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BRUNO GIORDANO
Testo tratto dal sito: www.eresie.it di Douglas Swannie

GIORDANO BRUNO ED ALTRI PERSONAGGI ERETICI NELLA STORIA DELLA CHIESA

Arquer, Sigismondo (1530-1571)

L'umanista Sigismondo Arquer nacque a Cagliari nel 1530 da una famiglia
borghese: il padre era il giureconsulto Giovanni Antonio Arquer, consigliere
capo della città e braccio destro del viceré Antonio de Cardona (dal 1478
tutta la Sardegna era diventata una provincia spagnola), ed in continua
lotta con le fazioni anti-spagnole della nobiltà sarda, che erano riuscite
perfino a farlo imprigionare nel 1543.
Sigismondo si laureò in diritto a Pisa nel 1547 e in teologia a Siena l'anno
dopo. Nel 1548 egli intraprese un viaggio per perorare la causa di suo padre
alla corte di Bruxelles, ma si fermò per 5 mesi nel Cantone Grigioni, dove,
nel 1549, conobbe gli esuli religiosi italiani Pier Paolo Vergerio, Giulio
della Rovere e Camillo Renato.
In Svizzera A. venne accolto dal riformatore Conrad Pellican (Pellicanus)
(1478-1556) a Zurigo e da Bonifacio Amerbach (1495-1562) a Basilea, dove fu
inoltre ospite di Celio Secondo Curione e dove scrisse la Sardiniae brevis
historia et descriptio, pubblicata a Basilea stessa nel 1550 come capitolo
del celebre compendio di geografia dello cartografo tedesco ed ex
francescano passato (nel 1529) al luteranesimo, Sebastian Münster
(1488-1552), dal titolo Cosmographia universalis, opera comunque messa
all'Indice per le polemiche, contenute nel testo, contro il clero cattolico
e l'Inquisizione e per le convinzioni religiose dell'autore.
In seguito, dal 1551 al 1555, A. risedette in Spagna e, durante questo
periodo, fu nominato avvocato fiscale della Sardegna da parte del re Filippo
II (1556-1598), che lo ammirava per la sua profonda cultura come umanista e
poeta, oltre che valente uomo di legge.
Tuttavia, rientrato nel 1555 a Cagliari, A. fu vittima, come suo padre
qualche anno prima, di una congiura politica, ordita da un gruppo di nobili
sardi, capeggiati da Salvatore Aymerich: dapprima i suoi nemici tentarono di
avvelenarlo nel 1556, poi, nello stesso anno, lo fecero imprigionare e
sottoporre ad un processo per motivi politici, ma A. riuscì a fuggire e a
far trasferire il processo a Madrid, dove fu scagionato, anche per
intervento diretto del re: rientrò in patria nel 1558.
A questo punto, pur di screditarlo, i suoi nemici non esitarono ad accusarlo
di eresia religiosa, ma, ironia della sorte, nonostante i contatti avuti con
diversi riformatori e con le loro idee, l'umanista sardo era rimasto
profondamente cattolico.
Purtroppo l'essere associati al nome dell'eresiarca Sebastian Münster, gli
costò l'accusa di luteranesimo, da cui, comunque, egli venne nuovamente
prosciolto nel 1560 dall'arcivescovo e inquisitore in persona, Antonio
Parragues de Castillejo.
Eppure, in seguito, A. si dovette trasferirsi in Spagna per sottrarsi a
queste continue persecuzioni ed anche qui l'Inquisizione (e forse anche lo
stesso Parragues) continuò a considerarlo una persona sospetta fino a farlo
arrestare nel 1563 con una nuova accusa di luteranesimo sulla base di una
serie di otto lettere scambiate con l'erasminiano spagnolo (ed ex alcade di
Sassari) Gaspar de Centelles, in cui A., tra l'altro, esaltava la lettura e
lo studio diretto delle Sacre Scritture contro le interpretazioni della
Tradizione.
Egli subì quindi un processo lunghissimo (sette anni) e fu sottoposto a
varie torture fino alla sentenza finale del 22 dicembre 1570, dove A. fu
condannato ad essere arso vivo sul rogo.
La condanna venne eseguita a Toledo solo sei mesi dopo, il 4 giugno 1571, e,
sebbene fosse già lambito dalle fiamme, A. decise di proclamare
pubblicamente la sua fede, e fu per questo colpito ripetutamente con
l'alabarda da parte di un soldato per farlo tacere.


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Flacio Illirico (Flacius Illyricus), Matthias (o Matija Vlacic o Francovich)
(1520-1575) e flacianismo



La vita
Matija (Matthias) Vlacic (nome umanistico Flacius Illyricus) nacque il 3
Marzo 1520 ad Albona (oggigiorno Labin) in Istria, allora parte della
repubblica di Venezia.
Dopo aver trascorso l'infanzia in Istria e a Venezia, secondo alcuni autori,
gli fu sconsigliata la carriera ecclesiastica dallo zio Baldo Lupetino, un
francescano conventuale convertito al luteranesimo e condannato a morte nel
1556 per le sue idee religiose, che, invece, lo esortò a studiare in
Germania, dove F., dal 1539, frequentò le università di Augsburg, Basilea,
Tübingen e Wittenberg.
In quest'ultima università, F. divenne nel 1544 all'età di 24 anni,
professore di lingua ebraica e greca. Sempre a Wittenberg, F. conobbe Martin
Lutero, e ne divenne un fervente seguace, aderente, come Nikolaus von
Amsdorf, alla corrente dei luterani più osservanti, i cosiddetti
gnesio-luterani, e per questo spesso in conflitto con Philipp Melantone, per
alcune interpretazioni del pensiero di Lutero.
Così accadde per la controversia adiaforista del 1547, scatenata dalle
posizioni di Melantone, che considerava indifferenti alcune dottrine e
pratiche della Chiesa Cattolica, che, invece, Lutero combatteva. Il nome
della controversia derivava dal latino adiaphora (cose indifferenti dal
punto di vista morale).
Nel 1557 F. divenne professore del Nuovo Testamento all'università di Jena,
dove egli rielaborò la sua teoria sul peccato originale, suscitando
un'ondata di proteste.
Infatti, durante una disputa svolta a Weimar nel 1560 con il teologo e
seguace di Melantone, Victorin Strigel (1524-1569), F. enunciò che il
peccato originale non fosse un accidente (cioè quanto appartiene ad una
cosa, ma che non rientra nella sua essenza, secondo il concetto
aristotelico) dell'uomo, bensì parte della sua stessa sostanza. Facendo
così, però, F. cadeva nel dilemma insolvibile: O Satana è il creatore della
sostanza o Dio e il creatore del peccato, come disse il suo ex amico e
teologo gnesio-luterano Tilemann Hesshusen (1527-1588).
La teoria di F. venne definitivamente condannata nella Formula di Concordia
del 1577, ma nel frattempo F. aveva lasciato l'università di Jena nel 1562,
conducendo una vita errante, fatta di frequenti spostamenti a causa delle
persecuzioni dei suoi avversari, fino a Francoforte, dove finalmente si
stabilì e dove morì in ospedale l'11 Maggio 1575.


Le opere
Autore molto prolifico, F. scrisse circa 140 opere, molte delle quali mai
pubblicate. Tra le sue opere più conosciute si ricordano:
Catalogus testium veritatis (1556): per F., testimone della verità, la
dottrina di Lutero era solo un'interpretazione della Sacra Scrittura.
Ecclesiastica Historia (1559), una monumentale opera, in sei volumi,
concepita da un gruppo di studiosi luterani, con a capo lo stesso F.,
denominati i Centuriatori (in quanto l'opera era divisa in secoli, o
centurie) di Magdeburgo, dalla città, dove la maggior parte dell'opera era
stata scritta.
Clavis scripturae sacrae (1567), un dizionario enciclopedico su tutte le
parole bibliche, nel quale si discuteva sull'interpretazione della Sacra
Scrittura.
Grazie a quest'ultima opera, F. venne considerato il fondatore della
filosofia ermeneutica, cioè della arte dell'interpretazione dei passaggi
"difficili" della Sacra Scrittura, pur restando valido il principio luterano
della sola scriptura.

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Cerdo (fine I° secolo)



Maestro siriano gnostico della fine del primo secolo.
Cerdo fu fortemente decisivo nella formazione dottrinale di Marcione, che da
C. acquisì l'idea che il creatore del mondo, detto Demiurgo, non fosse il
vero Dio.
Inoltre C. identificò il Demiurgo nel Dio iroso e vendicativo del Vecchio
Testamento, distinguendolo dal buon Dio del Nuovo Testamento, il quale aveva
mandato suo Figlio Cristo a insegnare all'umanità come sfuggire al malvagio
mondo materiale.
Inoltre C. seguiva il pensiero docetista, perché anch'egli era convinto che
la sofferenza e morte di Cristo fosse solo un'apparenza.

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Cerinto di Antiochia (o di Efeso) (inizio II secolo)



Esponente del gnosticismo cristiano, Cerinto era nato ad Efeso o ad
Antiochia, ma, secondo altri autori ancora, era di origine egiziana.
Secondo C., il mondo non era stato creato da Dio, ma da un Demiurgo oppure
da angeli, che ignoravano la presenza del Dio supremo.
Inoltre egli affermava che Gesù fosse semplicemente il figlio di Giuseppe e
Maria e che il "Cristo", un potere divino superiore, fosse sceso su di lui
durante il battesimo, mandato da Dio sotto forma di colomba, insegnandogli
anche ciò che gli angeli ignoravano.
La colomba abbandonò Gesù prima della crocefissione, lasciando al supplizio
l'uomo, nell'attesa della sua resurrezione nel giorno del giudizio.
Questa dottrina era un tipo di docetismo, denominato adozionista.
Infine la dottrina di C. era millenarista: egli credeva cioè in un millennio
felice sulla terra prima della resurrezione e del regno di Dio in cielo.
Ad Efeso, C. fu fieramente combattuto da San Giovanni Evangelista e secondo
Sant'Ireneo, il Vangelo di Giovanni fu scritto dall'autore in tarda età per
correggere gli errori di C.
Tuttavia una curiosa diceria girava sul conto di quest'ultimo: che fosse lui
e non il suo oppositore, S. Giovanni, a scrivere l'Apocalisse!

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Michele da Cesena (ca. 1270-1342) e michelisti



Michele Fuschi, detto Michele da Cesena, nacque per l'appunto a Cesena nel
1270 circa e, dopo essere entrato nell'ordine dei francescani, si laureò in
teologia all'università di Parigi.
Nel Capitolo Generale di Napoli del 1316, M. fu eletto ministro generale e
ben presto dovette vedersela con l'annosa questione degli spirituali, di
quei francescani, cioè, che osservavano alla lettera la Regola ed il
Testamento del Santo, desiderando mantenerne l'originale stile di vita, ed
in questo contrastati dai conventuali, i francescani che desideravano
operare una parziale revisione in senso mitigatore della Regola dell'ordine.
M., a quel tempo un conventuale, cercò appoggio presso Papa Giovanni XXII
(1316-1334), che agì, scomunicando gli spirituali  e facendone torturare 25
da parte dell'Inquisizione. Quattro di essi, i quali nonostante tutto si
rifiutarono di riconoscere l'autorità papale sul movimento, furono bruciati
sul rogo nel 1318.
Tuttavia, poco dopo, anche tra i conventuali scoppiò una polemica interna
per quanto concerneva la questione della povertà assoluta di Gesù Cristo e
degli apostoli. Infatti, nel 1322, confortato da una ambigua risposta di
Ubertino da Casale, il quale aveva dichiarato che Gesù e gli apostoli erano
poveri in termini di proprietà personali, ma che avevano potuto far uso di
beni e denari per ogni loro necessità, Giovanni XXII scomunicò come eretica
l'affermazione, propria degli spirituali, che Cristo e gli Apostoli non
avevano alcun possesso né come individui né come in comune.
Ma questa presa di posizione provocò la reazione di M., fino a quel momento
non schierato: egli convocò nel 1322 il Capitolo Generale dell'ordine
francescano per emettere un pronunciamento a favore dell'assoluta povertà di
Gesù Cristo e degli apostoli. Questo pronunciamento fu avvallato dai
ministri provinciali dell'ordine di Inghilterra, Aquitania, Francia del nord
e Germania meridionale, ma fece infuriare il solito Giovanni XXII, che nel
1324 emise una nuova bolla scomunicando tutti coloro che si opponevano alla
decisione papale.
Nel 1327 M. fu convocato dal papa ad Avignone, dove fu violentemente ripreso
per questo pronunciamento del Capitolo, ma da dove, nel 1328, temendo il
peggio, fuggì via mare per mezzo di una galea inviata da Ludovico IV il
Bavaro (1314-1347).
M. si inserì successivamente nella lotta per l'investitura dell'imperatore
tra Giovanni XXII e Ludovico il Bavaro e prese una posizione ghibellina,
entrando a Roma al seguito di Ludovico in compagnia di Guglielmo di Occam,
Marsilio da Padova, Jean de Jandun e Ubertino da Casale.
Nello stesso 1328 Giovanni XXII scomunicò M. e lo dichiarò decaduto come
generale dell'ordine. M., a sua volta, dichiarò che il papa era un eretico e
da questa data prese avvio il movimento dei suoi seguaci, detti michelisti.
Nel 1330 M. seguì Ludovico al suo rientro a Monaco di Baviera e, nonostante
il Capitolo di Perpignan lo avesse espulso dall'ordine nel 1331, egli visse
a Monaco, protetto dalla benevolenza di Ludovico, fino alla sua morte nel
1342.

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Castellion (o Châtillon), Sébastien (1515-1563)



Sébastien Castellion (o Châtillon) nacque a Saint-Martin-du-Fresne, nella
regione della Savoia (Francia) nel 1515 e studiò all'università di Lione.
Nel 1536 egli fu fortemente colpito dalla lettura della Institution
chrétienne di Calvino e decise quindi, nel 1540, di recarsi a Strasburgo per
incontrare il riformatore, dal quale venne convertito e con cui strinse
un'amicizia, che si rivelò però in seguito molto tribolata.
Infatti nel 1541, dopo il ritorno di Calvino a Ginevra, questi chiamò C. a
dirigere il locale ginnasio, ma l'anno successivo il rapporto si incrinò con
la pubblicazione dei Dialogues sacrés dell'umanista savoiardo, dove C.
espresse la sua opposizione contro l'assolutismo, e conseguentemente contro
l'autorità assoluta spirituale di Calvino a Ginevra, basata sulla Parola di
Dio, cioè le Sacre Scritture, che non erano materia di discussione.
Inoltre C. aveva osato criticare il valore canonico del Cantico dei Cantici,
da lui inteso come una poesia d'amore con risvolti erotici, e non
un'allegoria religiosa, e aveva dato inoltre una sua personale
interpretazione, del tutto letterale, del testo del Credo dove si faceva
riferimento alla discesa di Gesù all'inferno.
Queste affermazioni furono esaminate da Calvino e dal concistoro cittadino,
in concomitanza alla domanda di C. di diventare predicatore: l'ovvia
risposta fu una bocciatura, che costrinse il savoiardo ad emigrare nel 1543
a Basilea dove visse in grave miseria fino al 1553: fu perfino costretto per
sopravvivere a procurarsi la legna per la casa, trascinando a riva con un
gancio da pescatori i tronchi vaganti sul Reno.
Infatti solo in quell'anno l'università di Basilea lo nominò professore di
greco antico, ma in quell'anno il 27 ottobre fu un triste giorno per la
tolleranza religiosa: fu infatti condannato al rogo a Ginevra il medico
umanista spagnolo Michele Serveto, che, in fuga dall'Inquisizione, cadde
dalla pentola cattolica nella brace dell'intolleranza calvinista.
Fra le numerosissime voci di protesta si levò quella di C., che scrisse
l'anno successivo, sotto lo pseudonimo di Martin Bellius, il suo libro più
famoso, De haereticis, an sint persequendi (Gli eretici devono essere
perseguiti?), un appassionato appello alla tolleranza ed alla libertà
religiosa, con frequenti citazioni di Martin Lutero, di Sebastian Franck, di
Erasmo da Rotterdam e dello stesso C.
La libertà religiosa era, secondo C., legata ad un concetto molto soggettivo
della verità e della sua ricerca. Infatti non bisognava cercare la verità
dottrinale assoluta, ma accordarsi sulle regole base della morale cristiana,
confrontando le varie idee. E, a causa di questa soggettività, veniva anche
a cadere il concetto di eresia, o perlomeno diventava molto relativo.
La reazione contro C. fu durissima e lanciata sia da Theodore de Bèze, che
nel suo scritto polemico De haereticis a civili magistratu puniendis
denunciò la sua "carità diabolica, e non cristiana" che da Calvino in
persona.
Anche a Basilea, dove C. risiedeva, egli fu attaccato per la sua posizione
contro la predestinazione e per il suo amore per la libertà.
Nuovamente nel 1562 C. entrò in polemica con Calvino nel suo libello Conseil
à la France désolée dove a proposito dell'esecuzione di Serveto, ebbe a dire
"uccidere un uomo non è difendere una dottrina, è uccidere un uomo". Anche
questo scritto fu criticato aspramente e provocò guai e persecuzioni a
coloro che osarono farlo circolare negli ambienti ginevrini.
C. morì a Basilea il 29 dicembre 1563.

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Unitarianismo (o unitarismo o antitrinitarismo) (XVI - XVII secolo)



Termine teologico per indicare la fede nell'unicità di Dio e nella
contemporanea negazione del dogma della Trinità. Ne consegue anche la
negazione della divinità di Cristo.
L'unitarianismo è stato, a parte l'anabattismo, la terza grande alternativa
nella galassia protestante, oltre al luteranesimo e allo
zwinglianismo/calvinismo.


La storia
La dottrina dell'unitarianismo viene fatta tradizionalmente risalire agli
inizi del Cristianesimo, ed in particolare agli eretici del periodo intorno
al Concilio di Nicene (325), come Ario (infatti gli unitariani furono
proprio chiamati ariani dai loro detrattori), Paolo di Samosata, Noeto di
Smirne, Prassea e Sabellio. Nel medioevo il concetto antitrinitario non
scomparì del tutto, ma rimase nella filosofia di Abelardo e Roscellino.
Venendo al periodo rinascimentale, i primi studiosi ad aver espresso
concetti antitrinitari furono nel 1527 Martin Borrhaus (nome umanistico:
Cellarius) (1499-1564), amico di Martin Lutero, e il predicatore anabattista
Ludwig Haetzer (1500-1529), ma fu soprattutto la pubblicazione a Hagenau, in
Alsazia, nel 1531, del famoso libro De trinitatis erroribus (Gli errori
sulla Trinità) del medico spagnolo Miguel Servet (Michele Serveto) a gettare
nello scompiglio i più famosi pensatori protestanti dell'epoca, da Lutero
("un libro abominevolmente malvagio") a Melantone, Ecolampadio, Bucero.
Quest'ultimo tuonò dal proprio pulpito che l'autore avrebbe meritato di
essere squartato! E proprio in seguito alla pubblicazione di questo libro
tutti i riformatori dell'epoca decisero di rinforzare l'importanza
dottrinale della Santa Trinità. Dopo una vita tribolata da continue
persecuzioni, Serveto finì i suoi giorni, messo al rogo a Ginevra nel 1553
da un altro dei pensatori riformisti, che più lo detestavano, Giovanni
Calvino.
Ma la morte di Serveto fece levare moltissime voci di protesta, tra cui
quelle dei protestanti italiani Giovanni Valentino Gentile, Matteo Gribaldi
Mofa, Giorgio Biandrata e Giovanni Paolo Alciati della Motta, i quali furono
costretti ad emigrare da Ginevra, portando, pur con sfumature diverse, i
germi della dottrina antitrinitaria soprattutto dal 1560 nell'Europa
orientale, cioè in Polonia, Moravia e Transilvania.


Antitrinitari in Polonia
Qui le dottrine antitrinitarie non erano totalmente sconosciute, tant'è vero
che già nel 1538 una anziana donna di 80 anni, Caterina Weygel (o Vogel),
era stata bruciata sul rogo a Cracovia per una sospetta eresia
antitrinitaria. Ma sotto il regno di Sigismondo II Augusto (1543-1572) si
crearono le premesse per lo sviluppo delle idee antitrinitarie in Polonia.
L'antesignano fu Petrus Gonesius (Piotr Z Goniazde), che aveva studiato a
Padova nel 1552-54 con Gribaldi Mofa e da lui era stato convertito.
Già nel secondo sinodo della Chiesa Riformata Polacca (fondata da Jan Laski)
del 1556, Gonesius espresse forti concetti antitrinitari, ma fu solo con
l'arrivo di Giorgio Biandrata e di Lelio Sozzini nel 1558 che la corrente
unitariana trovò dei veri leader e formò una comunità, soprattutto di esuli
italiani, a Piñczòw vicino a Cracovia.
Tuttavia, poco dopo, ci fu per loro un durissimo colpo quando i cattolici,
rappresentati dal nunzio apostolico cardinale Giovanni Francesco Commendone
(1523-1584), convinsero il re Sigismondo II Augusto ad emettere nell'agosto
1564 l'editto di Parczów, che stabiliva l'espulsione di tutti gli stranieri
non cattolici.
Agli antitrinitari italiani, compreso il famoso ex vicario generale dei
Cappuccini, Bernardino Ochino appena giunto in Polonia, non restò che
emigrare in Moravia o in Transilvania.


L'esilio in Moravia
Il margraviato di Moravia, pur facendo parte dei possedimenti assurgici,
godeva di una ampia autonomia, anche in campo religioso. Un esempio pratico
fu l'accoglienza positiva riservata per le comunità di anabattisti, guidati
da Balthasar Hübmaier e Jakob Hutter, perseguitati senza pietà in tutto il
resto dell'Europa.
Austerlitz (Slavkov in ceco), in particolare, fu una città dove fecero capo
diverse correnti religiose dissidenti, compresi gli antitrinitari: nel 1564,
scacciati dalla Polonia in seguito all'editto di Parczów, un gruppo di
antitrinitari italiani, comprendente Niccolò Paruta (che formò in seguito
delle comunità denominate seminaria veritas), Gentile, Alciati della Motta,
Ochino, si recò nella città morava. Furono seguiti nei successivi anni da
altri dissidenti come Marcello Squarcialupi, Andrea Dudith-Sbardellati e
Niccolò Buccella, che man mano, con il miglioramento della situazione
polacca, decisero di rientrare in Polonia.


Ripresa delle attività in Polonia
Già dopo la dieta di Piotrków della Chiesa Riformata Polacca del 1564 che
decretò l'esclusione degli antitrinitari, ci fu una separazione tra una
ecclesia major calvinista ed una ecclesia minor di fede antitrinitaria.
Gli antitrinitari, in quel periodo, si erano frazionati in quattro correnti,
qui riassunti dal nome dei capi-scuola:
Stanislao Farnowski (Farnovius, m.1615): come Gonesio, i suoi seguaci
pensavano che Cristo era pre-esistito alla creazione del mondo e quindi era
giusto adorarlo, ma non adottavano la stessa venerazione per lo Spirito
Santo.  Erano inoltre contrari al battesimo degli infanti. Nel 1568 il
gruppo di Farnowski si separò dalla chiesa unitariana polacca,
concentrandosi in una zona a cavallo del confine con l'Ungheria. La
secessione durò circa 50 anni e, dopo la morte del loro leader, i suoi
seguaci vennero riassorbiti dagli unitari o dai calvinisti.
Martin Czechowic: egli era un ariano molto radicale: Cristo era un uomo come
gli altri, ma essendo nato senza peccato, fu divinizzato e era giusto
adorarlo. Prendendo, come Gonesio, dagli anabattisti, Czechowic si opponeva
al battesimo dei bambini, all'uso delle armi, al coinvolgimento in incarichi
pubblici e alla proprietà privata.
Grzegorz Pawel: il gruppo di Cracovia di Pawel negava sia la pre-esistenza
di Cristo, sia la necessità di adorarlo. Come Gonesio e Czechowic, Pawel
aveva convinzioni anabattiste e in più era un millenarista.
Szymon Budny: per Budny Cristo era un uomo ed era idolatria adorarlo. Venne
scomunicato nonostante il suo vasto seguito in Lituania.
Un punto di svolta fondamentale per l'ecclesia minor fu l'arrivo in Polonia
nel 1579 di Fausto Sozzini, nipote di Lelio, che divenne ben presto la guida
di tutti gli antitrinitariani locali.
Socini pose la sua residenza a Cracovia, sebbene il centro di riferimento
per l'unitarismo polacco fosse la vicina cittadina di Raków, dove era stato
fondato un seminario di studi antitrinitari nel 1569 e dove, tra il 1603 ed
il 1605, sarebbe stato redatto il catechismo ufficiale della setta.
Nello stesso periodo Socini entrò nella polemica tra gli adoranti (al cui
pensiero lui aderiva) e i non-adoranti, come Ferenc Dàvid, Giacomo
Paleologo, Jànos Sommer e Andrea Dudith Sbardellati. (vedi capitolo
"Antitrinitari in Transilvania").
Socini, con il suo De Jesu Christi filii Dei natura sive essentia, attaccò i
non-adoranti come giudaizzanti, che volevano, tra l'altro, santificare il
sabato, secondo un uso sabbatariano, che si sarebbe poi diffuso in
Inghilterra, portatovi proprio dagli unitariani profughi dalla Polonia.
Il pensiero di Socini, fortemente razionale, accettava un solo Dio, mentre
Gesù Cristo era semplicemente un uomo crocefisso, il cui compito era di
rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così la salvezza,
seguendo il Suo esempio. Per lui la Sacra Scrittura, redatta da uomini, non
era indenne da errori, e l'uomo doveva basarsi sulla propria etica per
osservare i comandamenti e non era quindi necessaria la grazia divina. Egli,
inoltre, negava l'esistenza dell'inferno, il peccato originale, la necessità
dei sacramenti, la predestinazione.
Un bel programma in un secolo caratterizzato dal fanatismo religioso degli
opposti estremismi!
Nel 1588 Socini riuscì nell'impresa di unire tutte le fazioni unitariane al
sinodo di Brest (in suo onore, da quel momento gli unitariani si
denominarono sociniani), ma negli anni successivi dovette fronteggiare la
reazione, anche di piazza, dei cattolici: nel 1591 il suo punto d'incontro a
Cracovia fu devastato dalla folla e nel 1598 Socini stesso fu malmenato,
scampando per poco ad un linciaggio.
Egli morì nel 1604 e sulla sua tomba vennero scritte queste significative
parole: Crolli la superba Babilonia: Lutero ne distrusse i tetti, Calvino le
mura, Socini le fondamenta.
Pochi anni dopo, nel 1610, la potente organizzazione gesuita sbarcò in
Polonia decretando il rapido declino degli unitariani in Polonia: nel 1611
fu bruciato sul rogo a Varsavia l'unitariano Jan Tyskiewicz, un agiato
cittadino di Bielsk, e nel 1638 i sociniani furono espulsi da Raków e ne fu
chiuso il seminario.
Il colpo finale per l'unitarismo in Polonia fu il bando di espulsione per
tutti gli unitariani polacchi, deciso nel 1658 e diventato esecutivo il 10
luglio 1660, che li costrinse o ad uniformarsi o ad emigrare in altri paesi
europei (in Olanda, dove la maggior parte si trasferì aderendo alla Chiesa
Arminiana dei rimostranti, in Germania, e in Transilvania, dove però essi
non aderirono alla Chiesa Unitariana Transilvana, ma formarono una chiesa
autonoma a Kolozsvàr estinguendosi nel 1793).
L'ultima sacca di resistenza unitariana in Polonia si estinse nel 1811 e
solo nel 1921 furono riaccettate le congregazioni unitariane nella nazione
rinata dopo secoli di dominazione straniera. Ma la successiva occupazione
nazista nel 1939 e l'instaurazione del comunismo ha fatto sì che
l'unitarianismo polacco potesse incominciare a muovere nuovamente qualche
timido passo solamente dopo la caduta del muro di Berlino, negli anni '90
del XX secolo.
L'attuale Chiesa unitariana in Polonia comprende solo qualche centinaio di
fedeli.


Antitrinitari in Transilvania
Nel 1562 Giorgio Biandrata si recò in Transilvania, a Gyulafehérvár (Alba
Julia), dove fece la conoscenza e divenne amico di Ferenc Dàvid, vescovo
della Chiesa Riformata di Transilvania e cappellano personale del principe
Giovanni II Sigismondo Zapolya (1541-1571). Biandrata fece leggere a Dàvid
una copia della famosa Christianismi restitutio (La restaurazione del
Cristianesimo) di Miguel Serveto, convertendolo all'antitrinitarismo.
Il successivo sinodo nazionale a Gyulafehérvár del 1566 risultò un trionfo
per gli antitrinitari, sottolineato dalla pubblicazione del libro di Dàvid
De vera et falsa unius Dei, Filii et Spiritus Sanctii cognitione (Della
falsa e vera conoscenza dell'unità di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo),
nel quale il riformatore transilvano ridicolizzava la dottrina della Trinità
e perorava la causa della tolleranza religiosa per tutte le fedi.
Questo discorso venne poi ripreso durante la Dieta di Torda nel gennaio
1568, dove  Giovanni II Sigismondo Zapolya riconobbe la piena libertà a
tutte le confessioni religiose: fu la prima dichiarazione, al mondo, di
tolleranza religiosa mai pronunciata da un regnante. Oltre a questo, il re
aderì apertamente all'unitarismo con molti nobili della corte e Dàvid
divenne il capo della Chiesa Unitariana di Transilvania.
Nel 1570 Dàvid entrò in contatto, e ne fu influenzato, con lo studioso
italo-greco Giacomo Paleologo e il suo discepolo locale, il rettore del
ginnasio di Kolozsvár, János Sommer (1540-1574). Paleologo polemizzava con
un altro famoso antitrinitario, Fausto Socini, a riguardo della figura di
Gesù Cristo, che, per il Socini, era un vero uomo crocefisso, il cui compito
era di rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così la
salvezza, seguendo il Suo esempio. Il Paleologo, invece, negava il ruolo di
guida del Cristo, per i fedeli verso la salvezza, e rifiutava,
conseguentemente, ogni forma di adorazione di Gesù Cristo. Per questo, il
Paleologo e i suoi seguaci, tra cui si associò anche Dàvid, vennero
denominati antitrinitari non-adoranti in contrapposizione al pensiero
sociniano di tipo adorante. Alla corrente non-adorante aderì anche l'ex
vescovo cattolico e ambasciatore (di madre italiana) Andrea
Dudith-Sbardellati.
Purtroppo il momento magico per Dàvid finì solo tre anni dopo, nel 1571 con
la morte, a soli 31 anni, di Giovanni II Sigismondo e la salita al trono del
cattolico Stefano I Báthory (1571-1586), che tolse a Dàvid l'incarico di
cappellano personale del re e gli impedì di pubblicare altri scritti. Nel
1579 i suoi nemici riuscirono a farlo arrestare e imprigionare nella
fortezza di Déva dove, a causa del clima rigido e del fisico debilitato,
Dàvid  morì nel novembre dello stesso anno.
La Chiesa Unitariana di Transilvania, fondata da Dàvid, pur attraverso mille
traversie, spietate persecuzioni da parte degli Asburgo cattolici e feroci
pogrom da parte di fanatici ortodossi rumeni, esiste ancora oggi formata da
125 chiese, sebbene divisa dal 1949 in un troncone in Ungheria (25.000
fedeli, ed uno di etnia ungherese in Transilvania/Romania (circa 80.000
fedeli).


Sociniani in Inghilterra
Attraverso l'Olanda, che accolse molti esuli sociniani, l'antitrinitarismo
giunse in Inghilterra, dove il principale esponente fu John Biddle, preside
del liceo di Gloucester, che pubblicò, nel 1647, il primo trattato
dell'unitarismo inglese, Twelve arguments against the Deity of the Holy
Spirit (dodici ragioni contro la divinità dello Spirito Santo) a uso privato
per pochi amici, uno dei quali lo tradì, facendolo rinchiudere in carcere
nel 1645 per ordine dei magistrati di Gloucester.
Nel 1646 Biddle fu convocato a Londra per essere giudicato da una
commissione di teologi, ma, nell'attesa della sentenza, fu confinato in
prigione a Westminster dove rimase per vari motivi per i successivi 5 anni.
Infatti, imprudentemente, nel 1647, Biddle fece pubblicare le sue Dodici
ragioni, suscitando un putiferio: a gran voce venne chiesta la sua condanna
a morte, prevista anche dalla recentemente approvata (nel 1648) legge
Ordinance for punishing heresies and blasphemies (ordinanza per punire
eresie e blasfemie), ma nel 1652, grazie alla Act of Oblivion (legge di
oblio), egli poté finalmente uscire di prigione.
Una volta libero, Biddle fondò una piccola congregazione sociniana a Londra,
traducendo testi base dei sociniani (o unitariani) polacchi, come il
Catechismo di Racow (in Polonia), la prima dichiarazione dei principi
sociniani, ma soprattutto pubblicò nel 1654 la sua opera più celebre, il
Twofold Catechism (Catechismo doppio), dove in 24 capitoli egli bandì tutte
le espressioni e dottrine non originarie delle Scritture, come
transustanziazione, peccato originale, Dio fatto uomo, Madre di Dio etc.
Insomma non ci fu un solo punto della teologia dell'epoca che non fosse
rimesso in discussione da lui, sebbene utilizzasse l'astuta tecnica delle
domande aperte, senza mai precisare la propria fede.
Nonostante ciò, per ordine del parlamento, le copie del suo libro furono
bruciate sul rogo e lui stesso imprigionato nel carcere di Newgate, ma, per
l'ennesima evoluzione della turbolenta situazione politica inglese (era
stato sciolto il parlamento), fu liberato.
Biddle continuò per tutta la vita a professare attivamente le proprie idee e
per questo venne più volte condannato al confino e al carcere fino alla sua
morte avvenuta nel 1662.
Il principale esponente dell'unitarismo inglese dopo Biddle fu Thomas Emlyn
(1663-1741), che fondò una congregazione unitariana a Londra nel 1705, ma va
anche citata l'attività del teologo neo-ariano Samuel Clarke con il suo
trattato Scripture Doctrine of the Trinity (Scrittura dottrina sulla
Trinità), del 1712.
In seguito si affermò Joseph Priestley (1733-1804), che divise il suo tempo
tra la chimica (individuò, tra l'altro, la molecola dell'ossigeno) e le
predicazioni unitariane, e Theophilus Lindsey che nel 1774 fondò la prima
chiesa ufficiale di ispirazione sociniana a Londra.
Nel 1791 un gruppo di teppisti distrusse sia la casa che il laboratorio di
Priestley, che qualche anno dopo prese la decisione di emigrare in America,
dove fondò una chiesa unitariana in Pennsylvania.
Nel frattempo, in Inghilterra si era formata nel 1825 la British and Foreign
Unitarian Association, che dovette lottare contro le leggi britanniche
varate per proibire agli unitariani di accettare lasciti donati dai
puritani, cosa che verrà aggiustata soltanto con una nuova legge nel 1844.
Nel 1840 avvenne una grave scissione nel movimento: i "cristiani liberi" di
James Martineau, convinti in una fede più intuitiva e meno "razionale", si
separarono fino al 1928, anno in cui le due anime dell'unitarismo inglese si
rifusero nella attuale General Assembly of Unitarian and Free Christian
Churches.


Unitariani in America
Come già detto, Joseph Priestley fu uno dei predicatori che aiutò la
diffusione dell'unitarismo negli Stati Uniti, dove la dottrina però si
sviluppò abbastanza lentamente: prendendo spunto dalle prediche in
Inghilterra di Priestley, due chiese di Boston, la West Church del pastore
Jonathan Mayhew (1720-1766) e la First Church del pastore Charles Chauncy
(1705-1787) divennero unitariane.
Nel 1825 si formò la American Unitarian Association, ma, come per la crisi
degli unitariani inglesi del 1840, anche il pensiero unitariano americano fu
fortemente scosso dalle idee di William Ellery Channing, che inserì elementi
pietisti e filantropici. Lo scontro tre le due anime, mistica-pietistica da
una parte e razionale dall'altra, avrebbe caratterizzato la storia degli
unitariani americani negli anni seguenti: per esempio, nel 1865 la
conferenza nazionale unitariana adottò una piattaforma programmatica
nettamente cristiana, provocando il distacco della minoranza razionalista
che fondò la Free Religious Association (associazione religiosa libera).


L'unitarianismo odierno
Venendo ai giorni nostri, nel 1961 avvenne la svolta con la fusione degli
unitariani statunitensi con il movimento dell'universalismo, fondato dall'ex
pastore metodista John Murray, che credeva nella salvezza di tutti gli
uomini e negava la dannazione eterna.
La fusione diede luogo alla American Unitarian Universalist Association, poi
solo Unitarian Universalist Association, che conta oggi 502.000 aderenti.
Nonostante la diffusione relativamente bassa dell'unitarismo/universalismo,
ben 5 presidenti degli Stati Uniti hanno professato una fede unitariana e/o
universalista: Thomas Jefferson (che gli unitariani danno come loro seguace,
anche se una sua adesione ufficiale non c'è mai stata), John Adams, John
Quincy Adams, Millard Fillmore  William Howard Taft.
L'associazione, nella quale la corrente razionalista ha oramai preso il
sopravvento, è un movimento basato su congregazioni autogestite senza una
comune formula religiosa ufficiale, retaggio della sua travagliata storia e
dell'apporto di idee molto diversificate e perfino contrastanti: si nota un
interesse più nella libera ricerca della verità.
Infatti, da una statistica risulta che solo il 3% degli aderenti considera
Dio come un essere soprannaturale e il 40% come simbolo dell'amore o di
altri processi naturali. Inoltre 90% non crede nella immortalità dell'anima
e 64% ammette di non pregare mai o di farlo raramente.
In compenso, gli unitariani universalisti si sono sempre schierati in
battaglie civili contro la pena di morte, a favore del divorzio, l'aborto,
l'eutanasia, per il controllo delle nascite, per la riforma carceraria, per
l'educazione sessuale nelle scuole.
L'associazione mantiene contatti con simili organizzazioni in Inghilterra,
Irlanda, Filippine, Ungheria, Francia e Cecoslovacchia e fa parte della
International Association for (Liberal Christianity) and Religious Freedom
(IARF) che afferma di rappresentare 1.500.000 aderenti in 25 paesi.

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Luca di Praga (1460-1528), i Fratelli Boemi (Unitas fratrum) ed i Fratelli
Moravi



Il periodo storico
I Fratelli Boemi si inserirono nel periodo storico scaturito in Boemia in
seguito all'approvazione delle Compactata di Basilea, una serie di deroghe
dottrinali, che riproducevano i Quattro Articoli di Praga (concepiti nel
1420 da Jakoubek di Stribo): esse furono concesse agli hussiti dal Concilio
di Basilea (1431-1439) e quindi ratificate nel 1436 dalla Dieta di Iglau
(Jihlava) in Moravia, dove i cattolici e gli hussiti avevano accettato
reciprocamente le Compactata e l'obbedienza al Concilio.
Ma questo compromesso non fu accettato dalla fazione radicale dei taboriti e
si giunse ad una guerra civile tra i moderati utraquisti (momentaneamente
alleati con i cattolici) e i Taboriti stessi, conclusasi con la sconfitta di
questi ultimi nella battaglia di Lipau (o Lipany) del 30 Maggio 1434, dove
fu ucciso anche il loro capo Andreas Prokop.
Due anni dopo, nel 1436, alla Dieta di Iglau (Jihlava) in Moravia, i
cattolici e gli hussiti accettarono reciprocamente le Compactata e
l'obbedienza al Concilio. Fu formata una Chiesa Cattolica boema indipendente
con a capo l'arcivescovo Jan Rokyzana.
Tuttavia l'accordo non portò la sperata pace in Boemia, dove continuarono
nuove lotte interne culminate nel 1448, quando il governatore di Praga,
Giorgio Podiebrad reagì con forza ai tentativi dei cattolici di riprendersi
i beni confiscati durante le guerre hussite e di rievangelizzare la regione
con una attività martellante dei predicatori francescani agli ordini del
Vicario generale, San Giovanni Capistrano (1386-1456).
Podiebrad venne nominato reggente nel 1452 e divenne re di Boemia dal 1458
al 1470, sostenendo attivamente il rito utraquista.


La fondazione dell'Unitas fratrum
Nel 1457 alcuni utraquisti ed i superstiti taboriti si staccarono dalla
Chiesa hussita, formando un movimento separato, denominato Unitas Fratrum
(unità dei fratelli) o Fratelli Boemi, il cui fondatore fu un certo Gregorio
(secondo altri autori, Giorgio), nipote del predicatore utraquista Rokyzana,
ma di cui ebbe parte fondamentale il predicatore Petr Chelcický (1390-1460).
Il movimento ebbe un immediato successo ed aumentarono i suoi adepti fino al
numero di qualche migliaio, ma la sua rapida crescita fu bloccata nel 1461
dall'arresto di Gregorio e di altri attivisti per ordine del re Giorgio
Podiebrad, sempre vigile contro possibili riprese del defunto movimento
taborita.
Infatti, benché rifiutassero la violenza tipica dei taboriti, sviluppando
invece altre caratteristiche, come l'abolizione di ogni grado e gerarchia,
del giuramento, del servizio militare per favorire una vita basata sulla
povertà evangelica, i Fratelli Boemi accettarono alcuni punti tipici dei
radicali hussiti in tema di Eucarestia e Sacramenti.
Per continuare la loro opera essi si rifugiarono a Reichnau, sul lago di
Costanza, dove nel 1467, i F. si fusero con i valdesi boemi nel 1467,
diventando l'Unione dei fratelli boemi-moravi, e dando luogo alla
consacrazione di diversi preti (che dovevano essere celibi e non potevano
avere alcun possesso) e di un vescovo, Mattia di Kunwald.
L'Unione era basata su una severa moralità, sulla quale vigilava un comitato
di anziani, che potevano espellere coloro che si erano macchiati di qualche
peccato o colpa.
Comunque le persecuzioni nei loro confronti da parte di re Giorgio
continuarono fino alla sua morte nel 1471.


Luca di Praga
Luca nacque intorno al 1460 ed divenne baccelliere all'Università di Praga,
affermandosi successivamente come teologo molto preparato.
Dal 1480 circa, Luca fu nominato capo e vescovo dei F. riorganizzandoli come
una vera chiesa: in questo dovette vincere l'opposizione interna
rappresentata dall'ala più conservativa dei Radicali.
Nel frattempo, la Boemia era finita sotto il dominio della dinastia polacca
degli Jagelloni: era infatti diventato re di Boemia (e dal 1490 anche di
Ungheria) Ladislao II (1471-1516), figlio di Casimiro IV di Polonia
(1444-1492).
Ladislao fu alquanto tollerante con i F. e questa cosa permise una loro
rapida espansione (circa 100.000 seguaci), nonostante la persecuzione voluta
da Papa Alessandro VI (1492-1503): fu un vero peccato tuttavia che essi non
sapessero meglio coltivare i rapporti con il re. Infatti nel 1507 quando il
sovrano li invitò ad una conferenza con gli utraquisti a Praga, essi, per
tutta risposta, inviarono degli illetterati maleducati. Questo sgarbo mandò
in bestia il re Ladislao, che iniziò a perseguitare i F. ad iniziare
dall'Editto di San Giacomo del 1508.
Nel 1528 morì il vescovo Luca, che si era sempre posto in maniera
equidistante dai vari pensieri riformatori dell'epoca, come i luterani e gli
zwingliani.
Ne prese l'eredità spirituale Giovanni di Augusta, il quale tentò una
fusione con i luterani nel 1542, ma questa naufragò per una visione troppo
severa della morale dei F., non condivisa da Martin Lutero.
Tuttavia i F. furono lealmente al fianco dei luterani nella lega di
Smalcalda e patirono anche loro le conseguenze della sconfitta nella
battaglia di Muhlberg del 1547 e dovettero accettare o l'esilio in Polonia e
Prussia o di fondersi almeno formalmente con gli utraquisti.
Un periodo di relativa pace si ebbe sotto Massimiliano II d'Asburgo
(1564-1576), che rifiutò le decisioni del Concilio di Trento (1545-1563) per
mantenersi in una posizione neutrale: ne approfittarono i F. per stendere la
Confessio bohemica, l'atto di fede dei F., un documento teologicamente
ancora in una posizione intermedia tra luterani e calvinisti.
Durante il regno dell'imperatore Rodolfo II (1576-1612) fu stillata una
lettera di garanzia delle libertà religiose ai boemi, mentre durante il
regno del successore, il fratello Mattia (1612-1619), avvenne l'episodio
scatenante la Guerra dei Trent'anni: una ulteriore defenestrazione di Praga
degli incaricati cattolici dell'Imperatore.
Ma non erano più i bei tempi di Zizka o Prokop: la guerra vide la secca
sconfitta dei Boemi nella battaglia alla Montagna Bianca del 1620 da parte
delle truppe dell'imperatore Ferdinando II (1619-1637), il quale forzò i F.
a diventare cattolici o ad emigrare: molti scelsero di rifugiarsi in
Ungheria o in Polonia settentrionale, tra cui l'illustre filosofo e pedagogo
Jan Amos Komenski (Comenio) .
Altri F. boemi sopravvissero in clandestinità in Moravia, emigrando
successivamente in Germania, dove intorno al 1730 il conte Nikolaus Ludwig
von Zizendorf (1700-1760) fondò il movimento dei Fratelli Moravi, unendo le
caratteristiche dei F. con quelle del Pietismo di origine luterana.
Oggigiorno la Chiesa Morava, anche grazie ad una intensa opera di
missionariato nelle Americhe, conta nel mondo circa 300.000 fedeli.

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Enrico VIII d'Inghilterra (1509-1547) e Anglicanesimo



L'Inghilterra fu unica nella sua scelta di staccarsi dalla Chiesa Cattolica:
il risultato finale fu la Chiesa Anglicana, teologicamente una miscela di
dottrina cattolica e riformata, ma in pratica indipendente da tutte e due.


Situazione storica
Già prima del XVI secolo, l'Inghilterra aveva conosciuto eresie
particolarmente radicate sul territorio, come, ad esempio nel XIV secolo,
John Wycliffe e i suoi poveri predicatori, e il conseguente movimento
lollardo, che persisteva anche ai tempi di re Enrico VIII.
L'Inghilterra, inoltre, cercava di sviluppare la propria società, rifondata,
dopo la lunga e devastante Guerra delle Due Rose (1455-1485), su un
nazionalismo piuttosto marcato e ovviamente desiderava evitare, il più
possibile, le interferenze esterne.
Quindi era chiaro che le ingerenze del papa sugli affari interni inglesi, il
pagamento dei tributi a Roma, la corruzione nel quale versava il clero
cattolico inglese, un quarto circa del suolo nazionale in mano alla Chiesa,
un sistema di giudizio e pagamento delle tasse differenziato per gli uomini
di chiesa erano problemi decisamente maldigeriti dalla nazione e dal suo re.


Enrico VIII (1509-1547)
Enrico VIII, nato nel 1491, salì sul trono a soli 18 anni, nel 1509, dopo la
morte del padre Enrico VII (1485-1509). Nel primo periodo del suo regno egli
diede l'impressione di un devoto fedele della Chiesa Cattolica: scrisse
perfino un Assertio Septem Sacramentorum nel 1521 e fu molto efficace
nell'opporsi alla diffusione del luteranesimo in Inghilterra. Il tutto gli
fece guadagnare il titolo di Difensor fidei (difensore della fede) da parte
del papa.
Ma la crisi con Roma arrivò nel 1527: infatti Enrico era sposato, per
volontà politica di suo padre, dal 1509 con Caterina d'Aragona, vedova di
suo fratello Arturo. A quel tempo, questo matrimonio si poté celebrare
solamente con la dispensa di Papa Giulio II (1503-1513).
Dopo 18 anni, il re chiese al Papa Clemente VII (1523-1534) l'invalidazione
della dispensa papale, ma la questione era infatti molto delicata: da una
parte Enrico era seriamente preoccupato per la successione al trono
d'Inghilterra a causa del matrimonio con la più anziana Caterina, che non
era riuscita a dare un erede maschio al re: l'unica superstite delle sue
varie gravidanze era la figlia Maria. Però, dall'altra parte bisognava
considerare le implicazioni internazionali: Caterina era anche zia
dell'imperatore Carlo V (1519-1558)!
L'intermediario papale [l'arcivescovo di Salisbury Lorenzo Campeggio
(1472-1539)] e quello del re [il cardinale e Lord Cancelliere Thomas Wolsey
(1474-1530)], scelti per condurre la trattativa, tirarono per le lunghe
senza arrivare ad una conclusione e lo stesso Papa Clemente VII, dopo aver
subito il sacco di Roma e la prigionia da parte dei lanzichenecchi di Carlo
V nel 1527, non voleva ulteriormente provocare l'imperatore, perciò nel 1529
avocò a Roma il diritto di decidere sulla questione, ma anche lui, debole o
troppo prudente, continuò a posporre la decisione finale.
Lo stato di impasse fu superato grazie a Thomas Cranmer, docente
universitario alla Jesus College di Cambridge, il quale suggerì al re di
consultare le principali università europee. Oltretutto, secondo Cranmer,
anche dalle stesse Sacre Scritture veniva la conferma della scelta di
separazione, secondo un passo del Levitico (20:21): Se un uomo sposa la
moglie di suo fratello commette un'impurità; essi rimarranno senza figli.
Benché la proposta di Cranmer non permettesse di raggiungere l'unanimità di
consensi, tuttavia la maggioranza delle risposte fu favorevole a Enrico.
Anno dopo anno, Enrico VIII, consigliato da Cranmer, nominato nel 1532
arcivescovo di Canterbury, alzò sempre più il tiro contro la Chiesa
Cattolica. Nel frattempo, però, Cranmer si era nel frattempo sposato con
Margaret, nipote del riformatore luterano Andreas Osiander: dovette
occultare la presenza della moglie e perfino mandarla all'estero per non
dispiacere al re.
Nel 1530 il re accusò molti prelati inglesi di violare, a loro favore, gli
statuti, denominati Praemunire, (editti nel 1353, 1365 e 1393), i quali
concedevano che le cause legali coinvolgenti uomini di chiesa fossero
portate davanti a corti papali fuori dall'Inghilterra, solo dopo il
beneplacito del re. La vittima più illustre di questa accusa fu Thomas
Wolsey, che già caduto in disgrazia per la sua inefficienza dimostrata
durante le trattative per la separazione del re, fu messo sotto accusa, ma
morì di malattia il 30 novembre 1530 durante il suo trasferimento a Londra.
Nel 1531 Enrico fece votare dal parlamento "l'atto di supremazia" con la
quale egli si fece riconoscere Capo Supremo della Chiesa in Inghilterra.
Nel 1532 decise che i tributi andavano pagati alla corona e non a Roma.


Lo strappo con Roma
Lo strappo definitivo arrivò nel 1533, quando il re sposò in segreto la sua
nuova fiamma, Anna Bolena, la quale già aspettava un figlio da lui, e, tre
mesi dopo, Cranmer, facendosi forte di un decreto parlamentare sulla
autonomia della Chiesa inglese nelle decisioni interne, dichiarò sciolto il
matrimonio di Enrico con Caterina e riconobbe ufficialmente quello con Anna
Bolena.
Il papa Clemente VII reagì con la scomunica del re, di Anna Bolena e di
Thomas Cranmer nel luglio 1534 e con l'interdizione (cessazione
dell'amministrazione dei sacramenti) dell'Inghilterra, provvedimento che
sarebbe stato tremendo nel medioevo, ma che fu praticamente ignorata nel XVI
secolo. Clemente morì nel settembre 1534: il successore, Paolo III
(1534-1549), ideatore del Concilio di Trento, dovette gestire un rapporto
con la Corona d'Inghilterra, che peggiorava ogni giorno sempre di più.
Infatti Enrico VIII rispose alla scomunica nel novembre 1534 con tre atti:
Un ulteriore "atto di supremazia" (il re era il Capo Supremo sulla Terra
della Chiesa di Inghilterra) con il diritto di reprimere le eresie e di
scomunicare;
L'obbligo per tutti gli inglesi di giurare solamente davanti al re, e non
davanti a qualche autorità straniera (sic!);
La condanna per tradimento per chi osasse dire che il re fosse eretico,
tiranno o scismatico.
La pressione sulla Chiesa cattolica inglese fu elevatissima: sotto il
coordinamento del Vicario Generale Thomas Cromwell, i monasteri furono
chiusi e i loro beni incamerati dalla corona e tutti i prelati dovettero
giurare di rispettare l'atto di supremazia, solo Tommaso Moro (Thomas More)
(1478-1535), il grande filosofo umanista erasminiano, autore dell'Utopia, ed
ex Lord Cancelliere, e John Fisher (1469-1535), vescovo di Rochester ed ex
confessore di Caterina d'Aragona, si opposero ed entrambi furono decapitati
per tradimento. Ambedue furono successivamente nominati santi dalla Chiesa
cattolica.
Ma la cosa più curiosa fu che, dal punto di vista dottrinale, almeno in
questa prima fase, Enrico VIII non aveva affatto rotto con il cattolicesimo:
in linea di massima, egli si mostrò un buon cattolico e solo dopo, durante
il breve regno del figlio Edoardo VI (1547-1553), si fecero largo con più
decisione elementi cari alla Riforma.
Ma ai tempi di Enrico VIII queste idee potevano costare care: se ne rese
conto anche Thomas Cromwell, che cercò di spingere la monarchia verso il
luteranesimo, facendo adottare i Dieci Articoli (The Ten Articles), articoli
di fede di chiara ispirazione luterana (sola fide e semplificazione a soli
tre Sacramenti) e, con le Ingiunzioni Reali del 1538, fece mettere una
Bibbia in latino ed una in inglese in ogni chiesa (sola scriptura!).
L'esperimento fallì e Cromwell, caduto in disgrazia, anche perché ritenuto
il responsabile del matrimonio, poi fallito, del re con Anna di Cleves, fu
condannato per tradimento e decapitato nel luglio 1540.
Nel 1537 Enrico ritornò con decisione ai dogmi cattolici, facendo redigere
il Bishop's book (il libro del vescovo), che conservava i sette sacramenti,
il culto della Vergine e dei santi e proibiva la lettura individuale della
Bibbia. Il libro fu poi rivisto in senso ancora più cattolico e ristampato
nel 1543 con il titolo di King's book (il libro del re).
Nel 1539 il parlamento inglese approvò i Sei Articoli (The Six Articles),
che confermarono, tra l'altro, la validità del dogma della
transustanziazione, l'Eucaristia sotto una sola specie, il celibato per i
prelati, le Messe private e la confessione.
Riprese quindi con vigore la persecuzione contro i protestanti: fu bruciato
sul rogo nel 1540 il luterano Robert Barnes; il traduttore William Tyndale,
il quale aveva pubblicato la prima Bibbia (Nuovo Testamento) in inglese nel
1535, fu denunciato all'inquisizione spagnola, che lo bruciò a Bruxelles nel
1536; la protestante Anne Askew fu processata e bruciata sul rogo nel 1546;
alti prelati di chiare simpatie riformiste, come i vescovi Hugh Latimer e
John Hooper, l'ex frate agostiniano Miles Coverdale, traduttore del primo
Antico Testamento in inglese, e lo stesso Thomas Cranmer, dovettero o
rifugiare all'estero o rivedere drasticamente le proprie idee o perlomeno
adottare un atteggiamento nicodemitico.
Insomma alla sua morte nel 1547, Enrico VIII lasciò sia i cattolici che i
protestanti inglesi del tutto insoddisfatti.


Edoardo VI (1547-1553)
Il nuovo re Edoardo VI, figlio di Jane Seymour (terza delle sei mogli di
Enrico), aveva solo nove anni, quando salì al trono d'Inghilterra e quindi
il potere effettivo era concentrato nelle mani del reggente e Lord
Protettore, suo zio Edward Seymour, duca di Somerset (1506-1552).
Somerset era un buon amico di Cranmer e un convinto assertore della Riforma,
che riprese vigore: Latimer poté nuovamente predicare, Hooper poté rientrare
dall'esilio, la chiese protestanti vennero addobbate secondo il loro credo,
cioè senza immagini, la Comunione veniva data sotto ambedue le forme e
Cranmer poté far rientrare la moglie.
Nel 1549 venne pubblicato il Book of Common Prayer (il libro delle
preghiere), compilato su richiesta di Cranmer per semplificare i libri di
preghiere e di funzioni religiose in latino e risalenti al periodo
medioevale. Il suo utilizzo obbligatorio venne prescritto dall'Atto di
Uniformità del 1549 stesso.
Però dal punto di vista dottrinale ne risultò un miscuglio di idee diverse
(cattoliche e luterane) e non soddisfaceva nessuno: quindi, nel 1552, fu
rivisto, tuttavia questa volta in un senso fortemente riformato di tipo
svizzero, con l'ausilio di Calvino in persona, che scrisse a Edoardo VI e al
conte di Somerset per aiutarli nella revisione.
Ma soprattutto grazie al nuovo Lord Protettore, John Dudley (1502-1553),
conte di Warwick e al vescovo di Londra Nicholas Ridley, diverse personalità
della Riforma svizzera zwingliano-calvinista furono chiamate in Inghilterra
e diedero il proprio contributo: Martin Bucero da Strasburgo, l'italiano
Pietro Martire Vermigli, professore ad Oxford, il polacco Jan Laski.
Anche nel caso di questa seconda versione, un apposito Atto di Uniformità
del 1552 ne prescrisse l'utilizzo con, in più, l'obbligo di partecipare alle
funzioni religiose e la condanna per imprigionamento per la partecipazione a
qualsiasi altra forma di riunione religiosa.
Infine nel 1553 vennero pubblicati i 42 Articoli (The forty-two articles),
la collezione delle formule dottrinali anglicane, rimaste sulla carta per la
morte del re.


Maria Tudor (1553-1558)
Infatti il 6 luglio 1553 Edoardo VI, a soli 15 anni, morì di tubercolosi, e
dopo l'infelice avventura di Lady Jane Grey (1537-1554), cugina di Edoardo e
regina per soli 9 giorni (poi decapitata nel 1554), salì al trono la
cattolica Maria Tudor, figlia di quella Caterina d'Aragona, il cui ripudio
aveva innestato lo scisma della Chiesa d'Inghilterra.
Inizialmente la regina impostò il suo regno sulla tolleranza religiosa, ma
nel contempo chiese ed ottenne, il 3 gennaio 1555, dal parlamento inglese il
ritorno all'obbedienza a Roma, ratificato dal cardinale inglese Reginald
Pole (1500-1558). Ironia della sorte, Pole, che per poco non diventò papa
nel 1549 (sarebbe bastato che avesse accettato l'elezione per adorationem),
fu perfino sospettato di eresia da parte del Papa Paolo IV (1555-1559) per
le sue idee moderatamente riformiste.
Sul piano personale, Maria aveva sposato nel 1554 suo cugino di secondo
grado, il figlio dell'imperatore Carlo V, Filippo di Spagna [il futuro
Filippo II (1556-1598)], undici anni più giovane di lei: fu una delle
decisioni più infelici del suo regno. Oltre all'impopolarità presso i suoi
sudditi, Maria soffrì il dramma personale perché non riuscì mai ad avere il
tanto aspettato erede.
Forse per l'influenza dei consiglieri cattolici spagnoli o a causa di
manifestazioni protestanti anti-monarchiche o per i consigli del Lord
Cancelliere, l'arcivescovo di York Stephen Gardiner (1483-1555), Maria si
trasformò ben presto in una delle più feroci persecutrici della Riforma in
Inghilterra, tale da meritarsi il soprannome di Maria la Sanguinaria: furono
imprigionati e successivamente bruciati sul rogo Cranmer, Ridley, Latimer e
Hooper. Ridley e Latimer furono addirittura arsi sulla stessa pira.
Ma il boia non si fermò qui: in tutto tra 273 e 288 (a secondo delle fonti)
protestanti furono arsi sul rogo, più di 800 fuggirono (come Coverdale) in
Germania e Svizzera e 2.000 preti furono espulsi perché sposati.
Maria morì il 17 novembre 1558. Qualche ora più tardi morì il cardinale
Pole, il fautore del momentaneo riavvicinamento dell'Inghilterra alla Chiesa
cattolica.


Elisabetta I (1558-1603)
Nel 1558 salì sul trono d'Inghilterra Elisabetta,figlia di Anna Bolena: essa
fu la vera fondatrice della Chiesa Anglicana, una sintesi dottrinale tra
liturgia cattolica e dogmatismo calvinista. Il suo regno non incominciò
certo nella migliore maniera: i cattolici la consideravano un'usurpatrice e
l'arcivescovo di Canterbury, Nicholas Heath (m. 1578), si rifiutò perfino di
incoronarla.
Tuttavia Elisabetta fu soprattutto una abile donna politica e dissimulò con
cura il suo credo religioso: non si dichiarò ufficialmente protestante per
non dare lo spunto ad una possibile grande alleanza tra Spagna, Francia e
Scozia, ma d'altronde adottò il protestantesimo, senza usare i toni accesi
dei predecessori.
I suoi primi passi furono improntati sulla diplomazia e compromesso: non si
fece più chiamare, come il padre Enrico VIII, capo supremo della Chiesa
d'Inghilterra, bensì più modestamente Governatore Supremo, pur negando
l'autorità giuridica del papa. Nel frattempo rese obbligatorio nel 1559, con
un ennesimo Atto di Uniformità, il Prayer Book, nella seconda versione di
Edoardo VI, tuttavia rivisto in senso cattolico.
Eppure la rivolta degli alti prelati cattolici era stata quasi totale: 15
vescovi, 12 decani, 15 direttori di collegi religiosi e circa 200/300 preti
rassegnarono le dimissioni o furono privati del titolo. Nel 1559 fu eletto
il nuovo arcivescovo di Canterbury, Matthew Parker, un uomo moderato e
conciliante, che aveva sofferto sotto Maria Tudor, ideale per Elisabetta in
quella posizione, ma per la sua investitura si dovettero scomodare quattro
ex prelati che erano stati vescovi nel periodo di Edoardo VI, stante la
situazione sopra descritta.
I 42 articoli di Edoardo VI (1553) (le formule dottrinali anglicane)
diventarono nel 1571, sotto Elisabetta I, i 39 articoli, compromesso
fortemente voluto da Parker, tra elementi cattolici, luterani e calvinisti.
L'altro grande teologo del regno elisabettiano fu Richard Hooker
(1554-1600), spiritualista e apologista, che scrisse il ponderoso Treatise
on the laws of ecclesiastical polity (trattato sulle leggi del governo
ecclesiastico) a difesa della scelta episcopale nella struttura della Chiesa
d'Inghilterra.
La reazione di Roma fu lenta: solo nel 1570 il Papa Pio V (1566-1572) si
decise a scomunicare Elisabetta e a sciogliere gli inglesi dal dovere di
obbedienza: errore gravissimo in un paese che non aveva certo bisogno di
alimentare il fuoco della polemica anti-papale.
Nel 1587, sotto la minaccia dell'invasione spagnola e in seguito
all'ennesima congiura per far cadere la regina e sostituirla con Maria
Stuarda (1542-1587), Elisabetta fece decapitare l'ex regina di Scozia,
fuggita in Inghilterra nel 1568, dove venne detenuta in cattività fino alla
sua esecuzione. La mossa aveva il preciso scopo politico di togliere di
mezzo una possibile protagonista (fra l'altro diretto successore in linea
gerarchica di Elisabetta) che potesse catalizzare le proteste dei cattolici
inglesi.
La reazione dei spagnoli avvenne l'anno dopo, 1588, ma la disfatta della
loro flotta di invasione, la famosa Invincible Armada (Invincibile Armata),
mise l'Inghilterra al sicuro da ingerenze esterne.
Rimasero comunque i conflitti interni: ovviamente una politica di
compromesso non poteva certo piacere agli opposti estremi. Soprattutto gli
estremisti protestanti, i Puritani, benché rintuzzati spesso da Hooker, dal
1570 in avanti attaccarono le apparenze esteriori (paramenti sfarzosi, l'uso
dei vescovi ecc.), secondo loro un retaggio papista, rendendo amari gli
ultimi anni per l'anziana regina, che si spense nel 1603.

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Melezio di Licopoli (m.ca.328) e i meleziani



Melezio fu nominato vescovo di Licopoli in Egitto nel 303 ca. e rivestì un
importante ruolo nella polemica, che riguardava il riaccoglimento da parte
della Chiesa dei lapsi (caduti), i cristiani, cioè, che durante la loro
persecuzione (nella fattispecie quella di Diocleziano del 303-311) avevano
abiurato e sacrificato agli dei.
I lapsi si dividevano in:
Libellatici, che si erano procurati documenti falsi, che attestavano che
essi avevano sacrificati agli dei romani.
Sacrificati, che avevano veramente sacrificato agli dei.
Turificati, che avevano bruciato l'incenso agli dei.
Traditores, che avevano consegnato le Sacre Scritture alle autorità romane.


M., come Novaziano ca. 50 anni prima e come Donato di Numidia qualche anno
dopo, era per la linea dura di non perdonare né i lapsi né coloro che
avevano commesso un peccato mortale, ma per questo entrò in rotta di
collisione con il proprio superiore, il vescovo di Alessandria, Pietro, che
lo espulse dalla Chiesa nel 306 e lo scomunicò nel 307, anche perché M.
aveva creato, nel frattempo, nel 304 (o 305), la propria Chiesa dei Martiri
Confessori.
M. aveva approfittato del vuoto di potere a Roma: infatti c'era stato un
lungo (4 anni) periodo di sede vacante, derivato dalle cruenti persecuzioni
ordinate da Diocleziano, dopo la morte nel 304 di Papa Marcellino (su cui,
per altro, gravava il sospetto di essere stato uno traditor).
La Chiesa dei Martiri Confessori fu ortodossa dal punto di vista dogmatico,
ma scismatica per il rifiuto di sottomettersi a qualsiasi autorità religiosa
superiore: oltrettutto M. si mise ad ordinare preti ed altre cariche
religiose. Tra gli altri, fu membro della sua Chiesa anche Ario, il quale,
nel 306, durante il sinodo che portò all'espulsione di M. dalla Chiesa
Cristiana, prese le sue difese contro il vescovo di Alessandria.
In seguito alle persecuzioni diocleziane, M. fu deportato in Palestina nel
308 e poté ritornare in Egitto solo nel 311, accolto trionfalmente dai suoi
fedeli.
Entro il 325, i meleziani avevano ordinato 29 vescovi in Egitto (in
particolare in Alessandria), 4 preti, 3 diaconi ed 1 cappellano militare, ma
proprio nel 325, al concilio di Nicea, M. fu obbligato a riconciliarsi con
la Chiesa ufficiale dall'imperatore Costantino, che lo lasciò nel suo
incarico di vescovo di Licopoli.
M. morì probabilmente nel 328 ca., ma la sua chiesa rimase attiva in Egitto
fino al VIII secolo, abbracciando, successivamente, il monofisismo della
Chiesa Copta e fondendosi con essa.

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Reformed Dutch Church (Chiesa olandese riformata in America) (dal 1628)



Premessa
La denominazione di riformata si applicò dal XVI secolo alle chiese
calviniste, che seguivano quindi la dottrina di Giovanni Calvino: in
particolare l'Olanda si distinse fin dall'inizio, grazie all'attività di Guy
de Bray, che nel 1561 elaborò la Confessio Belgica, diventato testo
ufficiale della Chiesa riformata olandese dopo il sinodo di Emden del 1571.
Già dal 1576, con la pacificazione di Gand alla fine delle ostilità fra i
protestanti olandesi e i cattolici spagnoli, la Chiesa riformata era ben
consolidata sul territorio dei Paesi Bassi, ed un particolare sviluppo lo
ricevette, quando emigranti olandesi portarono la loro fede nella colonia di
Nuova Amsterdam (poi venduta nel 1664 ai coloni inglesi che cambiarono il
nome in New York), dove nel 1628 fu fondata la prima chiesa riformata
olandese sul territorio americano.


Storia della chiesa olandese riformata in America
La Chiesa riformata protestante olandese (Reformed Protestant Dutch Church)
nacque quindi nel 1628 su iniziativa del reverendo Jonas Michaelius
(1577-1638) con 50 fedeli presenti alla prima celebrazione della Cena del
Signore e oggigiorno ancora quattro chiese in New York City discendono
direttamente da essa.
Nel 1664, come già detto, la colonia di Nuova Amsterdam venne venduta agli
inglesi, che garantirono la libertà di culto alla Chiesa formata oramai da
10.000 fedeli e 11 chiese. Tuttavia in seguito i governanti inglesi
cercarono di imporre abitudini ecclesiastiche britanniche, cosa che acuì la
tensione fra le due comunità.
Nel XVIII secolo, man mano, la comunità si affrancò dal legame con la terra
d'origine: già da tempo era infatti cessata l'immigrazione dall'Olanda.
Inoltre nel 1747 l'assemblea ecclesiastica si rese indipendente dalla
giurisdizione (denominata classis) di Amsterdam, nel 1764 si iniziò ad
utilizzare la lingua inglese per le funzioni religiose, nel 1792 la chiesa
si dotò di una propria costituzione e nel 1794 ebbe luogo il primo Sinodo
Generale.
Dal 1846 diversi coloni di fede riformata olandese migrarono nel Midwest
(area centro-occidentale degli USA), soprattutto nello stato del Michigan,
dove nel 1857 un gruppo di essi, in contrasto con la chiesa olandese che
accusavano di lassismo e di tollerare la Massoneria, si scissero dalla
chiesa madre, formando la True Holland Reformed Church (Chiesa olandese
riformata vera), mentre i fedeli del filone principale cambiarono nel 1867
il nome della chiesa nell'attuale denominazione di Reformed Church in
America (RCA) (Chiesa riformata in America).


Gli eredi della chiesa olandese riformata oggigiorno
Oggi la denominazione più diffusa è appunto la Reformed Church in America
(RCA), che conta 898 chiese e 306.000 fedeli in Stati Uniti (web site:
http://www.rca.org/).
L'altra denominazione è la Christian Reformed Church in North America
(CRCNA), (web site: http://www.crcna.org/cr/crwb/index.htm) erede della True
Holland Reformed Church e che ha 207.000 adepti, ma non aderisce al Concilio
Mondiale delle Chiese.
Altri gruppi isolati di riformati olandesi sono confluiti nella grande
fusione del 1961 con il General Council of Congregational Christian Churches
e la Evangelic and Reformed Church per formare la United Church of Christ
(Chiesa unita di Cristo), la più grossa denominazione calvinista non
presbiteriana, attualmente presente in USA.
Nonostante la relativamente scarsa diffusione della chiesa riformata
olandese negli USA (solo 0.1% della popolazione), ben due (su 43) Presidenti
della Repubblica, Martin Van Buren e Theodore Roosevelt, appartenevano a
questa confessione.

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Knox, John (ca. 1505-1572) e la Chiesa Presbiteriana Scozzese



La vita
John Knox, il più famoso riformatore scozzese, nacque a Haddington,a pochi
chilometri da Edimburgo, nella contea scozzese del East Lothian nel 1505
ca., sebbene altri autori propendono per una data di nascita più tarda,
intorno cioè al 1513.
Suo padre, William Knox, era un proprietario di una piccola fattoria e la
madre era originaria del clan dei Sinclair. John ricevette una prima
educazione alla scuola del paese, fu poi inviato all'università di Glasgow a
frequentare le lezioni di filosofia e teologia del suo compaesano, John
Major (Joannes Majoris) (1496-1550), uno dei migliori teologi dell'epoca,
che non insegnava solamente basandosi sui testi fondamentali della teologia
scolastica, ma anche riferendosi direttamente al testo latino della Bibbia.
K. era molto portato per lo studio del latino e francese (con una certa
conoscenza del greco e dell'ebraico), ma studiando i Padri della Chiesa, in
particolare San Girolamo e Sant'Agostino, si rese conto dell'assurdità degli
insegnamenti della filosofia scolastica e decise quindi di abbandonare gli
studi senza conseguire la laurea.
Nel 1530 circa K. fu ordinato prete ed per 10 anni esercitò il sacerdozio a
Haddington, dove svolgeva anche le funzioni di notaio (nel Medioevo spesso i
chierici avevano questa seconda funzione).


Knox e Wishart
Nel 1543, in un momento molto turbolento della storia del paese, rientrò in
Scozia il più noto riformatore scozzese del momento, George Wishart,
intenzionato a propagandare la Riforma, da lui appreso nei suoi viaggi in
Germania e a Ginevra. Wishart venne protetto durante questo periodo dai
proprietari terrieri protestanti e fu così che conobbe K., tutore all'epoca
dei figli di uno di questi proprietari, aderente al clan dei Cockburn di
Ormiston.
K. divenne quindi un discepolo di Wishart e ne proseguì l'opera dopo la
morte il 28 marzo 1546 sul rogo del maestro, fatto condannare dal cardinale
e legato pontificio David Beaton (ca. 1494-1546), arcivescovo di Saint
Andrews. Quest'ultimo fu, a sua volta, ucciso il 29 maggio 1546, due mesi
dopo il rogo, da parte di un gruppo di sedici seguaci di Wishart.
L'assassinio fu imprudentemente lodato da K., il quale, già compromesso con
Wishart, al posto di trovare rifugio all'estero, fece l'errore di riparare
all'interno del castello di Saint Andrews. La decisione non fu certo saggia,
perché il castello fu posto sotto assedio da parte delle forze cattoliche di
James Hamilton (m. 1575), 2° conte di Arran, reggente del trono della
regina, ancora bambina, Maria Stuarda (1542-1587). La guarnigione capitolò
nel luglio 1547, dopo l'intervento di una flotta francese in appoggio delle
truppe cattoliche, e K., come gli altri, fu imprigionato sulle galee
francesi per 19 mesi.


Knox in Inghilterra
Rilasciato solo nel febbraio 1549, pare per intercessione personale del re
inglese Edoardo VI (1547-1553), K. si recò quindi in Inghilterra, accolto
cordialmente dall'arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer. K. rimase in
Inghilterra per 5 anni, predicando dapprima per due anni a Berwick upon
Tweed, una città sul confine con la Scozia, dove entrò in conflitto con il
suo superiore, il vescovo di Durham, Cuthbert Tunstall (1474-1559) a causa
della sua opposizione al rito della messa e delle modifiche da lui apportate
alla pratica della Cena del Signore (faceva fare la Comunione stando seduti
e usava pane comune), poi a Newcastle, dove rimase fino al 1553.
Nel 1551 gli fu offerto il vescovato di Rochester, un'abile mossa della
corte per poter controllare le attività del riformatore scozzese (sempre più
critico verso la struttura della Chiesa anglicana), inquadrandolo nella
gerarchia stessa, ma K. rifiutò e nel 1554, dopo la salita al trono della
regina cattolica Maria Tudor (1553-1558), detta Maria la Sanguinaria, egli
ritenne più prudente emigrare in Francia, a Dieppe.


Tra Svizzera e Scozia
Da qui K. si recò a Ginevra, dove visse nell'estate 1554, e, dopo una breve
permanenza a Francoforte, dove si oppose all'uso dei cerimoniali anglicani e
del Book of Common Prayer nella comunità di protestanti inglesi, egli
ritornò a Ginevra per diventare pastore della locale comunità inglese.
Nell'agosto 1555 K. visitò la Scozia predicando il credo calvinista, ma fu
chiamato ben presto a rispondere del suo operato davanti alla gerarchia
ecclesiastica di Edimburgo. Tuttavia, poiché nel frattempo egli era già
rientrato a Ginevra con la moglie appena sposata Marjorie Bowes, i giudici
scozzesi poterono solo condannarlo in contumacia, bruciando sul rogo la sua
effigie.
K. rimase a Ginevra fino al 1558 e in questo periodo scrisse molti dei suoi
lavori principali, principalmente sotto forma di epistole, e soprattutto il
polemico The first blast of the trumpet against the monstrous regiment of
women (Il primo squillo di tromba contro la mostruosa moltitudine delle
donne), in cui K. si scagliò contro Maria Tudor d'Inghilterra, la reggente
di Scozia Maria di Guisa e Lorena (1515-1560), Caterina de'  Medici
(1519-1589) e Maria Stuarda. L'attacco contro Maria Tudor risultò un po'
fuori tempo, perché nel frattempo la regina cattolica era morta, ma il tono
misogino (oggigiorno si direbbe anti-femminista) del libello probabilmente
indispettì la nuova regina d'Inghilterra, Elisabetta I (1558-1603), che negò
il permesso di transito per il predicatore scozzese nella primavera 1559.
K. quindi, dovendo raggiungere la Scozia, ci arrivò via mare, giungendo in
un altro dei tanti momenti critici della storia di questo tormentato paese.
Si era infatti sull'orlo della guerra civile tra riformatori e cattolici
guidati dalla reggente Maria di Lorena. K., trincerato nella città
fortificata di Perth, fu riconosciuto ben presto come capo del partito
riformatore e i suoi discorsi infiammarono la folla, che si diede alla
distruzione di chiese e monasteri. La guerra civile, con inserimenti di
truppe inglesi a fianco dei riformatori e francesi con i cattolici, volse
finalmente a favore della fazione riformatrice e la fine fu accelerata dalla
morte di Maria di Lorena il 10 giugno 1560 nel castello di Edimburgo.
Il 17 agosto 1560 K. ed il proprio partito, denominato Congregazione,
poterono presentare e far votare la Confessione Scozzese di stampo riformato
calvinista. Poco dopo fu approvato anche il Primo libro della Disciplina, il
piano di K. per il governo ecclesiastico.
Purtroppo il momento favorevole a K. fu funestato dalla morte della moglie
Marjorie nel novembre 1560.


Maria Stuarda di Scozia
Un'altra morte, un mese dopo, avrebbe influenzato il futuro di K.: quella
del giovane Francesco II di Francia (1559-1560), marito di Maria Stuarda di
Scozia, la quale, oramai diciottenne, decise di rientrare in patria
nell'agosto dell'anno successivo per reclamare il proprio trono.
Nonostante che in un primo momento Maria sembrasse accettare lo status quo
religioso ed in particolare la proibizione delle messe sul territorio
scozzese, la convivenza tra il riformatore e la giovane regina cattolica
risultò immediatamente molto problematica: la celebrazione poco dopo della
messa, in forma privata, nella cappella della regina nel palazzo reale di
Edimburgo scatenò immediate proteste e disordini di piazza.
Per molto tempo Maria Stuarda cercò di tirare K. dalla sua, con lusinghe,
lacrime e minacce, e cercò perfino di convincere il consiglio reale a
pronunciare una condanna per tradimento nei suoi confronti, ma
clamorosamente il processo, svolto nel dicembre 1562, assolse K. da ogni
accusa.
Tuttavia la situazione rimase tesa, anche per l'influenza nefasta che
avevano i vari consiglieri di Maria sulla regina stessa: in particolare
William Maitland di Lethington (ca. 1525-1573), che all'assemblea generale
del parlamento il 4 giugno 1564 cercò con ogni mezzo di screditare K.
Questi, a sua volta, riuscì a tirarsi addosso un bel po' di critiche per
aver sposato nel marzo 1564 Margaret Stewart di Ochiltre, 34 anni più
giovane del riformatore (50 anni contro 16) ed oltretutto di sangue reale:
per i detrattori egli aveva potuto impalmare la giovane sposa solo
ottenebrando la sua mente con l'uso della stregoneria!


Lord Darnley
Ma anche la sua "nemica" Maria Stuarda faceva parlare di sé per le sue
discutibili scelte matrimoniali: tramontata l'ipotesi di sposare l'Infante
di Spagna, il famoso Don Carlos (1545-1568), Maria sposò il 29 luglio 1565
il proprio cugino di primo grado, Henry Stewart, Lord Darnley (1545-1567),
un ambizioso e collerico nobile cattolico imparentato con la famiglia reale
inglese (era pronipote di Enrico VII d'Inghilterra).
I protestanti, guidati da K., temerono per la sopravvivenza del loro credo e
Darnley, che aveva inutilmente cercato di convincere Maria a nominarlo suo
successore in mancanza di eredi, attaccò con furia K., accusandolo di aver
predicato contro il "Re" (come Darnley si faceva chiamare) paragonando la
sua situazione all'episodio biblico del Re Achab e di Jezebel (Isaia 26:
13-21).
Una rivolta dei lord protestanti, guidati dall'ex consigliere della regina e
suo fratellastro, James Stewart, conte di Moray (ca. 1531-1570) fallì
miseramente nel settembre 1565 e la successiva repressione esiliò, entro il
febbraio 1566, un considerevole numero di nobili riformisti.
Ma il 9 marzo 1566 furono nuovamente i problemi familiari della regina ad
avere il sopravvento: un gruppo di congiurati, istigati da Darnley, irruppe
negli appartamenti della regina incinta, uccidendo a pugnalate l'amante
della sovrana, il musicista italiano Davide Rizzio (o Riccio)(1533-1566): lo
scopo di Darnley era di provocare uno choc mortale a Maria e di salire al
trono lui stesso, ma la regina sopravvisse e diede alla luce il 19 giugno
1566 il suo unico figlio, James (Giacomo), che sarebbe diventato re Giacomo
VI di Scozia l'anno dopo, il 24 luglio 1567, dopo l'abdicazione della madre,
e Giacomo I d'Inghilterra nel 1603, alla morte di Elisabetta I.


L'abdicazione di Maria Stuarda e gli ultimi anni di Knox
Il 9 febbraio 1567 Darnley fu fatto uccidere da un complotto organizzato da
James Douglas, conte di Morton (m. 1581), già da lui implicato nella morte
di Rizzio, e da James Hepburne, conte di Bothwell (1535-1578).
Quest'ultimo divenne il nuovo marito di Maria Stuarda, ma lo sdegno popolare
e una rivolta dei nobili li obbligò a fuggire: Maria fu catturata e
imprigionata nel castello di Lochleven, mentre K. chiedeva a gran voce la
sua esecuzione capitale: come sopra detto, la regina fu comunque costretta
ad abdicare a favore del figlio James.
L'anno dopo la regina fuggì e, radunato un esercito, affrontò i protestanti,
guidati da James Douglas, nella battaglia di Langside del 13 maggio 1568: la
sconfitta definitiva di Maria e la sua fuga in Inghilterra dalla cugina
Elisabetta I, che la tenne in cattività per ben 19 anni e poi la fece
decapitare nel 1587, spianò finalmente la strada all'affermazione della
Chiesa Riformata in Scozia. La denominazione di Chiesa Presbiteriana sarebbe
arrivata con il suo successore Andrew Melville.
K. continuò a chiedere pubblicamente la morte di Maria Stuarda e questo gli
alienò le simpatie di diversi nobili. Decise quindi di ritirarsi a Saint
Andrews a scrivere e predicare, quando la salute glielo permetteva.
Alla fine di agosto del 1572, K. ritornò a Edimburgo, e apprese con immenso
dolore le notizie appena giunte dalla Francia sulla strage degli ugonotti
durante la notte di San Bartolomeo (23 agosto). Il 24 novembre 1572 K. morì
di polmonite nella sua casa di Edimburgo.

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Laski, Jan (1499-1560) e Chiesa Riformata Polacca



La vita
Il riformatore polacco Jan Laski, nacque a Varsavia nel 1499 e fu detto il
Giovane per distinguerlo dal famoso zio, Jan Laski il Vecchio (1456-1531)
arcivescovo, primate di Polonia, uomo politico e consigliere personale del
re di Polonia, Sigismondo I Iagellone (1506-1548).
Jan il giovane, figlio del voivoda di Sieradia, Jaroslaw Laski (m. 1523) e
sotto la tutela dello zio arcivescovo, poté seguire gli studi a Gniezno
(Polonia) e successivamente all'università di Bologna e, all'età di soli 22
anni, divenne diacono della cattedrale di Varsavia.
Negli anni seguenti L. viaggiò attraverso l'Europa per conto della Chiesa
Cattolica, che intendeva utilizzare la sua eloquenza contro i riformatori,
ma ottenne l'effetto contrario: L. divenne amico di Erasmo da Rotterdam e di
Ulrich Zwingli, da cui imparò a conoscere le dottrine riformiste svizzere.
Nonostante ciò, dopo il suo rientro in patria nel 1526, L. prese i voti
ricoprendo vari posizioni di prestigio nella Chiesa Cattolica, come
arcidiacono di Varsavia, vescovo di Vesprem (Ungheria), canonico di Cracovia
e segretario del voivoda di Transilvania e re della Ungheria (orientale)
Giovanni Zapolya (1529-1540), ma nel 1541 rinunciò a tutti gli incarichi e
benefici pur di non separarsi dalla donna, che aveva segretamente sposato.
Anche se il re Sigismondo I di Polonia decise di proteggerlo e di
reintegrarlo nelle sue funzioni, L. pensò più prudentemente di emigrare in
Germania nel 1543, dove pur essendo di scuola zwingliana, aderì, forse per
opportunità, alla confessione luterana di Augusta.
In Germania L. divenne un predicatore itinerante, coerentemente zwingliano,
finché non si stabilì nella regione della Frisia orientale, dove ebbe un
dibattito pubblico con l'anabattista Menno Simons, e nel 1545, sotto la
protezione della contessa Anna di Oldenburg, diventò il primo sovrintendente
della Chiesa Riformata della Frisia. Nel contempo mantenne contatti
epistolari con i principali riformatori dell'epoca e con regnanti passati
alla Riforma, come Alberto di Brandeburgo-Ansbach (poi di Prussia).
Nel 1550 L. accettò l'invito dell'arcivescovo di Canterbury Thomas Cranmer,
a recarsi in Inghilterra (già visitata fugacemente nel 1548) per aiutarlo a
migliorare, dal punto di vista dottrinale, il Book of Common Prayer (il
libro delle preghiere), compilato nel 1549 su richiesta di Cranmer stesso
per semplificare i libri di preghiere e di funzioni religiose in latino e
risalenti al periodo medioevale. .
Tuttavia fu soprattutto grazie al Lord Protettore, John Dudley (1502-1553),
conte di Warwick e al vescovo di Londra Nicholas Ridley, che diverse
personalità della Riforma svizzera zwingliano-calvinista, come Martin Bucero
da Strasburgo, l'italiano Pietro Martire Vermigli, professore ad Oxford, ed
il nostro L., furono chiamate in Inghilterra a dare il proprio contributo a
questo lavoro di revisione.
L. divenne ben presto molto popolare (gli inglesi lo chiamavano John à
Lasco) fino alla salita al potere della regina cattolica Maria Tudor
(1553-1558) nel 1553: L. fu uno dei primi riformatori stranieri ad essere
espulsi nel settembre dello stesso 1553. Imbarcato con i suoi seguaci su una
nave in rotta per la luterana Danimarca, L. esperimentò sulla propria pelle
l'intolleranza dei suoi fratelli protestanti luterani. Gli fu infatti
proibito di sbarcare a Copenhagen, Lubecca, Wismar, Amburgo e Rostock, tutte
città luterane che evidentemente non gradivano la presenza di questo
prestigioso predicatore zwingliano. Per tutto l'inverno 1553 dovette quindi
vagare da porto a porto e, solamente nel marzo 1554, la protettrice di
sempre, Anna di Oldenburg, accolse a braccia aperte il suo ex sovrintendente
ad Emden. In seguito L. si trasferì a Francoforte sul Meno, dove formò una
chiesa locale, di ispirazione calvinista, per i profughi olandesi.
Infine, dopo 13 anni di esilio, nel 1556 L. tornò in Polonia, nonostante la
condanna per eresia pronunciata dal clero cattolico polacco nel 1554, e fu
ben accolto dal re Sigismondo II Iagellone, detto Augusto (1548-1572), sotto
il cui regno la Polonia stava conoscendo la sua "età d'oro" con la massima
estensione territoriale, il massimo splendore nell'arte e nella cultura, il
più alto livello di tolleranza religiosa.
Approfittando del momento favorevole, L. creò la Chiesa Riformata Polacca,
di cui egli fu il supervisore, ma ebbe, strano a dirsi, più opposizione da
parte degli antitrinitariani che dalla Chiesa cattolica locale. Tale fu
l'ostinato attaccamento ai propri principi dell'antitrinitariano Francesco
Stancaro che L. esasperato, durante un confronto pubblico, gli lanciò contro
una Bibbia!
Ormai anziano e debilitato nel fisico, L. si ammalò improvvisamente nel
gennaio 1560, morendo poco dopo a Pinczow.


La Chiesa Riformata Polacca
Il successivo precipitare della situazione interna della Chiesa Riformata
Polacca portò, dal sinodo di Piotrkòw del 1565, alla separazione tra una
ecclesia major calvinista ed una ecclesia minor di fede antitrinitariana,
seguita, con il patto di Sandomierz del 1570, alla riunificazione tra gruppi
protestanti (calvinisti, luterani e Fratelli Boemi) ed infine, con la dieta
di Varsavia del 1573, si proclamò la pari dignità tra cattolici e
protestanti.
Ma il periodo di forti incertezze politiche dopo alla morte nel 1572 di
Sigismondo II (con l'estinzione della dinastia dei Iagelloni) fu seguita dal
regno del principe cattolico transilvano Istvan (Stefano) Bathory
(1576-1586) con avanzate incontrastate della Controriforma, rappresentata
dalla sua punta di diamante: l'ordine dei gesuiti.
Quindi, già all'inizio del XVII secolo, sotto il regno dello svedese
Sigismondo III Vasa (1587-1632), la Polonia era ritornata saldamente in mano
ai cattolici e ai pochi riformatori superstiti toccò emigrare nei territori
della Lituania e Lettonia per poter sopravvivere.

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Dàvid, Ferenc (1510-1579) e Chiesa Unitariana di Transilvania



La gioventù
Ferenc Dàvid nacque nel 1510 circa a Kolozsvár (in romeno Cluj e in tedesco
Klausenburg), l'allora capitale ufficiosa del principato di Transilvania, da
una famiglia borghese probabilmente di origine sassone. 35 anni più tardi,
proprio in Kolozsvár fu pubblicata per la prima volta la traduzione completa
della Bibbia in ungherese a cura di Gaspar Heltai (m.1574), punto
fondamentale per lo sviluppo della Riforma nel paese.
Il giovane D. studiò alla scuola dei frati francescani di Kolozsvár, ed in
seguito si recò alla scuola della cattedrale di Gyulafehérvár (Alba Julia),
dove fu particolarmente brillante negli studi e dove fu impiegato al
servizio della chiesa per un breve periodo.
Egli finì i suoi studi in università estere, prima a Wittenberg poi a Padova
e finalmente nel 1551 rientrò in Ungheria per trovare una situazione
politica molto seria.


Situazione politica dell'Ungheria nel XVI secolo
Infatti, dopo la disfatta degli ungheresi contro i turchi a Mohacs nel 1526,
il paese magiaro era stato spartito nel 1533 in tre zone: la parte
principale all'impero ottomano, una striscia a nord-ovest agli Asburgo e la
parte orientale alla Transilvania del voivoda (poi principe) Giovanni I
Zapolya (1529-1540), che si era proclamato re d'Ungheria nonostante
l'opposizione degli Asburgo. A Giovanni I era succeduto il figlio minorenne
Giovanni II Sigismondo Zapolya (1541-1571, eccetto il periodo 1551-1556
quando il trono venne reclamato da Ferdinando d'Asburgo), ma, a causa della
sua giovanissima età, il suo regno venne governato fino al 1559 dalla
reggente, la madre Isabella (figlia di Sigismondo I Iagellone di Polonia e
di Bona Sforza) e la sua corte era posta a Gyulafehérvár.


Dàvid luterano
Tornando a D., dapprima egli si stabilì nel nord dell'Ungheria
(corrispondente all'attuale Slovacchia) diventando rettore della scuola
cattolica di Besztercze e successivamente parroco in una cittadina della
zona, ma verso il 1554, D. si accostò alle dottrine luterane e fu nominato
pastore nella sua città natale, Kolozsvár, e solo l'anno dopo, grazie alla
sua notevole popolarità, diventò rettore della scuola luterana nel 1555 e
pastore capo nell'anno successivo.
Nel 1557 arrivò al vertice della sua carriera luterana, quando fu
considerato capo della Riforma in Transilvania e sovrintendente dei luterani
ungheresi.
Egli incontrò in vari dibattiti pubblici il modalista Francesco Stancaro ed
esponenti del calvinismo locale, da cui ne uscì vincitore, ma fu un momento
di riflessione sulle proprie convinzioni religiose.


Dàvid calvinista
Infatti poco dopo entrò in crisi dopo aver riflettuto sulla visione
calvinista della Cena del Signore e fu convertito nel 1559 alla fede
riformata da Peter Juhász (nome umanistico Melius)(ca. 1536-1572) . Fu per
questo espulso dalla Chiesa luterana nel 1560, sebbene cercò di evitare,
purtroppo inutilmente, la spaccatura tra le due principali anime della
Riforma ungherese, il che avvenne irreparabilmente nel 1564.
Sempre nel 1564 D. fu eletto vescovo della Chiesa Riformata di Transilvania,
una delle poche chiese calviniste con un sistema episcopale, e divenne
cappellano personale del re Giovanni II Sigismondo.


Dàvid antitrinitriano
Nel frattempo, nel 1562, era giunto a Gyulafehérvár (Alba Julia),
proveniente dalla Polonia, il medico italiano e dissidente religioso Giorgio
Biandrata, che divenne amico di D. e gli fece leggere una copia della famosa
Christianismi restitutio (La restaurazione del Cristianesimo) di Miguel
Serveto, introducendolo all'antitrinitarismo o unitarismo.
La conversione di D. alla nuova fede fu evidente nel 1566, quando egli fece
rimuovere un professore della scuola di Kolozsvár per aver osato insegnare
la dottrina della Trinità: ma il docente licenziato, assieme al calvinista
Melius, chiese ed ottenne dal re la convocazione di un sinodo nazionale a
Gyulafehérvár, che si svolse nello stesso 1566 per essere poi aggiornato in
una nuova sede, a Torda (sempre in Transilvania).
Il sinodo risultò poi un trionfo per gli unitariani: D. e Biandrata poterono
battere così la concorrenza di Melius, che si consolò con la conferma, al
sinodo di Debrecen, della ortodossia calvinista nella rimanente parte
dell'Ungheria.
Nel frattempo Biandrata fece pubblicare il libro di D. De vera et falsa
unius Dei, Filii et Spiritus Sanctii cognitione (Della falsa e vera
conoscenza dell'unità di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo), nel quale il
riformatore transilvano ridicolizzava la dottrina della Trinità e perorava
la causa della tolleranza religiosa per tutte le fedi.
Questo discorso venne poi ripreso durante la Dieta di Torda nel gennaio
1568, dove  Giovanni II Sigismondo riconobbe la piena libertà a tutte le
confessioni religiose: fu la prima dichiarazione, al mondo, di tolleranza
religiosa mai pronunciata da un regnante.
Oltre a questo, il re aderì apertamente all'unitarismo con molti nobili
della corte e D. divenne il capo della Chiesa Unitariana di Transilvania.
Nel 1570 D. entrò in contatto, e ne fu influenzato, con lo studioso
italo-greco Giacomo Paleologo e il suo discepolo locale, il rettore del
ginnasio di Kolozsvár, János Sommer (1540-1574). Paleologo polemizzava con
un altro famoso antitrinitariano, Fausto Sozzini, a riguardo della figura di
Gesù Cristo, che, per il Sozzini, era un vero uomo crocefisso, il cui
compito era di rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere
così la salvezza, seguendo il Suo esempio. Il Paleologo, invece, negava il
ruolo di guida del Cristo, per i fedeli verso la salvezza, e rifiutava,
conseguentemente, ogni forma di adorazione di Gesù Cristo. Per questo, il
Paleologo e i suoi seguaci, tra cui si associò anche D., vennero denominati
antitrinitariani non-adoranti in contrapposizione al pensiero sociniano di
tipo adorante. Alla corrente non-adorante aderì anche l'ex vescovo cattolico
e ambasciatore (di madre italiana) Andrea Dudith-Sbardellati.
Purtroppo il momento magico per D. finì solo tre anni dopo, nel 1571 con la
morte a soli 31 anni di Giovanni II Sigismondo e la salita al trono del
cattolico Stefano I Báthory (1571-1586), divenuto in seguito anche re di
Polonia dal 1576 al 1586.
Stefano I Báthory tolse a D. l'incarico di cappellano personale del re e gli
impedì di pubblicare altri scritti: fu un momento molto amaro per D., che
oltretutto, pochi anni dopo, entrò in conflitto sia con Sozzini, che con
l'ex amico Biandrata, per la sopramenzionata polemica tra adoranti e
non-adoranti.
Dopo essere stato accusato di blasfemia da parte di Biandrata nell'aprile
1579, fu fatto arrestare in giugno e imprigionare nella fortezza di Déva
dove, a causa del clima rigido e del fisico debilitato, D.  morì il 15
novembre dello stesso anno.
La Chiesa Unitariana di Transilvania, fondata da D., pur attraverso mille
traversie, spietate persecuzioni da parte degli Asburgo cattolici e
spedizioni punitive da parte di fanatici rumeni ortodossi, esiste ancora
oggi formata da 125 chiese, sebbene divisa dal 1918 in un troncone ungherese
(di circa 70/80.000 fedeli) ed uno rumeno.

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Cibo (o Cybo), Caterina, duchessa di Camerino (1501-1577)



Introduzione
Nei circoli evangelici di Juan de Valdés, intorno al 1540, furono sempre
molte attive diverse nobildonne, tra cui Vittoria Colonna, Giulia Gonzaga,
Isabella Bresegna (moglie di don Garcia Manrique, governatore di Piacenza) e
Caterina Cibo (o Cybo), moglie di Giovanni Maria da Varano, duca di
Camerino.
Caterina Cibo (o Cybo) nacque il 13 settembre 1501 a Ponzano, vicino a
Firenze, quartogenita di Franceschetto Cybo, Conte Palatino del Laterano e
di Ferentillo, Signore di Anguillara e Cerveteri (1449-1519), e di Maddalena
de' Medici (1473-1519), e quindi nipote del famoso nonno Lorenzo il
Magnifico (duca: 1469-1492) e dell'altrettanto noto zio, Giovanni Medici,
poi Papa Leone X (papa: 1513-1521).


Il ducato di Camerino nel XVI secolo
Nel XVI secolo, nel breve volgere di 43 anni, la minuscola signoria di
Camerino ha avuto una storia molto tormentata: nel 1502 era stata
conquistata da Cesare Borgia (1474-1507), il famoso Valentino, che aveva
fatto strangolare in carcere il Signore Giulio Cesare da Varano (1434-1502)
e i suoi figli maschi Annibale, Venanzio e Pirro. Si era salvato solo
l'ultimogenito Giovanni Maria da Varano (1481-1527), che, nel 1503 [alla
morte del papa Alessandro VI (1492-1503), padre e protettore di Cesare
Borgia] poté rientrare in possesso delle sue terre.
Nel 1520 Caterina Cibo si sposò con il sopramenzionato Giovanni Maria da
Varano, che dal matrimonio ottenne enormi vantaggi, tra cui l'elevazione a
ducato degli antichi possedimenti e la trasmissibilità in via ereditaria del
relativo titolo.
Purtroppo Giovanni Maria morì di peste nel 1527 e, nonostante una momentanea
invasione, poi respinta, del ducato da parte dei soldati del capitano di
ventura Sciarra Colonna (m. 1545), la vedova dovette impegnarsi nel
difficile compito di governare il ducato fino al 1534, come reggente
dell'unica figlia minorenne Giulia da Varano (1524-1547).
In quell'anno C. passò il comando al genero Guidobaldo II della Rovere
(1514-1574), duca di Urbino, che unì i due possedimenti fino al 1539, anno
in cui, dietro risarcimento di 78 mila ducati d'oro, convinse la moglie
Giulia a rinunciare ai suoi diritti sul Ducato di Camerino, a favore di
Ottavio Farnese (1524-1586), nipote di Paolo III (papa:1534-1549): il
Farnese, a sua volta, lo tenne fino al 1545, passandolo definitivamente allo
Stato della Chiesa, a fronte dell'acquisizione del ducato di Parma, Piacenza
e Guastalla.


C. e la nascita dell'ordine dei cappuccini
Nel 1525 un frate marchigiano, fra Matteo da Bascio (m. 1552), in seguito ad
una visione di San Francesco, decise di osservare la regola francescana in
modo più radicale, dando luogo alla riforma cappuccina. Fece modificare
l'abito dei frati minori, si recò a Roma ed ottenne dal Papa Clemente VII
(1523-1534) di osservare la nuova regola e di poter vestire l'abito che
aveva modificato.
Ma ci furono molti ostacoli e resistenze all'interno della Chiesa, finché
nel 1528 i fratelli Ludovico e Raffaele Tenaglia da Fossombrone chiesero un
deciso intervento della duchessa di Camerino presso il cugino di lei,
Giuliano de' Medici, proprio il papa Clemente VII.
Con la bolla Religionis zelus del 3 luglio 1528, Clemente VII accettò il
nuovo ordine, denominato Ordine dei Frati Minori Cappuccini, il quale ebbe
un tale successo che dovette essere ristrutturato, dividendosi in province,
come l'originale Ordine dei Frati Minori. Nel 1534, entrò nell'ordine il
francescano senese Bernardino Tommassini, detto Ochino, che assurse ai
massimi livelli, diventandone vicario generale nel 1538, e che fu molto
ammirato dalla stessa C.


C. valdesiana
Dal 1535, dopo aver ceduto il ducato al genero Guidobaldo II della Rovere,
C. decise di trasferirsi a Firenze, dove iniziò a frequentare gli ambienti
evangelici, ispirati a Juan de Valdés. Qui conobbe Pietro Carnesecchi e
Marcantonio Flaminio, con il quale ebbe nel 1541 diversi incontri e
conversazioni sulla giustificazione per fede: Flaminio le scrisse anche due
lettere, da cui si evince una perfetta identità di vedute spirituali.
Inoltre a lei fu dedicato un sonetto (Donna, che, come chiaro a ciascun
mostra .) di Benedetto Varchi del 1547/48, che esaltava Valdés, Vittoria
Colonna e Pietro Bembo come cercatori fortunati sulla strada della salvezza
eterna dell'anima.
Nel 1541 Ochino, che da tempo frequentava i circoli evangelisti, uscì allo
scoperto con una vigorosa predica a Venezia, contenente una appassionata
difesa di Giulio della Rovere ("un predicatore del puro evangelio"),
arrestato durante la Quaresima dello stesso anno. Egli fu convocato a Roma
dall'inquisizione di Papa Paolo III, ma nell'estate 1542, dopo una breve
sosta a casa di C., dove gettò il saio, si rifugiò in Svizzera, dapprima a
Morbegno, poi a Ginevra.
Negli anni successivi, dopo questa clamorosa fuga di Ochino e la crescente
repressione degli evangelici italiani, la C. mantenne uno stretto
atteggiamento nicodemitico, per esempio rinunciò a raccogliere intorno a sé
un circolo di ispirazione valdesiana, tant'è che tuttora rimane incerta la
definizione della sua fede religiosa: si ipotizza che avesse aderito al
calvinismo.
C. morì nel 1577.

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Segalelli (o Segarelli o Sagarelli o Cicarelli), Gherardo (o Gherardino) (m.
1300) e apostolici



La vita
Gherardo Segalelli nacque a Segalara, vicino a Ozzano Taro (Parma) nel 1240
circa. Era un uomo di bassa estrazione sociale: nel 1260, l'anno delle
flagellazioni di massa, che lo lasciarono profondamente colpito, S. chiese
di essere ammesso al convento dei Frati Minori di Parma, ma ne fu respinto.
Decise allora di seguire autonomamente una propria strada di povertà
francescana: vendette i suoi averi, donando il ricavato ai poveri e si
lasciò crescere barba e capelli e si vestì con una tunica grezza, un
mantello bianco e dei sandali.
A questo punto, egli iniziò una vita di rinunce ad ogni possesso e di
predicazione del messaggio evangelico. Ebbe un notevole successo
particolarmente tra la popolazione più umile, non solo a Parma, ma in tutta
l'Emilia Romagna e oltre, e i suoi seguaci, i fratres et sorores apostolicae
vitae o semplicemente apostolici o "minimi" (come definivano sé stessi per
distinguersi dai Minori), diventarono molto più popolari degli stessi
predicatori francescani.
Tutto ciò allarmò la Chiesa ufficiale e il Papa, Gregorio X (1271-1276),
stabilì, nel 1274 al II Concilio di Lione, la proibizione di fondare nuovi
movimenti religiosi mendicanti e l'obbligo per quelli esistenti di confluire
in organizzazioni ufficialmente approvate dal clero.
Poiché gli apostolici non si adeguarono a queste direttive, furono
condannati per due volte: nel 1286 con la bolla papale Olim felicis
recordationis  e nel 1287 con il Concilio di Würzburg, ambedue voluti da
Papa Onorio IV (1285-1287), preoccupato per il diffondersi della setta. In
seguito a questa ultima condanna S. fu imprigionato a Parma, ma fu
successivamente rilasciato dal vescovo parmense Obizzo Sanvitali, segreto
ammiratore di S. e degli apostolici. Secondo il cronista d'epoca Fra
Salimbene de Adam, questo perché il vescovo si divertiva con S. come se egli
fosse stato il suo sciocco giullare di palazzo, ma questa versione dei fatti
è sicuramente una forzatura propagandistica, visto l'atteggiamento
estremamente ostile e prevenuto che Salimbene ebbe nel descrivere il
movimento degli apostolici.
Anche il successore di Onorio IV, Papa Niccolò IV (1288-1292) rinnovò nel
1290 la condanna della setta, ma solo nel 1294 il S. fu nuovamente messo in
prigione, da cui comunque riuscì a fuggire poco dopo.
Tuttavia, sei anni dopo, con a Roma un Papa, Bonifacio VIII (1294-1303), non
certo tenero con i predicatori "irregolari" e senza la protezione di Obizzo
diventato nel frattempo vescovo di Ravenna, S. fu catturato, processato
dall'inquisitore Manfredo da Parma e bruciato sul rogo a Parma il 18 Luglio
1300.


La dottrina
A dir la verità, il movimento degli apostolici non aveva una vera e propria
dottrina: essi non predicavano una nuova interpretazione del Vangelo come i
valdesi, non contestavano il clero corrotto come i patarini, non erano
eretici dualisti come i catari.
Il loro principale riferimento evangelico era il brano degli Atti degli
Apostoli (2,44-45): E tutti quelli che avevano creduto stavano insieme e
avevano tutto in comune. Vendevano poi le proprietà e i beni e ne
distribuivano il ricavato a tutti, secondo che ognuno ne aveva bisogno.
Gli apostolici conducevano quindi una vita semplice fatta di digiuni e
preghiere, spesso lavorando per guadagnare il cibo, altrimenti vivendo di
carità, e predicando con frequenti richiami al pentimento. Infatti il loro
motto era Penitentiam agite (fate penitenza), corrotto poi in Penitençagite!
Essi non avevano neppure un vero capo perché S. si rifiutò sempre di
rivestire questo ruolo nel movimento, permettendo così anche l'avvento di
nuovi capi auto-proclamatisi, come Matteo di Ancona e Guido Putagio, che
portarono scompiglio e divisioni interne al movimento.
Quello che scandalizzò però la Chiesa era, per una società cattolica
abbastanza angosciata e ossessionata dal peccato del sesso, che il movimento
degli apostolici fosse formato sia da donne che da uomini, i quali non
davano alcun valore alla castità (come i Fratelli del Libero Spirito), che
la cerimonia di accettazione di nuovi seguaci (donne e uomini) prevedesse
che si spogliassero nudi in pubblico (ma lo aveva fatto anche San
Francesco!), perché essi dovevano seguire nudi il Cristo nudo. E, a parte il
non aver ottemperato alle disposizioni del II Concilio di Lione in tema di
nuovi movimenti religiosi, fu solo sulla base di accuse, spesso fantasiose,
di fornicazione, oscenità, sodomia e quant'altro che gli apostolici furono
perseguitati.


Gli apostolici dopo la morte del fondatore
La setta degli apostolici fu duramente perseguitata come il suo fondatore:
già nel 1294 furono bruciati i primi quattro apostolici e nei processi del
1299 si cercò di reprimere nel sangue questo movimento che tanto
scandalizzava la Chiesa.
Tuttavia da quel momento di grande difficoltà per gli apostolici uscì quel
leader, Fra Dolcino da Novara, che fece fare un salto di qualità al
movimento e tenne in scacco per sette anni le forze avversarie messe in
campo durante una vera e propria crociata, indetta dal Papa Clemente V
(1305-1314).
Morto Dolcino nel 1307, si registrarono ancora apparizioni episodiche degli
apostolici nel 1315 in Spagna, nel 1318 ed infine un'ultima citazione nel
Concilio di Narbona del 1374.

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San Cipriano di Cartagine (ca. 210 - 258)



Tascio Ceciliano Cipriano, uno scrittore pagano di retorica, si convertì al
Cristianesimo ca. nel 246 e solo due anni dopo divenne vescovo di Cartagine.
Nel 249, all'inizio delle persecuzioni, ordinate dall'imperatore Decio, C.
fuggì per poi tornare nel 251 a Cartagine. Qui si trovò a fronteggiare il
problema dei lapsi (caduti), coloro i quali avevano negato la fede cristiana
durante la persecuzione.
I lapsi si dividevano in:
Libellatici, che si erano procurati documenti che attestavano (falsamente)
che avevano sacrificati agli dei romani.
Sacrificati, che avevano veramente sacrificato agli dei.
Turificati, che avevano bruciato l'incenso agli dei.
Traditores, che avevano consegnato le Sacre Scritture alle autorità romane.


C. si lamentò che la Chiesa riammettesse con troppa leggerezza i lapsi,
senza una minima penitenza, istituì una disciplina a riguardo e scomunicò
nove sacerdoti, che avevano perdonato con troppa tempestività.
Anche a Roma, Papa Cornelio (251-253) adottò questa procedura con penitenza,
ma fu contestato duramente da un gruppo di rigoristi, contrari a qualsiasi
perdono per gli apostati, con a capo il presbitero romano Novaziano, che
creò una Chiesa scismatica scomunicata dallo stesso Cornelio nell'Ottobre
del 251.
A Cartagine, nel frattempo, C. si trovò a dover combattere contro un gruppo
di lapsi e di  sacerdoti scomunicati, guidati da Novato, che nel 252
elessero un loro vescovo, Fortunato, successivamente riconosciuto da ca. 25
vescovi della regione. Sorprendentemente, qualche tempo dopo, gli estremi si
allearono: Novato si unì alla Chiesa di Novaziano.
Si suppone che la situazione evolvesse positivamente per C., perché due anni
dopo, nel 254, egli era ancora saldamente al suo posto e pronto a dare
battaglia su un altro punto riguardante i lapsi.
Infatti, per cercare di portare un po' di serenità nella Chiesa, il neo
eletto Papa Stefano I (254-257) aveva deciso di far ribattezzare i lapsi e
aveva proclamato che questo sacramento era valido anche se era stato
eseguito da preti scomunicati: Stefano comunicò la sua decisione a C.,
intimandogli di attenersi alla disposizione in questione.
C. prese malissimo l'aut - aut  e convocò un concilio di vescovi africani,
sempre molto gelosi della loro indipendenza gerarchica: simile atteggiamento
si ebbe anche durante il periodo dei donatisti.
Il sinodo africano ribadì l'autonomia nelle decisioni e il convincimento che
il battesimo amministrato dagli scomunicati era nullo. La situazione
precipitò e dopo un secondo concilio nel 256, Stefano scomunicò C.
Ma erano tempi bui per il Cristianesimo e, poco dopo, durante le
persecuzioni di Valeriano (257-258), vennero martirizzati sia Stefano, il 2
Agosto 257, che Cipriano il 14 Settembre 258. Con la morte di C., passò
nell'oblio la scomunica inflittagli ed anzi egli fu proclamato santo, come
anche il suo avversario Stefano.

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Circoncellioni (o circumcellioni) o agonistici (IV secolo)



I Circoncellioni erano bande di ex contadini fanatici religiosi,
probabilmente di razza berbera, collegati al movimento donatista del IV
secolo e diffusi soprattutto in Numidia.
Il loro nome derivò dal latino circum cellae, in quanto essi sostavano
spesso intorno alle tombe, o più precisamente, intorno ai magazzini di
derrate alimentari vicino alle chiese contenenti le tombe dei martiri.
Vennero chiamati anche agonistici (lottatori).
Erano armati principalmente di bastoni e sfogavano la loro aggressività,
attaccando al grido di Deo laudes e prendendo a bastonate i cattolici oppure
i proprietari terrieri o gli agenti delle tasse o infine assaltando ville e
chiese cattoliche.
I C. si erano votati al martirio, anche attraverso il suicidio attuato
gettandosi da precipizi o annegandosi o mediante un'altra tecnica estrema di
martirio: quella di fermare un passante e minacciare di ucciderlo, se
questi, a sua volta, non avesse ucciso il C. stesso.
Le ripetute azioni dei C., sotto il comando di Axido e Fasir, infastidirono
gli stessi donatisti, che chiesero l'intervento militare delle truppe del
generale Taurino per combattere gli eccessi. Taurino sconfisse i C. ad
Ottava, in Numidia, ma essi rimasero comunque il braccio armato dei
donatisti per parecchio tempo.

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Clareno da Cingoli, Angelo (ca. 1245-1337) e i clareni



La vita
Angelo Clareno nacque nel 1245 circa a Fossombrone (Pesaro), benché molti
testi lo considerano originario di Cingoli (Macerata), da cui il suo nome.
Nel 1262 egli entrò nell'ordine dei francescani e si dedicò per qualche anno
all'insegnamento della teologia, ma successivamente decise di aderire al
corrente degli spirituali, i quali osservavano alla lettera la Regola ed il
Testamento del Santo. Essi inoltre aderivano entusiasticamente alle idee e
teorie del mistico calabrese Gioacchino da Fiore, arrivando ad identificare
la sua "Chiesa Spirituale" (Ecclesia Spiritualis), con lo stesso ordine
francescano.
Per aver aderito o professato queste idee, C. fu imprigionato dal 1280 al
1289: solo nel 1294 la situazione degli spirituali migliorò, quando essi
furono sottratti al controllo dei conventuali, l'ala moderata dei
francescani, da Papa (San) Celestino V (1294), ma il periodo di fortuna durò
pochissimo: già Papa Bonifacio VIII (1294-1303) tolse ogni loro privilegio.
Nel 1299 C. si rifugiò in Grecia per sottrarsi all'Inquisizione: rientrò
solo nel 1307 divenendo il capo degli spirituali della sua zona di origine,
le Marche e l'Umbria, precedentemente coordinati dal 1274 da Liberato da
Macerata. I suoi seguaci furono successivamente denominati clareni in onore
del loro capo.
Nel 1311 egli fu convocato da Papa Clemente V (1305-1314) per una attenta
valutazione della sua ortodossia e dal Papa stesso fu scagionato da ogni
accusa.
Tuttavia, poco dopo, durante la sede vacante (1314-1316), in una cerimonia,
seguita da una grandissima folla, in memoria della figura di Pietro di
Giovanni Olivi, C. si contraddistinse per aver incitato alla ribellione gli
spirituali di Narbona (nella Francia meridionale) contro i conventuali e in
ciò ebbe un grande appoggio dalla popolazione locale.
Ma questa grande popolarità non gli impedì di essere scomunicato, assieme
agli spirituali, nel 1317 dal successore di Clemente, Papa Giovanni XXII
(1316-1334), il grande nemico del movimento e per gli spirituali la perfetta
impersonificazione  dell'Anticristo.
Dal 1318, dopo questa scomunica papale, C. fondò l'ordine dei fraticelli (o
fratelli della vita povera) organizzato come un ordine francescano
indipendente e contestò la legittimità dell'autorità papale di Giovanni
XXII. I fraticelli si diffusero nelle Marche, Umbria, Lazio, Campania e
Basilicata.
Il Papa reagì facendo bruciare sul rogo 4 fraticelli a Marsiglia nel 1318,
ma non riuscì mai a mettere le mani su C., che, come Michele da Cesena,
preferì cercarsi appoggi nella fazione ghibellina di Ludovico il Bavaro
durante la sua conquista di Roma del 1328.
Il Papa emise due ordini di arresto a suo carico nel 1331 e nel 1334, ma il
capo dei fraticelli morì, libero e in odore di santità, il 15 Giugno 1337
nell'eremitaggio di Santa Maria dell'Aspro, vicino a Marsico Vetere
(Potenza) tre anni dopo la morte del Papa stesso, avvenuta nel 1334.


Le opere
Uomo di grande cultura, nonostante le malignità di Giovanni XXII ("eretico
demente"), C. scrisse una Chronica septem tribulationum Ordinis Minoris, a
proposito delle vicissitudini degli spirituali, un commento alla regola
dell'ordine (Declaratio regulae Minorum), diverse traduzioni dal greco di
testi del monachesimo orientale e diverse lettere.

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Clarke, John (1609-1676)



John Clarke nacque nella contea inglese del Bedfordshire l'8 ottobre 1609 e
si laureò in medicina, attività che esercitò a Londra. Tuttavia, essendosi
convertito al battismo, dovette subire le conseguenze delle persecuzioni
scatenate dall'arcivescovo di Canterbury, William Laud (1573-1645) contro le
sette non-conformiste nel 1637 e decise quindi di emigrare nelle colonie
americane.
Nel novembre 1637 C. e la moglie Elisabeth sbarcarono a Boston, nella
colonia del Massachusetts Bay, ed ebbero una amara delusione, trovando
un'intolleranza da parte dei maggiorenti puritani pari a quella lasciata in
Inghilterra.
C. non si perse d'animo: raccolse un gruppo di dissidenti e con loro si
mosse nel marzo 1638 dapprima verso la Narragansett Bay, la zona dove si era
installato il gruppo di Roger Williams nel 1636, poi più a sud. Qui
acquistò, il 24 marzo, dagli indiani un territorio, dove poté fondare la
cittadina di Newport e la locale Chiesa dei Battisti, la prima degli USA, di
cui egli fu nominato pastore.
La Chiesa di Newport aderì al movimento dei battisti particolari [nato da
una scissione della congregazione Jacob-Lathrop-Jessey fondata nel 1616 da
Henry Jacob (1553-1624)] che cercarono di mantenere qualche forma di
contatto con l'establishment anglicano, contrapposta ai battisti generali,
che si distinsero per il rifiuto di compromessi con la Chiesa Anglicana.
Nel frattempo, nella vicina Massachusetts, fu emanata una legge nel 1644 che
bandiva il battismo e questa fu applicata quando, nel luglio 1651, C., John
Crandall e Obadiah Holmes fecero visita a William Witter, un battista cieco,
che viveva a Lynn, vicino a Boston. I tre infatti furono sorpresi, arrestati
per aver organizzato una funzione religiosa battista non autorizzata e
condannati ad una forte multa o ad essere frustati in pubblico. In agosto un
ignoto amico pagò le multe e Crandall e C. furono rilasciati, mentre Holmes
rifiutò il pagamento e fu quindi frustato.
Nello stesso 1651, C. si recò in Inghilterra, assieme a Roger Williams, per
farsi rinnovare la concessione ufficiale del territorio del Rhode Island. I
due riuscirono nell'intento e Williams rientrò nelle colonie nel 1654,
mentre C. rimase in Inghilterra fino alla restaurazione della monarchia con
l'insediamento sul trono del re Carlo II (1649-1685) nel 1660. Dallo stesso
re C. ottenne nel 1663 una nuova concessione ufficiale per Rhode Island.
Nel 1664 C. fece ritorno a Newport, dove riprese la sua attività di pastore
fino al giorno della sua morte, avvenuta il 20 aprile 1676.

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Ranters (XVII secolo)



I Ranters (dall'inglese to rant: parlare in modo ampolloso) erano una setta
radicale protestante inglese, che fiorì nel biennio 1649-50, all'indomani
cioè dell'arresto ed esecuzione capitale del re Carlo I d'Inghilterra
(1625-1649).
I R. rappresentarono un caso estremo di antinomismo, cioè della convinzione
dell'inutilità della legge morale. Essi infatti pensavano di essere
all'inizio dell'era dello Spirito Santo, profetizzata dall'abate cistercense
Gioacchino da Fiore, dove gli uomini sarebbero stati direttamente ispirato
da Dio e dove quindi le organizzazioni religiose e le Sacre Scritture
sarebbero state superflue.
L'estremismo, espresso dai R., sfociò nel panteismo mistico (Dio è in ogni
cosa) simile a quello del XII secolo di Amaury di Béne, e nel noto concetto
antinomiano Siccome Dio è in ogni uomo, egli non può peccare, un'idea non
del tutto originale in quanto già espressa da diverse sette religiose, come
ad esempio i Fratelli del Libero Spirito  o il movimento della Libera
Intelligenza del XIII secolo. Venivano respinte tutte le forme esteriori di
religione, perfino la Bibbia: siccome tutto veniva da Dio, tutto poteva
essere usato in comune da parte di tutti, un concetto non molto dissimile da
quello di altri gruppi come i familisti o i quaccheri.
Il comportamento dei R. fu molto scandaloso e privo di valori morali: essi
si distinsero per bestemmia, adulterio, eccesso di tabacco e alcool,
incesto, e furono spesso accusati di orge e fornicazioni.
I due rappresentanti più significativi del movimento R., ambedue
imprigionati per i loro scritti, furono Laurence Clarkson (1615-1667), che
si convertì successivamente al muggletonianismo, e Abiezer Coppe
(1619-1672),.
Questi loro scritti scatenarono la reazione del Parlamento inglese, che nel
maggio 1650, promulgò la Adultery Act (legge contro l'adulterio) e,
nell'agosto dello stesso anno, la Blasfemy Act (legge contro la blasfemia)
proprio contro il fenomeno R. I sei mesi di carcere duro previsto da questi
leggi arginarono il fenomeno, che, dopo il 1654, declinò rapidamente fino
quasi a scomparire dopo la restaurazione nel 1660.

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Claudio, vescovo di Torino (m. ca. 840)



Uno dei grandi ispiratori della Chiesa Valdese sembra essere stato nella
prima metà del IX secolo il vescovo Claudio di Torino, la cui azione si
inserì nella polemica iconoclasta in atto sia nell'Impero Romano d'Oriente,
sia nel regno franco.
C. era nato in Spagna ed era stato discepolo di Felice di Urgel, uno dei
promotori della polemica adozionista assieme a Elipando di Toledo, e fu
nominato dall'imperatore Ludovico I il Pio (814-840) vescovo di Torino nel
817.
All'epoca le chiese della Lombardia (regione più grande dell'attuale,
inglobando anche Liguria e Piemonte e parte dell'Emilia) seguivano il rito
ambrosiano con un notevole livello di autonomia da Roma: ad esempio il
vescovo di Milano non veniva nominato dal Papa.
Grande era inoltre l'influenza della dottrina agostiniana, rigorosa e
moralizzatrice. In tal senso, C. nel 824 prese la decisione di distruggere
tutte le immagini e crocefissi nella sua diocesi, proibendo i pellegrinaggi,
il ricorso all'intercessione dei santi, la venerazione delle reliquie e
perfino l'uso delle candele accese in chiesa.
Per questo atto iconoclasta, C. entrò in polemica con l'abate Teodomiro,
contro cui scrisse il suo Apologeticum atque rescriptum Claudii episcopi
adversus Theutmirum abbatem.
Tuttavia Teodomiro e diversi vescovi del Sacro Romano Impero si riunirono in
un sinodo a Parigi nel 825, e, pur cercando di trovare una formula di
compromesso tra le posizioni iconoclastiche e le decisioni del II Concilio
di Nicea del 787, condannarono l'operato di C., giudicato troppo
estremistico.
C. rimase comunque nella sua sede fino alla morte nel 840 ca.
Come si è detto, egli fu un riferimento storico per i Valdesi, che decisero
di intitolargli la loro casa editrice, la Libreria Claudiana, per l'appunto.