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LE ERESIE NELLA STORIA DELLA CHIESA
Testi tratti dal sito: www.eresie.it di Douglas Swannie

GLI ERETICI - STORIA E PERSONAGGI

(San) Giovanni Cassiano (ca. 360-ca. 435) e semipelagianismo e massiliani



La vita
Giovanni Cassiano nacque in Provenza ca. nel 360 da famiglia molto
benestante e ricevette in gioventù un'ottima educazione.
Ancora giovane, decise con un suo amico, tale Germano, di visitare i luoghi
sacri in Palestina, soggiornando lungamente in Betlemme. Tuttavia a colpire
profondamente C. fu soprattutto una visita ai più famosi eremi del deserto
egiziano, dove conobbe e divenne probabilmente discepolo di Evagrio Pontico,
il grande ispiratore del monachesimo orientale.
Dall'Egitto, C. si trasferì a Costantinopoli, dove diventò allievo di San
Giovanni Crisostomo, patriarca della città, il quale lo nominò diacono e
tesoriere della cattedrale.
Tuttavia, nel 403, Crisostomo fu condannato all'esilio ad Antiochia e poi
nel Ponto, dal sinodo di Ad Quercum, cioè la Quercia, sobborgo di
Costantinopoli, in seguito ai loschi maneggi del suo acerrimo avversario,
Teofilo, patriarca di Alessandria.
Per perorare la causa di Crisostomo, C. fu inviato presso Papa Innocenzo I
(401-417) a Roma, dove fu successivamente ordinato sacerdote.
Nel 415, C. fondò a Marsiglia due monasteri, uno per uomini, intitolato a
San Vittore, e l'altro per donne, sull'esempio di quelli egiziani, ed in
Provenza visse per il resto della sua vita, scrivendo i suoi due libri, De
institutis coenobiorum e Collationes, rispettivamente un trattato di regole
monastiche ed una serie di conversazioni di C. con eremiti egiziani.
C. morì nel 435 ca.
Benché non sia stato mai canonizzato dalla Chiesa Cattolica, tale lo
considerarono due papi: San Gregorio Magno (590-604) e Urbano V (1362-1370),
quest'ultimo ex abate di San Vittore di Marsiglia.
Inoltre venne nominato santo dalla Chiesa Greca e a Marsiglia viene
celebrato la sua festa il 23 Luglio.


La dottrina del semipelagianismo
C. venne considerato il fondatore dell'eresia (condannata, per la verità, in
maniera definitiva quasi 100 anni dopo la sua morte) conosciuta come
semipelagianismo, tentativo ingegnoso di mediare le posizioni del
Pelagianismo e quelle espresse da Sant'Agostino.
Se i pelagiani affermavano che, con la propria volontà (liberum arbitrium) e
per mezzo di preghiere ed opere buone, l'uomo poteva, senza l'intervento
della Grazia divina, evitare il peccato e giungere alla salvezza eterna, ed
gli agostiniani affermavano che, al contrario, senza l'intervento della
Grazia divina, l'uomo non poteva salvarsi; C. predicò che l'uomo non poteva
salvarsi senza la Grazia divina, tuttavia doveva decidere di vivere in
maniera virtuosa, prima che Dio concedesse la Sua Grazia.
In questa maniera, secondo C., sia la volontà dell'uomo che la Grazia divina
erano importanti per la salvezza, tuttavia la predestinazione eterna era più
legata alla volontà umana, fondamentale per l'ottenimento successivo della
Grazia.


Il semipelagianismo e i massiliani
Le dottrine di Giovanni Cassiano furono propagandate dai monaci di San
Vittore in Marsiglia, che dal nome latino della città furono denominati
massiliani.
Essi, partendo da una iniziale posizione neutrale verso Sant'Agostino,
diventarono man mano suoi avversari. Agostino impiegò gli ultimi anni della
sua vita per confutare le loro tesi, tuttavia, nel 430, durante l'assedio di
Ippona da parte dei Vandali, egli morì. La lotta contro i massiliani fu
ereditata dal suo discepolo Prospero di Aquitania senza particolare fortuna,
visto che per tutto il V secolo, il semipelagianismo rimase la dottrina più
diffusa in tutta la Gallia.
Di questo periodo l'esponente più autorevole fu Fausto, vescovo di Riez.
Nel VI secolo, tuttavia, una nuova confutazione fu elaborata da San
Fulgenzio, vescovo di Ruspe (in Nord Africa), il "novello Sant'Agostino",
che, esiliato in Sardegna dal re ariano dei Vandali, Trasmundo,  scrisse una
confutazione delle tesi di Fausto, accelerando la fine della dottrina
semipelagianista.
Questa era difesa all'epoca da Cesario, vescovo di Arles, il quale fu
attaccato dapprima nel sinodo di Valence del 528, ma soprattutto nel secondo
sinodo di Orange del 529.
Quest'ultima congregazione condannò il semipelagianismo, oltre al
pelagianismo, come eresia e le sue conclusioni furono ratificate nel 530 da
Papa Bonifacio II (530-532).


Massimilla (profetessa montanista) (m. 179)



Profetessa montanista, Massimilla iniziò la predicazione assieme a Montano e
a Priscilla nel 156 (o 157) a Pepuza (in Frigia).
Varie frasi di M. sono state riferite dai Padri della Chiesa come non
ascoltate me, ma Cristo, significativo del fatto che la profetessa riteneva,
durante le estasi tipiche del montanismo, di essere l'incarnazione di Cristo
stesso.
Queste estasi profetiche preoccuparono non poco i vescovi cattolici, come
Zotico di Cumana e Giuliano di Apamea, i quali cercarono di esorcizzare M.,
in quanto la credevano posseduta, ma furono fermati in tempo dal confessore
di M., tale Temisone.
A quest'ultimo (come anche ad un altro personaggio di nome Alessandro) fu
malignamente attribuito il ruolo di amante di M: un palese attacco dei
cristiani ortodossi al precetto montanista dell'assoluta castità.
M. morì nel 179 e profetizzò (erroneamente) dopo di me, non ci saranno più
profetesse, ma solo la fine, una ennesima profezia dell'imminente parusía
(seconda venuta di Cristo), che nonostante l'evidente inesattezza, non tolse
certo popolarità al movimento montanista.


Mather, Cotton (1663-1723) e la caccia alle streghe a Salem



Uno degli episodi più truci di intolleranza accaduti nelle colonie inglesi
nel New England fu quello della caccia alle streghe a Salem, nella colonia
del Massachusetts Bay, esplosa improvvisamente nell'estate 1692. Il fenomeno
della caccia alle streghe era purtroppo ricorrente nella storia delle
religioni: basta ricordarsi gli episodi di streghe in Irlanda del 1380.
Una parte non trascurabile in questa vicenda lo ebbe la pubblicazione nel
1689 del libro Memorable Providences (atti della Provvidenza degni di
memoria), scritta dal pastore Cotton Mather, i cui sermoni, assieme a quelli
del padre Increase Mather, infiammarono gli animi più del dovuto.


Increase e Cotton Mather
Increase Mather nato nel 1639, dal 1664 fu ministro di culto della North
Church a Boston e, dal 1685, presidente dell'università di Harvard. Morì nel
1723.
Il figlio Cotton Mather, nato nel 1663, ebbe il nome di battesimo dal
cognome del nonno materno, il famoso predicatore puritano John Cotton,
mentore spirituale di Anne Hutchinson. Egli si laureò ad Harvard nel 1678,
fu assistente ministro di culto nella chiesa del padre, e morì solo quattro
anni dopo quest'ultimo nel 1727.
Nel 1689 Cotton pubblicò il suo libro, che descriveva un caso di presunta
stregoneria avvenuta a Boston l'anno precedente: tre bambini avevano
iniziato a comportarsi in maniera strana dopo un litigio con una lavandaia
irlandese di nome Mary Glover, che, secondo Cotton, aveva lanciato un
sortilegio sui minori. L'intollerante Cotton era così convinto della
presenza della stregoneria da dichiarare che si sarebbe subito spazientito
con chiunque avesse osato negare l'esistenza dei diavoli o delle streghe.


La caccia alle streghe di Salem
Nel gennaio 1692, due bambine di Salem (nel Massachusetts), Elizabeth Parris
ed Abigail Williams, iniziarono a comportarsi in modo strano, con bestemmie,
attacchi epilettici, stati di trance. Dopo pochi giorni questo comportamento
si estese ad altre ragazzine della cittadina. Vista l'impossibilità dei
medici di diagnosticare il tipo di malattia (oggigiorno il fenomeno sarebbe
stato probabilmente diagnosticato come una miscela di epilessia, senso di
colpa e stato di depressione adolescenziale), il padre di Elizabeth, il
pastore Samuel Parris, trovò delle similarità tra l'episodio della figlia e
quello descritto nel suddetto libro di Cotton Mather e accettò la
discutibile tesi di un medico locale che fosse stato un intervento
soprannaturale di Satana.
Ben presto si trovò il capro espiatorio: la schiava caraibica di Parris,
Tituba e altre due donne, la mendicante Sarah Good e l'anziana e litigiosa
Sarah Osborne, ma, mentre queste ultime due protestarono la loro innocenza,
Tituba peggiorò la sua situazione, riferendo di incontri con un uomo alto di
Boston (ovviamente Satana per i giudici) e dell'esistenza di una
cospirazione di streghe a Salem.
Tra marzo e giugno, il caso si allargò a macchia d'olio: centinaia di
persone furono accusate di stregoneria e decine e decine di esse languirono
in prigione per mesi senza processo.
Il governatore Phips decise di istituire un tribunale per decidere sul caso,
ma Cotton Mather riuscì ad influenzare il parere di tre giudici sui cinque
preposti ad organizzare i processi, esortandoli a considerare valide le
prove soprannaturali e di dare massimo rilievo alle confessioni delle
streghe.
La prima vittima fu Bridget Bishop, una anziana donna accusata di mandare in
giro il proprio fantasma per tormentare le persone e di potersi trasformare
in un gatto: Bridget fu impiccata il 10 giugno 1692.
Seguì un impiccagione di cinque donne il 19 luglio, tra cui una pia donna,
tale Rebecca Nurse, in un primo momento assolta, ma successivamente
condannata a causa di indegne pressioni da parte dei giudici sulla giuria.
E non solo donne vennero condannate a morte: persero la vita sia John
Proctor, un taverniere, ironia della sorte!, intransigente contro la
stregoneria [la sua vicenda ispirò il drammaturgo Arthur Miller nella sua
opera The Crucible (La prova del fuoco)], che l'ex pastore del villaggio,
George Burroughs, che si difese strenuamente, protestandosi innocente fino
all'ultimo e dimostrando il 19 agosto, davanti alla forca, di conoscere il
Padre Nostro perfettamente (si supponeva che le streghe non fossero in grado
di recitarlo): solo l'intervento dell'implacabile Cotton, giunto
appositamente, il quale affermò che spesso il Diavolo poteva trasformarsi in
un Angelo di Luce, fece proseguire l'esecuzione capitale.
Una sola vittima non fu impiccata, ma la sorte riservatale fu anche peggio:
si trattava dell'ottantenne Giles Corey, il quale si rifiutò di farsi
processare. La pena in questo caso fu tremenda: fu fatto schiacciare da
pesanti lastre di pietra, mentre, tre giorni dopo, la moglie e altre otto
presunte streghe furono impiccate. Furono le ultime vittime di questo
attacco di isteria collettiva: in tutto furono uccise 20 persone e altre 4
morirono in carcere.
Solo in autunno la voglia di spargere sangue passò di colpo e iniziarono a
circolare lavori che criticavano i metodi addottati e perfino uno dei più
accaniti, il padre di Cotton, Increase Mather scrisse un lavoro intitolato
Cases of Conscience (casi di coscienza), nel quale affermò che era meglio
che dieci presunte streghe fossero rilasciate piuttosto che un innocente
fosse condannato.
Ma il lavoro che diede un colpo mortale alla credibilità dei Mather fu la
pubblicazione nel 1700 del More wonders from the invisible world (altre
meraviglie dal mondo invisibile) del mercante di tessuti Robert Calef
(1648-1719), il quale dipinse l'operato di Cotton Mather come così
spietatamente crudele e palesemente tendenzioso che a quest'ultimo venne
negata la presidenza di Harvard e a nulla servì il rogo pubblico (nel
cortile del college di Harvard) di questo libro, organizzato da un
inviperito Increase.


Cibo (o Cybo), Caterina, duchessa di Camerino (1501-1577)



Introduzione
Nei circoli evangelici di Juan de Valdés, intorno al 1540, furono sempre
molte attive diverse nobildonne, tra cui Vittoria Colonna, Giulia Gonzaga,
Isabella Bresegna (moglie di don Garcia Manrique, governatore di Piacenza) e
Caterina Cibo (o Cybo), moglie di Giovanni Maria da Varano, duca di
Camerino.
Caterina Cibo (o Cybo) nacque il 13 settembre 1501 a Ponzano, vicino a
Firenze, quartogenita di Franceschetto Cybo, Conte Palatino del Laterano e
di Ferentillo, Signore di Anguillara e Cerveteri (1449-1519), e di Maddalena
de' Medici (1473-1519), e quindi nipote del famoso nonno Lorenzo il
Magnifico (duca: 1469-1492) e dell'altrettanto noto zio, Giovanni Medici,
poi Papa Leone X (papa: 1513-1521).


Il ducato di Camerino nel XVI secolo
Nel XVI secolo, nel breve volgere di 43 anni, la minuscola signoria di
Camerino ha avuto una storia molto tormentata: nel 1502 era stata
conquistata da Cesare Borgia (1474-1507), il famoso Valentino, che aveva
fatto strangolare in carcere il Signore Giulio Cesare da Varano (1434-1502)
e i suoi figli maschi Annibale, Venanzio e Pirro. Si era salvato solo
l'ultimogenito Giovanni Maria da Varano (1481-1527), che, nel 1503 [alla
morte del papa Alessandro VI (1492-1503), padre e protettore di Cesare
Borgia] poté rientrare in possesso delle sue terre.
Nel 1520 Caterina Cibo si sposò con il sopramenzionato Giovanni Maria da
Varano, che dal matrimonio ottenne enormi vantaggi, tra cui l'elevazione a
ducato degli antichi possedimenti e la trasmissibilità in via ereditaria del
relativo titolo.
Purtroppo Giovanni Maria morì di peste nel 1527 e, nonostante una momentanea
invasione, poi respinta, del ducato da parte dei soldati del capitano di
ventura Sciarra Colonna (m. 1545), la vedova dovette impegnarsi nel
difficile compito di governare il ducato fino al 1534, come reggente
dell'unica figlia minorenne Giulia da Varano (1524-1547).
In quell'anno C. passò il comando al genero Guidobaldo II della Rovere
(1514-1574), duca di Urbino, che unì i due possedimenti fino al 1539, anno
in cui, dietro risarcimento di 78 mila ducati d'oro, convinse la moglie
Giulia a rinunciare ai suoi diritti sul Ducato di Camerino, a favore di
Ottavio Farnese (1524-1586), nipote di Paolo III (papa:1534-1549): il
Farnese, a sua volta, lo tenne fino al 1545, passandolo definitivamente allo
Stato della Chiesa, a fronte dell'acquisizione del ducato di Parma, Piacenza
e Guastalla.


C. e la nascita dell'ordine dei cappuccini
Nel 1525 un frate marchigiano, fra Matteo da Bascio (m. 1552), in seguito ad
una visione di San Francesco, decise di osservare la regola francescana in
modo più radicale, dando luogo alla riforma cappuccina. Fece modificare
l'abito dei frati minori, si recò a Roma ed ottenne dal Papa Clemente VII
(1523-1534) di osservare la nuova regola e di poter vestire l'abito che
aveva modificato.
Ma ci furono molti ostacoli e resistenze all'interno della Chiesa, finché
nel 1528 i fratelli Ludovico e Raffaele Tenaglia da Fossombrone chiesero un
deciso intervento della duchessa di Camerino presso il cugino di lei,
Giuliano de' Medici, proprio il papa Clemente VII.
Con la bolla Religionis zelus del 3 luglio 1528, Clemente VII accettò il
nuovo ordine, denominato Ordine dei Frati Minori Cappuccini, il quale ebbe
un tale successo che dovette essere ristrutturato, dividendosi in province,
come l'originale Ordine dei Frati Minori. Nel 1534, entrò nell'ordine il
francescano senese Bernardino Tommassini, detto Ochino, che assurse ai
massimi livelli, diventandone vicario generale nel 1538, e che fu molto
ammirato dalla stessa C.


C. valdesiana
Dal 1535, dopo aver ceduto il ducato al genero Guidobaldo II della Rovere,
C. decise di trasferirsi a Firenze, dove iniziò a frequentare gli ambienti
evangelici, ispirati a Juan de Valdés. Qui conobbe Pietro Carnesecchi e
Marcantonio Flaminio, con il quale ebbe nel 1541 diversi incontri e
conversazioni sulla giustificazione per fede: Flaminio le scrisse anche due
lettere, da cui si evince una perfetta identità di vedute spirituali.
Inoltre a lei fu dedicato un sonetto (Donna, che, come chiaro a ciascun
mostra .) di Benedetto Varchi del 1547/48, che esaltava Valdés, Vittoria
Colonna e Pietro Bembo come cercatori fortunati sulla strada della salvezza
eterna dell'anima.
Nel 1541 Ochino, che da tempo frequentava i circoli evangelisti, uscì allo
scoperto con una vigorosa predica a Venezia, contenente una appassionata
difesa di Giulio della Rovere ("un predicatore del puro evangelio"),
arrestato durante la Quaresima dello stesso anno. Egli fu convocato a Roma
dall'inquisizione di Papa Paolo III, ma nell'estate 1542, dopo una breve
sosta a casa di C., dove gettò il saio, si rifugiò in Svizzera, dapprima a
Morbegno, poi a Ginevra.
Negli anni successivi, dopo questa clamorosa fuga di Ochino e la crescente
repressione degli evangelici italiani, la C. mantenne uno stretto
atteggiamento nicodemitico, per esempio rinunciò a raccogliere intorno a sé
un circolo di ispirazione valdesiana, tant'è che tuttora rimane incerta la
definizione della sua fede religiosa: si ipotizza che avesse aderito al
calvinismo.
C. morì nel 1577.


Segalelli (o Segarelli o Sagarelli o Cicarelli), Gherardo (o Gherardino) (m.
1300) e apostolici



La vita
Gherardo Segalelli nacque a Segalara, vicino a Ozzano Taro (Parma) nel 1240
circa. Era un uomo di bassa estrazione sociale: nel 1260, l'anno delle
flagellazioni di massa, che lo lasciarono profondamente colpito, S. chiese
di essere ammesso al convento dei Frati Minori di Parma, ma ne fu respinto.
Decise allora di seguire autonomamente una propria strada di povertà
francescana: vendette i suoi averi, donando il ricavato ai poveri e si
lasciò crescere barba e capelli e si vestì con una tunica grezza, un
mantello bianco e dei sandali.
A questo punto, egli iniziò una vita di rinunce ad ogni possesso e di
predicazione del messaggio evangelico. Ebbe un notevole successo
particolarmente tra la popolazione più umile, non solo a Parma, ma in tutta
l'Emilia Romagna e oltre, e i suoi seguaci, i fratres et sorores apostolicae
vitae o semplicemente apostolici o "minimi" (come definivano sé stessi per
distinguersi dai Minori), diventarono molto più popolari degli stessi
predicatori francescani.
Tutto ciò allarmò la Chiesa ufficiale e il Papa, Gregorio X (1271-1276),
stabilì, nel 1274 al II Concilio di Lione, la proibizione di fondare nuovi
movimenti religiosi mendicanti e l'obbligo per quelli esistenti di confluire
in organizzazioni ufficialmente approvate dal clero.
Poiché gli apostolici non si adeguarono a queste direttive, furono
condannati per due volte: nel 1286 con la bolla papale Olim felicis
recordationis  e nel 1287 con il Concilio di Würzburg, ambedue voluti da
Papa Onorio IV (1285-1287), preoccupato per il diffondersi della setta. In
seguito a questa ultima condanna S. fu imprigionato a Parma, ma fu
successivamente rilasciato dal vescovo parmense Obizzo Sanvitali, segreto
ammiratore di S. e degli apostolici. Secondo il cronista d'epoca Fra
Salimbene de Adam, questo perché il vescovo si divertiva con S. come se egli
fosse stato il suo sciocco giullare di palazzo, ma questa versione dei fatti
è sicuramente una forzatura propagandistica, visto l'atteggiamento
estremamente ostile e prevenuto che Salimbene ebbe nel descrivere il
movimento degli apostolici.
Anche il successore di Onorio IV, Papa Niccolò IV (1288-1292) rinnovò nel
1290 la condanna della setta, ma solo nel 1294 il S. fu nuovamente messo in
prigione, da cui comunque riuscì a fuggire poco dopo.
Tuttavia, sei anni dopo, con a Roma un Papa, Bonifacio VIII (1294-1303), non
certo tenero con i predicatori "irregolari" e senza la protezione di Obizzo
diventato nel frattempo vescovo di Ravenna, S. fu catturato, processato
dall'inquisitore Manfredo da Parma e bruciato sul rogo a Parma il 18 Luglio
1300.


La dottrina
A dir la verità, il movimento degli apostolici non aveva una vera e propria
dottrina: essi non predicavano una nuova interpretazione del Vangelo come i
valdesi, non contestavano il clero corrotto come i patarini, non erano
eretici dualisti come i catari.
Il loro principale riferimento evangelico era il brano degli Atti degli
Apostoli (2,44-45): E tutti quelli che avevano creduto stavano insieme e
avevano tutto in comune. Vendevano poi le proprietà e i beni e ne
distribuivano il ricavato a tutti, secondo che ognuno ne aveva bisogno.
Gli apostolici conducevano quindi una vita semplice fatta di digiuni e
preghiere, spesso lavorando per guadagnare il cibo, altrimenti vivendo di
carità, e predicando con frequenti richiami al pentimento. Infatti il loro
motto era Penitentiam agite (fate penitenza), corrotto poi in Penitençagite!
Essi non avevano neppure un vero capo perché S. si rifiutò sempre di
rivestire questo ruolo nel movimento, permettendo così anche l'avvento di
nuovi capi auto-proclamatisi, come Matteo di Ancona e Guido Putagio, che
portarono scompiglio e divisioni interne al movimento.
Quello che scandalizzò però la Chiesa era, per una società cattolica
abbastanza angosciata e ossessionata dal peccato del sesso, che il movimento
degli apostolici fosse formato sia da donne che da uomini, i quali non
davano alcun valore alla castità (come i Fratelli del Libero Spirito), che
la cerimonia di accettazione di nuovi seguaci (donne e uomini) prevedesse
che si spogliassero nudi in pubblico (ma lo aveva fatto anche San
Francesco!), perché essi dovevano seguire nudi il Cristo nudo. E, a parte il
non aver ottemperato alle disposizioni del II Concilio di Lione in tema di
nuovi movimenti religiosi, fu solo sulla base di accuse, spesso fantasiose,
di fornicazione, oscenità, sodomia e quant'altro che gli apostolici furono
perseguitati.


Gli apostolici dopo la morte del fondatore
La setta degli apostolici fu duramente perseguitata come il suo fondatore:
già nel 1294 furono bruciati i primi quattro apostolici e nei processi del
1299 si cercò di reprimere nel sangue questo movimento che tanto
scandalizzava la Chiesa.
Tuttavia da quel momento di grande difficoltà per gli apostolici uscì quel
leader, Fra Dolcino da Novara, che fece fare un salto di qualità al
movimento e tenne in scacco per sette anni le forze avversarie messe in
campo durante una vera e propria crociata, indetta dal Papa Clemente V
(1305-1314).
Morto Dolcino nel 1307, si registrarono ancora apparizioni episodiche degli
apostolici nel 1315 in Spagna, nel 1318 ed infine un'ultima citazione nel
Concilio di Narbona del 1374.


Matthys (o Matthijsz o Mathussen o Mathis), Jan (m.1534) e la dittatura di
Münster



Jan Matthys
Jan Matthys, un fornaio di Haarlem (Olanda) di cui non si sa niente prima
della sua conversione, venne avviato all'anabattismo da Melchior Hofmann nel
1532, durante un viaggio di quest'ultimo in Olanda.
Precedentemente, nel dicembre 1530, a causa dell'arresto ed esecuzione di
Jan Trijpmacher e altri nove anabattisti, Hofmann aveva prudentemente
ordinato agli adepti un arresto temporaneo (Stillstand) di tutte le attività
religiose per due anni, ma M., appena convertito, si mise in luce
contestando da subito l'ordine di sospensione.
Del resto, il fornaio di Haarlem, privo di cultura, era molto fanatico e
intransigente, di temperamento rozzo e collerico, e tutto compreso nel suo
ruolo di novello profeta apocalittico.
Si recò dapprima ad Amsterdam con la giovane amante (e futura moglie)
Divara, figlia di un birraio ed ex religiosa, e spodestò il predicatore
anabattista Cornelis Polderman, precedentemente riconosciuto come nuovo
Enoch, il profeta citato dall'Apocalisse: M. fece delle incredibili
sceneggiate di collera finché i radicali olandesi della capitale non
riconobbero e accettarono solo lui come capo e profeta.
M. sviluppò quindi il movimento anabattista nel vasto territorio che andava
dall'Olanda fino a Colonia, risalendo la valle del Reno, e inviò a tutti i
fedeli un messaggio fortemente apocalittico, simile a quello di Hofmann (nel
frattempo arrestato a Strasburgo nel maggio 1533), ma con un forte rilievo
dato allo sterminio di tutti gli empi e alla propria figura di profeta di
Dio.
Trascorso poco tempo, gli anabattisti si scordarono dell'infelice Hofmann e
seguirono senza riserve l'esaltato M., che già dal novembre 1533, si poteva
considerare l'unico profeta dell'imminente parusia (la nuova venuta di
Cristo), da lui prevista per la Pasqua del 1534.


M. a Münster
Il 23 febbraio 1534 una circostanza fortunata inviò un segno del destino
atteso da M.: gli anabattisti, durante le elezioni, riuscirono a conquistare
il consiglio comunale di Münster, capitale della Westphalia ed
immediatamente M. vi si trasferì, dichiarando che quella era la Nuova
Gerusalemme dove attendere il ritorno di Cristo. Fu dichiarato borgomastro
Bernhard Knipperdolling, e si misero in luce altri predicatori come il sarto
Jan Bockelson (Giovanni da Leida) e l'ex pastore luterano Bernhard Rothmann.
Furono prese misure radicali, come l'espulsione, anche con la violenza, di
tutti i cattolici e luterani (a fatica Knipperdolling e Bockelson riuscirono
a convincere M. dell'assurdità di massacrarli tutti, come invece il profeta
pretendeva!) e confisca dei loro beni, ribattesimo di coloro che era rimasti
in città, abolizione della proprietà privata, incluso il denaro, falò di
tutti i libri della città eccetto la Bibbia.
M. proclamò la Nuova Sion in terra ed invitò tutti gli anabattisti ad
accorrere a Münster: nonostante che l'ex vescovo, Franz von Waldeck
(vescovo: 1532-1534, m. 1553), oramai cingesse d'assedio la città con le sue
truppe (per la verità non molto numerose): circa 2.500 fedeli risposero
all'appello, tra cui i due fratelli ed ex preti Bernhard ed Hinrich
Krechting, che avrebbero assunto in seguito incarichi ufficiali nel governo
della città.
All'interno della città i capi si spartirono i compiti: M. assunse il
comando della dittatura teocratica, Bockelson il governatorato, Rothmann si
occupò della propaganda e Knipperdolling della difesa. I metodi di M. furono
rapidi e non ammettevano discussioni: quando un fabbro, tale Hubert Ruecher,
osò criticare la gestione di M., fu arrestato e sommariamente ucciso in
pubblico da M. in persona.
Il giorno di Pasqua, 4 aprile 1534, giorno previsto per la fine del mondo,
M. guidò una folle sortita con soli 20 compagni contro le truppe del vescovo
e cercò perfino di arringare i soldati per passare dalla parte degli
assediati, ma fu ucciso da un ufficiale con un colpo di spada al petto.
Successivamente le truppe cattoliche sfogarono la loro rabbia, riducendo in
mille pezzi il corpo senza vita del profeta anabattista.
Come mai M. si decise a questo passo, un vero e proprio suicidio deliberato?
Probabilmente ciò era derivato dalla consapevolezza che nessun aiuto sarebbe
giunto dall'esterno e che l'esperimento di Münster fosse destinato a
fallire. O forse M. era così invasato da pensare che il Padreterno
desiderasse un suo sacrificio per dare luogo alla parusia?


Il regno di Münster
Caduto il profeta M., si poteva ipotizzare che l'intero pazzesco complesso
da lui architettato sarebbe crollato ed invece se ne approfittò Jan
Bockelson per prendere il potere. Ancora più fanatico e sanguinario di M.
stesso, Bockelson fu investito del titolo di profeta di Sion in seguito ad
un quanto mai "opportuno" sogno di Knipperdolling, nel quale Dio in persona
gli aveva comunicato che il nuovo profeta sarebbe stato proprio.l'ex sarto
di Leida.
Questi non rinunciò ad una sceneggiata di fanatismo, pochi giorni dopo,
sotto forma di delirio mistico, nel quale comunicò che il governo della
città sarebbe stato gestito da un consiglio di dodici anziani, che sarebbero
state varate delle nuove leggi molto severe, che ogni insubordinazione
sarebbe stata punita con la morte.
Ma fu soprattutto la pazzesca pretesa, dal luglio 1534, di introdurre la
poligamia obbligatoria, idea che ricordava gli Adamiti e i Fratelli del
Libero Spirito, a minare l'unità degli assediati. Bockelson stesso sposò 15
mogli, tutte giovani e belle, tra cui la vedova di M., Divara, mentre
Rothmann si accontentò di 9 mogli e via di seguito.
La disposizione, imposta con la forza, incontrò una crescente resistenza:
una congiura fu repressa nel sangue e tutte le donne che rifiutavano il
matrimonio forzato venivano orribilmente torturate ed uccise.
In Settembre nuova puntata della farsa di Bockelson: un suo fedelissimo, ex
orefice di Warendorf, raccontò di aver sognato che Dio gli comunicava la
designazione di Bockelson come novello Re Davide del regno della Nuova
Gerusalemme.
L'ex sarto si schermì giusto il necessario per salvare la faccia e poi
dichiarò di accettare, minacciando di morte coloro che si fossero opposti.
Si fece quindi sfarzosamente incoronare, con la sua regina Divara al suo
fianco, circondato da dignitari e guardie del corpo: un bello smacco per la
sincera umiltà e povertà dei primi anabattisti!
Tra ottobre e dicembre 1534 Rothmann scrisse e pubblicò due opuscoli
cercando di sostenere la causa degli assediati, ma i dissidi interni tra gli
immigrati, favoriti da Bockelson, e gli abitanti originari di Münster,
portarono a nuove esecuzioni capitali, a causa dei quali lo stesso
Knipperdolling si ribellò, guidando una congiura per rovesciare il "re":
scoperto fu imprigionato, ma almeno conservò la vita (per il momento) grazie
alla "generosità" di Bockelson.
Oramai le follie sanguinarie di Bockelson erano all'ordine del giorno: una
volta convocò un banchetto per tutti, dove decapitò di persona un mercenario
del vescovo von Waldeck, da poco catturato, e poco dopo, come se nulla
fosse, celebrò la Cena del Signore!
Tuttavia la pazienza del vescovo e dei principi tedeschi della zona era agli
sgoccioli, e dal gennaio 1535 l'assedio divenne rigorosissimo: nulla poteva
passare, neanche i viveri che precedentemente riuscivano a filtrare
attraverso le maglie dell'assedio. La fame avanzò rapidamente e quando finì
il cibo, gli abitanti si misero a mangiare di tutto: cani, gatti, topi,
erbe, scarpe bollite e quant'altro.
Una profezia di Bockelson che a Pasqua sarebbero stati liberati si rivelò la
solita bufala ed in seguito allo scoramento generale, il re dovette lasciar
partire un gruppo di circa 500 persone che desideravano andarsene.
Sfortunatamente gli ordini del vescovo erano di non lasciar uscire nessuno e
quindi la maggior parte degli esuli furono uccisi dai mercenari vescovili.
Era il preludio dell'espugnazione della città avvenuta il 24 giugno 1535
grazie al tradimento di un cittadino di Münster, che apri le porte della
città durante un violento temporale. Le truppe del vescovo poterono quindi
entrare, procedendo ad un massacro sistematico dei difensori, nonostante la
strenua lotta organizzata da Bernhard Krechting.
Furono catturati Bockelson, Knipperdolling e Bernhard Krechting, mentre di
Rothmann non si seppe mai più niente e il solo dei capi a sfuggire fu
Hinrich Krechting, che finì i suoi giorni come ministro calvinista in
Olanda.
I tre prigionieri furono interrogati e torturati per farli invano abiurare.
Infine il 22 gennaio 1536 i tre furono portati sulla piazza del mercato per
essere giustiziati: furono loro strappati pezzi di carne con tenaglie
roventi fino all'agonia, e successivamente finiti a colpi di pugnale. I
cadaveri furono poi appesi in gabbie di ferro sul campanile della chiesa di
san Lamberto.


Luca di Praga (1460-1528), i Fratelli Boemi (Unitas fratrum) ed i Fratelli
Moravi



Il periodo storico
I Fratelli Boemi si inserirono nel periodo storico scaturito in Boemia in
seguito all'approvazione delle Compactata di Basilea, una serie di deroghe
dottrinali, che riproducevano i Quattro Articoli di Praga (concepiti nel
1420 da Jakoubek di Stribo): esse furono concesse agli hussiti dal Concilio
di Basilea (1431-1439) e quindi ratificate nel 1436 dalla Dieta di Iglau
(Jihlava) in Moravia, dove i cattolici e gli hussiti avevano accettato
reciprocamente le Compactata e l'obbedienza al Concilio.
Ma questo compromesso non fu accettato dalla fazione radicale dei taboriti e
si giunse ad una guerra civile tra i moderati utraquisti (momentaneamente
alleati con i cattolici) e i Taboriti stessi, conclusasi con la sconfitta di
questi ultimi nella battaglia di Lipau (o Lipany) del 30 Maggio 1434, dove
fu ucciso anche il loro capo Andreas Prokop.
Due anni dopo, nel 1436, alla Dieta di Iglau (Jihlava) in Moravia, i
cattolici e gli hussiti accettarono reciprocamente le Compactata e
l'obbedienza al Concilio. Fu formata una Chiesa Cattolica boema indipendente
con a capo l'arcivescovo Jan Rokyzana.
Tuttavia l'accordo non portò la sperata pace in Boemia, dove continuarono
nuove lotte interne culminate nel 1448, quando il governatore di Praga,
Giorgio Podiebrad reagì con forza ai tentativi dei cattolici di riprendersi
i beni confiscati durante le guerre hussite e di rievangelizzare la regione
con una attività martellante dei predicatori francescani agli ordini del
Vicario generale, San Giovanni Capistrano (1386-1456).
Podiebrad venne nominato reggente nel 1452 e divenne re di Boemia dal 1458
al 1470, sostenendo attivamente il rito utraquista.


La fondazione dell'Unitas fratrum
Nel 1457 alcuni utraquisti ed i superstiti taboriti si staccarono dalla
Chiesa hussita, formando un movimento separato, denominato Unitas Fratrum
(unità dei fratelli) o Fratelli Boemi, il cui fondatore fu un certo Gregorio
(secondo altri autori, Giorgio), nipote del predicatore utraquista Rokyzana,
ma di cui ebbe parte fondamentale il predicatore Petr Chelcický (1390-1460).
Il movimento ebbe un immediato successo ed aumentarono i suoi adepti fino al
numero di qualche migliaio, ma la sua rapida crescita fu bloccata nel 1461
dall'arresto di Gregorio e di altri attivisti per ordine del re Giorgio
Podiebrad, sempre vigile contro possibili riprese del defunto movimento
taborita.
Infatti, benché rifiutassero la violenza tipica dei taboriti, sviluppando
invece altre caratteristiche, come l'abolizione di ogni grado e gerarchia,
del giuramento, del servizio militare per favorire una vita basata sulla
povertà evangelica, i Fratelli Boemi accettarono alcuni punti tipici dei
radicali hussiti in tema di Eucarestia e Sacramenti.
Per continuare la loro opera essi si rifugiarono a Reichnau, sul lago di
Costanza, dove nel 1467, i F. si fusero con i valdesi boemi nel 1467,
diventando l'Unione dei fratelli boemi-moravi, e dando luogo alla
consacrazione di diversi preti (che dovevano essere celibi e non potevano
avere alcun possesso) e di un vescovo, Mattia di Kunwald.
L'Unione era basata su una severa moralità, sulla quale vigilava un comitato
di anziani, che potevano espellere coloro che si erano macchiati di qualche
peccato o colpa.
Comunque le persecuzioni nei loro confronti da parte di re Giorgio
continuarono fino alla sua morte nel 1471.


Luca di Praga
Luca nacque intorno al 1460 ed divenne baccelliere all'Università di Praga,
affermandosi successivamente come teologo molto preparato.
Dal 1480 circa, Luca fu nominato capo e vescovo dei F. riorganizzandoli come
una vera chiesa: in questo dovette vincere l'opposizione interna
rappresentata dall'ala più conservativa dei Radicali.
Nel frattempo, la Boemia era finita sotto il dominio della dinastia polacca
degli Jagelloni: era infatti diventato re di Boemia (e dal 1490 anche di
Ungheria) Ladislao II (1471-1516), figlio di Casimiro IV di Polonia
(1444-1492).
Ladislao fu alquanto tollerante con i F. e questa cosa permise una loro
rapida espansione (circa 100.000 seguaci), nonostante la persecuzione voluta
da Papa Alessandro VI (1492-1503): fu un vero peccato tuttavia che essi non
sapessero meglio coltivare i rapporti con il re. Infatti nel 1507 quando il
sovrano li invitò ad una conferenza con gli utraquisti a Praga, essi, per
tutta risposta, inviarono degli illetterati maleducati. Questo sgarbo mandò
in bestia il re Ladislao, che iniziò a perseguitare i F. ad iniziare
dall'Editto di San Giacomo del 1508.
Nel 1528 morì il vescovo Luca, che si era sempre posto in maniera
equidistante dai vari pensieri riformatori dell'epoca, come i luterani e gli
zwingliani.
Ne prese l'eredità spirituale Giovanni di Augusta, il quale tentò una
fusione con i luterani nel 1542, ma questa naufragò per una visione troppo
severa della morale dei F., non condivisa da Martin Lutero.
Tuttavia i F. furono lealmente al fianco dei luterani nella lega di
Smalcalda e patirono anche loro le conseguenze della sconfitta nella
battaglia di Muhlberg del 1547 e dovettero accettare o l'esilio in Polonia e
Prussia o di fondersi almeno formalmente con gli utraquisti.
Un periodo di relativa pace si ebbe sotto Massimiliano II d'Asburgo
(1564-1576), che rifiutò le decisioni del Concilio di Trento (1545-1563) per
mantenersi in una posizione neutrale: ne approfittarono i F. per stendere la
Confessio bohemica, l'atto di fede dei F., un documento teologicamente
ancora in una posizione intermedia tra luterani e calvinisti.
Durante il regno dell'imperatore Rodolfo II (1576-1612) fu stillata una
lettera di garanzia delle libertà religiose ai boemi, mentre durante il
regno del successore, il fratello Mattia (1612-1619), avvenne l'episodio
scatenante la Guerra dei Trent'anni: una ulteriore defenestrazione di Praga
degli incaricati cattolici dell'Imperatore.
Ma non erano più i bei tempi di Zizka o Prokop: la guerra vide la secca
sconfitta dei Boemi nella battaglia alla Montagna Bianca del 1620 da parte
delle truppe dell'imperatore Ferdinando II (1619-1637), il quale forzò i F.
a diventare cattolici o ad emigrare: molti scelsero di rifugiarsi in
Ungheria o in Polonia settentrionale, tra cui l'illustre filosofo e pedagogo
Jan Amos Komenski (Comenio) .
Altri F. boemi sopravvissero in clandestinità in Moravia, emigrando
successivamente in Germania, dove intorno al 1730 il conte Nikolaus Ludwig
von Zizendorf (1700-1760) fondò il movimento dei Fratelli Moravi, unendo le
caratteristiche dei F. con quelle del Pietismo di origine luterana.
Oggigiorno la Chiesa Morava, anche grazie ad una intensa opera di
missionariato nelle Americhe, conta nel mondo circa 300.000 fedeli.

Mathis (Matteo o Mattia) di Janow (m. 1394)



Mathis di Janow nacque in Boemia intorno alla metà del XIV secolo e dal 1372
studiò a Praga presso la scuola per la formazione dei predicatori della
comunità "Nuova Gerusalemme", fondata da Jan Milìc.
Successivamente M. completò i suoi studi teologici a Parigi dal 1373 al
1381, rientrando in patria con il titolo di Magister Parisiensis (Maestro di
Parigi).
Nel 1381 fu nominato canonico e confessore della cattedrale di Praga e tra
il 1388 ed il 1392 compose diversi trattati, riuniti in cinque volumi sotto
il titolo Regulae Veteris et Novi Testamenti, nei quali M. criticò gli
eccessi nel culto dei santi, delle immagini sacre e delle reliquie, il
traffico delle indulgenze, l'immoralità diffusa tra gli ecclesiastici. Per
M. l'unica salvezza dalla malvagità, in attesa del ritorno di Cristo per la
battaglia finale contro l'Anticristo, consisteva in frequentissime
confessioni e comunioni, ma questa sua interpretazione della via salvifica
fu condannata nel sinodo di Praga del 1389.
Nel 1391, assieme ad altri discepoli di Milìc, M. fondò la Casa del Pane,
poi Cappella di Betlemme, una comunità religiosa che auspicava un ritorno
all'originale Chiesa di Cristo e degli Apostoli, e che formava i futuri
predicatori nella lingua boema e della quale fu nominato predicatore Jan
Hus.
M. morì a Praga nel 1394.


Maifreda (o Manfreda o Maufreda) da Pirovano (m.1300) (guglielmita)



Maifreda da Pirovano era suora dell'ordine delle Umiliate del convento di
Biassono (vicino a Monza), quando decise di seguire le orme di Guglielma di
Boemia, una oblata (di origini boeme), cioè una laica che viveva in un
monastero, dell'abbazia cistercense di Chiaravalle (vicino a Milano), la
quale viveva secondo l'amore cristiano, i precetti apostolici e la moralità
evangelica, e intorno alla quale era cresciuta rapidamente la fama di santa
guaritrice.
Alla morte di Guglielma nel 1281 o 1282, M. fu considerata la sua erede
spirituale ed investita del titolo di Papessa. Aiutata da Andrea Saramita,
il teologo della setta, M. elaborò un vero e proprio culto della figura di
Guglielma, riempendo le chiese milanesi, come ad esempio Santa Eufemia o
Santa Maria Minore, di immagini della "santa", componendo litanie e inni
dedicati a lei, diffondendo la convinzione che Guglielma fosse stata
l'incarnazione dello Spirito Santo e perfino spargendo la voce di una sua
imminente risurrezione.
Per mascherare il culto agli occhi della Chiesa ufficiale, le immagini di
Guglielma vennero attribuite a Santa Caterina di Alessandria e la sua data
di celebrazione coincise con quella della santa, il 25 Novembre.
Tuttavia M. si spinse troppo in là, quando la domenica di Pasqua del 1300,
ella officiò, con tutti i paramenti sacri come un vero sacerdote, una
solenne messa in onore di Guglielma, dichiarata risorta come Gesù Cristo da
M. stessa.
La cosa venne denunciata e a quel punto il culto di Guglielma non fu più
oggetto di un processo di santificazione, come chiedevano i suoi seguaci, ma
divenne una inchiesta degli inquisitori domenicani Guido da Cocconato e
Ranieri da Pirovano, i quali la condannarono postuma come eretica e fecero
bruciare sul rogo le sue ossa e le sue immagini, tale e quale come, l'anno
successivo, nel 1301, sarebbe successo al culto di Armanno Pungilupo a
Ferrara.
Stessa sorte seguirono M. e il teologo Andrea Saramita, finiti sul rogo a
Milano, nella zona dell'attuale Piazza Vetra, nel 1300.



Unitarianismo (o unitarismo o antitrinitarismo) (XVI - XVII secolo)



Termine teologico per indicare la fede nell'unicità di Dio e nella
contemporanea negazione del dogma della Trinità. Ne consegue anche la
negazione della divinità di Cristo.
L'unitarianismo è stato, a parte l'anabattismo, la terza grande alternativa
nella galassia protestante, oltre al luteranesimo e allo
zwinglianismo/calvinismo.


La storia
La dottrina dell'unitarianismo viene fatta tradizionalmente risalire agli
inizi del Cristianesimo, ed in particolare agli eretici del periodo intorno
al Concilio di Nicene (325), come Ario (infatti gli unitariani furono
proprio chiamati ariani dai loro detrattori), Paolo di Samosata, Noeto di
Smirne, Prassea e Sabellio. Nel medioevo il concetto antitrinitario non
scomparì del tutto, ma rimase nella filosofia di Abelardo e Roscellino.
Venendo al periodo rinascimentale, i primi studiosi ad aver espresso
concetti antitrinitari furono nel 1527 Martin Borrhaus (nome umanistico:
Cellarius) (1499-1564), amico di Martin Lutero, e il predicatore anabattista
Ludwig Haetzer (1500-1529), ma fu soprattutto la pubblicazione a Hagenau, in
Alsazia, nel 1531, del famoso libro De trinitatis erroribus (Gli errori
sulla Trinità) del medico spagnolo Miguel Servet (Michele Serveto) a gettare
nello scompiglio i più famosi pensatori protestanti dell'epoca, da Lutero
("un libro abominevolmente malvagio") a Melantone, Ecolampadio, Bucero.
Quest'ultimo tuonò dal proprio pulpito che l'autore avrebbe meritato di
essere squartato! E proprio in seguito alla pubblicazione di questo libro
tutti i riformatori dell'epoca decisero di rinforzare l'importanza
dottrinale della Santa Trinità. Dopo una vita tribolata da continue
persecuzioni, Serveto finì i suoi giorni, messo al rogo a Ginevra nel 1553
da un altro dei pensatori riformisti, che più lo detestavano, Giovanni
Calvino.
Ma la morte di Serveto fece levare moltissime voci di protesta, tra cui
quelle dei protestanti italiani Giovanni Valentino Gentile, Matteo Gribaldi
Mofa, Giorgio Biandrata e Giovanni Paolo Alciati della Motta, i quali furono
costretti ad emigrare da Ginevra, portando, pur con sfumature diverse, i
germi della dottrina antitrinitaria soprattutto dal 1560 nell'Europa
orientale, cioè in Polonia, Moravia e Transilvania.


Antitrinitari in Polonia
Qui le dottrine antitrinitarie non erano totalmente sconosciute, tant'è vero
che già nel 1538 una anziana donna di 80 anni, Caterina Weygel (o Vogel),
era stata bruciata sul rogo a Cracovia per una sospetta eresia
antitrinitaria. Ma sotto il regno di Sigismondo II Augusto (1543-1572) si
crearono le premesse per lo sviluppo delle idee antitrinitarie in Polonia.
L'antesignano fu Petrus Gonesius (Piotr Z Goniazde), che aveva studiato a
Padova nel 1552-54 con Gribaldi Mofa e da lui era stato convertito.
Già nel secondo sinodo della Chiesa Riformata Polacca (fondata da Jan Laski)
del 1556, Gonesius espresse forti concetti antitrinitari, ma fu solo con
l'arrivo di Giorgio Biandrata e di Lelio Sozzini nel 1558 che la corrente
unitariana trovò dei veri leader e formò una comunità, soprattutto di esuli
italiani, a Piñczòw vicino a Cracovia.
Tuttavia, poco dopo, ci fu per loro un durissimo colpo quando i cattolici,
rappresentati dal nunzio apostolico cardinale Giovanni Francesco Commendone
(1523-1584), convinsero il re Sigismondo II Augusto ad emettere nell'agosto
1564 l'editto di Parczów, che stabiliva l'espulsione di tutti gli stranieri
non cattolici.
Agli antitrinitari italiani, compreso il famoso ex vicario generale dei
Cappuccini, Bernardino Ochino appena giunto in Polonia, non restò che
emigrare in Moravia o in Transilvania.


L'esilio in Moravia
Il margraviato di Moravia, pur facendo parte dei possedimenti assurgici,
godeva di una ampia autonomia, anche in campo religioso. Un esempio pratico
fu l'accoglienza positiva riservata per le comunità di anabattisti, guidati
da Balthasar Hübmaier e Jakob Hutter, perseguitati senza pietà in tutto il
resto dell'Europa.
Austerlitz (Slavkov in ceco), in particolare, fu una città dove fecero capo
diverse correnti religiose dissidenti, compresi gli antitrinitari: nel 1564,
scacciati dalla Polonia in seguito all'editto di Parczów, un gruppo di
antitrinitari italiani, comprendente Niccolò Paruta (che formò in seguito
delle comunità denominate seminaria veritas), Gentile, Alciati della Motta,
Ochino, si recò nella città morava. Furono seguiti nei successivi anni da
altri dissidenti come Marcello Squarcialupi, Andrea Dudith-Sbardellati e
Niccolò Buccella, che man mano, con il miglioramento della situazione
polacca, decisero di rientrare in Polonia.


Ripresa delle attività in Polonia
Già dopo la dieta di Piotrków della Chiesa Riformata Polacca del 1564 che
decretò l'esclusione degli antitrinitari, ci fu una separazione tra una
ecclesia major calvinista ed una ecclesia minor di fede antitrinitaria.
Gli antitrinitari, in quel periodo, si erano frazionati in quattro correnti,
qui riassunti dal nome dei capi-scuola:
Stanislao Farnowski (Farnovius, m.1615): come Gonesio, i suoi seguaci
pensavano che Cristo era pre-esistito alla creazione del mondo e quindi era
giusto adorarlo, ma non adottavano la stessa venerazione per lo Spirito
Santo.  Erano inoltre contrari al battesimo degli infanti. Nel 1568 il
gruppo di Farnowski si separò dalla chiesa unitariana polacca,
concentrandosi in una zona a cavallo del confine con l'Ungheria. La
secessione durò circa 50 anni e, dopo la morte del loro leader, i suoi
seguaci vennero riassorbiti dagli unitari o dai calvinisti.
Martin Czechowic: egli era un ariano molto radicale: Cristo era un uomo come
gli altri, ma essendo nato senza peccato, fu divinizzato e era giusto
adorarlo. Prendendo, come Gonesio, dagli anabattisti, Czechowic si opponeva
al battesimo dei bambini, all'uso delle armi, al coinvolgimento in incarichi
pubblici e alla proprietà privata.
Grzegorz Pawel: il gruppo di Cracovia di Pawel negava sia la pre-esistenza
di Cristo, sia la necessità di adorarlo. Come Gonesio e Czechowic, Pawel
aveva convinzioni anabattiste e in più era un millenarista.
Szymon Budny: per Budny Cristo era un uomo ed era idolatria adorarlo. Venne
scomunicato nonostante il suo vasto seguito in Lituania.
Un punto di svolta fondamentale per l'ecclesia minor fu l'arrivo in Polonia
nel 1579 di Fausto Sozzini, nipote di Lelio, che divenne ben presto la guida
di tutti gli antitrinitariani locali.
Socini pose la sua residenza a Cracovia, sebbene il centro di riferimento
per l'unitarismo polacco fosse la vicina cittadina di Raków, dove era stato
fondato un seminario di studi antitrinitari nel 1569 e dove, tra il 1603 ed
il 1605, sarebbe stato redatto il catechismo ufficiale della setta.
Nello stesso periodo Socini entrò nella polemica tra gli adoranti (al cui
pensiero lui aderiva) e i non-adoranti, come Ferenc Dàvid, Giacomo
Paleologo, Jànos Sommer e Andrea Dudith Sbardellati. (vedi capitolo
"Antitrinitari in Transilvania").
Socini, con il suo De Jesu Christi filii Dei natura sive essentia, attaccò i
non-adoranti come giudaizzanti, che volevano, tra l'altro, santificare il
sabato, secondo un uso sabbatariano, che si sarebbe poi diffuso in
Inghilterra, portatovi proprio dagli unitariani profughi dalla Polonia.
Il pensiero di Socini, fortemente razionale, accettava un solo Dio, mentre
Gesù Cristo era semplicemente un uomo crocefisso, il cui compito era di
rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così la salvezza,
seguendo il Suo esempio. Per lui la Sacra Scrittura, redatta da uomini, non
era indenne da errori, e l'uomo doveva basarsi sulla propria etica per
osservare i comandamenti e non era quindi necessaria la grazia divina. Egli,
inoltre, negava l'esistenza dell'inferno, il peccato originale, la necessità
dei sacramenti, la predestinazione.
Un bel programma in un secolo caratterizzato dal fanatismo religioso degli
opposti estremismi!
Nel 1588 Socini riuscì nell'impresa di unire tutte le fazioni unitariane al
sinodo di Brest (in suo onore, da quel momento gli unitariani si
denominarono sociniani), ma negli anni successivi dovette fronteggiare la
reazione, anche di piazza, dei cattolici: nel 1591 il suo punto d'incontro a
Cracovia fu devastato dalla folla e nel 1598 Socini stesso fu malmenato,
scampando per poco ad un linciaggio.
Egli morì nel 1604 e sulla sua tomba vennero scritte queste significative
parole: Crolli la superba Babilonia: Lutero ne distrusse i tetti, Calvino le
mura, Socini le fondamenta.
Pochi anni dopo, nel 1610, la potente organizzazione gesuita sbarcò in
Polonia decretando il rapido declino degli unitariani in Polonia: nel 1611
fu bruciato sul rogo a Varsavia l'unitariano Jan Tyskiewicz, un agiato
cittadino di Bielsk, e nel 1638 i sociniani furono espulsi da Raków e ne fu
chiuso il seminario.
Il colpo finale per l'unitarismo in Polonia fu il bando di espulsione per
tutti gli unitariani polacchi, deciso nel 1658 e diventato esecutivo il 10
luglio 1660, che li costrinse o ad uniformarsi o ad emigrare in altri paesi
europei (in Olanda, dove la maggior parte si trasferì aderendo alla Chiesa
Arminiana dei rimostranti, in Germania, e in Transilvania, dove però essi
non aderirono alla Chiesa Unitariana Transilvana, ma formarono una chiesa
autonoma a Kolozsvàr estinguendosi nel 1793).
L'ultima sacca di resistenza unitariana in Polonia si estinse nel 1811 e
solo nel 1921 furono riaccettate le congregazioni unitariane nella nazione
rinata dopo secoli di dominazione straniera. Ma la successiva occupazione
nazista nel 1939 e l'instaurazione del comunismo ha fatto sì che
l'unitarianismo polacco potesse incominciare a muovere nuovamente qualche
timido passo solamente dopo la caduta del muro di Berlino, negli anni '90
del XX secolo.
L'attuale Chiesa unitariana in Polonia comprende solo qualche centinaio di
fedeli.


Antitrinitari in Transilvania
Nel 1562 Giorgio Biandrata si recò in Transilvania, a Gyulafehérvár (Alba
Julia), dove fece la conoscenza e divenne amico di Ferenc Dàvid, vescovo
della Chiesa Riformata di Transilvania e cappellano personale del principe
Giovanni II Sigismondo Zapolya (1541-1571). Biandrata fece leggere a Dàvid
una copia della famosa Christianismi restitutio (La restaurazione del
Cristianesimo) di Miguel Serveto, convertendolo all'antitrinitarismo.
Il successivo sinodo nazionale a Gyulafehérvár del 1566 risultò un trionfo
per gli antitrinitari, sottolineato dalla pubblicazione del libro di Dàvid
De vera et falsa unius Dei, Filii et Spiritus Sanctii cognitione (Della
falsa e vera conoscenza dell'unità di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo),
nel quale il riformatore transilvano ridicolizzava la dottrina della Trinità
e perorava la causa della tolleranza religiosa per tutte le fedi.
Questo discorso venne poi ripreso durante la Dieta di Torda nel gennaio
1568, dove  Giovanni II Sigismondo Zapolya riconobbe la piena libertà a
tutte le confessioni religiose: fu la prima dichiarazione, al mondo, di
tolleranza religiosa mai pronunciata da un regnante. Oltre a questo, il re
aderì apertamente all'unitarismo con molti nobili della corte e Dàvid
divenne il capo della Chiesa Unitariana di Transilvania.
Nel 1570 Dàvid entrò in contatto, e ne fu influenzato, con lo studioso
italo-greco Giacomo Paleologo e il suo discepolo locale, il rettore del
ginnasio di Kolozsvár, János Sommer (1540-1574). Paleologo polemizzava con
un altro famoso antitrinitario, Fausto Socini, a riguardo della figura di
Gesù Cristo, che, per il Socini, era un vero uomo crocefisso, il cui compito
era di rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così la
salvezza, seguendo il Suo esempio. Il Paleologo, invece, negava il ruolo di
guida del Cristo, per i fedeli verso la salvezza, e rifiutava,
conseguentemente, ogni forma di adorazione di Gesù Cristo. Per questo, il
Paleologo e i suoi seguaci, tra cui si associò anche Dàvid, vennero
denominati antitrinitari non-adoranti in contrapposizione al pensiero
sociniano di tipo adorante. Alla corrente non-adorante aderì anche l'ex
vescovo cattolico e ambasciatore (di madre italiana) Andrea
Dudith-Sbardellati.
Purtroppo il momento magico per Dàvid finì solo tre anni dopo, nel 1571 con
la morte, a soli 31 anni, di Giovanni II Sigismondo e la salita al trono del
cattolico Stefano I Báthory (1571-1586), che tolse a Dàvid l'incarico di
cappellano personale del re e gli impedì di pubblicare altri scritti. Nel
1579 i suoi nemici riuscirono a farlo arrestare e imprigionare nella
fortezza di Déva dove, a causa del clima rigido e del fisico debilitato,
Dàvid  morì nel novembre dello stesso anno.
La Chiesa Unitariana di Transilvania, fondata da Dàvid, pur attraverso mille
traversie, spietate persecuzioni da parte degli Asburgo cattolici e feroci
pogrom da parte di fanatici ortodossi rumeni, esiste ancora oggi formata da
125 chiese, sebbene divisa dal 1949 in un troncone in Ungheria (25.000
fedeli,) ed uno di etnia ungherese in Transilvania/Romania (circa 80.000
fedeli).


Sociniani in Inghilterra
Attraverso l'Olanda, che accolse molti esuli sociniani, l'antitrinitarismo
giunse in Inghilterra, dove il principale esponente fu John Biddle, preside
del liceo di Gloucester, che pubblicò, nel 1647, il primo trattato
dell'unitarismo inglese, Twelve arguments against the Deity of the Holy
Spirit (dodici ragioni contro la divinità dello Spirito Santo) a uso privato
per pochi amici, uno dei quali lo tradì, facendolo rinchiudere in carcere
nel 1645 per ordine dei magistrati di Gloucester.
Nel 1646 Biddle fu convocato a Londra per essere giudicato da una
commissione di teologi, ma, nell'attesa della sentenza, fu confinato in
prigione a Westminster dove rimase per vari motivi per i successivi 5 anni.
Infatti, imprudentemente, nel 1647, Biddle fece pubblicare le sue Dodici
ragioni, suscitando un putiferio: a gran voce venne chiesta la sua condanna
a morte, prevista anche dalla recentemente approvata (nel 1648) legge
Ordinance for punishing heresies and blasphemies (ordinanza per punire
eresie e blasfemie), ma nel 1652, grazie alla Act of Oblivion (legge di
oblio), egli poté finalmente uscire di prigione.
Una volta libero, Biddle fondò una piccola congregazione sociniana a Londra,
traducendo testi base dei sociniani (o unitariani) polacchi, come il
Catechismo di Racow (in Polonia), la prima dichiarazione dei principi
sociniani, ma soprattutto pubblicò nel 1654 la sua opera più celebre, il
Twofold Catechism (Catechismo doppio), dove in 24 capitoli egli bandì tutte
le espressioni e dottrine non originarie delle Scritture, come
transustanziazione, peccato originale, Dio fatto uomo, Madre di Dio etc.
Insomma non ci fu un solo punto della teologia dell'epoca che non fosse
rimesso in discussione da lui, sebbene utilizzasse l'astuta tecnica delle
domande aperte, senza mai precisare la propria fede.
Nonostante ciò, per ordine del parlamento, le copie del suo libro furono
bruciate sul rogo e lui stesso imprigionato nel carcere di Newgate, ma, per
l'ennesima evoluzione della turbolenta situazione politica inglese (era
stato sciolto il parlamento), fu liberato.
Biddle continuò per tutta la vita a professare attivamente le proprie idee e
per questo venne più volte condannato al confino e al carcere fino alla sua
morte avvenuta nel 1662.
Il principale esponente dell'unitarismo inglese dopo Biddle fu Thomas Emlyn
(1663-1741), che fondò una congregazione unitariana a Londra nel 1705, ma va
anche citata l'attività del teologo neo-ariano Samuel Clarke con il suo
trattato Scripture Doctrine of the Trinity (Scrittura dottrina sulla
Trinità), del 1712.
In seguito si affermò Joseph Priestley (1733-1804), che divise il suo tempo
tra la chimica (individuò, tra l'altro, la molecola dell'ossigeno) e le
predicazioni unitariane, e Theophilus Lindsey che nel 1774 fondò la prima
chiesa ufficiale di ispirazione sociniana a Londra.
Nel 1791 un gruppo di teppisti distrusse sia la casa che il laboratorio di
Priestley, che qualche anno dopo prese la decisione di emigrare in America,
dove fondò una chiesa unitariana in Pennsylvania.
Nel frattempo, in Inghilterra si era formata nel 1825 la British and Foreign
Unitarian Association, che dovette lottare contro le leggi britanniche
varate per proibire agli unitariani di accettare lasciti donati dai
puritani, cosa che verrà aggiustata soltanto con una nuova legge nel 1844.
Nel 1840 avvenne una grave scissione nel movimento: i "cristiani liberi" di
James Martineau, convinti in una fede più intuitiva e meno "razionale", si
separarono fino al 1928, anno in cui le due anime dell'unitarismo inglese si
rifusero nella attuale General Assembly of Unitarian and Free Christian
Churches.

Unitariani in America
Come già detto, Joseph Priestley fu uno dei predicatori che aiutò la
diffusione dell'unitarismo negli Stati Uniti, dove la dottrina però si
sviluppò abbastanza lentamente: prendendo spunto dalle prediche in
Inghilterra di Priestley, due chiese di Boston, la West Church del pastore
Jonathan Mayhew (1720-1766) e la First Church del pastore Charles Chauncy
(1705-1787) divennero unitariane.
Nel 1825 si formò la American Unitarian Association, ma, come per la crisi
degli unitariani inglesi del 1840, anche il pensiero unitariano americano fu
fortemente scosso dalle idee di William Ellery Channing, che inserì elementi
pietisti e filantropici. Lo scontro tre le due anime, mistica-pietistica da
una parte e razionale dall'altra, avrebbe caratterizzato la storia degli
unitariani americani negli anni seguenti: per esempio, nel 1865 la
conferenza nazionale unitariana adottò una piattaforma programmatica
nettamente cristiana, provocando il distacco della minoranza razionalista
che fondò la Free Religious Association (associazione religiosa libera).


L'unitarianismo odierno
Venendo ai giorni nostri, nel 1961 avvenne la svolta con la fusione degli
unitariani statunitensi con il movimento dell'universalismo, fondato dall'ex
pastore metodista John Murray, che credeva nella salvezza di tutti gli
uomini e negava la dannazione eterna.
La fusione diede luogo alla American Unitarian Universalist Association, poi
solo Unitarian Universalist Association, che conta oggi 502.000 aderenti.
Nonostante la diffusione relativamente bassa dell'unitarismo/universalismo,
ben 5 presidenti degli Stati Uniti hanno professato una fede unitariana e/o
universalista: Thomas Jefferson (che gli unitariani danno come loro seguace,
anche se una sua adesione ufficiale non c'è mai stata), John Adams, John
Quincy Adams, Millard Fillmore  William Howard Taft.
L'associazione, nella quale la corrente razionalista ha oramai preso il
sopravvento, è un movimento basato su congregazioni autogestite senza una
comune formula religiosa ufficiale, retaggio della sua travagliata storia e
dell'apporto di idee molto diversificate e perfino contrastanti: si nota un
interesse più nella libera ricerca della verità.
Infatti, da una statistica risulta che solo il 3% degli aderenti considera
Dio come un essere soprannaturale e il 40% come simbolo dell'amore o di
altri processi naturali. Inoltre 90% non crede nella immortalità dell'anima
e 64% ammette di non pregare mai o di farlo raramente.
In compenso, gli unitariani universalisti si sono sempre schierati in
battaglie civili contro la pena di morte, a favore del divorzio, l'aborto,
l'eutanasia, per il controllo delle nascite, per la riforma carceraria, per
l'educazione sessuale nelle scuole.
L'associazione mantiene contatti con simili organizzazioni in Inghilterra,
Irlanda, Filippine, Ungheria, Francia e Cecoslovacchia e fa parte della
International Association for (Liberal Christianity) and Religious Freedom
(IARF) che afferma di rappresentare 1.500.000 aderenti in 25 paesi.


Soranzo, Vittore (o Vettore), vescovo di Bergamo (1500-1558)



Vittore (o Vettore) Soranzo, era nato a Venezia nel 1500, primogenito del
patrizio Alvise Soranzo e della moglie Lucia Cappello, ed aveva studiato a
Padova.
Uscito dall'università, egli intraprese la carriera ecclesiastica e fu
nominato cameriere segreto di Papa Clemente VII (1523-1534), ma in seguito
conobbe importanti figure dell'evangelismo e riformismo italiano, come
Giovanni Morone, Alvise Priuli, Pietro Carnesecchi, Vittoria Colonna,
attraverso i quali venne a contatto con le idee di Juan de Valdés.
Dopo la dissoluzione dei circoli valdesiani, S. abitò, tra la fine del 1541
e l'inizio del 1542, nella casa viterbese del cardinale Reginald Pole, dove
fece la conoscenza di altri pensatori eterodossi come Apollonio Merenda e
Marcantonio Flaminio, e studiò, apprezzandolo, il Beneficio di Christo di
Benedetto Fontanini da Mantova. Tuttavia, pur sentendo il fascino delle idee
dell'ambiente dei circoli di Valdès e di Pole, S. non avvertì mai la
necessità di doversi distaccare dalle istituzioni ecclesiastiche cattoliche,
e mantenne quindi un atteggiamento abbastanza nicodemitico.
Amico e allievo del cardinale Pietro Bembo, fu da questi delegato a
subentrare come vescovo della diocesi di Bergamo, nel cui ruolo si installò
nel 1544.
Pio, onesto e favorevole al dialogo con la Riforma, S. diede immediatamente
luogo ad una decisa svolta nella lotta contro gli abusi ed i vizi del clero
bergamasco, e chiamò a predicare un minorita itinerante alquanto eterodosso,
Bartolomeo Golfi Della Pergola, favorevole alla giustificazione per fede, ma
nel contempo le sue azioni gli inimicarono i Rettori, cioè le autorità
civili locali.
Infatti, benché nel 1549 S. avesse aperto e presieduto, lui stesso, un
tribunale dell'Inquisizione [venne, tra gli altri, condannato a morte in
contumacia nel 1551 il medico calvinista Guglielmo Gratarolo (1516-1568)],
ebbe comunque luogo una velenosa campagna di calunnia nei suoi confronti:
mediante anonimi opuscoli, lo si accusò di eresia luterana, assieme al
notaio Giorgio de Vavassori (o Vavassoribus) di Medolago (o più
semplicemente Giorgio Medolago) (1483-ca. 1551).
Questi era già stato inquisito per luteranesimo e imprigionato nel 1536 per
ordine del vescovo Pietro Lippomano, ma i familiari e amici (i Vavassori di
Medolago erano una conosciuta e potente dinastia di notai a Bergamo) avevano
assaltato la prigione di Santo Stefano, liberandolo e permettendogli di
fuggire a Venezia. Rientrato a Bergamo nel 1549, Giorgio de Vavassori si
trovò coinvolto appunto in questa campagna antiluterana contro il vescovo
della città, complicata dall'arrivo nel 1550 del fanatico Inquisitore fra
Michele Ghisleri, il futuro papa Pio V (1566-1572), il quale, in un primo
momento, dovette ignominiosamente battere in ritirata, abbandonando Bergamo
con un cavallo preso in prestito, poiché si trovò in grave pericolo di vita
a causa dell'ostilità dei bergamaschi. Questi erano stati sobillati dal clan
dei Vavassori, in seguito al nuovo arresto e trasferimento del loro
congiunto nelle carceri di Venezia, dove in seguito morì.
Tuttavia Ghisleri non era certo uno che mollava facilmente la presa, quando
sentiva odore di eresia: continuò quindi a raccogliere testimonianze e prove
contro S., che riuscì a far arrestare nel 1551 e rinchiudere a Castel
Sant'Angelo, a Roma. Particolarmente compromettente fu il ritrovamento di un
quaderno del vescovo, con la trascrizione dei testi della Confessio
Augustana e della Praefatio in Novum Testamentum di Lutero, le copie di
varie lettere, come quelle da Lutero a Baldassarre Altieri d'Aquila, o di
Bucero ai "fratelli italiani" e altre letture proibite.
S. fu processato a Roma, ma assolto dal Santo Uffizio, venne reintegrato
nella sua diocesi nel 1554. Tuttavia, dopo tre anni, egli fu nuovamente
inquisito in seguito all'arresto del cardinale Morone nel 1557. Nell'aprile
di quell'anno, il papa Paolo IV (1555-1559) dichiarò nulli tutti gli atti di
S. come vescovo di Bergamo e considerò la sede vacante dal 1547, in quanto
il privilegio a S., concesso dal Bembo ad beneplacitum nostrum, era venuto a
decadere con la morte di quest'ultimo in quell'anno.
Comunque S. morì nel 1558 senza che si potessero prendere ulteriori
provvedimenti contro di lui.


Teodato (o Teodoto), detto il Banchiere o il Cambiavalute e Melchisedechiani
o Antigani (III secolo)



Teodato (o Teodoto), detto il Banchiere o il Cambiavalute, fu seguace
dell'omonimo Teodato (o Teodoto) di Bisanzio, detto il Pellaio o il
Conciatore, fondatore della corrente degli adozionisti, di coloro, cioè che
credevano che  Gesù fosse semplicemente un uomo (psilos anthropos), vissuto
come gli altri uomini e "adottato" come figlio da Dio, solamente al momento
del suo battesimo nel Giordano, quando il Cristo era sceso su di Lui sotto
forma di una colomba.
T., prendendo spunto da un passaggio della Lettera di S.Paolo agli Ebrei
(7;1-3), aggiunse alla dottrina del suo maestro il concetto di un potere
celeste, di nome Melchisedech, una forma di Spirito Santo, incarnazione del
Logos, perfino più importante di Gesù stesso, e che aveva istituito il
sacramento dell'Eucarestia.
Questo concetto diede luogo alla setta, situata in Frigia, dei
Melchisedechiani o Antigani (Intoccabili). Secondo Timoteo di
Costantinopoli, essi avevano delle strane usanze: in particolare, non
toccavano mai alcun uomo (da cui il nome) e se veniva offerto loro del cibo,
lo facevano posare per terra prima di raccoglierlo.
Sempre a proposito di Teodato, secondo Eusebio (che trasse questa storia dal
Piccolo Labirinto di Ippolito), questi ed Esclipedoto , dopo la morte di
Papa Vittore nel 199, decisero di strutturare il movimento come una vera
Chiesa, nominando vescovo, per 170 denarii al mese, un prete romano di nome
Natalio, che era stato torturato durante le persecuzioni, probabilmente
sotto l'imperatore Settimio Severo.
Ma il povero Natalio, dopo un notte di incubi, dove sognò di essere
tormentato dagli angeli, si recò pentito e affranto da Papa Zeffirino
(199-217), che lo perdonò. Tale clemenza non fu, però, adottato da Zeffirino
nei confronti dei due capiscuola adozionisti sopra menzionati, prontamente
scomunicati.



Melezio di Licopoli (m.ca.328) e i meleziani



Melezio fu nominato vescovo di Licopoli in Egitto nel 303 ca. e rivestì un
importante ruolo nella polemica, che riguardava il riaccoglimento da parte
della Chiesa dei lapsi (caduti), i cristiani, cioè, che durante la loro
persecuzione (nella fattispecie quella di Diocleziano del 303-311) avevano
abiurato e sacrificato agli dei.
I lapsi si dividevano in:
Libellatici, che si erano procurati documenti falsi, che attestavano che
essi avevano sacrificati agli dei romani.
Sacrificati, che avevano veramente sacrificato agli dei.
Turificati, che avevano bruciato l'incenso agli dei.
Traditores, che avevano consegnato le Sacre Scritture alle autorità romane.


M., come Novaziano ca. 50 anni prima e come Donato di Numidia qualche anno
dopo, era per la linea dura di non perdonare né i lapsi né coloro che
avevano commesso un peccato mortale, ma per questo entrò in rotta di
collisione con il proprio superiore, il vescovo di Alessandria, Pietro, che
lo espulse dalla Chiesa nel 306 e lo scomunicò nel 307, anche perché M.
aveva creato, nel frattempo, nel 304 (o 305), la propria Chiesa dei Martiri
Confessori.
M. aveva approfittato del vuoto di potere a Roma: infatti c'era stato un
lungo (4 anni) periodo di sede vacante, derivato dalle cruenti persecuzioni
ordinate da Diocleziano, dopo la morte nel 304 di Papa Marcellino (su cui,
per altro, gravava il sospetto di essere stato uno traditor).
La Chiesa dei Martiri Confessori fu ortodossa dal punto di vista dogmatico,
ma scismatica per il rifiuto di sottomettersi a qualsiasi autorità religiosa
superiore: oltrettutto M. si mise ad ordinare preti ed altre cariche
religiose. Tra gli altri, fu membro della sua Chiesa anche Ario, il quale,
nel 306, durante il sinodo che portò all'espulsione di M. dalla Chiesa
Cristiana, prese le sue difese contro il vescovo di Alessandria.
In seguito alle persecuzioni diocleziane, M. fu deportato in Palestina nel
308 e poté ritornare in Egitto solo nel 311, accolto trionfalmente dai suoi
fedeli.
Entro il 325, i meleziani avevano ordinato 29 vescovi in Egitto (in
particolare in Alessandria), 4 preti, 3 diaconi ed 1 cappellano militare, ma
proprio nel 325, al concilio di Nicea, M. fu obbligato a riconciliarsi con
la Chiesa ufficiale dall'imperatore Costantino, che lo lasciò nel suo
incarico di vescovo di Licopoli.
M. morì probabilmente nel 328 ca., ma la sua chiesa rimase attiva in Egitto
fino al VIII secolo, abbracciando, successivamente, il monofisismo della
Chiesa Copta e fondendosi con essa.


San Melezio di Antiochia (m. ca. 381) e meleziani



Melezio nacque a Melitene, in Armenia minore, diventò vescovo di Antiochia
nel 360, e svolse un ruolo di primaria importanza durante le profonde
scissioni nella Chiesa di Antiochia del IV secolo.
M. fu dunque chiamato a ricoprire questa carica, benché fosse già stato
nominato vescovo di Sebaste in Armenia. Ad Antiochia trovò una situazione
molto tribolata da anni di lotta tra ortodossi e ariani, contraddistinti,
nell'ultimo periodo, 358-360, dal vescovato di Eudossio, in seguito vescovo
di Costantinopoli.
L'elezione di M. alla carica di vescovo fu un accordo di compromesso
raggiunto con i voti congiunti di ariani e ortodossi, ciò nonostante egli
trovò una notevole opposizione da parte degli eustaziani, i sostenitori del
precedente vescovo (tra il 324 ed il 330) Eustazio.
Chiamato dunque ad occupare una sede scottante, M. cercò di barcamenarsi tra
le due opposte fazioni, rimediando comunque, all'inizio del 361, cioè pochi
mesi dopo il suo insediamento, una condanna all'esilio da parte
dell'imperatore Costanzo II (337-361), di fede ariana.
Questo esilio complicò ulteriormente la situazione di Antiochia: la città si
divise in eustaziani, guidati dal diacono Paolino, e meleziani, guidati da
Flavio e Diodoro di Tarso.
Alla fine del 361, Costanzo morì e gli successe Giuliano l'Apostata
(361-363): M. rientrò ad Antiochia in una situazione sempre più caotica. A
nulla valse il concilio di Alessandria del 362 per sedare gli animi, anzi il
focoso e radicale vescovo Lucifero di Cagliari riuscì perfino a far eleggere
vescovo di Antiochia, Paolino, favorendo lo scisma.
L'imperatore Giuliano, che risedette spesso ad Antiochia, contribuì, a sua
volta, alla confusione perseguitando ora l'una ora l'altra delle parti in
conflitto.
La situazione rimase altalenante sotto gli imperatori Gioviano
(363-364)(ortodosso) e Valente (364-378) (ariano), mentre il prestigio di
M., nonostante tutto, crebbe: egli lavorò per l'unità dei cristiani della
Asia minore e della Siria, ma nel 365 fu esiliato per la seconda volta dagli
ariani in Armenia.
A questo punto entrò in campo uno dei grandi Padri cappadociani: San
Basilio, vescovo di Cesarea, e grande ammiratore di M. Basilio cercò
alacremente di restaurare la pace in condizioni difficilissime: nel 376 si
staccò un ennesimo gruppo scismatico, con a capo Vitale, che si collegava al
cattolicesimo di Roma.
Nonostante i buoni uffici di Basilio, le speranze andarono deluse quando
Papa Damaso I (366-384), senza avere una idea molto chiara sulla complicata
situazione antiochena, riconobbe Paolino come vescovo legittimo di
Antiochia.
Basilio morì nel 379, senza aver potuto risolvere l'annosa questione, ma fu
il nuovo imperatore, di fede ortodossa, Graziano (375-383) a volere la pace
nella Chiesa, richiamando i vescovi esiliati, tra cui M., che, ritornato ai
suoi compiti, lavorò sia per ricomporre lo scisma interno che per pubblicare
l'atto di fede, il cosiddetto credo niceno-costantinopolitano, proposto al I
concilio di Costantinopoli del 381, convocato dall'imperatore d'Oriente
Teodosio (379-395).
M. morì durante i lavori del concilio nel 381.
Il movimento scismatico dei meleziani sopravvisse alla morte del loro
ispiratore per estinguersi nel VI secolo.


Melezio di Licopoli (m.ca.328) e i meleziani



Melezio fu nominato vescovo di Licopoli in Egitto nel 303 ca. e rivestì un
importante ruolo nella polemica, che riguardava il riaccoglimento da parte
della Chiesa dei lapsi (caduti), i cristiani, cioè, che durante la loro
persecuzione (nella fattispecie quella di Diocleziano del 303-311) avevano
abiurato e sacrificato agli dei.
I lapsi si dividevano in:
Libellatici, che si erano procurati documenti falsi, che attestavano che
essi avevano sacrificati agli dei romani.
Sacrificati, che avevano veramente sacrificato agli dei.
Turificati, che avevano bruciato l'incenso agli dei.
Traditores, che avevano consegnato le Sacre Scritture alle autorità romane.


M., come Novaziano ca. 50 anni prima e come Donato di Numidia qualche anno
dopo, era per la linea dura di non perdonare né i lapsi né coloro che
avevano commesso un peccato mortale, ma per questo entrò in rotta di
collisione con il proprio superiore, il vescovo di Alessandria, Pietro, che
lo espulse dalla Chiesa nel 306 e lo scomunicò nel 307, anche perché M.
aveva creato, nel frattempo, nel 304 (o 305), la propria Chiesa dei Martiri
Confessori.
M. aveva approfittato del vuoto di potere a Roma: infatti c'era stato un
lungo (4 anni) periodo di sede vacante, derivato dalle cruenti persecuzioni
ordinate da Diocleziano, dopo la morte nel 304 di Papa Marcellino (su cui,
per altro, gravava il sospetto di essere stato uno traditor).
La Chiesa dei Martiri Confessori fu ortodossa dal punto di vista dogmatico,
ma scismatica per il rifiuto di sottomettersi a qualsiasi autorità religiosa
superiore: oltrettutto M. si mise ad ordinare preti ed altre cariche
religiose. Tra gli altri, fu membro della sua Chiesa anche Ario, il quale,
nel 306, durante il sinodo che portò all'espulsione di M. dalla Chiesa
Cristiana, prese le sue difese contro il vescovo di Alessandria.
In seguito alle persecuzioni diocleziane, M. fu deportato in Palestina nel
308 e poté ritornare in Egitto solo nel 311, accolto trionfalmente dai suoi
fedeli.
Entro il 325, i meleziani avevano ordinato 29 vescovi in Egitto (in
particolare in Alessandria), 4 preti, 3 diaconi ed 1 cappellano militare, ma
proprio nel 325, al concilio di Nicea, M. fu obbligato a riconciliarsi con
la Chiesa ufficiale dall'imperatore Costantino, che lo lasciò nel suo
incarico di vescovo di Licopoli.
M. morì probabilmente nel 328 ca., ma la sua chiesa rimase attiva in Egitto
fino al VIII secolo, abbracciando, successivamente, il monofisismo della
Chiesa Copta e fondendosi con essa.


Dàvid, Ferenc (1510-1579) e Chiesa Unitariana di Transilvania



La gioventù
Ferenc Dàvid nacque nel 1510 circa a Kolozsvár (in romeno Cluj e in tedesco
Klausenburg), l'allora capitale ufficiosa del principato di Transilvania, da
una famiglia borghese probabilmente di origine sassone. 35 anni più tardi,
proprio in Kolozsvár fu pubblicata per la prima volta la traduzione completa
della Bibbia in ungherese a cura di Gaspar Heltai (m.1574), punto
fondamentale per lo sviluppo della Riforma nel paese.
Il giovane D. studiò alla scuola dei frati francescani di Kolozsvár, ed in
seguito si recò alla scuola della cattedrale di Gyulafehérvár (Alba Julia),
dove fu particolarmente brillante negli studi e dove fu impiegato al
servizio della chiesa per un breve periodo.
Egli finì i suoi studi in università estere, prima a Wittenberg poi a Padova
e finalmente nel 1551 rientrò in Ungheria per trovare una situazione
politica molto seria.


Situazione politica dell'Ungheria nel XVI secolo
Infatti, dopo la disfatta degli ungheresi contro i turchi a Mohacs nel 1526,
il paese magiaro era stato spartito nel 1533 in tre zone: la parte
principale all'impero ottomano, una striscia a nord-ovest agli Asburgo e la
parte orientale alla Transilvania del voivoda (poi principe) Giovanni I
Zapolya (1529-1540), che si era proclamato re d'Ungheria nonostante
l'opposizione degli Asburgo. A Giovanni I era succeduto il figlio minorenne
Giovanni II Sigismondo Zapolya (1541-1571, eccetto il periodo 1551-1556
quando il trono venne reclamato da Ferdinando d'Asburgo), ma, a causa della
sua giovanissima età, il suo regno venne governato fino al 1559 dalla
reggente, la madre Isabella (figlia di Sigismondo I Iagellone di Polonia e
di Bona Sforza) e la sua corte era posta a Gyulafehérvár.


Dàvid luterano
Tornando a D., dapprima egli si stabilì nel nord dell'Ungheria
(corrispondente all'attuale Slovacchia) diventando rettore della scuola
cattolica di Besztercze e successivamente parroco in una cittadina della
zona, ma verso il 1554, D. si accostò alle dottrine luterane e fu nominato
pastore nella sua città natale, Kolozsvár, e solo l'anno dopo, grazie alla
sua notevole popolarità, diventò rettore della scuola luterana nel 1555 e
pastore capo nell'anno successivo.
Nel 1557 arrivò al vertice della sua carriera luterana, quando fu
considerato capo della Riforma in Transilvania e sovrintendente dei luterani
ungheresi.
Egli incontrò in vari dibattiti pubblici il modalista Francesco Stancaro ed
esponenti del calvinismo locale, da cui ne uscì vincitore, ma fu un momento
di riflessione sulle proprie convinzioni religiose.


Dàvid calvinista
Infatti poco dopo entrò in crisi dopo aver riflettuto sulla visione
calvinista della Cena del Signore e fu convertito nel 1559 alla fede
riformata da Peter Juhász (nome umanistico Melius)(ca. 1536-1572) . Fu per
questo espulso dalla Chiesa luterana nel 1560, sebbene cercò di evitare,
purtroppo inutilmente, la spaccatura tra le due principali anime della
Riforma ungherese, il che avvenne irreparabilmente nel 1564.
Sempre nel 1564 D. fu eletto vescovo della Chiesa Riformata di Transilvania,
una delle poche chiese calviniste con un sistema episcopale, e divenne
cappellano personale del re Giovanni II Sigismondo.


Dàvid antitrinitriano
Nel frattempo, nel 1562, era giunto a Gyulafehérvár (Alba Julia),
proveniente dalla Polonia, il medico italiano e dissidente religioso Giorgio
Biandrata, che divenne amico di D. e gli fece leggere una copia della famosa
Christianismi restitutio (La restaurazione del Cristianesimo) di Miguel
Serveto, introducendolo all'antitrinitarismo o unitarismo.
La conversione di D. alla nuova fede fu evidente nel 1566, quando egli fece
rimuovere un professore della scuola di Kolozsvár per aver osato insegnare
la dottrina della Trinità: ma il docente licenziato, assieme al calvinista
Melius, chiese ed ottenne dal re la convocazione di un sinodo nazionale a
Gyulafehérvár, che si svolse nello stesso 1566 per essere poi aggiornato in
una nuova sede, a Torda (sempre in Transilvania).
Il sinodo risultò poi un trionfo per gli unitariani: D. e Biandrata poterono
battere così la concorrenza di Melius, che si consolò con la conferma, al
sinodo di Debrecen, della ortodossia calvinista nella rimanente parte
dell'Ungheria.
Nel frattempo Biandrata fece pubblicare il libro di D. De vera et falsa
unius Dei, Filii et Spiritus Sanctii cognitione (Della falsa e vera
conoscenza dell'unità di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo), nel quale il
riformatore transilvano ridicolizzava la dottrina della Trinità e perorava
la causa della tolleranza religiosa per tutte le fedi.
Questo discorso venne poi ripreso durante la Dieta di Torda nel gennaio
1568, dove  Giovanni II Sigismondo riconobbe la piena libertà a tutte le
confessioni religiose: fu la prima dichiarazione, al mondo, di tolleranza
religiosa mai pronunciata da un regnante.
Oltre a questo, il re aderì apertamente all'unitarismo con molti nobili
della corte e D. divenne il capo della Chiesa Unitariana di Transilvania.
Nel 1570 D. entrò in contatto, e ne fu influenzato, con lo studioso
italo-greco Giacomo Paleologo e il suo discepolo locale, il rettore del
ginnasio di Kolozsvár, János Sommer (1540-1574). Paleologo polemizzava con
un altro famoso antitrinitariano, Fausto Sozzini, a riguardo della figura di
Gesù Cristo, che, per il Sozzini, era un vero uomo crocefisso, il cui
compito era di rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere
così la salvezza, seguendo il Suo esempio. Il Paleologo, invece, negava il
ruolo di guida del Cristo, per i fedeli verso la salvezza, e rifiutava,
conseguentemente, ogni forma di adorazione di Gesù Cristo. Per questo, il
Paleologo e i suoi seguaci, tra cui si associò anche D., vennero denominati
antitrinitariani non-adoranti in contrapposizione al pensiero sociniano di
tipo adorante. Alla corrente non-adorante aderì anche l'ex vescovo cattolico
e ambasciatore (di madre italiana) Andrea Dudith-Sbardellati.
Purtroppo il momento magico per D. finì solo tre anni dopo, nel 1571 con la
morte a soli 31 anni di Giovanni II Sigismondo e la salita al trono del
cattolico Stefano I Báthory (1571-1586), divenuto in seguito anche re di
Polonia dal 1576 al 1586.
Stefano I Báthory tolse a D. l'incarico di cappellano personale del re e gli
impedì di pubblicare altri scritti: fu un momento molto amaro per D., che
oltretutto, pochi anni dopo, entrò in conflitto sia con Sozzini, che con
l'ex amico Biandrata, per la sopramenzionata polemica tra adoranti e
non-adoranti.
Dopo essere stato accusato di blasfemia da parte di Biandrata nell'aprile
1579, fu fatto arrestare in giugno e imprigionare nella fortezza di Déva
dove, a causa del clima rigido e del fisico debilitato, D.  morì il 15
novembre dello stesso anno.
La Chiesa Unitariana di Transilvania, fondata da D., pur attraverso mille
traversie, spietate persecuzioni da parte degli Asburgo cattolici e
spedizioni punitive da parte di fanatici rumeni ortodossi, esiste ancora
oggi formata da 125 chiese, sebbene divisa dal 1918 in un troncone ungherese
(di circa 70/80.000 fedeli) ed uno rumeno.


Melville, Andrew (1545-1622)



Il riformatore scozzese Andrew Melville nacque il 1 agosto 1545 a Baldovy,
vicino a Montrose in Scozia. All'età di quattro anni M. rimase orfano e fu
quindi fatto crescere da un suo fratello più anziano. Particolarmente
proficuo a scuola, M. entrò, all'età di soli 14 anni, all'università di
Saint Andrews.
Una volta completati gli studi, egli decise di approfondire le sue
conoscenze recandosi, nel 1564, dapprima in Francia, alle università di
Parigi (per studiare l'ebraico e altre lingue orientali) e Poitiers (per
iscriversi alla facoltà di legge), poi in Svizzera, all'università (la
famosa Accademia) di Ginevra, dove divenne amico di Theodore de Bèze,
successore di Giovanni Calvino, e dove insegnò, come professore di ruolo,
dal 1569 al 1574, conoscendo il teologo puritano inglese Thomas Cartwright.
Nel 1574, due anni dopo la morte di John Knox, M. fu richiamato in patria
per essere nominato preside dell'università di Glasgow, dove introdusse la
novità dei professori specializzati per singola materia (precedentemente gli
insegnanti erano multidisciplinari). In seguito (1580) si trasferì
all'università di Saint Andrews, dove fu preside del St. Mary's College, e
poi, dal 1590, rettore dell'università stessa.
M. è soprattutto conosciuto per la ristrutturazione della Chiesa Riformata
Scozzese, iniziata nel 1575, quando a M. venne dato l'incarico di redigere
The Second Book of Discipline (il secondo libro di disciplina), adottato
dall'Assemblea Generale nel 1581 e ratificato dal Parlamento nel 1591. Esso
seguì idealmente il primo libro di disciplina, redatto da Knox in persona
nel 1560 e sottolineò la netta separazione tra potere ecclesiastico e potere
civile.
Ma in Scozia il potere ecclesiastico era gradualmente diminuito da quando
nel 1560 era stata proclamata la Chiesa Riformata Scozzese e raggiunse il
punto più basso di considerazione, quando il reggente del trono del re
minorenne Giacomo VI (1567-1625), James Douglas, conte di Morton (m. 1581)
decise di assegnare i benefici (possedimenti e titoli ecclesiastici, che
davano una rendita) ai pastori protestanti, a patto che questi si
accontentassero solamente del titolo di vescovo, mentre le ricche le rendite
avrebbero dovuto andare quasi totalmente alla nobiltà. I ministri del culto,
che occupavano queste posizioni venivano denominati vescovi tulchan, dal
terminscozzese dato al vitello di pezza usato per invogliare la mucca a
continuare a fornire il latte. Quindi anche questi vescovi (di pezza!)
dovevano continuare a fornire il "latte" alla nobiltà scozzese!
M. si ribellò a questo metodo, lottando per l'introduzione di un sistema
presbiteriano nella struttura gerarchica della Chiesa scozzese, che fosse
veramente indipendente dal potere della corona.
Questa sua posizione lo portò, ben presto, ad entrare in conflitto con la
corte di Giacomo VI di Scozia: nel 1584 M. fu accusato di tradimento, ma
fuggì in Inghilterra. Rientrato, fu inquisito nuovamente nel 1606: in questa
circostanza il riformatore usò imprudentemente parole molto dure contro il
re, chiamandolo il vassallo sciocco di Dio (God's sillie vassal) e criticò
le pratiche religiose anglicane. Va ricordato, a riguardo, che dal 1603
Giacomo VI di Scozia era anche re d'Inghilterra con il titolo di Giacomo I,
essendo succeduto ad Elisabetta I.
Nel 1607 M. fu condannato a quattro anni di carcere nella famigerata torre
di Londra. Quando fu liberato, fu mandato in esilio a Sedan, un noto centro
calvinista in Francia, dove morì nel 1622.



Menandro (fine I° secolo)



Menandro, detto il Samaritano, era un predicatore gnostico discepolo di
Simon Mago, che M. stesso presentò ai discepoli come una manifestazione del
Dio primordiale.
M. predicò ad Antiochia sostenendo che era stato mandato dal cielo come
Cristo per insegnare la magia, mediante la quale le persone potevano
sconfiggere gli angeli cattivi dominatori del mondo e diventare immortali.

Merenda, Apollonio (m. dopo 1566)



Il sacerdote e insegnante Apollonio Merenda, nato a Paterno Calabro, diventò
nel 1540 segretario del Nunzio Apostolico del Regno di Napoli, Fabio
Arcella, ex vescovo di Bisignano (1530-1537).
Seguace di Juan Valdés, dopo lo scioglimento dei circoli valdesiani, M. si
rifugiò, insieme a Vittore Soranzo e Pietro Carnesecchi, nel 1541 a Viterbo
nel circolo evangelico costituito da Reginald Pole (di cui M. divenne il
cappellano), Alvise Priuli e Marcantonio Flaminio: M. ne fece parte attiva,
garantendo i contatti del gruppo con la contessa Giulia Gonzaga.
Nel 1544 M. fu arrestato per la prima volta per aver letto libri proibiti e
per aver espresso concetti riformatori, come la salvezza sola fide, il
rifiuto della Messa e del purgatorio, il valore solo commemorativo
dell'Eucaristia, quest'ultima dottrina tipicamente zwingliana.
Nel 1551 egli fu arrestato per la seconda volta e tradotto a Roma per essere
processato. Fece abiura, ma fu costretto a portare l'infamante abitello
degli eretici.
Abbandonò Roma per rifugiarsi a Padova, dove, nel 1556-1557, fu impiegato
come precettore dei figli della famiglia Bollani. In seguito, si recò a
Venezia sempre come precettore, questa volta, per la famiglia dei nobili
Vincenzo e Zuan Battista Contarini.
Infine decise di riparare, con Giovanni Valentino Gentile, nel 1557 a
Ginevra, dove il 4 ottobre giurò fedeltà alla Riforma.
A Ginevra M. riprese il suo mestiere di precettore, venendo impiegato presso
la famiglia della vedova di Francesco Micheli, ex gonfaloniere di Lucca,
passato alla Riforma e fuggito a Ginevra nell'ottobre 1556.
Nel settembre 1566 Gentile fu giustiziato mediante decapitazione a Berna e
dagli atti del suo processo risulta che M. fosse ancora vivo e che
esercitasse l'incarico di precettore, tuttavia si ignora quindi quando sia
morto.


Messaliani o euchiti o adelfiani o lampeziani o entusiasti ed eufemiti (IV
secolo)



Una setta eretica del IV secolo, che credeva che, in seguito al peccato
originale di Adamo, ognuno avesse un demone unito alla propria anima e che
esso non fosse stato espulso con il battesimo: l'unica maniera di espellerlo
era la continua ed incessante preghiera con lo scopo di eliminare ogni
passione e desiderio.
Il nome messaliani, infatti, deriva dall'aramaico mètzalin, cioè preganti e
la stessa etimologia aveva la versione greca del loro nome, euchiti da
euchetai.
Comparvero intorno al 360 in Mesopotamia, come setta fondata da un certo
Adelfio (da cui il nome adelfiani), espulso da Antiochia nel 376 dal vescovo
Flaviano e autore del testo base della setta, Asceticus.
Una ulteriore condanna fu loro inflitta dal sinodo di Side del 390 ca. e dal
concilio di Efeso del 431(dove venne condannato il loro libro Asceticus).
Eppure la setta continuò ad esistere: alla metà del V secolo, il loro capo
era il prete Lampezio (da cui un ennesima versione del loro nome), il quale
scrisse un loro nuovo testo, chiamato Il testamento. In Armenia la setta,
pur combattuta anche dalla Chiesa Nestoriana, continuò a prosperare fino al
IX secolo.
I m. influenzarono alcune eresie medievali come i pauliciani, i bogomili e i
fratelli del Libero Spirito.
Essi, come si diceva, praticavano la preghiera incessante e la danza
estatica, durante le quali erano posseduti dallo Spirito Santo (da cui,
letteralmente, il nome di entusiasti, cioè "posseduti da Dio"), si
rifiutavano di lavorare, vivendo nelle piazze e vagando da una città
all'altra e prendendo, secondo loro, ad esempio la vita itinerante di Gesù e
gli apostoli.
Essi, inoltre, consideravano inutili i sacramenti e la mediazione della
Chiesa.
Secondo Sant'Epifanio, esisteva, inoltre, un'altra setta molto simile, non
cristiana, ma che adorava un unico Dio onnipotente. I seguaci di questa
setta erano chiamati anche eufemiti e furono considerati i precursori dei
messaliani, con i quali vennero spesso confusi.


Manna, Ludovico (Fra Angelo da Messina o Ludovico Messina) (attivo
1530-1555)



Tra i più noti riformati della Sicilia si ricorda il messinese Ludovico
Manna, entrato a far parte dell'ordine dei domenicani con il nome di Fra
Angelo da Messina, ma che in seguito, influenzato da colloqui avuti, nel
periodo 1537-1540, con Benedetto Fontanini da Mantova, l'autore del famoso
Beneficio di Cristo, aveva abbandonato la tonaca per trasferirsi a Napoli,
in casa di un amico anabattista, il mercante Tobia Citarella.
Tuttavia, poco dopo lo troviamo frequentatore dei circoli culturali di Juan
de Valdés, intorno al 1540, assieme a Pier Martire Vermigli, Marcantonio
Flaminio, Giovanni Bernardino Bonifacio e a Pietro Carnesecchi, di cui
divenne grande amico.
Infatti, nel 1543 visse a Venezia, presso la casa dell'amico Carnesecchi e
in seguito, raccomandato proprio dal protonotario apostolico fiorentino,
divenne collaboratore dell'arcivescovo di Otranto, Pietro Antonio di Capua,
ma venne da questi licenziato per opinioni eretiche.
A questo punto M. si trasferì in Toscana, a Pisa, vivendo in casa del
mercante Bernardo Ricasoli e approfittando del trasporto di mercanzie verso
Firenze, riuscì a farvi introdurre le Prediche di Bernardino Ochino e le
Cento e dieci divine considerationi di Valdés.
Ma, di lì a poco, cambiò nuovamente credo religioso: abbandonò infatti il
valdesismo, per allinearsi al calvinismo, di cui fu un membro molto attivo
per la sua diffusione in Toscana: infatti fece anche tradurre da Ludovico
Domenichi in italiano (con il titolo di Nicomediana) il libello satirico
Excuse à messieurs les Nicodémites di Calvino.
Entro il 1550 M. era oramai perfettamente inserito nell'ambiente protestante
di Firenze, insieme al letterato Pier Vettori (1499-1585), Bartolomeo
Panciatichi, Aonio Paleario, Pier Francesco Riccio, il sempre presente amico
Pietro Carnesecchi e Marcantonio Flaminio.
Ma nel 1551 scoppiò la bomba delle rivelazioni del pentito Pietro Manelfi e
M., uno dei principali accusati, per sfuggire all'arresto, dovette
espatriare rapidamente nel 1552 a Ginevra come esule.
Qui egli divenne catechista della Chiesa degli Italiani gestita dal pastore
Celso Martinengo e nel 1555 fu raggiunto in esilio dal poeta siciliano
Giulio Cesare Pascali (1527-ca. 1601).
Dopo questa data non si hanno più tracce di lui, ma si suppone che fosse
emigrato da un'altra parte, perché in un censimento dell'epoca, non risultò
tra gli abitanti di Ginevra.


Reformed Dutch Church (Chiesa olandese riformata in America) (dal 1628)



Premessa
La denominazione di riformata si applicò dal XVI secolo alle chiese
calviniste, che seguivano quindi la dottrina di Giovanni Calvino: in
particolare l'Olanda si distinse fin dall'inizio, grazie all'attività di Guy
de Bray, che nel 1561 elaborò la Confessio Belgica, diventato testo
ufficiale della Chiesa riformata olandese dopo il sinodo di Emden del 1571.
Già dal 1576, con la pacificazione di Gand alla fine delle ostilità fra i
protestanti olandesi e i cattolici spagnoli, la Chiesa riformata era ben
consolidata sul territorio dei Paesi Bassi, ed un particolare sviluppo lo
ricevette, quando emigranti olandesi portarono la loro fede nella colonia di
Nuova Amsterdam (poi venduta nel 1664 ai coloni inglesi che cambiarono il
nome in New York), dove nel 1628 fu fondata la prima chiesa riformata
olandese sul territorio americano.


Storia della chiesa olandese riformata in America
La Chiesa riformata protestante olandese (Reformed Protestant Dutch Church)
nacque quindi nel 1628 su iniziativa del reverendo Jonas Michaelius
(1577-1638) con 50 fedeli presenti alla prima celebrazione della Cena del
Signore e oggigiorno ancora quattro chiese in New York City discendono
direttamente da essa.
Nel 1664, come già detto, la colonia di Nuova Amsterdam venne venduta agli
inglesi, che garantirono la libertà di culto alla Chiesa formata oramai da
10.000 fedeli e 11 chiese. Tuttavia in seguito i governanti inglesi
cercarono di imporre abitudini ecclesiastiche britanniche, cosa che acuì la
tensione fra le due comunità.
Nel XVIII secolo, man mano, la comunità si affrancò dal legame con la terra
d'origine: già da tempo era infatti cessata l'immigrazione dall'Olanda.
Inoltre nel 1747 l'assemblea ecclesiastica si rese indipendente dalla
giurisdizione (denominata classis) di Amsterdam, nel 1764 si iniziò ad
utilizzare la lingua inglese per le funzioni religiose, nel 1792 la chiesa
si dotò di una propria costituzione e nel 1794 ebbe luogo il primo Sinodo
Generale.
Dal 1846 diversi coloni di fede riformata olandese migrarono nel Midwest
(area centro-occidentale degli USA), soprattutto nello stato del Michigan,
dove nel 1857 un gruppo di essi, in contrasto con la chiesa olandese che
accusavano di lassismo e di tollerare la Massoneria, si scissero dalla
chiesa madre, formando la True Holland Reformed Church (Chiesa olandese
riformata vera), mentre i fedeli del filone principale cambiarono nel 1867
il nome della chiesa nell'attuale denominazione di Reformed Church in
America (RCA) (Chiesa riformata in America).


Gli eredi della chiesa olandese riformata oggigiorno
Oggi la denominazione più diffusa è appunto la Reformed Church in America
(RCA), che conta 898 chiese e 306.000 fedeli in Stati Uniti (web site:
http://www.rca.org/).
L'altra denominazione è la Christian Reformed Church in North America
(CRCNA), (web site: http://www.crcna.org/cr/crwb/index.htm) erede della True
Holland Reformed Church e che ha 207.000 adepti, ma non aderisce al Concilio
Mondiale delle Chiese.
Altri gruppi isolati di riformati olandesi sono confluiti nella grande
fusione del 1961 con il General Council of Congregational Christian Churches
e la Evangelic and Reformed Church per formare la United Church of Christ
(Chiesa unita di Cristo), la più grossa denominazione calvinista non
presbiteriana, attualmente presente in USA.
Nonostante la relativamente scarsa diffusione della chiesa riformata
olandese negli USA (solo 0.1% della popolazione), ben due (su 43) Presidenti
della Repubblica, Martin Van Buren e Theodore Roosevelt, appartenevano a
questa confessione.


Michele da Cesena (ca. 1270-1342) e michelisti



Michele Fuschi, detto Michele da Cesena, nacque per l'appunto a Cesena nel
1270 circa e, dopo essere entrato nell'ordine dei francescani, si laureò in
teologia all'università di Parigi.
Nel Capitolo Generale di Napoli del 1316, M. fu eletto ministro generale e
ben presto dovette vedersela con l'annosa questione degli spirituali, di
quei francescani, cioè, che osservavano alla lettera la Regola ed il
Testamento del Santo, desiderando mantenerne l'originale stile di vita, ed
in questo contrastati dai conventuali, i francescani che desideravano
operare una parziale revisione in senso mitigatore della Regola dell'ordine.
M., a quel tempo un conventuale, cercò appoggio presso Papa Giovanni XXII
(1316-1334), che agì, scomunicando gli spirituali  e facendone torturare 25
da parte dell'Inquisizione. Quattro di essi, i quali nonostante tutto si
rifiutarono di riconoscere l'autorità papale sul movimento, furono bruciati
sul rogo nel 1318.
Tuttavia, poco dopo, anche tra i conventuali scoppiò una polemica interna
per quanto concerneva la questione della povertà assoluta di Gesù Cristo e
degli apostoli. Infatti, nel 1322, confortato da una ambigua risposta di
Ubertino da Casale, il quale aveva dichiarato che Gesù e gli apostoli erano
poveri in termini di proprietà personali, ma che avevano potuto far uso di
beni e denari per ogni loro necessità, Giovanni XXII scomunicò come eretica
l'affermazione, propria degli spirituali, che Cristo e gli Apostoli non
avevano alcun possesso né come individui né come in comune.
Ma questa presa di posizione provocò la reazione di M., fino a quel momento
non schierato: egli convocò nel 1322 il Capitolo Generale dell'ordine
francescano per emettere un pronunciamento a favore dell'assoluta povertà di
Gesù Cristo e degli apostoli. Questo pronunciamento fu avvallato dai
ministri provinciali dell'ordine di Inghilterra, Aquitania, Francia del nord
e Germania meridionale, ma fece infuriare il solito Giovanni XXII, che nel
1324 emise una nuova bolla scomunicando tutti coloro che si opponevano alla
decisione papale.
Nel 1327 M. fu convocato dal papa ad Avignone, dove fu violentemente ripreso
per questo pronunciamento del Capitolo, ma da dove, nel 1328, temendo il
peggio, fuggì via mare per mezzo di una galea inviata da Ludovico IV il
Bavaro (1314-1347).
M. si inserì successivamente nella lotta per l'investitura dell'imperatore
tra Giovanni XXII e Ludovico il Bavaro e prese una posizione ghibellina,
entrando a Roma al seguito di Ludovico in compagnia di Guglielmo di Occam,
Marsilio da Padova, Jean de Jandun e Ubertino da Casale.
Nello stesso 1328 Giovanni XXII scomunicò M. e lo dichiarò decaduto come
generale dell'ordine. M., a sua volta, dichiarò che il papa era un eretico e
da questa data prese avvio il movimento dei suoi seguaci, detti michelisti.
Nel 1330 M. seguì Ludovico al suo rientro a Monaco di Baviera e, nonostante
il Capitolo di Perpignan lo avesse espulso dall'ordine nel 1331, egli visse
a Monaco, protetto dalla benevolenza di Ludovico, fino alla sua morte nel
1342.


Milìc di Kremsier (o Kromerìz), Jan (m. 1374)



Jan Milìc fu un riformatore ceco del XIV secolo vissuto prima dell'avvento
di Jan Hus.
M. nacque a Kremsier in Moravia e ricoprì alte cariche pubbliche: lavorò
alla cancelleria imperiale di Carlo IV (1355-1378) dal 1358 al 1362, e, nel
contempo, divenne arcidiacono a Praga.
Tuttavia nel 1363 M. abbandonò la carriera e le ricchezze per iniziare una
vita di povertà e austerità e per predicare in ceco, almeno una volta al
giorno, nella chiesa di San Nicola a Praga.
Le sue profezie apocalittiche derivarono dal disgusto suscitato in lui dai
vizi degli ecclesiastici e dei laici suoi contemporanei e nelle sue prediche
dichiarò che era giunto l'Anticristo nella persona dell'imperatore Carlo IV.
Si recò anche a Roma nella primavera del 1367 per ribadire questo concetto,
appendendo un libello, denominato Libellus de Antichristo, anche sulla porta
di San Pietro, ma fu imprigionato dall'Inquisizione nel monastero di Ara
Coeli.
Nell'Ottobre del 1367 fu però fatto liberare, durante la sua visita a Roma,
da Papa Urbano V (1362-1370), il primo papa avignonese che tentò di
riportare la sede pontificia a Roma.
M. rientrò in patria e fondò a Praga nel 1372 una comunità dedicata alla
formazione di predicatori e al recupero delle prostitute, chiamata "Nuova
Gerusalemme", della quale fece parte anche il riformatore Mathis di Janow.
Tuttavia nel 1373 M. fu accusato dal clero di Praga di dodici capi d'accusa,
che egli dovette sostenere davanti a Papa Gregorio XI (1370-1378) ad
Avignone. Egli si discolpò così brillantemente che il Papa stesso gli
permise di predicare davanti ai cardinali.
M. morì ad Avignone nel 1374.


Segalelli (o Segarelli o Sagarelli o Cicarelli), Gherardo (o Gherardino) (m.
1300) e apostolici



La vita
Gherardo Segalelli nacque a Segalara, vicino a Ozzano Taro (Parma) nel 1240
circa. Era un uomo di bassa estrazione sociale: nel 1260, l'anno delle
flagellazioni di massa, che lo lasciarono profondamente colpito, S. chiese
di essere ammesso al convento dei Frati Minori di Parma, ma ne fu respinto.
Decise allora di seguire autonomamente una propria strada di povertà
francescana: vendette i suoi averi, donando il ricavato ai poveri e si
lasciò crescere barba e capelli e si vestì con una tunica grezza, un
mantello bianco e dei sandali.
A questo punto, egli iniziò una vita di rinunce ad ogni possesso e di
predicazione del messaggio evangelico. Ebbe un notevole successo
particolarmente tra la popolazione più umile, non solo a Parma, ma in tutta
l'Emilia Romagna e oltre, e i suoi seguaci, i fratres et sorores apostolicae
vitae o semplicemente apostolici o "minimi" (come definivano sé stessi per
distinguersi dai Minori), diventarono molto più popolari degli stessi
predicatori francescani.
Tutto ciò allarmò la Chiesa ufficiale e il Papa, Gregorio X (1271-1276),
stabilì, nel 1274 al II Concilio di Lione, la proibizione di fondare nuovi
movimenti religiosi mendicanti e l'obbligo per quelli esistenti di confluire
in organizzazioni ufficialmente approvate dal clero.
Poiché gli apostolici non si adeguarono a queste direttive, furono
condannati per due volte: nel 1286 con la bolla papale Olim felicis
recordationis  e nel 1287 con il Concilio di Würzburg, ambedue voluti da
Papa Onorio IV (1285-1287), preoccupato per il diffondersi della setta. In
seguito a questa ultima condanna S. fu imprigionato a Parma, ma fu
successivamente rilasciato dal vescovo parmense Obizzo Sanvitali, segreto
ammiratore di S. e degli apostolici. Secondo il cronista d'epoca Fra
Salimbene de Adam, questo perché il vescovo si divertiva con S. come se egli
fosse stato il suo sciocco giullare di palazzo, ma questa versione dei fatti
è sicuramente una forzatura propagandistica, visto l'atteggiamento
estremamente ostile e prevenuto che Salimbene ebbe nel descrivere il
movimento degli apostolici.
Anche il successore di Onorio IV, Papa Niccolò IV (1288-1292) rinnovò nel
1290 la condanna della setta, ma solo nel 1294 il S. fu nuovamente messo in
prigione, da cui comunque riuscì a fuggire poco dopo.
Tuttavia, sei anni dopo, con a Roma un Papa, Bonifacio VIII (1294-1303), non
certo tenero con i predicatori "irregolari" e senza la protezione di Obizzo
diventato nel frattempo vescovo di Ravenna, S. fu catturato, processato
dall'inquisitore Manfredo da Parma e bruciato sul rogo a Parma il 18 Luglio
1300.


La dottrina
A dir la verità, il movimento degli apostolici non aveva una vera e propria
dottrina: essi non predicavano una nuova interpretazione del Vangelo come i
valdesi, non contestavano il clero corrotto come i patarini, non erano
eretici dualisti come i catari.
Il loro principale riferimento evangelico era il brano degli Atti degli
Apostoli (2,44-45): E tutti quelli che avevano creduto stavano insieme e
avevano tutto in comune. Vendevano poi le proprietà e i beni e ne
distribuivano il ricavato a tutti, secondo che ognuno ne aveva bisogno.
Gli apostolici conducevano quindi una vita semplice fatta di digiuni e
preghiere, spesso lavorando per guadagnare il cibo, altrimenti vivendo di
carità, e predicando con frequenti richiami al pentimento. Infatti il loro
motto era Penitentiam agite (fate penitenza), corrotto poi in Penitençagite!
Essi non avevano neppure un vero capo perché S. si rifiutò sempre di
rivestire questo ruolo nel movimento, permettendo così anche l'avvento di
nuovi capi auto-proclamatisi, come Matteo di Ancona e Guido Putagio, che
portarono scompiglio e divisioni interne al movimento.
Quello che scandalizzò però la Chiesa era, per una società cattolica
abbastanza angosciata e ossessionata dal peccato del sesso, che il movimento
degli apostolici fosse formato sia da donne che da uomini, i quali non
davano alcun valore alla castità (come i Fratelli del Libero Spirito), che
la cerimonia di accettazione di nuovi seguaci (donne e uomini) prevedesse
che si spogliassero nudi in pubblico (ma lo aveva fatto anche San
Francesco!), perché essi dovevano seguire nudi il Cristo nudo. E, a parte il
non aver ottemperato alle disposizioni del II Concilio di Lione in tema di
nuovi movimenti religiosi, fu solo sulla base di accuse, spesso fantasiose,
di fornicazione, oscenità, sodomia e quant'altro che gli apostolici furono
perseguitati.


Gli apostolici dopo la morte del fondatore
La setta degli apostolici fu duramente perseguitata come il suo fondatore:
già nel 1294 furono bruciati i primi quattro apostolici e nei processi del
1299 si cercò di reprimere nel sangue questo movimento che tanto
scandalizzava la Chiesa.
Tuttavia da quel momento di grande difficoltà per gli apostolici uscì quel
leader, Fra Dolcino da Novara, che fece fare un salto di qualità al
movimento e tenne in scacco per sette anni le forze avversarie messe in
campo durante una vera e propria crociata, indetta dal Papa Clemente V
(1305-1314).
Morto Dolcino nel 1307, si registrarono ancora apparizioni episodiche degli
apostolici nel 1315 in Spagna, nel 1318 ed infine un'ultima citazione nel
Concilio di Narbona del 1374.


Minutoli, Vincenzo junior (1639-1709)



Il pastore, storico e teologo Vincenzo Minutoli nacque a Ginevra il 5
dicembre 1639 da Paolo Minutoli (1609-1680) (e da Madeleine
Perrot-Thomoguet), a sua volta figlio di Vincenzo Minutoli senior (m.1641),
il primo di questa dinastia di mercanti lucchesi, che aveva abbracciato la
Riforma, abbandonando nel 1596 la propria città per recarsi a vivere a
Ginevra. Nello stesso anno Vincenzo senior aveva sposato la conterranea
Susanna Burlamacchi.
Nel 1651 Paolo e Vincenzo junior furono accettati come cittadini di Ginevra
e come successe ad altri esiliati religiosi lucchesi a Ginevra (per esempio
i Turrettini).
M. decise di non seguire le orme paterne come mercante, bensì di diventare
un teologo calvinista, sebbene non disdegnasse gli studi classici e la
filosofia greca. Nel maggio 1654 iniziò a studiare teologia all'Accademia
ginevrina sotto la direzione di Francesco Turrettini, alla fine dei quali,
nel 1661, M. si dedicò a dei viaggi di perfezionamento a Leida e Groninga,
in Olanda, dove decise di dedicarsi al pastorato, dapprima a Olive (in
Belgio), poi a Middleburg, ma qui, nel maggio 1667, fu sospeso per uno
scandalo sessuale che lo coinvolse e lo obbligò a dimettersi.
Rientrato a Ginevra, egli tralasciò momentaneamente la teologia per
dedicarsi alla filosofia greca fino al 1671, anno in cui sposò la figlia del
futuro primo sindaco di Ginevra (eletto nel 1674), Pierre Fabri, Suzanne
Fabri-Trembley (essa prese infatti anche il cognome della madre Adrienne),
dalla quale ebbe 5 figli, tra cui degni di nota sono il capitano della
guarnigione e membro del Consiglio dei Duecento Francois-Helen e il giurista
Joachim-Frédéric, che si convertì al Cattolicesimo, dopo la morte del padre,
ritirandosi a Lucca.
Nell'autunno 1675, M. fu chiamato ad insegnare lettere classiche e storia
all'Accademia, posto che ricoprì per i successivi trentaquattro anni, cioè
fino alla morte. Tuttavia, solo mediante i buoni uffici dell'amico e
filosofo Pierre Bayle (1647-1706) e del conte Christoph Friedrich von Dohna
(1652-1734), egli poté essere riammesso, il 29 novembre 1678, nella
Venerabile Compagnia dei Pastori, con l'autorizzazione di poter predicare.
Nel 1679-80 egli intervenne nella polemica tra Ginevra ed il cardinale
Giulio Spinola, vescovo di Lucca dal 1677 al 1690, che aveva lanciato un
appello agli esuli lucchesi a Ginevra per abiurare la religione riformata e
ritornare a quella cattolica. La risposta, articolato in un volume di 200
pagine, fu redatta da Fabrizio Burlamacchi, Benedetto Calandrini, Francesco
Turrettini e dallo stesso M.
Successivamente curò l'edizione francese della nota biografia del marchese
Galeazzo Caracciolo, scritta da Niccolò Balbani. Nel periodo 1683-86 fu
rettore dell'accademia, ma soprattutto riorganizzò la biblioteca della
Schola genevensis, azione che gli permise di essere nominato bibliotecario
ufficiale della Repubblica ginevrina nel 1700.
Nel 1693 pubblicò per un anno la rivista culturale Dépêches du Parnasse ou
Gazette des Savants, curiosamente ispirati ai Ragguagli di Parnaso di
Traiano Boccalini (1556-1613), considerati un testo base dell'ideologia
rosacrociana.
M. morì a Ginevra il 25 aprile 1709.