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PERSONAGGI NELLA
STORIA DELLE RIFORME DELLA CHIESA
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NOTI PERSONAGGI NELLA
STORIA DELLA CHIESA - Parte in francese |
Cranmer, Thomas (1489-1556) Thomas Cranmer nacque il 2 luglio 1489 a
Aslockton, nella contea inglese del Nottinghamshire, da Thomas Cranmer senior,
un modesto gentiluomo di campagna, e da Agnes Hatfield. Dopo una prima
educazione di base, egli si trasferì nel 1503, all'età di quattordici anni, a
studiare a Cambridge, dove entrò nel Jesus College e dove ottenne nel 1510 il
titolo di Maestro d'arti liberali, diventando professore dello stesso collegio.
In seguito, poiché il suo posto richiedeva il celibato, egli dovette
dimettersi a causa al matrimonio con la prima moglie Joan. Tuttavia dopo la
morte di quest'ultima per infezione da parto, C. ritornò all'università come
docente e conseguì dapprima il baccalaureato, e poi il dottorato in teologia,
diventando nel 1530 arcidiacono di Taunton. Nel frattempo, nel 1529, era
avvenuto l'incontro, favorito dai vescovi Stephen Gardiner (1483-1555) e Edward
Fox (1496-1538), con il re Enrico VIII d'Inghilterra, che avrebbe cambiato
radicalmente la vita di C. Il re era infatti sposato, per volontà politica di
suo padre, dal 1509 con Caterina d'Aragona, vedova di suo fratello Arturo. A
quel tempo, questo matrimonio si poté celebrare solamente con la dispensa di
Papa Giulio II (1503-1513). Dopo 18 anni, il re era seriamente preoccupato per
la successione al trono d'Inghilterra a causa del matrimonio con la più anziana
Caterina, che non era riuscita a dare un erede maschio al re: l'unica superstite
delle sue varie gravidanze era la figlia Maria. Enrico aveva chiesto quindi
al Papa Clemente VII (1523-1534) l'invalidazione della dispensa papale, ma la
questione era infatti molto delicata: bisognava considerare le implicazioni
internazionali, poiché Caterina era anche zia dell'imperatore Carlo V
(1519-1558)! L'intermediario papale [l'arcivescovo di Salisbury Lorenzo
Campeggio (1472-1539)] e quello del re [il cardinale e Lord Cancelliere Thomas
Wolsey (1474-1530)], scelti per condurre la trattativa, tirarono per le lunghe
senza arrivare ad una conclusione e lo stesso Papa Clemente VII, dopo aver
subito il sacco di Roma e la prigionia da parte dei lanzichenecchi di Carlo V
nel 1527, non voleva ulteriormente provocare l'imperatore, perciò nel 1529 avocò
a Roma il diritto di decidere sulla questione, ma anche lui, debole o troppo
prudente, continuò a posporre la decisione finale. Lo stato di impasse fu
superato grazie a C., il quale suggerì al re di consultare le principali
università europee. Oltretutto, secondo C., anche dalle stesse Sacre Scritture
veniva la conferma della scelta di separazione, secondo un passo del Levitico
(20:21): Se un uomo sposa la moglie di suo fratello commette un'impurità; essi
rimarranno senza figli. Benché la proposta di C. non permettesse di
raggiungere l'unanimità di consensi, tuttavia la maggioranza delle risposte fu
favorevole a Enrico. Nel 1532 C. fu impiegato da Enrico per importanti
missioni diplomatiche all'estero e in quel frangente sposò la sua seconda
moglie, Margaret, nipote del riformatore luterano Andreas Osiander. Tuttavia
nell'anno dopo, 1533, egli fu proclamato arcivescovo di Canterbury e dovette
quindi occultare la presenza della moglie e perfino mandarla all'estero per non
dispiacere al re. C. è stato spesso accusato dai critici di servilismo nei
confronti delle continue richieste del suo sovrano, ma era davvero difficile
convivere con un re così vulcanico, mantenendo la propria testa saldamente sul
collo!! Così, nel 1533 il re sposò in segreto la sua nuova fiamma, Anna
Bolena, la quale già aspettava un figlio da lui e, tre mesi dopo, C., facendosi
forte di un decreto parlamentare sulla autonomia della Chiesa inglese nelle
decisioni interne, dichiarò sciolto il matrimonio di Enrico con Caterina e
riconobbe ufficialmente quello con Anna Bolena. Il papa reagì con la
scomunica del re, di Anna Bolena e dello stesso C. nel luglio 1534 e con
l'interdizione (cessazione dell'amministrazione dei sacramenti)
dell'Inghilterra, provvedimento che sarebbe stato tremendo nel medioevo, ma che
fu praticamente ignorata nel XVI secolo. C. continuò a dimostrare molta
arrendevolezza nei “capricci matrimoniali” di Enrico VIII: presiedette al
processo e condanna di Anna Bolena, al divorzio da Anna di Cleves (il cui
matrimonio fallito con il re condannò al patibolo il Lord Cancelliere Thomas
Cromwell), e al processo ed esecuzione della quarta moglie, Caterina
Howard. Durante il regno di Edoardo VI (1547-1553) nel 1549 venne pubblicato
il Book of Common Prayer (il libro delle preghiere), compilato su richiesta di
C. per semplificare i libri di preghiere e di funzioni religiose in latino e
risalenti al periodo medioevale. Il suo utilizzo obbligatorio venne prescritto
dall'Atto di Uniformità del 1549 stesso. Però dal punto di vista dottrinale
ne risultò un miscuglio di idee diverse (cattoliche e luterane) e non
soddisfaceva nessuno: lo stesso C. introdusse un concetto dottrinale, denominato
ricezionismo, e cioè che Cristo veniva ricevuto dal fedele durante la Comunione
in un modo che non dipendeva dal pane e dal vino usati, ma dal cuore del fedele
stesso. Nel 1552, quindi, il libro fu rivisto, ma questa volta in un senso
fortemente riformatore di tipo svizzero, con l'ausilio di Calvino in persona,
che scrisse a Edoardo VI e al conte di Somerset per aiutarli nella revisione. Ma
fu soprattutto grazie al nuovo Lord Protettore, John Dudley (1502-1553), conte
di Warwick e al vescovo di Londra Nicholas Ridley, che diverse personalità della
Riforma svizzera zwingliano-calvinista furono chiamate in Inghilterra e diedero
il proprio contributo: Martin Bucero da Strasburgo, l'italiano Pietro Martire
Vermigli, professore ad Oxford, il polacco Jan Laski. Durante l'agonia di
Edoardo VI, C. fu convinto a firmare, controvoglia, il documento che disegnava
come successore la cugina del re, Lady Jane Grey (1537-1554). Jane Grey salì
effettivamente sul trono, ma solo per nove giorni: la reazione della legittima
erede, la cattolica Maria Tudor, figlia di quella Caterina d'Aragona, il cui
ripudio aveva innestato lo scisma della Chiesa d'Inghilterra, fu pronta e
efficace. C. fu accusato di tradimento e condannato a morte: la sentenza non
venne eseguito, perché nel frattempo l'ex arcivescovo di Canterbury fu
incriminato per eresia. In questo processo, egli, nel tentativo di salvarsi,
firmò un'abiura scritta, accettando il dogma della transustanziazione e la
suprema autorità del Papa sulla Chiesa Inglese, ma fu ugualmente condannato al
rogo. Il 21 marzo 1556, C. salì sul rogo ad Oxford con notevole calma e
coraggio e, mentre le fiamme lo lambivano, rinunciò alla sua precedente abiura e
stese la mano destra, che aveva firmato il relativo documento, pronunciando la
frase: Giacché la mia mano ha recato offesa, scrivendo il contrario di quello
che sentiva il mio cuore, sarà la mia mano la prima ad essere
punita. Latimer, Hugh
(ca.1485-1555)
http://www.eresie.it/id458.htm Hugh Latimer nacque a
Thurcaston, nella contea inglese del Leicester, nel 1485 circa, da una agiata
famiglia di latifondisti. Nel 1506 il padre lo inviò a studiare a Cambridge,
dove ottenne il baccalaureato nel 1510 e divenne maestro in arti nel 1514.
Iniziò quindi lo studio della teologia, e nel contempo si impegnò, come strenuo
difensore della religione cattolica, in accesi dibattiti con i
riformatori. Anche dopo la laurea in teologia conseguita nel 1524, L. iniziò
l'insegnamento all'università, presso la Clare College, e mantenne una posizione
cattolica, finché non fu convertito da Thomas Bilney diventando, da quel
momento, un fervente predicatore della Riforma luterana, fino a che non gli fu
impedito di predicare da parte di West, vescovo di Ely. A L. non restò che
trovare conforto nel convento agostiniano di Cambridge, presso il quale si era
organizzato il circolo dei luterani di Cambridge, fondato dallo stesso Bilney e
soprannominato Piccola Germania, che annoverava personalità come il priore
Robert Barnes (1495-1540), Miles Coverdale, traduttore della prima versione
dell'Antico Testamento in inglese, e vari cattedratici dell'università. Nel
1531, in seguito al suggerimento di Thomas Cranmer, docente universitario alla
Jesus College di Cambridge, di consultare le principali università europee a
proposito dell'annullamento del matrimonio di Enrico VIII con Caterina
d'Aragona, fu interpellato anche L., che espresse parere favorevole, entrando
quindi nelle grazie di Enrico VIII. L. iniziò a predicare la dottrina
riformista a West Kingston, nella contea del Wiltshire, ma nel 1532 fu
scomunicato dalla Chiesa Cattolica, per la sua posizione contraria alla
venerazione dei santi e alla dottrina del purgatorio. L'amicizia di Cranmer e
del potente Vicario Generale Thomas Cromwell fece sì che nel 1535 a L. venisse
dato il seggio di vescovo di Worcester, ma solo quattro anni dopo, nel 1539 fu
costretto a dimettersi per essersi rifiutato di sottoscrivere i Sei Articoli
(The Six Articles), di forte ispirazione cattolica, che confermavano, tra
l'altro, la validità del dogma della transustanziazione, l'Eucaristia sotto una
sola specie, il celibato per i prelati, le Messe private e la confessione. L.
fu anche imprigionato in seguito per questa sua posizione (meglio comunque del
destino del suo confratello Robert Barnes, bruciato sul rogo nel 1540), ma fu
riabilitato nel 1547, sotto il re Edoardo VI, durante il cui regno si limitò al
ruolo di semplice predicatore. Ma alla salita al potere della cattolica Maria
Tudor nel 1553, questa si ricordò dei prelati che avevano avvalorato il ripudio
di sua madre, Caterina d'Aragona da parte di Enrico VIII. Fece quindi
imprigionare Cranmer, L. e Nicholas Ridley, vescovo di Londra, nella torre di
Londra e condannarli a morte. Il 16 ottobre 1555 L. e Ridley furono portati
per essere bruciati sullo stesso rogo. Mentre le fiamme lambivano i condannati,
L., esortando Ridley ad un comportamento più coraggioso, pronunciò le famose
parole: Oggi accenderemo una candela, che, per grazia di Dio, confido non verrà
mai più spenta in Inghilterra. Sozzini (o Socini, Sozini, Sozzino,
Socino o Socinus), Fausto Paolo (1539-1604) e Socinianesimo in Polonia
http://www.eresie.it/id635.htm
I primi anni Il famoso teologo
antitrinitario Fausto Paolo Sozzini (o Socini: per le altre varianti del
cognome, vedere il titolo), nome umanistico Faustus Socinus, nacque il 5
dicembre 1539 a Siena, primogenito del giurista Alessandro Sozzini (1509-1541)
[a sua volta primogenito del giureconsulto Mariano Sozzini il giovane
(1482-1556)] e di Agnese Petrucci, discendente di Pandolfo Petrucci (1452-1512),
governatore di Siena dal 1487 al 1512. Il piccolo Fausto, dopo la nascita
della sorella Fillide (1540-1568), rimase nel 1541 orfano del padre, e dopo poco
anche della madre. Egli fu allevato nella famiglia paterna senza un'educazione
regolare, con un interesse più per le lettere che per la giurisprudenza (gli
studi tradizionali della famiglia Sozzini), sotto lo stimolo culturale di suo
zio Celso, professore di diritto a Bologna, e proprio in questa città Celso
trasportò nel 1554 l'Accademia senese dei Sizienti, di cui S., pare, abbia fatto
parte. E' sicuro invece la sua adesione, nel 1557, all'Accademia senese degli
Intronati, dove egli entrò con il nome di Frastagliato, sempre al seguito dello
zio Celso, che aveva assunto il nome di Sonnacchioso. Le riunioni degli
Intronati, votati alle discussioni sulla letteratura, lingua e religione furono
per S. senz'altro più interessanti di quelle dei Sizienti, dedicati solo ad
argomenti giuridici. Comunque, per sua fortuna, non dovette affidarsi ad un
titolo di studi per vivere, perché, nel 1556, alla morte del nonno Mariano, S.
poté disporre (per più di trent'anni) di una certa sicurezza economica, quando
ricevette in eredità un quarto dei beni di famiglia.
Lo sviluppo del
pensiero religioso di S. I primi interessi religiosi eterodossi di S. gli
furono trasmessi dallo zio Lelio, che, benché esule dal 1547 in Svizzera per
motivi religiosi, ebbe la possibilità di rivisitare Siena e parlare col nipote
nel 1552. Nel 1558 S. fu coinvolto nel processo per eresia a carico degli
zii Celso e Camillo, segno di un graduale schieramento a favore delle scelte
protestanti dei famigliari. Nel 1561 egli lasciò Siena per recarsi a Lione
ufficialmente per impratichirsi nell'arte mercantile, ma nella città francese
egli spese due anni della sua vita soprattutto ad approfondire le sue conoscenze
religiose e a mantenere i contatti con lo zio Lelio, che abitava a Zurigo.
Avvertito della morte di quest'ultimo, avvenuto il 14 maggio 1562, da parte del
mercante Antonio Mario Besozzi (m. 1567), S. accorse a Zurigo per raccogliere
gli scritti di Lelio, che poi usò per meditare e sviluppare la dottrina del
pensiero sociniano: già nell'aprile 1563, rielaborando concetti di Lelio, S.
aveva composto un commento all'incipit del Vangelo di San Giovanni, dal titolo
Explicatio primae partis primi capiti Evangelii Johannis, dove però, rispetto
allo zio, S. diede più forza al carattere spirituale di Cristo. In seguito S.
si stabilì per un breve periodo a Basilea (sebbene il suo nome fosse anche
citato nell'elenco degli iscritti alla Chiesa degli Italiani a Ginevra), dove
conobbe Celio Secondo Curione, amico dello zio Lelio. S. si recò anche a Zurigo,
dove fu tuttavia coinvolto nell'espulsione, per le sue idee antitrinitarie,
antiecclesiastiche e contro i Sacramenti, di Bernardino Ochino (da S. conosciuto
nella città svizzera) da parte del riformatore Johann Heinrich Bullinger nel
dicembre 1563. A questo punto S., nonostante fosse già abbastanza compromesso
con la Riforma, prese la sconcertante decisione di ritornare in Toscana. Sulla
strada di ritorno, passò per Chiavenna, dove fece visita all'amico e maestro
Ludovico Castelvetro.
Il periodo fiorentino
(1563-1574) Effettivamente non è del tutto chiaro perché S. decidesse di
rientrare in Italia, visto che poi, per la sua stessa incolumità, dovette poi
osservare una prassi fortemente nicodemitica: infatti per i successivi 11 anni
(dal 1563 al 1574) si tenne per sé le sue intime elucubrazioni religiose. S.
si trasferì a Firenze ed entrò come segretario al servizio di Isabella de'
Medici(1542-1576), figlia del granduca Cosimo I de' Medici (duca di Firenze:
1537-1569 e granduca di Toscana: 1569-1574), e del marito Paolo Giordano Orsini
(1537-1585), accompagnando la sua protettrice a Roma nel 1571 e componendo poemi
e sonetti, di cui i più ispirati furono quelli composto in onore della sorella
Fillide, morta nel 1568 e di Ludovico Castelvetro, morto il 21 febbraio 1571, in
cui S. dichiarò che il modenese gli aveva chiaramente mostrato la via da
seguire: l'esilio (in terra protestante) e la palese professione di fede. Nel
frattempo (1568) fu stampato, sotto lo pseudonimo del gesuita Domenico Lopez, il
suo scritto teologico De Sacrae Scripturae Autoritate, che, applicando i metodi
della filologia moderna, introdotti da Lorenzo Valla, ribadiva l'autorità della
Sacra Scrittura e l'eccellenza della religione cristiana. L'uso di uno
pseudonimo fu probabilmente frutto di un accordo segreto con Cosimo I: il
granduca avrebbe accordato la sua protezione, a patto che S. non pubblicasse i
suoi scritti con il proprio nome. L'accordo proseguì anche con il successore di
Cosimo, Francesco Maria (1574-1587) e garantì il regolare afflusso di proventi
verso il paese estero, dove S. aveva, in volta in volta, stabilito la propria
residenza. Nonostante la dichiarazione in occasione della morte di
Castelvetro e la pubblicazione del De Sacrae Scripturae Autoritate, S. prese la
decisione di abbandonare per sempre l'Italia solo dopo la morte del Granduca
Cosimo I de' Medici, avvenuta nell'aprile 1574. Del resto, due anni dopo, nel
giugno 1576, avvenne una tragedia che avrebbe rinforzato la sua decisione: la
sua protettrice, Isabella de' Medici, fu strangolata dal gelosissimo marito, che
aveva saputo dell'esistenza di un amante della moglie [sebbene avesse lui stesso
come amante Vittoria Colonna Accoramboni (1557-1585)]. Quindi nulla poté il
nuovo granduca, Francesco Maria, fratello di Isabella, per convincere il senese
a recedere dalla sua decisione. Tra l'altro, la scelta di S. era dettata dalla
necessità di vivere in un ambiente, che gli permettesse di sviluppare con
serenità e sicurezza i suoi studi sulle Scritture.
S. in
Svizzera Nella seconda metà del 1574, quindi, S. emigrò in Svizzera, a
Basilea, dove i capi religiosi erano i tolleranti riformatori Theodore Zwinger
(1533-1588) e Basilio Amerbach (1533-1591): per quest'ultimo lo zio Lelio aveva
scritto una lettera di presentazione nel lontano 1547, quando lo svizzero aveva
espresso il desiderio di recarsi in Italia per completare i suoi studi di
giurisprudenza. A Basilea S. risedette per circa quattro anni, studiando le
Sacre Scritture e soprattutto il problema della redenzione, sul quale argomento
scrisse due trattati: la sua opera principale De Jesu Christo Servatore (Gesù
Cristo salvatore), finita nel 1578, pubblicata parzialmente (ma senza il suo
consenso) nel 1583 e interamente in Cracovia nel 1594, e il trattato De statu
primi hominis ante lapsum (Sulla condizione del primo uomo prima della Caduta),
sempre scritta nel 1578, ma pubblicata postuma nel 1610. Il primo trattato,
nato dalle discussioni con i riformatori Gerolamo Marliano, Giovanni Battista
Rota (pastore della Chiesa italiana a Ginevra), Manfredi Balbani e Jacques Couët
du Vivier (1547-1608), esponeva l'idea di S. a riguardo della redenzione: il
punto principale della dottrina protestante della giustificazione per fede non
era il sacrificio di Cristo compiuto per espiare i nostri peccati, bensì la
rivelazione divina attraverso l'esempio della vita di Cristo, vero salvatore e
redentore degli uomini. Il secondo trattato, invece, si inserì nella polemica
in atto tra S. e Francesco Pucci, il pensatore utopistico che rigettava il
concetto di peccato originale: secondo Pucci, l'uomo è immortale e si danna solo
quando, razionalmente, devia dalla legge divina. Per S., che si confrontò con
Pucci nel 1577 a Basilea in un incontro organizzato da Francesco Betti, l'uomo,
essere mortale, si deve invece conquistare l'immortalità con la fede
attiva. S. in Transilvania Una copia del manoscritto del De Jesu
Christo Servatore giunse fino in Transilvania e attirò l'attenzione del
riformatore antitrinitario e medico Giorgio Biandrata, che invitò S. a recarsi a
Kolozsvàr (oggi Cluj in Romania) nel novembre 1578, per polemizzare con Ferenc
Dàvid, il quale aveva aderito alla fazione degli antitrinitariani non-adoranti,
coloro i quali negavano il ruolo di guida per i fedeli verso la salvezza del
Cristo e rifiutavano, conseguentemente, ogni forma di adorazione di Gesù Cristo.
A loro si contrapponevano gli antitrinitariani adoranti, che ponevano la figura
di Cristo come riferimento per la salvezza degli uomini. Da qui si comprende
l'interesse di Biandrata verso il trattato di S., che considerava Gesù Cristo
colui il cui compito era di rivelare Dio agli uomini, i quali potevano così
raggiungere la salvezza, seguendo il Suo esempio. L'inattesa conclusione
della discussione avvenne nel giugno 1579, quando, su denuncia di Biandrata,
Dàvid fu fatto arrestare in giugno e imprigionare nella fortezza di Déva dove
morì il 15 novembre dello stesso anno. S. in Polonia S. non prese
comunque parte attiva alla tragedia umana di Dàvid, perché, già nel maggio 1579,
si era trasferito in Polonia, presso i Fratelli Polacchi, l'ecclesia minor di
fede antitrinitaria (o unitariana) che aveva mantenuto le caratteristiche ariane
(in particolare il concetto che Cristo era pre-esistito alla creazione del mondo
e quindi era giusto adorarlo) e anabattiste, datale da Pietro Gonesio: fu
soprattutto l'arrivo di S. che contribuì ad uniformare la dottrina sui principi
proposti dal senese. S. pose la sua residenza a Cracovia, sebbene il centro
di riferimento per l'unitarismo polacco fosse la vicina cittadina di Raków, dove
era stato fondato un seminario di studi antitrinitari nel 1569 e dove, tra il
1603 ed il 1605, sarebbe stato redatto il catechismo ufficiale della setta.
Curiosamente S. non fece ufficialmente parte della Chiesa antitrinitariana di
Cracovia, se non in tarda età, a causa del suo rifiuto di farsi ribattezzare
(l'influenza anabattista era ancora molto forte sugli antitrinitariani polacchi)
da parte del pastore Szymon Ronemberg. Qui, però, riprese la polemica tra
adoranti ed alcuni esponenti non-adoranti, come Giacomo Paleologo, Jànos Sommer
(1540-1574), e Andrea Dudith Sbardellati: comunque, oltre alla solita diatriba
se fosse giusto o meno adorare Gesù Cristo, con il suo De Jesu Christi filii Dei
natura sive essentia, S. attaccò i non-adoranti come giudaizzanti, che volevano,
tra l'altro, santificare il sabato, secondo un uso sabbatariano, che si sarebbe
espanso in Inghilterra, portatovi proprio dagli antitrinitariani profughi dalla
Polonia. Inoltre un altro punto di frizione con S. fu l'obbligo morale,
secondo Paleologo, del cristiano nella difesa, anche prendendo le armi, del
paese che offriva la sua ospitalità. S. era in totale disaccordo con questa
tesi: per l'antitrinitariano senese, il cristiano, secondo l'interpretazione del
Nuovo Testamento, non poteva versare il sangue di altri cristiani. I toni
della polemica furono così accesi che il medico Marcello Squarcialupi, amico di
Biandrata, nel 1581 scrisse una lettera a S. per richiamarlo ad abbassare i toni
della polemica, che danneggiava l'immagine degli esuli italiani. Comunque, a
parte questo episodio, S. mantenne sempre buone relazioni sociali con diversi
esuli italiani in Polonia, soprattutto con Niccolò Buccella, che diventò suo
amico fraterno e che nominò S. come uno dei suoi eredi, e con Prospero Provana,
che lo ospitò spesso in sua casa. Nel marzo 1583, temendo rappresaglie da
parte del fronte cattolico polacco, S. decise di andare ad abitare nel villaggio
di Pawlikowice (oggigiorno Roznów, sudest di Cracovia), ospite del nobile
polacco Krzysztof Morsztyn, e ne sposò la figlia Elizabeth nel 1586. L'anno dopo
nacque l'unica figlia di S., Agnese (1587-1654), ma, nello stesso anno morì la
moglie. Il 1587 fu anche l'anno della morte del suo protettore in patria,
Francesco Maria de' Medici, e, nonostante S. mantenesse apparentemente dei buoni
rapporti con il nuovo granduca, Ferdinando I (1587-1609), l'Inquisizione a Siena
gli sequestrò i beni, con l'accusa di eresia. Tuttavia la perdita di introiti
dalla madrepatria fu parzialmente compensata dalla possibilità di pubblicare con
il proprio nome le sue opere, poiché, come si è detto precedentemente,
l'anonimato era la conditio sine qua non imposta prima da Cosimo I, poi da
Francesco Maria de' Medici perché S. potesse continuare a ricevere i proventi
delle sue proprietà di famiglia. Nel 1588 S. riuscì nell'impresa di unire
tutte le fazioni antitrinitariane al sinodo di Brest (Brzesc, in Lituania) e, in
suo onore, da questo momento gli antitrinitariani si denomineranno sociniani.
Oltretutto la crescente popolarità presso la nobiltà polacca e l'autorevolezza
dei suoi interventi fecero sì che nel 1596 S. fosse nominato capo della Chiesa
sociniana polacca. Tuttavia la conseguenza fu che egli dovette fronteggiare
una violenta reazione, anche di piazza, dei cattolici: nel 1591 il suo punto
d'incontro a Cracovia fu devastato dalla folla, ma soprattutto, nel 1598, gli
studenti universitari, sobillati dai gesuiti, fecero irruzione nella sua casa di
Cracovia, mentre giaceva a letto ammalato: S. stesso fu malmenato e portato
davanti al municipio, dove vennero bruciati i suoi scritti e i suoi libri.
Richiesto di abiurare, rifiutò e fu quindi trascinato via per essere annegato
nel fiume Vistola, e solo il tempestivo intervento di un professore
universitario, Martin Wadowit, gli salvò la vita. Temendo quindi per altri
attacchi di fanatici, S. si trasferì da Cracovia a Luslawice, un villaggio a
nord di Tarnów, a 30 km. da Cracovia, ospite di Abraham Blonski, e qui iniziò,
senza poterla finire, la stesura della bozza di un catechismo antitrinitariano,
la Christianae religionis brevissima institutio, per interrogationes et
responsiones, quam catechismus vulgo vocant, che fu la base del catechismo
ufficiale, redatto, dopo la sua morte, dal fedele discepolo Piotr Stoinski
junior (m. 1605), assieme a Valentinus Smalcius (1572-1622), Hieronymus
Moskorzowski (m. 1625) ed altri, in polacco nel 1605. Il testo fu poi
tradotto in tedesco nel 1608, in latino nel 1609, ed in inglese, a cura di John
Biddle, nel 1652 con il titolo di The Racovian Catechisme (Catechismo di Raków),
nome con il quale oggi è conosciuto nel mondo anglosassone unitariano. S.,
ormai vecchio e sofferente per ripetute coliche e calcoli renali, morì a
Luslawice il 4 marzo 1604. Dapprima sulla sua tomba fu posta la scritta Chi
semina virtù, raccoglie la fama, e vera fama supera la morte, ma nel 1936 i suoi
resti furono posti in un mausoleo, dove sulla sua tomba vennero scritte queste
significative parole: Crolli la superba Babilonia: Lutero ne distrusse i tetti,
Calvino le mura, Socini le fondamenta. Il pensiero religioso Secondo
Marian Hillar, il nocciolo delle dottrine sociniane si riassumano in dieci
punti: Antitrinitarismo, o negazione del concetto tradizionale della
Trinità. Unitarianismo, o negazione della pre-esistenza di Gesù. Il
concetto della redenzione attraverso atti morali. Il dualismo radicale: Dio e
l'uomo sono radicalmente differenti. Il primo uomo, Adamo, era mortale prima
della Caduta. Il concetto della religione come pratica di principi etici, per
esempio la convinzione che gli insegnamenti morali di Cristo, tipo il Sermone
della Montagna, devono essere praticati. La convinzione che l'uomo è capace
di sviluppare la volontà di seguire Cristo e così ottenere la
salvezza. L'opposizione al misticismo, che richieda qualche speciale
illuminazione per conoscere la verità religiosa. La convinzione che la
ragione dell'uomo è sufficiente per capire e interpretare le Scritture. La
posizione empirica che tutte le nostre conoscenze derivano dall'esperienza dei
sensi. Il pensiero di S., fortemente razionale, accettava un solo Dio, mentre
Gesù Cristo era semplicemente un uomo crocefisso, il cui compito era di rivelare
Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così la salvezza, seguendo il
Suo esempio. Per lui la Sacra Scrittura, redatta da uomini, non era indenne da
errori, e l'uomo doveva basarsi sulla propria etica per osservare i comandamenti
e non era quindi necessaria la grazia divina. Egli, inoltre, negava l'esistenza
dell'inferno, il peccato originale, la necessità dei sacramenti, la
predestinazione, e, rispetto ai Fratelli Polacchi, rifiutava il secondo
battesimo. La fine del socinianesimo in Polonia Pochi anni dopo, nel
1610, sotto il regno di Sigismondo Augusto III (1587-1632), la potente
organizzazione gesuita sbarcò in Polonia decretando il rapido declino degli
antitrinitariani (o unitariani) in Polonia: il 6 novembre 1611 fu bruciato sul
rogo a Varsavia l'unitariano Jan Tyskiewicz, un agiato cittadino di Bielsk, per
essersi rifiutato di giurare sulla Trinità e nel 1638 fu chiuso il seminario di
Raków. Il colpo finale per l'unitarismo in Polonia fu comunque, durante il
regno di Giovanni Casimiro (1648-1668), il bando di espulsione per tutti gli
unitariani polacchi, deciso nel 1658 e diventato esecutivo il 10 luglio 1660,
che li costrinse o ad uniformarsi al cattolicesimo o ad emigrare in altri paesi
europei (in Olanda, dove la maggior parte si trasferì aderendo alla Chiesa
Arminiana dei rimostranti, in Germania, e in Transilvania, dove però essi non
aderirono alla Chiesa Unitariana Transilvana, ma formarono una chiesa autonoma a
Kolozsvàr estinguendosi nel 1793). Nel 1668 fu introdotta la legge, che
prevedeva la pena di morte per i cattolici battezzati, che si fossero convertiti
al protestantesimo. L'ultima sacca di resistenza unitariana in Polonia si
estinse nel 1811 e solo nel 1921 furono riaccettate le congregazioni unitariane
nella nazione rinata dopo secoli di dominazione straniera. Ma la successiva
occupazione nazista nel 1939 e l'instaurazione del comunismo ha fatto sì che
l'unitarianismo polacco potesse incominciare a muovere nuovamente qualche timido
passo solamente dopo la caduta del muro di Berlino, negli anni '90 del XX
secolo. L'attuale Chiesa unitariana in Polonia comprende solo qualche centinaio
di fedeli. Per lo sviluppo del socinianesimo in altri paesi, vedi
unitarianismo. Bruno, Giordano (1548-1600)
http://www.eresie.it/id564.htm
La gioventù Il famoso filosofo
Giordano Bruno (il nome di battesimo era Filippo, ma lo cambiò in Giordano
quando entrò nell'ordine dei domenicani) nacque nel gennaio (o febbraio) 1548 a
Nola, in provincia di Napoli, dal gentiluomo (dedito alla carriera militare)
Giovanni Bruno e da Fraulissa (o Fraulisa) Savolino, modesta proprietaria
terrena. A Nola B. frequentò il ginnasio locale e nel 1560 si trasferì allo
Studio, un liceo di Napoli, dove studiò lettere, logica, dialettica e filosofia
aristotelica [quest'ultima sotto l'agostiniano Fra Teofilo da Vairano (m.
1578)]. Nel 1565 B. entrò come novizio nel convento domenicano di San
Domenico Maggiore, dove il 16 giugno 1566 prese i voti, diventando professo.
Come già detto, in questa occasione egli prese il nome di fra Giordano. A San
Domenico B. si fece notare per le sue capacità mnemoniche, tant'è che nel
1568-69 venne invitato a Roma da Papa Pio V (1566-1572), al quale dedicò la sua
prima opera (andata perduta) L'arca di Noé. Nel periodo 1568-72 egli proseguì i
suoi studi di logica e filosofia e nel 1572 venne ordinato sacerdote. Nello
stesso anno si iscrisse al corso di Teologia presso lo Studio, dal quale uscì
laureato nel luglio 1575. In questo periodo B. coltivò la lettura di autori
alquanto off-limits per un convento, come Raimondo Lullo (1235-1315), testi di
cabala, neoplatonici come Plotino (205-270), Porfirio (ca. 233-305), Giamblico
(ca. 245-ca. 325) e Proclo (ca. 410-485) fino a Nicola Cusano (1401-1464), del
quale B. apprezzò il tentativo di conciliare tradizione magica neoplatonica e
Cristianesimo, e al grande Erasmo da Rotterdam, con il quale condivise la
critica alla Chiesa cattolica. B. abbandona la tonaca All'inizio del
1576 la crisi: trascinato in un violento battibecco con un confratello, B. venne
accusato di arianesimo e di antitrinitarismo, ma egli non attese il processo a
suo carico, preferendo invece fuggire a Roma, presso il convento di Santa Maria
sopra Minerva, dove però, alla fine del marzo 1576, si mise ancora nei guai,
essendo stato accusato di aver provocato la morte di un frate domenicano,
testimone nel suo processo napoletano. B. allora prese la decisione di gettare
la tonaca e dirigersi verso il nord Italia, a Genova, Noli, Savona, Torino e
Venezia, dove venne pubblicato un'altra sua opera perduta, il trattato
astrologico De' segni de' tempi. Nella vicina Padova si rivestì con la tonaca
(probabilmente per puri motivi di opportunità), recandosi a Brescia, Bergamo,
Milano, ed infine a Chambery, nella Savoia, dove svernò nel 1578-79 per poi
proseguire per Ginevra nella primavera 1579.
B. a Ginevra Nella città
svizzera, B. venne subito avvicinato dal marchese di Vico, Galeazzo Caracciolo,
capo della comunità degli esuli religiosi italiani, che cercò di convincere B. a
convertirsi alla religione calvinista, al cui credo pare che B. aderisse per un
certo periodo. Tuttavia il soggiorno ginevrino venne guastato da un clamoroso
incidente di percorso con il professore di filosofia dell'Accademia Antoine De
la Faye (1540-1615), alle cui lezioni il filosofo nolano aveva assistito. In uno
scritto polemico, B., vero esperto del pensiero aristotelico, contestò ben 20
errori commessi in una sola lezione da De la Faye, vera e propria imprudenza
perché quest'ultimo, molto immanicato politicamente presso l'establishment
calvinista, fece arrestare B. e il nostro poté cavarsela, il 27 agosto 1579,
solo con un penoso atto di pentimento pubblico, seguito dalla distruzione
pubblica, a cura dello suo stesso autore, dello scritto polemico. Scontata
l'umiliante pena, B. lasciò immediatamente Ginevra per Tolosa, in Francia, dopo
aver transitato da Lione. B. in Francia A Tolosa B. rimase per circa
venti mesi, divenendo lettore pubblico di filosofia e scrivendo un commento al
Tractatus de sphaera mundi dell'astronomo agostiniano Johannes de Sacrobosco
(1195-1256), ma fu costretto nel 1581 a lasciare Tolosa a causa della guerra
civile tra cattolici e ugonotti e, mediante un viaggio avventuroso e pieno di
pericoli, si recò a Parigi. Qui egli tenne un ciclo di trenta lezioni alla
Sorbona sugli attributi divini secondo Tommaso d'Aquino (1221-1274), che
suscitarono l'ammirazione del re francese Enrico III (1574-1589), al quale B.
dedicò il suo De umbris idearum, un testo di arte mnemotecnica, ispirata alle
dottrine del francescano Raimondo Lullo (1235-1315). Il periodo molto favorevole
per B. gli permise di poter scrivere e pubblicare diversi altri trattati di
mnemotecnica, come Cantus circaeus e De compendiosa architectura et complemento
artis Lullii, oltre alla commedia in lingua italiana Il candelaio. B.
in Inghilterra Nell'aprile 1583, al seguito dell'ambasciatore Michel di
Castelnau (1520-1592), signore di Mauvissière, B. si recò in Inghilterra, a
Londra, dove, secondo lo storico John Bossy, svolse attività di spionaggio,
sotto lo pseudonimo di Henry Fagot, al servizio di Sir Francis Walshingham
(m.1590) proprio contro l'ambasciatore francese. Comunque, a parte questo
episodio alquanto oscuro, in Inghilterra B. conobbe diversi personaggi famosi
dell'epoca, come la stessa regina Elisabetta I (1558-1603), John Dee, il nobile
polacco Albert Laski (m. 1605), nipote del riformatore Jan Laski, e il poeta Sir
Philip Sidney (1554-1586), del quale divenne amico, dedicandogli la sua famosa
opera Spaccio della bestia trionfante. Pubblicò inoltre altre opere
fondamentali come Ars reminiscendi, Explicatio tringinta sigillorum, Sigillus
sigillorum, De la causa, principio et uno, De infinito, universo et mondi, La
cabala del cavallo pegaseo con l'aggiunta dell'asino cillenico e Degli eroici
furori (anche quest'ultima dedicata a Sidney). B. si recò anche ad Oxford, dove
però si scontrò con il teologo inglese, e futuro vescovo di Oxford, John
Underhill (ca. 1545-1592) in un dibattito sulla filosofia aristotelica,
degenerata ben presto in una rissa verbale. Nonostante l'incidente egli venne
accettato come docente di filosofia, tuttavia non era destino egli rimanesse per
troppo nella città universitaria: infatti alla terza sua lezione imperniata
sulle teorie copernicane, venne tacciato di plagio nei confronti di Marsilio
Ficino (1433-1499) e invitato ad andarsene. Il filosofo nolano, offesissimo,
lasciò Oxford per tornare a Londra, ma anche qui fu protagonista di un ennesimo
episodio di scontro con i cattedratici inglesi. Infatti, durante una cena presso
il nobile Sir Fulke Greville (1554-1628), il 15 febbraio 1584 (Mercoledì delle
ceneri), egli entrò in polemica sulle sue idee sull'universo con due professori
di Oxford, tali Torquato e Nundinio [pseudonimi probabilmente del medico George
Turner (1565-1610) e del sopramenzionato John Underhill], A dir la verità,
furono proprio questi ultimi a provocare la rissa: il tutto venne descritto in
uno dei suoi più famosi libri La Cena delle ceneri, fortemente caustico nei
confronti della realtà inglese del momento. La pubblicazione dell'opera provocò
una tale reazione a catena (compresa la devastazione dell'ambasciata francese)
da costringere B. a ritornare in Francia nell'ottobre 1585.
B.
nuovamente in Francia Ma in Francia la situazione politica era cambiata: la
tensione tra cattolici e ugonotti era alle stelle e i Duchi cattolici di Guisa
guidavano la Santa Unione, o Lega, opponendosi al re Enrico III, che aveva
nominato suo erede al trono, nel 1584, il cognato protestante Enrico di Borbone.
Da lì a poco il confronto sarebbe sfociato in tragedia con la fuga del re da
Parigi nel maggio 1588, l'assassinio, su ordine del re, dei Duchi di Guisa nel
dicembre 1588, e la morte del sovrano stesso, ucciso a sua volta dal pugnale di
un fanatico domenicano, Jacques Clément, nell'agosto 1589. B. rimase in
Francia solo nove mesi, ma in questo periodo il suo spirito indomitamente
polemico gli procurò altri guai in almeno due occasioni: quando insultò un
protetto dei cattolici Guisa, il matematico salernitano Fabrizio Mordente,
inventore del compasso differenziale, al quale dedicò il sarcastico dialogo
Idiota triumphans seu de Mordentio inter geometras deo [il litigio era nato da
una presentazione non molto lusinghiera di B. (Dialogi duo de Fabricii mordentis
salernitani prope divina adinventione ad perfectam cosmimetria praxim)
sull'invenzione del Mordente], e quando pubblicò l'opuscolo anti-aristotelico
Centum et viginti articuli de natura ed mundo adversos peripateticos, suscitando
la reazione risentita dei cattedratici francesi del Collège de Cambrai, anche se
la paternità dell'opera fu prudentemente occultata come farina del sacco del suo
principale allievo, Jean Hennequin.
B. in Germania e in
Boemia Nuova emigrazione dell'inquieto filosofo, questa volta in Germania,
nel giugno 1586: dopo una veloce passata a Marburg (dove ebbe tempo di litigare
con il rettore dell'università, Petrus Nigidius!), B. arrivò a Wittenberg
nell'agosto 1586 e qui egli insegnò filosofia all'università per due anni e poté
pubblicare diverse opere, come De lampada combinatoria lulliana, De progressu et
lampada venatoria logicorum, Artificium perorandi, Animadvertiones circa
lampadem lullianam e Lampas tringinta statuarum. Ma nel 1588 egli decise di
lasciare Wittenberg per le mutate condizioni religiose: infatti al luterano
Augusto I, principe elettore di Sassonia (1541-1586), era succeduto il figlio
Cristiano I (1586-1591), che aveva nominato suo cancelliere Nicholas Crell (o
Krell), il cui pensiero religioso era allineato con la dottrina dei filippisti,
seguaci di Philipp Melantone, cioè una forma di cripto-calvinismo con simpatie
verso alcuni punti della dottrina di Giovanni Calvino. Grazie al suo potere,
Crell favorì la promozione di calvinisti a posizioni di rilievo e prestigio: la
perdita dei riferimenti luterani accelerò la decisione del nolano di abbandonare
Wittenberg, dopo una dotta orazione d'addio (Oratio valedictoria) pronunciato
l'8 marzo 1588 davanti ai professori e studenti della locale università. Si
recò allora a Praga, dove fece pubblicare i suoi Articuli centum et sexaginta
adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos, dedicati
all'imperatore Rodolfo II (1576-1612). Questi donò a B. una borsa di 300
talleri, ma non un incarico all'università al quale il filosofo ambiva, ragione
per cui B. decise di emigrare nuovamente, questa volta ad Helmstadt, nel ducato
del Braunschweig (Brunswick), dove poté insegnare, dal gennaio 1589, come libero
docente all'Accademia Giulia, fondata dal duca Julius von
Braunschweig-Wolfenbuttel (1568-1589), alla morte del quale B. scrisse la Oratio
consolatoria. Almeno formalmente egli aderì, in questo periodo, al luteranesimo,
ma ciò non impedì al sovrintendente della locale Chiesa luterana Gilbert Voët
(da non confondere con il teologo olandese calvinista Gisbert Voët) di
scomunicarlo, ufficialmente per filo-calvinismo, ma più probabilmente per
espressioni ingiuriose che B. aveva pronunciato contro il pastore stesso. La
scomunica luterana (quindi, dopo quella cattolica e calvinista, anche l'ultima
delle tre maggiori confessioni cristiane occidentali lo aveva scomunicato!) non
impedì a B. di continuare a vivere a Helmstadt, anche per la benevolenza del
nuovo duca Heinrich Julius (1589-1613), fino alla primavera 1590 e di concepire
qui i suoi trattati sulla magia, come De magia, Theses de magia, De rerum
principiis et elementis et causis, Medicina lulliana e De magia
mathematica. Il 2 giugno 1590 B. giunse a Francoforte, ma la richiesta di un
permesso di soggiorno venne respinta dal senato della città, e quindi il
filosofo alloggiò provvisoriamente presso un convento di carmelitani. Riuscì
comunque a pubblicare la sua importante trilogia di trattati filosofici in
latino (De triplice minimo et mensura, De monade, numero et figura e De
innumerabilis, immenso et infigurabili seu de universo et mundis), dedicati al
duca Heinrich Julius, e, dopo aver passato l'inverno a Zurigo come docente
privato di filosofia, rientrò a Francoforte nella primavera 1591 per curare la
pubblicazione del De imaginum, signorum et idearum compositione, una
rivisitazione dei suoi testi sulla mnemotecnica. Nella città tedesca egli fu
raggiunto dalla lettera del nobile veneziano Giovanni Mocenigo, che lo invitava
a recarsi a Venezia per insegnare l'arte della memoria. B. accettò e nell'agosto
1591 partì alla volta dell'Italia.
B. ritorna in Italia Perché il
più volte scomunicato B. abbia accettato di rientrare in Italia è stato oggetto
di approfondite analisi di critici e storici e varie sono le ipotesi
formulate: A livello europeo, B. era oramai isolato ed era stato scomunicato
ripetutamente, mentre, d'altra parte, Venezia era nota per una certa autonomia
ed indipendenza decisionale nei confronti del potere papale. Il Mocenigo
aveva offerto denaro e ospitalità per poter ricevere lezioni sull'arte
mnemotecnica (anche se il suo principale intendimento era di essere iniziato
alle arti occulte) e gli estimatori generosi di B. non erano poi così
numerosi. Nella vicina Padova era vacante la prestigiosa cattedra di
matematica e le esperienze di Oxford, Praga e Francoforte avevano mostrato a B.
come era difficile vivere senza una rendita fissa. Ma alcuni autori
ipotizzano che B. si sentisse addirittura investito di una missione: realizzare
praticamente la nuova visione dell'uomo in senso panteistico e magico e
finalmente mondato dal dogmatismo e dall'intolleranza della Chiesa. Comunque
nell'agosto 1591 B. giunse a Venezia, e dopo tre mesi si recò a Padova, dove
cercò inutilmente di ottenere la cattedra di matematica e dove, con l'aiuto del
suo discepolo Jerome Besler (1566-1632), scrisse il De vinculis in genere e
Lampas triginta statuarum. Ritornato a Venezia, B. snobbò e trascurò il
lavoro di precettore del Mocenigo, un nobile sì ma di scarsa cultura, che, come
già detto, era probabilmente più interessato alle arti occulte, che a quelle
mnemotecniche. Deluso e sentendosi truffato, Mocenigo, dopo aver raccolto delle
informazioni sul suo conto presso un corrispondente a Francoforte, fece
arrestare B. la notte del 22 maggio 1592 e lo consegnò all'Inquisizione con
l'accusa di eresia e blasfemia. Nei due mesi successivi B. venne sottoposto
a 7 interrogatori (o costituti), al termine dei quali B. chiese di abiurare e di
essere perdonato e i giudici veneziani sembravano perfino favorevoli a questa
soluzione.
B. a Roma: il processo e la morte Tuttavia il Santo
Uffizio romano chiese a gran voce, il 12 settembre, la sua estradizione: questo
primo tentativo fu respinto dai giudici veneziani, ma nulla essi poterono contro
una seconda richiesta, motivata dal fatto che B. comunque non era cittadino
veneziano. Il 27 febbraio 1593 B. fu dunque trasferito a Roma ed incarcerato nel
palazzo del Santo Uffizio. I successivi 7 anni si trascinarono in interminabili
interrogatori (e probabili torture, soprattutto dal 1597) da parte di una
Congregazione composta da sette cardinali e otto teologi, che dovettero anche
studiare le sue innumerevoli opere. Nel 1597, anno del rogo di Francesco
Pucci e della condanna di Tommaso Campanella, detenuti nella stessa prigione di
B., nel processo di quest'ultimo subentrò il cardinale gesuita Roberto
Bellarmino (1542-1621) (futuro persecutore di Galileo Galilei e del Campanella),
il quale nel 1599 enucleò le seguenti otto proposizioni di B. ritenute eretiche
dalla Chiesa: 1) L'anima mundi e la materia prima sono i due principi eterni
delle cose, 2) Da una causa infinita deve derivare un infinito effetto, 3)
Non esiste l'anima individuale, 4) Nulla si crea e nulla si distrugge, 5)
La Terra si muove, 6) Gli astri sono angeli ed esseri animati, 7) La Terra
è dotata di un'anima sensitiva e razionale, 8) L'anima non è la forma del
corpo dell'uomo. Dal 18 gennaio 1599 tra B. e gli inquisitori iniziò una
complessa partita di scacchi, basata su accuse, ripensamenti, colpi di scena e
quant'altro. Inizialmente gli venne richiesto ufficialmente di abiurare: egli
cercò dapprima di prendere tempo, e perfino cedette in febbraio per poi inviare
un memoriale difensivo in aprile. Si pensò di utilizzare nuovamente la tortura,
quando, il 10 settembre, egli dichiarò di volersi sottomettere alla Chiesa,
salvo poi rimettere in discussione solo una settimana dopo. Ma la situazione
precipitò dopo la denuncia di un anonimo che il principale bersaglio della sua
opera Lo spaccio de la bestia trionfante fosse il papa. L'irrigidimento di
ambedue le posizioni portarono infine alla inevitabile condanna a morte di B.
l'8 febbraio 1600 ed in quella occasione egli pronunciò la famosa frase: Forse
con maggiore timore pronunciate contro di me la sentenza, di quanto ne provi io
nel riceverla. La mattina del 17 febbraio 1600 egli venne condotto a Campo
dei Fiori, dove venne spogliato dei vestiti, fu issato sul rogo, gli fu impedito
di parlare con una mordacchia in legno e infine fu bruciato vivo, in quanto
impenitente (quelli che si pentivano venivano strozzati prima del rogo). 300
anni dopo, il 9 giugno 1899, nonostante fortissime resistenze cattoliche, venne
inaugurato il monumento a lui dedicato in Campo dei Fiori: fu un'occasione di
riunione delle anime anticlericali dell'Italia umbertina, massoni, repubblicani,
radicali, positivisti, tutti debitori di questo martire del libero pensiero
filosofico e scientifico.
Il pensiero Il complesso pensiero di B.
è stato per molti anni circoscritto all'ambito ermetico, un po' equivocando sul
termine di “mago” e molto grazie ai lavori della studiosa inglese Francis Yates.
Riscoperto recentemente, il pensiero di B. è una miscela di filosofia
antiaristotelica, magia naturale (la magia divina, in contrasto con la magia
diabolica), religione naturale, mnemotecnica e panpsichismo (il mondo è vivo e
sensibile, come anche per Bernardino Telesio e Tommaso
Campanella). L'universo aristotelico finito e diviso in sfere celesti stava
stretto a B., che contrapponeva un universo infinito e unico. Secondo B., la
natura animata del mondo (anima mundi), secondo un concetto tipicamente
neoplatonico, presenta due aspetti: la forma e la materia. La forma è l'anima
universale e la sua principale facoltà, l'intelletto, muove la materia (materia
prima) dall'interno. E' quindi logico che egli si appassionasse alle teorie
astronomiche di Niccolò Copernico (1473-1543), sebbene non fosse tanto la loro
portata scientifica che lo interessava, bensì le speculazioni filosofiche che ne
potevano derivare: l'infinito superava perfino il concetto copernicano di
eliocentrismo e univa tutto, anche gli opposti, che, nell'unità dell'infinito,
coincidevano l'uno nell'altro, un concetto caro ad un autore molto amato da B.,
cioè Nicola Cusano. L'attacco ai metodi lenti e metodici della scolastica
aristotelica B. lo portò sviluppando l'arte della mnemotecnica, un tecnica
rapida e quasi “magica” per impossessarsi del sapere. E questo sapere se ne
impossessa l'eroico e furioso ricercatore della verità, che ubbidisce solamente
all'istinto della razionalità nella sua cerca della vera conoscenza, cioè il
concetto del principio unico, da cui generano tutte le specie e tutti i numeri.
Quindi la religione propugnata da B. è una religione razionale o naturale, privo
di quel dogmatismo, intransigenza, ignoranza, ipocrisia, fede cieca ed
inconsapevole, tipici delle confessioni cristiane dell'epoca, che l'avevano
perseguitato per tutta la sua vita e che, alla fine, l'avevano portato sul
rogo. La croce ugonotta
La "croce ugonotta", per molti ancora
un simbolo misterioso, caratterizza i protestanti francesi, ma è poco a poco ha
acquisito sempre di più popolarità divenendo simbolo universalmente riconosciuto
di tutti i cristiani che si rifanno alla Riforma protestante del XVI secolo. Lo
stesso aggettivo "ugonotto" lascia piuttosto perplessi sul suo significato
originale. Il seguente articolo del prof. Paul Lienhardt (tratto da Réforme del
15.5.1991) svela il mistero dell'origine della croce e della parola. Dietro alla
croce ugonotta c'è tutta una storia, la storia del protestantesimo. Alla croce
ugonotta io ho aggiunto come "logo" di Tempo di Riforma, una fiaccola accesa,
simbolo del fatto che la Riforma protestante non è un residuo del passato, ma è
ancora viva e ben accesa nonostante i tentativi che sono stati fatti e che
ancora sono fatti in ogni dove di estinguerla.
L'origine della
parola "ugonotto" e la sua etimologia sono assai discusse. Siccome essa è
diventata il termine specifico per designare i partigiani della Riforma francese
del 16° secolo ed i loro discendenti ed eredi, vale la pena di ricercarne
l'origine. Circa la fioritura di spiegazioni fantasiose che si è verificata
nel passato, citeremo solo quella di "partigiani di Ugo". Ma questo riferimento
a ugo Capeto, fondatore della dinastia "capetingia" dei re di Francia, non ha
relazione con la denominazione storica protestante. Oggi il parere della
maggioranza degli storici fa risalire il termine "ugonotto" al tedesco
"Eidgenossen" e localizza la sua origine a Ginevra. Questo termine, che
significa "confederati con giuramento" sarebbe stato impiegato dai partigiani
del duca di Savoia per designare i ginevrini in rivolta. Senza escludere
questa ipotesi, bisogna segnalare anche un'altra spiegazione: in Francia, nella
regione di Tours, nella valle della Loira, verso il 1560, Théodore de Bèza ed il
suo avversario, il cardinale di Lorena, ricorsero per primi a questa espressione
nella loro corrispondenza. Essa fu ripresa dagli storici contemporanei La
Popelinière, De Thou, Agrippa d'Aubigné ed Etienne Pasquier. Per essi il
vocabolo "ugonotto" aveva la sua origine a Tours, dove gli aderenti alla "nuova
religione" si riunivano segretamente in un luogo vicino alla porta Ugone.
All'inizio dei "disordini religiosi" inaugurati dal "tumulto di Amboise", assai
vicino a Tours, nel 1560, questo termine si estese alla stessa Tours come uno
spauracchio. In seguito esso dovrà poi perdere questo carattere per
generalizzarsi e designare l'insieme dei riformati francesi. La storia della
croce La croce ugonotta è un segno di riconoscimento di origine popolare,
creata nella regione di Nîmes all'epoca della revoca dell'editto di Nantes. La
sua bellezza ed il suo mistero hanno costituito il suo successo a tal punto che
anche i luterano francesi l'hanno adottata, aggiungendo al suo centro una
piccola "rosa di Lutero". La sua forma esatta non è mai stata codificata, per
cui esistono diverse varianti che comprendono anche l'inclusione di quattro
piccole colombe dello Spirito Santo fra i bracci della croce, ed altre versioni
moderne dalle forme geometriche stilizzate. Prima di chiamarla croce ugonotta,
la si definiva "Spirito Santo", termine che designava in origine un monile
cristiano di origine alverniese: la colomba dalle ali spiegate, librantesi
dall'alto verso il basso, simbolo della discesa dello Spirito Santo sugli
apostoli nella Pentecoste. L'ambiguità della croce ugonotta era legata al
tempo ed al luogo della sua origine, dato che un segno di riconoscimento troppo
evidente avrebbe rappresentato un pericolo troppo grande per coloro che ne
facevano uso. Se l'originalità della sua forma è facile da identificare, il suo
significato e la sua interpretazione rimangono nel campo delle congetture.
Malgrado il luogo della sua origine, la croce ugonotta non ha alcun rapporto con
la croce del Languedoc. La sua forma è ispirata, con tutta evidenza, all'emblema
dell'ordine del Santo Spirito, la croce di Malta a pomoli (una pallina
all'estremità delle sue otto punte), mentre parecchie croci antiche portano fra
i loro bracci il giglio reale. L'artigianato popolare ha appesantito e variato
le proporzioni più sottoli della croce dell'ordine del Santo Spirito. Mentre in
questa la colomba è raffigurata in grandi proporzioni al suo centro, nella croce
ugonotta essa è messa come pendaglio sotto la croce stessa, ad imitazione dello
"Spirito Santo" alverniese. Parecchie croci ugonotte antiche comportano una
variante: il pendaglio dello Spirito Santo è sostituito da una "lacrima" che
somiglia alla "santa ampolla". Secondo la leggenda originaria essa fu portata in
cielo da una colomba, per intercessione di San Remigio, in occasione del
battesimo di Clodoveo, re dei Franchi, nel 496. La croce dell'ordine della
"santa ampolla" ha nel suo centro una mano che riceve l'ampolla da una colomba
ad ali spiegate che la tiene nel becco. Essa conteneva l'olio santo con il quale
si consacravano i re. Pare che l'artigianato popolare abbia deformato i
piccoli fiori di giglio piazzati fra i bracci della croce sino a perderne il
significato, tanto che gli spazi vuoti tra i fiori e il centro della croce hanno
preso la forma di un cuore, sormontato da una forma puntuta. Quei quattro
elementi che univano i bracci della croce potevano così somigliare ad una corona
di spine, simbolo delle sofferenze della Chiesa "sotto la croce" all'epoca del
"Deserto", richiamando così il significato della "santa ampolla" diventata
"lacrima". Altri vedono nella "lacrima" una fiamma dello Spirito Santo e
l'interpretano come un simbolo della libertà dello Spirito che porta alla
concezione evangelica del sacerdozio universale. Una pluralità di
significati Per interpretare il significato ambiguo della croce ugonotta,
possiamo partire da quello dell'ordine del Santo Spirito. Creato dal re Enrico
III nel 1578, quest'ordine venne così chiamato perché detto re era salito al
trono in un giorno di Pentecoste. I suoi membri erano cento ed erano costituiti
da nobili professanti la religione cattolica. Più tardi Luigi XIV si ispirò allo
stesso emblema per creare l'ordine militare di S. Luigi, sempre riservato a
cattolici professanti. Luigi XV creò un ordine similare al merito militare per i
protestanti, ma ne potevano beneficiare solo gli stranieri. Gli ugonotti erano
perciò in ogni caso esclusi da tale onorificenza, a prescindere dai servizi
resi. Mi sia concesso avanzare un'ipotesi personale sulla croce ugonotta,
dato che fin ora non ho trovato un testo antico a questo riguardo. Il suo
creatore è probabilmente l'orefice Maystre di Nîmes. Gli ugonotti avevano
respinto la croce latina, simbolo della Chiesa cattolica romana persecutrice.
Essi si ispirarono direttamente all'ordine del Santo Spirito staccando la
colomba reale dal centro della croce per metterla come pendaglio al di sotto. Si
può interpretare questo come un gesto coraggioso significante la rivendicazione
della libertà di coscienza e di culto. A quei tempi il professare una religione
che non fosse quella del proprio principe era considerato un crimine di lesa
maestà. Al tempo stesso, però, la fedeltà al simbolo reale del giglio era
un'affermazione di lealtà nei confronti della legittima autorità. Gli ugonotti
avevano sperato di ottenere dal loro re il diritto di esistere in modo distinto
dalla Chiesa ufficiale, manifestando un esemplare civismo. La stessa
ambiguità nell'unione di tutti quei simboli nella croce ugonotta, ancora poco
conosciuta all'inizio del nostro secolo, ne ha fatto un segno di riconoscimento
il cui significato rimaneva ignoro ai non iniziati. Jan Hus
(1369-1415)
Né en Bohême en 1369, Jan Hus est ordonné prêtre et devient
doyen puis recteur de l'université de Prague. Influencé par l'anglais John
Wyclif, il s'interroge sur les conséquences pratiques de l'obéissance au Christ,
prononce des sermons contre les erreurs du catholicisme et se consacre à la
réforme de l'Église.
Il se trouve bientôt à la tête d'un mouvement
national de réforme et prend la défense des écrits de Wyclif condamné par une
bulle papale. Il est excommunié en 1411 puis à nouveau en 1412. Le conflit avec
Rome s'exacerbe avec ses critiques de la vente des indulgences. Hus en appelle
au jugement du Christ, instance inconnue du droit canon. Il compose en latin ou
en tchèque Questio de indulgentiis, Explication de la foi (1412), De ecclesia et
Explication des Saints Evangiles (1413).
Alors que la Bohême est menacée
d'une croisade en 1414, Hus se rend, avec un sauf-conduit du roi Sigismond, au
concile de Constance mais il y est condamné et brûlé vif comme hérétique. Ses
disciples le considèrent comme un patriote et un martyr de la foi et sa mort
déclenche une révolution religieuse, politique et sociale qui secoue la Bohême
et la Moravie pendant des décennies.
Jan Hus a contribué à fixer la
langue littéraire tchèque. Il peut-être considéré, plus que comme un précurseur,
comme le premier des grands Réformateurs. John Wyclif (~1328-1384) Una
stella luminosa rischiarò le tenebre del Quattordicesimo secolo, gettando la sua
luce sulla Gran Bretagna e sul resto del continente europeo.
Era l'ora
più buia della lunga notte dell'oppressione papale. Su quelle tenebre e su quel
silenzio mortale, dall'Avon al Tevere, uscì un suono da Lutterworth; una luce
dal centro della Gran Bretagna. Quel piccolo villaggio è un luogo memorabile,
con la sua vecchia, barcollante chiesa, ancora in piedi. In quella zona,
Riccardo III costruì la sua armatura per la battaglia di Bosworth. Lì vicino
cadde Wolsey, e con lui il potere del papato in Inghilterra. Sempre in quel
luogo, si trova la piccola area di Naseby, dove Cromwell e la libertà
trionfarono sullo sconfitto despota Carlo.
Lutterworth! L'influenza che
ebbero le vicende a lei associate sono più potenti del fragore degli eserciti o
della caduta dei re. La voce isolata che uscì di lì, la luce che brillò da quel
luogo nel Quattordicesimo secolo, ancora si sentono e si vedono -devono
echeggiare ed illuminare in ogni tempo, per tutta l'eternità. Essa fu la voce e
la luce della verità -la verità, che una volta generata, è immortale. Le catene
non possono imprigionarla; il tempo non può indebolirla. La sua natura è eterna;
l'eternità è il suo guardiano(1). John De Wickliffe, parroco di Lutterworth, fu
lo strumento scelto per annunciare quella verità, e per innalzare quella torcia
fiammeggiante attraverso la valle dell'ombra di morte di questo mondo.
John Wickliffe nacque presso le rive del fiume Tee, nello Yorkshire, nel 1324.
Con Bradwordine, Occam, Dunn e Scotus, i luminari del tempo, egli passò i primi
anni della sua maturità all'Università di Oxford. Entrò nell'ordine clericale, e
poteva ambire ai più alti onori della "Chiesa". Ma, come nel caso di Lutero, la
Parola di Dio aveva trovato accesso nel suo cuore, e, in obbedienza al suo
insegnamento, egli si liberò delle ragnatele e delle bende dell'errore che lo
avevano intrappolato e reso insensibile. Così, passo dopo passo, egli avanzò a
fatica nella luce, fino a quando, sulla Bibbia e solo sulla Bibbia, prese la sua
sublime e coraggiosa posizione. Tra i princìpi che egli propugnava c'erano che
la Chiesa consiste solo dei credenti -i salvati; il battesimo è un "segno della
grazia già ricevuta", e di conseguenza dovrebbe essere amministrato a coloro che
professano di avere ottenuto la "grazia".
"Era il 1371," ricorda
Walsingham, "quando Dunn e Wickliffe lessero le opinioni dei Berengeriani, una
delle quali riguardava senza dubbio il rifiuto del battesimo dei bambini."(2)
Thomas Walden, che era familiare con le opere scritte di Wickliffe, lo indicò,
citando l'Apocalisse, come "una delle sette teste salite dall'abisso, perché
rifiutava il battesimo dei bambini, attenendosi quindi a quell'eresia dei
Lollardi dei quali era una guida così autorevole." Ed in più, Wickliffe,
nell'undicesimo capitolo dei suoi "Trialogues", come citato da Danvers, afferma
che "i credenti sono gli unici soggetti del battesimo."
Nella sua
adesione alla Bibbia come unica regola di fede e di vita, nel suo rifiuto alla
comunicazione della grazia o del perdono attraverso il battesimo, nella sua
opposizione al battesimo cristiano dei bambini, e nella sua chiara definizione
della Chiesa come assemblea di credenti battezzati -WICKLIFFE si comportò da
“battista”. Il suo nome va iscritto tra quelli degli eroi e martiri battisti.
Come tale fu insultato mentre era in vita, e, quaranta anni dopo la sua serena
morte, i suoi resti furono violati dai nemici della verità.
Ma
Wickliffe non era solo. In migliaia erano con lui e lo seguivano. Marchiati,
bruciati ed esclusi dai circoli umani, questi Wickliffiti si trovarono ad essere
dispersi per tutta l'Inghilterra. "Essi erano numerosi," osserva Sir William
Newbury, nella sua 'Storia dell'Inghilterra', "come la sabbia del
mare."
Abbiamo così trovato queste persone nella metà del
Quattordicesimo secolo. Ma da dove venivano questi battezzatori? Nacquero con
Wickliffe? La "stella mattutina" della Riforma si manifesta con l'avvento dei
battezzatori, dei quali in precedenza non vi era alcuna traccia? Andiamo avanti.
Milnar, nella sua 'Storia del Cristianesimo', afferma:
"Venivano
denominati 'Lollardi' coloro che professavano un più alto grado di attenzione
verso gli atti di pietà e devozione, rispetto al resto della popolazione. Tra
questi, Walter Reynard, un olandese, fu arrestato e messo al rogo a Colonia.
Questi è l'uomo che avevo già indicato con l'appellativo di Reynard Lollardo,
Valdese, da cui i Wickliffiti si suppone abbiano ereditato il nome di
Lollardi."
È evidente che questi Lollardi fossero “battisti”. Il
rifiuto del battesimo dei neonati, che abbiamo già messo in evidenza, era la
"più grande eresia dei Lollardi." Nel Martirologio olandese si fa riferimento ad
un certo L. Clifford, annoverato tra i Lollardi, il quale fu abiurato per aver
riconosciuto che il suo gruppo rinunciava al battesimo dei bimbi. E Fox, nel suo
Martirologio, ha potuto estrarre dal registro del Vescovo di Hereford, una delle
colpe a carico dei Lollardi -"che la fede doveva precedere il
battesimo."
Tra questi “battisti” Lollardi fu William Sawtre, il primo
nome di quella illustre lista di martiri che morirono per la libertà della fede
in Gran Bretagna; e subito dopo, alla mezzanotte, un centinaio di quei cristiani
perseguitati, riuniti per adorare Dio, nella boscaglia di St. Giles, vicino
Londra, sperando, a quell'ora e in un luogo non frequentato, di essere liberi
dal controllo e dalle molestie, furono catturati ed uccisi dal re e da un gruppo
di suoi cortigiani.
Tra i Lollardi ci fu un uomo illustre, titolato,
ricco e coraggioso, Sir John Oldcastle, Conte di Cobham. Egli fu arrestato e
portato in giudizio davanti ai Vescovi. Affrontò loro e le loro accuse senza
alcuna paura. Con nobiltà d'animo dichiarò e confessò le dottrine che avevano
distinto i Battisti in ogni tempo. Onore e gloria erano a sua disposizione nel
caso avesse rinnegato; disgrazia, ignominia e morte sarebbero state il suo
premio se fosse rimasto fermo in quelle convinzioni. Egli scelse di essere
annoverato tra i disprezzati, perseguitati, "volgari" eretici; di affrontare la
vergogna e la sofferenza, piuttosto che abbandonare o tradire i princìpi
immortali che li ispiravano.
La fede, l'incrollabile, sincera fede,
risplendente senza ombra nelle profondità di un essere umano, che rivela la
verità eterna delle cose cui si crede -la fede che riposa su una roccia che la
folle corsa di un universo naufrago non può smuovere -questa è l'anima del vero
eroismo. Mai è esistito un eroe senza tutto ciò. Trascinato, tra gli insulti, a
Tyburn per essere appeso per la cintura ed arso a morte nel fuoco, i suoi
possedimenti confiscati, la sua famiglia impoverita, il suo nome maledetto, Sir
John Oldcastle non vacillò mai. Questa fu la vittoria che vinse il mondo, la sua
fede. Nella morte egli esortò il popolo a non seguire altro se non le Scritture;
pregò per i suoi nemici, ed esclamò, "Muoio in trionfo!"
E così egli
ricevette la corona che possono indossare solo i conquistatori celesti. Pietà e
rammarico non trovarono luogo nei cuori di questi assassini moralisti. "Egli fu
un Anabattista," disse Parsons, rappresentante della chiesa inglese, "e meritò
di morire come un traditore."(3)
"Non soddisfatto della sua morte,"
[riporta Fox,] "il clero indusse il Parlamento ad emanare nuovi statuti contro i
Lollardi. Divenne legge, tra le altre cose, la regola che chiunque avesse letto
le Scritture in inglese, avrebbe perso terre, beni, ricchezze, e la vita, e
sarebbe stato condannato come eretico, impiccato per tradimento verso il re, e
quindi messo al rogo per eresia contro Dio."(4)
"Da quando questo atto
passò in Parlamento, in pochissimo tempo si scatenò una violenta persecuzione
contro i Lollardi."(5)
In una vecchia storia dei battisti del Galles
sono riportate le opere e le sofferenze di un intelligente ed attivo credente
laico, che, dal Galles, arrivò in Inghilterra in compagnia di un predicatore. Il
suo nome era Walter Brute. Arrestato e portato davanti al Vescovo dello
Herefordshire, confuse i suoi avversari mostrando loro di non avere nessuna
paura e dando prova di una profonda conoscenza delle Scritture. È parte del suo
processo, riportato da Fox, la sua risposta scritta al Vescovo:
"Nel
nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, io, Walter Brute, peccatore,
laico, uomo sposato e cristiano, di stirpe inglese, sono stato accusato davanti
al Vescovo dello Herefordshire di essere caduto nell'errore in tema di fede
cristiana. In merito a tale accusa mi è stata fatta richiesta di dare una
risposta scritta.
"Se qualsiasi persona proveniente da qualsiasi
condizione o gruppo, mi mostrerà che sono nell'errore in ciò che scrivo o dico,
attraverso l'autorità delle Sacre Scritture, o con argomenti basati
ragionevolmente su di Esse, io riceverò con gioia la sua correzione. Ma per
quanto riguarda il semplice parlare di qualunque insegnante, (eccetto Cristo) io
non gli darò credito, a meno che egli non possa stabilire i suoi ragionamenti
attraverso la verità dell'esperienza e dell'esempio della Parola di Dio."
Tale fu l'intrepida rinuncia agli insegnamenti episcopali ed
ecclesiastici, che i Lollardi osarono proclamare, secoli prima della nascita di
Lutero, la quale è ancora la loro caratteristica principale. Walter Brute fu
condannato come Anabattista.
Ma occorre passare per le diecimila
sofferenze dei poveri Lollardi. Oggi è ancora possibile vedere il triste
monumento delle loro miserie sulle rive del Tamigi -la Torre dei Lollardi del
Lambert Palace di Londra. Adibito a palazzo delle loro torture dal Vescovo di
Canterbury, nel 1414, si erge come testimone del trionfo della verità. Esso
parla con un'eloquenza terribile e profetica nello stesso tempo, del futuro dei
credenti che negavano il battesimo dei bambini.
Ma sorge ancora la
domanda, questi Lollardi, Wickliffiti - Da dove vengono? Fu quindi Wickliffe il
loro padre e fondatore?
Va ricordato che Wickiffe fu denominato dai
suoi persecutori, "Il capo dei Lollardi." È evidente che migliaia di questi
Lollardi lo acclamavano come una grande luce, che Dio aveva suscitato e mandato
tra le tenebre. Che egli adottò i loro princìpi, e divenne uno di loro, c'è poco
da dubitare. Ma perché essi furono chiamati Lollardi? Mosheim, con cui c'è un
generale accordo tra gli storici, afferma che "Walter, un olandese di notevole
eloquenza, famoso per le sue opere scritte, che venne da Mentz a Colonia, fu lì
messo al rogo nel 1322."(6) Fuller e Perrin riportano che egli arrivò in
Inghilterra durante il regno di Edoardo III "provenendo dai Valdesi, tra i quali
egli era un anziano o pastore." È evidente che questo nome si riferisce a Walter
Reynard, e, "Lollardo", un termine accusatorio, fu dato a lui ed ai suoi
fratelli perché essi erano caratterizzati dal cantare salmi ed inni. Abelly
sostiene che la parola derivi da loben, "lodare" e herr, "Signore." Tuttavia
potrebbe darsi, il fatto è incontestabile, che Walter il Lollardo, una luce
risplendente nella mezzanotte della tenebra papale, dopo essere passato di paese
in paese, facendo sentire la sua eloquente voce e seminando sui freddi campi
invernali i germi della verità, arrivò in Inghilterra per riunire il gregge di
Cristo lì disperso, e quindi spirò la sua grande anima tra i fuochi del
martirio, prima che John Wickliffe nascesse.
È fuori questione che
questo Walter Lollardo seguisse il battesimo dei credenti. Egli veniva dai
“battisti” Valdesi in Inghilterra, e trovò lì dei battisti, che furono da allora
chiamati Lollardi. E tali battisti inglesi, che accolsero questo eloquente
insegnante, possono essere tracciati ad una data ancora precedente. Al tempo in
cui i nobili Normanni di Guglielmo il Conquistatore stavano distruggendo lo
spirito, la lingua, e la nazionalità degli inglesi; quando un sacerdozio
straniero ed una lingua straniera erano imposti attraverso editti crudeli ai
Sassoni prostrati -c'erano quelli che ancora osavano dichiarare il loro
attaccamento, a costo della vita, alle semplici verità della Cristianità
primitiva. Durante i regni di Guglielmo e di suo figlio Rufo, essi furono
soggetti ad insulti e persecuzioni, e furono denunciati dallo straniero Vescovo
Papale, Lanfranco di Canterbury.(7) La Guascogna e la Guyana, domìni del Ducato
di Normandia, furono, alla conquista, annessi all'Inghilterra. Le relazioni tra
quest'ultima ed i Pirenei, divennero sempre più stretti. "Gli eretici in
Guascogna," afferma lo storico Sir William Newbury, "erano numerosi come la
sabbia del mare." Una compagnia di eretici battezzatori fu trovata in
Inghilterra nel decimo secolo, ed è così descritta da Enrico nella sua storia
della Gran Bretagna, che in sostanza, conferma gli scritti di Napier, Collier, e
Lyttleton:
"Una compagnia di circa trenta uomini e donne attrassero
l'attenzione del governo per la singolarità delle loro pratiche ed opinioni
religiose. Essi furono arrestati e presentati davanti al Consiglio del Clero ad
Oxford. Essendo interrogati sulla loro religione, il loro insegnante, di nome
Gerardo, uomo colto, annunciò a nome loro che essi erano cristiani, credenti
nella dottrina degli apostoli. Attraverso indagini più specifiche, si trovò che
essi rifiutavano diverse dottrine ricevute dalla chiesa, e, rifiutando di
abbandonare le loro eresie, furono condannati come eretici incorreggibili, e
lasciati al braccio secolare per essere puniti. Il re, (Enrico II,) istigato dal
clero, li condannò ad essere marchiati con un ferro incandescente sulle loro
fronti, frustati per le strade di Oxford, coi loro vestiti accorciati fino al
busto, per essere portati nei campi all'aperto, essendo severamente proibito al
popolo di dare loro qualsiasi tipo di rifugio o ristoro. Questa crudele sentenza
fu eseguita col massimo rigore, ed essendo in pieno inverno, queste infelici
persone furono uccise dal freddo e dalla fame".
Un ulteriore resoconto
riguardante queste persone ed il trattamento brutale loro riservato, si trova
nel Martirologio olandese, o "Specchio dei Martiri"(8), che pone la data nel
1161, e dà un'abbondante evidenza del fatto che essi erano eretici battezzatori.
Il loro capo fu marchiato sulla fronte e sul mento, e, mentre erano portati,
sanguinanti e seminudi, fuori nei campi, d'inverno, per morire, egli alzò la sua
voce in trionfo, cantando -
"Siete benedetti quando siete odiati,
battuti, e disprezzati", ecc.
Ma essi non perirono tutti. C'era tra i
Sassoni oppressi un odio verso gli oppressori stranieri, re e sacerdoti, ed una
comune simpatia per coloro che soffrivano della crudeltà dei normanni. Il seme
era stato gettato, e mezzo secolo più tardi, Walter Reynard il Lollardo predicò
tra questi stessi eretici battezzatori e Valdesi fuggiti in
Inghilterra.
I Lollardi, i Wickliffiti - i sofferenti, combattenti
pionieri della Riforma - li abbiamo così trovati come luce fra le tenebre del
Medio Evo - deboli, ma senza paura; pochi, ma potenti; poveri ma forti -
sublimi nelle loro sofferenze, e trionfanti nelle loro prostrazioni. Essi furono
battezzatori dei credenti, indipendentemente dal fatto che fossero rappresentati
da Wickliffe, o dal Lollardo, o da Gerardo. Né il potere degli uomini, né le
porte dell'inferno poterono prevalere su di loro. Ma dai Lollardi, e
dall'Inghilterra, benedetti ed elevati dalle verità che essi ci hanno insegnato,
andiamo avanti, ricordandoli come pietre miliari nel corso del tempo. Da
S.H. Ford, "The Origin Of The Baptists", Bogard Press, Texarcam 1950,
(Texas), pp.105 (1) Bancroft (2) Storia dei Puritani di Neal (3) Dr.
Thomas Fuller, Storia della Chiesa, vol. ii, p. 488. (4) Fox, Atti e
Monumenti. (5) Ib., Libro dei Martiri, p.224. (6) Storia, p.356 (7)
Fuller, Storia Ecclesiastica, vol. i. (8) Questo testo si trova nel Collegio
dei Gesuiti di St. Louis.
Jean Calvin (1509-1564) C'est à Noyon en
Picardie que naît, le 10 Juillet 1509, Jean Calvin.
Il reçoit une
formation d'humaniste et étudie les lettres et la philosophie à Paris, le droit
à Orléans puis à Bourges, l'hébreu, le grec et la théologie au Collège royal. En
1533 il adhère à la Réforme, dont les partisans, déjà nombreux autour de lui,
sont considérés en France comme des hérétiques.
Sa carrière de
prédicateur commence alors en Saintonge et en Angoumois.
Dès 1534 il doit
se réfugier à Bâle où il publie pour la première fois son ouvrage majeur,
l'Institution de la religion chrétienne, livre qui connaîtra plusieurs éditions
revues et augmentées.
Au cours d'un voyage, il passe à Genève, qui vient
d'adopter la Réforme. Farel l'y retient pour prêcher l'Evangile (1536-1538).
Calvin irrite les responsables Genevois et part pour Strasbourg où il rejoint
Martin Bucer et devient le pasteur des réfugiés français. C'est là qu'il se
marie avec Idelette de Bure, avant d'être rappelé à Genève où il demeurera
jusqu'à sa mort.
Il a dès lors dans la ville capitale de la Réforme un
rôle déterminant à la fois sur les plans religieux, politique et
éducatif.
Calvin recourt parfois à la force pour triompher des opposants
qu'il fait condamner à l'exil ou au bûcher comme l'Espagnol Michel Servet (1553)
à qui les protestants ont élevé un monument à Champel, proclamant ainsi que
Calvin avait eu tort de partager l'intolérance de son époque.
Théodore de
Bèze succède à Calvin, à sa mort en 1564, à la tête de l'Eglise
réformée.
Figure controversée, Jean Calvin est l'un des premiers grands
écrivains de langue française et un théologien majeur.
Martin Luther
(1483-1546) Après des études de philosophie, Martin Luther revêt l'habit des
Augustins à Erfurt. Il enseigne à l'université de Wittenberg où il commente les
Epîtres de Paul. En 1518, l'étude de Romains 1, 17 l'amène à formuler la
doctrine du salut par la foi seule : Dieu n'exige pas de l'homme la justice mais
la lui accorde gratuitement en Christ.
Le 31 Octobre 1517,
Luther affiche sur la porte de l'église du château de Wittenberg les "95 thèses"
dénonçant la vente des indulgences. Cet acte, qui marque le début de la Réforme,
lui vaut de nombreuses marques d'approbation en Allemagne et bientôt dans toute
l'Europe. Malgré la pression de l'église romaine, Luther refuse de se rétracter
et publie en 1520 le Manifeste à la noblesse allemande et Captivité à Babylone.
Dans le Petit Traité de la liberté humaine, il précise la doctrine de la
justification par la foi seule et affirme l'autorité de la seule Ecriture.
Luther brûle publiquement la bulle Exsurge Domine. La diète de Worms
(1521) l'excommunie et le met au ban de l'empire. Il se réfugie au château de la
Wartburg où il entreprend la traduction de la Bible en allemand.
De
retour à Wittenberg, il se sépare de Thomas Münzer (Contre les prophètes
célestes) et prend le parti des princes contre la révolte des paysans
(1524-1525) non sans dénoncer les atrocités commises. En 1525 il épouse
Katharina von Bora, une ancienne nonne, et publie le De servo Arbitrio.
Luther règle le culte et la liturgie de la nouvelle église qui se
développe et s'organise. Il rédige le Grand et le Petit Catéchisme. Avec ces
développements, des dissensions apparaissent, notamment au sujet de la
communion, avec Zwingli et Oecolampade. En 1530, Philipp Melanchthon, son
principal disciple, rédige le texte de la Confession d'Augsbourg qui formalise
le statut des églises luthériennes.
Malgré une attitude et des propos
violemment anti-juifs qui entachent sa mémoire, Martin Luther reste le premier
des grands réformateurs et l'un des premiers grands écrivains de langue
allemande. Huldrych Zwingli (1484-1531)
Zwingli reçoit à Vienne et à
Bâle une formation d'humaniste et rencontre Erasme. Devenu curé de la collégiale
de Zurich (1519), il adhère à la Réforme et expose sa doctine en soixante-dix
sept thèses, reconnaissant la Bible comme seul fondement de la loi et rejetant
l'autorité de Rome dont il critique la corruption.
Les paroissiens et le
conseil de Zurich prennent son parti et Zwingli entreprend la réforme de la
ville (1522) fondant sa doctrine sur une lecture approfondie de la Bible, se
marie (1524) et abolit la messe (1525). Il développe ses positions dans
L'Exposition et les preuves des thèses, le De vera et falsa religione dédié à
François 1er, De la parole de Dieu, De la justice divine et de la justice
humaine et l'Exposé de la foi.
Zwingli entre en conflit avec Luther à qui
il s'oppose au colloque de Marbourg (1529). Pour lui, dans la cène, le Christ
est présent dans les coeurs par son Esprit et non dans les
espèces.
Zwingli ne se contente pas d'être un chef religieux mais
intervient aussi en politique. Il combat la coutume du mercenariat et conduit
Zurich à entreprendre deux campagnes militaires contre des cantons catholiques.
C'est à la bataille de Kappel qu'il trouve la mort.
On trouve dans la
pensée de Huldrych Zwingli les principaux thèmes qui seront développés ensuite
par Jean Calvin aussi c'est lui qui apparaît aujourd'hui comme le véritable père
du courant réformé. Guillaume Farel (1489-1565)
Né à Gap, Guillaume
Farel fait ses études à la Sorbonne où il rencontre Lefèvre d'Étaples. Maître ès
arts en 1517, il enseigne la grammaire et la philosophie. Il rompt avec le
catholicisme dès 1521. Il rencontre Oecolampade à Bâle, Zwingli à Zurich, Bucer
à Strasbourg, rédige la Sommaire et brève déclaration (1525) et son activité
itinérante le conduit à Neuchâtel où il obtient en 1530 un vote de la ville en
faveur de la Réforme.
Farel prend part au colloque de Chanforan (1532) au
cours duquel les vaudois piémontais adhèrent à la Réforme. Dans son entrevue
avec Calvin (1536), il convainc celui-ci de demeurer à Genève et participe à
faire passer la ville à la Réforme. Après son expulsion et celle de Calvin
(1538), il s'installe à Neuchâtel, d'où il entreprend de nombreux voyages
missionnaires.
Guillaume Farel, missionnaire ardent et souvent
intransigeant, est le Réformateur de la Suisse romande. Il a organisé à
Neuchâtel une église réformée dans la ligne de Calvin. Johannes Oecolampade
(1482-1531)
Oecolampade étudie le droit et la théologie à Bologne et à
Heidelberg où il subit l'influence humaniste puis à Tübingen. Il collabore en
1515 avec Erasme à l'édition du Nouveau Testament. En 1518 il est nommé
prédicateur à Bâle puis à Augsbourg, se retire deux ans dans un couvent et
rejoint les humanistes de l'Ebernburg où se trouve Bucer.
De retour à
Bâle, il s'impose comme le chef de la Réforme dans la ville, Réforme qu'il
organise et consolide jusqu'à son adoption officielle en 1529. Oecolampade
devient alors pasteur de la cathédrale et chef de l'Église bâloise. Il se sépare
des luthériens au sujet de la cène et est un précurseur de Calvin par sa
conception de l'organisation ecclésiastique et de la liturgie.
Son
influence gagne Ulm, Memmingen et Biberach où il organise la Réforme. Il dirige
le parti protestant aux disputes de Bade (1526) et de Berne (1528) et participe
au colloque de Marburg en 1529.
Johannes Oecolampade, réformateur de Bâle
et humaniste érudit, a laissé une oeuvre importante dont des traductions des
Pères et des commenaires des Prophètes. Sébastien Castellion
(1515-1563)
Né, à Saint-Martin-du-Fresne, dans le Bugey, Castellion
étudie à Lyon où il fréquente les humanistes et s'essaie à la poésie. La lecture
de l'Institution chrétienne de Calvin et la persécution des protestants dont il
est le spectateur indigné le poussent à partir pour Strasbourg en 1540. Il y
rencontre Calvin qu'il rejoint en 1542 à Genève où il devient le principal du
collège.
Il publie en 1543 les Dialogues sacrés dans lesquels il témoigne
de sa haine des tyrans et des persécuteurs. "Il n'y a rien, écrit-il, qui
résiste plus obstinément à la vérité que les grands de ce monde". Castellion
supporte mal l'autorité de plus en plus absolue de Calvin à Genève. Mettant en
garde contre l'absolutisme du nouveau tyran, il démissionne du collège et est
mis en demeure de quitter la ville. Il commence à traduire la Bible et connaît
plusieurs années de misère jusqu'en 1553 où il devient maître ès arts puis
lecteur de grec à l'université de Bâle.
Le 27 octobre 1553, Calvin fait
exécuter Michel Servet. Peu après paraît à Bâle une brochure intitulée De
haereticis an sint persequendi signée Martin Bellie, alias Castellion (1554). On
y trouve des extraits de Luther, de Sébastien Franck, d'Érasme et de Castellion.
C'est un plaidoyer pour la liberté de conscience et la tolérance. L'auteur y
souhaite "qu'un chacun retourne à soi-même, et soit soigneux de corriger sa vie,
et non de condamner les autres".
La réaction contre Sébastien Castellion
mobilise Bèze, qui dénonce sa "charité diabolique et non chrétienne", tandis que
Calvin voit en lui: "un monstre qui a autant de venin qu'il a d'audace". À Bâle
aussi, Castellion est attaqué de toutes parts pour avoir pris parti contre la
prédestination et surtout pour son attachement à la liberté.
En 1562,
dans Conseil à la France désolée il lance à Calvin à propos de l'éxécution de
Servet: "Tuer un homme, ce n'est pas défendre une doctrine, c'est tuer un
homme". Cet écrit, qui est un appel pathétique à la tolérance et une exhortation
à mettre fin aux luttes religieuses et aux persécutions, soulève une réprobation
unanime et entraîne des poursuites contre des membres de sa famille qui l'ont
fait circuler à Genève.
Sébastien Castellion meurt le 29 décembre 1563.
Il est demeuré largement méconnu. Heinrich Bullinger
(1504-1575)
Heinrich Bullinger poursuit des études aux Pays-Bas et à
Cologne où il entre en en contact avec Erasme et l'humanisme. Il adhère à la
Réforme à la lecture de Luther alors qu'il est maître d'école à
Kappel.
Il devient ami et conseiller de Zwingli puis son sucesseur après
la défaite de Kappel alors que la Réforme paraît compromise en Suisse. Il
organise l'Église dans la ville et le canton et tente d'équilibrer pouvoir
séculier et autonomie ecclésiale. Bullinger lutte contre les catholiques et les
anabaptistes et organise le système scolaire. Il se refuse à tout compromis avec
les luthériens sur la question de la cène et réussit à unifier les cantons
hélvétiques autour de ses doctrines formalisées dans la Confessio helvetica
(1536) puis obtient le ralliement de Calvin autour du Consensus Tigurinus (1549)
puis de la Confession hélvétique postérieure (1566).
Il jouit d'une
réputation considérable dans la chrétienté réformée en raison de l'accueil qu'il
assure aux réfugiés et de son rôle reconnu de conseiller des Églises
réformées.
Bullinger laisse une oeuvre d'historien (Chroniques de Zurich)
et une abondante correspondance (12 000 lettres) qui fait de lui un des
théologiens les plus respectés du protestantisme réformé. Martino Bucero
(1491-1551) Né à Sélestat (Alsace), Martin Bucer entre chez les dominicains
dans sa ville natale et rencontre Luther en 1518 alors qu'il poursuit ses études
à Heidelberg. Il adopte les vues du Réformateur et quitte l'ordre des
dominicains en 1521 pour devenir prêtre séculier. Il se marie la même année avec
une ancienne nonne mais il est excommunié.
En fuite, il prêche la
réforme luthérienne et se réfugie à Strasbourg en 1523. Il y est reconnu comme
chef de file de la Réforme, ce qu'il restera jusqu'en 1549. En 1529, Bucer fait
passer officiellement la ville à la Réforme. Il se consacre à l'organisation de
l'Église strasbourgeoise et publie les Commentaires bibliques (1527) et
promulgue les Ordonnances ecclésiastiques et disciplinaires (1534-35). Bucer
cherche à maintenir l'unité de l'Église entre protestants et avec les
catholiques : il tente de réconcilier Luther et Zwingli sur la question de la
cène. Mais ses tentatives de compromis échouent.
Martin Bucer doit
quitter Strasbourg en 1549 sur ordre de Charles-Quint et de l'évêque de la ville
et il se réfugie à Cambridge où il enseignera jusqu'à sa mort.
Les idées
de Bucer représentent la possibilité d'une troisième voie entre celles de Calvin
et Luther, possibilité qui échoue. Même sa ville de Strasbourg se rangera aux
options du luthéranisme strict.
Theodoro di Beza
(1519-1605)
Teodoro nasce a Vézelay (F) il 24 giugno 1519 in una famiglia
nobile e ricca. A Bourges (1528- 1535) diventa allievo di Melchior Wolmar, uno
degli umanisti più celebri dell'epoca. Poi, studia diritto ad
Orléans.
Melchior Wolmar trasmette a questo giovane le idee della
Riforma. Beza manifesta subito una simpatia attiva per le nuove idee. La sua
vita, però, viene totalmente trasformata dall'appello di Dio. Egli stesso
racconta come tormenti infiniti del corpo e dell'anima l'avessero portato a
riflettere sulla sua condizione ed a consacrare la sua vita al servizio di
Dio.
Partendo in esilio volontario, Beza arriba a Ginevra il 24 ottobre
1548 ed entra subito in rapporto con Calvino. Sarà però a Losanna, con Pierre
Viret, che egli lavorerà per 10 anni. Insegna greco, spiega il Nuovo Testamento,
partecipa attivamente alla vita della città.
Nel settembre del 1558, Beza
lascia Losanna e si installa a Ginevra. Contribuisce all'organizzazione
dell'Accademia di Ginevra, della quale diventa rettore nel 1559. A partire dal
1560, Beza entra in conflitto con i luterani sull'argomento della Santa Cena e
della cristologia. Stretto collaboratore di Calvino, questi gli affida sovente
importanti missioni e Beza dirige la delegazione riformata al Colloquio di
Poissy nel 1561. Alla morte di Calvino (1564), Teodoro di Beza diventa
Moderatore della Compagnia dei pastori, e dirige ufficialmente la Chiesa di
Ginevra fino al 1580. Dal 1580 fino alla sua morte ne rimane l'ispiratore e la
guida.
L'opera letteraria di Beza è importante. Poeta, esegeta, teologo,
predicatore, storico, ha scritto molto. a lui si deve Abraham sacrifiant
(1550), una tragedia in francese, una Confessione di fede, una traduzione
latina annotata del Nuovo Testamento, e soprattutto una traduzione dei Salmi.
Teodoro di Beza può essere considerato il capo spirituale degli
Ugonotti.
Philipp Melanchthon (1497-1560)
Petit neveu de
l'humaniste Johannes Reuchlin, Philipp Schwartzerdt (hellénisé en Melanchthon en
raison de sa réussite précoce en grec) étudie à partir de 1512 à Heidelberg et à
Tübingen. Devenu en 1518 professeur de grec à l'université de Wittenberg, il y
rencontre Luther dont il devient et restera le principal disciple.
En
1519, il écrit l'Apologia pro Luthero. Ses Loci communes (1521) constituent le
premier ouvrage de théologie luthérienne. Il les remaniera plusieurs fois tout
au long de sa vie (1533, 1543, 1559). Il rédige la Confession d'Augsbourg
(1530), son Apologie (1531) et le Traité sur le pouvoir et la primauté du pape
(1537) et deviendra le chef de l'Église luthérienne à la mort de
Luther.
Conciliant et diplomate, il a tenté d'aplanir les divergences
entre les différents courants de la Réforme et même entre protestants et
catholiques.
Melanchthon est l'exégète et le fondateur de la dogmatique
protestante luthérienne. Pierre Valdès (~1140-~1217) Riche bourgeois de
Lyon, Pierre Valdès ou Valdo se convertit vers 1175 et connaît la double
vocation de pauvreté et de prédication. Il quitte son métier, sa famille, sa
cité, fait traduire la Bible en langue vulgaire et en fait établir des copies.
Il prêche l'Évangile et groupe à ses côté un certain nombre de partisans pour
mener avec eux la vie communautaire des premiers chrétiens. Méprisés par les uns
comme des sortes de fous, injuriés comme prêchant l'Evangile sans ordre, les
Vaudois sont excommuniés au concile de Vérone en 1184. Ils progressent quand
même et se dispersent dans les régions les plus diverses : Dauphiné, Languedoc,
Provence, Italie du Nord, Lorraine, Allemagne et jusqu'en Bohême, où meurt
Valdès.
Interdite par l'archevêque de Lyon, condamnée par le concile du
Latran, l'oeuvre de Valdo se poursuit malgré de nombreuses
persécutions.
Au XVIe siècle, à la suite d'entretiens avec Farel,
Oecolampade et Bucer, les Vaudois se rallieront à la Réforme en 1532. C'est
pourquoi, de nos jours, les Églises vaudoises du Piémont, en Italie, sont des
églises de type réformé.
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