GIOVANNI
CALVINO ed altri personaggi eretici |
Cabala o Kabbalah o Qabbalah (XV secolo) Serie di dottrine esoteriche e
mistiche di origine ebraica. Secondo alcuni autori, le tre grafie possibili
della parola, che in ebraico significa tradizione, indicano tre momenti di
sviluppo di questa scuola: Kabbalah E' la scuola mistica ebraica nata
circa 2000 anni fa. Il suo fondamento è lo studio per arrivare al segreto
della conoscenza di Dio, come manifestata dalle seguenti 10 sefirôth, cioè
stadi o emanazioni o attributi di Dio stesso: Keter (Corona
eccelsa) Chokhmah (Sapienza) Binah (Intelligenza) Chesod (Amore) Dîn
(Giustizia) Rachamîn (Pietà) Nezach (Eternità) Hôd (Maestà) Jesôd
(Fondamento) Malkûth (Regno) Benché la K. sia strettamente collegata alla
tradizione ebraica, e quindi, osservante della halakhah (norme di
comportamento) e della haggadah (letteratura ebraica e scopo didattico), essa
fa comunque uso di complesse tecniche alfanumeriche, come: notariqon, dove
ogni parola può diventare l'acronimo di altre parole. gematriah, dove ad ogni
parola viene dato un valore numerico temurah, dove avviene uno scambio di
lettere di una parola per trasformarla in un'altra. Nella K. lo scopo
degli studiosi si indirizzava verso due direzioni: la K. speculativa, il cui
fine era la conoscenza di Dio e la K. magica, che approfondiva lo studio
della magia dei numeri e delle lettere.
Cabala Nel XIV e XV secolo, il
mondo cristiano venne in contatto con i concetti della Kabbalah, attraverso
gli ebrei spagnoli convertiti al Cristianesimo (i cosiddetti conversos), ma
soprattutto per mezzo dei lavori di Pico della Mirandola, in particolare
alcune sue tesi contenute nelle Conclusiones philosophiae, cabalisticae et
theologicae, condannate nel 1486 dalla Chiesa durante il papato di Innocenzo
VIII (1484-1492). In Europa, la C. si fuse con l'occultismo cristiano:
infatti anche lo stesso Pico affermò che la C. poteva servire a provare
dottrine come la divinità di Cristo e la Trinità. Famosi studiosi di C.
dell'epoca furono Johannes Reuchlin, Cornelius Agrippa, Guillaume Postel e
Paracelso (Bombast von Hohenheim).
Qabbalah Inizio del XX secolo un
revival delle Cabala, denominata Qabbalah, si mischiò con elementi magici e
fu largamente impiegato dal mago Aleister Crowley (1875-1947) e dalla società
ermetica dell'Alba Dorata (Golden Dawn). ----- Arcontici (IV
secolo)
Una setta gnostica del IV secolo diffusa in Palestina ed in
Armenia, fondata da un prete palestinese di nome Pietro da Cabarbaricha, il
quale, deposto dal sacerdozio, si rifugiò in una comunità
ebionita. Intorno al 360, oramai in età avanzata, P. viveva, in estrema
povertà, come un eremita in una caverna vicino a Gerusalemme, dove trasmise
le sue dottrine ad un tale Eutatto, che le portò in
Armenia. Successivamente P. venne scomunicato da Sant'Epifanio, vescovo di
Salamis (l'attuale Costanzia sull'isola di Cipro), principale fonte di
informazione su questa setta. La dottrina gnostica degli a. era basata su
sette cieli, ognuno governato da un principe (in greco archon, da cui il nome
della setta), circondato da angeli, carcerieri delle anime, mentre in un
ottavo dimorava la Madre Suprema di Luce. Il re o tiranno del settimo
cielo era Sabaoth, il Dio dei Giudei, padre del demonio: quest'ultimo si era
ribellato all'autorità del padre e aveva generato, unendosi ad Eva, Abele e
Caino e quindi l'intera umanità. Compito delle anime era di raggiungere la
conoscenza (gnosi) in maniera da sfuggire il potere malvagio di Saboath e
volare in ciascuno dei cieli fino a raggiungere la Madre Suprema. Gli a.
erano molto ascetici e rigoristi (digiunavano spesso e praticavano
la povertà), negavano la resurrezione del corpo (ma non quella dell'anima)
e condannavano i Sacri Misteri e il Battesimo, in quanto qualcosa
introdotto dal tiranno Sabaoth, per tenere intrappolate le anime. I loro
testi sacri erano alcuni libri apocrifi, denominati Symphonia, Anabatikon e
Allogeneis.
----- Cainiti e Quintillianiti (II
secolo)
Una setta gnostica estremista, che, similmente ad altre
sette gnostiche, credeva che il Dio (o Demiurgo) del Vecchio Testamento fosse
malvagio e ostile all'umanità. Perciò i c. veneravano tutti i personaggi
della Bibbia, oppositori del Creatore, come Esaù, Cam, gli abitanti di Sodoma
e Gomorra, Giuda e soprattutto Caino (da cui il nome della setta), l'eone
decaduto per colpa di sua madre Sophia (Eva) e quindi il personaggio
depositario della gnosi. Per quanto concerneva Giuda, l'altro importante
riferimento dei c., nel loro testo sacro, il Vangelo di Giuda, veniva
spiegato come l'Apostolo avesse la conoscenza (gnosi) del metodo per la
salvezza degli uomini e come avesse tradito Gesù, in quanto credeva che
Cristo fosse un agente del Demiurgo malvagio. Un'altra scuola di pensiero
dei c. credeva, invece, che il Demiurgo volesse impedire il sacrificio e la
sofferenza di Gesù, per rendere vano il Suo intervento come Salvatore: il
ruolo, quindi, di Guida era fondamentale per aiutare a catturare e
successivamente crocefiggere Gesù, da cui si deduce che, in base a questo
contorto pensiero, i c. consideravano l'Apostolo un eroe! I c., inoltre,
come altri gnostici (Basilide, Carpocrate) credevano che fosse possibile
ottenere la salvezza passando attraverso ogni sorta di esperienza, anche
sessuale. A riguardo i c. assumevano un forte atteggiamento antinomistico,
praticando, cioè, tutti gli atti proibiti dal Decalogo redatto da Mosè,
profeta da loro disprezzato, ed in tale senso fu particolarmente attivo un
cainita di nome Quintill, che in Africa fondò la setta detta dei
Quintillianiti.
----- Blaurock (o Cajacob o vom Hause Jakob), Jörg
(ca. 1491-1528)
Jörg vom Hause Jakob (Giorgio della casa di
Jakob), oppure Cajacob, nacque a Bonaduz, nel cantone Grigioni, nel 1491-92 e
frequentò le scuole a Chur. Dal 1513 studiò alla università di Lipsia,
diventando successivamente sacerdote. Iniziò la sua carriera ecclesiastica
nel 1516 come vicario a Trins, vicino a Chur, rimanendoci fino al 1519.
Successivamente fu chiamato ad operare nel convento di San Lucio, sempre
nelle vicinanze di Chur, ma nel 1523 si convertì alle idee della Riforma,
abbandonando il monastero, si sposò e si recò nel 1525 a Zurigo, la città del
riformatore Zwingli. Il suo soprannome di Blau rock derivò da un abito
azzurro o turchino, che era solito portare, mentre altri lo chiamavano der
starke Jörg (il forte Giorgio), sia per la figura possente che per il
carattere forte ed aggressivo. Durante il suo soggiorno a Zurigo B. fu
conquistato alla causa degli anabattisti da Conrad Grebel. Benché avesse
studiato, gli autori riportano che B. non fosse un uomo di grande cultura:
Zwingli stesso lo disprezzava come un ignorante e "folle". Tuttavia la sua
eloquenza nelle prediche fu molto preziosa alla causa anabattista. Tra il
10 e 17 Gennaio 1525, in seguito ad una disputa pubblica, si pervenne alla
frattura insanabile tra anabattisti e i riformatori svizzeri nelle persone di
Zwingli e Johann Heinrich Bullinger. Il risultato della disputa fu scontato:
il Consiglio cittadino censurò la posizione del gruppo di Grebel, ordinando
il battesimo immediato di tutti i bambini entro otto giorni dalla loro
nascita. Il 21 Gennaio 1525, sfidando il divieto delle autorità cittadine,
15 anabattisti si riunirono in casa di Felix Mantz, e presero la decisione
di procedere al proprio ribattesimo, cosa che fecero la notte stessa: B.
si inginocchiò davanti a Grebel e gli chiese di essere
battezzato, successivamente fu B. a ribattezzare gli altri. In seguito gli
anabattisti si trasferirono a Zollikon, un villaggio ad otto chilometri da
Zurigo, dove fondarono la comunità dei "Fratelli in Cristo", ma poco dopo B.,
Mantz ed altri furono arrestati su ordine del consiglio cittadino di Zurigo e
incarcerati nella torre di Wellenberg a Zurigo. Il 24 Febbraio B. fu
scarcerato e proseguì nella sua attività di proselitismo fino all'Ottobre
1525, quando, avendo interrotto una funzione in una chiesa nel villaggio di
Hinwil, fu arrestato e tradotto, insieme a Grebel e Mantz, a Zurigo. Qui si
tenne, tra il 6 e l'8 Novembre 1525, un'ulteriore disputa tra gli anabattisti
e Zwingli, che, scontento per l'ostinata posizione degli avversari, li fece
condannare dal Consiglio, il 18 Novembre, a rimanere in carcere. Il 5 e 6
Marzo 1526, dopo quattro mesi di duro carcere, il Consiglio cercò di fiaccare
la resistenza degli arrestati (i tre sopramenzionati più altri 14 compagni)
condannandoli al carcere a pane e acqua, finché essi non avessero ritrattato,
ma 15 giorni dopo, approfittando di una clamorosa distrazione, gli
anabattisti riuscirono ad evadere. Tra il momento della sua fuga e la sua
nuova cattura, B. trascorse il periodo errando per la Svizzera e battezzando
nuovi adepti, finché le autorità di Zurigo lo catturarono il 3 Dicembre 1526,
assieme a Mantz in una foresta vicino a Grüningen. Mantz fu messo a morte
per annegamento il 5 Gennaio 1527, mentre B. fu spogliato e frustato con
delle verghe e in seguito espulso dal territorio del cantone di
Zurigo. Continuando la sua missione attraverso Berna, Biel, nei Grigioni e
ad Appenzell, da dove venne espulso, B. pervenne alla decisione di
continuare la sua opera in un'altra nazione. Si recò quindi in Alto Adige nel
Maggio 1529, predicando e ribattezzando nella zona tra Chiusa (Klausen) e
Neumarkt, assieme al compagno Hans Langegger, finché il 14 Agosto 1529 le
autorità di Guffidaun li arrestarono e torturarono spietatamente per avere
informazioni sulla reale consistenza del fenomeno anabattista in zona. Il
6 Settembre 1529 B. e Langegger furono arsi sul rogo vicino a Klausen. Così
morì, dopo Grebel nel 1526 e Mantz nel 1527, il terzo dei capi storici del
movimento anabattista e purtroppo non l'ultimo di una tragica
lista.
----- Massacro delle colonie valdesi in Italia meridionale
(1561-1563)
Uno degli episodi più truculenti della storia della
Riforma in Italia nel XVI secolo fu il massacro delle colonie valdesi in
Calabria e la conversione forzata al Cattolicesimo di quelle in Puglia. Si
trattava di colonie antiche ben stabilite sul territorio fin dal XIII/XIV
secolo e provenienti dalle valli piemontesi.
Calabria In
Calabria si considera tradizionalmente come prima colonia valdese quella di
Montalto Uffugo (in provincia di Cosenza), di cui si hanno notizie dal 1386,
in seguito i valdesi si installarono a San Sisto, a Guardia Piemontese (ai
tempi La Guardia o Guardia dei Valdi), e nei paesini dei
dintorni. Mantennero, come si direbbe oggigiorno, un basso profilo, non
facendo proselitismo, commentando la Bibbia solo in case private, ricevendo
visite molto discrete dei barba (i ministri di culto) e perfino partecipando
ai riti esteriori delle chiese cattoliche locali. I feudatari del luogo
li impiegavano come contadini e artigiani della lana e della pelle e
li apprezzavano per la loro operosità e mitezza. Tuttavia le cose
cambiarono nel XVI secolo con l'avvento della Riforma: già dal 1532, ai tempi
del sinodo di Chanforan (in valle d'Angrogna), queste colonie valdesi
cominciarono a manifestare un vivo interesse nella Riforma calvinista, ma fu
solo dal 1556 che i valdesi di Calabria vollero aderire alla Riforma, in
seguito alle prediche di Gilles de Gilles (che profeticamente li aveva
esortati ad emigrare per la loro stessa incolumità), ma soprattutto quando,
nel 1559, Giacomo Bonello (m. 1560) e Gian Luigi Pascale (m. 1560), con
l'aiuto del barba locale Stefano Negrin (m. 1561), iniziarono una coraggiosa
azione di evangelizzazione. Purtroppo per loro il papa Paolo IV (1555-1559),
l'ex inquisitore Giovanni Paolo Carafa, e l'Inquisitore Generale Michele
Ghisleri [il futuro papa Pio V (1566-1572)] erano rigorosissimi contro ogni
forma di eresia e di dissenso religioso: in particolare una bolla papale
emanata nello stesso 1559, che non concedeva l'assoluzione a chi era a
conoscenza di attività ereticali e non li aveva prontamente denunciati, tolse
ai valdesi calabri l'appoggio, o perlomeno, la neutralità dei signori
locali. In particolare la minaccia di detta bolla fece rompere gli indugi
al feudatario Salvatore Spinelli, che ordinò l'arresto di Gian Luigi Pascale
a Fuscaldo il 2 maggio 1559: per questa azione Spinelli ottenne in seguito
il titolo di marchese. Pascale fu condotto a Cosenza, da qui a piedi a
Napoli, ed infine a Roma per cercare inutilmente di farlo abiurare, ma anche
un estremo tentativo di suo fratello Bartolomeo, cattolico, fu vano: Pascale
fu impiccato e poi bruciato a Ponte Sant'Angelo il 16 settembre 1560. La
stessa tremenda sorte era capitata al confratello Giacomo Bonello, che, dopo
un primo arresto a Battipaglia, ne aveva subito un secondo decisivo
a Messina. Dopo un breve processo, Bonello fu arso vivo in
Piazza dell'Ucciardone a Palermo il 18 febbraio 1560. Senza il conforto
dei loro pastori, i valdesi calabri caddero preda degli inquisitori
domenicani Valerio Malvicino e Alfonso Urbino, che, dopo aver condotto
un'inchiesta nelle colonie di Montalto, San Sisto e Guardia, vennero alla
conclusione che erano tutti eretici e che quindi dovevano o abiurare o
morire. Ma anche quelli che abiuravano erano costretti a sopportare un severo
e umiliante regime di controllo: non potevano parlare in occitano o
sposarsi tra loro, dovevano andare a messa tutti i giorni, osservare
l'obbligo del digiuno settimanale e indossare l'infamante abitello degli
eretici. I valdesi reagirono con la fuga nei boschi circostanti, ma questo
diede il pretesto a Don Parafan de Ribera, Duca di Alcalà e viceré di Napoli
(viceré: 1559-1572) di organizzare, nel giugno 1561, una colossale caccia
all'uomo, usando cani mastini, assoldando veri pendagli da forca come soldati
e mettendo taglie sulle teste dei valdesi fuggiti. Fu la "San Bartolomeo
italiana" (secondo le parole dello storico Salvatore Caponetto): 60 persone
furono ucciso a San Sisto ed il paese, che contava 6000 abitanti, distrutto,
mentre a Montalto, l'11 giugno 1561, fu atrocemente tagliata la gola, uno
dopo l'altro, a 88 valdesi, che furono lasciati dissanguare come agnelli
sgozzati: i loro cadaveri furono poi impalati, come monito, sulla strada per
Cosenza. Ma la strage più impressionante avvenne a Guardia Piemontese: dal 3
giugno 1561 (per circa undici giorni) si calcola che 2000 persone
furono barbaramente trucidate e che un altro centinaio di valdesi furono
uccisi nelle campagne circostanti. Il sangue di quei poveri innocenti colò
lungo i vicoli fino alla porta principale del paese e alla piazza
antistante, denominate, in seguito, "Porta del sangue" e "Piazza della
strage". Altri 1600 coloni furono fatti prigionieri, tra cui 700 provenienti
da Guardia stessa: il barba Stefano Negrin morì nel carcere di Cosenza, o per
le torture subite o di fame. Alcuni valdesi riuscirono a fuggire in
Sicilia, ma qui furono coinvolti in processi tra il 1569 ed il 1582 e
giustiziati. Solo pochi riuscirono a raggiungere un rifugio sicuro a Ginevra
e a rifarsi una vita.
Puglia In Puglia alcune colonie
franco-provenzali (presumibilmente valdesi) si erano insediate intorno al
1440 nella zona della Capitanata, tra Foggia e Benevento, nei comuni di
Montaguto, La Motta, Celle San Vito, Faeto, ed in seguito (nel 1517) a
Volturara, chiamate dal feudatario locale. Qui adottarono per prudenza un
atteggiamento fortemente nicodemitica, frequentando le funzioni religiose
cattoliche, ma nel 1561, durante la campagna militare conclusosi con la
tremenda strage dei loro confratelli calabri, venne scoperto il legame
religioso che li univa a quest'ultimi. Dopo un primo intervento in zona
dell'inquisitore domenicano Valerio Malvicino, fresco dell'esperienza
calabrese, che fece arrestare parecchi valdesi ed internarli nelle carceri
romane (molti di loro morirono per le torture inflitte), nel 1563
l'Inquisizione romana decise di optare per una linea più morbida, mandando in
zona i gesuiti, al comando di padre Cristoforo Rodriguez. Quest'ultimo,
spesso in forte contrasto con l'Inquisitore Generale Michele Ghisleri, decise
di cercare di convincere i valdesi ad abiurare senza minacce o torture, ma
solamente interrogandoli anche più volte di seguito, finché 1500 coloni
accettarono di farsi convertire: un peso determinante comunque lo ebbe la
decisione di Rodriguez di far liberare i valdesi prigionieri nelle carceri
romane e di rimandarli a casa. Inoltre, nel novembre 1565, egli ottenne il
permesso di far levare l'abitello a coloro che avevano abiurato, pur con
l'obbligo di indossarlo in chiesa , mentre l'obbligo del digiuno settimanale
diveniva mensile. Tuttavia, solo nel 1592 vennero abrogate molte restrizioni,
come l'obbligo di portare l'abitello in chiesa e dei matrimoni solo con
persone di lingua italiana. Pur scomparendo la differenza religiosa grazie
alle massicce conversioni, rimase comunque l'orgoglio di usare la lingua
franco-provenzale, abitudine tramandata fino ai giorni nostri e che fa dei
paesi di Faeto e Celle San Vito (come, del resto, anche di Guardia Piemontese
in Calabria per quanto riguarda la lingua occitana) un'isola etnica, protetta
dall'apposita legge italiana 482/1999 sulle minoranze
linguistiche.
----- Calandrini, famiglia (XVI e XVII
secolo)
Famiglia di riformatori esuli lucchesi del XVI e XVII
secolo, fortemente influenzati da Aonio Paleario, che era stato il precettore
della famiglia prima del suo arresto e condanna al rogo. Di questa
famiglia si ricordano:
1) Calandrini, Benedetto (m. 1587) Figlio
di Filippo (m. 1554), illustre ambasciatore della Repubblica di Lucca,
Benedetto sposò Maddalena Diodati e fu lo zio di Pompeo Diodati.
Egli partecipò alle varie vicissitudini riformiste delle famiglie esuli
lucchesi Diodati e Burlamacchi, riparando dapprima in Francia nel 1567,
presso la duchessa Renata d'Este, simpatizzante della causa calvinista,
confinata nel suo castello di Montargis, e successivamente a Ginevra, dove
morì nella primavera del 1587.
2) Calandrini, Giuliano
(1514-1573) Fratello di Benedetto, fu costretto a fuggire a Ginevra nel 1560,
in quanto ricercato dall'Inquisizione per le sue idee religiose. Raggiunta la
sua famiglia, anch'essa esule, in Francia nel 1567, morì nel 1573,
probabilmente di peste, a Sedan, luogo di transizione per gli ugonotti in
fuga dopo la strage della notte di San Bartolomeo (23 Agosto
1572).
3) Calandrini, Scipione (1540-1607) Figlio naturale di
Giuliano e allievo di Aonio Paleario, fu il primo della famiglia che andò in
esilio per motivi religiosi. Egli si rifugiò dapprima (1558) nei Grigioni,
poi a Ginevra, dove si convertì alla Riforma nel 1559. Quando il suo
concittadino e docente di filosofia, Simone Simoni, fu espulso da Ginevra per
aver attaccato violentemente il pastore della locale chiesa italiana
riformata, Niccolò Balbani, Scipione si propose come suo successore alla
cattedra universitaria. In seguito, offeso per non essere stato prescelto,
egli si trasferì ad Heidelberg per studiare lettere, filosofia
e teologia. Nel 1570 S. divenne pastore protestante a Morbegno, succedendo
ad Ulisse Martinengo, e a Sondrio, dove si impegnò per una pacifica
coesistenza di riformati e cattolici. Per questo motivo i cattolici,
sobillati dall'arciprete di Sondrio Nicolò Rusca, cercarono di ucciderlo per
ben due volte. S. morì a Sondrio circa nel 1607.
4) Calandrini,
Giovanni (1544-1623) Figlio di Giuliano e padre di Giovanni Luigi (o
Ludovico) (1585-1656)(un membro influente della colonia italiana a Ginevra),
Cesare, Filippo e Elisabetta, sposa di Filippo Burlamacchi, Giovanni fu socio
in affari ad Anversa di Francesco Turrettini.
5) Calandrini,
Cesare (1595-1665) Figlio di Giovanni, nato a Staden, nelle Fiandre
occidentali, nel 1595, Cesare studiò teologia a Ginevra e a Saumur. Si
trasferì, quindi, in Inghilterra, dove compì ulteriori studi di teologia a
Oxford, diventando ministro della Chiesa d'Inghilterra. Successivamente
divenne pastore della Chiesa Olandese riformata, un ritorno alle origini dei
suoi primi studi teologici. Fu anche presidente del Coetus, l'istituzione che
regolava le questioni di dottrina e disciplina delle chiese riformate
olandese, francese e italiana a Londra.
6) Calandrini, Bènedict
(1639-1720) Figlio di Giovanni Luigi (o Ludovico), Bènedict divenne pastore
della chiesa italiana e Rettore dell'Accademia di Ginevra. Morì nel
1720.
7) Calandrini, Jean Louis (1703-1758) Figlio di Daniele
(1635-1709), nipote di Filippo, quindi pronipote di Giovanni Calandrini, Jean
Louis nacque nel 1703 a Ginevra, di cui fu illustrissimo cittadino:
professore di Matematica e Filosofia, scrittore di trattati scientifici,
divenne, anch'egli come il cugino Bènedict, Rettore dell'Accademia (nel
1741), ma anche Consigliere di Stato nel 1750 ed infine Sindaco nel 1757.
Morì nel 1758.
----- Calandrini, famiglia (XVI e XVII
secolo)
Famiglia di riformatori esuli lucchesi del XVI e XVII
secolo, fortemente influenzati da Aonio Paleario, che era stato il precettore
della famiglia prima del suo arresto e condanna al rogo. Di questa
famiglia si ricordano:
1) Calandrini, Benedetto (m. 1587) Figlio
di Filippo (m. 1554), illustre ambasciatore della Repubblica di Lucca,
Benedetto sposò Maddalena Diodati e fu lo zio di Pompeo Diodati.
Egli partecipò alle varie vicissitudini riformiste delle famiglie esuli
lucchesi Diodati e Burlamacchi, riparando dapprima in Francia nel 1567,
presso la duchessa Renata d'Este, simpatizzante della causa calvinista,
confinata nel suo castello di Montargis, e successivamente a Ginevra, dove
morì nella primavera del 1587.
2) Calandrini, Giuliano
(1514-1573) Fratello di Benedetto, fu costretto a fuggire a Ginevra nel 1560,
in quanto ricercato dall'Inquisizione per le sue idee religiose. Raggiunta la
sua famiglia, anch'essa esule, in Francia nel 1567, morì nel 1573,
probabilmente di peste, a Sedan, luogo di transizione per gli ugonotti in
fuga dopo la strage della notte di San Bartolomeo (23 Agosto
1572).
3) Calandrini, Scipione (1540-1607) Figlio naturale di
Giuliano e allievo di Aonio Paleario, fu il primo della famiglia che andò in
esilio per motivi religiosi. Egli si rifugiò dapprima (1558) nei Grigioni,
poi a Ginevra, dove si convertì alla Riforma nel 1559. Quando il suo
concittadino e docente di filosofia, Simone Simoni, fu espulso da Ginevra per
aver attaccato violentemente il pastore della locale chiesa italiana
riformata, Niccolò Balbani, Scipione si propose come suo successore alla
cattedra universitaria. In seguito, offeso per non essere stato prescelto,
egli si trasferì ad Heidelberg per studiare lettere, filosofia
e teologia. Nel 1570 S. divenne pastore protestante a Morbegno, succedendo
ad Ulisse Martinengo, e a Sondrio, dove si impegnò per una pacifica
coesistenza di riformati e cattolici. Per questo motivo i cattolici,
sobillati dall'arciprete di Sondrio Nicolò Rusca, cercarono di ucciderlo per
ben due volte. S. morì a Sondrio circa nel 1607.
4) Calandrini,
Giovanni (1544-1623) Figlio di Giuliano e padre di Giovanni Luigi (o
Ludovico) (1585-1656)(un membro influente della colonia italiana a Ginevra),
Cesare, Filippo e Elisabetta, sposa di Filippo Burlamacchi, Giovanni fu socio
in affari ad Anversa di Francesco Turrettini.
5) Calandrini,
Cesare (1595-1665) Figlio di Giovanni, nato a Staden, nelle Fiandre
occidentali, nel 1595, Cesare studiò teologia a Ginevra e a Saumur. Si
trasferì, quindi, in Inghilterra, dove compì ulteriori studi di teologia a
Oxford, diventando ministro della Chiesa d'Inghilterra. Successivamente
divenne pastore della Chiesa Olandese riformata, un ritorno alle origini dei
suoi primi studi teologici. Fu anche presidente del Coetus, l'istituzione che
regolava le questioni di dottrina e disciplina delle chiese riformate
olandese, francese e italiana a Londra.
6) Calandrini, Bènedict
(1639-1720) Figlio di Giovanni Luigi (o Ludovico), Bènedict divenne pastore
della chiesa italiana e Rettore dell'Accademia di Ginevra. Morì nel
1720.
7) Calandrini, Jean Louis (1703-1758) Figlio di Daniele
(1635-1709), nipote di Filippo, quindi pronipote di Giovanni Calandrini, Jean
Louis nacque nel 1703 a Ginevra, di cui fu illustrissimo cittadino:
professore di Matematica e Filosofia, scrittore di trattati scientifici,
divenne, anch'egli come il cugino Bènedict, Rettore dell'Accademia (nel
1741), ma anche Consigliere di Stato nel 1750 ed infine Sindaco nel 1757.
Morì nel 1758.
----- Calandrini, famiglia (XVI e XVII
secolo)
Famiglia di riformatori esuli lucchesi del XVI e XVII
secolo, fortemente influenzati da Aonio Paleario, che era stato il precettore
della famiglia prima del suo arresto e condanna al rogo. Di questa
famiglia si ricordano:
1) Calandrini, Benedetto (m. 1587) Figlio
di Filippo (m. 1554), illustre ambasciatore della Repubblica di Lucca,
Benedetto sposò Maddalena Diodati e fu lo zio di Pompeo Diodati.
Egli partecipò alle varie vicissitudini riformiste delle famiglie esuli
lucchesi Diodati e Burlamacchi, riparando dapprima in Francia nel 1567,
presso la duchessa Renata d'Este, simpatizzante della causa calvinista,
confinata nel suo castello di Montargis, e successivamente a Ginevra, dove
morì nella primavera del 1587.
2) Calandrini, Giuliano
(1514-1573) Fratello di Benedetto, fu costretto a fuggire a Ginevra nel 1560,
in quanto ricercato dall'Inquisizione per le sue idee religiose. Raggiunta la
sua famiglia, anch'essa esule, in Francia nel 1567, morì nel 1573,
probabilmente di peste, a Sedan, luogo di transizione per gli ugonotti in
fuga dopo la strage della notte di San Bartolomeo (23 Agosto
1572).
3) Calandrini, Scipione (1540-1607) Figlio naturale di
Giuliano e allievo di Aonio Paleario, fu il primo della famiglia che andò in
esilio per motivi religiosi. Egli si rifugiò dapprima (1558) nei Grigioni,
poi a Ginevra, dove si convertì alla Riforma nel 1559. Quando il suo
concittadino e docente di filosofia, Simone Simoni, fu espulso da Ginevra per
aver attaccato violentemente il pastore della locale chiesa italiana
riformata, Niccolò Balbani, Scipione si propose come suo successore alla
cattedra universitaria. In seguito, offeso per non essere stato prescelto,
egli si trasferì ad Heidelberg per studiare lettere, filosofia
e teologia. Nel 1570 S. divenne pastore protestante a Morbegno, succedendo
ad Ulisse Martinengo, e a Sondrio, dove si impegnò per una pacifica
coesistenza di riformati e cattolici. Per questo motivo i cattolici,
sobillati dall'arciprete di Sondrio Nicolò Rusca, cercarono di ucciderlo per
ben due volte. S. morì a Sondrio circa nel 1607.
4) Calandrini,
Giovanni (1544-1623) Figlio di Giuliano e padre di Giovanni Luigi (o
Ludovico) (1585-1656)(un membro influente della colonia italiana a Ginevra),
Cesare, Filippo e Elisabetta, sposa di Filippo Burlamacchi, Giovanni fu socio
in affari ad Anversa di Francesco Turrettini.
5) Calandrini,
Cesare (1595-1665) Figlio di Giovanni, nato a Staden, nelle Fiandre
occidentali, nel 1595, Cesare studiò teologia a Ginevra e a Saumur. Si
trasferì, quindi, in Inghilterra, dove compì ulteriori studi di teologia a
Oxford, diventando ministro della Chiesa d'Inghilterra. Successivamente
divenne pastore della Chiesa Olandese riformata, un ritorno alle origini dei
suoi primi studi teologici. Fu anche presidente del Coetus, l'istituzione che
regolava le questioni di dottrina e disciplina delle chiese riformate
olandese, francese e italiana a Londra.
6) Calandrini, Bènedict
(1639-1720) Figlio di Giovanni Luigi (o Ludovico), Bènedict divenne pastore
della chiesa italiana e Rettore dell'Accademia di Ginevra. Morì nel
1720.
7) Calandrini, Jean Louis (1703-1758) Figlio di Daniele
(1635-1709), nipote di Filippo, quindi pronipote di Giovanni Calandrini, Jean
Louis nacque nel 1703 a Ginevra, di cui fu illustrissimo cittadino:
professore di Matematica e Filosofia, scrittore di trattati scientifici,
divenne, anch'egli come il cugino Bènedict, Rettore dell'Accademia (nel
1741), ma anche Consigliere di Stato nel 1750 ed infine Sindaco nel 1757.
Morì nel 1758.
----- Michele Berti da Calci (m. 1389)
Dopo la
morte del loro fondatore, Angelo Clareno da Cingoli nel 1337, i fraticelli
diventarono alquanto influenti in varie città, tra cui Firenze, dove
tentarono più volte, ma inutilmente, di sfidare in un pubblico dibattito i
teologi della Chiesa. Anzi questi ultimi nel 1378 emanarono un editto contro
i fraticelli, facendoli espellere nel 1381. Il tutto creò un clima di
sospetti e di persecuzione per anni nella città, e questo culminò nel 1389
con l'episodio del martirio di Fra Michele Berti da Calci. Egli era un
frate minore, originario di Calci, vicino a Pisa, arrestato assieme ad un
confratello, su ordine dall'arcivescovo (francescano!) della città,
Bartolomeo Uliari (arcivescovo: 1385-1389), il 20 Aprile 1389, mentre stava
per lasciare la città, dove era giunto da Ancona nel gennaio dello stesso
anno per predicare in segreto. Egli fu interrogato per 10 giorni e per tutto
il periodo continuò coraggiosamente a dichiarare: che il Papa Giovanni
XXII (1316-1334) era stato un eretico, che Giovanni e i suoi successori non
avevano quindi il diritto di essere nominati papi, e che similmente tutti
i preti, che li sostenessero, non potevano avere più l'autorità di poter
assolvere. Il 30 giugno 1389 il capitano del popolo, Niccolò Gentile da
Monterano pronunciò la sentenza di morte sul rogo. Condotto al luogo
dell'esecuzione, M. fu esortato dai cittadini fiorentini a riconoscere
l'autorità del Papa e così avere salva la vita, ma egli rimase saldo nelle
sue convinzioni e, cantando il Te Deum, salì sul rogo. ----- Utraquisti (o
Calixtini o Calinisti o Calicisti) (dal XV secolo)
Gli
utraquisti, il cui nome derivò dall'espressione latina, usata per
la Comunione sotto ambedue le forme, sub utraque specie, furono gli
aderenti alla fazione moderata del movimento hussita. Furono denominati
anche calixtini (o calinisti o calicisti ) dal latino calix, il calice
contenente il Sangue di Cristo ed erano principalmente formati da
universitari, aristocratici e borghesi. Nell'ambito del movimento hussita,
essi si contrapposero alla fazione più radicale dei taboriti, sconfitti dagli
u. stessi nella battaglia di Lipau del 30 Maggio 1434, dove fu ucciso il capo
taborita, Andreas Prokop. Gli u. erano infatti riusciti ad arrivare ad un
compromesso con i cattolici durante Concilio di Basilea (1431-1439), dove si
era arrivati alla stesura delle Compactata, una serie di deroghe dottrinali,
che riproducevano i Quattro Articoli di Praga. La pace religiosa fu raggiunta
nel 1436, alla Dieta di Iglau (Jihlava) in Moravia, dove i cattolici e gli u.
accettarono reciprocamente le Compactata e l'obbedienza al Concilio. Fu
formata una Chiesa Cattolica boema indipendente con a capo l'arcivescovo Jan
Rokyzana. Tuttavia l'accordo non portò la sperata pace in Boemia, e
successivamente al periodo (1448-1471) caratterizzato dal re Giorgio
Podiebrad, gli u. giocarono un ruolo sempre più marginale nelle vicende della
loro nazione. Nel 1457 dovettero subire lo scisma interno generato dal
movimento, denominato Unitas Fratrum o Fratelli Boemi, collegato all'attività
del riformatore Petr Chelcický (1390-1460) e che divenne gradualmente la
fazione più numerosa dell'eredità hussita. Gli u., invece, durarono in
patria fino al 1620, quando in piena guerra dei Trent'anni (1618-1648), molti
furono costretti a convertirsi al Cattolicesimo o andare in esilio in
Ungheria o in Polonia. Oggigiorno la Chiesa Hussita Ceca (di ispirazione u.)
conta circa 170.000 membri. ----- Calixtus (Callisen), Georg
(1586-1656)
Il teologo luterano Georg Callisen (nome umanistico:
Calixtus) nacque a Medelby, un villaggio della regione tedesca dello
Schleswig nel 1586 e frequentò dal 1609 al 1613 le università di Helmstedt,
Jena, Giessen, Tubingen e Heidelberg, per studiare filologia, filosofia e
teologia. Viaggiò inoltre in Olanda, Francia e Inghilterra, dove conobbe i
più famosi riformatori dell'epoca. Al suo ritorno a Helmstedt nel 1614, C. fu
nominato professore di teologia. Non ostile al pensiero
riformista-calvinista e ammiratore di Melantone, egli tentò di ristabilire un
sistema teologico sincretico, che fondesse elementi della dottrina luterana,
calvinista e cattolica. Ma dalla pubblicazione del suo primo libro De
praecipuis christianae religionis capitibus hodie controversis disputationes
del 1613, egli suscitò le ire dei teologi luterani ortodossi: fu infatti
duramente attaccato dal teologo Statius Buscher per le sue aperture verso la
Chiesa Cattolica. L'episodio più significativo della contestazione nei suoi
confronti fu durante la conferenza di Thorn del 1645, voluto dal re di
Polonia Ladislao VII (1632-1648) per cercare di ottenere una riconciliazione
tra luterani, calvinisti e cattolici. In quella occasione i buoni rapporti di
C. con i teologi calvinisti furono visti come il fumo negli occhi dal più
tenace, prolifico e polemico teologo luterano dell'epoca, Abraham Calov
(Calovius) (1612-1686), che dal quel momento non diede più tregua a C.,
attaccando sistematicamente la sua dottrina del sincretismo, attraverso opere
come Synopsis controversarium potiarum (1652), Syncretismus Calixtina (1653)
e Flarmonia Calixtina haeretica (1655). C. morì nel
1656.
----- Calixtus (Callisen), Georg (1586-1656)
Il
teologo luterano Georg Callisen (nome umanistico: Calixtus) nacque a Medelby,
un villaggio della regione tedesca dello Schleswig nel 1586 e frequentò dal
1609 al 1613 le università di Helmstedt, Jena, Giessen, Tubingen e
Heidelberg, per studiare filologia, filosofia e teologia. Viaggiò inoltre in
Olanda, Francia e Inghilterra, dove conobbe i più famosi riformatori
dell'epoca. Al suo ritorno a Helmstedt nel 1614, C. fu nominato professore di
teologia. Non ostile al pensiero riformista-calvinista e ammiratore di
Melantone, egli tentò di ristabilire un sistema teologico sincretico, che
fondesse elementi della dottrina luterana, calvinista e cattolica. Ma dalla
pubblicazione del suo primo libro De praecipuis christianae religionis
capitibus hodie controversis disputationes del 1613, egli suscitò le ire dei
teologi luterani ortodossi: fu infatti duramente attaccato dal teologo
Statius Buscher per le sue aperture verso la Chiesa Cattolica. L'episodio
più significativo della contestazione nei suoi confronti fu durante la
conferenza di Thorn del 1645, voluto dal re di Polonia Ladislao VII
(1632-1648) per cercare di ottenere una riconciliazione tra
luterani, calvinisti e cattolici. In quella occasione i buoni rapporti di C.
con i teologi calvinisti furono visti come il fumo negli occhi dal più
tenace, prolifico e polemico teologo luterano dell'epoca, Abraham Calov
(Calovius) (1612-1686), che dal quel momento non diede più tregua a C.,
attaccando sistematicamente la sua dottrina del sincretismo, attraverso opere
come Synopsis controversarium potiarum (1652), Syncretismus Calixtina (1653)
e Flarmonia Calixtina haeretica (1655). C. morì nel
1656.
----- Calixtus (Callisen), Georg (1586-1656)
Il
teologo luterano Georg Callisen (nome umanistico: Calixtus) nacque a Medelby,
un villaggio della regione tedesca dello Schleswig nel 1586 e frequentò dal
1609 al 1613 le università di Helmstedt, Jena, Giessen, Tubingen e
Heidelberg, per studiare filologia, filosofia e teologia. Viaggiò inoltre in
Olanda, Francia e Inghilterra, dove conobbe i più famosi riformatori
dell'epoca. Al suo ritorno a Helmstedt nel 1614, C. fu nominato professore di
teologia. Non ostile al pensiero riformista-calvinista e ammiratore di
Melantone, egli tentò di ristabilire un sistema teologico sincretico, che
fondesse elementi della dottrina luterana, calvinista e cattolica. Ma dalla
pubblicazione del suo primo libro De praecipuis christianae religionis
capitibus hodie controversis disputationes del 1613, egli suscitò le ire dei
teologi luterani ortodossi: fu infatti duramente attaccato dal teologo
Statius Buscher per le sue aperture verso la Chiesa Cattolica. L'episodio
più significativo della contestazione nei suoi confronti fu durante la
conferenza di Thorn del 1645, voluto dal re di Polonia Ladislao VII
(1632-1648) per cercare di ottenere una riconciliazione tra
luterani, calvinisti e cattolici. In quella occasione i buoni rapporti di C.
con i teologi calvinisti furono visti come il fumo negli occhi dal più
tenace, prolifico e polemico teologo luterano dell'epoca, Abraham Calov
(Calovius) (1612-1686), che dal quel momento non diede più tregua a C.,
attaccando sistematicamente la sua dottrina del sincretismo, attraverso opere
come Synopsis controversarium potiarum (1652), Syncretismus Calixtina (1653)
e Flarmonia Calixtina haeretica (1655). C. morì nel
1656.
----- Calvinismo e Ugonotti
Calvinismo Dopo la
morte di Giovanni Calvino nel 1564, la sua dottrina si diffuse rapidamente in
diversi paesi europei all'infuori della Svizzera, soprattutto in seguito alla
Seconda Confessio Helvetica del 1566, scritto da Johann Heinrich Bullinger in
risposta ad una richiesta dell'Elettore-Palatino Federico III, detto il Pio
(1559-1576), che aveva annunciato la sua adesione al c. nel 1563: In
Scozia, per mezzo dell'opera del riformatore John Knox, dove i fedeli vennero
denominati presbiteriani. In Francia, dove il c. prosperò fino alla strage
della notte di San Bartolomeo del 1572, gli aderenti presero il nome di
Ugonotti (vedi sotto). In Olanda, grazie al lavoro di Guy de Brès (o Bray),
che pubblicò la Confessio Belgica nel 1561. In Germania, come già
precedentemente detto, il c. si diffuse soprattutto nei territori del
Palatinato, grazie alla (precedentemente menzionata) conversione del principe
Federico III. Successivamente, e non senza pesanti frizioni con i luterani,
il c. si espanse nelle contee di Nassau, Brema, Lippe, nell'Assia-Cassel, nei
ducati di Schleswig-Gotthorp, Meclemburgo, Slesia, Brieg e Liegnitz e
soprattutto nell'importante principato del Brandeburgo, dove più volte si
tentò senza successo una fusione con il luteranesimo. In Polonia si
instaurò una situazione piuttosto fluida, dove convivevano c., sociniani
(unitariani), anabattisti e cattolici, soprattutto grazie alla tolleranza del
re Stefano Bàthory (1575-1587). La situazione cambiò radicalmente con il
successore Sigismondo III (1587-1632), il quale reintrodusse a forza il
cattolicesimo, perseguitando ogni forma di protestantesimo. In Ungheria
buona parte della nobiltà aderì al c. secondo la Confessio Hungarica del
1557, adottata nel sinodo di Czenzer. Per quanto concerne l'Inghilterra,
Calvino aveva scritto al giovane re inglese Edoardo VI (1547-1553) e al suo
tutore, il conte di Somerset, per aiutarli nella revisione del Book of Common
Prayer (il libro delle preghiere utilizzato dalla Chiesa Anglicana), e nella
seconda edizione del 1552 si sentì l'influenza del riformatore ginevrino.
Tuttavia Edoardo morì a soli 15 anni nel 1553 di tubercolosi, e dopo la
parentesi di 5 anni di regno della sorella cattolica Maria Tudor
(soprannominata Maria la Sanguinaria per le feroci persecuzioni contro i
protestanti), la nuova regina, la famosa Elisabetta I (1558-1603), preferì
una formula di compromesso tra c. e cattolicesimo, adottando in pratica la
teologia del primo e l'organizzazione del secondo.
Ugonotti e
calvinismo in Francia Ma fu soprattutto in Francia dove si giocò una partita
senza esclusione di colpi tra c. e cattolicesimo. Benché l'inizio della
diffusione della Riforma in Francia avesse prevalentemente un indirizzo
luterano, in seguito fu il c. a prendere il sopravvento finché, intorno al
1560, i regnanti francesi incominciarono a preoccuparsi della diffusione del
nuovo credo: alla fine del 1561 vi erano più di 670 chiese calviniste in
Francia. I protestanti francesi, oramai un quarto della popolazione, si
denominavano ugonotti (dal tedesco eidgenosse = confederato) e avevano posto
le basi per un vero e proprio partito ugonotto, che, raccogliendo le istanze
borghesi, faceva opposizione alla politica del re. Già nel 1534
l'affissione di manifesti (placards) protestanti contro la Messa, posti
perfino sulla porta della camera da letto del re Francesco I (1515-1547),
aveva provocato una violenta campagna anti-protestante. In quel periodo la
reazione cattolica aveva portato sul rogo diversi protestanti, tra cui il
noto uomo d'affari Étienne de la Forge, e lo stesso Calvino, di passaggio
nella capitale francese in quel momento, riuscì, un po' avventurosamente, a
scappare dalla Francia per recarsi nel gennaio 1535 a Basilea. Nel 1559
morì il re Enrico II (1547-1559), persecutore degli ugonotti, e nel 1561 la
vedova Caterina de Medici cercò di organizzare una riunione, senza risultato
utile, a Poissy tra i teologi cattolici e quelli protestanti, a cui partecipò
il noto teologo di Ginevra Théodore de Béze. Nonostante che i protestanti
fossero finalmente riusciti ad ottenere un primo riconoscimento dei loro
diritti nell'Editto di Saint-Germain del 1562, proprio da quell'anno scoppiò
una guerra civile senza quartiere tra le fazioni ugonotte, guidate da Luigi
di Navarra, principe di Condé (catturato e ucciso nel 1569), e i cattolici,
guidati dai Duchi di Guisa. Il pretesto fu uno scontro tra le opposte fazioni
il 1 marzo 1562 a Vassy, nella Champagne, dove la scorta armata dei Guisa
attaccò un gruppo di protestanti riuniti per una funzione religiosa,
uccidendone 48. Dopo otto anni di dura lotta, contraddistinta da atrocità da
una parte e dall'altra, nel 1570 i cattolici giunsero ad una fragile pace
a Saint-Germain con i protestanti guidati dall'ammiraglio Gaspard de
Coligny (1519-1572), calvinista dal 1560, il cui prestigio e influenza a
corte era tale da convincere la Francia ad aiutare gli olandesi nella loro
lotta per la libertà contro gli spagnoli. I cattolici tentarono diverse
volte di eliminare Coligny, ma l'occasione d'oro per Caterina e i Guisa per
organizzare un regolamento di conti con gli ugonotti si presentò in
coincidenza del matrimonio tra Margherita di Valois, sorella del re Carlo IX
(1560-1574), ed il protestante Enrico di Borbone e Navarra (il fratello del
principe di Condé). Tutta la nobiltà protestante venne a Parigi per le nozze,
cadendo nell'atroce trappola, che scattò nella notte del 23 agosto 1572 (la
notte di San Bartolomeo), dove i cattolici scatenarono una vera e propria
caccia all'uomo, uccidendo de Coligny, massacrando più di tremila protestanti
a Parigi, tra cui l'umanista Pierre de la Ramée (Petrus
Ramus)(1515-1572) autore di riferimento per il Puritanesimo inglese, e quasi
trentamila (secondo alcuni autori, anche oltre quarantamila) ugonotti in
tutta la Francia. La guerra civile riprese, più violenta che mai, e durò fino
al 1576. Il nuovo re Enrico III (1574-1589), pressato da più parti per
favorire ora i cattolici ora i protestanti, alla morte prematura nel 1584
dell'erede al trono, il fratello Duca d'Angiò, nominò suo successore il
cognato protestante Enrico di Borbone, ma i cattolici, organizzati dai Guisa
nella Santa Unione, o Lega, obbligarono il re a fuggire da Parigi nel maggio
1588 e lo forzarono a nominare un nuovo erede nel cardinale di Borbone. Il
re si vendicò dell'umiliazione, facendo assassinare i due fratelli Duchi di
Guisa nel dicembre 1588, ma fu, a sua volta, ucciso dal pugnale di
un fanatico domenicano, Jacques Clément, nell'agosto 1589. Gli successe
allora proprio Enrico di Borbone, con il titolo di Enrico IV (1589-1610), ma
la lega cattolica non lo riconobbe come sovrano, facendo incoronare il
cardinale Carlo di Borbone con il titolo di Carlo X (1523-1590, re:
1589-1590). Enrico IV, abile politico e militare, riuscì comunque a
riunificare la Francia in pochi anni. Resisteva solo la città di Parigi,
roccaforte cattolica: per poter entrare nella capitale e farsi incoronare,
Enrico dovette abiurare dalla propria fede riformatrice nel 1593 per
convertirsi al cattolicesimo. Fu in quell'occasione che avrebbe pronunciato
(ma la cosa non è storicamente accertata) la famosa frase "Parigi vale bene
una messa!". Tuttavia nell'Editto di Nantes del 1598, il re proclamò una
tolleranza abbastanza ampia per i suoi ex compagni di fede, che potevano
ricoprire cariche pubbliche, aprire scuole, avere un esercito e delle
roccaforti di difesa e perfino godere di un contributo statale per il
mantenimento dei pastori. L'editto rimase valido fino al 1685, anno in cui
il re Luigi XIV (1654-1715) lo abolì, scatenando una campagna repressiva
contro gli ugonotti talmente crudele che lo stesso Papa Innocenzo XI
(1676-1689) criticò i metodi addottati.
----- Calvino, Giovanni
(Jean Cauvin) (1509-1564)
La gioventù Il famoso riformatore
Jean Cauvin (nome umanistico Giovanni Calvino) nacque a Noyon in Piccardia
(Francia) il 10 luglio 1509 da Gerard Cauvin e Jeanne Le Franc. Il padre,
cancelliere, notaio apostolico ed in seguito procuratore del capitolo della
cattedrale di Noyon, era uomo di fiducia del vescovo Charles de Hanguet, il
quale procurò al giovane C. un beneficio (una rendita) nel 1521 e un secondo
nel 1527. Dapprima C. studiò a Noyon sviluppando una solida formazione
umanistica, poi si trasferì con la famiglia nel 1523 a Parigi, dove frequentò
il collegio de la Marche ed il collegio Montaigu, per studiare arti liberali
e teologia. Ma nel 1528 C. abbandonò gli studi di teologia per iscriversi
alla facoltà di legge dell'università di Orléans, e in seguito si trasferì a
Bourges, all'università voluta da Margherita di Angoulême, sorella di
Francesco I di Francia, diventata da poco regina di Navarra. Nel 1531 il
padre Gerard, nel frattempo caduto in disgrazia e sotto scomunica per motivi
di bilanci finanziari sospetti, morì e la famiglia dovette promettere di
pagare i debiti per ottenerne la sepoltura in terra benedetta. C. ritornò
a Parigi frequentando i corsi dell'Accademia (il Collège Royal de France) e
pubblicando nel 1532 la sua prima opera, un commento a De Clementia di
Seneca. Intorno al 1533 C. iniziò a definirsi protestante: alcuni autori
raccontano che la pietra miliare sia stata il discorso di apertura per
l'anno accademico, scritto per l'amico Nicolas Cop (c. 1450- dopo 1534),
rettore dell'università, ed intriso di concetti luterani ed erasminiani. Il
clamore suscitato dal contenuto del discorso, letto il giorno di Ognissanti
1533, ed una taglia sulle loro teste, obbligò ad una fuga precipitosa da
Parigi il lettore, che riparò dal padre a Basilea, e l'autore, che si
allontanò in direzione Orleans, travestito da vignaiolo con una zappa in
spalla. Dopo varie peripezie (fu anche arrestato a Noyon per aver rinunciato
ai suoi benefici, ma riuscì a fuggire), C. arrivò nel 1534 a Nerac, nel
Bearn, da Margherita di Angoulême, dove incontrò il noto umanista Le Fèvre
d'Étaples. In seguito C. ritornò a Parigi, ma proprio nel momento sbagliato,
e cioè in piena campagna anti-protestante, scatenata dall'affissione di
manifesti (placards) contro la Messa, posti perfino sulla porta della camera
da letto del re Francesco I. La reazione cattolica portò al rogo diversi
protestanti, tra cui il noto uomo d'affari Étienne de la Forge, e C. riuscì,
un po' avventurosamente, a scappare nuovamente dalla Francia per recarsi
nel gennaio 1535 a Basilea.
Calvino in Svizzera A Basilea C.
lavorò alacremente al suo primo lavoro di notevole spessore: la Christianae
religionis institutio, un compendio di dottrina cristiana scritto nel 1535 e
pubblicato nel 1536 e con una prefazione indirizzata direttamente a Francesco
I di Francia. Mentre veniva stampata la sua opera, C. si recò a Ferrara,
sotto lo pseudonimo di Charles d'Espeville, alla corte di Renata d'Este,
figlia di Luigi XII di Francia, e grande protettrice dei riformatori
italiani, di cui C. diventò il direttore spirituale, e quindi in Francia per
sistemare alcuni affari di famiglia (tra l'altro convertì due suoi fratelli).
Decise infine nel luglio 1536 di recarsi a Strasburgo, ma, a causa delle
operazioni militari dovuti alla guerra in corso tra Francesco I e
l'imperatore Carlo V, egli dovette fare un giro lungo passando da
Ginevra. La città svizzera aveva da poco aderito alla Riforma grazie
all'impegno dell'irruente predicatore Guillaume Farel, a cui non parve vero
poter convincere l'autore della Christianae religionis institutio a rimanere.
Ad essere precisi, C. non ne voleva proprio sapere, ma Farel minacciò che
lo avrebbe addirittura maledetto, se non avesse accettato di restare! I
due tentarono di installare un governo teocratico regolato dalle
leggi stabilite nelle Ordonnances ecclésiastiques (Ordinanze
ecclesiastiche), scritte da C. con l'aiuto di Farel: il controllo e la
disciplina ecclesiastica erano demandati ai pastori, i bambini dovevano
essere catechizzati, gli "indegni" espulsi dal territorio ginevrino. La
reazione della città fu molto negativa e questo sistema molto poco
tollerante, basato sulla censura morale e la scomunica, spinse il consiglio
cittadino ad esiliare Farel e Calvino il 23 aprile 1538. Farel si recò a
Neuchâtel, mentre C., passando dapprima da Basilea, andò a Strasburgo,
chiamato dai riformatori Martin Bucero e Wolfgang Capito (1478-1541) a
dirigere la chiesa dei profughi francesi. Qui C. si sposò con Idelette de
Bure, una vedova di un anabattista da lui convertito. Idelette, moglie molto
devota al marito, gli diede nel 1542 un figlio, purtroppo morto quasi subito,
e lei stessa morì nel 1549. A Strasburgo C. revisionò e pubblicò, nel 1539 la
versione in latino e nel 1541 quella in francese, la seconda edizione
ampliata della sua Institutio, oltre ad alcune altre opere. Nel frattempo
a Ginevra la città senza guida spirituale stava andando allo sbando: ne cercò
di approfittare il cardinale Jacopo Sadoleto, che scrisse una lettera alla
città, addossando tutta la colpa ai riformatori, e offrendo ai ginevrini il
ritorno alla Chiesa Cattolica e alla sua tradizione secolare. I riformatori
locali non seppero rispondere a tono, cosa che invece fece C. con la sua
Responsio ad Sadoleti epistolam, in cui C. fondava la vera Chiesa di Cristo
sulla parola di Dio e non sulle tradizioni della Chiesa Cattolica. La
risposta conquistò i ginevrini, che nel settembre 1541, pregarono C.
di recarsi per la seconda volta a Ginevra.
Il ritorno di Calvino a
Ginevra Il ritorno di C. fu un ottimo pretesto per il riformatore per imporre
al consiglio dei Duecento quelle Ordonnances ecclésiastiques fallite durante
il suo primo soggiorno. C. credeva che quel controllo sulla moralità della
popolazione, gestito per secoli dall'autorità ecclesiastica centralizzata
(Papa, cardinali, vescovi, ecc.), dovesse essere operata da parte della
chiesa locale. Se da una parte C. meritoriamente diede molto impulso alle
attività commerciali e agli investimenti (i famosi banchieri di Ginevra),
purtroppo, dall'altra, il suo sistema teocratico di rigido controllo della
moralità aveva molto poco del democratico: I pastori, scelti da altri
pastori, dovevano incontrarsi obbligatoriamente una volta alla settimana per
lo studio delle Sacre Scritture. Gli insegnanti, o dottori, scelti dai
pastori, erano responsabili per l'educazione generale e l'insegnamento delle
Scritture. I diaconi erano preposti all'assistenza dei poveri e dei
malati. Ma soprattutto gli anziani, in numero di dodici, erano la spina
dorsale del sistema di C. Responsabili per la disciplina, dovevano
sorvegliare sulla moralità della popolazione [furono proibiti i balli, i
banchetti, il gioco d'azzardo (il poeta Clément Marot fu espulso per aver
giocato a tric-trac), la lettura di parecchi libri (fu proibito perfino un
libro popolare come Legenda aurea, un trattato sulle vite di santi e feste
cristiane, scritto nel 1255-1266 da Giacomo della Voragine), le feste, gli
spettacoli teatrali!], sull'abbigliamento (il lusso era proibito), sulla
partecipazione obbligatoria alle funzioni religiose. Essi inoltre dovevano
fare rapporto al concistoro o "Venerabile Compagnia" dei pastori e impedire
che i peccatori, riconosciuti tali, potessero accostarsi alla
Comunione. Il concistoro, o "Venerabile Compagnia", formato dai dodici
anziani e dai pastori, decideva su argomenti ecclesiastici ma spesso anche
civili, pronunciava sentenze che comprendevano punizioni corporali,
esclusione dalla Comunione, scomunica, condanna all'esilio (come successe a
Sébastien Castellion e Jérome Bolsec) e nei casi estremi, condanna a morte
(come nel 1547 Jacques Gouet, torturato e decapitato, o nel 1553 il famoso
episodio di Miguel Serveto, di seguito descritto). Tuttavia, dall'altra
parte, il concistoro si contrapponeva spesso al consiglio dei Duecento,
l'autorità civile di Ginevra, che non accettava pedissequamente tutte le sue
sentenze, anzi queste ultime furono il pretesto di lotte cittadine al limite
della guerra civile, come nel caso della moglie di Ami Perrin, capo dei
partigiani di Farel, denominati guglielmini dal nome di battesimo del
riformatore, e l'artefice del rientro di C. a Ginevra. Infatti nel 1547 il
concistoro accusò e portò davanti al tribunale, per motivi di condotta
morale, la moglie e il suocero di Perrin, proprio quando questi era capitano
generale della città. La reazione del partito di Perrin non si fece
attendere, scatenando una reazione xenofoba contro gli emigrati francesi,
massicciamente presente in città e notoriamente amici di C., soprattutto
quando, nel 1548, i guglielmini riuscirono ad ottenere la maggioranza nei
consigli cittadini. Il braccio di ferro continuò nel 1553, quando Perrin,
diventato sindaco della città, cercò di far riaccettare alla Comunione un
tale Berthelier, un borghese scomunicato e ostile a C.: dovette desistere dal
tentativo, ma con l'occasione il consiglio dei Duecento decise di togliere al
concistoro il diritto di scomunica. Ma proprio il 13 agosto di quel 1553
fu arrestato a Ginevra il famoso medico antitrinitariano Miguel Servet (nome
umanista: Michele Serveto): C. aveva finalmente l'occasione d'oro per
sbarazzarsi di un pericoloso dissidente religioso, che, libero, avrebbe
potuto essere molto utile alla fazione di Perrin. Il processo si rivelò il
pretesto per una ennesima lotta tra calvinisti e oppositori interni, e
perfino C. stesso dovette scendere in campo, coinvolgendo nel giudizio finale
le chiese riformate di Zurigo, Berna, Basilea e Sciaffusa. L'epilogo fu la
condanna al rogo di Serveto e dei suoi libri, eseguita il 27 ottobre 1553 nel
rione di Champel. Il medico spagnolo morì con dignità sul rogo, avendo
rifiutato anche l'estremo tentativo di Farel di salvargli la vita in
extremis, se avesse ammesso per iscritto i suoi errori.
Le
conseguenze dell'esecuzione di Serveto Benché nell'anno successivo, il 1554,
il partito favorevole a C. vincesse le elezioni e lui stesso avesse sostenuto
il diritto di uccidere gli eretici in un suo trattato, dal titolo Defensio
ortodoxae fidei, il riformatore fu lungamente criticato ed attaccato per
questa sua decisione ed anche la sua difesa scritta da Theodore de Béze non
servì a risollevare la sua immagine. La morte di Serveto infatti fece levare
moltissime voci di protesta, tra cui quelle degli antitrinitariani italiani
Giovanni Valentino Gentile, Matteo Gribaldi Mofa e Celio Secondo Curione, che
dovettero emigrare successivamente da quella che a loro era sembrata la città
della tolleranza religiosa. Anche l'umanista Sébastien Castellion, già
mandato in esilio nel 1543, intervenne, scrivendo nel 1554, sotto lo
pseudonimo di Martin Bellius, il suo libro più famoso, De haereticis, an sint
persequendi (Gli eretici devono essere perseguiti?), un appassionato appello
alla tolleranza ed alla libertà religiosa. La reazione fu coordinata,
ancora una volta, da colui che sarebbe diventato l'erede spirituale di C.,
Theodore de Bèze, che nel suo scritto polemico De haereticis a civili
magistratu puniendis denunciò la "carità diabolica, e non cristiana" di
Castellion.
Gli ultimi anni Un ultimo tentativo di colpo di mano
degli oppositori interni fallì nel 1555 e ai rifugiati francesi, partigiani
di C. fu concesso con generosità la cittadinanza: lo stesso C. la ottiene nel
1559. Si calcola che ad un certo punto la quasi totalità dei pastori fossero
di origine francese. Nel 1557 Ginevra e Berna strinsero un patto di alleanza
e nel 1559 fu fondata l'Accademia di Ginevra (con rettore Theodore de Béze),
che formò studenti in arti liberali, lingue bibliche e teologia, diventati,
in alcuni casi, famosi riformatori nei loro paesi d'origine come John Knox in
Scozia. Anche l'attività internazionale di C. fu elevata: scrisse al giovane
re inglese Edoardo VI (1547-1553) e al suo tutore, il conte di Somerset,
per aiutarli nella revisione del Book of Common Prayer (il libro delle
preghiere utilizzato dalla Chiesa Anglicana), tentò un'intermediazione tra le
fazioni durante il sanguinoso regno cattolico della regina Maria
d'Inghilterra (1553-1558), intervenne diverse volte durante l'introduzione
della Riforma in Polonia. In sintesi il calvinismo ebbe, grazie questi
interventi di C. oltre ad alcuni predicatori usciti dall'Accademia, una
internazionalità, che, per esempio, il luteranesimo non riuscì mai a
raggiungere. C. lavorò freneticamente fino al giorno della sua morte,
predicando quotidianamente, tenendo lezioni di teologia, partecipando alle
sedute del concistoro, scrivendo trattati, commentari e la stesura definitiva
della sua Institutio, stampata in latino nel 1559 e in francese nel
1560. Consumato dall'attività vivace e non ben supportato da un fisico
spesso malaticcio, C. morì, all'età di 55 anni, il 27 maggio 1564. Per sua
espressa volontà, fu sepolto con la massima semplicità in un luogo
sconosciuto, per impedire un possibile culto della sua tomba.
La
dottrina In linea di principio, C. accolse molti punti della dottrina
luterana, come la sola scriptura (la fede trova il suo fondamento solamente
nella Parola di Dio, la Sacra Scrittura) e la sola fide [l'uomo non può
assolutamente concorrere alla propria salvezza: questa non dipende dall'agire
umano o dalle sue opere (come, ad esempio le indulgenze), ma si ottiene solo
con la fede], ma sostituì la sola gratia (per Sua grazia Dio magnanimo salva
l'uomo peccatore attraverso Cristo) con la soli Deo gloria: l'ubbidienza
alla volontà di Dio deve essere assoluta, perché Egli è sovrano di tutto
il creato e determina il corso degli avvenimenti. Da questo convincimento
derivò la dottrina della predestinazione: Dio, grande ed eterna saggezza,
misterioso quindi incomprensibile, ha stabilito che ad alcuni uomini è stata
predestinata la vita eterna ed ad altri la dannazione eterna. Ed in
particolare alla vita eterna era predestinata, secondo C., la comunità dei
santi, di quei fedeli cioè che credevano come un atto di fiducia, che
si comportavano rettamente, partecipavano alla vita pubblica, obbedivano
alle autorità e desideravano di partecipare alla Santa Cena. C. inoltre
considerò, come Lutero, validi solo i sacramenti del Battesimo
e dell'Eucaristia, che erano testimonianza della grazia di Dio, e
non solamente cerimonie commemorative, come preteso da Zwingli. Per il
Battesimo, con una certa difficoltà, C. riuscì a giustificare il battesimo
dei fanciulli, in contrapposizione agli anabattisti e senza dover citare la
tradizione storica ed il concetto del peccato originale, che erano la base
della dottrina cattolica sul battesimo. Per C. le Scritture dicevano Lasciate
che i fanciulli vengano a me, e quindi il negare il battesimo ai fanciulli
sarebbe stato non riconoscere la misericordia di Dio e un'ingratitudine verso
di Lui. Per quanto riguardò, invece, il dibattito sull'effettiva presenza di
Cristo nell'Eucaristia, C. considerò il Sacramento della Comunione come una
reale partecipazione alla carne e al sangue di Gesù Cristo, anche se ciò
non significava una presenza locale di Cristo nell'Eucaristia, poiché
Egli poteva essere solo in cielo. Questa fu un'abile posizione intermedia tra
la consustanziazione di Lutero (vi era la reale e sostanziale presenza
del corpo e sangue di Cristo nel pane e vino, che tutti i
comunicandi ricevevano, che fossero degni o indegni, credenti o miscredenti)
e il simbolismo di Zwingli (la Cena del Signore era solo una
solenne commemorazione della morte di Cristo, la sua presenza
spirituale). Ciononostante per motivi puramente politici (la posizione di C.
a Ginevra era spesso fragile ed egli cercava quindi appoggi esterni), C.
firmò il Consensus Tigurinus del 1549, dove non si faceva menzione del
termine substantia, per assicurarsi l'aiuto di un prezioso alleato, come
Johann Heinrich Bullinger, successore di Zwingli a Zurigo.
Le
opere La base della produzione letteraria di C. fu, come già detto, la
Christianae religionis institutio, su cui il riformatore lavorò per parecchi
anni fino alla sua stesura definitiva nel 1559. Le Ordonnances
ecclésiastiques (Ordinanze ecclesiastiche) nella versione del 1541 furono
l'applicazione pratica della sua "chiesa visibile". Rimangono inoltre 4.271
lettere, principalmente su argomenti dottrinali.
----- Cameron,
Richard (1648-1680) e cameroniani e covenanters
Situazione
storica in Scozia nel XVII secolo: i covenanters Durante il XVI e XVII
secolo, alcuni presbiteriani scozzesi sentirono l'esigenza di allearsi
mediante un patto (covenant) per difendere la propria religione: nacque così,
ad iniziare dal primo accordo del 1557, il partito dei covenanters (cioè gli
uomini del patto). Fu soprattutto nel 1638 che questo patto assunse un ruolo
catalizzante dei scozzesi contro i tentativi del re inglese Carlo I
(1625-1649) e dell'arcivescovo di Canterbury William Laud (1573-1645) di
imporre l'English Book of Common Prayer (libro inglese delle preghiere
comuni) in Scozia. La crisi sfociò nelle Bishops' wars (guerre dei vescovi)
del 1639-40, vinte dai covenanters e nella prima guerra civile inglese
(1642-1646), dove gli scozzesi si allearono con l'esercito parlamentare di
Oliver Cromwell (1599-1658) in cambio della firma di un patto per attuare una
riforma, in senso presbiteriano, delle chiese d'Inghilterra, Scozia e
Irlanda. Ma, poiché il parlamento inglese non diede in seguito alcun segno di
essere interessato a rispettare i patti, gli scozzesi si allearono con il re
Carlo I, firmando un simile accordo con lui: la conseguenza fu che nella
seconda guerra civile (1648-51) essi lottarono a fianco del re. Tuttavia,
nella battaglia di Preston del 1648, essi persero contro le truppe di
Cromwell, che invasero la Scozia nel 1650-51. Benché Carlo I venisse
decapitato il 30 gennaio 1649, gli scozzesi continuarono a mostrare lealtà
verso il figlio Carlo II (1649-1685), il quale, in un primo momento, confermò
il patto siglato dal padre, salvo rimangiarsi bellamente la parola alla sua
salita al trono nel 1660 e cercare di imporre con la forza il sistema
episcopale anche in Scozia. Inoltre Carlo II non esitò di scatenare contro i
covenanters il tristemente famoso Avvocato della Corona, Sir George MacKenzie
of Rosenhaugh (1636-1691), soprannominato Bluidy (Bloody) MacKenzie
(MacKenzie il sanguinario), che imprigionò nel carcere di Greyfriars Kirk e
mandò al patibolo centinaia di covenanters. E fu a questo punto che si
inserì la figura del leader religioso-politico scozzese Richard
Cameron.
Richard Cameron (1648-1680) Richard Cameron,
soprannominato il Leone del Patto (The Lion of The Convenant) era nato nel
1648 circa a Falkland, nella regione scozzese del Fife, da un modesto
bottegaio e aveva studiato per diventare un insegnante e maestro del coro
della locale parrocchia. Ma, in seguito, egli divenne un sostenitore del
sistema presbiteriano puro e nel 1672, sotto l'influenza del predicatore
errante John Welch di Irongray (1612-1681) [nipote del più noto John Welch di
Ayr (ca.1570-1623) e pronipote del famoso riformatore John Knox] aderì come
predicatore alla corrente dei covenanters. C. si oppose strenuamente
all'intenzione di Carlo II di imporre con la forza il sistema episcopale
anche in Scozia e per questo dovette fuggire per qualche tempo in Olanda,
dove fu ordinato ministro del culto. Ritornato in Scozia nel 1679, egli,
alla testa di una banda armata di suoi seguaci, stabilì le basi per una
ribellione aperta contro il re, mediante la Dichiarazione di Sanquhar del 22
giugno 1680. Fu immediatamente posta una taglia sulla sua testa e solo un
mese dopo, il 22 luglio, C. e i suoi furono massacrati dai dragoni reali ad
Ayrmoss. In seguito, la testa e le mani di C. furono esibite come un macabro
trofeo su una porta d'ingresso della città di Edimburgo.
I
cameroniani dopo la morte di Cameron Dopo la "gloriosa rivoluzione" del 1688,
culminata con la cacciata di Giacomo II (1688) e la salita al potere di
Guglielmo III (1689-1702) i militari sopravvissuti tra i seguaci di C. furono
amnistiati e formarono la base del reggimento Cameron. Per quanto concerne
la parte religiosa del suo movimento, i suoi seguaci, noti come La gente
della Società (Society People), si organizzarono in comunità locali,
raggiungendo il numero di qualche migliaio. La caratteristica del gruppo fu
il rifiuto di qualsiasi coinvolgimento degli adepti in politica e, nel
contempo, la rigida separazione tra affari di Stato e affari della
Chiesa. Tra il 1690 ed il 1706 la Gente della Società rimase senza guida
spirituale, per l'abbandono dei loro tre pastori a favore della Chiesa
scozzese riformata. Solo nel 1706 John Macmillan (ca.1669-1753) divenne il
loro pastore di riferimento e sotto la sua guida, le varie anime del
movimento cameroniano si fusero nella Chiesa Riformata Presbiteriana del
Patto [Reformed Presbyterian Church (Covenanted)], tuttora attiva in
Scozia. ----- Molinos, Miguel de (1640-1696) e Quietismo
La
vita Il mistico Miguel de Molinos nacque il 21 dicembre 1640 a Muniesa,
vicino a Saragoza, in Spagna. Da giovane egli studiò, laureandosi e venendo
ordinato, a Valencia, dove successivamente poté godere del beneficio
(rendita) della locale chiesa di San Tommaso e fu confessore per un convento
di suore. Nel 1662 egli si trasferì a Roma, dove divenne amico del cardinale
Benedetto Odescalchi, il futuro Papa (energico, saggio ma alquanto
intransigente) Innocenzo XI (1676-1689). Nel 1675 M. pubblicò, in italiano,
la sua Guida spirituale, che disinvolge l'anima e la conduce per l'interior
cammino all'acquisto della perfetta contemplazione e del ricco tesoro della
pace interiore, seguita poco dopo dal Trattato della Comunione quotidiana. I
due testi passarono abbastanza inosservati fino al 1681, quando il
predicatore gesuita Paolo Segneri (1624-1694) attaccò le idee di M., pur non
citandolo direttamente. Una prima inchiesta dell'Inquisizione assolse il
mistico spagnolo, tuttavia i soliti gesuiti non ebbero problemi a scatenare
il re di Francia, Luigi XIV (1654-1715), ansioso di mettere in difficoltà
Innocenzo XI con il quale era ai ferri corti per le posizioni gallicane della
monarchia francese, a denunciare, attraverso il cardinale César d'Estrées
(1628-1714), ambasciatore presso la Santa Sede, la presenza di un eretico a
Roma proprio nella persona di M., oltretutto amico del Papa. M. fu
arrestato nel maggio 1685 e, nonostante le intercessioni di amici altolocati,
fu processato per eresia e immoralità (quest'ultima accusa fu un malinteso
derivato da una particolare interpretazione della sua dottrina: vedi sotto):
la sentenza di condanna fu pronunciata il 3 settembre 1687 nella chiesa
domenicana di Santa Maria sopra Minerva a Roma. M. dovette fare pubblica
ammissione dei propri errori e fu condannato alla prigione a vita e a
vestirsi con il saio dei penitenti. Infine il 2 novembre 1687 Innocenzo XI
firmò la bolla Colestis pastor, che condannò 68 proposizioni contenute nella
Guida spirituale e in altre opere di M. M. morì in carcere il 28 dicembre
1696.
La dottrina Il quietismo mirava a privilegiare un rapporto
diretto, una vera unione, con Dio, ottenuto mediante uno stato di quiete, di
passività, di annullamento della volontà e di ogni pensiero intellettuale,
rifiutando la consolidata gerarchia ecclesiastica. L'uomo doveva percorrere
la sua via interna annichilandosi, abbandonandosi totalmente alla volontà di
Dio senza pensare a premi o punizioni e rimanere perinde ac cadaver (come un
cadavere). Facendo ciò, l'anima si annichiliva e ritornava alla fonte,
l'essenza di Dio, nella quale veniva trasformata e divinizzata. Erano
quindi disprezzate le attività esteriori del Cristianesimo, come le preghiere
(più il fedele si abbandonava alla volontà di Dio e più gli risultava
difficile recitare anche un semplice Padre Nostro), i sacramenti, la
ritualità. L'accusa di immoralità rivolta a M. derivava dal convincimento
quietista che quando la purezza dell'anima fosse stata raggiunta con
l'annichilazione sopra descritta, l'uomo non doveva più chiedere niente a
Dio, ma anche non offrire resistenza alle tentazioni in quanto egli non
avrebbe potuto più peccare. Del resto un eventuale peccato (opera del
diavolo) non andava neanche confessato cosicché lo spirito potesse vincere il
diavolo grazie alla sua pace e all'unione più intima con Dio. Un credo questo
simile a quello del movimento medioevale dei fratelli del libero spirito,
che, al riguardo, rimandavano al passo di San Paolo: Tutto è puro per i
puri (Lettera a Tito 1,15). Elementi della dottrina quietista si possono
ritrovare nella storia del Cristianesimo occidentale fino al `500: in alcune
scuole gnostiche, nei messaliani, nel movimento dei begardi e beghine, nei
già citati fratelli del libero spirito, nei mistici tedeschi come Johannes
Eckhart, negli alumbrados, e perfino nei santi mistici cattolici Teresa
d'Avila (1515-1582) e Giovanni della Croce (1542-1591). Inoltre, nel XVII
secolo, idee o istanze simili a quelle quietiste si ritrovano espresse dai
quaccheri di George Fox, dal giansenismo, dalla mistica eterodossa francese
(quietista ante-litteram) Antoinette Bourignon, dal mistico spagnolo Juan
Falconi (1596-1638), e soprattutto dai precursori del pietismo luterano:
Johann Arndt aveva pubblicato nel 1606 il suo lavoro più famoso, Vier Bücher
vom Wahren Christhentum [Quattro (diventati poi sei) libri sul vero
cristianesimo] e Jean de Labadie, dopo il 1650, aveva fondato comunità
mistica di adepti che si ritenevano predestinati alla salvezza e che
rifiutavano sacramenti, pratiche religiose, dogmi e
gerarchia ecclesiastica.
Il quietismo dopo Molinos In Italia il
più famoso seguace di M. fu il vescovo (poi cardinale) di Iesi, Pier Matteo
Petrucci, condannato nel 1687, mentre molto peggio andò ai francescani minori
conventuali Antonio Bevilacqua e Carlo Maria Campana, decapitati nelle
Carceri Nuove il 26 marzo 1695. Inoltre, nel 1708, fece notevole scalpore il
processo al prete bresciano Giuseppe Beccarelli (1666-1716), accusato di
quietismo, ma forse più noto per le gravi accuse di sodomia nei confronti dei
giovani che frequentavano il collegio bresciano, di cui il Beccarelli era
direttore. Comunque la nazione dove il quietismo ebbe la diffusione più
duratura fu la Francia: a parte la mistica Antoinette Bourignon, gli
esponenti più in vista furono Jeanne Marie Guyon (detta Madame Guyon), una
mistica ben introdotta nell'aristocrazia francese e amica di Francoise
d'Aubigne, Marchesa de Maintenon (1635-1719) e moglie morganatica del re
Luigi XIV (1654-1715); il confessore della Guyon, padre François Lacombe
(1643-1715); e l'arcivescovo di Cambrai François de Fénelon. Il grande
nemico del quietismo fu Jacques Bénigne Bossuet (1627-1704), predicatore e
vescovo di Meaux, in Francia. Egli dispose l'arresto e l'imprigionamento alla
Bastiglia di Madame Guyon, entrò in polemica accesa con Fénelon e fu il
principale artefice della condanna, nel 1699, di quest'ultimo da parte di
Papa Innocenzo XII (1691-1700).
----- Campanella, Tommaso
(1568-1639)
La vita Il filosofo utopista Tommaso Campanella
nacque a Stilo (in provincia di Reggio Calabria) nel 1568 ed entrò
giovanissimo (a soli 13 anni) nell'ordine domenicano, cambiando il suo nome
originario da Giovanni in Tommaso, per l'appunto. Durante il suo corso di
studi, C. si interessò alle letture di Erasmo da Rotterdam, Marsilio Ficino
(1433-1499) e Bernardino Telesio, al quale si ispirò per scrivere nel 1589 la
propria Philosophia sensibus demonstrata, tuttavia questi interessi
svilupparono nel giovane C. un pensiero talmente anticonformista che egli
dovette essere allontanato dal convento per non influenzare negativamente i
suoi confratelli. C. si recò allora, nello stesso 1589, a Napoli, dove studiò
magia naturale e occultismo sotto la guida di Giambattista della Porta:
essendo rimasto profondamente influenzato dal pensiero dell'umanista campano
soprattutto per quanto concerne l'evoluzione di magia in scienza, egli
scrisse il De sensu rerum et magia (Del senso delle cose e della magia), un
manoscritto dalla vita molto travagliata: scritto in latino nel 1590, rubato
da alcuni frati a Bologna nel 1592 e usato nel processo per eresia a suo
carico, riscritto a memoria in italiano nel 1604, in seguito nuovamente in
latino, e pubblicato finalmente a Francoforte nel 1620, e ripubblicato a
Parigi nel 1637. Tuttavia, due anni dopo, nel 1591, C. fu sottoposto ad un
processo da parte dell'Inquisizione per eresia e pratiche di magia e rinviato
ad un domicilio coatto nel suo convento in Calabria. Da qui però
l'insofferente domenicano scappò in maniera rocambolesca per recarsi a Roma,
Firenze e infine, nell'ottobre 1592, a Padova, dove risedette per circa un
anno e dove conobbe Galileo Galilei. Nella città patavina C. fu nuovamente
arrestato nel 1593, torturato e processato con l'accusa di aver propagandato
una eresia basata sulla dottrina dell'anima universale (panpsichismo), ed
infine trasferito nel 1594 nelle carceri dell'Inquisizione a Roma, dove fu
compagno di sventura di un altro famoso pensatore utopistico: Francesco
Pucci, decapitato e arso sul rogo nel 1597. Ancora una volta, nel 1597 C.
fu inviato al confino, nel suo convento calabro, dove si diffuse la sua fama
come mago taumaturgo, ma dove, soprattutto, fu al centro di una congiura
calabra antispagnola scoperta nel 1599 e repressa nel sangue: lo stesso C.,
pur atrocemente torturato, decise a fingersi pazzo, unica strategia per non
essere condannato a morte, ma questo comunque non gli evitò nel 1600 a Napoli
la condanna al carcere perpetuo. Quasi tutte le sue opere furono composte
nei successivi 26 anni in cui venne lasciato a marcire nelle carceri
dell'Inquisizione. Finalmente fu scarcerato nel 1626, grazie alla mediazione
del papa Urbano VIII (1623-1644), interessato alle capacità di C. come
esperto di astrologia, praticata anche dal papa stesso. Per quest'ultimo C.
fece costruire una camera segreta, il cui scopo era di deviare presunti
influssi negativi di certi fenomeni astrali, come le eclissi, che il papa era
convinto fossero stati predetti dai suoi avversari della fazione
filo-spagnola come infausti per il suo pontificato. Tra l'altro, C. cercò
anche di convincere il papa ad attuare una riforma della Chiesa, che
ricostituisse l'impero universale della Chiesa, tuttavia nel 1632 egli venne
coinvolto in un nuovo processo, in cui prese le difese del copernicanesimo di
Galileo, e soprattutto, nel 1634, venne, per l'ennesima volta, accusato di un
complotto antispagnola: questa volta però, egli decise di fuggire in Francia,
e qui, sotto la protezione del re Luigi XIII (1610-1643) e del noto cardinale
Armand Jean Richelieu (1585-1642) (al quale dedicò l'edizione parigina del
1637 del suo De sensu rerum et magia), pubblicò la maggior parte delle sue
opere. In Francia C. poté finalmente condurre indisturbato i suoi studi e
divulgare il suo pensiero. Ebbe inoltre la possibilità di conoscere valenti
studiosi dell'epoca, come i filosofi Pierre Gassendi (1592-1655) e Marin
Mersenne (1588-1648), mentre polemizzò con René Descartes (Cartesio)
(1596-1650). C. morì a Parigi nel 1639.
Il pensiero Il
complesso pensiero di C. è una miscela di filosofia antiaristotelica, magia
naturale (la magia divina, in contrasto con la magia diabolica), panpsichismo
(il mondo è vivo e sensibile, come per Telesio e Giordano Bruno) e utopia
politico-religiosa, saturata di astrologia. Quest'ultima venne delineata
soprattutto nella sua opera principale La Città del sole, senz'altro
influenzata dalla Repubblica di Platone, dove C. immaginò che tutto il mondo
fosse governato dalle leggi della magia naturale strettamente collegati con
l'astrologia. Infatti l'intero stile di vita degli abitanti della Città del
sole era diretta verso l'ottenimento di una relazione benefica con le
stelle. Come già Telesio, e successivamente anche Cartesio, anche C. si
poneva il problema di spiegare la conoscenza di Dio. Per C., nel rapporto
uomo/Dio, la coscienza individuale era la base dell'esperienza, e l'esistenza
di Dio poteva essere dedotto dall'idea di Dio che si forma nella
coscienza dell'uomo. Le opere Come già detto, la maggior parte delle
opere di C. risalgono al lungo periodo in carcere a Napoli, tra il 1600 ed il
1626. Tra i lavori principali, si ricordano: Philosophia sensibus
demonstrata (1589) De sensu rerum et magia (1589) Monarchia di Spagna
(1600): la monarchia spagnola sarebbe potuto diventare la monarchia
universale, dove la pace e la giustizia sarebbe state assicurate. La città
del sole (Civitas solis) (1602), l'opera più famosa, Discorso ai principi
d'Italia (1607), Philosophia rationalis (1606-14), Theologia (1613-24),
monumentale trattato, in 29 volumi, di teologia "naturale", Apologia pro
Galilaeo (1616-22), Philosophia realis (1619), Metaphysica (1623), analisi
dettagliata della magia naturale di Marsilio Ficino, Quod reminiscentur et
convertentur ad Domini universi fines terrae (1626): un articolato piano per
implementare lo sforzo missionario cattolico. Atheismus triumphatus
(1631) Aphorismi politici (1635): la monarchia francese stava crescendo a
scapito di quella spagnola. Ecloga Christianissima Regi et Regina in
portentosam Delphini..Navitatem (1639), in onore del neonato Luigi XIV di
Francia. ----- Sozzini (o Sozini, Sozzino, Socino, Socini o Socinus),
Lelio (o Laelius) Francesco Maria (1525-1562)
La famiglia
Sozzini Lelio Francesco Maria Sozzini (il cui cognome è riportato secondo
svariate grafie come Sozini, Sozzino, Socino o Socini, nonché nella forma
latinizzata completa Laelius Socinus) nacque a Siena il 25 marzo 1525, sesto
dei sette figli del giureconsulto e professore universitario Mariano
Sozzini (1482-1556), detto il giovane per distinguerlo dal più noto e omonimo
nonno (1401-1467), e della moglie fiorentina Camilla Salvetti (m.
1554). Il primogenito dei due coniugi fu Alessandro Sozzini il giovane
(1509-1541), padre, a sua volta dell'altro famoso riformatore della famiglia,
Fausto Sozzini, mentre degno di nota furono anche altri quattro fratelli di
Lelio, tutti di fede antitrinitaria: Cornelio: eretico processato dapprima
a Bologna nel 1558 assieme al fratello Celso, e poi a Siena nel 1560, assieme
al fratello Dario, per aver messo in dubbio l'autorità del pontefice e la
validità del sacramento dell'Eucaristia: fu liberato per interessamento del
Duca Cosimo I de' Medici (1537-1574). Dario: incarcerato a Siena per gli
stessi motivi di Cornelio (vedi sopra). Dopo la liberazione, si recò con il
fratello Camillo in Valtellina, ma, accusati di antitrinitarismo, essi ne
vennero espulsi nel 1563 per ordine di Johann Heinrich Bullinger, riparando
in seguito a Costanza. Alcuni autori ipotizzano che, da questo momento, la
figura di Dario Sozzini (da Siena) coincida con quella di un certo Dario
Senese, un antitrinitario attivo in Moravia e Transilvania negli anni '70 del
XVI secolo. Celso (m. 1570): professore di diritto a Bologna, trasportò nella
città felsinea l'Accademia senese dei Sizienti nel 1554 e successe
come cattedratico al padre Mariano alla sua morte nel 1556. Fu processato
a Bologna assieme al fratello Cornelio ed abiurò. Morì a Bologna nel
1570. Camillo: sfuggì alla cattura nel 1560, che coinvolse i fratelli
Cornelio e Dario, emigrando in Svizzera. A Zurigo fu ospite del mercante
Antonio Mario Besozzi (m. 1567): scoperto nel 1565, fu cacciato dalla città e
il Besozzi fu processato. Camillo si recò allora in Valtellina, cercando di
stabilire la propria residenza a Chiavenna, ma ne fu impedito dal pastore
riformato, Scipione Lentulo. Scelse allora di abitare a Piuro, in casa del
pastore riformato Girolamo Turriani (o Turriano), dove conobbe e divenne
amico del commerciante anabattista Niccolò Camulio. Tutto questo gruppo,
compreso Camillo, venne espulso dalla Valtellina nel 1571.
I primi
anni Iniziato agli studi di legge, secondo la tradizione di
famiglia, all'università di Padova, dove la famiglia era emigrata quando egli
aveva cinque anni, S. conobbe e strinse rapporti di amicizia con il collega
del padre Matteo Gribaldi Mofa. Tuttavia , poco dopo, S. abbandonò i suoi
studi giuridici per approfondire la teologia evangelica: la tradizione lo
vuole ispiratore (ma fu, più probabilmente data la giovane età, un semplice
partecipante) dei Collegia Vicentina del 1546, le riunioni riformate
eterodosse, alle quali parteciparono i principali anabattisti e antitrinitari
dell'epoca, tra cui Paolo Alciati della Motta, Celio Secondo Curione,
Francesco Della Sega, Giovanni Valentino Gentile, Giulio Gherlandi, Matteo
Gribaldi Mofa e Francesco Negri da Bassano.
S. in esilio Nel
1547 S. lasciò l'Italia, probabilmente perché già nel
mirino dell'Inquisizione come eretico, per recarsi in Valtellina, all'epoca
parte del Cantone svizzero dei Grigioni. Qui, a Chiavenna, egli conobbe e
fu fortemente influenzato da Camillo Renato, ma pur parteggiando per le
sue idee, cercò di mantenersi il più neutrale possibile nella diatriba
che quest'ultimo aveva intrapreso con il pastore locale Agostino
Mainardi. Nell'ottobre dello stesso 1547 egli si trasferì a Basilea, dove
conobbe Sébastien Castellion e Celio Secondo Curione (la presunta amicizia
dei due risalente ai Collegia Vicentina del 1546 non è documentata). Nella
città svizzera, S. si iscrisse all'università, il cui rettore era il
cartografo tedesco ed ex francescano passato (nel 1529) al luteranesimo,
Sebastian Münster (1488-1552). Qui venne accolto da un collega svizzero
del padre, Bonifacio Amerbach (1495-1562), a sua volta genitore del futuro
riformatore Basilio Amerbach (1533-1591): S. scrisse una lettera di
presentazione per quest'ultimo, il quale desiderava recarsi in Italia per
completare i suoi studi di giurisprudenza. Studi che evidentemente il nostro
non perseguì più di tanto poiché nel periodo 1548-49 la sua presenza viene
segnalata prima a Ginevra, poi in Francia, a Nérac, presso la corte di
Margherita di Angoulême (1492-1549), moglie di Enrico II di Navarra
(re:1516-1555), protettrice di riformatori come Guillaume Briçonnet, Jacques
Le Fèvre d'Étaples e Giovanni Calvino, e infine in Inghilterra, dove avrebbe
conosciuto Pier Martire Vermigli e Jan Laski. In seguito S. rientrò a
Basilea, dove visse, alternandosi con Zurigo, negli ambienti universitari,
ospite rispettivamente di Sebastian Münster e dello zurighese Conrad Pellican
(Pellicanus) (1478-1556). A Zurigo S. entrò in contatto con Johann Heinrich
Bullinger, che divenne quasi un padre per il giovane senese e al quale egli
espose i suoi primi dubbi religiosi: il riformatore lo incoraggiò a scrivere
a Calvino in persona ed in effetti S. gli inviò due lettere con vari quesiti
sulle pratiche nicodemiche, come la possibilità di sposare una donna
riformata, che non avesse abbandonato le cerimonie cattoliche, oppure le
implicazioni per i riformati nel dover assistere ad una messa cattolica, se
costretti, o su argomenti più teologicamente impegnativi come il valore del
Battesimo o il dogma della resurrezione della carne. Le risposte ferme, ma
aspre, di Calvino, anticipavano le future battaglie epistolari fra i
due.
S. in Germania e Polonia Nel giugno 1550 S. si recò in
Germania, a Wittenberg, per incontrare Melantone e per iscriversi
all'università, dove strinse amicizia con Flacio Illirico. Tuttavia, già
esattamente un anno dopo (giugno 1551), l'avventuroso senese partì, su invito
del polacco J. Maczynski conosciuto a Wittenberg, per un primo viaggio in
Polonia, passando da Breslavia, e qui fece la conoscenza del medico
imperiale, cripto-calvinista, Johannes Crato von Crafftheim (1519-1585),
corrispondente epistolare di diversi riformati italiani, che operavano in
quelle terre, come Marcello Squarcialupi e Andrea Dudith Sbardellati. Da
Breslavia S. si recò a Cracovia, conoscendo Francesco Lismanini (1504-1566),
all'epoca confessore cattolico della regina di Polonia, Bona Sforza, moglie
di Sigismondo II Iagellone, detto Augusto (1543-1572), ma in seguito stretto
collaboratore di Giorgio Biandrata.
Le accuse contro S. in
Svizzera S. rientrò, dopo essere passato dalla Moravia, in Svizzera, giusto
nel momento della disputa tra Calvino e Jèrome Bolsec, l'ex carmelitano,
passato alla Riforma e contestatore della dogma calvinista sulla
predestinazione, che decise di ritornare al Cattolicesimo. Agli inviti alla
moderazione e alla tolleranza di S., indirizzati al riformatore ginevrino,
questi, in maniera violenta e minacciosa, rispose a S. di guarire dalla sua
curiosità di questionare continuamente le cose religiose, prima che questo lo
portasse in grossi guai: del resto i crescenti dubbi dello senese
sull'utilità dei Sacramenti e sulla forza redentrice di Cristo iniziavano a
mettere in dubbio perfino i riformatori svizzeri a lui più favorevoli, come
Bullinger. Nella seconda metà del 1553 avvenne il famoso processo a carico di
Michele Serveto, conclusosi con il rogo, il 27 ottobre, del medico
antitrinitario spagnolo. Questo episodio fu l'occasione per i dissidenti
della Riforma, principalmente italiani, di far sentire la loro voce di
protesta: infatti vi furono prese di posizione molto polemiche da parte di
Gentile, Gribaldi Mofa e Curione, che dovettero emigrare successivamente da
quella che a loro era sembrata la città della tolleranza religiosa. Anche
Castellion intervenne, scrivendo, sotto lo pseudonimo di Martin Bellius, il
suo libro più famoso, De haereticis, an sint persequendi (Gli eretici devono
essere perseguiti?), un appassionato appello alla tolleranza ed alla libertà
religiosa, alla cui stesura pare avesse collaborato anche S., benché nel
periodo 1552-53, quando avvenne la tragedia di Serveto, egli si trovasse in
Italia (nella natia Siena dove iniziò alle sue idee religiose il nipote
Fausto, a Bologna per visitare il padre Mariano, e a Padova presso l'amico
Gribaldi Mofa). A questo punto fioccarono, sempre più fitte, accuse e
segnalazioni a Bullinger di eterodossia a carico di S.: il medico bergamasco
Guglielmo Gratarolo (1516-1568) segnalò che S. era in accordo con i difensori
di Serveto, il pastore Celso Massimiliano Martinengo, predicatore della
Chiesa Italiana a Ginevra, denunciò l'aperta critica di S. verso il dogma
della Trinità, e perfino Pier Paolo Vergerio scrisse da Tubinga per segnalare
il rafforzamento delle idee antitrinitarie di S. nei Grigioni, confermato
in loco anche da Giulio Della Rovere. Bullinger fu quindi costretto ad
insistere che S. scrivesse una confessione di fede ortodossa: dopo qualche
tentennamento il senese compilò un'ambigua dichiarazione, senza una vera e
propria confessione di fede. Egli dichiarò di onorare i tre principali credi
cristiani occidentali (Cattolicesimo, Calvinismo e Luteranesimo), di seguire
la Scrittura canonica e il Simbolo apostolico, di voler abbandonare le
discussioni e le inutili dispute per poter "riposare nella stessa verità di
Dio". Bullinger si limitò ad introdurre delle correzioni nella suddetta
dichiarazione e ad avvertire il suo protetto di non propagandare le sue
dottrine e i suoi dubbi. E S. mantenne per un certo periodo la promessa,
assumendo un atteggiamento nicodemico in terra protestante: in questo tempo,
l'unico suo intervento fu quando egli fece delle osservazioni al proprio
protettore a proposito dei Commentaria dell'umanista antitrinitario Martin
Borrhaus (nome umanistico: Cellarius) (1499-1564).
Gli ultimi
anni Ma, nel 1554 morì sua madre, Camilla Salvetti, seguita dal padre nel
1556, e, oltre ai lutti di famiglia, egli soffrì anche per la fine della
sua indipendenza economica a causa del sequestro da parte dell'Inquisizione
dei suoi beni di famiglia, in quanto condannato come eretico in contumacia.
S. decise quindi di intraprendere un nuovo viaggio in Polonia,
probabilmente per cercare un ambiente più tollerante alle sue idee
eterodosse, rispetto alla Svizzera, ed un protettore, che potesse garantirgli
un salvacondotto per un viaggio in Italia alla ricerca di come recuperare
almeno parte del patrimonio di famiglia. Fu proprio Calvino che gli
scrisse una lettera di raccomandazione per il principe polacco Nicola
Radziwill e il riformatore Jan Laski. S. si recò dunque, passando dapprima
dalla Germania, in Polonia nell'autunno 1558, dove incontrò il medico
Giorgio Biandrata: l'azione degli antitrinitari polacchi come Pietro Gonesio
e Grzegorz Pawel fu rinforzata dall'arrivo dei due riformatori italiani, i
quali (soprattutto il Biandrata) aiutarono a formare una comunità,
soprattutto di esuli loro connazionali, a Pinczòw vicino a Cracovia. Dopo
esser stato ricevuto benevolmente dal principe Radziwill e dal re Sigismondo
II Augusto, nella primavera del 1559, carico di raccomandazioni
e salvacondotti regali, S. partì per l'Italia, passando attraverso
Vienna, dove l'accolse il futuro imperatore Massimiliano II
(1564-1578), simpatizzante per la causa riformista, che gli fornì un
ulteriore salvacondotto per l'Italia. Ma nonostante tutti le potenti
presentazioni e raccomandazioni, S., giunto a Venezia, non riuscì, neppure
con l'aiuto del doge Girolamo Priuli (1559-1567), a far dissequestrare i suoi
beni, confiscati dall'Inquisizione. Oltretutto i suoi fratelli Cornelio e
Dario sarebbero stati da lì a poco arrestati per le loro idee religiose
eterodosse. Deluso, S. rientrò nel 1560 a Zurigo, da cui non si mosse più e
dove ricevette varie volte la visita del nipote Fausto. A Zurigo S. dimorò
presso la casa di un tessitore di seta di nome Hans Wyss e vi morì il 14
maggio 1562, a soli 37 anni.
Le opere S. pubblicò molto poco
nella sua vita e quasi tutti i suoi appunti e carteggi passarono al nipote
Fausto, che, avvisato della morte dello zio da parte di Antonio Mario
Besozzi, si precipitò a Zurigo per raccogliere gli scritti di Lelio, che poi
usò per meditare e sviluppare la dottrina del pensiero sociniano. Solo due
brevi trattati De Sacramentis e De resurrectione corporum furono dati alle
stampe, oltre ad un commentario sul primo capitolo del Vangelo di San
Giovanni, pubblicato nel capitolo 11 del libro II del trattato di Biandrata e
Ferenc Dàvid De vera et falsa unius Dei, Filii et Spiritus Sanctii cognitione
(Della falsa e vera conoscenza dell'unità di Dio Padre, Figlio e Spirito
Santo), la cui attribuzione alla penna di S. si deve allo storico Delio
Cantimori.
La dottrina Il pensiero di S. risentì degli influssi
dell'umanesimo filologico di Lorenzo Valla, dell'esegesi del Nuovo Testamento
di Erasmo, delle tesi antitrinitarie di Michele Serveto (senza la sua
concezione metafisica), della spiritualità di Juan de Valdés e della polemica
sui sacramenti di Camillo Renato. Tuttavia fu un suo pensiero originale il
desiderio di richiedere continuamente risposte razionali a domande
teologiche: questa posizione non lasciava spazi per i dogmi, le Sacre
Scritture erano viste come un'autentica testimonianza e non un pretesto per
l'invenzione di ulteriori dogmi. Il ruolo della volontà e dell'intelletto
umano veniva elevato ai massimi livelli: l'uomo poteva controllare le sue
decisioni morali, partendo da una base razionale. Su queste premesse, la
"vera" Chiesa perdeva il suo supernaturalismo e diventava una società di
credenti, idealmente collegata alla Chiesa dei primordi o Chiesa
primitiva. L'altro punto fondamentale del pensiero di S. era la negazione
della divinità di Gesù: Cristo non era la seconda persona (o ipostasi)
della Trinità, ma solamente un uomo, sebbene con caratteristiche divine.
Inoltre la Sua umanità era identificata con la sofferenza, l'umiltà, la
povertà del mondo degli oppressi, che Egli voleva salvare, e non con il mondo
dei ricchi e potenti, un concetto radicale di ispirazione anabattista, che
sarebbe stato in seguito rielaborato dal nipote e da
Biandrata.
----- Orléans, canonici di Santa Croce
(1022)
Nel 1022 una decina di chierici della chiesa di Santa
Croce ad Orléans furono accusati di dottrine manichee. Con questo termine si
intendeva, come in altri casi, le eresie, spesso dualiste, di confusa origine
bogomila. La setta fu involontariamente scoperta grazie ad un prete,
Eriberto, cappellano di un nobile francese di nome Arefasto. Eriberto fu
istruito ad Orléans da due canonici, Stefano e Lisoio, ma quando cercò di
ritrasmettere gli insegnamenti ad Arefasto, quest'ultimo si accorse
immediatamente dell'eterodossia della dottrina e ne informò la corte. Il
re di Francia, Roberto II il Pio (972-1031) e la consorte Costanza di Arles
convinsero Arefasto ad agire come infiltrato per raccogliere prove sulla
eresia della setta, ottenuti i quali, fecero arrestare ed interrogare i
canonici. Lasciando stare strane accuse di orge sataniche con sacrifici di
bambini neonati, un leitmotiv costante in questi tipi di processi,
l'interrogatorio verté sulle dottrine eterodosse dei prelati. I canonici
facevano riferimento ad una diretta ispirazione proveniente dallo Spirito
Santo, conferito mediante l'imposizione delle mani, e negavano la Trinità, il
valore dei sacramenti, la verginità della Madre di Cristo e la passione e
resurrezione del Signore. In quest'ultimo punto essi rispolverarono l'antica
eresia del docetismo. Il processo ebbe un epilogo drammatico: fu respinto un
tentativo di linciaggio da parte della folla, ma nulla difese i canonici
dall'ira della regina, specialmente quando ella si accorse che la sua guida
spirituale, Stefano, faceva parte degli arrestati: in un attacco di collera
la regina gli cavò un occhio con la punta del suo bastone. Dei canonici,
solo un prete ed una suora abiurarono, mentre gli altri (tra 10 e 14) furono
bruciati sul rogo il 28 Dicembre 1022. E questa fu la prima volta che si
bruciavano in Occidente degli eretici sul rogo, un'usanza purtroppo destinato
a divenire alquanto popolare nei secoli a seguire. In Oriente la tremenda
condanna era già stata usata nel 690 durante la campagna militare,
organizzata dall'imperatore Giustiniano II Rinotmeta, per reprimere la setta
dei pauliciani . Per completare l'opera, il re fece disseppellire il corpo di
un altro canonico, Teodato, morto tre anni prima, e ne fece disperdere le
ossa. Tutta la vicenda ebbe anche una vittima politica: il vescovo di
Orléans, Thierry fu deposto dal re per non essere intervenuto tempestivamente
per stroncare questa eresia.
----- Riccio (o Del Riccio), Pier
Francesco (1501-1564)
Pier Francesco Riccio (o Del Riccio) nacque
a Prato nel 1501 (altri fonti citano il 1490 come data di nascita) da Nese di
Clemente Riccio. R. fu un sacerdote probo e onesto e legò la sua fortuna a
quella del duca Cosimo I de' Medici (1537-1574), del quale fu dal 1524
precettore, sia in patria che in esilio, e poi maggiordomo, cioè segretario
personale, fino al 1553. Ebbe una notevole influenza nelle committenze della
corte medicea, come, per esempio, nella creazione della manifattura di
arazzi. Uomo di discreta cultura con una buona conoscenza di greco e latino
[sebbene il noto orafo e scultore Benvenuto Cellini (1500-1571), nella
sua autobiografia, lo citi ingiuriosamente con epiteti come bestia e asino],
fu un valdesiano e un ammiratore di Martin Lutero, ed era in possesso di
un manoscritto (oggi unico superstite) del famoso Beneficio di Christo
di Benedetto Fontanini da Mantova, prima della sua stampa nel 1543. Si
impegnò a favore di intellettuali perseguitati per motivi religiosi
o politici, come Aonio Paleario nel 1541 o Benedetto Varchi, di cui favorì
il rientro a Firenze nel 1543 e ci sono prove che si mantenesse in
contatto epistolare con un libraio di Venezia, probabilmente Antonio
Brucioli, per fornirsi delle opere dei riformatori tedeschi, come Lutero o
Melantone. Nel febbraio 1550 entrò a far parte del Capitolo della cattedrale
di Santo Stefano di Prato e qui chiamò a predicare l'agostiniano Alessio
Casani (1491-1570), già accusato di luteranesimo nel 1548, quando fu
salvato dall'intervento del decano della facoltà di Teologia a Firenze,
Andrea Ghetti da Volterra. Purtroppo, nel 1553 R. fu colpito da una grave
malattia e dovette essere relegato a Borgo San Lorenzo, poiché apparentemente
era uscito di senno, anche se si ipotizza che si trattasse di una malattia
diplomatica, suggerita da Cosimo I in persona, per evitargli un processo per
eresia, come sarebbe successo qualche anno dopo agli amici Pietro Carnesecchi
e Aonio Paleario, bruciati sul rogo a Roma. Dopo la sua guarigione, R.
morì a Firenze, nel 1564.
----- Libera Intelligenza o Uomini di
Intelligenza (da metà XIV secolo)
Movimento eretico del XIV
secolo, derivato dai Fratelli del Libero Spirito del XII secolo. Sembra che
la Libera Intelligenza sia stata fondata intorno al 1350 da una donna di
Bruxelles, chiamata Bloemardinne, che, come nella dottrina del Libero
Spirito, affermava che si poteva raggiungere un tale stato di grazia da poter
commettere qualsiasi atto senza correre il rischio di peccare, secondo il
detto di San Paolo: Tutto è puro per i puri (Lettera a Tito 1,15). Alcuni
autori cattolici riportarono che essi, forti di questo convincimento, si
lasciavano andare soprattutto ad atti contro la morale ed in effetti
Bloemardinne predicava una dottrina di libero amore, chiamato "amore
serafico". I suoi seguaci la venerarono come una mistica e le attribuirono
doti taumaturgiche anche dopo la morte. Successivamente il movimento fu
capeggiato da Guglielmo Hilderniss (o Hindernissen), un carmelitano, assieme
al suo discepolo Giles Cantor. Entrambi furono processati nel 1410 da parte
del vescovo di Cambrai, Pierre d'Ailly (1350-ca. 1420) e condannati alla
clausura perpetua in convento. Gli atti del processo aiutano a capire di più
su questo movimento: sembra che essi seguissero le profezie di Gioacchino da
Fiore, ma che, contrariamente al mistico calabrese, non erano convinti
dell'immediatezza dell'era dello Spirito Santo. Rifiutavano inoltre i
sacramenti, perché la morte di Gesù Cristo sulla croce rendeva inutile la
Confessione e relativa assoluzione e seguivano le dottrine panteistiche di
Amaury di Béne e Davide di Dinant, affermando l'esistenza di Dio in ogni cosa
e quindi considerando la Comunione superflua in quanto nell'ostia non ci
sarebbe stato più presenza di Dio confrontata con qualsiasi altra
cosa. Gli Uomini di Intelligenza, inoltre, erano convinti di essere
talmente pervasi dallo Spirito Santo da poter interpretare la Bibbia come e
meglio del clero ufficiale e che questo loro stato di grazia li permettesse
di risorgere come esseri spirituali. Per quanto concerne l'amore serafico,
pare che le donne del gruppo non potevano rifiutarsi di avere rapporti
sessuali con gli altri membri (alla faccia del serafico!), in quanto questo
atto veniva considerato come una preghiera (sic!). E se ci fosse stata fra
esse qualcuna che si fosse rifiutata, poteva essere pure violentata. Sotto
la spinta delle persecuzioni dell'Inquisizione, nel 1418 alcuni profughi
francesi della zona di Lilla e Tournai, cioè dalla Piccardia, e per questo
denominati piccardi (secondo alcuni fantasiosi autori una corruzione del
termine begardi) decisero di emigrare nella Boemia hussita. Qui,
secondo alcuni autori cattolici, essi si lasciarono andare ad atti contro la
morale, come atti sessuali extra matrimoniali, come l'abitudine di girare
nudi come Adamo ed Eva nell'Eden, e come l'uso comunitario di tutti i beni
(comprese le donne). Per questo furono soprannominati Adamiti e, come loro
capo si proclamò un ex predicatore hussita, dell'ala taborita, Martin
Huska.
Curiosità: secondo una discussa ipotesi (formulata dallo
studioso tedesco Wilhelm Fraenger), il noto pittore fiammingo Hieronymus
Bosch (1450-1516) potrebbe aver aderito a suo tempo a questo movimento o a
quello del Libero Spirito : ciò si dedurrebbe da una "lettura" simbolica di
alcuni dei suoi dipinti più complessi e allucinanti, come il trittico Il
giardino delle delizie, particolarmente nel suo pannello
centrale.
----- Butzer (Bucero), Martin
(1491-1551)
Martin Kuhhorn o Butzer (nome umanistico Bucero)
nacque a Schlettstadt (Sélestat) in Alsazia l'11 Novembre 1491. Dopo aver
ricevuto una prima educazione di base alla scuola di latino della sua città,
B., all'età di quindici anni (nel 1506) entrò nell'ordine domenicano, dove
proseguì gli studi diventando prete. Successivamente fu inviato
all'università di Heidelberg dove si iscrisse alla facoltà di teologia nel
1517. L'anno seguente (1518) durante un incontro dell'ordine agostiniano, B.
ebbe l'opportunità di ascoltare Martin Lutero, che esponeva la propria
dottrina e ne fu talmente conquistato che nel 1521 chiese al Papa Leone X
(1513-1521), ed ottenne, la dispensa dai voti monastici. Sempre nel 1521
B. si trasferì a Magonza (Mainz), diventando cappellano di corte del principe
elettore del Palatinato, Luigi V, detto il Pacifico (1508-1544), ma già
l'anno dopo fu nominato pastore a Landstuhl, vicino a Kaiserslauten: qui si
sposò con l'ex suora Elizabeth Silbereisen. Tuttavia a causa della sua
intensa attività di predicazione riformista, egli fu scomunicato e trovò un
primo rifugio nel castello di Weissenburg (Wissembourg), in bassa Alsazia, di
proprietà del cavaliere Franz von Sickingen (1481-1523), difensore di molti
riformisti e dissidenti, come Johannes Reuchlin e Johannes
Ecolampadio. Successivamente, nel 1523, B. si trasferì a Strasburgo, dove la
Riforma era stata da poco introdotta con successo dal predicatore Mathias
Zell (1477-1548), nonostante diversi tentativi di assassinarlo. A
Strasburgo B. lavorò per venticinque anni come principale predicatore della
città, collaborando con gli altri noti riformisti, come il già citato Zell,
Wolfgang Capito (1478-1541) e Caspar Hedio (1491-1552). Egli si attivò anche
per una riforma della vita non solo ecclesiastica, ma anche sociale della
città, ed in questo fu sorretto da Jacob Strum (m. 1553), che divenne, a
livello del consiglio cittadino, il più accesso sostenitore della
causa protestante. Nel 1527 B. pubblicò un libro di teologia, che
influenzò notevolmente Calvino, con il quale aveva in comune le stesse idee
sulla predestinazione e sul ruolo dello Spirito Santo. Nel Giugno 1528 si
tenne a Berna i cosiddetti Colloqui, con una massiccia e qualificata
partecipazione protestante svizzera (Zwingli, Berthold Haller, Ecolampadio,
Franz Kolb, Capito e B. stesso), alla quale i cattolici contrapposero una
delegazione non di grande rilievo, scelta dettata da una serie di rifiuti
alla partecipazione da parte degli ecclesiastici e dei teologi cattolici più
noti, come ad esempio Eck. Il risultato fu una scontata vittoria dei
riformatori e la redazione, a cura di Haller, delle dieci tesi di
Berna. Come pensiero riformatore, B. aderì alla corrente zwingliana, ma ciò
non gli impedì, in varie occasioni, di cercare di agire come mediatore tra
le posizioni svizzere e quelle tedesche luterane. B. fu infatti uno
degli artefici dei colloqui di Marburg del 1529 tra Lutero e Zwingli per
dirimere la questione dei valore attribuito al sacramento dell'Eucaristia,
pur conclusisi con un nulla di fatto. Nell'anno successivo, 1530, egli fu
uno dei protagonisti della prima dieta di Augusta, dove, assieme ai
riformisti delle città di Costanza, di Memmingen e di Lindau, presentò la
Confessio Tetrapolitana (cioè, per l'appunto, delle quattro città). La
riunione si concluse con la conciliatoria Confessio Augustana, tracciata da
Philipp Melantone, che tuttavia B. non accettò. Ciò nonostante, la pace,
almeno formale e di breve durata, tra Lutero e Zwingli avvenne nel 1536 alla
Concordia di Wittenberg, dove perlomeno si ottenne un accordo, per quanto
concerne l'Eucaristia, tra i luterani tedeschi del nord e i riformatori della
Germania del sud, capitanati da B. stesso. Alla stesura dei cosiddetti
Capitoli di Concordia, B. fu aiutato dal riformatore italiano Bartolomeo
Fonzio, un suo fedele collaboratore. Dal 1538 al 1541, B. ebbe la possibilità
di confrontarsi con Calvino, che risiedeva a Strasburgo, dopo essere stato
mandato in esilio da Ginevra. Nel 1540, B. fu purtroppo protagonista, assieme
a Lutero e Melantone, dell'assenso alla bigamia del Langravio Filippo di
Assia (Hesse)(1504-1567), fatto che provocò un grave scandalo. L'anno
successivo (1541) la moglie Elizabeth Silbereisen morì di peste e B. sposò la
trentanovenne Willibrandis Rosenblatt, precedentemente vedova di ben 3
riformatori: Ludwig Keller (Cellarius), Johann Ecolampadio e Wolfgang Capito!
Willibrandis gli diede 3 figli. Negli anni successivi, B. partecipò a diverse
conferenze tra cattolici e protestanti (Hagenau 1540 e Regensburg 1541) e
tentò inutilmente, nel 1542, assieme a Melantone, di portare la Riforma a
Colonia (Köln). Nel 1548 B. respinse l'interim di Augusta, la formula
dottrinale provvisoria fra protestanti e cattolici in attesa delle risultanze
del Concilio di Trento. In seguito a ciò, dovette lasciare Strasburgo:
diversi riformatori come Calvino e Melantone gli offrirono ospitalità, ma
egli decise di accettare l'offerta dell'arcivescovo di Canterbury, Thomas
Cranmer di stabilirsi in Inghilterra, dove si recò nel 1549. Qui B. fu
altamente apprezzato sia da Cranmer che dal re Edoardo VI (1547-1553) e finì
i suoi giorni come professore di teologia a Cambridge, dove lavorò alla sua
opera De regno Christi e contribuì alla stesura del Book of Common Prayer (il
fondamentale libro delle funzioni religiose anglicane). B. morì il 28
Febbraio 1551 a Cambridge, ma non ebbe vita tranquilla, neanche da morto:
infatti nel 1556, sotto il regno della regina Maria Tudor la Cattolica (detta
la Sanguinaria) (1553-1558), la sua tomba fu distrutta e le sue ossa bruciate
sul rogo. Toccò alla sorellastra di Maria, la regina Elisabetta I (1558-1603)
di far restaurare la tomba di B. con tutti gli onori dovuti. B. fu, dopo
Lutero e Melantone, il più influente dei riformatori tedeschi, presso i quali
si distinse nel tentativo di conciliare posizioni spesso non coincidenti. Si
può inoltre attribuire a B. il ruolo di ponte tra la Riforma tedesca e quella
inglese, che lui poté influenzare negli ultimi anni della sua
vita.
----- Reuchlin, Johannes (o
Capnion)(1455-1522)
Johannes Reuchlin, importante cabbalista e
umanista tedesco, nacque a Pforzheim, nel Baden, il 22 Febbraio 1455. Si
laureò nel 1477 a Basilea e diventò uomo di legge nel 1481 a
Poitiers. Viaggiò varie volte in Italia, nel 1482 e nel 1490, diventando
amico di Pico della Mirandola ed habitué della Accademia Platonica a
Firenze. Tornato in Germania, si fece propugnatore dello studio della lingua
ebraica e del Talmud, che perfezionò nel corso di un terzo viaggio a Roma nel
1489. Egli diventò quindi professore di ebraico a Ingolstadt ed a Tübingen,
ma la sua difesa dell'ebraico fu talmente estrema che quando gli
inquisitori Domenicani di Colonia iniziarono a distruggere scritture
ebraiche, R. protestò vivacemente e questo gli costò un'inchiesta a suo
carico. Tuttavia egli riuscì a evitare un processo e morì a Libenzell il 30
Giugno 1522. R. scrisse molti testi, soprattutto per lo studio della
lingua ebraica, come De rudimentis hebraicis o De accentibus et ortografia
linguae hebraicae. Tuttavia è più conosciuto per i testi cabalistici come il
De arte cabalistica o De verbo mirifico: la diffusione di quest'ultimo testo
molto discusso costò il posto di lavoro all'università di Dôle (nella
Borgogna) ad Agrippa di Nettesheim nel 1509.
Curiosità: R. fu
prozio del notissimo riformatore tedesco Philipp Schwarzerd, meglio
conosciuto come Melantone.
----- Mathis (Matteo o Mattia) di Janow (m.
1394)
Mathis di Janow nacque in Boemia intorno alla metà del XIV
secolo e dal 1372 studiò a Praga presso la scuola per la formazione dei
predicatori della comunità "Nuova Gerusalemme", fondata da Jan
Milìc. Successivamente M. completò i suoi studi teologici a Parigi dal 1373
al 1381, rientrando in patria con il titolo di Magister Parisiensis (Maestro
di Parigi). Nel 1381 fu nominato canonico e confessore della cattedrale di
Praga e tra il 1388 ed il 1392 compose diversi trattati, riuniti in cinque
volumi sotto il titolo Regulae Veteris et Novi Testamenti, nei quali M.
criticò gli eccessi nel culto dei santi, delle immagini sacre e delle
reliquie, il traffico delle indulgenze, l'immoralità diffusa tra gli
ecclesiastici. Per M. l'unica salvezza dalla malvagità, in attesa del ritorno
di Cristo per la battaglia finale contro l'Anticristo, consisteva in
frequentissime confessioni e comunioni, ma questa sua interpretazione della
via salvifica fu condannata nel sinodo di Praga del 1389. Nel 1391,
assieme ad altri discepoli di Milìc, M. fondò la Casa del Pane, poi Cappella
di Betlemme, una comunità religiosa che auspicava un ritorno all'originale
Chiesa di Cristo e degli Apostoli, e che formava i futuri predicatori nella
lingua boema e della quale fu nominato predicatore Jan Hus. M. morì a
Praga nel 1394.
----- Caracciolo, Galeazzo, marchese di Vico
(1517-1586)
Nato a Napoli nel 1517 ed esponente di spicco
dell'aristocrazia napoletana, oltre che nipote del cardinale Gian Pietro
Carafa [il futuro Papa Paolo IV (1555-1559), che nel 1557 si sarebbe
lamentato con l'ambasciatore di Venezia, Bernardo Navagero, del gran dolore
che il nipote gli aveva arrecato passando alla Riforma], Galeazzo Caracciolo
si era accostato alle idee riformiste, frequentando i circoli ispirati a Juan
de Valdés. Ma nel 1542 la creazione del Santo Ufficio proprio da parte del
cardinale Carafa diede inizio alla persecuzione dei riformatori italiani e la
chiusura dei loro circoli, come quello napoletano. Dopo un incontro
illuminante con Pier Paolo Vergerio a Strasburgo, C., gettando via, per
ragioni di fede, una carriera alla corte dell'imperatore Carlo V (1519-1556),
al cui servizio era stato assunto, decise nel 1551 di andare in esilio nella
Ginevra calvinista, in compagnia del senese Lattanzio Ragnoni (1509-1559),
diventato poi pastore della locale comunità italiana. Qui gli fu riconosciuto
il titolo di marchese di Vico (rifiutato da Carlo V nel 1553 a causa della
decisione di C. di abbandonare la corte imperiale) e si sposò, in seconde
nozze, con Anna Framéry, avendo la prima moglie deciso di rimanere cattolica
e di non seguire il marito in esilio a Ginevra. Nel 1560 C. ricevette la
visita di un altro illustre nobile napoletano, Ferrante Sanseverino (n.
1511), principe di Salerno, in fuga più per motivi politici che dottrinali:
era stato infatti bandito nel 1552 per aver congiurato contro il re di
Napoli. Nel 1579, invece, C. ebbe a che fare con un fuggitivo Giordano Bruno,
che riuscì per un breve periodo a convertire alla religione calvinista,
tuttavia il successivo scandalo suscitato da Bruno a causa del suo attacco
contro il docente di filosofia all'Accademia di Ginevra Antoine de la
Faye (1540-1616), provocò un procedimento a carico del filosofo nolano,
che decise poi di emigrare in Francia. Nella città svizzera la prestigiosa
ed autorevole figura di C. fu talmente stimata, che Niccolò Balbani, pastore
all'epoca della comunità italiana a Ginevra, alla morte del marchese avvenuta
nel 1586, sentì il dovere di celebrare la sua memoria, scrivendone nel 1587
una fortunata biografia - Historia della vita di Galeazzo Caracciolo,
chiamato il signor Marchese, nella quale si contiene un raro e singolare
esempio di costanza e perseveranza nella pietà e vasta religione -, che
rimase un best-seller per oltre due secoli negli ambienti protestanti,
soprattutto in Inghilterra e in America. Più recentemente la figura del
marchese di Vico ha ispirato il grande Benedetto Croce (1866-1952) a scrivere
un capitolo del suo libro Vite d'avventure, di fede e di passione con il
titolo Un calvinista italiano. Il marchese di Vico, Galeazzo Caracciolo, in
cui Croce prese spunto dalla decisione del nobile napoletano di abbandonare
tutto per andare in esilio in una austera Ginevra, per vagliare la
possibilità di una sua simile decisione in seguito alla salita al potere del
Fascismo.
----- Bodenstein, Andreas Rudolf, detto Karlstadt o
Carlostadio (ca. 1480-1541) e Sagramentari
Andreas Rudolf
Bodenstein (nome umanistico: Carlostadio dalla città natale), figlio del
cantiniere Peter (o Rudolf) Bodenstein e di Anna von Mochau, nacque nel 1480
ca. a Karlstadt, nella Bassa Franconia. Egli studiò alle Università di
Erfurt, Colonia e, dal 1504, di Wittenberg, laureandosi in teologia nel 1510
(anno nel quale fu ordinato sacerdote) e in diritto a Roma nel 1516. Durante
quest'ultimo viaggio, B. ebbe una profonda crisi religiosa, convincendosi
sempre più dell'inutilità della volontà umana contrapposta alla
predestinazione. Aderì abbastanza presto al luteranesimo, diventando amico
del suo collega (ambedue erano docenti a Wittenberg) Martin Lutero, assieme
al quale sostenne le ragioni dei Protestanti nella disputa con il teologo
Johann Eck (1486-1543) a Lipsia nel 1519. Intervenne inoltre a favore
della Riforma anche in Danimarca alla corte del re Cristiano II (1513-1523),
nipote di Federico III di Sassonia, detto il Saggio (1486-1525). Nel 1521
Lutero fu messo al sicuro da Federico di Sassonia nella rocca di Wartburg
mediante un finto rapimento, in seguito all'editto di Worms del 8 Maggio, che
condannava e ordinava il rogo dei suoi scritti. Qui Lutero rimase per 10
mesi, scrivendo diverse opere e lavorando sulla traduzione del Nuovo
Testamento in tedesco. Ma, in sua assenza, fu B. a distinguersi per il suo
estremismo: mettendosi alla testa di un movimento, detto dei Sagramentari,
egli fece distruggere le immagini sacre, abolire le messe private, la musica
sacra e gli abati talari. Fu il primo riformatore a celebrare la messa in
tedesco senza paramenti o canone e facendo comunicare i fedeli sotto ambedue
le forme. Oltretutto B. rifiutò il battesimo dei bambini e negò la presenza
reale di Gesù Cristo nell'eucaristia. Nello stesso periodo sposò la figlia di
un nobile caduto in povertà. Nel Marzo 1522 Lutero, travestito da
cavaliere, si decise di ricomparire in pubblico per bloccare questi
estremismi di B. e dei cosiddetti "Profeti di Zwickau", Nicholas Storch e
Markus Stübner, radicali fanatici detti abecedariani, che volevano eliminare
tutti i preti e fondare il regno di Dio in terra. Essi erano stati espulsi da
Zwickau, quindi si erano recati a Wittenberg per fare proselitismo. In
seguito B. divenne parroco di Orlamünde, in Sassonia, ma, applicando i suoi
principi precedentemente descritti, entrò in polemica con Lutero scrivendo
nel 1523 la sua opera Dell'abbattimento delle immagini , alla quale Lutero
rispose l'anno dopo, coinvolgendo anche i profeti di Zwickau, con la sua
Contro i profeti celesti. Per Lutero B. era un provocatore troppo pericoloso
per rimanere al proprio posto ed oltretutto era pure sospettato di fare
combutta con l'ultraradicale Thomas Münster, perciò nel 1524 Lutero riuscì a
convincere Federico di Sassonia a fare bandire dai territori del principato
B., che perse anche la cattedra a Wittenberg. Iniziò, a questo punto, una
serie di peregrinazioni, che lo portò in giro per la Germania, passando da
Zwickau e Strasburgo, da dove fu espulso, per arrivare in Svizzera, a Zurigo.
Qui fu accolto nel 1530 da Ulrich Zwingli, riformatore, che, come B., negava
la presenza di Gesù nell'eucaristia. Grazie ai buoni uffici di Zwingli, B.
divenne pastore e cappellano dell'ospedale e consigliere della città. Ma
dopo la morte di Zwingli nella battaglia di Kappel del 1531 contro i cantoni
cattolici, B. dovette emigrare ad Altstätten, nella Svizzera nord-orientale,
dove fu pastore fino al 1532. Infine nel 1534 egli fu chiamato da Heinrich
Bullinger ad diventare professore di teologia alla Università di Basilea, e
qui rimase fino alla sua morte avvenuta il 24 Dicembre 1541.
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