LE
ERESIE - GLI ERETICI |
Taboriti (XV secolo)
I Taboriti furono gli aderenti alla fazione
estremista, fondata da Vaclav Koranda, del movimento hussita, formata da
contadini e poveri. Essi presero questo nome dal Monte Tabor, una collina
vicino alla città di Serimovo Ústí, nella Boemia meridionale, ribattezzata
così in onore del monte della trasfigurazione di Cristo. I T. divennero
universalmente noti nel Luglio 1419, quando, condotti da Jan Troznowski,
detto Zizka, il leggendario condottiero cieco da un occhio,
essi defenestrarono i magistrati del re Venceslao IV (1378-1419), detto il
Pigro, che non intendevano rilasciare alcuni loro compagni: i giudici
trovarono una orribile morte infilzati sulla punta delle lance dei soldati
appostati nel cortile sottostante. I T. rappresentarono l'ala più radicale
e militare degli hussiti e, sotto il comando di Zizka e successivamente di
Andreas Prokop (o Procopius) (1380-1434), detto il Grande o lo Sbarbato, si
distinsero nelle varie battaglie delle guerre hussite
(1420-1431). Tuttavia essi non accettarono il compromesso con i cattolici,
ottenuto dalla fazione moderata degli Utraquisti al Concilio di Basilea
(1431-1439), dove si era arrivati alla stesura delle Compactata, una serie di
deroghe dottrinali, che riproducevano i Quattro Articoli di
Praga. L'inevitabile frizione fra le due anime del movimento hussite portò
alla guerra civile, conclusasi con la definitiva sconfitta dei T. nella
battaglia di Lipau del 30 Maggio 1434, dove fu ucciso anche
Prokop.
Tanchelmo di Brabante (o di Anversa) (m. ca.
1115)
Tanchelmo, originario dei Paesi Bassi, era probabilmente un
notabile della corte di Roberto II, conte di Fiandra nel 1109 ca. Dopo la
morte del suo protettore, T. intraprese la carriera del predicatore errante
(non autorizzato) come molti suoi simili, per esempio Pietro di Bruis o
Enrico di Losanna, con i quali, comunque, pare T. non abbia mai avuto
contatti. Nella Fiandra e nello Seeland e lungo il Reno, ed in particolare
nelle città di Lovanio, Utrecht, Bruges e Anversa, egli predicò il rifiuto
dei sacramenti, soprattutto se dispensati da un prete corrotto e incoraggiò
la popolazione fiamminga a non pagare le decime. Questa posizione fu
rinforzata dallo sconcerto creato ad Anversa, dove T. stava predicando, dallo
scandalo di un noto parroco corrotto e concubino con una propria
nipote. Per bilanciare gli attacchi di T., gli scrittori cattolici dell'epoca
lo denigrarono, descrivendolo come corrotto e circondato di belle donne e
di essersi comportato come un re con tanto di corona e guardia del
corpo fanatica o di essersi nominato angelo del Signore. Si raccontò che
la popolazione di Anversa, convinta della sua santità, facesse le carte
false per poter bere l'acqua dove egli aveva fatto un bagno (sic!), dotata di
non si sa quale potere taumaturgico. Nel 1112 egli fu catturato dai
soldati dell'arcivescovo di Colonia sotto l'accusa di manicheismo, ma riuscì
a fuggire, per poi essere assassinato nel 1115 da un prete cattolico, che
temeva per la crescente popolarità che il movimento di T. stava
acquisendo. Questa popolarità, tuttavia, non resse al confronto di una
contro-azione da parte del vescovo di Magdeburgo, San Norberto (1080-1134),
che, con il suo esempio rigoroso e santo, ricondusse in poco tempo i seguaci
di T., popolari in Olanda e Germania fino al 1125,
all'ortodossia.
Tauler, Johannes (Giovanni Taulero) (ca. 1300-1361) e
Amici di Dio
La vita Johannes Tauler, uno dei più grandi
mistici del Medioevo, nacque a Strasburgo nel 1300 ca. da una famiglia
facoltosa della città. In età giovanile entrò dell'Ordine Domenicano e
durante i suoi studi di teologia a Colonia conobbe Enrico Suso (1295-1366,
beatificato nel 1831) e Meister Eckhart. Dal 1339 al 1348 T. visse a Basilea,
dove fondò un movimento denominato Amici di Dio, che ebbe una vastissima
diffusione nella Valle del Reno. Egli ritornò nel 1348 a Strasburgo, dove, a
parte un periodo a Colonia, visse fino alla sua morte come predicatore molto
apprezzato: non lasciò niente di scritto, ma si conoscono le autentiche
trascrizioni di 84 delle sue prediche più molte altre con attribuzione
incerta. T. morì a Strasburgo il 16 Giugno 1361.
La dottrina La
chiave del misticismo di T. era la visione dell'essenza di Dio o
la conoscenza della natura divina, ottenibile, anche in questo mondo, da
parte degli uomini, che avessero abbandonato ogni peccato. Il punto di
contatto fra l'uomo e Dio, secondo T., si trovava nel "fondo dell'anima",
dove operavano due princìpi: la scintilla, che accoglieva il divino,
e l'indole affettiva (Gemüth in tedesco), che permetteva di compiere la
via per giungere all'unione con Dio. Questa via salvatrice del misticismo
consisteva nella pratica della virtù, come l'umiltà e l'abbandonarsi alla
volontà di Dio, ed era superiore a quella della Chiesa. Tuttavia T.
concepì il misticismo come parte integrante del Cristianesimo, come la
candela che brucia alla luce del sole: essa è autonoma, ma non si distingue
dalla pienezza della luce solare.
Il pensiero di T. influenzò
fortemente sia Juan de Valdès, che Martin Lutero, il quale incluse il mistico
tedesco nell'elenco dei "riformatori prima della
Riforma".
Taziano ed encratiti (120 -
ca.175)
Taziano era un siriano convertito al Cristianesimo da San
Giustino martire (m. ca. 165) tra il 150 ed il 165. Nel 172, egli diventò
il capo della setta degli encratiti, il cui nome deriva dal greco èncrateis
(continenza). Questa era una setta gnostica, probabilmente influenzata dai
sethiani, che riteneva Satana fosse il figlio del Demiurgo, Ialdabaoth,
creatore del mondo materiale, e che egli, dopo la caduta, avesse, sotto forma
di serpente, creato la vite (perciò gli E. rifiutavano il vino), tentando
Adamo ed Eva. Lo spirito buono doveva, secondo gli E., essere liberato dal
corpo malvagio e, perciò, per accelerare questo processo, essi aborrivano il
matrimonio, la procreazione ed il consumo di carne.
Le opere T.
scrisse un Discorso ai greci, un'opera in 42 capitoli, in cui attaccò
il mondo pagano ed ellenistico, ed un Diatessaron, tentativo di fusione dei
4 vangeli in un continuo narrativo, molto popolare nei paesi di lingua
siriaca fino al Medioevo, nonostante i tentativi del Cristianesimo di
sopprimerlo.
Telesio, Bernardino (1509-1588)
La
vita Il filosofo Bernardino Telesio, figlio dell'aristocratico Giovanni
Telesio, nacque verso la fine del 1509 a Cosenza. La sua educazione fu curata
dallo zio Antonio Telesio (1482-1534), un umanista di certo valore, che lo
portò a Milano nel 1518, e a Roma nel 1521, dove zio e nipote vissero fino al
1527, anno del Sacco di Roma, durante il quale T. fu incarcerato per un
breve periodo. Riacquistata la libertà, egli si trasferì con lo zio a Venezia
e, in seguito studiò a Padova filosofia con Geronimo Amaltea e
matematica, astronomia e filosofia morale con Federico Delfino fino al
1535. Profondamente insoddisfatto degli insegnamenti della filosofia
aristotelica, T. si ritirò a meditare in un convento benedettino in Calabria,
pur non prendendo gli ordini, fino al 1544-45. Successivamente egli fu
ospitato nella casa napoletana del Duca di Nocera, Alfonso III Carafa [la
stessa casata di Papa Paolo IV (1555-1559)] fino al 1553, anno in cui si
sposò e ritornò a Cosenza, dove entrò nell'Accademia Cosentina, in seguito
denominata in suo onore Telesiana, portandola a nuova vita e influenzando gli
interessi accademici, precedentemente orientati alla letteratura, verso
l'osservazione e l'indagine, sebbene con metodi ancora empirici, della
natura. Questa disciplina venne denominata naturalismo e, nella sua forma
panteistica, ha i suoi maggiori esponenti in T., ma anche in Tommaso
Campanella (che aderì all'Accademia Telesiana, come lo fece anche
il riformato calabrese Giovanni Valentino Gentile) e soprattutto in
Giordano Bruno, che per questo vennero considerati eretici da
perseguire. T. fu invece protetto dall'alto e non dovette subire persecuzioni
di qualsivoglia tipo, anzi, dopo la morte della moglie (da lui sposata
nel 1522) nel 1561, il papa Pio IV (1559-1565) gli offrì perfino il titolo
di arcivescovo di Cosenza (subordinato comunque ad una regolare consacrazione
a sacerdote), ma questi declinò l'invito a favore del fratello
Tommaso. Nel 1565 egli si trasferì a Roma: questo fu anche l'anno nel quale
apparve i primi due libri della sua opera principale De rerum natura juxta
propria principia (l'edizione completa in nove volumi fu stampata nel 1586) e
a Roma T. poté godere della benevolenza del papa Gregorio XIII (1572-1585),
che lo invitò ad esporre la sua filosofia e lo protesse, come già Pio IV,
dalle critiche. Infatti il De rerum natura venne iscritto all'Indice dei
libri proibiti nel 1593, cioè solo dopo la morte del suo autore. Sempre a
Roma T. conobbe e entrò in vivace polemica con il filosofo dalmata
neoplatonico Francesco Patrizi (o Patrizzi) (1529-1597). Dal 1576 al 1586
T. visse a Napoli, ospite del nuovo Duca di Nocera, il figlio di Alfonso,
Ferrante Carafa (al quale fu dedicata l'edizione definitiva del De rerum
natura), tornandosene quindi a Cosenza, dove morì nell'ottobre 1588. Dopo
la sua morte, il suo discepolo più fervente, Antonio Persio (1542-1612), fece
pubblicare alcuni suoi scritti minori con il titolo di Varii de rebus
naturalibus libelli.
Il pensiero Come già detto, T. fu un
importante esponente del naturalismo rinascimentale e il suo lavoro De rerum
natura il lavoro più importante dell'epoca. Per T., in contrapposizione ad
Aristotele, la natura può essere osservata non già dalla ragione, la quale
sviluppa solo concetti astratti come forza e potenza, bensì dall'esperienza
dei sensi, i quali rivelano la presenza di forze meccaniche attive, il caldo
ed il freddo, che agiscono continuamente, trasformandola, sulla materia, o
terra (concetto contestato dal neoplatonico Francesco Patrizi poiché
anch'esso non sarebbe comunque misurabile dall'esperienza dei sensi). In
particolare il caldo, incontrando la terra, genera la vita degli essere
animati, e poiché il caldo è più o meno ritrovabile ovunque nell'universo,
allora l'universo stesso, fornito di una sua sensibilità, è animato. Questa
teoria si denomina panpsichismo. Tutto è regolato dalla quantità di calore:
la vita animale è superiore a quella vegetale a causa del grado di calore, e
sempre il caldo permette la superiorità del livello cognitivo rispetto alla
vita animale. Ovviamente, riducendo tutto alla sensazione, T. si poteva
trovare in difficoltà a spiegare la conoscenza di Dio, poiché Egli non può
essere oggetto dei nostri sensi, oltre che l'immortalità dell'anima. Ma per
il filosofo calabrese Dio trascende il mondo fisico e l'anima
immortale dell'uomo è stata infusa da Dio stesso. Le prove sono il bisogno
dell'uomo del divino e l'esigenza di una giustizia ultraterrena. Il
pensiero di T. influenzò diversi filosofi del XVI e XVII secolo, come i già
citati Campanella e Bruno, ma anche gli inglesi Francis Bacon (1561-1626) e
Thomas Hobbes (1588-1679).
Cibo (o Cybo), Caterina, duchessa di
Camerino (1501-1577)
Introduzione Nei circoli evangelici di
Juan de Valdés, intorno al 1540, furono sempre molte attive diverse
nobildonne, tra cui Vittoria Colonna, Giulia Gonzaga, Isabella Bresegna
(moglie di don Garcia Manrique, governatore di Piacenza) e Caterina Cibo (o
Cybo), moglie di Giovanni Maria da Varano, duca di Camerino. Caterina Cibo
(o Cybo) nacque il 13 settembre 1501 a Ponzano, vicino a Firenze,
quartogenita di Franceschetto Cybo, Conte Palatino del Laterano e di
Ferentillo, Signore di Anguillara e Cerveteri (1449-1519), e di Maddalena de'
Medici (1473-1519), e quindi nipote del famoso nonno Lorenzo il Magnifico
(duca: 1469-1492) e dell'altrettanto noto zio, Giovanni Medici, poi Papa
Leone X (papa: 1513-1521).
Il ducato di Camerino nel XVI
secolo Nel XVI secolo, nel breve volgere di 43 anni, la minuscola signoria
di Camerino ha avuto una storia molto tormentata: nel 1502 era
stata conquistata da Cesare Borgia (1474-1507), il famoso Valentino, che
aveva fatto strangolare in carcere il Signore Giulio Cesare da Varano
(1434-1502) e i suoi figli maschi Annibale, Venanzio e Pirro. Si era salvato
solo l'ultimogenito Giovanni Maria da Varano (1481-1527), che, nel 1503
[alla morte del papa Alessandro VI (1492-1503), padre e protettore di
Cesare Borgia] poté rientrare in possesso delle sue terre. Nel 1520
Caterina Cibo si sposò con il sopramenzionato Giovanni Maria da Varano, che
dal matrimonio ottenne enormi vantaggi, tra cui l'elevazione a ducato degli
antichi possedimenti e la trasmissibilità in via ereditaria del relativo
titolo. Purtroppo Giovanni Maria morì di peste nel 1527 e, nonostante una
momentanea invasione, poi respinta, del ducato da parte dei soldati del
capitano di ventura Sciarra Colonna (m. 1545), la vedova dovette impegnarsi
nel difficile compito di governare il ducato fino al 1534, come
reggente dell'unica figlia minorenne Giulia da Varano (1524-1547). In
quell'anno C. passò il comando al genero Guidobaldo II della
Rovere (1514-1574), duca di Urbino, che unì i due possedimenti fino al 1539,
anno in cui, dietro risarcimento di 78 mila ducati d'oro, convinse la
moglie Giulia a rinunciare ai suoi diritti sul Ducato di Camerino, a favore
di Ottavio Farnese (1524-1586), nipote di Paolo III (papa:1534-1549):
il Farnese, a sua volta, lo tenne fino al 1545, passandolo definitivamente
allo Stato della Chiesa, a fronte dell'acquisizione del ducato di Parma,
Piacenza e Guastalla.
C. e la nascita dell'ordine dei
cappuccini Nel 1525 un frate marchigiano, fra Matteo da Bascio (m. 1552), in
seguito ad una visione di San Francesco, decise di osservare la regola
francescana in modo più radicale, dando luogo alla riforma cappuccina. Fece
modificare l'abito dei frati minori, si recò a Roma ed ottenne dal Papa
Clemente VII (1523-1534) di osservare la nuova regola e di poter vestire
l'abito che aveva modificato. Ma ci furono molti ostacoli e resistenze
all'interno della Chiesa, finché nel 1528 i fratelli Ludovico e Raffaele
Tenaglia da Fossombrone chiesero un deciso intervento della duchessa di
Camerino presso il cugino di lei, Giuliano de' Medici, proprio il papa
Clemente VII. Con la bolla Religionis zelus del 3 luglio 1528, Clemente VII
accettò il nuovo ordine, denominato Ordine dei Frati Minori Cappuccini, il
quale ebbe un tale successo che dovette essere ristrutturato, dividendosi in
province, come l'originale Ordine dei Frati Minori. Nel 1534, entrò
nell'ordine il francescano senese Bernardino Tommassini, detto Ochino, che
assurse ai massimi livelli, diventandone vicario generale nel 1538, e che fu
molto ammirato dalla stessa C.
C. valdesiana Dal 1535, dopo
aver ceduto il ducato al genero Guidobaldo II della Rovere, C. decise di
trasferirsi a Firenze, dove iniziò a frequentare gli ambienti evangelici,
ispirati a Juan de Valdés. Qui conobbe Pietro Carnesecchi e Marcantonio
Flaminio, con il quale ebbe nel 1541 diversi incontri e conversazioni sulla
giustificazione per fede: Flaminio le scrisse anche due lettere, da cui si
evince una perfetta identità di vedute spirituali. Inoltre a lei fu dedicato
un sonetto (Donna, che, come chiaro a ciascun mostra .) di Benedetto Varchi
del 1547/48, che esaltava Valdés, Vittoria Colonna e Pietro Bembo come
cercatori fortunati sulla strada della salvezza eterna dell'anima. Nel
1541 Ochino, che da tempo frequentava i circoli evangelisti, uscì
allo scoperto con una vigorosa predica a Venezia, contenente una
appassionata difesa di Giulio della Rovere ("un predicatore del puro
evangelio"), arrestato durante la Quaresima dello stesso anno. Egli fu
convocato a Roma dall'inquisizione di Papa Paolo III, ma nell'estate 1542,
dopo una breve sosta a casa di C., dove gettò il saio, si rifugiò in
Svizzera, dapprima a Morbegno, poi a Ginevra. Negli anni successivi, dopo
questa clamorosa fuga di Ochino e la crescente repressione degli evangelici
italiani, la C. mantenne uno stretto atteggiamento nicodemitico, per esempio
rinunciò a raccogliere intorno a sé un circolo di ispirazione valdesiana,
tant'è che tuttora rimane incerta la definizione della sua fede religiosa: si
ipotizza che avesse aderito al calvinismo. C. morì nel
1577.
Teodato (o Teodoto), detto il Banchiere o il Cambiavalute e
Melchisedechiani o Antigani (III secolo)
Teodato (o Teodoto),
detto il Banchiere o il Cambiavalute, fu seguace dell'omonimo Teodato (o
Teodoto) di Bisanzio, detto il Pellaio o il Conciatore, fondatore della
corrente degli adozionisti, di coloro, cioè che credevano che Gesù fosse
semplicemente un uomo (psilos anthropos), vissuto come gli altri uomini e
"adottato" come figlio da Dio, solamente al momento del suo battesimo nel
Giordano, quando il Cristo era sceso su di Lui sotto forma di una
colomba. T., prendendo spunto da un passaggio della Lettera di S.Paolo agli
Ebrei (7;1-3), aggiunse alla dottrina del suo maestro il concetto di un
potere celeste, di nome Melchisedech, una forma di Spirito Santo,
incarnazione del Logos, perfino più importante di Gesù stesso, e che aveva
istituito il sacramento dell'Eucarestia. Questo concetto diede luogo alla
setta, situata in Frigia, dei Melchisedechiani o Antigani (Intoccabili).
Secondo Timoteo di Costantinopoli, essi avevano delle strane usanze: in
particolare, non toccavano mai alcun uomo (da cui il nome) e se veniva
offerto loro del cibo, lo facevano posare per terra prima di
raccoglierlo. Sempre a proposito di Teodato, secondo Eusebio (che trasse
questa storia dal Piccolo Labirinto di Ippolito), questi ed Esclipedoto ,
dopo la morte di Papa Vittore nel 199, decisero di strutturare il movimento
come una vera Chiesa, nominando vescovo, per 170 denarii al mese, un prete
romano di nome Natalio, che era stato torturato durante le persecuzioni,
probabilmente sotto l'imperatore Settimio Severo. Ma il povero Natalio,
dopo un notte di incubi, dove sognò di essere tormentato dagli angeli, si
recò pentito e affranto da Papa Zeffirino (199-217), che lo perdonò. Tale
clemenza non fu, però, adottato da Zeffirino nei confronti dei due capiscuola
adozionisti sopra menzionati, prontamente scomunicati.
Teodato
(o Teodoto) di Bisanzio, detto il Pellaio o il Conciatore
(III secolo)
Teodato (o Teodoto) era un conciatore di pelli di
Bisanzio, che si recò a Roma durante il papato di Vittore (189-198), dove,
pur accettando l'atto di fede degli Apostoli, insegnò che Gesù fosse
semplicemente un uomo (psilos anthropos) e vissuto come gli altri
uomini. T. fu scomunicato, per l'appunto, da Papa Vittore per questo concetto
e anche perché predicava che, al momento del battesimo di Gesù nel
Giordano, il Cristo era sceso su di Lui sotto forma di una colomba e, solo da
quel momento, Gesù era stato "adottato" come figlio da Dio. Questo fatto non
lo rese Dio, ma lo diventò dopo la Sua resurrezione. Da ciò derivò il nome
di adozionismo, attribuito alla setta fondata da T., detta anche dei
teodoziani. L'operato di T. fu portato avanti da un omonimo Teodato (o
Teodoto), detto il Banchiere o il Cambiavalute e da un certo Esclipedoto
durante il papato di Zefirino (198-217). Intorno alla metà del III secolo
l'adozionismo ebbe un revival con Artemone a Roma, ma soprattutto con Paolo
di Samosata, il più preparato teologo, che avesse aderito a questa
eresia.
Teodoreto di Ciro (ca. 393- ca.457)
Teodoreto,
vescovo di Ciro e teologo, nacque ad Antiochia nel 393 ca. Fu, già da
piccolo, educato per la carriera ecclesiastica e teologica, avendo studiato
gli scritti di Diodoro di Tarso, San Giovanni Crisostomo e Teodoro di
Mopsuestia. All'età di 23 anni, nel 416, T. entrò nel monastero di Nicerte,
vicino ad Apamea e nel 423 fu nominato vescovo di Ciro, in Siria. Dal 430,
T. fu coinvolto nella controversia cristologica tra Nestorio e Cirillo
d'Alessandria, schierandosi contro quest'ultimo nel Concilio di Efeso del
431, nel quale chiese la deposizione e scomunica di Cirillo e contro il quale
scrisse nel 436 la sua Anatropé (Confutazione): in essa T. ribadì la dualità
della natura di Cristo e accusò Cirillo di mischiare le due nature di Cristo
per formare una singola natura divina. Nel 437 scese nuovamente in campo
contro Cirillo, quando quest'ultimo chiamò in causa Diodoro di Tarso e
Teodoro di Mopsuestia come padri del nestorianesimo. Né si ebbe un momento
di pace dopo la morte di Cirillo nel 444, poiché il successore al seggio di
Alessandria fu quel Dioscoro, acceso sostenitore di Eutiche e del
monofisismo. Dioscoro si mise a perseguitare T. con tutti i mezzi possibili e
accusandolo di nestorianesimo: T. rispose scrivendo il suo libro più
importante, l'Eranistes (il mendicante), in cui attaccava il monofisismo,
accusato di mendicare le idee da eresie precedenti. Nel famigerato
Concilio di Efeso del 449 [il latrocinium, secondo Papa Leone Magno
(440-461)], a T. fu perfino proibito di partecipare ed egli fu condannato
assieme a tutti gli altri teologi della scuola di Antiochia (Domno di
Antiochia, Eusebio di Dorileo e Iba di Edessa) con l'accusa di nestorianesimo
e l'insegnamento monofisita di Eutiche venne dichiarato ortodosso. Papa
Leone Magno annullò le decisioni di questo Concilio, ma in contrasto con il
pensiero papale, l'imperatore lo ritenne valido. Tuttavia l'inattesa morte
dall'Imperatore Teodosio II (450) e l'esecuzione capitale del potente
protettore di Eutiche, il ministro eunuco Crisafio, rimisero in gioco gli
Ortodossi, che ottennero dall'imperatrice (Santa) Pulcheria, essa stessa
fervente cattolica ortodossa, e dall'imperatore Marciano (450-457), la
convocazione di un Concilio a Calcedonia nell'Ottobre 451. In questo
concilio vennero condannati sia il monofisismo che il nestorianesimo, e,
sebbene malvolentieri, T. accettò di votare la condanna di quest'ultima
eresia. T. morì a Ciro nel 457 ca. Quasi 100 anni dopo la sua morte, T.
venne associato a Nestorio e condannato postumo, nel 544, dall'editto
dell'imperatore Giustiniano (527-565) contro i Tre Capitoli, gli scritti,
cioè di T. stesso, Teodoro di Mopsuestia e Ibas di Edessa. T. fu infine
dichiarato eretico dal II Concilio di Costantinopoli del 553, sebbene questa
condanna fu il risultato di una fortissima pressione esercitata da
Giustiniano sul Papa Vigilio (537-555), il quale fu letteralmente sequestrato
affinché approvasse la scomunica decretata dal Concilio.
Teodoro
di Mopsuestia (350-428)
La vita Teodoro, vescovo di
Mopsuestia, nacque ad Antiochia nel 350 ca. da famiglia benestante. Egli
studiò filosofia e retorica alla scuola locale del retore pagano Libanio,
dove fu compagno di studi di San Giovanni Crisostomo. All'età di 18 anni, T.
entrò alla scuola di Diodoro di Tarso, in un monastero vicino ad Antiochia,
la stessa scuola da cui uscì anche Nestorio, di cui T. fu molto probabilmente
maestro. Nel 383 (o 386) T. fu ordinato sacerdote, assieme a Crisostomo, dal
vescovo Flaviano e nel 392 si unì al suo vecchio maestro Diodoro, il quale
era diventato, nel frattempo, vescovo di Tarso, riuscendo a far nominare il
suo allievo vescovo di Mopsuestia in Cilicia (parte dell'attuale
Turchia). Durante il periodo di persecuzione di Crisostomo da parte della
imperatrice Eudossia e di Teofilo di Alessandria, T. rimase sempre fedele al
vecchio amico, difendendolo in più occasioni. Nel 421, T. ospitò Giuliano
di Eclano e altri pelagiani, che indubbiamente influenzarono la sua
dottrina. T. morì nel 428, lo stesso anno in cui Nestorio iniziò il suo
scisma, e fu sempre considerato, in vita, rigorosamente
ortodosso.
Le opere T. fu un prolifico autore, sia di esegesi
sull'Antico e Nuovo Testamento, del quale egli contestò l'interpretazione
allegorica degli origenisti, che di libri su argomenti dottrinali dei più
disparati.
La dottrina Il grande dilemma dei teologi del IV secolo
fu la doppia natura di Cristo, che doveva essere umana, perché la Sua morte
sulla croce fosse in remissione dei peccati, e divina, perché avesse il
potere di salvare i peccatori. Alcuni ariani spiegavano che,
nell'incarnazione, Cristo aveva assunto un corpo umano, nel quale la Sua
natura divina aveva preso il posto dell'anima (psyche), mentre per gli
apollinaristi, la natura divina aveva preso il posto dell'intelletto
razionale (nôus). T. e la scuola antiochena (Diodoro e Nestorio) posero
sempre l'accento sulla distinzione delle due nature, umana e divina, di
Cristo incarnato, ma T., come Diodoro, non riuscì a spiegare, in maniera
soddisfacente, come potessero coesistere nella stessa persona. Per quanto
concerne la Vergine Maria, T. attaccò, come poi anche Nestorio, il termine di
Theotokos, cioè Madre (o portatrice) di Dio, perché Ella era direttamente
Anthropotokos, Madre dell'Uomo, e solo indirettamente Theotokos. Come
detto, T. fu considerato, in vita, un difensore dell'ortodossia, ma, dopo la
sua morte, il suo nome venne associato con quello del suo allievo Nestorio e
condannato postumo, nel 544, dall'editto dell'imperatore Giustiniano
(527-565) contro i Tre Capitoli, gli scritti, cioè di T. stesso, Teodoreto di
Ciro e Ibas di Edessa. T. fu infine dichiarato eretico dal II Concilio di
Costantinopoli del 553, 125 anni dopo la sua morte, sebbene questa condanna
fu il risultato di una fortissima pressione esercitata da Giustiniano sul
Papa Vigilio (537-555), letteralmente sequestrato affinché approvasse la
scomunica decretata dal Concilio.
Fullone, Pietro, vescovo di
Antiochia (m. 488) e teopaschitismo
Pietro Fullone, un ex
follatore di tessuti, da cui il nome, intorno alla metà del V secolo,
abbandonò la professione, entrando come monaco nel monastero di Acemeti, in
Calcedonia. Qui venne a contatto e aderì alle dottrine monofisite e per
questo motivo venne espulso. Recatosi a Costantinopoli, fu nominato nel 470
vescovo di Antiochia, sede che tenne a periodi alterni: infatti l'anno
successivo, nel 471, fu deposto dall'imperatore Leone I (457-474), tornò in
possesso della sede dal 476 al 478 ed infine dal 485 fino al 488, data della
sua morte. Assieme a Timoteo Aeluro, patriarca monofisita di Alessandria, F.
fu particolarmente attivo nel cercare di far annullare la decisione di
condanna del monofisismo del concilio di Calcedonia del 451. In campo
dottrinale, F. propose una variante del monofisismo,
denominata teopaschitismo (dal greco, sofferenza di Dio), ma che pareva,
con presupposti diversi, una nuova forma di patripassianismo. Infatti i
cattolici affermavano (e affermano) che Cristo avesse sofferto la Passione
sulla croce in remissione dei peccati dell'uomo. F. affermò, invece, che,
nella Passione di Cristo, avesse sofferto tutta la Trinità (Padre, Figlio e
Spirito Santo), come, due secoli prima, il patripassianismo affermava che Dio
Padre avesse sofferto la Passione. Per ribadire il suo concetto, F. fece
aggiungere al Trisagion, un inno di triplice invocazione di Dio, simile al
Sanctus e tipico della messa secondo il rito orientale, la frase controversa:
".Dio santo, che fosti crocefisso per noi, abbi pietà di noi". Infine, nel
553, l'imperatore Giustiniano (527-565), nel tentativo di far conciliare i
monofisiti con i cattolici, dichiarò perfino ortodosso il teopaschitismo di
F. durante il secondo concilio ecumenico di Costantinopoli, ma la mossa non
sortì il risultato atteso.
Trissino, Alessandro
(1523-1609)
Alessandro Trissino nacque a Vicenza nel 1523, figlio
naturale di Giovanni Trissino, esponente di una delle famiglie nobili più in
vista della città. Grazie al cugino Giulio Trissino (1504-1576), figlio
dell'umanista Gian Giorgio (1478-1550) e personaggio di spicco del movimento
calvinista vicentino, T. frequentò l'Accademia di Vicenza, assistendo alle
lezioni dei professori Fulvio Pellegrino Morato e Francesco Malchiavelli,
noti per la forte propaganda anticlericale che facevano mediante la lettura
ai loro allievi di testi della Riforma , come la Christianae religionis
institutio di Calvino. Già ben orientato verso la Riforma, all'Accademia T.
fece la conoscenza di Giovanni Battista Trento, che divenne in seguito un suo
amico e confratello in fede. Dopo il periodo all'Accademia di Vicenza, T.
si trasferì all'università di Padova per studiare legge e qui poté
frequentare i gruppi clandestini luterani, che gravitavano intorno
all'ambiente universitario. Nel 1558 T. lasciò gli studi e entrò nella
carriera diplomatica, diventando nunzio di Vicenza a Venezia, ma anche nella
città lagunare continuò nell'opera di propaganda religiosa e di catalizzatore
di gruppi sociali o culturali, sia nobili che di livello più umile, dove si
discuteva sì di tutto, dall'alchimia al potere papale, dalla magia alla
polemica sul culto dei santi, ma sempre con un forte interesse verso
l'evangelismo. Simili riunioni si tenevano anche a Vicenza città o in
provincia, a Lanzé, nella villa della famiglia Trissino, dove si faceva
vedere spesso l'amico Giovanni Battista Trento, dal 1557 residente a Ginevra
e ufficialmente commerciante in pelli: in realtà, egli faceva proselitismo
attivo per le idee riformate e teneva contatti con i confratelli nel Veneto,
facendo inviare ai suoi referenti commerciali, i fratelli Pellizzari,
mercanti in Vicenza, massicce spedizioni di Bibbie riformate, opportunamente
occultate sotto balle di pelli. Ma all'inizio del gennaio 1563 un
controllo effettuato a Como su una spedizione di merce indirizzata proprio ai
Pellizzari fece scoprire alcune lettere parte di un carteggio consolidato tra
i calvinisti di Vicenza e quelli di Lione e Ginevra, tra cui una firmata
dallo stesso T. Arrestato e torturato per farlo confessare, T. fu poi
provvisoriamente trattenuto agli arresti domiciliari, presso la casa di
Francesco Trissino, ma da qui, con l'aiuto del confratello Giovanni Domenico
Roncalli, avvocato e membro dell'Accademia degli Addormentati a Rovigo,
riuscì ad evadere il 31 maggio 1563 e a riparare a Chiavenna. Giusto in
tempo: il 7 marzo 1564 egli fu condannato in contumacia come eretico, con
l'aggravante della fuga, e bruciato in effige sul rogo. A Chiavenna T.,
oramai inserito nella comunità riformata locale, ne diventò il pastore,
amministrando con tolleranza, come nel 1568, quando fece da mediatore a
favore della riammissione dell'anabattista modenese Giovanni Bergomozzi, che
era stato espulso dalla comunità. Il 20 luglio 1570 egli inviò ai confratelli
in Italia il Ragionamento della necessità di ritirarsi a vivere nella Chiesa
visibile di Gesù Cristo, lasciando il papesimo, pochi giorni dopo la condanna
di Aonio Paleario al rogo. L'amareggiato e rassegnato riformato vicentino era
convinto che non era più possibile organizzare delle comunità evangeliste in
Italia e che anche l'atteggiamento nicodemitico era perdente: l'unica
alternativa era l'esilio. Nel 1573 T. si iscrisse alla Chiesa Italiana di
Ginevra insieme all'amico e confratello Odoardo da Thiene [amico intimo del
famoso architetto Andrea Palladio (1508-1580), con il quale mantenne contatti
epistolari anche dopo la sua fuga a Heidelberg nel 1563], e nella città
svizzera visse per 36 anni, morendo nel 1609.
Storch, Nicholas o
Niklas (m. 1525) e "Profeti di Zwichau" o
abecedariani
Premessa Il paese di Zwickau era, nel XVI secolo,
una ricca città della Sassonia, vicino al confine con la Boemia, ed aveva
basato il suo sviluppo sulle attività minerarie dell'argento. Questo
orientamento dell'economia locale aveva, tuttavia, portato in rovina la
precedente fiorente industria tessile, generando una vasta disoccupazione tra
i lavoratori tessili.
Nicholas Storch Nicholas (o Niclas) Storch,
era, per l'appunto, uno di questi ex-tessitori, discendente di una ricca e
potente famiglia mandata in bancarotta dai proprietari minerari. Nel
Maggio 1520, era giunto a Zwickau il noto predicatore riformatore
Thomas Müntzer, chiamato come sostituto del precedente pastore della Chiesa
di Santa Maria, Johannes Egranus. La retorica di Müntzer fu forte e
radicale, soprattutto quando, diventato pastore della Chiesa di Santa
Caterina nell'Ottobre dello stesso 1520, si scagliò contro i monaci
francescani locali. Tra i suoi parrocchiani, i più attenti alle sue
argomentazioni erano, oltre a Storch, l'ex studente di Wittenberg Markus
Stübner e un terzo personaggio, che le varie fonti indicano o come Thomas
Drechsel oppure come Markus Thomä. I tre, denominati "Profeti di Zwickau",
furono fortemente influenzati dalle dottrine dei Fratelli Boemi con una
decisa impronta millenaria - apocalittica, derivata dagli hussiti taboriti:
essi predicavano l'imminenza dell'avvento della "Chiesa degli Eletti",
ricusavano lo studio della teologia e consideravano gli uomini istruiti come
manipolatori della parola di Dio. Per questo erano convinti che era
necessario essere totalmente ignoranti, persino delle prime lettere
dell'alfabeto (ABC), da cui il loro nome di abecedariani. Erano infatti
convinti che Dio avrebbe illuminato i suoi eletti e dato loro la conoscenza
della verità tramite lo Spirito Santo. S. affermava inoltre che l'arcangelo
Gabriele gli era apparso, ordinandogli di diventare capo della "Chiesa degli
Eletti" e di nominare 12 apostoli e 72 discepoli. Finché i "profeti"
potettero godere della benevolenza di Müntzer, non ci furono problemi, ma il
16 Aprile 1521, quest'ultimo fu espulso dal consiglio cittadino di Zwickau,
nonostante le manifestazioni di piazza inscenate per solidarietà dai
"profeti". Il nuovo pastore, Nicolaus Hausmann, non fu affatto tenero con il
movimento e il 16 Dicembre 1521 fece accusare gli abecedariani di ripudio del
battesimo infantile. A questa data, quindi, si fa risalire la prima comparsa
di un movimento radicale, in realtà più anti-pedobattista (contrario al
battesimo dei bambini) che anabattista (ri-battesimo degli adulti),
concetto, quest'ultimo, espresso da Conrad Grebel ed i suoi seguaci in
Svizzera. S., Stübner e Thomä (o Drechsel), espulsi da Zwickau, cercarono di
esportare le loro idee a Wittenberg: furono ascoltati dai principali
collaboratori di Martin Lutero, Nikolaus von Amsdorf, Philipp Schwarzerd
(Melantone) e Andreas Bodenstein (Carlostadio) e riuscirono ad
impressionare favorevolmente Carlostadio e perfino ad installare dei dubbi in
Melantone, colpito dalla loro conoscenza della Bibbia. La situazione,
precipitata in seguito ad una serie di episodi di iconoclastia provocati da
Carlostadio, divenne così critica che Lutero stesso dovette lasciare il suo
rifugio nel castello di Wartburg e, travestito da cavaliere, tornare a
Wittenberg il 7 Marzo 1522. Le tesi dei "profeti" furono prontamente respinte
da un suo diretto ed energico intervento, riassunto nell'opuscolo Contro i
profeti celesti, dove attaccò duramente anche il suo ex-amico Carlostadio.
Quest'ultimo fu esiliato nel 1524 dal principe Federico III di Sassonia,
detto il Saggio (1486-1525) e si stabilì perfino per un certo periodo nella
città mineraria sassone. S. e i profeti furono espulsi da Wittenberg: in
particolare S. viaggiò tra il 1522 e 1524 in Turingia e Slesia, per
propagandare le sue dottrine, nonostante Lutero nel Settembre 1522 tentasse
inutilmente di convincerlo a ricusare le sue idee. All'inizio del 1525,
con un piccolo esercito di seguaci, S. raggiunse a Mühlhausen Müntzer, che
capeggiava, assieme a Heinrich Pfeiffer, la nota Rivolta dei
contadini. Questa rivolta aveva tuttavia i giorni contati in quanto venne
soppressa il 15 Maggio 1525 dalle truppe di Filippo, langravio di Hesse,
durante la battaglia di Frankenhausen, risoltasi in una orrenda carneficina
dei contadini, 5.000 dei quali furono fatti immediatamente a pezzi dai
cavalieri e soldati meglio equipaggiati e dotati di artiglieria, mentre altri
20.000, che si arresero, furono sgozzati senza pietà. Sia Müntzer che
Pfeiffer furono catturati, torturati e decapitati. Pare che S. fosse
sfuggito alla morte in battaglia, ma che, giunto gravemente ferito a Monaco
di Baviera, fosse morto in un ospedale della città nello stesso
1525.
Manelfi, Pietro (ca. 1519-dopo 1552)
Pietro Manelfi
(detto anche Pietro della Marca) nacque nel 1519 circa a San Vito di
Senigallia, nelle Marche. Fattosi sacerdote, M. fu però convertito dapprima
al luteranesimo e poi, nel 1540, all'anabattismo da Tiziano (capo storico
dell'anabattismo veneto, di cui si conosce solo il nome di battesimo, da non
confondere con il valdesiano Lorenzo Tizzano) e da Fra Hieronimo Spinazzola.
Fu ribattezzato a Ferrara e compì in seguito un'intensa attività di
proselitismo come ministro anabattista in Triveneto, Lombardia, Emilia,
Romagna, Toscana e Istria, diventando uomo di punta dell'organizzazione
anabattista veneta. Nel Settembre 1550, M. partecipò ad un vero e proprio
concilio anabattista a Venezia, dove egli annotò le conclusioni finali
alquanto radicali per l'epoca: negazione della natura divina di Cristo, degli
angeli, dell'inferno, ma soprattutto un rifiuto del concetto cattolico
di giustificazione mediante le opere, ma anche di quello protestante
di giustificazione per fede, il tutto sostituito da una
imperscrutabilità divina. Tuttavia, dopo anni di militanza anabattista, il
17 ottobre 1551 M. si presentò spontaneamente all'inquisitore di Bologna, il
domenicano Leandro Alberti (o de Albertis) (1479-ca.1552), avendo preso la
decisione di abiurare e di denunciare tutti gli anabattisti e luterani da lui
conosciuti. L'occasione per l'Inquisizione era quanto mai ghiotta per
assestare un colpo mortale all'organizzazione anabattista italiana: M. venne
trasferito a Roma e durante gli interrogatori (riprodotti nel libro I
costituiti di don Pietro Manelfi di Carlo Ginzburg) del novembre 1551 fornì
tali e tante notizie da scatenare una repressione senza pari dell'anabattismo
e dell'evangelismo italiano, i cui pesanti effetti si sentirono per
anni. Inquisiti, vittime o esiliati famosi, in seguito alle sue
rivelazioni, furono, tra gli altri, Giulio Gherlandi, Francesco Della Sega,
Antonio Rizzetto, Bartolomeo Panciatichi, Pier Paolo Vergerio, Ludovico Manna
e Niccolò Buccella. Esaurito il suo compito di delazione, M. letteralmente
scomparve dalla scena religiosa italiano (si ignora infatti dove e quando sia
morto), non prima comunque che l'Inquisizione gli assegnasse, nel maggio
1552, uno stipendio mensile di cinque ducati d'oro, per i servizi
resi.
Jacopone da Todi (c. 1230-1306)
La
vita Jacopo Benedetti nacque a Todi nel 1230 ca. da famiglia nobile e
studiò legge a Bologna. Ritornato a Todi, esercitò la professione di
procuratore e nel 1267 sposò una nobildonna, Vanna di Guidone, figlia,
secondo alcune fonti, di Bernardino, Conte di Collemedio o
Colledimezzo. La moglie ebbe un anno dopo, durante una tragica circostanza,
un'influenza decisiva sulle decisioni spirituali di J. Infatti nel 1268,
mentre assisteva ad una festa dall'alto di una tribuna provvisoria, Vanna
morì per il crollo della stessa. J., accorso affranto presso la consorte
morente, scoprì che sotto le vesti, essa portava un tessuto di crine, in
segno di penitenza per i peccati del marito. J. rimase sconvolto da questa
scoperta e decise di abbandonare la sua professione e di vendere i suoi beni.
Per i successivi 10 anni visse secondo le usanze dei terziari francescani e,
vestito con un saio, compì delle frequenti penitenze pubbliche sull'orlo
della follia mistica, diventando lo zimbello dei ragazzi di Todi e
guadagnandosi il soprannome spregiativo di Jacopone. Nel 1278, dopo
qualche esitazione egli fu accettato nell'ordine francescano, e si ritirò nel
convento di San Fortunato a Todi. Tuttavia, neppure qui ottenne la pace,
poiché i suoi confratelli parteggiavano per la corrente dei francescani
conventuali, interessati ad un ammorbidimento della dura Regola francescana,
mentre le simpatie di J. andavano per l'altra corrente, quella degli
spirituali, che volevano mantenere lo spirito di povertà e di rinuncia ai
beni dell'originario spirito francescano e che furono sempre più perseguitati
dalla Chiesa. Nel 1294 J. fu tra gli spirituali, capeggiati da Angelo Clareno
da Cingoli, che chiesero ed ottennero da Papa Celestino V (1294) di poter
vivere isolati per praticare l'ascetismo in maniera più incisiva. Tuttavia la
situazione cambiò radicalmente con il successore Papa Bonifacio VIII
(1294-1303), che annullò e perseguitò gli spirituali. A questo si aggiunse
la malaugurata decisione di J. di schierarsi a fianco dei due cardinali,
Jacopo e suo nipote Pietro, membri di quella famiglia Colonna, oppositrice
dei modi e dei metodi, utilizzati da Benedetto Caetani per accedere al soglio
pontificio come Bonifacio VIII, dopo il "gran rifiuto" di Celestino V. In
particolare essi appesero in tutte le chiese di Roma il 10 Maggio 1297
un manifesto, detto di Longhezza, compilato da J. in persona, che chiedeva
la convocazione di un nuovo concilio e denunciava le malefatte di
Bonifacio, dichiarato decaduto. Lo stesso J. prese ad attaccare Bonifacio nei
suoi versi con una notevole violenza. Il Papa non fece attendere la sua
risposta: scomunicò sia i due cardinali che J. e nel Settembre del 1298 fece
espugnare dalle sue truppe la roccaforte della famiglia Colonna, la città di
Palestrina. J. fu catturato e imprigionato nella rocca della città dove
rimase per ben 5 anni, non potendo usufruire neppure di un perdono in
occasione del giubileo del 1300. Infatti solo dopo la morte di Bonifacio, nel
1303, J. fu liberato e si ritirò nel monastero delle Clarisse di San Lorenzo
di Collazzone, dove morì la notte di Natale del 1306. Egli viene
comunemente definito Beato, sebbene un vero proprio processo
di beatificazione a suo carico non è mai stato iniziato.
Le
opere J. è famoso per le sue (circa) 100 laudi (ballate di argomento sacro)
in volgare e per la probabile attribuzione a lui degli inni in latino:
Stabat Mater Dolorosa e Stabat Mater Speciosa.
Tolomeo (II
secolo)
Allievo del maestro gnostico Valentino, Tolomeo successe
a lui come capo della scuola romana di gnosticismo valentiniana. Non si
conoscono particolari della sua vita.
Il pensiero T. rielaborò
il sistema valentiniano, stemperò la forte impronta dualistica dando maggior
valore all'elemento psichico e al Vecchio Testamento, ciò per permettere una
più facile accettazione delle idee gnostiche da parte della Chiesa
Cattolica. In pratica, T. variò e integrò i seguenti punti:
Il
Demiurgo non era così ostile, ma tutto sommato benevolo. Cristo aveva
un'anima (pneuma) e un corpo psichico: questo fatto permetteva di estendere
la possibilità di salvezza anche agli uomini psichici, cioè a tutti i
cristiani comuni. Dopo la crocefissione, il Cristo abbandonò apparentemente
il suo corpo materiale sulla croce (una variante del Docetismo), il Cristo
spirituale tornò nell'ogdoade e quello psichico sedette a destra del
Demiurgo nell'ebdomade (vedi Valentino).
Le opere L'unico
documento scritto da Tolomeo, che sia sfuggito all'eliminazione da parte dei
cattolici ortodossi nel IV secolo, era la Lettera a Flora, (riportata da
Epifanio) in cui T. spiegò ad una nobile cristiana, per l'appunto di nome
Flora, la dottrina gnostica, riducendo al minimo la spiegazione mitologica
(formazione del Pleroma) e ribadendo che la legge mosaica (quella dettata da
Mosè) era divisa in tre parti: la prima dovuta al Demiurgo (non il demonio,
ma neanche il Dio supremo), la seconda dovuta a Mosè e la terza compilata
dagli anziani. Si conosce anche, attraverso Ireneo, un commento di T. sul
prologo del Vangelo secondo Giovanni, molto più deciso nel proporre i punti
salienti della dottrina gnostica.
Ochino (o Tommassini),
Bernardino (1487-1565)
I primi anni Bernardino Tommassini,
detto Ochino dal nome della contrada dell'Oca, il Savonarola del Cinquecento
secondo lo storico Roland Bainton, nacque a Siena nel 1487. Nel 1503 circa
entrò giovanissimo nell'ordine dei Francescani osservanti, dove divenne
successivamente Provinciale, e successivamente in quello dei Cappuccini,
intorno al 1534, diventandone Vicario Generale nel 1538. Come predicatore
brillante ed acclamatissimo (veniva considerato il migliore predicatore dei
suoi tempi), percorse in lungo ed in largo l'Italia tra il 1534 ed il 1542:
un esempio per tutti, le sue prediche a Siena ammirate da Aonio
Paleario.
O. valdesiano Iniziò, in questo periodo, a documentarsi
sulle dottrine di Lutero e Melantone, ma l'incontro decisivo per il suo
futuro di riformista, lo ebbe a Napoli, durante le famose prediche
quaresimali da lui tenute nel 1536, nella chiesa del monastero di San
Giovanni Maggiore, e che commossero perfino l'imperatore Carlo V (1519-1558),
reduce da una spedizione a Tunisi. A Napoli, nello stesso periodo, O. entrò
nel circolo, fondato da Juan de Valdès, dove si concentrava il vertice dei
riformisti italiani dell'epoca, composto, tra gli altri, da Pier Martire
Vermigli, Pietro Carnesecchi, Marcantonio Flaminio, Giovanni Bernardino
Bonifacio, Benedetto Fontanini da Mantova, Galeazzo Caracciolo, Bartolomeo
Spadafora, Apollonio Merenda, Vittore Soranzo, le nobildonne Vittoria
Colonna, Giulia Colonna Gonzaga e Caterina Cibo da Camerino. Dalle
conversazioni con quest'ultima, O. stese nel 1539 i suoi Sette Dialoghi, un
primo segnale del suo rifiuto verso la teologia cattolica. Assieme a Vittoria
Colonna, O. fondò a Ferrara nel 1537 un monastero di clarisse cappuccine ed
ebbe l'occasione di conoscere, sebbene solo in un secondo momento rispetto
agli altri riformatori, il cardinale inglese Reginald Pole. A Napoli egli
predicò con successo ancora nel 1539 e 1540 (anno in cui si recò anche in
Sicilia). Si diceva che lo stesso Valdès gli suggerisse di volta in volta il
tema da svolgere: gli argomenti erano quelli cari agli evangelici, come la
giustificazione sola fide e sola gratia, il valore delle opere buone, ecc. A
questo periodo, nel 1540 circa, risale la conversione di O. al luteranesimo,
ma mantenendo un atteggiamento molto riservato, addirittura nicodemitico,
egli non attirò i sospetti della Chiesa fino all'anno dopo, quando una
vigorosa predica a Venezia, contenente una appassionata difesa di Giulio
della Rovere ("un predicatore del puro evangelio", come scrisse O.
successivamente in una lettera del 7 dicembre 1542, subito dopo la sua fuga,
ai senatori della Serenissima), arrestato durante la Quaresima dello stesso
anno, pose l'O. nel mirino dell'inquisizione di Papa Paolo III
(1534-1549). Nel 1542 gli fu proibito di predicare da parte del nunzio
apostolico di Venezia: si recò quindi a Verona, dall'amico, il vescovo Gian
Matteo Giberti, e qui lo raggiunse la convocazione a Roma da
parte dell'Inquisizione del cardinale Gian Pietro Carafa, il futuro Papa
Paolo IV (1555-1559).
L'esilio in Svizzera Nell'agosto dello
stesso 1542 O. si avviò alla volta di Roma, ma i due colloqui avuti lungo la
strada con un morente Gasparo Contarini a Bologna e un decisivo incontro con
Vermigli a Firenze, gli fecero maturare la decisione di prendere, assieme a
Vermigli stesso, la via dell'esilio in Svizzera. Dopo una breve sosta a casa
della duchessa Caterina Cibo, dove gettò il saio, O. si rifugiò a cavallo,
vestito da laico, dapprima a Morbegno (nella Valtellina sotto il cantone
protestante dei Grigioni dal 1512), e poi a Ginevra, dove Calvino lo mise a
capo della comunità dei riformatori italiani esuli. A proposito della fuga in
Svizzera del Vermigli e dell'O., Marcantonio Flaminio commentò pubblicamente
nell'autunno 1542 "ch'erano partiti gli apostoli d'Italia" . La fuga di O.
fece un enorme scalpore in tutta l'Italia: Carafa lo paragonò alla caduta di
Lucifero. O. era infatti ammirato, addirittura venerato, dai potenti, come,
sopra riportato, lo stesso imperatore Carlo V, da vescovi e da cardinali e lo
shock per la sua fuga ed implicita ammissione della conversione alla Riforma
fu grandissimo. A Ginevra, nello stesso 1542, O. fece stampare le sue opere
principali, dai primi volumi delle Prediche ai Sette Dialoghi al pasquillo
(un tipo di satira a sfondo religioso) l'Immagine di Antechristo, e qui
conobbe l'umanista savoiardo Sébastien Castellion. All'estero risedette, e
continuò a svolgere la sua attività di predicatore (per chi capiva
l'italiano) dapprima a Basilea (dove venne pubblicato il suo Catechismo nel
1551) nell'agosto 1545, poi a Zurigo, nuovamente a Basilea nel 1546, poi fino
al 1547 a Ginevra, per una terza volta a Basilea ed infine ad Augusta, in
Germania, dove ebbe contatti con Caspar Schwenckfeld: il mistico tedesco
aveva letto i suoi Sette Dialoghi, simpatizzava ed ebbe un intenso scambio
epistolare con il senese. Nel 1546 O. conobbe ad un dibattito pubblico a
Regensburg (Ratisbona) Francesco Stancaro, con cui condivise il rifiuto delle
due nature in Cristo e a cui procurò un lavoro di docente ad Augusta. Il
tono delle prediche dell'O. in questo periodo, oltre ad una netta influenza
calvinista, richiamava vagamente il pensiero di Gioacchino da Fiore: la
suddivisione della storia della religione in tre periodi della legge, la
prima della natura fino a Mosè, la seconda della testimonianza scritta fino a
Gesù, la terza della Grazia e dell'Amore, da Gesù in avanti.
O. in
Inghilterra Dopo la sconfitta nel 1547 della Lega di Smalcalda, formata dai
principi tedeschi luterani, ad opera dell'imperatore Carlo V nella battaglia
di Muhlberg, O. si rifugiò in Inghilterra, a Londra, chiamato
dall'arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer e dal Duca di Somerset Edward
Seymour (1506-1552), Lord Protettore e reggente del trono del nipote, re
minorenne, Edoardo VI (1547-1553). In Inghilterra scrisse Una tragedia del
Libero Arbitrio, o dialogo della preminenza ingiustamente usurpata dal
vescovo di Roma dove O. ipotizzava che il vescovo di Roma era stato eletto da
Lucifero e Belzebù, cioè era una manifestazione dell'Anticristo col preciso
intento di rovinare il Cristianesimo. Ma nel 1553, con l'avvento al trono
d'Inghilterra della regina cattolica Maria Tudor (1553-1558), l'ambiente
favorevole ai riformisti si trasformò ben presto in un incubo: Maria passò
alla storia come la Sanguinaria per le esecuzioni senza pietà di 273 (o 288,
secondo altri autori) protestanti sul rogo.
Nuovamente in
Svizzera O. ritornò allora in Svizzera, arrivando a Ginevra il 28 ottobre
1553, esattamente il giorno dopo il rogo di Michele Serveto. La morte
di quest'ultimo fece levare moltissime voci di protesta, tra cui quelle
degli antitrinitari italiani Giovanni Valentino Gentile, Matteo Gribaldi Mofa
e Celio Secondo Curione, che dovettero emigrare successivamente da quella
che a loro era sembrata la città della tolleranza religiosa. Anche O. decise
di abbandonare Ginevra nel 1554, tuttavia rimase in Svizzera risiedendo
a Chiavenna, Basilea e, nel 1555, a Zurigo. A Zurigo O. fu chiamato per
fare il pastore di una comunità di riformati di Locarno, da dove erano
fuggiti in massa per motivi religiosi, ospitò, appena fuggiti dall'Italia,
Francesco Betti e Jacopo Aconcio, e conobbe Isabella Bresegna (ex moglie di
don Garcia Manrique, governatore di Piacenza) fuggita per motiva religiosi.
Tuttavia proprio da questa città svizzera fu espulso da Johann Heinrich
Bullinger nel dicembre 1563, assieme a Fausto Sozzini, per le sue idee sempre
più "spirituali", ma anche antiecclesiastiche, contro i Sacramenti, e
antitrinitarie, esposte nell'opera Dialogi triginta.
In Polonia e
Moravia Passò l'inverno 1563/4 a Norimberga e nella primavera 1564 si recò
in Polonia, prima a Cracovia, poi nella vicina Pinczòw, presso il
gruppo formato dagli antitrinitari Giorgio Biandrata, Paolo Alciati della
Motta e Giovanni Valentino Gentile. Qui dovette soffrire per la perdita di
due dei suoi tre figli a causa della peste. Tuttavia, pochi mesi dopo,
nell'agosto 1564, dietro le pressioni del nunzio apostolico, cardinale
Giovanni Francesco Commendone (1523-1584), il re Sigismondo II Iagellone,
detto Augusto (re di Polonia 1548-1572) emise l'editto di Parczòw, che
stabiliva l'espulsione di tutti gli stranieri non cattolici. L'ennesima
emigrazione portò l'oramai vecchio (78 anni) e deluso riformatore a Slavkov
(Austerlitz), in Moravia, presso Niccolò Paruta, in casa del quale O. morì
nel febbraio 1565. Alcuni autori hanno voluto vedere in quest'ultima
residenza una tardiva conversione all'anabattismo o al hutterismo, è più
probabile che si trattasse semplicemente del desiderio di trovare
l'ospitalità presso un connazionale antitrinitario, dottrina alla quale egli
si era già uniformato, secondo quanto riferito da Marcantonio
Varotta.
Sabbatarianismo e semisabbatarianismo (XVII
secolo)
Origini L'usanza di considerare il sabato come giorno
santo di riposo, tipica degli ebrei, quando veniva applicata da cristiani era
detta Sabbatarianismo, e fu usuale per i primi cristiani fino al Concilio di
Laodicea del 384, dove ai fedeli venne ordinato, pena la scomunica per i
dissidenti, di santificare la domenica come giorno di riposo. In questa
pratica dei cristiani bisogna distinguere tra sabbatariani
e semisabbatariani: i primi infatti credevano che il sabato era il
giorno prescelto (il settimo giorno della Genesi), dove l'uomo, come aveva
fatto Dio, doveva rigorosamente astenersi da qualsiasi lavoro manuale, mentre
i secondi pensavano che questa funzione la poteva svolgere anche il giorno
di domenica. Anche dopo il 384, questa abitudine non scomparve del tutto
rimanendo in alcune particolari situazioni, come per esempio nella chiesa
celtica irlandese del VI secolo, dove vennero riconosciuti come festività
da santificare sia il sabato che la domenica e la Chiesa copta d'Etiopia,
che tuttora santifica il sabato. Nel XIII secolo il grande filosofo e
teologo Alberto Magno (ca.1193-1280) suggerì la separazione tra il
comandamento morale di rispettare il settimo giorno di riposo dopo sei di
lavoro e il simbolo dello specifico giorno di sabato, applicabile solo alla
religione giudaica. Ed arriviamo al XVI secolo, quando gli unitariani in
Europa orientale adottarono il s., che riprese vigore spandendosi per tutta
l'Europa della Riforma, nonostante le feroci critiche sia di Lutero che di
Calvino,
Il sabbatarianismo in Inghilterra (XVII
secolo) Attraverso i suddetti unitariani ed alcuni anabattisti olandesi, il
s. si diffuse in Inghilterra durante il regno di Elisabetta I (1558-1603), e
fu pubblicato nel 1595 il trattato del reverendo dissidente Nicholas Bound,
dal titolo True doctrine of the Sabbath (la vera dottrina del Sabato). La
controversia riprese con vigore durante il regno di Giacomo I (1603-1625), il
quale fece pubblicare The Book of Sports (il libro degli sport) nel 1618, che
stabiliva le attività ricreative (tra cui il tiro con l'arco e la danza)
permesse di domenica: il libro venne ripubblicato da Carlo I (1625-1649) nel
1633. Il s. si diffuse durante questo periodo grazie all'operato di John
Traske e di Theophilus Brabourne.
John Traske (ca. 1585-1636) John
Traske, un ex maestro di scuola di East Coker, vicino a Yeovil
(nel Somerset), fu ordinato nel 1611 ed aderì alle idee s. già prima della
sua ordinazione. Dopo aver scontato un periodo di prigione nel 1615 per
aver pubblicato scritti sul s., egli fondò a Londra nel 1617 una
congregazione s., che successivamente fu denominata traskita dal suo
nome. I traskiti credevano nel rispetto letterale del 4° comandamento
e praticavano anche alcune abitudini dietetiche ebraiche, ma ben presto
furono perseguitati e il loro stesso capo dovette soffrire nuovamente nel
1618 per un processo ed una successiva severa condanna, che gli fu condonata
solo in seguito ad una sua totale abiura. Negli anni successivi, tra il
1620 ed il 1630, pare che Traske si limitasse a predicare il calvinismo nelle
contee inglesi del Devon e del Dorset, mentre è poco chiaro se avesse
proseguito nelle sue convinzioni sabbatariane. E' certo comunque che dopo
pochi anni dal suo rientro a Londra, fu arrestato su ordine dell'Alta Corte
di Commissione nel 1636 e imprigionato per reiterazione delle convinzioni
sabbatariane, benché egli negasse ogni suo coinvolgimento. Rilasciato in
quanto già gravemente malato, Traske morì nello stesso 1636. In realtà a
prendere il comando della setta era stata la moglie di Traske, Dorothy, che
non aveva affatto abiurato al contrario del marito: fu arrestata e
imprigionata fino alla sua morte, avvenuta nel 1645.
Theophilus
Brabourne (1590-1662) Theophilus Brabourne, un prete anglicano di Norwich,
ordinato nel 1621, non iniziò, al contrario di Traske, una sua setta, ma
cercò di incorporare le usanze ebraiche concernenti il Sabbath nelle pratiche
della Chiesa d'Inghilterra. Egli pubblicò diversi lavori sull'argomento e
nel 1634 fu inquisito sulle sue convinzioni, ma riuscì ad arrivare ad un
accordo con le autorità ecclesiastiche anglicane, a fronte di una sua
esplicita dichiarazione di ortodossia religiosa e gli fu quindi permesso di
ritornare a predicare in Norwich nel 1635. Nel 1648, dopo aver ricevuto una
cospicua eredità, Brabourne lasciò il sacerdozio per dedicarsi a tempo pieno
ai suoi studi. Brabourne morì nel 1662 e nei suoi ultimi lavori, dimostrò di
aver oramai modificato le sue prime idee sul
sabbatarianismo.
Altre tendenze sabbatariane e
semisabbatariane Nel XVII secolo il semisabbatarianismo ebbe un certo
successo presso i Puritani, che imposero la rigorosa osservanza del giorno di
riposo di Domenica con atti parlamentari durante la repubblica, o
Commonwealth (1649-1660), mentre l'usanza legata al riposo di Sabato fu
popolare presso altri movimenti protestanti inglesi del XVII secolo, come gli
indipendenti, alcuni battisti (sia generali che particolari), che si
denominarono Battisti del Settimo Giorno, ed i
quinto-monarchisti. Soprattutto con questi ultimi, i s. ebbero dei stretti
contatti, risultati poi molto imbarazzanti dopo la fallita insurrezione,
organizzata dal capo quinto-monarchista Thomas Venner nel gennaio 1661.
Venner e gli altri capi della rivolta furono decapitati e le successive
repressioni perseguitarono anche i s. Il s. riuscì a sopravvivere
episodicamente fino al XVIII secolo, mentre la versione domenicale (o
semisabbatariana) ebbe alti e bassi: per esempio nel 1781 l'editto Lord's Day
Observance Act (atto di osservanza del giorno del Signore) proibiva
l'apertura di domenica dei posti di divertimento. Ovviamente oggigiorno c'è a
riguardo una tendenza ad un maggiore permissivismo, sebbene sia significativo
che fino a pochi anni fa tutte le partite di calcio in Inghilterra venivano
rigorosamente giocate di sabato.
Trissino, Alessandro
(1523-1609)
Alessandro Trissino nacque a Vicenza nel 1523, figlio
naturale di Giovanni Trissino, esponente di una delle famiglie nobili più in
vista della città. Grazie al cugino Giulio Trissino (1504-1576), figlio
dell'umanista Gian Giorgio (1478-1550) e personaggio di spicco del movimento
calvinista vicentino, T. frequentò l'Accademia di Vicenza, assistendo alle
lezioni dei professori Fulvio Pellegrino Morato e Francesco Malchiavelli,
noti per la forte propaganda anticlericale che facevano mediante la lettura
ai loro allievi di testi della Riforma , come la Christianae religionis
institutio di Calvino. Già ben orientato verso la Riforma, all'Accademia T.
fece la conoscenza di Giovanni Battista Trento, che divenne in seguito un suo
amico e confratello in fede. Dopo il periodo all'Accademia di Vicenza, T.
si trasferì all'università di Padova per studiare legge e qui poté
frequentare i gruppi clandestini luterani, che gravitavano intorno
all'ambiente universitario. Nel 1558 T. lasciò gli studi e entrò nella
carriera diplomatica, diventando nunzio di Vicenza a Venezia, ma anche nella
città lagunare continuò nell'opera di propaganda religiosa e di catalizzatore
di gruppi sociali o culturali, sia nobili che di livello più umile, dove si
discuteva sì di tutto, dall'alchimia al potere papale, dalla magia alla
polemica sul culto dei santi, ma sempre con un forte interesse verso
l'evangelismo. Simili riunioni si tenevano anche a Vicenza città o in
provincia, a Lanzé, nella villa della famiglia Trissino, dove si faceva
vedere spesso l'amico Giovanni Battista Trento, dal 1557 residente a Ginevra
e ufficialmente commerciante in pelli: in realtà, egli faceva proselitismo
attivo per le idee riformate e teneva contatti con i confratelli nel Veneto,
facendo inviare ai suoi referenti commerciali, i fratelli Pellizzari,
mercanti in Vicenza, massicce spedizioni di Bibbie riformate, opportunamente
occultate sotto balle di pelli. Ma all'inizio del gennaio 1563 un
controllo effettuato a Como su una spedizione di merce indirizzata proprio ai
Pellizzari fece scoprire alcune lettere parte di un carteggio consolidato tra
i calvinisti di Vicenza e quelli di Lione e Ginevra, tra cui una firmata
dallo stesso T. Arrestato e torturato per farlo confessare, T. fu poi
provvisoriamente trattenuto agli arresti domiciliari, presso la casa di
Francesco Trissino, ma da qui, con l'aiuto del confratello Giovanni Domenico
Roncalli, avvocato e membro dell'Accademia degli Addormentati a Rovigo,
riuscì ad evadere il 31 maggio 1563 e a riparare a Chiavenna. Giusto in
tempo: il 7 marzo 1564 egli fu condannato in contumacia come eretico, con
l'aggravante della fuga, e bruciato in effige sul rogo. A Chiavenna T.,
oramai inserito nella comunità riformata locale, ne diventò il pastore,
amministrando con tolleranza, come nel 1568, quando fece da mediatore a
favore della riammissione dell'anabattista modenese Giovanni Bergomozzi, che
era stato espulso dalla comunità. Il 20 luglio 1570 egli inviò ai confratelli
in Italia il Ragionamento della necessità di ritirarsi a vivere nella Chiesa
visibile di Gesù Cristo, lasciando il papesimo, pochi giorni dopo la condanna
di Aonio Paleario al rogo. L'amareggiato e rassegnato riformato vicentino era
convinto che non era più possibile organizzare delle comunità evangeliste in
Italia e che anche l'atteggiamento nicodemitico era perdente: l'unica
alternativa era l'esilio. Nel 1573 T. si iscrisse alla Chiesa Italiana di
Ginevra insieme all'amico e confratello Odoardo da Thiene [amico intimo del
famoso architetto Andrea Palladio (1508-1580), con il quale mantenne contatti
epistolari anche dopo la sua fuga a Heidelberg nel 1563], e nella città
svizzera visse per 36 anni, morendo nel 1609.
Trissino, Alessandro
(1523-1609)
Alessandro Trissino nacque a Vicenza nel 1523, figlio
naturale di Giovanni Trissino, esponente di una delle famiglie nobili più in
vista della città. Grazie al cugino Giulio Trissino (1504-1576), figlio
dell'umanista Gian Giorgio (1478-1550) e personaggio di spicco del movimento
calvinista vicentino, T. frequentò l'Accademia di Vicenza, assistendo alle
lezioni dei professori Fulvio Pellegrino Morato e Francesco Malchiavelli,
noti per la forte propaganda anticlericale che facevano mediante la lettura
ai loro allievi di testi della Riforma , come la Christianae religionis
institutio di Calvino. Già ben orientato verso la Riforma, all'Accademia T.
fece la conoscenza di Giovanni Battista Trento, che divenne in seguito un suo
amico e confratello in fede. Dopo il periodo all'Accademia di Vicenza, T.
si trasferì all'università di Padova per studiare legge e qui poté
frequentare i gruppi clandestini luterani, che gravitavano intorno
all'ambiente universitario. Nel 1558 T. lasciò gli studi e entrò nella
carriera diplomatica, diventando nunzio di Vicenza a Venezia, ma anche nella
città lagunare continuò nell'opera di propaganda religiosa e di catalizzatore
di gruppi sociali o culturali, sia nobili che di livello più umile, dove si
discuteva sì di tutto, dall'alchimia al potere papale, dalla magia alla
polemica sul culto dei santi, ma sempre con un forte interesse verso
l'evangelismo. Simili riunioni si tenevano anche a Vicenza città o in
provincia, a Lanzé, nella villa della famiglia Trissino, dove si faceva
vedere spesso l'amico Giovanni Battista Trento, dal 1557 residente a Ginevra
e ufficialmente commerciante in pelli: in realtà, egli faceva proselitismo
attivo per le idee riformate e teneva contatti con i confratelli nel Veneto,
facendo inviare ai suoi referenti commerciali, i fratelli Pellizzari,
mercanti in Vicenza, massicce spedizioni di Bibbie riformate, opportunamente
occultate sotto balle di pelli. Ma all'inizio del gennaio 1563 un
controllo effettuato a Como su una spedizione di merce indirizzata proprio ai
Pellizzari fece scoprire alcune lettere parte di un carteggio consolidato tra
i calvinisti di Vicenza e quelli di Lione e Ginevra, tra cui una firmata
dallo stesso T. Arrestato e torturato per farlo confessare, T. fu poi
provvisoriamente trattenuto agli arresti domiciliari, presso la casa di
Francesco Trissino, ma da qui, con l'aiuto del confratello Giovanni Domenico
Roncalli, avvocato e membro dell'Accademia degli Addormentati a Rovigo,
riuscì ad evadere il 31 maggio 1563 e a riparare a Chiavenna. Giusto in
tempo: il 7 marzo 1564 egli fu condannato in contumacia come eretico, con
l'aggravante della fuga, e bruciato in effige sul rogo. A Chiavenna T.,
oramai inserito nella comunità riformata locale, ne diventò il pastore,
amministrando con tolleranza, come nel 1568, quando fece da mediatore a
favore della riammissione dell'anabattista modenese Giovanni Bergomozzi, che
era stato espulso dalla comunità. Il 20 luglio 1570 egli inviò ai confratelli
in Italia il Ragionamento della necessità di ritirarsi a vivere nella Chiesa
visibile di Gesù Cristo, lasciando il papesimo, pochi giorni dopo la condanna
di Aonio Paleario al rogo. L'amareggiato e rassegnato riformato vicentino era
convinto che non era più possibile organizzare delle comunità evangeliste in
Italia e che anche l'atteggiamento nicodemitico era perdente: l'unica
alternativa era l'esilio. Nel 1573 T. si iscrisse alla Chiesa Italiana di
Ginevra insieme all'amico e confratello Odoardo da Thiene [amico intimo del
famoso architetto Andrea Palladio (1508-1580), con il quale mantenne contatti
epistolari anche dopo la sua fuga a Heidelberg nel 1563], e nella città
svizzera visse per 36 anni, morendo nel 1609.
Agrippa di
Nettesheim, Heinrich Cornelius (1486-1535)
La vita Heinrich
Cornelius Agrippa von Nettesheim, famoso alchimista, medico, mago, teologo e
filosofo tedesco, nacque il 14 Settembre 1486 a Colonia dalla ricca e nobile
famiglia Von Nettesheim. Originariamente il suo nome era Heinrich Cornelis,
ma egli decise di latinizzare Cornelis in Cornelius e di aggiungere il nome
Agrippa in onore del fondatore romano della città di Colonia (la Colonia
Agrippina dell'impero romano). Nel 1499, a soli 13 anni, A. si iscrisse nella
facoltà di arti all'università di Colonia, ottenendone il relativo
baccalaureato nel 1502 e nel 1506 entrò al servizio dell'imperatore
Massimiliano d'Asburgo (1493-1519) come segretario della corte. Nel 1506
stesso, A. si recò a studiare a Parigi, dove fondò una confraternita segreta
per la pratica delle scienze occulte e, in seguito (nel 1507-08), viaggiò in
Spagna (a Barcellona e nelle isole Baleari). Nel 1509 A. iniziò a tenere
delle lezioni sul De verbo mirifico di Johannes Reuchlin all'università di
Dôle (nella Borgogna), ma fu costretto a lasciare la città nel 1510, dopo
essere stato pubblicamente accusato di eresia, a causa dei suoi insegnamenti
eterodossi, da parte di Jean Catilenet, capo dell'ordine dei Francescani
della Borgogna. In quel frangente, A. fu provvidenzialmente mandato da
Massimiliano I in missione in Inghilterra, presso re Enrico VIII (1509-1547),
il quale venne convinto da A. ad allearsi con l'imperatore nella Lega Santa,
contro Luigi XII di Francia (1498-1515). In Inghilterra A. riuscì a
completare la stesura del suo De occulta philosophia, nel quale iniziò ad
accostarsi alla Cabbala, molto probabilmente in seguito all'influenza di
famosi studiosi quali l'abate Johannes Tritemius (Heidenberg) di Sponheim
(1462-1516), abate del monastero di St. Jakob, presso Würzburg, presso il
quale A. aveva risieduto per qualche mese. Nel 1511 il poliedrico A.
intraprese la carriera militare, entrando nell'esercito dell'imperatore
Massimiliano I d'Asburgo, dove si distinse combattendo per la Lega di Cambrai
(Spagnoli ed Asburgici) contro la Repubblica di Venezia e guadagnandosi in
breve tempo i gradi di Capitano: fu successivamente nominato Cavaliere per
atti di coraggio. Sempre nel 1511 egli partecipò in qualità di teologo al
sinodo di Pisa, convocato da nove cardinali, appoggiati da Luigi XII di
Francia in aperto conflitto con il Papa Giulio II (1503-1513), ma ciò costò
ad A. una scomunica, comminata peraltro a tutti i partecipanti del sinodo da
parte di Giulio II: tuttavia tale condanna gli fu successivamente condonata
dal successivo pontefice, Leone X (1513-1521), suo fervente
ammiratore. Dal 1512 A. iniziò ad insegnare all'università di Pavia, dove nel
1515 egli istituì una accademia per lo studio delle scienze occulte, tenendo
delle lezioni su Ermete Trismegisto, e dove trovò perfino il tempo per
laurearsi in legge e medicina. Nel 1518-1519 egli si distinse come
avvocato e oratore a Metz, in Francia, dove si scontrò con l'Inquisizione per
aver preso le difese di presunte streghe. Sempre a Metz A. si mise in luce
difendendo con successo Jacques Le Fèvre d'Etaples, ma in seguito a ciò fu
costretto ad emigrare in Svizzera. Qui, dal 1521 al 1523 A. praticò l'arte
medica e la sua fama gli permise, nel 1524, di diventare a Lione medico
personale di Luisa di Savoia, madre del re Francesco I di Francia
(1515-1547). Tuttavia, dopo poco, A. cadde in disgrazia e perse i favori
della Regina Madre per essersi rifiutato di compilarle un
oroscopo. Comunque, a permettere nel 1528 ad A. di risiedere in Anversa (dove
si guadagnò la fama di medico miracoloso), di pubblicare le sue opere e
di riprendere i suoi esperimenti di alchimia, fu un'altra grande
protettrice, Margherita d'Asburgo, figlia dell'imperatore Massimiliano I e
artefice, assieme alla già citata Luisa di Savoia, della pace di Cambrai del
1529, detta appunto delle Due Dame. Nel 1530 A. scrisse il suo De
incertitudine et vanitate scientiarum et artium, e pubblicò il De occulta
philosophia, con i quali si alienò i favori degli accademici dell'università
Sorbona di Parigi, i quali gli fecero una guerra spietata, riuscendo perfino
a farlo imprigionare. A questo si aggiunse oltretutto un crescente
atteggiamento ostile da parte dell'imperatore Carlo V, soprattutto dopo la
morte nel 1530 della protettrice di A., Margherita d'Asburgo. A. fu infine
attaccato dai monaci di Lovanio, per le sua denuncie contro la venerazione
dei santi e delle reliquie e per il suo ostinato richiamo ad un ritorno alla
lettura delle Sacre Scritture originarie. Nel 1533, Carlo V, istigato dai
Domenicani, condannò A. a morte (pena che fu solo successivamente commutata
in una condanna all'esilio) per eresia, ma questi fuggì in Francia. Qui egli
fu incarcerato, non si sa se per debiti o per lo sgarbo fatto alla madre del
re Francesco I, ma in seguito fatto liberare da alcuni amici. A. si recò
quindi a Lione, dove però non giunse mai perché morì, povero in canna, a
Grenoble il 18 Febbraio 1535, mentre era ospite di un importante cittadino
della città francese. Dopo la sua morte, si moltiplicarono le leggende più
fantastiche a testimonianza del grande alone di mistero e magia, che circondò
questo studioso, il quale ebbe, fra l'altro, una grande influenza su un
altro famoso studioso eterodosso di qualche anno dopo: Giordano
Bruno.
Il pensiero A. fu un dotto esponente della scuola
magico-astrologica. Egli credeva che l'universo fosse un essere vivente
dotato di un corpo e di un'anima. Il corpo, a sua volta, era formato di
quattro elementi: terra, aria, fuoco e sangue, che concorrevano a formare gli
oggetti. Poiché, secondo A., gli oggetti erano dotati di poteri occulti,
attraverso la magia era possibile dominare la natura. Tuttavia per
comprendere l'universo in pieno, per A. erano comunque sempre necessari la
fede ed il misticismo.
Zizka, Jan (ca. 1360-
1424)
Jan Trocznowski, detto Zizka, era nato nel 1360 ca. a
Trocznow, nella Boemia meridionale, da una famiglia della nobiltà minore
ceca. In gioventù Z. aveva intrapreso la carriera militare diventando un
cavaliere alla corte di re Venceslao IV (1378-1419) detto il Pigro, e
distinguendosi successivamente al servizio del re di Polonia, Ladislao II
Jagellone (1386-1434) nella battaglia di Tannenberg del 1410, combattuta e
vinta contro i Cavalieri Teutonici. Probabilmente a questo periodo
risale l'episodio che portò alla perdita di un occhio, da cui il soprannome
di Zizka, cioè orbo (in ceco). All'inizio delle guerre hussite, Z., che
all'epoca aveva già circa 60 anni, aderì alla fazione dei taboriti, formata
da contadini e poveri, pur essendo lui un nobile, e ne diventò rapidamente il
capo, o meglio il generale, facendo rinforzare come vero accampamento
militare la loro roccaforte di Tabor, una collina vicino alla città di
Serimovo Ústí, nella Boemia meridionale. Nel Luglio 1419 i Taboriti,
condotti da Z., defenestrarono sette magistrati di Venceslao IV, che non
intendevano rilasciare alcuni loro compagni: i giudici trovarono una orribile
morte infilzati sulla punta delle lance dei soldati appostati nel cortile
sottostante. Il mese successivo morì re Venceslao, si dice di crepacuore per
l'accaduto, e suo fratellastro Sigismondo di Lussemburgo (colui che aveva
permesso il rogo di Hus a Costanza), re di Germania dal 1410, si proclamò re
di Boemia e fece invadere la regione nel Marzo 1420, forte di una bolla
papale di Martin o V (1417-1431), che scomunicava tutti gli hussiti,
indicendo una crociata contro essi. La crociata si rilevò un vero
disastro per gli imperiali, più volte sconfitti nel corso del 1420 dalle
truppe hussite sotto il comando di Z., che, in questa occasione, mostrò le
sue notevolissime doti di stratega: infatti riuscì sempre a dare battaglia
portando il nemico su un terreno più adatto alla sua tattica militare. Z.
fu un vero innovatore militare del suo tempo: inventò un antesignano
del carro armato, in sostanza un carro agricolo protetto da una armatura
e rinforzato da piccoli cannoni portatili, che poteva accogliere dei
soldati all'interno e facilmente penetrare attraverso le linee difensive
nemiche. Nel frattempo gli hussiti ebbero a che fare con la setta dissidente
degli adamiti di Martin Huska, detto Loquis, il quale negava la
transustanziazione (la presenza del Corpo di Cristo nell'Eucaristia) e
incoraggiava atroci profanazioni. Per questo Huska fu precedentemente
arrestato, torturato e bruciato sul rogo dentro un barile. Alla lunga il
comportamento degli adamiti disgustò gli hussiti, che nell'Ottobre 1421, li
circondarono nel loro accampamento su un'isola sul fiume Nezàrka e, al
comando di Z., li massacrarono tutti. Alla fine del 1421 un nuovo e più
potente esercito crociato invase la Boemia, ma fu nuovamente sconfitto dalle
truppe di Z. (oramai completamente cieco dal 1421) a Kuttenberg e a
Deutsch-Brod nel Gennaio 1422. Seguì un periodo di incertezze e lotte
intestine al movimento hussita: Z. con le sue truppe prese il controllo della
parte occidentale del paese e la proposta di unire le parti in conflitto
sotto il governatorato di Sigismondo Korybut, delegato del pretendente al
trono, il Granduca di Lituania, Witold, fallì per la sconfitta inflittagli
proprio dalle truppe di Z. nel 1423. Tuttavia, attraverso la mediazione del
predicatore Rokyzana, Korybut e Z. arrivarono ad un accordo e quindi poterono
unire le loro forze per una spedizione contro la Moravia. Tuttavia,
arrivato a Prisbislau, vicino alla frontiera, Z. si ammalò e morì di peste il
14 Ottobre 1424. In seguito alla sua morte, i taboriti si divisero in due
ulteriori gruppi: i seguaci di Z., chiamati Orfani con a capo un tale
Prokupek (Procopius), detto il Piccolo, e i taboriti più estremi, che
scelsero come capo militare il quasi omonimo Andreas Prokop (o Procopius)
(1380-1434), detto il Grande o lo Sbarbato, le cui capacità militari non
fecero comunque rimpiangere la perdita del più grande generale nella storia
della Boemia.
Turrettini, famiglia (XVI e XVII
secolo)
Famiglia di riformatori esuli lucchesi (per la
particolare situazione di Lucca nel XVI secolo, vedi Burlamacchi) del XVI e
XVII secolo, di cui si ricordano:
1) Turrettini, Francesco
(1547-1628) Figlio del gonfaloniere (capo magistrato) Regolo, Francesco
Turrettini, nato a Lucca il 5 maggio 1547, fu il primo della famiglia a
convertirsi alla Riforma. In seguito a questa decisione, F. si trasferì
all'estero, a Lione, Ginevra (dal 1574 al 1579, e dove lo raggiunse la
notizia della sua condanna come eretico e relativa confisca dei suoi beni,
pronunciata a Lucca il 28 febbraio 1578), Anversa (dal 1579 al 1585),
Francoforte, Basilea e Zurigo (dove si rifece una fortuna nel commercio della
seta e sposò nel 1587 Camilla Burlamacchi, figlia di Michele), per stabilirsi
definitivamente a Ginevra nel 1592. Nel 1627 venne accettato come cittadino
di Ginevra ed eletto come membro dei Duecento e del Consiglio dei Quaranta.
Assieme a Pompeo Diodati, Orazio Micheli (n. 1553), Fabrizio Burlamacchi e
Cesare Balbani, F. creò il cartello dei commercianti di seta ginevrini,
denominato La Grande Boutique. Morì nel 1628, alla vigilia di una grave
crisi economica, che segnò il declino dell'industria della seta, quindi la
fortuna dei Turrettini, che comunque sfornò da quel momento non più capaci
mercanti, bensì ottimi teologi riformati.
2) Turrettini, Bénédict
(1588-1631) Figlio primogenito di Francesco, Bénédict (Benedetto) Turrettini,
nato a Zurigo l'8 novembre 1588, era un apprezzato pastore riformato e dal
1612 professore di teologia. Nel 1620 fu delegato a partecipare al sinodo
di Ales, dove sostenne le ragioni di Franz Gomar contro Jacob Arminio e
dove furono introdotte in Francia le decisioni del sinodo di Dordrecht
(tuttavia negli ultimi anni della sua vita eglifu abbastanza tollerante verso
gli arminiani). Ebbe sei figli, di cui il terzogenito fu Francesco (o
François). Morì a Ginevra il 4 marzo 1631.
3) Turrettini,
Francesco (o François) (1623-1687) Il più famoso della famiglia Turrettini,
Francesco (o François), terzogenito di Bénédict, nacque il 17 ottobre 1623 a
Ginevra, dove studiò all'accademia sotto la direzione di Giovanni Diodati,
Friedrich Spanheim (1600-1649), Alexandre Morus (1578-1651) e Theodore
Tronchin (1582-1657). In seguito viaggiò per motivi di studio a Utrecht,
Parigi [dove ebbe come maestri Pierre Gassendi (1592-1655) e David Blondel],
Saumur, Montaubon e Nimes. A Saumur egli fu coinvolto in una disputa
teologica con il teologo Moise Amyraut, fautore dell'universalismo ipotetico
o condizionale (la volontà, cioè, di Dio di salvare tutti a condizione che
essi avessero creduto) contrapposto al concetto calvinista ortodosso della
predestinazione degli eletti. F. ritornò nel 1648 a Ginevra e fu nominato
pastore della locale comunità italiana, mentre nel 1650 egli rifiutò la
nomina alla cattedra di filosofia dell'accademia di Ginevra, e nel 1652 si
recò a Leida come pastore della città, dopo la morte di Aaron Morus
(1624-1652). Richiamato indietro a Ginevra a furor di popolo nel 1653 fu
nominato successore (nel 1657) di Theodore Tronchin come professore di
teologia all'accademia, dove, nella sua attività educatrice, osservò una
rigorosa ortodossia riformata, lottando contro divagazioni arministe o
sociniane. F. fu incaricato diverse volte di svolgere missioni all'estero a
favore della repubblica di Ginevra, come nel 1661-62 quando, per cercare
fondi necessari alla fortificazione delle mura della città svizzera, si
recò presso gli Stati Generali in Olanda. Qui fu invitato a stabilirsi,
ma rifiutò per ritornare a svolgere un'attività di intermediazione a
Ginevra, dove l'arminista Louis Trochin (1629-1705) (il figlio di Theodore)
stava contestando la crescente intransigenza della Venerabile Compagnia
dei Pastori. Nel 1669 F. si sposò con Isabelle de Masse e dal matrimonio
nacquero 4 figli, di cui sopravvisse solo l'ultimo, Jean Alphonse. Nel
1675 F. fu autore, assieme a Johann Heinrich Heidegger (1633-1698) di Zurigo,
Lukas Gernler (1625-1676) di Basilea ed ad altri riformatori, della Formula
consensus Ecclesiarum Helveticarum Reformatarum, la confessione di fede
calvinista, risposta ortodossa all'amyraldismo e che, dal 1679, i pastori e i
professori dell'accademia ginevrina dovevano
obbligatoriamente sottoscrivere. Gli ultimi anni della sua vita furono
amareggiati dalle notizie delle persecuzioni dei valdesi da parte dei Duchi
di Savoia [Vittorio Amedeo II di Savoia (1675-1732) emise nel 1686 un editto,
che stabiliva l'espulsione o la conversione forzata dei protestanti
piemontesi] e degli ugonotti in Francia, dopo la revoca nel 1685 dell'editto
di Nantes. F. morì a Ginevra il 28 settembre 1687. La sua attività
letteraria comprende la monumentale opera principale Institutio Theologiae
Elencticae (1679-82), diversi sermoni (1674), i studi sulla Giustificazione
di Cristo (1666), il trattato I papisti e le rivendicazioni dei riformati
(1664).
4) Turrettini, Jean Alphonse (1671-1737) L'unico figlio
sopravvissuto di François, Jean Alphonse nacque a Ginevra il 13 agosto 1671 e
studiò con il teologo arminista Louis Trochin, il filosofo cartesiano Jean
Robert Chouet (1642-1731) e gli storici Friedrich Spanheim e Jacques Bénigne
Bossuet (1627-1704). Conclusi brillantemente i suoi studi nel 1691, egli fece
un viaggio di studi in Olanda, in Inghilterra a Cambridge, conoscendo, fra
gli altri, Isaac Newton (1642-1727), e in Francia, dove venne influenzato
dalle idee di Nicholas Malebranche (1638-1715). Ritornato a Ginevra per
motivi di salute, nel 1693, all'età di 22 anni entrò a far parte della
Venerabile Compagnia dei Pastori e nel 1697 accettò l'offerta di un
professorato di Storia Ecclesiastica e successivamente, nel 1705, quella di
docente di Teologia. Il suo nome fu legato al periodo di liberalizzazione
della disciplina ecclesiastica calvinista (fu uno dei principali artefici
nell'abolizione nel 1706 del Consensus Helveticus, tanto voluto da suo
padre), all'apertura dell'accademia ginevrina a materie non ecclesiastiche,
come la matematica, e alle variazioni introdotte nella liturgia rigidamente
riferita agli insegnamenti di Calvino. Fu uno dei più grandi pensatori
irenici calvinisti dell'epoca e i suoi sforzi, che ricordavano un po' quelli
del teologo luterano Georg Callisen (Calixtus), per una riunificazione con le
altre anime del protestantesimo (luteranesimo e anglicanesimo)
interessarono personaggi come il re di Prussia, Federico I (1701-1713), il
filosofo Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) e l'arcivescovo anglicano
di Canterbury William Wake (1657-1737). Nella sua opera più famosa, la
Nubes testium pro moderato et pacifico de rebus theologicis judicio, et
instituenda inter Protestantes concordia del 1719, egli cercò di distinguere
fra dottrine fondamentali e sostanziali e insegnamenti protestanti non
essenziali: solo i primi, punti fondamentali della fede, erano veramente
necessari, per il resto era possibile trovare un accordo a patto che si
ricorresse di più alla tolleranza ed al dialogo con le altre
confessioni. J. morì a Ginevra il 1 maggio 1737.
Vergerio, Pier
Paolo, vescovo di Capodistria (1498-1565)
I primi anni Pier
Paolo Vergerio nacque nel 1498 a Capodistria, ai tempi parte della Repubblica
di Venezia, da una famiglia nobile impoverita, che contava tra i propri avi
l'umanista Pier Paolo Vergerio senior (1370-1444), in onore del quale il
padre di V., Girolamo, diede il nome al più famoso dei suoi otto figli. A
causa della situazione economica non certa agevole della famiglia, ben cinque
figli di Girolamo furono avviati alla carriera al servizio della Chiesa:
Giacomo (frate francescano), Aurelio [m. 1532, segretario di Papa Clemente
VII (1523-1534)], Giovanni Battista (m. 1548, vescovo di Pola), Coletta
(suora) e il nostro Pier Paolo. Questi, dopo un periodo di studi a Venezia,
si iscrisse alla facoltà di legge a Padova nel 1517 e il 21 maggio 1524 si
laureò in diritto civile. Successivamente V. continuò a risiedere come
procuratore legale a Padova, dove frequentò il circolo culturale raccolto
intorno al poeta e futuro cardinale Pietro Bembo, protagonista, assieme al
grecista di origine albanese Nicolaus Leonicus Thomaeus (Niccolò Leonico
Tomeo) (1456-1531), del primo lavoro di V., il dialogo De republica
Veneta.
V. al servizio del papato Nel 1526 V. sposò Diana
Contarini, ma la moglie morì solo un anno dopo e nel 1532, seguendo il
fratello Aurelio, segretario di Papa Clemente VII, egli si recò a Roma, dove
entrò, anch'egli, come segretario al servizio del pontefice. Alla morte di
Aurelio nel settembre 1532, Clemente VII diede a V. il ruolo di segretario
del codice e del cifrario segreto, che era stato del fratello defunto. Ma
V. non poté godere della sua nuova posizione, perché fu
immediatamente mandato, nell'ottobre dello stesso anno, in missione a Venezia
per cercare di convincere la Serenissima ad entrare in un'alleanza
anti-turca. Cambiate le priorità di tema di politica estera del papato, nella
primavera 1533 V. fu inviato a Vienna come nunzio pontificio presso
Ferdinando I, arciduca d'Austria (arciduca, poi imperatore: 1521-1564), che
lo accolse favorevolmente e lo convinse di intercedere, presso la Santa Sede,
a favore di una pace stipulata con i turchi, respinta da Clemente
VII. Significative di questo periodo furono le lettere scambiate tra V. e
il protonotario apostolico Pietro Carnesecchi (entrambi avrebbe aderito
in seguito alla Riforma) su come fermare il dilagare dell'eresia
luterana! Nel 1534 morì Clemente VII ed il nuovo papa Paolo III (1534-1549)
inviò V. nel 1535 in Germania con lo scopo di indagare sul gradimento dei
principi tedeschi della sede di Mantova per il concilio, che il papa
voleva convocare. V. ebbe anche un incontro con Martin Lutero a Wittenberg
nel novembre dello stesso anno, ma non ne fu affatto
impressionato favorevolmente, anzi lo considerò uno spaccone, pronto ad
accusare il papa ad ogni occasione, e che - secondo V. - sarebbe stato
ridimensionato, una volta fosse stato pubblicamente condannato durante il
concilio.
Vescovo di Capodistria Rientrato in Italia nel 1536, nel
maggio dello stesso anno, probabilmente dopo essere stato ordinato e
consacrato vescovo, V. fu ricompensato con il piccolo vescovado di Modrus (o
Modrussa), vicino a Fiume, in Croazia, tuttavia, grazie all'intermediazione
di Ferdinando I, in settembre, gli fu offerto quello, strategicamente più
interessante, di Capodistria, sebbene sulla sede istriana, già piuttosto
povera di proventi (circa 200 ducati l'anno), gravava oltretutto l'obbligo di
pagare una lauta pensione di 50 ducati al segretario del cardinale Alessandro
Farnese (1520-1589), il capodistriano Antonio Elio. Farnese, nipote di
Paolo III, sarebbe diventato negli anni successivi uno dei principali
accusatori di V. Questa situazione amareggiò moltissimo il neo-eletto
vescovo, i cui tentativi di ribellarsi da questo pesante giogo furono
bloccati dal nunzio apostolico a Venezia, Girolamo Verallo [1497-1555, zio
del futuro papa Urbano VII (1590)], dal cardinale Farnese e perfino da Paolo
III in persona: V. meditò allora di rinunciare alla diocesi e nel frattempo
fece diversi viaggi tra il 1536 ed il 1541.
V. e gli
spirituali Fu così che egli conobbe a Mantova il cardinale Ercole Gonzaga
(1505-1563), simpatizzante per la corrente degli ecclesiastici spirituali,
attraverso il quale V. apprese le predicazioni di Bernardino Ochino, ma
soprattutto a Roma nel 1539 entrò in contatto con i cardinali Gasparo
Contarini e Reginald Pole, con Alvise Priuli, Vittoria Colonna e Marcantonio
Flaminio. Nel marzo 1540, al seguito del cardinale Ippolito d'Este
(1509-1572), egli intraprese in viaggio verso la Francia, passando prima da
Ferrara, dove conobbe Renata d'Este, cognata del cardinale Ippolito e nota
protettrice dei riformati, in quanto di fede calvinista ella stessa. In
Francia, V. fu incaricato dal re Francesco I (1515-1547) di presiedere
al Colloquio di religione di Ratisbona dell'aprile 1541, che doveva
sviluppare un documento comune tra cattolici e protestanti e al quale
partecipò anche Gasparo Contarini, come legato pontificio. Qui ebbe la
possibilità di conoscere i principali riformatori del momento, come
Melantone, Bucero e Jakob Sturm (1489-1553).
Primi sospetti sulla
sua ortodossia Finalmente nell'estate 1541 V. rientrò nella sua diocesi di
Capodistria, dove lottò contro gli abusi e si dedicò al miglioramento
disciplinare del proprio clero, ma si mise in contrasto con i propri
superiori, come il nunzio apostolico a Venezia, Giorgio Andreassi. Ma
cresceva nel frattempo il suo impegno riformatore: nel 1542 egli fece
pubblicare a Venezia il suo discorso De unitate et pace Ecclesiae, dove
auspicava la conciliazione di cattolici e protestanti e, in sintonia con il
fratello Giovanni Battista, vescovo di Pola, promulgò la diffusione del
Beneficio di Christo, di Benedetto Fontanini da Mantova nella sua diocesi, e
questo aumentò i sospetti di eresia nei suoi confronti: un primo procedimento
fu aperto nei suoi confronti il 13 dicembre 1544, ma fu poi
prosciolto. Nel dicembre 1545 V. visitò Brescia, dove fu ospite di Fortunato
Martinengo, ma il suo viaggio fu interpretato dai suoi nemici, soprattutto
dal vescovo di Milopotamos e Cheronissa (sull'isola di Creta, in Grecia),
Dionisio Zanettini, detto il Grechetto (vescovo: 1538-1549), come parte della
sua strategia per diffondere l'eresia luterana. Nonostante i crescenti
sospetti sul suo conto, nel gennaio 1546 V. viaggiò alla volta di Trento per
prendere parte al Concilio (lavori ufficiali: 1545-1563), ma la reazione dei
legati pontefici e del cardinale ospitante, Cristoforo Madruzzo (1512-1578),
fu cortese, ma categorica: solo se V. avesse dimostrato la sua estraneità
alle accuse di eresia, sarebbe stato ammesso ai lavori del
Concilio.
V. accusato di eresia Rientrato, deluso, alla sua
diocesi, V. si accorse oramai di essere al centro di un procedimento
ecclesiastico contro di lui. Infatti il 2 giugno 1546 il nunzio apostolico
Giovanni Della Casa (1503-1556) lo mise ufficialmente sotto accusa ed egli fu
interrogato davanti al Tribunale dell'Inquisizione, dove si batté
strenuamente per essere riconosciuto innocente, nonostante l'offensiva
inesorabile del cardinale Farnese e dei suoi alleati. Poco dopo, tuttavia,
avvenne l'episodio, che si può definire, parafrasando la vita di Lutero,
l'esperienza della torre (Turmerlebnis) del prelato di Capodistria: egli
infatti assistette all'agonia di Francesco Spiera, l'avvocato di Cittadella
(vicino a Padova), che, dopo essere stato costretto ad abiurare, si era
convinto di aver tradito Gesù Cristo e il Vangelo, e di essere destinato alla
dannazione eterna, entrando quindi in una profonda depressione, e ammalandosi
rapidamente. Nonostante le cure dei medici e il conforto di V., accorso al
suo capezzale, Spiera morì il 27 dicembre 1548, schiacciato dal rimorso, a
soli 46 anni. L'episodio dell'avvocato di Cittadella (raccontata poi nella
sua opera Historia di Francesco Spiera del 1551), unito alla morte dell'amato
fratello Giovanni Battista (al quale successe, come vescovo di Pola, proprio
Antonio Elio, il protetto del cardinale Farnese!), diede a V. la forza di
prendere la via dell'esilio: il 1 maggio 1549 V. fuggì dall'Italia per
giungere, due settimane dopo, a Chiavenna, dal 1512 parte del cantone
protestante dei Grigioni. Nel frattempo, egli fu condannato (in contumacia)
per eresia a Roma il 3 luglio 1549 sulla base di 34 capi
d'accusa.
V. in Svizzera Nel Cantone Grigioni egli fu accolto
calorosamente dalla comunità riformata locale, formata da fuoriusciti
italiani, come il pastore di Chiavenna Agostino Mainardi, l'ex predicatore
agostiniano Giulio Della Rovere o l'uman ista sardo Sigismondo Arquer. In
seguito V. si recò a Coira per conoscere i capi delle chiese protestanti del
cantone, poi si stabilì a Poschiavo, dove operava Dolfino Landolfi, unico
stampatore italiano protestante della Valtellina e che pubblicò diversi
scritti che l'ex vescovo di Capodistria si era portato con sé nella fuga.
Altre importanti opere, come i Dodici trattatelli o le Otto difesioni furono
invece pubblicate a Basilea all'inizio del 1550. Nello stesso periodo, con
sorprendente umiltà, accettò di diventare pastore della chiesa riformata di
Vicosoprano, in Val Bregaglia, che trasformò in una valle di sicura fede
riformata. Nel stesso 1550 conobbe Celio Secondo Curione, nei confronti del
quale comunque sviluppò un'antipatia contraccambiata: V. accusò infatti
l'umanista torinese di essersi convertito all'anabattismo e questo ricambiò
l'attacco, accusando V. di introdurre concetti luterani in zone svizzere di
fede zwingliana. Tuttavia V. non amava le dispute teologiche e le
sottigliezze, che dividevano il mondo protestante: il suo riferimento era
l'irenismo di Melantone. Per questo, esasperato dalle interminabili polemiche
tra Mainardi e l'anabattista Camillo Renato, V. decise di accettare, nel
1553, l'offerta del Duca Christoph del Württemberg (1550-1568) di trasferirsi
a Tubinga come consigliere religioso.
V. in Germania Arrivato
quindi a Tubinga nel 1553, V. trovò un ambiente ideale per lavorare: il
ducato era stato convertito alla Riforma dal moderato luterano Johannes
Brenz. Su incarico del duca, V. viaggiò in Germania, Austria e Polonia (qui
incontrò il principe Alberto di Brandeburgo), dove cercò inutilmente di
riappacificare le varie anime del protestantesimo locale, cioè luterani,
calvinisti e Fratelli Boemi sulla base della Confessio Augustana. Nel 1555
V. venne contattato dall'umanista Olimpia Morato, residente a Heidelberg, che
gli chiese di tradurre il Grande Catechismo di Lutero in italiano, ritenendo
che potesse essere di grande utilità "ai nostri italici, specialmente alla
gioventù" (tuttavia V. non poté esaudire la richiesta). Un'altra esule
italiana, la nobile Isabella Bresegna (moglie di don Garcia Manrique,
governatore di Piacenza), già in contatto con i circoli valdesiani a Napoli,
fu successivamente convertita alla Riforma ed andò esule in Germania proprio
presso l'ex vescovo di Capodistria. Ma l'attività principale di quest'ultimo
fu quella di polemista e pubblicista, che ebbe un nuovo impulso dopo
l'incontro con il sacerdote sloveno Primoz Trubar (1508-1586), passato
all'evangelismo e diventato pastore luterano in Germania. Il capodistriano
non era un grande teologo, ma sicuramente un ottimo divulgatore e dalla
collaborazione dei due nacquero diverse opere religiose in lingua corrente
per un uso più ampio, tra cui la prima traduzione in sloveno del Nuovo
Testamento. In seguito i due corregionali, con l'aiuto del barone Johannes
Ungnad von Sonneck (1493-1564), ex governatore della Stiria e della Carinzia,
impiantarono una tipografia e un istituto biblico a Urach (vicino a Tubinga),
che, dal 1561 al 1564, sfornò una impressionante serie di opere religiose (37
libri per un totale di 25.000 copie) in sloveno, croato e italiano, tra cui
il Piccolo Catechismo di Lutero, il Beneficio di Christo, la Confessio
Augustana e la sua relativa Apologia. V. morì a Tubinga il 4 ottobre
1565.
Dudith Sbardellati, Andrea (1533-1589)
La
vita Il diplomatico ed ecclesiastico italo-ungherese Andrea Dudith
Sbardellati nacque a Buda, in Ungheria, nel 1533 da una nobile famiglia, di
origini croate (la grafia originale del cognome era Dudich), ma fu sempre
orgoglioso delle proprie ascendenze italiane da parte di madre, originaria di
un ramo degli Sbardellati di Rovereto (Trento), emigrato in Ungheria con il
nonno di Andrea. D. rimase ben presto orfano di padre, caduto combattendo
contro i turchi sotto le mura di Buda nel 1542 e venne quindi affidato alla
tutela dello zio materno Agostino Sbardellati, personaggio molto in vista
all'epoca: consigliere dell'imperatore Carlo V (1516-1556), vescovo di
Vác, amministratore dei beni dell'arcivescovado di Esztergom (durante la
sede vacante), purtroppo anch'egli destinato a morire combattendo contro i
turchi nel 1552. D. fu educato a Breslavia e nel 1550 compì un viaggio in
Italia, con una tappa a Vienna. In Italia abitò a Verona e qui conobbe il
cardinale Reginald Pole, che ai tempi viveva a Maguzzano sul Lago di Garda e
lo storico Giovanni Michele Bruto, il quale divenne un suo buon amico. La
figura del cardinale inglese lo colpì molto e, dopo un ciclo di studi
a Venezia e Padova [in quest'ultima città fu collega di studi del
futuro voivoda di Transilvania e re di Polonia, Istvàn (Stefano) Bàthory (re
di Polonia: 1576-1586)], entrò, come segretario personale, al seguito di
Pole in un viaggio a Bruxelles nel 1554 per incontrare Carlo V, il quale
non mancò di raccomandare il giovane D. al fratello Ferdinando I,
arciduca d'Austria, re di Boemia e d'Ungheria (arciduca: 1521-1564, re dal
1527). Nei tre anni successivi (1555-1557), D. fece la spola tra Parigi,
per studiare filologia al College Royal con l'umanista Adrian
Turnebus (1512-1565), e Londra, dove fu testimone del sanguinario tentativo
della regina inglese Maria Tudor (1553-1558) di reintrodurre la
religione cattolica al paese. Tornò brevemente in patria per prendere gli
ordini come canonico di Esztergom, ma, ritornato in Inghilterra, si trovò
senza protettore per la morte del Pole il 17 novembre 1558, lo stesso giorno
della morte della regina Maria Tudor. Decise quindi di seguire un regolare
corso di giurisprudenza a Padova, completato il quale, fu nominato, nel 1560
da Ferdinando I (diventato, nel frattempo, imperatore nel 1556), vescovo di
Knin (o Tinina, in Dalmazia) ed in questa veste partecipò al Concilio di
Trento (1545-1563), oltre che come oratore del clero ungherese, portando
avanti la politica conciliatoria di Ferdinando I, favorevole all'unità del
Cristianesimo a tutti i costi, evitando lo strappo con i protestanti. D.
fece diversi interventi, come per esempio a favore della concessione
del calice ai laici e della comunione sotto ambedue le specie, ed il
cardinale Giovanni Morone, probabilmente per allontanare questo scomodo
protetto dell'imperatore, lo incaricò di presentare le proposte della
curia all'imperatore stesso per poter affrettare la conclusione del
concilio. Conclusa l'ambasciata, D. non tornò più a Trento, e, nonostante i
rapporti non certo ottimali con Roma, egli non perse comunque il favore
imperiale: Ferdinando I lo nominò vescovo nel 1562 di Csanàd, nel settembre
1563 di Pécs, successivamente di Sziget, tutte e tre città ungheresi sotto
il dominio turco, mentre il successore Massimiliano II (1564-1576) lo
inviò come ambasciatore imperiale in Polonia nel 1565. Tuttavia a
Cracovia, nel 1567, egli rinunciò clamorosamente a tutti i suoi benefici
ecclesiastici e si sposò con una dama di compagnia della regina Caterina di
Polonia, sorella dell'imperatore Massimiliano II. Quest'ultimo lo rimproverò
aspramente per la decisione, pur non negandogli il sostegno economico e
accettando ancora i suoi servigi come diplomatico, e D. si difese, scrivendo
un trattato contro il celibato degli ecclesiastici, dal titolo Demonstratio
omni hominum ordini, sine exeptione, divina lege matrimonium permissum
esse. Da questo periodo D. iniziò a simpatizzare per l'entourage
antitrinitario in Polonia, la cosiddetta Ecclesia Minor, sebbene si guardò
bene dallo schierarsi ufficialmente a favore degli unitariani. Nel periodo
1573-1575, D. fece una violenta campagna contro l'elezione di Stefano Bathory
a re di Polonia, per preparare la strada alla nomina del principe Ernesto,
figlio dell'imperatore Massimiliano II. Dal punto di vista religioso, D. si
accostò sempre più agli antitrinitariani, ma nel settembre 1574 egli sposò,
in seconde nozze, Elzbieta Zborowski, di un'influente famiglia polacca
calvinista, vedova dell'atamano Jan Tarnowski, ma furono proprio i potenti
parenti della moglie ad offrire la corona di Polonia a Stefano
Bathory. L'elezione di quest'ultimo il 15 dicembre 1575 scatenò la vendetta
dei suoi seguaci contro l'ambasciatore imperiale, che dovette darsi ad
una precipitosa fuga da Cracovia, abbandonando i suoi beni. D. allora si
trasferì a Breslavia, diventando luterano, e qui si dedicò ai suoi studi
scientifici, pubblicando opere sulla peste e il suo metodo di contagio nel
1577-78 e sulle comete (De Cometis, con prefazione di Bruto) nel 1579. Nel
1578 si rifugiò nei suoi possedimenti in Moravia, a Paskov, dove
trattò sempre con rispetto i suoi contadini aderenti al movimento dei
Fratelli Boemi, ma già nel 1579 ritornò a Breslavia, per proseguire i suoi
studi scientifici e continuare la sua fitta corrispondenza con i
principali dissidenti italiani dell'epoca, come Giorgio Biandrata, Giacomo
Paleologo, Marcello Squarcialupi, Simone Simoni, Fausto Sozzini, Francesco
Stancaro e Prospero Provana, oltre che con il medico imperiale,
cripto-calvinista, Johannes Crato von Crafftheim (1519-1585). Nel 1583
arrivò il disgelo con Bathory, che gli permise di esercitare alcune attività
commerciali con la Polonia. D. morì a Breslavia il 23 febbraio 1589 e fu
sepolto nella chiesa luterana di Santa Elisabetta a Cracovia.
Il
pensiero religioso Come già detto, D. manifestò sempre una notevole, sebbene
cauta, simpatia per il movimento antitrinitario, ben presente in Polonia
nella seconda metà del `500. Il dibattito rimane comunque aperto fra gli
studiosi contemporanei per accertare se egli avesse mai aderito alle idee di
Biandrata e Fausto Sozzini. E' vero che dopo essersi trasferito a
Breslavia D. diventò luterano, ma questo era stato fatto più che altro per
uniformarsi al noto principio cuius regio, eius religio. Egli era un
insofferente dell'intolleranza, cattolica o protestante che fosse, tant'è che
nel 1584 egli scrisse una lettera accompagnatoria alla seconda edizione del
De Haereticis capitali supplicio non afficiendis [del teologo della
tolleranza senese Mino Celsi (1514-ca.1575)], in cui D. entrò nella polemica
sulla persecuzione degli eretici. La lettera fu immediata contestata e
condannata da Théodore de Bèze. Secondo lo storico Delio Cantimori, D. fu
soprattutto un elaboratore di motivi erasminiani, e anelava una Chiesa unica
e santa, basata sul simbolo apostolico e sulla morale
evangelica.
Sozzini (o Sozini, Sozzino, Socino, Socini o
Socinus), Lelio (o Laelius) Francesco Maria (1525-1562)
La
famiglia Sozzini Lelio Francesco Maria Sozzini (il cui cognome è riportato
secondo svariate grafie come Sozini, Sozzino, Socino o Socini, nonché nella
forma latinizzata completa Laelius Socinus) nacque a Siena il 25 marzo 1525,
sesto dei sette figli del giureconsulto e professore universitario Mariano
Sozzini (1482-1556), detto il giovane per distinguerlo dal più noto e omonimo
nonno (1401-1467), e della moglie fiorentina Camilla Salvetti (m.
1554). Il primogenito dei due coniugi fu Alessandro Sozzini il giovane
(1509-1541), padre, a sua volta dell'altro famoso riformatore della famiglia,
Fausto Sozzini, mentre degno di nota furono anche altri quattro fratelli di
Lelio, tutti di fede antitrinitaria: Cornelio: eretico processato dapprima
a Bologna nel 1558 assieme al fratello Celso, e poi a Siena nel 1560, assieme
al fratello Dario, per aver messo in dubbio l'autorità del pontefice e la
validità del sacramento dell'Eucaristia: fu liberato per interessamento del
Duca Cosimo I de' Medici (1537-1574). Dario: incarcerato a Siena per gli
stessi motivi di Cornelio (vedi sopra). Dopo la liberazione, si recò con il
fratello Camillo in Valtellina, ma, accusati di antitrinitarismo, essi ne
vennero espulsi nel 1563 per ordine di Johann Heinrich Bullinger, riparando
in seguito a Costanza. Alcuni autori ipotizzano che, da questo momento, la
figura di Dario Sozzini (da Siena) coincida con quella di un certo Dario
Senese, un antitrinitario attivo in Moravia e Transilvania negli anni '70 del
XVI secolo. Celso (m. 1570): professore di diritto a Bologna, trasportò nella
città felsinea l'Accademia senese dei Sizienti nel 1554 e successe
come cattedratico al padre Mariano alla sua morte nel 1556. Fu processato
a Bologna assieme al fratello Cornelio ed abiurò. Morì a Bologna nel
1570. Camillo: sfuggì alla cattura nel 1560, che coinvolse i fratelli
Cornelio e Dario, emigrando in Svizzera. A Zurigo fu ospite del mercante
Antonio Mario Besozzi (m. 1567): scoperto nel 1565, fu cacciato dalla città e
il Besozzi fu processato. Camillo si recò allora in Valtellina, cercando di
stabilire la propria residenza a Chiavenna, ma ne fu impedito dal pastore
riformato, Scipione Lentulo. Scelse allora di abitare a Piuro, in casa del
pastore riformato Girolamo Turriani (o Turriano), dove conobbe e divenne
amico del commerciante anabattista Niccolò Camulio. Tutto questo gruppo,
compreso Camillo, venne espulso dalla Valtellina nel 1571.
I primi
anni Iniziato agli studi di legge, secondo la tradizione di
famiglia, all'università di Padova, dove la famiglia era emigrata quando egli
aveva cinque anni, S. conobbe e strinse rapporti di amicizia con il collega
del padre Matteo Gribaldi Mofa. Tuttavia , poco dopo, S. abbandonò i suoi
studi giuridici per approfondire la teologia evangelica: la tradizione lo
vuole ispiratore (ma fu, più probabilmente data la giovane età, un semplice
partecipante) dei Collegia Vicentina del 1546, le riunioni riformate
eterodosse, alle quali parteciparono i principali anabattisti e antitrinitari
dell'epoca, tra cui Paolo Alciati della Motta, Celio Secondo Curione,
Francesco Della Sega, Giovanni Valentino Gentile, Giulio Gherlandi, Matteo
Gribaldi Mofa e Francesco Negri da Bassano.
S. in esilio Nel
1547 S. lasciò l'Italia, probabilmente perché già nel
mirino dell'Inquisizione come eretico, per recarsi in Valtellina, all'epoca
parte del Cantone svizzero dei Grigioni. Qui, a Chiavenna, egli conobbe e
fu fortemente influenzato da Camillo Renato, ma pur parteggiando per le
sue idee, cercò di mantenersi il più neutrale possibile nella diatriba
che quest'ultimo aveva intrapreso con il pastore locale Agostino
Mainardi. Nell'ottobre dello stesso 1547 egli si trasferì a Basilea, dove
conobbe Sébastien Castellion e Celio Secondo Curione (la presunta amicizia
dei due risalente ai Collegia Vicentina del 1546 non è documentata). Nella
città svizzera, S. si iscrisse all'università, il cui rettore era il
cartografo tedesco ed ex francescano passato (nel 1529) al luteranesimo,
Sebastian Münster (1488-1552). Qui venne accolto da un collega svizzero
del padre, Bonifacio Amerbach (1495-1562), a sua volta genitore del futuro
riformatore Basilio Amerbach (1533-1591): S. scrisse una lettera di
presentazione per quest'ultimo, il quale desiderava recarsi in Italia per
completare i suoi studi di giurisprudenza. Studi che evidentemente il nostro
non perseguì più di tanto poiché nel periodo 1548-49 la sua presenza viene
segnalata prima a Ginevra, poi in Francia, a Nérac, presso la corte di
Margherita di Angoulême (1492-1549), moglie di Enrico II di Navarra
(re:1516-1555), protettrice di riformatori come Guillaume Briçonnet, Jacques
Le Fèvre d'Étaples e Giovanni Calvino, e infine in Inghilterra, dove avrebbe
conosciuto Pier Martire Vermigli e Jan Laski. In seguito S. rientrò a
Basilea, dove visse, alternandosi con Zurigo, negli ambienti universitari,
ospite rispettivamente di Sebastian Münster e dello zurighese Conrad Pellican
(Pellicanus) (1478-1556). A Zurigo S. entrò in contatto con Johann Heinrich
Bullinger, che divenne quasi un padre per il giovane senese e al quale egli
espose i suoi primi dubbi religiosi: il riformatore lo incoraggiò a scrivere
a Calvino in persona ed in effetti S. gli inviò due lettere con vari quesiti
sulle pratiche nicodemiche, come la possibilità di sposare una donna
riformata, che non avesse abbandonato le cerimonie cattoliche, oppure le
implicazioni per i riformati nel dover assistere ad una messa cattolica, se
costretti, o su argomenti più teologicamente impegnativi come il valore del
Battesimo o il dogma della resurrezione della carne. Le risposte ferme, ma
aspre, di Calvino, anticipavano le future battaglie epistolari fra i
due.
S. in Germania e Polonia Nel giugno 1550 S. si recò in
Germania, a Wittenberg, per incontrare Melantone e per iscriversi
all'università, dove strinse amicizia con Flacio Illirico. Tuttavia, già
esattamente un anno dopo (giugno 1551), l'avventuroso senese partì, su invito
del polacco J. Maczynski conosciuto a Wittenberg, per un primo viaggio in
Polonia, passando da Breslavia, e qui fece la conoscenza del medico
imperiale, cripto-calvinista, Johannes Crato von Crafftheim (1519-1585),
corrispondente epistolare di diversi riformati italiani, che operavano in
quelle terre, come Marcello Squarcialupi e Andrea Dudith Sbardellati. Da
Breslavia S. si recò a Cracovia, conoscendo Francesco Lismanini (1504-1566),
all'epoca confessore cattolico della regina di Polonia, Bona Sforza, moglie
di Sigismondo II Iagellone, detto Augusto (1543-1572), ma in seguito stretto
collaboratore di Giorgio Biandrata.
Le accuse contro S. in
Svizzera S. rientrò, dopo essere passato dalla Moravia, in Svizzera, giusto
nel momento della disputa tra Calvino e Jèrome Bolsec, l'ex carmelitano,
passato alla Riforma e contestatore della dogma calvinista sulla
predestinazione, che decise di ritornare al Cattolicesimo. Agli inviti alla
moderazione e alla tolleranza di S., indirizzati al riformatore ginevrino,
questi, in maniera violenta e minacciosa, rispose a S. di guarire dalla sua
curiosità di questionare continuamente le cose religiose, prima che questo lo
portasse in grossi guai: del resto i crescenti dubbi dello senese
sull'utilità dei Sacramenti e sulla forza redentrice di Cristo iniziavano a
mettere in dubbio perfino i riformatori svizzeri a lui più favorevoli, come
Bullinger. Nella seconda metà del 1553 avvenne il famoso processo a carico di
Michele Serveto, conclusosi con il rogo, il 27 ottobre, del medico
antitrinitario spagnolo. Questo episodio fu l'occasione per i dissidenti
della Riforma, principalmente italiani, di far sentire la loro voce di
protesta: infatti vi furono prese di posizione molto polemiche da parte di
Gentile, Gribaldi Mofa e Curione, che dovettero emigrare successivamente da
quella che a loro era sembrata la città della tolleranza religiosa. Anche
Castellion intervenne, scrivendo, sotto lo pseudonimo di Martin Bellius, il
suo libro più famoso, De haereticis, an sint persequendi (Gli eretici devono
essere perseguiti?), un appassionato appello alla tolleranza ed alla libertà
religiosa, alla cui stesura pare avesse collaborato anche S., benché nel
periodo 1552-53, quando avvenne la tragedia di Serveto, egli si trovasse in
Italia (nella natia Siena dove iniziò alle sue idee religiose il nipote
Fausto, a Bologna per visitare il padre Mariano, e a Padova presso l'amico
Gribaldi Mofa). A questo punto fioccarono, sempre più fitte, accuse e
segnalazioni a Bullinger di eterodossia a carico di S.: il medico bergamasco
Guglielmo Gratarolo (1516-1568) segnalò che S. era in accordo con i difensori
di Serveto, il pastore Celso Massimiliano Martinengo, predicatore della
Chiesa Italiana a Ginevra, denunciò l'aperta critica di S. verso il dogma
della Trinità, e perfino Pier Paolo Vergerio scrisse da Tubinga per segnalare
il rafforzamento delle idee antitrinitarie di S. nei Grigioni, confermato
in loco anche da Giulio Della Rovere. Bullinger fu quindi costretto ad
insistere che S. scrivesse una confessione di fede ortodossa: dopo qualche
tentennamento il senese compilò un'ambigua dichiarazione, senza una vera e
propria confessione di fede. Egli dichiarò di onorare i tre principali credi
cristiani occidentali (Cattolicesimo, Calvinismo e Luteranesimo), di seguire
la Scrittura canonica e il Simbolo apostolico, di voler abbandonare le
discussioni e le inutili dispute per poter "riposare nella stessa verità di
Dio". Bullinger si limitò ad introdurre delle correzioni nella suddetta
dichiarazione e ad avvertire il suo protetto di non propagandare le sue
dottrine e i suoi dubbi. E S. mantenne per un certo periodo la promessa,
assumendo un atteggiamento nicodemico in terra protestante: in questo tempo,
l'unico suo intervento fu quando egli fece delle osservazioni al proprio
protettore a proposito dei Commentaria dell'umanista antitrinitario Martin
Borrhaus (nome umanistico: Cellarius) (1499-1564).
Gli ultimi
anni Ma, nel 1554 morì sua madre, Camilla Salvetti, seguita dal padre nel
1556, e, oltre ai lutti di famiglia, egli soffrì anche per la fine della
sua indipendenza economica a causa del sequestro da parte dell'Inquisizione
dei suoi beni di famiglia, in quanto condannato come eretico in contumacia.
S. decise quindi di intraprendere un nuovo viaggio in Polonia,
probabilmente per cercare un ambiente più tollerante alle sue idee
eterodosse, rispetto alla Svizzera, ed un protettore, che potesse garantirgli
un salvacondotto per un viaggio in Italia alla ricerca di come recuperare
almeno parte del patrimonio di famiglia. Fu proprio Calvino che gli
scrisse una lettera di raccomandazione per il principe polacco Nicola
Radziwill e il riformatore Jan Laski. S. si recò dunque, passando dapprima
dalla Germania, in Polonia nell'autunno 1558, dove incontrò il medico
Giorgio Biandrata: l'azione degli antitrinitari polacchi come Pietro Gonesio
e Grzegorz Pawel fu rinforzata dall'arrivo dei due riformatori italiani, i
quali (soprattutto il Biandrata) aiutarono a formare una comunità,
soprattutto di esuli loro connazionali, a Pinczòw vicino a Cracovia. Dopo
esser stato ricevuto benevolmente dal principe Radziwill e dal re Sigismondo
II Augusto, nella primavera del 1559, carico di raccomandazioni
e salvacondotti regali, S. partì per l'Italia, passando attraverso
Vienna, dove l'accolse il futuro imperatore Massimiliano II
(1564-1578), simpatizzante per la causa riformista, che gli fornì un
ulteriore salvacondotto per l'Italia. Ma nonostante tutti le potenti
presentazioni e raccomandazioni, S., giunto a Venezia, non riuscì, neppure
con l'aiuto del doge Girolamo Priuli (1559-1567), a far dissequestrare i suoi
beni, confiscati dall'Inquisizione. Oltretutto i suoi fratelli Cornelio e
Dario sarebbero stati da lì a poco arrestati per le loro idee religiose
eterodosse. Deluso, S. rientrò nel 1560 a Zurigo, da cui non si mosse più e
dove ricevette varie volte la visita del nipote Fausto. A Zurigo S. dimorò
presso la casa di un tessitore di seta di nome Hans Wyss e vi morì il 14
maggio 1562, a soli 37 anni.
Le opere S. pubblicò molto poco
nella sua vita e quasi tutti i suoi appunti e carteggi passarono al nipote
Fausto, che, avvisato della morte dello zio da parte di Antonio Mario
Besozzi, si precipitò a Zurigo per raccogliere gli scritti di Lelio, che poi
usò per meditare e sviluppare la dottrina del pensiero sociniano. Solo due
brevi trattati De Sacramentis e De resurrectione corporum furono dati alle
stampe, oltre ad un commentario sul primo capitolo del Vangelo di San
Giovanni, pubblicato nel capitolo 11 del libro II del trattato di Biandrata e
Ferenc Dàvid De vera et falsa unius Dei, Filii et Spiritus Sanctii cognitione
(Della falsa e vera conoscenza dell'unità di Dio Padre, Figlio e Spirito
Santo), la cui attribuzione alla penna di S. si deve allo storico Delio
Cantimori.
La dottrina Il pensiero di S. risentì degli influssi
dell'umanesimo filologico di Lorenzo Valla, dell'esegesi del Nuovo Testamento
di Erasmo, delle tesi antitrinitarie di Michele Serveto (senza la sua
concezione metafisica), della spiritualità di Juan de Valdés e della polemica
sui sacramenti di Camillo Renato. Tuttavia fu un suo pensiero originale il
desiderio di richiedere continuamente risposte razionali a domande
teologiche: questa posizione non lasciava spazi per i dogmi, le Sacre
Scritture erano viste come un'autentica testimonianza e non un pretesto per
l'invenzione di ulteriori dogmi. Il ruolo della volontà e dell'intelletto
umano veniva elevato ai massimi livelli: l'uomo poteva controllare le sue
decisioni morali, partendo da una base razionale. Su queste premesse, la
"vera" Chiesa perdeva il suo supernaturalismo e diventava una società di
credenti, idealmente collegata alla Chiesa dei primordi o Chiesa
primitiva. L'altro punto fondamentale del pensiero di S. era la negazione
della divinità di Gesù: Cristo non era la seconda persona (o ipostasi)
della Trinità, ma solamente un uomo, sebbene con caratteristiche divine.
Inoltre la Sua umanità era identificata con la sofferenza, l'umiltà, la
povertà del mondo degli oppressi, che Egli voleva salvare, e non con il mondo
dei ricchi e potenti, un concetto radicale di ispirazione anabattista, che
sarebbe stato in seguito rielaborato dal nipote e da
Biandrata.
Tyndale, William (ca. 1494-1536)
La
vita William Tyndale nacque nel 1494 ca. probabilmente vicino a Dursley,
nella contea inglese del Gloucestershire, da una modesta famiglia, il cui
cognome originario era Hychyns, ma William usò abitualmente il cognome
Tyndale della madre. Egli studiò all'università di Oxford, presso la
Magdalene Hall, ottenendo il baccalaureato in arti nel 1512 e il titolo di
maestro in arti nel 1515. Dopo la laurea, T. si trasferì a Cambridge e qui
simpatizzò con il gruppo di luterani (fondato da Thomas Bilney e
soprannominato Piccola Germania dalle loro simpatie per le dottrine del
riformatore di Wittenberg), che si riuniva alla locanda del Cavallo Bianco
(White Horse Inn). Del gruppo fecero parte religiosi agostiniani, come Robert
Barnes (1495-1540) e Miles Coverdale, e cattedratici dell'università, come lo
stesso Bilney e Hugh Latimer. In seguito ordinato prete, T. ritornò nella sua
contea di origine tra il 1521 ed il 1523, ma, sospettato di eresia lollarda,
decise di recarsi a Londra per cercare di convincere l'arcivescovo Cuthbert
Turnstall (1474-1559) a permettergli di tradurre la Bibbia in inglese. Avendo
ricevuto un netto e scortese rifiuto, T. prese la drastica decisione di
emigrare ad Amburgo, dove si mise all'opera coadiuvato dal frate ex
agostiniano (secondo altri, ex francescano) William Roye. I due tentarono
di pubblicare una prima versione della Bibbia a Colonia nel 1525, ma furono
bloccati dopo la stampa delle prime 80 pagine. Meglio andò a Worms, dove
finalmente nel febbraio 1526 fu pubblicato il primo Nuovo Testamento in
lingua inglese.
La Bibbia in volgare La fama di T. è infatti
soprattutto legata a questa traduzione in lingua inglese del Nuovo Testamento
direttamente dalla versione originaria in greco. Non era stato il primo a
tradurre la Bibbia: infatti precedentemente anche John Wycliffe aveva
provveduto alla traduzione in inglese di parti delle Sacre Scritture, ma la
sua traduzione si riferì al testo in latino di San Girolamo. T. invece
poté usufruire di diversi fonti di informazioni, rese disponibili in Europa
occidentale dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, fatto storico che
obbligò tanti studiosi greci ad emigrare in occidente, particolarmente in
Italia, portando con sé preziosi manoscritti. Così molti biblisti britannici,
soprattutto da Oxford, furono motivati ad imparare il greco antico, per poter
finalmente esaminare questi testi sacri direttamente alla fonte, senza tutte
le varie interpretazioni del periodo scolastico. Uno dei più famosi studiosi
fu John Colet (1467-1519), le cui conferenze influenzarono profondamente il
noto umanista Erasmo da Rotterdam. Erasmo pubblicò nel 1516 la sua versione
del Nuovo Testamento in greco, e da questa edizione fu preso lo spunto per
due traduzioni fondamentali per la storia della Riforma: la versione in
tedesco di Martin Lutero del 1522 e quella, appunto, in inglese di T. del
1525. La versione di T. arrivò in Inghilterra nel 1526 ed ebbe
un'accoglienza molto negativa da parte della Chiesa Inglese: l'influenza
luterana sull'autore era molto evidente, soprattutto nelle prefazioni di
alcune lettere di San Paolo, semplici traduzioni in inglese del testo
luterano. Autorità quindi come l'arcivescovo Turnstall, il grande filosofo
umanista Tommaso Moro (Thomas More) (1478-1535) e il cardinale e Lord
Cancelliere Thomas Wolsey (1474-1530) chiesero a gran voce l'arresto di T.
come eretico. Ma quest'ultimo continuava a produrre lavori, stampati sul
continente ed esportati di nascosto in Inghilterra, come Prologo all'Epistola
ai Romani (1526), Obbedienza di un uomo cristiano (1528) e La pratica dei
prelati (1530), tuttavia nel 1526 egli ritenne più prudente trasferirsi ad
Anversa sotto la protezione di un gruppo di mercanti luterani inglesi, che,
guarda caso!, facevano un notevole guadagno proprio dal contrabbando di
testi proibiti in Inghilterra. Poco dopo T., assieme a Miles Coverdale, si
mise al lavoro per la traduzione di tutto l'Antico Testamento in inglese, una
monumentale impresa che tenne occupati i due studiosi fino al
1531. Diversi di questi lavori fecero infuriare Enrico VIII d'Inghilterra
in persona, che non lesinò alcun sforzo per far arrestare
lo stampatore/traduttore di Dursley, che oltretutto si era permesso
di contestare le ragioni del re per il suo divorzio da Caterina
d'Aragona. Infine nel 1534, con revisione nel 1535, T. pubblicò ad Anversa le
sua versione riveduta del Nuovo Testamento, ma questo fu il suo canto del
cigno. Poco dopo infatti, una spia inglese, tale Henry Phillips, entrò in
amicizia con T. e nel maggio 1535, carpendo la sua buona fede, riuscì a farlo
uscire dal territorio sotto il controllo diplomatico dei mercanti
inglesi, consegnandolo al Procuratore Generale, che lo fece arrestare e
inviare alla fortezza di Vilvorde, vicino a Bruxelles. Nonostante gli
interventi dell'amico e mercante inglese Thomas Poyntz ( lui stesso
arrestato, ma che riuscì poi ad evadere) e, dall'Inghilterra, del Lord Gran
Ciambellano Thomas Cromwell e dell'arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer,
T. fu rapidamente processato e condannato al rogo. Il 6 ottobre 1536 T. fu
condotto sul luogo dell'esecuzione, dichiarato decaduto del titolo di prete e
strozzato come atto di clemenza, prima dell'accensione della pira, che bruciò
il suo corpo senza vita.
Ironia della sorte, pochi mesi dopo la sua
morte, lo stesso Enrico VIII autorizzò la prima traduzione ufficiale della
Bibbia, denominata Bibbia di Matteo, che incorporò la maggioranza delle
traduzioni fatte da T. e perfino nel 1611, quando venne dato alle stampe la
versione autorizzata dalla regina Elisabetta I, le traduzioni di T. formavano
vaste parti del testo.
Unitarianismo (o unitarismo o
antitrinitarismo) (XVI - XVII secolo)
Termine teologico per
indicare la fede nell'unicità di Dio e nella contemporanea negazione del
dogma della Trinità. Ne consegue anche la negazione della divinità di
Cristo. L'unitarianismo è stato, a parte l'anabattismo, la terza grande
alternativa nella galassia protestante, oltre al luteranesimo e
allo zwinglianismo/calvinismo.
La storia La dottrina
dell'unitarianismo viene fatta tradizionalmente risalire agli inizi del
Cristianesimo, ed in particolare agli eretici del periodo intorno al Concilio
di Nicene (325), come Ario (infatti gli unitariani furono proprio chiamati
ariani dai loro detrattori), Paolo di Samosata, Noeto di Smirne, Prassea e
Sabellio. Nel medioevo il concetto antitrinitario non scomparì del tutto, ma
rimase nella filosofia di Abelardo e Roscellino. Venendo al periodo
rinascimentale, i primi studiosi ad aver espresso concetti antitrinitari
furono nel 1527 Martin Borrhaus (nome umanistico: Cellarius) (1499-1564),
amico di Martin Lutero, e il predicatore anabattista Ludwig Haetzer
(1500-1529), ma fu soprattutto la pubblicazione a Hagenau, in Alsazia, nel
1531, del famoso libro De trinitatis erroribus (Gli errori sulla Trinità) del
medico spagnolo Miguel Servet (Michele Serveto) a gettare nello scompiglio i
più famosi pensatori protestanti dell'epoca, da Lutero ("un libro
abominevolmente malvagio") a Melantone, Ecolampadio, Bucero. Quest'ultimo
tuonò dal proprio pulpito che l'autore avrebbe meritato di essere squartato!
E proprio in seguito alla pubblicazione di questo libro tutti i riformatori
dell'epoca decisero di rinforzare l'importanza dottrinale della Santa
Trinità. Dopo una vita tribolata da continue persecuzioni, Serveto finì i
suoi giorni, messo al rogo a Ginevra nel 1553 da un altro dei pensatori
riformisti, che più lo detestavano, Giovanni Calvino. Ma la morte di
Serveto fece levare moltissime voci di protesta, tra cui quelle dei
protestanti italiani Giovanni Valentino Gentile, Matteo Gribaldi Mofa,
Giorgio Biandrata e Giovanni Paolo Alciati della Motta, i quali
furono costretti ad emigrare da Ginevra, portando, pur con sfumature diverse,
i germi della dottrina antitrinitaria soprattutto dal 1560
nell'Europa orientale, cioè in Polonia, Moravia e
Transilvania.
Antitrinitari in Polonia Qui le dottrine
antitrinitarie non erano totalmente sconosciute, tant'è vero che già nel 1538
una anziana donna di 80 anni, Caterina Weygel (o Vogel), era stata bruciata
sul rogo a Cracovia per una sospetta eresia antitrinitaria. Ma sotto il regno
di Sigismondo II Augusto (1543-1572) si crearono le premesse per lo sviluppo
delle idee antitrinitarie in Polonia. L'antesignano fu Petrus Gonesius (Piotr
Z Goniazde), che aveva studiato a Padova nel 1552-54 con Gribaldi Mofa e da
lui era stato convertito. Già nel secondo sinodo della Chiesa Riformata
Polacca (fondata da Jan Laski) del 1556, Gonesius espresse forti concetti
antitrinitari, ma fu solo con l'arrivo di Giorgio Biandrata e di Lelio
Sozzini nel 1558 che la corrente unitariana trovò dei veri leader e formò una
comunità, soprattutto di esuli italiani, a Piñczòw vicino a
Cracovia. Tuttavia, poco dopo, ci fu per loro un durissimo colpo quando i
cattolici, rappresentati dal nunzio apostolico cardinale Giovanni Francesco
Commendone (1523-1584), convinsero il re Sigismondo II Augusto ad emettere
nell'agosto 1564 l'editto di Parczów, che stabiliva l'espulsione di tutti gli
stranieri non cattolici. Agli antitrinitari italiani, compreso il famoso
ex vicario generale dei Cappuccini, Bernardino Ochino appena giunto in
Polonia, non restò che emigrare in Moravia o in
Transilvania.
L'esilio in Moravia Il margraviato di Moravia, pur
facendo parte dei possedimenti assurgici, godeva di una ampia autonomia,
anche in campo religioso. Un esempio pratico fu l'accoglienza positiva
riservata per le comunità di anabattisti, guidati da Balthasar Hübmaier e
Jakob Hutter, perseguitati senza pietà in tutto il resto
dell'Europa. Austerlitz (Slavkov in ceco), in particolare, fu una città dove
fecero capo diverse correnti religiose dissidenti, compresi gli
antitrinitari: nel 1564, scacciati dalla Polonia in seguito all'editto di
Parczów, un gruppo di antitrinitari italiani, comprendente Niccolò Paruta
(che formò in seguito delle comunità denominate seminaria veritas), Gentile,
Alciati della Motta, Ochino, si recò nella città morava. Furono seguiti nei
successivi anni da altri dissidenti come Marcello Squarcialupi, Andrea
Dudith-Sbardellati e Niccolò Buccella, che man mano, con il miglioramento
della situazione polacca, decisero di rientrare in
Polonia.
Ripresa delle attività in Polonia Già dopo la dieta di
Piotrków della Chiesa Riformata Polacca del 1564 che decretò l'esclusione
degli antitrinitari, ci fu una separazione tra una ecclesia major calvinista
ed una ecclesia minor di fede antitrinitaria. Gli antitrinitari, in quel
periodo, si erano frazionati in quattro correnti, qui riassunti dal nome dei
capi-scuola: Stanislao Farnowski (Farnovius, m.1615): come Gonesio, i suoi
seguaci pensavano che Cristo era pre-esistito alla creazione del mondo e
quindi era giusto adorarlo, ma non adottavano la stessa venerazione per lo
Spirito Santo. Erano inoltre contrari al battesimo degli infanti. Nel 1568
il gruppo di Farnowski si separò dalla chiesa unitariana
polacca, concentrandosi in una zona a cavallo del confine con l'Ungheria.
La secessione durò circa 50 anni e, dopo la morte del loro leader, i
suoi seguaci vennero riassorbiti dagli unitari o dai calvinisti. Martin
Czechowic: egli era un ariano molto radicale: Cristo era un uomo come gli
altri, ma essendo nato senza peccato, fu divinizzato e era giusto adorarlo.
Prendendo, come Gonesio, dagli anabattisti, Czechowic si opponeva al
battesimo dei bambini, all'uso delle armi, al coinvolgimento in
incarichi pubblici e alla proprietà privata. Grzegorz Pawel: il gruppo di
Cracovia di Pawel negava sia la pre-esistenza di Cristo, sia la necessità di
adorarlo. Come Gonesio e Czechowic, Pawel aveva convinzioni anabattiste e in
più era un millenarista. Szymon Budny: per Budny Cristo era un uomo ed era
idolatria adorarlo. Venne scomunicato nonostante il suo vasto seguito in
Lituania. Un punto di svolta fondamentale per l'ecclesia minor fu l'arrivo in
Polonia nel 1579 di Fausto Sozzini, nipote di Lelio, che divenne ben presto
la guida di tutti gli antitrinitariani locali. Socini pose la sua
residenza a Cracovia, sebbene il centro di riferimento per l'unitarismo
polacco fosse la vicina cittadina di Raków, dove era stato fondato un
seminario di studi antitrinitari nel 1569 e dove, tra il 1603 ed il 1605,
sarebbe stato redatto il catechismo ufficiale della setta. Nello stesso
periodo Socini entrò nella polemica tra gli adoranti (al cui pensiero lui
aderiva) e i non-adoranti, come Ferenc Dàvid, Giacomo Paleologo, Jànos Sommer
e Andrea Dudith Sbardellati. (vedi capitolo "Antitrinitari in
Transilvania"). Socini, con il suo De Jesu Christi filii Dei natura sive
essentia, attaccò i non-adoranti come giudaizzanti, che volevano, tra
l'altro, santificare il sabato, secondo un uso sabbatariano, che si sarebbe
poi diffuso in Inghilterra, portatovi proprio dagli unitariani profughi dalla
Polonia. Il pensiero di Socini, fortemente razionale, accettava un solo Dio,
mentre Gesù Cristo era semplicemente un uomo crocefisso, il cui compito era
di rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così la
salvezza, seguendo il Suo esempio. Per lui la Sacra Scrittura, redatta da
uomini, non era indenne da errori, e l'uomo doveva basarsi sulla propria
etica per osservare i comandamenti e non era quindi necessaria la grazia
divina. Egli, inoltre, negava l'esistenza dell'inferno, il peccato originale,
la necessità dei sacramenti, la predestinazione. Un bel programma in un
secolo caratterizzato dal fanatismo religioso degli opposti
estremismi! Nel 1588 Socini riuscì nell'impresa di unire tutte le fazioni
unitariane al sinodo di Brest (in suo onore, da quel momento gli unitariani
si denominarono sociniani), ma negli anni successivi dovette fronteggiare
la reazione, anche di piazza, dei cattolici: nel 1591 il suo punto d'incontro
a Cracovia fu devastato dalla folla e nel 1598 Socini stesso fu
malmenato, scampando per poco ad un linciaggio. Egli morì nel 1604 e sulla
sua tomba vennero scritte queste significative parole: Crolli la superba
Babilonia: Lutero ne distrusse i tetti, Calvino le mura, Socini le
fondamenta. Pochi anni dopo, nel 1610, la potente organizzazione gesuita
sbarcò in Polonia decretando il rapido declino degli unitariani in Polonia:
nel 1611 fu bruciato sul rogo a Varsavia l'unitariano Jan Tyskiewicz, un
agiato cittadino di Bielsk, e nel 1638 i sociniani furono espulsi da Raków e
ne fu chiuso il seminario. Il colpo finale per l'unitarismo in Polonia fu
il bando di espulsione per tutti gli unitariani polacchi, deciso nel 1658 e
diventato esecutivo il 10 luglio 1660, che li costrinse o ad uniformarsi o ad
emigrare in altri paesi europei (in Olanda, dove la maggior parte si trasferì
aderendo alla Chiesa Arminiana dei rimostranti, in Germania, e in
Transilvania, dove però essi non aderirono alla Chiesa Unitariana
Transilvana, ma formarono una chiesa autonoma a Kolozsvàr estinguendosi nel
1793). L'ultima sacca di resistenza unitariana in Polonia si estinse nel 1811
e solo nel 1921 furono riaccettate le congregazioni unitariane nella
nazione rinata dopo secoli di dominazione straniera. Ma la successiva
occupazione nazista nel 1939 e l'instaurazione del comunismo ha fatto sì
che l'unitarianismo polacco potesse incominciare a muovere nuovamente
qualche timido passo solamente dopo la caduta del muro di Berlino, negli anni
'90 del XX secolo. L'attuale Chiesa unitariana in Polonia comprende solo
qualche centinaio di fedeli.
Antitrinitari in Transilvania Nel
1562 Giorgio Biandrata si recò in Transilvania, a Gyulafehérvár (Alba Julia),
dove fece la conoscenza e divenne amico di Ferenc Dàvid, vescovo della Chiesa
Riformata di Transilvania e cappellano personale del principe Giovanni II
Sigismondo Zapolya (1541-1571). Biandrata fece leggere a Dàvid una copia
della famosa Christianismi restitutio (La restaurazione del Cristianesimo) di
Miguel Serveto, convertendolo all'antitrinitarismo. Il successivo sinodo
nazionale a Gyulafehérvár del 1566 risultò un trionfo per gli antitrinitari,
sottolineato dalla pubblicazione del libro di Dàvid De vera et falsa unius
Dei, Filii et Spiritus Sanctii cognitione (Della falsa e vera conoscenza
dell'unità di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo), nel quale il riformatore
transilvano ridicolizzava la dottrina della Trinità e perorava la causa della
tolleranza religiosa per tutte le fedi. Questo discorso venne poi ripreso
durante la Dieta di Torda nel gennaio 1568, dove Giovanni II Sigismondo
Zapolya riconobbe la piena libertà a tutte le confessioni religiose: fu la
prima dichiarazione, al mondo, di tolleranza religiosa mai pronunciata da un
regnante. Oltre a questo, il re aderì apertamente all'unitarismo con molti
nobili della corte e Dàvid divenne il capo della Chiesa Unitariana di
Transilvania. Nel 1570 Dàvid entrò in contatto, e ne fu influenzato, con lo
studioso italo-greco Giacomo Paleologo e il suo discepolo locale, il rettore
del ginnasio di Kolozsvár, János Sommer (1540-1574). Paleologo polemizzava
con un altro famoso antitrinitario, Fausto Socini, a riguardo della figura
di Gesù Cristo, che, per il Socini, era un vero uomo crocefisso, il cui
compito era di rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così
la salvezza, seguendo il Suo esempio. Il Paleologo, invece, negava il ruolo
di guida del Cristo, per i fedeli verso la salvezza, e
rifiutava, conseguentemente, ogni forma di adorazione di Gesù Cristo. Per
questo, il Paleologo e i suoi seguaci, tra cui si associò anche Dàvid,
vennero denominati antitrinitari non-adoranti in contrapposizione al
pensiero sociniano di tipo adorante. Alla corrente non-adorante aderì anche
l'ex vescovo cattolico e ambasciatore (di madre italiana)
Andrea Dudith-Sbardellati. Purtroppo il momento magico per Dàvid finì solo
tre anni dopo, nel 1571 con la morte, a soli 31 anni, di Giovanni II
Sigismondo e la salita al trono del cattolico Stefano I Báthory (1571-1586),
che tolse a Dàvid l'incarico di cappellano personale del re e gli impedì di
pubblicare altri scritti. Nel 1579 i suoi nemici riuscirono a farlo arrestare
e imprigionare nella fortezza di Déva dove, a causa del clima rigido e del
fisico debilitato, Dàvid morì nel novembre dello stesso anno. La Chiesa
Unitariana di Transilvania, fondata da Dàvid, pur attraverso mille traversie,
spietate persecuzioni da parte degli Asburgo cattolici e feroci pogrom da
parte di fanatici ortodossi rumeni, esiste ancora oggi formata da 125 chiese,
sebbene divisa dal 1949 in un troncone in Ungheria (25.000 fedeli, ed uno di etnia
ungherese in Transilvania/Romania (circa 80.000 fedeli).
Sociniani
in Inghilterra Attraverso l'Olanda, che accolse molti esuli sociniani,
l'antitrinitarismo giunse in Inghilterra, dove il principale esponente fu
John Biddle, preside del liceo di Gloucester, che pubblicò, nel 1647, il
primo trattato dell'unitarismo inglese, Twelve arguments against the Deity of
the Holy Spirit (dodici ragioni contro la divinità dello Spirito Santo) a uso
privato per pochi amici, uno dei quali lo tradì, facendolo rinchiudere in
carcere nel 1645 per ordine dei magistrati di Gloucester. Nel 1646 Biddle
fu convocato a Londra per essere giudicato da una commissione di teologi, ma,
nell'attesa della sentenza, fu confinato in prigione a Westminster dove
rimase per vari motivi per i successivi 5 anni. Infatti, imprudentemente, nel
1647, Biddle fece pubblicare le sue Dodici ragioni, suscitando un putiferio:
a gran voce venne chiesta la sua condanna a morte, prevista anche dalla
recentemente approvata (nel 1648) legge Ordinance for punishing heresies and
blasphemies (ordinanza per punire eresie e blasfemie), ma nel 1652, grazie
alla Act of Oblivion (legge di oblio), egli poté finalmente uscire di
prigione. Una volta libero, Biddle fondò una piccola congregazione sociniana
a Londra, traducendo testi base dei sociniani (o unitariani) polacchi, come
il Catechismo di Racow (in Polonia), la prima dichiarazione dei
principi sociniani, ma soprattutto pubblicò nel 1654 la sua opera più
celebre, il Twofold Catechism (Catechismo doppio), dove in 24 capitoli egli
bandì tutte le espressioni e dottrine non originarie delle Scritture,
come transustanziazione, peccato originale, Dio fatto uomo, Madre di Dio
etc. Insomma non ci fu un solo punto della teologia dell'epoca che non
fosse rimesso in discussione da lui, sebbene utilizzasse l'astuta tecnica
delle domande aperte, senza mai precisare la propria fede. Nonostante ciò,
per ordine del parlamento, le copie del suo libro furono bruciate sul rogo e
lui stesso imprigionato nel carcere di Newgate, ma, per l'ennesima evoluzione
della turbolenta situazione politica inglese (era stato sciolto il
parlamento), fu liberato. Biddle continuò per tutta la vita a professare
attivamente le proprie idee e per questo venne più volte condannato al
confino e al carcere fino alla sua morte avvenuta nel 1662. Il principale
esponente dell'unitarismo inglese dopo Biddle fu Thomas Emlyn (1663-1741),
che fondò una congregazione unitariana a Londra nel 1705, ma va anche citata
l'attività del teologo neo-ariano Samuel Clarke con il suo trattato Scripture
Doctrine of the Trinity (Scrittura dottrina sulla Trinità), del 1712. In
seguito si affermò Joseph Priestley (1733-1804), che divise il suo tempo tra
la chimica (individuò, tra l'altro, la molecola dell'ossigeno) e
le predicazioni unitariane, e Theophilus Lindsey che nel 1774 fondò la
prima chiesa ufficiale di ispirazione sociniana a Londra. Nel 1791 un
gruppo di teppisti distrusse sia la casa che il laboratorio di Priestley, che
qualche anno dopo prese la decisione di emigrare in America, dove fondò una
chiesa unitariana in Pennsylvania. Nel frattempo, in Inghilterra si era
formata nel 1825 la British and Foreign Unitarian Association, che dovette
lottare contro le leggi britanniche varate per proibire agli unitariani di
accettare lasciti donati dai puritani, cosa che verrà aggiustata soltanto con
una nuova legge nel 1844. Nel 1840 avvenne una grave scissione nel movimento:
i "cristiani liberi" di James Martineau, convinti in una fede più intuitiva e
meno "razionale", si separarono fino al 1928, anno in cui le due anime
dell'unitarismo inglese si rifusero nella attuale General Assembly of
Unitarian and Free Christian Churches.
Unitariani
in America Come già detto, Joseph Priestley fu uno dei predicatori che aiutò
la diffusione dell'unitarismo negli Stati Uniti, dove la dottrina però
si sviluppò abbastanza lentamente: prendendo spunto dalle prediche
in Inghilterra di Priestley, due chiese di Boston, la West Church del
pastore Jonathan Mayhew (1720-1766) e la First Church del pastore Charles
Chauncy (1705-1787) divennero unitariane. Nel 1825 si formò la American
Unitarian Association, ma, come per la crisi degli unitariani inglesi del
1840, anche il pensiero unitariano americano fu fortemente scosso dalle idee
di William Ellery Channing, che inserì elementi pietisti e filantropici. Lo
scontro tre le due anime, mistica-pietistica da una parte e razionale
dall'altra, avrebbe caratterizzato la storia degli unitariani americani negli
anni seguenti: per esempio, nel 1865 la conferenza nazionale unitariana
adottò una piattaforma programmatica nettamente cristiana, provocando il
distacco della minoranza razionalista che fondò la Free Religious Association
(associazione religiosa libera).
L'unitarianismo odierno Venendo
ai giorni nostri, nel 1961 avvenne la svolta con la fusione degli unitariani
statunitensi con il movimento dell'universalismo, fondato dall'ex pastore
metodista John Murray, che credeva nella salvezza di tutti gli uomini e
negava la dannazione eterna. La fusione diede luogo alla American Unitarian
Universalist Association, poi solo Unitarian Universalist Association, che
conta oggi 502.000 aderenti. Nonostante la diffusione
relativamente bassa dell'unitarismo/universalismo, ben 5 presidenti degli
Stati Uniti hanno professato una fede unitariana e/o universalista: Thomas
Jefferson (che gli unitariani danno come loro seguace, anche se una sua
adesione ufficiale non c'è mai stata), John Adams, John Quincy Adams, Millard
Fillmore William Howard Taft. L'associazione, nella quale la corrente
razionalista ha oramai preso il sopravvento, è un movimento basato su
congregazioni autogestite senza una comune formula religiosa ufficiale,
retaggio della sua travagliata storia e dell'apporto di idee molto
diversificate e perfino contrastanti: si nota un interesse più nella libera
ricerca della verità. Infatti, da una statistica risulta che solo il 3% degli
aderenti considera Dio come un essere soprannaturale e il 40% come simbolo
dell'amore o di altri processi naturali. Inoltre 90% non crede nella
immortalità dell'anima e 64% ammette di non pregare mai o di farlo
raramente. In compenso, gli unitariani universalisti si sono sempre schierati
in battaglie civili contro la pena di morte, a favore del divorzio,
l'aborto, l'eutanasia, per il controllo delle nascite, per la riforma
carceraria, per l'educazione sessuale nelle scuole. L'associazione
mantiene contatti con simili organizzazioni in Inghilterra, Irlanda,
Filippine, Ungheria, Francia e Cecoslovacchia e fa parte della International
Association for (Liberal Christianity) and Religious Freedom (IARF) che
afferma di rappresentare 1.500.000 aderenti in 25 paesi.
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