STORIA DEL CALVINISMO -
PERSONAGGI DELLA STORIA DELLE ERESIE |
Carnesecchi, Pietro (1508-1567)
I primi anni Pietro Carnesecchi nacque
a Firenze nel 1508 da un agiato mercante e grazie alla protezione della
famiglia dei Medici, divenne segretario pontificio e protonotario apostolico
sotto il papato del concittadino Clemente VII (Giulio de' Medici)
(1523-1534), mantenendo relazioni con un gruppo di cardinali e vescovi, che
avrebbero caratterizzato le posizioni riformiste italiane, cioè Giovanni
Morone, Reginald Pole, Pier Paolo Vergerio e Vittore Soranzo. Alla morte
del Papa, suo grande protettore, C. si accostò alle posizioni riformiste di
Bernardino Ochino, frequentando, intorno al 1540, i circoli evangelici
napoletani, fondati da Juan de Valdès, assieme a Pier Martire Vermigli,
Marcantonio Flaminio, Benedetto Fontanini da Mantova, Giovanni Bernardino
Bonifacio e Ludovico Manna. In seguito alla morte di Valdès nel 1541, si
costituì il Circolo di Viterbo, attorno alla figura del cardinale Reginald
Pole, colui che, per un solo voto, non sarebbe diventato papa nel 1549. C. e
Flaminio furono tra i membri più attivi del Circolo, che predicava un ritorno
alla fonte dei Vangeli e la libera interpretazione dei propri rapporti con
Dio di tutti i fedeli.
Le prime inchieste e il periodo
francese Nel 1543 il protonotario si stabilì a Venezia, dove promosse
attivamente gli scritti di Valdès. Per questo C. fu inquisito nel 1546 per
ordine di Papa Paolo III (1534-1549), che però gli concesse l'assoluzione
extragiudiziale. Nel 1547 egli si trasferì in Francia, in qualità, fra
l'altro, di diplomatico al servizio del duca Cosimo I de' Medici (duca di
Firenze: 1537-1569 e granduca di Toscana: 1569-1574) e vi risedette per
cinque anni, fino al 1552, sotto la protezione della regina Caterina de'
Medici (1519-1589, regina di Francia dal 1547), cugina di Cosimo. Qui
mantenne rapporti epistolari con l'amico Flaminio, con la contessa Giulia
Gonzaga, e con Pier Paolo Vergerio, anche dopo la fuga di quest'ultimo in
Svizzera nel 1549, ed allacciò inoltre stretti contatti con gli ugonotti
francesi e con la principessa Margherita di Valois [figlia del re Enrico II
(1547-1559) e di Caterina de' Medici], le cui nozze con il protestante Enrico
di Borbone e Navarra scatenò la famosa notte di San Bartolomeo (23 agosto
1572), l'atroce massacro dei protestanti a Parigi e in Francia. Nel 1550
morì Flaminio, lasciando in eredità a C. i suoi ultimi scritti evangelici,
dal titolo De rebus divinis carmina, fatti pubblicare, con dedica a
Margherita di Valois, da C. in Francia nello stesso anno. Nel autunno 1552 C.
partì per rientrare in Italia, ma svernò a Lione, dove fu raggiunto dal
senese Lattanzio Ragnoni (1509-1559), primo pastore della Chiesa Riformata
Italiana a Ginevra, il quale cercò inutilmente di convincere C. a trasferirsi
a Ginevra.
C. nicodemita Rientrato in Italia, a Venezia, egli,
mantenendo un rigoroso nicodemismo, promosse nella città lagunare una
comunità clandestina (conventicola) di calvinisti, che non fu scoperta se non
nel 1565: ne faceva parte Andrea del Ponte, fratello del futuro doge di
Venezia, Niccolò del Ponte (1578-1585). Facendo così C. visse relativamente
indisturbato durante il papato di Giulio III (1550-1555), ma i guai
iniziarono sotto Paolo IV (1555-1559), il famigerato ex inquisitore cardinale
Giovanni Pietro Carafa. A causa della severità della repressione contro la
Riforma in Italia, C. fu perfino tentato di rifugiarsi nuovamente in Francia
e venne infatti inquisito per eresia nel 1559. In quest'ultima circostanza il
C. fu anche condannato a morte in contumacia, ma si salvò restando a
Venezia. Alla morte di Paolo IV, durante il pontificato di Pio IV
(1559-1565), un altro papa della famiglia dei Medici, come Clemente VII, egli
fu assolto dalle precedenti accuse grazie all'intervento della regina madre
di Francia, Caterina de' Medici, che non mancò di fornire il suo appoggio,
intercedendo presso il Papa per un'assoluzione del C. Ma, alla morte di
Pio IV (1565), successe sul trono pontificio un altro ex inquisitore e
acerrimo nemico del C., il cardinale Michele Ghisleri con il titolo di Pio V
(1566-1572).
Il processo e la morte Nel frattempo il C. si era
trasferito da Venezia a Firenze sperando nella protezione dei Medici, ma il
decesso della fraterna amica di sempre Giulia Gonzaga il 16 aprile 1566 mise
totalmente nei guai C.: infatti alla morte della contessa, gli inquisitori
trovarono, tra i suoi documenti, un vasto carteggio fra C. e Giulia Gonzaga e
altri riformatori, e questo permise a Pio V di richiedere, il 26 giugno 1566,
a Cosimo de' Medici l'arresto dell'ex protonotario di Clemente VII. C. fu
quindi arrestato e consegnato all'Inquisizione: nulla poté la
nuova intercessione di Caterina de' Medici. C. fu inutilmente torturato
per ottenere notizie compromettenti sul cardinale Morone, mentre gli
inquisitori riuscirono almeno a sapere da lui il nome dell'autore del
Beneficio di Christo, cioè Benedetto Fontanini da Mantova. Infine l'ex
protonotario subì un processo conclusosi il 21 settembre 1567, in seguito al
quale venne prima decapitato e poi arso sul rogo a Ponte Sant'Angelo il 1
ottobre dello stesso anno.
Curiosità Del Carnesecchi, esistono due
ritratti: uno eseguito dal noto pittore Sebastiano del Piombo nel 1530 (o
32), attualmente esposto alla Pinacoteca di Parma e uno del Puligo (Domenico
Ubaldini) alla Galleria degli Uffizi a Firenze.
----- Carpocrate di
Alessandria (m.ca.138)
Carpocrate era un filosofo alessandrino
gnostico, discepolo di Cerinto e fondatore della scuola gnostica detta, per
l'appunto, carpocraziana. Si sa molto poco della sua vita, se non che predicò
sotto l'imperatore Adriano (117-138) e che ebbe un figlio, di nome Epifane (o
Epifanio) suo successore nella diffusione della dottrina paterna. Le scarse
notizie su C. derivano da una lettera attribuita a Epifane e da un testo di
Ireneo di Lione.
La dottrina C., come il suo maestro Cerinto,
predicava che il mondo era stato creato da angeli inferiori o decaduti,
chiamati demoni, che copulando con gli angeli, avevano generato gli esseri
umani ed il mondo materiale. Le anime degli uomini erano stati intrappolati
da questi demoni nei corpi e sottoposte a sofferenze per secoli e secoli,
mediante continue e inconcludenti reincarnazioni. Gesù Cristo, venuto al
mondo, secondo C., come tutti gli altri esseri umani, aveva la conoscenza
(gnosi) dell'unica maniera di sfuggire alla prigione terrena: cioè di
disprezzare le leggi della società del suo tempo, terminando così la tirannia
delle inibizioni imposte dal nostro mondo. Perciò soltanto accettando
passivamente i desideri (un concetto molto simile a quello di Basilide), le
anime umane potevano risalire al cielo. Altrimenti dovevano essere rimandate
in un altro corpo, perché mancava ancora qualcosa nella loro libertà, come
riferiva Ireneo. Conseguentemente i carpocraziani praticavano il
libertinaggio e il rifiuto del matrimonio, l'abolizione dei ranghi sociali e
la messa in comune dei propri beni (una forma di comunismo ante litteram), ed
erano dediti alle arti magiche e alla preparazioni di filtri d'amore, sempre
secondo Ireneo. Questo comportamento dei carpocraziani scandalizzò sia
diversi maestri gnostici di altre scuole che, ovviamente, gli ortodossi
cristiani, i quali riuscirono a distruggere quasi tutti i documenti scritti
della setta. Tuttavia il gnosticismo di C. riuscì a sopravvivere fino al IV
secolo.
----- Carpocrate di Alessandria
(m.ca.138)
Carpocrate era un filosofo alessandrino gnostico,
discepolo di Cerinto e fondatore della scuola gnostica detta, per l'appunto,
carpocraziana. Si sa molto poco della sua vita, se non che predicò sotto
l'imperatore Adriano (117-138) e che ebbe un figlio, di nome Epifane (o
Epifanio) suo successore nella diffusione della dottrina paterna. Le scarse
notizie su C. derivano da una lettera attribuita a Epifane e da un testo di
Ireneo di Lione.
La dottrina C., come il suo maestro Cerinto,
predicava che il mondo era stato creato da angeli inferiori o decaduti,
chiamati demoni, che copulando con gli angeli, avevano generato gli esseri
umani ed il mondo materiale. Le anime degli uomini erano stati intrappolati
da questi demoni nei corpi e sottoposte a sofferenze per secoli e secoli,
mediante continue e inconcludenti reincarnazioni. Gesù Cristo, venuto al
mondo, secondo C., come tutti gli altri esseri umani, aveva la conoscenza
(gnosi) dell'unica maniera di sfuggire alla prigione terrena: cioè di
disprezzare le leggi della società del suo tempo, terminando così la tirannia
delle inibizioni imposte dal nostro mondo. Perciò soltanto accettando
passivamente i desideri (un concetto molto simile a quello di Basilide), le
anime umane potevano risalire al cielo. Altrimenti dovevano essere rimandate
in un altro corpo, perché mancava ancora qualcosa nella loro libertà, come
riferiva Ireneo. Conseguentemente i carpocraziani praticavano il
libertinaggio e il rifiuto del matrimonio, l'abolizione dei ranghi sociali e
la messa in comune dei propri beni (una forma di comunismo ante litteram), ed
erano dediti alle arti magiche e alla preparazioni di filtri d'amore, sempre
secondo Ireneo. Questo comportamento dei carpocraziani scandalizzò sia
diversi maestri gnostici di altre scuole che, ovviamente, gli ortodossi
cristiani, i quali riuscirono a distruggere quasi tutti i documenti scritti
della setta. Tuttavia il gnosticismo di C. riuscì a sopravvivere fino al IV
secolo.
----- Carranza de Miranda, Bartolomè
(1503-1576)
Nato a Miranda de Arga, in Spagna, nel 1503 da una
nobile famiglia, Bartolomè Carranza de Miranda studiò a Alcalà ed entrò nel
ordine domenicano nel 1520. Dal suo convento a Benalaque, vicino a
Guadalajara, C. frequentò i corsi di filosofia e teologia all'università di
Salamanca, dove divenne maestro in arti liberali nel 1528. Dal 1534 C.
iniziò ad insegnare teologia a Valladolid e, grazie alla sua crescente
popolarità, gli furono offerti diversi incarichi ufficiali, in particolare,
nei periodi 1545-47 e 1550-51, al Concilio di Trento, e nel 1554 come parte
della delegazione spagnola recatasi in Inghilterra in occasione del
matrimonio del principe Filippo di Spagna [il futuro Filippo II (1556-1598)]
con la regina Maria Tudor d'Inghilterra (1553-1558). C. rimase in Inghilterra
fino al 1557 al servizio del cardinale Reginald Pole (1500-1558), colui che
per poco non era diventato papa nel 1549 (sarebbe bastato che avesse
accettato l'elezione per adorationem), ed in seguito fu perfino sospettato di
eresia da parte del Papa Paolo IV (1555-1559) per le sue idee moderatamente
riformiste. Per tutta la sua vita C. ebbe una forte ritrosia ad occupare
posti di alto prestigio, ma egli fu infine costretto ad accettare nel 1557 la
nomina ad Arcivescovo di Toledo, e conseguentemente Primate di
Spagna. Tuttavia nell'anno successivo, 1558, ebbero inizio i suoi guai con
la pubblicazione dei suoi Commentarios sobre el catechismo
cristiano (commentari sul catechismo cristiano), nei quali la sempre vigile e
temuta inquisizione spagnola trovò una serie di punti di vista
potenzialmente eretici. Una ulteriore perquisizione nei suoi effetti
personali scoprì, tra l'altro, una lettera dell'umanista dissidente Juan de
Valdés e manoscritti, che, analizzati dai teologi domenicani Melchior Cano
(1509-1560) e Dominic Soto (1494-1560), evidenziarono sufficienti elementi
per convincere il Grande Inquisitore Fernando de Valdés y Salas (1483-1568),
arcivescovo di Siviglia, a chiedere al re Filippo II il permesso (poi
accordato) di far arrestare per sospetta eresia C., che fu incarcerato a
Valladolid nel giugno 1558. Ma la giustizia cattolica spagnola, molto
ansiosa di arrestare C., non fu altrettanto sollecita nell'imbastire un
processo e, fra un cavillo burocratico e l'altro, C. rimase agli arresti fino
al 1567, quando, non riuscendo i giudici mandati nel 1565 dal Papa Pio IV
(1559-1565) a trovare un accordo con gli inquisitori spagnoli, il nuovo papa,
Pio V (1566-1572), fece portare l'infelice arcivescovo di Toledo a
Roma. Eppure neanche qui C. ebbe un giudizio rapido e fu tenuto agli
arresti nell'appartamento papale di Castel Sant'Angelo fino al 1576, quando,
sotto il papato di Gregorio XIII (1572-1585), fu finalmente celebrato il
processo e pronunciato il verdetto finale il 14 aprile dello stesso
anno. Il povero C., dopo 18 anni di imprigionamento, fu dichiarato non
colpevole di eresia, ma dovette abiurare 16 sue proposizioni di sapore
luterano, e gli fu ordinato di vivere per cinque anni nel monastero
dell'ordine vicino alla basilica di Santa Maria sopra Minerva a Roma. Ma C.
morì il 2 maggio 1576, 18 giorni dopo la sentenza, e poté finalmente riposare
in pace proprio in Santa Maria sopra Minerva, dove, sotto la spinta della
venerazione popolare, Gregorio XIII fece erigere un monumento sulla sua
tomba.
----- Cartwright, Thomas (ca. 1535-1603)
Il
teologo puritano inglese Thomas Cartwright nacque a Royston, nella
contea inglese del Hertfordshire nel 1535 circa. Fu educato all'università
di Cambridge nel collegio Clare Hall, ma, all'avvento al trono della
regina cattolica Maria Tudor (1553-1558), C. lasciò l'università per lavorare
come impiegato in uno studio legale. Solo in seguito alla salita al trono
di Elisabetta I nel 1558, C. ritornò all'università di Cambridge per
completare i suoi studi di teologia al collegio Saint John's, dove nel 1560
divenne professore. Insegnò inoltre, come professore associato, al Trinity
College dal 1563. Fu proprio nel 1563 che scoppiò la Controversia sui
Paramenti, derivata dall'opposizione di alcuni prelati e teologi all'uso, da
parte degli ecclesiastici, del cappello e toga nella vita giornaliera e della
cotta in chiesa. Questa presa di posizione critica e il successivo desiderio
di semplificare l'organizzazione e i cerimoniali della Chiesa Anglicana
furono i punti principali del movimento, denominato Puritanesimo, formato
dai protestanti inglesi che volevano "purificare", cioè rendere pura, la
Chiesa da tutte le forme "corrotte" e non previste dalle Sacre Scritture. C.
fu considerato il più autorevole teologo del movimento insieme a Walter
Travers (ca. 1548-1635) e William Perkins (1558-1603). Con l'eccezione di
una pausa di tre anni (1565-1567) in Irlanda come cappellano dell'arcivescovo
di Armagh, C. rimase sempre a Cambridge ad insegnare teologia fino al 1569,
anno in cui fu nominato professore titolare della cattedra di teologia al
Lady Margaret College. Tuttavia, solo l'anno dopo, egli entrò in grave
conflitto con John Whitgift (ca. 1530-1604), futuro arcivescovo di
Canterbury, ma all'epoca vice-cancelliere dell'università, oltre che
professore regio di teologia e direttore del Trinity College. Whitgift,
che si oppose duramente al concetto anti-episcopale della Chiesa anglicana di
C., fece sospendere quest'ultimo dal ruolo di professore nel dicembre 1570 e
lo privò dell'associazione al Trinity College nel settembre 1571. Ma già
precedentemente, all'inizio del 1571, C. era emigrato a Ginevra, dove insegnò
per un anno circa all'Accademia ed approfondì lo studio del calvinismo sotto
le direttive di Théodore de Bèze, il capo della Chiesa di Ginevra, dopo la
morte del suo fondatore, Giovanni Calvino. C. partecipò attivamente alla vita
religiosa di Ginevra, probabilmente accompagnando Bèze al Sinodo calvinista
francese, tenutosi a La Rochelle nell'aprile 1571 e stringendo un'amicizia
con il riformatore scozzese Andrew Melville. Il teologo puritano rientrò
in Inghilterra con la prospettiva di diventare professore di lingua ebraica a
Cambridge, proprio nel momento in cui infuriava la polemica sorta in seguito
alla Ammonimento al Parlamento (Admonition to the Parlament) un appello,
sotto forma di manifesto, pubblicato da due puritani, John Field (1545-1588)
e Thomas Wilcox (1549-1603), che esortava ad una struttura non episcopale
della Chiesa Anglicana. Non solo C. condivideva questi concetti, ma
contribuì alla stesura di un secondo Ammonimento, che lo mise seriamente nei
guai: dovette fuggire all'estero, rimanendo lontano dall'Inghilterra fino al
1585. Risedette principalmente ad Anversa, dove fu nominato pastore della
locale chiesa calvinista, ma non disdegnò di aiutare chiese consorelle, come
quelle delle Isole della Manica, mentre nel 1575 declinò l'invito dell'amico
Melville di diventare cattedratico all'università di Saint Andrews, in
Scozia. Nel 1585 rientrato in patria, fu imprigionato per un breve periodo,
ma in seguito divenne direttore dell'ospedale, fondato dal Conte di
Leicester, a Warwick. Nel 1590 fu condannato dall'alta corte e
imprigionato nel carcere di Fleet a Londra, ma, ancora una volta, i suoi
protettori riuscirono a farlo ben presto liberare. C. trascorse i suoi
ultimi anni di vita a Warwick, dove morì il 27
dicembre 1603.
----- Ubertino da Casale
(1259-c.1330)
Ubertino nacque a Casale Monferrato nel 1259 ed
entrò in un convento francescano in provincia di Genova nel 1273. Dopo gli
studi a Parigi, nel 1287 U. si stabilì in Toscana, nel convento di Santa
Croce a Firenze, dove divenne discepolo di Pietro di Giovanni (Pierre Jean)
Olivi. Intraprese quindi la carriera di predicatore e ben presto
venne considerato il punto di riferimento dei francescani spirituali
della Toscana, i più accaniti nel condannare, senza mezzi termini, papi,
come Gregorio IX (1227-1241) o Niccolò III (1277-1280), che avevano
permesso qualsiasi forma di ammorbidimento della dura Regola
francescana. Tuttavia Papa Benedetto IX (1303-1304), non gradendo le critiche
ai suoi predecessori convocò U. e gli intimò di ritirarsi nel convento di La
Verna (vicino a Perugia), proibendogli ulteriori attività di predicatore.
Ma perfino nel convento egli si mise nei guai scrivendo nel 1305 la sua
opera principale, Arbor vitae crucifixae Jesu Christi, dove egli difese gli
ideali di povertà degli spirituali, e a causa della quale fu
scomunicato. Nel 1310, per intercessione del teologo spagnolo Arnaldo di
Villanova (o di Villanueva) presso il re di Napoli Carlo II d'Angiò (o forse
suo figlio Roberto) U. fu convocato ad Avignone da Papa Clemente V
(1305-1314) per discutere la possibilità di una rappacificazione tra le due
anime dei francescani, i conventuali, rappresentati dal generale
dell'ordine, Gundisalvo di Valleboa e gli spirituali, rappresentati dai capi,
Raymond Gaufredi, Guy de Mirepoix, Bartolomeo Sicardi e U. stesso.
Durante l'incontro U. non fece altro che riaffermare con forza il suo
convincimento che i frati minori dovessero seguire alla lettera la Regola ed
il Testamento di San Francesco. Fu posto quindi sotto la custodia del
cardinale Giacomo Colonna fino al 1317, quando gli fu ordinato da parte del
nuovo Papa Giovanni XXII (1316-1334), in un incontro ad Avignone a cui
partecipò anche Bernard Délicieux, di ritirarsi nel convento di Gembloux,
vicino a Liegi in Belgio. Peggio andò ad altri 25 spirituali, che furono
torturati da parte dell'Inquisizione e quattro di essi, che non riconobbero
l'autorità papale sul movimento, furono bruciati sul rogo nel 1318. Nel
1322, U. fu nuovamente convocato dal Papa ad Avignone per esprimere il suo
parere sul litigio in atto tra Domenicani e Francescani sulla povertà di Gesù
Cristo e degli apostoli. U. se la cavò con una diplomatica risposta, che
soddisfò l'irascibile papa: egli affermò che Gesù e gli apostoli erano poveri
in termini di proprietà personali, ma che avevano potuto far uso di beni e
denari per ogni necessità. Tuttavia questo compromesso provocò la
convocazione del Capitolo Generale dei Francescani da parte del generale
Michele da Cesena, fino a quel momento allineato su posizioni moderate. Il
Capitolo dichiarò solennemente l'assoluta povertà di Gesù Cristo e degli
apostoli, provocando la reazione di Giovanni XXII, che scomunicò questa
affermazione nel 1323. Avendo fatto una dichiarazione gradita al papa, si
poteva pensare che U. fosse al sicuro da ogni attacco: eppure, solo tre anni
dopo l'episodio di Avignone, nel 1325, egli fu nuovamente scomunicato per
aver difeso il pensiero del suo maestro Pietro di Giovanni Olivi. Tuttavia
egli intuì in anticipo l'ennesima condanna e fuggì da Avignone, per
aggregarsi alla corte dell'imperatore Ludovico il Bavaro, accompagnandolo,
assieme a Giovanni di Jandun, Michele da Cesena, Guglielmo di Occam e
Marsilio di Padova, nel suo viaggio a Roma nel 1328. Morì verso il 1330,
assasinato secondo la versione dei fraticelli, eredi degli spirituali, che lo
venerarono come un santo.
Ubertino da Casale fu ricordato da Umberto
Eco nel romanzo "Il Nome della Rosa" e da Dante nel dodicesimo canto del
Paradiso (XII, 121-126):
Ben dico, chi cercasse a foglio a
foglio nostro volume, ancora troveria carta u' leggerebbe "l' mi son quel
ch'ì' soglio"
ma non fia da Casal né d'Acquasparta là onde vegnon
tali a la scrittura, ch'uno la fugge e altro la coarta.
----- (San)
Giovanni Cassiano (ca. 360-ca. 435) e semipelagianismo e
massiliani
La vita Giovanni Cassiano nacque in Provenza ca.
nel 360 da famiglia molto benestante e ricevette in gioventù un'ottima
educazione. Ancora giovane, decise con un suo amico, tale Germano, di
visitare i luoghi sacri in Palestina, soggiornando lungamente in Betlemme.
Tuttavia a colpire profondamente C. fu soprattutto una visita ai più famosi
eremi del deserto egiziano, dove conobbe e divenne probabilmente discepolo di
Evagrio Pontico, il grande ispiratore del monachesimo
orientale. Dall'Egitto, C. si trasferì a Costantinopoli, dove diventò allievo
di San Giovanni Crisostomo, patriarca della città, il quale lo nominò diacono
e tesoriere della cattedrale. Tuttavia, nel 403, Crisostomo fu condannato
all'esilio ad Antiochia e poi nel Ponto, dal sinodo di Ad Quercum, cioè la
Quercia, sobborgo di Costantinopoli, in seguito ai loschi maneggi del suo
acerrimo avversario, Teofilo, patriarca di Alessandria. Per perorare la
causa di Crisostomo, C. fu inviato presso Papa Innocenzo I (401-417) a Roma,
dove fu successivamente ordinato sacerdote. Nel 415, C. fondò a Marsiglia due
monasteri, uno per uomini, intitolato a San Vittore, e l'altro per donne,
sull'esempio di quelli egiziani, ed in Provenza visse per il resto della sua
vita, scrivendo i suoi due libri, De institutis coenobiorum e Collationes,
rispettivamente un trattato di regole monastiche ed una serie di
conversazioni di C. con eremiti egiziani. C. morì nel 435 ca. Benché non
sia stato mai canonizzato dalla Chiesa Cattolica, tale lo considerarono due
papi: San Gregorio Magno (590-604) e Urbano V (1362-1370), quest'ultimo ex
abate di San Vittore di Marsiglia. Inoltre venne nominato santo dalla Chiesa
Greca e a Marsiglia viene celebrato la sua festa il 23 Luglio.
La
dottrina del semipelagianismo C. venne considerato il fondatore dell'eresia
(condannata, per la verità, in maniera definitiva quasi 100 anni dopo la sua
morte) conosciuta come semipelagianismo, tentativo ingegnoso di mediare le
posizioni del Pelagianismo e quelle espresse da Sant'Agostino. Se i
pelagiani affermavano che, con la propria volontà (liberum arbitrium) e per
mezzo di preghiere ed opere buone, l'uomo poteva, senza l'intervento della
Grazia divina, evitare il peccato e giungere alla salvezza eterna, ed gli
agostiniani affermavano che, al contrario, senza l'intervento della Grazia
divina, l'uomo non poteva salvarsi; C. predicò che l'uomo non poteva salvarsi
senza la Grazia divina, tuttavia doveva decidere di vivere in maniera
virtuosa, prima che Dio concedesse la Sua Grazia. In questa maniera, secondo
C., sia la volontà dell'uomo che la Grazia divina erano importanti per la
salvezza, tuttavia la predestinazione eterna era più legata alla volontà
umana, fondamentale per l'ottenimento successivo della Grazia.
Il
semipelagianismo e i massiliani Le dottrine di Giovanni Cassiano furono
propagandate dai monaci di San Vittore in Marsiglia, che dal nome latino
della città furono denominati massiliani. Essi, partendo da una iniziale
posizione neutrale verso Sant'Agostino, diventarono man mano suoi avversari.
Agostino impiegò gli ultimi anni della sua vita per confutare le loro tesi,
tuttavia, nel 430, durante l'assedio di Ippona da parte dei Vandali, egli
morì. La lotta contro i massiliani fu ereditata dal suo discepolo Prospero di
Aquitania senza particolare fortuna, visto che per tutto il V secolo, il
semipelagianismo rimase la dottrina più diffusa in tutta la Gallia. Di
questo periodo l'esponente più autorevole fu Fausto, vescovo di Riez. Nel VI
secolo, tuttavia, una nuova confutazione fu elaborata da San Fulgenzio,
vescovo di Ruspe (in Nord Africa), il "novello Sant'Agostino", che, esiliato
in Sardegna dal re ariano dei Vandali, Trasmundo, scrisse una confutazione
delle tesi di Fausto, accelerando la fine della
dottrina semipelagianista. Questa era difesa all'epoca da Cesario, vescovo
di Arles, il quale fu attaccato dapprima nel sinodo di Valence del 528, ma
soprattutto nel secondo sinodo di Orange del 529. Quest'ultima
congregazione condannò il semipelagianismo, oltre al pelagianismo, come
eresia e le sue conclusioni furono ratificate nel 530 da Papa Bonifacio II
(530-532).
----- Cassiano, Giulio (III secolo)
Giulio
Cassiano, da non confondere con il più noto Giovanni Cassiano, visse nel III
secolo. Egli affermò che un corpo umano non poteva essere degno di accogliere
Dio incarnato e quindi che l'umanità e le sofferenze di Gesù Cristo fossero
più apparenti che reali, perché tutto ciò era una apparenza. Fu, quindi,
un caposcuola di uno dei vari filoni del docetismo (dal greco dokéin,
cioè apparire).
----- Castellion (o Châtillon), Sébastien
(1515-1563)
Sébastien Castellion (o Châtillon) nacque a
Saint-Martin-du-Fresne, nella regione della Savoia (Francia) nel 1515 e
studiò all'università di Lione. Nel 1536 egli fu fortemente colpito dalla
lettura della Institution chrétienne di Calvino e decise quindi, nel 1540, di
recarsi a Strasburgo per incontrare il riformatore, dal quale venne
convertito e con cui strinse un'amicizia, che si rivelò però in seguito molto
tribolata. Infatti nel 1541, dopo il ritorno di Calvino a Ginevra, questi
chiamò C. a dirigere il locale ginnasio, ma l'anno successivo il rapporto si
incrinò con la pubblicazione dei Dialogues sacrés dell'umanista savoiardo,
dove C. espresse la sua opposizione contro l'assolutismo, e conseguentemente
contro l'autorità assoluta spirituale di Calvino a Ginevra, basata sulla
Parola di Dio, cioè le Sacre Scritture, che non erano materia di
discussione. Inoltre C. aveva osato criticare il valore canonico del Cantico
dei Cantici, da lui inteso come una poesia d'amore con risvolti erotici, e
non un'allegoria religiosa, e aveva dato inoltre una sua
personale interpretazione, del tutto letterale, del testo del Credo dove si
faceva riferimento alla discesa di Gesù all'inferno. Queste affermazioni
furono esaminate da Calvino e dal concistoro cittadino, in concomitanza alla
domanda di C. di diventare predicatore: l'ovvia risposta fu una bocciatura,
che costrinse il savoiardo ad emigrare nel 1543 a Basilea dove visse in grave
miseria fino al 1553: fu perfino costretto per sopravvivere a procurarsi la
legna per la casa, trascinando a riva con un gancio da pescatori i tronchi
vaganti sul Reno. Infatti solo in quell'anno l'università di Basilea lo
nominò professore di greco antico, ma in quell'anno il 27 ottobre fu un
triste giorno per la tolleranza religiosa: fu infatti condannato al rogo a
Ginevra il medico umanista spagnolo Michele Serveto, che, in fuga
dall'Inquisizione, cadde dalla pentola cattolica nella brace
dell'intolleranza calvinista. Fra le numerosissime voci di protesta si levò
quella di C., che scrisse l'anno successivo, sotto lo pseudonimo di Martin
Bellius, il suo libro più famoso, De haereticis, an sint persequendi (Gli
eretici devono essere perseguiti?), un appassionato appello alla tolleranza
ed alla libertà religiosa, con frequenti citazioni di Martin Lutero, di
Sebastian Franck, di Erasmo da Rotterdam e dello stesso C. La libertà
religiosa era, secondo C., legata ad un concetto molto soggettivo della
verità e della sua ricerca. Infatti non bisognava cercare la
verità dottrinale assoluta, ma accordarsi sulle regole base della morale
cristiana, confrontando le varie idee. E, a causa di questa soggettività,
veniva anche a cadere il concetto di eresia, o perlomeno diventava molto
relativo. La reazione contro C. fu durissima e lanciata sia da Theodore de
Bèze, che nel suo scritto polemico De haereticis a civili magistratu
puniendis denunciò la sua "carità diabolica, e non cristiana" che da Calvino
in persona. Anche a Basilea, dove C. risiedeva, egli fu attaccato per la
sua posizione contro la predestinazione e per il suo amore per la
libertà. Nuovamente nel 1562 C. entrò in polemica con Calvino nel suo libello
Conseil à la France désolée dove a proposito dell'esecuzione di Serveto, ebbe
a dire "uccidere un uomo non è difendere una dottrina, è uccidere un uomo".
Anche questo scritto fu criticato aspramente e provocò guai e persecuzioni
a coloro che osarono farlo circolare negli ambienti ginevrini. C. morì a
Basilea il 29 dicembre 1563.
----- Castelvetro, Ludovico
(1505-1571)
Uno dei maggiori studiosi e critici del '500 di Dante
(di cui rimane memorabile un commentario della Divina Commedia), Petrarca e
Aristotele (la sua traduzione della Poetica è un riferimento per gli
studiosi) fu Ludovico Castelvetro, nato a Modena nel 1505 da una famiglia
benestante: suo padre era infatti il ricco banchiere Giacomo Castelvetro. Il
giovane Ludovico si laureò in giurisprudenza all'università di Siena e nel
1532 divenne docente di diritto all'università della sua città
natale. Poco dopo, tuttavia, egli abbandonò gli studi giuridici, per
occuparsi di quelli letterari ed entrare a far parte dell'Accademia modenese,
fondata dal medico Giovanni Grillenzoni, allievo di Pietro Pomponazzi, che
riuniva i principali notabili della città, come, ad esempio, Filippo
Valentini ed il professore universitario Francesco Porto (1511-1581), per
discutere di teologia, ma anche per studiare e commentare le Sacre Scritture,
utilizzando direttamente le fonti originarie, un modus operandi caro alla
Riforma. C. stesso si mise in evidenza, curando nel 1532 la traduzione in
italiano dei Loci communes di Melantone, edito sotto il titolo di I principii
de la theologia. D'altra parte le tendenze riformiste di C. si notarono
anche nella rilettura che egli aveva fatto dei testi di Petrarca, presentato
come un proto-protestante, intento a satireggiare sul papato di Avignone e a
fare richiami continui agli insegnamenti di Sant'Agostino o direttamente
alle Sacre Scritture. Tale fu la popolarità raggiunta dall'Accademia che
il cardinale di Modena, Giovanni Morone, coadiuvato dal cardinale Gasparo
Contarini, costrinse nel settembre 1542 gli aderenti a firmare un formulario
di fede, gli Articuli orthodoxae professionis, che C. si rassegnò a
sottoscrivere: non così per il Porto e il Valentini, che preferirono
allontanarsi dalla città. Tuttavia la messa sotto accusa del C. nell'estate
1556, assieme a Bonifacio e Filippo Valentini e al libraio Antonio Gadaldino,
lo consigliò di fuggire da Modena. Calmate le acque, C. rientrò, ma la
comparsa, intorno al 1559, della sua traduzione (probabilmente risalente al
1541) di un'altra opera di Melantone, De Ecclesiae autoritate et de veterum
scriptis libellus (Dell'autorità della Chiesa e degli scritti degli antichi),
mise questa volta seriamente nei guai l'umanista modenese. Infatti, una volta
salito al potere, il nuovo duca di Ferrara e Modena, Alfonso II (1559-1597),
tutt'altro che tollerante verso i protestanti come invece sua madre Renata di
Francia, cercò inutilmente di far processare C. a Ferrara per eresia. C.
decise quindi di presentarsi spontaneamente nell'ottobre 1560 presso
il tribunale del Sant'Ufficio a Roma, ma il 17 dello stesso mese, avuta
la certezza che i giudici avevano visionato la sua traduzione del De
Ecclesiae, fuggì, con l'aiuto di suo fratello Gian Maria, dal convento di
Santa Maria in Via, dove era confinato, in quanto era sicura la sua condanna
come eretico. La sentenza fu effettivamente emessa, ma gli inquisitori
dovettero accontentarsi, a causa dello stato di contumacia, di bruciare il C.
in effigie. Il C. dapprima si nascose, per qualche mese, nella sua villa
di Verdeda (vicino a Modena), quindi lasciò Modena nella primavera 1561 per
Chiavenna, dove fu visitato dal suo ex allievo Fausto Sozzini e dove fu
raggiunto dall'antico amico Francesco Porto, con il quale si trasferì a
Ginevra. Dal 1562 al 1564 C. visse a Ginevra e qui fu raggiunto dai nipoti
Giacomo (1546-1616) e Lelio (1553-1609) Castelvetro, esuli, come lo zio, per
motivi religiosi. Giacomo, dopo anni di esilio volontario all'estero,
rientrò in Italia (a Venezia) nel 1597 e 14 anni dopo, nel 1611, fu arrestato
con l'accusa di eresia. Per sua fortuna, i potentissimi appoggi
internazionali di cui godeva permisero la sua scarcerazione: era stato
nientedimeno che insegnante di italiano del re di Scozia Giacomo VI, poi
Giacomo I re d'Inghilterra (1603-1625), il quale intervenne tempestivamente
per richiedere il suo rilascio. Morì in Inghilterra nel 1616. Il fratello
minore Lelio fu meno fortunato: fu infatti processato e successivamente
bruciato come eretico a Mantova nel 1609. Lo zio Ludovico abitò
successivamente a Lione, in Valtellina (dal 1512 sotto il cantone protestante
dei Grigioni), a Vienna ed infine ritornò a Chiavenna, dove morì il 21
febbraio 1571. Addolorato per la morte dell'amico modenese, Fausto Sozzini
scrisse, in suo onore, un sonetto, in cui l'antitrinitario senese dichiarò
che C. gli aveva chiaramente mostrato la via da seguire: l'esilio in terra
protestante e la palese professione di fede.
----- Castelvetro,
Ludovico (1505-1571)
Uno dei maggiori studiosi e critici del '500
di Dante (di cui rimane memorabile un commentario della Divina Commedia),
Petrarca e Aristotele (la sua traduzione della Poetica è un riferimento per
gli studiosi) fu Ludovico Castelvetro, nato a Modena nel 1505 da una famiglia
benestante: suo padre era infatti il ricco banchiere Giacomo Castelvetro. Il
giovane Ludovico si laureò in giurisprudenza all'università di Siena e nel
1532 divenne docente di diritto all'università della sua città
natale. Poco dopo, tuttavia, egli abbandonò gli studi giuridici, per
occuparsi di quelli letterari ed entrare a far parte dell'Accademia modenese,
fondata dal medico Giovanni Grillenzoni, allievo di Pietro Pomponazzi, che
riuniva i principali notabili della città, come, ad esempio, Filippo
Valentini ed il professore universitario Francesco Porto (1511-1581), per
discutere di teologia, ma anche per studiare e commentare le Sacre Scritture,
utilizzando direttamente le fonti originarie, un modus operandi caro alla
Riforma. C. stesso si mise in evidenza, curando nel 1532 la traduzione in
italiano dei Loci communes di Melantone, edito sotto il titolo di I principii
de la theologia. D'altra parte le tendenze riformiste di C. si notarono
anche nella rilettura che egli aveva fatto dei testi di Petrarca, presentato
come un proto-protestante, intento a satireggiare sul papato di Avignone e a
fare richiami continui agli insegnamenti di Sant'Agostino o direttamente
alle Sacre Scritture. Tale fu la popolarità raggiunta dall'Accademia che
il cardinale di Modena, Giovanni Morone, coadiuvato dal cardinale Gasparo
Contarini, costrinse nel settembre 1542 gli aderenti a firmare un formulario
di fede, gli Articuli orthodoxae professionis, che C. si rassegnò a
sottoscrivere: non così per il Porto e il Valentini, che preferirono
allontanarsi dalla città. Tuttavia la messa sotto accusa del C. nell'estate
1556, assieme a Bonifacio e Filippo Valentini e al libraio Antonio Gadaldino,
lo consigliò di fuggire da Modena. Calmate le acque, C. rientrò, ma la
comparsa, intorno al 1559, della sua traduzione (probabilmente risalente al
1541) di un'altra opera di Melantone, De Ecclesiae autoritate et de veterum
scriptis libellus (Dell'autorità della Chiesa e degli scritti degli antichi),
mise questa volta seriamente nei guai l'umanista modenese. Infatti, una volta
salito al potere, il nuovo duca di Ferrara e Modena, Alfonso II (1559-1597),
tutt'altro che tollerante verso i protestanti come invece sua madre Renata di
Francia, cercò inutilmente di far processare C. a Ferrara per eresia. C.
decise quindi di presentarsi spontaneamente nell'ottobre 1560 presso
il tribunale del Sant'Ufficio a Roma, ma il 17 dello stesso mese, avuta
la certezza che i giudici avevano visionato la sua traduzione del De
Ecclesiae, fuggì, con l'aiuto di suo fratello Gian Maria, dal convento di
Santa Maria in Via, dove era confinato, in quanto era sicura la sua condanna
come eretico. La sentenza fu effettivamente emessa, ma gli inquisitori
dovettero accontentarsi, a causa dello stato di contumacia, di bruciare il C.
in effigie. Il C. dapprima si nascose, per qualche mese, nella sua villa
di Verdeda (vicino a Modena), quindi lasciò Modena nella primavera 1561 per
Chiavenna, dove fu visitato dal suo ex allievo Fausto Sozzini e dove fu
raggiunto dall'antico amico Francesco Porto, con il quale si trasferì a
Ginevra. Dal 1562 al 1564 C. visse a Ginevra e qui fu raggiunto dai nipoti
Giacomo (1546-1616) e Lelio (1553-1609) Castelvetro, esuli, come lo zio, per
motivi religiosi. Giacomo, dopo anni di esilio volontario all'estero,
rientrò in Italia (a Venezia) nel 1597 e 14 anni dopo, nel 1611, fu arrestato
con l'accusa di eresia. Per sua fortuna, i potentissimi appoggi
internazionali di cui godeva permisero la sua scarcerazione: era stato
nientedimeno che insegnante di italiano del re di Scozia Giacomo VI, poi
Giacomo I re d'Inghilterra (1603-1625), il quale intervenne tempestivamente
per richiedere il suo rilascio. Morì in Inghilterra nel 1616. Il fratello
minore Lelio fu meno fortunato: fu infatti processato e successivamente
bruciato come eretico a Mantova nel 1609. Lo zio Ludovico abitò
successivamente a Lione, in Valtellina (dal 1512 sotto il cantone protestante
dei Grigioni), a Vienna ed infine ritornò a Chiavenna, dove morì il 21
febbraio 1571. Addolorato per la morte dell'amico modenese, Fausto Sozzini
scrisse, in suo onore, un sonetto, in cui l'antitrinitario senese dichiarò
che C. gli aveva chiaramente mostrato la via da seguire: l'esilio in terra
protestante e la palese professione di fede.
----- Montano e
montanismo (II secolo)
Che Montano sia stato un riformatore della
giovane Chiesa Cristiana o un millenarista e trascinatore di folle poco
importa, sicuramente egli fu il fondatore di un fenomeno di massa molto
popolare, il montanismo o catafrigismo (dalla Frigia, regione di origine del
movimento), che preoccupò non poco i vescovi cattolici del II e III
secolo.
La vita M. nacque, con ogni probabilità, ad Ardabau, in
Frigia (Asia Minore), nella prima metà del II secolo. Secondo S. Girolamo,
egli era stato sacerdote di Cibele fino alla conversione al Cristianesimo ed
a questo passato tenebroso (il culto di questa dea comprendeva crudeli
cerimonie, come l'autocastrazione dei suoi sacerdoti) il Padre della Chiesa
attribuiva le estasi di M. come comportamento tipico dei seguaci di Cibele.
Oggigiorno si tende, tuttavia, a non dare molto credito a questa ipotesi,
probabilmente una fantasiosa forzatura di S. Girolamo. M. iniziò a
predicare nella regione natale nel 156 (o 157) accompagnandosi con due
profetesse Massimilla e Priscilla (o Prisca), anch'esse, come M., illuminate
dallo Spirito Santo e dotate di capacità profetiche. Ed infatti, invece di
riti più tradizionali, M. riuniva i suoi seguaci in manifestazioni di massa
nella piana tra Pepuza e Tymion (sempre in Frigia), dove i profeti andavano
in estasi e parlavano per bocca dello Spirito Santo. Il fenomeno montanismo
continuò a diffondersi fino alle prime reazioni, piuttosto contrastanti, da
parte della Chiesa: la denuncia fatta nel 171 dal vescovo di Ierapoli,
Apollinare e l'attacco da parte di Sant'Ireneo (ca. 140-200) (per la verità,
non molto incisivo per il fatto che Ireneo stesso era un millenarista
convinto come M.) nel suo Adversos haereses del 177 vennero vanificati
dall'atteggiamento piuttosto neutrale dei Papi Eleuterio (175-189) e Vittore
I (189-199), nel periodo dei quali il movimento poté prosperare
indisturbato. Infatti una vera e propria condanna avvenne solo nel 202/203,
sotto Papa Zefirino (199-217), cioè molti anni dopo la morte dell'ultima dei
tre fondatori, Massimilla avvenuta nel 179 (la data della morte di
Montano,che, secondo alcune fonti, si sarebbe impiccato, e di Priscilla è
probabilmente anteriore). Anche dopo la morte dei fondatori e nonostante
la persecuzione da parte dell'imperatore Settimio Severo (173-211) nel 193,
il montanismo continuò a diffondersi in Asia Minore, Africa settentrionale
(Cartagine), Gallia (Lione) e a Roma stessa, dove diventarono celebri le
scuole montaniste di Eschine e Proclo. A Cartagine, nel 207, fu guadagnato
alla causa montanista un convertito d'eccellenza: il noto scrittore e teologo
cristiano Tertulliano (ca. 155-222). Il movimento si espanse fino al IV
secolo, quando iniziò il suo lento declino grazie al nuovo corso dato alla
Chiesa Cristiana dall'imperatore Costantino (306-337), ma si estinse solo nel
VI secolo soprattutto a causa delle dure repressioni ordinate dall'imperatore
Giustiniano (527-565), durante il regno del quale, si dice, furono scoperti e
bruciati i resti di Montano, Massimilla e Priscilla. Tuttavia sopravvisse
qualche frangia montanista isolata , poiché nel VIII secolo se ne sentiva
ancora l'influenza tant'è che l'imperatore d'Oriente Leone III l'Isaurico
(717-741) adottò misure repressive contro i montanisti nel 722.
La
dottrina Il montanismo non era dotata di una vera e propria dottrina, bensì
di una serie di comportamenti e precetti. Infatti, sotto questo punto di
vista, non si può definire una eresia vera e propria, ma piuttosto uno scisma
interno alla Chiesa Cristiana. Lo scisma era sorto perché i montanisti
affermavano la superiorità dei profeti carismatici sui vescovi e ammettevano,
in contrasto con la Chiesa "ufficiale", la partecipazione delle donne,
soprattutto per quanto riguardava le rivelazioni e le profezie: Massimilla e
Priscilla ne erano i più celebri esempi. I montanisti erano
quartodecimani, cioè festeggiavano la Pasqua il 14° giorno del mese di Nisan
(mese ebraico tra Marzo e Aprile, il cui inizio era stabilito dalla luna di
Marzo), indipendentemente dal giorno della settimana, e non nella domenica
successiva. Tuttavia il vero punto focale del movimento era lo spirito
millenarista, l'attesa del ritorno a breve di Cristo sulla terra, chiamata
parusía: ciò era probabilmente dovuto all'enorme influenza sul mondo
cristiano di quel periodo che ebbe l'Apocalisse di Giovanni. I montanisti,
quindi, per prepararsi degnamente a questa venuta, avevano adottato dei
comportamenti morali molto severi: proibivano il secondo matrimonio, e certe
volte il matrimonio stesso, praticavano la castità assoluta e periodi di
digiuno molto drastici, erano inflessibili con chi commetteva i peccata
graviora (adulterio, omicidio, apostasia) e condannavano coloro che fuggivano
durante le persecuzioni, arrivando perfino a lodare l'autodenuncia. Per i
suoi seguaci, M. era il novello paraclèto, cioè consolatore, secondo il passo
dal Vangelo di San Giovanni (14,16): io invocherò il Padre ed egli vi darà un
altro consolatore, affinché resti con voi per sempre, e la nuova Gerusalemme,
scesa dal cielo in terra, sarebbe diventata la città di Pepuzia (da cui il
nome di pepuziani dato ai montanisti) secondo l'interpretazione di un sogno
di Priscilla. E nonostante che le date fissate per la parusía venissero
puntualmente disattese, come spesso è successo anche in altri casi (vedi le
sette millenariste del XIX e XX secolo), la popolarità del movimento rimase,
come si è detto, altissimo per parecchio tempo.
----- Catari o
albigesi (XII - XIII - XIV secolo)
I catari furono la grande
alternativa religiosa alla Chiesa Cattolica d'Occidente nel XII e XIII
secolo. Nei loro confronti la reazione della Chiesa fu fortissima e
probabilmente proporzionata alla paura che questa setta potesse mettere in
crisi l'intera istituzione cristiana. Non si trattava infatti di singoli
eretici da punire, ma di un fenomeno di vasta portata, a cui l'Europa
occidentale medioevale non era abituata, e che ricordava i grandi movimenti
religiosi eterodossi che avevano afflitto l'Impero Romano d'Oriente, come ad
esempio i pauliciani. E' difficile altrimenti da spiegare la creazione di un
potentissimo mezzo di repressione, come l'Inquisizione, la fondazione di un
ordine religioso, i domenicani, preposti a confutare le dottrine c. e
l'organizzazione di una crociata, con relativa licenza di massacro, di
cristiani contro altri cristiani. Tuttavia bisogna anche tener conto che, in
quel momento, lo stesso potere di uno stato sovrano, come la Francia, già
dilaniata dalla guerra dei Cent'anni con l'Inghilterra, avrebbe potuto essere
messo in discussione da questa setta (o meglio dal suo alleato laico, il
potente conte di Tolosa): essa quindi fu schiacciata dall'azione combinata di
Stato e Chiesa.
La storia A) I predecessori Su questo punto, i
commentatori e gli storici si dividono in due gruppi: Coloro i quali vedono
nei catari una continuità del grande filone dualista, dai gnostici a
Novaziano ai manichei ai già menzionati pauliciani ai bogomili, e Coloro
che, pur non negando qualche similitudine con le sette dualiste precedenti,
sono convinti della originalità del pensiero cataro, sviluppato come reazione
alla corruzione dilagante nella Chiesa. Del resto anche le attività di
predicatori itineranti all'inizio del XII secolo, come Pietro di Bruis,
Enrico di Losanna, Tanchelmo di Brabante, Eon de l'Etoile, furono il segno di
quel malessere, diffuso soprattutto a livello delle classe più deboli della
popolazione, e che poté creare un substrato ideale per lo sviluppo di
popolarità del catarismo.
B) L'inizio e i precursori Già dal 1018,
i cronisti Ademaro di Chabannes e Rodolfo il Glabro riferirono di "manichei"
diffusi nella Francia meridionale, citando gli episodi di Leutard, i canonici
di Santa Croce di Orléans, gli eretici di Arras. Simili episodi si
segnalarono anche in altre nazioni, come ad esempio Gerardo di Monforte in
Italia. Nel 1143, Evervino di Steinfeld scrisse a San Bernardo di
Chiaravalle (1090-1153) per informare sulla presenza nella Renania, a
Colonia, di eretici, anche donne, organizzati in uditori e eletti, che
accettavano solo il Padre Nostro come preghiera e si rifiutavano di
frequentare le chiese e ricevere i sacramenti, eccetto una particolare forma
di comunione. Gli eretici furono bruciati e Evervino si stupì che salissero
serenamente, o addirittura con gioia, sul rogo. Di simili fatti narrò anche
Ecberto di Schonau. Pochi mesi dopo, lo stesso Bernardo accorse nella
Francia meridionale, su invito del legato pontificio cardinale Alberico di
Ostia, con lo scopo di intervenire contro le predicazioni di Enrico di
Losanna a Tolosa, salvo poi rendersi conto dell'elevata diffusione del c.
nella zona. Ogni tentativo del Santo di convertire gli albigesi (come li
chiamò dal nome della città di Albi) non ebbe successo e tre anni dopo, nel
1148, il concilio di Tours li condannò, stabilendo che, se scoperti, essi
dovessero essere imprigionati e i loro beni confiscati. Tuttavia queste
disposizioni non sembra che avessero avuto particolare effetto, anzi proprio
in Francia meridionale, nella Linguadoca e in Provenza, i c. si consolidarono
maggiormente. Questa regione, a ridosso dei Pirenei, nota anche come
Occitania, era stata parte dell'ex regno dei Visigoti durante l'alto
Medioevo, si era sviluppata come cuscinetto tra il regno dei Franchi a Nord e
gli Arabi a sud ed era, dal punto di vista politico, linguistico, culturale e
della tolleranza, profondamente diverso dal resto dell'odierna Francia.
Infatti gli occitani parlavano la lingua d'oc, e non l'oil come nel resto
della Francia, avevano sviluppato la lirica dei trovatori (alcuni dei quali,
come Guglielmo Figueira, furono c.), tolleravano gli ebrei e i pensatori
eterodossi cristiani. Vent'anni dopo la missione di San Bernardo, nel 1165
a Lombez fu tenuto un pubblico contraddittorio tra teologi cattolici e c.,
con a capo un tale Oliviero, che si risolse in un nulla di fatto. Fu in
quel periodo che i cattolici iniziarono a chiamarli catari, sulla
cui etimologia gli autori dell'epoca hanno concepito due teorie:
più probabilmente dal greco Kàtharoi cioè puri, o più folcloristicamente
dal latino medioevale catus, gatto, un classico travestimento di Lucifero,
al quale gli eretici, durante i loro riti (secondo i loro
detrattori), baciavano le terga! Furono anche denominati pubblicani o
pobliciani o populiciani, in collegamento ad un'altra eresia medioevale
dualista, il paulicianesimo. Un ulteriore nome fu "bulgari", dal paese
originario della setta dei bogomili o "manichei" per un collegamento con
l'eresia di Mani o impropriamente "ariani" (o arriani) per una connessione
con le tesi cristologiche di Ario. Dal mestiere abitualmente svolti da molti
dei credenti furono anche chiamati tixerand, dal antico francese per
tessitori, mentre grande confusione fanno ancora alcuni autori anglosassoni,
che si ostinano a chiamarli patarini, confondendoli con il noto
movimento riformista, e non certo dualista, della Pataria del XI
secolo. Invece i c. chiamarono se stessi sempre e semplicemente boni homini o
boni christiani.
Nel 1167, essi tennero il loro concilio a
Saint-Félix de Caraman (o de Lauragais), vicino a Tolosa, al quale
parteciparono il vescovo bogomila Niceta (impropriamente definito il "papa
cataro"), e i vescovi della Chiesa di Francia, Robert d'Espernon e di Italia,
Marco di Lombardia, oltre a Siccardo Cellarerius di Albi e Bernard Catalanus
di Carcassonne, in rappresentanza delle altre realtà c. francesi. La presenza
di Niceta servì ad avvallare la tesi che il bogomilismo di tipo assoluto,
tipico della Chiesa di Dragovitza, in Bosnia, aveva influenzato in maniera
decisiva la dottrina c. se non fin dall'inizio, almeno da questo momento in
avanti. Inoltre, il movimento nella Francia meridionale fu ristrutturato in
quattro chiese: Agen, Tolosa, Albi e Carcassonne.
C) La reazione
dei cattolici Il periodo tra il 1178 ed il 1194 vide il fallimento di diversi
tentativi di avvicinamento tra cattolici e c. in Linguadoca, mentre nel 1194
divenne conte di Tolosa, Raimondo VI (1194-1222), che era favorevole ai c. e
sul cui territorio poterono svilupparsi indisturbate le diocesi c. di Agen e
Tolosa. Tuttavia anche quelle di Albi e Carcassonne non correvano
particolari rischi, in quanto comunque in territorio amico, essendo sotto il
controllo del visconte Raimond-Roger Trencavel, nipote di Raimondo VI. La
svolta si ebbe nel 1198 con la salita al trono pontificio di Papa Innocenzo
III (1198-1216), ideatore di una vera e propria campagna contro
i c. Dapprima egli inviò nel 1207-1208 famosi predicatori come (San)
Domenico di Guzman (n. 1170- m.1221) e Diego d'Azevedo, vescovo di Osma, per
cercare di convertire i c., ma i dibattiti pubblici, come già precedentemente
quelli del 1165, non approdarono ad alcun risultato, anzi i teologi c.,
come Guilhabert de Castres, ne uscirono a testa alta. Allora Innocenzo
passò alle vie di fatto e bandì una crociata contro gli albigesi, prendendo
come pretesto l'assassinio (in realtà a sfondo politico e non certo
dogmatico), a Saint-Gilles nel 1208, del legato papale e monaco cistercense
Pietro di Castelnau, al quale forse non era estraneo lo stesso Raimondo VI,
scomunicato dal legato stesso nel 1207. Alla Crociata parteciparono vari
nobili della Francia settentrionale, come il Duca di Borgogna ed il Conte di
Nevers, ed avventurieri di pochi scrupoli, attratti sia dall'indulgenza dai
peccati, che, molto più materialmente, dalle possibilità di saccheggio o
addirittura di divenire padroni delle città della Linguadoca. L'esercito
crociato contava un totale di 20.000 cavalieri e oltre 200.000 soldati e
servi al seguito. Il 22 luglio 1209 la prima città ad essere posta sotto
assedio, Béziers fu espugnata dai crociati, e il legato papale Arnaud Amaury,
abate di Citeaux, interrogato su come si potesse distinguere gli abitanti
cattolici da quelli c., pronunciò la famigerata e tremenda frase: "Uccideteli
tutti, Dio saprà riconoscere i suoi". Furono massacrate 20.000 persone e
Amaury ricevette le congratulazioni dal Papa in persona! Stessa sorte
toccò a Carcassonne, dove fu imprigionato e morì in carcere il visconte
Raimond-Roger di Trencavel. Dal 1210 i crociati, con a capo Simon IV de
Montfort, conquistarono una impressionante serie di città o cittadine c. :
Agen, Albi, Birou, Bram, Cahusac, Cassés, Castres, Fanjeaux, Gaillac, Lavaur,
Limoux, Lombez, Minerve (qui 140 catari si gettarono spontaneamente nelle
fiamme), Mirepoix, Moissac, Montégut, Montferrand, Montrèal, Pamiers, Penne,
Puivert, Saint Antonin, Saint Marcel, Saverdun, Termes, furono tutte
espugnate secondo un crudele copione ben collaudato: seguivano mutilazione di
nasi, occhi, orecchie e ovviamente l'onnipresente rogo dove bruciare gli
eretici. Un episodio per tutti fu la conquista di Lavaur nel 1211 con il rogo
di ben 400 c. e l'uccisione di Giraude di Lavaur, una nobile c., sorella
del comandante della guarnigione, molto timorata di Dio e amata da tutti i
suoi concittadini, anche cattolici. Giraude fu gettata in un pozzo e lapidata
a morte dai crociati. Ogni signore locale di queste città lottò per la sua
sopravvivenza, anche se questa significava passare per faydit, colui che era
eretico o proteggeva gli eretici ed i suoi terreni venivano dati in
ricompensa ai crociati. Nel 1212 intervenne nella crociata, prendendo le
difese dei tolosani, anche il re d'Aragona, Pietro I (1177-1213), cognato di
Raimondo, poiché molte delle terre in questione almeno formalmente facevano
parte del suo regno. Fra gli Aragonesi ed i crociati la lite degenerò in
guerra, ma all'assalto di Muret, con i crociati, tanto per cambiare, nel
ruolo di assediati, Pietro fu ucciso. Il boccone più difficile per i
crociati si rivelò l'assedio della capitale Tolosa del 1217-1218, dove Simon
de Montfort venne ucciso da una pietra lanciata da una donna. Prese allora il
comando della crociata l'inetto figlio di Simon, Amaury VI de Montfort, con
scarso successo. La situazione politica comunque stava già cambiando tutta a
favore del re di Francia, sia nel 1215, quando il futuro re di Francia Luigi
VIII il Leone (1223-1226) era intervenuto personalmente nelle operazioni
militari, che nel 1224 quando lo stesso, diventato sovrano obbligò Amaury di
fare dono di tutte le terre conquistate alla corona di Francia. Oltretutto
l'incapacità di Amaury permise ai c. ed ai conti di Tolosa di serrare le
fila, prima della parte finale della guerra voluta da Papa Onorio III
(1216-1227) e condotta da Luigi VIII in persona, e, per questo, denominata
Crociata reale (1226-1228). Alla fine nel 1229, Raimondo VII di Tolosa
(1222-1249) spossato da una guerra, che aveva totalmente stravolto il
Mezzogiorno della Francia, accettò una pace, mediata da Bianca di Castiglia,
madre del nuovo re minorenne Luigi IX (1226-1270), e ratificata con il
trattato di Meaux. Raimondo conservò parte delle sue terre, cedendo il resto
alla Francia, dovette dichiarare la sua fedeltà al re, ma soprattutto negare
ogni appoggio ai boni homini.
D) La fine A questo punto ai
militari subentrarono gli inquisitori domenicani e francescani, la cui
attività era stata ufficializzata nel 1233 dal Papa Gregorio IX (1227-1241)
come Inquisitio heretice pravitatis. Gli inquisitori, odiati dalla
popolazione locale, imperversarono sul territorio per circa 100 anni
(1233-1325), in realtà facendo uccidere meno persone di quanto si è portati a
credere (solitamente solo i c. "perfetti", che si rifiutavano di abiurare),
ma utilizzando metodi di tortura e pressione psicologica di una sottile
efferatezza. L'odio per gli inquisitori si concretizzò ad Avignonnet nel
1242, dove due di essi (Arnauad Guilhelm de Montpellier e Étienne de
Narbonne) e il loro seguito furono massacrati. Questo fu il pretesto per
scatenare un ultimo colpo di grazia ai catari asserragliati nella fortezza di
Montségur il cui assedio nel 1243-1244 fu l'atto finale della guerra contro i
c. Montségur era infatti diventata, dal 1232, l'ultimo baluardo
della resistenza c., voluta da Guilhabert de Castrés. Nel maggio del 1243
la fortezza, difesa da Raimond de Péreille e dal perfetto Bernard Marty, fu
posta sotto assedio da parte delle truppe del siniscalco di Carcassonne,
Hugues de Arcis, ma solo nel marzo del 1244, gli assedianti espugnarono la
roccaforte. Immediatamente furono eretti i tristemente noti roghi, sui quali
Bernard Marty e 225 c. furono bruciati.
E) Il movimento in
Italia L'Italia settentrionale e centrale, assieme alla Francia meridionale,
fu l'area geografica dove si sviluppò maggiormente il c.: secondo l'ex
cataro Raniero Sacconi, erano circa 2.500 alla ½ del XIII secolo, anche se
questo dato si riferiva solo ai cosiddetti "perfetti". Si suppone quindi che
il movimento includendo credenti e simpatizzanti, fosse molto diffuso. Il
primo vescovo di tutti i c. italiani fu, come si è detto, Marco di Lombardia
e il suo successore fu Giovanni Giudeo, ma in seguito il movimento si
frazionò in sei chiese locali; Chiesa di Desenzano (sul Lago di Garda)
l'unica che praticava un dualismo di tipo assoluto e i cui adepti si
chiamavano albanensi, dal nome del primo vescovo Albano. Altri vescovi degni
di nota furono Belesinanza e soprattutto il massimo teologo c. Giovanni di
Lugio. Chiesa di Concorrezzo (vicino a Monza), la maggiore in Italia e i cui
membri si chiamavano garattisti, dal nome del loro primo vescovo Garatto.
Seguirono Nazario e Desiderio, ma con l'abiura dell'ultimo vescovo, Daniele
da Giussano, la chiesa si estinse. Chiesa di Bagnolo San Vito (vicino a
Mantova), i cui fedeli venivano chiamati bagnolensi o coloianni, dal nome in
greco del loro primo vescovo Giovanni il Bello. Si estinse con l'abiura degli
ultimi due vescovi, Albertino e Lorenzo da Brescia. A questa chiesa
appartenne segretamente anche Armanno Pungilupo, morto nel 1269 e proposto
per la canonizzazione in quanto ritenuto in vita persona di notevole
rettitudine e santità e fatto oggetto, dopo morto, di venerazione e
pellegrinaggi. Purtroppo un'inchiesta, voluta da Papa Bonifacio VIII rivelò
che Pungilupo era, per l'appunto, un c. e quindi fu condannato
postumo. Chiesa di Vicenza o della Marca di Treviso, fondata dal primo
vescovo, Nicola da Vicenza, seguito da Pietro Gallo, noto per la confutazione
delle sue dottrine da parte di S. Pietro Martire da Verona ,che, secondo
una leggenda, fu un cataro pentito, diventato poi un inquisitore
domenicano. Chiesa di Firenze, fondata da Pietro (Lombardo) di Firenze e di
cui si ricorda il famoso condottiero ghibellino Farinata degli Uberti,
cantato nell'Inferno di Dante. Chiesa di Spoleto e Orvieto, fondata da
Girardo di San Marzano e proseguita da due donne, Milita di Marte Meato e
Giuditta di Firenze. La chiesa si estinse con l'abiura dell'ultimo vescovo,
Geremia. Le ultime cinque praticavano un dualismo di tipo moderato, di
origine bulgara (Concorrezzo) o dalla Sclavonia (le altre quattro). Il c.
in Italia seguì un destino diverso rispetto alle chiese sorelle in Francia, e
ciò era dovuto all'appoggio che spesso le fazioni ghibelline, in chiave
antipapale, accordavano loro. Il tutto perdurò fino alla battaglia
di Benevento del 1266, quando la sconfitta del partito ghibellino
e l'affermarsi di quello guelfo degli Angioini, fece mancare i
potenti appoggi, goduti dai c. fino a quel momento. Iniziò il declino ed
anche in Italia venne il momento della resa dei conti finale: una "Montségur"
locale, cioè l'espugnazione nel 1276 della rocca di Sirmione, dove si erano
asserragliati i vescovi delle chiese di Desenzano e Bagnolo San Vito e
numerosi perfetti italiani e occitani. Tutti furono arrestati e portati a
Verona, dove 174 perfetti furono bruciati sul rogo nel 1278.
F) Il
revival cataro Infine, verso la fine del XIII secolo, si ebbe in Francia un
nuovo rifiorire delle dottrine c., portate dai fratelli Guglielmo e Pietro
Authier, da Amelio de Perles e da Pradas Tavernier, che si erano formati
presso i c. lombardi ed erano quindi tornati per predicare in Francia: Pietro
fu catturato e bruciato nel 1310 per ordine del famoso inquisitore
Bernardo Gui. Ufficialmente l'ultimo c. fu Guglielmo Belibasta, tradito
dal c. rinnegato Arnaldo Sicre e bruciato nel 1321 per ordine
dell'inquisitore Jacques Fournier, che sarebbe poi diventato Papa Benedetto
XII (1334-1342). Da quella data il c. cessò di esistere, almeno
esteriormente, mentre probabilmente proseguì in forma segreta e limitata a
pochi adepti.
La dottrina I c. erano dei dualisti cristiani, che
accettavano il Nuovo Testamento, e in questo si distinsero dai manichei, con
i quali venivano spesso accomunati dai cattolici. Essi credevano
nell'esistenza di due principi contrapposti, il Bene ed il Male,
impersonificati rispettivamente dal Dio santo e giusto, descritto nel Nuovo
Testamento, e dal Dio nemico o Satana. Come si è detto, il c. si divideva in
due filoni: quello assoluto e quello moderato. Per i dualisti assoluti, i
due Dei erano sempre esistiti in una eterna lotta ed avevano creato i loro
due mondi, quello dello spirito e contrapposto quello imperfetto della
materia, il mondo nel quale viviamo noi. Per i dualisti moderati, Satana non
era un dio, ma un angelo ribelle caduto, che aveva comunque creato il mondo
materiale. Alcuni degli angeli (circa un terzo), cioè gli spiriti, furono
lusingati ad unirsi a Satana, che li intrappolò successivamente nei corpi
umani, impedendo loro di ritornare dal Dio giusto. L'anelito continuo,
quindi, dello spirito, dalla sua dolorosa prigionia nel corpo dell'uomo, era
quello di poter tornare un giorno da Dio Padre, cosa che i c. cercavano di
fare attraverso il Consolament, durante la loro vita, perché altrimenti
sarebbero stati costretti a subire una continua metempsicosi (passaggio dello
spirito da un corpo all'altro, anche animale), fino a potersi riunire di
nuovo con Dio. La figura di Cristo, solo apparentemente, coincideva con la
dottrina cattolica. In realtà non era affatto così: i c. credevano che Cristo
fosse un angelo di Dio, chiamato Giovanni, secondo Belibasta, che era sceso
sulla terra sotto forma di puro spirito. Quindi anche i c. aderivano al
concetto docetista della mera apparenza della nascita, sofferenza e morte di
Cristo sulla terra. Automaticamente venivano a cadere due simboli
cristiani, legati alla vita terrena di Cristo: la croce, che i c. negavano,
se non odiavano, e la transustanziazione, la trasformazione cioè, del pane e
vino in corpo e sangue di Cristo durante l'eucaristia, che i c. respingevano
con orrore.
I riti e la liturgia I c. rifiutarono la maggior parte
dei riti e delle liturgie cristiane per utilizzare le proprie, che
erano: Innanzitutto il Consolament, una forma di rito complesso con
imposizione delle mani, fatto ad adulti, che riuniva in sé il valore dei
sacramenti cristiani del battesimo, della comunione, della ordinazione e
della estrema unzione. Con questa cerimonia, il c. da semplice fedele
diventava un "perfetto". Molti credenti aspettavano di essere in fin di vita
per chiedere il Consolament e preferivano a quel punto lasciarsi morire per
digiuno, per non rischiare di essere esposti alle possibilità di peccato.
Questa pratica si chiamò endura e diventò popolare nel periodo del tardo c.,
quando la scarsità di "perfetti" poteva rendere impossibile una seconda
cerimonia di Consolament, se fosse stata necessaria. Il Melhorament,
un'elaborata forma di saluto tra c. L'Aparelhament, una confessione pubblica
dei propri peccati. La Caretas, un bacio rituale di pace. La recita del
Padre Nostro, in pratica, unica (eccetto alcune invocazioni minori) preghiera
accettata dal c., con alcune significative correzioni del testo: il
riferimento al "pane soprasostanziale" al posto del "pane quotidiano", inteso
non come cibo materiale ma come insegnamenti di Cristo, e l'aggiunta in fondo
alla preghiera della postilla "perché Tuo è il regno, la potenza e la gloria
nei secoli dei secoli. Amen". I perfetti avevano l'obbligo di recitarlo più
volte al giorno, solitamente in serie da sei (sezena), da otto (sembla) o
sedici (dobla).
Come vivevano e come erano organizzati Dal punto
di vista alimentare, i perfetti c. erano vegetariani, abolendo dalla loro
dieta carne, uova, latte e derivati, ma curiosamente non il pesce e i
crostacei, e praticavano spessissimo il digiuno a pane e acqua,
nella Quaresima, nell'Avvento, dopo la Pentecoste e tre giorni alla settimana
o come penitenza per peccati di lieve entità. Non potevano mentire ed
erano inoltre casti, condannando il matrimonio e l'unione sessuale, che
portava alla procreazione, come atto tipico del mondo materiale creato da
Satana e che perpetrava continuamente la catena delle reincarnazioni, proprio
quello che i c. cercavano di spezzare. Infine essi erano tenuti al precetto
di non uccidere, il che li mise spesso in forte crisi quando si trattava di
difendersi durante la crociate e le successive campagne di persecuzioni
dell'Inquisizione. Questi precetti, tuttavia, non si applicarono ai semplici
fedeli e simpatizzanti, che poterono invece prendere le armi per difendere la
propria causa.
Per quanto concerne l'organizzazione, il capo della
comunità o della chiesa assumeva il titolo di vescovo, secondo i cronisti
cattolici dell'epoca, mentre il perfetto, destinato a succedergli veniva
denominato "figlio maggiore" e quello destinato a succedere a sua volta
"figlio minore". Pare invece improprio il titolo di "papa" cataro, attribuito
a Niceta.
I testi A parte il Nuovo Testamento, i c. avevano
prodotto una copiosa letteratura, per la maggior parte andata distrutta
durante le persecuzioni. Ci sono giunti: Il Liber de duobus principiis,
scritto da Giovanni di Lugio, vescovo della chiesa di Desenzano e maggiore
teologo c. La Interrogatio Iohannis, un apocrifo bogomilo portato in Italia
da Nazario, vescovo della chiesa di Concorrezzo, che si ispirava alla Genesi
e agli apocrifi della Bibbia. Un altro apocrifo bogomilo, la Visione di
Isaia, tradotto in provenzale da Pietro Authier. Varie versioni dei
rituali c., sia quello utilizzato dai francesi, denominato occitano, che
quello usato dagli italiani, chiamato latino. Gli atti del concilio di Saint
Felix de Caraman, trascritti in un testo, denominato Carta di Niceta, scritto
tra il 1223 ed il 1226, di cui ci sono giunte delle copie del XVII
secolo.
----- Calvino, Giovanni (Jean Cauvin)
(1509-1564)
La gioventù Il famoso riformatore Jean Cauvin
(nome umanistico Giovanni Calvino) nacque a Noyon in Piccardia (Francia) il
10 luglio 1509 da Gerard Cauvin e Jeanne Le Franc. Il padre, cancelliere,
notaio apostolico ed in seguito procuratore del capitolo della cattedrale di
Noyon, era uomo di fiducia del vescovo Charles de Hanguet, il quale procurò
al giovane C. un beneficio (una rendita) nel 1521 e un secondo nel
1527. Dapprima C. studiò a Noyon sviluppando una solida formazione
umanistica, poi si trasferì con la famiglia nel 1523 a Parigi, dove frequentò
il collegio de la Marche ed il collegio Montaigu, per studiare arti liberali
e teologia. Ma nel 1528 C. abbandonò gli studi di teologia per iscriversi
alla facoltà di legge dell'università di Orléans, e in seguito si trasferì a
Bourges, all'università voluta da Margherita di Angoulême, sorella di
Francesco I di Francia, diventata da poco regina di Navarra. Nel 1531 il
padre Gerard, nel frattempo caduto in disgrazia e sotto scomunica per motivi
di bilanci finanziari sospetti, morì e la famiglia dovette promettere di
pagare i debiti per ottenerne la sepoltura in terra benedetta. C. ritornò
a Parigi frequentando i corsi dell'Accademia (il Collège Royal de France) e
pubblicando nel 1532 la sua prima opera, un commento a De Clementia di
Seneca. Intorno al 1533 C. iniziò a definirsi protestante: alcuni autori
raccontano che la pietra miliare sia stata il discorso di apertura per
l'anno accademico, scritto per l'amico Nicolas Cop (c. 1450- dopo 1534),
rettore dell'università, ed intriso di concetti luterani ed erasminiani. Il
clamore suscitato dal contenuto del discorso, letto il giorno di Ognissanti
1533, ed una taglia sulle loro teste, obbligò ad una fuga precipitosa da
Parigi il lettore, che riparò dal padre a Basilea, e l'autore, che si
allontanò in direzione Orleans, travestito da vignaiolo con una zappa in
spalla. Dopo varie peripezie (fu anche arrestato a Noyon per aver rinunciato
ai suoi benefici, ma riuscì a fuggire), C. arrivò nel 1534 a Nerac, nel
Bearn, da Margherita di Angoulême, dove incontrò il noto umanista Le Fèvre
d'Étaples. In seguito C. ritornò a Parigi, ma proprio nel momento sbagliato,
e cioè in piena campagna anti-protestante, scatenata dall'affissione di
manifesti (placards) contro la Messa, posti perfino sulla porta della camera
da letto del re Francesco I. La reazione cattolica portò al rogo diversi
protestanti, tra cui il noto uomo d'affari Étienne de la Forge, e C. riuscì,
un po' avventurosamente, a scappare nuovamente dalla Francia per recarsi
nel gennaio 1535 a Basilea.
Calvino in Svizzera A Basilea C.
lavorò alacremente al suo primo lavoro di notevole spessore: la Christianae
religionis institutio, un compendio di dottrina cristiana scritto nel 1535 e
pubblicato nel 1536 e con una prefazione indirizzata direttamente a Francesco
I di Francia. Mentre veniva stampata la sua opera, C. si recò a Ferrara,
sotto lo pseudonimo di Charles d'Espeville, alla corte di Renata d'Este,
figlia di Luigi XII di Francia, e grande protettrice dei riformatori
italiani, di cui C. diventò il direttore spirituale, e quindi in Francia per
sistemare alcuni affari di famiglia (tra l'altro convertì due suoi fratelli).
Decise infine nel luglio 1536 di recarsi a Strasburgo, ma, a causa delle
operazioni militari dovuti alla guerra in corso tra Francesco I e
l'imperatore Carlo V, egli dovette fare un giro lungo passando da
Ginevra. La città svizzera aveva da poco aderito alla Riforma grazie
all'impegno dell'irruente predicatore Guillaume Farel, a cui non parve vero
poter convincere l'autore della Christianae religionis institutio a rimanere.
Ad essere precisi, C. non ne voleva proprio sapere, ma Farel minacciò che
lo avrebbe addirittura maledetto, se non avesse accettato di restare! I
due tentarono di installare un governo teocratico regolato dalle
leggi stabilite nelle Ordonnances ecclésiastiques (Ordinanze
ecclesiastiche), scritte da C. con l'aiuto di Farel: il controllo e la
disciplina ecclesiastica erano demandati ai pastori, i bambini dovevano
essere catechizzati, gli "indegni" espulsi dal territorio ginevrino. La
reazione della città fu molto negativa e questo sistema molto poco
tollerante, basato sulla censura morale e la scomunica, spinse il consiglio
cittadino ad esiliare Farel e Calvino il 23 aprile 1538. Farel si recò a
Neuchâtel, mentre C., passando dapprima da Basilea, andò a Strasburgo,
chiamato dai riformatori Martin Bucero e Wolfgang Capito (1478-1541) a
dirigere la chiesa dei profughi francesi. Qui C. si sposò con Idelette de
Bure, una vedova di un anabattista da lui convertito. Idelette, moglie molto
devota al marito, gli diede nel 1542 un figlio, purtroppo morto quasi subito,
e lei stessa morì nel 1549. A Strasburgo C. revisionò e pubblicò, nel 1539 la
versione in latino e nel 1541 quella in francese, la seconda edizione
ampliata della sua Institutio, oltre ad alcune altre opere. Nel frattempo
a Ginevra la città senza guida spirituale stava andando allo sbando: ne cercò
di approfittare il cardinale Jacopo Sadoleto, che scrisse una lettera alla
città, addossando tutta la colpa ai riformatori, e offrendo ai ginevrini il
ritorno alla Chiesa Cattolica e alla sua tradizione secolare. I riformatori
locali non seppero rispondere a tono, cosa che invece fece C. con la sua
Responsio ad Sadoleti epistolam, in cui C. fondava la vera Chiesa di Cristo
sulla parola di Dio e non sulle tradizioni della Chiesa Cattolica. La
risposta conquistò i ginevrini, che nel settembre 1541, pregarono C.
di recarsi per la seconda volta a Ginevra.
Il ritorno di Calvino a
Ginevra Il ritorno di C. fu un ottimo pretesto per il riformatore per imporre
al consiglio dei Duecento quelle Ordonnances ecclésiastiques fallite durante
il suo primo soggiorno. C. credeva che quel controllo sulla moralità della
popolazione, gestito per secoli dall'autorità ecclesiastica centralizzata
(Papa, cardinali, vescovi, ecc.), dovesse essere operata da parte della
chiesa locale. Se da una parte C. meritoriamente diede molto impulso alle
attività commerciali e agli investimenti (i famosi banchieri di Ginevra),
purtroppo, dall'altra, il suo sistema teocratico di rigido controllo della
moralità aveva molto poco del democratico: I pastori, scelti da altri
pastori, dovevano incontrarsi obbligatoriamente una volta alla settimana per
lo studio delle Sacre Scritture. Gli insegnanti, o dottori, scelti dai
pastori, erano responsabili per l'educazione generale e l'insegnamento delle
Scritture. I diaconi erano preposti all'assistenza dei poveri e dei
malati. Ma soprattutto gli anziani, in numero di dodici, erano la spina
dorsale del sistema di C. Responsabili per la disciplina, dovevano
sorvegliare sulla moralità della popolazione [furono proibiti i balli, i
banchetti, il gioco d'azzardo (il poeta Clément Marot fu espulso per aver
giocato a tric-trac), la lettura di parecchi libri (fu proibito perfino un
libro popolare come Legenda aurea, un trattato sulle vite di santi e feste
cristiane, scritto nel 1255-1266 da Giacomo della Voragine), le feste, gli
spettacoli teatrali!], sull'abbigliamento (il lusso era proibito), sulla
partecipazione obbligatoria alle funzioni religiose. Essi inoltre dovevano
fare rapporto al concistoro o "Venerabile Compagnia" dei pastori e impedire
che i peccatori, riconosciuti tali, potessero accostarsi alla
Comunione. Il concistoro, o "Venerabile Compagnia", formato dai dodici
anziani e dai pastori, decideva su argomenti ecclesiastici ma spesso anche
civili, pronunciava sentenze che comprendevano punizioni corporali,
esclusione dalla Comunione, scomunica, condanna all'esilio (come successe a
Sébastien Castellion e Jérome Bolsec) e nei casi estremi, condanna a morte
(come nel 1547 Jacques Gouet, torturato e decapitato, o nel 1553 il famoso
episodio di Miguel Serveto, di seguito descritto). Tuttavia, dall'altra
parte, il concistoro si contrapponeva spesso al consiglio dei Duecento,
l'autorità civile di Ginevra, che non accettava pedissequamente tutte le sue
sentenze, anzi queste ultime furono il pretesto di lotte cittadine al limite
della guerra civile, come nel caso della moglie di Ami Perrin, capo dei
partigiani di Farel, denominati guglielmini dal nome di battesimo del
riformatore, e l'artefice del rientro di C. a Ginevra. Infatti nel 1547 il
concistoro accusò e portò davanti al tribunale, per motivi di condotta
morale, la moglie e il suocero di Perrin, proprio quando questi era capitano
generale della città. La reazione del partito di Perrin non si fece
attendere, scatenando una reazione xenofoba contro gli emigrati francesi,
massicciamente presente in città e notoriamente amici di C., soprattutto
quando, nel 1548, i guglielmini riuscirono ad ottenere la maggioranza nei
consigli cittadini. Il braccio di ferro continuò nel 1553, quando Perrin,
diventato sindaco della città, cercò di far riaccettare alla Comunione un
tale Berthelier, un borghese scomunicato e ostile a C.: dovette desistere dal
tentativo, ma con l'occasione il consiglio dei Duecento decise di togliere al
concistoro il diritto di scomunica. Ma proprio il 13 agosto di quel 1553
fu arrestato a Ginevra il famoso medico antitrinitariano Miguel Servet (nome
umanista: Michele Serveto): C. aveva finalmente l'occasione d'oro per
sbarazzarsi di un pericoloso dissidente religioso, che, libero, avrebbe
potuto essere molto utile alla fazione di Perrin. Il processo si rivelò il
pretesto per una ennesima lotta tra calvinisti e oppositori interni, e
perfino C. stesso dovette scendere in campo, coinvolgendo nel giudizio finale
le chiese riformate di Zurigo, Berna, Basilea e Sciaffusa. L'epilogo fu la
condanna al rogo di Serveto e dei suoi libri, eseguita il 27 ottobre 1553 nel
rione di Champel. Il medico spagnolo morì con dignità sul rogo, avendo
rifiutato anche l'estremo tentativo di Farel di salvargli la vita in
extremis, se avesse ammesso per iscritto i suoi errori.
Le
conseguenze dell'esecuzione di Serveto Benché nell'anno successivo, il 1554,
il partito favorevole a C. vincesse le elezioni e lui stesso avesse sostenuto
il diritto di uccidere gli eretici in un suo trattato, dal titolo Defensio
ortodoxae fidei, il riformatore fu lungamente criticato ed attaccato per
questa sua decisione ed anche la sua difesa scritta da Theodore de Béze non
servì a risollevare la sua immagine. La morte di Serveto infatti fece levare
moltissime voci di protesta, tra cui quelle degli antitrinitariani italiani
Giovanni Valentino Gentile, Matteo Gribaldi Mofa e Celio Secondo Curione, che
dovettero emigrare successivamente da quella che a loro era sembrata la città
della tolleranza religiosa. Anche l'umanista Sébastien Castellion, già
mandato in esilio nel 1543, intervenne, scrivendo nel 1554, sotto lo
pseudonimo di Martin Bellius, il suo libro più famoso, De haereticis, an sint
persequendi (Gli eretici devono essere perseguiti?), un appassionato appello
alla tolleranza ed alla libertà religiosa. La reazione fu coordinata,
ancora una volta, da colui che sarebbe diventato l'erede spirituale di C.,
Theodore de Bèze, che nel suo scritto polemico De haereticis a civili
magistratu puniendis denunciò la "carità diabolica, e non cristiana" di
Castellion.
Gli ultimi anni Un ultimo tentativo di colpo di mano
degli oppositori interni fallì nel 1555 e ai rifugiati francesi, partigiani
di C. fu concesso con generosità la cittadinanza: lo stesso C. la ottiene nel
1559. Si calcola che ad un certo punto la quasi totalità dei pastori fossero
di origine francese. Nel 1557 Ginevra e Berna strinsero un patto di alleanza
e nel 1559 fu fondata l'Accademia di Ginevra (con rettore Theodore de Béze),
che formò studenti in arti liberali, lingue bibliche e teologia, diventati,
in alcuni casi, famosi riformatori nei loro paesi d'origine come John Knox in
Scozia. Anche l'attività internazionale di C. fu elevata: scrisse al giovane
re inglese Edoardo VI (1547-1553) e al suo tutore, il conte di Somerset,
per aiutarli nella revisione del Book of Common Prayer (il libro delle
preghiere utilizzato dalla Chiesa Anglicana), tentò un'intermediazione tra le
fazioni durante il sanguinoso regno cattolico della regina Maria
d'Inghilterra (1553-1558), intervenne diverse volte durante l'introduzione
della Riforma in Polonia. In sintesi il calvinismo ebbe, grazie questi
interventi di C. oltre ad alcuni predicatori usciti dall'Accademia, una
internazionalità, che, per esempio, il luteranesimo non riuscì mai a
raggiungere. C. lavorò freneticamente fino al giorno della sua morte,
predicando quotidianamente, tenendo lezioni di teologia, partecipando alle
sedute del concistoro, scrivendo trattati, commentari e la stesura definitiva
della sua Institutio, stampata in latino nel 1559 e in francese nel
1560. Consumato dall'attività vivace e non ben supportato da un fisico
spesso malaticcio, C. morì, all'età di 55 anni, il 27 maggio 1564. Per sua
espressa volontà, fu sepolto con la massima semplicità in un luogo
sconosciuto, per impedire un possibile culto della sua tomba.
La
dottrina In linea di principio, C. accolse molti punti della dottrina
luterana, come la sola scriptura (la fede trova il suo fondamento solamente
nella Parola di Dio, la Sacra Scrittura) e la sola fide [l'uomo non può
assolutamente concorrere alla propria salvezza: questa non dipende dall'agire
umano o dalle sue opere (come, ad esempio le indulgenze), ma si ottiene solo
con la fede], ma sostituì la sola gratia (per Sua grazia Dio magnanimo salva
l'uomo peccatore attraverso Cristo) con la soli Deo gloria: l'ubbidienza
alla volontà di Dio deve essere assoluta, perché Egli è sovrano di tutto
il creato e determina il corso degli avvenimenti. Da questo convincimento
derivò la dottrina della predestinazione: Dio, grande ed eterna saggezza,
misterioso quindi incomprensibile, ha stabilito che ad alcuni uomini è stata
predestinata la vita eterna ed ad altri la dannazione eterna. Ed in
particolare alla vita eterna era predestinata, secondo C., la comunità dei
santi, di quei fedeli cioè che credevano come un atto di fiducia, che
si comportavano rettamente, partecipavano alla vita pubblica, obbedivano
alle autorità e desideravano di partecipare alla Santa Cena. C. inoltre
considerò, come Lutero, validi solo i sacramenti del Battesimo
e dell'Eucaristia, che erano testimonianza della grazia di Dio, e
non solamente cerimonie commemorative, come preteso da Zwingli. Per il
Battesimo, con una certa difficoltà, C. riuscì a giustificare il batt esimo
dei fanciulli, in contrapposizione agli anabattisti e senza dover citare la
tradizione storica ed il concetto del peccato originale, che erano la base
della dottrina cattolica sul battesimo. Per C. le Scritture dicevano Lasciate
che i fanciulli vengano a me, e quindi il negare il battesimo ai fanciulli
sarebbe stato non riconoscere la misericordia di Dio e un'ingratitudine verso
di Lui. Per quanto riguardò, invece, il dibattito sull'effettiva presenza di
Cristo nell'Eucaristia, C. considerò il Sacramento della Comunione come una
reale partecipazione alla carne e al sangue di Gesù Cristo, anche se ciò
non significava una presenza locale di Cristo nell'Eucaristia, poiché
Egli poteva essere solo in cielo. Questa fu un'abile posizione intermedia tra
la consustanziazione di Lutero (vi era la reale e sostanziale presenza
del corpo e sangue di Cristo nel pane e vino, che tutti i
comunicandi ricevevano, che fossero degni o indegni, credenti o miscredenti)
e il simbolismo di Zwingli (la Cena del Signore era solo una
solenne commemorazione della morte di Cristo, la sua presenza
spirituale). Ciononostante per motivi puramente politici (la posizione di C.
a Ginevra era spesso fragile ed egli cercava quindi appoggi esterni), C.
firmò il Consensus Tigurinus del 1549, dove non si faceva menzione del
termine substantia, per assicurarsi l'aiuto di un prezioso alleato, come
Johann Heinrich Bullinger, successore di Zwingli a Zurigo.
Le
opere La base della produzione letteraria di C. fu, come già detto, la
Christianae religionis institutio, su cui il riformatore lavorò per parecchi
anni fino alla sua stesura definitiva nel 1559. Le Ordonnances
ecclésiastiques (Ordinanze ecclesiastiche) nella versione del 1541 furono
l'applicazione pratica della sua "chiesa visibile". Rimangono inoltre 4.271
lettere, principalmente su argomenti dottrinali.
----- Cavalli,
Ambrogio (o Ambrogio da Milano) (ca. 1500-1556)
Predicatore
agostiniano milanese (da cui l'altro nome di Ambrogio da Milano), che come
molti suoi confratelli (vedi Agostino Mainardi, Giulio Della Rovere, Giuliano
Brigantino, Andrea Ghetti da Volterra), subì il fascino delle dottrine
luterane. Già nel 1537, il C. destò i primi sospetti a causa di alcune sue
prediche, ispirate dai suoi studi di approfondimento, compiuti con Ortensio
Lando e Giulio Della Rovere, del pensiero di Erasmo da Rotterdam. Nel
1540, C., priore del convento agostiniano di S. Marco a Bologna, si dimise,
assieme a Giulio Della Rovere, per contrasti con il padre
generale dell'ordine: venne trasferito a Limassol (Cipro), dove, qualche anno
dopo, nel 1544, venne formalmente messo sotto accusa, a causa di una
predica quaresimale di ispirazione luterana nella chiesa di Santa Sofia a
Nicosia: fu prosciolto in seguito ad abiura pubblica, eseguita il 31 marzo
1545 nella chiesa veneziana di Santa Maria Formosa . Nonostante ciò C. si
recò, nel periodo 1547-1554, a Ferrara e vi rimase come elemosiniere e
predicatore alla corte della duchessa Renata d'Este, nota protettrice di
riformisti. Ma, quando nel marzo 1554, il duca Ercole II (1534-1559) chiese
la presenza delle figlie alla messa pasquale, la reazione negativa della
moglie, ormai convinta assertrice delle idee calviniste, scatenò la reazione
del duca contro i predicatori riformati e C. pensò bene di fuggire in
Svizzera, nei Grigioni e poi a Ginevra. Da qui commise l'errore di rientrare
in Italia, forse per prendere contatto con la duchessa Renata su ordine di
Calvino, ma venne arrestato dall'Inquisizione, torturato, processato e
condannato. Egli tentò inutilmente, nei suoi interrogatori dell'ottobre 1555,
di convincere l'Inquisizione dell'ortodossia della sua fede, proponendo anche
che, per estirpare gli eretici dall'Italia, il Papa dovesse far pubblicare
una bolla "che ad ognuno perdoneria liberamente ravedendosi però delli suoi
errori". Venne impiccato e arso sul rogo a Roma il 15 giugno 1556. Dichiarò
di morire "per la Gloria di Dio".
----- Cecco d'Ascoli (Francesco
Stabili) (ca. 1269-1327)
Francesco di Simeone Stabili, detto
Cecco d'Ascoli, nacque per l'appunto ad Ascoli Piceno nel 1269 ca. Della
prima parte della sua vita si sa molto poco. Si sa invece che, verso il 1324,
C. insegnava alla facoltà di medicina all'Università di Bologna e in seguito
ad alcune lezioni all'università, dove aveva parlato in senso negativo della
fede cattolica, fu condannato dal inquisitore domenicano Lamberto da Cingoli
ad una penitenza di tipo religiosa, oltre al sequestro dei libri di
astrologia e la sospensione dall'incarico di docente. Nel 1325, C. venne
reintegrato nel suo ruolo anche grazie all'intercessione dei suoi studenti ed
alcune brillanti lezioni, anche di astrologia, gli portarono fama e gloria, a
tal punto che Carlo, duca di Calabria e primogenito del re Roberto d'Angiò
(1309-1343), lo nominò nel 1326 medico di corte. Tuttavia l'incauto C.,
chiesto un parere sul futuro della figlia Giovanna di due anni [la futura
Regina Giovanna I di Napoli, detta la Pazza (1343-1381)] da parte di Carlo,
rispose che sarebbe stata "di lussuria disordinata". Ovviamente Carlo non
poteva sapere che Giovanna effettivamente sarebbe stata un personaggio
storico molto discusso, che avrebbe sposato ben quattro mariti, sarebbe stata
scomunicata da Papa Urbano VI (1378-1389) e avrebbe finito i suoi giorni
strangolata. Per Carlo, questa profezia era un'insolenza gravissima da parte
del medico/astrologo di corte. Il Duca visitò quindi il frate Minore
Inquisitore e Arcivescovo di Cosenza Accursio, facendogli imbastire una serie
di capi di accusa, tra cui "errori contro la fede". In realtà, a parte la
gaffe con Carlo di Calabria, C. aveva compiuto dei discutibili studi di
astrologia per determinare l'esatta data della nascita e della morte di Gesù
Cristo e oltretutto egli aveva elaborato altri calcoli per predire la
comparsa dell'Anticristo. Il tutto quindi faceva parte di quella disciplina,
l'astrologia, a quei tempi tollerata con certe limitazioni dalla Chiesa
Cattolica: per esempio gli studi di C. potevano far pensare che le azioni di
Gesù Cristo in terra fossero dovute all'influenza degli astri e non perché
Egli fosse il Figlio di Dio incarnato. C. fu quindi condannato al rogo,
dove salì il 16 Settembre 1327: la sua opera principale, il poema L'Acerba
rimase quindi incompiuta.
----- Celestio (m. ca.
430)
Celestio fu un uomo di legge di origini nobili,
probabilmente nato in Italia, diventato amico di Pelagio durante il suo
soggiorno a Roma. Assieme a Pelagio, C. si rifugiò in Nord Africa in seguito
all'invasione e sacco di Roma da parte dei Goti di Alarico nel 410. I due si
recarono dapprima ad Ippona, in Nord Africa, e poi a Cartagine, dove
rielaborarono la dottrina del pelagianismo. Successivamente, Pelagio si
trasferì in Palestina, mentre C., rimasto in Nord Africa, tentò di diventare
presbitero a Cartagine, ma una denuncia, proveniente dal diacono di Milano,
Paolino, fece sì che non solo C. non riuscisse nel suo intento, ma fosse
oltretutto condannato dal sinodo di Cartagine nel 411 per le sue
dottrine. In un primo momento C. dichiarò la sua intenzione di appellarsi al
papa, ma vi rinunciò successivamente e si recò ad Efeso, in Asia Minore, dove
diventò prete. C. seguì tutte le vicissitudini del pelagianismo degli anni
successivi fino alla scomunica comminata a lui ad a Pelagio dai sinodi di
Cartagine e di Milevi del 416 e confermata nel 417 da Papa Innocenzo I
(401-417). In seguito a questa condanna, C. fu espulso da Costantinopoli,
dove si era trasferito da Efeso, per ordine del vescovo Attico. Si recò
quindi a Roma per incontrare il nuovo Papa Zozimo (417-418) e spiegare la
propria dottrina: proprio in quegli anni egli aveva pubblicato il suo libro
De libero arbitrio, nel quale i toni pelagiani erano stati ammorbiditi
con aperture, più che altro formali, verso le posizioni di
Sant'Agostino. Nell'incontro, C. riuscì abilmente a convincere Zozimo
dell'ortodossia del pelagianismo e quest'ultimo lo prosciolse da ogni accusa,
anzi addirittura tirò le orecchie a Sant'Agostino e ai vescovi africani per
la precipitazione delle loro decisioni. Successivamente, Zozimo corresse
il tiro, dando ai vescovi il tempo per portare, davanti a lui, le prove
dell'eresia pelagiana. Per ottemperare a questa disposizione papale, fu
convocato il sinodo di Cartagine del 418, dove, in presenza di 200 vescovi,
furono stabiliti otto (o nove) dogmi, che confutavano il pelagianismo,
riaffermando il peccato originale, il battesimo degli infanti, l'importanza
della grazia divina ed il ruolo dei santi. Tutti questi dogmi, avvallati da
papa Zozimo, sono poi diventati articoli di fede per la Chiesa
Cattolica. Inoltre, in seguito al sinodo di Cartagine, anche l'imperatore
Onorio (395-423) scese in campo a fianco degli ortodossi, emanando nel 418
un ordine di espulsione dal territorio italiano per tutti i pelagiani e
per coloro che non approvassero, controfirmandola, l'enciclica di condanna
del pelagianismo Epistola tractoria, inviata da Zozimo a tutti i
vescovi. Furono costretti all'esilio C. e Giuliano vescovo di Eclano (vicino
a Benevento in Campania). In particolare, C. fu espulso dall'Italia, dove
era rientrato, per ben tre volte: nel 418, 421 e 425, rifugiandosi infine a
Costantinopoli, dove nel 429, fu preso sotto la protezione, assieme agli
altri pelagiani, del patriarca Nestorio. Tuttavia, anche quest'ultimo
rifugio fu di breve durata: infatti nel 430 l'imperatore Teodosio II
(408-450), influenzato dagli scritti anti-pelagiani di un tale Mario
Mercatore, ordinò un'ennesima espulsione dei pelagiani e circa a quella data
risalì la morte di C.
----- Sacro Macello in Valtellina (luglio
1620)
Situazione della Valtellina durante la Riforma Il
Cantone Grigioni aveva aderito nel 1497-98 alla Confederazione Svizzera e il
27 giugno 1512, con il Giuramento di Teglio, aveva inglobato la Valtellina e
le valli a sud delle Alpi. Tuttavia, con l'avvento della Riforma di tipo
zwingliano dal 1524 in avanti, le cose si erano complicate per la convivenza
di una maggioranza protestante nei Grigioni ed una maggioranza cattolica in
Valtellina. La situazione era stata aggiustata con la Dieta di Ilanz del 7
gennaio 1526 nella quale era stata data a ciascun fedele il diritto di
scegliere la propria confessione tra cattolica e protestante (la fede
anabattista era stata bandita). Oltre a questo va anche considerato che il
fattore della lingua italiana, usata nelle sei valli a sud delle Alpi del
cantone (Bregaglia, Poschiavo, Mesolcina, Bormio, Chiavenna e Valtellina)
favorì l'azione di esuli riformati italiani, i quali poterono agire come
pastori locali. Si ricordano a riguardo Agostino Mainardi, Camillo Renato,
Girolamo Zanchi, Scipione Lentulo, Pier Paolo Vergerio, Scipione Calandrini,
Francesco Negri da Bassano, Ulisse e Celso Martinengo e Filippo
Valentini. Ma con l'avanzare della Controriforma, l'odio dei cattolici
valtellinesi verso la minoranza protestante, fomentata dai predicatori
francescani e domenicani, inviati dall'arcivescovo di Milano cardinale San
Carlo Borromeo (1538-1584), arrivò a livelli di elevata intolleranza,
nonostante i richiami alla pacifica convivenza lanciati dai pastori Ulisse
Martinengo e Scipione Calandrini (e proprio per questo motivo i cattolici,
sobillati dall'arciprete di Sondrio Nicolò Rusca, per ben due volte,
cercarono di uccidere quest'ultimo). L'episodio più significativo,
ispirato da Papa Pio V (1566-1572), ex Inquisitore di Morbegno, fu il
rapimento da parte dei domenicani del pastore della chiesa riformata di
Morbegno, l'ex frate minorita Francesco Cellario, di ritorno da un sinodo di
pastori tenuto a Coira. Cellario fu portato in catene a Roma e, dopo un lungo
interrogatorio per farlo abiurare, impiccato e bruciato sul rogo a Ponte
Sant'Angelo il 25 maggio 1569.
Il Sacro Macello Ma questo fu
niente in confronto alla rivolta dei cattolici contro i protestanti della
Valtellina del 1620, che sfociò in uno spaventoso pogrom, chiamato dal
celebre storico Cesare Cantù (1804-1895), il Sacro Macello della
Valtellina. Il fomentatore principale fu il fanatico arciprete di Sondrio
Nicolò Rusca, vero agitatore delle folle cattoliche e sprezzante delle leggi
che cercavano di mantenere un pur delicato equilibrio tra le due comunità.
Egli venne arrestato e processato a Thusis nel 1618 per il tentato
omicidio, sopraccitato, di Scipione Calandrini, ma morì durante le
torture dell'interrogatorio. Nello stesso processo furono condannati, ma
si rifugiarono all'estero, i fratelli Rodolfo e Pompeo Planta e il genero
di Rodolfo, Giacomo Robustelli. Quest'ultimo, una volta rientrato due anni
dopo, organizzò l'atroce vendetta contro i protestanti locali: nella notte
tra il 18 ed il 19 luglio 1620, i congiurati trucidarono quasi tutti i
protestanti di Tirano. Passarono quindi a Teglio, dove fu compiuta una strage
(72 persone) direttamente nella chiesa evangelica: 17 tra uomini, donne e
bambini, rifugiatisi nel campanile, bruciarono vivi per il fuoco acceso dai
fanatici cattolici. Terza tappa Sondrio, dove solo un gruppo di 70 riformati
con le armi in pugno poterono, grazie ad una tregua, rifugiarsi in Engadina:
tutti gli altri (anche di nobili famiglie) furono trucidati. In tutto si
calcola che furono sterminati circa 600 persone. Questo episodio, assieme
alla rivolta anti-asburgica della Boemia, portò allo scoppio della Guerra dei
Trent'anni (1618-1648) e alla fine del primo periodo della guerra, nel 1639,
la Valtellina venne riconsegnata al Cantone Grigioni (che lo tenne fino
all'annessione alla Repubblica Cisalpina del 1797), a condizione di
accettarvi solo la religione cattolica. L'esperimento di libera convivenza
tra cattolici e protestanti in Valtellina era dunque finito nel peggiore dei
modi.
----- Unitarianismo (o unitarismo o antitrinitarismo) (XVI -
XVII secolo)
Termine teologico per indicare la fede nell'unicità
di Dio e nella contemporanea negazione del dogma della Trinità. Ne consegue
anche la negazione della divinità di Cristo. L'unitarianismo è stato, a
parte l'anabattismo, la terza grande alternativa nella galassia protestante,
oltre al luteranesimo e allo zwinglianismo/calvinismo.
La
storia La dottrina dell'unitarianismo viene fatta tradizionalmente risalire
agli inizi del Cristianesimo, ed in particolare agli eretici del periodo
intorno al Concilio di Nicene (325), come Ario (infatti gli unitariani
furono proprio chiamati ariani dai loro detrattori), Paolo di Samosata, Noeto
di Smirne, Prassea e Sabellio. Nel medioevo il concetto antitrinitario
non scomparì del tutto, ma rimase nella filosofia di Abelardo e
Roscellino. Venendo al periodo rinascimentale, i primi studiosi ad aver
espresso concetti antitrinitari furono nel 1527 Martin Borrhaus (nome
umanistico: Cellarius) (1499-1564), amico di Martin Lutero, e il predicatore
anabattista Ludwig Haetzer (1500-1529), ma fu soprattutto la pubblicazione a
Hagenau, in Alsazia, nel 1531, del famoso libro De trinitatis erroribus (Gli
errori sulla Trinità) del medico spagnolo Miguel Servet (Michele Serveto) a
gettare nello scompiglio i più famosi pensatori protestanti dell'epoca, da
Lutero ("un libro abominevolmente malvagio") a Melantone, Ecolampadio,
Bucero. Quest'ultimo tuonò dal proprio pulpito che l'autore avrebbe meritato
di essere squartato! E proprio in seguito alla pubblicazione di questo
libro tutti i riformatori dell'epoca decisero di rinforzare
l'importanza dottrinale della Santa Trinità. Dopo una vita tribolata da
continue persecuzioni, Serveto finì i suoi giorni, messo al rogo a Ginevra
nel 1553 da un altro dei pensatori riformisti, che più lo detestavano,
Giovanni Calvino. Ma la morte di Serveto fece levare moltissime voci di
protesta, tra cui quelle dei protestanti italiani Giovanni Valentino Gentile,
Matteo Gribaldi Mofa, Giorgio Biandrata e Giovanni Paolo Alciati della Motta,
i quali furono costretti ad emigrare da Ginevra, portando, pur con sfumature
diverse, i germi della dottrina antitrinitaria soprattutto dal 1560
nell'Europa orientale, cioè in Polonia, Moravia e
Transilvania.
Antitrinitari in Polonia Qui le dottrine
antitrinitarie non erano totalmente sconosciute, tant'è vero che già nel 1538
una anziana donna di 80 anni, Caterina Weygel (o Vogel), era stata bruciata
sul rogo a Cracovia per una sospetta eresia antitrinitaria. Ma sotto il regno
di Sigismondo II Augusto (1543-1572) si crearono le premesse per lo sviluppo
delle idee antitrinitarie in Polonia. L'antesignano fu Petrus Gonesius (Piotr
Z Goniazde), che aveva studiato a Padova nel 1552-54 con Gribaldi Mofa e da
lui era stato convertito. Già nel secondo sinodo della Chiesa Riformata
Polacca (fondata da Jan Laski) del 1556, Gonesius espresse forti concetti
antitrinitari, ma fu solo con l'arrivo di Giorgio Biandrata e di Lelio
Sozzini nel 1558 che la corrente unitariana trovò dei veri leader e formò una
comunità, soprattutto di esuli italiani, a Piñczòw vicino a
Cracovia. Tuttavia, poco dopo, ci fu per loro un durissimo colpo quando i
cattolici, rappresentati dal nunzio apostolico cardinale Giovanni Francesco
Commendone (1523-1584), convinsero il re Sigismondo II Augusto ad emettere
nell'agosto 1564 l'editto di Parczów, che stabiliva l'espulsione di tutti gli
stranieri non cattolici. Agli antitrinitari italiani, compreso il famoso
ex vicario generale dei Cappuccini, Bernardino Ochino appena giunto in
Polonia, non restò che emigrare in Moravia o in
Transilvania.
L'esilio in Moravia Il margraviato di Moravia, pur
facendo parte dei possedimenti assurgici, godeva di una ampia autonomia,
anche in campo religioso. Un esempio pratico fu l'accoglienza positiva
riservata per le comunità di anabattisti, guidati da Balthasar Hübmaier e
Jakob Hutter, perseguitati senza pietà in tutto il resto
dell'Europa. Austerlitz (Slavkov in ceco), in particolare, fu una città dove
fecero capo diverse correnti religiose dissidenti, compresi gli
antitrinitari: nel 1564, scacciati dalla Polonia in seguito all'editto di
Parczów, un gruppo di antitrinitari italiani, comprendente Niccolò Paruta
(che formò in seguito delle comunità denominate seminaria veritas), Gentile,
Alciati della Motta, Ochino, si recò nella città morava. Furono seguiti nei
successivi anni da altri dissidenti come Marcello Squarcialupi, Andrea
Dudith-Sbardellati e Niccolò Buccella, che man mano, con il miglioramento
della situazione polacca, decisero di rientrare in
Polonia.
Ripresa delle attività in Polonia Già dopo la dieta di
Piotrków della Chiesa Riformata Polacca del 1564 che decretò l'esclusione
degli antitrinitari, ci fu una separazione tra una ecclesia major calvinista
ed una ecclesia minor di fede antitrinitaria. Gli antitrinitari, in quel
periodo, si erano frazionati in quattro correnti, qui riassunti dal nome dei
capi-scuola: Stanislao Farnowski (Farnovius, m.1615): come Gonesio, i suoi
seguaci pensavano che Cristo era pre-esistito alla creazione del mondo e
quindi era giusto adorarlo, ma non adottavano la stessa venerazione per lo
Spirito Santo. Erano inoltre contrari al battesimo degli infanti. Nel 1568
il gruppo di Farnowski si separò dalla chiesa unitariana
polacca, concentrandosi in una zona a cavallo del confine con l'Ungheria.
La secessione durò circa 50 anni e, dopo la morte del loro leader, i
suoi seguaci vennero riassorbiti dagli unitari o dai calvinisti. Martin
Czechowic: egli era un ariano molto radicale: Cristo era un uomo come gli
altri, ma essendo nato senza peccato, fu divinizzato e era giusto adorarlo.
Prendendo, come Gonesio, dagli anabattisti, Czechowic si opponeva al
battesimo dei bambini, all'uso delle armi, al coinvolgimento in
incarichi pubblici e alla proprietà privata. Grzegorz Pawel: il gruppo di
Cracovia di Pawel negava sia la pre-esistenza di Cristo, sia la necessità di
adorarlo. Come Gonesio e Czechowic, Pawel aveva convinzioni anabattiste e in
più era un millenarista. Szymon Budny: per Budny Cristo era un uomo ed era
idolatria adorarlo. Venne scomunicato nonostante il suo vasto seguito in
Lituania. Un punto di svolta fondamentale per l'ecclesia minor fu l'arrivo in
Polonia nel 1579 di Fausto Sozzini, nipote di Lelio, che divenne ben presto
la guida di tutti gli antitrinitariani locali. Socini pose la sua
residenza a Cracovia, sebbene il centro di riferimento per l'unitarismo
polacco fosse la vicina cittadina di Raków, dove era stato fondato un
seminario di studi antitrinitari nel 1569 e dove, tra il 1603 ed il 1605,
sarebbe stato redatto il catechismo ufficiale della setta. Nello stesso
periodo Socini entrò nella polemica tra gli adoranti (al cui pensiero lui
aderiva) e i non-adoranti, come Ferenc Dàvid, Giacomo Paleologo, Jànos Sommer
e Andrea Dudith Sbardellati. (vedi capitolo "Antitrinitari in
Transilvania"). Socini, con il suo De Jesu Christi filii Dei natura sive
essentia, attaccò i non-adoranti come giudaizzanti, che volevano, tra
l'altro, santificare il sabato, secondo un uso sabbatariano, che si sarebbe
poi diffuso in Inghilterra, portatovi proprio dagli unitariani profughi dalla
Polonia. Il pensiero di Socini, fortemente razionale, accettava un solo Dio,
mentre Gesù Cristo era semplicemente un uomo crocefisso, il cui compito era
di rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così la
salvezza, seguendo il Suo esempio. Per lui la Sacra Scrittura, redatta da
uomini, non era indenne da errori, e l'uomo doveva basarsi sulla propria
etica per osservare i comandamenti e non era quindi necessaria la grazia
divina. Egli, inoltre, negava l'esistenza dell'inferno, il peccato originale,
la necessità dei sacramenti, la predestinazione. Un bel programma in un
secolo caratterizzato dal fanatismo religioso degli opposti
estremismi! Nel 1588 Socini riuscì nell'impresa di unire tutte le fazioni
unitariane al sinodo di Brest (in suo onore, da quel momento gli unitariani
si denominarono sociniani), ma negli anni successivi dovette fronteggiare
la reazione, anche di piazza, dei cattolici: nel 1591 il suo punto d'incontro
a Cracovia fu devastato dalla folla e nel 1598 Socini stesso fu
malmenato, scampando per poco ad un linciaggio. Egli morì nel 1604 e sulla
sua tomba vennero scritte queste significative parole: Crolli la superba
Babilonia: Lutero ne distrusse i tetti, Calvino le mura, Socini le
fondamenta. Pochi anni dopo, nel 1610, la potente organizzazione gesuita
sbarcò in Polonia decretando il rapido declino degli unitariani in Polonia:
nel 1611 fu bruciato sul rogo a Varsavia l'unitariano Jan Tyskiewicz, un
agiato cittadino di Bielsk, e nel 1638 i sociniani furono espulsi da Raków e
ne fu chiuso il seminario. Il colpo finale per l'unitarismo in Polonia fu
il bando di espulsione per tutti gli unitariani polacchi, deciso nel 1658 e
diventato esecutivo il 10 luglio 1660, che li costrinse o ad uniformarsi o ad
emigrare in altri paesi europei (in Olanda, dove la maggior parte si trasferì
aderendo alla Chiesa Arminiana dei rimostranti, in Germania, e in
Transilvania, dove però essi non aderirono alla Chiesa Unitariana
Transilvana, ma formarono una chiesa autonoma a Kolozsvàr estinguendosi nel
1793). L'ultima sacca di resistenza unitariana in Polonia si estinse nel 1811
e solo nel 1921 furono riaccettate le congregazioni unitariane nella
nazione rinata dopo secoli di dominazione straniera. Ma la successiva
occupazione nazista nel 1939 e l'instaurazione del comunismo ha fatto sì
che l'unitarianismo polacco potesse incominciare a muovere nuovamente
qualche timido passo solamente dopo la caduta del muro di Berlino, negli anni
'90 del XX secolo. L'attuale Chiesa unitariana in Polonia comprende solo
qualche centinaio di fedeli.
Antitrinitari in Transilvania Nel
1562 Giorgio Biandrata si recò in Transilvania, a Gyulafehérvár (Alba Julia),
dove fece la conoscenza e divenne amico di Ferenc Dàvid, vescovo della Chiesa
Riformata di Transilvania e cappellano personale del principe Giovanni II
Sigismondo Zapolya (1541-1571). Biandrata fece leggere a Dàvid una copia
della famosa Christianismi restitutio (La restaurazione del Cristianesimo) di
Miguel Serveto, convertendolo all'antitrinitarismo. Il successivo sinodo
nazionale a Gyulafehérvár del 1566 risultò un trionfo per gli antitrinitari,
sottolineato dalla pubblicazione del libro di Dàvid De vera et falsa unius
Dei, Filii et Spiritus Sanctii cognitione (Della falsa e vera conoscenza
dell'unità di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo), nel quale il riformatore
transilvano ridicolizzava la dottrina della Trinità e perorava la causa della
tolleranza religiosa per tutte le fedi. Questo discorso venne poi ripreso
durante la Dieta di Torda nel gennaio 1568, dove Giovanni II Sigismondo
Zapolya riconobbe la piena libertà a tutte le confessioni religiose: fu la
prima dichiarazione, al mondo, di tolleranza religiosa mai pronunciata da un
regnante. Oltre a questo, il re aderì apertamente all'unitarismo con molti
nobili della corte e Dàvid divenne il capo della Chiesa Unitariana di
Transilvania. Nel 1570 Dàvid entrò in contatto, e ne fu influenzato, con lo
studioso italo-greco Giacomo Paleologo e il suo discepolo locale, il rettore
del ginnasio di Kolozsvár, János Sommer (1540-1574). Paleologo polemizzava
con un altro famoso antitrinitario, Fausto Socini, a riguardo della figura
di Gesù Cristo, che, per il Socini, era un vero uomo crocefisso, il cui
compito era di rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così
la salvezza, seguendo il Suo esempio. Il Paleologo, invece, negava il ruolo
di guida del Cristo, per i fedeli verso la salvezza, e
rifiutava, conseguentemente, ogni forma di adorazione di Gesù Cristo. Per
questo, il Paleologo e i suoi seguaci, tra cui si associò anche Dàvid,
vennero denominati antitrinitari non-adoranti in contrapposizione al
pensiero sociniano di tipo adorante. Alla corrente non-adorante aderì anche
l'ex vescovo cattolico e ambasciatore (di madre italiana)
Andrea Dudith-Sbardellati. Purtroppo il momento magico per Dàvid finì solo
tre anni dopo, nel 1571 con la morte, a soli 31 anni, di Giovanni II
Sigismondo e la salita al trono del cattolico Stefano I Báthory (1571-1586),
che tolse a Dàvid l'incarico di cappellano personale del re e gli impedì di
pubblicare altri scritti. Nel 1579 i suoi nemici riuscirono a farlo arrestare
e imprigionare nella fortezza di Déva dove, a causa del clima rigido e del
fisico debilitato, Dàvid morì nel novembre dello stesso anno. La Chiesa
Unitariana di Transilvania, fondata da Dàvid, pur attraverso mille traversie,
spietate persecuzioni da parte degli Asburgo cattolici e feroci pogrom da
parte di fanatici ortodossi rumeni, esiste ancora oggi formata da 125 chiese,
sebbene divisa dal 1949 in un troncone in Ungheria (25.000 fedeli ed uno di
etnia ungherese in Transilvania/Romania (circa
80.000 fedeli).
Sociniani in Inghilterra Attraverso l'Olanda,
che accolse molti esuli sociniani, l'antitrinitarismo giunse in Inghilterra,
dove il principale esponente fu John Biddle, preside del liceo di Gloucester,
che pubblicò, nel 1647, il primo trattato dell'unitarismo inglese, Twelve
arguments against the Deity of the Holy Spirit (dodici ragioni contro la
divinità dello Spirito Santo) a uso privato per pochi amici, uno dei quali lo
tradì, facendolo rinchiudere in carcere nel 1645 per ordine dei magistrati di
Gloucester. Nel 1646 Biddle fu convocato a Londra per essere giudicato da
una commissione di teologi, ma, nell'attesa della sentenza, fu confinato
in prigione a Westminster dove rimase per vari motivi per i successivi 5
anni. Infatti, imprudentemente, nel 1647, Biddle fece pubblicare le sue
Dodici ragioni, suscitando un putiferio: a gran voce venne chiesta la sua
condanna a morte, prevista anche dalla recentemente approvata (nel 1648)
legge Ordinance for punishing heresies and blasphemies (ordinanza per
punire eresie e blasfemie), ma nel 1652, grazie alla Act of Oblivion (legge
di oblio), egli poté finalmente uscire di prigione. Una volta libero,
Biddle fondò una piccola congregazione sociniana a Londra, traducendo testi
base dei sociniani (o unitariani) polacchi, come il Catechismo di Racow (in
Polonia), la prima dichiarazione dei principi sociniani, ma soprattutto
pubblicò nel 1654 la sua opera più celebre, il Twofold Catechism (Catechismo
doppio), dove in 24 capitoli egli bandì tutte le espressioni e dottrine non
originarie delle Scritture, come transustanziazione, peccato originale, Dio
fatto uomo, Madre di Dio etc. Insomma non ci fu un solo punto della teologia
dell'epoca che non fosse rimesso in discussione da lui, sebbene utilizzasse
l'astuta tecnica delle domande aperte, senza mai precisare la propria
fede. Nonostante ciò, per ordine del parlamento, le copie del suo libro
furono bruciate sul rogo e lui stesso imprigionato nel carcere di Newgate,
ma, per l'ennesima evoluzione della turbolenta situazione politica inglese
(era stato sciolto il parlamento), fu liberato. Biddle continuò per tutta
la vita a professare attivamente le proprie idee e per questo venne più volte
condannato al confino e al carcere fino alla sua morte avvenuta nel
1662. Il principale esponente dell'unitarismo inglese dopo Biddle fu Thomas
Emlyn (1663-1741), che fondò una congregazione unitariana a Londra nel 1705,
ma va anche citata l'attività del teologo neo-ariano Samuel Clarke con il
suo trattato Scripture Doctrine of the Trinity (Scrittura dottrina
sulla Trinità), del 1712. In seguito si affermò Joseph Priestley
(1733-1804), che divise il suo tempo tra la chimica (individuò, tra l'altro,
la molecola dell'ossigeno) e le predicazioni unitariane, e Theophilus Lindsey
che nel 1774 fondò la prima chiesa ufficiale di ispirazione sociniana a
Londra. Nel 1791 un gruppo di teppisti distrusse sia la casa che il
laboratorio di Priestley, che qualche anno dopo prese la decisione di
emigrare in America, dove fondò una chiesa unitariana in Pennsylvania. Nel
frattempo, in Inghilterra si era formata nel 1825 la British and
Foreign Unitarian Association, che dovette lottare contro le leggi
britanniche varate per proibire agli unitariani di accettare lasciti donati
dai puritani, cosa che verrà aggiustata soltanto con una nuova legge nel
1844. Nel 1840 avvenne una grave scissione nel movimento: i "cristiani
liberi" di James Martineau, convinti in una fede più intuitiva e meno
"razionale", si separarono fino al 1928, anno in cui le due anime
dell'unitarismo inglese si rifusero nella attuale General Assembly of
Unitarian and Free Christian Churches.
Unitariani in
America Come già detto, Joseph Priestley fu uno dei predicatori che aiutò
la diffusione dell'unitarismo negli Stati Uniti, dove la dottrina però
si sviluppò abbastanza lentamente: prendendo spunto dalle prediche
in Inghilterra di Priestley, due chiese di Boston, la West Church del
pastore Jonathan Mayhew (1720-1766) e la First Church del pastore Charles
Chauncy (1705-1787) divennero unitariane. Nel 1825 si formò la American
Unitarian Association, ma, come per la crisi degli unitariani inglesi del
1840, anche il pensiero unitariano americano fu fortemente scosso dalle idee
di William Ellery Channing, che inserì elementi pietisti e filantropici. Lo
scontro tre le due anime, mistica-pietistica da una parte e razionale
dall'altra, avrebbe caratterizzato la storia degli unitariani americani negli
anni seguenti: per esempio, nel 1865 la conferenza nazionale unitariana
adottò una piattaforma programmatica nettamente cristiana, provocando il
distacco della minoranza razionalista che fondò la Free Religious Association
(associazione religiosa libera).
L'unitarianismo odierno Venendo
ai giorni nostri, nel 1961 avvenne la svolta con la fusione degli unitariani
statunitensi con il movimento dell'universalismo, fondato dall'ex pastore
metodista John Murray, che credeva nella salvezza di tutti gli uomini e
negava la dannazione eterna. La fusione diede luogo alla American Unitarian
Universalist Association, poi solo Unitarian Universalist Association, che
conta oggi 502.000 aderenti. Il sito web è http://www.uua.org/ Nonostante la diffusione
relativamente bassa dell'unitarismo/universalismo, ben 5 presidenti degli
Stati Uniti hanno professato una fede unitariana e/o universalista: Thomas
Jefferson (che gli unitariani danno come loro seguace, anche se una sua
adesione ufficiale non c'è mai stata), John Adams, John Quincy Adams, Millard
Fillmore William Howard Taft. L'associazione, nella quale la corrente
razionalista ha oramai preso il sopravvento, è un movimento basato su
congregazioni autogestite senza una comune formula religiosa ufficiale,
retaggio della sua travagliata storia e dell'apporto di idee molto
diversificate e perfino contrastanti: si nota un interesse più nella libera
ricerca della verità. Infatti, da una statistica risulta che solo il 3% degli
aderenti considera Dio come un essere soprannaturale e il 40% come simbolo
dell'amore o di altri processi naturali. Inoltre 90% non crede nella
immortalità dell'anima e 64% ammette di non pregare mai o di farlo
raramente. In compenso, gli unitariani universalisti si sono sempre schierati
in battaglie civili contro la pena di morte, a favore del divorzio,
l'aborto, l'eutanasia, per il controllo delle nascite, per la riforma
carceraria, per l'educazione sessuale nelle scuole. L'associazione
mantiene contatti con simili organizzazioni in Inghilterra, Irlanda,
Filippine, Ungheria, Francia e Cecoslovacchia e fa parte della International
Association for (Liberal Christianity) and Religious Freedom (IARF), che
afferma di rappresentare 1.500.000 aderenti in 25
paesi.
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Bernardino Bonifacio, Giovanni
(1517-1597)
Giovanni Bernardino Bonifacio, ultimo marchese di
Oria (vicino ad Otranto, in Puglia), era nato nel 1517 e nel 1536 era
diventato erede del titolo e dei feudi della famiglia, una delle dinastie più
in vista del regno di Napoli. Il B. aveva ricevuto una solida educazione
umanistica, sviluppata in diversi anni di studio e nella frequentazione di
ambienti culturali napoletani. Qui egli si distinse come assiduo habitué dei
circoli ispirati a Juan de Valdès, dove, probabilmente, conobbe i personaggi
più noti dei club valdesiani, come Bernardino Ochino, Pier Martire Vermigli,
Pietro Carnesecchi e Marcantonio Flaminio. Pur mantenendosi al sicuro
mediante un assiduo atteggiamento nicodemitico, B. sponsorizzò a distanza nel
1553 la pubblicazione a Basilea del De haereticis an sint persequendi del
riformatore Sebastian Castellion (Castellione). Solo nel 1557, dopo la
morte della moglie, il B. si trasferì volontariamente a Basilea. Fu appena in
tempo: infatti nell'ottobre dello stesso anno, egli fu citato a comparire
davanti al tribunale dell'inquisizione a Napoli. A Basilea B. fondò un
circolo luterano e conobbe Celio Secondo Curione, con il quale entrò in
polemica. Nello stesso 1557, egli fece la conoscenza e divenne amico di
Melantone, in occasione di un viaggio a Worms. Rimase sempre un animo
inquieto e questo spirito lo portò a vagare da una parte all'altra
dell'Europa, sempre alla ricerca della città ideale, che aveva denominato
"Eutopia". Dopo il soggiorno svizzero, si recò a Venezia, dove, nuovamente,
riuscì a scampare (fuggendo a Trieste) ad un ordine di cattura da
parte dell'inquisizione. Nel 1561 si recò in Polonia a Kasimirierz, presso
Cracovia, dove diventò amico di Giorgio Biandrata e di Prospero Provana. B.
si recò spesso anche in Moravia e accumulò negli anni successivi una
impressionante serie di tappe in giro per l'Europa, come già detto: Lione,
Parigi, Londra, dal 1565 al 1575 a Lörrach (Basilea), dove divenne amico e
sponsor del riformatore senese Mino Celsi (1514-ca.1575), Norimberga, Vienna,
Danimarca, Svezia, Inghilterra, Costantinopoli, e infine nuovamente (dal
1584) in Polonia, a Vilna, ospite di Niccolò Buccella. Poco dopo fece un
tragico viaggio in Inghilterra, dove perse la vista, e al ritorno dalla
quale, fece naufragio, salvandosi a stento, sulle coste polacche. Si stabilì
a Danzica, al cui Senato B. donò nel 1591 la sua preziosa collezione di ben
1.043 libri, con l'intento di non farli cadere in mano ai gesuiti e
permettendo la fondazione della Biblioteca cittadina. Morì a Danzica stessa
nel 1597. Dal punto di vista dottrinale, B. si allineò sulle posizioni
umaniste luterane di Melantone. Come i riformatori, B. era pessimista sulla
decadenza dell'uomo a causa del peccato e pensava che solo la Grazia, e non
certo le opere buone, potevano riportare l'uomo a Dio.
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