GLI ERETICI NELLA
STORIA DELLA CHIESA |
Pauliciani (dal VII secolo)
La storia Il paulicianesimo fu una setta
dualistica, la cui fondazione è tradizionalmente attribuita a Costantino di
Manamali nel 655. Nel 682 Costantino fu ucciso ed il suo stesso carnefice,
l'ex ufficiale delle truppe bizantine, Simeone, divenne il nuovo capo della
setta fino al 690, data in cui egli fu bruciato sul rogo. Nel VIII secolo,
si susseguirono diversi capi, tra cui un tale Paolo l'Armeno, da cui alcuni
pensano che si stato preso il nome della setta (vedi denominazione). Le
beghe interne, le persecuzioni bizantine e le guerre con gli Arabi portarono
la setta molto vicino all'estinzione fino all'avvento del riformatore Sergio,
il quale provocò uno scisma all'interno della setta, creando la corrente dei
Sergiti, in opposizione ai Baaniti, seguaci del precedente capo Baanes, e
sotto la sua guida, il movimento p. riprese vigore, espandendosi nella
Cilicia ed in Asia Minore. Era il periodo in cui gli imperatori bizantini
della dinastia isuarica, come Niceforo I Logoteta (802-811) tolleravano la
presenza di questa setta, soprattutto quando i suoi adepti accettavano di
prestare servizio militare per l'impero nelle zone di confine con gli
Arabi. Ma i successivi imperatori della dinastia amoriana, come Teofilo
(829-842), Teodora (reggente 842-865) e Michele III (842-867), ripresero
le persecuzioni, causando la ribellione dei p., i quali, nonostante gli
appelli pacifisti di Sergio, si allearono con i mussulmani, i nemici del
momento dell'impero bizantino. Artefice di questa alleanza fu Karbeas,
considerato il fondatore nel 844 dello stato p., di cui fissò nel 856 la
capitale a Tephrike, (l'odierno Divrigi, nella Turchia
nordoccidentale). Alla morte di Karbeas nel 863, successe, alla guida
dell'effimero stato, Crisoceir (cioè "mano d'oro"), che, nel periodo tra il
863 ed il 872, tenne in scacco le truppe imperiali, avanzando con i soldati
p. fino ad Efeso ed alla costa di fronte a Costantinopoli. Crisoceir,
tuttavia, fu sconfitto e ucciso nel 872, data in cui si estinse lo stato p. e
venne distrutta la sua capitale Tephrike. Sopravvissero diverse comunità
eretiche, ma non ribelli, di p. nell'impero e durante il regno di Giovanni I
Zimisce (968-975), nel 970, essi vennero deportati in massa nella Tracia,
come forza d'urto contro le invasioni dei Bulgari. All'imperatore Alessio
I Comneno (1081-1118), fondatore dell'omonima dinastia, venne attribuito il
merito di aver convertito gli ultimi p. Tuttavia, le deportazioni ebbero un
effetto non previsto dagli imperatori bizantini: infatti la diffusione delle
dottrine p. nella penisola balcanica contribuì allo sviluppo di di altri
gruppi di eretici dualisti come i bogomili ed i catari. Come comunità
isolate, il p. sopravvisse in Armenia, fino all'invasione di questo paese da
parte della Russia nel 1828.
La denominazione Il nome di
pauliciani dato ai seguaci di questa setta ha dato origine ad una serie di
ipotesi, nessuna delle quali è totalmente soddisfacente: La particolare
venerazione per San Paolo, rinforzato dall'abitudine di rinominare i capi p.
con i nomi dei compagni di Paolo. Una supposta discendenza spirituale da
Paolo di Samosata, derivato dal fatto che Costantino, il fondatore era nato a
Manamali, vicino a Samosata. Una derivazione dal nome dei due missionari,
Paolo e Giovanni, che portarono l'eresia in Armenia nel VIII secolo, da cui
il nome Pauloioannoi. I discepoli del "piccolo Paolo", ma non si è mai saputo
a chi ci si faceva riferimento.
La dottrina Il p. era derivato
probabilmente dalla fusione sincretica di diverse dottrine eretiche, che
erano state popolari in Asia Minore nei secoli precedenti, come il
gnosticismo, il marcionismo, il messalianismo, il manicheismo, mentre sembra
del tutto accertato l'estraneità agli insegnamenti adozionisti di Paolo di
Samosata. Dalle dottrine di Marcione, i p. negarono l'importanza del
Vecchio Testamento e propugnarono il concetto dualista e gnostico di due Dei,
il Dio malvagio del Vecchio Testamento, creatore del mondo e della materia, e
il Dio buono del Nuovo Testamento, creatore dello spirito e dell'anima,
l'unico degno di adorazione. I p., quindi, utilizzavano come testi sacri
solo il Nuovo Testamento, con particolare attenzione alle lettere di San
Paolo ed al Vangelo di San Luca, venivano invece respinte le lettere di San
Pietro. Come altre sette gnostiche, ad esempio i manichei, anche i p. erano
divisi in pochi "Perfetti", celibi, astemi e vegetariani, e molti "Uditori"
o catecumeni. Oltretutto essi erano anche non violenti e quindi costò
loro molta fatica il dovere prendere le armi per difendersi contro gli
attacchi delle truppe bizantine. Come i messaliani, essi consideravano
inutili la mediazione della Chiesa e i sacramenti (però qualche volta si
facevano battezzare), come forme esteriori della Chiesa, della quale
combatterono anche il culto delle immagini, diventando iconoclasti, cosa che
permise loro una relativa tranquillità nel periodo degli imperatori della
dinastia isaurica, persecutori proprio delle immagini sacre. Rispetto
all'Incarnazione di Cristo, i p. la rifiutavano, seguendo l'eresia del
Docetismo, poiché credevano che il corpo di Cristo fosse del
tutto immateriale, essendo Egli un angelo. Sono infine calunniose e prive
di fondamento le dicerie di strani riti satanici, compiuti dai p. con
sacrifici notturni di neonati, riportate da Giovanni di Ojun (o Ozniensis),
vescovo della Chiesa Armena.
Babai il grande (m.ca.
628)
Babai fu un importante teologo di fede nestoriana ed un
monaco corepiscopo (coordinatore di monasteri), residente nel monastero di
Mar Abraham sul monte Izla (nella attuale Turchia sudorientale) all'inizio
del VII secolo, sotto il regno del re persiano sassanide Chosroe II
(590-628). Egli scrisse il trattato De unione, un compendio di dottrine
nestoriane in sette trattati, per chiarire i punti di differenza fra questa
corrente e gli altri credi cristiani del periodo. In particolare, B. negò
che i termini ipostasi e persona avessero lo stesso significato: l'ipostasi
era un essere singolo e indipendente, mentre la persona era la proprietà che
distingueva l'ipostasi da un'altra. La precisazione fu un tentativo senza
successo per giustificare la formula base (due ipostasi in una persona) del
nestorianesimo per quanto concerneva la natura di Cristo.
Bacone,
Ruggero (1214-1292)
La vita Ruggero Bacone, il celebre
studioso soprannominato Doctor mirabilis, nacque ad Ilchester, nella contea
del Somerset (Gran Bretagna) nel 1214 ca. da una famiglia benestante. Egli
frequentò le università di Oxford e Parigi, studiando scienze (astronomia,
matematica ecc.), lingue e fisica e dal 1240 al 1247 insegnò all'ateneo
francese. Nel 1251 ca. entrò nell'ordine francescano, dove B., da studioso,
soffrì per il decreto che proibiva la pubblicazione di qualsiasi libro senza
una speciale autorizzazione scritta dei propri superiori. Detto decreto
era stato promulgato in seguito alla vicenda del trattato di Gerardo di Borgo
di San Donnino, francescano gioachimita. Questa proibizione venne meno
quando B. conobbe il cardinale Guy Foulques, il futuro Papa Clemente IV
(1265-1268), che lo incoraggiò a presentare un piano di riforma degli studi
ecclesiastici e al quale, diventato nel frattempo Papa, B. inviò nel 1267 la
sua opera principale, una enciclopedia sul sapere umano dal titolo Opus
majus, seguita da una forma di compendio del precedente e chiamato Opus minus
e nel 1268 dalla terza parte dell'opera, intitolata Opus tertium, con
maggiori approfondimenti rispetto ai precedenti. Tuttavia qualche anno
dopo la morte del suo protettore Clemente IV, nel 1277, B. fu accusato dal
vescovo di Parigi Etienne Tempier (lo stesso che aveva attaccato Sigieri da
Brabante nel 1270) di ben 219 punti di "innovazioni sospette" nei suoi
scritti e condannato ad essere imprigionato a vita dal Generale dell'ordine
francescano Girolamo Masci [il futuro Papa Niccolò IV (1288-1292)]. B.
morì nel 1292.
Le opere B. fu un incredibile ed eclettico studioso
e i suoi studi si occuparono dei più vari e disparati argomenti dello scibile
umano: la riflessione della luce, i miraggi, il diametro dei corpi celesti,
la composizione della polvere da sparo, i microscopi e telescopi ecc. La
produzione letteraria di B. fu vastissima, ma la sua principale opera
fu, come si diceva, la trilogia Opus majus, minus e tertium, diviso in
sette parti che trattavano di: gli errori e le loro fonti la relazione
tra teologia e scienze lo studio delle lingue bibliche e della loro
grammatica la matematica, geografia, astronomia e musica della
Bibbia L'ottica e la prospettiva Le scienze sperimentali La filosofia
morale o etica. Tuttora rimane poco chiaro il perché B. sia stato condannato:
secondo alcuni autori è stato grazie alla capacità persecutoria di Etienne
Tempier, secondo altri è dovuto alla pubblicazione nel 1277 di un testo con
forti riflessi astrologici, il Speculum Astronomiæ.
Villanova
(Villanovanus o Villanueva o Villeneuve o Bachuone), Arnaldo
di (1234/1240-1312/1313)
Arnaldo di Villanova fu un vero e
proprio umanista ante litteram: infatti era un famoso medico, alchimista,
farmacista, filosofo, astrologo, teologo, mistico e letterato del suo tempo.
Nacque tra il 1234 ed il 1240 per l'appunto, a Villanova, ma, poiché si sa
pochissimo sulla prima parte della sua vita, non è dato di sapere neanche di
quale Villanova si tratta, essendo questo un toponimo piuttosto diffuso in
Italia, Spagna (come Villanueva), e Francia (come Villeneuve). Alcuni fonti
propendono per quest'ultima nazione, a causa dei suoi studi universitari a
Montpellier ed a Parigi, dove si laureò in medicina nel
1270. Successivamente egli viaggiò e visitò moltissime città dell'Europa (a
parte le già menzionate Parigi e Montpellier): Lione, Avignone,
Barcellona, Valencia, Madrid, Tarragona, Toledo, Roma, Firenze, Napoli,
Salerno, Palermo e Bologna. V. conosceva l'ebraico e l'arabo, aveva
studiato, e successivamente insegnato, medicina, farmacologia e botanica [il
famoso mistico spagnolo Raimondo Lullo (1232/6-1315), detto Doctor
Illuminatus, fu un suo allievo]. Fu medico personale di ben quattro papi
[Innocenzo V (1276), Bonifacio VIII (1294-1303), Benedetto XI (1303-1304) e
Clemente V (1305-1314)], due re d'Aragona [Pietro III il Grande (1276-1285) e
Giacomo II il Giusto (1285-1327)], un re di Napoli [Roberto d'Angiò
(1309-1343)] e infine un re di Sicilia [Federico II d'Aragona
(1296-1337)]. Nel 1296, prendendo spunto dalle dottrine di Gioacchino da
Fiore e Pietro di Giovanni Olivi, scrisse una Expositio Apocalypsis, e,
qualche anno dopo, un De adventu Antichristi, nei quali ipotizzava l'arrivo
dell'Anticristo per il 1367. Durante un suo viaggio in Francia nel 1301 per
conto di Giacomo II di Aragona, egli fu denunciato dai teologi
dell'Università di Parigi all'Inquisizione, ma la protezione del re di
Francia, Filippo IV il Bello (1285-1314) e soprattutto quella del Papa
Bonifacio VIII, più interessato a continuare ad usufruire delle sua capacità
come medico che alle sue idee dottrinali, lo salvò dalle grinfie del Santo
Uffizio, e poté lasciare la Francia. Nel 1304, V. presentò a Papa
Benedetto XI un suo programma per la riforma della Chiesa, basata sulla
povertà, purezza, umiltà e carità, ma tutto si arenò a causa della improvvisa
morte del pontefice il 7 Luglio dello stesso anno. Della morte fu
ingiustamente incolpato il francescano Bernard Délicieux, il quale aveva
incautamente scritto a V. che dalle profezie di Gioacchino da Fiore si poteva
desumere la morte del papa per il 1304: effettivamente il papa morì in
quell'anno, ma per una indigestione di fichi...avvelenati con polvere di
diamante da Guglielmo di Nogaret, l'anima nera di Filippo il Bello. Al re
era rimasta "indigesta" una bolla papale con una sua condanna come mandante
(ed era vero) per il famoso episodio dello "schiaffo di Anagni" a Papa
Bonifacio VIII. In una clima non favorevole, l'ostinato e incauto V.
ripropose lo scritto al successore Clemente V (1305-1314): il Papa non gradì
il libro e fece imprigionare il suo autore per un certo periodo, mentre,
nello stesso periodo, l'inquisizione catalana proibì la diffusione dei suoi
libri. Evidentemente il suo ostracismo durò poco perché, pochi anni dopo, nel
1309, V. fu chiamato da Papa Clemente V (di cui divenne medico e alchimista)
a riorganizzare l'Università di Montpellier. Egli giocò inoltre un ruolo
molto importante nel trattative tra i francescani spirituali della Provenza e
i conventuali. Infatti egli intercedette presso il re di Napoli Carlo II
d'Angiò (o forse suo figlio Roberto) e presso lo stesso Clemente V, per
cercare una intermediazione tra il generale dell'ordine, Gundisalvo di
Valleboa e i capi spirituali, Raymond Gaufredi, Guy de Mirepoix, Bartolomeo
Sicardi e Ubertino da Casale. L'incontro effettivamente avvenne nel 1310 e
produsse qualche concessione agli spirituali. Infine V. morì nel 1312/1313
ca., in un naufragio in mare presso Genova, mentre si recava ad Avignone al
capezzale del suo illustre paziente, Clemente V.
Bay (Baio),
Michel de (1513-1589) e baianismo
La vita Michel de Bay (o
Michel Baius), nato nel 1513 a Melun, nella regione belga del Hainault,
studiò filosofia all'università di Lovanio (Louvain). Dopo la laurea e
l'ordinazione a prete, egli fu nominato direttore del collegio Standonk, a
Lovanio, nel 1541. Divenuto docente di filosofia nel 1544, egli mantenne la
cattedra fino al 1550, quando, una volta laureato anche in teologia, fu
nominato presidente del collegio Adrien, sempre a Lovanio, e divenne il
sostituto di Jean Leonardi (Hasselius), professore di Sacre Scritture, in
quel momento impegnato nel concilio di Trento. B. iniziò a lavorare a nuove
idee dottrinali assieme a Jan Hessels (1522-1566), a sua volta sostituto di
Josse Ravesteyn (Tiletanus) (1506-1570), professore di teologia della
stessa università e impegnato anch'egli nel concilio della
Controriforma. Tuttavia, quando i due titolari di cattedra rientrarono nel
1552 da Trento, essi si resero conto ben presto delle idee non precisamente
ortodosse dei loro sostituti e chiesero quindi la condanna di 18 proposizioni
di B. e Hessels da parte dell'università parigina della Sorbona.
Tuttavia, nonostante la censura ufficiale, i due teologi dissidenti furono
scelti, a sorpresa, nel 1561 per rappresentare l'università di Lovanio al
concilio di Trento, dove, però, essi, dopo polemiche e discussioni, furono
inviati nel 1563 ufficialmente come teologi del re di Spagna, Filippo II
(1556-1598). Dopo la morte di Hessels, 79 idee di B. (e di Hessels stesso)
furono poi pubblicate nel 1566 nella sua opera Opuscula omnia, condannata
dalla bolla papale Ex omnibus afflictionibus, firmata da Papa Pio V
(1566-1572) il 1 ottobre 1567, dove, però, non venne menzionato il nome del
teologo belga, probabilmente nella speranza che egli si ravvedesse. Tuttavia
per tutta la sua vita, B. non fece altro di abiurare le sue idee, quando era
sotto pressione o accusato, per poi, passata la tempesta, ritornare sulle
proprie posizioni. Nel 1570 B. fu nominato decano della facoltà di
teologia, ma le sue idee furono sistematicamente attaccate sia da (San)
Roberto Bellarmino (1542-1621), professore di teologia a Lovanio tra il 1570
ed il 1576, che da Leonhard Lessius (1554-1623), successore di Bellarmino dal
1576. Infine, sotto la pressione da parte di Papa Gregorio XIII (1572-1585) e
del suo incaricato, il teologo e filosofo gesuita Francisco Toledo
(Toletus) (1532-1596), B., nel frattempo diventato cancelliere
dell'università, fu costretto a firmare una definitiva abiura nel 1579. Per
gli ultimi dieci anni della vita di B. non si segnalano altri fatti degni di
nota, fino alla sua morte avvenuta a Lovanio il 16 settembre
1589.
La dottrina del baianismo Sicuramente B. fu influenzato dal
pensiero, condiviso da alcuni teologi domenicani dell'epoca, di reazione
contro la Riforma protestante, e che si basava su una più attenta e diretta
rilettura delle Sacre Scritture e dei Padri della Chiesa, come San Cipriano,
Sant'Ambrogio e soprattutto Sant'Agostino, ricusando le interpretazioni della
Scolastica medioevale. Dall'altra parte, era forte anche la reazione nel
mondo cattolico contro la rigida applicazione, soprattutto da parte della
Compagnia di Gesù, dei concetti espressi nel Concilio di Trento (1545-1563):
esteriorità del culto, passiva accettazione dei sacramenti, soggezione senza
discussione alla gerarchia della Chiesa. I gesuiti, in particolare,
applicavano un lassismo benevolo verso i peccatori sottomessi alla Chiesa,
tenendo conto di tutta una serie di attenuanti, basati sui casi di coscienza,
mentre non esitavano di usare il pugno di ferro contro i dissidenti, anche se
questi erano armati delle migliori intenzioni religiose e
morali. Capostipite di questo pensiero gesuita fu il teologo Luis de
Molina (1535-1600), autore di Concordia liberi arbitrii cum gratiae donis,
divina praescientia, providentia, praedestinatione et reprobatione (1588).
Per Molina l'efficacia della grazia non sta nella sostanza della grazia
stessa, bensì nella preconoscenza divina che l'uomo collaborerà
spontaneamente con la grazia. Fortemente influenzato quindi da
Sant'Agostino, l'impianto dottrinale di B., denominato baianismo dal nome del
teologo, si inserì in questa polemica in atto sul concetto della grazia. I
punti fondamentali del baianismo furono: Nello stato dell'uomo prima del
peccato originale, l'innocenza non è un dono soprannaturale di Dio, ma un
complemento della natura umana. Questo stato include tra i suoi requisiti la
destinazione al paradiso, l'immunità dalla sofferenza, l'ignoranza e la
morte. Il successivo peccato originale non è semplicemente una privazione
della grazia, ma una concupiscenza, trasmessa in maniera ereditaria anche
ai bambini innocenti, e, nonostante il libero arbitrio, l'uomo, senza la
grazia divina, non è capace altro che di peccare. Il dono della primitiva
innocenza viene restaurato da Dio e Cristo mediatore: la redenzione e la
grazia infatti ci permettono di recuperare questi valori, operando una scelta
in cui sostituiamo la concupiscenza (che non possiamo eliminare, ma almeno
tenere sotto controllo) con la Carità. In questi tre punti, B. venne accusato
di mischiare l'antica eresia del pelagianesimo (stato primitivo dell'uomo)
con le idee contemporanee: calvinista (la successiva caduta dell'uomo) e
luterana (il concetto della redenzione). Il baianismo non sopravvisse al
suo ideatore, ma senz'altro diversi suoi elementi si ritrovarono circa
ottant'anni dopo, nel 1640, nel giansenismo.
Bay (Baio), Michel de
(1513-1589) e baianismo
La vita Michel de Bay (o Michel
Baius), nato nel 1513 a Melun, nella regione belga del Hainault, studiò
filosofia all'università di Lovanio (Louvain). Dopo la laurea e l'ordinazione
a prete, egli fu nominato direttore del collegio Standonk, a Lovanio, nel
1541. Divenuto docente di filosofia nel 1544, egli mantenne la cattedra fino
al 1550, quando, una volta laureato anche in teologia, fu nominato
presidente del collegio Adrien, sempre a Lovanio, e divenne il sostituto di
Jean Leonardi (Hasselius), professore di Sacre Scritture, in quel
momento impegnato nel concilio di Trento. B. iniziò a lavorare a nuove
idee dottrinali assieme a Jan Hessels (1522-1566), a sua volta sostituto di
Josse Ravesteyn (Tiletanus) (1506-1570), professore di teologia della
stessa università e impegnato anch'egli nel concilio della
Controriforma. Tuttavia, quando i due titolari di cattedra rientrarono nel
1552 da Trento, essi si resero conto ben presto delle idee non precisamente
ortodosse dei loro sostituti e chiesero quindi la condanna di 18 proposizioni
di B. e Hessels da parte dell'università parigina della Sorbona.
Tuttavia, nonostante la censura ufficiale, i due teologi dissidenti furono
scelti, a sorpresa, nel 1561 per rappresentare l'università di Lovanio al
concilio di Trento, dove, però, essi, dopo polemiche e discussioni, furono
inviati nel 1563 ufficialmente come teologi del re di Spagna, Filippo II
(1556-1598). Dopo la morte di Hessels, 79 idee di B. (e di Hessels stesso)
furono poi pubblicate nel 1566 nella sua opera Opuscula omnia, condannata
dalla bolla papale Ex omnibus afflictionibus, firmata da Papa Pio V
(1566-1572) il 1 ottobre 1567, dove, però, non venne menzionato il nome del
teologo belga, probabilmente nella speranza che egli si ravvedesse. Tuttavia
per tutta la sua vita, B. non fece altro di abiurare le sue idee, quando era
sotto pressione o accusato, per poi, passata la tempesta, ritornare sulle
proprie posizioni. Nel 1570 B. fu nominato decano della facoltà di
teologia, ma le sue idee furono sistematicamente attaccate sia da (San)
Roberto Bellarmino (1542-1621), professore di teologia a Lovanio tra il 1570
ed il 1576, che da Leonhard Lessius (1554-1623), successore di Bellarmino dal
1576. Infine, sotto la pressione da parte di Papa Gregorio XIII (1572-1585) e
del suo incaricato, il teologo e filosofo gesuita Francisco Toledo
(Toletus) (1532-1596), B., nel frattempo diventato cancelliere
dell'università, fu costretto a firmare una definitiva abiura nel 1579. Per
gli ultimi dieci anni della vita di B. non si segnalano altri fatti degni di
nota, fino alla sua morte avvenuta a Lovanio il 16 settembre
1589.
La dottrina del baianismo Sicuramente B. fu influenzato dal
pensiero, condiviso da alcuni teologi domenicani dell'epoca, di reazione
contro la Riforma protestante, e che si basava su una più attenta e diretta
rilettura delle Sacre Scritture e dei Padri della Chiesa, come San Cipriano,
Sant'Ambrogio e soprattutto Sant'Agostino, ricusando le interpretazioni della
Scolastica medioevale. Dall'altra parte, era forte anche la reazione nel
mondo cattolico contro la rigida applicazione, soprattutto da parte della
Compagnia di Gesù, dei concetti espressi nel Concilio di Trento (1545-1563):
esteriorità del culto, passiva accettazione dei sacramenti, soggezione senza
discussione alla gerarchia della Chiesa. I gesuiti, in particolare,
applicavano un lassismo benevolo verso i peccatori sottomessi alla Chiesa,
tenendo conto di tutta una serie di attenuanti, basati sui casi di coscienza,
mentre non esitavano di usare il pugno di ferro contro i dissidenti, anche se
questi erano armati delle migliori intenzioni religiose e
morali. Capostipite di questo pensiero gesuita fu il teologo Luis de
Molina (1535-1600), autore di Concordia liberi arbitrii cum gratiae donis,
divina praescientia, providentia, praedestinatione et reprobatione (1588).
Per Molina l'efficacia della grazia non sta nella sostanza della grazia
stessa, bensì nella preconoscenza divina che l'uomo collaborerà
spontaneamente con la grazia. Fortemente influenzato quindi da
Sant'Agostino, l'impianto dottrinale di B., denominato baianismo dal nome del
teologo, si inserì in questa polemica in atto sul concetto della grazia. I
punti fondamentali del baianismo furono: Nello stato dell'uomo prima del
peccato originale, l'innocenza non è un dono soprannaturale di Dio, ma un
complemento della natura umana. Questo stato include tra i suoi requisiti la
destinazione al paradiso, l'immunità dalla sofferenza, l'ignoranza e la
morte. Il successivo peccato originale non è semplicemente una privazione
della grazia, ma una concupiscenza, trasmessa in maniera ereditaria anche
ai bambini innocenti, e, nonostante il libero arbitrio, l'uomo, senza la
grazia divina, non è capace altro che di peccare. Il dono della primitiva
innocenza viene restaurato da Dio e Cristo mediatore: la redenzione e la
grazia infatti ci permettono di recuperare questi valori, operando una scelta
in cui sostituiamo la concupiscenza (che non possiamo eliminare, ma almeno
tenere sotto controllo) con la Carità. In questi tre punti, B. venne accusato
di mischiare l'antica eresia del pelagianesimo (stato primitivo dell'uomo)
con le idee contemporanee: calvinista (la successiva caduta dell'uomo) e
luterana (il concetto della redenzione). Il baianismo non sopravvisse al
suo ideatore, ma senz'altro diversi suoi elementi si ritrovarono circa
ottant'anni dopo, nel 1640, nel giansenismo.
Lupetino (o Lupatino o
Lupertino), Baldo (ca. 1492-1556)
I primi anni Baldo Lupetino
(o Lupatino o Lupertino) nacque nel 1492 circa ad Albona (oggigiorno Labin)
in Istria, allora parte della repubblica di Venezia. Si formò culturalmente a
Padova e Venezia e conobbe Pietro Speciale di Cittadella. Nel 1422 circa
egli entrò nell'ordine dei francescani conventuali e divenne un noto
predicatore sia in lingua italiana che in quella slava. In seguito si
interessò, in maniera crescente, alle dottrine della Riforma e influenzò così
anche le scelte di campo del nipote Matija (Matthias) Vlacic (nome umanistico
Flacius Illyricus), a cui sconsigliò la carriera ecclesiastica, esortandolo
invece a studiare in Germania, dove effettivamente Flacius si trasferì nel
1539. In Istria e in Dalmazia [dove dal 1539 aveva stabilito il proprio
campo d'azione e dove poté predicare sotto la protezione del vescovo di
Pola, Giovanni Battista Vergerio (m.1548), fratello del più famoso Pier
Paolo Vergerio] L. si mise nei guai, predicando nella cattedrale di Cherso
nel 1542 i concetti luterani di sola scriptura e di negazione delle
indulgenze, del purgatorio, del libero arbitrio, del culto della Madonna e
dei santi.
L'arresto e la detenzione Venne denunciato da un monaco
confratello, Iacopo Curzula, arrestato per ordine del nunzio papale, il 4
novembre 1542, e successivamente trasferito a Venezia per essere rinchiuso in
una prigione vicino all'Arsenale. Nell'estate 1543 Flacius si mosse da
Wittenberg per venire in soccorso dello zio, munito di un appello alla
clemenza (per Baldo Lupetino, uomo dotato di singolare pietà e dottrina),
sollecitato da Baldassarre Altieri ed indirizzato al doge Pietro Lando
(1539-1545), da parte del principe elettore di Sassonia, Giovanni Federico
(1532-1547) e dei principi luterani della Lega Smalcaldica (alla quale alcuni
senatori veneziani volevano che la Serenissima aderisse). Inoltre la
catena di solidarietà dalla Germania per L. si mosse dal punto di vista
pratico: ricchi mercanti del Fondaco dei Tedeschi, come Wolf Herwart o Johann
Baier, lo aiutarono economicamente e perfino Caspar von Schwenckfeld, pur
rifiutando il suo impianto dottrinale, inviò del denaro. Tuttavia gli sforzi
di Flacius per liberare lo zio furono inutili: nell'agosto 1543 L. fu multato
di cinquecento ducati e condannato all'ergastolo. E poco dopo, la
situazione politica di Venezia cambiò, purtroppo in peggio, per i riformati
con l'elezione del doge Francesco Donà (1545-1553), che permise
l'insediamento a pieno regime dell'Inquisizione del nunzio apostolico
Giovanni Della Casa (1503-1556), e con la diminuzione dell'influenza dei
principati tedeschi sulla Repubblica di Venezia a causa della sconfitta della
Lega Smalcaldica il 24 aprile 1547 a Mühlberg. Ne fecero le spese l'avvocato
di Cittadella Francesco Spiera, appena rinchiuso nella stessa cella di L. e
obbligato ad abiurare per evitare le conseguenze alla famiglia, e lo stesso
L., accusato, tra l'altro, di aver convertito due compagni di prigione
durante la detenzione e di aver scritto e pubblicato un suo manoscritto,
fatto uscire clandestinamente da prigione. Il 27 ottobre 1547, alla fine del
secondo processo, la Santa Inquisizione condannò L. alla decapitazione, ma la
pena non venne eseguita, secondo alcuni autori, per pressioni esercitate dal
vescovo di Capodistria Pier Paolo Vergerio, ma ciò sembra poco credibile,
considerando che anche Vergerio, dal giugno 1546, era sotto inchiesta
dell'Inquisizione veneziana. E' più probabile il doge volesse commutare la
condanna, confermando l'ergastolo in corso.
La fine Per diversi
anni L. venne letteralmente dimenticato dalle autorità locali, ma non da
parte di eminenti personaggi di fede protestante: nel 1552 un tentativo di
intervento, da lui stesso sollecitato, di Renata d'Este gli costò il regime
duro a pane e acqua per cinque mesi, ed il 9 settembre 1555 intercesse a suo
favore il Duca Christoph del Württemberg (1550-1568) presso il doge
Francesco Valier (1554-1556), ma quest'ultimo rispose che il governo di
Venezia non poteva interferire con l'Inquisizione. Il nuovo papa,
l'intollerante Paolo IV (1555-1559), invece chiese, a gran voce, una condanna
di L. al rogo, ma il governo delle Serenissima decise infine, il 30 agosto
1556, di eliminare lo scomodo prigioniero, procedendo alla sentenza per
annegamento nella laguna, senza rumore né strepito. Dopo quasi 14 anni di
detenzione, il 17 settembre 1556, L. fu quindi ufficialmente degradato
davanti all'Inquisitore e consegnato alla giustizia civile, che lo fece, come
detto, annegare, il giorno stesso o in uno dei giorni
successivi.
Balbani, famiglia
Famiglia di mercanti
lucchesi protestanti, di cui si ricordano:
1) Balbani, Agostino
(inizio XVI° secolo) Ad Agostino Balbani viene tradizionalmente attribuita
l'introduzione a Lucca delle idee riformatrici, da lui conosciute nei suoi
viaggi come mercante nelle Fiandre. Le idee presero talmente piede che nel
1525 fu emanato un decreto, rinnovato nel 1533, mirante a distruggere
qualsiasi scritto protestante.
2) Balbani, Niccolò
(1522-1587) Nato a Lucca nel 1522, figlio di Agostino e fratello di Turco,
laureato a Ferrara in giurisprudenza nel 1547, Niccolò aderì negli anni '50
al protestantesimo, fuggendo a Lione nel 1555 in seguito alle
persecuzioni. Decise poi di stabilirsi nel 1556 a Ginevra dove, completati
gli studi teologici, diventò nel 1561 pastore della chiesa italiana riformata
come successore di Lattanzio Ragnoni (1509-1559), fino alla sua morte nel
1587. Nel 1578 Niccolò fu il destinatario di una famosa missiva inviata
da Francesco Pucci sulla naturale innocenza dell'uomo, sulla negazione
del peccato originale e sull'inutilità del Battesimo. A sua volta, N.
scrisse nel 1566 una traduzione del catechismo di Calvino e nel 1587 la
biografia di Galeazzo Caracciolo, marchese di Vico (Historia della vita di
Galeazzo Caracciolo, chiamato il signor Marchese, nella quale si contiene un
raro e singolare esempio di costanza e perseveranza nella pietà e vasta
religione), prestigioso esponente dell'aristocrazia napoletana, passato al
protestantesimo. La biografia ebbe un notevole successo a Ginevra, nella
versione tradotta in latino da Theodore de Bèze, e successivamente in inglese
da William Crashaw (1572-1626) nel 1608. Questa versione inglese fu molto
apprezzata nelle colonie del New England e persino dal noto predicatore
puritano, Cotton Mather .
3) Balbani, Cesare (1556-1621) Figlio di
Turco e nato a Lucca nel 1556, emigrato con i genitori per motivi religiosi a
Ginevra all'età di un anno, sposò, nel 1586, Renea (o Renata), figlia di
Michele Burlamacchi e autrice delle memorie del padre. Cesare ricoprì
importanti incarichi a Ginevra, come diacono della chiesa italiana e
tesoriere della borsa italiana e morì nel 1621.
4) Balbani, Manfredi
(1544-dopo 1610) Manfredi Balbani nacque a Lucca nel 1544, ma si fece
un'approfondita esperienza commerciale all'estero ad Anversa, Lione, Parigi e
Norimberga. Abbandonata Lucca per motivi religiosi, Manfredi visse nei Paesi
Bassi, in Francia e in Germania, e soprattutto ricoprì incarichi ufficiali
di rappresentanza per conto della repubblica di Ginevra. Sposò, in seconde
nozze, la ricca e giovane contessa Diamante Pepoli e divenne ancora più
benestante. Intorno alla fine del secolo XVI, M. si trasferì in Francia,
diventando banchiere al servizio del re Enrico IV (1589-1610), ma alla morte
di quest'ultimo nel 1610, M. non riuscì ad onorare i suoi debiti, a causa di
forti capitali imprestati al re sulla parola, e, dopo un periodo di prigione,
finì i suoi giorni povero e dimenticato da tutti.
Balbani,
famiglia
Famiglia di mercanti lucchesi protestanti, di cui si
ricordano:
1) Balbani, Agostino (inizio XVI° secolo) Ad Agostino
Balbani viene tradizionalmente attribuita l'introduzione a Lucca delle idee
riformatrici, da lui conosciute nei suoi viaggi come mercante nelle Fiandre.
Le idee presero talmente piede che nel 1525 fu emanato un decreto, rinnovato
nel 1533, mirante a distruggere qualsiasi scritto protestante.
2)
Balbani, Niccolò (1522-1587) Nato a Lucca nel 1522, figlio di Agostino e
fratello di Turco, laureato a Ferrara in giurisprudenza nel 1547, Niccolò
aderì negli anni '50 al protestantesimo, fuggendo a Lione nel 1555 in seguito
alle persecuzioni. Decise poi di stabilirsi nel 1556 a Ginevra dove,
completati gli studi teologici, diventò nel 1561 pastore della chiesa
italiana riformata come successore di Lattanzio Ragnoni (1509-1559), fino
alla sua morte nel 1587. Nel 1578 Niccolò fu il destinatario di una famosa
missiva inviata da Francesco Pucci sulla naturale innocenza dell'uomo, sulla
negazione del peccato originale e sull'inutilità del Battesimo. A sua
volta, N. scrisse nel 1566 una traduzione del catechismo di Calvino e nel
1587 la biografia di Galeazzo Caracciolo, marchese di Vico (Historia della
vita di Galeazzo Caracciolo, chiamato il signor Marchese, nella quale si
contiene un raro e singolare esempio di costanza e perseveranza nella pietà e
vasta religione), prestigioso esponente dell'aristocrazia napoletana, passato
al protestantesimo. La biografia ebbe un notevole successo a Ginevra, nella
versione tradotta in latino da Theodore de Bèze, e successivamente in inglese
da William Crashaw (1572-1626) nel 1608. Questa versione inglese fu molto
apprezzata nelle colonie del New England e persino dal noto predicatore
puritano, Cotton Mather .
3) Balbani, Cesare (1556-1621) Figlio di
Turco e nato a Lucca nel 1556, emigrato con i genitori per motivi religiosi a
Ginevra all'età di un anno, sposò, nel 1586, Renea (o Renata), figlia di
Michele Burlamacchi e autrice delle memorie del padre. Cesare ricoprì
importanti incarichi a Ginevra, come diacono della chiesa italiana e
tesoriere della borsa italiana e morì nel 1621.
4) Balbani, Manfredi
(1544-dopo 1610) Manfredi Balbani nacque a Lucca nel 1544, ma si fece
un'approfondita esperienza commerciale all'estero ad Anversa, Lione, Parigi e
Norimberga. Abbandonata Lucca per motivi religiosi, Manfredi visse nei Paesi
Bassi, in Francia e in Germania, e soprattutto ricoprì incarichi ufficiali
di rappresentanza per conto della repubblica di Ginevra. Sposò, in seconde
nozze, la ricca e giovane contessa Diamante Pepoli e divenne ancora più
benestante. Intorno alla fine del secolo XVI, M. si trasferì in Francia,
diventando banchiere al servizio del re Enrico IV (1589-1610), ma alla morte
di quest'ultimo nel 1610, M. non riuscì ad onorare i suoi debiti, a causa di
forti capitali imprestati al re sulla parola, e, dopo un periodo di prigione,
finì i suoi giorni povero e dimenticato da tutti.
Balbani,
famiglia
Famiglia di mercanti lucchesi protestanti, di cui si
ricordano:
1) Balbani, Agostino (inizio XVI° secolo) Ad Agostino
Balbani viene tradizionalmente attribuita l'introduzione a Lucca delle idee
riformatrici, da lui conosciute nei suoi viaggi come mercante nelle Fiandre.
Le idee presero talmente piede che nel 1525 fu emanato un decreto, rinnovato
nel 1533, mirante a distruggere qualsiasi scritto protestante.
2)
Balbani, Niccolò (1522-1587) Nato a Lucca nel 1522, figlio di Agostino e
fratello di Turco, laureato a Ferrara in giurisprudenza nel 1547, Niccolò
aderì negli anni '50 al protestantesimo, fuggendo a Lione nel 1555 in seguito
alle persecuzioni. Decise poi di stabilirsi nel 1556 a Ginevra dove,
completati gli studi teologici, diventò nel 1561 pastore della chiesa
italiana riformata come successore di Lattanzio Ragnoni (1509-1559), fino
alla sua morte nel 1587. Nel 1578 Niccolò fu il destinatario di una famosa
missiva inviata da Francesco Pucci sulla naturale innocenza dell'uomo, sulla
negazione del peccato originale e sull'inutilità del Battesimo. A sua
volta, N. scrisse nel 1566 una traduzione del catechismo di Calvino e nel
1587 la biografia di Galeazzo Caracciolo, marchese di Vico (Historia della
vita di Galeazzo Caracciolo, chiamato il signor Marchese, nella quale si
contiene un raro e singolare esempio di costanza e perseveranza nella pietà e
vasta religione), prestigioso esponente dell'aristocrazia napoletana, passato
al protestantesimo. La biografia ebbe un notevole successo a Ginevra, nella
versione tradotta in latino da Theodore de Bèze, e successivamente in inglese
da William Crashaw (1572-1626) nel 1608. Questa versione inglese fu molto
apprezzata nelle colonie del New England e persino dal noto predicatore
puritano, Cotton Mather .
3) Balbani, Cesare (1556-1621) Figlio di
Turco e nato a Lucca nel 1556, emigrato con i genitori per motivi religiosi a
Ginevra all'età di un anno, sposò, nel 1586, Renea (o Renata), figlia di
Michele Burlamacchi e autrice delle memorie del padre. Cesare ricoprì
importanti incarichi a Ginevra, come diacono della chiesa italiana e
tesoriere della borsa italiana e morì nel 1621.
4) Balbani, Manfredi
(1544-dopo 1610) Manfredi Balbani nacque a Lucca nel 1544, ma si fece
un'approfondita esperienza commerciale all'estero ad Anversa, Lione, Parigi e
Norimberga. Abbandonata Lucca per motivi religiosi, Manfredi visse nei Paesi
Bassi, in Francia e in Germania, e soprattutto ricoprì incarichi ufficiali
di rappresentanza per conto della repubblica di Ginevra. Sposò, in seconde
nozze, la ricca e giovane contessa Diamante Pepoli e divenne ancora più
benestante. Intorno alla fine del secolo XVI, M. si trasferì in Francia,
diventando banchiere al servizio del re Enrico IV (1589-1610), ma alla morte
di quest'ultimo nel 1610, M. non riuscì ad onorare i suoi debiti, a causa di
forti capitali imprestati al re sulla parola, e, dopo un periodo di prigione,
finì i suoi giorni povero e dimenticato da tutti.
Balbani,
famiglia
Famiglia di mercanti lucchesi protestanti, di cui si
ricordano:
1) Balbani, Agostino (inizio XVI° secolo) Ad Agostino
Balbani viene tradizionalmente attribuita l'introduzione a Lucca delle idee
riformatrici, da lui conosciute nei suoi viaggi come mercante nelle Fiandre.
Le idee presero talmente piede che nel 1525 fu emanato un decreto, rinnovato
nel 1533, mirante a distruggere qualsiasi scritto protestante.
2)
Balbani, Niccolò (1522-1587) Nato a Lucca nel 1522, figlio di Agostino e
fratello di Turco, laureato a Ferrara in giurisprudenza nel 1547, Niccolò
aderì negli anni '50 al protestantesimo, fuggendo a Lione nel 1555 in seguito
alle persecuzioni. Decise poi di stabilirsi nel 1556 a Ginevra dove,
completati gli studi teologici, diventò nel 1561 pastore della chiesa
italiana riformata come successore di Lattanzio Ragnoni (1509-1559), fino
alla sua morte nel 1587. Nel 1578 Niccolò fu il destinatario di una famosa
missiva inviata da Francesco Pucci sulla naturale innocenza dell'uomo, sulla
negazione del peccato originale e sull'inutilità del Battesimo. A sua
volta, N. scrisse nel 1566 una traduzione del catechismo di Calvino e nel
1587 la biografia di Galeazzo Caracciolo, marchese di Vico (Historia della
vita di Galeazzo Caracciolo, chiamato il signor Marchese, nella quale si
contiene un raro e singolare esempio di costanza e perseveranza nella pietà e
vasta religione), prestigioso esponente dell'aristocrazia napoletana, passato
al protestantesimo. La biografia ebbe un notevole successo a Ginevra, nella
versione tradotta in latino da Theodore de Bèze, e successivamente in inglese
da William Crashaw (1572-1626) nel 1608. Questa versione inglese fu molto
apprezzata nelle colonie del New England e persino dal noto predicatore
puritano, Cotton Mather .
3) Balbani, Cesare (1556-1621) Figlio di
Turco e nato a Lucca nel 1556, emigrato con i genitori per motivi religiosi a
Ginevra all'età di un anno, sposò, nel 1586, Renea (o Renata), figlia di
Michele Burlamacchi e autrice delle memorie del padre. Cesare ricoprì
importanti incarichi a Ginevra, come diacono della chiesa italiana e
tesoriere della borsa italiana e morì nel 1621.
4) Balbani, Manfredi
(1544-dopo 1610) Manfredi Balbani nacque a Lucca nel 1544, ma si fece
un'approfondita esperienza commerciale all'estero ad Anversa, Lione, Parigi e
Norimberga. Abbandonata Lucca per motivi religiosi, Manfredi visse nei Paesi
Bassi, in Francia e in Germania, e soprattutto ricoprì incarichi ufficiali
di rappresentanza per conto della repubblica di Ginevra. Sposò, in seconde
nozze, la ricca e giovane contessa Diamante Pepoli e divenne ancora più
benestante. Intorno alla fine del secolo XVI, M. si trasferì in Francia,
diventando banchiere al servizio del re Enrico IV (1589-1610), ma alla morte
di quest'ultimo nel 1610, M. non riuscì ad onorare i suoi debiti, a causa di
forti capitali imprestati al re sulla parola, e, dopo un periodo di prigione,
finì i suoi giorni povero e dimenticato da tutti.
Balbani,
famiglia
Famiglia di mercanti lucchesi protestanti, di cui si
ricordano:
1) Balbani, Agostino (inizio XVI° secolo) Ad Agostino
Balbani viene tradizionalmente attribuita l'introduzione a Lucca delle idee
riformatrici, da lui conosciute nei suoi viaggi come mercante nelle Fiandre.
Le idee presero talmente piede che nel 1525 fu emanato un decreto, rinnovato
nel 1533, mirante a distruggere qualsiasi scritto protestante.
2)
Balbani, Niccolò (1522-1587) Nato a Lucca nel 1522, figlio di Agostino e
fratello di Turco, laureato a Ferrara in giurisprudenza nel 1547, Niccolò
aderì negli anni '50 al protestantesimo, fuggendo a Lione nel 1555 in seguito
alle persecuzioni. Decise poi di stabilirsi nel 1556 a Ginevra dove,
completati gli studi teologici, diventò nel 1561 pastore della chiesa
italiana riformata come successore di Lattanzio Ragnoni (1509-1559), fino
alla sua morte nel 1587. Nel 1578 Niccolò fu il destinatario di una famosa
missiva inviata da Francesco Pucci sulla naturale innocenza dell'uomo, sulla
negazione del peccato originale e sull'inutilità del Battesimo. A sua
volta, N. scrisse nel 1566 una traduzione del catechismo di Calvino e nel
1587 la biografia di Galeazzo Caracciolo, marchese di Vico (Historia della
vita di Galeazzo Caracciolo, chiamato il signor Marchese, nella quale si
contiene un raro e singolare esempio di costanza e perseveranza nella pietà e
vasta religione), prestigioso esponente dell'aristocrazia napoletana, passato
al protestantesimo. La biografia ebbe un notevole successo a Ginevra, nella
versione tradotta in latino da Theodore de Bèze, e successivamente in inglese
da William Crashaw (1572-1626) nel 1608. Questa versione inglese fu molto
apprezzata nelle colonie del New England e persino dal noto predicatore
puritano, Cotton Mather .
3) Balbani, Cesare (1556-1621) Figlio di
Turco e nato a Lucca nel 1556, emigrato con i genitori per motivi religiosi a
Ginevra all'età di un anno, sposò, nel 1586, Renea (o Renata), figlia di
Michele Burlamacchi e autrice delle memorie del padre. Cesare ricoprì
importanti incarichi a Ginevra, come diacono della chiesa italiana e
tesoriere della borsa italiana e morì nel 1621.
4) Balbani, Manfredi
(1544-dopo 1610) Manfredi Balbani nacque a Lucca nel 1544, ma si fece
un'approfondita esperienza commerciale all'estero ad Anversa, Lione, Parigi e
Norimberga. Abbandonata Lucca per motivi religiosi, Manfredi visse nei Paesi
Bassi, in Francia e in Germania, e soprattutto ricoprì incarichi ufficiali
di rappresentanza per conto della repubblica di Ginevra. Sposò, in seconde
nozze, la ricca e giovane contessa Diamante Pepoli e divenne ancora più
benestante. Intorno alla fine del secolo XVI, M. si trasferì in Francia,
diventando banchiere al servizio del re Enrico IV (1589-1610), ma alla morte
di quest'ultimo nel 1610, M. non riuscì ad onorare i suoi debiti, a causa di
forti capitali imprestati al re sulla parola, e, dopo un periodo di prigione,
finì i suoi giorni povero e dimenticato da tutti.
Belesnianza (o
Balsinanza o Bellesmanza) (vescovo cataro) (attivo
1230-1250)
Vescovo cataro di Desenzano tra il 1230 ed il 1250,
capo della fazione tradizionalista, in contrasto a quella innovatrice
capeggiata dal suo "figlio maggiore" (vale a dire successore designato),
Giovanni di Lugio. Belesnianza credeva, come Giovanni, alla metempsicosi
(reincarnazione) degli spiriti, per raggiungere la salvezza anche attraverso
varie esistenze.
Paleario, Aonio (1503-1570)
I primi
anni Il famoso umanista di estrazione erasminiana, Aonio Paleario (o
Paleari), nome umanistico di Antonio della Paglia (o Pagliara), nacque a
Veroli, in provincia di Frosinone, nel 1503, dall'agiato artigiano
salernitano Matteo della Pagliara e da Clara Jannarilli. Da giovane P.
compì studi classici con il notaio Giovanni Martelli, iscrivendosi
successivamente, grazie alla protezione del vescovo di Veroli, Ennio
Filonardi (1466-1549), ai corsi di filosofia e di lettere antiche
ed eloquenza all'università di Roma, ma non poté completare gli studi,
perché abbandonò, nel 1529, la città pontificia, devastata dal sacco del 1527
ad opera dei Lanzichenecchi. Vagò allora attraverso l'Italia, fermandosi a
Perugia e qui rincontrò il suo protettore Filonardi, che, quando era stato
nunzio apostolico a Costanza, aveva conosciuto Erasmo da Rotterdam, idolo
letterario e riferimento religioso per P. In seguito, nel 1534, P. avrebbe
scritto una lettera al grande umanista olandese per chiedergli di convincere
i teologi tedeschi riformatori a presenziare al concilio (in realtà il famoso
Concilio di Trento, dopo ripetuti rinvii, iniziò i propri lavori solamente
nel 1545), convocato, appena dopo la sua elezione, da Papa Paolo III
(1534-1549).
P. a Padova Nel periodo 1530-31 P. si recò a Siena, e
infine a Padova, dove visse dal 1531 al 1536 (eccetto un periodo a Bologna
nel 1533) e completò gli studi, laureandosi ed entrando nell'ambiente
letterario, che gravitava attorno al Cardinale Pietro Bembo. Qui P.
completò la stesura del suo primo lavoro di successo: il poema filosofico, di
ispirazione neoplatonica, De animorum immortalitate, dedicato all'imperatore
Ferdinando d'Asburgo e accompagnato da una lettera per Pier Paolo Vergerio,
ambasciatore pontificio presso l'imperatore. L'opera, tuttavia, non aggiunse
niente di nuovo al dibattito accademico, accesosi dopo la condanna del noto
trattato di Pietro Pomponazzi, il Tractus de immortalitate animae, dove
l'umanista mantovano aveva negato l'immortalità dell'anima.
P. tra
gli evangelici toscani Nel 1537 P. si stabilì a Colle Val d'Elsa (provincia
di Siena), si sposò con Marietta Guidotti, da cui ebbe cinque figli, e
insegnò come tutore privato. Nella cittadina senese P. creò un cerchio di
allievi, con i quali si discuteva su scottanti argomenti dottrinali, al
centro del dibattito fra Chiesa cattolica e Riforma, come il culto dei Santi,
l'autorità della Chiesa di Roma, l'esistenza del purgatorio, il contrasto fra
Sacre Scritture e Tradizione storica. Inoltre egli ebbe l'occasione, in
questo periodo, di conoscere l'intellighenzia evangelica fiorentina, tra cui
il letterato Pier Vettori (1499-1585), Bartolomeo Panchiatichi, Pier
Francesco Riccio, Pietro Carnesecchi e Marcantonio Flaminio, e di
quest'ultimo diventò fedele amico. Oltre a ciò, Siena era terra di origine di
uno dei più famosi riformatori italiani, il vicario generale dell'ordine dei
cappuccini, Bernardino Ochino, per cui fu purtroppo scontato, in seguito ad
una campagna di propaganda denigratoria contro di lui, che P. venisse
accusato di eresia nel giugno 1542 (pochi mesi prima della fuga di Ochino in
Svizzera) davanti all'arcivescovo di Siena, Francesco Bandini Piccolomini
(arcivescovo: 1529-1588). Tuttavia uscì indenne dal procedimento a suo carico
(fu assolto per insufficienza di prove), sia per l'intervento a lui
favorevole del cardinale Jacopo Sadoleto, sia perché lo stesso arcivescovo
Piccolomini non infierì, essendo segretamente favorevole alla riforma
moderata della Chiesa, propugnata da Sadoleto e dal cardinale Gaspare
Contarini. In seguito a questa vicenda e alla sopramenzionata fuga
dell'Ochino, P. scrisse l'orazione Pro se ipso (composta nel 1543, ma
pubblicata solo nel 1552), un'appassionante difesa della libertà di
coscienza, di cultura e di discussione e della possibilità di poter attingere
direttamente alle Sacre Scritture. Nel 1544 egli scese ancora più nettamente
nel campo della Riforma, scrivendo una lettera (Servus Jesu Christi.) a
Lutero, Melantone, Bucero e Calvino, di contenuti simili a quella scritta
dieci anni prima a Erasmo da Rotterdam, esortandoli, inoltre, di mettere da
parte le divergenze teologiche, ma rimase profondamente deluso dall'apertura
del Concilio di Trento il 13 dicembre 1545 senza la partecipazione dei
teologi protestanti.
P. a Lucca Comunque nel luglio 1546 P. decise
di trasferirsi a Lucca, approfittando dell'ambiente più favorevole ai
riformatori. Qui, per intercessione di Pier Vettori e sotto la protezione
della potente famiglia Buonvisi, gli fu affidato un incarico ufficiale di
professore di letteratura alla Scuola superiore di Lucca (un simile ruolo gli
era stato precluso a Siena per la sua fama di eretico) e diventò anche
precettore della famiglia Calandrini. Il periodo lucchese fu tra i più sereni
e fecondi per il filosofo di Veroli, che scrisse varie orazioni ed ebbe
contatti epistolari con riformatori italiani, come, ad esempio, Celio Secondo
Curione. Nella primavera 1555, P. tornò a Colle Val d'Elsa, proprio poco dopo
la caduta della repubblica di Siena, conquistata da Cosimo I de' Medici
(duca di Firenze: 1537-1569 e granduca di Toscana: 1569-1574). Qui scrisse
un trattato in italiano, in due parti: Del governo della città (andata
perduta) e Dell'economia o vero del governo della casa: un inno alla
religiosità erasminiana e valdesiana, vissuta nell'intimo della
famiglia.
P. a Milano Tuttavia la visione della campagna devastata
dalla guerra e l'esilio all'estero di tanti amici lucchesi riformati, a causa
della repressione messa in atto da Papa Paolo IV (1555-1559), lo convinse ad
emigrare a Milano nel 1556 per coprire la cattedra di studi
umanitari. Nonostante che, anche qui a Milano, P. venisse inquisito per
eresia nel febbraio 1560 (fu comunque assolto), nella città lombarda egli
conobbe letterati, come il poeta Publio Francesco Spinola e finì la sua
opera principale, intrisa di polemica antipapale e anticlericale, la Actio
in Pontifices Romanos, inviandola in Svizzera, presso il riformatore di
Basilea Theodore Zwinger (1533-1588), per essere conservata. L'opera
venne pubblicata, postuma, nel 1600 ad Heidelberg, in Germania. Nel 1567
P. entrò nuovamente nel mirino dell'Inquisizione di Milano per le sue opere
letterarie (soprattutto Pro se ipso): sebbene riuscisse a far sospendere, per
motivi di salute, un ordine di estradizione verso Roma, emesso il 9 agosto, e
tentasse di chiedere una mediazione, fallita, da parte dell'imperatore
Massimiliano II (1564-1578), fu infine costretto a recarsi a Roma nell'agosto
1568 per presentarsi davanti all'Inquisizione romana, in una città cupa,
dominata dal rigore fanatico imposto da Papa Pio V (1566-1572).
La
fine Rinchiuso (letteralmente a marcire) nel carcere di Tor di Nona per ben
due anni, si comportò coraggiosamente: non abiurò, si rifiutò di
indossare l'infamante abitello (l'abito giallo degli eretici), anzi accusò,
lui stesso, il papato e Pio V in persona, che presiedeva il tribunale.
Il processo, ovviamente, si concluse, il 4 ottobre 1569, con la sua
condanna come eretico impenitente. Il 30 giugno 1570 fu fatto l'ultimo
tentativo, non riuscito, di farlo abiurare: tre giorni dopo, il 3 luglio
1570, l'anziano umanista fu impiccato e arso sul rogo nella piazzetta a Ponte
Sant'Angelo, nello stesso posto dove, tre anni prima, il 21 settembre 1567,
era stato bruciato Pietro Carnesecchi.
Curiosità A P. sono
stati attribuiti i seguenti versi satirici (e purtroppo per lui profetici),
indice dei momenti di terrore, derivati dalla severa azione anti-eretica di
Pio V: Quasi che fosse inverno, brucia cristiani Pio siccome legna per
avvezzarsi al fuoco dell'inferno.
Bardesane (o Bar Daisan)
(154-222)
La vita Bardesane fu un letterato (nel senso di
poeta, astrologo e filosofo) siriano, nato a Edessa, da genitori parti o
persiani e chiamato Bar Daisan (cioè figlio del Daisan, il fiume di
Edessa). Grazie alla sua condizione sociale elevata, B. fu educato da giovane
assieme al futuro re Abgar IX di Edessa, cosa che gli permise di occupare un
posto di rilievo quando l'amico di gioventù ascese al trono nel 179. Abgar
IX e B. s'impegnarono a diffondere il Cristianesimo nel regno, combattendo
nello stesso tempo le eresie marcionita e gnostico-valentiniana, e così Abgar
ebbe la possibilità di diventare il primo re cristiano
della storia. Tuttavia, in seguito, B. si mise a mischiare pericolosamente
la dottrina cristiana con le sue conoscenze orientali, precedentemente
acquisite, come l'astrologia, fondando una nuova setta: questo fu la fine del
regno di Edessa, poiché l'imperatore romano Caracalla (211-217), prendendo a
pretesto i disordini fatti scoppiati ad Edessa dai cristiani ortodossi,
invase lo stato nel 216 e portò Abgar incatenato a Roma. B. riuscì a
fuggire in Armenia, dove cercò di continuare la diffusione della sua setta,
ma con scarsi successi e morì ad Edessa nel 222.
La dottrina La
dottrina di B., come si diceva, era una strana miscela di dottrina cristiana
e astrologia babilonese. Infatti, B. credeva in un Dio onnipotente, che aveva
creato il mondo come una miscela di bene e di male, di luce e di oscurità.
Tutte le cose, anche le inanimate, erano dotate di certo grado di libertà ed
in esse la luce avrebbe dovuto combattere contro l'oscurità. Questo mondo
aveva una vita di sei mila anni, al termine dei quali sarebbe stato
soppiantato da un mondo fatto di solo bene. B. credeva che il Sole, la Luna e
i pianeti fossero esseri viventi, predestinate da Dio a comandare questo
mondo, quindi, anche se l'uomo fosse dotato di libero arbitrio, poteva essere
influenzato negativamente dalle stelle. B., inoltre, negò la Resurrezione
di Cristo, attribuendo al Suo corpo il dono
dell'incorruttibilità.
Le opere La produzione letteraria di B. fu
vastissima, ma la maggior parte è andata perduta. I più noti, segnalati da
vari autori cristiani (Teodoreto, Epifanio, Eusebio), sono: Dialoghi
contro Marcione e Valentino Dialogo sul destino Libro di
salmi Soprattutto i suoi salmi ebbero una straordinaria popolarità tra i
suoi concittadini per intere generazioni.
I seguaci I seguaci
di B., ad incominciare dal figlio Armonio, aggiunsero ogni sorta di variante
alla dottrina originaria, dalla metempsicosi al Docetismo a riti sessuali
basati sul principio che il Sole e la Luna fossero principi maschili e
femminili. In ogni caso, la setta di B. fu ben radicata nel territorio e,
nonostante una forte confluenza nel nascente manicheismo, furono segnalate
presenze di seguaci fedeli alla linea dottrinale originale perfino nel XII
secolo.
Giacobiti (XVII secolo) o Congregazione
Jacob-Lathrop-Jessey
La setta dei giacobiti, da non confondere
con la Chiesa dei Giacobiti fondata da Giacomo Baradeo nel VI secolo, e
neanche con il movimento politico (1688-1760) che voleva riportare in Scozia
i discendenti di Giacomo VII di Scozia e II d'Inghilterra (1686-1688), fu
invece un movimento religioso protestante inglese del XVII secolo fondato da
Henry Jacob nel 1605.
Henry Jacob (1563-1624) Nato nel 1563,
Henry Jacob studiò ad Oxford, alla St, Mary's Hall, ottenendo il
baccalaureato nel 1583 e la laurea nel 1586. Egli fu in seguito
ordinato sacerdote anglicano e divenne maestro del coro al collegio Corpus
Christi, a Cambridge. Essendo caduto sotto l'influenza dei brownisti nel
1590, J. venne perseguitato per le sue idee e esiliato in Olanda dal 1593 al
1597. In seguito egli si impegnò per una riforma interna della Chiesa
Anglicana, entrando in polemica con Francis Johnson (1562-1618) (un seguace
del congregazionalista Henry Barrow), che J. visitò in prigione per cercare
di convincerlo dell'errore nel separarsi dalla Chiesa Anglicana. Gli scritti
di J., assieme a quelli del puritano Thomas Cartwright, furono la base
delle richieste formulate dai puritani nella Millenary Petition
(petizione millenaria) del 1603, inoltrata al nuovo re d'Inghilterra Giacomo
I (già Giacomo VI di Scozia)(1603-1625), che indisse una conferenza a Hampton
Court nel 1604. Tuttavia ben poche concessioni vennero fatte ai puritani e
Giacomo I, che era profondamente convinto che la tesi di fondo della
petizione puritana fosse di eliminare i vescovi con l'intento successivo di
eliminare il re stesso, ovviamente appoggiò apertamente la posizione dei
vescovi anglicani con la famosa frase No bishop, no king [nessun vescovo
(equivale a) nessun re]. L'unica concessione, degna di nota, fu
l'autorizzazione alla pubblicazione di una versione della Bibbia, compilata
da un panel di teologi e studiosi e denominata Authorised Version (versione
autorizzata) o King James Bible (Bibbia di Re Giacomo). J., intervenne
nella riforma con il suo trattato Reasons taken out of Gods Word and the best
humane Testimonies proving a necessitie of reforming our Church in England
(Ragioni tratte dalla Parola di Dio e dalle migliori testimonianze umane per
provare la necessità di riformare la nostra chiesa in Inghilterra), che gli
costò 8 mesi di carcere e il successivo esilio in Olanda nel 1605. Qui
egli fondò una suo congregazione, di ispirazione calvinista, a Middleburg,
nella regione dello Zeeland e fino al 1616 aiutò diverse altre congregazioni
ad avviarsi ed ebbe contatti con il separatista John Robinson, il futuro capo
del viaggio dei Padri Pellegrini, che aveva fondato una sua chiesa a Leida.
J. convinse in seguito Robinson a modificare le sue idee separatiste. Nel
1616 J. ritornò in Inghilterra, dove fondò una congregazione separatista a
Southwark (un sobborgo di Londra), ma non troppo scissa dalla Chiesa
di Inghilterra: J. infatti non rifiutò l'autorità ecclesiastica, ma obiettò
che potevano coesistere altre chiese all'infuori del controllo della
Chiesa Anglicana. La congregazione di J. fu quindi denominata
semi-separatista e poté godere di una notevole popolarità a causa della
tolleranza e apertura praticata dal suo pastore verso teologi della Chiesa
Anglicana, liberi pensatori, dissidenti vari e per questo egli fu quasi
bollato come traditore dalle altre congregazioni separatiste, che nulla
volevano avere a che fare con la corrotta Chiesa ufficiale. Nel 1622 J.
decise di lasciare la sua congregazione per emigrare nelle colonie americane,
dove fondò una congregazione a Jacobopolis, in Virginia. Rientrato in
Inghilterra nel 1624, J. vi morì nello stesso anno.
John Lathrop
(1584-1632) Poiché la regola della congregazione di Jacob era che essa
venisse gestita da un sacerdote ordinato, e non da predicatori laici come le
altre comunità separatiste, la chiesa di Southwark rimase, dal 1622 al 1624,
senza guida fino all'insediamento di John Lathrop (o Lothropp). Questi era
un prete, nato ad Etton, nella contea del Humberside, e laureato a Cambridge,
trasferitosi nel 1624 a Londra, dopo aver abbandonato la sua parrocchia di
Egerton, nel Kent. A Londra L. divenne pastore della congregazione di
Southwark fino al 1632, anno in cui le spie del vescovo di Londra Wlliam Laud
(1573-1645) scoprirono la chiesa di L. ed arrestarono i suoi membri: L.
stesso passò due anni in carcere e fu multato. Al suo rilascio nel 1634,
L. seguì l'esempio di Jacob e si trasferì nelle colonie americane, fondando
una chiesa puritana a Scituate, nella colonia di Plymouth nel 1635. In
seguito egli fu anche ministro del culto a Barnstable, nel Massachusetts,
dove morì nel 1653.
Henry Jessey (ca. 1603-1664) Nuovamente, dal
1634, la congregazione di Jacob-Lathrop era senza guida e in tale stato
rimase fino al 1637, anno in cui si insediò Henry Jessey. Quest'ultimo, nato
nello Yorkshire nel 1603 (secondo altri fonti nel 1601), aveva studiato a
Cambridge, al St. John's College, ottenendo il baccalaureato nel 1623 e
diventando sacerdote nel 1624. Fu dapprima un valente studioso di ebraico e
tesi rabbinici, poi vicario a Aughton, nella Yorkshire fino al 1634, quando
il vicariato gli venne tolto. J. si trasferì allora a Londra nel 1635 e, come
detto, nel 1637 divenne pastore della congregazione di Southwark. La comunità
si ingrandì a tal punto, che nel 1640 con un mutuo accordo, si decise di
dividerla in due: una parte rimase con J. e l'altra si trasferì in Fleet
Street, a Londra, sotto la guida di Praise-God Barebone (ca. 1596-1680),
diventato poi famoso come politico per aver guidato la brevissima parentesi
del Parlamento Barebone, sciolto per ordine di Oliver Cromwell (1599-1658)
nel dicembre 1653. Nel frattempo, la congregazione rimasta con J. sviluppò
una teologia molto più radicale con tendenze battiste (dal 1645 venne
regolarmente praticato il battesimo degli adulti) rispetto a quella dei suoi
predecessori e lo stesso J. si accostò alle idee sabbatariane, e frequentò
ambienti vicini ai battisti e ai quinto-monarchisti. Nel 1641 J. fu arrestato
su mandato del sindaco di Londra, ma successivamente liberato per ordine del
parlamento. Poco dopo egli entrò in polemica con un membro della comunità, di
nome William Kiffin (1616-1701), il quale si separò creando una
congregazione anch'essa con orientamenti battisti: fu la prima delle comunità
firmatarie della Prima Confessione di Fede del 1643, il documento originario
dei battisti particolari, dai quali discendono le chiese battiste
attualmente esistenti, molto diffuse soprattutto in Stati Uniti. Nel 1652
egli fu scelto come uno dei nove esperti, che dovevano lavorare su una nuova
traduzione della Bibbia e impiegò i proventi ottenuti da questo lavoro per
aiutare le famiglie ebree povere di Londra, confidando di poterle in seguito
convertire al Cristianesimo. Ma, dal 1653 J. fu identificato con il crescente
movimento dei quinto-monarchisti, soprattutto grazie all'amicizia con il loro
capo, il commerciante in botti, Thomas Venner (m. 1661). Questi, alla morte
del fondatore Thomas Harrison (1610-1660), divenne il capo supremo del
movimento e organizzò una disperata insurrezione nel gennaio 1661 contro il
re Carlo II (1649-1685). Come era prevedibile, il colpo fallì e Venner e gli
altri capi della rivolta furono decapitati. Le successive repressioni
stroncarono definitivamente il movimento quinto-monarchista, oltre a
perseguitare anche altre sette, a causa delle loro dottrine simili, come i
quaccheri, i sabbatariani e i giacobiti stessi. J. fu infatti imprigionato in
questo periodo, fino alla sua liberazione nel 1663. In seguito egli si recò
in Olanda per fare nuovamente ritorno in Inghilterra nell'agosto 1664. Qui
si ammalò e morì il 4 settembre 1664: un indice della sua notevole popolarità
fu la partecipazione ai suoi funerali di ben 4/5.000 persone.
Varotta
(o Verotti o Barotta), Marcantonio (m. 1568)
Marcantonio Varotta
(o Verotti o Barotta), figlio di Nicolò Varotta, nato a Venezia, era un
pittore di stendardi d'oro e, in seguito, divenne un tessitore di taffettà
(tessuti di seta). Nel maggio 1564 si recò a Lione per arruolarsi come
mercenario nelle guerre religiose in Francia, ma, scoppiata la pace, decise,
per curiosità, di visitare Ginevra. Qui incontrò il nobile concittadino
Andrea da Ponte (1508-1585, fratello del futuro doge Niccolò da Ponte), il
marchese di Vico Galeazzo Caracciolo ed il lucchese Niccolò Balbani, le cui
prediche lo convinsero a diventare calvinista. Nel 1565 V. tornò in
Italia, dapprima a Torino, poi a Milano, Lodi, Mantova, ed infine a Venezia,
mantenendo comunque una notevole discrezione sulla propria nuova fede. A casa
sua invece non fece mistero ad amici e parenti sul suo credo religioso e
tutti si prodigarono inutilmente a cercare di riconvertirlo. Per paura di
essere denunciato all'Inquisizione, dopo poco, V. riprese il suo pellegrinare
per l'Italia, visitando Padova, Piacenza, Milano, Roma, Siena. Alla fine
dell'aprile 1566, dopo un breve rientro a Venezia, V. ripartì per arruolarsi
come mercenario in Ungheria, ma, essendosi ammalato, si fece congedare e
sulla strada per Cracovia, si fermò ad Austerlitz, in Moravia. Qui,
nell'autunno 1566, V. fu ospitato da Niccolò Paruta, che gli raccontò della
morte di Bernardino Ochino in casa sua e che cercò inutilmente di convertirlo
all'anabattismo. Il soggiorno ad Austerlitz fu fonte di delusione e di
disgusto per l'artigiano veneziano a causa della proliferazione e della
litigiosità delle sette, di cui fece un dettagliato elenco durante il suo
interrogatorio: c'erano Fratelli Boemi, luterani, calvinisti, anabattisti,
hutteriti, sabbatariani, ariani, svizzeri (si suppone intendesse zwingliani)
e samosateni e giuseppini, cioè due varianti di antitrinitariani.
Egli abbandonò quindi la Moravia per Vienna, dove, forse temendo di morire
per una malattia, si decise di confessarsi presso il convento domenicano,
il priore del quale lo esortò a presentarsi all'Inquisitore di Udine
Santo Cytinio. Processato nel tribunale dell'Inquisizione a Udine, rese
una dettagliata confessione il 21 gennaio 1567, abiurando e ritornando al
Cattolicesimo. Tuttavia la macchina dell'Inquisizione, messa in moto dalla
sua spontanea confessione, non si accontentò dell'abiura: V. fu infatti
spedito a Roma, dove il processo si concluse con la pena capitale per
impiccagione, seguita dal rogo, eseguita a Ponte Sant'Angelo il 6 dicembre
1568.
Bar Qursos (o Cursos), Giovanni, vescovo di Tella (m.
538)
Nel Settembre 518, un sinodo, convocato dall'imperatore
Giustino I (518-527), che desiderava la riunione delle chiese d'oriente con i
cristiani occidentali, depose Severo di Antiochia, fondatore del monofisismo
siriano e uno degli esponenti più in vista di questa corrente. Anche
Giovanni Bar Qursos, vescovo di Tella (in Siria) fu deposto nel
521, nell'ambito della campagna di persecuzione del monofisismo. Questa
azione persecutoria stava portando alla scomparsa del movimento per mancanza
di nuovi sacerdoti, ma B., a suo rischio e pericolo, si mise ad ordinare
quanti più preti monofisiti possibili su un vasto territorio corrispondente
agli odierni Siria, Turchia, Libano, Iraq e Armenia. Per questa sua
attività, fu ricercato per anni dai soldati dell'impero bizantino fino alla
sua cattura e messa a morte, avvenuta nel 538. B. fu anche noto come autore:
scrisse un commentario al Trisagion (tre volte santo, in greco), un inno
cantato nella messa secondo la liturgia orientale bizantina, equivalente al
Sanctus latino.
Barbelognostici o borboriani (I°
secolo)
Setta gnostica che credeva in Barbelos, Eone della
saggezza (secondo altri testi nota come Sophia). Ne scrisse anche
Sant'Ireneo (ca. 140-200) nel suo Adversos haereses (un elenco di eresie
dell'epoca), dove venne citato anche il testo base di questa setta, gli
Apocrifi di Giovanni, solo recentemente rinvenuti a Nag Hammadi. Negli
Apocrifi, Barbelos venne descritta come la prima emanazione della Monade,
"l'invisibile sopra tutti" o "la luce, pura, santa, immacolata
e incommensurabile". A sua volta, Barbelos generò Ennoia, il primo
pensiero e il Demiurgo Iadalboath, creatore del mondo materiale. Ma
quest'ultimo le rubò la luce, e Barbelos per compensare questa perdita, cercò
continuamente di sedurre gli altri Eoni per carpirne la Luce. A loro
volta, i barbelognostici raccoglievano lo sperma dagli atti sessuali per
produrre l'energia vitale per l'universo. In alcuni testi di Nag Hammadi,
dove compare il nome di Barbelos, come la Protennoia trimorfica, vi sono
riferimento cristiani alla Santa Trinità, ma in altri, come lo Zostrianos,
prevale un testo sostanzialmente pagano, perciò è difficile oggi definire se
i barbelognostici fossero o meno una eresia cristiana.
Bardesane
(o Bar Daisan) (154-222)
La vita Bardesane fu un letterato
(nel senso di poeta, astrologo e filosofo) siriano, nato a Edessa, da
genitori parti o persiani e chiamato Bar Daisan (cioè figlio del Daisan, il
fiume di Edessa). Grazie alla sua condizione sociale elevata, B. fu educato
da giovane assieme al futuro re Abgar IX di Edessa, cosa che gli permise di
occupare un posto di rilievo quando l'amico di gioventù ascese al trono nel
179. Abgar IX e B. s'impegnarono a diffondere il Cristianesimo nel
regno, combattendo nello stesso tempo le eresie marcionita e
gnostico-valentiniana, e così Abgar ebbe la possibilità di diventare il primo
re cristiano della storia. Tuttavia, in seguito, B. si mise a mischiare
pericolosamente la dottrina cristiana con le sue conoscenze orientali,
precedentemente acquisite, come l'astrologia, fondando una nuova setta:
questo fu la fine del regno di Edessa, poiché l'imperatore romano Caracalla
(211-217), prendendo a pretesto i disordini fatti scoppiati ad Edessa dai
cristiani ortodossi, invase lo stato nel 216 e portò Abgar incatenato a
Roma. B. riuscì a fuggire in Armenia, dove cercò di continuare la diffusione
della sua setta, ma con scarsi successi e morì ad Edessa nel
222.
La dottrina La dottrina di B., come si diceva, era una strana
miscela di dottrina cristiana e astrologia babilonese. Infatti, B. credeva in
un Dio onnipotente, che aveva creato il mondo come una miscela di bene e di
male, di luce e di oscurità. Tutte le cose, anche le inanimate, erano dotate
di certo grado di libertà ed in esse la luce avrebbe dovuto combattere
contro l'oscurità. Questo mondo aveva una vita di sei mila anni, al termine
dei quali sarebbe stato soppiantato da un mondo fatto di solo bene. B.
credeva che il Sole, la Luna e i pianeti fossero esseri viventi, predestinate
da Dio a comandare questo mondo, quindi, anche se l'uomo fosse dotato di
libero arbitrio, poteva essere influenzato negativamente dalle stelle. B.,
inoltre, negò la Resurrezione di Cristo, attribuendo al Suo corpo il dono
dell'incorruttibilità.
Le opere La produzione letteraria di B. fu
vastissima, ma la maggior parte è andata perduta. I più noti, segnalati da
vari autori cristiani (Teodoreto, Epifanio, Eusebio), sono: Dialoghi
contro Marcione e Valentino Dialogo sul destino Libro di
salmi Soprattutto i suoi salmi ebbero una straordinaria popolarità tra i
suoi concittadini per intere generazioni.
I seguaci I seguaci
di B., ad incominciare dal figlio Armonio, aggiunsero ogni sorta di variante
alla dottrina originaria, dalla metempsicosi al Docetismo a riti sessuali
basati sul principio che il Sole e la Luna fossero principi maschili e
femminili. In ogni caso, la setta di B. fu ben radicata nel territorio e,
nonostante una forte confluenza nel nascente manicheismo, furono segnalate
presenze di seguaci fedeli alla linea dottrinale originale perfino nel XII
secolo.
Cromwell, Thomas (1485-1540)
Thomas Cromwell
nacque nel 1485 ca. a Putney (oggi un sobborgo di Londra) da un padre
alcolizzato, che aveva fatto tanti mestieri e non tutti propriamente legali.
Da giovane C. aveva ben presto lasciato la famiglia per viaggiare in Europa,
intraprendendo il mestiere di soldato, banchiere, e impiegato, per ritornare
infine a Londra dove si laureò in legge. Poco dopo, intorno alla metà degli
anni '20, C. entrò al servizio del cardinale Thomas Wolsey (1474-1530) come
suo segretario. Questi, Lord Cancelliere durante il regno di Enrico VIII
d'Inghilterra, cadde in disgrazia nel 1529 a causa della sua inefficienza
dimostrata durante le trattative per la separazione del re dalla prima moglie
Caterina d'Aragona. A questo si unì l'accusa, nel 1530, di violare a suo
favore gli statuti, denominati Praemunire ed editti nel 1353, 1365 e 1393, i
quali concedevano che le cause legali coinvolgenti uomini di chiesa
fossero portate davanti a corti papali fuori dall'Inghilterra, solo dopo
il beneplacito del re. Wolsey fu messo sotto accusa, ma morì di malattia il
30 novembre 1530 durante il suo trasferimento a Londra. In seguito alla
morte del suo protettore, C. passò direttamente al servizio di Enrico VIII
nel 1531. Nel gennaio 1535 egli fu nominato dal re Vicario Generale e in
estate ricevette il mandato organizzare la visita di ispettori in tutte le
chiese ed i monasteri del regno. Dopo aver rilevato gravi problemi nei
monasteri, il re e C. decisero che essi dovessero essere chiusi e i loro beni
incamerati dalla corona. L'attuazione del decreto del re fu eseguita nel
1536-39, gli stessi edifici furono distrutti, o in qualche caso, trasformati
in abitazioni private. Questa azione provocò una reazione popolare, che si
concretizzò nel Pellegrinaggio di Grazia, una insurrezione di 40.000 persone
nel nord dell'Inghilterra, che si dice fosse sobillata dai nobili e dagli
ambienti cattolici, preoccupati dall'enorme potere di C. Questi infatti
aveva fatto una fulminante carriera da Cancelliere dello Scacchiere nel 1533
a Vicario Generale nel 1535 a Lord Gran Ciambellano nel 1539 a Conte di Essex
nel 1540. Dal punto di vista dottrinale, C. professava un moderato
luteranesimo e conosceva quindi diversi partecipanti del circolo di luterani
di Cambridge, soprannominato Piccola Germania, fondato da Thomas Bilney e di
cui facevano parte alcuni monaci del convento agostiniano, come Robert Barnes
(1495-1540) e Miles Coverdale, interessati ad approfondire le dottrine
sviluppate dal loro più famoso confratello di Wittenberg e cattedratici
dell'università, come lo stesso Bilney e Hugh Latimer. L'interesse di C.
per i luterani lo spinse a patrocinare la loro causa: fece nominare Hugh
Latimer vescovo di Worcester, cercò di invitare in Inghilterra senza successo
Melantone, mantenne buoni rapporti con i principi della Europa settentrionale
che già avevano aderito alla Riforma, come il Duca di Cleves, Giovanni III
(1521-1539), detto il Pacifico. Inoltre cercò di spingere la monarchia verso
questa forma di chiesa riformata, facendo adottare i Dieci Articoli (The Ten
Articles), articoli di fede di chiara ispirazione luterana (sola fide e
semplificazione a soli tre Sacramenti) e, con le Ingiunzioni Reali del 1538,
fece mettere una Bibbia in latino ed una in inglese in ogni chiesa (sola
scriptura!). Autorizzò inoltre, nel 1539, assieme all'amico Thomas Cranmer,
diventato nel 1532 arcivescovo di Canterbury, la pubblicazione della Grande
Bibbia, redatto da Miles Coverdale. Sfortunatamente per C., l'esperimento
non poté avere seguito, perché egli cadde in disgrazia nel 1539, in quanto
venne ritenuto il responsabile del matrimonio, poi fallito, del re con Anna,
figlia del Duca Giovanni di Cleves, uno dei nobili protestanti, che, come già
detto, C. teneva in alta considerazione. Enrico VIII trovò la promessa
sposa addirittura disgustosa ("una grassa giumenta delle Fiandre" fu il suo
commento!), anche se il suo famoso ritratto, dipinto da Hans Holbein il
giovane, non darebbe questa impressione. Il matrimonio, comunque, non fu mai
consumato e C. cadde rapidamente in disgrazia. Ne approfittarono i suoi
nemici di sempre, il duca di Norfolk (la cui nipote Caterina Howard era la
nuova fiamma del re) e l'entourage cattolico: C. fu arrestato, privato dei
titoli, quindi condannato per tradimento e decapitato nella Torre di Londra
il 28 luglio 1540. Probabilmente questa non fu la punizione che Enrico VIII
voleva riservare a C., ma l'azione di Norfolk e alleati fu così rapida che al
re non restò che piangere un po' ipocritamente il suo "più fedele
servo". Nello stesso anno furono perseguitati diversi amici di C., sospettati
di simpatie con il luteranesimo e fortemente dissidenti sui Sei Articoli
(The Six Articles) voluti da Enrico VIII nel 1539 e di ispirazione
dottrinale cattolica, che comprendevano, tra l'altro, la validità del dogma
della transustanziazione, l'Eucaristia sotto una sola specie, il celibato per
i prelati, le Messe private e la confessione. Il luterano Robert Barnes fu
bruciato qualche giorno dopo sullo stesso rogo assieme ai confratelli Thomas
Garret e William Jerome, Hugh Latimer dovette rassegnare dal suo incarico, e
lo stesso arcivescovo Thomas Cranmer, che nel frattempo si era sposato con la
nipote del riformatore luterano Andreas Osiander, dovette mandare la moglie
Margaret all'estero per quattro anni in attesa di tempi
migliori.
Barrow, Henry (ca. 1550-1593)
Il
congregazionalista Henry Barrow, nato nel 1550 circa, si era laureato
al Clare College di Cambridge e aveva frequentato la corte di Elisabetta
I d'Inghilterra (1558-1603), finché non fu convertito al puritanesimo
dopo aver ascoltato un predicatore ignoto. In particolare, B. aderì alla
corrente dei congregazionalisti o separatisti, setta fondata da Robert Browne
nel 1581. Nel novembre 1587 B. visitò in carcere il confratello John
Greenwood, arrestato come capo di una congregazione indipendente operante a
Southwark (un quartiere di Londra). B. non uscì mai più dalla prigione:
infatti l'arcivescovo di Canterbury John Whitgift (ca. 1530-1604) lo fece
arrestare e trattenere direttamente nello stesso carcere. Dalla galera,
durante i cinque anni successivi, B. e Greenwood riuscirono a far uscire
clandestinamente diversi scritti e perfino ad entrare in polemica con Browne,
da loro definito un traditore e un apostata, sebbene le loro convinzioni
erano piuttosto simili. L'unico punto principale sul quale differivano era
che B. rigettava il principio brownista della volontarietà del fedele.
Infatti, per B., era dovere dei principi obbligare i profani ad ascoltare la
Parola del Signore. Browne, a sua volta, scrisse contro le loro convinzioni
nel 1587-88 il polemico trattato Reproofe of certaine schismalical persons
and their doctrine touching the hearing and preaching of the word of God
(Riprova di certe persone scismatiche e delle loro dottrina riguardante
l'ascolto e la predica della parola di Dio). Nel marzo 1593 Whitgift
pervenne ad una decisione e fece condannare B. e Greenwood per aver scritto e
diffuso libri sediziosi. Entrambi furono quindi impiccati il 6 aprile
1593.
Barsumas (monaco monofisita) (m.
458)
Nell'aprile 449, si tenne ad Efeso il concilio, passato alla
storia come il ladrocinio di Efeso, secondo l'acuta definizione del Papa, San
Leone I Magno (440-461). Eutiche e Dioscoro di Alessandria, i più accesi
sostenitori del monofisismo, ottennero, dopo un infruttifero sinodo
nell'Aprile 449, la convocazione, da parte dell'Imperatore Teodosio II
(408-450), di un concilio, che si tenne nell'Agosto 449 ad Efeso. Il Papa
Leone Magno non presenziò direttamente, ma inviò due rappresentanti, recanti
una lunga missiva indirizzata al Patriarca di Costantinopoli, San Flaviano,
nota come Tomus ad Flavianum, in cui egli ribadì la propria posizione
anti-monofisita, ma anche anti-nestoriano. Quando il concilio fu
ufficialmente aperto, Dioscoro era riuscito a far sì che i prelati favorevoli
a questa corrente fossero in maggioranza. Oltre a ciò, la presenza di un
gruppo di monaci monofisiti violenti e facinorosi, capeggiati da B., tolse
ogni possibile imparzialità al concilio stesso: perfino San Flaviano fu
percosso, probabilmente da B. stesso, e morì alcuni giorni dopo, non si sa se
per lo choc o per le percosse. Ovviamente, il concilio si concluse con
l'assoluzione di Eutiche e la scomunica di Flaviano e Leone I. Inoltre,
nel concilio, Dioscoro, destituì i più importanti teologi antiocheni (Domno
di Antiochia, Eusebio di Dorileo, Iba di Edessa e Teodoreto di Ciro) con
l'accusa di nestorianesimo e l'insegnamento monofisita di Eutiche, come si è
detto, venne dichiarato ortodosso. B. fu, successivamente, scomunicato dal
concilio di Calcedonia del 451 e morì nel 458.
Barsumas di Nisibis
(ca. 420 - ca. 490)
B. nato nel 420 ca., divenne vescovo di
Nisibis (l'attuale Nusaybin), in Mesopotamia, aderendo al
Nestorianesimo. Nel 431, il Nestorianesimo fu condannato e i suoi seguaci,
perseguitati, emigrarono oltre la frontiera dell'impero, in Persia. Assunse
quindi importanza il vescovado di Nisibis (città ceduta ai persiani nel 363,
dopo la loro vittoria sull'imperatore Giuliano (361-363) a Ctesiphon), sotto
la guida di B., che era stato nominato governatore della zona di confine
da parte del re persiano. L'influenza che B. esercitò sul re persiano, di
dinastia sassanide e di religione zoroastriana, fece sì che, facendo leva
sulla paura di una infiltrazione bizantina in Persia attraverso la nomina di
vescovi locali fedeli a Costantinopoli, B. potesse assegnare alle sedi
strategiche solo uomini di fede nestoriana. Inoltre, nel 489,
l'arcivescovo Ciro di Edessa convinse l'imperatore Zenone (474-475 e 476-491)
a chiudere la scuola persiana di teologia, che era diventata un centro di
riferimento per i nestoriani. I maestri esplusi da Edessa si recarono a
Nisibis, dove B. fece riaprire una scuola sotto la direzione di
Narsete. Tutto ciò permise l'espansione missionaria del nestorianesimo verso
oriente e verso sud (India, Cina, Asia centrale, Arabia ecc.), dove questa
corrente si consolidò come principale fede cristiana per diversi
secoli. B. morì verso il 490.
Bartoccio (o Bartocci), Bartolomeo
(1535-1569)
Bartolomeo di Giovanni Bartoccio (o Bartocci) nacque
a Città di Castello (in provincia di Perugia) nel 1535 e si accostò alle
dottrine riformiste nel 1555, apprese da un giovane di Gubbio, tale Fabrizio
Tommasi, durante l'assedio di Siena. Poco dopo, per essersi rifiutato di
confessarsi e comunicarsi durante una malattia, fu convocato
dall'Inquisizione della sua città natale, ma si sottrasse all'arresto,
fuggendo dapprima a Siena, poi a Ginevra. Nel 1556 B. entrò a far parte della
Chiesa degli esuli italiani a Ginevra, presieduta dal senese Lattanzio
Ragnoni (1509-1559), e nel 1557 ottenne la cittadinanza ginevrina. A
Ginevra B. si distinse per zelo religioso e capacità negli affari, diventando
mercante di seta e qui si sposò con una connazionale di nome Maddalena, da
cui ebbe tre figli: Paola, Dianora e Andronico [pare che i figli abbiano
avuto l'onore di avere come padrini tre noti riformatori, come Théodore de
Bèze, il nobile veneziano Andrea da Ponte (1508-1585, fratello del futuro
doge Niccolò da Ponte) e il professore universitario modenese Francesco Porto
(1511-1581)]. Nel 1567, saputo delle difficoltà dei evangelici nel sud
dell'Italia (pochi anni prima, nel 1561, erano state distrutte le colonie
valdesi in Calabria), B. intraprese un viaggio, camuffato da giro per motivi
di lavoro, per portare conforto ai fratelli in fede in Sicilia, a Napoli e a
Roma, ma, nella città capitolina, la sua presenza fu segnalata al cardinale
Scipione Rebiba (1504-1577), all'epoca vescovo aggiunto di Chieti, che, a sua
volta, notificò la partenza per Genova di B. al doge della città ligure
Ottavio Gentile Odorico (1565-1567). Una volta messo piede a Genova, B. fu
immediatamente arrestato il 20 ottobre 1567 ed estradato a Roma, dietro
richiesta di Papa (San) Pio V (1566-1572). Questo atto seguiva altre
drastiche decisioni di Pio V prese nei confronti dei riformati italiani nella
seconda metà del 1567: il 12 giugno venne condannato Mario Galeota, il 9
agosto venne emesso un ordine di estradizione per Aonio Paleario (sarebbe
stato impiccato e arso sul rogo tre anni dopo, 3 luglio 1570) e il 1 ottobre
venne decapitato e arso Pietro Carnesecchi. Ma nel caso di B. si aprì una
delicata crisi internazionale derivata dalle forti pressioni e dalle minacce
di boicotto commerciale nei confronti della repubblica di Genova, paventate
dalle città protestanti di Ginevra e Berna: quest'ultima aveva, come si dice
oggigiorno, "congelato" delle somme di denaro genovese, come atto di
ritorsione. Ginevra, da parte sua, rivendicava un trattamento equo nei
confronti di un suo concittadino (come già detto, B. aveva ottenuto la
cittadinanza ginevrina nel 1557). Per questo motivo, il doge neo-eletto
Simone Spinola (1567-1569) si fece portavoce, presso il papa, della richiesta
per un atto di clemenza nei confronti del prigioniero, ma non ci fu nulla da
fare: l'ex cardinale e gran inquisitore generale Michele Ghisleri, cioè Pio
V, era uno dei più acerrimi nemici della Riforma e nel marzo 1568 B. comparve
davanti all'Inquisizione romana. Nonostante i tentativi di farlo abiurare,
egli rimase coraggiosamente sulle sue posizioni riformate e fu per questo
bruciato vivo sul rogo a Ponte Sant'Angelo il 25 maggio 1569. Rimasti soli
al mondo, la vedova e i tre figli di B., a Ginevra, vennero in seguito
generosamente aiutati, mediante un lascito, da parte di Andrea
da Ponte.
Basilide (nato prima del 120 -
m.ca.140)
Originario di Alessandria d'Egitto, Basilide fu uno dei
massimi esponenti del gnosticismo. Si sa molto poco della sua vita, se non
che B. ebbe un figlio, Isidoro, suo seguace e che B. studiò con un tale
Glauco, il quale proclamava di essere stato allievo di San Pietro in persona
e di aver appreso da quest'ultimo gli insegnamenti segreti di
Cristo.
La dottrina B. predicò che la Mente (nous) era nata da un
primordiale "non-essere", dal nome mistico di Abrasax (ma, secondo altri
autori, semplicemente "senza nome"), che dalla Mente era nata la Ragione
(logos), da questa la Prudenza (phronesis), madre di Saggezza (sophia) e
Forza (dynamis) ed infine dalla Prudenza e dalla Forza erano nati gli
arcangeli. Questi, moltiplicandosi, avevano formato i 365 cieli, ciascuno dei
quali corrispondeva ad un ordine angelico. L'ultimo dei cieli era popolato
da angeli, creatori del mondo materiale e protettori delle principali
nazioni. Infatti il più potente di essi, Yahweh, fu considerato il Dio dei
Giudei. Per rimediare alla situazione, il Padre "non-essere e senza nome"
mandò in terra il Suo Primogenito, Nous (da noi conosciuto come
Cristo). Il Cristo, però, fu messo solo in croce apparentemente, perché in
realtà fu Simone Cireneo, sotto le sembianze di Gesù, ad essere crocefisso. A
sua volta il Cristo, travestito da Simone, si fece beffe dei suoi carnefici
e quindi ritornò al Padre. Questa fu una delle prime rielaborazione
del concetto docetico, (dal greco dokéin, cioè apparire). Secondo B., la
salvezza era un problema dell'anima: era vero che essa poteva trovare la pace
nella preghiera, ma ciò significava anche che il corpo poteva soddisfare
liberamente tutti i suoi desideri sensuali, da qui l'accusa di immoralità
rivolta ai Basilidiani dai cattolici. Il Basilidianismo sopravvisse fino alla
fine del IV secolo, ma la sua dottrina fu gradualmente soppiantata negli
ambienti gnostici dalla forma propugnata da Valentino.
Le
opere B. scrisse un'Exegetica in 24 volumi sui Vangeli ed un Vangelo
secondo Basilide, ma tutte le sue opere furono bruciate dai cattolici e
le conoscenze che abbiamo su di lui derivano dai testi scritti dai Padri
della Chiesa, suoi detrattori. Secondo uno di questi, S. Ippolito, B. si
poteva definire un panteista evoluzionistico.
Basilide (nato prima
del 120 - m.ca.140)
Originario di Alessandria d'Egitto, Basilide
fu uno dei massimi esponenti del gnosticismo. Si sa molto poco della sua
vita, se non che B. ebbe un figlio, Isidoro, suo seguace e che B. studiò con
un tale Glauco, il quale proclamava di essere stato allievo di San Pietro in
persona e di aver appreso da quest'ultimo gli insegnamenti segreti di
Cristo.
La dottrina B. predicò che la Mente (nous) era nata da un
primordiale "non-essere", dal nome mistico di Abrasax (ma, secondo altri
autori, semplicemente "senza nome"), che dalla Mente era nata la Ragione
(logos), da questa la Prudenza (phronesis), madre di Saggezza (sophia) e
Forza (dynamis) ed infine dalla Prudenza e dalla Forza erano nati gli
arcangeli. Questi, moltiplicandosi, avevano formato i 365 cieli, ciascuno dei
quali corrispondeva ad un ordine angelico. L'ultimo dei cieli era popolato
da angeli, creatori del mondo materiale e protettori delle principali
nazioni. Infatti il più potente di essi, Yahweh, fu considerato il Dio dei
Giudei. Per rimediare alla situazione, il Padre "non-essere e senza nome"
mandò in terra il Suo Primogenito, Nous (da noi conosciuto come
Cristo). Il Cristo, però, fu messo solo in croce apparentemente, perché in
realtà fu Simone Cireneo, sotto le sembianze di Gesù, ad essere crocefisso. A
sua volta il Cristo, travestito da Simone, si fece beffe dei suoi carnefici
e quindi ritornò al Padre. Questa fu una delle prime rielaborazione
del concetto docetico, (dal greco dokéin, cioè apparire). Secondo B., la
salvezza era un problema dell'anima: era vero che essa poteva trovare la pace
nella preghiera, ma ciò significava anche che il corpo poteva soddisfare
liberamente tutti i suoi desideri sensuali, da qui l'accusa di immoralità
rivolta ai Basilidiani dai cattolici. Il Basilidianismo sopravvisse fino alla
fine del IV secolo, ma la sua dottrina fu gradualmente soppiantata negli
ambienti gnostici dalla forma propugnata da Valentino.
Le
opere B. scrisse un'Exegetica in 24 volumi sui Vangeli ed un Vangelo
secondo Basilide, ma tutte le sue opere furono bruciate dai cattolici e
le conoscenze che abbiamo su di lui derivano dai testi scritti dai Padri
della Chiesa, suoi detrattori. Secondo uno di questi, S. Ippolito, B. si
poteva definire un panteista evoluzionistico.
Bogomilismo (X
secolo)
La storia Il bogomilismo, la più importante eresia
della fine del I millennio, nacque verso il 930 in Bulgaria. Esso derivò da
influenze dualiste, portate nel IX secolo dai missionari pauliciani armeni
stanziati su ordine dell'imperatore bizantino Costantino V Copronimo
(718-775), a partire dal 754, nella zona cuscinetto della Tracia, tra
l'impero bizantino ed il territorio dei bulgari. Ai pauliciani,
probabilmente si unirono i manichei, sempre più perseguitati dai bizantini:
essi, per sopravvivere, si erano portati oltre i confini dell'impero: verso
il Turkmenistan e la Cina ad est, e verso la penisola balcanica ad ovest.
Questa influenza manichea fece sì che, nel Medioevo i b. ed i successivi
catari venissero genericamente denominati, per l'appunto, "manichei" dai loro
avversari. Tornando al b., si fa tradizionalmente risalire la fondazione
della setta ad un prete, o pope, di nome Bogomil, la cui etimologia é la
stessa del nome greco Teofilo, cioè "amato da Dio". Di lui si fece menzione
in alcuni documenti, tra cui un lavoro del vescovo Cosma, risalenti al regno
di Pietro, zar dei Bulgari (927-969). E perfino quest'ultimo monarca lasciò
una personale testimonianza scritta sul nascente movimento in due sue
lettere indirizzate, intorno al 940, al Patriarca di Costantinopoli,
Teofilatto, con relativa risposta del prelato, il quale definì il b. come
un'eresia neomanichea. Nel 1014, la Bulgaria occidentale fu invasa dalle
truppe bizantine dell'imperatore Basilio II Bulgaroctono (976-1025), ma così
facendo, il b. poté diffondersi anche nell'impero. Al 1118 risalì
l'incauta predicazione di Basilio, capo dei b., che, invitato ad esporre le
sue idee davanti all'imperatore Alessio I Comneno (1081-1118), si espresse
liberamente. Sfortunatamente per lui, nascosti da una tenda, gli scrivani di
corte trascrissero ogni sua parola, analizzata successivamente dai teologi e
questi convinsero facilmente l'imperatore a far imprigionare Basilio.
L'imperatore, esperto teologo lui stesso, fece varie visite a Basilio in
prigione per convincerlo ad abiurare, ma avendo solo ricevuto dei dinieghi,
lo fece condannare al rogo. Il tutto venne descritto nell'Alessiade, scritta
dalla figlia dell'imperatore, Anna Comnena e nella Panoplia dogmatica,
redatta dal monaco Eutimio Zigabeno, che chiamò i b. sprezzantemente
fundagagiti o fundaiti, cioè vagabondi. Durante il regno del nipote di
Alessio, Manuele I Comneno (1143-1180), il b. si diffuse nell'impero, tant'è
che anche lo stesso Patriarca di Costantinopoli, Cosma Attico, fu destituito
nel 1147, a causa di una "pericolosa" amicizia con il "perfetto" bogomilo,
Nifone. In questo periodo iniziarono, da parte dei bizantini, le
persecuzioni, fino al 1204, quando gli effetti devastanti sullo stato
bizantino provocati dalla IV Crociata permisero un allentamento della
repressione dei b. Ci fu, nel frattempo, una vasta diffusione del b. nel II°
Regno Bulgaro, resosi indipendente nel 1185. Qui, nonostante che lo zar Boris
(1207-1218) avesse convocato un concilio a Tarnovo nel 1211 per condannare il
b., il successivo zar, Ivan Asen II (1218-1241) trattò con tolleranza il
movimento. Nel frattempo, la Chiesa bogomila si era scissa in cinque chiese
locali, denominate C. di Bulgaria, C. di Romania, C. di Melinguia (in
Macedonia), C. di Dalmazia (tutte dualiste moderate) e C. di Dragovitza (in
Bosnia), l'unica che propagandava un dualismo più radicale. In Bosnia il
b. toccò il massimo livello di diffusione e fu perfino accettato come
religione di stato sotto il ban Kulin (1180-1214). I cattolici della zona,
facendo base dai possedimenti veneziani in Dalmazia, tentarono addiritura una
crociata per abbattere lo stato bogomilo della Bosnia, ma furono
respinti. Non altrettanta fortuna ebbero i b. in Serbia, perseguitati dal
principe Stefano Nemanja (1168-1196) oppure in Ungheria, dove furono
sterminati nel 1200 per ordine del re Imre (1196-1204), su sollecitazione di
Papa Innocenzo III (1198-1216). Ma, come si é già detto, fu la Bosnia la
nazione più favorevole per il b.: era originario di Dragovitza quel vescovo,
Niceta, responsabile, secondo alcuni, addirittura dell'introduzione del
catarismo in Italia settentrionale ed in Francia meridionale o, più
probabilmente, dell'evoluzione in senso assolutista della stessa eresia
catara. Infine, con l'invasione dei Turchi, rispettivamente nel 1396 della
Bulgaria e nel 1463 della Bosnia, il b. si estinse come setta nelle zone
balcaniche e venne riassorbito dall'Islam.
La dottrina La
dottrina, stabilita da Bogomil, si basava su un concetto dualista moderato:
Dio aveva due figli, Cristo e Satana (Satanael). Quest'ultimo, il figlio
ribelle, veniva dai b. identificato con il demiurgo o il Dio dell'Antico
Testamento ed era responsabile della creazione del mondo materiale e dei
corpi degli uomini, all'interno dei quali erano stati imprigionati gli angeli
(un concetto simile a certe dottrine gnostiche o marcioniste). Satanael
aveva creato Adamo ed Eva ed avuto relazioni sessuali con quest'ultima,
generando Caino. Successivamente, sotto forma di serpente, aveva fatto sì che
Eva tentasse Adamo per generare Abele, successivamente ucciso da Caino. Per
tutto ciò, Satanael era stato punito, ma non sconfitto, da Dio Padre. La
missione, quindi, di Cristo sulla terra era di sconfiggere definitivamente
Satanael e di liberare gli angeli intrappolati nei corpi umani. Per fare ciò,
Egli aveva preso, ma solo in apparenza, una natura umana (pur rimanendo
sempre puro spirito: un concetto docetista) entrando, come spirito, in Maria
Vergine attraverso l'orecchio e nascendo sempre attraverso lo stesso organo.
Cristo, per i b., era morto sulla croce, ma solo in apparenza, sceso agli
inferi per sconfiggere definitivamente Satanael e togliere la desinenza
divina "el" dal suo nome, diventato Satana, ed infine era salito al cielo
dal Padre. Ovviamente il Male, rappresentato dalla materia, era il nemico da
combattere e quindi i b. più osservanti rifiutavano i rapporti sessuali ed
il matrimonio, erano vegetariani e non bevevano il vino. Inoltre i b.
odiavano la croce, simbolo dell'omicidio apparente di Cristo ed erano
iconoclasti verso tutte le immagini sacre. Essi ritenevano inutili
i sacramenti, eccetto il Consolament, il battesimo spirituale, che
poteva essere dato una sola volta nella vita, e rifiutavano le
festività ecclesiastiche e la maggior parte delle preghiere, escluso il Padre
Nostro, l'unico da loro accettato e recitato ben otto volte al
giorno. Come i manichei, e successivamente i catari, anche i b.
avevano un'organizzazione sociale basata sui "perfetti", che seguivano con
estrema coerenza i dogmi della setta ed erano impegnati nella attività
missionaria.
I testi I b. rinnegavano tutto l'Antico Testamento e
tutti gli studi di Patristica, concentrandosi solo sul Nuovo Testamento (con
particolare riferimento all'Apocalisse), al quale ovviamente venne data
un'interpretazione allegorica di ispirazione docetista. Svilupparono,
invece, una ricca produzione apocrifa, di cui si possono citare
l'Interrogatio Iohannis, (le domande di Giovanni evangelista), il Vangelo di
Nicodemo ed il suo derivato, il Legno della Croce, e la Visione di
Isaia. Soprattutto il primo testo venne considerato la base dottrinale della
setta, ma anche del catarismo: venne portato dalla Bulgaria in Italia da
Nazario, vescovo cataro di Concorrezzo e divenne il secretum (libro segreto)
degli albigesi.
Basilio di Ancyra (att.
336-360)
Vescovo ariano di Ancyra, successe a Marcello nel 336,
durante il concilio, a forte ispirazione ariana, a Costantinopoli, presieduto
da Eusebio di Nicomedia, dove Marcello fu condannato per sabellianismo e
dichiarato decaduto dalla sua sede vescovile. Alla morte dell'imperatore
Costantino (337) Marcello ritornò alla sua sede, da dove, però fu espulso nel
339, con nuovo reintegro di B. Allora, Marcello si decise di scrivere al papa
Giulio I (337-352), che nel 340 lo riabilitò, dichiarandolo ortodosso, ma non
si sa se successivamente M. abbia potuto coprire il suo ruolo almeno prima
del 343. In quel anno fu, infatti, convocato dall'imperatore Costanzo II
(337-361, figlio di Costantino) il concilio di Sardica (l'odierna Sofia in
Bulgaria), dove, tra l'altro, fu chiesto vanamente da parte degli ariani
l'espulsione di Marcello. Alla risposta negativa del concilio, gli ariani
abbandonarono il concilio, che quindi, a maggioranza ortodossa, ratificò il
reintegro di Marcello nella sua sede di Ancyra e l'allontanamento di
B.. Pare comunque che Marcello avesse avuto parecchi problemi nel rientrare
ad Ancyra, a causa dell'opposizione della popolazione favorevole a
B. Infine Marcello fu deposto dal vescovo Macedonio di Costantinopoli
e definitivamente sostituito da B. nel 353. Qualche anno dopo, in seguito
alla morte di Eusebio di Nicomedia (m. ca. 341), Costanzo convocò vari
sinodi, tenuti tra il 357 ed il 359 a Sirmio (nella ex Iugoslavia) per
cercare di venire a capo delle dispute teologiche, che dilaniavano il mondo
cristiano di allora.
Rispetto alla natura di Cristo, le formulazioni
presentate risultarono addirittura quattro: Homooùsios (identico, nella
sostanza, a Dio, cioè consustanziale), secondo il Credo di Nicea, difeso
strenuamente e quasi isolatamente (Athanasius contra mundum: Atanasio contro
il mondo) da Atanasio di Alessandria. Homoioùsios (simile, nella sostanza, a
Dio), propugnato, per l'appunto, da Basilio di Ancyra, i cui seguaci si
definivani omoiousiani. Anòmoios (dissimile da Dio), secondo il credo ariano
più canonico, e difeso da Aezio di Antiochia o di Celesiria, Eunomio di
Cizico e Ursacio di Singiduno. Hòmoios (simile a Dio), proposto da Acacio
di Cesarea, definizione vaga, dove si parlava di una generica similitudine
tra Padre e Figlio, senza precisare il rapporto sul piano della
sostanza.
L'imperatore Costanzo dapprima (358) aderì alla dottrina
dell'homoioùsios di B. e, influenzato da quest'ultimo, fece bandire Aezio e
i suoi seguaci. Tuttavia, dopo il III° sinodo di Sirmio del 359, Costanzo
cambiò parere, preferendo la versione homoios di Acacio come ufficiale e
convocò i vescovi occidentali a Rimini e quelli orientali a Selucia per
ratificare la formula acaciana. In seguito a questi concili, B. cadde in
disgrazia e fu esiliato nel 360.
Simons (o Simonsz), Menno (ca.
1496-1561) e mennoniti
Situazione storica dell'anabattismo dopo
la disfatta di Münster La figura di Menno Simons si inserisce autorevolmente
nel momento di acceso dibattito nel movimento anabattista, dopo la folle
avventura della dittatura di Münster, conclusosi tragicamente nel 1535. Gli
anabattisti si divisero infatti in coloro che, convinti della necessità della
violenza rivoluzionaria, volevano portare avanti l'esperienza di Münster, e
coloro che invece rifiutavano la violenza, pur rifacendosi alle profezie
di Melchior Hofmann. I primi, più radicali, rimasero convinti
dell'attuazione della poligamia e della comunione dei beni. Essi facevano
riferimento a Jan van Batenburg (1495-1538), da cui presero il nome di
Batenburger e si dedicarono per anni (almeno fino al 1580) a violenze e
saccheggi in Olanda, Belgio e Germania nord-occidentale, anche dopo la
cattura e esecuzione capitale nel 1538 del loro capostipite. Simili nei
convincimenti apocalittici a questi radicali, ma non violenti come loro nelle
azioni, si possono citare i familisti di Heinrich Niclaes e i daviditi o
davidisti di David Joris. I secondi, il gruppo dei pacifisti, furono guidati
dai due fratelli olandesi Dirk (1504-1568) e Obbe (1500-1568) Philips;
quest'ultimo aveva ribattezzato sia Joris nel 1534, che, nel 1535, colui che
sarebbe diventato il capo indiscusso dell'anabattismo moderato: Menno
Simons.
La vita Menno Simons (o Simonsz) nacque nel 1496 circa a
Witmarson (o Witmarsum), nella provincia olandese del Wymbritseradiel (Frisia
occidentale) e da giovane studiò per diventare un prete cattolico: fu infatti
ordinato nel 1524 ed esercitò il sacerdozio per circa 12 anni, dapprima
servendo nel paese di suo padre, Pingjum, e successivamente in quello
natio. Questo periodo fu costellato dai primi dubbi a proposito della
dottrina della transustanziazione, che tormentarono il giovane S. a tal punto
che egli decise di rifiutare questo dogma, pur continuando a servire messa e
ad amministrare l'Eucaristia. Ma nel 1531, il 20 marzo, accadde un
episodio a Leeuwarden che accelerò il distacco di S. dalla Chiesa Cattolica.
Fu infatti condannato alla ruota e successivamente alla decapitazione un
anabattista di nome Sicke Freerks, detto Synder (sarto): l'accettare il
martirio per non rinnegare le proprie convinzioni in tema di battesimo
infantile colpì profondamente S., che cercò inutilmente conforto ai suoi
dubbi nella dottrina cattolica. Neppure un'approfondita lettura degli scritti
dei riformatori Lutero, Bucero e Bullinger portò una schiarita nell'animo
sempre più tormentato del prete olandese. Ma dovettero passare altri
quattro anni prima che S. decidesse di fare il grande passo. Infatti nel 1535
si concluse la folle esperienza della dittatura anabattista di Münster, che
provocò lutti in molte famiglie di Witmarson, i cui giovani avevano
entusiasticamente alla "Nuova Sion in terra" di Jan Matthys. Purtroppo tra
coloro che persero la vita a causa della successiva repressione vi fu anche
un fratello di S. Convinto oramai della bontà della dottrina anabattista, ma
nel sua forma più pacifica, S. maturò la decisione di lasciare la Chiesa
cattolica e fu ribattezzato nel 1535 stesso da Obbe Philips. Nel 1536, un
anno dopo, venne a cercarlo una delegazione di anabattisti, guidata da
Philips in persona, che lo pregò di accettare di diventare anziano della loro
comunità. La sua prima esperienza di predicazione fu a Groningen, dove si
sposò e da dove attuò la sua vasta attività di proselitismo, svolgendola tra
il 1537 ed il 1541 nella vasta area compresa tra l'Olanda e la Svizzera,
lungo la valle del Reno. Nel 1539 S. scrisse la sua opera principale: il
Fundamentboeck (libro dei fondamenti), a cui seguirono altri testi come La
resurrezione spirituale, Il nuovo battesimo, Meditazione sul 23°
salmo. Nel periodo 1543-44 egli predicò nella Frisia orientale, dove ebbe
un dibattito pubblico con il riformatore Jan Laski, ma nel 1545,
perseguitato sia dai cattolici che dai luterani, con una taglia di 100
guilders sulla testa (offerti dall'imperatore Carlo V in persona nel 1542),
egli dovette rifugiarsi con la famiglia dapprima a Colonia e poi ad
Oldesloe, nell'Holstein, nella Germania settentrionale, dove concentrò il suo
campo d'azione, fondando ovunque comunità anabattiste, in suo onore
denominate mennonite. Il suo ultimo rifugio furono le terre di
Bartholomaus von Ahlefeld (m.1568), conte di Fresenburg, tra Amburgo e
Lubecca e qui, nel villaggio di Wustenfeld, S., debilitato dall'artrite, morì
il 31 gennaio 1561.
La dottrina Per S. non era il battesimo che
rigenerava il fedele, bensì la fede e la parola di Dio, e solo dopo poteva
seguire il rito del battesimo. Ovviamente egli negava il battesimo degli
infanti, anzi per S. il declino della Chiesa cristiana era iniziato nel 407,
proprio quando Papa Innocenzo I (402-417) aveva introdotto il battesimo
obbligatorio dei bambini. Inoltre per S. la messa, intesa in senso cattolico,
era un atto sacrilego, poiché constava nell'adorazione della materia, il
pane, come se quest'ultimo fosse stato Dio, mentre era invece solamente
spirito. S. mantenne questo concetto docetista anche per quanto riguardava la
nascita di Gesù Cristo: S. era convinto che, come il raggio di luce
passava attraverso il bicchiere di acqua senza prenderne la sostanza, così la
"carne celeste" di Cristo era passato attraverso il corpo di Maria, senza
averne preso una benché minima parte della sua sostanza. Quindi, poiché
Gesù era in contatto solo spirituale con l'uomo, S. si allineava con la tesi
di Caspar Schwenckfeld, il quale credeva che il Corpo ed il Sangue di Cristo
non potevano essere presenti nell'Eucaristia, sotto le specie del pane e del
vino. L'Eucaristia era dunque basata sulla "carne celeste" o "carne
spirituale". S. fu un innovatore nel comportamento quotidiano dei suoi
seguaci, facendo ritornare gli anabattisti allo spirito originario, basato su
semplicità, povertà, carità, e sopportazione. Tuttavia, nonostante la sua
mitezza, i contemporanei di S. non furono certo teneri nei giudizi nei
confronti dell'ex prete olandese: Calvino lo paragonò ad un asino e ad un
cane!
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