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SANTA INQUISIZIONE
Testo tratto dal sito: www.eresie.it di Douglas Swannie

LA SANTA INQUISIZIONE E PERSONAGGI ERETICI

Clemente Alessandrino (ca.150 - ca.215)

La vita
Clemente, il cui nome completo era Tito Flavio Clemente, nacque nel 150 ca.,
probabilmente ad Atene, da una famiglia pagana.
In età adulta si convertì al cristianesimo e dal 180 studiò con il filosofo
Panteno, il primo docente riconosciuto della scuola di catechismo e teologia
di Alessandria d'Egitto.
Nel 190, C. successe a Panteno alla guida della scuola, che divenne rinomata
sotto la sua guida, attirando scolari diventati in seguito famosi teologi,
come Origene, il successore di C. stesso.
Durante le persecuzioni contro i cristiani, ordinate dall'imperatore
Settimio Severo (173-211) nel 202, C. si trasferì a Cesarea in Cappadocia e
successivamente presso il suo amico ed ex allievo Alessandro, vescovo di
Gerusalemme, dove rimase fino alla sua morte avvenuta circa nel 215.
Fino al XVII secolo, C. venne venerato come santo, ma successivamente alla
revisione del  martirologio cristiano ad opera di papa Clemente VIII, egli
fu depennato dalla lista per alcuni punti non ortodossi del suo
insegnamento.


Le opere
Protreptokos pros Ellenas (Esortazione ai Greci): un appello persuasivo alla
fede.
Hypotyposeis (Disposizioni): in otto libri andati perduti se non per alcuni
frammenti. Uno dei testi più controversi di C., che secondo Fozio, avrebbe
contenuto svariati dogmi condannabili come il docetismo, la metempsicosi,
l'eternità della materia, la pluralità dei Verbi (Logoi) ecc.
Stromateis (Miscellanea): trattato incompiuto di discussione di vari punti
di dottrina teologica.
Paidagogos (L'istruttore): trattato in tre libri, scritto per istruire il
fedele a divenire un buon cristiano mediante una vita disciplinata.


La dottrina (punti controversi)
C. fu considerato il fondatore dello gnosticismo cristiano, in quanto
credeva che la gnosi fosse l'elemento principale nella perfezione cristiana.
Tuttavia, per C., l'unica vera gnosi era quella che presupponeva la fede:
infatti Cristo era diventato uomo per rivelare che, attraverso Lui, gli
uomini potevano diventare immortali.
Inoltre, come il suo successore Origene, anche C. era convinto dello scopo
allegorico dell'Antico Testamento.
Infine C., da buon filosofo di scuola greca approdato al Cristianesimo,
farciva spesso il proprio insegnamento di Stoicismo: il Cristiano perfetto
doveva condurre una vita di calma inalterabile, anche nella persecuzione e
nel martirio.

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Clemenzio e Eberardo di Bucy-Le-Long (m. ca. 1114)



Clemenzio e Eberardo erano due fratelli contadini a Bucy-Le-Long, vicino a
Soissons.
Secondo Guiberto di Nogent, l'inquisitore che seguì il caso, i due fratelli
furono accusati nel 1114 di predicazioni eterodosse. Il vescovo di Soissons
e Guiberto non riuscirono, comunque, a ricavare molte informazioni dai due,
anche a causa della loro scarsa cultura.
Sembra comunque che i due predicassero l'inutilità dei sacramenti e dei
riti, come la messa, ed in questo ricordavano le parole di un altro eretico,
loro contemporaneo, Pietro di Bruis.
Furono sottoposti al "Giudizio di Dio" mediante l'acqua. Questa barbara
usanza medioevale consisteva nel gettare il sospetto in acqua con le mani e
piedi legati: se annegava, era innocente, se galleggiava, era colpevole!
Uno dei due (i testi non concordano quale) fu sottoposto per primo e, poiché
sopravvisse, fu trovato colpevole e quindi C. e E. furono dichiarati rei di
manicheismo, un accusa generica che si applicava spesso agli eretici del XII
secolo.
Furono messi in prigione, assieme ad altri due eretici, in attesa che il
vescovo e Guiberto di Nogent tornassero da Beauvais, dove si erano recati
per assistere ad un sinodo locale, ma, in loro assenza, la folla mise in
atto un vero linciaggio medioevale, irrompendo nella cella e trascinando
fuori gli sventurati, che furono bruciati vivi sul rogo.

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Cleomene (modalista) (III secolo)



Cleomene fu un seguace di Epigono, da cui aveva imparato i principi del
monarchianismo modalista, propagandati da Noeto di Smirne, e, a sua volta,
maestro dell'ultimo grande pensatore modalista: Sabellio.
Egli operò a Roma  all'inizio del III secolo, durante i papati di Vittore I
e Zefirino: quest'ultimo fu accusato da Ippolito di aver preso del denaro,
proprio in cambio dell'appoggio dell'attività di C.

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Fontanini da Mantova, Benedetto (ca. 1490-dopo 1555)



La vita
Benedetto Fontanini, l'autore dell'arcinoto Beneficio di Christo, era nato a
Mantova intorno al 1490 ed aveva studiato a San Benedetto Po (o San
Benedetto di Padolirone, o Polirone), dove aveva preso i voti ed era entrato
nel monastero benedettino il 16 febbraio 1511, avendo come confratelli
Giambattista e il fratello di quest'ultimo, Gerolamo (più noto con il nome,
assunto in convento, di Teofilo) Folengo (1491-1544), l'originale scrittore
del `500, inventore del genere maccheronico goliardico e che si firmava
anche con lo pseudonimo di Merlin Cocai o Limerno Pitocco.
Nel 1533/34 F. passò, con i due Folengo, al monastero di San Giorgio
Maggiore, a Venezia (prima di una lunga serie di tappe, che lo avrebbero
portato in giro per l'Italia), dove fece la conoscenza di Reginald Pole e
Marcantonio Flaminio: quest'ultimo diventò suo collaboratore per la stesura
del Beneficio di Christo.
Nella primavera 1537 i suoi superiori disposero il trasferimento di F. al
monastero di San Niccolò l'Arena di Catania, ma, durante il viaggio verso la
Sicilia, egli si fermò per diversi mesi nel monastero dei Santi Severino e
Sossi a Napoli, dove entrò in contatto con il circolo valdesiano di Napoli e
alcuni suoi frequentatori, come Bernardino Ochino, Pier Martire Vermigli,
Pietro Carnesecchi, Ludovico Manna e Vittore Soranzo.
La frequentazione di tutti questi nomi illustri dell'evangelismo italiano
stimolò senz'altro F. nella stesura, una volta giunto a Catania, della 1°
versione del Trattato utilissimo del beneficio di Giesù Christo crocefisso
verso i christiani, o più brevemente Beneficio di Christo, uno dei libri
fondamentali per la Riforma in Italia. Il testo venne spedito da F. a
Flaminio, che lo rilesse e lo rielaborò.
Nel monastero di Catania, dove F. stette tra il 1537 ed il 1543, egli
conobbe e diventò amico del confratello Giorgio Siculo, di cui F. aiutò la
diffusione del Libro Grande.
In seguito fu rettore a Santa Maria di Pomposa tra il 1544 ed il 1546,
mentre nel 1546 tornò a San Benedetto Po.
Tuttavia, poco dopo (nel 1548), venne segnalato, da parte di Angelo
Massarelli, agente dell'Inquisizione, la sua presenza a Chioggia, dove
probabilmente F. si fece notare per le sue idee riformiste. Infatti fu
imprigionato nel 1549 a Verona, e trasferito poi a Padova nel carceri
conventuali di Santa Giustina per tre anni, assieme a Giorgio Siculo, e in
seguito confinato fino al 1552 nel monastero di Santa Croce di Campese,
presso Bassano del Grappa.
Nel 1555 lo ritroviamo per la terza volta al monastero di San Benedetto Po e
da questa data si perdono le sue tracce: presumibilmente morì poco dopo.


Il Beneficio di Christo
Il libro, che girava in forma manoscritta già dal 1540 [l'originale era in
possesso del segretario di Cosimo I de' Medici (1537-1574), il valdesiano
Pier Francesco Riccio], venne edito a Venezia dallo stampatore Bernardino de
Bindonis nel 1543, uscendo in una forma anonima (alcuni riformatori
conoscevano bene l'identità dell'autore e del revisore, ma solo nel 1566,
sotto tortura, Pietro Carnesecchi confessò all'Inquisizione che l'autore era
effettivamente F.), ed ebbe un successo clamoroso: venne ristampato più
volte e, secondo Pier Paolo Vergerio, in sei anni ne furono prodotte almeno
40.000 copie (secondo altre fonti fino a 80.000 copie)!
Il libro, che attinge dal pensiero e dagli scritti dei Padri della Chiesa
Agostino, Origene, Basilio, Ilario e Ambrogio e dei massimi riformatori come
Lutero, Valdés, Melantone, Calvino e Bucero, consta di sei capitoli, che
trattano del peccato originale (1°), della legge di Mosè (2°), della
missione di Cristo fra gli uomini (3°), delle nozze mistiche dell'anima con
Cristo grazie alla fede (4°), di come il cristiano si vesta di Cristo (5°),
della Comunione e del Battesimo e della predestinazione (6°).
Il libro, come detto, si diffuse rapidamente negli ambienti evangelisti: era
quindi prevedibile che l'ortodossia cattolica reagisse ben presto con
energia. Già segnalato nel 1544 nel Compendio d'errori e inganni luterani
del domenicano senese Ambrogio Catarino Politi (ca. 1484-1553), il Beneficio
di Christo venne definitivamente condannato il 21 luglio 1546, in seguito ad
un pesante intervento censorio del vescovo di Aquino e Sessa, Galeazzo
Florimonte (m. 1567), al Concilio di Trento.
Inserito nel Catalogo dei libri proibiti [il famigerato l'Index librorum
prohibitorum, formalizzato successivamente, nel 1557, da Papa Paolo IV
(1555-1559)], ogni copia del libro fu così sistematicamente scovata e
distrutta dall'Inquisizione che se ne perse completamente le tracce finché
nel 1855 fece scalpore la scoperta di una preziosa copia nella Biblioteca
del St. John's College a Cambridge.

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Cocceius (Coch o Koch o Koken), Johannes (1603-1669)



La vita
Il teologo calvinista Johannes Cocceius (nome umanistico di Johannes Coch o
Koch o Koken) nacque il 9 agosto (o forse il 30 luglio) 1603 a Brema, in
Germania. Il padre, Timann Coch, era segretario comunale e allevò il figlio
in un clima severo tipico da famiglia riformata (Brema era una delle poche
città tedesche non a maggioranza luterana).
C. venne avviato allo studio della teologia, ma mostrò anche una notevole
attitudine per le lingue, imparando il greco, l'ebraico, il caldeo e l'arabo
(per esercitarsi su quest'ultima lingua, C. lesse tutto il Corano).
Nel 1625 C. si recò ad Amburgo per approfondire i suoi studi di greco e di
dottrina rabbinica, ma nel 1629, disgustato della vita licenziosa degli
universitari tedeschi, decise di andare in Olanda, all'università di
Franeker, per studiare con il teologo calvinista inglese William Ames
(1576-1633) e con l'orientalista Sixtinus Amana, che lo esortò a pubblicare
studi sul Talmud.
L'anno successivo (1630) C. divenne professore di filologia biblica al
Gymnasium illustre di Brema, dove insegnò per sei anni, ma nel 1636 egli
ritornò a Franeker, per accettare l'incarico di docente di lingua ebraica e,
grazie ai suoi commentari sulla figura dell'Anticristo e sulla lettera di
San Paolo agli Efesini, di teologia dal 1643 al 1650.
C. è noto in questo periodo per la feroce polemica sviluppata con il teologo
calvinista ortodosso Gisbertus Voetius, non solo perché C. aveva preso le
difese del famosissimo Cartesio (René Descartes, 1596-1650), residente in
Olanda dal 1629 e difensore della tolleranza religiosa e dei diritti
dell'uomo, ma soprattutto perché aveva osato criticare Voetius e i suoi
seguaci di essere troppo scolastici.
La polemica tra Voetius e C. continuò per tutta la loro vita, influenzando
pesantemente la vita accademica olandese dell'epoca: si arrivò a tal punto
che nei vari atenei il numero di voetiani e di cocceiani veniva
rigorosamente mantenuto uguale pur di non favorire nessuna fazione.
Nel 1650, dopo la morte del titolare Friedrich  Spanheim (1600-1649), C.
accettò il ruolo di professore di teologia all'università di Leida e
mantenne questa posizione fino alla morte avvenuta il 14 novembre 1669 per
un attacco febbrile.


Il pensiero
Il punto centrale del pensiero di C., espresso nelle opere Summa doctrinae
de Foedere et Testamento Dei (1648) e Summa teologiae ex sacris Scripturis
repetita (1662), era il Patto biblico della Legge stipulato tra Dio e l'uomo
prima della Caduta.
Esso fu sostituito in seguito con il Patto della Grazia, per onorare il
quale era necessaria la Venuta di Cristo ed infatti, il Vecchio Testamento
era pieno, secondo C., di riferimenti a Cristo.
Inoltre, dall'alto della sua immensa cultura biblica, C. aveva scritto un'es
egesi biblica, più personale e pratica delle interminabili elucubrazioni
mentali dei teologi "sistematici" della scuola di Voetius, e che tenesse
conto del vero (secondo lui) significato del testo sacro. Le Sacre Scritture
infatti venivano man mano elaborate dai vari sconosciuti redattori di allora
per i popoli loro contemporanei sulla base del loro livello di comprensione
del messaggio divino (una sorta di rivelazione progressiva).
Tuttavia nella disamina di C. il messaggio del Nuovo Testamento diventava
decisamente diverso dal Vecchio Testamento ed alcune cose del Vecchio, come
ad esempio l'osservanza del giorno di riposo (Sabbath), non erano
considerate più valide e proprio quest'ultima osservazione fu il casus belli
per lo scatenamento della polemica con Voetius.

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Cocceius (Coch o Koch o Koken), Johannes (1603-1669)



La vita
Il teologo calvinista Johannes Cocceius (nome umanistico di Johannes Coch o
Koch o Koken) nacque il 9 agosto (o forse il 30 luglio) 1603 a Brema, in
Germania. Il padre, Timann Coch, era segretario comunale e allevò il figlio
in un clima severo tipico da famiglia riformata (Brema era una delle poche
città tedesche non a maggioranza luterana).
C. venne avviato allo studio della teologia, ma mostrò anche una notevole
attitudine per le lingue, imparando il greco, l'ebraico, il caldeo e l'arabo
(per esercitarsi su quest'ultima lingua, C. lesse tutto il Corano).
Nel 1625 C. si recò ad Amburgo per approfondire i suoi studi di greco e di
dottrina rabbinica, ma nel 1629, disgustato della vita licenziosa degli
universitari tedeschi, decise di andare in Olanda, all'università di
Franeker, per studiare con il teologo calvinista inglese William Ames
(1576-1633) e con l'orientalista Sixtinus Amana, che lo esortò a pubblicare
studi sul Talmud.
L'anno successivo (1630) C. divenne professore di filologia biblica al
Gymnasium illustre di Brema, dove insegnò per sei anni, ma nel 1636 egli
ritornò a Franeker, per accettare l'incarico di docente di lingua ebraica e,
grazie ai suoi commentari sulla figura dell'Anticristo e sulla lettera di
San Paolo agli Efesini, di teologia dal 1643 al 1650.
C. è noto in questo periodo per la feroce polemica sviluppata con il teologo
calvinista ortodosso Gisbertus Voetius, non solo perché C. aveva preso le
difese del famosissimo Cartesio (René Descartes, 1596-1650), residente in
Olanda dal 1629 e difensore della tolleranza religiosa e dei diritti
dell'uomo, ma soprattutto perché aveva osato criticare Voetius e i suoi
seguaci di essere troppo scolastici.
La polemica tra Voetius e C. continuò per tutta la loro vita, influenzando
pesantemente la vita accademica olandese dell'epoca: si arrivò a tal punto
che nei vari atenei il numero di voetiani e di cocceiani veniva
rigorosamente mantenuto uguale pur di non favorire nessuna fazione.
Nel 1650, dopo la morte del titolare Friedrich  Spanheim (1600-1649), C.
accettò il ruolo di professore di teologia all'università di Leida e
mantenne questa posizione fino alla morte avvenuta il 14 novembre 1669 per
un attacco febbrile.


Il pensiero
Il punto centrale del pensiero di C., espresso nelle opere Summa doctrinae
de Foedere et Testamento Dei (1648) e Summa teologiae ex sacris Scripturis
repetita (1662), era il Patto biblico della Legge stipulato tra Dio e l'uomo
prima della Caduta.
Esso fu sostituito in seguito con il Patto della Grazia, per onorare il
quale era necessaria la Venuta di Cristo ed infatti, il Vecchio Testamento
era pieno, secondo C., di riferimenti a Cristo.
Inoltre, dall'alto della sua immensa cultura biblica, C. aveva scritto
un'esegesi biblica, più personale e pratica delle interminabili
elucubrazioni mentali dei teologi "sistematici" della scuola di Voetius, e
che tenesse conto del vero (secondo lui) significato del testo sacro. Le
Sacre Scritture infatti venivano man mano elaborate dai vari sconosciuti
redattori di allora per i popoli loro contemporanei sulla base del loro
livello di comprensione del messaggio divino (una sorta di rivelazione
progressiva).
Tuttavia nella disamina di C. il messaggio del Nuovo Testamento diventava
decisamente diverso dal Vecchio Testamento ed alcune cose del Vecchio, come
ad esempio l'osservanza del giorno di riposo (Sabbath), non erano
considerate più valide e proprio quest'ultima osservazione fu il casus belli
per lo scatenamento della polemica con Voetius.

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Cola di Rienzo (o Rienzi) (1314-1354)



Nicola (detto Cola) di Lorenzo (o Rienzo o Rienzi) nacque nel 1314, figlio
di un oste di Trastevere (quartiere popolare di Roma), sebbene la leggenda
gli attribuisse un padre di nobilissime origini: niente di meno che
l'imperatore Enrico VII di Lussemburgo (imperatore 1312-1313).
Alla morte della madre, egli fu allevato da alcuni parenti ad Anagni, dove
studiò Lettere e Latino, approfondendo la conoscenza degli autori classici,
come Seneca, Tito Livio e Cicerone.
Alla morte del padre, C. si recò a Roma, diventando un notaio, ma
successivamente, vista la penosa situazione di degrado in cui versava la
città oramai priva della sede papale dal 1309, egli si recò nel 1343 ad
Avignone da Papa Clemente VI (1342-1352) per perorare la causa del ritorno
del pontefice nella città capitolina.
Clemente lo nominò notaro (cioè segretario) della Camera Capitolina per
informarlo sulle vicende della città, ma egli ne approfittò  per formare un
governo popolare il 19 maggio 1347, di cui egli assunse la carica di
tribuno. L'iniziativa ebbe uno straordinario successo e fu approvata da
Clemente, che diede a C. il titolo di Rettore di Roma in condivisione con il
vicario pontificio Raimondo, vescovo di Orvieto.
Tuttavia, dopo pochi mesi, il potere iniziò a dargli alla testa ed egli si
mise in mente di poter reinstaurare l'impero Romano, liberando le città
italiane dal giogo degli imperatori tedeschi.
Era un grande sognatore idealista e ambizioso e quando assunse l'altisonante
qualifica di Candidatus Spiritus Sancti, di questo se ne approfittarono i
nobili romani (i Colonna e gli Orsini), da lui scacciati qualche mese prima,
per fomentare la rivolta contro il tribuno. Lo stesso Raimondo di Orvieto
gli voltò le spalle, addiritura scomunicandolo.
C. dapprima si rifugiò a Castel Sant'Angelo e poi fuggì dalla città nel
Dicembre 1347.
Tuttavia, poco dopo, C. si fece influenzare dalle visioni gioachimite
dell'eremita francescano spirituale Fra' Angelo, da lui conosciuto sulla
Maiella, e si recò quindi a Praga nel 1350 a perorare la propria causa
presso il re di Boemia (e futuro imperatore) Carlo IV (imperatore
1355-1378).
Carlo lo fece rinchiudere come eretico (o forse come squilibrato) e
successivamente lo spedì dal Papa ad Avignone per essere giudicato. Qui C.
fu condannato a morte nel 1352, sentenza trasformata in carcere per
intercessione del grande poeta Francesco Petrarca, suo estimatore.
Nel 1353, il nuovo Papa Innocenzo VI (1352-1362) lo inviò a Roma al seguito
del Cardinale Egidio Alvarez Carillo de Albornoz (1310-1367), abile politico
e diplomatico, che doveva preparare il terreno per il rientro del papa nella
sede di Roma.
C. fu nominato senatore di Roma, ma i suoi sogni di gloria mai sopiti ed una
politica di tassazioni iniqua fece rivoltare il popolo romano.
L'8 Ottobre 1354 la folla assaltò il Senato e linciò C., abbandonato
cinicamente dal cardinale Albornoz, in quanto non più utile ai suoi scopi.

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Tyndale, William (ca. 1494-1536)



La vita
William Tyndale nacque nel 1494 ca. probabilmente vicino a Dursley, nella
contea inglese del Gloucestershire, da una modesta famiglia, il cui cognome
originario era Hychyns, ma William usò abitualmente il cognome Tyndale della
madre.
Egli studiò all'università di Oxford, presso la Magdalene Hall, ottenendo il
baccalaureato in arti nel 1512 e il titolo di maestro in arti nel 1515.
Dopo la laurea, T. si trasferì a Cambridge e qui simpatizzò con il gruppo di
luterani (fondato da Thomas Bilney e soprannominato Piccola Germania dalle
loro simpatie per le dottrine del riformatore di Wittenberg), che si riuniva
alla locanda del Cavallo Bianco (White Horse Inn). Del gruppo fecero parte
religiosi agostiniani, come Robert Barnes (1495-1540) e Miles Coverdale, e
cattedratici dell'università, come lo stesso Bilney e Hugh Latimer.
In seguito ordinato prete, T. ritornò nella sua contea di origine tra il
1521 ed il 1523, ma, sospettato di eresia lollarda, decise di recarsi a
Londra per cercare di convincere l'arcivescovo Cuthbert Turnstall
(1474-1559) a permettergli di tradurre la Bibbia in inglese. Avendo ricevuto
un netto e scortese rifiuto, T. prese la drastica decisione di emigrare ad
Amburgo, dove si mise all'opera coadiuvato dal frate ex agostiniano (secondo
altri, ex francescano) William Roye.
I due tentarono di pubblicare una prima versione della Bibbia a Colonia nel
1525, ma furono bloccati dopo la stampa delle prime 80 pagine. Meglio andò a
Worms, dove finalmente nel febbraio 1526 fu pubblicato il primo Nuovo
Testamento in lingua inglese.


La Bibbia in volgare
La fama di T. è infatti soprattutto legata a questa traduzione in lingua
inglese del Nuovo Testamento direttamente dalla versione originaria in
greco. Non era stato il primo a tradurre la Bibbia: infatti precedentemente
anche John Wycliffe aveva provveduto alla traduzione in inglese di parti
delle Sacre Scritture, ma la sua traduzione si riferì al testo in latino di
San Girolamo.
T. invece poté usufruire di diversi fonti di informazioni, rese disponibili
in Europa occidentale dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, fatto
storico che obbligò tanti studiosi greci ad emigrare in occidente,
particolarmente in Italia, portando con sé preziosi manoscritti.
Così molti biblisti britannici, soprattutto da Oxford, furono motivati ad
imparare il greco antico, per poter finalmente esaminare questi testi sacri
direttamente alla fonte, senza tutte le varie interpretazioni del periodo
scolastico. Uno dei più famosi studiosi fu John Colet (1467-1519), le cui
conferenze influenzarono profondamente il noto umanista Erasmo da Rotterdam.
Erasmo pubblicò nel 1516 la sua versione del Nuovo Testamento in greco, e da
questa edizione fu preso lo spunto per due traduzioni fondamentali per la
storia della Riforma: la versione in tedesco di Martin Lutero del 1522 e
quella, appunto, in inglese di T. del 1525.
La versione di T. arrivò in Inghilterra nel 1526 ed ebbe un'accoglienza
molto negativa da parte della Chiesa Inglese: l'influenza luterana
sull'autore era molto evidente, soprattutto nelle prefazioni di alcune
lettere di San Paolo, semplici traduzioni in inglese del testo luterano.
Autorità quindi come l'arcivescovo Turnstall, il grande filosofo umanista
Tommaso Moro (Thomas More) (1478-1535) e il cardinale e Lord Cancelliere
Thomas Wolsey (1474-1530) chiesero a gran voce l'arresto di T. come eretico.
Ma quest'ultimo continuava a produrre lavori, stampati sul continente ed
esportati di nascosto in Inghilterra, come Prologo all'Epistola ai Romani
(1526), Obbedienza di un uomo cristiano (1528) e La pratica dei prelati
(1530), tuttavia nel 1526 egli ritenne più prudente trasferirsi ad Anversa
sotto la protezione di un gruppo di mercanti luterani inglesi, che, guarda
caso!, facevano un notevole guadagno proprio dal contrabbando di testi
proibiti in Inghilterra.
Poco dopo T., assieme a Miles Coverdale, si mise al lavoro per la traduzione
di tutto l'Antico Testamento in inglese, una monumentale impresa che tenne
occupati i due studiosi fino al 1531.
Diversi di questi lavori fecero infuriare Enrico VIII d'Inghilterra in
persona, che non lesinò alcun sforzo per far arrestare lo
stampatore/traduttore di Dursley, che oltretutto si era permesso di
contestare le ragioni del re per il suo divorzio da Caterina d'Aragona.
Infine nel 1534, con revisione nel 1535, T. pubblicò ad Anversa le sua
versione riveduta del Nuovo Testamento, ma questo fu il suo canto del cigno.
Poco dopo infatti, una spia inglese, tale Henry Phillips, entrò in amicizia
con T. e nel maggio 1535, carpendo la sua buona fede, riuscì a farlo uscire
dal territorio sotto il controllo diplomatico dei mercanti inglesi,
consegnandolo al Procuratore Generale, che lo fece arrestare e inviare alla
fortezza di Vilvorde, vicino a Bruxelles.
Nonostante gli interventi dell'amico e mercante inglese Thomas Poyntz ( lui
stesso arrestato, ma che riuscì poi ad evadere) e, dall'Inghilterra, del
Lord Gran Ciambellano Thomas Cromwell e dell'arcivescovo di Canterbury,
Thomas Cranmer, T. fu rapidamente processato e condannato al rogo.
Il 6 ottobre 1536 T. fu condotto sul luogo dell'esecuzione, dichiarato
decaduto del titolo di prete e strozzato come atto di clemenza, prima
dell'accensione della pira, che bruciò il suo corpo senza vita.


Ironia della sorte, pochi mesi dopo la sua morte, lo stesso Enrico VIII
autorizzò la prima traduzione ufficiale della Bibbia, denominata Bibbia di
Matteo, che incorporò la maggioranza delle traduzioni fatte da T. e perfino
nel 1611, quando venne dato alle stampe la versione autorizzata dalla regina
Elisabetta I, le traduzioni di T. formavano vaste parti del testo.

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Colliridiani (IV secolo)



Una setta eretica del IV secolo, originaria della Tracia, diffusa poi nei
paesi arabi, e principalmente formata da donne, che idolatravano Maria,
madre di Gesù.
Secondo Epifanio, una volta all'anno essi eseguivano un particolare
cerimoniale, allestendo una sedia vuota coperta da un telo e offrendo sopra
di essa il pane in nome di Maria.

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Giovanni il bello (o Coloianni) (vescovo cataro) (XII secolo)



Primo vescovo della chiesa catara di Mantova - Bagnolo S. Vito, i cui membri
vennero definiti Bagnolenses o Coloianni, dalla traduzione in greco del nome
del loro vescovo.
G., una volta eletto, fu inviato in Sclavonia (in Croazia) presso l'Ordo
Sclaveniae, di ispirazione dualista moderata, per ricevere gli ordini.
La chiesa di Mantova - Bagnolo S. Vito contava adepti anche a Ferrara,
Brescia, Bergamo, Modena, in Romagna e nel Milanese.

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Massacro delle colonie valdesi in Italia meridionale (1561-1563)



Uno degli episodi più truculenti della storia della Riforma in Italia nel
XVI secolo fu il massacro delle colonie valdesi in Calabria e la conversione
forzata al Cattolicesimo di quelle in Puglia. Si trattava di colonie antiche
ben stabilite sul territorio fin dal XIII/XIV secolo e provenienti dalle
valli piemontesi.


Calabria
In Calabria si considera tradizionalmente come prima colonia valdese quella
di Montalto Uffugo (in provincia di Cosenza), di cui si hanno notizie dal
1386, in seguito i valdesi si installarono a San Sisto, a Guardia Piemontese
(ai tempi La Guardia o Guardia dei Valdi), e nei paesini dei dintorni.
Mantennero, come si direbbe oggigiorno, un basso profilo, non facendo
proselitismo, commentando la Bibbia solo in case private, ricevendo visite
molto discrete dei barba (i ministri di culto) e perfino partecipando ai
riti esteriori delle chiese cattoliche locali. I feudatari del luogo li
impiegavano come contadini e artigiani della lana e della pelle e li
apprezzavano per la loro operosità e mitezza.
Tuttavia le cose cambiarono nel XVI secolo con l'avvento della Riforma: già
dal 1532, ai tempi del sinodo di Chanforan (in valle d'Angrogna), queste
colonie valdesi cominciarono a manifestare un vivo interesse nella Riforma
calvinista, ma fu solo dal 1556 che i valdesi di Calabria vollero aderire
alla Riforma, in seguito alle prediche di Gilles de Gilles (che
profeticamente li aveva esortati ad emigrare per la loro stessa incolumità),
ma soprattutto quando, nel 1559, Giacomo Bonello (m. 1560) e Gian Luigi
Pascale (m. 1560), con l'aiuto del barba locale Stefano Negrin (m. 1561),
iniziarono una coraggiosa azione di evangelizzazione.
Purtroppo per loro il papa Paolo IV (1555-1559), l'ex inquisitore Giovanni
Paolo Carafa, e l'Inquisitore Generale Michele Ghisleri [il futuro papa Pio
V (1566-1572)] erano rigorosissimi contro ogni forma di eresia e di dissenso
religioso: in particolare una bolla papale emanata nello stesso 1559, che
non concedeva l'assoluzione a chi era a conoscenza di attività ereticali e
non li aveva prontamente denunciati, tolse ai valdesi calabri l'appoggio, o
perlomeno, la neutralità dei signori locali.
In particolare la minaccia di detta bolla fece rompere gli indugi al
feudatario Salvatore Spinelli, che ordinò l'arresto di Gian Luigi Pascale a
Fuscaldo il 2 maggio 1559: per questa azione Spinelli ottenne in seguito il
titolo di marchese.
Pascale fu condotto a Cosenza, da qui a piedi a Napoli, ed infine a Roma per
cercare inutilmente di farlo abiurare, ma anche un estremo tentativo di suo
fratello Bartolomeo, cattolico, fu vano: Pascale fu impiccato e poi bruciato
a Ponte Sant'Angelo il 16 settembre 1560.
La stessa tremenda sorte era capitata al confratello Giacomo Bonello, che,
dopo un primo arresto a Battipaglia, ne aveva subito un secondo decisivo a
Messina. Dopo un breve processo, Bonello fu arso vivo in Piazza
dell'Ucciardone a Palermo il 18 febbraio 1560.
Senza il conforto dei loro pastori, i valdesi calabri caddero preda degli
inquisitori domenicani Valerio Malvicino e Alfonso Urbino, che, dopo aver
condotto un'inchiesta nelle colonie di Montalto, San Sisto e Guardia,
vennero alla conclusione che erano tutti eretici e che quindi dovevano o
abiurare o morire.
Ma anche quelli che abiuravano erano costretti a sopportare un severo e
umiliante regime di controllo: non potevano parlare in occitano o sposarsi
tra loro, dovevano andare a messa tutti i giorni, osservare l'obbligo del
digiuno settimanale e indossare l'infamante abitello degli eretici. I
valdesi reagirono con la fuga nei boschi circostanti, ma questo diede il
pretesto a Don Parafan de Ribera, Duca di Alcalà e viceré di Napoli (viceré:
1559-1572) di organizzare, nel giugno 1561, una colossale caccia all'uomo,
usando cani mastini, assoldando veri pendagli da forca come soldati e
mettendo taglie sulle teste dei valdesi fuggiti.
Fu la "San Bartolomeo italiana" (secondo le parole dello storico Salvatore
Caponetto): 60 persone furono ucciso a San Sisto ed il paese, che contava
6000 abitanti, distrutto, mentre a Montalto, l'11 giugno 1561, fu
atrocemente tagliata la gola, uno dopo l'altro, a 88 valdesi, che furono
lasciati dissanguare come agnelli sgozzati: i loro cadaveri furono poi
impalati, come monito, sulla strada per Cosenza.
Ma la strage più impressionante avvenne a Guardia Piemontese: dal 3 giugno
1561 (per circa undici giorni) si calcola che 2000 persone furono
barbaramente trucidate e che un altro centinaio di valdesi furono uccisi
nelle campagne circostanti. Il sangue di quei poveri innocenti colò lungo i
vicoli fino alla porta principale del paese e alla piazza antistante,
denominate, in seguito, "Porta del sangue" e "Piazza della strage". Altri
1600 coloni furono fatti prigionieri, tra cui 700 provenienti da Guardia
stessa: il barba Stefano Negrin morì nel carcere di Cosenza, o per le
torture subite o di fame.
Alcuni valdesi riuscirono a fuggire in Sicilia, ma qui furono coinvolti in
processi tra il 1569 ed il 1582 e giustiziati.
Solo pochi riuscirono a raggiungere un rifugio sicuro a Ginevra e a rifarsi
una vita.


Puglia
In Puglia alcune colonie franco-provenzali (presumibilmente valdesi) si
erano insediate intorno al 1440 nella zona della Capitanata, tra Foggia e
Benevento, nei comuni di Montaguto, La Motta, Celle San Vito, Faeto, ed in
seguito (nel 1517) a Volturara, chiamate dal feudatario locale. Qui
adottarono per prudenza un atteggiamento fortemente nicodemitica,
frequentando le funzioni religiose cattoliche, ma nel 1561, durante la
campagna militare conclusosi con la tremenda strage dei loro confratelli
calabri, venne scoperto il legame religioso che li univa a quest'ultimi.
Dopo un primo intervento in zona dell'inquisitore domenicano Valerio
Malvicino, fresco dell'esperienza calabrese, che fece arrestare parecchi
valdesi ed internarli nelle carceri romane (molti di loro morirono per le
torture inflitte), nel 1563 l'Inquisizione romana decise di optare per una
linea più morbida, mandando in zona i gesuiti, al comando di padre
Cristoforo Rodriguez.
Quest'ultimo, spesso in forte contrasto con l'Inquisitore Generale Michele
Ghisleri, decise di cercare di convincere i valdesi ad abiurare senza
minacce o torture, ma solamente interrogandoli anche più volte di seguito,
finché 1500 coloni accettarono di farsi convertire: un peso determinante
comunque lo ebbe la decisione di Rodriguez di far liberare i valdesi
prigionieri nelle carceri romane e di rimandarli a casa.
Inoltre, nel novembre 1565, egli ottenne il permesso di far levare
l'abitello a coloro che avevano abiurato, pur con l'obbligo di indossarlo in
chiesa , mentre l'obbligo del digiuno settimanale diveniva mensile.
Tuttavia, solo nel 1592 vennero abrogate molte restrizioni, come l'obbligo
di portare l'abitello in chiesa e dei matrimoni solo con persone di lingua
italiana.
Pur scomparendo la differenza religiosa grazie alle massicce conversioni,
rimase comunque l'orgoglio di usare la lingua franco-provenzale, abitudine
tramandata fino ai giorni nostri e che fa dei paesi di Faeto e Celle San
Vito (come, del resto, anche di Guardia Piemontese in Calabria per quanto
riguarda la lingua occitana) un'isola etnica, protetta dall'apposita legge
italiana 482/1999 sulle minoranze linguistiche.

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Colonna, Vittoria, marchesa di Pescara (1490-1547)



La vita
Vittoria Colonna, "la più famosa donna nell'Italia del `500", secondo una
definizione condivisa da molti autori, nacque nell'aprile 1490 (altri testi
citano il 1492) a Marino (in provincia di Roma), figlia primogenita del
famoso condottiero Fabrizio Colonna (1460-1520), Duca dei Marsi e di
Paliano, Marchese di Manopello e Gran Conestabile di Napoli [personaggio
immortalato nel dialogo Dell'arte della guerra di Niccolò Machiavelli
(1469-1527)], e di Agnese da Montefeltro (1470-1506), figlia del Duca di
Urbino, Federico II Maria da Montefeltro (1422-1482).
A cinque anni C. fu promessa in sposa a Ferrante Francesco d'Avalos
(1490-1525), figlio del marchese di Pescara, Alfonso d'Avalos d'Aquino e nel
1509 i due si sposarono a Ischia Castello senza praticamente essersi mai
visti: ciò nonostante, tra di essi nacque ben presto un grande amore,
perlomeno da parte di C.
I due sposi risiederono ad Ischia [la signoria dell'isola fu il loro dono di
nozze da parte del re di Napoli Ferdinando III d'Aragona (1503-1516)] fino a
1511, quando d'Avalos si arruolò nella Lega Santa contro la Francia: fu però
catturato durante la battaglia di Ravenna dell'aprile 1512 e inviato
prigioniero in Francia.
Dopo la sua liberazione, d'Avalos diventò uno dei più brillanti capitani
dell'esercito di Carlo V (1519-1558): il culmine della sua carriera militare
si ebbe con la famosa battaglia di Pavia del 24 febbraio 1525, durante la
quale fu però ferito gravemente. Egli morì a Milano nel novembre 1525,
proprio quando C. era in viaggio per raggiungerlo. Saputo della morte del
marito, C. cadde in una profonda depressione, meditando perfino il suicidio
[il poeta Francesco Berni (1497-1535) le scrisse perfino un sonetto per
dissuaderla dall'insano gesto].
Dopo il suo rientro ad Ischia, C. decise di ritirarsi in convento dapprima a
Roma presso le monache clarisse di San Silvestro in Capite, e , in seguito,
a Orvieto, nel convento di San Paolo. In quegli anni, C. entrò in rapporti
di amicizia con diversi ecclesiastici, che premevano per la riforma della
Chiesa, come Gaspare Contarini, Bernardino Ochino, Gian Matteo Giberti,
Pietro Bembo e Giovanni Morone, e riformatori che dibattevano sulla
giustificazione per fede, come Juan de Valdès.
Nel 1537 la marchesa si stabilì a Ferrara, dove aiutò Bernardino Ochino a
fondare un monastero di clarisse cappuccine, mentre nel 1539 C. rientrò a
Roma, dove conobbe e diventò grande amica di Michelangelo Buonarroti
(1475-1564), il quale, pur già abbastanza anziano per l'epoca (61 anni),
ebbe una vera passione spirituale per lei e le dedicò diversi suoi sonetti e
disegni: non è stato mai accertato però se il grande artista avesse anche
condiviso l'interesse per la Riforma di C., sicuramente, se lo fece,
mantenne comunque uno stretto atteggiamento nicodemitico.
Tuttavia la permanenza di C. a Roma fu bruscamente interrotta nel 1541 dalla
rivolta fallita di suo fratello Ascanio Colonna (1495-1555) contro il papa
Paolo III (1534-1549). Il pontefice aveva infatti esteso la tassa sul sale
anche alle terre che ne erano esenti per antichi privilegi, come ad esempio
quelle soggette ai Colonna. La protesta sfociò in una vera guerra, ma alla
fine il comandante delle truppe pontificie e figlio del pontefice stesso,
Pier Luigi Farnese (1503-1547), ebbe la meglio e Ascanio dovette andare in
esilio fino alla morte di Paolo III nel 1549.
Naturalmente questa sconfitta della sua famiglia costrinse C. a rientrare
nel suo convento di San Paolo a Orvieto. Dopo qualche mese, però, la
poetessa si trasferì a Viterbo nel convento di Santa Caterina. E lì che
conobbe il cardinale inglese Reginald Pole (a cui essa fu molto devota) e la
cerchia di riformatori che frequentavano la sua casa, come Marcantonio
Flaminio, Alvise Priuli e Pietro Carnesecchi, con i quali la marchesa di
Pescara poté liberamente discorrere di problemi di fede e maturare le sue
convinzioni negli ideali valdesiani.
C. ritornò a Roma nel 1544 e continuò a mantenere contatti con riformati,
come il suo lontano parente Bartolomeo Spadafora, di passaggio a Roma nel
gennaio 1547, dove, presso la marchesa, conobbe Michelangelo Buonarroti, ma
dove venne purtroppo raggiunto da un mandato di comparizione per eresia
davanti al Tribunale siciliano dell'Inquisizione a causa dei suoi trascorsi
valdesiani.
Infine, C.  morì il 25 febbraio 1547 nel suo convento di San Silvestro in
Capite e la sua morte le risparmiò la grande stagione delle persecuzioni
contro gli spirituali, che iniziò durante il papato di Paolo IV (1555-1559).
Le sue ultime volontà furono di essere seppellita nel convento di Sant'Anna
de' Funari a Roma, ma è più probabile che il suo corpo sia stato traslato
accanto a suo marito a San Domenico a Napoli.
Poco dopo la sua morte, Benedetto Varchi scrisse il sonetto (Donna, che,
come chiaro a ciascun mostra .), dedicato a Caterina Cibo, ma dove la
duchessa di Camerino veniva associata a Juan de Valdés, Pietro Bembo e C.
come cercatori fortunati sulla strada della salvezza eterna dell'anima.


Le opere
C. è conosciuta più per essere stata un famoso personaggio sulla scena
dell'Italia del XVI secolo che per i suoi meriti come poetessa.
I suoi poemi elegiaci e d'amore per il marito (pubblicati a Parma nel 1538)
non mostrano un particolare talento, mentre le sue Rime spirituali, i
sonetti della maturità, come il Trionfo di Cristo, e la meditazione in prosa
Pianto sulla Passione di Cristo sono decisamente più interessanti,
soprattutto da un punto di vista religioso, e mostrano non solo l'influenza
dei padri della letteratura italiana, come Dante e Petrarca, ma anche del
pensiero di riformatori del `400, come Girolamo Savonarola, oltre,
naturalmente a quello di Valdès.

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Komensky, Jan Amos (Comenio) (1592-1670)



La vita
Il famoso pedagogista Jan Amos Komensky (nome umanistico: Comenio),
universalmente noto come "il padre dell'educazione moderna", nacque nel 1592
a Nivnice, in Moravia da una famiglia aderente all'Unitas fratrum o Unione
dei fratelli boemi, il movimento separatasi dalla chiesa hussita nel 1457.
Dopo gli studi universitari, K. diventò ministro di culto dell'Unitas
fratrum nel 1618, ma dovette subire, come altri suoi concittadini, le
conseguenze della Guerra dei Trent'anni (1618-1648).
Infatti, mentre durante il precedente regno dell'imperatore Rodolfo II
(1576-1612) erano state date ampie garanzie di libertà religiosa ai boemi,
durante il regno del successore, il fratello Mattia (1612-1619), avvenne
l'episodio scatenante la Guerra dei Trent'anni: una seconda (dopo quella del
1419) defenestrazione a Praga, questa volta incruenta, degli incaricati
cattolici dell'Imperatore.
Ma non erano più i bei tempi del leggendario generale taborita Jan Zizka o
del condottiero Andreas Prokop (o Procopius) (1380-1434): la guerra vide la
secca sconfitta dei boemi nella battaglia alla Montagna Bianca del 1620 da
parte delle truppe dell'imperatore Ferdinando II (1619-1637), il quale forzò
i fratelli boemi a diventare cattolici o ad emigrare: molti scelsero di
rifugiarsi in Ungheria o in Polonia settentrionale, tra cui il nostro K. che
si recò a Lesino, in Polonia, dove scrisse svariate opere di pedagogia, tra
cui Scuola Materna e Didattica Ceca. In seguito K. visse errando spesso per
l'Europa, in Svezia (dove nel 1648 fu nominato vescovo dell'Unitas fratrum:
questo suo impegno religioso gli fece rifiutare l'offerta di diventare il
primo presidente dell'università di Harvard, nel Massachusetts), in Ungheria
ed infine in Olanda, dove morì ad Amsterdam nel 1670.
Durante la sua vita, K. pubblicò 154 libri, principalmente di pedagogia ed
alcuni di teologia. Un esempio di questi ultimi è il Labirinto del Mondo,
una novella allegorica che anticipò un genere letterario molto popolare, il
cui apice fu raggiunto con il Pilgrim's Progress di John Bunyan.


La filosofia e la pedagogia
La filosofia di K: era di tipo pansofistico (basato su tutte le conoscenze
umane): egli infatti credeva che l'educazione e l'illuminazione spirituale
erano un tutt'uno, necessario per tendere alla Via lucis (la via alla luce).
Pedagogicamente, K. fu il primo a concepire il metodo didattico di collegare
le parole alle immagini (Orbis sensualium pictus del 1654) e ad ideare una
riforma della scuola, simile a quella applicata ancora oggigiorno, divisa in
scuola materna, elementare, ginnasio (liceo) e accademia (università): ogni
fase doveva comprendere un piano completo di conoscenze, adattate all'età in
questione e  tale da sviluppare un sano senso critico nell'alunno.

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Savonarola, Girolamo (1452-1498) e arrabbiati (o compagnacci o piagnoni)



Girolamo Savonarola nacque a Ferrara il 21 Settembre 1452 e, da giovane
intellettualmente dotato com'era, si dedicò con successo a studi di
filosofia e medicina.
Nel 1474, senza neppure avvisare la sua famiglia, prese tuttavia la
repentina decisione di entrare nell'Ordine Domenicano a Bologna, dove fino
al 1482 rimase in convento conducendo una vita ascetica dedicata alla
preghiera e all'approfondimento degli studi sulla filosofia di Aristotele e
di San Tommaso Aquino.
In quell'anno, 1482, S. si recò a Firenze nella Chiesa di San Marco, sede
dell'Ordine Domenicano in città, da dove iniziò a predicare con toni
violenti contro la vita immorale della corte di Lorenzo de' Medici, ma
sembra questi primi sermoni non sortirono l'effetto desiderato, anzi
passarono abbastanza inosservati.
Tuttavia, ritornato nella città toscana nel 1489, dopo diversi anni di
prediche in giro per l'Italia, la sua denuncia del paganesimo diffuso
divenne più incisiva e così dicasi dei suoi attacchi contro Lorenzo de'
Medici, nonostante la generosità di quest'ultimo nei confronti del convento
di San Marco, del quale S. stesso fu nominato priore nel 1491.
Nel 1493 Lorenzo morì, tuttavia S., non pago, aumentò ugualmente il livello
della sua denuncia contro l'immoralità e gli abusi, questa volta, del clero
e del nuovo Papa Alessandro VI (1492-1503), il famigerato Rodrigo Borgia,
padre di diversi figli, tra i quali i noti Lucrezia e Cesare ed eletto Papa
grazie a spregiudicati atti di corruzione e simonia.
Proprio il contrario degli ideali di S., che anelava ad una rigenerazione
morale e spirituale della Chiesa e che incominciò ad applicare alcune sue
idee, riformando i monasteri toscani dell'Ordine Domenicano secondo una
rigida osservanza della Regola originariamente stabilita e sottraendo il
controllo dalla Congregazione Lombarda, la Casamadre dell'Ordine.
Nel 1494 l'esercito di Carlo VIII di Francia (1483-1498) invase l'Italia,
per riaffermare il diritto del re, di sangue angioino, alla successione al
regno di Napoli, dopo la morte di Ferrante d'Aragona (1458-1494).
S. supportò la causa del re francese, sperando in cambio di un appoggio per
la formazione di un governo democratico in Firenze ed effettivamente la
visita di Carlo VIII a Firenze permise a S. di scacciare l'indegno figlio di
Lorenzo de' Medici, Pietro, e di instaurare una Repubblica teocratica.
In tutta la Repubblica fu messa in vigore una normativa morale molto severa
e basata sulla legge di Cristo, considerato il vero "Re di Firenze".
Divennero famosi i "falò delle vanità", roghi pubblici nei quali vennero
bruciati carte e dadi da gioco, libri pagani e immorali (talora bastava
anche un innocente libro di poesie o una copia del Decamerone del
Boccaccio), ornamenti e vestiti lussuosi, e perfino quadri del Botticelli.
Dall'alto del suo successo, S. poté riprendere gli attacchi contro
l'immoralità della Curia romana e di Alessandro VI, ma il Papa contrattaccò
nel 1495 convocandolo a Roma per difendersi dalle accuse di false profezie.
S. rifiutò adducendo motivi di salute cagionevole.
Tuttavia Alessandro VI non demorse e nel 1496 stabilì che i monasteri
domenicani toscani avrebbero dovuto riferire ad una nuova Congregazione
situata (ovviamente) in Roma: al rifiuto di S. di obbedire, questi fu
scomunicato il 12 Maggio 1497.
A questo provvedimento S. reagì dichiarandolo privo di valore e continuando
le sue prediche nel Duomo di Firenze, mentre il Papa reagì minacciando di
interdizione la città, se al predicatore non fosse stata tolta la parola.
Oltretutto, l'ostilità locale nei confronti di S., opportunamente
orchestrata da parte dei francescani, iniziò a crescere fino a quando, nel
Marzo 1498, il francescano Padre Francesco Rondinelli sfidò S. ad un'ordalia
del fuoco per stabilire la santità del predicatore domenicano.
Quest'ultimo rifiutò, ma, al suo posto, accettò la sfida il suo devoto
discepolo Domenico da Pescia.
Il 7 Aprile 1498, data prescelta per la prova, questa non si poté aver
luogo, dapprima per le lungaggini procedurali, e poi per un improvviso
acquazzone. La folla esasperata e di umore mutevole se la prese con S.,
arrestato sul luogo assieme a Domenico da Pescia. A nulla servì la reazione
dei suoi seguaci, denominati arrabbiati o compagnacci o piagnoni (dalle
lacrime che versavano ad ogni sermone di S.), i quali provocarono gravi
disordini, assaltando, fra l'altro, il convento di San Marco al grido di
Salvum fac populum tuum, Domine.
Il Papa non si fece scappare la ghiotta occasione di fare i conti con il
predicatore ribelle ed inviò a Firenze il generale dell'Ordine Domenicano e
il vescovo di Ilerda ad assistere al processo. Nonostante le torture, S. non
cedette, tuttavia furono redatti, a cura di alcuni notai compiacenti, degli
atti palesemente contraffatti del processo, nei quali S. avrebbe ammesso di
essere un falso profeta.
Sulla base di questa "confessione" S. venne condannato, assieme ai suoi
seguaci Domenico da Pescia e Fra Silvestro, a morte mediante impiccagione,
seguita dal rogo dei corpi e dalla dispersione delle ceneri nell'Arno.
La sentenza venne eseguita il 22 Maggio 1498.
La figura di S. fu onorata dal Luteranesimo, come esempio di antesignano
della Riforma e la sua statua fa parte del monumento dedicato a Lutero,
eretto a Worms, in Germania.
Comunque, anche la stessa Chiesa Cattolica sembra aver espresso recentemente
l'intenzione di rivalutare la figura di S. come rinnovatore della Chiesa ed
è stato avviato il relativo processo di beatificazione presso il Tribunale
Ecclesiastico, presieduto dal Cardinale Silvano Piovanelli, arcivescovo di
Firenze, secondo il quale S. "morì e visse come un santo".

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Schwenckfeld von Ossig, Caspar (1489-1561) e schwenckfeldiani



La vita
Caspar Schwenckfeld nacque a Ossig (Osiek), nella regione tedesca (ora
polacca) della Slesia nel 1489, da una famiglia nobile di devoti cattolici.
Dopo aver studiato a Lübben (Lubin), Liegnitz (Legnica) e Colonia, S. si
iscrisse all'università di Francoforte sull'Oder nel 1507.
Avviato alla carriera diplomatica, S. agì da consigliere per diversi nobili
dell'epoca: nel 1511-1515 per il duca Karl I di Münsterberg-Oels
(1476-1536), nel 1515-1518 per il duca Georg I di Brieg (1481-1521, duca dal
1495) ed infine nel 1518-1523 per il Duca Friedrich II di Liegnitz
(1480-1547).
Tuttavia fu proprio durante questo ultimo periodo che vari episodi
cambiarono radicalmente la sua vita: nel 1518 S. ebbe una "visita del
 Divino", secondo le sue parole (notare che i suoi primi anni di vita non
erano stati particolarmente dediti alla religione), nel 1519 morì suo padre
e conseguentemente S. divenne co-erede, con il fratello Hans, della tenuta
di famiglia, ma soprattutto nello stesso periodo egli divenne
progressivamente sordo e ebbe ovviamente delle crescenti difficoltà nella
sua carriera diplomatica.
A questo punto S. si dedicò allo studio approfondito delle Sacre Scritture,
dei primi scritti della Chiesa e delle lingue ebraica e greca e un viaggio
nel 1521 a Wittenberg per incontrare i riformatori Melantone e Carlostadio
(Lutero, in quel periodo, era rifugiato nella rocca di Wartburg) lo convinse
ad aderire al luteranesimo e nell'anno successivo riuscì a convertire anche
il duca Friedrich II di Liegnitz.
Tuttavia nel 1523, a causa della sordità, S. dovette definitivamente
abbandonare il suo incarico di consigliere del Duca. Si dedicò quindi, a
tempo pieno, alle questioni religiose dell'epoca, entrando, tuttavia, ben
presto in rotta di collisione con Lutero.
Infatti nel 1524 inviò una nota di ammonimento ai predicatori della Slesia
contro i problemi che potevano sorgere dalla teologia luterana e nel 1525 S.
rielaborò il proprio pensiero sulla Cena del Signore nelle Dodici tesi sui
Sacramenti, inviandone una copia scritta a Lutero: questi non solo respinse
le teorie di S., ma prese ad attaccarlo chiamandolo La terza testa della
detestabile setta sacramentaria.
Per tutta riposta S. dichiarò l'intenzione suo e dei suoi seguaci di non
accostarsi all'Eucaristia finché non si fossero sistemati le divergenze a
riguardo. La protesta, denominata Stillstand, iniziò nel 1526. Nel frattempo
S. entrò in discussione con gli anabattisti, domandandosi lui stesso
sull'utilità del battesimo infantile, ma, nel contempo, rifiutando quello
per adulti.
Tuttavia la pressione dei luterani e l'incauta pubblicazione di due suoi
scritti in Svizzera, che provocò la reazione del re d'Ungheria e Boemia, e
futuro imperatore, Ferdinando I (1526-1564), costrinsero S. all'esilio nel
1529 a Strasburgo, dove arrivò il 18 Maggio.
A Strasburgo, centro dell'azione riformatrice di Martin Bucero (Butzer), S.
fu ospite del predicatore Wolfgang Capito (1478-1541), ma ben presto (1530),
egli si mise in luce, polemizzando con Bucero per la posizione assunto da
quest'ultimo di mediazione nella diatriba sull'Eucaristia tra Zwingli e
Lutero.
La sua presa di posizione gli costò una convocazione davanti al Sinodo della
città, alla quale S. si sottrasse intraprendendo, per propagandare le
proprie idee, lunghi viaggi  per la Germania, soprattutto ad Ulm, dove si
recò a vivere soprattutto, dal 1534, quando fu definitivamente espulso da
Strasburgo. Eppure questo uomo, perenne bastian contrario del
protestantesimo, non ebbe neanche allora vita facile, non volendo scendere
mai a compromessi con l'ortodossia luterana: rifiutò ostinatamente,
scrivendone contro, gli articoli della Formula di Concordia: per questo fu
espulso anche da Ulm nel 1539.
Nel 1540 S. fu formalmente condannato dal sinodo di teologi luterani riuniti
a Smalcalda. Da qui iniziò un duro periodo di persecuzione che lo portò a
vivere spesso all'addiaccio, spostandosi solo di notte o sotto le tempeste:
ciò nonostante S. trovò il tempo di scrivere nel 1541 la sua opera più
famosa La grande confessione sulla gloria di Cristo, vergata nella
biblioteca del monastero benedettino di Kempten, nella Baviera meridionale,
vicino al quale (forse a Wengen) visse per un anno.
Finalmente, nel 1542 egli poté godere di un periodo di relativa
tranquillità, ospite nel castello di Georg Ludwig von Freyberg, situato a
Justingen (vicino ad Ulm), ma soprattutto sotto la potente protezione di
Filippo, langravio di Assia (1504-1567). In questi anni, pur tallonato dai
suoi nemici, tra cui Johannes Brenz, che minacciarono di farlo impiccare o
di mandarlo al rogo, S. proseguì nella sua instancabile opera di
evangelizzazione attraverso tutta la Germania meridionale. Il periodo d'oro
per S. terminò, tuttavia, con la fine della guerra smacaldica nel 1546 e la
prigionia di Filippo d'Assia: S. dovette riparare nel 1547, sotto mentite
spoglie, nel convento francescano di Esslingen. E tuttavia anche in quel
momento S. non desistette dall'attaccare il Cattolicesimo per la Messa ed il
Protestantesimo per la sua commistione stato-chiesa: venne quindi accusato
dai predicatori di Augsburg (Augusta) e fatto ricercato nel 1553 dal Duca di
Württemberg e nel 1556 dalle autorità del Palatinato,
Nuovamente, per sfuggire all'arresto, S. si diede alla macchia o fu ospite
di amici compiacenti, come la famiglia Streicher di Ulm, presso i quali il
10 Dicembre 1561 S. morì, ammalato e stremato dalle persecuzioni.
Perfino dopo la morte, il luogo della sua sepoltura fu tenuto nascosto: si
racconta che fu sepolto nella cantina della casa degli Streicher ad Ulm.


La dottrina
La cristologia schwenckfeldiana, di tipo spiritualista, era fortemente
intrisa di monofisismo: per lui la natura umana e divina di Cristo erano
fusi in una sola Persona divina. Gesù era stato gradualmente divinizzato
durante il suo soggiorno terreno e ritornato in cielo, venne glorificato
alla destra del Padre. La Sua stessa carne era stata glorificata o
deificata, perdendo le caratteristiche umane.
Quindi, poiché Gesù era in contatto solo spirituale con l'uomo, S. credeva
che nell'Eucaristia il Corpo ed il Sangue di Cristo non potevano essere
presenti sotto le specie del pane e del vino. Riprendendo la prima lettera
ai Corinzi di San Paolo (11:27 e s.): Perciò, chiunque mangerà il pane o
berrà il calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue
del Signore. Ognuno dunque esamini prima se stesso e così mangi di quel pane
e beva di quel calice, perché chi ne mangia e beve, mangia e beve la sua
condanna, se non discerne il corpo del Signore, S. affermò che chiunque si
avvicinava al sacramento dell'Eucaristia, senza discernere, cioè comprendere
che la Chiesa non era quella organizzazione che tutti riconoscevano, bensì
il Corpo universale di Cristo, disprezzava il Cristo glorificato. In questo
S. era all'antitesi degli anabattisti, che ponevano l'accento sulla storica
figura di Gesù di Nazareth.
Da ciò se ne deduce che un Cristo spirituale rendeva superfluo la Chiesa, i
sacramenti, i dogmi: l'esperienza religiosa dell'uomo doveva essere tutta
spirituale.
Il sogno dunque di S. era di liberare il Cristianesimo da ogni dogma e per
lui non era neppure necessaria un'organizzazione formale della Chiesa.


Le opere
S. scrisse centinaia di libri, opuscoli, manoscritti, lettere a persone
famose, la maggior parte dei quali non è mai stata pubblicata, per
l'ostracismo posto in essere dal luteranesimo.
Il suo più famoso lavoro comunque resta La Grande Confessioni sulla Gloria
di Cristo.


Gli schwenckfeldiani
Dopo la morte del loro capostipite nel 1561, gli schwenckfeldiani
minacciarono di estinguersi varie volte, poiché non si conformarono né alla
Confessione di Augusta del 1530, né alla Formula di Concordia del 1577. Per
questo vennero senza pietà perseguitati sia dai cattolici che dai luterani.
Se scovati durante le loro cerimonie in case private, essi venivano mandati
come  schiavi sulle galee o obbligati ad arruolarsi come soldati nelle
guerre contro i Turchi.
Nel XVII secolo la setta stava proprio per estinguersi, e nel 1726, a causa
di un'ennesima inchiesta del Gesuiti, gli s. decisero di emigrare in
America: solo alcuni decisero di aderire, sebbene per poco tempo, ai
Fratelli moravi del conte Nikolaus Ludwig von Zizendorf.
Nel 1734, dunque, un gruppo di s. partì per la Pennsylvania, dove fondarono
le loro prime colonie vicine a Philadelphia e dove nel 1782 fu fondata la
Chiesa Schwenckfeldiana.
Tuttavia la permanenza americana ammorbidì di molto i toni delle dottrina s.
e nel 1895, la Società dei Schwenckfelder decise di diventare una
denominazione congregazionalista protestante, accettando il battesimo degli
adulti e la Cena del Signore, terminando di fatto la Stillstand, durata ben
370 anni.
Oggigiorno la Chiesa Schwenckfeldiana (Schwenckfelder Church) è una delle
più piccole confessioni protestanti del mondo, raggiungendo il numero di
appena 3.000 fedeli, organizzati in 5 chiese, tutte in Pennsylvania, ed è
ancora autonoma, avendo respinto, negli anni '60, una proposta di adesione
alla neonata (1957) United Church of Christ, fondata con l'intento,
parzialmente fallito, di fondere le diverse denominazioni congregazionaliste
con la Chiesa Evangelica Riformata.
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Confraternita Rosa Croce (rosacrocianesimo o società dei rosacrociani) (XVII
secolo)



Premessa e paternità dei manifesti rosacrociani
Nel 1614 comparve a Cassel, in Germania, il manifesto base, dal titolo
Allgemeine und General Reformation der ganzen weiten Welt (Riforma generale
ed universale di tutto il mondo) di un misterioso movimento mistico
occultistico, denominato Confraternita Rosa Croce. Il documento venne
seguito l'anno successivo da un ulteriore manifesto dal titolo Fama
Fraternitas R. C. Ambedue gli scritti lanciavano un appello a tutti gli
studiosi di cabala e occultismo di concorrere a formare una società segreta,
che potesse aiutare la rinascita dell'umanità e all'epoca apparvero come
anonimi, ma la loro paternità come quella (certa) del successivo libro
alchemico, Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz, pubblicato nel 1616,
venne attribuita al pastore luterano Johann Valentin Andreae, che, secondo
lo storico Paul Arnold, smentì di averli scritti ed anzi dichiarò, in
seguito, di aver concepito Le nozze chimiche per ridicolizzare un diffuso
interesse dell'epoca verso l'occultismo.
Tuttavia altre interpretazioni moderne propendono proprio per un diretto
coinvolgimento di Andreae, sebbene mediato da una stesura, a più mani, dei
sopraccitati testi concepita all'interno del cosiddetto Cerchio di Tubinga,
un circolo mistico-occultista di circa trenta aderenti, comprendenti, fra
gli altri, lo stesso Andreae, Tobias Hess (1558-1614), Johann Arndt, Wilhelm
von Wense (m. 1641), Tobias Adami (m. 1643) e Christophe Besold (1577-1638),
amico fraterno di Andreae.


Definizione di rosacrociano
Secondo Franz Hartmann, il rosacrociano è "una persona che mediante il
processo di risveglio spirituale, ha ottenuto una conoscenza pratica del
significato segreto della Rosa e della Croce (..) Chiamare una persona
rosacrociana non significa fare di lui un rosacrociano. Il vero rosacrociano
non può essere creato; egli deve crescere per diventarlo mediante
l'espansione del potere divino nel suo cuore".
Le idee dei rosacrociani nacquero da un immenso crogiolo nel quale erano
confluiti: il pensiero di Traiano Boccalini (1556-1613), autore di un testo
satirico chiamato Ragguagli di Parnasso, tradotto da Besold; le visioni
utopiche del filosofo domenicano Tommaso Campanella, i cui scritti furono
portati in Germania da Tobias Adami nel 1613; le profezie di Gioacchino da
Fiore; i mistici tedeschi del XIV secolo come Johannes Tauler e Johannes
Eckhart e scienze occulte come la cabala, l'alchimia e l'ermetismo.


La leggenda di Christian Rosenkreuz (1378-1484)
I manifesti facevano quindi riferimento a questa misteriosa fratellanza, di
tipo occultistico, cabalistico, e teosofico, fondata da un nobile tedesco,
filosofo ed ex monaco, Christian Rosenkreuz, che sarebbe vissuto ben 106
anni tra il 1378 ed il 1484. Egli, viaggiando tra Damasco, Cairo,
Gerusalemme e Fez, sarebbe stato iniziato da alcuni sapienti arabi, che
erano stati in grado di rivelargli tutti i segreti della sua vita, passata,
presente e futura, e di guarirlo da una grave malattia con l'aiuto della
Pietra Filosofale.
Al ritorno in Germania, egli avrebbe fondato, nel 1407, un ordine
rosacrociano con tre, in seguito otto, confratelli e sarebbe vissuto ancora
77 anni. La sua tomba sarebbe rimasta celata fino alla sua riscoperta nel
1604, da cui l'aumentato interesse nei confronti del suo ordine all'inizio
del XVII secolo.
Oggigiorno la tesi che Rosenkreuz sia un personaggio storicamente esistito è
la meno accreditata, perfino tra i moderni rosacrociani. Altri autori
propendono per l'ipotesi che il nome copra, attraverso uno pseudonimo, un
personaggio storico in vista, secondo alcuni Francesco Bacone (1561-1626),
secondo altri Cornelius Agrippa di Nettesheim, oppure, più probabilmente,
che tutta la vicenda vada letta in senso strettamente allegorico.


Primi passi del rosacrocianesimo
Comunque il riferimento nei manifesti ad una supposta società segreta
provocò una grande eccitazione in tutta l'Europa (soprattutto in Francia,
Inghilterra, Austria e Paesi Bassi): famosi occultisti, come l'inglese
Robert Fludd (1574-1637) o il tedesco Michael Maier (1568-1622), o perfino
il grande filosofo francese René Descartes (Cartesio)(1586-1654), chiesero
pubblicamente di essere contattati dai misteriosi rosacrociani o, meglio,
affermarono addirittura di essere già entrati nella società. Un po' ovunque
sorsero gruppi auto-nominatisi rosacrociani, anche se poi nessuno riuscì a
trovare fisicamente i rosacrociani, per il semplice motivo che essi, come
società segreta strutturata, non esistevano proprio.
Nel frattempo, nel 1616, gli stessi autori (il precedentemente citato
circolo di Tubinga), spaventati dall'incredibile impatto dei loro manifesti
e dalle reazioni negative delle chiese ufficiali, decisero di non uscire
allo scoperto e di osservare il più rigoroso anonimato, abbandonando quindi
alla riprovazione pubblica Andreae, l'unico tra loro che aveva avuto il
coraggio di firmare un testo.
E rapido arrivò il declino: già dal 1619 i principali occultisti,
interessati al movimento, iniziarono a dissociarsi e lo stesso Andreae,
indispettito per il voltafaccia dei suoi ex amici, pubblicò, tra il 1617 ed
il 1618, l'Invitatio ad Fraternitatem Christi (Invito alla Confraternita di
Cristo), dove egli cercò di lanciare, in contrapposizione al
rosacrocianesimo, un movimento innovatore, una specie di "Città Cristiana"
(Christianopolis), una Nuova Gerusalemme posta direttamente sotto la
protezione di Dio.
Nel 1628, dopo una pausa forzata a causa di un periodo della Guerra dei
Trent'anni (1618-1648), scrisse un nuovo manifesto Verae unionis in Christo
specimen, nel quale, attaccando Calvinisti, Anabattisti, Schwenckfeldiani, e
i suoi ex-amici rosacrociani, egli esortava alla formazione di una Società
Cristiana.
L'ultimo episodio avvenne in Olanda, quando il pittore e alchimista Johannes
Symonsz van der Beeck (o Beke) (nome umanistico: Torrentius) (1589-1644),
venne imprigionato il 30 agosto 1627 e processato: lo sfortunato pittore era
probabilmente solo un libertino e gaudente, ma venne considerato il leader
della Rosa Croce olandese. Fu torturato e venne condannato come
bestemmiatore e per aver praticato l'alchimia, con un suo amico, tale
Christiaen Coppens, addirittura al rogo, pena poi trasformata in carcere per
vent'anni. Per fortuna, grazie al re d'Inghilterra Carlo I (1625-1649), suo
ammiratore, Torrentius venne rilasciato dalla prigione nel 1630 ed emigrò in
Inghilterra, ritornando dopo qualche anno in patria, dove morì ad Amsterdam
nel 1644.


Rosa croce e massoneria
E proprio in Inghilterra la Rosa Croce non tramontò mai definitivamente, ma
i suoi ideali vennero inglobati nella nascente massoneria speculativa.
Tradizionalmente si considera l'elemento di passaggio tra queste due scuole
di pensiero il grande alchimista, antiquario e astrologo Elias Ashmole
(1617-1692), pubblico difensore della Rosa Croce nel 1650 e massone dal
1646, sebbene in generale, intorno alla metà del XVII secolo, ci fu un
rifiorire di pubblicazioni rosacrociane, come la traduzione in inglese, a
cura di John Heydon (n. 1629), della Fama Fraternitatis nel 1652 o i testi
alchemici, di ispirazione rosacrociana, di Thomas Vaughan (1622-1665), che
scriveva sotto lo pseudonimo di Eugenius Philalethes.
In seguito l'influenza dei Rosa Croce fu rilevante sulla massoneria degli
anni 1720-1730 e divenne parte degli alti gradi massonici: il 18° grado del
rito scozzese si denomina, per l'appunto, Principe di Rosa Croce. Verso il
1757 il tedesco Hermann Fictuld (m. 1777) fondò la Confraternita della Rosa
Croce d'Oro, ma nei metodi e nei rituali, oramai questa era più un ordine
massonico, che un diretto discendente degli anni della Fama Fraternitatis.
Nel 1866 il funzionario della Grande Loggia d'Inghilterra, Robert Wentworth
Little (1840-1878) fondò la Societas Rosicruciana in Anglia, aperta ai soli
massoni cristiani trinitari (un sito non ufficiale è
http://www.drakesvision.com/sria/intro.htm), ma anche in Francia ci fu nel
XIX secolo un rinnovato interesse per il rosacrocianesimo, alimentato dai
lavori dell'occultista Eliphas Levi (1810-1875), che ispirarono la
fondazione dell'Ordine Cabalistico della Rosa-Croce nel 1887, voluta dagli
occultisti Stanislas de Guaita (1861-1897), Gérard Encausse, detto Papus
(1865-1916) e Joséphin Péladan (1858-1918). Quest'ultimo fondò poi, nel
1890, l'Ordine della Rosa-Croce Cattolica del Tempio e del Graal.


I rosacrociani oggigiorno
Oggi i principali gruppi rosacrociani sono otto, derivati spesso da ambienti
massonici o teosofici americani e quasi tutti caratterizzati dall'offerta di
corsi (spesso per corrispondenza) di astrologia, occultismo ed esoterismo e
dalla stampa di un proprio periodico:
1. Fraternitas Rosae Crucis, la più antica confraternita, fondata da Pascal
Beverly Randolph (1825-1875) nel 1858, è associata con la Church of
Illumination (Chiesa dell'Illuminazione), che si occupa dell'insegnamento
esoterico del gruppo. La sede centrale è a Quakertown, nella Pennsylvania.
La denominazione legale riporta anche la dicitura Beverly Hall Corporation e
il sito ufficiale è http://www.rosecross.org/index.html
2. Societas Rosicruciana in Civitatibus Foederatis (S.R.I.C.F.), fondata nel
1880 da un gruppo di massoni americani, che nel 1878 si erano fatti iniziare
dalla Societas Rosicruciana in Anglia in Inghilterra. Condizione necessaria
per l'adesione è, come per il gruppo inglese, essere massone cristiano
trinitaro. Sito web: http://www.sricf-ca.org
3. Societas Rosicruciana in America (S.R.I.A.), nata nel 1907 da una
scissione della precedente, quando alcuni membri espressero il desiderio di
aprire l'insegnamento rosacrociano ai profani (cioè ai non massoni).
Collegato alla società esiste anche il Seminario di Studi Biblici: infatti
il forte connotato cristiano mistico della società fu dato dal principale
divulgatore, George Winslow Plummer (1877-1944), che divenne vescovo della
Chiesa Ortodossa Americana nel 1934. Sito web: http://www.sria.org
4. The Ancient and Mystical Order Rosae Crucis (A.M.O.R.C.), il più diffuso
e noto gruppo rosacrociano fu fondato dall'occultista Harvey Spencer Lewis
(1883-1939) nel 1915, dopo essere stato iniziato nel 1909 in Francia.
Nonostante abbia incorporato una chiesa rosacrociana (Pristine Church of the
Rose Cross) negli anni '20, la confraternita insiste sul suo aspetto laico
con gradi e ritualistica di forte sapore massonico. Negli anni '30 Lewis ha
dotato la sede centrale di San Jose (California) di una propria università,
planetario, biblioteca e museo egizio (Lewis era infatti convinto che
l'ordine fosse stato fondato dal faraone Tutmosis III nel 1450 a.C.).
L'AMORC è presente in diversi paesi e, nonostante diverse defezioni a favore
di nuove e nascenti organizzazioni rosacrociane, esso rimane il gruppo più
numeroso (gli organizzatori citano un numero di aderenti di 6 milioni, ma
pare più realistica la cifra di qualche centinaia di migliaia di adepti). In
Italia esso è presente con due logge (a Milano, sede centrale, e a Verona),
ma anche diversi altri punti organizzati, denominati capitoli e pronai.
L'afflusso agli incontri viene rinforzato dalla presenza di emigrati di
colore, originari dell'Africa, dove l'AMORC è particolarmente diffuso. Sito
web: http://www.amorc.org
5. The Rosicrucian Fellowship, fondato nel 1907 da Max Heindel, pseudonimo
dell'aristocratico e ingegnere tedesco-danese Carl Louis von Grasshoff
(1865-1919), emigrato in America nel 1903 e con la passione per
l'occultismo. Heindel fu anche iscritto alla Società Teosofica e allievo di
Rudolf Steiner. La forte impronta teosofica, religiosa e rituale venne da
Heindel trasferita nel suo gruppo rosacrociano, che è caratterizzata da un
vivo interesse anche per l'astrologia: la Fellowship, con sede a Oceanside
(California), pubblica tutti gli anni le effemeridi, indispensabili per i
calcoli astrologici. E' presente anche in Italia come Associazione
Rosicruciana Oceanside (A.R.C.O.), con sede a Vaprio d'Agogna (Novara). Sito
web: http://www.rosicrucian.com
6. Rosicrucian Anthroposophic League, una scissione della precedente fatta
da S.R. Parchement con particolare rilievo alle tematiche antroposofiche di
Steiner. La sua sede a San Francisco. Non ha un sito web ufficiale.
7. Lectorium Rosicrucianum, uno dei più popolari gruppi, fu fondato nel 1924
da alcuni membri olandesi del Rosicrucian Fellowship, guidati da Jan van
Rijckenborgh, pseudonimo di Jan Leene (1896-1968), ma solo nel 1935 essi si
staccarono dall'obbedienza madre, formando un ordine, detto dei Manichei.
Dopo la seconda guerra mondiale, il gruppo assunse nel 1945 il nome attuale
di Lectorium Rosacrucianum. Il Lectorium, con sede americana a Bakersfield
(California), fa riferimento a correnti e tradizioni esoteriche, mistiche
cristiane (con particolare interesse per il pensiero di Jakob Böhme),
gnostiche dualistiche e catare, teosofiche, antroposofiche, massoniche. Gli
adepti praticano la dottrina della trasfigurazione (il rinunciare a vivere
secondo l'ordine stabilito dagli uomini per vivere, attraverso un processo
iniziatico, secondo quello divino) per evitare il tormento delle continue
reincarnazioni. Il gruppo è presente in Italia dal 1980 in 11 città e ha la
sede principale a Dovadola, in provincia di Forlì.
8. Ausar Auset Society, fondata nel 1975 a New York da R.A.Straughn, noto
anche con il nome religioso di Ra Un Nefer Amen, un ex membro del
Rosicrucian Anthroposophic League, che ha particolarmente diffuso le sue
idee occultiste alla comunità nera americana, alla quale ha anche dedicato
testi di approfondimento sulla condizione sociale degli afro-americani.
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Browne, Robert (ca. 1550-1633) e Congregazionalisti o Indipendenti o
Separatisti o Brownisti



Brownisti o indipendenti o congregazionalisti
Il termine di Brownisti, dal nome del fondatore della setta Robert Browne,
fu comunemente usato per identificare gli Indipendenti o Separatisti della
Chiesa Anglicana prima del 1620. I seguaci di Browne furono denominati anche
congregazionalisti, in quanto credevano nella indipendenza ed autonomia di
ciascuna congregazione di fedeli e ciò in contrasto con le due altre anime
del protestantesimo inglese:
Gli episcopali, la linea principale della Chiesa Anglicana, convinti della
necessità di preservare le figure dei vescovi ed arcivescovi, e
I presbiteriani, principale filone del puritanesimo inglese, che
prediligevano una amministrazione della Chiesa basata su un governo centrale
di presbiteri, cioè gli anziani, sia chierici che laici, simile a quello
sviluppato dai presbiteriani in Scozia, sotto la guida di Andrew Melville.


La vita
Robert Browne nacque a Tolethorpe Hall, vicino a Stamford, nella contea
inglese del Lincolnshire, nel 1550 circa, da una antica e benestante
famiglia e compì i suoi studi universitari a Cambridge dal 1570 al 1573,
ottenendo un baccalaureato in arti nel 1572 presso il Corpus Christi
College.
A Cambridge B. fece amicizia con il più anziano compagno d'università Robert
Harrison (m. 1585) ed ambedue rimasero profondamente influenzati dagli
scritti, di ispirazione calvinista, del teologo puritano Thomas Cartwright,
sospeso dal proprio incarico, pochi anni prima, a causa delle sue idee
anti-episcopali, dal vice-cancelliere dell'università, John Whitgift (ca.
1530-1604), futuro arcivescovo di Canterbury.
Dopo il baccalaureato, B. ritornò al Tolethorpe Hall, dove diventò il
preside della locale scuola, ma in seguito si mise nei guai per aver
predicato senza permesso in alcune chiese di Cambridge e di Londra e fu
imprigionato. In seguito venne scarcerato grazie alle sue conoscenze
altolocate: infatti il Lord Gran Tesoriere, William Cecil, Barone di
Burghley (1520-1598) era un suo parente e negli anni successivi dovette
intervenire spesso per tirare B. fuori dai guai.
Nel 1580 B. decise di trasferirsi a Norwich, dove, insieme a Harrison,
divenuto nel frattempo Direttore dell'Ospedale Maggiore Saint Giles di
Norwich, fondò nel 1581 la prima congregazione religiosa indipendente.
Questo atto fu criticato da Edmund Freake (m. 1591), vescovo di Norwich, che
li fece imprigionare con l'accusa di predicare senza una licenza. Nuovamente
fatti liberare da Lord Burghley, B. e Harrison decisero di trasferire la
comunità in Olanda, a Middleburg, nella regione dello Zealand.
Qui B. diede alle stampe nel 1582 i suoi due e più famosi trattati
(soprattutto il primo): A Treatise of Reformation without Tarrying for Anie
(Un trattato di Riforma senza aspettare alcuno), nel quale ribadiva il
diritto della Chiesa di operare le opportune riforme senza attendere il
permesso delle autorità civili, e A Booke which sheweth the life and manners
of all True Christians (Un libro che mostri la vita e i modi di tutti i veri
cristiani), che enunciava la teoria dell'indipendenza delle congregazioni
religiose. Nel 1583 copie delle opere di B. iniziarono a circolare in
Inghilterra, scatenando una violenta reazione. Fu infatti emanato un
proclama contro gli scritti di B. e contro coloro che li diffondessero: due
seguaci della congregazione di Norwich, John Copping e Elias Thacker
pagarono con la loro vita sulla forca la sfida alle autorità.
Tuttavia anche nella congregazione di Middleburg si evidenziarono dei
problemi: infatti a causa di reciproche accuse alle rispettive mogli, si
ruppe l'amicizia con Harrison e B. decise di trasferirsi via mare in Scozia
con i propri seguaci nel gennaio 1584. Rimasto solo, Harrison continuò a
gestire la comunità fino alla sua morte avvenuta circa due anni dopo, nel
1585.
Ma neanche in Scozia B. ebbe vita facile: la sua presenza a Edimburgo,
Dundee e Saint Andrews venne ben presto segnalata alle autorità religiose
presbiteriane e fu quindi imprigionato. Stanco e deluso da questa esperienza
di soli pochi mesi, dopo il rilascio decise di ritornare in Inghilterra
nell'estate del 1584, ponendo la sua residenza a Stamford, vicino al suo
paese natale. Nuovamente fu accusato di scrivere e pubblicare fuori legge e
fu inquisito ed arrestato diverse volte, ma sempre liberato per
intercessione di Lord Burghley.
Tuttavia nel 1586 successe il fatto più grave: a cause delle sue ennesime
prediche senza licenza, B. fu convocato davanti al vescovo Howard di
Peterborough, ma non essendosi presentato, fu scomunicato.
Probabilmente questo drastico provvedimento nei suoi confronti gli fece
capire la necessità di trovare un compromesso con la Chiesa Anglicana.
Quindi, con la solita intermediazione di Lord Burgley, B. abiurò le sue
precedenti dottrine nel novembre 1586. Ristabilito il suo ruolo
nell'establishment anglicano, B. fu nominato preside del liceo Saint Olaves
di Southwark, ruolo che occupò fino al 1591 con una credibile aderenza ai
principi della chiesa ufficiale, sebbene proprio vicino a Southwark fu
scoperta nell'ottobre 1587 una congregazione brownista, organizzata dal
reverendo John Greenwood, che, arrestato, rimase in prigione per sei anni e
nel 1593 venne impiccato.
Tuttavia B. aveva ormai sviluppato delle idee diverse da quelle della sua
gioventù e contro Greenwood e il suo confratello Henry Barrow, scrisse nel
1587-88 il polemico Reproofe of certaine schismalical persons and their
doctrine touching the hearing and preaching of the word of God (Riprova di
certe persone scismatiche e delle loro dottrina riguardante l'ascolto e la
predica della parola di Dio).
Nel 1591 B. fu ordinato e gli fu offerto il beneficio della parrocchia di
Achurch cum Thorpe a Stamford, parte dei possedimenti dell'onnipresente Lord
Burghley. Qui B. rimase fino alla sua morte avvenuta nel 1633, all'età di 83
anni.
Anche l'episodio che condusse alla sua morte fu piuttosto significativo
della perenne sfida da lui lanciata contro l'autorità costituita: litigò
infatti con un gendarme, volarono parole grosse ed anche qualche pugno, e
l'anziano fondatore del Congregazionalismo si trovò rinchiuso nel carcere di
Northampton, dove morì appunto nell'ottobre 1633.

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Giacobiti (XVII secolo) o Congregazione Jacob-Lathrop-Jessey



La setta dei giacobiti, da non confondere con la Chiesa dei Giacobiti
fondata da Giacomo Baradeo nel VI secolo, e neanche con il movimento
politico (1688-1760) che voleva riportare in Scozia i discendenti di Giacomo
VII di Scozia e II d'Inghilterra (1686-1688), fu invece un movimento
religioso protestante inglese del XVII secolo fondato da Henry Jacob nel
1605.


Henry Jacob (1563-1624)
Nato nel 1563, Henry Jacob studiò ad Oxford, alla St, Mary's Hall, ottenendo
il baccalaureato nel 1583 e la laurea nel 1586. Egli fu in seguito ordinato
sacerdote anglicano e divenne maestro del coro al collegio Corpus Christi, a
Cambridge.
Essendo caduto sotto l'influenza dei brownisti nel 1590, J. venne
perseguitato per le sue idee e esiliato in Olanda dal 1593 al 1597. In
seguito egli si impegnò per una riforma interna della Chiesa Anglicana,
entrando in polemica con Francis Johnson (1562-1618) (un seguace del
congregazionalista Henry Barrow), che J. visitò in prigione per cercare di
convincerlo dell'errore nel separarsi dalla Chiesa Anglicana. Gli scritti di
J., assieme a quelli del puritano Thomas Cartwright, furono la base delle
richieste formulate dai puritani nella Millenary Petition (petizione
millenaria) del 1603, inoltrata al nuovo re d'Inghilterra Giacomo I (già
Giacomo VI di Scozia)(1603-1625), che indisse una conferenza a Hampton Court
nel 1604.
Tuttavia ben poche concessioni vennero fatte ai puritani e Giacomo I, che
era profondamente convinto che la tesi di fondo della petizione puritana
fosse di eliminare i vescovi con l'intento successivo di eliminare il re
stesso, ovviamente appoggiò apertamente la posizione dei vescovi anglicani
con la famosa frase No bishop, no king [nessun vescovo (equivale a) nessun
re]. L'unica concessione, degna di nota, fu l'autorizzazione alla
pubblicazione di una versione della Bibbia, compilata da un panel di teologi
e studiosi e denominata Authorised Version (versione autorizzata) o King
James Bible (Bibbia di Re Giacomo).
J., intervenne nella riforma con il suo trattato Reasons taken out of Gods
Word and the best humane Testimonies proving a necessitie of reforming our
Church in England (Ragioni tratte dalla Parola di Dio e dalle migliori
testimonianze umane per provare la necessità di riformare la nostra chiesa
in Inghilterra), che gli costò 8 mesi di carcere e il successivo esilio in
Olanda nel 1605.
Qui egli fondò una suo congregazione, di ispirazione calvinista, a
Middleburg, nella regione dello Zeeland e fino al 1616 aiutò diverse altre
congregazioni ad avviarsi ed ebbe contatti con il separatista John Robinson,
il futuro capo del viaggio dei Padri Pellegrini, che aveva fondato una sua
chiesa a Leida. J. convinse in seguito Robinson a modificare le sue idee
separatiste.
Nel 1616 J. ritornò in Inghilterra, dove fondò una congregazione separatista
a Southwark (un sobborgo di Londra), ma non troppo scissa dalla Chiesa di
Inghilterra: J. infatti non rifiutò l'autorità ecclesiastica, ma obiettò che
potevano coesistere altre chiese all'infuori del controllo della Chiesa
Anglicana. La congregazione di J. fu quindi denominata semi-separatista e
poté godere di una notevole popolarità a causa della tolleranza e apertura
praticata dal suo pastore verso teologi della Chiesa Anglicana, liberi
pensatori, dissidenti vari e per questo egli fu quasi bollato come traditore
dalle altre congregazioni separatiste, che nulla volevano avere a che fare
con la corrotta Chiesa ufficiale.
Nel 1622 J. decise di lasciare la sua congregazione per emigrare nelle
colonie americane, dove fondò una congregazione a Jacobopolis, in Virginia.
Rientrato in Inghilterra nel 1624, J. vi morì nello stesso anno.


John Lathrop (1584-1632)
Poiché la regola della congregazione di Jacob era che essa venisse gestita
da un sacerdote ordinato, e non da predicatori laici come le altre comunità
separatiste, la chiesa di Southwark rimase, dal 1622 al 1624, senza guida
fino all'insediamento di John Lathrop (o Lothropp).
Questi era un prete, nato ad Etton, nella contea del Humberside, e laureato
a Cambridge, trasferitosi nel 1624 a Londra, dopo aver abbandonato la sua
parrocchia di Egerton, nel Kent.
A Londra L. divenne pastore della congregazione di Southwark fino al 1632,
anno in cui le spie del vescovo di Londra Wlliam Laud (1573-1645) scoprirono
la chiesa di L. ed arrestarono i suoi membri: L. stesso passò due anni in
carcere e fu multato.
Al suo rilascio nel 1634, L. seguì l'esempio di Jacob e si trasferì nelle
colonie americane, fondando una chiesa puritana a Scituate, nella colonia di
Plymouth nel 1635. In seguito egli fu anche ministro del culto a Barnstable,
nel Massachusetts, dove morì nel 1653.


Henry Jessey (ca. 1603-1664)
Nuovamente, dal 1634, la congregazione di Jacob-Lathrop era senza guida e in
tale stato rimase fino al 1637, anno in cui si insediò Henry Jessey.
Quest'ultimo, nato nello Yorkshire nel 1603 (secondo altri fonti nel 1601),
aveva studiato a Cambridge, al St. John's College, ottenendo il
baccalaureato nel 1623 e diventando sacerdote nel 1624. Fu dapprima un
valente studioso di ebraico e tesi rabbinici, poi vicario a Aughton, nella
Yorkshire fino al 1634, quando il vicariato gli venne tolto.
J. si trasferì allora a Londra nel 1635 e, come detto, nel 1637 divenne
pastore della congregazione di Southwark. La comunità si ingrandì a tal
punto, che nel 1640 con un mutuo accordo, si decise di dividerla in due: una
parte rimase con J. e l'altra si trasferì in Fleet Street, a Londra, sotto
la guida di Praise-God Barebone (ca. 1596-1680), diventato poi famoso come
politico per aver guidato la brevissima parentesi del Parlamento Barebone,
sciolto per ordine di Oliver Cromwell (1599-1658) nel dicembre 1653.
Nel frattempo, la congregazione rimasta con J. sviluppò una teologia molto
più radicale con tendenze battiste (dal 1645 venne regolarmente praticato il
battesimo degli adulti) rispetto a quella dei suoi predecessori e lo stesso
J. si accostò alle idee sabbatariane, e frequentò ambienti vicini ai
battisti e ai quinto-monarchisti. Nel 1641 J. fu arrestato su mandato del
sindaco di Londra, ma successivamente liberato per ordine del parlamento.
Poco dopo egli entrò in polemica con un membro della comunità, di nome
William Kiffin (1616-1701), il quale si separò creando una congregazione
anch'essa con orientamenti battisti: fu la prima delle comunità firmatarie
della Prima Confessione di Fede del 1643, il documento originario dei
battisti particolari, dai quali discendono le chiese battiste attualmente
esistenti, molto diffuse soprattutto in Stati Uniti.
Nel 1652 egli fu scelto come uno dei nove esperti, che dovevano lavorare su
una nuova traduzione della Bibbia e impiegò i proventi ottenuti da questo
lavoro per aiutare le famiglie ebree povere di Londra, confidando di poterle
in seguito convertire al Cristianesimo.
Ma, dal 1653 J. fu identificato con il crescente movimento dei
quinto-monarchisti, soprattutto grazie all'amicizia con il loro capo, il
commerciante in botti, Thomas Venner (m. 1661). Questi, alla morte del
fondatore Thomas Harrison (1610-1660), divenne il capo supremo del movimento
e organizzò una disperata insurrezione nel gennaio 1661 contro il re Carlo
II (1649-1685). Come era prevedibile, il colpo fallì e Venner e gli altri
capi della rivolta furono decapitati.
Le successive repressioni stroncarono definitivamente il movimento
quinto-monarchista, oltre a perseguitare anche altre sette, a causa delle
loro dottrine simili, come i quaccheri, i sabbatariani e i giacobiti stessi.
J. fu infatti imprigionato in questo periodo, fino alla sua liberazione nel
1663. In seguito egli si recò in Olanda per fare nuovamente ritorno in
Inghilterra nell'agosto 1664.
Qui si ammalò e morì il 4 settembre 1664: un indice della sua notevole
popolarità fu la partecipazione ai suoi funerali di ben 4/5.000 persone.

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Müntzer (o Münzer), Thomas  (ca. 1490-1525) e Rivolta dei Contadini



La vita
Thomas Müntzer nacque nel 1490 ca. a Stolberg, nella regione dei monti Harz,
da una famiglia benestante e studiò a Lipsia ed a Francoforte. Diventato un
canonico regolare agostiniano, si pose seriamente il problema della crisi
della Chiesa e nel 1519 aderì alla Riforma.
Conobbe Martin Lutero, con il quale rimase in contatto epistolare, così come
con gli altri principali riformatori, durante l'anno in cui fu nominato
padre confessore del convento di Beuditz. L'incarico gli lasciò ampio tempo
per approfondire i suoi studi su Sant'Agostino e sui mistici come Enrico
Suso (1295-1366) e Johannes Tauler.
Nel Maggio 1520, raccomandato da Lutero, M. fu chiamato a Zwickau per
sostituire il precedente pastore della Chiesa di Santa Maria, Johannes
Egranus.
Il paese di Zwickau era, nel XVI secolo, una ricca centro della Sassonia,
vicino al confine con la Boemia, ed aveva basato il suo sviluppo sulle
attività minerarie dell'argento. Questo orientamento dell'economia locale
aveva, tuttavia, portato in rovina la precedente fiorente industria tessile,
generando una vasta disoccupazione tra i lavoratori tessili.
La retorica di Müntzer fu forte e radicale, soprattutto quando, dopo il
rientro di Egranus, egli diventò pastore della Chiesa di Santa Caterina
nell'Ottobre dello stesso 1520. Si scagliò spesso con violenza contro i
monaci francescani locali durante le sue prediche, ai quali non mancavano di
assistere l'ex tessitore Nicholas Storch, l'ex studente di Wittemberg Markus
Stübner e un terzo personaggio, che le varie fonti indicano o come Thomas
Drechsel oppure come Markus Thomä.
I tre, denominati "Profeti di Zwickau", fortemente influenzati dalle
dottrine dei Fratelli Boemi con una decisa impronta millenaria -
apocalittica, derivata dagli hussiti taboriti, predicavano l'imminenza
dell'avvento della "Chiesa degli Eletti", ricusavano lo studio della
teologia e consideravano gli uomini istruiti come manipolatori della parola
di Dio.
Per questo erano convinti che era necessario essere totalmente ignoranti,
persino delle prime lettere dell'alfabeto (ABC), da cui il loro altro nome
di abecedariani. Erano infatti convinti che Dio avrebbe illuminato i suoi
eletti e dato loro la conoscenza della verità tramite lo Spirito Santo.
Il tono delle prediche di M. diventò così sovversivo che il 26 Dicembre
1520, eccitata da un suo sermone contro i frati e i preti, la folla uscì
dalla chiesa e quasi lapidò a morte un prelato, che ebbe la sfortuna di
passare proprio in quel momento. Questo ed altri episodi portarono
inevitabilmente all'espulsione di M. da Zwickau, decisa dal consiglio
cittadino il 16 Maggio 1521, nonostante disordini di piazza, fomentati per
solidarietà da Storch.
M. si recò a Praga, dove continuò nelle sue prediche sempre più
apocalittiche, ma non fece granché presa sui praghesi, che si erano già
abituati a sentire simili toni dai taboriti circa cento anni prima. Egli
decise quindi di lasciare la città e vagò un po' senza un incarico fisso,
finché non riuscì a convincere Lutero a raccomandarlo per la posizione di
pastore della chiesa di San Giovanni ad Alstedt, vicino ad Eisleben in
Sassonia, dove iniziò a predicare dalla Pasqua 1523.
Qui, dopo aver sposato l'ex suora Ottilie von Gersen, svolse un'intensa
attività liturgica, riformatrice e politica: officiò la messa in lingua
tedesca, pubblicò un nuovo libro di preghiere contenente liturgie per tutti
i sacramenti, ristrutturò l'organizzazione della chiesa, ma soprattutto
fondò la Lega degli Eletti, una "comunità di santi" senza preti, principi,
nobili o proprietà privata: in questo fu un vero comunista ante-litteram (e
per questo fu considerato un eroe da diversi pensatori o storici marxisti
come Friedrich Engels, Karl Kautsky e Ernst Bloch).
Purtroppo la Lega si distinse in atti di violenza come il saccheggio e
l'incendio di conventi della regione, mentre M. litigò furiosamente con il
nobile locale, il Conte Ernst II di Mansfeld (m. 1532), ed il tutto iniziò a
preoccupare seriamente i principi di Sassonia, Federico III, detto il Saggio
(1486-1525) ed il fratello Giovanni, favorevoli sì alla Riforma, ma in forme
molto più moderate.
Giovanni fu mandato assieme ad altri notabili, su incarico di Federico, ad
investigare sul tono delle prediche di M.: questi tenne, davanti al
principe, il 13 Luglio 1524, un apocalittico sermone, pubblicato poi come
Sermone ai principi di Sassonia sullo spirito della rivolta, sulla guerra
tra il Demonio e la Lega degli Eletti, l'inizio, cioè, di una riforma
definitiva, che, partita da Alstedt, si doveva espandere in tutto il mondo,
massacrando tutti coloro che non fossero stati d'accordo! E lo stesso
trattamento M. promise ai suoi attoniti astanti, se non avessero aderito a
questa crociata.
Ovviamente la relazione di Giovanni di Sassonia al pur tollerante fratello
Federico fu del tutto negativa e quest'ultimo decise di convocare M. a
Weimar per ulteriori spiegazioni.
M., tra le cui doti principali non c'era certo la diplomazia, ribadì le sue
allucinanti tesi davanti al duca e ritornò ad Alstedt, convinto di aver
vinto l'appoggio dei regnanti di Sassonia alla sua causa: invece il duca
fece pressioni sul consiglio cittadino di Alstedt perché egli venisse
espulso dalla città.
Inaspettatamente, senza attendere l'ingiunzione del consiglio, M. lasciò
Alstedt la notte del 7 Agosto 1524, abbandonando moglie, figli e proprietà e
recandosi a Mühlhausen (in Turingia), dal collega Heinrich Pfeiffer, che
stava cercando di imporre una Lega degli Eletti in città: i due ne vennero
successivamente cacciati da un esercito di mercenari, chiamati dai nobili
locali.
Allora essi si recarono allora  a Norimberga, dove M. fece pubblicare da uno
stampatore, probabilmente il futuro anabattista Hans Hut, uno dei suoi più
violenti opuscoli contro Lutero (che chiamò Dottor bugiardo e il Drago),
Apologia ben fondata e risposta alla carne senza spirito che vive mollemente
in Wittenberg. La reazione delle autorità locali fu l'espulsione di M. e
Pfeiffer, l'arresto della stampatore ed il rogo del libello.
M. viaggiò quindi alla ricerca, vana, di nuovi alleati in Svizzera, dove
incontrò il riformatore zwingliano Ecolampadio e l'anabattista pacifista
Hübmaier, ritornando poco dopo a Mühlhausen, dove il partito radicale di
Pfeiffer aveva preso il controllo della città. I due armarono i loro fedeli
ed espulsero gli oppositori.


Guerra dei Contadini
Questo episodio si inserì nella più vasta Guerra (o Rivolta) dei Contadini
del 1525: il ruolo di M. in questo conflitto viene variamente interpretato
dagli storici. Alcuni considerano M. il vero ispiratore della Rivolta o
perlomeno colui il quale aveva dato una giustificazione ed una speranza ai
rivoltosi; altri negano il ruolo primario di M., che pare non avesse capito
totalmente le veri ragioni della Rivolta.
I contadini, infatti, erano più prosaicamente interessati all'abolizione dei
resti del feudalesimo, ad una drastica riduzione delle tasse, alla
legalizzazione di diritti comuni in tema di pascoli, allo sfruttamento dei
boschi, alla liberalizzazione della caccia e della pesca.
Il predicatore di Stolberg, invece, non si impicciava di problemi pratici,
ma, fortemente influenzato dalle idee di Gioacchino da Fiore, era più
concentrato sulle sue fantasticherie millenaristiche e sull'ora
dell'apocalisse. Oramai egli si definiva Thomas Müntzer il martello e aveva
adottato come simbolo una croce rossa con una spada affilata.
Da tutta la Germania allora arrivarono esaltati, disperati, ma anche piccoli
eserciti organizzati, come quello di Nicholas Storch.
All'inizio di Maggio 1525 i rivoltosi arrivarono fino al numero di 10.000
persone e si accamparono intorno a Frankenhausen, una città conquistata
dagli insorti di Mühlhausen, ma il nuovo principe di Sassonia, succeduto nel
frattempo al fratello, era quel Giovanni, detto il Risoluto (1525-1532), che
aveva ascoltato le farneticazioni apocalittiche di M. nel Luglio 1524 e che
ora diede l'incarico di reprimere la rivolta a Filippo, langravio di Hesse,
forte di un esercito di 5.000 soldati, 2.000 cavalieri e vari pezzi di
artiglieria.
All'onor del vero, Filippo cercò di convincere i contadini ad arrendersi
dietro consegna di M., ma quest'ultimo fece una epica arringa, promettendo
di catturare la palle di cannoni con il proprio mantello (sic!) e garantendo
l'incolumità dalle pallottole per i propri seguaci: il resto lo fece un
arcobaleno, simbolo dei rivoltosi, che apparve in cielo, proprio in quel
momento.
I contadini respinsero le condizioni di Filippo, il quale attaccò il 15
Maggio 1525. Fu una carneficina: 5.000 rivoltosi furono immediatamente fatti
a pezzi dai soldati meglio addestrati e successivamente ne furono sgozzati
altri 20.000, in tutta la Germania.
M., nell'ora più tragica, ebbe un momento di panico: piantò tutto per
correre a nascondersi in una soffitta in Frankenhausen, dove lo trovarono i
soldati in un letto con le coperte tirate sopra la testa. Il suo debole
tentativo di dichiararsi estraneo alla vicenda fallì miseramente a causa dei
suoi appunti trovati nella stanza.
Egli fu quindi consegnato a Filippo di Hesse, che lo inviò dal suo mortale
nemico, il Conte di Mansfeld: questi lo fece torturare tutta la notte ed il
giorno dopo M. firmò una piena confessione.
Il 24 Maggio 1525, l'esercito catturò Mühlhausen e il 26 Maggio M., Pfeiffer
ed altri furono decapitati in piazza. Prima della sua morte, M. ritrattò le
sue convinzioni e fece la comunione, ma non riuscì nemmeno a ricordarsi il
testo del Credo Niceno.


Così morì Thomas Müntzer, il "profeta guerriero", tanto osannato come
proto-comunista [la Repubblica democratica tedesca (Germania dell'Est) fece
perfino ritrarre la sua immagine sulle proprie banconote da 5 Marchi] quanto
condannato senza appello sia dai cattolici, che dai luterani, che dagli
anabattisti pacifisti.
Martin Lutero, che disse di lui Chiunque abbia visto Müntzer può dire di
aver visto il diavolo incarnato nella sua furia più feroce, si prese la sua
vendetta postuma, acquistando una collezione di sue lettere autografe, che
pubblicò con un commentario molto critico sotto il titolo di Una storia
terribile e il Giudizio di Dio su Thomas Müntzer.

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Contarini, cardinale Gasparo (o Gaspare) (1483-1542)



La carriera da laico
Gasparo (o Gaspare) Contarini nacque il 16 ottobre 1483 a Venezia da una
antica e nobile famiglia, che aveva dato i natali a ben 8 dogi della
Serenissima. La sua educazione si svolse dapprima a Venezia stessa, e
successivamente a Padova, dove dal 1501 al 1509 egli seguì i corsi
universitari di greco, matematica, filosofia aristotelica e teologia.
Rientrato nella città lagunare, C. divenne dapprima membro del Gran
Consiglio e della commissione che amministrava i debiti della Repubblica, e
poi, nel 1520, ambasciatore alla corte dell'imperatore Carlo V (1516-1556) a
Worms, dove pare non abbia potuto incontrare Martin Lutero. C. seguì la
corte imperiale nei Paesi Bassi e poi in Spagna.
Rientrato a Venezia nell'agosto 1525, fu nominato dal governo della
Serenissima Savio di terra ferma, cioè presidente della commissione che
gestiva i possedimenti continentali di Venezia.
Nel 1527 egli rappresentò Venezia nella seconda Lega Santa, l'alleanza in
chiave anti-asburgica tra Francia, Ducato di Milano, Venezia, Ferrara ed il
Papato, ma gli eventi precipitarono il 6 maggio 1527 con il Sacco di Roma da
parte delle truppe imperiali, al comando di Carlo di Borbone, detto il
Connestabile (m. 1527). Venezia se ne approfittò del marasma generale per
occupare Ravenna e Cervia, che però fu costretta a restituire al Papa,
mentre C. si occupò della pace tra l'Impero e la Serenissima, siglata nel
gennaio 1530 a Bologna. Al rientro a Venezia, egli fu proclamato Senatore,
rivestì altri importanti incarichi nel governo della Repubblica e scrisse
trattati di politica come il De magistratibus et republica Venetorum.


C. diventa ecclesiastico
Un po' a sorpresa nel 1535 il Papa Paolo III (1534-1549) nominò C.
cardinale, il quale accettò recandosi a Roma in ottobre per l'investitura.
Nel 1536 il papa gli assegnò la diocesi di Cividale del Friuli e lo propose
come presidente della commissione creata per studiare una Riforma della
Chiesa.
Fu in questo frangente che C. si accostò all'evangelismo, alle dottrine di
Erasmo e al circolo degli ecclesiastici spirituali, di coloro cioè che
volevano una riforma dall'interno della Chiesa Cattolica, formato, tra gli
altri, dai cardinali Giovanni Morone e Reginald Pole, dal futuro cardinale
Pietro Bembo, dal generale dei cappuccini Bernardino Ochino, oltre che
dall'umanista Marcantonio Flaminio e dalla marchesa Vittoria Colonna. Ebbe
inoltre occasione di conoscere ed apprezzare l'operato di Pietro Martire
Vermigli.
Effettivamente l'anno successivo la commissione, di cui facevano parte anche
i cardinali Jacopo Sadoleto, Reginald Pole, Gian Pietro Carafa (il futuro
papa Paolo IV) e Girolamo Aleandro (1480-1542), produsse un documento, il
Consilium de emendanda ecclesia", che consigliava, tra l'altro, al papa di
non abusare dell'immenso potere nelle sue mani e ai vescovi di vigilare per
la disciplina e buon ordine nelle loro diocesi.
Ma il nepotista Papa Paolo III ringraziò sentitamente la commissione...e i
consigli rimasero lettera morta! Addirittura nel 1559 Papa Paolo IV
(1555-1559), che aveva fatto parte della commissione pur non condividendone
le conclusioni, iscrisse il documento nell'Index librorum prohibitorum.
Nel 1540 C. influenzò positivamente la decisione papale di approvare la
costituzione della Compagnia di Gesù, fondata da Ignazio di Loyola
(1491-1556) e il 4 aprile 1541 egli fu inviato, su specifica richiesta
dell'imperatore Carlo V, come legato pontificio al Colloquio di religione di
Ratisbona, che doveva sviluppare un documento comune tra cattolici e
protestanti. La riunione si presentò immediatamente come di difficile
risoluzione, nonostante gli sforzi mediatrici di C. per i cattolici e di
Melantone per i protestanti. Il problema era che i gruppi oltranzisti
cattolici e luterani non volevano l'accordo e, sebbene si arrivò alla fine
ad una formula faticosamente accettata, evangelica nel suo pensiero
teologico e cattolica nel testo, il successivo cambiamento di rotta del
papa, il quale, attraverso C., informò l'imperatore che il tutto doveva
comunque essere sottoposto alla sua (del papa) personale approvazione, non
fece altro che indispettire i principi protestanti tedeschi.
Durante la Dieta, si precisò il pensiero dottrinale di C. attraverso diversi
lavori da lui scritti (per esempio, De libero arbitrio, De justificatione,
De Praedestinatione, ecc.). Egli accettava la giustificazione per fede, ma
con la variante del libero arbitrio del peccatore di detestare e di volersi
allontanare dal peccato, prendendo così spunto più dagli insegnamento di
Erasmo e di San Tommaso d'Aquino (1225-1292) che da quelli di Martin Lutero.
Inoltre egli credeva nella necessità di una Riforma della Chiesa che
partisse dal vertice e non dalla base e non giustificò mai lo scisma dei
protestanti, anche se fu disposto ad accettare alcuni punti, come il
matrimonio del clero e la comunione sotto ambedue le forme (sub utraque
specie).
Rientrato in Italia, C. fu accusato ingiustamente di luteranesimo e
confinato come  legato pontificio di Bologna nel gennaio 1542. Come ultimo
atto ufficiale della sua vita, aiutò il cardinale di Modena Giovanni Morone
a redigere gli Articuli orthodoxae professionis, un formulario di fede
cattolica (che glissava sul punto controverso della giustificazione per
fede) da far firmare ai partecipanti dell'Accademia Grillenzoni in odore
d'eresia.
Qualche mese dopo, oramai sul letto di morte, C. ricevette un ultima visita
di Bernardino Ochino, in procinto di abiurare e fuggire in Svizzera, e il 24
agosto 1542 morì a Bologna.

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Convulsionari (inizio XVIII secolo)



Il movimento del giansenismo, all'inizio del XVIII secolo, fu un fenomeno,
che ebbe un forte impatto sulla società francese dell'epoca, soprattutto
perché mirava ad una maggiore moralità e severità religiosa, come reazione
al lassismo tipicamente gesuita.
Esso condannava inoltre, come diceva il teologo Antoine Arnauld, la vita
molle e deliziosa, piena di fasto e di vanità della classe abbiente (nobiltà
e borghesia). Ma proprio sulla borghesia queste idee ebbero un grande
effetto, e molti abbandonarono le loro ricchezze per dedicarsi alla
beneficenza e all'assistenza dei poveri, come il diacono François Paris
(Francesco di Parigi), il quale, dopo una vita di penitenza e privazioni,
morì, in odore di santità nel 1727.
L'anno successivo, il suo monumento funebre, nel cimitero di Saint Médard,
diventò progressivamente meta di pellegrinaggi e presso il quale si raccontò
fossero avvenuti molti miracoli (lo scettico Voltaire ne "contò" tra 500 e
600).
I pellegrini, fanatici giansenisti, vennero denominati convulsionari, per
gli attacchi di furore mistico ai quali erano soggetti: le manifestazioni di
delirio popolare comprendevano fedeli che mangiavano vetri e carboni
ardenti, facevano salti funambolici, cadevano in stati epilettici. Questo
fenomeno di massa fu abilmente sfruttato dai giansenisti per mantenere viva
l'opposizione alla gerarchia cattolica e alla bolla papale Unigenitus.
Non sorprende quindi la decisione del governo francese, attraverso un ordine
della corte di giustizia, di far chiudere il cimitero di Saint Médard il 27
gennaio 1732, ma i convulsionari proseguirono con le loro manifestazioni di
fanatismo in case private, dove giovani fanciulle invasate venivano
sottoposte ad atroci prove: erano sospese sopra fuochi accesi, mangiavano
escrementi, grandi pietre appoggiate sopra i loro corpi venivano rotte a
colpi di mazza; il tutto apparentemente senza danno fisico grazie
all'incrollabile fede giansenista.
Il fenomeno arrivò ad apici di fanatismo nel 1758, quando, il venerdì santo,
due suore convulsionarie, di cui una di sessant'anni, si fecero crocifiggere
per ben ore davanti a venti spettatori: la reazione del parlamento fu di
proibire, nel 1762, ogni manifestazione del genere.
Eppure, ancora nel 1828, si segnalarono alcuni casi di convulsionari,
organizzati in una setta clandestina, denominata Amici della Verità.


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Calvino, Giovanni  (Jean Cauvin) (1509-1564)



La gioventù
Il famoso riformatore Jean Cauvin (nome umanistico Giovanni Calvino) nacque
a Noyon in Piccardia (Francia) il 10 luglio 1509 da Gerard Cauvin e Jeanne
Le Franc.
Il padre, cancelliere, notaio apostolico ed in seguito procuratore del
capitolo della cattedrale di Noyon, era uomo di fiducia del vescovo Charles
de Hanguet, il quale procurò al giovane C. un beneficio (una rendita) nel
1521 e un secondo nel 1527.
Dapprima C. studiò a Noyon sviluppando una solida formazione umanistica, poi
si trasferì con la famiglia nel 1523 a Parigi, dove frequentò il collegio de
la Marche ed il collegio Montaigu, per studiare arti liberali e teologia.
Ma nel 1528 C. abbandonò gli studi di teologia per iscriversi alla facoltà
di legge dell'università di Orléans, e in seguito si trasferì a Bourges,
all'università voluta da Margherita di Angoulême, sorella di Francesco I di
Francia, diventata da poco regina di Navarra.
Nel 1531 il padre Gerard, nel frattempo caduto in disgrazia e sotto
scomunica per motivi di bilanci finanziari sospetti, morì e la famiglia
dovette promettere di pagare i debiti per ottenerne la sepoltura in terra
benedetta.
C. ritornò a Parigi frequentando i corsi dell'Accademia (il Collège Royal de
France) e pubblicando nel 1532 la sua prima opera, un commento a De
Clementia di Seneca.
Intorno al 1533 C. iniziò a definirsi protestante: alcuni autori raccontano
che la pietra miliare sia stata il discorso di apertura per l'anno
accademico, scritto per l'amico Nicolas Cop (c. 1450- dopo 1534), rettore
dell'università, ed intriso di concetti luterani ed erasminiani. Il clamore
suscitato dal contenuto del discorso, letto il giorno di Ognissanti 1533, ed
una taglia sulle loro teste, obbligò ad una fuga precipitosa da Parigi il
lettore, che riparò dal padre a Basilea, e l'autore, che si allontanò in
direzione Orleans, travestito da vignaiolo con una zappa in spalla.
Dopo varie peripezie (fu anche arrestato a Noyon per aver rinunciato ai suoi
benefici, ma riuscì a fuggire), C. arrivò nel 1534 a Nerac, nel Bearn, da
Margherita di Angoulême, dove incontrò il noto umanista Le Fèvre d'Étaples.
In seguito C. ritornò a Parigi, ma proprio nel momento sbagliato, e cioè in
piena campagna anti-protestante, scatenata dall'affissione di manifesti
(placards) contro la Messa, posti perfino sulla porta della camera da letto
del re Francesco I. La reazione cattolica portò al rogo diversi protestanti,
tra cui il noto uomo d'affari Étienne de la Forge, e C. riuscì, un po'
avventurosamente, a scappare nuovamente dalla Francia per recarsi nel
gennaio 1535 a Basilea.


Calvino in Svizzera
A Basilea C. lavorò alacremente al suo primo lavoro di notevole spessore: la
Christianae religionis institutio, un compendio di dottrina cristiana
scritto nel 1535 e pubblicato nel 1536 e con una prefazione indirizzata
direttamente a Francesco I di Francia.
Mentre veniva stampata la sua opera, C. si recò a Ferrara, sotto lo
pseudonimo di Charles d'Espeville, alla corte di Renata d'Este, figlia di
Luigi XII di Francia, e grande protettrice dei riformatori italiani, di cui
C. diventò il direttore spirituale, e quindi in Francia per sistemare alcuni
affari di famiglia (tra l'altro convertì due suoi fratelli). Decise infine
nel luglio 1536 di recarsi a Strasburgo, ma, a causa delle operazioni
militari dovuti alla guerra in corso tra Francesco I e l'imperatore Carlo V,
egli dovette fare un giro lungo passando da Ginevra.
La città svizzera aveva da poco aderito alla Riforma grazie all'impegno
dell'irruente predicatore Guillaume Farel, a cui non parve vero poter
convincere l'autore della Christianae religionis institutio a rimanere. Ad
essere precisi, C. non ne voleva proprio sapere, ma Farel minacciò che lo
avrebbe addirittura maledetto, se non avesse accettato di restare!
I due tentarono di installare un governo teocratico regolato dalle leggi
stabilite nelle Ordonnances ecclésiastiques (Ordinanze ecclesiastiche),
scritte da C. con l'aiuto di Farel: il controllo e la disciplina
ecclesiastica erano demandati ai pastori, i bambini dovevano essere
catechizzati, gli "indegni" espulsi dal territorio ginevrino. La reazione
della città fu molto negativa e questo sistema molto poco tollerante, basato
sulla censura morale e la scomunica, spinse il consiglio cittadino ad
esiliare Farel e Calvino il 23 aprile 1538.
Farel si recò a Neuchâtel, mentre C., passando dapprima da Basilea, andò a
Strasburgo, chiamato dai riformatori Martin Bucero e Wolfgang Capito
(1478-1541) a dirigere la chiesa dei profughi francesi. Qui C. si sposò con
Idelette de Bure, una vedova di un anabattista da lui convertito. Idelette,
moglie molto devota al marito, gli diede nel 1542 un figlio, purtroppo morto
quasi subito, e lei stessa morì nel 1549.
A Strasburgo C. revisionò e pubblicò, nel 1539 la versione in latino e nel
1541 quella in francese, la seconda edizione ampliata della sua Institutio,
oltre ad alcune altre opere.
Nel frattempo a Ginevra la città senza guida spirituale stava andando allo
sbando: ne cercò di approfittare il cardinale Jacopo Sadoleto, che scrisse
una lettera alla città, addossando tutta la colpa ai riformatori, e offrendo
ai ginevrini il ritorno alla Chiesa Cattolica e alla sua tradizione
secolare. I riformatori locali non seppero rispondere a tono, cosa che
invece fece C. con la sua Responsio ad Sadoleti epistolam, in cui C. fondava
la vera Chiesa di Cristo sulla parola di Dio e non sulle tradizioni della
Chiesa Cattolica.
La risposta conquistò i ginevrini, che nel settembre 1541, pregarono C. di
recarsi per la seconda volta a Ginevra.


Il ritorno di Calvino a Ginevra
Il ritorno di C. fu un ottimo pretesto per il riformatore per imporre al
consiglio dei Duecento quelle Ordonnances ecclésiastiques fallite durante il
suo primo soggiorno.
C. credeva che quel controllo sulla moralità della popolazione, gestito per
secoli dall'autorità ecclesiastica centralizzata (Papa, cardinali, vescovi,
ecc.), dovesse essere operata da parte della chiesa locale.
Se da una parte C. meritoriamente diede molto impulso alle attività
commerciali e agli investimenti (i famosi banchieri di Ginevra), purtroppo,
dall'altra, il suo sistema teocratico di rigido controllo della moralità
aveva molto poco del democratico:
I pastori, scelti da altri pastori, dovevano incontrarsi obbligatoriamente
una volta alla settimana per lo studio delle Sacre Scritture.
Gli insegnanti, o dottori, scelti dai pastori, erano responsabili per
l'educazione generale e l'insegnamento delle Scritture.
I diaconi erano preposti all'assistenza dei poveri e dei malati.
Ma soprattutto gli anziani, in numero di dodici, erano la spina dorsale del
sistema di C. Responsabili per la disciplina, dovevano sorvegliare sulla
moralità della popolazione [furono proibiti i balli, i banchetti, il gioco
d'azzardo (il poeta Clément Marot fu espulso per aver giocato a tric-trac),
la lettura di parecchi libri (fu proibito perfino un libro popolare come
Legenda aurea, un trattato sulle vite di santi e feste cristiane, scritto
nel 1255-1266 da Giacomo della Voragine), le feste, gli spettacoli
teatrali!], sull'abbigliamento (il lusso era proibito), sulla partecipazione
obbligatoria alle funzioni religiose. Essi inoltre dovevano fare rapporto al
concistoro o "Venerabile Compagnia" dei pastori e impedire che i peccatori,
riconosciuti tali, potessero accostarsi alla Comunione.
Il concistoro, o "Venerabile Compagnia", formato dai dodici anziani e dai
pastori, decideva su argomenti ecclesiastici ma spesso anche civili,
pronunciava sentenze che comprendevano punizioni corporali, esclusione dalla
Comunione, scomunica, condanna all'esilio (come successe a Sébastien
Castellion e Jérome Bolsec) e nei casi estremi, condanna a morte (come nel
1547 Jacques Gouet, torturato e decapitato, o nel 1553 il famoso episodio di
Miguel Serveto, di seguito descritto).
Tuttavia, dall'altra parte, il concistoro si contrapponeva spesso al
consiglio dei Duecento, l'autorità civile di Ginevra, che non accettava
pedissequamente tutte le sue sentenze, anzi queste ultime furono il pretesto
di lotte cittadine al limite della guerra civile, come nel caso della moglie
di Ami Perrin, capo dei partigiani di Farel, denominati guglielmini dal nome
di battesimo del riformatore, e l'artefice del rientro di C. a Ginevra.
Infatti nel 1547 il concistoro accusò e portò davanti al tribunale, per
motivi di condotta morale, la moglie e il suocero di Perrin, proprio quando
questi era capitano generale della città. La reazione del partito di Perrin
non si fece attendere, scatenando una reazione xenofoba contro gli emigrati
francesi, massicciamente presente in città e notoriamente amici di C.,
soprattutto quando, nel 1548, i guglielmini riuscirono ad ottenere la
maggioranza nei consigli cittadini.
Il braccio di ferro continuò nel 1553, quando Perrin, diventato sindaco
della città, cercò di far riaccettare alla Comunione un tale Berthelier, un
borghese scomunicato e ostile a C.: dovette desistere dal tentativo, ma con
l'occasione il consiglio dei Duecento decise di togliere al concistoro il
diritto di scomunica.
Ma proprio il 13 agosto di quel 1553 fu arrestato a Ginevra il famoso medico
antitrinitariano Miguel Servet (nome umanista: Michele Serveto): C. aveva
finalmente l'occasione d'oro per sbarazzarsi di un pericoloso dissidente
religioso, che, libero, avrebbe potuto essere molto utile alla fazione di
Perrin.
Il processo si rivelò il pretesto per una ennesima lotta tra calvinisti e
oppositori interni, e perfino C. stesso dovette scendere in campo,
coinvolgendo nel giudizio finale le chiese riformate di Zurigo, Berna,
Basilea e Sciaffusa.
L'epilogo fu la condanna al rogo di Serveto e dei suoi libri, eseguita il 27
ottobre 1553 nel rione di Champel. Il medico spagnolo morì con dignità sul
rogo, avendo rifiutato anche l'estremo tentativo di Farel di salvargli la
vita in extremis, se avesse ammesso per iscritto i suoi errori.


Le conseguenze dell'esecuzione di Serveto
Benché nell'anno successivo, il 1554, il partito favorevole a C. vincesse le
elezioni e lui stesso avesse sostenuto il diritto di uccidere gli eretici in
un suo trattato, dal titolo Defensio ortodoxae fidei, il riformatore fu
lungamente criticato ed attaccato per questa sua decisione ed anche la sua
difesa scritta da Theodore de Béze non servì a risollevare la sua immagine.
La morte di Serveto infatti fece levare moltissime voci di protesta, tra cui
quelle degli antitrinitariani italiani Giovanni Valentino Gentile, Matteo
Gribaldi Mofa e Celio Secondo Curione, che dovettero emigrare
successivamente da quella che a loro era sembrata la città della tolleranza
religiosa. Anche l'umanista Sébastien Castellion, già mandato in esilio nel
1543, intervenne, scrivendo nel 1554, sotto lo pseudonimo di Martin Bellius,
il suo libro più famoso, De haereticis, an sint persequendi (Gli eretici
devono essere perseguiti?), un appassionato appello alla tolleranza ed alla
libertà religiosa.
La reazione fu coordinata, ancora una volta, da colui che sarebbe diventato
l'erede spirituale di C., Theodore de Bèze, che nel suo scritto polemico De
haereticis a civili magistratu puniendis denunciò la "carità diabolica, e
non cristiana" di Castellion.


Gli ultimi anni
Un ultimo tentativo di colpo di mano degli oppositori interni fallì nel 1555
e ai rifugiati francesi, partigiani di C. fu concesso con generosità la
cittadinanza: lo stesso C. la ottiene nel 1559. Si calcola che ad un certo
punto la quasi totalità dei pastori fossero di origine francese.
Nel 1557 Ginevra e Berna strinsero un patto di alleanza e nel 1559 fu
fondata l'Accademia di Ginevra (con rettore Theodore de Béze), che formò
studenti in arti liberali, lingue bibliche e teologia, diventati, in alcuni
casi, famosi riformatori nei loro paesi d'origine come John Knox in Scozia.
Anche l'attività internazionale di C. fu elevata: scrisse al giovane re
inglese Edoardo VI (1547-1553) e al suo tutore, il conte di Somerset, per
aiutarli nella revisione del Book of Common Prayer (il libro delle preghiere
utilizzato dalla Chiesa Anglicana), tentò un'intermediazione tra le fazioni
durante il sanguinoso regno cattolico della regina Maria d'Inghilterra
(1553-1558), intervenne diverse volte durante l'introduzione della Riforma
in Polonia. In sintesi il calvinismo ebbe, grazie questi interventi di C.
oltre ad alcuni predicatori usciti dall'Accademia, una internazionalità,
che, per esempio, il luteranesimo non riuscì mai a raggiungere.
C. lavorò freneticamente fino al giorno della sua morte, predicando
quotidianamente, tenendo lezioni di teologia, partecipando alle sedute del
concistoro, scrivendo trattati, commentari e la stesura definitiva della sua
Institutio, stampata in latino nel 1559 e in francese nel 1560.
Consumato dall'attività vivace e non ben supportato da un fisico spesso
malaticcio, C. morì, all'età di 55 anni, il 27 maggio 1564. Per sua espressa
volontà, fu sepolto con la massima semplicità in un luogo sconosciuto, per
impedire un possibile culto della sua tomba.


La dottrina
In linea di principio, C. accolse molti punti della dottrina luterana, come
la sola scriptura (la fede trova il suo fondamento solamente nella Parola di
Dio, la Sacra Scrittura) e la sola fide [l'uomo non può assolutamente
concorrere alla propria salvezza: questa non dipende dall'agire umano o
dalle sue opere (come, ad esempio le indulgenze), ma si ottiene solo con la
fede], ma sostituì la sola gratia (per Sua grazia Dio magnanimo salva l'uomo
peccatore attraverso Cristo) con la soli Deo gloria: l'ubbidienza alla
volontà di Dio deve essere assoluta, perché Egli è sovrano di tutto il
creato e determina il corso degli avvenimenti.
Da questo convincimento derivò la dottrina della predestinazione: Dio,
grande ed eterna saggezza, misterioso quindi incomprensibile, ha stabilito
che ad alcuni uomini è stata predestinata la vita eterna ed ad altri la
dannazione eterna.
Ed in particolare alla vita eterna era predestinata, secondo C., la comunità
dei santi, di quei fedeli cioè che credevano come un atto di fiducia, che si
comportavano rettamente, partecipavano alla vita pubblica, obbedivano alle
autorità e desideravano di partecipare alla Santa Cena.
C. inoltre considerò, come Lutero, validi solo i sacramenti del Battesimo e
dell'Eucaristia, che erano testimonianza della grazia di Dio, e non
solamente cerimonie commemorative, come preteso da Zwingli.
Per il Battesimo, con una certa difficoltà, C. riuscì a giustificare il
battesimo dei fanciulli, in contrapposizione agli anabattisti e senza dover
citare la tradizione storica ed il concetto del peccato originale, che erano
la base della dottrina cattolica sul battesimo. Per C. le Scritture dicevano
Lasciate che i fanciulli vengano a me, e quindi il negare il battesimo ai
fanciulli sarebbe stato non riconoscere la misericordia di Dio e
un'ingratitudine verso di Lui.
Per quanto riguardò, invece, il dibattito sull'effettiva presenza di Cristo
nell'Eucaristia, C. considerò il Sacramento della Comunione come una reale
partecipazione alla carne e al sangue di Gesù Cristo, anche se ciò non
significava una presenza locale di Cristo nell'Eucaristia, poiché Egli
poteva essere solo in cielo. Questa fu un'abile posizione intermedia tra la
consustanziazione di Lutero (vi era la reale e sostanziale presenza del
corpo e sangue di Cristo nel pane e vino, che tutti i comunicandi
ricevevano, che fossero degni o indegni, credenti o miscredenti) e il
simbolismo di Zwingli (la Cena del Signore era solo una solenne
commemorazione della morte di Cristo, la sua presenza spirituale).
Ciononostante per motivi puramente politici (la posizione di C. a Ginevra
era spesso fragile ed egli cercava quindi appoggi esterni), C. firmò il
Consensus Tigurinus del 1549, dove non si faceva menzione del termine
substantia, per assicurarsi l'aiuto di un prezioso alleato, come Johann
Heinrich Bullinger, successore di Zwingli a Zurigo.


Le opere
La base della produzione letteraria di C. fu, come già detto, la Christianae
religionis institutio, su cui il riformatore lavorò per parecchi anni fino
alla sua stesura definitiva nel 1559.
Le Ordonnances ecclésiastiques (Ordinanze ecclesiastiche) nella versione del
1541 furono l'applicazione pratica della sua "chiesa visibile".
Rimangono inoltre 4.271 lettere, principalmente su argomenti dottrinali.

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Ranters (XVII secolo)



I Ranters (dall'inglese to rant: parlare in modo ampolloso) erano una setta
radicale protestante inglese, che fiorì nel biennio 1649-50, all'indomani
cioè dell'arresto ed esecuzione capitale del re Carlo I d'Inghilterra
(1625-1649).
I R. rappresentarono un caso estremo di antinomismo, cioè della convinzione
dell'inutilità della legge morale. Essi infatti pensavano di essere
all'inizio dell'era dello Spirito Santo, profetizzata dall'abate cistercense
Gioacchino da Fiore, dove gli uomini sarebbero stati direttamente ispirato
da Dio e dove quindi le organizzazioni religiose e le Sacre Scritture
sarebbero state superflue.
L'estremismo, espresso dai R., sfociò nel panteismo mistico (Dio è in ogni
cosa) simile a quello del XII secolo di Amaury di Béne, e nel noto concetto
antinomiano Siccome Dio è in ogni uomo, egli non può peccare, un'idea non
del tutto originale in quanto già espressa da diverse sette religiose, come
ad esempio i Fratelli del Libero Spirito  o il movimento della Libera
Intelligenza del XIII secolo. Venivano respinte tutte le forme esteriori di
religione, perfino la Bibbia: siccome tutto veniva da Dio, tutto poteva
essere usato in comune da parte di tutti, un concetto non molto dissimile da
quello di altri gruppi come i familisti o i quaccheri.
Il comportamento dei R. fu molto scandaloso e privo di valori morali: essi
si distinsero per bestemmia, adulterio, eccesso di tabacco e alcool,
incesto, e furono spesso accusati di orge e fornicazioni.
I due rappresentanti più significativi del movimento R., ambedue
imprigionati per i loro scritti, furono Laurence Clarkson (1615-1667), che
si convertì successivamente al muggletonianismo, e Abiezer Coppe
(1619-1672),.
Questi loro scritti scatenarono la reazione del Parlamento inglese, che nel
maggio 1650, promulgò la Adultery Act (legge contro l'adulterio) e,
nell'agosto dello stesso anno, la Blasfemy Act (legge contro la blasfemia)
proprio contro il fenomeno R. I sei mesi di carcere duro previsto da questi
leggi arginarono il fenomeno, che, dopo il 1654, declinò rapidamente fino
quasi a scomparire dopo la restaurazione nel 1660.

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Confraternita Rosa Croce (rosacrocianesimo o società dei rosacrociani) (XVII
secolo)



Premessa e paternità dei manifesti rosacrociani
Nel 1614 comparve a Cassel, in Germania, il manifesto base, dal titolo
Allgemeine und General Reformation der ganzen weiten Welt (Riforma generale
ed universale di tutto il mondo) di un misterioso movimento mistico
occultistico, denominato Confraternita Rosa Croce. Il documento venne
seguito l'anno successivo da un ulteriore manifesto dal titolo Fama
Fraternitas R. C. Ambedue gli scritti lanciavano un appello a tutti gli
studiosi di cabala e occultismo di concorrere a formare una società segreta,
che potesse aiutare la rinascita dell'umanità e all'epoca apparvero come
anonimi, ma la loro paternità come quella (certa) del successivo libro
alchemico, Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz, pubblicato nel 1616,
venne attribuita al pastore luterano Johann Valentin Andreae, che, secondo
lo storico Paul Arnold, smentì di averli scritti ed anzi dichiarò, in
seguito, di aver concepito Le nozze chimiche per ridicolizzare un diffuso
interesse dell'epoca verso l'occultismo.
Tuttavia altre interpretazioni moderne propendono proprio per un diretto
coinvolgimento di Andreae, sebbene mediato da una stesura, a più mani, dei
sopraccitati testi concepita all'interno del cosiddetto Cerchio di Tubinga,
un circolo mistico-occultista di circa trenta aderenti, comprendenti, fra
gli altri, lo stesso Andreae, Tobias Hess (1558-1614), Johann Arndt, Wilhelm
von Wense (m. 1641), Tobias Adami (m. 1643) e Christophe Besold (1577-1638),
amico fraterno di Andreae.


Definizione di rosacrociano
Secondo Franz Hartmann, il rosacrociano è "una persona che mediante il
processo di risveglio spirituale, ha ottenuto una conoscenza pratica del
significato segreto della Rosa e della Croce (..) Chiamare una persona
rosacrociana non significa fare di lui un rosacrociano. Il vero rosacrociano
non può essere creato; egli deve crescere per diventarlo mediante
l'espansione del potere divino nel suo cuore".
Le idee dei rosacrociani nacquero da un immenso crogiolo nel quale erano
confluiti: il pensiero di Traiano Boccalini (1556-1613), autore di un testo
satirico chiamato Ragguagli di Parnasso, tradotto da Besold; le visioni
utopiche del filosofo domenicano Tommaso Campanella, i cui scritti furono
portati in Germania da Tobias Adami nel 1613; le profezie di Gioacchino da
Fiore; i mistici tedeschi del XIV secolo come Johannes Tauler e Johannes
Eckhart e scienze occulte come la cabala, l'alchimia e l'ermetismo.


La leggenda di Christian Rosenkreuz (1378-1484)
I manifesti facevano quindi riferimento a questa misteriosa fratellanza, di
tipo occultistico, cabalistico, e teosofico, fondata da un nobile tedesco,
filosofo ed ex monaco, Christian Rosenkreuz, che sarebbe vissuto ben 106
anni tra il 1378 ed il 1484. Egli, viaggiando tra Damasco, Cairo,
Gerusalemme e Fez, sarebbe stato iniziato da alcuni sapienti arabi, che
erano stati in grado di rivelargli tutti i segreti della sua vita, passata,
presente e futura, e di guarirlo da una grave malattia con l'aiuto della
Pietra Filosofale.
Al ritorno in Germania, egli avrebbe fondato, nel 1407, un ordine
rosacrociano con tre, in seguito otto, confratelli e sarebbe vissuto ancora
77 anni. La sua tomba sarebbe rimasta celata fino alla sua riscoperta nel
1604, da cui l'aumentato interesse nei confronti del suo ordine all'inizio
del XVII secolo.
Oggigiorno la tesi che Rosenkreuz sia un personaggio storicamente esistito è
la meno accreditata, perfino tra i moderni rosacrociani. Altri autori
propendono per l'ipotesi che il nome copra, attraverso uno pseudonimo, un
personaggio storico in vista, secondo alcuni Francesco Bacone (1561-1626),
secondo altri Cornelius Agrippa di Nettesheim, oppure, più probabilmente,
che tutta la vicenda vada letta in senso strettamente allegorico.


Primi passi del rosacrocianesimo
Comunque il riferimento nei manifesti ad una supposta società segreta
provocò una grande eccitazione in tutta l'Europa (soprattutto in Francia,
Inghilterra, Austria e Paesi Bassi): famosi occultisti, come l'inglese
Robert Fludd (1574-1637) o il tedesco Michael Maier (1568-1622), o perfino
il grande filosofo francese René Descartes (Cartesio)(1586-1654), chiesero
pubblicamente di essere contattati dai misteriosi rosacrociani o, meglio,
affermarono addirittura di essere già entrati nella società. Un po' ovunque
sorsero gruppi auto-nominatisi rosacrociani, anche se poi nessuno riuscì a
trovare fisicamente i rosacrociani, per il semplice motivo che essi, come
società segreta strutturata, non esistevano proprio.
Nel frattempo, nel 1616, gli stessi autori (il precedentemente citato
circolo di Tubinga), spaventati dall'incredibile impatto dei loro manifesti
e dalle reazioni negative delle chiese ufficiali, decisero di non uscire
allo scoperto e di osservare il più rigoroso anonimato, abbandonando quindi
alla riprovazione pubblica Andreae, l'unico tra loro che aveva avuto il
coraggio di firmare un testo.
E rapido arrivò il declino: già dal 1619 i principali occultisti,
interessati al movimento, iniziarono a dissociarsi e lo stesso Andreae,
indispettito per il voltafaccia dei suoi ex amici, pubblicò, tra il 1617 ed
il 1618, l'Invitatio ad Fraternitatem Christi (Invito alla Confraternita di
Cristo), dove egli cercò di lanciare, in contrapposizione al
rosacrocianesimo, un movimento innovatore, una specie di "Città Cristiana"
(Christianopolis), una Nuova Gerusalemme posta direttamente sotto la
protezione di Dio.
Nel 1628, dopo una pausa forzata a causa di un periodo della Guerra dei
Trent'anni (1618-1648), scrisse un nuovo manifesto Verae unionis in Christo
specimen, nel quale, attaccando Calvinisti, Anabattisti, Schwenckfeldiani, e
i suoi ex-amici rosacrociani, egli esortava alla formazione di una Società
Cristiana.
L'ultimo episodio avvenne in Olanda, quando il pittore e alchimista Johannes
Symonsz van der Beeck (o Beke) (nome umanistico: Torrentius) (1589-1644),
venne imprigionato il 30 agosto 1627 e processato: lo sfortunato pittore era
probabilmente solo un libertino e gaudente, ma venne considerato il leader
della Rosa Croce olandese. Fu torturato e venne condannato come
bestemmiatore e per aver praticato l'alchimia, con un suo amico, tale
Christiaen Coppens, addirittura al rogo, pena poi trasformata in carcere per
vent'anni. Per fortuna, grazie al re d'Inghilterra Carlo I (1625-1649), suo
ammiratore, Torrentius venne rilasciato dalla prigione nel 1630 ed emigrò in
Inghilterra, ritornando dopo qualche anno in patria, dove morì ad Amsterdam
nel 1644.


Rosa croce e massoneria
E proprio in Inghilterra la Rosa Croce non tramontò mai definitivamente, ma
i suoi ideali vennero inglobati nella nascente massoneria speculativa.
Tradizionalmente si considera l'elemento di passaggio tra queste due scuole
di pensiero il grande alchimista, antiquario e astrologo Elias Ashmole
(1617-1692), pubblico difensore della Rosa Croce nel 1650 e massone dal
1646, sebbene in generale, intorno alla metà del XVII secolo, ci fu un
rifiorire di pubblicazioni rosacrociane, come la traduzione in inglese, a
cura di John Heydon (n. 1629), della Fama Fraternitatis nel 1652 o i testi
alchemici, di ispirazione rosacrociana, di Thomas Vaughan (1622-1665), che
scriveva sotto lo pseudonimo di Eugenius Philalethes.
In seguito l'influenza dei Rosa Croce fu rilevante sulla massoneria degli
anni 1720-1730 e divenne parte degli alti gradi massonici: il 18° grado del
rito scozzese si denomina, per l'appunto, Principe di Rosa Croce. Verso il
1757 il tedesco Hermann Fictuld (m. 1777) fondò la Confraternita della Rosa
Croce d'Oro, ma nei metodi e nei rituali, oramai questa era più un ordine
massonico, che un diretto discendente degli anni della Fama Fraternitatis.
Nel 1866 il funzionario della Grande Loggia d'Inghilterra, Robert Wentworth
Little (1840-1878) fondò la Societas Rosicruciana in Anglia, aperta ai soli
massoni cristiani trinitari, ma anche in Francia ci fu nel
XIX secolo un rinnovato interesse per il rosacrocianesimo, alimentato dai
lavori dell'occultista Eliphas Levi (1810-1875), che ispirarono la
fondazione dell'Ordine Cabalistico della Rosa-Croce nel 1887, voluta dagli
occultisti Stanislas de Guaita (1861-1897), Gérard Encausse, detto Papus
(1865-1916) e Joséphin Péladan (1858-1918). Quest'ultimo fondò poi, nel
1890, l'Ordine della Rosa-Croce Cattolica del Tempio e del Graal.


I rosacrociani oggigiorno
Oggi i principali gruppi rosacrociani sono otto, derivati spesso da ambienti
massonici o teosofici americani e quasi tutti caratterizzati dall'offerta di
corsi (spesso per corrispondenza) di astrologia, occultismo ed esoterismo e
dalla stampa di un proprio periodico.