LA
STORIA DELLE ERESIE - PERSONAGGI ERETICI |
Sozzini (o Socini, Sozini, Sozzino, Socino o Socinus), Fausto
Paolo (1539-1604) e Socinianesimo in Polonia
I primi
anni Il famoso teologo antitrinitario Fausto Paolo Sozzini (o Socini: per
le altre varianti del cognome, vedere il titolo), nome umanistico
Faustus Socinus, nacque il 5 dicembre 1539 a Siena, primogenito del
giurista Alessandro Sozzini (1509-1541) [a sua volta primogenito del
giureconsulto Mariano Sozzini il giovane (1482-1556)] e di Agnese Petrucci,
discendente di Pandolfo Petrucci (1452-1512), governatore di Siena dal 1487
al 1512. Il piccolo Fausto, dopo la nascita della sorella Fillide
(1540-1568), rimase nel 1541 orfano del padre, e dopo poco anche della madre.
Egli fu allevato nella famiglia paterna senza un'educazione regolare, con un
interesse più per le lettere che per la giurisprudenza (gli studi
tradizionali della famiglia Sozzini), sotto lo stimolo culturale di suo zio
Celso, professore di diritto a Bologna, e proprio in questa città Celso
trasportò nel 1554 l'Accademia senese dei Sizienti, di cui S., pare, abbia
fatto parte. E' sicuro invece la sua adesione, nel 1557, all'Accademia senese
degli Intronati, dove egli entrò con il nome di Frastagliato, sempre al
seguito dello zio Celso, che aveva assunto il nome di Sonnacchioso. Le
riunioni degli Intronati, votati alle discussioni sulla letteratura, lingua
e religione furono per S. senz'altro più interessanti di quelle dei
Sizienti, dedicati solo ad argomenti giuridici. Comunque, per sua fortuna,
non dovette affidarsi ad un titolo di studi per vivere, perché, nel 1556,
alla morte del nonno Mariano, S. poté disporre (per più di trent'anni) di una
certa sicurezza economica, quando ricevette in eredità un quarto dei beni
di famiglia.
Lo sviluppo del pensiero religioso di S. I primi
interessi religiosi eterodossi di S. gli furono trasmessi dallo zio Lelio,
che, benché esule dal 1547 in Svizzera per motivi religiosi, ebbe
la possibilità di rivisitare Siena e parlare col nipote nel 1552. Nel 1558
S. fu coinvolto nel processo per eresia a carico degli zii Celso e Camillo,
segno di un graduale schieramento a favore delle scelte protestanti dei
famigliari. Nel 1561 egli lasciò Siena per recarsi a Lione ufficialmente per
impratichirsi nell'arte mercantile, ma nella città francese egli spese due
anni della sua vita soprattutto ad approfondire le sue conoscenze religiose e
a mantenere i contatti con lo zio Lelio, che abitava a Zurigo. Avvertito
della morte di quest'ultimo, avvenuto il 14 maggio 1562, da parte del
mercante Antonio Mario Besozzi (m. 1567), S. accorse a Zurigo per raccogliere
gli scritti di Lelio, che poi usò per meditare e sviluppare la dottrina del
pensiero sociniano: già nell'aprile 1563, rielaborando concetti di Lelio, S.
aveva composto un commento all'incipit del Vangelo di San Giovanni, dal
titolo Explicatio primae partis primi capiti Evangelii Johannis, dove però,
rispetto allo zio, S. diede più forza al carattere spirituale di
Cristo. In seguito S. si stabilì per un breve periodo a Basilea (sebbene il
suo nome fosse anche citato nell'elenco degli iscritti alla Chiesa degli
Italiani a Ginevra), dove conobbe Celio Secondo Curione, amico dello zio
Lelio. S. si recò anche a Zurigo, dove fu tuttavia coinvolto nell'espulsione,
per le sue idee antitrinitarie, antiecclesiastiche e contro i Sacramenti, di
Bernardino Ochino (da S. conosciuto nella città svizzera) da parte del
riformatore Johann Heinrich Bullinger nel dicembre 1563. A questo punto
S., nonostante fosse già abbastanza compromesso con la Riforma, prese la
sconcertante decisione di ritornare in Toscana. Sulla strada di ritorno,
passò per Chiavenna, dove fece visita all'amico e maestro Ludovico
Castelvetro.
Il periodo fiorentino (1563-1574) Effettivamente non
è del tutto chiaro perché S. decidesse di rientrare in Italia, visto che poi,
per la sua stessa incolumità, dovette poi osservare una prassi fortemente
nicodemitica: infatti per i successivi 11 anni (dal 1563 al 1574) si tenne
per sé le sue intime elucubrazioni religiose. S. si trasferì a Firenze ed
entrò come segretario al servizio di Isabella de' Medici(1542-1576), figlia
del granduca Cosimo I de' Medici (duca di Firenze: 1537-1569 e granduca di
Toscana: 1569-1574), e del marito Paolo Giordano Orsini (1537-1585),
accompagnando la sua protettrice a Roma nel 1571 e componendo poemi e
sonetti, di cui i più ispirati furono quelli composto in onore della sorella
Fillide, morta nel 1568 e di Ludovico Castelvetro, morto il 21 febbraio 1571,
in cui S. dichiarò che il modenese gli aveva chiaramente mostrato la via da
seguire: l'esilio (in terra protestante) e la palese professione di
fede. Nel frattempo (1568) fu stampato, sotto lo pseudonimo del gesuita
Domenico Lopez, il suo scritto teologico De Sacrae Scripturae Autoritate,
che, applicando i metodi della filologia moderna, introdotti da Lorenzo
Valla, ribadiva l'autorità della Sacra Scrittura e l'eccellenza della
religione cristiana. L'uso di uno pseudonimo fu probabilmente frutto di un
accordo segreto con Cosimo I: il granduca avrebbe accordato la sua
protezione, a patto che S. non pubblicasse i suoi scritti con il proprio
nome. L'accordo proseguì anche con il successore di Cosimo, Francesco Maria
(1574-1587) e garantì il regolare afflusso di proventi verso il paese estero,
dove S. aveva, in volta in volta, stabilito la propria
residenza. Nonostante la dichiarazione in occasione della morte di
Castelvetro e la pubblicazione del De Sacrae Scripturae Autoritate, S. prese
la decisione di abbandonare per sempre l'Italia solo dopo la morte del
Granduca Cosimo I de' Medici, avvenuta nell'aprile 1574. Del resto, due anni
dopo, nel giugno 1576, avvenne una tragedia che avrebbe rinforzato la sua
decisione: la sua protettrice, Isabella de' Medici, fu strangolata dal
gelosissimo marito, che aveva saputo dell'esistenza di un amante della moglie
[sebbene avesse lui stesso come amante Vittoria Colonna Accoramboni
(1557-1585)]. Quindi nulla poté il nuovo granduca, Francesco Maria, fratello
di Isabella, per convincere il senese a recedere dalla sua decisione. Tra
l'altro, la scelta di S. era dettata dalla necessità di vivere in un
ambiente, che gli permettesse di sviluppare con serenità e sicurezza i suoi
studi sulle Scritture.
S. in Svizzera Nella seconda metà del
1574, quindi, S. emigrò in Svizzera, a Basilea, dove i capi religiosi erano i
tolleranti riformatori Theodore Zwinger (1533-1588) e Basilio Amerbach
(1533-1591): per quest'ultimo lo zio Lelio aveva scritto una lettera di
presentazione nel lontano 1547, quando lo svizzero aveva espresso il
desiderio di recarsi in Italia per completare i suoi studi di giurisprudenza.
A Basilea S. risedette per circa quattro anni, studiando le Sacre Scritture e
soprattutto il problema della redenzione, sul quale argomento scrisse due
trattati: la sua opera principale De Jesu Christo Servatore (Gesù Cristo
salvatore), finita nel 1578, pubblicata parzialmente (ma senza il suo
consenso) nel 1583 e interamente in Cracovia nel 1594, e il trattato De statu
primi hominis ante lapsum (Sulla condizione del primo uomo prima della
Caduta), sempre scritta nel 1578, ma pubblicata postuma nel 1610. Il primo
trattato, nato dalle discussioni con i riformatori Gerolamo Marliano,
Giovanni Battista Rota (pastore della Chiesa italiana a Ginevra), Manfredi
Balbani e Jacques Couët du Vivier (1547-1608), esponeva l'idea di S. a
riguardo della redenzione: il punto principale della dottrina protestante
della giustificazione per fede non era il sacrificio di Cristo compiuto per
espiare i nostri peccati, bensì la rivelazione divina attraverso l'esempio
della vita di Cristo, vero salvatore e redentore degli uomini. Il secondo
trattato, invece, si inserì nella polemica in atto tra S. e Francesco Pucci,
il pensatore utopistico che rigettava il concetto di peccato originale:
secondo Pucci, l'uomo è immortale e si danna solo quando, razionalmente,
devia dalla legge divina. Per S., che si confrontò con Pucci nel 1577 a
Basilea in un incontro organizzato da Francesco Betti, l'uomo, essere
mortale, si deve invece conquistare l'immortalità con la fede
attiva.
S. in Transilvania Una copia del manoscritto del De Jesu
Christo Servatore giunse fino in Transilvania e attirò l'attenzione del
riformatore antitrinitario e medico Giorgio Biandrata, che invitò S. a
recarsi a Kolozsvàr (oggi Cluj in Romania) nel novembre 1578, per polemizzare
con Ferenc Dàvid, il quale aveva aderito alla fazione degli antitrinitariani
non-adoranti, coloro i quali negavano il ruolo di guida per i fedeli verso la
salvezza del Cristo e rifiutavano, conseguentemente, ogni forma di adorazione
di Gesù Cristo. A loro si contrapponevano gli antitrinitariani adoranti, che
ponevano la figura di Cristo come riferimento per la salvezza degli uomini.
Da qui si comprende l'interesse di Biandrata verso il trattato di S., che
considerava Gesù Cristo colui il cui compito era di rivelare Dio agli uomini,
i quali potevano così raggiungere la salvezza, seguendo il Suo
esempio. L'inattesa conclusione della discussione avvenne nel giugno 1579,
quando, su
denuncia di Biandrata, Dàvid fu fatto arrestare in giugno e
imprigionare nella fortezza di Déva dove morì il 15 novembre dello stesso
anno.
S. in Polonia S. non prese comunque parte attiva alla
tragedia umana di Dàvid, perché, già nel maggio 1579, si era trasferito in
Polonia, presso i Fratelli Polacchi, l'ecclesia minor di fede antitrinitaria
(o unitariana) che aveva mantenuto le caratteristiche ariane (in particolare
il concetto che Cristo era pre-esistito alla creazione del mondo e quindi era
giusto adorarlo) e anabattiste, datale da Pietro Gonesio: fu soprattutto
l'arrivo di S. che contribuì ad uniformare la dottrina sui principi proposti
dal senese. S. pose la sua residenza a Cracovia, sebbene il centro di
riferimento per l'unitarismo polacco fosse la vicina cittadina di Raków, dove
era stato fondato un seminario di studi antitrinitari nel 1569 e dove, tra il
1603 ed il 1605, sarebbe stato redatto il catechismo ufficiale della
setta. Curiosamente S. non fece ufficialmente parte della Chiesa
antitrinitariana di Cracovia, se non in tarda età, a causa del suo rifiuto di
farsi ribattezzare (l'influenza anabattista era ancora molto forte
sugli antitrinitariani polacchi) da parte del pastore Szymon
Ronemberg. Qui, però, riprese la polemica tra adoranti ed alcuni
esponenti non-adoranti, come Giacomo Paleologo, Jànos Sommer (1540-1574), e
Andrea Dudith Sbardellati: comunque, oltre alla solita diatriba se fosse
giusto o meno adorare Gesù Cristo, con il suo De Jesu Christi filii Dei
natura sive essentia, S. attaccò i non-adoranti come giudaizzanti, che
volevano, tra l'altro, santificare il sabato, secondo un uso sabbatariano,
che si sarebbe espanso in Inghilterra, portatovi proprio dagli
antitrinitariani profughi dalla Polonia. Inoltre un altro punto di
frizione con S. fu l'obbligo morale, secondo Paleologo, del cristiano nella
difesa, anche prendendo le armi, del paese che offriva la sua ospitalità. S.
era in totale disaccordo con questa tesi: per l'antitrinitariano senese, il
cristiano, secondo l'interpretazione del Nuovo Testamento, non poteva versare
il sangue di altri cristiani. I toni della polemica furono così accesi che il
medico Marcello Squarcialupi, amico di Biandrata, nel 1581 scrisse una
lettera a S. per richiamarlo ad abbassare i toni della polemica, che
danneggiava l'immagine degli esuli italiani. Comunque, a parte questo
episodio, S. mantenne sempre buone relazioni sociali con diversi esuli
italiani in Polonia, soprattutto con Niccolò Buccella, che diventò suo amico
fraterno e che nominò S. come uno dei suoi eredi, e con Prospero Provana, che
lo ospitò spesso in sua casa. Nel marzo 1583, temendo rappresaglie da parte
del fronte cattolico polacco, S. decise di andare ad abitare nel villaggio di
Pawlikowice (oggigiorno Roznów, sudest di Cracovia), ospite del nobile
polacco Krzysztof Morsztyn, e ne sposò la figlia Elizabeth nel 1586. L'anno
dopo nacque l'unica figlia di S., Agnese (1587-1654), ma, nello stesso anno
morì la moglie. Il 1587 fu anche l'anno della morte del suo protettore in
patria, Francesco Maria de' Medici, e, nonostante S. mantenesse
apparentemente dei buoni rapporti con il nuovo granduca, Ferdinando I
(1587-1609), l'Inquisizione a Siena gli sequestrò i beni, con l'accusa di
eresia. Tuttavia la perdita di introiti dalla madrepatria fu parzialmente
compensata dalla possibilità di pubblicare con il proprio nome le sue opere,
poiché, come si è detto precedentemente, l'anonimato era la conditio sine qua
non imposta prima da Cosimo I, poi da Francesco Maria de' Medici perché S.
potesse continuare a ricevere i proventi delle sue proprietà di
famiglia. Nel 1588 S. riuscì nell'impresa di unire tutte le fazioni
antitrinitariane al sinodo di Brest (Brzesc, in Lituania) e, in suo onore, da
questo momento gli antitrinitariani si denomineranno sociniani. Oltretutto la
crescente popolarità presso la nobiltà polacca e l'autorevolezza dei suoi
interventi fecero sì che nel 1596 S. fosse nominato capo della Chiesa
sociniana polacca. Tuttavia la conseguenza fu che egli dovette
fronteggiare una violenta reazione, anche di piazza, dei cattolici: nel 1591
il suo punto d'incontro a Cracovia fu devastato dalla folla, ma soprattutto,
nel 1598, gli studenti universitari, sobillati dai gesuiti, fecero irruzione
nella sua casa di Cracovia, mentre giaceva a letto ammalato: S. stesso fu
malmenato e portato davanti al municipio, dove vennero bruciati i suoi
scritti e i suoi libri. Richiesto di abiurare, rifiutò e fu quindi trascinato
via per essere annegato nel fiume Vistola, e solo il tempestivo intervento di
un professore universitario, Martin Wadowit, gli salvò la vita. Temendo
quindi per altri attacchi di fanatici, S. si trasferì da Cracovia
a Luslawice, un villaggio a nord di Tarnów, a 30 km. da Cracovia, ospite
di Abraham Blonski, e qui iniziò, senza poterla finire, la stesura della
bozza di un catechismo antitrinitariano, la Christianae religionis
brevissima institutio, per interrogationes et responsiones, quam catechismus
vulgo vocant, che fu la base del catechismo ufficiale, redatto, dopo la sua
morte, dal fedele discepolo Piotr Stoinski junior (m. 1605), assieme a
Valentinus Smalcius (1572-1622), Hieronymus Moskorzowski (m. 1625) ed altri,
in polacco nel 1605. Il testo fu poi tradotto in tedesco nel 1608, in
latino nel 1609, ed in inglese, a cura di John Biddle, nel 1652 con il titolo
di The Racovian Catechisme (Catechismo di Raków), nome con il quale oggi è
conosciuto nel mondo anglosassone unitariano. S., ormai vecchio e
sofferente per ripetute coliche e calcoli renali, morì a Luslawice il 4 marzo
1604. Dapprima sulla sua tomba fu posta la scritta Chi semina virtù,
raccoglie la fama, e vera fama supera la morte, ma nel 1936 i suoi resti
furono posti in un mausoleo, dove sulla sua tomba vennero scritte queste
significative parole: Crolli la superba Babilonia: Lutero ne distrusse i
tetti, Calvino le mura, Socini le fondamenta.
Il pensiero
religioso Secondo Marian Hillar, il nocciolo delle dottrine sociniane si
riassumano in dieci punti: Antitrinitarismo, o negazione del concetto
tradizionale della Trinità. Unitarianismo, o negazione della pre-esistenza di
Gesù. Il concetto della redenzione attraverso atti morali. Il dualismo
radicale: Dio e l'uomo sono radicalmente differenti. Il primo uomo, Adamo,
era mortale prima della Caduta. Il concetto della religione come pratica di
principi etici, per esempio la convinzione che gli insegnamenti morali di
Cristo, tipo il Sermone della Montagna, devono essere praticati. La
convinzione che l'uomo è capace di sviluppare la volontà di seguire Cristo e
così ottenere la salvezza. L'opposizione al misticismo, che richieda qualche
speciale illuminazione per conoscere la verità religiosa. La convinzione
che la ragione dell'uomo è sufficiente per capire e interpretare le
Scritture. La posizione empirica che tutte le nostre conoscenze
derivano dall'esperienza dei sensi. Il pensiero di S., fortemente
razionale, accettava un solo Dio, mentre Gesù Cristo era semplicemente un
uomo crocefisso, il cui compito era di rivelare Dio agli uomini, permettendo
loro di raggiungere così la salvezza, seguendo il Suo esempio. Per lui la
Sacra Scrittura, redatta da uomini, non era indenne da errori, e l'uomo
doveva basarsi sulla propria etica per osservare i comandamenti e non era
quindi necessaria la grazia divina. Egli, inoltre, negava l'esistenza
dell'inferno, il peccato originale, la necessità dei sacramenti, la
predestinazione, e, rispetto ai Fratelli Polacchi, rifiutava il secondo
battesimo.
La fine del socinianesimo in Polonia Pochi anni dopo,
nel 1610, sotto il regno di Sigismondo Augusto III (1587-1632), la potente
organizzazione gesuita sbarcò in Polonia decretando il rapido declino degli
antitrinitariani (o unitariani) in Polonia: il 6 novembre 1611 fu bruciato
sul rogo a Varsavia l'unitariano Jan Tyskiewicz, un agiato cittadino di
Bielsk, per essersi rifiutato di giurare sulla Trinità e nel 1638 fu chiuso
il seminario di Raków. Il colpo finale per l'unitarismo in Polonia fu
comunque, durante il regno di Giovanni Casimiro (1648-1668), il bando di
espulsione per tutti gli unitariani polacchi, deciso nel 1658 e diventato
esecutivo il 10 luglio 1660, che li costrinse o ad uniformarsi al
cattolicesimo o ad emigrare in altri paesi europei (in Olanda, dove la
maggior parte si trasferì aderendo alla Chiesa Arminiana dei rimostranti, in
Germania, e in Transilvania, dove però essi non aderirono alla Chiesa
Unitariana Transilvana, ma formarono una chiesa autonoma a Kolozsvàr
estinguendosi nel 1793). Nel 1668 fu introdotta la legge, che prevedeva la
pena di morte per i cattolici battezzati, che si fossero convertiti al
protestantesimo. L'ultima sacca di resistenza unitariana in Polonia si
estinse nel 1811 e solo nel 1921 furono riaccettate le congregazioni
unitariane nella nazione rinata dopo secoli di dominazione straniera. Ma la
successiva occupazione nazista nel 1939 e l'instaurazione del comunismo ha
fatto sì che l'unitarianismo polacco potesse incominciare a muovere
nuovamente qualche timido passo solamente dopo la caduta del muro di Berlino,
negli anni '90 del XX secolo. L'attuale Chiesa unitariana in Polonia
comprende solo qualche centinaio di fedeli. Per lo sviluppo del
socinianesimo in altri paesi, vedi unitarianismo.
Roscellino (1050-
ca. 1125) e nominalismo
La vita Roscellino, monaco filosofo e
teologo francese, nacque a Compiégne (a nord est di Parigi) nel 1050 e fu
attivo dal 1087 come maestro della scuola Scolastica a Compiégne, Loches e a
Tours. Ebbe contatti con Sant'Anselmo (1033-1109) e Lanfranco di
Canterbury (1005-1089), l'oppositore delle teorie di Berengario di Tours, ed
ebbe molti allievi, tra cui spiccò Pietro Abelardo, successivamente suo
contestatore. Al concilio di Soissons del 1093, R. fu accusato di triteismo,
ma abiurò sotto la minaccia della scomunica. Successivamente viaggiò in
Inghilterra, Italia e Francia, dove fu addirittura bastonato dai canonici
della scuola di San Martino di Tours per una diatriba teologica. Così almeno
raccontò Abelardo, che lo dipinse, non certo in maniera lusinghiera, come un
uomo arrogante ed intemperante. Morì verso il 1125.
La
dottrina R. contribuì all'elaborazione della dottrina del nominalismo nel
trattato De generibus et speciebus, attribuitogli da alcuni esperti, poiché
nulla di sicuramente suo ci è giunto. In questo trattato, egli affermò che
solo le singole essenze esistevano, mentre i generi e le specie erano
concetti universali, noti come semplicemente "universali". Per R., gli
universali non esistevano nella realtà, come invece le essenze, ma erano solo
segni convenzionali o parole (voces) o nomi. La loro unica funzione era di
muovere l'aria quando venivano pronunciati (flatus vocis). Contro questa
concezione si schierarono i realisti, capeggiati da Sant'Anselmo, che
facevano corrispondere gli universali a idee nella mente di Dio, da cui
l'impianto ontologico di Anselmo, contestato dal monaco Gaunilone. Ma R.
venne anche accusato di togliere ogni distinzione fra le tre Persone della
Trinità: seguendo infatti il suo ragionamento fino alle estreme conseguenze,
era impossibile affermare l'esistenza di una essenza divina in tre persone,
quindi dovevano esistere tre divinità separate. Per questo motivo R., come si
è detto, fu accusato di triteismo al concilio di Soissons e fu costretto ad
abiurare.
Negri da Bassano, Francesco (1500-1563)
La
vita Francesco Negri, nato nel 1500 da famiglia nobile a Bassano del
Grappa (provincia di Vicenza), era entrato nell'ordine dei Benedettini con il
nome di Fra' Simeone da Bassano e aveva fatto parte dei monasteri di
San Benedetto di Polirone (o San Benedetto Po) e Santa Giustina di
Padova. Fu influenzato dalla dottrina di Lutero fondata sulle Sacre
Scritture, come comunicò al fratello Girolamo, e successivamente riportato da
quest'ultimo in una lettera del 18 febbraio 1524 inviata al loro
padre. Nella primavera 1525, N. fece la sua scelta di campo: abbandonò il
monastero di Santa Giustina preferendo l'esilio in Germania e a Strasburgo,
dove abitò dal 1529 al 1531 e dove seguì i corsi di teologia di Martin Butzer
(Bucero) e Wolfgang Capito (1478-1541). Per mantenere la famiglia, fece il
tessitore: si era infatti sposato nel frattempo con Cunegonda Fessi, da cui
ebbe tre figli, che lasciò in grande indigenza alla sua morte. Nonostante
l'esilio, N. mantenne comunque contatti con i connazionali: nel 1530 fece un
viaggio a Brescia, al convento benedettino di San Faustino Maggiore, per
cercare di convincere l'ex fratello e umanista Vincenzo Maggi (1498-1564) a
passare alla Riforma e, nello stesso periodo, mantenne un fitto carteggio con
il sacerdote Lucio Paolo Rosello (m. 1556): qualche anno dopo ambedue questi
personaggi, abbandonata la tonaca, entrarono nello stesso gruppo evangelico
costituitosi a Venezia. Nel 1531, dietro una raccomandazione di Wolfgang
Capito a Zwingli, N. si trasferì nel Cantone Grigioni (che dal 1512
comprendeva anche la Valtellina), e nel 1538 fondò una scuola di latino e
greco a Chiavenna, stabilendosi infine, nel 1555, con la famiglia a
Tirano. N. collaborò con il pastore Agostino Mainardi e con l'ex minorita
Paolo Ricci (noto come Camillo Renato dopo la sua conversione al
protestantesimo), autore delTrattato del Battesimo e della Cena, di cui
divenne fraterno amico. Invece con Mainardi (fra l'altro, acerrimo nemico
dottrinale di Renato), i rapporti rimase sempre tesi a causa della pretesa,
nel 1548, del pastore di obbligare tutti i fedeli della Chiesa riformata di
Chiavenna di giurare fedeltà ad una confessione di fede, redatta dallo stesso
Mainardi, il quale l'aveva fatto approvare dalle autorità religiose di Coira,
Zurigo e Basilea. In questo periodo nei Grigioni (il più fecondo), N.
pubblicò, tra il 1546 ed il 1550, due edizioni del suo popolarissimo libro,
la Tragedia intitolata Libero arbitrio. Nel 1550 l'ex benedettino intervenne
in merito all'esecuzione capitale del fornaio di Faenza Fanino Fanini, in
onore del quale (e del suo conterraneo Domenico Cabianca da Bassano) scrisse
De Fanini faventini ac Dominici bassanensis morte (..). Nello stesso anno
scrisse la Brevissima somma della dottrina christiana, contro il nicodemismo
dell'ex confratello Giorgio Siculo. Nel 1546 N. lasciò i Grigioni per
partecipare a Vicenza ai Collegia Vicentina, dove si riunirono i principali
anabattisti e antitrinitariani dell'epoca, tra cui Alciati della Motta,
Curione, Della Sega, Gentile, Gherlandi, Gribaldi Mofa e Lelio Sozzini e nel
1550 prese parte al concilio anabattista a Venezia. Nel 1562, dietro
invito del figlio Giorgio, pastore riformato, N. si trasferì in Polonia, a
Pinczòw, dove insegnò all'effimera comunità antitrinitariana italiana
[l'ecclesiola italica, secondo le parole di Francesco Lismanini (m. 1566),
collaboratore di Giorgio Biandrata]. Intorno a questo nucleo si raccolse il
fior fiore dell'intelligencija antitrinitariana in Polonia: dal Biandrata
stesso ad Alciati, Bernardino Ochino e Gentile. Il gruppo venne disperso
nell'agosto 1564 in seguito all'editto di Parczòw, ma N. era già morto l'anno
precedente, nell'estate 1563.
Tragedia intitolata Libero
arbitrio Pubblicato per la prima volta nel 1546, ampliato dall'autore e
ristampato nel 1547 a cura di Antonio Brucioli e nel 1550 a cura di Dolfino
(o Rodolfino) Landolfi (lo stampatore degli scritti di Pier Paolo Vergerio
e Giulio Della Rovere), il libro più famoso di N., dal titolo
Tragedia intitolata Libero arbitrio, è una satira graffiante, sotto forma di
tragedia in cinque atti, contro le invenzioni teologiche del papato. Il
libro ebbe un successo fenomenale sia in Italia che all'estero, grazie alle
versioni in francese, latino e inglese, ma fu messa all'Indice
nel 1548. Bersagli della Tragedia intitolata Libero arbitrio furono
comunque anche diversi famosi personaggi dell'evangelismo italiano come i
cardinali Reginald Pole e Giovanni Morone, il vescovo Vittore Soranzo, Alvise
Priuli e Marcantonio Flaminio, tutti ferocemente accusati da N. di
nicodemismo.
Rizzetto (o Rossetto o Ricetto), Antonio (m.
1565)
Antonio Rizzetto (o Rossetto o Ricetto), modesto
proprietario terriero di Vicenza, negli anni '50 del XVI secolo aderì ad un
antitrinitarismo moderato, ma nel 1557, in seguito ai processi nel Veneto
contro gli eretici (scaturiti dalle confessioni di Pietro Manelfi), fuggì a
Salonicco, in Grecia, dove fu convertito all'anabattismo. Dopo un breve
rientro a Venezia, egli si recò con Francesco Della Sega e Giulio Gherlandi
in Moravia, entrando in una comunità hutterita ad Austerlitz, "perché aveva
inteso che erano buone persone e vivevano santamente, per viver anche mi là
in quel loco; e vedendo il suo viver e il suo proceder, el mi piacque. E così
me deliberai de restar là, e restai", come viene riportata la sua
dichiarazione negli atti processuali. Dalla Moravia R. ritornò in Italia per
fare proselitismo, ma il 27 agosto 1562 fu catturato a Capodistria, insieme a
Della Sega e a Niccolò Buccella, mentre stava facendo ritorno in Moravia, e
fu rinchiuso nel carcere veneziano di San Giovanni Battista in Bragora. Fu
torturato per farlo abiurare, ed in seguito condannato alla pena capitale,
ma, contrariamente al confratello Della Sega, che ebbe qualche tentennamento
di fronte agli inquisitori ottenendo un rinvio (fino al 26 febbraio)
dell'esecuzione capitale, R. fu incrollabile nella sua fede e la sentenza per
annegamento fu quindi eseguita nel Canale dell'Orfano (nella laguna veneta)
nella notte dell'8 febbraio 1565.
Sozzini (o Socini, Sozini,
Sozzino, Socino o Socinus), Fausto Paolo (1539-1604) e Socinianesimo in
Polonia
I primi anni Il famoso teologo antitrinitario Fausto
Paolo Sozzini (o Socini: per le altre varianti del cognome, vedere il
titolo), nome umanistico Faustus Socinus, nacque il 5 dicembre 1539 a Siena,
primogenito del giurista Alessandro Sozzini (1509-1541) [a sua volta
primogenito del giureconsulto Mariano Sozzini il giovane (1482-1556)] e di
Agnese Petrucci, discendente di Pandolfo Petrucci (1452-1512), governatore di
Siena dal 1487 al 1512. Il piccolo Fausto, dopo la nascita della sorella
Fillide (1540-1568), rimase nel 1541 orfano del padre, e dopo poco anche
della madre. Egli fu allevato nella famiglia paterna senza un'educazione
regolare, con un interesse più per le lettere che per la giurisprudenza (gli
studi tradizionali della famiglia Sozzini), sotto lo stimolo culturale di suo
zio Celso, professore di diritto a Bologna, e proprio in questa città Celso
trasportò nel 1554 l'Accademia senese dei Sizienti, di cui S., pare, abbia
fatto parte. E' sicuro invece la sua adesione, nel 1557, all'Accademia senese
degli Intronati, dove egli entrò con il nome di Frastagliato, sempre al
seguito dello zio Celso, che aveva assunto il nome di Sonnacchioso. Le
riunioni degli Intronati, votati alle discussioni sulla letteratura, lingua
e religione furono per S. senz'altro più interessanti di quelle dei
Sizienti, dedicati solo ad argomenti giuridici. Comunque, per sua fortuna,
non dovette affidarsi ad un titolo di studi per vivere, perché, nel 1556,
alla morte del nonno Mariano, S. poté disporre (per più di trent'anni) di una
certa sicurezza economica, quando ricevette in eredità un quarto dei beni
di famiglia.
Lo sviluppo del pensiero religioso di S. I primi
interessi religiosi eterodossi di S. gli furono trasmessi dallo zio Lelio,
che, benché esule dal 1547 in Svizzera per motivi religiosi, ebbe
la possibilità di rivisitare Siena e parlare col nipote nel 1552. Nel 1558
S. fu coinvolto nel processo per eresia a carico degli zii Celso e Camillo,
segno di un graduale schieramento a favore delle scelte protestanti dei
famigliari. Nel 1561 egli lasciò Siena per recarsi a Lione ufficialmente per
impratichirsi nell'arte mercantile, ma nella città francese egli spese due
anni della sua vita soprattutto ad approfondire le sue conoscenze religiose e
a mantenere i contatti con lo zio Lelio, che abitava a Zurigo. Avvertito
della morte di quest'ultimo, avvenuto il 14 maggio 1562, da parte del
mercante Antonio Mario Besozzi (m. 1567), S. accorse a Zurigo per raccogliere
gli scritti di Lelio, che poi usò per meditare e sviluppare la dottrina del
pensiero sociniano: già nell'aprile 1563, rielaborando concetti di Lelio, S.
aveva composto un commento all'incipit del Vangelo di San Giovanni, dal
titolo Explicatio primae partis primi capiti Evangelii Johannis, dove però,
rispetto allo zio, S. diede più forza al carattere spirituale di
Cristo. In seguito S. si stabilì per un breve periodo a Basilea (sebbene il
suo nome fosse anche citato nell'elenco degli iscritti alla Chiesa degli
Italiani a Ginevra), dove conobbe Celio Secondo Curione, amico dello zio
Lelio. S. si recò anche a Zurigo, dove fu tuttavia coinvolto nell'espulsione,
per le sue idee antitrinitarie, antiecclesiastiche e contro i Sacramenti, di
Bernardino Ochino (da S. conosciuto nella città svizzera) da parte del
riformatore Johann Heinrich Bullinger nel dicembre 1563. A questo punto
S., nonostante fosse già abbastanza compromesso con la Riforma, prese la
sconcertante decisione di ritornare in Toscana. Sulla strada di ritorno,
passò per Chiavenna, dove fece visita all'amico e maestro Ludovico
Castelvetro.
Il periodo fiorentino (1563-1574) Effettivamente non
è del tutto chiaro perché S. decidesse di rientrare in Italia, visto che poi,
per la sua stessa incolumità, dovette poi osservare una prassi fortemente
nicodemitica: infatti per i successivi 11 anni (dal 1563 al 1574) si tenne
per sé le sue intime elucubrazioni religiose. S. si trasferì a Firenze ed
entrò come segretario al servizio di Isabella de' Medici(1542-1576), figlia
del granduca Cosimo I de' Medici (duca di Firenze: 1537-1569 e granduca di
Toscana: 1569-1574), e del marito Paolo Giordano Orsini (1537-1585),
accompagnando la sua protettrice a Roma nel 1571 e componendo poemi e
sonetti, di cui i più ispirati furono quelli composto in onore della sorella
Fillide, morta nel 1568 e di Ludovico Castelvetro, morto il 21 febbraio 1571,
in cui S. dichiarò che il modenese gli aveva chiaramente mostrato la via da
seguire: l'esilio (in terra protestante) e la palese professione di
fede. Nel frattempo (1568) fu stampato, sotto lo pseudonimo del gesuita
Domenico Lopez, il suo scritto teologico De Sacrae Scripturae Autoritate,
che, applicando i metodi della filologia moderna, introdotti da Lorenzo
Valla, ribadiva l'autorità della Sacra Scrittura e l'eccellenza della
religione cristiana. L'uso di uno pseudonimo fu probabilmente frutto di un
accordo segreto con Cosimo I: il granduca avrebbe accordato la sua
protezione, a patto che S. non pubblicasse i suoi scritti con il proprio
nome. L'accordo proseguì anche con il successore di Cosimo, Francesco Maria
(1574-1587) e garantì il regolare afflusso di proventi verso il paese estero,
dove S. aveva, in volta in volta, stabilito la propria
residenza. Nonostante la dichiarazione in occasione della morte di
Castelvetro e la pubblicazione del De Sacrae Scripturae Autoritate, S. prese
la decisione di abbandonare per sempre l'Italia solo dopo la morte del
Granduca Cosimo I de' Medici, avvenuta nell'aprile 1574. Del resto, due anni
dopo, nel giugno 1576, avvenne una tragedia che avrebbe rinforzato la sua
decisione: la sua protettrice, Isabella de' Medici, fu strangolata dal
gelosissimo marito, che aveva saputo dell'esistenza di un amante della moglie
[sebbene avesse lui stesso come amante Vittoria Colonna Accoramboni
(1557-1585)]. Quindi nulla poté il nuovo granduca, Francesco Maria, fratello
di Isabella, per convincere il senese a recedere dalla sua decisione. Tra
l'altro, la scelta di S. era dettata dalla necessità di vivere in un
ambiente, che gli permettesse di sviluppare con serenità e sicurezza i suoi
studi sulle Scritture.
S. in Svizzera Nella seconda metà del
1574, quindi, S. emigrò in Svizzera, a Basilea, dove i capi religiosi erano i
tolleranti riformatori Theodore Zwinger (1533-1588) e Basilio Amerbach
(1533-1591): per quest'ultimo lo zio Lelio aveva scritto una lettera di
presentazione nel lontano 1547, quando lo svizzero aveva espresso il
desiderio di recarsi in Italia per completare i suoi studi di giurisprudenza.
A Basilea S. risedette per circa quattro anni, studiando le Sacre Scritture e
soprattutto il problema della redenzione, sul quale argomento scrisse due
trattati: la sua opera principale De Jesu Christo Servatore (Gesù Cristo
salvatore), finita nel 1578, pubblicata parzialmente (ma senza il suo
consenso) nel 1583 e interamente in Cracovia nel 1594, e il trattato De statu
primi hominis ante lapsum (Sulla condizione del primo uomo prima della
Caduta), sempre scritta nel 1578, ma pubblicata postuma nel 1610. Il primo
trattato, nato dalle discussioni con i riformatori Gerolamo Marliano,
Giovanni Battista Rota (pastore della Chiesa italiana a Ginevra), Manfredi
Balbani e Jacques Couët du Vivier (1547-1608), esponeva l'idea di S. a
riguardo della redenzione: il punto principale della dottrina protestante
della giustificazione per fede non era il sacrificio di Cristo compiuto per
espiare i nostri peccati, bensì la rivelazione divina attraverso l'esempio
della vita di Cristo, vero salvatore e redentore degli uomini. Il secondo
trattato, invece, si inserì nella polemica in atto tra S. e Francesco Pucci,
il pensatore utopistico che rigettava il concetto di peccato originale:
secondo Pucci, l'uomo è immortale e si danna solo quando, razionalmente,
devia dalla legge divina. Per S., che si confrontò con Pucci nel 1577 a
Basilea in un incontro organizzato da Francesco Betti, l'uomo, essere
mortale, si deve invece conquistare l'immortalità con la fede
attiva.
S. in Transilvania Una copia del manoscritto del De Jesu
Christo Servatore giunse fino in Transilvania e attirò l'attenzione del
riformatore antitrinitario e medico Giorgio Biandrata, che invitò S. a
recarsi a Kolozsvàr (oggi Cluj in Romania) nel novembre 1578, per polemizzare
con Ferenc Dàvid, il quale aveva aderito alla fazione degli antitrinitariani
non-adoranti, coloro i quali negavano il ruolo di guida per i fedeli verso la
salvezza del Cristo e rifiutavano, conseguentemente, ogni forma di adorazione
di Gesù Cristo. A loro si contrapponevano gli antitrinitariani adoranti, che
ponevano la figura di Cristo come riferimento per la salvezza degli uomini.
Da qui si comprende l'interesse di Biandrata verso il trattato di S., che
considerava Gesù Cristo colui il cui compito era di rivelare Dio agli uomini,
i quali potevano così raggiungere la salvezza, seguendo il Suo
esempio. L'inattesa conclusione della discussione avvenne nel giugno 1579,
quando, su denuncia di Biandrata, Dàvid fu fatto arrestare in giugno e
imprigionare nella fortezza di Déva dove morì il 15 novembre dello stesso
anno.
S. in Polonia S. non prese comunque parte attiva alla
tragedia umana di Dàvid, perché, già nel maggio 1579, si era trasferito in
Polonia, presso i Fratelli Polacchi, l'ecclesia minor di fede antitrinitaria
(o unitariana) che aveva mantenuto le caratteristiche ariane (in particolare
il concetto che Cristo era pre-esistito alla creazione del mondo e quindi era
giusto adorarlo) e anabattiste, datale da Pietro Gonesio: fu soprattutto
l'arrivo di S. che contribuì ad uniformare la dottrina sui principi proposti
dal senese. S. pose la sua residenza a Cracovia, sebbene il centro di
riferimento per l'unitarismo polacco fosse la vicina cittadina di Raków, dove
era stato fondato un seminario di studi antitrinitari nel 1569 e dove, tra il
1603 ed il 1605, sarebbe stato redatto il catechismo ufficiale della
setta. Curiosamente S. non fece ufficialmente parte della Chiesa
antitrinitariana di Cracovia, se non in tarda età, a causa del suo rifiuto di
farsi ribattezzare (l'influenza anabattista era ancora molto forte
sugli antitrinitariani polacchi) da parte del pastore Szymon
Ronemberg. Qui, però, riprese la polemica tra adoranti ed alcuni
esponenti non-adoranti, come Giacomo Paleologo, Jànos Sommer (1540-1574), e
Andrea Dudith Sbardellati: comunque, oltre alla solita diatriba se fosse
giusto o meno adorare Gesù Cristo, con il suo De Jesu Christi filii Dei
natura sive essentia, S. attaccò i non-adoranti come giudaizzanti, che
volevano, tra l'altro, santificare il sabato, secondo un uso sabbatariano,
che si sarebbe espanso in Inghilterra, portatovi proprio dagli
antitrinitariani profughi dalla Polonia. Inoltre un altro punto di
frizione con S. fu l'obbligo morale, secondo Paleologo, del cristiano nella
difesa, anche prendendo le armi, del paese che offriva la sua ospitalità. S.
era in totale disaccordo con questa tesi: per l'antitrinitariano senese, il
cristiano, secondo l'interpretazione del Nuovo Testamento, non poteva versare
il sangue di altri cristiani. I toni della polemica furono così accesi che il
medico Marcello Squarcialupi, amico di Biandrata, nel 1581 scrisse una
lettera a S. per richiamarlo ad abbassare i toni della polemica, che
danneggiava l'immagine degli esuli italiani. Comunque, a parte questo
episodio, S. mantenne sempre buone relazioni sociali con diversi esuli
italiani in Polonia, soprattutto con Niccolò Buccella, che diventò suo amico
fraterno e che nominò S. come uno dei suoi eredi, e con Prospero Provana, che
lo ospitò spesso in sua casa. Nel marzo 1583, temendo rappresaglie da parte
del fronte cattolico polacco, S. decise di andare ad abitare nel villaggio di
Pawlikowice (oggigiorno Roznów, sudest di Cracovia), ospite del nobile
polacco Krzysztof Morsztyn, e ne sposò la figlia Elizabeth nel 1586. L'anno
dopo nacque l'unica figlia di S., Agnese (1587-1654), ma, nello stesso anno
morì la moglie. Il 1587 fu anche l'anno della morte del suo protettore in
patria, Francesco Maria de' Medici, e, nonostante S. mantenesse
apparentemente dei buoni rapporti con il nuovo granduca, Ferdinando I
(1587-1609), l'Inquisizione a Siena gli sequestrò i beni, con l'accusa di
eresia. Tuttavia la perdita di introiti dalla madrepatria fu parzialmente
compensata dalla possibilità di pubblicare con il proprio nome le sue opere,
poiché, come si è detto precedentemente, l'anonimato era la conditio sine qua
non imposta prima da Cosimo I, poi da Francesco Maria de' Medici perché S.
potesse continuare a ricevere i proventi delle sue proprietà di
famiglia. Nel 1588 S. riuscì nell'impresa di unire tutte le fazioni
antitrinitariane al sinodo di Brest (Brzesc, in Lituania) e, in suo onore, da
questo momento gli antitrinitariani si denomineranno sociniani. Oltretutto la
crescente popolarità presso la nobiltà polacca e l'autorevolezza dei suoi
interventi fecero sì che nel 1596 S. fosse nominato capo della Chiesa
sociniana polacca. Tuttavia la conseguenza fu che egli dovette
fronteggiare una violenta reazione, anche di piazza, dei cattolici: nel 1591
il suo punto d'incontro a Cracovia fu devastato dalla folla, ma soprattutto,
nel 1598, gli studenti universitari, sobillati dai gesuiti, fecero irruzione
nella sua casa di Cracovia, mentre giaceva a letto ammalato: S. stesso fu
malmenato e portato davanti al municipio, dove vennero bruciati i suoi
scritti e i suoi libri. Richiesto di abiurare, rifiutò e fu quindi trascinato
via per essere annegato nel fiume Vistola, e solo il tempestivo intervento di
un professore universitario, Martin Wadowit, gli salvò la vita. Temendo
quindi per altri attacchi di fanatici, S. si trasferì da Cracovia
a Luslawice, un villaggio a nord di Tarnów, a 30 km. da Cracovia, ospite
di Abraham Blonski, e qui iniziò, senza poterla finire, la stesura della
bozza di un catechismo antitrinitariano, la Christianae religionis
brevissima institutio, per interrogationes et responsiones, quam catechismus
vulgo vocant, che fu la base del catechismo ufficiale, redatto, dopo la sua
morte, dal fedele discepolo Piotr Stoinski junior (m. 1605), assieme a
Valentinus Smalcius (1572-1622), Hieronymus Moskorzowski (m. 1625) ed altri,
in polacco nel 1605. Il testo fu poi tradotto in tedesco nel 1608, in
latino nel 1609, ed in inglese, a cura di John Biddle, nel 1652 con il titolo
di The Racovian Catechisme (Catechismo di Raków), nome con il quale oggi è
conosciuto nel mondo anglosassone unitariano. S., ormai vecchio e
sofferente per ripetute coliche e calcoli renali, morì a Luslawice il 4 marzo
1604. Dapprima sulla sua tomba fu posta la scritta Chi semina virtù,
raccoglie la fama, e vera fama supera la morte, ma nel 1936 i suoi resti
furono posti in un mausoleo, dove sulla sua tomba vennero scritte queste
significative parole: Crolli la superba Babilonia: Lutero ne distrusse i
tetti, Calvino le mura, Socini le fondamenta.
Il pensiero
religioso Secondo Marian Hillar, il nocciolo delle dottrine sociniane si
riassumano in dieci punti: Antitrinitarismo, o negazione del concetto
tradizionale della Trinità. Unitarianismo, o negazione della pre-esistenza di
Gesù. Il concetto della redenzione attraverso atti morali. Il dualismo
radicale: Dio e l'uomo sono radicalmente differenti. Il primo uomo, Adamo,
era mortale prima della Caduta. Il concetto della religione come pratica di
principi etici, per esempio la convinzione che gli insegnamenti morali di
Cristo, tipo il Sermone della Montagna, devono essere praticati. La
convinzione che l'uomo è capace di sviluppare la volontà di seguire Cristo e
così ottenere la salvezza. L'opposizione al misticismo, che richieda qualche
speciale illuminazione per conoscere la verità religiosa. La convinzione
che la ragione dell'uomo è sufficiente per capire e interpretare le
Scritture. La posizione empirica che tutte le nostre conoscenze
derivano dall'esperienza dei sensi. Il pensiero di S., fortemente
razionale, accettava un solo Dio, mentre Gesù Cristo era semplicemente un
uomo crocefisso, il cui compito era di rivelare Dio agli uomini, permettendo
loro di raggiungere così la salvezza, seguendo il Suo esempio. Per lui la
Sacra Scrittura, redatta da uomini, non era indenne da errori, e l'uomo
doveva basarsi sulla propria etica per osservare i comandamenti e non era
quindi necessaria la grazia divina. Egli, inoltre, negava l'esistenza
dell'inferno, il peccato originale, la necessità dei sacramenti, la
predestinazione, e, rispetto ai Fratelli Polacchi, rifiutava il secondo
battesimo.
La fine del socinianesimo in Polonia Pochi anni dopo,
nel 1610, sotto il regno di Sigismondo Augusto III (1587-1632), la potente
organizzazione gesuita sbarcò in Polonia decretando il rapido declino degli
antitrinitariani (o unitariani) in Polonia: il 6 novembre 1611 fu bruciato
sul rogo a Varsavia l'unitariano Jan Tyskiewicz, un agiato cittadino di
Bielsk, per essersi rifiutato di giurare sulla Trinità e nel 1638 fu chiuso
il seminario di Raków. Il colpo finale per l'unitarismo in Polonia fu
comunque, durante il regno di Giovanni Casimiro (1648-1668), il bando di
espulsione per tutti gli unitariani polacchi, deciso nel 1658 e diventato
esecutivo il 10 luglio 1660, che li costrinse o ad uniformarsi al
cattolicesimo o ad emigrare in altri paesi europei (in Olanda, dove la
maggior parte si trasferì aderendo alla Chiesa Arminiana dei rimostranti, in
Germania, e in Transilvania, dove però essi non aderirono alla Chiesa
Unitariana Transilvana, ma formarono una chiesa autonoma a Kolozsvàr
estinguendosi nel 1793). Nel 1668 fu introdotta la legge, che prevedeva la
pena di morte per i cattolici battezzati, che si fossero convertiti al
protestantesimo. L'ultima sacca di resistenza unitariana in Polonia si
estinse nel 1811 e solo nel 1921 furono riaccettate le congregazioni
unitariane nella nazione rinata dopo secoli di dominazione straniera. Ma la
successiva occupazione nazista nel 1939 e l'instaurazione del comunismo ha
fatto sì che l'unitarianismo polacco potesse incominciare a muovere
nuovamente qualche timido passo solamente dopo la caduta del muro di Berlino,
negli anni '90 del XX secolo. L'attuale Chiesa unitariana in Polonia
comprende solo qualche centinaio di fedeli. Per lo sviluppo del
socinianesimo in altri paesi, vedi unitarianismo.
Rothmann, Bernhard
(o Bert) (1495-dopo il 1535)
Bernhard (o Bert) Rothmann, figlio
di un fabbro, nacque nel 1495 a Stadtlohn, un paese ad ovest di Münster
(capitale della Westfalia), vicino al confine con l'Olanda. R. dapprima fu
insegnante di latino a Warendorf (vicino a Münster) e poi fu poi avviato alla
carriera ecclesiastica, studiando all'università di Colonia e viaggiando nel
1531 in alcuni centri della Riforma luterana, come a Wittenberg, dove diventò
amico di Melantone, e a Strasburgo, dove conobbe Wolfgang Capito
(1478-1541). Tornò quindi a Münster e accettò di diventare predicatore della
chiesa di San Lamberto, con lo scopo di convertire la città al luteranesimo.
In ciò R. venne aiutato dal ricco mercante di panni Bernhard Knipperdolling,
capo delle gilde cittadine dal 1527. I due si allearono per poter scalzare
il potere del vescovo cattolico Franz von Waldeck (vescovo: 1532-1534, m.
1553) e nel 1532 R. precisò il proprio credo pubblicando una confessione di
fede in trenta articoli, sintesi tra una solida base luterana e alcune
influenze dei riformatori svizzeri, in particolare Zwingli, soprattutto per
quanto riguardavano i sacramenti. Tuttavia già nei mesi successivi R. cambiò
totalmente pensiero, venendo influenzato da un gruppo di dissidenti, che si
erano recati a Münster in quel periodo, i cosiddetti Predicatori di
Wassenberg (Wassenberger Prädikanten), radicali evangelici come Heinrich Rol
(Henricus Rollius), scacciati dal vicino ducato di Cleve. Nella sua lotta
contro il consiglio comunale, R. dunque fu appoggiato da questi predicatori
e, come già detto, dalle gilde di Knipperdolling, e poté approfittare delle
lotte in città tra luterani e cattolici. Tuttavia la situazione si evolse
molto rapidamente con l'afflusso, sempre più marcato di anabattisti dal 1533,
ed in particolare con l'arrivo, nel gennaio 1534, del predicatore olandese
anabattista Jan Bockelson, inviato a Münster dal profeta apocalittico Jan
Matthys. Bockelson riuscì a convertire Knipperdolling ed insieme i due
diffusero l'anabattismo in maniera capillare e crearono una tale esaltazione
delle masse da far espellere l'odiato vescovo von Waldeck. Successivamente
gli anabattisti portarono la propria confessione a vincere la maggioranza
nel consiglio comunale, durante le elezioni del 23 febbraio
1534. Immediatamente Matthys vi si trasferì, dichiarando che quella era la
Nuova Gerusalemme dove attendere il ritorno di Cristo, Knipperdolling
fu dichiarato borgomastro e furono prese misure radicali, come
l'espulsione, anche con la violenza, di tutti i cattolici e luterani (a
fatica Knipperdolling e Bockelson riuscirono a convincere Matthys
dell'assurdità di massacrarli tutti, come invece il profeta pretendeva!) e
confisca dei loro beni, ribattesimo di coloro che era rimasti in città,
abolizione della proprietà privata, incluso il denaro, falò di tutti i libri
della città eccetto la Bibbia. Matthys proclamò la Nuova Sion in terra ed
invitò tutti gli anabattisti ad accorrere a Münster: nonostante che l'ex
vescovo von Waldeck oramai cingesse d'assedio la città con le sue truppe (per
la verità non molto numerose): circa 2500 fedeli risposero all'appello, tra
cui i due fratelli ed ex preti Bernhard ed Hinrich Krechting, che avrebbero
assunto in seguito incarichi ufficiali nel governo della città. Tutte
queste novità spiazzarono R. ed i predicatori di Wassenberg, che, da lì in
avanti diventarono figure esecutive di secondo piano, sebbene R. fu comunque
chiamato a ricoprire il ruolo di responsabile della propaganda. Poco dopo, il
giorno di Pasqua, 4 aprile 1534, il vero capo di questa vera e propria
dittatura teocratica, Jan Matthys, guidò una folle sortita con soli 20
compagni contro le truppe del vescovo e cercò perfino di arringare i soldati
per convincerli a passare dalla parte degli assediati, ma fu ucciso da un
ufficiale con un colpo di spada al petto. Caduto il profeta Matthys, prese il
potere direttamente Jan Bockelson, più fanatico e sanguinario di Matthys
stesso, che introdusse tutta una serie di leggi, presentandole come non
discutibili in quanto parte di suoi deliri mistici: in una di queste leggi
egli introdusse, dal luglio 1534, la folle idea della poligamia obbligatoria.
Bockelson stesso sposò 15 mogli, tutte giovani e belle, tra cui la vedova di
Matthys, Divara, mentre R. si accontentò di 9 mogli. La disposizione, imposta
con la forza, incontrò una crescente resistenza: una congiura fu repressa nel
sangue e tutte le donne che rifiutavano il matrimonio forzato venivano
orribilmente torturate ed uccise. In settembre, in un delirio di
onnipotenza, Bockelson si fece incoronare sfarzosamente, con la sua regina
Divara al suo fianco, come un novello Re Davide del regno della Nuova
Gerusalemme, minacciando di morte coloro che si fossero opposti. Tra
ottobre e dicembre 1534 R., che probabilmente ancora pensava nella
bontà dell'esperienza di Münster, scrisse e pubblicò due opuscoli
(Eine Restitution e Van der Wrake) per cercare di sostenere la causa
degli assediati, ma i dissidi interni tra gli immigrati, favoriti da
Bockelson (le cui follie giornaliere non si contavano più), e gli abitanti
originari di Münster, portarono a nuove esecuzioni capitali. Nel gennaio
1535 l'assedio divenne rigorosissimo: nulla poteva passare, neanche i viveri
che precedentemente riuscivano a filtrare attraverso le maglie dell'assedio.
La fame avanzò rapidamente e quando finì il cibo, gli abitanti si misero a
mangiare di tutto: cani, gatti, topi, erbe, scarpe bollite e
quant'altro. L'espugnazione della città avvenne il 24 giugno 1535 grazie al
tradimento di un cittadino di Münster, che apri le porte della città durante
un violento temporale. Le truppe del vescovo poterono quindi entrare,
procedendo ad un massacro sistematico dei difensori, nonostante la strenua
lotta organizzata da Bernhard Krechting. Bockelson, Knipperdolling e B.
Krechting furono catturati, interrogati, torturati ed infine orribilmente
giustiziati sulla piazza del mercato di Münster il 22 gennaio 1536. Di R.
non si seppe mai più nulla e fu ricercato attivamente per qualche anno nel
dubbio che fosse riuscito a fuggire da Münster. Girarono voci,
non confermate, che si fosse rifugiato nel nord della Germania, ma la data
della sua morte rimane ancora un mistero.
Reublin (o Röuble o
Röblin o Reubel), Wilhelm (ca. 1480/4- ca.1559)
Wilhelm Reublin
(la grafia del cognome è riportata anche nelle varianti Röuble o Röblin o
Reubel) nacque a Rottenberg sul Neckar, nella Germania meridionale, in un
anno imprecisato tra il 1480 ed il 1484, studiò alle università di Friburgo e
Tübingen e, ordinato sacerdote, fu nominato parroco a Griessen, vicino a
Waldshut, nel Baden Würtemberg. Nel 1510 R. ottenne il Magister artium e nel
1521 prese servizio come predicatore nella chiesa di Sant'Albano a Basilea,
dove venne apprezzato dal popolo per le sue notevoli doti di predicatore
riformista. Tuttavia egli iniziò ben presto a manifestare una posizione
alquanto radicale e, per questo, entrò in rotta di collisione con il suo
vescovo Christoph von Otenheim (vescovo:1502-1527). Un primo intervento
contro la messa gli fu perdonato, stante il seguito e la popolarità che aveva
riscosso in città, ma un secondo, in cui osò sostituire le ossa di un
reliquiario con la Bibbia gli costò il posto e l'espulsione dalla città il 27
Giugno 1522.
Reublin a Zurigo Nell'autunno 1522 R. si recò a
Zurigo, entrando nei circoli cittadini, che gravitavano intorno a Zwingli, e
si fece apprezzare come predicatore, venendo successivamente, nel 1523,
nominato, dalla comunità locale, pastore del villaggio di Wytikon, dove fu il
primo sacerdote a sposarsi pubblicamente in chiesa il 23 Aprile. Tuttavia,
già dal Gennaio 1523, R. ed altri radicali, come Felix Mantz, Hans Brötli e
Simon Stumpf, avevano solidarizzato con le idee anabattiste di Conrad Grebel
ed incominciato a contestare la linea riformista di Zwingli. In particolare
la materia del contendere era la superiorità della Sacra Scrittura,
propugnata da Grebel e compagni, rispetto all'autorità dello stato, voluto da
Zwingli, che lavorava per ottenere il consenso unanime del corpus
christianum, inteso come l'unità dei fedeli. All'inizio del 1524 il gruppo di
Grebel, propugnatore del battesimo solo in età adulta, entrò in rotta di
collisione con Zwingli, proprio quando R., nel suo villaggio di Wytikon, si
rifiutò di far battezzare i bambini, cosa che gli costò qualche giorno di
arresto. La polemica montò fino ad una disputa pubblica il 10 e 17 Gennaio
1525 tra gli anabattisti, da poco rinforzati dall'adesione dell'ex sacerdote
Jörg Blaurock, e i riformatori svizzeri nelle persone di Zwingli e
Johann Heinrich Bullinger. Ma il risultato fu scontato: il Consiglio
cittadino di Zurigo censurò la posizione del gruppo di Grebel, ordinando il
battesimo immediato di tutti i bambini entro otto giorni dalla loro
nascita. Poco dopo, il 21 Gennaio 1525, lo stesso Consiglio cittadino,
nell'ambito delle misure repressive contro gli anabattisti, ordinò
l'espulsione dalla città e dal cantone di tutti gli anabattisti non cittadini
zurighesi, tra cui R. stesso.
Reublin a Waldshut R. allora si
recò, con Hans Brötli, a Hallau, nel cantone Sciaffusa, e successivamente, da
solo, a Waldshut, vicino al confine con la Svizzera, nel sud del Baden
Württenberg, principato sotto il dominio degli Asburgo dal 1520 al
1534. Qui R. convertì alla causa anabattista Balthasar Hubmaier,
battezzandolo il 16 Aprile 1525, assieme ad altre 60 persone. Hubmaier e R.
fondarono a Waldshut la prima comunità anabattista tedesca. Tuttavia, poco
dopo, il contrasto con i cattolici Asburgo prese una piega molto drammatica:
nell'autunno 1525 Ferdinando d'Asburgo fece porre d'assedio Waldshut, con il
pretesto della repressione della nota Rivolta dei contadini (vedi Müntzer),
ma anche con l'obiettivo di riportare il Cattolicesimo nella
città. Waldshut si arrese il 5 Dicembre 1525 e R. fuggì, comparendo a
Strasburgo nel Marzo 1526, ospite del riformatore Wolfgang Capito
(1478-1541): la sua permanenza a Strasburgo fu alquanto breve a causa di
alcune sue incaute dichiarazioni, nelle quali R. si vantò di aver convinto
Capito ed altri riformatori della bontà delle idee anabattiste. Tuttavia R.
fu smentito e invitato per ben tre volte dagli stessi riformatori ad un
dibattito pubblico, che lui preferì rifiutare, decidendo poi di lasciare la
città. Si recò quindi nella zona di Horb sul Neckar e di Rottenburg, il suo
paese natale, organizzando con l'amico Michael Sattler (da R. ribattezzato
a Zurigo nel 1525) la predicazione anabattista nel Baden
Württenberg.
La riunione di Schleitheim Il 24 Febbraio 1527 R.
probabilmente partecipò, con altri anabattisti (sicuramente Sattler e forse
Blaurock e Brötli), ad una riunione a Schleitheim, nel cantone svizzero di
Sciaffusa, al termine della quale furono stillati da Sattler i Sette articoli
di Schleitheim, un documento che contiene la dottrina fondamentale
dell'anabattismo. I sette articoli erano: 1. Battesimo, dato in seguito ad
un sincero pentimento e promessa di cambiamento di vita. 2. Scomunica,
intesa come esclusione dalla Cena del Signore e comminata a chi veniva
ammonito per tre volte contro l'errore ed il peccato. 3. Cena del Signore,
con la precisazione di chi aveva diritto di accedervi. 4. Separazione dal
mondo: una volta battezzato, il fedele doveva la sua lealtà alla Chiesa e a
Cristo, e non più al suo paese e ai suoi governanti. 5. I pastori e loro
funzioni. 6. Non resistenza: i veri cristiani non potevano svolgere un ruolo
pubblico, come il giudice, o partecipare ad azioni militari. 7. I
giuramenti, vietati ai fedeli.
Poco dopo la conclusione della
riunione di Schleitheim, Sattler, la moglie ed altri 18 anabattisti (tra cui
la moglie di R., la quale rimase a lungo in carcere e fu liberata solo dopo
la sua ritrattazione) furono arrestati a Horb. Dopo un processo a Rottenburg,
Sattler e la moglie furono condannati a morte: il 20 Maggio 1527 a Sattler fu
mozzata la lingua, strappati pezzi di carne con tenaglie roventi ed infine
bruciato sul rogo, mentre la moglie fu annegata nel fiume Neckar. R., scosso
dalla tragedia, si ritirò allora presso una sua sorella nella vicina
Reutlingen a scrivere un memorandum sul processo e martirio di Sattler e
sulle persecuzioni degli anabattisti nel Baden Württenberg. In seguito R.
riprese le pellegrinazioni, recandosi a Ulm, dove incontrò Hans Denck: con
quest'ultimo R. dovette intervenire a Esslingen (vicino a Stoccarda), per
calmare le acque, poiché la locale comunità anabattista voleva vendicare la
morte di Sattler con le armi. R. resse con mano ferma la gestione della
comunità di Esslingen fino al Febbraio 1528, data della sua espulsione,
richiesta al consiglio cittadino dalla Lega (cattolica) Sveva, fondata dagli
Asburgo per contrastare le attività riformatrici nel sud della
Germania. R. decise allora di ritornare a Strasburgo, dove, assieme al
predicatore anabattista Jakob Kautz (un giovane predicatore di Bockenheim che
aveva affisso, a mo' di Lutero anabattista, un manifesto in sette punti in
difesa del pensiero di Hans Denck alla porta della Predigerkirche a Worms
nel 1527), prese una posizione fortemente polemica nei confronti della
Chiesa riformata della città, la quale, manco a dirlo, li fece imprigionare
il 22 Ottobre 1528 ed espellere nel 1529, con la minaccia di affogamento nel
caso di un ritorno in città.
Reublin in Moravia Fu allora che
R. si decise, nel 1530, di emigrare, con moglie e figli, in Moravia, ad
Austerlitz, dove si era formata una fiorente comunità anabattista, sotto la
protezione del signore del luogo, Ulrich von Kaunitz. Qui, però R. entrò in
aperto contrasto con Jakob Wideman, detto Jakob il guercio (m.1535 ca.), capo
della comunità, colpevole di gestire in malo modo, secondo R., la vita degli
anabattisti di Austerlitz: lo scontro tra Widemann e il gruppo dissidente
capitanato da R. e dal tirolese Jörg Zaunring (m.1533 ca.) sfociò in un
esodo, nel Gennaio 1531, di questi ultimi verso la comunità anabattista di
Auspitz, sempre in Moravia: tuttavia anche qui ci furono problemi per R.,
che, in contrasto con le rigide leggi della comunità in tema di gestione di
tutti i beni in comune, fece una pessima figura facendosi beccare con un
gruzzolo personale di denaro in casa e per questo fu espulso con ignominia
dalla comunità stessa. Lo stesso Zaunring, colpevole di aver riaccolto in
casa la moglie adultera senza il consenso preventivo della comunità, fu
successivamente scomunicato e scacciato.
Gli ultimi anni R. non si
perse d'animo e ritornò nuovamente al suo paese natale, Rottenberg sul
Neckar, dove rilanciò l'attività anabattista in zona, ma dove
provocò nuovamente l'intervento della potente Lega Sveva, che vanificò tutti
i suoi sforzi. Scoraggiato e deluso, R. si allontanò gradualmente alla
causa anabattista e già nel 1535, pare l'avesse abbandonato
definitivamente. Non se ne seppe più nulla di lui fino al 1554, quando i
testi riportano che R. si era ritirato a vita privata in Svizzera, dove morì
dopo il 1559 nel cantone Basilea. R. fu uno dei pochi capi anabattisti,
che riuscì a morire nel proprio letto e nonostante la sua predicazione
presenti molte luci e ombre, indubbiamente fu uno degli anabattisti più
importanti del suo tempo.
Tyndale, William (ca.
1494-1536)
La vita William Tyndale nacque nel 1494 ca.
probabilmente vicino a Dursley, nella contea inglese del Gloucestershire, da
una modesta famiglia, il cui cognome originario era Hychyns, ma William usò
abitualmente il cognome Tyndale della madre. Egli studiò all'università di
Oxford, presso la Magdalene Hall, ottenendo il baccalaureato in arti nel 1512
e il titolo di maestro in arti nel 1515. Dopo la laurea, T. si trasferì a
Cambridge e qui simpatizzò con il gruppo di luterani (fondato da Thomas
Bilney e soprannominato Piccola Germania dalle loro simpatie per le dottrine
del riformatore di Wittenberg), che si riuniva alla locanda del Cavallo
Bianco (White Horse Inn). Del gruppo fecero parte religiosi agostiniani, come
Robert Barnes (1495-1540) e Miles Coverdale, e cattedratici dell'università,
come lo stesso Bilney e Hugh Latimer. In seguito ordinato prete, T. ritornò
nella sua contea di origine tra il 1521 ed il 1523, ma, sospettato di eresia
lollarda, decise di recarsi a Londra per cercare di convincere l'arcivescovo
Cuthbert Turnstall (1474-1559) a permettergli di tradurre la Bibbia in
inglese. Avendo ricevuto un netto e scortese rifiuto, T. prese la drastica
decisione di emigrare ad Amburgo, dove si mise all'opera coadiuvato dal frate
ex agostiniano (secondo altri, ex francescano) William Roye. I due
tentarono di pubblicare una prima versione della Bibbia a Colonia nel 1525,
ma furono bloccati dopo la stampa delle prime 80 pagine. Meglio andò a Worms,
dove finalmente nel febbraio 1526 fu pubblicato il primo Nuovo Testamento in
lingua inglese.
La Bibbia in volgare La fama di T. è infatti
soprattutto legata a questa traduzione in lingua inglese del Nuovo Testamento
direttamente dalla versione originaria in greco. Non era stato il primo a
tradurre la Bibbia: infatti precedentemente anche John Wycliffe aveva
provveduto alla traduzione in inglese di parti delle Sacre Scritture, ma la
sua traduzione si riferì al testo in latino di San Girolamo. T. invece
poté usufruire di diversi fonti di informazioni, rese disponibili in Europa
occidentale dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, fatto storico che
obbligò tanti studiosi greci ad emigrare in occidente, particolarmente in
Italia, portando con sé preziosi manoscritti. Così molti biblisti britannici,
soprattutto da Oxford, furono motivati ad imparare il greco antico, per poter
finalmente esaminare questi testi sacri direttamente alla fonte, senza tutte
le varie interpretazioni del periodo scolastico. Uno dei più famosi studiosi
fu John Colet (1467-1519), le cui conferenze influenzarono profondamente il
noto umanista Erasmo da Rotterdam. Erasmo pubblicò nel 1516 la sua versione
del Nuovo Testamento in greco, e da questa edizione fu preso lo spunto per
due traduzioni fondamentali per la storia della Riforma: la versione in
tedesco di Martin Lutero del 1522 e quella, appunto, in inglese di T. del
1525. La versione di T. arrivò in Inghilterra nel 1526 ed ebbe
un'accoglienza molto negativa da parte della Chiesa Inglese: l'influenza
luterana sull'autore era molto evidente, soprattutto nelle prefazioni di
alcune lettere di San Paolo, semplici traduzioni in inglese del testo
luterano. Autorità quindi come l'arcivescovo Turnstall, il grande filosofo
umanista Tommaso Moro (Thomas More) (1478-1535) e il cardinale e Lord
Cancelliere Thomas Wolsey (1474-1530) chiesero a gran voce l'arresto di T.
come eretico. Ma quest'ultimo continuava a produrre lavori, stampati sul
continente ed esportati di nascosto in Inghilterra, come Prologo all'Epistola
ai Romani (1526), Obbedienza di un uomo cristiano (1528) e La pratica dei
prelati (1530), tuttavia nel 1526 egli ritenne più prudente trasferirsi ad
Anversa sotto la protezione di un gruppo di mercanti luterani inglesi, che,
guarda caso!, facevano un notevole guadagno proprio dal contrabbando di
testi proibiti in Inghilterra. Poco dopo T., assieme a Miles Coverdale, si
mise al lavoro per la traduzione di tutto l'Antico Testamento in inglese, una
monumentale impresa che tenne occupati i due studiosi fino al
1531. Diversi di questi lavori fecero infuriare Enrico VIII d'Inghilterra
in persona, che non lesinò alcun sforzo per far arrestare
lo stampatore/traduttore di Dursley, che oltretutto si era permesso
di contestare le ragioni del re per il suo divorzio da Caterina
d'Aragona. Infine nel 1534, con revisione nel 1535, T. pubblicò ad Anversa le
sua versione riveduta del Nuovo Testamento, ma questo fu il suo canto del
cigno. Poco dopo infatti, una spia inglese, tale Henry Phillips, entrò in
amicizia con T. e nel maggio 1535, carpendo la sua buona fede, riuscì a farlo
uscire dal territorio sotto il controllo diplomatico dei mercanti
inglesi, consegnandolo al Procuratore Generale, che lo fece arrestare e
inviare alla fortezza di Vilvorde, vicino a Bruxelles. Nonostante gli
interventi dell'amico e mercante inglese Thomas Poyntz ( lui stesso
arrestato, ma che riuscì poi ad evadere) e, dall'Inghilterra, del Lord Gran
Ciambellano Thomas Cromwell e dell'arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer,
T. fu rapidamente processato e condannato al rogo. Il 6 ottobre 1536 T. fu
condotto sul luogo dell'esecuzione, dichiarato decaduto del titolo di prete e
strozzato come atto di clemenza, prima dell'accensione della pira, che bruciò
il suo corpo senza vita.
Ironia della sorte, pochi mesi dopo la sua
morte, lo stesso Enrico VIII autorizzò la prima traduzione ufficiale della
Bibbia, denominata Bibbia di Matteo, che incorporò la maggioranza delle
traduzioni fatte da T. e perfino nel 1611, quando venne dato alle stampe la
versione autorizzata dalla regina Elisabetta I, le traduzioni di T. formavano
vaste parti del testo.
Wessel Goesport, Johann (o Ruckerath, Johann o
Giovanni di Wessel)(1420-1489)
Johann Wessel Goesport
(Giovanni di Wessel) fu l'ultimo degli eretici prima della Riforma
protestante. Nacque nel 1420 a Groningen, in Olanda, e dal 1449 frequentò
l'università di Colonia, conseguendo la laurea in arti liberali.
Successivamente, egli stesso divenne docente in arti liberali all'università
di Heidelberg (in Germania) dal 1456 al 1457. Nel 1458 W. si recò a
Parigi, dove si convertì al pensiero nominalista, la corrente filosofica
fondata da Roscellino, il quale affermava che solo le singole essenze
esistevano, mentre i generi e le specie erano concetti universali, noti come
semplicemente "universali". Questi universali non esistevano nella realtà,
come invece le essenze, ma erano solo segni convenzionali o parole (voces) o
nomi (da cui l'attributo di nominalista). W. rimase a Parigi fino al 1473,
anno nel quale emigrò per sfuggire alle conseguenze di un editto del re Luigi
XI (1461-1483) proprio contro il nominalismo. Per il resto della sua vita,
W., diventato nel frattempo monaco agostiniano, fu insegnante di teologia e
predicatore nelle città tedesche di Erfurt, Worms e Mainz. Proprio in questa
ultima città, nel 1479, W. fu posto sotto accusa da parte dell'Inquisizione
per le sue idee per certi versi anticipatori di alcuni temi della Riforma. W.
infatti, probabilmente influenzato dal riformatore boemo Jan Hus, rifiutò
ogni rituale cattolico, di cui non fosse fatto menzione nelle Scritture o
nella Patristica, come il peccato originale, la confessione, la benedizione,
l'estrema unzione, le indulgenze, il digiuno, l'immacolata concezione. Per
questo fu processato, ma essendosi pentito, la condanna fu tramutata
in reclusione a vita, mentre sul rogo finirono i suoi scritti. W.
rimase confinato in un monastero nella sua città natale di Groningen, dove
morì il 4 Ottobre 1489.
Rueger, Hans (m. 1527)
Hans
Rueger era un ebanista di Hallau, nel cantone svizzero di
Sciaffusa. Nell'autunno del 1524 il paese venne visitato da Thomas Müntzer,
alla ricerca, vana, di nuovi alleati in Svizzera, per ingrossare le file
dei rivoltosi di Mühlhausen, dove, poco dopo, nel Maggio 1525 si compì
il tragico destino del riformatore tedesco. R. fu successivamente accusato
di essere stato, lui stesso, il capo dell'insurrezione locale di pescatori e
vignaioli, uno dei vari episodi della Guerra dei Contadini. Il 5 Febbraio
1525 si recarono a Hallau i due predicatori anabattisti Johannes Brötli e
Wilhelm Reublin, dopo la disputa del 17 Gennaio a Zurigo tra Zwingli e il
gruppo anabattista guidata da Conrad Grebel. La predicazione soprattutto di
Brötli ebbe un notevole successo: quasi tutti gli abitanti di Hallau, tra cui
R., vollero farsi ribattezzare. Fu una decisione coraggiosa poiché il
consiglio cittadino di Zurigo aveva nel frattempo messa in guardia i colleghi
di Sciaffusa contro il diffondersi del movimento anabattista. Ma le autorità
di Sciaffusa non potevano fare molto in quel momento a causa dell'appoggio
dato al paese dalla vicina città tedesca di Waldshut, centro anabattista,
dove operavano Reublin e Balthasar Hubmaier. Tuttavia quando nel 1525 gli
Asburgo repressero l'anabattismo a Waldshut, venne a cadere la protezione sul
paese di Hallau, i cui abitanti anabattisti si diedero alla
clandestinità. Ma dopo due anni R. fu scoperto e, dopo un sommario processo,
fu condannato alla decapitazione, eseguita il 13 Novembre
1527.
Burckhardt, Georg (Spalatino) (1484-1545)
Georg
Burckhardt (nome umanistico: Spalatino), nacque il 17 Gennaio 1484 a Spalt
(da cui il suo nome umanistico), vicino a Norimberga. Studiò a Erfurt, con il
grande umanista Mutiano Rufo [nome umanistico del Conrad Mudt (1471-1526),
canonico di Gotha, in Turingia, e amico di Pico della Mirandola e dello
stampatore veneziano Aldo Manunzio] e a Wittenberg, laureandosi in legge a
Erfurt nel 1505. Nello stesso anno, B. iniziò a lavorare come bibliotecario
di un monastero a Georgenthal, vicino a Gotha, mentre nel 1507 divenne
pastore a Hohenkirchen, nella Frisia orientale, ed infine, nel 1508, fu
consacrato sacerdote, ma considerò quest'ultimo atto come semplicemente la
base per una maggiore sicurezza economica. Nel 1509, B. divenne tutore del
giovane principe Giovanni Federico di Sassonia alla corte di Federico III,
detto il Saggio (1486-1525), il quale apprezzò sempre più le sue
caratteristiche, assegnandogli via via nuovi incarichi: tutore dei principi
Otto e Ernst di Brunswick-Luenenburg nel 1511-16, bibliotecario di corte nel
1512, fino a consigliere di maggiore fiducia del Principe elettore di
Sassonia dal 1516, con funzioni di segretario, storiografo, confessore e
cappellano di corte. Nel frattempo B. conobbe Martin Lutero, probabilmente
nel 1513, ed ebbe un ruolo fondamentale per il successo della Riforma, avendo
una notevole influenza delle decisioni di Federico il Saggio. Quando il 7
Agosto 1518 (10 mesi dopo l'affissione delle 95 tesi sulle indulgenze) il
Sacri Palatii Magister, il domenicano Silvestro Mazzolini da Priero
(1456-1527), invitò Lutero a recarsi a Roma per discolparsi, B. fece delle
pressioni perché il dibattito fosse mantenuto in Germania: infatti questo
invito venne variato da un "breve" del papa del 23 Agosto, che ordinò a L. di
recarsi ad Augusta (Augsburg) per farsi interrogare dal cardinale domenicano
Tommaso Caietano (1469-1534). L'incontro avvenne il 12 Ottobre, ma Lutero non
ritrattò nulla delle sue affermazioni e Caietano cercò di farlo catturare o
espellere dai territori del principe di Sassonia, il tutto inutilmente grazie
all'influenza di B., che fu decisivo anche dopo la bolla di scomunica Decet
Romanum Pontificem comminata nel 1520 a Lutero in seguito al rogo, davanti
agli studenti di Wittenberg, della precedente bolla Exsurge Domine di Papa
Leone X (1513-1521). B. infatti convinse Federico il Saggio a negare ogni
richiesta di estradizione per il riformatore. Anche l'anno dopo, nel 1521,
quando Lutero partecipò alla dieta di Worms, il cui editto imperiale finale
(8 Maggio) lo condannò, ordinando ai principi di catturarlo e consegnarlo
all'autorità imperiale e ordinando il rogo dei suoi scritti, Federico il
Saggio e B. architettarono il piano per portare Lutero al sicuro nella rocca
di Wartburg, mediante il suo finto rapimento eseguito il 4 Maggio. Nel
1525 B. divenne pastore di Altenburg (in Turingia), posto che egli mantenne
per 20 anni, fino alla sua morte. Negli anni successivi, B. divenne un membro
influente del Luteranesimo, partecipando all'introduzione della Riforma in
Sassonia nel 1526 e alla stesura della Confessione di Augusta (Augsburg) del
1530, scrivendo gli Annales reformationis, un elenco di fatti e personaggi
della Riforma e infine partecipando nel Dicembre 1536, su invito di Lutero
assieme a Johannes Schneider (Agricola) e Nikolaus von Amsdorf, alla stesura
degli articoli di Smacalda, sollecitati dal principe elettore di
Sassonia, Giovanni Federico I (1532-1547) come risposta alla bolla papale Ad
dominici gregis di Papa Paolo III (1534-1549), e che diedero origine al
trattato omonimo. B. morì il 16 Gennaio 1545 ad
Altenburg.
Giovanni di Ronco (o di Roncarolo) (XIII secolo) e Poveri
Lombardi
Nel XIII secolo il valdismo era ben radicato nel sud
della Francia, in Spagna e nel nord dell'Italia. Qui, in particolare in
Lombardia, i seguaci di Arnaldo da Brescia e un gruppo dissidente del
movimento degli Umiliati confluirono nel movimento valdese, assumendo nel
1205 il nome di Poveri Lombardi. Le due anime del valdismo ben presto
arrivarono ad una spaccatura nel movimento: i Poveri di Lione, francesi,
disdegnavano il matrimonio dei ministri del culto, il lavoro manuale e la
gerarchia interna, cosa che i Lombardi, più estremisti, accettavano, oltre ad
essere più severi dei francesi nel rigettare i sacramenti conferiti da
sacerdoti indegni. Essi avevano a capo il piacentino Giovanni di Ronco (o di
Roncarolo), un "illetterato" secondo gli scrittori dell'epoca, ma che aveva
preso posizione assumendo un ruolo quasi sacerdotale nel gruppo lombardo, in
contrasto con il gruppo dei Poveri di Lione, che non prevedevano questa
evoluzione della figura del predicatore valdese. Le caratteristiche del
valdismo italiano (matrimonio dei ministri del culto, lavoro manuale, rifiuto
dei sacerdoti indegni) influenzarono profondamente anche le frange di questo
movimento presenti nel nord dell'Europa (Germania, Austria, Boemia), per non
parlare, due secoli dopo, degli hussiti taboriti del 1420. Nel 1217
(secondo altri autori nel 1207) Valdo morì con l'amarezza di non essere
riuscito a mediare le divergenze dei due gruppi, che neppure una successiva
riunione organizzata a Bergamo nel 1218 poté appianare. Pare comunque che
neppure G. avesse partecipato alla suddetta riunione, essendo morto qualche
anno prima.
Sabbatarianismo e semisabbatarianismo (XVII
secolo)
Origini L'usanza di considerare il sabato come giorno
santo di riposo, tipica degli ebrei, quando veniva applicata da cristiani era
detta Sabbatarianismo, e fu usuale per i primi cristiani fino al Concilio di
Laodicea del 384, dove ai fedeli venne ordinato, pena la scomunica per i
dissidenti, di santificare la domenica come giorno di riposo. In questa
pratica dei cristiani bisogna distinguere tra sabbatariani
e semisabbatariani: i primi infatti credevano che il sabato era il
giorno prescelto (il settimo giorno della Genesi), dove l'uomo, come aveva
fatto Dio, doveva rigorosamente astenersi da qualsiasi lavoro manuale, mentre
i secondi pensavano che questa funzione la poteva svolgere anche il giorno
di domenica. Anche dopo il 384, questa abitudine non scomparve del tutto
rimanendo in alcune particolari situazioni, come per esempio nella chiesa
celtica irlandese del VI secolo, dove vennero riconosciuti come festività
da santificare sia il sabato che la domenica e la Chiesa copta d'Etiopia,
che tuttora santifica il sabato. Nel XIII secolo il grande filosofo e
teologo Alberto Magno (ca.1193-1280) suggerì la separazione tra il
comandamento morale di rispettare il settimo giorno di riposo dopo sei di
lavoro e il simbolo dello specifico giorno di sabato, applicabile solo alla
religione giudaica. Ed arriviamo al XVI secolo, quando gli unitariani in
Europa orientale adottarono il s., che riprese vigore spandendosi per tutta
l'Europa della Riforma, nonostante le feroci critiche sia di Lutero che di
Calvino,
Il sabbatarianismo in Inghilterra (XVII
secolo) Attraverso i suddetti unitariani ed alcuni anabattisti olandesi, il
s. si diffuse in Inghilterra durante il regno di Elisabetta I (1558-1603), e
fu pubblicato nel 1595 il trattato del reverendo dissidente Nicholas Bound,
dal titolo True doctrine of the Sabbath (la vera dottrina del Sabato). La
controversia riprese con vigore durante il regno di Giacomo I (1603-1625), il
quale fece pubblicare The Book of Sports (il libro degli sport) nel 1618, che
stabiliva le attività ricreative (tra cui il tiro con l'arco e la danza)
permesse di domenica: il libro venne ripubblicato da Carlo I (1625-1649) nel
1633. Il s. si diffuse durante questo periodo grazie all'operato di John
Traske e di Theophilus Brabourne.
John Traske (ca. 1585-1636) John
Traske, un ex maestro di scuola di East Coker, vicino a Yeovil
(nel Somerset), fu ordinato nel 1611 ed aderì alle idee s. già prima della
sua ordinazione. Dopo aver scontato un periodo di prigione nel 1615 per
aver pubblicato scritti sul s., egli fondò a Londra nel 1617 una
congregazione s., che successivamente fu denominata traskita dal suo
nome. I traskiti credevano nel rispetto letterale del 4° comandamento
e praticavano anche alcune abitudini dietetiche ebraiche, ma ben presto
furono perseguitati e il loro stesso capo dovette soffrire nuovamente nel
1618 per un processo ed una successiva severa condanna, che gli fu condonata
solo in seguito ad una sua totale abiura. Negli anni successivi, tra il
1620 ed il 1630, pare che Traske si limitasse a predicare il calvinismo nelle
contee inglesi del Devon e del Dorset, mentre è poco chiaro se avesse
proseguito nelle sue convinzioni sabbatariane. E' certo comunque che dopo
pochi anni dal suo rientro a Londra, fu arrestato su ordine dell'Alta Corte
di Commissione nel 1636 e imprigionato per reiterazione delle convinzioni
sabbatariane, benché egli negasse ogni suo coinvolgimento. Rilasciato in
quanto già gravemente malato, Traske morì nello stesso 1636. In realtà a
prendere il comando della setta era stata la moglie di Traske, Dorothy, che
non aveva affatto abiurato al contrario del marito: fu arrestata e
imprigionata fino alla sua morte, avvenuta nel 1645.
Theophilus
Brabourne (1590-1662) Theophilus Brabourne, un prete anglicano di Norwich,
ordinato nel 1621, non iniziò, al contrario di Traske, una sua setta, ma
cercò di incorporare le usanze ebraiche concernenti il Sabbath nelle pratiche
della Chiesa d'Inghilterra. Egli pubblicò diversi lavori sull'argomento e
nel 1634 fu inquisito sulle sue convinzioni, ma riuscì ad arrivare ad un
accordo con le autorità ecclesiastiche anglicane, a fronte di una sua
esplicita dichiarazione di ortodossia religiosa e gli fu quindi permesso di
ritornare a predicare in Norwich nel 1635. Nel 1648, dopo aver ricevuto una
cospicua eredità, Brabourne lasciò il sacerdozio per dedicarsi a tempo pieno
ai suoi studi. Brabourne morì nel 1662 e nei suoi ultimi lavori, dimostrò di
aver oramai modificato le sue prime idee sul
sabbatarianismo.
Altre tendenze sabbatariane e
semisabbatariane Nel XVII secolo il semisabbatarianismo ebbe un certo
successo presso i Puritani, che imposero la rigorosa osservanza del giorno di
riposo di Domenica con atti parlamentari durante la repubblica, o
Commonwealth (1649-1660), mentre l'usanza legata al riposo di Sabato fu
popolare presso altri movimenti protestanti inglesi del XVII secolo, come gli
indipendenti, alcuni battisti (sia generali che particolari), che si
denominarono Battisti del Settimo Giorno, ed i
quinto-monarchisti. Soprattutto con questi ultimi, i s. ebbero dei stretti
contatti, risultati poi molto imbarazzanti dopo la fallita insurrezione,
organizzata dal capo quinto-monarchista Thomas Venner nel gennaio 1661.
Venner e gli altri capi della rivolta furono decapitati e le successive
repressioni perseguitarono anche i s. Il s. riuscì a sopravvivere
episodicamente fino al XVIII secolo, mentre la versione domenicale (o
semisabbatariana) ebbe alti e bassi: per esempio nel 1781 l'editto Lord's Day
Observance Act (atto di osservanza del giorno del Signore) proibiva
l'apertura di domenica dei posti di divertimento. Ovviamente oggigiorno c'è a
riguardo una tendenza ad un maggiore permissivismo, sebbene sia significativo
che fino a pochi anni fa tutte le partite di calcio in Inghilterra venivano
rigorosamente giocate di sabato.
Sabellio (m. prima del
257)
La vita Sabellio fu un presbitero di Tolamide, in
Cirenaica e verso il 217 si recò a Roma, diventando allievo di Cleomene,
esponente di spicco del monarchianismo modalista. Fu attivo durante i
papati di Zefirino (198-217) e Callisto (217-222) e, secondo il teologo
romano Sant'Ippolito, il primo dei due papi fu addirittura un sostenitore di
S., mentre il secondo, pur avendo scomunicato S., usava concetti
patripassianisti nei propri discorsi. Bisogna però considerare che Ippolito,
primo antipapa della storia del cristianesimo, fu un implacabile persecutore
di eresie, che vedeva anche dove non ce n'erano, oltre ad essere il diretto
concorrente di Callisto al seggio papale.
La dottrina S. insegnava
la rigorosa unità e indivisibilità di Dio, formata da una sola persona
(ipostasi) e tre nomi, che semplicemente descrivevano le diverse forme o
attributi in cui Dio si manifestava in sequenza nei vari momenti
del Testamento: il Padre nella creazione del mondo descritto nell'Antico
Testamento, il Figlio nell'Incarnazione descritta nei Vangeli, e lo
Spirito Santo nella Pentecoste, l'illuminazione degli Apostoli
descritta sempre nei Vangeli. S., inoltre, per spiegare i tre modi di Dio,
Lo rappresentava mediante l'immagine del sole, che aveva luce, calore e
influenza astrologica, tre attributi non separabili perché parte di una unica
entità. Infine, S. affermava che il Figlio era solo un "modo" scelto dal
Padre per manifestarsi agli uomini e quindi che in realtà fu il Padre a
incarnarsi, a soffrire e patire la Passione. Questo concetto fu definito
patripassianismo.
Sadoleto, Jacopo (1477-1547)
La
vita Il cardinale umanista, fautore del dialogo con i protestanti,
Jacopo Sadoleto nacque a Modena il 12 luglio 1477 da una famiglia di
giuristi. Destinato quindi agli studi legali, S. decise invece di dedicarsi a
quelli classici e filosofici, guadagnando una grande reputazione presso
l'Accademia Romana. Nel 1503 fu nominato canonico di San Lorenzo in Damaso
e nello stesso periodo divenne amico di Gian Pietro Carafa [il futuro Papa
Paolo IV (1555-1559)] e di Pietro Bembo. Nel 1513, assieme a quest'ultimo
venne nominato segretario di Papa Leone X (1513-1521), che il 24 aprile 1517
lo investì dell'incarico di vescovo di Carpentras, nel Delfinato, in
Francia. Tuttavia S. gestì il suo vescovado a distanza, rimanendo a Roma
durante il papato di Adriano VI (1522-1523) e, a maggior ragione, durante i
primi anni di quello di Clemente VII (1523-1534), visto che anche Clemente lo
aveva confermato come suo segretario. Nell'aprile 1527 si trasferì alla
sua diocesi, con una tempestiva decisione, giusto 20 giorni prima del Sacco
di Roma, e rimase a Carpentras per 9 anni. Rientrò a Roma nell'ottobre 1536,
richiamato da Papa Paolo III (1534-1549), e il 22 dicembre dello stesso anno,
venne nominato cardinale, assieme al Carafa e a Reginald Pole e con loro fece
parte della commissione (presieduto dal cardinale Gaspare Contarini), che
redasse il famoso "Consilium de emendanda ecclesia", il documento di riforma
interna della Chiesa. Tuttavia, nel 1537, S., disgustato dal nepotismo di
Paolo III e deluso della mancata convocazione del Concilio a Mantova (sarebbe
stato convocato a Trento solo otto anni più tardi), si ritirò nella sua
diocesi. Il 17 giugno dello stesso anno, S. scrisse a Melantone, convinto
della possibilità di dialogo tra le chiese cristiane e desideroso di
allacciare un rapporto con il più disponibile tra i riformatori luterani al
dialogo con i cattolici. La lettera fu denunciato dagli ambienti più
conservatori del Vaticano come un vero atto di tradimento e solamente un
coraggioso vescovo (poi cardinale) Giovanni Morone scrisse a S. una lettera
di solidarietà. Nel 1539 egli fu coinvolto, come vescovo di Carpentras, in un
tentativo organizzato insieme ai vescovi di Lione, Vienne, Losanna, Besançon,
Torino e Langres per cercare di riportare al Cattolicesimo la città di
Ginevra, che, in quel momento senza guida spirituale, dopo aver esiliato
Farel e Calvino nel 1538, stava andando allo sbando. S. scrisse una lettera
alla città, addossando tutta la colpa ai riformatori, e offrendo ai ginevrini
il ritorno alla Chiesa Cattolica e alla sua tradizione secolare. I
riformatori locali non seppero rispondere a tono, cosa che invece fece
Calvino con la sua Responsio ad Sadoleti epistolam, in cui il riformatore
fondava la vera Chiesa di Cristo sulla parola di Dio e non sulle tradizioni
della Chiesa Cattolica. La risposta conquistò i ginevrini, che nel settembre
1541, pregarono Calvino di recarsi per la seconda volta a Ginevra, facendo
sfumare definitivamente il tentativo di S. Nel 1542 S. venne inviato in
una delicata missione diplomatica di pace (poi fallita) tra il re di Francia,
Francesco I (1515-1547) e l'imperatore Carlo V (1519-1556): sulla strada per
il Nord Europa, S. passò da Siena ed ebbe quindi la possibilità di
intervenire a favore di Aonio Paleario, inquisito in quei giorni per
eresia. Infine nel 1545 egli si batté presso il re di Francia Francesco I per
i diritti dei profughi valdesi, accolti nella sua diocesi dopo la
distruzione dei paesi di Mérindol e Cabrières d'Avignon, nelle montagne della
Provenza, del 16-21 aprile 1544, dove migliaia di valdesi furono torturati,
violentati o massacrati. S. morì a Roma il 18 ottobre 1547.
Il
pensiero e le opere Di carattere irreprensibile e di pietà devota, S. meglio
rappresentò la corrente semi-evangelista di riforma della Chiesa, e, non a
caso, egli ammirava le opere di Erasmo (con cui ebbe un vasto carteggio) e
di Melantone. A parte i poemi e le orazioni latine, l'opera più
significativa della produzione di S. per capirne il pensiero religioso fu il
suo epistolario In Pauli epistolam ad Romanos del 1535, di vago sapore
semipelagiano (sia la volontà dell'uomo che la Grazia divina sono entrambi
importanti per la salvezza). Messo in guardia da Bembo e attaccato dal
Maestro del Santo Palazzo, il cardinale Tommaso Badia (m. 1547), S. dovette
ripubblicare una versione riveduta nel 1536.
Segalelli (o
Segarelli o Sagarelli o Cicarelli), Gherardo (o Gherardino) (m. 1300) e
apostolici
La vita Gherardo Segalelli nacque a Segalara,
vicino a Ozzano Taro (Parma) nel 1240 circa. Era un uomo di bassa estrazione
sociale: nel 1260, l'anno delle flagellazioni di massa, che lo lasciarono
profondamente colpito, S. chiese di essere ammesso al convento dei Frati
Minori di Parma, ma ne fu respinto. Decise allora di seguire autonomamente
una propria strada di povertà francescana: vendette i suoi averi, donando il
ricavato ai poveri e si lasciò crescere barba e capelli e si vestì con una
tunica grezza, un mantello bianco e dei sandali. A questo punto, egli
iniziò una vita di rinunce ad ogni possesso e di predicazione del messaggio
evangelico. Ebbe un notevole successo particolarmente tra la popolazione più
umile, non solo a Parma, ma in tutta l'Emilia Romagna e oltre, e i suoi
seguaci, i fratres et sorores apostolicae vitae o semplicemente apostolici o
"minimi" (come definivano sé stessi per distinguersi dai Minori), diventarono
molto più popolari degli stessi predicatori francescani. Tutto ciò allarmò
la Chiesa ufficiale e il Papa, Gregorio X (1271-1276), stabilì, nel 1274 al
II Concilio di Lione, la proibizione di fondare nuovi movimenti religiosi
mendicanti e l'obbligo per quelli esistenti di confluire in organizzazioni
ufficialmente approvate dal clero. Poiché gli apostolici non si adeguarono a
queste direttive, furono condannati per due volte: nel 1286 con la bolla
papale Olim felicis recordationis e nel 1287 con il Concilio di Würzburg,
ambedue voluti da Papa Onorio IV (1285-1287), preoccupato per il diffondersi
della setta. In seguito a questa ultima condanna S. fu imprigionato a Parma,
ma fu successivamente rilasciato dal vescovo parmense Obizzo Sanvitali,
segreto ammiratore di S. e degli apostolici. Secondo il cronista d'epoca
Fra Salimbene de Adam, questo perché il vescovo si divertiva con S. come se
egli fosse stato il suo sciocco giullare di palazzo, ma questa versione dei
fatti è sicuramente una forzatura propagandistica, visto
l'atteggiamento estremamente ostile e prevenuto che Salimbene ebbe nel
descrivere il movimento degli apostolici. Anche il successore di Onorio
IV, Papa Niccolò IV (1288-1292) rinnovò nel 1290 la condanna della setta, ma
solo nel 1294 il S. fu nuovamente messo in prigione, da cui comunque riuscì a
fuggire poco dopo. Tuttavia, sei anni dopo, con a Roma un Papa, Bonifacio
VIII (1294-1303), non certo tenero con i predicatori "irregolari" e senza la
protezione di Obizzo diventato nel frattempo vescovo di Ravenna, S. fu
catturato, processato dall'inquisitore Manfredo da Parma e bruciato sul rogo
a Parma il 18 Luglio 1300.
La dottrina A dir la verità, il
movimento degli apostolici non aveva una vera e propria dottrina: essi non
predicavano una nuova interpretazione del Vangelo come i valdesi, non
contestavano il clero corrotto come i patarini, non erano eretici dualisti
come i catari. Il loro principale riferimento evangelico era il brano degli
Atti degli Apostoli (2,44-45): E tutti quelli che avevano creduto stavano
insieme e avevano tutto in comune. Vendevano poi le proprietà e i beni e
ne distribuivano il ricavato a tutti, secondo che ognuno ne aveva
bisogno. Gli apostolici conducevano quindi una vita semplice fatta di digiuni
e preghiere, spesso lavorando per guadagnare il cibo, altrimenti vivendo
di carità, e predicando con frequenti richiami al pentimento. Infatti il
loro motto era Penitentiam agite (fate penitenza), corrotto poi in
Penitençagite! Essi non avevano neppure un vero capo perché S. si rifiutò
sempre di rivestire questo ruolo nel movimento, permettendo così anche
l'avvento di nuovi capi auto-proclamatisi, come Matteo di Ancona e Guido
Putagio, che portarono scompiglio e divisioni interne al movimento. Quello
che scandalizzò però la Chiesa era, per una società cattolica abbastanza
angosciata e ossessionata dal peccato del sesso, che il movimento degli
apostolici fosse formato sia da donne che da uomini, i quali non davano alcun
valore alla castità (come i Fratelli del Libero Spirito), che la cerimonia di
accettazione di nuovi seguaci (donne e uomini) prevedesse che si spogliassero
nudi in pubblico (ma lo aveva fatto anche San Francesco!), perché essi
dovevano seguire nudi il Cristo nudo. E, a parte il non aver ottemperato alle
disposizioni del II Concilio di Lione in tema di nuovi movimenti religiosi,
fu solo sulla base di accuse, spesso fantasiose, di fornicazione, oscenità,
sodomia e quant'altro che gli apostolici furono perseguitati.
Gli
apostolici dopo la morte del fondatore La setta degli apostolici fu duramente
perseguitata come il suo fondatore: già nel 1294 furono bruciati i primi
quattro apostolici e nei processi del 1299 si cercò di reprimere nel sangue
questo movimento che tanto scandalizzava la Chiesa. Tuttavia da quel
momento di grande difficoltà per gli apostolici uscì quel leader, Fra Dolcino
da Novara, che fece fare un salto di qualità al movimento e tenne in scacco
per sette anni le forze avversarie messe in campo durante una vera e propria
crociata, indetta dal Papa Clemente V (1305-1314). Morto Dolcino nel 1307,
si registrarono ancora apparizioni episodiche degli apostolici nel 1315 in
Spagna, nel 1318 ed infine un'ultima citazione nel Concilio di Narbona del
1374.
Bodenstein, Andreas Rudolf, detto Karlstadt o Carlostadio (ca.
1480-1541) e Sagramentari
Andreas Rudolf Bodenstein (nome
umanistico: Carlostadio dalla città natale), figlio del cantiniere Peter (o
Rudolf) Bodenstein e di Anna von Mochau, nacque nel 1480 ca. a Karlstadt,
nella Bassa Franconia. Egli studiò alle Università di Erfurt, Colonia e, dal
1504, di Wittenberg, laureandosi in teologia nel 1510 (anno nel quale fu
ordinato sacerdote) e in diritto a Roma nel 1516. Durante quest'ultimo
viaggio, B. ebbe una profonda crisi religiosa, convincendosi sempre più
dell'inutilità della volontà umana contrapposta alla
predestinazione. Aderì abbastanza presto al luteranesimo, diventando amico
del suo collega (ambedue erano docenti a Wittenberg) Martin Lutero, assieme
al quale sostenne le ragioni dei Protestanti nella disputa con il teologo
Johann Eck (1486-1543) a Lipsia nel 1519. Intervenne inoltre a favore
della Riforma anche in Danimarca alla corte del re Cristiano II (1513-1523),
nipote di Federico III di Sassonia, detto il Saggio (1486-1525). Nel 1521
Lutero fu messo al sicuro da Federico di Sassonia nella rocca di Wartburg
mediante un finto rapimento, in seguito all'editto di Worms del 8 Maggio, che
condannava e ordinava il rogo dei suoi scritti. Qui Lutero rimase per 10
mesi, scrivendo diverse opere e lavorando sulla traduzione del Nuovo
Testamento in tedesco. Ma, in sua assenza, fu B. a distinguersi per il suo
estremismo: mettendosi alla testa di un movimento, detto dei Sagramentari,
egli fece distruggere le immagini sacre, abolire le messe private, la musica
sacra e gli abati talari. Fu il primo riformatore a celebrare la messa in
tedesco senza paramenti o canone e facendo comunicare i fedeli sotto ambedue
le forme. Oltretutto B. rifiutò il battesimo dei bambini e negò la presenza
reale di Gesù Cristo nell'eucaristia. Nello stesso periodo sposò la figlia di
un nobile caduto in povertà. Nel Marzo 1522 Lutero, travestito da
cavaliere, si decise di ricomparire in pubblico per bloccare questi
estremismi di B. e dei cosiddetti "Profeti di Zwickau", Nicholas Storch e
Markus Stübner, radicali fanatici detti abecedariani, che volevano eliminare
tutti i preti e fondare il regno di Dio in terra. Essi erano stati espulsi da
Zwickau, quindi si erano recati a Wittenberg per fare proselitismo. In
seguito B. divenne parroco di Orlamünde, in Sassonia, ma, applicando i suoi
principi precedentemente descritti, entrò in polemica con Lutero scrivendo
nel 1523 la sua opera Dell'abbattimento delle immagini , alla quale Lutero
rispose l'anno dopo, coinvolgendo anche i profeti di Zwickau, con la sua
Contro i profeti celesti. Per Lutero B. era un provocatore troppo pericoloso
per rimanere al proprio posto ed oltretutto era pure sospettato di fare
combutta con l'ultraradicale Thomas Münster, perciò nel 1524 Lutero riuscì a
convincere Federico di Sassonia a fare bandire dai territori del principato
B., che perse anche la cattedra a Wittenberg. Iniziò, a questo punto, una
serie di peregrinazioni, che lo portò in giro per la Germania, passando da
Zwickau e Strasburgo, da dove fu espulso, per arrivare in Svizzera, a Zurigo.
Qui fu accolto nel 1530 da Ulrich Zwingli, riformatore, che, come B., negava
la presenza di Gesù nell'eucaristia. Grazie ai buoni uffici di Zwingli, B.
divenne pastore e cappellano dell'ospedale e consigliere della città. Ma
dopo la morte di Zwingli nella battaglia di Kappel del 1531 contro i cantoni
cattolici, B. dovette emigrare ad Altstätten, nella Svizzera nord-orientale,
dove fu pastore fino al 1532. Infine nel 1534 egli fu chiamato da Heinrich
Bullinger ad diventare professore di teologia alla Università di Basilea, e
qui rimase fino alla sua morte avvenuta il 24 Dicembre
1541.
Saint-Amour, Guglielmo di (m. 1273
ca.)
Guglielmo di Saint-Amour, teologo francese, nacque in
Borgogna e diventò professore di teologia all'Università di Parigi nel
1250. In quel periodo era viva la polemica tra il clero secolare da una parte
e gli ordini dei Predicatori domenicani e dei Spirituali
francescani dall'altra. Ambedue gli ordini si rifacevano alle regole di
povertà stabiliti da San Domenico e San Francesco, ma nel 1256 S. li attacco
nel suo libro De periculis novissimorum temporum, nel quale affermò che non
esisteva alcuna prova che Gesù e gli apostoli vivessero di elemosina, e il
fatto che gli ordini in questione la praticassero egli lo considerò non
cristiano e addirittura degno dell'Anticristo. La polemica montò veloce e
fu arricchita dalle prese di posizione a favore degli ordini da parte dei
grandi teologi, il francescano San Bonaventura da Bagnoregio (1217-1274) e il
domenicano San Tommaso d'Aquino (1225-1274). A quel punto intervenne il Papa
Alessandro IV (1254-1261) e nel 1256 stesso il libro di S. fu condannato e
dato alle fiamme, mentre il teologo fu mandato in esilio lontano dalla
Francia. Solo nel 1263 S. poté ritornare alla sua cattedra a Parigi, dove
morì nel 1273 ca.
Saramita, Andrea (m.1300)
(guglielmita)
Andrea Saramita era un laico legato alla abbazia
cistercense di Chiaravalle (vicino a Milano), quando decise di seguire le
orme di Guglielma di Boemia, una oblata (cioè una laica che viveva in un
monastero) di origini boeme, dell'abbazia stessa, la quale viveva secondo
l'amore cristiano, i precetti apostolici e la moralità evangelica, e intorno
alla quale era cresciuta rapidamente la fama di santa guaritrice. S.
divenne ben presto il teologo della setta dei suoi seguaci,
denominati guglielmiti, ed elaborò l'idea che Guglielma fosse l'incarnazione
dello Spirito Santo. Con questo, secondo S., veniva compiuto ciò che
venne predetto da Gioacchino da Fiore. Per il mistico calabrese,
infatti, l'incarnazione dello Spirito Santo sarebbe stato, per l'appunto, una
donna, destinata a diventare una Papessa e rifondare la Chiesa, dove, secondo
il concetto dell'apocatastasi, tutti, compresi Giudei e Saraceni, si
sarebbero salvati. Guglielma morì il 24 Agosto del 1281 o 1282: la
traslazione e sepoltura nel cimitero di Chiaravalle fu organizzata da S.
stesso. Alla morte di Guglielma, S., aiutato da Maifreda da Pirovano,
considerata l'erede spirituale della Boema ed investita del titolo di
Papessa, elaborò un vero e proprio culto della figura di Guglielma, riempendo
le chiese milanesi, come ad esempio Santa Eufemia o Santa Maria Minore, di
immagini della "santa", componendo litanie e inni dedicati a lei, e perfino
spargendo la voce di una sua imminente risurrezione. Per mascherare il
culto agli occhi della Chiesa ufficiale, le immagini di Guglielma vennero
attribuite a Santa Caterina di Alessandria e la sua data di celebrazione
coincise con quella della santa, il 25 Novembre. Tuttavia Maifreda si spinse
troppo in là, quando la domenica di Pasqua del 1300, ella officiò, con tutti
i paramenti sacri come un vero sacerdote, una solenne messa in onore di
Guglielma, che essa aveva dichiarata risorta come Gesù Cristo. S. partecipò a
questa messa, vestito con una dalmatica, cioè una tunica da diacono, e fu il
lettore del Vangelo. La cosa venne denunciata e, a quel punto, il culto di
Guglielma non fu più oggetto di un processo di santificazione, come
chiedevano i suoi seguaci, ma divenne una inchiesta degli inquisitori
domenicani Guido da Cocconato e Ranieri da Pirovano, i quali la condannarono
postuma come eretica efecero bruciare sul rogo le sue ossa e le sue immagini,
tale e quale come, l'anno successivo, nel 1301, sarebbe successo al culto di
Armanno Pungilupo a Ferrara. Stessa sorte seguirono Maifreda e S.,
bruciati vivi sul rogo a Milano, nella zona dell'attuale Piazza Vetra, nel
1300.
Caracciolo, Galeazzo, marchese di Vico
(1517-1586)
Nato a Napoli nel 1517 ed esponente di spicco
dell'aristocrazia napoletana, oltre che nipote del cardinale Gian Pietro
Carafa [il futuro Papa Paolo IV (1555-1559), che nel 1557 si sarebbe
lamentato con l'ambasciatore di Venezia, Bernardo Navagero, del gran dolore
che il nipote gli aveva arrecato passando alla Riforma], Galeazzo Caracciolo
si era accostato alle idee riformiste, frequentando i circoli ispirati a Juan
de Valdés. Ma nel 1542 la creazione del Santo Ufficio proprio da parte del
cardinale Carafa diede inizio alla persecuzione dei riformatori italiani e la
chiusura dei loro circoli, come quello napoletano. Dopo un incontro
illuminante con Pier Paolo Vergerio a Strasburgo, C., gettando via, per
ragioni di fede, una carriera alla corte dell'imperatore Carlo V (1519-1556),
al cui servizio era stato assunto, decise nel 1551 di andare in esilio nella
Ginevra calvinista, in compagnia del senese Lattanzio Ragnoni (1509-1559),
diventato poi pastore della locale comunità italiana. Qui gli fu riconosciuto
il titolo di marchese di Vico (rifiutato da Carlo V nel 1553 a causa della
decisione di C. di abbandonare la corte imperiale) e si sposò, in seconde
nozze, con Anna Framéry, avendo la prima moglie deciso di rimanere cattolica
e di non seguire il marito in esilio a Ginevra. Nel 1560 C. ricevette la
visita di un altro illustre nobile napoletano, Ferrante Sanseverino (n.
1511), principe di Salerno, in fuga più per motivi politici che dottrinali:
era stato infatti bandito nel 1552 per aver congiurato contro il re di
Napoli. Nel 1579, invece, C. ebbe a che fare con un fuggitivo Giordano Bruno,
che riuscì per un breve periodo a convertire alla religione calvinista,
tuttavia il successivo scandalo suscitato da Bruno a causa del suo attacco
contro il docente di filosofia all'Accademia di Ginevra Antoine de la
Faye (1540-1616), provocò un procedimento a carico del filosofo nolano,
che decise poi di emigrare in Francia. Nella città svizzera la prestigiosa
ed autorevole figura di C. fu talmente stimata, che Niccolò Balbani, pastore
all'epoca della comunità italiana a Ginevra, alla morte del marchese avvenuta
nel 1586, sentì il dovere di celebrare la sua memoria, scrivendone nel 1587
una fortunata biografia - Historia della vita di Galeazzo Caracciolo,
chiamato il signor Marchese, nella quale si contiene un raro e singolare
esempio di costanza e perseveranza nella pietà e vasta religione -, che
rimase un best-seller per oltre due secoli negli ambienti protestanti,
soprattutto in Inghilterra e in America. Più recentemente la figura del
marchese di Vico ha ispirato il grande Benedetto Croce (1866-1952) a scrivere
un capitolo del suo libro Vite d'avventure, di fede e di passione con il
titolo Un calvinista italiano. Il marchese di Vico, Galeazzo Caracciolo, in
cui Croce prese spunto dalla decisione del nobile napoletano di abbandonare
tutto per andare in esilio in una austera Ginevra, per vagliare la
possibilità di una sua simile decisione in seguito alla salita al potere del
Fascismo.
Sattler, Michael (ca. 1490-1527)
La
vita Michael Sattler, autore della Confessione di Schleitheim, testo
fondamentale per gli anabattisti, nacque intorno al 1490 a Stauffen, vicino a
Friburgo, nel Baden Württenberg (Germania sud-occidentale). Da giovane S.
entrò nella convento benedettino di San Pietro a Friburgo, assurgendo al
grado di Priore e approfondendo lo studio del latino e del greco. Quando
le dottrine luterane si espansero nella regione, S. iniziò a rileggere le
Lettere di San Paolo, riflettendo su di esse ed alla fine prese la sua
decisione: abbandonò l'ordine benedettino e il convento, ma fu per questo
costretto a emigrare verso territori di sicura fede riformista, poiché a quel
tempo il Baden Württenberg era sotto il dominio dei cattolici Asburgo (dal
1520 al 1534) e Ferdinando d'Asburgo (1503-1564, futuro imperatore 1553-1564)
aveva lanciato una campagna di repressione della Riforma. S. si recò
quindi a Zurigo nel 1525, dove venne in contatto con il gruppo anabattista:
fu convertito e ribattezzato da Wilhelm Reublin. Ben presto, tuttavia, S.,
come gli altri anabattisti, entrò in conflitto con le autorità locali e con
Ulrich Zwingli. Uno degli episodi più significativi fu la protesta della
comunità di Grüningen, un distretto vicino a Zurigo, dove lo scontento
popolare fu fomentato dai capi anabattisti Blaurock, Grebel e Mantz,
arrestati e inviati a Zurigo. Qui si tenne il 6-8 Novembre 1525 un'ulteriore
disputa tra gli anabattisti e Zwingli, che, scontento per l'ostinata
posizione degli avversari, fece condannare, il 18 Novembre, dal Consiglio i
tre anabattisti a rimanere in carcere, mentre gli altri forestieri, come S.,
furono espulsi dalla città. Allora S. ritornò nel Baden Württenberg, ma fu
costretto a ripartire immediatamente per Strasburgo: comunque durante questo
periodo, il 1526, S. si sposò con Margaretha, la pia moglie che lo avrebbe
seguito nel martirio estremo.
S. e Denck a Strasburgo A
Strasburgo S. fu accolto favorevolmente da Wolfgang Capito (1478-1541), che
lo accolse in casa sua, e da Martin Butzer (Bucero), mentre nello
stesso periodo non ebbe certo la stessa positiva accoglienza l'arrivo di
Hans Denck. Infatti Bucero conosceva Denck per la fama che lo aveva preceduto
e quindi lo invitò immediatamente ad una disputa pubblica per chiarire
il proprio pensiero. Denck ritenne più prudente non insistere sulle
questioni divergenti, ma sottolineò i punti in comune, tuttavia non convinse
Bucero (che lo chiamò il Papa degli anabattisti), il quale riuscì a farlo
espellere il 25 Dicembre 1526. Denck e S. rappresentarono le due anime
opposte dell'anabattismo dell'epoca: il mistico bavarese Denck dava una
maggiore priorità alla Parola interiore, mentre la Parola scritta non era la
Verità, ma solo una testimonianza di essa. Inoltre per lui la Chiesa, come
organizzazione, non era necessaria, poiché contava di più l'esperienza
personale interiore. Il friburghese S. era invece convinto della superiorità
delle Scritture (la Parola scritta) e credeva nella Chiesa di Cristo, in cui
il fedele entra a far parte con il battesimo. Dopo l'espulsione di Denck,
S. preferì lasciare la città, nonostante le assicurazioni di Capito e recarsi
nella zona di Horb sul Neckar e di Rottenburg, per organizzare, assieme
all'amico Wilhelm Reublin, la predicazione anabattista nel Baden
Württenberg.
I Sette articoli di Schleitheim Il 24 Febbraio 1527
S. partecipò, con altri anabattisti (tra cui, probabilmente Blaurock, Brötli
e Reublin), ad una riunione a Schleitheim, nel cantone svizzero di Sciaffusa,
al termine della quale furono stillati, da S. stesso, i Sette articoli di
Schleitheim, un documento che contiene la dottrina fondamentale
dell'anabattismo. I sette articoli sono: 1. Battesimo, dato in seguito ad
un sincero pentimento e promessa di cambiamento di vita. 2. Scomunica,
intesa come esclusione dalla Cena del Signore e comminata a chi veniva
ammonito per tre volte contro l'errore ed il peccato. 3. Cena del Signore,
con la precisazione di chi aveva diritto di accedervi. 4. Separazione dal
mondo: una volta battezzato, il fedele doveva la sua lealtà alla Chiesa e a
Cristo, e non più al suo paese e ai suoi governanti. 5. I pastori e loro
funzioni. 6. Non resistenza: i veri cristiani non potevano svolgere un
ruolo pubblico, come il giudice, o partecipare ad azioni militari. 7. I
giuramenti, vietati ai fedeli.
Il processo e la morte Poco dopo la
conclusione della riunione di Schleitheim, S., la moglie ed altri 18
anabattisti furono arrestati a Horb e portati nel castello di Binsdorf. Il
processo si svolse a Rottenburg, nel cattolicissimo Baden Württenberg, come
già detto sotto il dominio dei Asburgo, e quindi il destino dei detenuti era
segnato prima ancora dell'inizio del processo stesso. Questo iniziò il 15
Maggio 1527, concludendosi tre giorni dopo con la tremenda condanna di S. al
mozzamento della lingua, alla mutilazione di pezzi di carne con tenaglie
roventi per ben sette volte ed infine alla morte sul rogo. S. affrontò
tutto ciò con una incredibile serenità il 20 Maggio 1527 e due giorni dopo la
moglie Margaretha fu uccisa mediante quello che, con una notevole dose di
cinismo, Ferdinando d'Asburgo definiva il migliore antidoto contro
l'anabattismo, il terzo battesimo, cioè l'annegamento (nel caso
di Margaretha: nel fiume Neckar). Molti autorevoli esponenti della Riforma
intervennero, purtroppo in ritardo, alla notizia dell'esecuzione di S. per
esprimere il proprio dolore e rammarico per la sua morte, tra cui i suoi
sostenitori Capito e Bucero.
Saturnino (o Saturnilo) (1° 1/2 II
secolo)
Saturnino visse e predicò ad Antiochia nella prima metà
del II secolo come successore di Menandro. Prendendo spunto da un
passaggio del Vangelo di Giovanni (1:18): Dio nessuno l'ha mai veduto, il Dio
unigenito che è nel seno del Padre, egli ne ha parlato, S. affermò che il
Padre, essendo non visibile, era sconosciuto. Egli aveva creato un mondo di
angeli ed arcangeli, dei quali sette malvagi angeli avevano, a loro volta,
creato il mondo materiale e l'uomo, che era rimasto un essere strisciante,
finché il Padre non gli aveva inviato una scintilla divina. Il più potente
di questi angeli malvagi fu Yahweh, ed il Padre mandò in terra il Cristo per
distruggerlo. Il Cristo, però, venne in terra solo in apparenza (Docetismo),
per trasmetterci un concetto di salvezza, implicante la liberazione
degli spiriti umani dai loro corpi, in cui sono prigionieri ed il ritorno a
Dio. Saturnino, quindi, rifiutò tutto ciò che era materiale, conducendo una
vita ascetica praticando l'assoluta castità ed il
celibato.
Lollardi (XIV-XV secolo)
Il nome di lollardi
venne dato ai seguaci di John Wycliffe e contraddistinse un movimento eretico
inglese del XIV e XV secolo.
Origine del nome L'origine del nome è
incerta: pare dall'olandese lollen, cantare o, secondo alcuni autori, il
soprannome, attribuito sarcasticamente ai lollardi dai loro avversari
cattolici, deriva dall'inglese to lollop, camminare goffamente o to loll,
sedere oziando.
Il movimento A dir la verità, negli anni di
Wycliffe, il termine di L. venne applicato a diversi movimenti di
dissenzienti religiosi, non necessariamente wycliffiti, come ad esempio i
begardi, i fratelli del libero spirito, i singoli cavalieri in rotta con
l'autorità della Chiesa, i parrocchiani che non volevano pagare le decime, i
seguaci del visionario gallese Walter Brute, ecc. Dopo la morte di
Wycliffe nel 1384, divenne il leader del movimento il suo segretario, John
Purvey, che approfittò della schizofrenia del tirannico re Riccardo II (1377-
deposto 1399), per rinforzare la posizione del movimento, protetto da diversi
esponenti della nobiltà. Egli giunse anche a presentare nel 1395 al
Parlamento un progetto di riforma della Chiesa inglese, che fu ovviamente
respinto, in dodici punti, che ricalcavano i precetti di Wycliffe. Ma, in
seguito alla deposizione di Riccardo da parte di Enrico di Lancaster (il
figlio di Giovanni, il protettore di Wycliffe), divenuto re Enrico
IV (1399-1413), la situazione per i L. cambiò radicalmente in
peggio. Infatti Enrico, per ringraziarsi la Chiesa, iniziò una energica
azione di soppressione del movimento L., contrassegnata dall'Atto De
Hæretico Comburendo (Del bruciare gli eretici) del 1401, che permetteva ai
vescovi di arrestare, imprigionare, torturare e consegnare al braccio
secolare gli eretici. Il primo L. a pagare con la vita l'applicazione di
questa legge fu il prete londinese William Sawtrey, che dichiarò il suo
rifiuto nel dogma della transustanziazione e nell'autorità della
Chiesa. Anche all'estero si reagì al movimento L.: in particolare in Boemia,
dove nel 1403 l'università di Praga condannò gli scritti di Wycliffe,
tradotte in boemo dai suoi seguaci. Nel 1408, il grande avversario del
movimento, l'arcivescovo di Canterbury Thomas Arundel, stabilì in un sinodo
ad Oxford le regole (costituzioni) per poter predicare in pubblico, tradurre
le Sacre Scritture e insegnare teologia nelle scuole. Infine nel 1415 fu
pronunciata postuma la condanna di Wycliffe per eresia al Concilio di
Costanza e nel 1428, dietro pressioni di Papa Martino V (1417-1431), il suo
corpo fu riesumato e bruciato sul rogo e le ceneri sparse nel fiume
Swift. Tuttavia, già da prima, nel 1414, i L., vista minacciata la
loro sopravvivenza, avevano organizzato una insurrezione armata per rapire il
re Enrico V (1413-1422), sotto il comando di Sir John Oldcastle,
l'anno precedente processato e imprigionato per eresia, ma che era riuscito
a fuggire dalla famigerata Torre di Londra per mettersi a capo degli
insorti. La chiamata alle armi dei L. fu un vero insuccesso e ben pochi
risposero all'appello: secondo alcuni autori solo 300, di cui 80 furono
catturati. Di questi 69 (altri autori riportano 44) furono messi a morte.
Oldcastle riuscì a sfuggire alla cattura per 3 anni, finché non fu catturato
nel 1417 e impiccato su una forca sotto la quale bruciava un fuoco
lento. La persecuzione del movimento continuò per altri due decenni fino ad
un nuovo tentativo di insurrezione organizzato dal L. William Perkins,
represso nel sangue, nel 1431. I L. continuarono a sopravvivere, ma anche
essere perseguitati fino quasi all'avvento della Chiesa d'Inghilterra nel
1534: perfino durante il regno di Enrico VIII (1509-1547) ne furono bruciati
sul rogo 2 nel 1511 e 4 nel 1522. Nel 1523 furono infine fatti oggetto di un
elogio di Erasmo da Rotterdam, che li definì "conquistati, ma non estinti", e
negli anni successivi furono gradualmente riassorbiti dal Protestantesimo
inglese, di cui avevano promosso le idee due secoli prima.
Dudith
Sbardellati, Andrea (1533-1589)
La vita Il diplomatico ed
ecclesiastico italo-ungherese Andrea Dudith Sbardellati nacque a Buda, in
Ungheria, nel 1533 da una nobile famiglia, di origini croate (la grafia
originale del cognome era Dudich), ma fu sempre orgoglioso delle proprie
ascendenze italiane da parte di madre, originaria di un ramo degli
Sbardellati di Rovereto (Trento), emigrato in Ungheria con il nonno
di Andrea. D. rimase ben presto orfano di padre, caduto combattendo contro
i turchi sotto le mura di Buda nel 1542 e venne quindi affidato alla tutela
dello zio materno Agostino Sbardellati, personaggio molto in vista
all'epoca: consigliere dell'imperatore Carlo V (1516-1556), vescovo di
Vác, amministratore dei beni dell'arcivescovado di Esztergom (durante la
sede vacante), purtroppo anch'egli destinato a morire combattendo contro i
turchi nel 1552. D. fu educato a Breslavia e nel 1550 compì un viaggio in
Italia, con una tappa a Vienna. In Italia abitò a Verona e qui conobbe il
cardinale Reginald Pole, che ai tempi viveva a Maguzzano sul Lago di Garda e
lo storico Giovanni Michele Bruto, il quale divenne un suo buon amico. La
figura del cardinale inglese lo colpì molto e, dopo un ciclo di studi
a Venezia e Padova [in quest'ultima città fu collega di studi del
futuro voivoda di Transilvania e re di Polonia, Istvàn (Stefano) Bàthory (re
di Polonia: 1576-1586)], entrò, come segretario personale, al seguito di
Pole in un viaggio a Bruxelles nel 1554 per incontrare Carlo V, il quale
non mancò di raccomandare il giovane D. al fratello Ferdinando I,
arciduca d'Austria, re di Boemia e d'Ungheria (arciduca: 1521-1564, re dal
1527). Nei tre anni successivi (1555-1557), D. fece la spola tra Parigi,
per studiare filologia al College Royal con l'umanista Adrian
Turnebus (1512-1565), e Londra, dove fu testimone del sanguinario tentativo
della regina inglese Maria Tudor (1553-1558) di reintrodurre la
religione cattolica al paese. Tornò brevemente in patria per prendere gli
ordini come canonico di Esztergom, ma, ritornato in Inghilterra, si trovò
senza protettore per la morte del Pole il 17 novembre 1558, lo stesso giorno
della morte della regina Maria Tudor. Decise quindi di seguire un regolare
corso di giurisprudenza a Padova, completato il quale, fu nominato, nel 1560
da Ferdinando I (diventato, nel frattempo, imperatore nel 1556), vescovo di
Knin (o Tinina, in Dalmazia) ed in questa veste partecipò al Concilio di
Trento (1545-1563), oltre che come oratore del clero ungherese, portando
avanti la politica conciliatoria di Ferdinando I, favorevole all'unità del
Cristianesimo a tutti i costi, evitando lo strappo con i protestanti. D.
fece diversi interventi, come per esempio a favore della concessione
del calice ai laici e della comunione sotto ambedue le specie, ed il
cardinale Giovanni Morone, probabilmente per allontanare questo scomodo
protetto dell'imperatore, lo incaricò di presentare le proposte della
curia all'imperatore stesso per poter affrettare la conclusione del
concilio. Conclusa l'ambasciata, D. non tornò più a Trento, e, nonostante i
rapporti non certo ottimali con Roma, egli non perse comunque il favore
imperiale: Ferdinando I lo nominò vescovo nel 1562 di Csanàd, nel settembre
1563 di Pécs, successivamente di Sziget, tutte e tre città ungheresi sotto
il dominio turco, mentre il successore Massimiliano II (1564-1576) lo
inviò come ambasciatore imperiale in Polonia nel 1565. Tuttavia a
Cracovia, nel 1567, egli rinunciò clamorosamente a tutti i suoi benefici
ecclesiastici e si sposò con una dama di compagnia della regina Caterina di
Polonia, sorella dell'imperatore Massimiliano II. Quest'ultimo lo rimproverò
aspramente per la decisione, pur non negandogli il sostegno economico e
accettando ancora i suoi servigi come diplomatico, e D. si difese, scrivendo
un trattato contro il celibato degli ecclesiastici, dal titolo Demonstratio
omni hominum ordini, sine exeptione, divina lege matrimonium permissum
esse. Da questo periodo D. iniziò a simpatizzare per l'entourage
antitrinitario in Polonia, la cosiddetta Ecclesia Minor, sebbene si guardò
bene dallo schierarsi ufficialmente a favore degli unitariani. Nel periodo
1573-1575, D. fece una violenta campagna contro l'elezione di Stefano Bathory
a re di Polonia, per preparare la strada alla nomina del principe Ernesto,
figlio dell'imperatore Massimiliano II. Dal punto di vista religioso, D. si
accostò sempre più agli antitrinitariani, ma nel settembre 1574 egli sposò,
in seconde nozze, Elzbieta Zborowski, di un'influente famiglia polacca
calvinista, vedova dell'atamano Jan Tarnowski, ma furono proprio i potenti
parenti della moglie ad offrire la corona di Polonia a Stefano
Bathory. L'elezione di quest'ultimo il 15 dicembre 1575 scatenò la vendetta
dei suoi seguaci contro l'ambasciatore imperiale, che dovette darsi ad
una precipitosa fuga da Cracovia, abbandonando i suoi beni. D. allora si
trasferì a Breslavia, diventando luterano, e qui si dedicò ai suoi studi
scientifici, pubblicando opere sulla peste e il suo metodo di contagio nel
1577-78 e sulle comete (De Cometis, con prefazione di Bruto) nel 1579. Nel
1578 si rifugiò nei suoi possedimenti in Moravia, a Paskov, dove
trattò sempre con rispetto i suoi contadini aderenti al movimento dei
Fratelli Boemi, ma già nel 1579 ritornò a Breslavia, per proseguire i suoi
studi scientifici e continuare la sua fitta corrispondenza con i
principali dissidenti italiani dell'epoca, come Giorgio Biandrata, Giacomo
Paleologo, Marcello Squarcialupi, Simone Simoni, Fausto Sozzini, Francesco
Stancaro e Prospero Provana, oltre che con il medico imperiale,
cripto-calvinista, Johannes Crato von Crafftheim (1519-1585). Nel 1583
arrivò il disgelo con Bathory, che gli permise di esercitare alcune attività
commerciali con la Polonia. D. morì a Breslavia il 23 febbraio 1589 e fu
sepolto nella chiesa luterana di Santa Elisabetta a Cracovia.
Il
pensiero religioso Come già detto, D. manifestò sempre una notevole, sebbene
cauta, simpatia per il movimento antitrinitario, ben presente in Polonia
nella seconda metà del `500. Il dibattito rimane comunque aperto fra gli
studiosi contemporanei per accertare se egli avesse mai aderito alle idee di
Biandrata e Fausto Sozzini. E' vero che dopo essersi trasferito a
Breslavia D. diventò luterano, ma questo era stato fatto più che altro per
uniformarsi al noto principio cuius regio, eius religio. Egli era un
insofferente dell'intolleranza, cattolica o protestante che fosse, tant'è che
nel 1584 egli scrisse una lettera accompagnatoria alla seconda edizione del
De Haereticis capitali supplicio non afficiendis [del teologo della
tolleranza senese Mino Celsi (1514-ca.1575)], in cui D. entrò nella polemica
sulla persecuzione degli eretici. La lettera fu immediata contestata e
condannata da Théodore de Bèze. Secondo lo storico Delio Cantimori, D. fu
soprattutto un elaboratore di motivi erasminiani, e anelava una Chiesa unica
e santa, basata sul simbolo apostolico e sulla morale
evangelica.
Speciale (o Speziale), Pietro
(1478-1554)
La figura di Pietro Speciale (o Speziale) si erge
come un originale precursore dei concetti luterani, ante-litteram, di
giustificazione per fede, attraverso la grazia di Dio. Questo umanista e
grammatico veneto, nato a Cittadella (Padova) nel 1478, studiò infatti gli
scritti di Sant'Agostino e di Erasmo da Rotterdam ed approfondì le tematiche
del libero arbitrio e giustificazione sola fide già dal 1512, un anno prima,
cioè, della nota "esperienza della torre" (Turmerlebnis) di Martin
Lutero. In quell'anno S. si mise a comporre la sua grande opera, De Gratia
Dei, che però finì e pubblicò solamente il 17 ottobre 1542, ben trent'anni
dopo. Nel libro S. concordò con Lutero sulla giustificazione sola fide e nel
rifiuto della transustanziazione, ma ribadì energicamente la sua convinzione
nel libero arbitrio e nella struttura della Chiesa ufficiale, pur censurando
gli eventuali abusi. Durante questi trent'anni, nei quali, tra l'altro, fu
maestro (dal 1536) e rettore della scuola di Cittadella, S. prese comunque
parte attivamente al panorama protestante nella Repubblica di Venezia del
primo `500. Iniziò alle idee riformiste l'avvocato Francesco Spiera ed il
nipote Girolamo Facio: Spiera sarebbe successivamente morto a soli 46
anni, schiacciato dal rimorso di aver accettato di abiurare dalla
fede protestante. S. inoltre si aggiornò, leggendo gli scritti dei
principali riformatori tedeschi, come Lutero, Bucero e Melantone e mantenne
contatti con i dissidenti religiosi Baldo Lupetino e Francesco Negri e con il
teologo e storico francescano Bernardino Scardeone (1482-1574), autore del
saggio De Castitate Libri Septem (1542), la cui esaltazione della castità
matrimoniale venne condivisa anche dallo stesso S. Ma nel 1543 l'anziano
umanista fu arrestato con l'accusa di eresia e tenuto per ben otto anni in
prigione a Venezia, dove il grande delatore dell'anabattismo veneto, Pietro
Manelfi si vantò di averlo convertito alla propria fede. Oramai stanco,
malato e povero per il sequestro dei propri beni, S. si decise di abiurare il
14 luglio 1551, tuttavia, non contento dell'abiura, il tribunale
dell'Inquisizione veneta stabilì che il vecchio ex rettore di Cittadella
dovesse restare in carcere ancora sei anni. Ma, in seguito all'aggravamento
dello stato di salute, gli fu permesso di lasciare la prigione e, ritornato a
Cittadella, vi morì nel giugno 1554.
Spener, Philipp Jakob
(1635-1705) e Speneriani e Pietismo
Introduzione Dopo la morte
di Martin Lutero nel 1546, tra i suoi seguaci si sviluppò un acceso dibattito
con la contrapposizione tra la scuola adiaforista di Philipp Melantone e i
gnesio-luterani, capeggiati da Nikolaus von Amsdorf, che rigidamente
seguivano l'insegnamento di Lutero. La divisione fu faticosamente ricomposta
solamente con la Formula (1577) e il Libro (1580) di Concordia. Tuttavia,
successivamente proprio i teologi luterani caddero in quella
cristallizzazione scolastica, che tanto avevano criticato nei studiosi
cattolici. Contro questa cristallizzazione e contro un'osservanza rigida e
superficiale della vita religiosa reagì il movimento dei pietisti, una
corrente luterana sviluppatosi nel XVII e XVIII secolo in Germania grazie
all'azione del teologo alsaziano Philipp Jakob Spener, ispirato, a sua volta,
dai lavori di Johannes Arndt, il padre teologico del pietismo, e del mistico
francese Jean de Labadie.
La vita Il teologo Philipp Jakob
Spener, fondatore del movimento pietista, nacque il 13 gennaio 1635 a
Rappoltsweiler, in Alsazia. Egli frequentò dapprima il ginnasio di Colmar, e
successivamente l'università di Strasburgo, dove studiò filologia, storia e
filosofia, ottenendo il titolo di Maestro di arti liberali nel 1653. Dal 1659
al 1662 egli viaggiò visitando le università di Basilea, Tübingen e Ginevra,
ed iniziò i suoi studi di araldica, che portò avanti per tutta la sua vita. A
Ginevra, fondamentale per le sue future scelte teologiche fu l'incontro con
il riformatore Jean de Labadie. Nel 1663 S. ritornò a Strasburgo come
predicatore e oratore, ma solo tre anni più tardi egli decise di accettare il
posto di Pastore capo della chiesa luterana di Francoforte sul Meno: qui
riscossero un vivo successo i suoi sermoni ispirati alla necessità di una
fede più viva e alla santificazione della vita quotidiana e qui, nel 1670,
concepì i cosiddetti Collegia pietatis (da cui il nome del movimento),
riunioni in case private per lo studio delle letture sacre e per approfondire
le esperienze interiori. Nel contempo egli scrisse il suo lavoro
principale: Pia desideria oder herzliches Verlangen nach gottgefälliger
Besserung der wahren evangelischen Kirche (Pii desideri, o la viva
aspirazione ad un miglioramento, gradito a Dio, della vera chiesa evangelica)
(1675), in realtà una lunga introduzione della nuova edizione, voluta da S.
stesso, dei Vier Bücher vom Wahren Christhentum (Quattro libri sul vero
cristianesimo) di Johann Arndt. Nella sua prefazione S. ipotizzava una
riforma della chiesa luterana basata su sei pii desideri: A causa
dell'inadeguatezza dei sermoni, bisognava favorire lo studio delle Sacre
Scritture attraverso riunioni private. Era necessario sviluppare un
sacerdozio universale con laici accanto ai pastori. La conoscenza del
Cristianesimo doveva essere accompagnate dalle virtù cristiane della Carità e
del Perdono. L'attitudine verso i non credenti doveva basarsi non sulla
polemica virulenta, ma sul desiderio di convertirli. Andava sviluppato
negli studenti di teologia non solo lo zelo per lo studio, ma anche verso una
vita devota. La retorica nella predicazione doveva essere abbandonata per
favorire una vita cristiana pratica, piena di fede, ma anche severa [tra il
1680 ed il 1690 S. pubblicò tre opere contro il gioco, il teatro e la danza,
le cosiddette adiaphora (cose, per Melantone, indifferenti dal punto di
vista morale, un pensiero evidentemente non condiviso da S.!)]. Nel 1686
S. accettò il posto di cappellano di corte a Dresda, presso il principe
elettore di Sassonia, Johann Georg (Giovanni Giorgio) III (1680-1691), ma nel
1691, il principe, constatato lo scarso interesse di S. al ruolo
assegnatogli, riuscì a convincere i principi di Brandeburgo a farlo nominare
rettore della chiesa di San Nicola a Berlino e consigliere
del concistoro. Qui S. fu tenuto in alta considerazione da parte del
principe elettore di Brandeburgo, Federico III (principe elettore: 1688-1701
e, come Federico I, re di Prussia: 1701-1713) e fu decisivo nella scelta dei
professori per la facoltà di teologia della neonata università di Halle.
Questa università diventò ben presto il centro di riferimento del pietismo
tedesco e il suo sviluppo venne ulteriormente implementato dall'erede
spirituale di S., August Hermann Franke, che vi fondò scuole di carità,
orfanotrofi, case di riposo per anziani, laboratori artigiani, centri di
studio della Bibbia. Tuttavia l'ortodossia luterana non abbassò mai la
guardia contro S.: nel 1695 la facoltà teologica dell'università di
Wittenberg lo accusò di 264 errori dottrinali e solo la sua morte il 5
febbraio 1705 lo liberò per sempre da questi attacchi.
Il
Pietismo Già nell'anno di nomina (1686) di S. a cappellano di corte a Dresda,
August Hermann Franke e i colleghi Johann Kaspar Schade (1666-1698) e Paul
Anton (1661-1730) fondarono a Lipsia i Collegia philobiblica, scuole per
la spiegazione pratica e devozionale delle Sacre Scritture. Essi invitarono
i cittadini di Lipsia a parteciparvi, e nel 1689/90 a creare essi stessi
i loro collegi. Ma l'iniziativa fu ostacolata dall'ortodossia luterana
e tramontò solo cinque anni più tardi, nel 1691. A Franke fu revocato
lo stipendio e proibito di organizzare incontri di qualsiasi tipo: non
gli restò che recarsi ad Halle (poco dopo fu raggiunto da Anton) per
diventarvi professore e pastore nel 1692. Franke, vero diffusore del
pietismo in Germania, come già sopradetto, formò una schiera di teologi
pietisti, che si contrapposero al centro dei luterani tradizionali, cioè
l'università di Wittenberg. Tra gli altri teologi o fondatori di movimenti
religiosi, nati come pietisti, ma che hanno poi sviluppato posizioni diversi
si annoverano: Gottfried Arnold, Johann Konrad Dippel, Johann Albrecht
Bengel,(che operò proprio a Wittenberg) ed infine il conte Nikolaus Ludwig
Graf von Zizendorf, fondatore della Herrnhuter Brüdergemeine (comunità dei
fratelli a Herrnhut), nella quale confluirono i discendenti dei Fratelli
Moravi, fondati da Luca di Praga nel XV secolo, i labadisti, ed alcuni
schwenckfeldiani. Anche sul movimento fondato dal mistico svedese Emmanuel
Swedenborg fu forte l'influenza del pietismo. La massima fioritura per il
pietismo in Germania, che comunque non creò mai una chiesa separata, si ebbe
sotto Federico I di Prussia e il successore Federico Guglielmo I (1713-1740),
ma declinò ben presto sotto il famoso (e scettico) Federico II, detto il
Grande (1740-1786). All'estero l'influenza del pietismo fu più duraturo, in
Danimarca con il re Federico IV (1699-1730), che nel 1705 scelse i primi
missionari per le Indie fra i pietisti, ma soprattutto in Inghilterra e Nord
America, nei confronti di movimenti religiosi protestanti come quello
Anglicano, Puritano, Battista e Metodista.
Simoni, Simone
(1532-1602)
Simone Simoni, filosofo e medico, nacque a Lucca nel
1532 e si laureò a Padova, città da cui si allontanò nel 1565, per motivi
religiosi, emigrando a Ginevra, dove peraltro egli aveva già soggiornato nel
periodo 1559-1561. Qui diventò professore ordinario alla cattedra di
filosofia (e più tardi di medicina), ma mostrò anche tutta la spigolosità del
suo carattere, lo spirito polemico contro tutto e tutti, e qui, in seguito ad
una diatriba con il filosofo di Tübingen, Jakob Schegk (o Jacobus Schegkius,
1511-1587), si chiarì il suo credo religioso, di stampo riformatore
illuministico. Precedentemente, l'unico contatto con gli eretici fu la visita
in prigione a Berna di Giovanni Valentino Gentile, incarcerato per le sue
idee antitrinitariane nel 1566. A Ginevra si delineò quindi il pensiero
religioso del S. intriso di valori morali laici e terreni: la negazione
dell'onnipresenza del Cristo, il valore puramente simbolico dell'Eucaristia e
la negazione della sopravvivenza della natura umana di Gesù. Inoltre, si
aggiungeva una sua fiducia incrollabile nella scienza, come contributo allo
sviluppo dell'uomo. La natura e le sue risorse avevano maggiore rilievo
rispetto alla Grazia di Dio, ed in questo il pensiero di S. assomigliò molto
a quello di Giordano Bruno, senza però arrivare agli eccessi del filosofo
nolano. Tutti questi erano argomenti più che sufficienti per mettere il S.
sotto il controllo delle preoccupate autorità ginevrine ed il pretesto per la
sua espulsione fu l'attacco spropositato contro Niccolò Balbani, reo,
secondo S., di essersi adeguato allo stile conformista di Ginevra. Le
autorità della città pretesero le scuse pubbliche da parte del S. e
successivamente lo espulsero. Il S. si trasferì a Parigi, e poi, per mezzo
dei buoni uffici di Theodore de Béze, ad Heidelberg, da dove però fu cacciato
nel 1579, dopo aver già subito un'accusa di arianesimo nel 1575 a Lipsia,
alla corte di Augusto I di Sassonia (1526-1586). Nuova emigrazione a
Praga, nel 1581, dove diventò il medico di corte di Rodolfo II d'Asburgo
(1576-1611): qui circolò la voce, mai confermata, che si fosse riconvertito
al cattolicesimo. Comunque, il suo spirito inquieto lo portò in Polonia, dove
diventò medico di corte del re Stefano Bàthory (1575-1586) assieme a Niccolò
Buccella. Qui , dopo aver litigato con Marcello Squarcialupi, alla morte del
re polacco nel 1586, il S. non esitò a formulare la gravissima accusa
della responsabilità del Buccella per il decesso. La polemica tra i due
investì anche la sfera religiosa, con reciproche accuse, ma il nuovo re
Sigismondo III Vasa (1587-1632) prosciolse il Buccella dalle accuse e lo
nominò suo medico personale, elevandolo successivamente ad un titolo
nobiliare. Al Simoni, sconfitto su tutta la linea, non rimase altro che
riparare in Moravia, dove finì i suoi giorni presso il Vescovo di
Olomouc. S. morì a Cracovia nel 1602.
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