castasegna divenne frontiera statale. La Bregaglia si orienta sempre più verso nord. Quando il Grigioni entrò a far parte della Confederazione (1803) la situazione cambia di nuovo: la capitale dove si prendevano le decisioni di politica estera non era più Coira, bensì la lontana Berna. Con l’apertura del Gottardo, i valichi del Settimo e del Maloja perdono gran parte della loro importanza. La Bregaglia divenne sempre più una valle periferica fuori mano.
Gli esuli italiani
A partire dal 1540 furono sempre più numerosi i profughi che cercarono asilo a Chiavenna. Fra questi c’era Agostino Mainardi (1482-1536), il quale guidò per oltre due decenni la comunità riformata nella città. Il numero dei seguaci andò man mano aumentando e negli anni successivi le comunità, in città e nei dintorni, diventarono cinque. Nei primi decenni di Riforma quasi tutti i parroci delle comunità evangeliche di Bregaglia, provengono dall’Italia. A conferma citiamo qualche esempio: Tommaso Casella, già monaco carmelitano, da Genova; Guido Zonca daVerona e Giovanni Antonio Cortese (Gasacela); Baitolomeo Maturo, già frate dominicano, da Cremona; Giulio della Rovere da Milano; Pier Paolo Vergerio da Capodistria; Aurelio Scitarca dal Veneto e Luca Donato da Firenze (Vicosoprano); Lorenzo Martinengo e suo figlio Alberto dalla Dalmazia (Stampa); Girolamo Turriani da Cremona (Bondo); Giovanni Marra da Napoli (Castasegna); Lattanzio da Bergamo; Michelangelo Florio e Giovanni Marci da Siena (Soglio).
Molti di questi esuli italiani avevano appartenuto ad un ordine monastico ed erano stati portati dal loro studio personale ad abbracciare la Riforma. Spesso erano entrati in conflitto con le autorità ecclesiastiche. Alcuni erano strati denunciati all’Inquisizione e condannati. Qualcuno di loro aveva percorso un lungo cammino, prima di giungere nella libera Repubblica reta. La diversità della loro provenienza comportava che gli esuli italiani  rappresentassero un ampio spettro di correnti teologiche. Gli uni confessavano la fede evangelica classica: questi venivano assunti dalla chiesa ufficiale quali predicatori. Gli altri sostenevano opinioni ritenute eretiche: erano battisti, anti-trinitari oppure convinti di avere ricevuto dallo Spirito Santo una particolare illuminazione. I conflitti furono inevitabili. A Chiavenna ci furono polemiche su polemiche e il Sinodo retico nutriva spesso dei dubbi sulla professione di fede dei parroci italiani. Come a Coira, cosi pure nei centri riformati di Zurigo e Ginevra, questi erano guardati con sospetto. Ma nel contempo il loro impegno personale era tenuto in grande considerazione. Molti di loro proseguirono presto il loro cammino verso Zurigo, Basilea, Ginevra, Lione, Strasburgo, Heidelberg, Francoforte, Anversa e Londra. Alcuni dei dissidenti si rifugiarono in Polonia.
I predicatori s’impegnarono a promuovere la cultura nelle Valli grigionitaliane. Le loro prediche e l’insegnamento che impartivano diedero a tutti la possibilità di leggere la Bibbia. Consolidarono cosi l’uso dell’italiano quale lingua scritta e diffusero la conoscenza sia dell’antichità che della cultura italiana.
Pier Paolo Vergerio (1498-1565): nunzio pontificio, vescovo, riformatore religioso
Pier Paolo Vergerio nacque a Capodistria nel 1498. Dopo gli studi giuridici a Padova entra nella magistratura veneziana. Mortagli la moglie, Diana Contarmi, si pose al servizio della chiesa. Fu nunzio pontificio a Vienna e in Germania nel 1535, con l’incarico di convincere i principi protestanti tedeschi a partecipare al concilio. Per i servizi resi venne ricompensato con la nomina a vescovo di Modrus in Croazia e quindi di Capodistria, sedi vescovili povere di risorse economiche. Disilluso da tale trattamento, accettò l’ospitalità di vari principi italiani e del re Francesco I di Francia, per incarico del quale partecipa al colloquio di religione di Worms-Ratisbona (1540-1541). In questo periodo entra in contatto con influenti prelati come i cardinali Gasparo Contarini e Reginaid Pole, che nutrivano la tenace speranza di una graduale riforma della chiesa.
 Conobbe inoltre personalità di spicco del protestantesimo come Filipppo Melantone, Martin Bucero. Rientrato nella diocesi di Capodistria, vi iniziò una vigorosa riforma dottrinale, morale e disciplinare che gli procurò l’accusa di eresia. Con abili manovre legali riuscì a sfuggire al processo, ma braccato dall’inquisizione, abbandonò l’Italia nel maggio 1549.
Dopo brevi soggiorni a Chiavenna, Coira, Poschiavo e Basilea, nel gennaio 1550 Vergerio accettò l’invito della comunità riformata di Vicosoprano di diventarne il pastore. Nei tre anni e pochi mesi trascorsi a Vicosoprano la sua eloquenza, la fama delle prestigiose cariche rivestite e di cui si era volontariamente spogliato per abbracciare la fede evangelica attrassero una quantità di persone dai villaggi vicini e facilitarono l’evangelizzazione della Valtellina e dell’Engadina. Egli mise inoltre la sua vasta cultura e i suoi doni di polemista al servizio del popolo di montanari che lo ospitava. Scrisse non meno di quaranta trattati divulgativi ed opere di controversia, tra cui: Uno brieve et semplice modo per informar li fanciulli nella religione christiana fatto per uso delle chiese di Vicosoprano ed altri luoghi di Valle Bregaglia” (1551) e la ‘Historia di M. Francesco Spiera’ (1551), opera che gli procuro fama europea. Il suo stesso zelo di propaganda religiosa nella zona di Bondo, Soglio, Casaccia e fino a Chiavenna lo portò a voler assumere una posizione di preminenza.
Agiva come un vescovo, stabilendo nuovi pastori nelle località evangelizzate, si ingeriva nella vita delle chiese di lingua italiana nei terrori soggetti alle Tre Leghe, provocando l’irritazione non soltanto dei pastori locali ma anche dei dirigenti ecclesiastici, a cominciare dall’influente Gallicius di Coira. Consapevole del suo crescente isolamento, Vergerio non si trattenne più a lungo in questo campo di lavoro che fu certo fecondo, anche se non privo di dolorose esperienze.
Nella primavera del 1553, Vergerio accettò l’invito del duca Cristoforo del Wuerttemberg di trasferirsi a Tubinga come consigliere. Intraprese vari viaggi in Germania, Austria e fino in Polonia per pacificare il protestantesimo polacco travagliato dai dissensi suscitati dagli esuli italiani. Né meno intensa fu la sua attività di pubblicista. In collaborazione con l’esule sloveno Primus Trubar organizzò una tipografia ed un istituto per la traduzione, la pubblicazione e la diffusione della Bibbia in sloveno e croato, oltre che di numerosi testi della Riforma, tra cui il Piccolo catechismo di Luterò e il Beneficio di Cristo’, il gioiello teologico della Riforma italiana. Vergerio mori il 4 ottobre 1565, all’età di 67 anni.
La Riforma a Soglio
Soglio era la sede dalla famiglia Salis e, come tale, rivestiva una particolare importanza per la Valle. Mentre il comune di Sopraporta era passato alla Riforma, il villaggio di Soglio restava ancora fedele alla vecchia confessione.  Alcuni membri della famiglia Salis avevano abbracciato la nuova fede, in particolar modo Èrcole Salis (1503-1578) che si era fatto uno dei principali promotori della Riforma a Chiavenna. Altri rappresentanti della famiglia restavano indecisi; essi erano in buoni rapporti con la Curia romana. Ancora nel 1568 Battista Salis ricevette dal papa il titolo di “cavaliere dell’Ordine dello sprone d’oro” e lo stesso privilegio venne concesso tre anni dopo anche al suo figlioletto Battista. La spinta verso la Riforma provenne invece dal popolo. Il 2 gennaio 1553 Pier Paolo Vergerio scriveva al riformatore zurighese Heinrich Bullinger: “In Bregaglia c’è un paese di nome Soglio. Vi abitano molti potenti sostenitori del papa. Ma Dio e stato più potente di loro, perché da otto giorni e stata abolita la messa. E l’iniziativa e venuta dalla povera gente, quella che agli occhi del mondo conta poco. Prodigioso e il nostro Dio.” Che cosa era avvenuto? Con il suo comportamento, il prete di Soglio aveva suscitato il risentimento della popolazione, specialmente di donne e madri.
Si era levato un grido che chiedeva un cambiamento radicale. La famiglia Salis acconsenti infine a lasciare la decisione alla comunità. Incoraggiata dalle donne, la gioventù indisse una riunione. Il giorno di Natale 1552 essa decise di assumere un predicatore. Come in tanti altri posti, anche a Soglio il passaggio alla Riforma scaturì da un moto del popolo. Anche qui le donne ebbero un ruolo determinante. L’iniziativa della gioventù fu onorata da un mandato: fra i cinque giurati che Soglio mandava al tribunale penale, uno doveva essere reclutato fra i giovani (iuventutis iudex).
Nei decenni seguenti anche la famiglia Salis passò alla Riforma. Grande sensazione suscitò la conversione di Battista von Salis. Scosso dalla grave malattia di suo figlio e poi dalla propria, egli trovò sostegno nella fede riformata e rinunciò a tutti i privilegi papali (1572). La sua tomba si trova nel coro della chiesa. Da allora la famiglia fu una delle maggiori promotrici della chiesa riformata. In questo contesto sono soprattutto da nominare Battista junior e sua moglie Barbara von Meiss da Zurigo. Fin da giovane egli aveva rivestito importanti cariche. Quando nel 1621 truppe spagnole e austriache invasero i paesi soggetti, egli assunse il comando della difesa. 
Gli spagnoli riuscirono comunque ad occupare sia Chiavenna che la Bregaglia. Sembro allora che la Riforma potesse essere repressa nella Valle. Il palazzo Salis a Soglio fu distrutto. Battista Salis e sua moglie fuggirono verso Avers, valicando il passo Bregalga, e raggiunsero Zurigo. Ma la guerra si decise infine in loro favore. Battista e sua moglie tornarono a Soglio, dove vissero fino al 1538. Sono loro che fecero costruire l’attuale palazzo “Casa Battista”.
Decenni di guerre, torbidi e violenza
In Italia i riformati erano esposti a persecuzioni; per questo motivo essi fuggivano dal loro paese. Gli esuli giungevano da noi per vie malfide; qualcuno di loro aveva subito il carcere; tutti avevano patito molti disagi. Un numero considerevole di riformati non faceva invece in tempo a sfuggire alle condanne dell’Inquisizione e veniva giustiziato. Con il consolidarsi della scissione s’inasprirono pure i conflitti fra le confessioni. Per i riformati grigioni si trattava di guadagnare alla nuova fede altri tenitori, cioè i paesi soggetti; i cattolici, da parte loro, cercavano in tutti i modi di arginare almeno “l’eresia riformata”, se non era possibile di estirparla completamente. Nel contrasto fra le confessioni si insinuavano interessi politici. Anche i conflitti per il controllo dei valichi assumeva un aspetto religioso. L’Austria e la Spagna, che dominava allora su Milano, sostenevano il partito cattolico; Venezia e la Francia cercavano di rafforzare la parte riformata.
 Per la Spagna soprattutto si trattava di assicurare sia il passaggio sui valichi che la salvezza della anime. A partire dal 1618 si ebbero tempi funesti. Il tribunale penale dei Grigioni a Thusis indisse pene tremende a parecchie persone sospettate di cospirare con la Spagna. In queste condanne i pastori riformati ebbero un ruolo nefasto. L’arciprete Nicolo Rusca di Sondrio mori sotto tortura. Fra i condannati per cospirazione ci fu anche Prevosti, una stimata personalità evangelica di Bregaglia.
Due anni dopo, nel luglio del 1620, avvenne il .massacro di Valtellina’. In varie località della valle bande di eccitati assassinarono circa 300riformati. Un grido d’orrore corse per l’Europa. Vincenzo Parivacini, più tardi parroco a Bondo e Castasegna, dette un’estesa descrizione del massacro in un testo stampato a Zurigo e poi tradotto in varie lingue. Questi fatti richiamarono alla memoria di molti evangelici la notte di San Bartolomeo a Parigi. Il ricordo di tali violenze ha avvelenato a lungo le relazioni fra le due confessioni.
Negli anni seguenti i conflitti armati ebbero fortune alterne. Quando la Bregaglia venne temporaneamente occupata e devastata da truppe spagnole, sembrò che la Valle potesse venire ricondotta al cattolicesimo. L’accordo fra i contendenti giunse nel 1639 con il Capitolato di Milano. La Spagna riconobbe alla Rezia il dominio sulle terre soggette, a condizione che vi fosse però riconosciuta la sola religione cattolica. Si determinavano cosi dei confini confessionali. Nei paesi soggetti i riformati erano tollerati come persone, ma non potevano celebrare il loro culto. Il parroco di Castasegna divenne quindi responsabile anche dei riformati di Chiavenna.
Caccia alle streghe in Bregaglia
La credenza che certe disgrazie e malattie siano opera di stregoneria e diffusa in molte culture. Nell’Europa del 15° secolo, alle soglie dell’era moderna, tale credenza suscitò una vera ossessione delle streghe, ossessione che doveva protrarsi per più secoli. Anche la chiesa riformata ne fu contagiata. Quando una malattia sconosciuta colpiva gente o bestiame si sospettava che il danno fosse stato perpetrato da uomini, ma soprattutto da donne, che si servivano di forze occulte.
Si era ampiamente diffusa tutta una serie di credenze. Si sosteneva che le streghe avessero commercio con il diavolo, che partecipassero alle tregende (“barioni”), che fossero state dotate dal diavolo di ogni genere di forze sovrannaturali. Il sospetto di stregoneria ricadeva spesso su persone emarginate dalla società.
In Bregaglia i processi alle streghe iniziarono soltanto nella seconda meta del 17° secolo. Vi furono giustiziati complessivamente più di venti streghe e stregoni: decapitati o arsi sul rogo. Le confessioni venivano di solito estorte con la tortura. In questo modo gli accusati finivano con l’ammettere quello che i giudici volevano sentire. Alcuni accusati morivano sotto tortura. Secondo gli atti del tribunale di Vicosoprano, in data di agosto 1669 Catarina Sollara confessava di aver partecipato ad un barlot, durante il quale il diavolo l’aveva sposata ad un uomo di nome Giacomo, il quale le aveva dato un anello d’oro che si era poi rivelato semplice paglia intrecciata. Confessava di avere avuto commercio sessuale con il diavolo, di non aver provato però nessun piacere, contrariamente a quanto avveniva con suo marito. Confessava inoltre di avere ricevuto dal diavolo un bastone e un vaso con un unguento nero e maleodorante per contaminare uomini e bestiame.
Una prima serie di processi ebbe luogo negli anni 1654/55, una seconda nel biennio 1668/69. Un processo n’attirava un altro perché, sotto tortura, l’accusato denunciava presunti complici. L’ultimo processo si celebra nel 1688. Le streghe erano condannate da tribunali civili: la chiesa non era direttamente coinvolta. Ma all’epoca stato e chiesa non erano nettamente distinti. Autorevoli rappresentanti del clero ritenevano che lo sterminio delle streghe fosse opera giusta e pia. Ancora nel 1742 Nicolin Sererhard, uno stimato parroco grigione, scriveva: “Gente che si crede saggia... afferma che la stregoneria non sia che immaginazione... In verità le autorità ecclesiastiche farebbero molto bene di appuntare, più energicamente di quanto non faccia, le loro spade contro tale gente perniciosa e pericolosa: questo contribuirebbe a mettere fine al regno di Satana per la gloria di Dio”.
Verso la fine del 17° secolo l’opposizione ai processi alle streghe si fece sempre più decisa, anche da parte delle chiese. Nel 18° secolo si ebbe soltanto qualche processo isolato.
Tre diverse personalità ecclesiastiche
Giacomo Picenino (1654-1714)
II suo impegno si rivolse tanto alla purezza della dottrina quanto alla profondità della devozione. Nato in Engadina, Giacomo Picenino studiò per tre anni filosofia e teologia all’università di Basilea. Fu parroco a Sils, Gasacela e per molti anni a Soglio (1679-1714). Egli deve la notorietà specialmente ai suoi trattati sistematici in difesa della fede riformata, criticata dai gesuiti. I titoli ne indicano chiaramente il contenuto: Apologia per i riformati e per la religione riformata contro le invettive di F. Panigarola e Paolo Segneri (1706) e Trionfo della vera religione contro le invettive diAndrea Semery Gesuita (1712).  Questi trattati furono molto apprezzati nei circoli riformati. Il secondo fu stampato a Ginevra e Benedici Pictet, rettore dell’Accademia teologica in quella città, recensì l’opera con grande elogio. Ortensia von Salis inviò un esemplare dell‘Apologia con dedica personale al borgomastro di Basilea. Picenino non si occupava però soltanto di ortodossia. Nella prefazione rivolta alle Tré Leghe si legge: «Felici pure chiese riformate, se alla verità della dottrina aggiungete la santità della vita, alla riformazione degli errori la riformazione dei vizi.” In breve questo significa: Io credo che la Parola di Dio sia la regola del credere e  dell’operare. Picenino non professava quindi una rigida ortodossia formale. Egli s’impegnò per un approfondimento della devozione,  promuovendo il raccoglimento e la preghiera domestica. Già da giovane aveva tradotto dal tedesco un libro di preghiere dal titolo “Sospiri spirituali”. Mori nel 1714 e venne sepolto nella chiesa di Soglio,
 Gian Battista Frizzoni (1727-1800)
Una personalità del tutto diversa fu Gian Battista Frizzoni, rappresentante del pietismo, vale a dire di quel fervore che consisteva soprattutto nell’approfondire l’esperienza interiore della redenzione in Cristo. Anch’egli proveniva dall’Engadina. Dopo aver studiato a Ginevra e Zurigo, fu assunto quale precettore dal luogotenente Rudolf von Salis a Soglio e, all’età di 21 anni, fu nominato parroco a Bondo. Le sue prediche, ma specialmente la sua gran devozione, fecero un’impressione profonda e provocarono delle conversioni. La sua fama oltrepassò i confini della Valle. Nel 1757 egli ricevette la visita di David Cranz, un pietista inviato dal grande centro Herm-hut in Germania, che percorreva il Grigioni alla ricerca di spiriti affini. Anche Cranz restò profondamente impressionato da Frizzoni. Ma, non da ultimo a causa sua, nacquero presto dei malumori nel villaggio. Mettendo l’accento sulla redenzione in Cristo e soprattutto sulla conversione personale, Frizzoni destò in alcuni l’impressione che egli distinguesse i cristiani in due classi e dividesse cosi la comunità.
Frizzoni fu energicamente sostenuto da Cranz e i “risvegliati” si riunirono in particolari assemblee (cosiddette conventicole). Scoppiò allora una vera lite. Ai pietisti si rimproverava di riternersi gli unici veri cristiani e di disprezzare quelli che non erano passati per il risveglio. Ma l’amore di Dio e l’annuncio della giustificazione per fede non erano forse rivolti ad ognuno? Si formarono partiti opposti e le turbolenze non accennavano a sedarsi. Si narra che gli avversari di Frizzoni fecero venire da Soglio una banda di picchiatori, che questi però, dopo aver assistito alla predica di Frizzoni, passarono dalla sua parte: “Adesso abbiamo sentito noi stessi la sua predica. Voi non meritate un pastore tanto valido.” Il Consiglio ecclesiastico licenziò comunque Frizzoni. Egli lasciò Bondo e trascorse il resto della sua vita quale parroco a Celerina. Frizzoni coltivava molti interessi. Aveva per esempio anche delle conoscenze in medicina. La sua grande vocazione era però il canto ecclesiastico. Già a  Bondo cominciò a tradurre in italiano inni pietistici e a farli cantare dalla comunità. A Celerina tradusse poi molti inni in romancio. Nel 1789 pubblicò un libro di canto dal  caratteristico titolo “Testimoniaunza dall’amur stupenda da Gesù Cristo vers pchiaduors umauns” (Testimonianza dell’amore miracoloso di Gesù Cristo per i peccatori umani). Una riedizione dei salmi di Davide, uscita nel 1790 a Vicosoprano, fu ampliata con 34 inni sacri, tutti composti da Frizzoni. Anche se allontanato da Bondo, restò sempre fedele alle comunità evangeliche di lingua italiana.
Petrus Dominicus Rosius a Porta (1733-1806)
La figura di a Porta rappresenta una direzione spirituale ancora diversa. Profondamente dedito alla tradizione riformata, egli assunse un ruolo di mediatore fra le diverse tendenze delle chiese nel Grigioni. Fu influenzato dall’illuminismo e si adoperò per la tolleranza. Per tutta la vita si preoccupò dei diritti delle minoranze, soprattutto di quelle riformate nei paesi soggetti. La giustizia fu il metro delle sue azioni. Senza essere lui stesso pietista, cercò delle mediazioni nel cosiddetto contrasto di Hermhut, scoppiato attorno alla figura di Gian Battista Frizzoni. Il suo merito maggiore risiede però nella storiografia. Dal 1771 al 1777 pubblicò la Historia Reformationis Ecclesiarum Rheticarum, la prima storia coerente delle chiese riformate nel Grigioni. Fu infaticabile nel raccogliere il materiale necessario e quest’opera resta determinante fino al giorno d’oggi. Anche se il suo punto di vista riformato traspare ovunque, è evidente che egli si preoccupava di dare sempre un giudizio equo. La sua opera, scritta in latino, era evidentemente destinata agli studiosi e non al popolo. Rosius a Porta proveniva da una stimata famiglia della Bassa Engadina. I suoi studi lo portarono prima a Berna, in seguito anche in Ungheria e in Olanda. Parlava, o almeno capiva, otto lingue. Le esperienze dei suoi anni di studio furono decisive. Il destino dei riformati  in tutta Europa gli stette sempre a cuore e specialmente di quelli in Ungheria. I suoi colleghi lo chiamavano “l’Ungherese”. Nel 1756 entrò in servizio delle chiese retiche. Dal 1781 al 91 fu parroco a Castasegna, dove era pure responsabile dei riformati di Chiavenna. Fu poi per dieci anni a Soglio, nel periodo movimentato in cui i Grigioni persero i paesi soggetti. Era parroco a Zuoz, quando morì nel 1806.
Hortensia Gugelberg von Moos nata von Salis (1659-1715)
Nel 1695 Hortensia Gugelberg von Moos pubblicò a Zurigo una disputa teologica, scritta in tedesco. La traduzione approssimativa del titolo e: Dichiarazione di fede di una nobile dama evangelica riformata, stesa su cortese richiesta di un distinto ecclesiastico di fede cattolico romana; esaminata e discussa in 8 capitoli nel presente nuovo libretto chiamato “Messblum”. Editore era un noto teologo zurighese, Johann Heinrich Schweizer (1646-1733). “Messblum” fece una certa sensazione, soprattutto perché si trattava di una donna che osava esprimersi su argomenti teologici e lo faceva addirittura pubblicamente.
Da queste riserve l’autrice si difese pubblicando una “Risposta scritta”. Sostenne il suo diritto personale, come pure quello delle donne in generale, di esprimere pubblicamente la loro opinione. Esordi concedendo: “So bene che noi dobbiamo essere brave casalinghe,
che il nostro compito e quello di filare e cucire e che non dobbiamo occuparci dell’inutile erudizione, che suscita più domande che edificazione religiosa”, per presentare poi, una dopo l’altra, una serie di donne bibliche che illustrano come l’erudizione si addica invece alle donne. Lei stessa era straordinariamente dotta per la condizione femminile del suo tempo. Di lei si conoscono solo poche pubblicazioni: la Dichiarazione di fede (1695), i Colloqui conversazioni (1696), le Meditationes recentemente scoperte (1715), tre poesie stampate ed alcune lettere in vari archivi.
Hortensia nacque nel 1659 quale primogenita di Gubert von Salis-Soglio e di Ursula von Salis-Maienfeld. A 23 anni sposò il cugino Rudolf Gugelberg von Moos, capitano al servizio della Francia. Restata vedova senza prole, continuò a vivere nella casa del marito a  Maienfeld (GR). Diverse fonti testimoniano che era versata in medicina, che curò molti malati e che si guadagnò la reputazione di esperta terapeuta ben oltre gli stretti confini della sua patria. Hortensia Gugelberg mori a 56 anni. Le poesie stampate in appendice all’orazione funebre sono numerose ed elogiano con enfasi barocca la sua erudizione.
 In esse Hotensia viene detta “gloria della patria / lode delle donne / il più bei fiore della chiesa / eccellente d’intelletto / di grande spirito e temperamento / edotta in tutte le scienze / miracolo del nostro tempo / famosa e conosciuta dagli studiosi d’ogni dove.”
Si fanno i nomi di Galene, Cicerone, Fiatone, addirittura di Cartesio e la si paragona ad Anna Schurmann e Madeleine de Scudery, con le quali però non condivide oggi la gloria.
Sulla storia del canto ecclesiastico in Bregaglia
II canto ebbe un ruolo importante nelle comunità evangeliche. Fin dagli inizi della Riforma gli inni costituirono una parte integrante del culto. Sia Martin Lutero che Ulrico Zwingli composero dei testi per gli inni da cantare in chiesa. Anche Giovanni Calvino riservava molto spazio al canto. A Ginevra si musicarono testi biblici, cioè Salmi e altri testi in forma metrica. Le parole erano composte soprattutto da Clement Marot e Theodore de Beze, le melodie da Louis Bourgeois e Claude Goudimel. Il Salterio ginevrino diventò in molti paesi il segno distintivo delle chiese riformate. In ogni innario si trova tutt’ora almeno una scelta di questi salmi. I salmi ginevrini furono tradotti anche in italiano e vennero sicuramente cantati pure in  Bregaglia. Nel 18° secolo si fecero nuove traduzioni che si stamparono in Valle o almeno a questa si destinarono. I libri di canto venivano messi a disposizione di ogni membro della comunità.
Nel 1740 usci a Strada in Engadina il Salterio ginevrino tradotto da Andreas Planta, parroco a Castasegna dal 1736 al 1745, poi emigrato in Inghilterra. Il libro e dedicato alla Bregaglia:  “Mi spinse, O mia Pregallia! Amore e fede /Dopo lunga fatica, e molti stenti / A darti in stampa i Salmi susseguenti / Opra, ch’a la tua salute Eterna riede.
Nel 1750 segui il salterio del “signor Casimiro” di Chiavenna. Poco dopo, nel 1753, usci una riedizione del salterio con un’aggiunta di canti sacri. Fu stampato a Soglio dal tipografo ambulante Jacob Nuot Codino, su commissione della  famiglia Salis.
Nel 1790 un altro tipografo ambulante, Gisep Bisca, stampo a Vicosoprano un nuovo salterio: “I salmi di Davide in metro toscano”. Anche in questo libro la raccolta di salmi e seguita da “inni moderni”. La traduzione degli inni e dovuta a Gian Battista Frizzoni. Fin da quando era parroco a Bondo, questi aveva iniziato a tradurre nuovi inni in italiano. Le esigenze che questi salteri ponevano al coro della comunità erano molto alte. I salmi ginevrini erano musicati a quattro voci e bisogna supporre che venissero cantati in questo modo. Gli inni sacri, che interrompevano la prevalenza dei salmi, erano invece a tre voci. Questo nuovo modo di cantare era stato sviluppato in Germania non senza l’influsso delle arie d’opera.
Un libro di canto completamente rinnovato usci nel 1865, su iniziativa del barone Giovanni de Castelmur. Fu redatto dal parroco Giovanni Pozzi di Poschiavo. La tradizione dei salmi si è ora affievolita. Attualmente l’interesse della chiesa e più rivolto ai problemi connessi alla fede e alle varie situazioni della vita cristiana.
II barone e la baronessa de Castelmur
Dalla strada a ovest di Stampa si scorge, sul lato opposto della valle, il palazzo Castelmur; un imponente edificio rossastro fiancheggiato da due torri merlate. Il passante si chiederà da dove provenga quel corpo estraneo nel paesaggio della Bregaglia. Lo strano edificio venne eretto dal barone Giovanni de Castelmur. Nel 1827 egli acquistò una casa patrizia a Coltura e la trasformò nell’attuale castello. Al suo interno il vecchio edificio resta ben riconoscibile.
Chi era il barone Giovanni de Castelmur? I Castelmur erano un vecchio casato bregagliotto. La famiglia di Giovanni si era stabilita da generazioni a Marsiglia e si era arricchita con la gestione di una pasticceria. Lui stesso era nato in quella città nel 1800 e vi aveva trascorso la fanciullezza; parlava perfettamente francese. Restò però per tutta la vita profondamente legato ai Grigioni e alla Bregaglia. Ricevette da Napoleone III il titolo di barone per meriti filantropici. Sua moglie Anna, nata nel 1813, pure una Castelmur, era sua cugina di primo grado. Si sposarono nel 1840 e non ebbero figli. La lapide funebre a Nossa Dona denomina la baronessa .moglie dell’avventuroso Giovanni de Castelmur’. L’epiteto e appropriato nel senso che Giovanni fu uno spirito molto versatile e intraprendente. Impiegava le sue forze e i suoi averi per il bene pubblico ed era conosciuto come benefattore. Sostenne la scuola pagando vario materiale ed anche la retta scolastica dei bisognosi. Partecipò al finanziamento di una stazione telegrafica a Castasegna e fece migliorare a proprie spese la strada che porta da Stampa a Coltura.
Finanziò la stampa di un nuovo libro di canto per la parrocchia riformata. Nel già menzionato restauro della chiesa di Nossa Dona investì somme considerevoli. Da giovane Giovanni de Castelmur pubblicò in francese e italiano il trattato Alcune riflessioni politiche (1830), dove il barone enuncia un suo programma. Lo spirito che lo pervade viene espresso nella prefazione: “Elettrizzato del sentimento che ci rende cittadini della confederazione e non di un distretto, d’un comune, d’una valle, d’un cantone, sentimento che ci unisce quando respiriamo e ci fa portare su tutti i mèmbri della nostra bella patria quello sguardo filantropico”.
La sua critica alle condizioni vigenti, spesso condotta con toni aspri, sollevò delle opposizioni che lo costrinsero a ritirare la pubblicazione. Nel 1844 fu eletto podestà della valle. Morì nel 1871 a Nizza e venne sepolto nella chiesa di Nossa Donna.
La vedova prosegui l’opera sua. Come prima cosa istituì un legato per permettere agli insegnanti bregagliotti di approfondire lo studio della lingua in Italia. Nel 1873 creò una fondazione per il mantenimento della zona fortificata della Porta. Grazie ad una sua generosa offerta fu possibile edificare l’asilo di  Flin, presso Spino. on l’eredita lasciata alla sua morte si costruì il ponte che congiunge Coltura alla strada principale, ancora oggi chiamato “ponte della Baronessa”. Venne sepolta pure lei nella chiesa di Nossa Dona.  “Ho sempre più il bisogno di venire in aiuto al povero e  bisognoso; questa e la mia precisa volontà e credo anche il mio dovere.”
Giovanni Andrea Scartazzini (1837-1901)
Pastore evangelico e studioso di Dante
Nella sua giovinezza Scartazzini ebbe consuetudine con due libri: la Bibbia, che il padre gli aveva insegnato a leggere fin da bambino e la Divina Commedia regalatagli dal padrino. Questi due libri l’accompagnarono per tutta la vita. All’età di 19 anni Giovanni Andrea Scartazzini lasciò Bondo per studiare all’Istituto delle missioni evangeliche di Basilea. Ben presto aderì alle tendenze liberali della teologia dell’epoca. Prosegui gli studi alla facoltà di teologia di Basilea e Berna. Dopo essersi candidato invano per un posto di parroco a  Bondo, assunse successivamente le parrocchie di Twann, Ablandischen, Melchnau e, nel 1875, quella di Soglio. A causa di liti lasciò la Bregaglia nel 1884. Passò il resto della sua vita quale parroco a Fahrwengen, nel cantone di Argovia.
Scartazzini aveva un temperamento battagliero. Già nel suo periodo bernese partecipò attivamente ai contrasti teologici che sconvolgevano allora la chiesa riformata, sostenendo con scritti polemici e mordaci la corrente liberale. Sia come parroco che come dantista egli non rifuggiva dai conflitti. A questo proposito va ricordata la sua partecipazione, quale corrispondente della “Neue Zuercher Zeitung”, al processo di Stabio nel 1880. Le sue sfuriate contro la politica tradizionale e i giudici ticinesi gli procurarono aspre critiche.
Egli continuò pero imperturbato a dare la sua versione dei fatti. La fama di Scartazzini e legata ai suoi studi su Dante. Si dice che egli sapesse tutta la Divina Commedia a memoria. Nel 1869 usci in tedesco Dante Alighieri, il suo tempo, la sua vita e le sue opere, studio qualificato poi da lui stesso quale .opera giovanile’. Fecero seguito numerosi altri studi monografici sul grande poeta. Nel 1874 usci a Lipsia il primo volume della sua edizione della Commedia, seguito negli anni successivi da altri due volumi. I suoi lavori vennero dapprima accolti, soprattutto in Italia, con un certo scetticismo, ma furono a poco a poco riconosciuti quali fondamentali. La sua edizione commentata della Commedia resta a tutt’oggi un testo di riferimento essenziale.
Scartazzini era conscio di muoversi in due mondi diversi. Non cedette mai alla tentazione di fare di Dante un precursore della Riforma. Ammise anzi che, in coerenza al suo pensiero, Dante non avrebbe avuto altra scelta che di dannare Lutero, Melantone, Zwingli e tutti gli altri riformatori nei sepolcri ardenti del sesto cerchio del suo Inferno poetico. Nei due diversi mondi egli si muoveva con uguale passione. La cura e il grande amore con il quale egli si avvicinava al poema di Dante gli venneroriconosciuti già dai contemporanei. Il re di Sassonia gli conferì per esempio il cavalierato. Per quanto riguarda la religione, il suo sguardo era rivolto verso il futuro. Il continuo rinnovamento morale della vita personale e pubblica gli stava molto a cuore. In una predica troviamo il seguente pensiero: “Un popolo che si preoccupa di quello che serve alla sua pace ha posto i fondamenti più fermi e sicuri per il suo bene... Possano il nostro popolo e la nostra patria riconoscere in tempo quello che serve alla pace”.
La stria
II ricordo dei processi alle streghe, celebrati nel 17° secolo, si e mantenuto vivo a lungo. Nel 1875 si rappresentò per la prima volta la tragicommedia La stria (La strega) di Giovanni Andrea Maurizio. Scritta in dialetto bregagliotto, La stria conquistò il cuore della popolazione. Venne rimessa più volte in scena (l’ultima nel 1979) con la partecipazione di numerosi dilettanti locali. Giovanni Andrea Maurizio nacque a Vicosoprano nel 1815. Studiò teologia a Zurigo, ma dovette interrompere gli studi per motivi di salute. Durante un soggiorno a Cracovia imparò polacco e russo. Dopo ulteriori studi a Firenze insegnò in vari istituti, fra l’altro alla Scuola evangelica di Schiers. Sempre per motivi di salute dovette però lasciare l’insegnamento. Si ritiro allora nella valle nativa, dedicandosi all’agricoltura. Fu nominato landamano di Bregaglia. Nel 1865 pubblicò uno scritto polemico “Zeitgeist” (Spirito del tempo), un attacco all’atteggiamento materialistico e mercantile che si accompagnava al progresso tecnico. Dopo aver ripreso l’insegnamento per qualche anno, morì a Vicosoprano nel 1885. G. A. Maurizio era profondamente legato alla tradizione riformata e nel contempo convinto fautore della tolleranza fra le confessioni.
L’epilogo di La stria e costituito da una voce celeste che esorta all’umiltà sia i cattolici che i riformati e li incita a fare pace fra loro. Maurizio ritiene che anche la credenza alle streghe sia frutto dei tempi bui dell’intolleranza e l’ossessione possa essere superata dalla forza dell’amore. L’opera e intessuta di molte scene che rappresentano vita, tradizioni e parlata dei diversi villaggi. La trama si può cosi riassumere:
Tumee, giovane di buona famiglia, ama Anin, una fanciulla povera. Questo suscita la gelosia della giovane Menga che, per distogliere Tumee dalla rivale, la calunnia di essere una strega. Anin e arrestata ed interrogata. Sotto tortura la poveretta confessa e viene condannata a morte. Tumee perdura però nel suo amore e tenta di farla evadere dal carcere. Nel contempo Menga, rosa dal rimorso, smaschera la sua calunnia e Anin viene graziata.
Anche se nel 16° secolo non vi furono processi alle streghe in Bregaglia, Maurizio ambienta la vicenda nell’epoca della Riforma. Questo gli da l’opportunità di mettere in scena i riformatori della Valle Bartolomeo Maturo e Pier Paolo Vergerio, come pure i difensori della “vecchia fede” e di dare voce ai loro messaggi. La liberazione di Anin e la sua felice unione con Tumee sono d’auspicio per una più vasta unione oltre i confini confessionali, nella tolleranza e nell’amore.
Silvia Andrea (1840-1935) Scrittrice
Silvia Andrea (pseudonimo di Johanna Garbald-Gredig) elaborò il suo intenso interesse per la storia dei Grigioni, facendo confluire le sue ricerche d’archivio in tre racconti, ognuno dei quali rappresenta un diverso periodo di storia retica: l’avvento del cristianesimo all’epoca dell’occupazione romana (Un apostolo), il declino del feudalesimo nell’alto medioevo (Donat von Vaz) e gli inizi della Riforma nel 16° secolo  (Incontro alla luce). Riuniti sotto il titolo “Erzahlungen aus Graubuendens Vergangenheit“ (Racconti sul passato dei Grigioni), questi tre testi formano il primo libro di Silvia Andrea, pubblicato nel 1888.
Dopo il romanzo Faustine (1889), usci nel 1905 il romanzo storico Violanta Prevosti. La vicenda e ambientata nei torbidi dei Grigioni, all’inizio del 17° secolo, e si condensa attorno a due avvenimenti traumatici: lo scoscendimento di Piuro, che seppellì la ricca cittadina sopra Chiavenna nel 1618, causando un migliaio di morti, e il massacro di Valtellina del 1620, in cui perirono circa 300 riformati.
Con il più famoso libro sui torbidi dei Grigioni, Juerg Jenatsch di Conrad Ferdinand Meyer, il romanzo di Silvia Andrea ha poco in comune, eccetto il contesto storico. Il motivo principale non e l’eroismo virile esaltato in una figura storica, bensì la vicenda di un personaggio femminile che, in quanto fittizio, esula dalla storiografìa. Nel romanzo Violanta, l’immaginaria nipote di Giovanni Battista Prevosti di Vicosoprano (personaggio storico), viene coinvolta attivamente negli eventi politici del suo tempo. L’autrice riunisce cosi in questo romanzo due temi centrali della sua opera letteraria: la storia dei Grigioni e la situazione della donna di talento, alla quale la società stenta a riconoscere le sue esigenze spirituali.
Fra i libri di Silvia Andrea, Violanta Prevosti e quello che ha ottenuto il maggior successo: tradotto in italiano nel 1910, ristampato nel 1920 e nelle riedizione in reprint del 1996. Accanto alle sue opere di argomento storico, per le quali venne lodata ed ammirata ovunque, Silvia Andrea scrisse poesie e numerosi racconti, che apparvero in noti giornali e riviste. Quantunque fosse di lingua materna romancia, Silvia Andrea compose tutte le sue opere letterarie in tedesco. Nata nel 1840 a Zuoz, a 22 anni sposò il ricevitore di dogana Agostino Garbald e si trasferì con lui a Castasegna, il villaggio di confine in Bregaglia, dove visse fino alla morte nel 1935. Cominciò a pubblicare soltanto a 40 anni. Scrisse ininterrottamente anche nel periodo in cui allevava i suoi tre figli.  Nel 1877 era nato il primogenito Andrea, nel  1880 segui la figlia Margherita e nel 1881 il  secondo figlio Augusto. Nota e celebre ben oltre i confini della sua stretta patria, Silvia Andrea continuò a scrivere fino alla veneranda età di novant’anni.
Augusto Giacometti (1877-1947)
II maestro dei colori
“Il mattino della Risurrezione”, che orna il coro della chiesa di San Pietro, venne dipinto nel 1914 da Augusto Giacometti, che riprese un progetto di dieci anni prima. Un dipinto in una chiesa riformata? La Riforma si concentrava sull’annuncio della Parola. Le immagini, che  erano spesso oggetto di devozione, furono asportate dalle chiese. Contro la volontà dei riformatori, certe opere furono distrutte dal furore iconoclasta. Verso la fine del 19° e l’inizio del 20° secolo si guardò alle immagini con un atteggiamento nuovo: il quadro venne riscoperto quale “lode di Dio attraverso gli occhi”. Invece di distoglierci da Cristo, l’immagine può anche guidarci a Lui. In questo rivolgimento Augusto Giacometti ha avuto un ruolo determinante. La sua Risurrezione fu una delle prime opere figurative ad essere accolta in una chiesa evangelica non dei Grigioni soltanto, ma della Svizzera in generale. Non per niente si attesero allora dieci anni, prima di eseguire il lavoro progettato. L’opera si presenta come un affresco, e però in realta un dipinto ad olio su tela. Anche questa scelta può essere stata dettata dalla precauzione di garantire un facile allontanamento del dipinto nel caso non venisse accettato. Negli anni successivi s’aprì  ad Augusto Giacometti un vasto campo d’azione: egli ricevette incarichi per affreschi e vetrate in parecchie chiese nei Grigioni (a Coira, Davos, Klosters) e soprattutto a Zurigo.
Nella chiesa di San Pietro sono esposte le fotografie di alcune sue grandi opere. ugusto Giacometti, cugino di secondo grado del pittore Giovanni Giacometti, nacque a Stampa nel 1877 e trascorse gli anni giovanili a Zurigo e Coira. Dopo aver concluso la scuola  d’arte e mestieri di Zurigo, nel 1897 si recò a Parigi, dove segui i corsi d’arte decorativa di Eugene Grasset. Nel 1902 si stabili a Firenze, la citta alla quale si seno sempre più legato che a qualsiasi altra. Nella sua autobiografia scrive: “So che nell’intimo io ero sempre per Firenze, per questa città discreta e tranquilla, che non fa chiasso, che non si mette in mostra. Al suo confronto Roma e più pompa che contenuto”. Fra Angelico soprattutto era per lui fonte d’ispirazione. Dal 1915 fino alla sua morte visse a Zurigo. Nel 1934 venne accolto quale membro nella Commissione svizzera d’arte e nel 1939 ne diventò presidente. In tutte le fasi della sua vita mantenne vivo il legame con la Bregaglia. Alla sua morte nel 1947 venne sepolto nel cimitero di San Giorgio presso Borgonovo con gran partecipazione della popolazione locale.
La sua arte nasce nell’ambito dello stile floreale, ma questo viene superato dal suo straordinario senso del colore. Non per nulla le vetrate costituiscono una parte cosi importante della sua opera. “Da sempre - egli scrive – il colore e tutto ciò che e colorato mi ha fatto grande impressione... Quando da bambini guardavamo attraverso vetri colorati, eravamo tutti d’accordo nel trovare che il mondo sarebbe stato meraviglioso se fosse sempre stato cosi, sempre tutto rosso o sempre tutto giallo o sempre tutto azzurro...”.
Una valle in evoluzione
La Bregaglia sta subendo mutamenti profondi. Negli ultimi 50 anni le cose sono cambiate come forse mai prima. Il turista può avere l’impressione che qui sia tutto rimasto come una volta. Ma quest’impressione e ingannevole: in pochi decenni si e formata una situazione completamente nuova. Alcuni dati illustreranno questo fatto;
1. La popolazione sta regredendo considerevolmente. Nel 1910 si contavano 1826 abitanti, nel 1990 erano ancora soltanto 1434. Anche prima si erano comunque già verifìcati dei cali demografici. Nel 1850 per esempio c’erano in Bregaglia soltanto 1536 abitanti. Un altro dato e ancora più rilevante. Nel 1910 le persone che vivevano dell’agricoltura erano 600; nel 1990 si erano ridotte a 50. L’agricoltura non e più l’occupazione primaria in Valle. In concomitanza e aumentato il numero di persone attive nel settore dei servizi. Spesso i giovani emigrano; si possono incontrare dei bregagliotti in quasi ogni città svizzera.
2. Negli anni cinquanta la costruzione degli impiantì idroelettrici della città di Zurigo ha dato inizio ad una nuova era. Le acque dell’Albigna vengono ora ritenute da una diga. La cascata sul gradino di confluenza e scomparsa. Il progetto ha inglobato la valle in tutta la sua estensione, dagli alti bacini sopra Lòbbia fino a Castasegna. Si sono cosi creati nuovi posti di lavoro e nuove entrate. Gli impianti hanno inoltre ridotto il pericolo delle inondazioni, che nei secoli passati devastavano periodicamente il fondovalle,
3. Mentre nei secoli passati la Valle era più rivolta a sud, essa e oggigiorno caratterizzata dal suo orientamento verso nord. L’influsso della Svizzera tedesca e dominante, soprattutto nell’economia.
4. Si sono diffusi nuovi modi di vivere. Le poche aziende agricole hanno adottato metodi moderni. Vettura privata, televisione e computer sono entrati a far parte della vita quotidiana. Le strade vengono adattate alle necessita del traffico moderno. Il percorso del Maloja e migliorato, senza riconquistare però l’importanza di trasversale alpina che una volta gli competeva. I villaggi di Vicosoprano,  Borgonovo, Promontogno e Castasegna hanno una circonvallazione che li libera dall’inquinamento atmosferico e fonico. Il traffico di transito attraversa ora la valle senza toccare i villaggi.
5. La Bregaglia sta trasformandosi sempre più in zona di vacanze estive e autunnali. Il numero degli alberghi e aumentato; le case contadine abbandonate sono state trasformate in case di vacanza. La Bregaglia attira soprattutto quei turisti che cercano quiete e rilassamento in escursioni nella natura.
I nuovi compiti delle chiese
Ci sono stati dei mutamenti pure nelle chiese. La tradizione ecclesiastica non e più un dato scontato neanche per la Bregaglia. Il messaggio biblico deve oggi essere diffuso tenendo conto delle trasformazioni avvenute.
La nuova situazione e caratterizzata fra l’altro dalla mescolanza confessionale. Durante la Riforma l’intera Bregaglia era passata al nuovo credo. In seguito all’immigrazione dall’Italia, dalla fine del 19° secolo si andò formando, talvolta osteggiata dalla popolazione locale, una minoranza cattolico-romana. Questa rappresenta oggi circa il 25% della popolazione. Su iniziativa di Don Luigi Guanella, nel 1903 sorse a Bondo la prima chiesa cattolica della Valle. Più tardi si aggiunse una seconda chiesa, di dimensioni maggiori, a Vicosoprano.
Il movimento ecumenico e il Concilio Vaticano II hanno offerto, sia alla Chiesa cattilico-romana che a quella riformata, nuove prospettive di convivenza. Si fa strada l’idea che ogni chiesa debba piuttosto annunciare il fondamento della sua fede, invece di insistere sulle diversità che tradizionalmente la separano dall’altra.
In vasti ambienti il messaggio della chiesa viene sempre più apertamente messo in dubbio. Le trasformazioni portate da scienza e tecnica non riguardano solo l’esterno della società, bensì anche i suoi fondamenti interni.
In un’epoca in cui si aprono all’uomo continue possibilità di sviluppo, non sembra più esserci posto per la fede in Dio. Nel contempo crescono però sempre più anche l’insicurezza e la paura. Dove ci stiamo dirigendo? Quale senso ha la nostra vita davanti all’incertezza con la quale ci troviamo confrontati? Questa domanda non può essere elusa a lungo.
Si può dare una valida risposta soltanto concentrandosi sul contenuto essenziale della tradizione biblica. Dio e amore e noi siamo chiamati a darne testimonianza, in modo che l’amore ci faccia reagire alla crescente indifferenza e crudeltà della moderna società. In questo la Riforma può esserci d’esempio.
Invece di perdersi in mille domande marginali, i riformatori si concentrarono a rendere evidente il nucleo del Vangelo. Il passato e sorgente d’ispirazione. Il messaggio evangelico deve però essere portato nel nostro tempo. In riferimento alla Bregaglia si pongono le seguenti domande:
Cosa significa nella vita quotidiana, dare la priorità all’amore di Dio? Cosa significa per noi essere testimoni dell’amore di Dio in un mondo di povertà, ingiustizia e violenza? Come possiamo contribuire a rendere la Bregaglia non solo posto di vacanze rilassate, ma anche luogo di ripresa spirituale?
La domanda si rivolge anche al lettore. In che modo si può veramente rinnovare la testimonianza cristiana?
LA BREGAGLIA
La nostra valle
Articoli sulla cultura e tradizioni della Bregaglia
Di Paolo Castellina o d'altra fonte, pubblicati soprattutto su http://www.valchiavennaonline.it

LA CHIESA EV. RIFORMATA DI SAN MARTINO A BONDO
Far tesoro della sapienza antica: saggezza popolare bregagliotta (seconda serie)
Le chiese evangeliche di VIcosoprano, accenni di storia degli edifici
La chiesa riformata di S. Giorgio, Borgonovo
Scuole di Maloggia: verso il conformismo?
La Chiesa di S. Pietro a Coltura (Stampa)
La canzun da Ruticc: Canti tradizionali ...ormai da seppellire?
Pier Paolo Vergerio (1498-1565)
Augusto Giacometti (1877-1947). Il maestro dei colori.
La stria, di Giovanni Maurizio, tragicommedia nazionale bregagliotta
Caccia alle streghe in Bregaglia: episodi di un triste passato da non dimenticare
Carnefice offresi: Un carnefice grigionese (del 1700) offre i suoi servizi ai chiavennaschi!
Giovanni Andrea Scartazzini (1837-1901)
La valutazione delle donne secondo vecchi proverbi bregagliotti
Picenino, Frizzoni, Rosio: Tre personalità illustri della Bregaglia riformata nel 17mo e 18mo secolo
Silvia Andrea (1840-1935) Scrittrice
La Riforma a Soglio
Nei secoli una valle vitale - Da sempre palestra di libera circolazione di idee
Usanze bregagliotte della fine e dell'inizio dell'anno
Tradizioni natalizie in Bregaglia
Un confine ...discutibile
Il palazzo Castelmur di Stampa
Una nuova rubrica sulla Bregaglia svizzera
LA CHIESA EV. RIFORMATA DI SAN MARTINO A BONDO

Note storiche

La chiesa di S. Martino fu inaugurata il 30 gennaio 1250. Il 15 agosto 1552 la Comunità di Bondo aderì alla Riforma in seguito alla predicazione di Pier Paolo Vergerio, già vescovo di Capodistria.
Le mura perimetrali della chiesa, l’abside e la parte inferiore del campanile sono romaniche e datano del 1250.
 

La chiesa subì poi un importante restauro nel 1617; un soffitto a volte a botte poggianti su pilastri sostituì il vecchio soffitto a cassettoni in legno; furono modificate le finestre e aperto il rosone sulla facciata. La sacrestia accanto al campanile è del 1687. Le due porte con profili in granito risalgono al restauro del 1763. Il campanile fu sopraelevato alla fine del XV secolo. Porta tre campane, fuse negli anni 1523, 1717 e 1783.
L’ultimo restauro data del 1960/1961. In questa occasione furono scoperti e restaurati gli affreschi interni ed esterni, eseguiti intorno al 1485/1500 da artisti lombardi.
 

Sulla facciata principale sono raffigurati S. Cristoforo e S. Martino di Tours. Sopra la porta d’entrata, Maria con il bambino Gesù, i discepoli Giovanni e Giacomo, Sant’Antonio.
All’interno, sulla parete a nord della navata, è raffigurata la Santa Cena. La scena è interrotta da un pilastro sovrapposto durante il restauro del 1617. Si possono facilmente identificare Gesù, i discepoli Giovanni e Giuda. La mensa è riccamente imbandita (vino, pane, agnello pasquale, pesci, carciofi, gamberi).
Nell’abside, racchiuso nella mandorla, domina la figura del Cristo Pantocrator (Signore dell’universo) che regge un libro con la scritta ’Io sono la luce del mondo, la via, la verità e la vita’. Alla sua destra, i simboli degli Evangelisti Matteo e Marco. Sopra la finestra, Giovanni Battista e di fronte a lui, Maria. A sinistra del Cristo i simboli di Giovanni e Luca. Sopra la finestra, di fronte a Giovanni Battista Nell’arco vi sono dei tondi inframmezzati da rappresentazioni decorative. Al centro l’agnello, simbolo di Gesù; ai due lati il re Davide, il profeta Ezechiele, Mosè e il profeta Daniele.


FAR TESORO DELLA SAPIENZA ANTICA

Saggezza popolare bregagliotta (seconda serie)
 

L’antica saggezza popolare ha lasciato anche in Bregaglia, nei proverbi che si sono tramandati, le proprie tracce. Nient’affatto da trascurare neppure oggi, anche noi abbiamo bisogno del “saper vivere” che insegnano. Dopo quelli sulle donne, di qualche articolo fa, ve ne propongo una seconda serie, riservandomi, se lo gradite, anche altre “puntate”.

“Al mond l’è radond, e ci nu sa navigär, va a fond” [Il mondo è rotondo e chi non sa navigare, va a fondo!]. E’ vero, bisogna sapersi arrangiare in ogni circostanza aguzzando l’ingegno senza mai darsi per vinti. Il mondo è un mare, infatti, e spesso in tempesta! Spesso, però, per realizzare anche cose buone, servono i soldi, e molti, e “An à daplü in teista cu in gaiofa” [Ce n’è di più in testa che in tasca!]: molte di più, infatti, sono le idee che le risorse per realizzarle!

In ogni caso, meglio agire …senza troppo “rompere le scatole” alla gente: “As a da vivar, ma är da lasciär vivar” [Bisogna vivere, ma anche lasciar vivere!]. Questo succede anche quando qualcuno vorrebbe farla da maestro in ambiti nei quali non ha titolo né competenza. Allora è vero: “Calgair, fa al tè masteir” [Calzolaio: fa’ il tuo mestiere!].

Sei scoraggiato e triste perché non riesci a realizzare ciò che vorresti? Ti lamenti di questo e di quello? Piangere e lamentarsi, però, non risolve il problema, difatti: “Cent agn da malinconia nu pagan ün quatrin da debit” [Cent’anni di malinconia non pagano un quattrino di debiti]. Bisogna rassegnarsi, o meglio, darsi da fare! Non siamo, però, troppo ambiziosi, chi troppo vuole nulla stringe! “Ci c’à ciäsa e ort, l’è ric, e nu’s n’acordg” [Chi ha casa ed orto è ricco, e non se ne accorge!]. Se non sai apprezzare quel che hai rischi di perdere anche quello! In ogni caso, è bene prendersi cura anche di quel poco che s’ha: “Ci ca ciüra la si pel, ciüra ün bel castel” [Chi si cura della propria pelle, si cura d’un bel castello!]. La parsimonia e la sobrietà è una virtù antica: “Ci ca viv da caparizi, paga da borza” [Chi vive di capricci, paga di tasca sua].

C’è poi chi crede di guadagnare disonestamente, ma non è mai soddisfatto: “Ci ca roba par mangär, à sempar fam; ci ca roba par beivar, à sempar seit, e ci ca roba pas vastir, è sempar nüd” [Chi ruba per mangiare ha sempre fame, chi ruba per bere ha sempre sete, chi ruba per vestirsi è sempre nudo!]. E’ saggio chi riflette bene prima d’agire: “Ci pruma nu penza, dopo suspira” [Chi non pensa prima, poi sospira!]. Il saggio, poi, parla poco: “Dascor poc e dascor ben, par ca la giustizia la väda ben” [Parla poco e parla bene, affinché la giustizia vada bene], difatti: “In boca saräda nu entran mosca” [In una bocca chiusa non entrano le mosche!].
Per il momento ce n’è già abbastanza su cui riflettere. Un’idea: fare una bella passeggiata rimuginando fra sé e sé questi proverbi e vedendo come si potrebbero applicare alla nostra vita!

Continueremo fra un po’ con altri proverbi. Naturalmente queste sono le interpretazioni che io do a questi proverbi. Ne avete altre?
LE CHIESE EVANGELICHE DI VICOSOPRANO

accenni di storia degli edifici
 
 

Chiesa evangelica San Cassiano
Situata in posizione dominante l’antico villaggio di Vicosoprano, per molti secoli capitale giuridica della Val Bregaglia.
A una chiesa di San Cassiano si accenna nel 1355. Data l’importanza di  Vicosoprano doveva però esistere già prima. Nel 1452 venne inaugurato un altare laterale, dedicato a San Sebastiano e nel 1491 ebbe luogo un’altra inaugurazione, probabilmente del coro. L'edificio attuale, divenuto dal 1530 chiesa riformata, ebbe come primi predicatori Bartolomeo Maturo (1526-1547), già Priore domenicano a Cremona; Giulio della Rovere (1547) da Milano e il “riformatore” della Bregaglia Pier Paolo Vergerio (1550-1553) , già Vescovo di Capodistria e profugo per motivi religiosi.  
Nel 1679 furono impostate le volte e la cantoria e rialzato il campanile. L'orologio del campanile è del 1747. La chiesa fu rimaneggiata ulteriormente nel 1864 e restaurata l'ultima volta nel 1954. In quest'occasione fu installato nel coro un bell' Organo del  Toggenburg del 1811, dipinto con fiori blu : possiede canne di peltro e di legno, un manuale e 5 registri. 
Sobria costruzione con coro poligonale con volta a botte impostata su segmenti di cornicione e navata a tre campate con volte a crociera. Sul lato occidentale, cantoria barocca su colonne e piccole volte, alla quale si accede dalla navata mediante una scala in pietra..
Nel coro si trova anche un fonte battesimale di marmo nero su piedestallo. Pure nel coro, a sinistra, è situato l'elegante pulpito poligonale in legno, costruito nel 1680 con colonne e intarsi, con piccola antica clessidra.
Sulla facciata sopra la porta di ingresso, meridiana con la scritta "È tempo di cercare l'Eterno".
Il campanile isolato, a nord della navata, ha un nucleo ancora romanico (si notano le aperture ad arco tondo murate) e un tetto a piramide ottagonale. Nella cella campanaria vi sono tre campane del 1681, 1754 e 1871.

 
 
Chiesa evang. S. Trinità, Vicosoprano
Chiesa evangelica S.TrinitàLa chiesa riformata di Vicosoprano, insieme con quella di Castasegna, fu costruita in periodo riformato, quindi non poteva portare il titolo di un santo. Ambedue furono quindi dedicate alla Santa Trinità.
Questo edificio fu eretto nel 1758/61, secondo i piani dell’Architetto G. Solari, dal Capomastro Pietro Martocco e fu solennemente inaugurato nel 1761.
Costruzione tardo-barocca di notevoli dimensioni (la più grande delle chiese della Val Bregaglia) priva di campanile, con pareti esterne articolate da lesene e concluse da un coro pentagonale , con finestra esagonale; portale in granito profilato, culminante in un timpano spezzato.
Navata unica a tre campate, articolate da lesene che interrompono il cornicione sul quale sono impostate le volte a crociera e la volta a ventaglio del coro.Ampie finestre rettangolari si aprono sulle pareti lunghe. Sopra il portale d'ingresso, elegante rosone con contorni in granito. Pavimentazione originale in lastre di granito.
Mensa del 1760 con piano ottagonale in marmo nero, zoccolo ricurvo in marmo nero, giallo rosso e grigio, opera di Baldassarre Calvasino di Varenna. Il grazioso pulpito rococò a baldacchino, con rocailles intagliate e bande dipinte da J. Robustiano Cassina, di Como, è coevo. Ottimo il restauro eseguito nel 2001. Anche il rivestimento ligneo della navata e del Coro, nonché le ampie panche con schienale, risalgono al tempo della costruzione.
L'organo attuale è stato installato nel 1974, è laccato e dorato analogamente al pulpito e possiede 1 manuale, 12 registri e 660 canne.
L’edificio è stato radicalmente restaurato nel 1972 ed è stato classificato come monumento di interesse culturale nazionale.






LA CHIESA RIFORMATA DI S. GIORGIO, BORGONOVO

Accenni di storia dell'edificio
 

Continuiamo, con questo articolo, la descrizione sommaria degli edifici del culto riformato in Bregaglia, molti dei quali sono riconosciuti dalla Confederazione svizzera, monumenti nazionali da proteggere. Parliamo ora di S. Giorgio, a Borgonovo, la chiesa visibile subito dalla strada cantonale, prima del paese, sulla destra, dopo il distributore Esso. Continueremo poi, le prossime volte, con gli altri villaggi.

Una Cappella facente parte della chiesa madre di S. Maria di Castelmur è documentata fin dal 1327 nella località denominata “Sangiorz”. Era probabilmente già allora dedicata a San Giorgio, martire cristiano di origine greca martirizzato al tempo dell’imperatore Diocleziano verso il 284. Se ne ha ancora notizia nel 1496, a proposito di un lascito per le messe. Quando, nel 1550, la Comunità abbracciò la Riforma, questo edificio esisteva ancora e fu usato fino al 1693, quando fu abbattuto per consentire la costruzione dell'attuale edificio di maggiori dimensioni.
 
 

L'edificio attuale fu costruito nel 1694 nella medesima località, mantenendo la dedica preesistente. È in stile barocco, con navata a due campate, con volte a crociera ed a vasca, impostate su pilastri sostenenti il cornicione perimetrale. Le finestre si aprono nelle lunette delle volte. Il rivestimento ligneo delle pareti e le panche sono originali. Un arco poggiante su forti lesene divide il coro rettangolare dalla navata. Accanto al portale di ingresso, una scala in pietra porta alla cantoria. Sul muro di sostegno della scala sono murate due lapidi tombali con iscrizioni in latino. La pavimentazione della navata e del coro è in lastre di granito. Accanto alla base del campanile, piccola stanza mortuaria (unico esempio in Bregaglia).

Il pulpito poligonale ligneo, sul lato destro, accanto alla porta che immette al campanile, è decorato con fregi scolpiti e porta la data 1695.
La Mensa sorretta da piede marmoreo ricurvo in marmo nero, rosso, giallo e bruno, e tavolo ottagonale in marmo nero, fu eseguita da un artista italiano ed è databile intorno al 1760.

Di grande interesse artistico è la finestra del Coro, dipinta nel 1935 dall'artista di Stampa Augusto Giacometti “L’ingresso di Gesù a Gerusalemme”.


SCUOLE DI MALOGGIA: VERSO IL CONFORMISMO?

Da “Il Grigione italiano” del 4.3.04, di M. Picenoni
 
 

La discussione sul futuro della scuola a Maloja verte su due aspetti diversi, sul numero precario di allievi e sulle ripercussioni culturali ed economiche dell'insegnamento linguistico. In tutt'e due i casi l'introduzione di una scuola bilingue sembra offrire una soluzione soddisfacente, poiché la scuola bilingue dovrebbe, si spera, stimolare giovani famiglie tedescofone a stabilirsi nel villaggio e al tempo stesso favorire il contatto dei bambini di lingua italiana con il tedesco. Oltre a ciò, si vuole mantenere l'italiano quale lingua della cultura legittimata dal principio di territorialità. Ci si può chiedere però se questa soluzione riesca effettivamente a risolvere i problemi sollevati o se il compromesso linguistico non possa anzi avere degli esiti negativi per il villaggio.

Da un'analisi differenziata dei due aspetti emerge infatti il seguente quadro. Il problema vero e proprio sta nel calo degli allievi, che mette a rischio il futuro dell'asilo dell'infanzia e più tardi quello della scuola elementare e del villaggio intero poiché un villaggio senza scuole non attrae nuove famiglie. Questo problema è però di carattere politico e non linguistico. Una famiglia sceglie Maloggia perché le viene offerto un appartamento a prezzi moderati e non perché si impara italiano e tedesco anziché retoromancio e tedesco, come è prassi in molti comuni engadinesi.

Riguardo all'aspetto culturale ed economico è luogo comune sostenere che una scuola bilingue costituisca un arricchimento culturale. Questo concetto va bene per un luogo in cui si parla una lingua sola, ma Maloggia è un caso davvero eccezionale. Appartiene ai pochi villaggi privilegiati che possono mandare i propri allievi in una scuola secondaria di lingua italiana e che imparano successivamente il tedesco nella scuola professionale, raggiungendo un livello di bilinguismo che li distingue e favorisce sul mercato del lavoro.

A rischio è proprio questo vantaggio. Con l'introduzione della scuola bilingue ne consegue un peggioramento dell'italiano e quindi un orientamento verso gli istituti engadinesi di lingua tedesca, dove si impara l'italiano come lingua straniera, conformemente alla politica linguistica cantonale.
In altri termini, con l'introduzione di una scuola bilingue Maloggia rischia di perdere un vantaggio culturale e soprattutto economico, in un cantone che non a caso si è fortemente aperto all'italiano negli ultimi anni.

Proprio nel settore economico più importante di Maloggia, il turismo, si ò osservare questa tendenza al conformismo. Sulle insegne Maloja si definisce 'familienfreundlich'. Mi sia concessa la domanda: quale villaggio turistico non lo è o non lo vorrebbe essere? Sembra che la politica linguistica si stia muovendo nella stessa direzione e miri a un appiattimento della sua peculiarità linguistica allineandosi allo standard cantonale.


LA CHIESA DI S. PIETRO A COLTURA (STAMPA)

Appunti di storia dell'edificio.
 

In occasione del 450mo della Riforma protestante in Bregaglia, nel 2002, si è provveduto ad apporre in ogni locale storico di culto della valle, una targa bilingue che ricorda le tappe della sua storia. Gradita ai visitatori, che così possono avere maggiore consapevolezza del luogo in cui si trovano, questi brevi testi vorremmo riproporli gradualmente ai lettori di ValChiavennaOnLine insieme ad alcune foto.
Cominciamo con Stampa, la chiesa di S. Pietro.

Esisteva già prima della Riforma - probabilmente dal 1518 - un edificio ecclesiastico in località “Motta”, una collina in amena posizione ad ovest del villaggio Coltura (ove sono state trovate tracce di insediamento dell'epoca romana). Nel 1525 esisteva una chiesa che nel 1530 doveva essere abbattuta perché in cattivo stato. Passata la comunità alla Riforma, la chiesa rimase ancora alcuni anni in funzione, ma verso la fine del XVII secolo cadde in disuso perché semidiroccata. Sappiamo che nel 1741 la Comunità riformata di Stampa dovette decidere se restaurare questo edificio o costruirne uno nuovo al centro del villaggio di Coltura. Si decise di restaurare il vecchio edificio, ma sappiamo da un Verbale del 24 maggio 1741 che si dovette abbattere completamente questa costruzione per far posto al nuovo tempio. I lavori di costruzione furono portati a termine in due anni dalle squadre di Borgonovo e Coltura e nel 1744 venne inaugurata. Nella tradizione popolare ha conservato il titolo del Patrono della chiesa preesistente, San Pietro.
 
 

Si tratta di un edificio barocco di notevoli dimensioni, a un sola navata su due campate articolate da lesene e terminante con un Coro rettangolare, secondo il gusto barocco, che può accogliere circa 200 persone. Sull’architrave del portale occidentale, in granito, è incisa la data 1743, come pure sulla Mensa in serpentino verde. Il pulpito ligneo poligonale, con intarsi ed ornamenti, era stato recuperato nella vecchia chiesa.
Fu più volte restaurato nel corso di questi due secoli e mezzo, ma senza subire alcuna trasformazione. L'ultimo restauro risale agli anni 1972/73.
Il campanile si trova a sud del Coro, con entrata indipendente. Nella cella campanaria si trovano tre campane, risalenti al 1492 (conservata dalla prima chiesa), al 1630 e al 1717.
 
 


Di grande interesse il dipinto ad olio su tela “Il mattino della Risurrezione”, eseguito nel 1915 dal pittore bregagliotto Augusto Giacometti, e posto sul lunotto dell’abside.


LA CANZUN DA RUTICC

Canti tradizionali ...ormai da seppellire?
 
La Bregaglia.
La cultura popolare bregagliotta conosce molti canti tradizionali che (stavo per dire) si tramandano di padre/madre in figlio/a, ma che oggi mi sembra che la più gran parte dei bambini, ragazzi e giovani non conosca più. Li cantano gli anziani nei loro incontri, qualche volta pure le due corali di valle. Perché oggi gli insegnanti non li insegnano più come una volta? Anche qui da noi ho l'impressione che si pensi sempre di più che la cultura tradizionale "ormai debba morire". Allora a scuola si insegnano le canzoni dei cantautori più di moda e "i classici" dei Beatles, ma perché non, ad esempio, "La canzun da Ruticc"?
Si pensa: "I ragazzi ridono di queste cose e non le vogliono più cantare", "Vogliono essere moderni" e allora "buttiamo a mare" (o nella Maira) tutta la nostra cultura locale e diventiamo anche noi dei bravi globalizzati! Ci guadagneremo da questo? Ne dubito.
I nostri figli diventeranno tutti bravi consumatori di quello che ci propinano le multinazionali... Certo saranno "integrati", ma saranno solo "bravi sudditi" dei "potenti" di turno e delle ideologie prevalenti. Gli insegnanti sono educatori o "servi del sistema"? Mi chiedo se sia questo che vogliamo!

Ogni tanto, così, vorrei proporre il testo (e la musica) di qualche canto tradizionale bregagliotto. Chissà se vi sarà qualche giovane che avrà "il coraggio" di cantarlo!

Propongo oggi "La canzon da Ruticc", con una melodia popolare bregagliotta, armonizzazione: Oreste Zanetti, 1970 udibile cliccando qui.

La canzun da Ruticc

E sün quela mota da quel bel Ruticc,
O ch'in vöi 'na bela o ch'i nu'n vöi brich.

E sün la muntagna al cresc erba e flur,
E giò la planüra 'l sta 'l me ciär amur.

O ve' giò Magreta e giüdum fär cun fen,
Ca quistan l'è l'an ca ie 't vöi tant al ben.

O ve' giò Magreta e giüdum sagazär,
Ca quist an l'é l'an ca ie 't vöi maridär.

E da tantan bora ca i'à mess in vöga,
E la pü pitina la m'à inganà.

E da tantan bora ca i'à vugagià,
E la pü pitina m'à tocà al man.

Quela bela mata ca ià avdü da nöiv,
L'era giò la stala c'la bavräva i böiv.

La bavräva i böiv e la bavräva lan vaca,
La spaciäva al spus câl gniss cun la fugacia.

La bavräva lan vaca, la bavräva i böiv,
La spaciäva al spus c'al gniss cun i anei.

E par fär pulenta ai vol aua e farina,
E par fär l'amur ai vol 'na balarina.

E par fär lasciva ai vol 'na buna plata,
E par fär l'amur ai vol 'na bela mata.

E par fär lasciva ai vol aua e saun,
E par fär l'amur ai vol e fär dal bun.

E par fär lasciva ai vol üna caldeira
E par fär l'amur ai vol e veir maneira.

PIER PAOLO VERGERIO (1498-1565)

Da nunzio pontificio e vescovo a riformatore protestante della Bregaglia
 
Fra i personaggi che hanno segnato la storia della Bregaglia, non possiamo dimenticarci di Pier Paolo Vergerio (1498-1565). Certo, non era un bregagliotto, ma è stato fra i primi e più illustri predicatori dell'Evangelo che hanno condotto i cristiani di questa valle a riformare la loro fede secondo i dettami della Parola di Dio, respingendo, come spesso è scritto nelle nostre chiese, "gli errori e le superstizioni umane".
 

Già nunzio pontificio e vescovo della chiesa romana, egli rinuncia a queste cariche e (costretto dalla persecuzione) accetta l'esilio, diventando (come pure era successo agli antichi apostoli) strumento nelle mani di Dio per la diffusione della verità evangelica in diverse nazioni, e non solo in Bregaglia! Possiamo veramente dire, anche nel suo caso, che "le vie della provvidenza sono infinite" davvero, e che Dio usa i Suoi servitori ben al di là delle loro intenzioni! I cristiani della Bregaglia possono essere riconoscenti a Dio per uomini così!

Le seguenti note biografiche sono di Emidio Campi, professore alla Facoltà di Teologia dell'Università di Zurigo.

Pier Paolo Vergerio nacque a Capodistria nel 1498. Dopo gli studi giuridici a Padova entra nella magistratura veneziana. Mortagli la moglie, Diana Contarmi, si pose al servizio della chiesa. Fu nunzio pontificio a Vienna e in Germania nel 1535, con l’incarico di convincere i principi protestanti tedeschi a partecipare al concilio. Per i servizi resi venne ricompensato con la nomina a vescovo di Modrus in Croazia e quindi di Capodistria, sedi vescovili povere di risorse economiche. Disilluso da tale trattamento, accettò l’ospitalità di vari principi italiani e del re Francesco I di Francia, per incarico del quale partecipa al colloquio di religione di Worms-Ratisbona (1540-1541). In questo periodo entra in contatto con influenti prelati come i cardinali Gasparo Contarini e Reginaid Pole, che nutrivano la tenace speranza di una graduale riforma della chiesa.

Conobbe inoltre personalità di spicco del protestantesimo come Filipppo Melantone, Martin Bucero. Rientrato nella diocesi di Capodistria, vi iniziò una vigorosa riforma dottrinale, morale e disciplinare che gli procurò l’accusa di eresia. Con abili manovre legali riuscì a sfuggire al processo, ma braccato dall’inquisizione, abbandonò l’Italia nel maggio 1549.

Dopo brevi soggiorni a Chiavenna, Coira, Poschiavo e Basilea, nel gennaio 1550 Vergerio accettò l’invito della comunità riformata di Vicosoprano di diventarne il pastore. Nei tre anni e pochi mesi trascorsi a Vicosoprano la sua eloquenza, la fama delle prestigiose cariche rivestite e di cui si era volontariamente spogliato per abbracciare la fede evangelica attrassero una quantità di persone dai villaggi vicini e facilitarono l’evangelizzazione della Valtellina e dell’Engadina. Egli mise inoltre la sua vasta cultura e i suoi doni di polemista al servizio del popolo di montanari che lo ospitava. Scrisse non meno di quaranta trattati divulgativi ed opere di controversia, tra cui: Uno brieve et semplice modo per informar li fanciulli nella religione christiana fatto per uso delle chiese di Vicosoprano ed altri luoghi di Valle Bregaglia” (1551) e la ‘Historia di M. Francesco Spiera’ (1551), opera che gli procuro fama europea. Il suo stesso zelo di propaganda religiosa nella zona di Bondo, Soglio, Casaccia e fino a Chiavenna lo portò a voler assumere una posizione di preminenza.

Agiva come un vescovo, stabilendo nuovi pastori nelle località evangelizzate, si ingeriva nella vita delle chiese di lingua italiana nei terrori soggetti alle Tre Leghe, provocando l’irritazione non soltanto dei pastori locali ma anche dei dirigenti ecclesiastici, a cominciare dall’influente Gallicius di Coira. Consapevole del suo crescente isolamento, Vergerio non si trattenne più a lungo in questo campo di lavoro che fu certo fecondo, anche se non privo di dolorose esperienze.

Nella primavera del 1553, Vergerio accettò l’invito del duca Cristoforo del Wuerttemberg di trasferirsi a Tubinga come consigliere. Intraprese vari viaggi in Germania, Austria e fino in Polonia per pacificare il protestantesimo polacco travagliato dai dissensi suscitati dagli esuli italiani. Né meno intensa fu la sua attività di pubblicista. In collaborazione con l’esule sloveno Primus Trubar organizzò una tipografia ed un istituto per la traduzione, la pubblicazione e la diffusione della Bibbia in sloveno e croato, oltre che di numerosi testi della Riforma, tra cui il Piccolo catechismo di Luterò e il Beneficio di Cristo’, il gioiello teologico della Riforma italiana. Vergerio mori il 4 ottobre 1565, all’età di 67 anni.

AUGUSTO GIACOMETTI (1877-1947)

II maestro dei colori.
 
Continuiamo con la presentazione di personaggi che, nel corso della storia, hanno fatto della Bregaglia una ricca fucina di uomini e donne che, nonostante la ristrettezza geografica della valle, hanno dato un contributo rilevante alla cultura non solo europea.
 
 
"Il mattino della Risurrezione", di A. Giacometti (Chiesa di S. Pietro a Coltura, Stampa).
Oggi vorrei parlare di Augusto Giacometti (1877-1947).

“Il mattino della Risurrezione”, che orna il coro della chiesa di San Pietro, venne dipinto nel 1914 da Augusto Giacometti, che riprese un progetto di dieci anni prima. Un dipinto in una chiesa riformata? La cosa è abbastanza curiosa. La Riforma si concentra, infatti, sull’annuncio della Parola e sul rispetto dei comandamenti che, nel secondo, afferma: "Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il SIGNORE, il tuo Dio, sono un Dio geloso" (Esodo 20:4). Ecco così che le immagini, che erano spesso oggetto di devozione, furono asportate dalle chiese. Contro la volontà stessa dei riformatori (che le volevano semplicemente rimosse ed eventualmente vendute), certe opere furono distrutte dal furore iconoclasta.

Verso la fine del 19° e l’inizio del 20° secolo, in corrispondenza ad un affievolimento della considerazione della Bibbia come regola di fede e di condotta, si guardò alle immagini con un atteggiamento più liberale. La presenza di quadri venne reinterpretata quale “lode di Dio attraverso gli occhi”. Invece di distoglierci da Cristo, si affermava, l’immagine può anche guidarci a Lui. In questo rivolgimento Augusto Giacometti ha avuto, così, un ruolo determinante. La sua Risurrezione fu una delle prime opere figurative ad essere accolta in una chiesa evangelica non dei Grigioni soltanto, ma della Svizzera in generale. Non per niente si attesero allora dieci anni, prima di eseguire il lavoro progettato. L’opera si presenta come un affresco, e però in realta un dipinto ad olio su tela. Anche questa scelta può essere stata dettata dalla precauzione di garantire un facile allontanamento del dipinto nel caso non venisse accettato. Negli anni successivi s’aprì ad Augusto Giacometti un vasto campo d’azione: egli ricevette incarichi per affreschi e vetrate in parecchie chiese nei Grigioni (a Coira, Davos, Klosters) e soprattutto a Zurigo. Nella chiesa di San Pietro sono esposte le fotografie di alcune sue grandi opere.
 
 
Augusto Giacometti.
Augusto Giacometti, cugino di secondo grado del pittore Giovanni Giacometti, nacque a Stampa nel 1877 e trascorse gli anni giovanili a Zurigo e Coira. Dopo aver concluso la scuola d’arte e mestieri di Zurigo, nel 1897 si recò a Parigi, dove segui i corsi d’arte decorativa di Eugene Grasset. Nel 1902 si stabili a Firenze, la città alla quale si seno sempre più legato che a qualsiasi altra. Nella sua autobiografia scrive: “So che nell’intimo io ero sempre per Firenze, per questa città discreta e tranquilla, che non fa chiasso, che non si mette in mostra. Al suo confronto "Roma è più pompa che contenuto”. Fra Angelico soprattutto era per lui fonte d’ispirazione. Dal 1915 fino alla sua morte visse a Zurigo. Nel 1934 venne accolto quale membro nella Commissione svizzera d’arte e nel 1939 ne diventò presidente. In tutte le fasi della sua vita mantenne vivo il legame con la Bregaglia. Alla sua morte nel 1947 venne sepolto nel cimitero di San Giorgio presso Borgonovo con gran partecipazione della popolazione locale.

La sua arte nasce nell’ambito dello stile floreale, ma questo viene superato dal suo straordinario senso del colore. Non per nulla le vetrate costituiscono una parte cosi importante della sua opera. “Da sempre - egli scrive – il colore e tutto ciò che e colorato mi ha fatto grande impressione... Quando da bambini guardavamo attraverso vetri colorati, eravamo tutti d’accordo nel trovare che il mondo sarebbe stato meraviglioso se fosse sempre stato cosi, sempre tutto rosso o sempre tutto giallo o sempre tutto azzurro...”.

LA STRIA, DI GIOVANNI MAURIZIO

La 'tragicommedia nazionale bregagliotta'.
 

II ricordo dei processi alle streghe, celebrati nel 17° secolo, si e mantenuto vivo a lungo. Nel 1875 si rappresentò per la prima volta la tragicommedia La stria (La strega) di Giovanni Andrea Maurizio. Scritta in dialetto bregagliotto, La stria conquistò il cuore della popolazione. Venne rimessa più volte in scena (l’ultima nel 1979) con la partecipazione di numerosi dilettanti locali. Giovanni Andrea Maurizio nacque a Vicosoprano nel 1815. Studiò teologia a Zurigo, ma dovette interrompere gli studi per motivi di salute. Durante un soggiorno a Cracovia imparò polacco e russo. Dopo ulteriori studi a Firenze insegnò in vari istituti, fra l’altro alla Scuola evangelica di Schiers. Sempre per motivi di salute dovette però lasciare l’insegnamento. Si ritiro allora nella valle nativa, dedicandosi all’agricoltura. Fu nominato landamano di Bregaglia. Nel 1865 pubblicò uno scritto polemico “Zeitgeist” (Spirito del tempo), un attacco all’atteggiamento materialistico e mercantile che si accompagnava al progresso tecnico. Dopo aver ripreso l’insegnamento per qualche anno, morì a Vicosoprano nel 1885. G. A. Maurizio era profondamente legato alla tradizione riformata e nel contempo convinto fautore della tolleranza fra le confessioni.

L’epilogo di La stria e costituito da una voce celeste che esorta all’umiltà sia i cattolici che i riformati e li incita a fare pace fra loro. Maurizio ritiene che anche la credenza alle streghe sia frutto dei tempi bui dell’intolleranza e l’ossessione possa essere superata dalla forza dell’amore. L’opera e intessuta di molte scene che rappresentano vita, tradizioni e parlata dei diversi villaggi. La trama si può cosi riassumere:

Tumee, giovane di buona famiglia, ama Anin, una fanciulla povera. Questo suscita la gelosia della giovane Menga che, per distogliere Tumee dalla rivale, la calunnia di essere una strega. Anin e arrestata ed interrogata. Sotto tortura la poveretta confessa e viene condannata a morte. Tumee perdura però nel suo amore e tenta di farla evadere dal carcere. Nel contempo Menga, rosa dal rimorso, smaschera la sua calunnia e Anin viene graziata.

Anche se nel 16° secolo non vi furono processi alle streghe in Bregaglia, Maurizio ambienta la vicenda nell’epoca della Riforma. Questo gli da l’opportunità di mettere in scena i riformatori della Valle Bartolomeo Maturo e Pier Paolo Vergerio, come pure i difensori della “vecchia fede” e di dare voce ai loro messaggi. La liberazione di Anin e la sua felice unione con Tumee sono d’auspicio per una più vasta unione oltre i confini confessionali, nella tolleranza e nell’amore.

CACCIA ALLE STREGHE IN BREGAGLIA

episodi di un triste passato da non dimenticare.
 

...rimanendo in tema "horror" (vedi l'articolo precedente "Carnefice offresi"), un aspetto della storia antica della Bregaglia riguarda la "caccia alle streghe". Era un fenomeno, evidentemente, presente anche altrove, ma che ha avuto in Bregaglia tristi episodi. Nel "pretorio" di Vicosoprano, i visitatori possono ancora vedere strumenti di tortura, e un episodio di "caccia alle streghe" è passato alla memoria attraverso "La Stria", il famoso testo teatrale di Giovanni Maurizio.

La credenza che certe disgrazie e malattie siano opera di stregoneria e diffusa in molte culture. Nell’Europa del 15° secolo, alle soglie dell’era moderna, tale credenza suscitò una vera ossessione delle streghe, ossessione che doveva protrarsi per più secoli. Anche la chiesa riformata ne fu contagiata. Quando una malattia sconosciuta colpiva gente o bestiame si sospettava che il danno fosse stato perpetrato da uomini, ma soprattutto da donne, che si servivano di forze occulte.

Si era ampiamente diffusa tutta una serie di credenze. Si sosteneva che le streghe avessero commercio con il diavolo, che partecipassero alle tregende (“barioni”), che fossero state dotate dal diavolo di ogni genere di forze sovrannaturali. Il sospetto di stregoneria ricadeva spesso su persone emarginate dalla società.

In Bregaglia i processi alle streghe iniziarono soltanto nella seconda meta del 17° secolo. Vi furono giustiziati complessivamente più di venti streghe e stregoni: decapitati o arsi sul rogo. Le confessioni venivano di solito estorte con la tortura. In questo modo gli accusati finivano con l’ammettere quello che i giudici volevano sentire. Alcuni accusati morivano sotto tortura. Secondo gli atti del tribunale di Vicosoprano, in data di agosto 1669 Catarina Sollara confessava di aver partecipato ad un barlot, durante il quale il diavolo l’aveva sposata ad un uomo di nome Giacomo, il quale le aveva dato un anello d’oro che si era poi rivelato semplice paglia intrecciata. Confessava di avere avuto commercio sessuale con il diavolo, di non aver provato però nessun piacere, contrariamente a quanto avveniva con suo marito. Confessava inoltre di avere ricevuto dal diavolo un bastone e un vaso con un unguento nero e maleodorante per contaminare uomini e bestiame.

Una prima serie di processi ebbe luogo negli anni 1654/55, una seconda nel biennio 1668/69. Un processo n’attirava un altro perché, sotto tortura, l’accusato denunciava presunti complici. L’ultimo processo si celebra nel 1688. Le streghe erano condannate da tribunali civili: la chiesa non era direttamente coinvolta. Ma all’epoca stato e chiesa non erano nettamente distinti. Autorevoli rappresentanti del clero ritenevano che lo sterminio delle streghe fosse opera giusta e pia. Ancora nel 1742 Nicolin Sererhard, uno stimato parroco grigione, scriveva: “Gente che si crede saggia... afferma che la stregoneria non sia che immaginazione... In verità le autorità ecclesiastiche farebbero molto bene di appuntare, più energicamente di quanto non faccia, le loro spade contro tale gente perniciosa e pericolosa: questo contribuirebbe a mettere fine al regno di Satana per la gloria di Dio”.

Verso la fine del 17° secolo l’opposizione ai processi alle streghe si fece sempre più decisa, anche da parte delle chiese. Nel 18° secolo si ebbe soltanto qualche processo isolato.

Carnefice offresi…
Un carnefice grigionese (del 1700) offre i suoi servizi ai chiavennaschi!
Ho ritrovato recentemente un documento originale della fine del 1700, in cui un carnefice (un boia) grigionese, Giovanni Krieger, “stipendiato dell’Eccelsa Repubblica Reta”, …evidentemente disoccupato, offre il suo “ferro benefico” alle autorità di Chiavenna per ristabilirvi l’ordine e la giustizia pregiudicata, a suo dire, dalla “pestilenziale” tolleranza e clemenza verso i criminali introdotta nel chiavennasco dall’influenza del pensiero del lombardo Cesare Beccaria. Vero e proprio dépliant pubblicitario del tipo “Carnefice offresi”, egli afferma: “…mio impegno sarà vibrare il colpo salutare, o stringere il nodo dell’onorevole fune con destrezza e maestria, e di porre in opera a Vostro sollievo, i più ascosi raffinamenti della confortatrice mia professione”. Se le autorità di Chiavenna permetteranno al succitato di risiedere in città, egli potrà persino far risparmiare loro di dover stipendiare chirurghi e levatrici (!), nelle cui arti, egli sarebbe altrettanto esperto: “Colmato d’un benefizio sì segnato, quale non deve essere la mia gratitudine! Io non posso che offerirvi tutto me stesso, ed accertarvi con ingenuità, che allora, quando sarò trapiantato tra voi, come lo spero, avrete in me un indefesso Cooperatore, un docile Cittadino, ed un Amico sincero. Di più a Vostro pro impiegherò pure le estese cognizioni, di cui sono fornito nell’arte Chirurgica, e particolarmente nella parte ostetricia”! Insomma: con lui “prendi tre e paghi uno”!
Qual era la situazione dell’ordine pubblico a Chiavenna che dovesse richiedere la ferma e risolutoria mano di un carnefice? Probabilmente il quadro fosco che descrive era teso solo a promuovere la sua assunzione... “Scorgevo, che un popolo, per lo più sitibondo d’umano sangue per sfogo di vendetta e di livore, inventore di monopoli e d’usure, nemico dell’ordine, speculatore di tradimenti, schiavo vile della superstizione e del fanatismo, ha d’uopo di doppio freno e di pesanti catene, che un popolo dall’educazione disposto (…) Vedevo, in somma, con orrore, che le suddite Province presentavano alle confinanti nazioni li originali modelli della sfrenatezza e dell’empietà, e che una feudale Anarchia dava il potere a pochi nazionali usurpatori, consacrati o al Tempio o al Foro, d’impunemente assassinare l’utile, ma sventurato Contadino”.
Di fronte a tutto questo era utile la clemenza e la tolleranza? No, secondo il nostro carnefice: “Voi dimostraste con chiari e convincenti argomenti, che l’Assessore è l’unico vindice e custode della civile libertà e che non sono mai soddisfatte le Leggi, se non allora, quando esso, ed il mio braccio, con inalterabile armonia, si consociano ad immolare la vittima (…) “se la benefica arte di Galeno prescrive talvolta l’ustione o taglio d’un membro infetto per conservare la macchina, la vera arte politica insegna del pari di svellere dalla Società gli individui infesti a fine non si corrompa l’intera massa”.
Il ragionamento non fa’ una grinza. O no? Certo, il Beccaria …andava contro i suoi interessi, ma l’aveva veramente compreso? Cesare Beccaria nacque a Milano da una famiglia nobile nel 1738. Dopo aver studiato a Parma presso i gesuiti ed essersi laureato in legge all'Università di Pavia, nel 1760 interruppe qualsiasi rapporto con i genitori e con il suo ceto, in parte perché nauseato dall'ambiente della nobiltà. Si convertì all'Illuminismo e si avvicinò ai fratelli Verri. Nel 1764, in seguito all'uscita del suo "Dei delitti e delle pene", si ritrovò al centro dell'interesse degli illuministi e delle polemiche reazionarie, sia di tipo religioso, sia di tipo morale. Per quell'epoca, "Dei delitti e delle pene" fu un opera di capitale importanza tanto da un punto di vista contenutistico quanto da un punto di vista formale, un'opera che al rigore logico univa il pathos umanitario e che avallava le esigenze dello stato illuminato. Partendo dal "contratto sociale" di J. J. Rousseau, Beccaria afferma la necessità che le leggi si conformino al minimo di severità necessaria ad ottenere lo scopo. Non punizione, ma autodifesa della società: di qui la condanna della tortura e della pena di morte. L'opera ebbe uno strepitoso successo di pubblico e fu immediatamente tradotta in molte lingue, ma fu anche messa nell'Indice dei libri proibiti dalla Chiesa nel 1766. All'opera si ispirò la riforma penale del Granducato di Toscana promulgata nel 1786 da Pietro Leopoldo. Nel 1766 fu accolto con esultanza a Parigi, dove si era recato insieme con Alessandro Verri, ma non vi si trattenne a causa del suo carattere schivo e della preoccupazione che nutriva verso la giovane moglie Teresa, rimasta a Milano. Questo fatto causò la rottura dei suoi rapporti con i Verri. Morì a Milano nel 1794.

Il documento originale
Molto reverendi e nobili signori deputati di Valtellina e della civile criminale giurisdizione di Chiavenna!
Io non ho provato momento più consolante di quello, in cui, riscossa dalla serie di tanti misfatti l’Eccelsa Repubblica con supremo spontaneo Rescritto ridonò alli Statuti e Capitolato di Milano la primiera energia.
La molteplicità delle grazie emanate dalla Pretoriale clemenza, congiunte alle frequenti criminali transazioni, mi avevano quasi determinato d’abbandonare i Reti lidi, e cercare sott’altro Cielo men tollerante, i mezzi della giornaliera mia sussistenza. Fremevo, lo confesso, allora quando le Chimere, ed i Sogni di certo Beccarla ed altri deboli Novatori, dopo avere sfibrato il Codice penale nella limitrofa Lombardia, cominciavano anche fra Voi a spargere il pestilenziale veleno, ed a formarsi dei seguaci, che, diffendendo i rei sfrontatamente, impugnavano alla giustizia i veri e sacri suoi diritti. Prevedevo, che la dolcezza delle pene avrebbe resi sempre più scellerati i Vostri Concittadini. Comprendevo a pieno, che la letterale esecuzione degli Statuti di Valtellina, segnatamente nei capitoli 49, 53, 55, 56, 57, 60, 62, 64, 65, 67, e di Chiavenna nei Capitoli 36, 38, 42, 53, 47, 49, 50, 52, 63 […] era l’unico attivo caustico, con cui impedire i progressi della totale Cancrena. Scorgevo, che un popolo, per lo più sitibondo d’umano sangue per sfogo di vendetta e di livore, inventore di monopoli e d’usure, nemico dell’ordine, speculatore di tradimenti, schiavo vile della superstizione e del fanatismo, ha d’uopo di doppio freno e di pesanti catene, che un popolo dall’educazione disposto, e per ereditaria indole pronto a vilipendere le Leggi, e con religioso furore, sacrificare i suoi simili, come ce ne fanno fede i patri Annali, è un torrente rovinosi cui debbonsi apporre argini sodi e robusti che un popolo finalmente, quale, immerso nei pregiudizi, adora come Oracoli dal Dio della verità, fra tuoni e fulmini, trasmessi, le massime riprovate de’ sacri suoi Ministri, quantunque testimonio oculare della loro ingordigia e corruttela, mal si conduce all’adempimento dei sociali doveri, coll’uso delle grazie, e cola mitezza dei castighi. Vedevo, in somma, con orrore, che le suddite Province presentavano alle confinanti nazioni li originali modelli della sfrenatezza e dell’empietà, e che una feudale Anarchia dava il potere a pochi nazionali usurpatori, consacrati o al Tempio o al Foro, d’impunemente assassinare l’utile, ma sventurato Contadino. Si, comprendevo tutto ciò, ma l’abiezione, in cui era in quei tempi d’oscurità il mio offizio, non mi permetteva d’inoltrare fino al trono le profonde mie riflessioni, ed i giusti miei richiami.
Ora però, che codeste utili verità vennero nei supremi Comizi opportunamente penetrati, mercé la benefica opera Vostra Molto Reverenti e Nobili Signori Deputati! E che i coraggiosi Vostri movimenti furono il Tuba avventuroso della mia voce: permettete che unisca i miei sentimenti di riconoscenza, ed ingenui applausi a quelle dei pochi onesti Cittadini, che allora, quando dominava la criminale tolleranza, gemevano oppressi, ed erano vittima di tanti malvagi. Voi, aborrendo gli empi principi d’una stolida Filosofia, destè il primo urto al pernicioso simulacro della clemenza. Voi, da saggi ben comprendeste, ch’io sono l’unico, e vero Beccarla, dalle di cui frequenti operazioni, può solo sperarsi il desiderato cambiamento dei costumi. Voi, anche di fresco, sempre prodi e sempre fermi nelle lodevoli vostri piani, con stabilimento comunicativo faceste comprendere ai Pretori, che essi sono investiti dell’eminente autorità, solo per letteralmente eseguire le patrie Leggi, e che per l’avvenire altro non saranno che organi materiali della municipale volontà. Voi dimostraste con chiari e convincenti argomenti, che l’Assessore è l’unico vindice e custode della civile libertà e che non sono mai soddisfatte le Leggi, se non allora, quando esso, ed il mio braccio, con inalterabile armonia, si consociano ad immolare la vittima.
So benissimo che le anime deboli, e l’invidia degli arrabbiati vostri emuli, forse vi rimprovereranno, che codesta provvida concordia dell’Assessore e del Carnefice, in una nazione composta da tanti eroni, e con un corpo di Leggi sì severe, produrrà rapidamente una sensibile diminuzione di popolo, e rimarranno fra pochi lustri quasi inospite le vostre Contrade. Ma chi non vede, che quanto accade nei corpi fisici, succede purtroppo nei corpi morali; e che, se la benefica arte di Galeno prescrive talvolta l’ustione o taglio d’un membro infetto per conservare la macchina, la vera arte politica insegna del pari di svellere dalla Società gli individui infesti a fine non si corrompa l’intera massa.
Io la Dio mercé gustai di già li preziosi frutti di questo salubre criminale cambiamento. Dopo l’emanazione del commendevole Decreto, in tutto conforme ai vostri puri voti, già tre volte discesi dall’Alpi nelle amene pianure delle suddite provincie, per fare sentire all’empio li utili effetti della pubblica sanzione. Con tali caparre, pieno di esuberante gioia, preveggo che, ove non venga alterato l’introdotto sacro sistema, dovrà l’Eccelsa Repubblica concedermi di stabilire il mio domicilio fra di voi. Fra Voi, cui mi trovo unito con sempre più indissolubili nodi; fra Voi, il di cui natio genio, e morale carattere cotanto al mio si somiglia.
La Religione a ciò non si opporrà certamente, non potrà l’articolo 33 del Capitolato di Milano coll’imperiosa sua Voce arrestarmi sul Vestibolo delle vostre deliziose provincie, giacché per somma mia sorte, professo con voi li stessi puri Dogmi. Non temiate già, che la Rezia Dominante resista alla mia volontaria emigrazione. Essa non ha, direi, quasi d’uopo del mio ministero per proteggere la pubblica salute. Ivi l’universale semplicità di costumi, l’orrore per l’umano sangue, quando non abbiasi a spargere per la difesa dei patri Lari ed imperturbabili diritti, la buona fede da voi reputata melensaggine, la costante concordia da Voi sconosciuta, ove non si tratti di inalberare il micidiale stendardi delle scongiure e cospirazioni, la benefica umanità, che si diffonde sopra tutti gli esseri, la docile subordinazione alli sociali doveri, succhiata fra le fasce, ed instillata loro dei Ministri ortodossi ed eterodossi dall’Altare, trionfano senza il terribile soccorso delle leggi penali, a dispetto di quella consolatrice facoltà dataci dalla natura per operare a seconda dei nostri qualunque siansi desideri, cui nell’illuminata vostra provincia ergete templi ed offrite incensi. Ivi credetelo pure, sono nomi ignoti li omicidi proditori, gli incesti, le rapine, gli assassini, di cui fanno quasi pompa gli Vostri popoli, e senza cui monotona li sembra l’esistenza, ed impossibile l’acquisto d’una vera felicità. Colmato d’un benefizio sì segnato, quale non deve essere la mia gratitudine! Io non posso che offerirvi tutto me stesso, ed accertarvi con ingenuità, che allora, quando sarò trapiantato tra voi, come lo spero, avrete in me un indefesso Cooperatore, un docile Cittadino, ed un Amico sincero. Di più a Vostro pro impiegherò pure le estese cognizioni, di cui sono fornito nell’arte Chirurgica, e particolarmente nella parte ostetricia, e mi accontenterò di quella mercede che dal Collegio dei Vostri Ippocrate verrà stabilita. Così non avrete da essere doppiamente scorticati da coloro, che di estera nazione dopo avere nelle vostre opulente province ammassati tesori, o sdegnano di prestare l’opera, o prestandola, esigono un’usuraria rimunerazione. Quantunque poi insignito d’una carica altrevoltre spregevole, ed ora luminosa, mercé i brillanti raggi che voi ricevete dal Vostro astro, non aspirerò ad eguagliarmi pienamente a Voi, e nelle pubbliche solenni comparse non pretenderò di essere sopra Voi distinto, purché, tanto nella Valtellina, quanto in Chiavenna, possa immediatamente seguirvi, avente da un lato pendente il mio ferro benefico, e dall’altro il Nobile togato signor Assessore, giacché noi soli possiamo legalmente integrare il Magistrato.
Persuadetevi finalmente, cari ed amati futuri CONCITTADINI! Che eterna sarà la mia riconoscenza; ed allora quando gli esimi Vostri meriti, e sparsi sudori per la Patria vi condurranno al più alto seggio della Gloria, mio impegno sarà vibrare il colpo salutare, o stringere il nodo dell’onorevole fune con destrezza e maestria, e di porre in opera a Vostro sollievo, i più ascosi raffinamenti della confortatrice mia professione. Il regolatore dei destini avvicini un giorno per me sì lieto, a fine possa dare prove indubitate della sincerità dei miei sentimenti, e tributare all’eroismo un omaggio reale di quella sentita Venerazione con cui sarò fino alle ceneri.
Delle Signorie Vostre Molto Reverendi e Nobili.
Devotissimo ed obbligatissimo Servitore, e Confederato affezionatissimo
Giovanni Krieger, carnefice, stipendiato dell’Eccelsa Repubblica Reta.
GIOVANNI ANDREA SCARTAZZINI (1837-1901)

Pastore evangelico e studioso di Dante
 
Nella sua giovinezza Scartazzini ebbe consuetudine con due libri: la Bibbia, che il padre gli aveva insegnato a leggere fin da bambino e la Divina Commedia regalatagli dal padrino. Questi due libri l’accompagnarono per tutta la vita. All’età di 19 anni Giovanni Andrea Scartazzini lasciò Bondo per studiare all’Istituto delle missioni evangeliche di Basilea. Ben presto aderì alle tendenze liberali della teologia dell’epoca. Prosegui gli studi alla facoltà di teologia di Basilea e Berna. Dopo essersi candidato invano per un posto di parroco a Bondo, assunse successivamente le parrocchie di Twann, Ablandischen, Melchnau e, nel 1875, quella di Soglio. A causa di liti lasciò la Bregaglia nel 1884. Passò il resto della sua vita quale parroco a Fahrwengen, nel cantone di Argovia.

 

Scartazzini aveva un temperamento battagliero. Già nel suo periodo bernese partecipò attivamente ai contrasti teologici che sconvolgevano allora la chiesa riformata, sostenendo con scritti polemici e mordaci la corrente liberale. Sia come parroco che come dantista egli non rifuggiva dai conflitti. A questo proposito va ricordata la sua partecipazione, quale corrispondente della “Neue Zuercher Zeitung”, al processo di Stabio nel 1880. Le sue sfuriate contro la politica tradizionale e i giudici ticinesi gli procurarono aspre critiche.

Egli continuò pero imperturbato a dare la sua versione dei fatti. La fama di Scartazzini e legata ai suoi studi su Dante. Si dice che egli sapesse tutta la Divina Commedia a memoria. Nel 1869 usci in tedesco Dante Alighieri, il suo tempo, la sua vita e le sue opere, studio qualificato poi da lui stesso quale .opera giovanile’. Fecero seguito numerosi altri studi monografici sul grande poeta. Nel 1874 usci a Lipsia il primo volume della sua edizione della Commedia, seguito negli anni successivi da altri due volumi. I suoi lavori vennero dapprima accolti, soprattutto in Italia, con un certo scetticismo, ma furono a poco a poco riconosciuti quali fondamentali. La sua edizione commentata della Commedia resta a tutt’oggi un testo di riferimento essenziale.

Scartazzini era conscio di muoversi in due mondi diversi. Non cedette mai alla tentazione di fare di Dante un precursore della Riforma. Ammise anzi che, in coerenza al suo pensiero, Dante non avrebbe avuto altra scelta che di dannare Lutero, Melantone, Zwingli e tutti gli altri riformatori nei sepolcri ardenti del sesto cerchio del suo Inferno poetico. Nei due diversi mondi egli si muoveva con uguale passione. La cura e il grande amore con il quale egli si avvicinava al poema di Dante gli vennero riconosciuti già dai contemporanei. Il re di Sassonia gli conferì per esempio il cavalierato. Per quanto riguarda la religione, il suo sguardo era rivolto verso il futuro. Il continuo rinnovamento morale della vita personale e pubblica gli stava molto a cuore. In una predica troviamo il seguente pensiero: “Un popolo che si preoccupa di quello che serve alla sua pace ha posto i fondamenti più fermi e sicuri per il suo bene... Possano il nostro popolo e la nostra patria riconoscere in tempo quello che serve alla pace”.
LA VALUTAZIONE DELLE DONNE

…secondo i vecchi proverbi bregagliotti!
 PICENINO, FRIZZONI, ROSIO

Tre personalità illustri della Bregaglia riformata nel 17mo e 18mo secolo
 
Giacomo Picenino (1654-1714)
 

Il suo impegno si rivolse tanto alla purezza della dottrina quanto alla profondità della devozione. Nato in Engadina, Giacomo Picenino studiò per tre anni filosofia e teologia all’università di Basilea. Fu pastore evangelico a Sils, Gasacela e per molti anni a Soglio (1679-1714). Egli deve la notorietà specialmente ai suoi trattati sistematici in difesa della fede riformata, criticata dai gesuiti.
I titoli ne indicano chiaramente il contenuto: Apologia per i riformati e per la religione riformata contro le invettive di F. Panigarola e Paolo Segneri (1706) e Trionfo della vera religione contro le invettive di Andrea Semery Gesuita (1712). Questi trattati furono molto apprezzati nei circoli riformati. Il secondo fu stampato a Ginevra e Benedici Pictet, rettore dell’Accademia teologica in quella città, recensì l’opera con grande elogio. Ortensia von Salis inviò un esemplare dell‘Apologia con dedica personale al borgomastro di Basilea.

Picenino non si occupava però soltanto di ortodossia. Nella prefazione rivolta alle Tré Leghe si legge: «Felici pure chiese riformate, se alla verità della dottrina aggiungete la santità della vita, alla riformazione degli errori la riformazione dei vizi.” In breve questo significa: Io credo che la Parola di Dio sia la regola del credere e dell’operare. Picenino non professava quindi una rigida ortodossia formale. Egli s’impegnò per un approfondimento della devozione, promuovendo il raccoglimento e la preghiera domestica. Già da giovane aveva tradotto dal tedesco un libro di preghiere dal titolo “Sospiri spirituali”. Mori nel 1714 e venne sepolto nella chiesa di Soglio.

Gian Battista Frizzoni (1727-1800)

Una personalità del tutto diversa fu Gian Battista Frizzoni, rappresentante del pietismo, vale a dire di quel fervore che consisteva soprattutto nell’approfondire l’esperienza interiore della redenzione in Cristo.
Anch’egli proveniva dall’Engadina. Dopo aver studiato a Ginevra e Zurigo, fu assunto quale precettore dal luogotenente Rudolf von Salis a Soglio e, all’età di 21 anni, fu nominato parroco a Bondo. Le sue prediche, ma specialmente la sua gran devozione, fecero un’impressione profonda e provocarono delle conversioni. La sua fama oltrepassò i confini della Valle. Nel 1757 egli ricevette la visita di David Cranz, un pietista inviato dal grande centro Herm-hut in Germania, che percorreva il Grigioni alla ricerca di spiriti affini. Anche Cranz restò profondamente impressionato da Frizzoni. Ma, non da ultimo a causa sua, nacquero presto dei malumori nel villaggio. Mettendo l’accento sulla redenzione in Cristo e soprattutto sulla conversione personale, Frizzoni destò in alcuni l’impressione che egli distinguesse i cristiani in due classi e dividesse cosi la comunità.
 

Frizzoni fu energicamente sostenuto da Cranz e i “risvegliati” si riunirono in particolari assemblee (cosiddette conventicole). Scoppiò allora una vera lite. Ai pietisti si rimproverava di riternersi gli unici veri cristiani e di disprezzare quelli che non erano passati per il risveglio. Si formarono partiti opposti e le turbolenze non accennavano a sedarsi. Si narra che gli avversari di Frizzoni fecero venire da Soglio una banda di picchiatori, che questi però, dopo aver assistito alla predica di Frizzoni, passarono dalla sua parte: “Adesso abbiamo sentito noi stessi la sua predica. Voi non meritate un pastore tanto valido.” Il Consiglio ecclesiastico licenziò comunque Frizzoni. Egli lasciò Bondo e trascorse il resto della sua vita quale parroco a Celerina. Frizzoni coltivava molti interessi. Aveva per esempio anche delle conoscenze in medicina. La sua grande vocazione era però il canto ecclesiastico. Già a Bondo cominciò a tradurre in italiano inni pietistici e a farli cantare dalla comunità. A Celerina tradusse poi molti inni in romancio. Nel 1789 pubblicò un libro di canto dal caratteristico titolo “Testimoniaunza dall’amur stupenda da Gesù Cristo vers pchiaduors umauns” (Testimonianza dell’amore miracoloso di Gesù Cristo per i peccatori umani). Una riedizione dei salmi di Davide, uscita nel 1790 a Vicosoprano, fu ampliata con 34 inni sacri, tutti composti da Frizzoni. Anche se allontanato da Bondo, restò sempre fedele alle comunità evangeliche di lingua italiana.

Petrus Dominicus Rosius a Porta (1733-1806)

La figura di a Porta rappresenta una direzione spirituale ancora diversa. Profondamente dedito alla tradizione riformata, egli assunse un ruolo di mediatore fra le diverse tendenze delle chiese nel Grigioni. Fu influenzato dall’illuminismo e si adoperò per la tolleranza. Per tutta la vita si preoccupò dei diritti delle minoranze, soprattutto di quelle riformate nei paesi soggetti. La giustizia fu il metro delle sue azioni. Senza essere lui stesso pietista, cercò delle mediazioni nel cosiddetto contrasto di Hermhut, scoppiato attorno alla figura di Gian Battista Frizzoni. Il suo merito maggiore risiede però nella storiografia. Dal 1771 al 1777 pubblicò la Historia Reformationis Ecclesiarum Rheticarum, la prima storia coerente delle chiese riformate nel Grigioni. Fu infaticabile nel raccogliere il materiale necessario e quest’opera resta determinante fino al giorno d’oggi. Anche se il suo punto di vista riformato traspare ovunque, è evidente che egli si preoccupava di dare sempre un giudizio equo. La sua opera, scritta in latino, era evidentemente destinata agli studiosi e non al popolo. Rosius a Porta proveniva da una stimata famiglia della Bassa Engadina. I suoi studi lo portarono prima a Berna, in seguito anche in Ungheria e in Olanda. Parlava, o almeno capiva, otto lingue. Le esperienze dei suoi anni di studio furono decisive. Il destino dei riformati in tutta Europa gli stette sempre a cuore e specialmente di quelli in Ungheria. I suoi colleghi lo chiamavano “l’Ungherese”. Nel 1756 entrò in servizio delle chiese retiche. Dal 1781 al 91 fu pastore evangelico a Castasegna, dove era pure responsabile dei riformati di Chiavenna. Fu poi per dieci anni a Soglio, nel periodo movimentato in cui i Grigioni persero i paesi soggetti.
Era pastore evangelico a Zuoz, quando morì nel 1806.
SILVIA ANDREA (1840-1935) SCRITTRICE

Fra i personaggi meno noti della Bregaglia
LA RIFORMA A SOGLIO

Testi a 452 anni dall'introduzione della Riforma in Bregaglia
 
Il 2002 è stato un anno importante per la Bregaglia, perché ha celebrato il 450° anniversario dell'introduzione della Riforma protestante in questa valle. I testi che proponiamo in alcuni articoli della nostra rubrica (vedi indice generale), ne ripropongono le tappe.
 
 
Soglio, Palazzo Salis.
Soglio era la sede dalla famiglia Salis e, come tale, rivestiva una particolare importanza per la Valle. Mentre il comune di Sopraporta era passato alla Riforma, il villaggio di Soglio restava ancora fedele alla vecchia confessione. Alcuni membri della famiglia Salis avevano abbracciato la nuova fede, in particolar modo Èrcole Salis (1503-1578) che si era fatto uno dei principali promotori della Riforma a Chiavenna. Altri rappresentanti della famiglia restavano indecisi; essi erano in buoni rapporti con la Curia romana. Ancora nel 1568 Battista Salis ricevette dal papa il titolo di "cavaliere dell'Ordine dello sprone d'oro" e lo stesso privilegio venne concesso tre anni dopo anche al suo figlio Battista.

La spinta verso la Riforma provenne invece dal popolo. Il 2 gennaio 1553 Pier Paolo Vergerio scriveva al riformatore zurighese Heinrich Bullinger: "In Bregaglia v'è un paese di nome Soglio. Vi abitano molti potenti sostenitori del papa. Ma Dio e stato più potente di loro, perché da otto giorni e stata abolita la messa. E l'iniziativa e venuta dalla povera gente, quella che agli occhi del mondo conta poco. Prodigioso è il nostro Dio".
Che cosa era avvenuto? Con il suo comportamento, il prete di Soglio aveva suscitato il risentimento della popolazione, specialmente di donne e madri. Si era levato un grido che chiedeva un cambiamento radicale. La famiglia Salis acconsenti infine a lasciare la decisione alla comunità. Incoraggiata dalle donne, la gioventù indisse una riunione. Il giorno di Natale 1552 essa decise di assumere un predicatore. Come in tanti altri posti, anche a Soglio il passaggio alla Riforma scaturì da un moto del popolo. Anche qui le donne ebbero un ruolo determinante. L'iniziativa della gioventù fu onorata da un mandato: fra i cinque giurati che Soglio mandava al tribunale penale, uno doveva essere reclutato fra i giovani (iuventutis iudex).

Nei decenni seguenti anche la famiglia Salis passò alla Riforma. Grande sensazione suscitò la conversione di Battista von Salis. Scosso dalla grave malattia di suo figlio e poi dalla propria, egli trovò sostegno nella fede riformata e rinunciò a tutti i privilegi papali (1572). La sua tomba si trova nel coro della chiesa. Da allora la famiglia fu una delle maggiori promotrici della chiesa riformata. In questo contesto sono soprattutto da nominare Battista junior e sua moglie Barbara von Meiss da Zurigo. Fin da giovane egli aveva rivestito importanti cariche. Quando nel 1621 truppe spagnole e austriache invasero i paesi soggetti, egli assunse il comando della difesa.

Gli spagnoli riuscirono comunque ad occupare sia Chiavenna che la Bregaglia. Sembro allora che la Riforma potesse essere repressa nella Valle. Il palazzo Salis a Soglio fu distrutto. Battista Salis e sua moglie fuggirono verso Avers, valicando il passo Bregalga, e raggiunsero Zurigo. Ma la guerra si decise infine in loro favore. Battista e sua moglie tornarono a Soglio, dove vissero fino al 1538. Sono loro che fecero costruire l'attuale palazzo "Casa Battista"
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Hortensia Gugelberg von Moos nata von Salis (1659-1715)
 
Pulpito chiesa evang. S. Lorenzo, Soglio
Una delle figure più notevoli della Riforma a Soglio fu una donna che, precorrendo i tempi, si distinse come autrice di saggi teologici. Nel 1695 Hortensia Gugelberg von Moos pubblicò a Zurigo una disputa teologica, scritta in tedesco. La traduzione approssimativa del titolo è: "Dichiarazione di fede di una nobile dama evangelica riformata, stesa su cortese richiesta di un distinto ecclesiastico di fede cattolico romana; esaminata e discussa in 8 capitoli nel presente nuovo libretto chiamato "Messblum". Editore era un noto teologo zurighese, Johann Heinrich Schweizer (1646-1733). "Messblum" fece una certa sensazione, soprattutto perché si trattava di una donna che osava esprimersi su argomenti teologici e lo faceva addirittura pubblicamente.

Da queste riserve l'autrice si difese pubblicando una "Risposta scritta". Sostenne il suo diritto personale, come pure quello delle donne in generale, di esprimere pubblicamente la loro opinione. Esordi concedendo: "So bene che noi dobbiamo essere brave casalinghe, che il nostro compito e quello di filare e cucire e che non dobbiamo occuparci dell'inutile erudizione, che suscita più domande che edificazione religiosa", per presentare poi, una dopo l'altra, una serie di donne bibliche che illustrano come l'erudizione si addica invece alle donne. Lei stessa era straordinariamente dotta per la condizione femminile del suo tempo. Di lei si conoscono solo poche pubblicazioni: la Dichiarazione di fede (1695), i Colloqui conversazioni (1696), le Meditationes recentemente scoperte (1715), tre poesie stampate ed alcune lettere in vari archivi.

Hortensia nacque nel 1659 quale primogenita di Gubert von Salis-Soglio e di Ursula von Salis-Maienfeld. A 23 anni sposò il cugino Rudolf Gugelberg von Moos, capitano al servizio della Francia. Restata vedova senza prole, continuò a vivere nella casa del marito a Maienfeld (GR). Diverse fonti testimoniano che era versata in medicina, che curò molti malati e che si guadagnò la reputazione di esperta terapeuta ben oltre gli stretti confini della sua patria. Hortensia Gugelberg mori a 56 anni. Le poesie stampate in appendice all'orazione funebre sono numerose ed elogiano con enfasi barocca la sua erudizione.

In esse Hotensia viene detta "gloria della patria / lode delle donne / il più bei fiore della chiesa / eccellente d'intelletto / di grande spirito e temperamento / edotta in tutte le scienze / miracolo del nostro tempo / famosa e conosciuta dagli studiosi d'ogni dove".

Si fanno i nomi di Galeno, Cicerone, Platone, addirittura di Cartesio e la si paragona ad Anna Schurmann e Madeleine de Scudery, con le quali però non condivide oggi la gloria.



Silvia Andrea (pseudonimo di Johanna Garbald-Gredig) elaborò il suo intenso interesse per la storia dei Grigioni, facendo confluire le sue ricerche d’archivio in tre racconti, ognuno dei quali rappresenta un diverso periodo di storia retica: l’avvento del cristianesimo all’epoca dell’occupazione romana (Un apostolo), il declino del feudalesimo nell’alto medioevo (Donat von Vaz) e gli inizi della Riforma nel 16° secolo (Incontro alla luce). Riuniti sotto il titolo “Erzahlungen aus Graubuendens Vergangenheit“ (Racconti sul passato dei Grigioni), questi tre testi formano il primo libro di Silvia Andrea, pubblicato nel 1888.

Dopo il romanzo Faustine (1889), usci nel 1905 il romanzo storico Violanta Prevosti. La vicenda e ambientata nei torbidi dei Grigioni, all’inizio del 17° secolo, e si condensa attorno a due avvenimenti traumatici: lo scoscendimento di Piuro, che seppellì la ricca cittadina sopra Chiavenna nel 1618, causando un migliaio di morti, e il massacro di Valtellina del 1620, in cui perirono circa 300 riformati.

 

Con il più famoso libro sui torbidi dei Grigioni, Juerg Jenatsch di Conrad Ferdinand Meyer, il romanzo di Silvia Andrea ha poco in comune, eccetto il contesto storico. Il motivo principale non e l’eroismo virile esaltato in una figura storica, bensì la vicenda di un personaggio femminile che, in quanto fittizio, esula dalla storiografìa. Nel romanzo Violanta, l’immaginaria nipote di Giovanni Battista Prevosti di Vicosoprano (personaggio storico), viene coinvolta attivamente negli eventi politici del suo tempo. L’autrice riunisce cosi in questo romanzo due temi centrali della sua opera letteraria: la storia dei Grigioni e la situazione della donna di talento, alla quale la società stenta a riconoscere le sue esigenze spirituali.

Fra i libri di Silvia Andrea, Violanta Prevosti e quello che ha ottenuto il maggior successo: tradotto in italiano nel 1910, ristampato nel 1920 e nelle riedizione in reprint del 1996. Accanto alle sue opere di argomento storico, per le quali venne lodata ed ammirata ovunque, Silvia Andrea scrisse poesie e numerosi racconti, che apparvero in noti giornali e riviste. Quantunque fosse di lingua materna romancia, Silvia Andrea compose tutte le sue opere letterarie in tedesco. Nata nel 1840 a Zuoz, a 22 anni sposò il ricevitore di dogana Agostino Garbald e si trasferì con lui a Castasegna, il villaggio di confine in Bregaglia, dove visse fino alla morte nel 1935. Cominciò a pubblicare soltanto a 40 anni. Scrisse ininterrottamente anche nel periodo in cui allevava i suoi tre figli. Nel 1877 era nato il primogenito Andrea, nel 1880 segui la figlia Margherita e nel 1881 il secondo figlio Augusto. Nota e celebre ben oltre i confini della sua stretta patria, Silvia Andrea continuò a scrivere fino alla veneranda età di novant’anni.




  Questo la diceva lunga su chi realmente “comandasse in casa”. I seguenti proverbi, assolutamente autentici, indubbiamente sono maschilisti, ma li riportiamo per la cronaca…

Alcuni proverbi parlano dell’educazione delle giovinette. “Ai vol l’ustaria par fär gnir madür la fia” (ci vuole l’osteria per far diventare matura la ragazza). Chissà poi perché: qualcuno ha qualche idea al riguardo? In ogni caso bisognava “nutrire bene” la figlia femmina, perché crescesse bella… “La buna papa fa la bela mata”. Come “valutare”, però, un “buon partito”? “I cavei e lan ciavata dàn da cagnosciar la mata” (la ragazza brava la si può distinguere dai capelli e dalle …ciabatte!).

Se poi la giovane sposava un uomo molto più vecchio di lei, la cosa era …promettente: “La dona giuvna e l’om vetc, impleniscian la cà fin sot al tetc” (La donna giovane e l’uomo vecchio riempiono la casa fino al tetto). L’importante, comunque che la ragazza sposasse un uomo benestante, non importa se con un cattivo carattere: “L’è meiar üna fìa mäl maridäda cu üna fìa mäl plazäda” (E’ meglio una ragazza mal maritata che una mal piazzata).

Per quanto riguarda “il carattere” delle donne, che dire? Le donne sarebbero maliziose: “La putenza da Dio l’è granda, la malizia da lan dona anca daplü” (la potenza di Dio è grande, ma la malizia delle donne ancora di più!), ma anche furbe: “la dona fürba la tira oradzot l’öiv, senza ca la galina as incorgia” (la donna furba tira l’uovo da sotto la gallina prima che questa se ne accorga). Esistono però donne “poco avvedute”: “Dona poc avdüa, ben avdüda”: da preferire? Mah. E se poi la donna …è barbuta? Bisogna guardarsene, come dagli uomini con i capelli rossi e dalla zampa dell’orso (prima che si estinguesse): “Inguardat da lan dona da la barba, di oman dal peil ross e da la cianfa da l’orz”.

Chissà poi perché bisognava guardarsi dalle donne di Nasciarina: “Dio as ciüra da fög e da lavina e da lan femna da Nasciarina” (Dio ci guardi dal fuoco e dalle valanghe, ma anche dalle donne di Nasciarina). In ogni caso, i cacciatori che incontrassero per strada, quando vanno alle battute di caccia, una donna, non avrebbero preso nulla! “Femna par sträda, cacia sbagliäda” (Donne per strada, caccia sbagliata). Che dovessero rimanere sempre a casa?
Povere donne!

NEI SECOLI UNA VALLE VITALE

Da sempre palestra di libera circolazione di idee
 
Una via di comunicazione
 
Chiesa di S. Pietro, Coltura, Stampa.
Fin da tempi remoti la Bregaglia e stata una via di comunicazione. La strada che proviene da sud si biforca a Chiavenna: a sinistra conduce a nord sopra il valico dello Spluga, a destra sopra il Settimo o il Maloja. I due tracciati confluiscono a Coira per proseguire verso Zurigo e il Lago Bodanico. Già nel quarto secolo la vai Bregaglia era percorsa da una strada romana ed essa restò per secoli uno dei principali passaggi sopra le Alpi. La storia della Bregaglia e indissolubilmente legata alla storia della sua strada. La Valle e sempre stata aperta agli influssi provenienti sia da sud che da nord.
Il cristianesimo giunse in Bregaglia da sud (4° secolo). Uno dei più importanti evangelizzatori fu Gaudenzio, vescovo di Vercelli, nell’Italia settentrionale. Più strano è il fatto che pure la Riforma entrò in Valle da sud. La conversione avvenne nella prima meta del 16° secolo ad opera di profughi italiani che erano passati al cristianesimo riformato. Il contatto con la Riforma a nord delle Alpi (Coira, Zurigo e Ginevra) si stabili solo in un secondo momento. All’epoca della Riforma l’attuale Grigioni formava uno stato autonomo (Rezia) che comprendeva tre leghe: la Lega Caddea, la Lega delle dieci Giurisdizioni e la Lega Grigia. Dall’inizio del 16° secolo la Rezia dominava sulle terre soggette di Chiavenna, Bormio e Valtellina. Le grandi potenze dell’epoca, sia la Spagna e l’Austria che la Francia e Venezia, sollecitavano l’alleanza della Rezia per assicurarsi il passaggio sulle Alpi.
Nel 16° secolo la crescente repressione dei moti riformatori in Italia spinse molti esuli verso la Repubblica retica. Il messaggio della Riforma trovò un’eco, sia nelle Valli meridionali come pure nei paesi soggetti; richiamò pero sempre maggiormente in causa anche le forze della Controriforma. Nel corso dei torbidi dei Grigioni (1618-1639) la Rezia dovette cedere temporaneamente alla Spagna il dominio sulle terre soggette; lo riconquistò con il Capitolato di Milano (1639) a condizione che la pratica della confessione riformata vi restasse vietata.
Nell’era napoleonica il dominio della Rezia su Chiavenna, Bormio e la Valtellina andò perso per sempre. Le terre soggette passarono alla Repubblica Cisalpina per fare poi parte dell’attuale Italia. Soltanto allora il confine a Castasegna divenne frontiera statale. La Bregaglia si orienta sempre più verso nord. Quando il Grigioni entrò a far parte della Confederazione (1803) la situazione cambia di nuovo: la capitale dove si prendevano le decisioni di politica estera non era più Coira, bensì la lontana Berna. Con l’apertura del Gottardo, i valichi del Settimo e del Maloja perdono gran parte della loro importanza. La Bregaglia divenne sempre più una valle periferica fuori mano.

Gli esuli italiani
 
A partire dal 1540 furono sempre più numerosi i profughi che cercarono asilo a Chiavenna. Fra questi c’era Agostino Mainardi (1482-1536), il quale guidò per oltre due decenni la comunità riformata nella città. Il numero dei seguaci andò man mano aumentando e negli anni successivi le comunità, in città e nei dintorni, diventarono cinque. Nei primi decenni di Riforma quasi tutti i parroci delle comunità evangeliche di Bregaglia, provengono dall’Italia. A conferma citiamo qualche esempio: Tommaso Casella, già monaco carmelitano, da Genova; Guido Zonca daVerona e Giovanni Antonio Cortese (Gasacela); Baitolomeo Maturo, già frate dominicano, da Cremona; Giulio della Rovere da Milano; Pier Paolo Vergerio da Capodistria; Aurelio Scitarca dal Veneto e Luca Donato da Firenze (Vicosoprano); Lorenzo Martinengo e suo figlio Alberto dalla Dalmazia (Stampa); Girolamo Turriani da Cremona (Bondo); Giovanni Marra da Napoli (Castasegna); Lattanzio da Bergamo; Michelangelo Florio e Giovanni Marci da Siena (Soglio).
Molti di questi esuli italiani avevano appartenuto ad un ordine monastico ed erano stati portati dal loro studio personale ad abbracciare la Riforma. Spesso erano entrati in conflitto con le autorità ecclesiastiche. Alcuni erano strati denunciati all’Inquisizione e condannati. Qualcuno di loro aveva percorso un lungo cammino, prima di giungere nella libera Repubblica reta. La diversità della loro provenienza comportava che gli esuli italiani rappresentassero un ampio spettro di correnti teologiche. Gli uni confessavano la fede evangelica classica: questi venivano assunti dalla chiesa ufficiale quali predicatori. Gli altri sostenevano opinioni ritenute eretiche: erano battisti, anti-trinitari oppure convinti di avere ricevuto dallo Spirito Santo una particolare illuminazione. I conflitti furono inevitabili. A Chiavenna ci furono polemiche su polemiche e il Sinodo retico nutriva spesso dei dubbi sulla professione di fede dei parroci italiani. Come a Coira, cosi pure nei centri riformati di Zurigo e Ginevra, questi erano guardati con sospetto. Ma nel contempo il loro impegno personale era tenuto in grande considerazione. Molti di loro proseguirono presto il loro cammino verso Zurigo, Basilea, Ginevra, Lione, Strasburgo, Heidelberg, Francoforte, Anversa e Londra. Alcuni dei dissidenti si rifugiarono in Polonia.
I predicatori s’impegnarono a promuovere la cultura nelle Valli grigionitaliane. Le loro prediche e l’insegnamento che impartivano diedero a tutti la possibilità di leggere la Bibbia. Consolidarono cosi l’uso dell’italiano quale lingua scritta e diffusero la conoscenza sia dell’antichità che della cultura italiana.


USANZE PER LA FINE E L’INIZIO DELL’ANNO

Un mondo ormai scomparso.
 
 
Bregaglia innevata, prospettiva da Montaccio (Stampa).
Così raccontano le vecchie cronache bregagliotte sulla fine e sull’inizio d’un anno nuovo. Riportiamo qui il testo in bregagliotto con la traduzione solo di qualche parola, confidando che i nostri lettori comprendano il resto!

Al San Silvester. Al di da san Silvester, i sculair ingiävan [andavano] da ciäsa in ciäsa e cantär üna canzun e augürär la gent üna buna fin e ün bun principi. La seira pö is truvávan in baselga [in chiesa], indua ca lan giuvna la veivan pizaa ün gran albar da Nadäl, par asistar e la funziun religiusa, cantär qualcian canzun, e indua ca ognün di sculair e är i fancc [bambini] pit i ciapävan ün regal. La cena da San Silvester l'ära par i grandg [gli adulti], la grand part oman maridaa (ma senza dona!) e giuvan, c'as truvávan insemal in ün'ustaria e godar ün bun past cun la curispundenta quantità da liquid ross. Surpassäda la raziun normäla as scumanzäva e cantär. Al cumpariva pö lan giuvna e balär, magari är doma el sun da üna ghiga [violino] o d'ün cinforgnin (armonica da boca), fin vers duman. Dree bunman l'ära är l'üs d'as truvär insemal e cena famiglia imparantäda, pal plü da quelan c'äran giüda e l'estar. Fra lan specialità dal pais al gniva sarvii är delicateza: lümäga, renga [aringhe] in insalata, marzipan...

Per il primo dell’anno, ecco che cosa scrivono le nostre cronache:

Al bunman. Al prüm di da l'an i fancc i ingeivan da ciäsa in ciäsa cun ün fagot (ün grand fazöl cui quatar cant grupaa insemal) e gavüsciär [augurare] al bun an cun dir: "Bun dì bunan, un sé cià pal bunman", opür: "un sè cià e augürär ün bun an cun salüd e banadiziun". Par la päga i ciapavan vargot da rüsiär [rosicchiare]: üna branca da castägna, nusc, niciola o peir sec. Sciünaa [finito] al gir dal pais is truvävan insemal in üna stüa e svöidär [svuotare] i see fagot sün üna quärta e fär ora lan part.

Non solo alla fine dell’anno, ma le domeniche invernali, il divertimento principale era andare in slitta (e non solo per i bambini!).

Lan sclitäda. Sa üna dumenga d'invern ai ära üna bela sträda da slita, tant ii maridaa cun la gioventüra, i urganizävan üna sclitäda cun cavai da ün comün in l'altar da la val [una slittata con i cavalli da un comune a l’altro!]. Lan slita c'as üsäva as clamavan araslita, tracia d'ün caval, cufaa in Nagiadina [Engadina]. Ii oman i tuleivan dree lan si dona, i giuvan, invece, i invidävan da gnir insemal la si mata preferida. La slitäda la sciünävan cun ün marendin e ün balarot [un ballo].

Giorni ormai passati, quando la neve isolava completamente la Bregaglia e certamente non passavano ancora gli sciatori italiani per passare la domenica in Engadina. La comunità era certamente più unita!

Auguriamo, allora, anche ai nostri lettori: Bun dì bunan!
TRADIZIONI NATALIZIE IN BREGAGLIA

Coerenza o...
 
 
Vicosoprano, interno chiesa S. Cassiano
Essendo la popolazione della Bregaglia in stragrande maggioranza evangelica-riformata, le tradizioni natalizie, da secoli, sono state influenzate profondamente, come d'altronde tutta la vita sociale e politica, dai principi della Riforma. Il principio informatore di base era (e rimane per i riformati consapevoli della loro vocazione) che la Bibbia è la regola autorevole ultima di tutto ciò che riguarda la fede e la condotta.
Questo ha portato la chiesa a modificare o ad eliminare tutte quelle dottrine, tradizioni e cerimonie religiose che non corrispondono esplicitamente a ciò che la Bibbia stabilisce come Parola di Dio, o che non possa essere dedotto dalla pratica degli antichi cristiani.

Ciò che riguarda le celebrazioni natalizie è stato soggetto a numerose discussioni. Secondo i principi biblici, era chiaro che dovesse essere eliminata la tradizionale messa di mezzanotte, come pure i presepi, le illuminazioni decorative e gli alberi di Natale. La eliminazione di questi ultimi elementi plastici e simbolici era dovuta alla stretta applicazione del comandamento biblico che proibisce le immagini religiose. Inoltre è ormai assodato che la stessa celebrazione del Natale sia stata introdotta soltanto secoli dopo Cristo, "cristianizzando" quelle tradizioni e celebrazioni pagane che avvenivano intorno al solstizio d'inverno.

Il problema era dunque dibattuto: conservare o non conservare il Natale? Mentre alcune chiese riformate lo abolirono, altre, come in Bregaglia, lo conservarono, riducendolo "al minimo indispensabile" educando la popolazione a concentrare piuttosto l'attenzione esclusivamente sulla persona di Cristo e su quanto i vangeli ci dicono sulla sua nascita, e tollerando, così, qualche piccola tradizione popolare.
UN CONFINE... DISCUTIBILE!

Frammenti di storia di un confine.
 
 

Non c'è nulla di "naturale" in un confine nazionale a metà della valle del Mera. Benché i destini politici delle due parti siano stati diversi una sola era sempre stata la popolazione di questa valle. Quali interessi di poteri contrastanti determinarono questa divisione?

L’attuale confine fra la Bregaglia e l’Italia, che corre lungo due affluenti della Maira a Castasegna, risale all’imperatore Ottone I. Per assicurarsi il passaggio del Settimo, nel 960 egli assegnò il territorio superiore alla sovranità del vescovo di Coira. Fino allora la Bregaglia aveva fatto parte della diocesi di Como, che mette lungamente in questione questo confine, senza ottenerne però la rimozione. Il vescovo delegava i diritti sulle strade a famiglie della Valle: ai Prevosti, Torriani, Castelmur e Salis. Questi dovevano impegnarsi a garantire il transito sul valico del Settimo. Un contratto del genere venne per esempio stipulato nel 1387 con la famiglia Castelmur. Il territorio si suddivide, così, in due parti: Sopraporta e Sottoporta. Il nome Porta designa la strozzatura fortificata sopra Promontogno, dove una volta si riscuotevano i pedaggi stradali.

Nel corso dei secoli la Bregaglia acquista una certa indipendenza nei confronti del vescovo di Coira. A partire dal 14° secolo è governata da un podestà locale. La regione formava dapprima un’unica circoscrizione; nel 15° secolo questa si suddivise in due comuni. Il comune di Sottoporta ha il suo tribunale amministrativo indipendente. Il tribunale penale resta invece unificato ed ha la sua sede nel pretorio di Vicosoprano.

Nel medioevo la Bregaglia formava un’unica parrocchia. Nossa Donna a Castelmur, il promontorio che divide Sopraporta da Sottoporta, era la chiesa madre della Valle. Vi risiedeva un arciprete, nominato dal vescovo di Coira. Nei singoli villaggi esistevano piccole chiese o cappelle, servite da cappellani. Nel 1520 ce n’erano otto.

La Riforma protestante porta profondi cambiamenti nella struttura ecclesiastica. Il comune di Sopraporta s’apre per primo ai moti riformatori. Già nel 1532 Bartolomeo Maturo vi fonda una comunità riformata. Sottoporta aderisce alla fede evangelica soltanto venti anni dopo. La grande importanza che la Riforma attribuiva alle comunità locali, contribuisce a dare loro una maggiore importanza.

Nei singoli villaggi si nominano dei ministri del culto riformato; ci sono ben presto tre parroci a Sopraporta ed altrettanti a Sottoporta. Nel 17° e nel 18° secolo si costruiscono nuove chiese a Castasegna, Stampa, Borgonovo, Vicosoprano e Gasacela. Il santuario di San Gaudenzio e la chiesa parrocchiale di Nossa Donna sono invece abbandonate e cominciano ad andare in rovina. Solo nel 19° secolo rinacque l’interesse per i vecchi edifici. Nel 1839 il barone Giovanni de Castelmur acquista la zona fortificata della Porta e la fa restaurare quale simbolo della Valle.



Di un piccolo albero di Natale solo il 24/12, lo si accende una o due volte, e loil 26! Una descrizione ottocentesca delle tradizioni natalizie afferma (in bregagliotto): "L'albrin da Nadäl üna volta al gniva pizaa doma in ciäsa priväda e festegiaa in famiglia". Notate, dunque quel "doma in ciäsa" e comprendetene, come ho esposto, il motivo. Si sviluppò, però, nel contempo, la tradizione del canto corale che, in qualche modo contribuiva a conservare ciò che è "romantico" del Natale, come pure le recite scolastiche sul Natale, in cui i bambini sono coinvolti nell'interpretare il messaggio concernente la nascita di Gesù.

E oggi? Oggi stiamo assistendo, con la secolarizzazione e al graduale affievolirsi della spinta ideale della fede riformata, ad un'altrettanto graduale reintroduzione delle tradizioni natalizie d'origine cattolica. Rimane il culto solenne con Santa Cena il 25 dicembre, ma gli alberi di Natale (e persino talora i presepi) sono tornati in chiesa, le luminarie per le strade e sulle case, le finestre decorate (di tradizione svizzera-tedesca). La cruda realtà sembra corrispondere all'equazione: meno fede e conoscenza biblica - più cerimonie e formalità, e viceversa (grandi feste a Natale e indifferenza religiosa per tutto il resto dell'anno?).

Se pure è vero che v'è chi cerca di giustificare e di "trovare il buono" in ogni cosa, per chi sta a cuore la fede biblica genuina ed intende portare avanti con coerenza i principi della Riforma si assiste impotenti con imbarazzo e fastidio l'attuale ritorno di una cultura estranea e la decadenza ed ipocrisia della cultura contemporanea. I corsi e ricorsi storici molto probabilmente vedranno una nuova generazione che tornerà ad assumere un giusto atteggiamento critico verso la cultura e non mancherà di riformare quanto non è in linea con l'autorità biblica.




IL PALAZZO CASTELMUR DI STAMPA

I Castelmur, un vecchio casato bregagliotto.
 

Difficile scegliere da dove cominciare per i nostri articoli su "Bregaglia: cultura e tradizioni". Nel nostro articolo introduttivo mostravamo la fotografia del palazzo Castelmur della frazione Coltura, di Stampa (che riproponiamo qui). Ecco un buon punto di partenza. Qual è l'origine di questo curioso palazzo?

Dalla strada a ovest di Stampa si scorge, sul lato opposto della valle, il palazzo Castelmur; un imponente edificio rossastro fiancheggiato da due torri merlate. Il passante si chiederà da dove provenga quel corpo estraneo nel paesaggio della Bregaglia. Lo strano edificio venne eretto dal barone Giovanni de Castelmur. Nel 1827 egli acquistò una casa patrizia a Coltura e la trasformò nell’attuale castello. Al suo interno il vecchio edificio resta ben riconoscibile.

Chi era il barone Giovanni de Castelmur? I Castelmur erano un vecchio casato bregagliotto. La famiglia di Giovanni si era stabilita da generazioni a Marsiglia e si era arricchita con la gestione di una pasticceria. Lui stesso era nato in quella città nel 1800 e vi aveva trascorso la fanciullezza; parlava perfettamente francese. Restò però per tutta la vita profondamente legato ai Grigioni e alla Bregaglia. Ricevette da Napoleone III il titolo di barone per meriti filantropici. Sua moglie Anna, nata nel 1813, pure una Castelmur, era sua cugina di primo grado. Si sposarono nel 1840 e non ebbero figli. La lapide funebre a Nossa Dona denomina la baronessa .moglie dell’avventuroso Giovanni de Castelmur’. L’epiteto e appropriato nel senso che Giovanni fu uno spirito molto versatile e intraprendente. Impiegava le sue forze e i suoi averi per il bene pubblico ed era conosciuto come benefattore. Sostenne la scuola pagando vario materiale ed anche la retta scolastica dei bisognosi. Partecipò al finanziamento di una stazione telegrafica a Castasegna e fece migliorare a proprie spese la strada che porta da Stampa a Coltura.

Finanziò la stampa di un nuovo libro di canto per la parrocchia riformata. Nel già menzionato restauro della chiesa di Nossa Dona investì somme considerevoli. Da giovane Giovanni de Castelmur pubblicò in francese e italiano il trattato Alcune riflessioni politiche (1830), dove il barone enuncia un suo programma. Lo spirito che lo pervade viene espresso nella prefazione: “Elettrizzato del sentimento che ci rende cittadini della confederazione e non di un distretto, d’un comune, d’una valle, d’un cantone, sentimento che ci unisce quando respiriamo e ci fa portare su tutti i mèmbri della nostra bella patria quello sguardo filantropico”.

 
 

La sua critica alle condizioni vigenti, spesso condotta con toni aspri, sollevò delle opposizioni che lo costrinsero a ritirare la pubblicazione. Nel 1844 fu eletto podestà della valle. Morì nel 1871 a Nizza e venne sepolto nella chiesa di Nossa Donna.

La vedova prosegui l’opera sua. Come prima cosa istituì un legato per permettere agli insegnanti bregagliotti di approfondire lo studio della lingua in Italia. Nel 1873 creò una fondazione per il mantenimento della zona fortificata della Porta. Grazie ad una sua generosa offerta fu possibile edificare l’asilo di Flin, presso Spino. on l’eredita lasciata alla sua morte si costruì il ponte che congiunge Coltura alla strada principale, ancora oggi chiamato “ponte della Baronessa”. Venne sepolta pure lei nella chiesa di Nossa Dona. “Ho sempre più il bisogno di venire in aiuto al povero e bisognoso; questa e la mia precisa volontà e credo anche il mio dovere.”

Nel 1963 il palazzo venne acquistato dal circolo della Bregaglia, che lo aprì al pubblico come museo valligiano e archivio storico. Vi si celebrano pure matrimoni civili. Lo scantinato ospita il ritrovo autogestito dei giovani bregagliotti.

UNA NUOVA RUBRICA SULLA BREGAGLIA SVIZZERA

Articolo introduttivo.
 
 
Il palazzo di Castelmur.
Inizio con questo mio primo articolo introduttivo il mio contributo a Vaol.it con una rubrica in cui mi prefiggo di presentare informazioni e curiosità sulla cultura, lingua e tradizioni della Bregaglia svizzera.
Sono un bregagliotto "adottivo". Quest'anno sono esattamente 20 anni che mi sono trasferito in questa valle proveniendo dal Piemonte. ...nemmeno sapevo prima dell'esistenza della Bregaglia: non si tratta di zone che usavo frequentare! Come ci sono arrivato? In breve: dopo aver conseguito a Zurigo una laurea in teologia protestante e l'abilitazione a servire come pastore evangelico, mi avevano chiesto di occupare "per alcuni mesi" il posto del pastore evangelico di Stampa, tragicamente deceduto in un incidente stradale. Alcuni mesi? Beh, sono diventati 20 anni! Qui ho conosciuto mia moglie (autentica bregagliotta!), qui abbiamo costruito la nostra casa ed abbiamo avuto i nostri figli. E' diventata così la mia "seconda patria". Ho imparato ad apprezzare questa gente e le sue tradizioni e quindi "mi permetto" di parlare di loro e di far meglio conoscere la loro realtà al pubblico di Vaol.it. Spero che "la cosa" sia apprezzata!
Il fatto d'essere venuto in questa zona come pastore evangelico, fra l'altro, si inserisce in una "tradizione" secolare. Difatti, da secoli la Bregaglia ha avuto in maggioranza ministri del culto evangelico provenienti dall'Italia, sin dai tempi in cui, a causa delle persecuzioni religiose nella penisola, molti cristiani evangelici avevano trovato la libertà di vivere e diffondere la loro fede in queste zone.