ERETICI E DISSIDENTI
RELIGIOSI |
Alberto di Brandeburgo-Ansbach (1490-1568)
Alberto di Brandeburgo, da non
confondere con l'omonimo cardinale cattolico (1490-1545) di Magdeburgo e
Mainz e noto avversario di Martin Lutero, nacque il 16 Maggio 1490 ad
Ansbach, capitale della Franconia e residenza dei Margravi di
Brandeburgo-Ansbach. Il nonno di A. era il principe elettore Alberto Achille
di Brandeburgo e poiché A. non era il primogenito, quindi escluso dal titolo
di margravio, egli fu avviato alla carriera ecclesiastica, entrando
successivamente nell'ordine dei Cavalieri Teutonici. Nel 1511 A. fu eletto
Grande Maestro dell'ordine stesso e l'anno successivo, il 22 Novembre 1512,
egli si trasferì nella sede dell'ordine a Köningsberg, in Prussia. A quel
tempo le fortune dell'ordine dei cavalieri Teutonici erano in netto declino,
dopo il glorioso periodo durato circa due secoli (dal 1283) nel quale essi
avevano dominato la regione ed erano stati per anni una spina nel fianco
delle varie nazioni slave limitrofe (Polonia, Russia etc.). Già nel 1466 (2°
pace di Thorn), l'ordine aveva dovuto cedere la Prussia occidentale alla
Polonia ed accettare che la parte orientale diventasse feudo del re di
Polonia Casimiro IV (1447-1492). Inoltre i Teutonici avevano perso buona
parte del loro potere politico e sofferto per la evidente incompatibilità tra
vita militare e monastico, alla quale anche il Papa Adriano VI (1522-1523)
aveva richiamato l'ordine ed il suo Grande Maestro, per l'appunto
A. Questi era reduce da una disastrosa quanto inconcludente guerra contro
la Polonia, durata fino al 1521, nel vano tentativo di rendere la
Prussia indipendente, ma alla fine della quale dovette accettare una tregua
di quattro anni. Nel 1522-23 A. partecipò alla Dieta imperiale di
Norimberga nell'inutile tentativo di cercare protezione contro il re di
Polonia, ma fu in quella occasione che egli sentì, per la prima volta, i
sermoni dei predicatori luterani, in particolare di Andreas Osiander.
Approfondì il suo interesse per la Riforma in un successivo colloquio a
Berlino con Martin Lutero e Philipp Melantone, che lo esortarono a
secolarizzare l'ordine e a prendere moglie. Lo stesso consiglio fu dato ad A.
dal fratello Georg, Margravio di Brandeburgo. Il processo di riforma nella
Prussia fu comunque accelerato dall'abile cancelliere e principale
consigliere di A., il vescovo Georg von Polenz (1478-1550), che, convertitosi
al luteranesimo, emanò ordini per il clero prussiano per l'uso della lingua
locale nelle funzioni religiose e per lo studio dei testi di Lutero. Nel
Giugno 1525 Polenz rinunciò ai suoi poteri secolari e si sposò, imitato,
esattamente un anno dopo, da A. Nello stesso 1525, A. sciolse l'ordine
teutonico e trasformò la proprietà dei cavalieri in un ducato ereditario per
la sua dinastia, con il consenso del re di Polonia, che il 10 Aprile lo
nominò Duca di Prussia e feudatario della corona polacca. Il 6 Luglio A.
introdusse ufficialmente la Riforma luterana in Prussia, con i relativi
cambiamenti: abolizione dei digiuni, riduzione dei giorni da santificare,
trasformazione dei conventi in ospedali e liturgia in lingua locale. A.
inoltre fondò l'università di Königsberg nel 1544, attirando i migliori
studiosi locali (prussiani, polacchi, lituani) dell'epoca, come Andreas
Osiander. Tuttavia la vita privata di A. fu molto dolorosa per il Duca a
causa della morte di 6 dei suoi 7 figli e della prima moglie. A. morì il
20 Marzo 1568 ed a lui successe il figlio Alberto Federico, che morì senza
figli maschi nel 1618: a quel punto il ducato passò al ramo principale dei
Brandeburgo. ----- Catari o albigesi (XII - XIII - XIV
secolo)
I catari furono la grande alternativa religiosa alla
Chiesa Cattolica d'Occidente nel XII e XIII secolo. Nei loro confronti la
reazione della Chiesa fu fortissima e probabilmente proporzionata alla paura
che questa setta potesse mettere in crisi l'intera istituzione
cristiana. Non si trattava infatti di singoli eretici da punire, ma di un
fenomeno di vasta portata, a cui l'Europa occidentale medioevale non era
abituata, e che ricordava i grandi movimenti religiosi eterodossi che avevano
afflitto l'Impero Romano d'Oriente, come ad esempio i pauliciani. E'
difficile altrimenti da spiegare la creazione di un potentissimo mezzo di
repressione, come l'Inquisizione, la fondazione di un ordine religioso, i
domenicani, preposti a confutare le dottrine c. e l'organizzazione di una
crociata, con relativa licenza di massacro, di cristiani contro altri
cristiani. Tuttavia bisogna anche tener conto che, in quel momento, lo stesso
potere di uno stato sovrano, come la Francia, già dilaniata dalla guerra dei
Cent'anni con l'Inghilterra, avrebbe potuto essere messo in discussione da
questa setta (o meglio dal suo alleato laico, il potente conte di Tolosa):
essa quindi fu schiacciata dall'azione combinata di Stato e
Chiesa.
La storia A) I predecessori Su questo punto, i
commentatori e gli storici si dividono in due gruppi: Coloro i quali vedono
nei catari una continuità del grande filone dualista, dai gnostici a
Novaziano ai manichei ai già menzionati pauliciani ai bogomili, e Coloro
che, pur non negando qualche similitudine con le sette dualiste precedenti,
sono convinti della originalità del pensiero cataro, sviluppato come reazione
alla corruzione dilagante nella Chiesa. Del resto anche le attività di
predicatori itineranti all'inizio del XII secolo, come Pietro di Bruis,
Enrico di Losanna, Tanchelmo di Brabante, Eon de l'Etoile, furono il segno di
quel malessere, diffuso soprattutto a livello delle classe più deboli della
popolazione, e che poté creare un substrato ideale per lo sviluppo di
popolarità del catarismo.
B) L'inizio e i precursori Già dal 1018,
i cronisti Ademaro di Chabannes e Rodolfo il Glabro riferirono di "manichei"
diffusi nella Francia meridionale, citando gli episodi di Leutard, i canonici
di Santa Croce di Orléans, gli eretici di Arras. Simili episodi si
segnalarono anche in altre nazioni, come ad esempio Gerardo di Monforte in
Italia. Nel 1143, Evervino di Steinfeld scrisse a San Bernardo di
Chiaravalle (1090-1153) per informare sulla presenza nella Renania, a
Colonia, di eretici, anche donne, organizzati in uditori e eletti, che
accettavano solo il Padre Nostro come preghiera e si rifiutavano di
frequentare le chiese e ricevere i sacramenti, eccetto una particolare forma
di comunione. Gli eretici furono bruciati e Evervino si stupì che salissero
serenamente, o addirittura con gioia, sul rogo. Di simili fatti narrò anche
Ecberto di Schonau. Pochi mesi dopo, lo stesso Bernardo accorse nella
Francia meridionale, su invito del legato pontificio cardinale Alberico di
Ostia, con lo scopo di intervenire contro le predicazioni di Enrico di
Losanna a Tolosa, salvo poi rendersi conto dell'elevata diffusione del c.
nella zona. Ogni tentativo del Santo di convertire gli albigesi (come li
chiamò dal nome della città di Albi) non ebbe successo e tre anni dopo, nel
1148, il concilio di Tours li condannò, stabilendo che, se scoperti, essi
dovessero essere imprigionati e i loro beni confiscati. Tuttavia queste
disposizioni non sembra che avessero avuto particolare effetto, anzi proprio
in Francia meridionale, nella Linguadoca e in Provenza, i c. si consolidarono
maggiormente. Questa regione, a ridosso dei Pirenei, nota anche come
Occitania, era stata parte dell'ex regno dei Visigoti durante l'alto
Medioevo, si era sviluppata come cuscinetto tra il regno dei Franchi a Nord e
gli Arabi a sud ed era, dal punto di vista politico, linguistico, culturale e
della tolleranza, profondamente diverso dal resto dell'odierna Francia.
Infatti gli occitani parlavano la lingua d'oc, e non l'oil come nel resto
della Francia, avevano sviluppato la lirica dei trovatori (alcuni dei quali,
come Guglielmo Figueira, furono c.), tolleravano gli ebrei e i pensatori
eterodossi cristiani. Vent'anni dopo la missione di San Bernardo, nel 1165
a Lombez fu tenuto un pubblico contraddittorio tra teologi cattolici e c.,
con a capo un tale Oliviero, che si risolse in un nulla di fatto. Fu in
quel periodo che i cattolici iniziarono a chiamarli catari, sulla
cui etimologia gli autori dell'epoca hanno concepito due teorie:
più probabilmente dal greco Kàtharoi cioè puri, o più folcloristicamente
dal latino medioevale catus, gatto, un classico travestimento di Lucifero,
al quale gli eretici, durante i loro riti (secondo i loro
detrattori), baciavano le terga! Furono anche denominati pubblicani o
pobliciani o populiciani, in collegamento ad un'altra eresia medioevale
dualista, il paulicianesimo. Un ulteriore nome fu "bulgari", dal paese
originario della setta dei bogomili o "manichei" per un collegamento con
l'eresia di Mani o impropriamente "ariani" (o arriani) per una connessione
con le tesi cristologiche di Ario. Dal mestiere abitualmente svolti da molti
dei credenti furono anche chiamati tixerand, dal antico francese per
tessitori, mentre grande confusione fanno ancora alcuni autori anglosassoni,
che si ostinano a chiamarli patarini, confondendoli con il noto
movimento riformista, e non certo dualista, della Pataria del XI
secolo. Invece i c. chiamarono se stessi sempre e semplicemente boni homini o
boni christiani.
Nel 1167, essi tennero il loro concilio a
Saint-Félix de Caraman (o de Lauragais), vicino a Tolosa, al quale
parteciparono il vescovo bogomila Niceta (impropriamente definito il "papa
cataro"), e i vescovi della Chiesa di Francia, Robert d'Espernon e di Italia,
Marco di Lombardia, oltre a Siccardo Cellarerius di Albi e Bernard Catalanus
di Carcassonne, in rappresentanza delle altre realtà c. francesi. La presenza
di Niceta servì ad avvallare la tesi che il bogomilismo di tipo assoluto,
tipico della Chiesa di Dragovitza, in Bosnia, aveva influenzato in maniera
decisiva la dottrina c. se non fin dall'inizio, almeno da questo momento in
avanti. Inoltre, il movimento nella Francia meridionale fu ristrutturato in
quattro chiese: Agen, Tolosa, Albi e Carcassonne.
C) La reazione
dei cattolici Il periodo tra il 1178 ed il 1194 vide il fallimento di diversi
tentativi di avvicinamento tra cattolici e c. in Linguadoca, mentre nel 1194
divenne conte di Tolosa, Raimondo VI (1194-1222), che era favorevole ai c. e
sul cui territorio poterono svilupparsi indisturbate le diocesi c. di Agen e
Tolosa. Tuttavia anche quelle di Albi e Carcassonne non correvano
particolari rischi, in quanto comunque in territorio amico, essendo sotto il
controllo del visconte Raimond-Roger Trencavel, nipote di Raimondo VI. La
svolta si ebbe nel 1198 con la salita al trono pontificio di Papa Innocenzo
III (1198-1216), ideatore di una vera e propria campagna contro
i c. Dapprima egli inviò nel 1207-1208 famosi predicatori come (San)
Domenico di Guzman (n. 1170- m.1221) e Diego d'Azevedo, vescovo di Osma, per
cercare di convertire i c., ma i dibattiti pubblici, come già precedentemente
quelli del 1165, non approdarono ad alcun risultato, anzi i teologi c.,
come Guilhabert de Castres, ne uscirono a testa alta. Allora Innocenzo
passò alle vie di fatto e bandì una crociata contro gli albigesi, prendendo
come pretesto l'assassinio (in realtà a sfondo politico e non certo
dogmatico), a Saint-Gilles nel 1208, del legato papale e monaco cistercense
Pietro di Castelnau, al quale forse non era estraneo lo stesso Raimondo VI,
scomunicato dal legato stesso nel 1207. Alla Crociata parteciparono vari
nobili della Francia settentrionale, come il Duca di Borgogna ed il Conte di
Nevers, ed avventurieri di pochi scrupoli, attratti sia dall'indulgenza dai
peccati, che, molto più materialmente, dalle possibilità di saccheggio o
addirittura di divenire padroni delle città della Linguadoca. L'esercito
crociato contava un totale di 20.000 cavalieri e oltre 200.000 soldati e
servi al seguito. Il 22 luglio 1209 la prima città ad essere posta sotto
assedio, Béziers fu espugnata dai crociati, e il legato papale Arnaud Amaury,
abate di Citeaux, interrogato su come si potesse distinguere gli abitanti
cattolici da quelli c., pronunciò la famigerata e tremenda frase: "Uccideteli
tutti, Dio saprà riconoscere i suoi". Furono massacrate 20.000 persone e
Amaury ricevette le congratulazioni dal Papa in persona! Stessa sorte
toccò a Carcassonne, dove fu imprigionato e morì in carcere il visconte
Raimond-Roger di Trencavel. Dal 1210 i crociati, con a capo Simon IV de
Montfort, conquistarono una impressionante serie di città o cittadine c. :
Agen, Albi, Birou, Bram, Cahusac, Cassés, Castres, Fanjeaux, Gaillac, Lavaur,
Limoux, Lombez, Minerve (qui 140 catari si gettarono spontaneamente nelle
fiamme), Mirepoix, Moissac, Montégut, Montferrand, Montrèal, Pamiers, Penne,
Puivert, Saint Antonin, Saint Marcel, Saverdun, Termes, furono tutte
espugnate secondo un crudele copione ben collaudato: seguivano mutilazione di
nasi, occhi, orecchie e ovviamente l'onnipresente rogo dove bruciare gli
eretici. Un episodio per tutti fu la conquista di Lavaur nel 1211 con il rogo
di ben 400 c. e l'uccisione di Giraude di Lavaur, una nobile c., sorella
del comandante della guarnigione, molto timorata di Dio e amata da tutti i
suoi concittadini, anche cattolici. Giraude fu gettata in un pozzo e lapidata
a morte dai crociati. Ogni signore locale di queste città lottò per la sua
sopravvivenza, anche se questa significava passare per faydit, colui che era
eretico o proteggeva gli eretici ed i suoi terreni venivano dati in
ricompensa ai crociati. Nel 1212 intervenne nella crociata, prendendo le
difese dei tolosani, anche il re d'Aragona, Pietro I (1177-1213), cognato di
Raimondo, poiché molte delle terre in questione almeno formalmente facevano
parte del suo regno. Fra gli Aragonesi ed i crociati la lite degenerò in
guerra, ma all'assalto di Muret, con i crociati, tanto per cambiare, nel
ruolo di assediati, Pietro fu ucciso. Il boccone più difficile per i
crociati si rivelò l'assedio della capitale Tolosa del 1217-1218, dove Simon
de Montfort venne ucciso da una pietra lanciata da una donna. Prese allora il
comando della crociata l'inetto figlio di Simon, Amaury VI de Montfort, con
scarso successo. La situazione politica comunque stava già cambiando tutta a
favore del re di Francia, sia nel 1215, quando il futuro re di Francia Luigi
VIII il Leone (1223-1226) era intervenuto personalmente nelle operazioni
militari, che nel 1224 quando lo stesso, diventato sovrano obbligò Amaury di
fare dono di tutte le terre conquistate alla corona di Francia. Oltretutto
l'incapacità di Amaury permise ai c. ed ai conti di Tolosa di serrare le
fila, prima della parte finale della guerra voluta da Papa Onorio III
(1216-1227) e condotta da Luigi VIII in persona, e, per questo, denominata
Crociata reale (1226-1228). Alla fine nel 1229, Raimondo VII di Tolosa
(1222-1249) spossato da una guerra, che aveva totalmente stravolto il
Mezzogiorno della Francia, accettò una pace, mediata da Bianca di Castiglia,
madre del nuovo re minorenne Luigi IX (1226-1270), e ratificata con il
trattato di Meaux. Raimondo conservò parte delle sue terre, cedendo il resto
alla Francia, dovette dichiarare la sua fedeltà al re, ma soprattutto negare
ogni appoggio ai boni homini.
D) La fine A questo punto ai
militari subentrarono gli inquisitori domenicani e francescani, la cui
attività era stata ufficializzata nel 1233 dal Papa Gregorio IX (1227-1241)
come Inquisitio heretice pravitatis. Gli inquisitori, odiati dalla
popolazione locale, imperversarono sul territorio per circa 100 anni
(1233-1325), in realtà facendo uccidere meno persone di quanto si è portati a
credere (solitamente solo i c. "perfetti", che si rifiutavano di abiurare),
ma utilizzando metodi di tortura e pressione psicologica di una sottile
efferatezza. L'odio per gli inquisitori si concretizzò ad Avignonnet nel
1242, dove due di essi (Arnauad Guilhelm de Montpellier e Étienne de
Narbonne) e il loro seguito furono massacrati. Questo fu il pretesto per
scatenare un ultimo colpo di grazia ai catari asserragliati nella fortezza di
Montségur il cui assedio nel 1243-1244 fu l'atto finale della guerra contro i
c. Montségur era infatti diventata, dal 1232, l'ultimo baluardo
della resistenza c., voluta da Guilhabert de Castrés. Nel maggio del 1243
la fortezza, difesa da Raimond de Péreille e dal perfetto Bernard Marty, fu
posta sotto assedio da parte delle truppe del siniscalco di Carcassonne,
Hugues de Arcis, ma solo nel marzo del 1244, gli assedianti espugnarono la
roccaforte. Immediatamente furono eretti i tristemente noti roghi, sui quali
Bernard Marty e 225 c. furono bruciati.
E) Il movimento in
Italia L'Italia settentrionale e centrale, assieme alla Francia meridionale,
fu l'area geografica dove si sviluppò maggiormente il c.: secondo l'ex
cataro Raniero Sacconi, erano circa 2.500 alla ½ del XIII secolo, anche se
questo dato si riferiva solo ai cosiddetti "perfetti". Si suppone quindi che
il movimento includendo credenti e simpatizzanti, fosse molto diffuso. Il
primo vescovo di tutti i c. italiani fu, come si è detto, Marco di Lombardia
e il suo successore fu Giovanni Giudeo, ma in seguito il movimento si
frazionò in sei chiese locali; Chiesa di Desenzano (sul Lago di Garda)
l'unica che praticava un dualismo di tipo assoluto e i cui adepti si
chiamavano albanensi, dal nome del primo vescovo Albano. Altri vescovi degni
di nota furono Belesinanza e soprattutto il massimo teologo c. Giovanni di
Lugio. Chiesa di Concorrezzo (vicino a Monza), la maggiore in Italia e i cui
membri si chiamavano garattisti, dal nome del loro primo vescovo Garatto.
Seguirono Nazario e Desiderio, ma con l'abiura dell'ultimo vescovo, Daniele
da Giussano, la chiesa si estinse. Chiesa di Bagnolo San Vito (vicino a
Mantova), i cui fedeli venivano chiamati bagnolensi o coloianni, dal nome in
greco del loro primo vescovo Giovanni il Bello. Si estinse con l'abiura degli
ultimi due vescovi, Albertino e Lorenzo da Brescia. A questa chiesa
appartenne segretamente anche Armanno Pungilupo, morto nel 1269 e proposto
per la canonizzazione in quanto ritenuto in vita persona di notevole
rettitudine e santità e fatto oggetto, dopo morto, di venerazione e
pellegrinaggi. Purtroppo un'inchiesta, voluta da Papa Bonifacio VIII rivelò
che Pungilupo era, per l'appunto, un c. e quindi fu condannato
postumo. Chiesa di Vicenza o della Marca di Treviso, fondata dal primo
vescovo, Nicola da Vicenza, seguito da Pietro Gallo, noto per la confutazione
delle sue dottrine da parte di S. Pietro Martire da Verona ,che, secondo
una leggenda, fu un cataro pentito, diventato poi un inquisitore
domenicano. Chiesa di Firenze, fondata da Pietro (Lombardo) di Firenze e di
cui si ricorda il famoso condottiero ghibellino Farinata degli Uberti,
cantato nell'Inferno di Dante. Chiesa di Spoleto e Orvieto, fondata da
Girardo di San Marzano e proseguita da due donne, Milita di Marte Meato e
Giuditta di Firenze. La chiesa si estinse con l'abiura dell'ultimo vescovo,
Geremia. Le ultime cinque praticavano un dualismo di tipo moderato, di
origine bulgara (Concorrezzo) o dalla Sclavonia (le altre quattro). Il c.
in Italia seguì un destino diverso rispetto alle chiese sorelle in Francia, e
ciò era dovuto all'appoggio che spesso le fazioni ghibelline, in chiave
antipapale, accordavano loro. Il tutto perdurò fino alla battaglia
di Benevento del 1266, quando la sconfitta del partito ghibellino
e l'affermarsi di quello guelfo degli Angioini, fece mancare i
potenti appoggi, goduti dai c. fino a quel momento. Iniziò il declino ed
anche in Italia venne il momento della resa dei conti finale: una "Montségur"
locale, cioè l'espugnazione nel 1276 della rocca di Sirmione, dove si erano
asserragliati i vescovi delle chiese di Desenzano e Bagnolo San Vito e
numerosi perfetti italiani e occitani. Tutti furono arrestati e portati a
Verona, dove 174 perfetti furono bruciati sul rogo nel 1278.
F) Il
revival cataro Infine, verso la fine del XIII secolo, si ebbe in Francia un
nuovo rifiorire delle dottrine c., portate dai fratelli Guglielmo e Pietro
Authier, da Amelio de Perles e da Pradas Tavernier, che si erano formati
presso i c. lombardi ed erano quindi tornati per predicare in Francia: Pietro
fu catturato e bruciato nel 1310 per ordine del famoso inquisitore
Bernardo Gui. Ufficialmente l'ultimo c. fu Guglielmo Belibasta, tradito
dal c. rinnegato Arnaldo Sicre e bruciato nel 1321 per ordine
dell'inquisitore Jacques Fournier, che sarebbe poi diventato Papa Benedetto
XII (1334-1342). Da quella data il c. cessò di esistere, almeno
esteriormente, mentre probabilmente proseguì in forma segreta e limitata a
pochi adepti.
La dottrina I c. erano dei dualisti cristiani, che
accettavano il Nuovo Testamento, e in questo si distinsero dai manichei, con
i quali venivano spesso accomunati dai cattolici. Essi credevano
nell'esistenza di due principi contrapposti, il Bene ed il Male,
impersonificati rispettivamente dal Dio santo e giusto, descritto nel Nuovo
Testamento, e dal Dio nemico o Satana. Come si è detto, il c. si divideva in
due filoni: quello assoluto e quello moderato. Per i dualisti assoluti, i
due Dei erano sempre esistiti in una eterna lotta ed avevano creato i loro
due mondi, quello dello spirito e contrapposto quello imperfetto della
materia, il mondo nel quale viviamo noi. Per i dualisti moderati, Satana non
era un dio, ma un angelo ribelle caduto, che aveva comunque creato il mondo
materiale. Alcuni degli angeli (circa un terzo), cioè gli spiriti, furono
lusingati ad unirsi a Satana, che li intrappolò successivamente nei corpi
umani, impedendo loro di ritornare dal Dio giusto. L'anelito continuo,
quindi, dello spirito, dalla sua dolorosa prigionia nel corpo dell'uomo, era
quello di poter tornare un giorno da Dio Padre, cosa che i c. cercavano di
fare attraverso il Consolament, durante la loro vita, perché altrimenti
sarebbero stati costretti a subire una continua metempsicosi (passaggio dello
spirito da un corpo all'altro, anche animale), fino a potersi riunire di
nuovo con Dio. La figura di Cristo, solo apparentemente, coincideva con la
dottrina cattolica. In realtà non era affatto così: i c. credevano che Cristo
fosse un angelo di Dio, chiamato Giovanni, secondo Belibasta, che era sceso
sulla terra sotto forma di puro spirito. Quindi anche i c. aderivano al
concetto docetista della mera apparenza della nascita, sofferenza e morte di
Cristo sulla terra. Automaticamente venivano a cadere due simboli
cristiani, legati alla vita terrena di Cristo: la croce, che i c. negavano,
se non odiavano, e la transustanziazione, la trasformazione cioè, del pane e
vino in corpo e sangue di Cristo durante l'eucaristia, che i c. respingevano
con orrore.
I riti e la liturgia I c. rifiutarono la maggior parte
dei riti e delle liturgie cristiane per utilizzare le proprie, che
erano: Innanzitutto il Consolament, una forma di rito complesso con
imposizione delle mani, fatto ad adulti, che riuniva in sé il valore dei
sacramenti cristiani del battesimo, della comunione, della ordinazione e
della estrema unzione. Con questa cerimonia, il c. da semplice fedele
diventava un "perfetto". Molti credenti aspettavano di essere in fin di vita
per chiedere il Consolament e preferivano a quel punto lasciarsi morire per
digiuno, per non rischiare di essere esposti alle possibilità di peccato.
Questa pratica si chiamò endura e diventò popolare nel periodo del tardo c.,
quando la scarsità di "perfetti" poteva rendere impossibile una seconda
cerimonia di Consolament, se fosse stata necessaria. Il Melhorament,
un'elaborata forma di saluto tra c. L'Aparelhament, una confessione pubblica
dei propri peccati. La Caretas, un bacio rituale di pace. La recita del
Padre Nostro, in pratica, unica (eccetto alcune invocazioni minori) preghiera
accettata dal c., con alcune significative correzioni del testo: il
riferimento al "pane soprasostanziale" al posto del "pane quotidiano", inteso
non come cibo materiale ma come insegnamenti di Cristo, e l'aggiunta in fondo
alla preghiera della postilla "perché Tuo è il regno, la potenza e la gloria
nei secoli dei secoli. Amen". I perfetti avevano l'obbligo di recitarlo più
volte al giorno, solitamente in serie da sei (sezena), da otto (sembla) o
sedici (dobla).
Come vivevano e come erano organizzati Dal punto
di vista alimentare, i perfetti c. erano vegetariani, abolendo dalla loro
dieta carne, uova, latte e derivati, ma curiosamente non il pesce e i
crostacei, e praticavano spessissimo il digiuno a pane e acqua,
nella Quaresima, nell'Avvento, dopo la Pentecoste e tre giorni alla settimana
o come penitenza per peccati di lieve entità. Non potevano mentire ed
erano inoltre casti, condannando il matrimonio e l'unione sessuale, che
portava alla procreazione, come atto tipico del mondo materiale creato da
Satana e che perpetrava continuamente la catena delle reincarnazioni, proprio
quello che i c. cercavano di spezzare. Infine essi erano tenuti al precetto
di non uccidere, il che li mise spesso in forte crisi quando si trattava di
difendersi durante la crociate e le successive campagne di persecuzioni
dell'Inquisizione. Questi precetti, tuttavia, non si applicarono ai semplici
fedeli e simpatizzanti, che poterono invece prendere le armi per difendere la
propria causa.
Per quanto concerne l'organizzazione, il capo della
comunità o della chiesa assumeva il titolo di vescovo, secondo i cronisti
cattolici dell'epoca, mentre il perfetto, destinato a succedergli veniva
denominato "figlio maggiore" e quello destinato a succedere a sua volta
"figlio minore". Pare invece improprio il titolo di "papa" cataro, attribuito
a Niceta.
I testi A parte il Nuovo Testamento, i c. avevano
prodotto una copiosa letteratura, per la maggior parte andata distrutta
durante le persecuzioni. Ci sono giunti: Il Liber de duobus principiis,
scritto da Giovanni di Lugio, vescovo della chiesa di Desenzano e maggiore
teologo c. La Interrogatio Iohannis, un apocrifo bogomilo portato in Italia
da Nazario, vescovo della chiesa di Concorrezzo, che si ispirava alla Genesi
e agli apocrifi della Bibbia. Un altro apocrifo bogomilo, la Visione di
Isaia, tradotto in provenzale da Pietro Authier. Varie versioni dei
rituali c., sia quello utilizzato dai francesi, denominato occitano, che
quello usato dagli italiani, chiamato latino. Gli atti del concilio di Saint
Felix de Caraman, trascritti in un testo, denominato Carta di Niceta, scritto
tra il 1223 ed il 1226, di cui ci sono giunte delle copie del XVII
secolo. ----- Alciati della Motta, Giovanni Paolo
(ca.1515-1573)
Giovanni Paolo Alciati della Motta, medico e
nobile piemontese (nacque a Savigliano, in provincia di Cuneo, nel 1515
circa) e amico fraterno di Giorgio Biandrata, fu tra i partecipanti nel 1550
al concilio di Venezia, dove si riunirono i principali anabattisti e
antitrinitariani italiani. Probabilmente questa non fu la prima riunione
riformata, alla quale A. aveva partecipato, poiché si ipotizza la sua
presenza ai Collegia Vicentina del 1546, le riunioni antitrinitarie, che la
tradizione dice ispirate da Lelio Sozzini. Si racconta che A. avesse
intrapreso, tra l'altro, la carriera militare, ma che successivamente fosse
fuggito esule in Svizzera, dapprima nel Cantone Grigioni con Biandrata e
Camillo Renato e dove mantenne un rapporto epistolare con Aonio Paleario, ed
in seguito a Ginevra. Nonostante ricevesse la cittadinanza ginevrina nel
1555, A., assieme al calabrese Giovanni Valentino Gentile e al Biandrata,
entrò in viva polemica nel 1558 con Calvino, contestando la sua autorità,
soprattutto dopo la condanna al rogo di Michele Serveto. La sua polemica
contro il riformatore ginevrino si approfondì nel dibattito teologico sulla
Santa Trinità: con una notevole irruenza (e mancanza di tatto) A. affermò che
Calvino adorasse nella Trinità tre demoni, peggiori degli idoli adorati dal
Cattolicesimo! Inoltre egli era convinto, diversamente dagli altri due
riformati italiani asserragliati su posizioni triteiste, che Gesù Cristo non
fosse preesistito alla nascita di Maria, come avrebbe precisato in una
successiva lettera a Gregor Pauli. Calvino decise quindi di testare la
"tenuta" ideologica della riottosa comunità italiana in esilio a Ginevra,
facendola convocare il 18 maggio 1558, alla sua presenza, davanti al
concistoro della Chiesa italiana per approvare la confessione di fede,
redatta da Calvino stesso e dal pastore Lattanzio Ragnoni (1509-1559). Sette
riformati italiani, tra cui A. (che si lasciò andare alle solite violente
intemperanze verbali), Biandrata e Silvestro Teglio [un altro seguace di
Biandrata e traduttore in latino del principe di Niccolò Machiavelli
(1469-1527)] non accettarono e furono espulsi da Ginevra "per essersi
sollevati contro la Santa Riformazione". A. dapprima si rifugiò a Chiavenna,
raggiungendo, assieme a Gentile, l'amico Biandrata nel 1562 in Polonia, a
Pinczòw, dove si stava formando un gruppo di antitrinitari italiani, tra cui
un altro suo amico, Prospero Provana. Ma il gruppo venne poi disperso due
anni dopo, nell'agosto 1564, in seguito all'editto di Parczòw, emanato dal re
Sigismondo II Iagellone, detto Augusto (re di Polonia: 1548-1572), sotto la
pressione del nunzio apostolico di Cracovia, cardinale Giovanni Francesco
Commendone (1523-1584). A. riparò allora in Moravia, presso Niccolò Paruta,
ad Austerlitz, dove tornò dopo un viaggio in Transilvania per visitare
Biandrata. Infine, grazie al progressivo miglioramento della situazione
degli antitrinitariani in Polonia, egli poté ritornare dapprima a Cracovia
ed infine a Danzica, dove morì nel 1573. ----- Elcasaiti (o Elcesaiti o
Elkasaiti) (1/2 1°secolo)
La setta giudeo-cristiana degli
elcasaiti, a carattere magico-astrologico, sorse intorno all'anno 100 in
Giordania e fu fondata da tale Elkesai (alcuni autori propendono per la
grafia Elchasaí o Elkessaîoi o Elkesaïtaí) di origine persiana. Gli E.
avevano un loro libro sacro, il Libro di Elkesai, che, come
mormoni ante-litteram, essi credevano fosse stato consegnato ad Elkesai da
un angelo. Questo angelo era alto 154 chilometri e largo 27, si
proclamava Figlio di Dio ed era accompagnato da sua sorella (sic!), lo
Spirito Santo. Tutto ciò fu riportato da Alcibiade di Apamea (Siria), un
elcasaita, che diffuse la setta a Roma, portandovi il libro in questione
durante il pontificato di S. Callisto (217-222). Essi credevano in un Dio
creatore e avevano un concetto docetico della persona di Gesù, cioè l'umanità
e le sofferenze di Gesù Cristo erano più apparenti che reali. Inoltre essi
rifiutavano gli scritti di San Paolo e vaste parti dell'Antico Testamento ed
erano convinti che il battesimo potesse essere praticato svariate volte come
rito purificatore. La setta sopravvisse fino alla fine del IV° secolo. Il
famoso fondatore del manicheismo, il nobile persiano Mani fu probabilmente in
gioventù un elcasaita. ----- Renato, Camillo (o Paolo Ricci o Lisia Fileno
o Fileno Lunardi) (ca.1500-1575)
La vita Paolo Ricci,
meglio conosciuto come Camillo Renato, nacque nel 1500 ca. in Sicilia,
probabilmente a Palermo, ma si hanno poche notizie sulla prima parte della
sua vita: si sa comunque che diventò frate minorita. Va precisato inoltre
che, a parte la regione d'origine ed una certa misteriosità sulla prima parte
della sua vita, R., contrariamente alle convinzioni di alcuni autori, non ha
nulla in comune con il corregionale Giorgio Rioli (detto Giorgio
Siculo). In seguito R. frequentò i circoli evangelici di Juan de Valdès a
Napoli e visse a Venezia, mentre dalla fine degli anni '30 del XVI secolo
egli pose il suo campo d'azione nell'Emilia, nel triangolo compreso fra
Bologna, Modena e Ferrara. A Bologna, probabilmente sotto lo pseudonimo
dello studente di diritto Fileno Lunardi, R. poté approfondire i suoi studi
del pensiero di Erasmo da Rotterdam, insieme agli agostiniani Giulio
Della Rovere, Ortensio Lando e Ambrogio Cavalli, e all'umanista abruzzese
Giovanni Angelo Odoni. Abitò inoltre a Modena, dove l'Accademia del
Grillenzoni fece da centro di diffusione delle sue idee. R. infatti già
iniziava ad esprimere alcune sue tipiche idee radicali, come l'opposizione
del culto dei santi e della Madonna, e la negazione del valore dei
sacramenti. Inoltre, tra i primi in Italia ad interessarsi all'anabattismo
e all'antitrinitarismo, R. aveva letto i testi di Miguel Serveto e sembra
che avesse, intorno al 1550, convertito all'anabattismo il misterioso
Tiziano, pare un ex frate friulano e poi mercante ed uno dei più attivi
propagatori dell'anabattismo. Quando finalmente si decise a convertirsi
alla dottrina riformata (seppur con una serie di importanti distinguo), R.
decise di cambiare il proprio nome in Camillo Renato, proprio per
sottolineare la sua "rinascita". Ma, con l'avanzare del suo radicalismo
religioso, aumentarono anche i guai giudiziari: nel 1540 a Modena, sotto lo
pseudonimo di Lisia Fileno, aveva dovuto fare una pubblica ritrattazione
delle sue idee e nel 1542 R. fu arrestato a Ferrara per eresia. Per sua
fortuna, Renata di Francia intercesse per farlo uscire da prigione: libero,
R. prese immediatamente la via dell'esilio per la Valtellina, insieme a Celio
Secondo Curione. In Valtellina, ai tempi parte del territorio elvetico del
Cantone Grigioni, R. divenne dapprima tutore dei figli di Raffaele
Pallavicini a Caspano, vicino a Morbegno, poi, nel 1545 fu maestro di scuola
nella vicina Traona e infine visse a Vicosoprano, in Val Bregaglia. Nel
1546 fece un viaggio a Vicenza per partecipare ai Collegia Vicentina, dove si
riunirono i principali anabattisti e antitrinitariani
veneti dell'epoca. Ritornato in Valtellina, nel 1547 R. si trasferì a
Chiavenna, il centro più importante per la Riforma nei cantoni svizzeri di
lingua italiana, dove conobbe Lelio Sozzini, ma qui, dopo un breve periodo
iniziale di simpatia reciproca, egli entrò in rotta di collisione con il
pastore riformato Agostino Mainardi, che, nell'esercizio delle sue funzioni,
si sentì in dovere di contestare le pericolose idee protocristiane e
anabattiste, che R. propagandava presso la popolazione delle vallate
valtellinesi. Infatti nel 1548, come reazione all'avanzata delle idee troppo
estremiste del pensatore siciliano, Mainardi, eccessivamente rigoroso, cercò
di obbligare tutti i fedeli della Chiesa riformata di Chiavenna di giurare
fedeltà ad una Confessione di Fede, che egli si era fatto approvare dalle
autorità religiose di Coira, Zurigo e Basilea. L'azione gli alienò l'amicizia
con Francesco Negri da Bassano, con il quale aveva avuto dei buoni rapporti
fino a quel momento e che provocatoriamente si rifiutò di far battezzare il
suo neonato se prima Mainardi non avesse firmato una Confessione di Fede
redatta da Negri stesso, e con Francesco Stancaro, che accusò Mainardi di
troppa ortodossia, e troppo poco dialogo, in questa diatriba sorta
sull'opportunità dei sacramenti. La lunga e amara controversia sulla Cena
del Signore con Mainardi, ebbe un amaro epilogo per R. (magnus haereticus,
secondo Mainardi): essendosi rifiutato di cessare di propagare le sue
dottrine egli fu scomunicato il 6 luglio 1550. Del resto, anche in una
lettera scritta un mese dopo (il 3 agosto 1550) da Altieri d'Aquila a
Heinrich Bullinger (curiosamente anche lo stesso R. aveva una vasta
corrispondenza con il riformatore svizzero) l'ex diplomatico definì R.
anabaptistarum patronus, cioè protettore degli anabattisti. A R. non rimase
che ritirarsi in un punto non meglio precisato della Valtellina, dopo aver
polemicamente pubblicato un elenco di 125 errori, scandali, contraddizioni
vari di Mainardi dal 1545 in poi. Di R. non si sentì più parlare eccetto che
nel 1554, quando, indignato per l'esecuzione sul rogo di Michele Serveto, R.
scrisse a proposito un lungo poema, De injusto Serveti incendio e lo inviò a
Calvino in persona. In vecchiaia, da una testimonianza del 1560, pare fosse
diventato cieco e morì nel 1575, sempre in Valtellina.
Il
pensiero Il punto essenziale del pensiero mistico spirituale di R., espresso
nel suo Trattato del Battesimo e della Santa Cena, scritta in italiano (cosa
rara all'epoca), era la vera rinascita spirituale del credente, che si
sentiva unito in spirito e carità con gli altri fedeli in un unico corpo
mistico. Il tutto rendeva per R. ovviamente superfluo ogni sacramento
e manifestazione esteriore e utilitaristica della religione cristiana. Da
ciò quindi derivava il principale motivo del contendere con Mainardi: l'idea
di considerare la Cena del Signore come una semplice memoria della morte
di Cristo e, similmente, il Battesimo come una mera affermazione della
fede individuale di ogni credente. D'altra parte, questa poca importanza
attribuita, o addirittura rifiuto del Battesimo (vedi anche lo scritto
Adversus baptismum del 1548) mette in serio dubbio una supposta appartenenza
di R. al movimento anabattista. Inoltre per R., le anime, dopo la morte, non
godevano subito della vita ultraterrena, ma stavano in uno stato di sonno
fino al giorno del Giudizio Universale, un concetto che accosta curiosamente
R. ad un papa medioevale molto criticato: Giovanni XXII! Questi aveva infatti
incautamente dichiarato nel 1331 che le anime dei morti in grazia di Dio
avrebbero goduto della "visione beatifica" non subito dopo la morte, come
affermava la tradizione, ma solo alla resurrezione dei morti e che,
nell'attesa, essi avrebbero dormito godendo del conforto di Cristo "sotto
l'altare". L'affermazione del papa fu condannata dai teologi dell'Università
di Parigi nel 1333.
I seguaci R. influenzò diversi pensatori e
riformati dell'epoca, di cui si possono citare, a parte l'ebraista Francesco
Stancaro, sopra menzionato: il bolognese Ulisse Aldrovandi (1522-1605),
coinvolto nel 1549-50 in un processo per eresia, proprio come presunto
seguace di R.; il pastore di Casaccia (in Val Bregaglia, nell'attuale cantone
Grigioni) e scrittore Bartolomeo Silvio di Cremona; il medico Pietro
Bresciani di Casalmaggiore. ----- Hamilton, Patrick (ca.
1504-1528)
Patrick Hamilton, nato nel 1504 ca. da una antica
famiglia scozzese, era pronipote del re di Scozia, Giacomo II (1449-1460).
Diventò un canonico cattolico e fu nominato abate dell'abbazia
premonstratense di Ferne (Fearn), nelle Highlands scozzesi, ma studiando
successivamente a Parigi con il noto teologo John Major (Joannes Majoris)
(1496-1550), a Marburg, ma soprattutto a Wittenberg, dove conobbe Martin
Lutero e Phillip Melantone, egli venne a contatto con le idee riformiste e ne
rimase profondamente influenzato. Dopo il suo rientro in Scozia, H. iniziò la
predicazione luterana, attirando l'attenzione del cardinale e legato
pontificio David Beaton (ca. 1494-1546), arcivescovo di Saint Andrews, che
nel gennaio 1528 lo invitò ad un dibattito pubblico con il teologo Alexander
Alesius (1500-1565) per confutare i suoi convincimenti religiosi. Non solo
H. non cambiò idea, ma riuscì anche a convertire Alesius, il quale diventò in
seguito un famoso teologo luterano. Beaton, noto anche per la condanna,
qualche anno dopo, di un altro riformatore scozzese, George Wishart, dopo un
mese di apparente calma, fece arrestare H. in febbraio con l'accusa di
eresia. H. fu condannato al rogo, a Saint Andrews, il 29 febbraio 1528:
purtroppo la fine non fu né rapida né misericordiosa. Infatti gli inquisitori
scozzesi non erano particolarmente esperti in roghi e aggiunsero troppe poche
fascine di legna (viene facile una macabra allusione alla proverbiale
parsimonia degli scozzesi!): il risultato fu che il fuoco si spense quando
il condannato era oramai gravemente ustionato ma ancora vivo! Finalmente
un nuovo fuoco fu acceso ed il povero H. poté rendere l'anima a Dio dopo
ben sei ore di agonia.
In memoria di H. e di altri quattro martiri
della Riforma in Scozia [il già menzionato George Wishart; l'hussita boemo
Pavel Kravaø (anglicizzato in Paul Craw), arso sul rogo nel 1433; il monaco
benedettino Henry Forrest, strozzato nel 1533 per aver difeso le idee di H.;
l'ottantenne pastore luterano Walter Myln, ultimo martire prima della Riforma
in scozia e arso sul rogo nel 1558], nel 1842 fu eretto nel parco cittadino
della città di St. Andrews un monumento, denominato appunto "dei
martiri". ----- Beghine e begardi (o bizocchi o pinzocheri o beghini) (dal
XIII secolo)
Il fenomeno medioevale delle beghine vide, per la
prima volta, le donne prendere l'iniziativa in un importante movimento
religioso.
L'etimologia L'etimologia del nome beghina è oscura:
l'ipotesi più probabile è che derivi dalla parola fiamminga medioevale
beghen, che significa pregare. Altri lo collegano: al francese begard
(mendicare), al sassone (e inglese) beg (chiedere l'elemosina), a San Bega
(o Begga), patrono di Nivelles, in Brabante (Belgio) dove fu fondata una
delle prime comunità, al prete (o frate) fiammingo Lambert le Bègue (cioè il
Balbuziente), fondatore a Liegi nel 1170 di una comunità per vedove e orfani
dei crociati, a un supposto collegamento con gli (al)bigesi (o catari), al
colore beige del vestito portato dagli aderenti al
movimento.
L'origine Nel XII secolo, particolarmente in Francia,
Germania e nei Paesi Bassi, vi era un numero elevato di donne sole, di
estrazione sociale medio-bassa, che non potevano maritarsi per penuria di
uomini decimati da crociate o guerre locali e non venivano, d'altra parte,
accettate dai pochi conventi femminili esistenti all'epoca, più interessati a
domande provenienti da fanciulle ricche e nobili. L'unica alternativa per
queste donne era di vivere da sole nelle periferie delle città, pregando e
occupandosi di lavori manuali o di insegnamento. Con l'andare del tempo molte
di esse, chiamate beghine (vedi sopra per l'etimologia), unirono le loro
dimore, l'una vicino all'altra, e da questo nacquero le prime comunità,
denominate beghinaggi, il primo dei quali comparve nel 1170 circa a Liegi (o
forse a Nivelles) in Brabante (Belgio) su iniziativa del prete Lambert le
Bègue. Le b. non erano delle suore, non prendevano infatti i voti e
potevano ritornare alla vita normale in qualsiasi momento: vivevano in
castità e spesso dedite alla carità, un po' come delle converse, cioè delle
suore laiche. Inoltre non chiedevano l'elemosina (da cui si capisce che è
errata l'etimologia da beg o begard), ma mantenevano le loro proprietà
originarie, se ne avevano, oppure, se necessario, lavoravano, per esempio
filando la lana o tessendo. La prima donna ad essere identificata come b.
fu la mistica Maria di Oignies, che influenzò il cardinale Jacques di Vitry
(1160-1240), protettore del movimento, di cui Vitry ottenne il
riconoscimento, purtroppo solo a parole, da Papa Onorio III (1216-1227) nel
1216. Con l'andare del tempo i beginaggi divennero delle vere e proprie
comunità, orientate alla cura dei malati e all'aiuto di donne sole, non
accettate dai conventi. Ci furono beginaggi, forti anche di migliaia di b.
(come a Ghent), in tutte le città e paesi del Belgio e dell'Olanda, dove,
nonostante le vicissitudini storiche (furono per esempio aboliti durante la
Rivoluzione Francese), esistono oggigiorno, dopo ben sette secoli, ancora 11
comunità in Belgio e 2 in Olanda.
I begardi Ci fu anche una
forma maschile di b., che ebbe minore diffusione rispetto alla controparte
femminile e fu denominata (con un connotato negativo in senso eretico)
begardi. In Italia vennero denominati anche bizzocchi o pinzocheri o beghini
e condussero spesso una vita da predicatori erranti (molto diffusa
nel Medioevo) e furono molto impegnati nel denunciare il nicolaismo e
la corruzione del clero, propendendo per una vita apostolica e povera,
come quella di Gesù e dei primi Apostoli. Su questi punti in comune si
allearono spesso con i Francescani spirituali nel combattere il comune nemico
Papa Giovanni XXII (1316-1334), che contro di loro scatenò il famoso (o
meglio famigerato) inquisitore Bernardo Gui (1261-1331).
La
condanna Benché le b. non dessero alcun segno di eresia (per i begardi il
discorso è più complesso), esse vennero dapprima condannate allo scioglimento
delle loro comunità dal IV Concilio Laterano (1215), ma successivamente
accettate verbalmente da Onorio III nel 1216 ed approvate da Papa Gregorio
IX (1227-1241) nella sua bolla Gloriam virginalem del 1233, il che non
impedì, tuttavia, il rogo della prima b. condannata come eretica, una tale
Aleydis. Nonostante l'approvazione papale, negli anni successivi seguì una
raffica di condanne, a loro carico, ai sinodi di Fritzlar (1259) e Mainz
(1261), concilio di Lione (1274), sinodi di Eichstätt (1282) e Béziers
(1299), ed infine al Concilio di Vienne (1311-12), dove vennero condannate
come eretiche, sebbene venisse precisato nel contempo che non c'era nulla di
male in comunità formate da donne penitenti anche senza che esse avessero
preso i voti. Nel 1310 fu bruciata sul rogo Marguerite La Porète, una b.
con simpatie verso i Fratelli del Libero Spirito ed autrice del libro Le
miroir des simples âmes (lo specchio delle anime semplici), attribuito per
anni a Santa Margherita d'Ungheria. Il solito Giovanni XXII perseguitò con
furore beghine e begardi, come si è detto, mediante Bernardo Gui, benché il
Papa stesso cercasse di distinguere tra forme eretiche e forme ortodosse del
movimento. Pur tuttavia, l'elenco dei processi e relativi roghi di b. durante
questo periodo, soprattutto in Francia meridionale, è impressionante: a
Marsiglia (il beghino Pierre Trancavel e sua figlia Andreina), Narbona,
Carcassonne, Béziers e Tolosa si giustiziarono senza pietà i b. Alcuni
episodi denotarono l'accanimento degli inquisitori, come a Lodève, dove fu
bruciata la b. Esclarmonda Durban, e, quando il fratello cercò
di raccoglierne le reliquie, fu giustiziato anche lui. O a Mirepoix, dove
si dovettero costruire delle nuove carceri tanti che erano gli "eretici"
(b., spirituali, catari) in attesa di essere interrogati dall'Inquisizione. O
nel 1325 a Carcassonne dove 82 b. vennero processati semplicemente
per manifestazioni di devozione sulla tomba del capo degli spirituali
francesi, Pietro di Giovanni Olivi.
La dottrina La stragrande
maggioranza delle b. e dei begardi era cattolica ortodossa, e tutt'altro che
eretica, tuttavia fu la vicinanza e la frequentazione dei Francescani
spirituali e dei Fratelli del libero spirito (delle cui dottrine venne
accusata Margherita la Porète), che permise agli inquirenti di fare di tutte
le erbe un fascio e processare anche gli aderenti al movimento
b., soprattutto i begardi. Giovanni XXII cercò di distinguere in b. buoni
e cattivi, tracciando una linea immaginaria tra i "cattivi", che stavano in
Italia e in Francia meridionale (Provenza e Linguadoca) e i "buoni" che
stavano in Germania, Paesi Bassi e Francia settentrionale, ma questa
classificazione era alquanto semplicistica. Oltretutto, durante il periodo
di persecuzioni, era sufficiente che il b., a cui venisse ordinato di
ritirarsi in clausura in un ordine religioso "approvato", si opponesse alla
questa decisione per essere automaticamente considerato eretico. Infine il
linguaggio, volutamente provocatorio, di alcuni scritti, come quelli di
Margherita la Porète fu strumentalmente interpretato dagli inquisitori come
dichiarazioni di antinomismo. ----- Algerio (o Algeri), Pomponio
(1531-1556)
Pomponio Algerio (o Algeri) nacque a Nola nel 1531 e
studiò all'Università di Padova diritto civile con il professor Matteo
Gribaldi Mofa: ma, a causa della fuga di quest'ultimo a Ginevra nel 1552,
l'Inquisizione mise sotto indagine i suoi allievi per sospette simpatie
protestanti. In particolare A. fu arrestato nel maggio 1555 e interrogato
ripetutamente per accertare l'ortodossia della sua fede. Pur non citando
direttamente Lutero e Calvino, egli fece comunque riferimento alla loro
dottrina (sola fide, negazione del culto dei santi e del purgatorio,
della transustanziazione durante l'Eucaristia, dell'autorità della chiesa
di Roma). I giudici di Padova non vollero condannare immediatamente il
giovane, ma lo tennero in carcere con la speranza di farlo abiurare, tuttavia
egli rimase saldo nella sua fede e ciò venne testimoniato da una lettera che
egli riuscì a far pervenire, il 21 luglio 1555, dal carcere ai suoi
confratelli. L'Inquisizione romana tuttavia riuscì nel suo intento di fare
estradare l'A. a Roma, dove dal aprile al giugno 1556, si concluse il suo
processo con un terribile epilogo finale: la condanna ad essere bruciato vivo
a fuoco lento in una caldaia piena di olio, pece e trementina. La relativa
sentenza venne eseguita in Piazza Navona il 19 agosto dello stesso
anno. ----- Algerio (o Algeri), Pomponio
(1531-1556)
Pomponio Algerio (o Algeri) nacque a Nola nel 1531 e
studiò all'Università di Padova diritto civile con il professor Matteo
Gribaldi Mofa: ma, a causa della fuga di quest'ultimo a Ginevra nel 1552,
l'Inquisizione mise sotto indagine i suoi allievi per sospette simpatie
protestanti. In particolare A. fu arrestato nel maggio 1555 e interrogato
ripetutamente per accertare l'ortodossia della sua fede. Pur non citando
direttamente Lutero e Calvino, egli fece comunque riferimento alla loro
dottrina (sola fide, negazione del culto dei santi e del purgatorio,
della transustanziazione durante l'Eucaristia, dell'autorità della chiesa
di Roma). I giudici di Padova non vollero condannare immediatamente il
giovane, ma lo tennero in carcere con la speranza di farlo abiurare, tuttavia
egli rimase saldo nella sua fede e ciò venne testimoniato da una lettera che
egli riuscì a far pervenire, il 21 luglio 1555, dal carcere ai suoi
confratelli. L'Inquisizione romana tuttavia riuscì nel suo intento di fare
estradare l'A. a Roma, dove dal aprile al giugno 1556, si concluse il suo
processo con un terribile epilogo finale: la condanna ad essere bruciato vivo
a fuoco lento in una caldaia piena di olio, pece e trementina. La relativa
sentenza venne eseguita in Piazza Navona il 19 agosto dello stesso
anno. ----- Amaury (Amalrico) di Bène (o Bennes) (m. ca. 1207) e
amalriciani
La vita ed il movimento amalriciano Amaury di
Bène, filosofo e teologo francese, insegnò all'Università di Parigi alla fine
del XII secolo. Si sa molto poco della sua vita, se non che nel 1205, A. fu
scomunicato da Papa Innocenzo III (1198-1216) e costretto ad
una pubblica
abiura per le sue idee eterodosse. Tuttavia, solo dopo la morte (forse per
avvelenamento) di A. nel 1207 ca., le idee dei suoi seguaci, detti
amalriciani, vennero perseguitate più sistematicamente da parte della Chiesa.
Alcuni autori tendono a far coincidere questo gruppo di eretici con un
movimento di più vaste proporzioni, denominato Fratelli del Libero Spirito,
fondato nella seconda metà del XII secolo e che prendeva ispirazione dagli
scritti di Gioacchino da Fiore. Gli amalriciani e i Fratelli del Libero
Spirito probabilmente influenzarono, a loro volta, il movimento dei Begardi e
delle Beghine. I fondatori del movimento amalriciano erano A. stesso e un
certo Guglielmo Alifax. Quest'ultimo fu arrestato nel 1210 assieme a 13 altri
prelati, in seguito alla denuncia di una spia, tale Mastro Rodolfo, mandata
dal vescovo di Parigi, Odo Sully (noto, fra l'altro, per aver proibito il
gioco degli scacchi al clero nel 1208). I sospettati furono processati
durante un sinodo a Parigi, durante il quale 3 di essi abiurarono, mentre gli
altri, compreso Guglielmo, furono bruciati sul rogo. Stessa fine fecero
gli scritti di A., mentre la sua salma fu riesumata e i resti vennero
dispersi. Nel 1215 al IV Concilio Lateranense, le teorie degli amalriciani
furono definitivamente condannate come eretiche.
La
dottrina A., come anche Davide di Dinant, insegnava un credo di tipo
panteistico e neoplatonico, che prendeva ispirazione direttamente da Giovanni
Scoto Eriugena: in particolare essi credevano che Dio fosse compreso in tutte
le cose: Egli era, cioè, l'essenza di tutto ciò che esisteva. Nel 1225 al
Concilio di Sens, convocato da Papa Onorio III (1216-1227), l'ennesima
condanna degli amalriciani coinvolse gli scritti di Scoto Eriugena: in
particolare il suo libro, il De divisione naturae fu bruciato e Scoto stesso
condannato postumo, ben 300 anni dopo la sua morte. Gli amalriciani
mischiarono poi le teorie di Gioacchino da Fiore con quelle del loro
caposcuola, proclamando che l'era dello Spirito Santo, profetizzata dal
mistico calabrese, era già iniziata e che quindi, poiché Dio era compreso in
ogni cosa, una volta raggiunta la conoscenza di Dio e diventati un tutt'uno
con Lui, non era più possibile peccare. Conseguentemente non era neanche
necessario seguire precetti morali o ecclesiastici di qualsiasi tipo. Fu
facile, quindi, ai loro avversari cattolici di accusare gli amalriciani di
perversioni sessuali sfrenate e crimini di ogni genere, sicuri che esistesse
più neppure il concetto di peccato. ----- Amaury (Amalrico) di Bène (o
Bennes) (m. ca. 1207) e amalriciani
La vita ed il movimento
amalriciano Amaury di Bène, filosofo e teologo francese, insegnò
all'Università di Parigi alla fine del XII secolo. Si sa molto poco della sua
vita, se non che nel 1205, A. fu scomunicato da Papa Innocenzo III
(1198-1216) e costretto ad una pubblica abiura per le sue idee
eterodosse. Tuttavia, solo dopo la morte (forse per avvelenamento) di A. nel
1207 ca., le idee dei suoi seguaci, detti amalriciani, vennero perseguitate
più sistematicamente da parte della Chiesa. Alcuni autori tendono a
far coincidere questo gruppo di eretici con un movimento di più
vaste proporzioni, denominato Fratelli del Libero Spirito, fondato nella
seconda metà del XII secolo e che prendeva ispirazione dagli scritti di
Gioacchino da Fiore. Gli amalriciani e i Fratelli del Libero Spirito
probabilmente influenzarono, a loro volta, il movimento dei Begardi e delle
Beghine. I fondatori del movimento amalriciano erano A. stesso e un certo
Guglielmo Alifax. Quest'ultimo fu arrestato nel 1210 assieme a 13 altri
prelati, in seguito alla denuncia di una spia, tale Mastro Rodolfo, mandata
dal vescovo di Parigi, Odo Sully (noto, fra l'altro, per aver proibito il
gioco degli scacchi al clero nel 1208). I sospettati furono processati
durante un sinodo a Parigi, durante il quale 3 di essi abiurarono, mentre gli
altri, compreso Guglielmo, furono bruciati sul rogo. Stessa fine fecero
gli scritti di A., mentre la sua salma fu riesumata e i resti vennero
dispersi. Nel 1215 al IV Concilio Lateranense, le teorie degli amalriciani
furono definitivamente condannate come eretiche.
La
dottrina A., come anche Davide di Dinant, insegnava un credo di tipo
panteistico e neoplatonico, che prendeva ispirazione direttamente da Giovanni
Scoto Eriugena: in particolare essi credevano che Dio fosse compreso in tutte
le cose: Egli era, cioè, l'essenza di tutto ciò che esisteva. Nel 1225 al
Concilio di Sens, convocato da Papa Onorio III (1216-1227), l'ennesima
condanna degli amalriciani coinvolse gli scritti di Scoto Eriugena: in
particolare il suo libro, il De divisione naturae fu bruciato e Scoto stesso
condannato postumo, ben 300 anni dopo la sua morte. Gli amalriciani
mischiarono poi le teorie di Gioacchino da Fiore con quelle del loro
caposcuola, proclamando che l'era dello Spirito Santo, profetizzata dal
mistico calabrese, era già iniziata e che quindi, poiché Dio era compreso in
ogni cosa, una volta raggiunta la conoscenza di Dio e diventati un tutt'uno
con Lui, non era più possibile peccare. Conseguentemente non era neanche
necessario seguire precetti morali o ecclesiastici di qualsiasi tipo. Fu
facile, quindi, ai loro avversari cattolici di accusare gli amalriciani di
perversioni sessuali sfrenate e crimini di ogni genere, sicuri che esistesse
più neppure il concetto di peccato. ----- Altieri d'Aquila, Baldassarre
(ca. 1500-ca. 1550)
Baldassarre Altieri d'Aquila, nato, per
l'appunto, all'Aquila nel 1500 circa, ricoprì, negli anni '40 del XVI secolo,
il ruolo di segretario dell'ambasciatore inglese a Venezia sir Edmond
Harwel. Dopo essersi convertito alla Riforma, il 26 novembre 1542 A. decise
di scrivere una lettera a Martin Lutero, a nome dei fratelli di
Venezia, Treviso e Vicenza per informare il riformatore tedesco sulla
diffusione della Riforma in Italia e delle difficoltà organizzative dei primi
gruppi evangelici, e per chiedere un intervento dei principi protestanti
della Lega di Smalcalda presso il senato della Serenissima a favore dei
prigionieri veneziani detenuti per motivi religiosi, soprattutto Baldo
Lupetino. Questa fu comunque solo la prima di una lunga serie di lettere
inviate dall'attivo aquilano a famosi personaggi del mondo della Riforma,
come Martin Butzer e Johann Heinrich Bullinger, a favore dei
confratelli perseguitati in Italia. Per esempio, poco dopo la lettera a
Lutero, A. inviò una lettera di ringraziamento alle autorità di Ginevra per
aver accolto gli esuli religiosi italiani. Per quanto riguarda la sua
corrispondenza con Lutero, nonostante una lettera di incoraggiamento di
quest'ultimo, A. dovette sollecitarlo nuovamente a influenzare un intervento
diplomatico a favore di Lupetino e degli altri reclusi. Questa volta Lutero
gli rispose, comunicando di aver incaricato Mattia Flacio Illirico di tentare
di salvare Lupetino, zio materno dello stesso Flacio. Nell'estate 1543
Flacio si mosse da Wittenberg per venire in soccorso dello zio, munito di un
appello alla clemenza (per Baldo Lupetino, uomo dotato di singolare pietà e
dottrina), indirizzato al doge Pietro Lando (1539-1545), da parte del
principe elettore di Sassonia, Giovanni Federico (1532-1547) e dei principi
luterani della Lega Smalcaldica. Tuttavia gli sforzi di Flacio per liberare
Lupetino furono inutili: nell'agosto 1543 il riformatore istriano fu multato
di cinquecento ducati e condannato all'ergastolo e, dopo quasi 14 anni di
detenzione, il 17 settembre 1556, fu condannato a morte per annegamento dal
governo delle Serenissima. Gli sforzi di A. furono comunque apprezzate da
parte di Giovanni Federico di Sassonia e del langravio Filippo d'Assia
(1504-1567), che lo presero al loro servizio, e nella dieta di Spira
(febbraio 1544) egli fu ufficialmente nominato rappresentante dei principi
protestanti. Tuttavia, dopo la sconfitta dei protestanti della lega
Smalcaldica nella battaglia di Muhlberg il 24 aprile 1547, A. ritenne saggio
emigrare in Valtellina, dove conobbe il pastore Agostino Mainardi: questi gli
diede una lettera di presentazione per il governo della città di Zurigo, dal
quale governo A. nel 1548 tentò inutilmente di farsi nominare ambasciatore
della città stessa presso la repubblica di Venezia. Con un simile esito
negativo fu il suo tentativo, attraverso l'intermediazione di Pietro
Carnesecchi, di entrare al servizio di Cosimo I de Medici (duca di Firenze:
1537-1569 e granduca di Toscana: 1569-1574). A. morì a Bergamo (o, secondo
altri, a Ferrara) nel o dopo l'agosto del 1550, ma alcuni fonti affermano che
egli finì i suoi giorni invece nelle carceri dell'Inquisizione nel 1548,
fatto improbabile in quanto una sua lettera a Bullinger del 3 agosto 1550
(nella quale, tra l'altro, definì Camillo Renato anabaptistarum patronus,
cioè protettore degli anabattisti), sposta, come minimo, la data della sua
morte dopo l'agosto 1550. ----- Illuminati (Alumbrados) (XVI
secolo)
Per illuminati si intendono entusiasti religiosi, anche
molto diversi tra loro, che affermano di comunicare ad un più alto livello
spirituale, cioè direttamente con Dio. Questo termine è ricorso almeno
cinque volte nella storia del pensiero umano in riferimento a: Il gruppo
spagnolo degli Alumbrados, di cui qui si tratta. I Rosacroce (XVII
secolo). Un movimento francese, presente nel sud del paese a partire dal
1722, affine a quello dei profeti francesi ugonotti. Una società segreta
pseudo-massonica, di ispirazione utopistica e rivoluzionaria, fondata nel
1778 dall'ex gesuita e professore di diritto canonico all'università di
Ingolstadt, Adam Weishaupt. La setta ebbe un notevole successo all'epoca (vi
aderì anche Goethe), ma fu sciolta, sotto l'accusa di ordire un complotto
eversivo, per ordine del governo bavarese nel 1785. Un altro nome degli
aderenti alla corrente mistica massonica dei Martinisti, fondata dal nobile
Louis Claude de Saint Martin (1743-1803) come variante di una precedente
società massonica, istituita da Jacques de la Case Martinez de Pasqually
(n.1727), le cui idee vanno sotto il nome di martinesismo.
Gli
Alumbrados Intorno al 1492, si manifestò in Spagna un gruppo spontaneo, di
probabile origine gnostica, denominato degli Alumbrados (illuminati in
spagnolo), che, secondo alcuni autori, si era formato da non meglio precisate
influenze provenienti dall'Italia. Secondo una leggenda, il gruppo era stato
formato, all'inizio del XIV secolo, da templari in fuga dalle persecuzioni
del re francese Filippo il Bello (1285-1314). Il movimento era formato da
uomini, ma soprattutto da donne, che mostravano la loro "illuminazione dello
Spirito Santo" mediante fenomeni di trance, estasi, visioni mistiche e
levitazioni ed era intriso di un forte antinomismo: le leggi del
Cristianesimo non erano più valide per chi aveva ottenuto il perfetto stato
di grazia attraverso le illuminazioni. Un movimento quindi molto pericoloso
sorto nel momento sbagliato in un paese, la Spagna, ancora alla ricerca di
una sua stabilità nazionale, dopo la conquista del regno di Granada nel 1492.
Infatti la successiva espulsione o conversione forzata degli arabi e la vasta
popolazione ebrea, sempre accusata di pratiche cripto-giudaiche, anche dopo
la sua conversione al Cristianesimo, anche essa obbligata, pena l'esilio,
creavano uno stato permanente di tensioni ed allarmismi esagerati nei
confronti di qualsiasi fenomeno eterodosso. Il primo leader riconosciuto
del gruppo fu una donna di Salamanca, nota come La Beata de Piedrahita, la
quale affermava di colloquiare direttamente con Dio e la Madonna, e per
questo nel 1511 fu messo sotto inchiesta da parte dell'Inquisizione spagnola,
ma non fu condannata, pare, grazie alle protezioni in alto loco. Anche i
futuri santi Giovanni d'Avila (1500-1569) e Ignazio da Loyola
(ca. 1491-1556), quest'ultimo durante i suoi studi nel 1527 all'università
di Salamanca, furono ammoniti per le loro simpatie verso gli a. Il caso
più noto fu quello del 1529 a Toledo, dove un gruppo di aderenti, con a capo
una tale Isabel de la Cruz, fu condannato alla fustigazione e alla prigione
ed in seguito molte persone in Spagna, soprattutto a Cordoba, vennero
giustiziate con l'accusa (spesso generica) di essere degli aderenti al
movimento. Per esempio, nel 1546 venne processata a Cordoba una
suora dell'ordine delle Povere Clarisse, di nome Magdalena de la Cruz, che se
la cavò dall'accusa di eresia con una solenne e pubblica abiura. Un altro
predicatore a. fu Pedro Ruiz de Alcaraz, che esponendo le sue dottrine ad
Escalona, nel palazzo del marchese di Villena, influenzò in maniera decisiva
il pensiero di un giovane Juan de Valdés. Tuttavia, nonostante l'azione
spietata dell'Inquisizione, il movimento non fu totalmente estirpato e in
seguito alcune sue idee confluirono nel pensiero quietista sviluppato nel
1675 da Miguel de Molinos. Il movimento ebbe anche un'effimera vita in
Francia, soprattutto dal 1623 in Piccardia, dove si fuse nel 1634 con il
gruppo dei Guérinets del curato di Saint-George de Roye, Pierce Guérin, ma
l'avventura terminò con la soppressione ordinata nel
1635. ----- Cocceius (Coch o Koch o Koken), Johannes
(1603-1669)
La vita Il teologo calvinista Johannes Cocceius
(nome umanistico di Johannes Coch o Koch o Koken) nacque il 9 agosto (o forse
il 30 luglio) 1603 a Brema, in Germania. Il padre, Timann Coch, era
segretario comunale e allevò il figlio in un clima severo tipico da famiglia
riformata (Brema era una delle poche città tedesche non a maggioranza
luterana). C. venne avviato allo studio della teologia, ma mostrò anche una
notevole attitudine per le lingue, imparando il greco, l'ebraico, il caldeo e
l'arabo (per esercitarsi su quest'ultima lingua, C. lesse tutto il
Corano). Nel 1625 C. si recò ad Amburgo per approfondire i suoi studi di
greco e di dottrina rabbinica, ma nel 1629, disgustato della vita licenziosa
degli universitari tedeschi, decise di andare in Olanda, all'università
di Franeker, per studiare con il teologo calvinista inglese William
Ames (1576-1633) e con l'orientalista Sixtinus Amana, che lo esortò a
pubblicare studi sul Talmud. L'anno successivo (1630) C. divenne
professore di filologia biblica al Gymnasium illustre di Brema, dove insegnò
per sei anni, ma nel 1636 egli ritornò a Franeker, per accettare l'incarico
di docente di lingua ebraica e, grazie ai suoi commentari sulla figura
dell'Anticristo e sulla lettera di San Paolo agli Efesini, di teologia dal
1643 al 1650. C. è noto in questo periodo per la feroce polemica sviluppata
con il teologo calvinista ortodosso Gisbertus Voetius, non solo perché C.
aveva preso le difese del famosissimo Cartesio (René Descartes, 1596-1650),
residente in Olanda dal 1629 e difensore della tolleranza religiosa e dei
diritti dell'uomo, ma soprattutto perché aveva osato criticare Voetius e i
suoi seguaci di essere troppo scolastici. La polemica tra Voetius e C.
continuò per tutta la loro vita, influenzando pesantemente la vita accademica
olandese dell'epoca: si arrivò a tal punto che nei vari atenei il numero di
voetiani e di cocceiani veniva rigorosamente mantenuto uguale pur di non
favorire nessuna fazione. Nel 1650, dopo la morte del titolare Friedrich
Spanheim (1600-1649), C. accettò il ruolo di professore di teologia
all'università di Leida e mantenne questa posizione fino alla morte avvenuta
il 14 novembre 1669 per un attacco febbrile.
Il pensiero Il
punto centrale del pensiero di C., espresso nelle opere Summa doctrinae de
Foedere et Testamento Dei (1648) e Summa teologiae ex sacris
Scripturis repetita (1662), era il Patto biblico della Legge stipulato tra
Dio e l'uomo prima della Caduta. Esso fu sostituito in seguito con il
Patto della Grazia, per onorare il quale era necessaria la Venuta di Cristo
ed infatti, il Vecchio Testamento era pieno, secondo C., di riferimenti a
Cristo. Inoltre, dall'alto della sua immensa cultura biblica, C. aveva
scritto un'esegesi biblica, più personale e pratica delle
interminabili elucubrazioni mentali dei teologi "sistematici" della scuola di
Voetius, e che tenesse conto del vero (secondo lui) significato del testo
sacro. Le Sacre Scritture infatti venivano man mano elaborate dai vari
sconosciuti redattori di allora per i popoli loro contemporanei sulla base
del loro livello di comprensione del messaggio divino (una sorta di
rivelazione progressiva). Tuttavia nella disamina di C. il messaggio del
Nuovo Testamento diventava decisamente diverso dal Vecchio Testamento ed
alcune cose del Vecchio, come ad esempio l'osservanza del giorno di riposo
(Sabbath), non erano considerate più valide e proprio quest'ultima
osservazione fu il casus belli per lo scatenamento della polemica con
Voetius. ----- Amaury (Amalrico) di Bène (o Bennes) (m. ca. 1207) e
amalriciani
La vita ed il movimento amalriciano Amaury di
Bène, filosofo e teologo francese, insegnò all'Università di Parigi alla fine
del XII secolo. Si sa molto poco della sua vita, se non che nel 1205, A. fu
scomunicato da Papa Innocenzo III (1198-1216) e costretto ad una pubblica
abiura per le sue idee eterodosse. Tuttavia, solo dopo la morte (forse per
avvelenamento) di A. nel 1207 ca., le idee dei suoi seguaci, detti
amalriciani, vennero perseguitate più sistematicamente da parte della Chiesa.
Alcuni autori tendono a far coincidere questo gruppo di eretici con un
movimento di più vaste proporzioni, denominato Fratelli del Libero Spirito,
fondato nella seconda metà del XII secolo e che prendeva ispirazione dagli
scritti di Gioacchino da Fiore. Gli amalriciani e i Fratelli del Libero
Spirito probabilmente influenzarono, a loro volta, il movimento dei Begardi e
delle Beghine. I fondatori del movimento amalriciano erano A. stesso e un
certo Guglielmo Alifax. Quest'ultimo fu arrestato nel 1210 assieme a 13 altri
prelati, in seguito alla denuncia di una spia, tale Mastro Rodolfo, mandata
dal vescovo di Parigi, Odo Sully (noto, fra l'altro, per aver proibito il
gioco degli scacchi al clero nel 1208). I sospettati furono processati
durante un sinodo a Parigi, durante il quale 3 di essi abiurarono, mentre gli
altri, compreso Guglielmo, furono bruciati sul rogo. Stessa fine fecero
gli scritti di A., mentre la sua salma fu riesumata e i resti vennero
dispersi. Nel 1215 al IV Concilio Lateranense, le teorie degli amalriciani
furono definitivamente condannate come eretiche.
La
dottrina A., come anche Davide di Dinant, insegnava un credo di tipo
panteistico e neoplatonico, che prendeva ispirazione direttamente da Giovanni
Scoto Eriugena: in particolare essi credevano che Dio fosse compreso in tutte
le cose: Egli era, cioè, l'essenza di tutto ciò che esisteva. Nel 1225 al
Concilio di Sens, convocato da Papa Onorio III (1216-1227), l'ennesima
condanna degli amalriciani coinvolse gli scritti di Scoto Eriugena: in
particolare il suo libro, il De divisione naturae fu bruciato e Scoto stesso
condannato postumo, ben 300 anni dopo la sua morte. Gli amalriciani
mischiarono poi le teorie di Gioacchino da Fiore con quelle del loro
caposcuola, proclamando che l'era dello Spirito Santo, profetizzata dal
mistico calabrese, era già iniziata e che quindi, poiché Dio era compreso in
ogni cosa, una volta raggiunta la conoscenza di Dio e diventati un tutt'uno
con Lui, non era più possibile peccare. Conseguentemente non era neanche
necessario seguire precetti morali o ecclesiastici di qualsiasi tipo. Fu
facile, quindi, ai loro avversari cattolici di accusare gli amalriciani di
perversioni sessuali sfrenate e crimini di ogni genere, sicuri che esistesse
più neppure il concetto di peccato. ----- Amaury (Amalrico) di Bène (o
Bennes) (m. ca. 1207) e amalriciani
La vita ed il movimento
amalriciano Amaury di Bène, filosofo e teologo francese, insegnò
all'Università di Parigi alla fine del XII secolo. Si sa molto poco della sua
vita, se non che nel 1205, A. fu scomunicato da Papa Innocenzo III
(1198-1216) e costretto ad una pubblica abiura per le sue idee
eterodosse. Tuttavia, solo dopo la morte (forse per avvelenamento) di A. nel
1207 ca., le idee dei suoi seguaci, detti amalriciani, vennero perseguitate
più sistematicamente da parte della Chiesa. Alcuni autori tendono a
far coincidere questo gruppo di eretici con un movimento di più
vaste proporzioni, denominato Fratelli del Libero Spirito, fondato nella
seconda metà del XII secolo e che prendeva ispirazione dagli scritti di
Gioacchino da Fiore. Gli amalriciani e i Fratelli del Libero Spirito
probabilmente influenzarono, a loro volta, il movimento dei Begardi e delle
Beghine. I fondatori del movimento amalriciano erano A. stesso e un certo
Guglielmo Alifax. Quest'ultimo fu arrestato nel 1210 assieme a 13 altri
prelati, in seguito alla denuncia di una spia, tale Mastro Rodolfo, mandata
dal vescovo di Parigi, Odo Sully (noto, fra l'altro, per aver proibito il
gioco degli scacchi al clero nel 1208). I sospettati furono processati
durante un sinodo a Parigi, durante il quale 3 di essi abiurarono, mentre gli
altri, compreso Guglielmo, furono bruciati sul rogo. Stessa fine fecero
gli scritti di A., mentre la sua salma fu riesumata e i resti vennero
dispersi. Nel 1215 al IV Concilio Lateranense, le teorie degli amalriciani
furono definitivamente condannate come eretiche.
La
dottrina A., come anche Davide di Dinant, insegnava un credo di tipo
panteistico e neoplatonico, che prendeva ispirazione direttamente da Giovanni
Scoto Eriugena: in particolare essi credevano che Dio fosse compreso in tutte
le cose: Egli era, cioè, l'essenza di tutto ciò che esisteva. Nel 1225 al
Concilio di Sens, convocato da Papa Onorio III (1216-1227), l'ennesima
condanna degli amalriciani coinvolse gli scritti di Scoto Eriugena: in
particolare il suo libro, il De divisione naturae fu bruciato e Scoto stesso
condannato postumo, ben 300 anni dopo la sua morte. Gli amalriciani
mischiarono poi le teorie di Gioacchino da Fiore con quelle del loro
caposcuola, proclamando che l'era dello Spirito Santo, profetizzata dal
mistico calabrese, era già iniziata e che quindi, poiché Dio era compreso in
ogni cosa, una volta raggiunta la conoscenza di Dio e diventati un tutt'uno
con Lui, non era più possibile peccare. Conseguentemente non era neanche
necessario seguire precetti morali o ecclesiastici di qualsiasi tipo. Fu
facile, quindi, ai loro avversari cattolici di accusare gli amalriciani di
perversioni sessuali sfrenate e crimini di ogni genere, sicuri che esistesse
più neppure il concetto di peccato. ----- Cavalli, Ambrogio (o Ambrogio
da Milano) (ca. 1500-1556)
Predicatore agostiniano milanese (da
cui l'altro nome di Ambrogio da Milano), che come molti suoi confratelli
(vedi Agostino Mainardi, Giulio Della Rovere, Giuliano Brigantino, Andrea
Ghetti da Volterra), subì il fascino delle dottrine luterane. Già nel
1537, il C. destò i primi sospetti a causa di alcune sue prediche, ispirate
dai suoi studi di approfondimento, compiuti con Ortensio Lando e Giulio Della
Rovere, del pensiero di Erasmo da Rotterdam. Nel 1540, C., priore del
convento agostiniano di S. Marco a Bologna, si dimise, assieme a Giulio Della
Rovere, per contrasti con il padre generale dell'ordine: venne trasferito a
Limassol (Cipro), dove, qualche anno dopo, nel 1544, venne formalmente messo
sotto accusa, a causa di una predica quaresimale di ispirazione luterana
nella chiesa di Santa Sofia a Nicosia: fu prosciolto in seguito ad abiura
pubblica, eseguita il 31 marzo 1545 nella chiesa veneziana di Santa Maria
Formosa . Nonostante ciò C. si recò, nel periodo 1547-1554, a Ferrara e vi
rimase come elemosiniere e predicatore alla corte della duchessa Renata
d'Este, nota protettrice di riformisti. Ma, quando nel marzo 1554, il duca
Ercole II (1534-1559) chiese la presenza delle figlie alla messa pasquale, la
reazione negativa della moglie, ormai convinta assertrice delle idee
calviniste, scatenò la reazione del duca contro i predicatori riformati e C.
pensò bene di fuggire in Svizzera, nei Grigioni e poi a Ginevra. Da qui
commise l'errore di rientrare in Italia, forse per prendere contatto con la
duchessa Renata su ordine di Calvino, ma venne arrestato dall'Inquisizione,
torturato, processato e condannato. Egli tentò inutilmente, nei suoi
interrogatori dell'ottobre 1555, di convincere l'Inquisizione dell'ortodossia
della sua fede, proponendo anche che, per estirpare gli eretici dall'Italia,
il Papa dovesse far pubblicare una bolla "che ad ognuno perdoneria
liberamente ravedendosi però delli suoi errori". Venne impiccato e arso sul
rogo a Roma il 15 giugno 1556. Dichiarò di morire "per la Gloria di
Dio". ----- Amelio de Perles (perfetto cataro) (inizio XIV
secolo)
Amelio de Perles, un "perfetto" francese, apprese la
dottrina catara, recandosi in Lombardia alla fine del XIII secolo, assieme ai
fratelli Authier e a Pradas Tavernier. La Lombardia, infatti, era
diventata il centro di riferimento per il catarismo, dopo le violenti
repressioni nel sud della Francia degli anni 1209-1244. A. fece, quindi,
parte di quel revival del catarismo dell'inizio del XIV secolo, moralmente
meno rigoroso del movimento ai suoi inizi e caratterizzato da un maggior
impiego dell'endura, il suicidio volontario per digiuno compiuto spesso
quando la scarsità di "perfetti" poteva rendere impossibile una seconda
cerimonia di Consolament, se fosse stata necessaria. ----- Cocceius (Coch
o Koch o Koken), Johannes (1603-1669)
La vita Il teologo
calvinista Johannes Cocceius (nome umanistico di Johannes Coch o Koch o
Koken) nacque il 9 agosto (o forse il 30 luglio) 1603 a Brema, in Germania.
Il padre, Timann Coch, era segretario comunale e allevò il figlio in un clima
severo tipico da famiglia riformata (Brema era una delle poche città tedesche
non a maggioranza luterana). C. venne avviato allo studio della teologia, ma
mostrò anche una notevole attitudine per le lingue, imparando il greco,
l'ebraico, il caldeo e l'arabo (per esercitarsi su quest'ultima lingua, C.
lesse tutto il Corano). Nel 1625 C. si recò ad Amburgo per approfondire i
suoi studi di greco e di dottrina rabbinica, ma nel 1629, disgustato della
vita licenziosa degli universitari tedeschi, decise di andare in Olanda,
all'università di Franeker, per studiare con il teologo calvinista inglese
William Ames (1576-1633) e con l'orientalista Sixtinus Amana, che lo esortò a
pubblicare studi sul Talmud. L'anno successivo (1630) C. divenne
professore di filologia biblica al Gymnasium illustre di Brema, dove insegnò
per sei anni, ma nel 1636 egli ritornò a Franeker, per accettare l'incarico
di docente di lingua ebraica e, grazie ai suoi commentari sulla figura
dell'Anticristo e sulla lettera di San Paolo agli Efesini, di teologia dal
1643 al 1650. C. è noto in questo periodo per la feroce polemica sviluppata
con il teologo calvinista ortodosso Gisbertus Voetius, non solo perché C.
aveva preso le difese del famosissimo Cartesio (René Descartes, 1596-1650),
residente in Olanda dal 1629 e difensore della tolleranza religiosa e dei
diritti dell'uomo, ma soprattutto perché aveva osato criticare Voetius e i
suoi seguaci di essere troppo scolastici. La polemica tra Voetius e C.
continuò per tutta la loro vita, influenzando pesantemente la vita accademica
olandese dell'epoca: si arrivò a tal punto che nei vari atenei il numero di
voetiani e di cocceiani veniva rigorosamente mantenuto uguale pur di non
favorire nessuna fazione. Nel 1650, dopo la morte del titolare Friedrich
Spanheim (1600-1649), C. accettò il ruolo di professore di teologia
all'università di Leida e mantenne questa posizione fino alla morte avvenuta
il 14 novembre 1669 per un attacco febbrile.
Il pensiero Il
punto centrale del pensiero di C., espresso nelle opere Summa doctrinae de
Foedere et Testamento Dei (1648) e Summa teologiae ex sacris
Scripturis repetita (1662), era il Patto biblico della Legge stipulato tra
Dio e l'uomo prima della Caduta. Esso fu sostituito in seguito con il
Patto della Grazia, per onorare il quale era necessaria la Venuta di Cristo
ed infatti, il Vecchio Testamento era pieno, secondo C., di riferimenti a
Cristo. Inoltre, dall'alto della sua immensa cultura biblica, C. aveva
scritto un'esegesi biblica, più personale e pratica delle
interminabili elucubrazioni mentali dei teologi "sistematici" della scuola di
Voetius, e che tenesse conto del vero (secondo lui) significato del testo
sacro. Le Sacre Scritture infatti venivano man mano elaborate dai vari
sconosciuti redattori di allora per i popoli loro contemporanei sulla base
del loro livello di comprensione del messaggio divino (una sorta di
rivelazione progressiva). Tuttavia nella disamina di C. il messaggio del
Nuovo Testamento diventava decisamente diverso dal Vecchio Testamento ed
alcune cose del Vecchio, come ad esempio l'osservanza del giorno di riposo
(Sabbath), non erano considerate più valide e proprio quest'ultima
osservazione fu il casus belli per lo scatenamento della polemica con
Voetius. ----- Fox (Foxe), George (1624-1691) e quaccheri o Società degli
amici o Amici della Verità o Figli della Luce
La
vita George Fox (o Foxe), il fondatore del movimento dei quaccheri, nacque
a Drayton-in-the-Clay (oggigiorno Fenny Drayton), nella contea inglese
del Leicestershire, nel luglio 1624 da una famiglia puritana di tessitori. In
un primo momento i genitori avevano deciso una carriera di pastore
religioso per il figlio, ma questi, che dimostrò precocemente una notevole
repulsione per il "clero mercenario", fu poi avviato all'apprendistato come
calzolaio. Un giorno, nel 1643, F., ormai diventato un giovane di 19 anni,
(fin troppo) serio e onesto, fu scioccato dalla proposta di una bevuta in
compagnia, fatta da due amici puritani: abbandonò quindi la casa paterna
senza un soldo in tasca e con la sola compagnia di una Bibbia, per iniziare
una ricerca mistica per la sua illuminazione spirituale. Dapprima, come un
vero seeker, egli vagò cercando di chiarire i suoi dubbi e confrontandosi con
gli insegnamenti della Chiesa Anglicana e delle innumerevoli
sette, prevalentemente di dottrina calvinista, che costellavano la
galassia protestante inglese dell'epoca. Ma non ebbe le risposte cercate, in
quanto il calvinismo predicava che solo gli eletti erano predestinati alla
salvezza eterna, il che, secondo la sua forma antinomiana più estrema,
implicava che il comportamento morale era irrilevante a questo scopo e F. non
poteva certo accettare una separazione tra religione e moralità: per lui
bisognava moralmente impegnarsi per ottenere la sconfitta del peccato. Nel
1646 F. ebbe una illuminazione: la pace non deriva dalla lettura delle Sacre
Scritture, ma da una luce interna, una scintilla divina che ogni uomo porta
in sé (Dio è in ogni uomo) e che deve sviluppare ed espandere.
Questo pensiero portò anche al convincimento dell'inutilità di una
struttura ecclesiastica formale e di un clero educato all'uopo. Dal 1647
F. iniziò a predicare nel centro-nord dell'Inghilterra e ben presto fu
perseguitato: imprigionato a Nottingham, messo alla gogna e quasi lapidato a
Mansfield, imprigionato per sei mesi con l'accusa di blasfemia a Derby.
Proprio in quest'ultima città il giudice Gervase Bennet
chiamò spregiativamente F. e i suoi seguaci con l'appellativo, diventato poi
molto diffuso, di quaccheri, dall'inglese to quaker = tremare, in quanto
essi tremavano in presenza dello Spirito di Dio. F. e i suoi preferirono
chiamarsi invece Gente di Dio o Amici della Verità o Figli della Luce. In
seguito la denominazione ufficiale della setta sarebbe diventata Società
degli Amici. Tra il 1649 ed il 1675 F. fu imprigionato per ben otto volte, ma
questo non gli impedì di diffondere rapidamente le sue dottrine, soprattutto
nel nordovest dell'Inghilterra, nelle contee del Lancashire, West Yorkshire
e Cumberland. Qui nel 1652 F. vinse alla sua causa diversi seekers, battisti
e puritani e soprattutto conobbe a Swarthmoor Hall, il primo protettore
(di una certa influenza) della setta, il giudice puritano Thomas Fell e
sua moglie Margaret (1614-1702). Quest'ultima, alla morte del marito nel
1669, sarebbe diventata la moglie di F. e una mirabile
organizzatrice dell'amministrazione centrale del movimento. Nella seconda
metà degli anni '50 i quaccheri si diffusero anche a Londra e nel sud del
paese fino a raggiungere la cifra stimata di 60.000 convertiti entro il
1660. Non contento di agire solo sul territorio inglese, F. allargò
l'attività missionaria al Galles e alla Scozia, mentre suoi adepti
predicarono nel Massachusetts, isole Barbados, Olanda, Germania, Polonia fino
alla visita fatta nientedimeno che al sultano turco da parte della quacchera
Mary Fisher nel 1658. Sicuramente i mussulmani trattarono meglio i
quaccheri di quello che fecero i loro stessi fratelli cristiani: infatti
alcune abitudini dei quaccheri li misero nei guai, soprattutto il rifiuto di
prestare giuramento e di pagare le decime alla Chiesa (la Casa col Campanile,
come la chiamava F.). Per questo motivo, nel periodo del Commonwealth
(1649-1660), solitamente abbastanza tollerante verso le sette protestanti
inglesi grazie all'intervento personale del Lord Protettore Oliver Cromwell
(1599-1658), proprio i quaccheri furono tra i più perseguitati: si calcola
che più di 2.000 fedeli furono imprigionati e 32 morirono per i
maltrattamenti subiti. Eppure, nonostante ciò, l'unica tra le innumerevoli
sette protestanti inglesi del XVII secolo che si consolidò e si espanse,
anche dopo la restaurazione nel 1660 del re Carlo II (1649-1685), fu proprio
quella dei quaccheri, che anzi assorbì una larga fetta delle altre sette
dissidenti, quando queste entrarono in crisi esistenziale. Significativo fu
la conversione al quaccherismo del fondatore della setta dei levellers,
John Lilburne. Anche i quaccheri dovette subire, come altri, il problema
degli estremismi: il più significativo fu quello di James Nayler, che
rappresentò l'ala più ranter (caratterizzata da eccessi antinomiani) del
movimento. Arrestato nel 1656 perché aveva inscenato un'entrata a dorso
d'asino in Bristol, simile a quello di Gesù in Gerusalemme, fu liberato solo
nel 1659 e nel 1660 si riconciliò con F., morendo poi nello stesso
anno. Nel gennaio 1661 il capo della setta dei quinto-monarchisti, il
commerciante in botti Thomas Venner (m.1661), tentò una disperata
insurrezione nel gennaio 1661 contro la restaurazione della monarchia, ma,
come era prevedibile, il colpo fallì e Venner e gli altri capi della rivolta
furono decapitati. Le successive repressioni stroncarono definitivamente
il movimento quinto-monarchista, oltre a perseguitare anche altre
sette accusate di aver partecipato al tentato golpe, come i giacobiti e
i sabbatariani, ma soprattutto i quaccheri, di cui 4.230 furono messi
in prigione. Negli anni successivi le persecuzioni nei confronti dei
quaccheri salirono continuamente di tono ed anch'essi dovettero subire le
conseguenze degli atti contenuti nel Codice Clarendon (1661-1665), voluto dal
Lord Cancelliere, Edward Hyde, 1° Conte di Clarendon (1609-1674),
originariamente emessi per stroncare il movimento puritano, ma esteso a tutte
le sette cosiddetti non-conformisti, quelle cioè che non avevano voluto
conformarsi all'Uniformity Act, uno degli atti del Codice Clarendon, che
erano: Corporation Act (1661), che escludeva i non-conformisti dai pubblici
uffici. Uniformity Act (1662), che obbligava all'uso del Libro delle
Preghiere della Chiesa Anglicana. Conventicle Act (1664), che proibiva
funzioni religiose non-conformiste. Five Mile Act (1665), che proibiva ai
pastori non-conformisti di avvicinarsi alle città. In questo periodo F.
venne arrestato nel 1664 a Swarthmoor ed ancora nel 1670 a Londra, dove aveva
partecipato deliberatamente ad una riunione quacchera non
autorizzata. Nonostante ciò, al 1665 risalì l'importante conversione di quel
William Penn, fondatore dello stato della Pennsylvania, rifugio sicuro per
i dissenzienti inglesi in fuga dalla madrepatria. Finalmente nel 1672 la
Declaration of Indulgence (dichiarazione di indulgenza) permise più libertà
di culto ai dissenzienti, compreso i quaccheri: fu seguita da analoghe
dichiarazioni nel 1687 e 1688 promulgate dal re cattolico Giacomo II
(1685-1688), nel tentativo di ottenere l'appoggio dei non-conformisti contro
la Chiesa Anglicana. Ma, con la Gloriosa Rivoluzione del 1688/9 Giacomo II fu
cacciato, estinguendosi così il dominio in Inghilterra della dinastia Stuart.
Salì infatti al potere, con il titolo di Guglielmo III (1689-1702), il
principe olandese Guglielmo d'Orange, genero di Giacomo II e lontano
discendente di Enrico VIII. Nel 1689 fu emanata la Toleration Act (atto di
tolleranza) del 1689, voluto dal nuovo re, e che garantì la libertà di culto
religioso a tutti i non-conformisti, eccetto i cattolici e gli unitariani.
Poco dopo fu concesso ai quaccheri l'esenzione al giuramento, sostituito con
una dichiarazione semplice di conferma. Al momento della morte di F. il 13
gennaio 1691, i quaccheri nelle Isole Britanniche erano circa
50.000.
Dottrina e comportamento Come già detto, dalla
illuminazione avuta nel 1646 F. si convinse che la pace non derivasse dalla
lettura delle Sacre Scritture, ma da una luce interna, una scintilla divina
che ogni uomo portava in sé (Dio è in ogni uomo) e che egli doveva sviluppare
ed espandere. Nel contempo, però, F. credeva nella presenza del male
nell'Uomo e nella necessità di combatterlo il più possibile. Ma il
quaccherismo non era solo un credo, ma anche una maniera di vita, basata
sulle parole chiave Verità e Sincerità, che rifiutava il lusso per favorire
la semplicità nel vestiario, nei comportamenti e nel modo di parlare. Per
esempio, in questa ultima situazione i quaccheri dell'epoca, rivolgendosi a
qualcuno, usavano la forma thee, equivalente al familiare tu in italiano,
rispetto al più formale you, equivalente all'italiano voi. Inoltre i
quaccheri furono tra i primi ad applicare la parità dei sessi, razze, nazioni
o classi sociali. Le riunioni di culto tuttora si svolgono regolarmente, uno
o due volte alla settimana, senza un programma predefinito, in quanto le
riunioni servono a far sentire ai presenti la presenza di Dio come giuda
spirituale. Certe volte, specie negli ultimi anni, può essere impiegato un
ministro del culto.
La storia della setta dopo la morte di Fox Già
ad iniziare dal 1660, i quaccheri iniziarono ad emigrare nelle
colonie americane. Nel 1674 alcuni di essi acquistarono terreni nel New
Jersey, ma fu soprattutto William Penn che diede loro una grande opportunità
nella sua colonia, denominata Pennsylvania: qui entro il 1684 si stabilirono
circa 7.000 Amici della Verità. In seguito i quaccheri cercarono di
stabilirsi anche in altre colonie americane, incontrando in alcuni casi, come
nel Rhode Island, un ambiente favorevole, ma non nel Massachusetts dove
vennero perseguitati. Dal 1690 si fece largo nel movimento una fase
cosiddetta quietistica, cioè di maggiore introspezione e limitata attività
pubblica. Tuttavia le rigide regole interne, come ad esempio il divieto di
matrimonio, pena l'espulsione dal movimento, con persone non quacchere o
senza il consenso dei genitori, portarono ad una involuzione del numero dei
fedeli tali da minacciare nel XVIII secolo l'estinzione del movimento
stesso. Per loro fortuna, l'impatto delle idee metodiste di John Wesley ebbe
un effetto di risveglio anche sul movimento quacchero. All'inizio del XIX
secolo, nel 1827, si acuirono le diversità interne nell'ambito del movimento
e dal filone principale (ortodosso) si separarono tre gruppi: Coloro che
seguivano le idee di Elias Hicks, denominati quindi hicksiti: essi
contestavano l'autenticità e autorità divina della Bibbia e della figura
storica di Gesù Cristo, preferendo di concentrarsi di più sul concetto della
luce interna. I seguaci di Joseph John Gurney, i gurneyiti, più portati
all'evangelismo. Il gruppo più piccolo, i wilburiti, facevano riferimento a
John Wilbur ed erano legati alla rigida tradizione quacchera del XVII
secolo.
La Società degli Amici oggigiorno Oggigiorno la Società
degli Amici conta circa 200.000 (secondo altre statistiche 300.000) nel
mondo, con circa 109.000 in Stati Uniti, dove il gruppo più numeroso è la
Society of Friends (Friends United Meeting) (il gruppo ortodosso con 65.000
membri e 519 chiese). Le altre denominazioni sono riunite in: Friends
General Conference (hicksita, 26.000 fedeli), Evangelical
Friends Alliance (gurneyita 25.000 membri) Religious
Society of Friends (Conservative) (wilburiti circa 2.000). Gli altri paesi
includono l'Inghilterra (18.000 fedeli) e la zona dell'Africa orientale
(Kenya, Madagascar, etc. per un totale di 45.000). I quaccheri rifiutano di
giurare, sono stati attivi nel movimento per l'abolizione della schiavitù
(fin dal 1688) e per i diritti degli indiani d'America, nella lotta contro
l'alcolismo e la pena di morte e sono filantropi. Un altro punto
importante è l'obiezione di coscienza: nel 1917 è stato formato il American
Friends Service Committee, un comitato quacchero
per fornire opportunità di servizio civile ai loro giovani fedeli obiettori
di coscienza, che ha ricevuto, assieme al britannico The Friends Service
Council, il Premio Nobel per la Pace nel 1947. Infine, nonostante la
limitata diffusione della Società degli Amici, ben due presidenti degli Stati
Uniti, Herbert Hoover e Richard Nixon, erano quaccheri.
|
|
|
|