ELENCO ERETICI NELLA
STORIA DELLA CHIESA |
Durand de Huesca (Durando d'Osca) (inizio XIII secolo) e Poveri
Cattolici
Nel XIII secolo un personaggio di spicco del valdismo spagnolo
fu Durand de Huesca, un chierico e teologo di origine spagnola (secondo
altri, invece, proveniente dal sud della Francia), coerentemente impegnato
nel fustigare i costumi dei prelati corrotti ed indegni, cercando però, nel
frattempo, di non cadere nell'accusa di essere simpatizzante dei boni homini
o boni christiani , come si denominavano i catari. Anzi contro questi ultimi
D. prese le distanze, scrivendo il Liber contra Manicheos. Tuttavia in
Spagna erano tempi duri anche per i valdesi, che erano stati perseguitati per
ordine del re Alfonso II di Aragona, detto il Casto (1152-1196). Nel 1204,
D. fu sollecitato a riconciliarsi con la Chiesa Cattolica, durante una
disputa teologica a Pamiers, dal vescovo di Osma, Diego, che, poco
dopo, sarebbe partito per una missione di evangelizzazione tra i catari
della Francia Meridionale con il suo assistente, Domenico di Guzman
(1170-1221), il futuro santo e fondatore dell'ordine dei domenicani. D.
accettò la riconciliazione e ne approfittò per far accettare nel 1208 il suo
movimento dei Poveri Cattolici, da parte di Papa Innocenzo III (1198-1216).
Lo scopo del movimento era di favorire il rientro nel Cattolicesimo dei
valdesi desiderosi di essere riaccolti dall'ortodossia, ma, a parte alcuni
successi parziali, come quello dell'adesione di quei valdesi lombardi, che
seguivano Bernardo Primo (fondatore nel 1210 dell'ordine dei Poveri
Riconciliati), la strategia di D. andò sostanzialmente fallita. Per questo
insuccesso e per atteggiamenti, secondo i cattolici, ancora poco ortodossi,
D. fu richiamato all'ordine in una lettera scrittagli direttamente da Papa
Innocenzo III nel 1209.
Bruno, Giordano (1548-1600)
La
gioventù Il famoso filosofo Giordano Bruno (il nome di battesimo era Filippo,
ma lo cambiò in Giordano quando entrò nell'ordine dei domenicani) nacque
nel gennaio (o febbraio) 1548 a Nola, in provincia di Napoli, dal
gentiluomo (dedito alla carriera militare) Giovanni Bruno e da Fraulissa (o
Fraulisa) Savolino, modesta proprietaria terrena. A Nola B. frequentò il
ginnasio locale e nel 1560 si trasferì allo Studio, un liceo di Napoli, dove
studiò lettere, logica, dialettica e filosofia aristotelica [quest'ultima
sotto l'agostiniano Fra Teofilo da Vairano (m. 1578)]. Nel 1565 B. entrò
come novizio nel convento domenicano di San Domenico Maggiore, dove il 16
giugno 1566 prese i voti, diventando professo. Come già detto, in questa
occasione egli prese il nome di fra Giordano. A San Domenico B. si fece
notare per le sue capacità mnemoniche, tant'è che nel 1568-69 venne invitato
a Roma da Papa Pio V (1566-1572), al quale dedicò la sua prima opera (andata
perduta) L'arca di Noé. Nel periodo 1568-72 egli proseguì i suoi studi di
logica e filosofia e nel 1572 venne ordinato sacerdote. Nello stesso anno si
iscrisse al corso di Teologia presso lo Studio, dal quale uscì laureato nel
luglio 1575. In questo periodo B. coltivò la lettura di autori alquanto
off-limits per un convento, come Raimondo Lullo (1235-1315), testi di cabala,
neoplatonici come Plotino (205-270), Porfirio (ca. 233-305), Giamblico (ca.
245-ca. 325) e Proclo (ca. 410-485) fino a Nicola Cusano (1401-1464), del
quale B. apprezzò il tentativo di conciliare tradizione magica neoplatonica
e Cristianesimo, e al grande Erasmo da Rotterdam, con il quale condivise
la critica alla Chiesa cattolica.
B. abbandona la
tonaca All'inizio del 1576 la crisi: trascinato in un violento battibecco con
un confratello, B. venne accusato di arianesimo e di antitrinitarismo, ma
egli non attese il processo a suo carico, preferendo invece fuggire a
Roma, presso il convento di Santa Maria sopra Minerva, dove però, alla fine
del marzo 1576, si mise ancora nei guai, essendo stato accusato di
aver provocato la morte di un frate domenicano, testimone nel suo
processo napoletano. B. allora prese la decisione di gettare la tonaca e
dirigersi verso il nord Italia, a Genova, Noli, Savona, Torino e Venezia,
dove venne pubblicato un'altra sua opera perduta, il trattato astrologico De'
segni de' tempi. Nella vicina Padova si rivestì con la tonaca (probabilmente
per puri motivi di opportunità), recandosi a Brescia, Bergamo, Milano, ed
infine a Chambery, nella Savoia, dove svernò nel 1578-79 per poi proseguire
per Ginevra nella primavera 1579.
B. a Ginevra Nella città
svizzera, B. venne subito avvicinato dal marchese di Vico, Galeazzo
Caracciolo, capo della comunità degli esuli religiosi italiani, che cercò di
convincere B. a convertirsi alla religione calvinista, al cui credo pare che
B. aderisse per un certo periodo. Tuttavia il soggiorno ginevrino venne
guastato da un clamoroso incidente di percorso con il professore di filosofia
dell'Accademia Antoine De la Faye (1540-1615), alle cui lezioni il filosofo
nolano aveva assistito. In uno scritto polemico, B., vero esperto del
pensiero aristotelico, contestò ben 20 errori commessi in una sola lezione da
De la Faye, vera e propria imprudenza perché quest'ultimo, molto immanicato
politicamente presso l'establishment calvinista, fece arrestare B. e il
nostro poté cavarsela, il 27 agosto 1579, solo con un penoso atto
di pentimento pubblico, seguito dalla distruzione pubblica, a cura dello
suo stesso autore, dello scritto polemico. Scontata l'umiliante pena, B.
lasciò immediatamente Ginevra per Tolosa, in Francia, dopo aver transitato
da Lione.
B. in Francia A Tolosa B. rimase per circa venti
mesi, divenendo lettore pubblico di filosofia e scrivendo un commento al
Tractatus de sphaera mundi dell'astronomo agostiniano Johannes de Sacrobosco
(1195-1256), ma fu costretto nel 1581 a lasciare Tolosa a causa della guerra
civile tra cattolici e ugonotti e, mediante un viaggio avventuroso e pieno di
pericoli, si recò a Parigi. Qui egli tenne un ciclo di trenta lezioni alla
Sorbona sugli attributi divini secondo Tommaso d'Aquino (1221-1274), che
suscitarono l'ammirazione del re francese Enrico III (1574-1589), al quale B.
dedicò il suo De umbris idearum, un testo di arte mnemotecnica, ispirata alle
dottrine del francescano Raimondo Lullo (1235-1315). Il periodo molto
favorevole per B. gli permise di poter scrivere e pubblicare diversi altri
trattati di mnemotecnica, come Cantus circaeus e De compendiosa architectura
et complemento artis Lullii, oltre alla commedia in lingua italiana
Il candelaio.
B. in Inghilterra Nell'aprile 1583, al seguito
dell'ambasciatore Michel di Castelnau (1520-1592), signore di Mauvissière, B.
si recò in Inghilterra, a Londra, dove, secondo lo storico John Bossy, svolse
attività di spionaggio, sotto lo pseudonimo di Henry Fagot, al servizio di
Sir Francis Walshingham (m.1590) proprio contro l'ambasciatore
francese. Comunque, a parte questo episodio alquanto oscuro, in Inghilterra
B. conobbe diversi personaggi famosi dell'epoca, come la stessa regina
Elisabetta I (1558-1603), John Dee, il nobile polacco Albert Laski (m. 1605),
nipote del riformatore Jan Laski, e il poeta Sir Philip Sidney (1554-1586),
del quale divenne amico, dedicandogli la sua famosa opera Spaccio della
bestia trionfante. Pubblicò inoltre altre opere fondamentali come Ars
reminiscendi, Explicatio tringinta sigillorum, Sigillus sigillorum, De la
causa, principio et uno, De infinito, universo et mondi, La cabala del
cavallo pegaseo con l'aggiunta dell'asino cillenico e Degli eroici furori
(anche quest'ultima dedicata a Sidney). B. si recò anche ad Oxford, dove però
si scontrò con il teologo inglese, e futuro vescovo di Oxford, John Underhill
(ca. 1545-1592) in un dibattito sulla filosofia aristotelica, degenerata ben
presto in una rissa verbale. Nonostante l'incidente egli venne accettato come
docente di filosofia, tuttavia non era destino egli rimanesse per troppo
nella città universitaria: infatti alla terza sua lezione imperniata sulle
teorie copernicane, venne tacciato di plagio nei confronti di Marsilio
Ficino (1433-1499) e invitato ad andarsene. Il filosofo nolano,
offesissimo, lasciò Oxford per tornare a Londra, ma anche qui fu protagonista
di un ennesimo episodio di scontro con i cattedratici inglesi. Infatti,
durante una cena presso il nobile Sir Fulke Greville (1554-1628), il 15
febbraio 1584 (Mercoledì delle ceneri), egli entrò in polemica sulle sue idee
sull'universo con due professori di Oxford, tali Torquato e Nundinio
[pseudonimi probabilmente del medico George Turner (1565-1610) e del
sopramenzionato John Underhill], A dir la verità, furono proprio questi
ultimi a provocare la rissa: il tutto venne descritto in uno dei suoi più
famosi libri La Cena delle ceneri, fortemente caustico nei confronti della
realtà inglese del momento. La pubblicazione dell'opera provocò una tale
reazione a catena (compresa la devastazione dell'ambasciata francese) da
costringere B. a ritornare in Francia nell'ottobre 1585.
B.
nuovamente in Francia Ma in Francia la situazione politica era cambiata: la
tensione tra cattolici e ugonotti era alle stelle e i Duchi cattolici di
Guisa guidavano la Santa Unione, o Lega, opponendosi al re Enrico III, che
aveva nominato suo erede al trono, nel 1584, il cognato protestante Enrico di
Borbone. Da lì a poco il confronto sarebbe sfociato in tragedia con la fuga
del re da Parigi nel maggio 1588, l'assassinio, su ordine del re, dei Duchi
di Guisa nel dicembre 1588, e la morte del sovrano stesso, ucciso a sua volta
dal pugnale di un fanatico domenicano, Jacques Clément, nell'agosto
1589. B. rimase in Francia solo nove mesi, ma in questo periodo il suo
spirito indomitamente polemico gli procurò altri guai in almeno due
occasioni: quando insultò un protetto dei cattolici Guisa, il matematico
salernitano Fabrizio Mordente, inventore del compasso differenziale, al quale
dedicò il sarcastico dialogo Idiota triumphans seu de Mordentio inter
geometras deo [il litigio era nato da una presentazione non molto lusinghiera
di B. (Dialogi duo de Fabricii mordentis salernitani prope divina
adinventione ad perfectam cosmimetria praxim) sull'invenzione del Mordente],
e quando pubblicò l'opuscolo anti-aristotelico Centum et viginti articuli de
natura ed mundo adversos peripateticos, suscitando la reazione risentita
dei cattedratici francesi del Collège de Cambrai, anche se la
paternità dell'opera fu prudentemente occultata come farina del sacco del
suo principale allievo, Jean Hennequin.
B. in Germania e in
Boemia Nuova emigrazione dell'inquieto filosofo, questa volta in Germania,
nel giugno 1586: dopo una veloce passata a Marburg (dove ebbe tempo di
litigare con il rettore dell'università, Petrus Nigidius!), B. arrivò a
Wittenberg nell'agosto 1586 e qui egli insegnò filosofia all'università per
due anni e poté pubblicare diverse opere, come De lampada combinatoria
lulliana, De progressu et lampada venatoria logicorum, Artificium
perorandi, Animadvertiones circa lampadem lullianam e Lampas tringinta
statuarum. Ma nel 1588 egli decise di lasciare Wittenberg per le mutate
condizioni religiose: infatti al luterano Augusto I, principe elettore di
Sassonia (1541-1586), era succeduto il figlio Cristiano I (1586-1591), che
aveva nominato suo cancelliere Nicholas Crell (o Krell), il cui pensiero
religioso era allineato con la dottrina dei filippisti, seguaci di Philipp
Melantone, cioè una forma di cripto-calvinismo con simpatie verso alcuni
punti della dottrina di Giovanni Calvino. Grazie al suo potere, Crell
favorì la promozione di calvinisti a posizioni di rilievo e prestigio: la
perdita dei riferimenti luterani accelerò la decisione del nolano di
abbandonare Wittenberg, dopo una dotta orazione d'addio (Oratio valedictoria)
pronunciato l'8 marzo 1588 davanti ai professori e studenti della locale
università. Si recò allora a Praga, dove fece pubblicare i suoi Articuli
centum et sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque
philosophos, dedicati all'imperatore Rodolfo II (1576-1612). Questi donò a B.
una borsa di 300 talleri, ma non un incarico all'università al quale il
filosofo ambiva, ragione per cui B. decise di emigrare nuovamente, questa
volta ad Helmstadt, nel ducato del Braunschweig (Brunswick), dove poté
insegnare, dal gennaio 1589, come libero docente all'Accademia Giulia,
fondata dal duca Julius von Braunschweig-Wolfenbuttel (1568-1589), alla morte
del quale B. scrisse la Oratio consolatoria. Almeno formalmente egli aderì,
in questo periodo, al luteranesimo, ma ciò non impedì al sovrintendente della
locale Chiesa luterana Gilbert Voët (da non confondere con il teologo
olandese calvinista Gisbert Voët) di scomunicarlo, ufficialmente per
filo-calvinismo, ma più probabilmente per espressioni ingiuriose che B. aveva
pronunciato contro il pastore stesso. La scomunica luterana (quindi, dopo
quella cattolica e calvinista, anche l'ultima delle tre maggiori confessioni
cristiane occidentali lo aveva scomunicato!) non impedì a B. di continuare a
vivere a Helmstadt, anche per la benevolenza del nuovo duca Heinrich Julius
(1589-1613), fino alla primavera 1590 e di concepire qui i suoi trattati
sulla magia, come De magia, Theses de magia, De rerum principiis et elementis
et causis, Medicina lulliana e De magia mathematica. Il 2 giugno 1590 B.
giunse a Francoforte, ma la richiesta di un permesso di soggiorno venne
respinta dal senato della città, e quindi il filosofo alloggiò
provvisoriamente presso un convento di carmelitani. Riuscì comunque a
pubblicare la sua importante trilogia di trattati filosofici in latino
(De triplice minimo et mensura, De monade, numero et figura e De
innumerabilis, immenso et infigurabili seu de universo et mundis), dedicati
al duca Heinrich Julius, e, dopo aver passato l'inverno a Zurigo come
docente privato di filosofia, rientrò a Francoforte nella primavera 1591 per
curare la pubblicazione del De imaginum, signorum et idearum compositione,
una rivisitazione dei suoi testi sulla mnemotecnica. Nella città tedesca egli
fu raggiunto dalla lettera del nobile veneziano Giovanni Mocenigo, che
lo invitava a recarsi a Venezia per insegnare l'arte della memoria. B.
accettò e nell'agosto 1591 partì alla volta dell'Italia.
B.
ritorna in Italia Perché il più volte scomunicato B. abbia accettato di
rientrare in Italia è stato oggetto di approfondite analisi di critici e
storici e varie sono le ipotesi formulate: A livello europeo, B. era
oramai isolato ed era stato scomunicato ripetutamente, mentre, d'altra parte,
Venezia era nota per una certa autonomia ed indipendenza decisionale nei
confronti del potere papale. Il Mocenigo aveva offerto denaro e ospitalità
per poter ricevere lezioni sull'arte mnemotecnica (anche se il suo principale
intendimento era di essere iniziato alle arti occulte) e gli estimatori
generosi di B. non erano poi così numerosi. Nella vicina Padova era
vacante la prestigiosa cattedra di matematica e le esperienze di Oxford,
Praga e Francoforte avevano mostrato a B. come era difficile vivere senza una
rendita fissa. Ma alcuni autori ipotizzano che B. si sentisse addirittura
investito di una missione: realizzare praticamente la nuova visione dell'uomo
in senso panteistico e magico e finalmente mondato dal dogmatismo e
dall'intolleranza della Chiesa. Comunque nell'agosto 1591 B. giunse a
Venezia, e dopo tre mesi si recò a Padova, dove cercò inutilmente di ottenere
la cattedra di matematica e dove, con l'aiuto del suo discepolo Jerome Besler
(1566-1632), scrisse il De vinculis in genere e Lampas triginta
statuarum. Ritornato a Venezia, B. snobbò e trascurò il lavoro di precettore
del Mocenigo, un nobile sì ma di scarsa cultura, che, come già detto,
era probabilmente più interessato alle arti occulte, che a quelle
mnemotecniche. Deluso e sentendosi truffato, Mocenigo, dopo aver raccolto
delle informazioni sul suo conto presso un corrispondente a Francoforte,
fece arrestare B. la notte del 22 maggio 1592 e lo consegnò all'Inquisizione
con l'accusa di eresia e blasfemia. Nei due mesi successivi B. venne
sottoposto a 7 interrogatori (o costituti), al termine dei quali B. chiese di
abiurare e di essere perdonato e i giudici veneziani sembravano perfino
favorevoli a questa soluzione.
B. a Roma: il processo e la
morte Tuttavia il Santo Uffizio romano chiese a gran voce, il 12 settembre,
la sua estradizione: questo primo tentativo fu respinto dai giudici
veneziani, ma nulla essi poterono contro una seconda richiesta, motivata dal
fatto che B. comunque non era cittadino veneziano. Il 27 febbraio 1593 B. fu
dunque trasferito a Roma ed incarcerato nel palazzo del Santo Uffizio. I
successivi 7 anni si trascinarono in interminabili interrogatori (e probabili
torture, soprattutto dal 1597) da parte di una Congregazione composta da
sette cardinali e otto teologi, che dovettero anche studiare le sue
innumerevoli opere. Nel 1597, anno del rogo di Francesco Pucci e della
condanna di Tommaso Campanella, detenuti nella stessa prigione di B., nel
processo di quest'ultimo subentrò il cardinale gesuita Roberto Bellarmino
(1542-1621) (futuro persecutore di Galileo Galilei e del Campanella), il
quale nel 1599 enucleò le seguenti otto proposizioni di B. ritenute eretiche
dalla Chiesa: 1) L'anima mundi e la materia prima sono i due principi eterni
delle cose, 2) Da una causa infinita deve derivare un infinito effetto, 3)
Non esiste l'anima individuale, 4) Nulla si crea e nulla si distrugge, 5)
La Terra si muove, 6) Gli astri sono angeli ed esseri animati, 7) La Terra
è dotata di un'anima sensitiva e razionale, 8) L'anima non è la forma del
corpo dell'uomo. Dal 18 gennaio 1599 tra B. e gli inquisitori iniziò una
complessa partita di scacchi, basata su accuse, ripensamenti, colpi di scena
e quant'altro. Inizialmente gli venne richiesto ufficialmente di abiurare:
egli cercò dapprima di prendere tempo, e perfino cedette in febbraio per poi
inviare un memoriale difensivo in aprile. Si pensò di utilizzare nuovamente
la tortura, quando, il 10 settembre, egli dichiarò di volersi sottomettere
alla Chiesa, salvo poi rimettere in discussione solo una settimana dopo. Ma
la situazione precipitò dopo la denuncia di un anonimo che il principale
bersaglio della sua opera Lo spaccio de la bestia trionfante fosse il
papa. L'irrigidimento di ambedue le posizioni portarono infine alla
inevitabile condanna a morte di B. l'8 febbraio 1600 ed in quella occasione
egli pronunciò la famosa frase: Forse con maggiore timore pronunciate contro
di me la sentenza, di quanto ne provi io nel riceverla. La mattina del 17
febbraio 1600 egli venne condotto a Campo dei Fiori, dove venne spogliato dei
vestiti, fu issato sul rogo, gli fu impedito di parlare con una mordacchia in
legno e infine fu bruciato vivo, in quanto impenitente (quelli che si
pentivano venivano strozzati prima del rogo). 300 anni dopo, il 9 giugno
1899, nonostante fortissime resistenze cattoliche, venne inaugurato il
monumento a lui dedicato in Campo dei Fiori: fu un'occasione di riunione
delle anime anticlericali dell'Italia umbertina, massoni, repubblicani,
radicali, positivisti, tutti debitori di questo martire del libero pensiero
filosofico e scientifico.
Il pensiero Il complesso pensiero di B.
è stato per molti anni circoscritto all'ambito ermetico, un po' equivocando
sul termine di "mago" e molto grazie ai lavori della studiosa inglese Francis
Yates. Riscoperto recentemente, il pensiero di B. è una miscela di filosofia
antiaristotelica, magia naturale (la magia divina, in contrasto con la magia
diabolica), religione naturale, mnemotecnica e panpsichismo (il mondo è vivo
e sensibile, come anche per Bernardino Telesio e Tommaso
Campanella). L'universo aristotelico finito e diviso in sfere celesti stava
stretto a B., che contrapponeva un universo infinito e unico. Secondo B., la
natura animata del mondo (anima mundi), secondo un concetto
tipicamente neoplatonico, presenta due aspetti: la forma e la materia. La
forma è l'anima universale e la sua principale facoltà, l'intelletto, muove
la materia (materia prima) dall'interno. E' quindi logico che egli si
appassionasse alle teorie astronomiche di Niccolò Copernico (1473-1543),
sebbene non fosse tanto la loro portata scientifica che lo interessava, bensì
le speculazioni filosofiche che ne potevano derivare: l'infinito superava
perfino il concetto copernicano di eliocentrismo e univa tutto, anche gli
opposti, che, nell'unità dell'infinito, coincidevano l'uno nell'altro, un
concetto caro ad un autore molto amato da B., cioè Nicola
Cusano. L'attacco ai metodi lenti e metodici della scolastica aristotelica
B. lo portò sviluppando l'arte della mnemotecnica, un tecnica rapida e
quasi "magica" per impossessarsi del sapere. E questo sapere se ne
impossessa l'eroico e furioso ricercatore della verità, che ubbidisce
solamente all'istinto della razionalità nella sua cerca della vera
conoscenza, cioè il concetto del principio unico, da cui generano tutte le
specie e tutti i numeri. Quindi la religione propugnata da B. è una religione
razionale o naturale, privo di quel dogmatismo, intransigenza, ignoranza,
ipocrisia, fede cieca ed inconsapevole, tipici delle confessioni cristiane
dell'epoca, che l'avevano perseguitato per tutta la sua vita e che, alla
fine, l'avevano portato sul rogo.
Confraternita Rosa Croce
(rosacrocianesimo o società dei rosacrociani)
(XVII secolo)
Premessa e paternità dei manifesti
rosacrociani Nel 1614 comparve a Cassel, in Germania, il manifesto base, dal
titolo Allgemeine und General Reformation der ganzen weiten Welt (Riforma
generale ed universale di tutto il mondo) di un misterioso movimento
mistico occultistico, denominato Confraternita Rosa Croce. Il documento
venne seguito l'anno successivo da un ulteriore manifesto dal titolo
Fama Fraternitas R. C. Ambedue gli scritti lanciavano un appello a tutti
gli studiosi di cabala e occultismo di concorrere a formare una società
segreta, che potesse aiutare la rinascita dell'umanità e all'epoca apparvero
come anonimi, ma la loro paternità come quella (certa) del successivo
libro alchemico, Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz, pubblicato nel
1616, venne attribuita al pastore luterano Johann Valentin Andreae, che,
secondo lo storico Paul Arnold, smentì di averli scritti ed anzi dichiarò,
in seguito, di aver concepito Le nozze chimiche per ridicolizzare un
diffuso interesse dell'epoca verso l'occultismo. Tuttavia altre
interpretazioni moderne propendono proprio per un diretto coinvolgimento di
Andreae, sebbene mediato da una stesura, a più mani, dei sopraccitati testi
concepita all'interno del cosiddetto Cerchio di Tubinga, un circolo
mistico-occultista di circa trenta aderenti, comprendenti, fra gli altri, lo
stesso Andreae, Tobias Hess (1558-1614), Johann Arndt, Wilhelm von Wense (m.
1641), Tobias Adami (m. 1643) e Christophe Besold (1577-1638), amico fraterno
di Andreae.
Definizione di rosacrociano Secondo Franz Hartmann, il
rosacrociano è "una persona che mediante il processo di risveglio spirituale,
ha ottenuto una conoscenza pratica del significato segreto della Rosa e della
Croce (..) Chiamare una persona rosacrociana non significa fare di lui un
rosacrociano. Il vero rosacrociano non può essere creato; egli deve crescere
per diventarlo mediante l'espansione del potere divino nel suo cuore". Le
idee dei rosacrociani nacquero da un immenso crogiolo nel quale
erano confluiti: il pensiero di Traiano Boccalini (1556-1613), autore di un
testo satirico chiamato Ragguagli di Parnasso, tradotto da Besold; le
visioni utopiche del filosofo domenicano Tommaso Campanella, i cui scritti
furono portati in Germania da Tobias Adami nel 1613; le profezie di
Gioacchino da Fiore; i mistici tedeschi del XIV secolo come Johannes Tauler e
Johannes Eckhart e scienze occulte come la cabala, l'alchimia e
l'ermetismo.
La leggenda di Christian Rosenkreuz (1378-1484) I
manifesti facevano quindi riferimento a questa misteriosa fratellanza,
di tipo occultistico, cabalistico, e teosofico, fondata da un nobile
tedesco, filosofo ed ex monaco, Christian Rosenkreuz, che sarebbe vissuto ben
106 anni tra il 1378 ed il 1484. Egli, viaggiando tra Damasco,
Cairo, Gerusalemme e Fez, sarebbe stato iniziato da alcuni sapienti arabi,
che erano stati in grado di rivelargli tutti i segreti della sua vita,
passata, presente e futura, e di guarirlo da una grave malattia con l'aiuto
della Pietra Filosofale. Al ritorno in Germania, egli avrebbe fondato, nel
1407, un ordine rosacrociano con tre, in seguito otto, confratelli e sarebbe
vissuto ancora 77 anni. La sua tomba sarebbe rimasta celata fino alla sua
riscoperta nel 1604, da cui l'aumentato interesse nei confronti del suo
ordine all'inizio del XVII secolo. Oggigiorno la tesi che Rosenkreuz sia
un personaggio storicamente esistito è la meno accreditata, perfino tra i
moderni rosacrociani. Altri autori propendono per l'ipotesi che il nome
copra, attraverso uno pseudonimo, un personaggio storico in vista, secondo
alcuni Francesco Bacone (1561-1626), secondo altri Cornelius Agrippa di
Nettesheim, oppure, più probabilmente, che tutta la vicenda vada letta in
senso strettamente allegorico.
Primi passi del
rosacrocianesimo Comunque il riferimento nei manifesti ad una supposta
società segreta provocò una grande eccitazione in tutta l'Europa (soprattutto
in Francia, Inghilterra, Austria e Paesi Bassi): famosi occultisti, come
l'inglese Robert Fludd (1574-1637) o il tedesco Michael Maier (1568-1622), o
perfino il grande filosofo francese René Descartes (Cartesio)(1586-1654),
chiesero pubblicamente di essere contattati dai misteriosi rosacrociani o,
meglio, affermarono addirittura di essere già entrati nella società. Un po'
ovunque sorsero gruppi auto-nominatisi rosacrociani, anche se poi nessuno
riuscì a trovare fisicamente i rosacrociani, per il semplice motivo che essi,
come società segreta strutturata, non esistevano proprio. Nel frattempo,
nel 1616, gli stessi autori (il precedentemente citato circolo di Tubinga),
spaventati dall'incredibile impatto dei loro manifesti e dalle reazioni
negative delle chiese ufficiali, decisero di non uscire allo scoperto e di
osservare il più rigoroso anonimato, abbandonando quindi alla riprovazione
pubblica Andreae, l'unico tra loro che aveva avuto il coraggio di firmare un
testo. E rapido arrivò il declino: già dal 1619 i principali
occultisti, interessati al movimento, iniziarono a dissociarsi e lo stesso
Andreae, indispettito per il voltafaccia dei suoi ex amici, pubblicò, tra il
1617 ed il 1618, l'Invitatio ad Fraternitatem Christi (Invito alla
Confraternita di Cristo), dove egli cercò di lanciare, in contrapposizione
al rosacrocianesimo, un movimento innovatore, una specie di "Città
Cristiana" (Christianopolis), una Nuova Gerusalemme posta direttamente sotto
la protezione di Dio. Nel 1628, dopo una pausa forzata a causa di un
periodo della Guerra dei Trent'anni (1618-1648), scrisse un nuovo manifesto
Verae unionis in Christo specimen, nel quale, attaccando Calvinisti,
Anabattisti, Schwenckfeldiani, e i suoi ex-amici rosacrociani, egli esortava
alla formazione di una Società Cristiana. L'ultimo episodio avvenne in
Olanda, quando il pittore e alchimista Johannes Symonsz van der Beeck (o
Beke) (nome umanistico: Torrentius) (1589-1644), venne imprigionato il 30
agosto 1627 e processato: lo sfortunato pittore era probabilmente solo un
libertino e gaudente, ma venne considerato il leader della Rosa Croce
olandese. Fu torturato e venne condannato come bestemmiatore e per aver
praticato l'alchimia, con un suo amico, tale Christiaen Coppens, addirittura
al rogo, pena poi trasformata in carcere per vent'anni. Per fortuna, grazie
al re d'Inghilterra Carlo I (1625-1649), suo ammiratore, Torrentius venne
rilasciato dalla prigione nel 1630 ed emigrò in Inghilterra, ritornando dopo
qualche anno in patria, dove morì ad Amsterdam nel 1644.
Rosa
croce e massoneria E proprio in Inghilterra la Rosa Croce non tramontò mai
definitivamente, ma i suoi ideali vennero inglobati nella nascente massoneria
speculativa. Tradizionalmente si considera l'elemento di passaggio tra queste
due scuole di pensiero il grande alchimista, antiquario e astrologo Elias
Ashmole (1617-1692), pubblico difensore della Rosa Croce nel 1650 e massone
dal 1646, sebbene in generale, intorno alla metà del XVII secolo, ci fu
un rifiorire di pubblicazioni rosacrociane, come la traduzione in inglese,
a cura di John Heydon (n. 1629), della Fama Fraternitatis nel 1652 o i
testi alchemici, di ispirazione rosacrociana, di Thomas Vaughan (1622-1665),
che scriveva sotto lo pseudonimo di Eugenius Philalethes. In seguito
l'influenza dei Rosa Croce fu rilevante sulla massoneria degli anni 1720-1730
e divenne parte degli alti gradi massonici: il 18° grado del rito scozzese si
denomina, per l'appunto, Principe di Rosa Croce. Verso il 1757 il tedesco
Hermann Fictuld (m. 1777) fondò la Confraternita della Rosa Croce d'Oro, ma
nei metodi e nei rituali, oramai questa era più un ordine massonico, che un
diretto discendente degli anni della Fama Fraternitatis. Nel 1866 il
funzionario della Grande Loggia d'Inghilterra, Robert Wentworth Little
(1840-1878) fondò la Societas Rosicruciana in Anglia, aperta ai soli massoni
cristiani trinitari, ma anche in Francia ci fu nel XIX secolo un rinnovato
interesse per il rosacrocianesimo, alimentato dai lavori dell'occultista
Eliphas Levi (1810-1875), che ispirarono la fondazione dell'Ordine
Cabalistico della Rosa-Croce nel 1887, voluta dagli occultisti Stanislas de
Guaita (1861-1897), Gérard Encausse, detto Papus (1865-1916) e Joséphin
Péladan (1858-1918). Quest'ultimo fondò poi, nel 1890, l'Ordine della
Rosa-Croce Cattolica del Tempio e del Graal.
I rosacrociani
oggigiorno Oggi i principali gruppi rosacrociani sono otto, derivati spesso
da ambienti massonici o teosofici americani e quasi tutti caratterizzati
dall'offerta di corsi (spesso per corrispondenza) di astrologia, occultismo
ed esoterismo e dalla stampa di un proprio periodico: 1. Fraternitas Rosae
Crucis, la più antica confraternita, fondata da Pascal Beverly Randolph
(1825-1875) nel 1858, è associata con la Church of Illumination (Chiesa
dell'Illuminazione), che si occupa dell'insegnamento esoterico del gruppo. La
sede centrale è a Quakertown, nella Pennsylvania. La denominazione legale
riporta anche la dicitura Beverly Hall Corporation. 2. Societas Rosicruciana
in Civitatibus Foederatis (S.R.I.C.F.), fondata nel 1880 da un gruppo di
massoni americani, che nel 1878 si erano fatti iniziare dalla Societas
Rosicruciana in Anglia in Inghilterra. Condizione necessaria per l'adesione
è, come per il gruppo inglese, essere massone cristiano trinitaro. 3.
Societas Rosicruciana in America (S.R.I.A.), nata nel 1907 da una scissione
della precedente, quando alcuni membri espressero il desiderio di aprire
l'insegnamento rosacrociano ai profani (cioè ai non massoni). Collegato alla
società esiste anche il Seminario di Studi Biblici: infatti il forte
connotato cristiano mistico della società fu dato dal principale divulgatore,
George Winslow Plummer (1877-1944), che divenne vescovo della Chiesa
Ortodossa Americana nel 1934. 4. The Ancient and Mystical Order Rosae Crucis
(A.M.O.R.C.), il più diffuso e noto gruppo rosacrociano fu fondato
dall'occultista Harvey Spencer Lewis (1883-1939) nel 1915, dopo essere stato
iniziato nel 1909 in Francia. Nonostante abbia incorporato una chiesa
rosacrociana (Pristine Church of the Rose Cross) negli anni '20, la
confraternita insiste sul suo aspetto laico con gradi e ritualistica di forte
sapore massonico. Negli anni '30 Lewis ha dotato la sede centrale di San Jose
(California) di una propria università, planetario, biblioteca e museo egizio
(Lewis era infatti convinto che l'ordine fosse stato fondato dal faraone
Tutmosis III nel 1450 a.C.). L'AMORC è presente in diversi paesi e,
nonostante diverse defezioni a favore di nuove e nascenti organizzazioni
rosacrociane, esso rimane il gruppo più numeroso (gli organizzatori citano un
numero di aderenti di 6 milioni, ma pare più realistica la cifra di qualche
centinaia di migliaia di adepti). In Italia esso è presente con due logge (a
Milano, sede centrale, e a Verona), ma anche diversi altri punti organizzati,
denominati capitoli e pronai. L'afflusso agli incontri viene rinforzato dalla
presenza di emigrati di colore, originari dell'Africa, dove l'AMORC è
particolarmente diffuso. 5. The Rosicrucian Fellowship, fondato nel 1907 da
Max Heindel, pseudonimo dell'aristocratico e ingegnere tedesco-danese Carl
Louis von Grasshoff (1865-1919), emigrato in America nel 1903 e con la
passione per l'occultismo. Heindel fu anche iscritto alla Società Teosofica e
allievo di Rudolf Steiner. La forte impronta teosofica, religiosa e rituale
venne da Heindel trasferita nel suo gruppo rosacrociano, che è caratterizzata
da un vivo interesse anche per l'astrologia: la Fellowship, con sede a
Oceanside (California), pubblica tutti gli anni le effemeridi, indispensabili
per i calcoli astrologici. E' presente anche in Italia come
Associazione Rosicruciana Oceanside (A.R.C.O.), con sede a Vaprio d'Agogna
(Novara). 6. Rosicrucian Anthroposophic League, una scissione della
precedente fatta da S.R. Parchement con particolare rilievo alle tematiche
antroposofiche di Steiner. La sua sede a San Francisco. Non ha un sito web
ufficiale. 7. Lectorium Rosicrucianum, uno dei più popolari gruppi, fu
fondato nel 1924 da alcuni membri olandesi del Rosicrucian Fellowship,
guidati da Jan van Rijckenborgh, pseudonimo di Jan Leene (1896-1968), ma solo
nel 1935 essi si staccarono dall'obbedienza madre, formando un ordine, detto
dei Manichei. Dopo la seconda guerra mondiale, il gruppo assunse nel 1945 il
nome attuale di Lectorium Rosacrucianum. Il Lectorium, con sede americana a
Bakersfield (California), fa riferimento a correnti e tradizioni esoteriche,
mistiche cristiane (con particolare interesse per il pensiero di Jakob
Böhme), gnostiche dualistiche e catare, teosofiche, antroposofiche,
massoniche. Gli adepti praticano la dottrina della trasfigurazione (il
rinunciare a vivere secondo l'ordine stabilito dagli uomini per vivere,
attraverso un processo iniziatico, secondo quello divino) per evitare il
tormento delle continue reincarnazioni. Il gruppo è presente in Italia dal
1980 in 11 città e ha la sede principale a Dovadola, in provincia di
Forlì. 8. Ausar Auset Society, fondata nel 1975 a New York da R.A.Straughn,
noto anche con il nome religioso di Ra Un Nefer Amen, un ex membro
del Rosicrucian Anthroposophic League, che ha particolarmente diffuso le
sue idee occultiste alla comunità nera americana, alla quale ha
anche Sozzini (o Sozini, Sozzino, Socino, Socini o Socinus), Lelio (o
Laelius) Francesco Maria (1525-1562)
La famiglia
Sozzini Lelio Francesco Maria Sozzini (il cui cognome è riportato secondo
svariate grafie come Sozini, Sozzino, Socino o Socini, nonché nella forma
latinizzata completa Laelius Socinus) nacque a Siena il 25 marzo 1525, sesto
dei sette figli del giureconsulto e professore universitario Mariano
Sozzini (1482-1556), detto il giovane per distinguerlo dal più noto e omonimo
nonno (1401-1467), e della moglie fiorentina Camilla Salvetti (m.
1554). Il primogenito dei due coniugi fu Alessandro Sozzini il giovane
(1509-1541), padre, a sua volta dell'altro famoso riformatore della famiglia,
Fausto Sozzini, mentre degno di nota furono anche altri quattro fratelli di
Lelio, tutti di fede antitrinitaria: Cornelio: eretico processato dapprima
a Bologna nel 1558 assieme al fratello Celso, e poi a Siena nel 1560, assieme
al fratello Dario, per aver messo in dubbio l'autorità del pontefice e la
validità del sacramento dell'Eucaristia: fu liberato per interessamento del
Duca Cosimo I de' Medici (1537-1574). Dario: incarcerato a Siena per gli
stessi motivi di Cornelio (vedi sopra). Dopo la liberazione, si recò con il
fratello Camillo in Valtellina, ma, accusati di antitrinitarismo, essi ne
vennero espulsi nel 1563 per ordine di Johann Heinrich Bullinger, riparando
in seguito a Costanza. Alcuni autori ipotizzano che, da questo momento, la
figura di Dario Sozzini (da Siena) coincida con quella di un certo Dario
Senese, un antitrinitario attivo in Moravia e Transilvania negli anni '70 del
XVI secolo. Celso (m. 1570): professore di diritto a Bologna, trasportò nella
città felsinea l'Accademia senese dei Sizienti nel 1554 e successe
come cattedratico al padre Mariano alla sua morte nel 1556. Fu processato
a Bologna assieme al fratello Cornelio ed abiurò. Morì a Bologna nel
1570. Camillo: sfuggì alla cattura nel 1560, che coinvolse i fratelli
Cornelio e Dario, emigrando in Svizzera. A Zurigo fu ospite del mercante
Antonio Mario Besozzi (m. 1567): scoperto nel 1565, fu cacciato dalla città e
il Besozzi fu processato. Camillo si recò allora in Valtellina, cercando di
stabilire la propria residenza a Chiavenna, ma ne fu impedito dal pastore
riformato, Scipione Lentulo. Scelse allora di abitare a Piuro, in casa del
pastore riformato Girolamo Turriani (o Turriano), dove conobbe e divenne
amico del commerciante anabattista Niccolò Camulio. Tutto questo gruppo,
compreso Camillo, venne espulso dalla Valtellina nel 1571.
I primi
anni Iniziato agli studi di legge, secondo la tradizione di
famiglia, all'università di Padova, dove la famiglia era emigrata quando egli
aveva cinque anni, S. conobbe e strinse rapporti di amicizia con il collega
del padre Matteo Gribaldi Mofa. Tuttavia , poco dopo, S. abbandonò i suoi
studi giuridici per approfondire la teologia evangelica: la tradizione lo
vuole ispiratore (ma fu, più probabilmente data la giovane età, un semplice
partecipante) dei Collegia Vicentina del 1546, le riunioni riformate
eterodosse, alle quali parteciparono i principali anabattisti e antitrinitari
dell'epoca, tra cui Paolo Alciati della Motta, Celio Secondo Curione,
Francesco Della Sega, Giovanni Valentino Gentile, Giulio Gherlandi, Matteo
Gribaldi Mofa e Francesco Negri da Bassano.
S. in esilio Nel
1547 S. lasciò l'Italia, probabilmente perché già nel
mirino dell'Inquisizione come eretico, per recarsi in Valtellina, all'epoca
parte del Cantone svizzero dei Grigioni. Qui, a Chiavenna, egli conobbe e
fu fortemente influenzato da Camillo Renato, ma pur parteggiando per le
sue idee, cercò di mantenersi il più neutrale possibile nella diatriba
che quest'ultimo aveva intrapreso con il pastore locale Agostino
Mainardi. Nell'ottobre dello stesso 1547 egli si trasferì a Basilea, dove
conobbe Sébastien Castellion e Celio Secondo Curione (la presunta amicizia
dei due risalente ai Collegia Vicentina del 1546 non è documentata). Nella
città svizzera, S. si iscrisse all'università, il cui rettore era il
cartografo tedesco ed ex francescano passato (nel 1529) al luteranesimo,
Sebastian Münster (1488-1552). Qui venne accolto da un collega svizzero
del padre, Bonifacio Amerbach (1495-1562), a sua volta genitore del futuro
riformatore Basilio Amerbach (1533-1591): S. scrisse una lettera di
presentazione per quest'ultimo, il quale desiderava recarsi in Italia per
completare i suoi studi di giurisprudenza. Studi che evidentemente il nostro
non perseguì più di tanto poiché nel periodo 1548-49 la sua presenza viene
segnalata prima a Ginevra, poi in Francia, a Nérac, presso la corte di
Margherita di Angoulême (1492-1549), moglie di Enrico II di Navarra
(re:1516-1555), protettrice di riformatori come Guillaume Briçonnet, Jacques
Le Fèvre d'Étaples e Giovanni Calvino, e infine in Inghilterra, dove avrebbe
conosciuto Pier Martire Vermigli e Jan Laski. In seguito S. rientrò a
Basilea, dove visse, alternandosi con Zurigo, negli ambienti universitari,
ospite rispettivamente di Sebastian Münster e dello zurighese Conrad Pellican
(Pellicanus) (1478-1556). A Zurigo S. entrò in contatto con Johann Heinrich
Bullinger, che divenne quasi un padre per il giovane senese e al quale egli
espose i suoi primi dubbi religiosi: il riformatore lo incoraggiò a scrivere
a Calvino in persona ed in effetti S. gli inviò due lettere con vari quesiti
sulle pratiche nicodemiche, come la possibilità di sposare una donna
riformata, che non avesse abbandonato le cerimonie cattoliche, oppure le
implicazioni per i riformati nel dover assistere ad una messa cattolica, se
costretti, o su argomenti più teologicamente impegnativi come il valore del
Battesimo o il dogma della resurrezione della carne. Le risposte ferme, ma
aspre, di Calvino, anticipavano le future battaglie epistolari fra i
due.
S. in Germania e Polonia Nel giugno 1550 S. si recò in
Germania, a Wittenberg, per incontrare Melantone e per iscriversi
all'università, dove strinse amicizia con Flacio Illirico. Tuttavia, già
esattamente un anno dopo (giugno 1551), l'avventuroso senese partì, su invito
del polacco J. Maczynski conosciuto a Wittenberg, per un primo viaggio in
Polonia, passando da Breslavia, e qui fece la conoscenza del medico
imperiale, cripto-calvinista, Johannes Crato von Crafftheim (1519-1585),
corrispondente epistolare di diversi riformati italiani, che operavano in
quelle terre, come Marcello Squarcialupi e Andrea Dudith Sbardellati. Da
Breslavia S. si recò a Cracovia, conoscendo Francesco Lismanini (1504-1566),
all'epoca confessore cattolico della regina di Polonia, Bona Sforza, moglie
di Sigismondo II Iagellone, detto Augusto (1543-1572), ma in seguito stretto
collaboratore di Giorgio Biandrata.
Le accuse contro S. in
Svizzera S. rientrò, dopo essere passato dalla Moravia, in Svizzera, giusto
nel momento della disputa tra Calvino e Jèrome Bolsec, l'ex carmelitano,
passato alla Riforma e contestatore della dogma calvinista sulla
predestinazione, che decise di ritornare al Cattolicesimo. Agli inviti alla
moderazione e alla tolleranza di S., indirizzati al riformatore ginevrino,
questi, in maniera violenta e minacciosa, rispose a S. di guarire dalla sua
curiosità di questionare continuamente le cose religiose, prima che questo lo
portasse in grossi guai: del resto i crescenti dubbi dello senese
sull'utilità dei Sacramenti e sulla forza redentrice di Cristo iniziavano a
mettere in dubbio perfino i riformatori svizzeri a lui più favorevoli, come
Bullinger. Nella seconda metà del 1553 avvenne il famoso processo a carico di
Michele Serveto, conclusosi con il rogo, il 27 ottobre, del medico
antitrinitario spagnolo. Questo episodio fu l'occasione per i dissidenti
della Riforma, principalmente italiani, di far sentire la loro voce di
protesta: infatti vi furono prese di posizione molto polemiche da parte di
Gentile, Gribaldi Mofa e Curione, che dovettero emigrare successivamente da
quella che a loro era sembrata la città della tolleranza religiosa. Anche
Castellion intervenne, scrivendo, sotto lo pseudonimo di Martin Bellius, il
suo libro più famoso, De haereticis, an sint persequendi (Gli eretici devono
essere perseguiti?), un appassionato appello alla tolleranza ed alla libertà
religiosa, alla cui stesura pare avesse collaborato anche S., benché nel
periodo 1552-53, quando avvenne la tragedia di Serveto, egli si trovasse in
Italia (nella natia Siena dove iniziò alle sue idee religiose il nipote
Fausto, a Bologna per visitare il padre Mariano, e a Padova presso l'amico
Gribaldi Mofa). A questo punto fioccarono, sempre più fitte, accuse e
segnalazioni a Bullinger di eterodossia a carico di S.: il medico bergamasco
Guglielmo Gratarolo (1516-1568) segnalò che S. era in accordo con i difensori
di Serveto, il pastore Celso Massimiliano Martinengo, predicatore della
Chiesa Italiana a Ginevra, denunciò l'aperta critica di S. verso il dogma
della Trinità, e perfino Pier Paolo Vergerio scrisse da Tubinga per segnalare
il rafforzamento delle idee antitrinitarie di S. nei Grigioni, confermato
in loco anche da Giulio Della Rovere. Bullinger fu quindi costretto ad
insistere che S. scrivesse una confessione di fede ortodossa: dopo qualche
tentennamento il senese compilò un'ambigua dichiarazione, senza una vera e
propria confessione di fede. Egli dichiarò di onorare i tre principali credi
cristiani occidentali (Cattolicesimo, Calvinismo e Luteranesimo), di seguire
la Scrittura canonica e il Simbolo apostolico, di voler abbandonare le
discussioni e le inutili dispute per poter "riposare nella stessa verità di
Dio". Bullinger si limitò ad introdurre delle correzioni nella suddetta
dichiarazione e ad avvertire il suo protetto di non propagandare le sue
dottrine e i suoi dubbi. E S. mantenne per un certo periodo la promessa,
assumendo un atteggiamento nicodemico in terra protestante: in questo tempo,
l'unico suo intervento fu quando egli fece delle osservazioni al proprio
protettore a proposito dei Commentaria dell'umanista antitrinitario Martin
Borrhaus (nome umanistico: Cellarius) (1499-1564).
Gli ultimi
anni Ma, nel 1554 morì sua madre, Camilla Salvetti, seguita dal padre nel
1556, e, oltre ai lutti di famiglia, egli soffrì anche per la fine della
sua indipendenza economica a causa del sequestro da parte dell'Inquisizione
dei suoi beni di famiglia, in quanto condannato come eretico in contumacia.
S. decise quindi di intraprendere un nuovo viaggio in Polonia,
probabilmente per cercare un ambiente più tollerante alle sue idee
eterodosse, rispetto alla Svizzera, ed un protettore, che potesse garantirgli
un salvacondotto per un viaggio in Italia alla ricerca di come recuperare
almeno parte del patrimonio di famiglia. Fu proprio Calvino che gli
scrisse una lettera di raccomandazione per il principe polacco Nicola
Radziwill e il riformatore Jan Laski. S. si recò dunque, passando dapprima
dalla Germania, in Polonia nell'autunno 1558, dove incontrò il medico
Giorgio Biandrata: l'azione degli antitrinitari polacchi come Pietro Gonesio
e Grzegorz Pawel fu rinforzata dall'arrivo dei due riformatori italiani, i
quali (soprattutto il Biandrata) aiutarono a formare una comunità,
soprattutto di esuli loro connazionali, a Pinczòw vicino a Cracovia. Dopo
esser stato ricevuto benevolmente dal principe Radziwill e dal re Sigismondo
II Augusto, nella primavera del 1559, carico di raccomandazioni
e salvacondotti regali, S. partì per l'Italia, passando attraverso
Vienna, dove l'accolse il futuro imperatore Massimiliano II
(1564-1578), simpatizzante per la causa riformista, che gli fornì un
ulteriore salvacondotto per l'Italia. Ma nonostante tutti le potenti
presentazioni e raccomandazioni, S., giunto a Venezia, non riuscì, neppure
con l'aiuto del doge Girolamo Priuli (1559-1567), a far dissequestrare i suoi
beni, confiscati dall'Inquisizione. Oltretutto i suoi fratelli Cornelio e
Dario sarebbero stati da lì a poco arrestati per le loro idee religiose
eterodosse. Deluso, S. rientrò nel 1560 a Zurigo, da cui non si mosse più e
dove ricevette varie volte la visita del nipote Fausto. A Zurigo S. dimorò
presso la casa di un tessitore di seta di nome Hans Wyss e vi morì il 14
maggio 1562, a soli 37 anni.
Le opere S. pubblicò molto poco
nella sua vita e quasi tutti i suoi appunti e carteggi passarono al nipote
Fausto, che, avvisato della morte dello zio da parte di Antonio Mario
Besozzi, si precipitò a Zurigo per raccogliere gli scritti di Lelio, che poi
usò per meditare e sviluppare la dottrina del pensiero sociniano. Solo due
brevi trattati De Sacramentis e De resurrectione corporum furono dati alle
stampe, oltre ad un commentario sul primo capitolo del Vangelo di San
Giovanni, pubblicato nel capitolo 11 del libro II del trattato di Biandrata e
Ferenc Dàvid De vera et falsa unius Dei, Filii et Spiritus Sanctii cognitione
(Della falsa e vera conoscenza dell'unità di Dio Padre, Figlio e Spirito
Santo), la cui attribuzione alla penna di S. si deve allo storico Delio
Cantimori.
La dottrina Il pensiero di S. risentì degli influssi
dell'umanesimo filologico di Lorenzo Valla, dell'esegesi del Nuovo Testamento
di Erasmo, delle tesi antitrinitarie di Michele Serveto (senza la sua
concezione metafisica), della spiritualità di Juan de Valdés e della polemica
sui sacramenti di Camillo Renato. Tuttavia fu un suo pensiero originale il
desiderio di richiedere continuamente risposte razionali a domande
teologiche: questa posizione non lasciava spazi per i dogmi, le Sacre
Scritture erano viste come un'autentica testimonianza e non un pretesto per
l'invenzione di ulteriori dogmi. Il ruolo della volontà e dell'intelletto
umano veniva elevato ai massimi livelli: l'uomo poteva controllare le sue
decisioni morali, partendo da una base razionale. Su queste premesse, la
"vera" Chiesa perdeva il suo supernaturalismo e diventava una società di
credenti, idealmente collegata alla Chiesa dei primordi o Chiesa
primitiva. L'altro punto fondamentale del pensiero di S. era la negazione
della divinità di Gesù: Cristo non era la seconda persona (o ipostasi)
della Trinità, ma solamente un uomo, sebbene con caratteristiche divine.
Inoltre la Sua umanità era identificata con la sofferenza, l'umiltà, la
povertà del mondo degli oppressi, che Egli voleva salvare, e non con il mondo
dei ricchi e potenti, un concetto radicale di ispirazione anabattista, che
sarebbe stato in seguito rielaborato dal nipote e da Biandrata. Betti,
Francesco (1521-1590)
Il patrizio e letterato Francesco Betti
nacque a Roma nel 1521, entrò da giovane come segretario al servizio del
marchese di Pescara, Francesco Ferdinando d'Avalos (m. 1571), nipote e
omonimo del famoso vincitore (ca. 1490-1525), per conto dell'imperatore Carlo
V (1516-1556), della battaglia di Pavia del 1525, e quindi nipote anche di
Vittoria Colonna. Essendosi sempre più interessato delle dottrine riformate,
B. prese, dal 1554, a discutere con il proprio padrone di questioni di
religione, manifestando il desiderio di lasciare il servizio. E arrivò il
momento in cui mise in atto le sue intenzioni, quando nel 1557, a causa
dell'attacco persecutorio della Chiesa Cattolica, lanciato dal Papa Paolo IV
(1555-1559), dovette fuggire, con l'amico Jacopo Aconcio, a Basilea. I due
si trasferirono dapprima a Zurigo (fino all'autunno 1558), dove
furono accolti favorevolmente da Johann Bullinger, grazie ad una lettera
di presentazione di Celio Secondo Curione, e furono ospitati nella casa
di Bernardino Ochino. B. abitò brevemente anche a Strasburgo (sempre nel
1558) e a Ginevra, ma stabilì principalmente la sua residenza a
Basilea. Non appena giunto a Basilea, B. scrisse una lettera al proprio ex
padrone per spiegare i motivi della sua decisione. La lettera, pubblicata a
Zurigo nel 1557, con il titolo Lettera di Francesco Betti Romano
all'illustrissimo et eccellentissimo S. Marchese di Pescara suo padrone ne la
quale da conto a sua Eccellenza de la cagione perché licentiato si sia dal
suo servigio, divenne molto letta negli ambienti riformati italiani. Tra
l'altro, curioso è il riferimento di B. alle comunità valdesi del Piemonte,
delle quali egli dichiarò di non saperne niente finché non ne fu messo al
corrente in Svizzera. Riformato ortodosso filippista con qualche simpatia per
le idee di Juan de Valdés, B. tradusse un trattato di Galeno, che fondeva il
pensiero aristotelico con quello stoico. Egli cercò sempre di mediare le
diversi posizioni protestanti e rimase in contatto con moltissimi esuli
religiosi. Conobbe infatti, tra gli altri, Mino Celsi (1514-ca.1575),
Bernardino Bonifacio d'Oria, Sébastien Castellion, Francesco Pucci e Fausto
Sozzini: per questi ultimi due B. organizzò un incontro a Basilea. Del
resto della sua vita si conosce poco, se non che nel 1565 si era iscritto
all'Università di Basilea, che nella città svizzera si occupava di affari
bancari e che qui morì nel 1590.
Bockelson (o Bockelszoon o Beukels),
Jan (Giovanni da Leida) (1508-1536)
Jan Bockelson (o Bockelszoon
o Beukels) nacque a Leida (Olanda) nel 1508, figlio illegittimo del sindaco
di un villaggio olandese e di una donna di servizio originaria della
Westfalia. Ebbe un'istruzione scarsa e irregolare e fece diversi mestieri,
principalmente il sarto, ma anche il mercante e l'oste. Nel 1533 venne a
contatto con il movimento anabattista e in novembre venne battezzato da Jan
Matthys. Iniziò ben presto a collaborare con il profeta apocalittico
anabattista e fu inviato come apostolo nel gennaio 1534 a Münster. In
questa città, capitale della Westfalia, già teatro di un difficile confronto
tra cattolici e luterani, B. riuscì con il confratello
Bernhard Knipperdolling a diffondere l'anabattismo in maniera capillare e a
creare una tale esaltazione delle masse da far espellere l'odiato vescovo
Franz von Waldeck (vescovo: 1532-1534, m. 1553) e portare la propria
confessione a vincere la maggioranza nel consiglio comunale, durante le
elezioni del 23 febbraio 1534. Immediatamente Matthys vi si trasferì,
dichiarando che quella era la Nuova Gerusalemme dove attendere il ritorno di
Cristo, Knipperdolling fu dichiarato borgomastro, e fu portato alla causa
l'ex pastore luterano Bernhard Rothmann, il principale oppositore, fino ad
allora, del potere vescovile. Furono prese misure radicali, come
l'espulsione, anche con la violenza, di tutti i cattolici e luterani (a
fatica Knipperdolling e B. riuscirono a convincere Matthys dell'assurdità di
massacrarli tutti, come invece il profeta pretendeva!) e confisca dei loro
beni, ribattesimo di coloro che era rimasti in città, abolizione della
proprietà privata, incluso il denaro, falò di tutti i libri della città
eccetto la Bibbia. Matthys proclamò la Nuova Sion in terra ed invitò tutti
gli anabattisti ad accorrere a Münster: nonostante che l'ex vescovo oramai
cingesse d'assedio la città con le sue truppe (per la verità non molto
numerose): circa 2.500 fedeli risposero all'appello, tra cui i due fratelli
ed ex preti Bernhard ed Hinrich Krechting, che avrebbero assunto in seguito
incarichi ufficiali nel governo della città. All'interno della città i
capi si spartirono i compiti: Matthys assunse il comando della dittatura
teocratica, B. il governatorato, Rothmann si occupò della propaganda e
Knipperdolling della difesa. Il giorno di Pasqua, 4 aprile 1534, giorno
previsto da Matthys per la fine del mondo, questi guidò una folle sortita con
soli 20 compagni contro le truppe del vescovo e cercò perfino di arringare i
soldati per passare dalla parte degli assediati, ma fu ucciso da un ufficiale
con un colpo di spada al petto. Successivamente le truppe cattoliche
sfogarono la loro rabbia, riducendo in mille pezzi il corpo senza vita del
profeta anabattista. Caduto il profeta Matthys, si poteva ipotizzare che
l'intero pazzesco complesso da lui architettato sarebbe crollato ed invece se
ne approfittò proprio il nostro B. per prendere il potere: egli fu investito
del titolo di profeta di Sion in seguito ad un quanto mai "opportuno" sogno
di Knipperdolling, nel quale Dio in persona gli aveva comunicato che il
nuovo profeta sarebbe stato proprio.l'ex sarto di Leida. Preso il potere,
B. si dimostrò purtroppo ancora più fanatico e sanguinario di Matthys stesso
e non rinunciò al solito metodo di imporre decisioni spiacevoli alla
popolazione, presentandole come parte, non discutibile, di un suo delirio
mistico. In seguito alla prima visione egli comunicò che il governo della
città sarebbe stato gestito da un consiglio di dodici anziani, che sarebbero
state varate delle nuove leggi molto severe, che ogni insubordinazione
sarebbe stata punita con la morte. Ma fu soprattutto la sua pazzesca pretesa,
dal luglio 1534, di introdurre la poligamia obbligatoria, idea che ricordava
gli Adamiti e i Fratelli del Libero Spirito, a minare l'unità degli
assedianti. Egli stesso sposò 15 mogli, tutte giovani e belle, tra cui la
vedova di Matthys, Divara, mentre Rothmann si accontentò di 9 mogli e via di
seguito. La disposizione, imposta con la forza, incontrò una crescente
resistenza: una congiura fu repressa nel sangue e tutte le donne che
rifiutavano il matrimonio forzato venivano orribilmente torturate ed
uccise. In Settembre nuova puntata della farsa di B.: un suo fedelissimo, ex
orefice di Warendorf, raccontò di aver sognato che Dio gli comunicava
la designazione di B. come novello Re Davide del regno della Nuova
Gerusalemme. L'ex sarto si schermì giusto il necessario per salvare la faccia
e poi dichiarò di accettare, minacciando di morte coloro che si fossero
opposti. Si fece quindi incoronare, con la sua regina Divara al suo
fianco, sfarzosamente circondato da dignitari e guardie del corpo: un bello
smacco per la sincera umiltà e povertà dei primi anabattisti! Tra ottobre
e dicembre 1534 Rothmann scrisse e pubblicò due opuscoli per sostenere la
causa degli assediati, ma i dissidi interni tra gli immigrati, favoriti da
B., e gli abitanti originari di Münster, portarono a nuove esecuzioni
capitali, a causa dei quali lo stesso Knipperdolling si ribellò, guidando una
congiura per rovesciare il "re": scoperto fu imprigionato, ma almeno conservò
la vita (per il momento). Oramai le follie sanguinarie di B. erano all'ordine
del giorno: una volta convocò un banchetto per tutti, dove decapitò di
persona un mercenario del vescovo von Waldeck, da poco catturato, e poco
dopo, come se nulla fosse, celebrò la Santa Cena! Tuttavia la pazienza del
vescovo e dei principi tedeschi della zona era agli sgoccioli, e dal gennaio
1535 l'assedio divenne rigorosissimo: nulla poteva passare, neanche i viveri
che precedentemente riuscivano a filtrare attraverso le maglie dell'assedio.
La fame avanzò rapidamente e quando finì il cibo, gli abitanti si misero a
mangiare di tutto: cani, gatti, topi, erbe, scarpe bollite e
quant'altro. Una profezia di B. che a Pasqua sarebbero stati liberati si
rivelò la solita bufala ed in seguito allo scoramento generale, il re dovette
lasciar partire un gruppo di circa 500 persone che desideravano andarsene.
Sfortunatamente gli ordini del vescovo erano di non lasciar uscire nessuno e
quindi la maggior parte degli esuli furono uccisi dai mercenari
vescovili. Era il preludio dell'espugnazione della città, che avvenne il 24
giugno 1535 grazie al tradimento di un cittadino di Münster, che apri le
porte della città durante un violento temporale. Le truppe del vescovo
poterono quindi entrare, procedendo ad un massacro sistematico dei difensori,
nonostante la strenua lotta organizzata da Bernhard Krechting. Furono
catturati B., Knipperdolling e Bernhard Krechting, mentre di Rothmann non si
seppe mai più niente e il solo dei capi a sfuggire fu Hinrich Krechting, che
finì i suoi giorni come ministro calvinista in Olanda. I tre prigionieri
furono interrogati e torturati per farli invano abiurare, sebbene lo stesso
B. si offrì ad un certo punto di riconvertire gli anabattisti, in cambio
della vita. Più dignitosa fu la morte della sua ex regina Divara, che rifiutò
di abiurare e fu per questo decapitata il 7 luglio 1535. Infine il 22
gennaio 1536 B. e gli altri due furono portati sulla piazza del mercato per
essere giustiziati: furono loro strappati pezzi di carne con tenaglie roventi
fino all'agonia, e successivamente finiti a colpi di pugnale. I cadaveri
furono poi appesi in gabbie di ferro sul campanile della chiesa di san
Lamberto.
Molinos, Miguel de (1640-1696) e
Quietismo
La vita Il mistico Miguel de Molinos nacque il 21
dicembre 1640 a Muniesa, vicino a Saragoza, in Spagna. Da giovane egli
studiò, laureandosi e venendo ordinato, a Valencia, dove successivamente poté
godere del beneficio (rendita) della locale chiesa di San Tommaso e fu
confessore per un convento di suore. Nel 1662 egli si trasferì a Roma, dove
divenne amico del cardinale Benedetto Odescalchi, il futuro Papa (energico,
saggio ma alquanto intransigente) Innocenzo XI (1676-1689). Nel 1675 M.
pubblicò, in italiano, la sua Guida spirituale, che disinvolge l'anima e la
conduce per l'interior cammino all'acquisto della perfetta contemplazione e
del ricco tesoro della pace interiore, seguita poco dopo dal Trattato della
Comunione quotidiana. I due testi passarono abbastanza inosservati fino al
1681, quando il predicatore gesuita Paolo Segneri (1624-1694) attaccò le idee
di M., pur non citandolo direttamente. Una prima inchiesta
dell'Inquisizione assolse il mistico spagnolo, tuttavia i soliti gesuiti non
ebbero problemi a scatenare il re di Francia, Luigi XIV (1654-1715), ansioso
di mettere in difficoltà Innocenzo XI con il quale era ai ferri corti per le
posizioni gallicane della monarchia francese, a denunciare, attraverso il
cardinale César d'Estrées (1628-1714), ambasciatore presso la Santa Sede, la
presenza di un eretico a Roma proprio nella persona di M., oltretutto amico
del Papa. M. fu arrestato nel maggio 1685 e, nonostante le intercessioni di
amici altolocati, fu processato per eresia e immoralità (quest'ultima accusa
fu un malinteso derivato da una particolare interpretazione della sua
dottrina: vedi sotto): la sentenza di condanna fu pronunciata il 3 settembre
1687 nella chiesa domenicana di Santa Maria sopra Minerva a Roma. M. dovette
fare pubblica ammissione dei propri errori e fu condannato alla prigione a
vita e a vestirsi con il saio dei penitenti. Infine il 2 novembre 1687
Innocenzo XI firmò la bolla Colestis pastor, che condannò 68 proposizioni
contenute nella Guida spirituale e in altre opere di M. M. morì in carcere
il 28 dicembre 1696.
La dottrina Il quietismo mirava a
privilegiare un rapporto diretto, una vera unione, con Dio, ottenuto mediante
uno stato di quiete, di passività, di annullamento della volontà e di ogni
pensiero intellettuale, rifiutando la consolidata gerarchia ecclesiastica.
L'uomo doveva percorrere la sua via interna annichilandosi, abbandonandosi
totalmente alla volontà di Dio senza pensare a premi o punizioni e rimanere
perinde ac cadaver (come un cadavere). Facendo ciò, l'anima si annichiliva e
ritornava alla fonte, l'essenza di Dio, nella quale veniva trasformata e
divinizzata. Erano quindi disprezzate le attività esteriori del
Cristianesimo, come le preghiere (più il fedele si abbandonava alla volontà
di Dio e più gli risultava difficile recitare anche un semplice Padre
Nostro), i sacramenti, la ritualità. L'accusa di immoralità rivolta a M.
derivava dal convincimento quietista che quando la purezza dell'anima fosse
stata raggiunta con l'annichilazione sopra descritta, l'uomo non doveva più
chiedere niente a Dio, ma anche non offrire resistenza alle tentazioni in
quanto egli non avrebbe potuto più peccare. Del resto un eventuale peccato
(opera del diavolo) non andava neanche confessato cosicché lo spirito potesse
vincere il diavolo grazie alla sua pace e all'unione più intima con Dio. Un
credo questo simile a quello del movimento medioevale dei fratelli del libero
spirito, che, al riguardo, rimandavano al passo di San Paolo: Tutto è puro
per i puri (Lettera a Tito 1,15). Elementi della dottrina quietista si
possono ritrovare nella storia del Cristianesimo occidentale fino al `500: in
alcune scuole gnostiche, nei messaliani, nel movimento dei begardi e beghine,
nei già citati fratelli del libero spirito, nei mistici tedeschi come
Johannes Eckhart, negli alumbrados, e perfino nei santi mistici cattolici
Teresa d'Avila (1515-1582) e Giovanni della Croce (1542-1591). Inoltre,
nel XVII secolo, idee o istanze simili a quelle quietiste si ritrovano
espresse dai quaccheri di George Fox, dal giansenismo, dalla mistica
eterodossa francese (quietista ante-litteram) Antoinette Bourignon, dal
mistico spagnolo Juan Falconi (1596-1638), e soprattutto dai precursori del
pietismo luterano: Johann Arndt aveva pubblicato nel 1606 il suo lavoro più
famoso, Vier Bücher vom Wahren Christhentum [Quattro (diventati poi
sei) libri sul vero cristianesimo] e Jean de Labadie, dopo il 1650, aveva
fondato comunità mistica di adepti che si ritenevano predestinati alla
salvezza e che rifiutavano sacramenti, pratiche religiose, dogmi e
gerarchia ecclesiastica.
Il quietismo dopo Molinos In Italia il
più famoso seguace di M. fu il vescovo (poi cardinale) di Iesi, Pier Matteo
Petrucci, condannato nel 1687, mentre molto peggio andò ai francescani minori
conventuali Antonio Bevilacqua e Carlo Maria Campana, decapitati nelle
Carceri Nuove il 26 marzo 1695. Inoltre, nel 1708, fece notevole scalpore il
processo al prete bresciano Giuseppe Beccarelli (1666-1716), accusato di
quietismo, ma forse più noto per le gravi accuse di sodomia nei confronti dei
giovani che frequentavano il collegio bresciano, di cui il Beccarelli era
direttore. Comunque la nazione dove il quietismo ebbe la diffusione più
duratura fu la Francia: a parte la mistica Antoinette Bourignon, gli
esponenti più in vista furono Jeanne Marie Guyon (detta Madame Guyon), una
mistica ben introdotta nell'aristocrazia francese e amica di Francoise
d'Aubigne, Marchesa de Maintenon (1635-1719) e moglie morganatica del re
Luigi XIV (1654-1715); il confessore della Guyon, padre François Lacombe
(1643-1715); e l'arcivescovo di Cambrai François de Fénelon. Il grande
nemico del quietismo fu Jacques Bénigne Bossuet (1627-1704), predicatore e
vescovo di Meaux, in Francia. Egli dispose l'arresto e l'imprigionamento alla
Bastiglia di Madame Guyon, entrò in polemica accesa con Fénelon e fu il
principale artefice della condanna, nel 1699, di quest'ultimo da parte di
Papa Innocenzo XII (1691-1700).
Boehme (o Boehm, Böhme, Böhm,
Behmen), Jacob (1575-1624) e behmenisti
Che un solo uomo possa
aver influenzato il pensiero di famosissimi filosofi, scienziati, artisti,
teologi e fondatori di movimenti religiosi-filosofici come: George Fox
(1624-1691), Georg Johann Gichtel (1638-1710), Isaac Newton
(1642-1727), Emmanuel Swedenborg (1688-1772), Louis Claude de Saint Martin
(1743-1803), William Blake (1757-1827), Benedikt von Baader
(1765-1841), Georg Hegel (1770-1831), Friedrich Schelling
(1775-1854), Arthur Schopenhauer (1788-1860), Helena Blavatsky
(1831-1891), Eduard von Hartmann (1842-1906), Friedrich Nietzsche
(1844-1900), Vladimir Soloviev (1853-1900), Henri Bergson
(1859-1941), Rudolf Steiner (1861-1925), Alfred North Whitehead
(1861-1947), Nikolaj Berdjaev (1874-1948), Carl Jung
(1875-1961), Albert Schweitzer (1875-1965), Paul Tillich (1886-1965)
e Martin Heiddeger (1889-1976), oltre ad avere avuto un certo peso anche
sul pensiero dei Rosacroce e sui rituali della Massoneria, a molti potrà
sembrare difficilissimo. E se poi si sapesse che quell'unico uomo era un
ciabattino, il personaggio assumerebbe i contorni della leggenda! Eppure
questo uomo è effettivamente vissuto a cavallo tra il XVI ed il XVII secolo e
si chiamava Jacob Boehme.
La vita Jacob Boehme (per le varie
grafie del cognome vedi il titolo) nacque ad Altseidenberg, nella regione
tedesca della Slesia, il, o intorno al, 24 aprile 1575 da una agiata famiglia
di contadini. Su una sua effettiva carriera scolastica, gli autori non
concordano, ed alcuni glissano strumentalmente su una (quasi certa) buona
educazione presso la scuola locale, in maniera probabilmente da poter
sottolineare ancora di più il carattere di "illuminazioni mistiche" spontanee
alla base della sua opera letteraria. Sicuramente B. fu un appassionato
autodidatta e lesse le opere dei famosi mistici tedeschi come i trecenteschi
Eckhart e Tauler, e i cinquecenteschi Franck, Paracelso e Valentin Weigel
(1533-1588), oltre a testi di teologia, astrologia e alchimia. Comunque B.
non frequentò l'università, ma neanche intraprese il mestiere del padre a
causa del suo precario stato di salute: fu invece avviato alla professione di
calzolaio nel 1590 ed in questa attività si dimostrò molto abile e il suo
business fiorì negli anni successivi. Finito l'apprendistato nel 1599, egli
divenne maestro artigiano nella gilda della vicina cittadina di Görlitz, dove
era andato ad abitare e dove si era sposato. Negli anni successivi B. venne a
contatto con molti intellettuali perseguitati, come il pastore mistico Martin
Moller (m. ca. 1612), il quale, per stimolare i cristiani ad una vita
spirituale più profonda, decise di fondare un gruppo, denominato Conventicola
dei veri servi di Dio, a cui B. aderì, partecipando con interesse alle
riunioni e alle discussioni. Poco dopo, probabilmente nel 1600, B. ebbe
un'esperienza mistica, riassunta nella sua famosa frase: Tutte le cose
consistono in un Sì o in un No (vedi sotto). Nel 1612 B. scrisse il suo
primo trattato Die Morgenroete in Aufgang oder Aurora (Sale il rosseggiare
della mattina ovvero Aurora), di cui una copia, fatto circolare l'anno dopo,
pervenne alle autorità ecclesiastiche locali. Queste ultime, tra cui
particolarmente accanito contro il calzolaio mistico fu il successore di
Moller, il nuovo pastore Gregor Richter, accusarono B. di eresia e lo fecero
imprigionare: egli fu liberato solo dopo che gli fu notificata la proibizione
di scrivere altre opere, ma B. decise allora, a maggior ragione, di vendere
la sua attività artigianale, per essere più libero di poter
scrivere. Infatti dal 1618 egli iniziò a scrivere altri trattati e la maggior
parte dei suoi lavori si concentrò tra il 1619 ed il 1624, anno della sua
morte. Alla pubblicazione del suo lavoro più popolare Weg zu Christo (la via
a Cristo), una collezione di nove trattati dottrinali, B. e la sua
famiglia furono espulsi da Görlitz nel marzo 1624. B. allora si recò a
Dresda con la speranza di poter parlare con il principe elettore di Sassonia
Johann Georg I (1611-1656), ma l'incontro gli fu rifiutato. Deluso ritornò a
Görlitz, dove, dopo alcuni altri brevi viaggi, morì il 17 novembre 1624
all'età di 49 anni. Purtroppo anche dopo la morte, B. fu vittima di
persecuzioni: la sua tomba, nei successivi mesi al suo decesso, fu profanata
da facinorosi locali.
La dottrina La dottrina di B. prende spunto
da temi cari alle scuole dualistiche e gnostiche. Lo sviluppo del pensiero
nelle opere di B. è alquanto complesso e spesso difficile da comprendere a
prima vista, ma indubbiamente dotato di fascino. Il punto principale è una
visione dualistica della realtà (Tutte le cose consistono in un Sì o in un
No): questa è, sia nella sua forma fisica che in quella metafisica, una
entità vivente in una tensione continua a causa del dualismo tra
l'affermazione e la negazione del potenziale evolutivo all'interno di questa
unica entità. Questo concetto della tensione tra poli opposti in un'unica
entità venne in seguito utilizzata da Jung per spiegare il dualismo della
psiche, ad esempio introversione/estroversione, sentire/intuire etc. Per
quanto concerne Dio (o la Deità), B. credeva che la Deità non era misurabile
e quindi non descrivibile: Dio Padre era una realtà primaria non manifesta,
chiamata l'Abisso (Der Ungrund), un Niente che conteneva la potenzialità del
Tutto. L'Abisso era caratterizzato dal desiderio di rivelarsi attraverso un
processo di introspezione Divina, o riflessione. Il desiderio di rivelarsi
veniva identificato con il Figlio della Trinità, il processo di riflessione
con lo Spirito Santo. Ma il tutto questo processo di riflessione necessitava
di uno specchio divino, che B. chiamava Saggezza Vergine o Sophia,
configurata quindi come il quarto principio della Deità e fondamentale in
quanto, proprio vedendo le proprie potenzialità nello specchio di Sophia, Dio
Padre aveva espresso il desiderio di trasformare le potenzialità in realtà,
scatenando quindi il processo della Creazione. Particolare attenzione
venne data da B. al concetto del male nel mondo, che derivava dal dualismo di
Dio stesso, contenente sia il Male che il Bene. B. giustificava questa
scioccante (per i contemporanei) presenza del Male in Dio, spiegando che se
non ci fosse stato un principio contrario al Bene, non ci sarebbe stato né la
Rivelazione di Dio né la Sua coscienza di Se Stesso. Partendo quindi da
questo dualismo della natura Divina, B. ipotizzò che Dio avesse sette qualità
primordiali, di cui tre rappresentavano la collera Divina e tre l'amore
Divino. In mezzo il settimo, il fuoco Divino, che era il principio della
vita. L'angelo ribelle Lucifero si era infatuato solo delle qualità
colleriche di Dio e rifiutando quelle positive, si era opposto al cammino
dall'oscurità alla luce, restando così totalmente malvagio e creando quindi
il mondo materiale, un concetto questo simile a quello usato dagli gnostici
per spiegare la figura del demiurgo.
Le opere L'aspetto più
stupefacente della vita di B. fu la sua ricca produzione letteraria, anche se
la maggior parte delle sue opere non furono pubblicate se non dopo il
1640. Egli scrisse almeno 29 trattati, la maggior parte, come già detto,
scritta tra il 1619 ed il 1624, in tedesco, unica lingua che conosceva,
disquisendo anche su molti temi caldi del momento, come ad esempio la
predestinazione.
I Behmenisti I seguaci di B., detti behmenisti,
si diffusero ovviamente in Germania, dove l'erede spirituale di B. fu Abraham
von Franckenberg (1593-1652), e in Olanda, dove Abraham Willemsz van
Beyerland (1586/7-1648) provvide alla stampa dell'intera opera letteraria.
Quest'ultimo influenzò il diplomatico Michel le Blon (1587-1658),
responsabile della successiva diffusione degli scritti di B. in Svezia, dove
interessarono la famosa regina Cristina (1626-1689), e in Inghilterra. In
quest'ultimo paese, dove per la verità, i suoi lavori circolavano già dagli
anni '40 del XVII secolo, si svilupparono gruppi di seguaci del pensiero di
B. Alcuni behmenisti inglesi si fusero in seguito con il movimento dei
quaccheri, il cui fondatore, George Fox (anche lui un ex ciabattino!), era
rimasto particolarmente colpito dal pensiero del "Calzolaio di
Görlitz". Anche il familista reverendo James Pordage fu un suo accanito
lettore. Assieme a Jane Leade, Pordage fondò la Società dei Filadelfi
(The Philadelphian Society) nel 1670 proprio per promuovere un maggiore
interesse nel pensiero di B.
Bèze (o Bèza o Bèsze), Théodore de
(1519-1605)
La vita Il teologo calvinista Théodore de Bèze
nacque a Vézelay, in Borgogna (Francia) nel 1519 da una nobile e ricca
famiglia di religione cattolica. Nel 1548 egli si convertì alla Riforma e
nell'anno successivo fu chiamato come professore di greco in un collegio di
Losanna, in Svizzera, dove rimase fino al 1558. Durante gli anni di
Losanna, B. entrò in contatto con Giovanni Calvino, di cui difese l'operato
nel 1554 in occasione dell'esecuzione di Michele Serveto, soprattutto contro
l'attacco dell'umanista Sébastien Castellion, che aveva scritto, sotto lo
pseudonimo di Martin Bellius, il suo libro più famoso, De haereticis, an sint
persequendi (Gli eretici devono essere perseguiti?), un appello alla
tolleranza ed alla libertà religiosa. B. rispose con il suo scritto polemico
De haereticis a civili magistratu puniendis (Gli eretici devono essere puniti
dal magistrato civile?) in cui denunciò la "carità diabolica, e non
cristiana" di Castellion. Nel periodo 1557-58, durante la polemica
sull'Eucaristia, B. si impegnò a raggiungere un compromesso con i luterani
tedeschi, accordo denominato Conciliatio calvinica. Questa capacità
mediatrice e diplomatica la mantenne anche in seguito: quando, dopo la morte
di Calvino, si profilò il pericolo di uno scontro con le idee di Johann
Heinrich Bullinger sulla dottrina eucaristica, B. operò nuovamente per
mantenere l'unità della Chiesa riformata. Nel 1559 Calvino decise di
assegnare a B. l'importantissima posizione di rettore nella neonata Accademia
di Ginevra, fucina per molti predicatori riformisti. L'impegno di B. nei
confronti del calvinismo in Francia fu molto elevato: nel 1561 B. partecipò
con autorevolezza al colloquio di Poissy organizzato da Caterina di Medici
tra i teologi protestanti e quelli cattolici nonostante l'ambiente fortemente
ostile da parte dei cattolici: si racconta che quando B. e i suoi colleghi
entrarono nella sala dove si teneva la riunione, un cardinale pronunciasse la
frase "Ecco i cani ginevrini". Al che B. rispose "Il gregge del Signore ha
bisogno di cani fedeli per allontanare i lupi"! Anche nell'aprile 1571 egli
si recò in Francia per presiedere il Sinodo calvinista francese, tenutosi a
La Rochelle, probabilmente accompagnato dal puritano inglese Thomas
Cartwright, che soggiornava a quel tempo a Ginevra. Nel 1564, dopo la
morte di Calvino, B. diventò il capo del calvinismo ginevrino, impostando un
metodo molto più democratico del suo predecessore: come moderatore del
consiglio dei pastori, stabilì che il suo incarico venisse dibattuto e
confermato ogni anno, cosa che avvenne fino al 1580, anno in cui B. si ritirò
a vita privata. Durante il suo operato, dovette spesso scontrarsi con le
autorità civili della città (il consiglio dei Duecento), ma la sua
educazione, tatto e capacità diplomatica fece superare le principali
frizioni, consolidando la Riforma a Ginevra e d'altra parte, egli stesso non
impose più quella rigida disciplina ecclesiastica fortemente voluta dal suo
predecessore. B. morì a Ginevra nel 1605.
Le opere Nel 1565 B.
pubblicò la sua edizione critica del Nuovo Testamento (la nota Bibbia di
Ginevra), per la quale egli aveva consultato ben 17 manoscritti in greco
antico. Di questi manoscritti, B, nel 1581, ne regalò uno del V
secolo all'università di Cambridge: il testo porta il nome di Codex Bezae, in
onore del riformatore. Inoltre le sue opinioni teologiche furono da B.
stesso raccolte nell'opera Tractationes Theologicae, da B. scritta tra il
1570 ed il 1582.
Fanini, Fanino (o Fannio, Camillo) (ca.
1520-1550)
La vita Fanino Fanini (o Camillo Fannio) nato a
Faenza nel 1520 circa da una agiata famiglia di fornai, era il primogenito
dei tre figli di Melchiorre Fanini (m. 1546) e Chiara Brini. Nel 1542 F.
sposò Barbara Baroncini, da cui ebbe due figli, Giovanni Battista e Giulia,
ed intraprese il mestiere di famiglia, ma poco dopo iniziò ad interessarsi
alle idee calviniste, probabilmente in seguito alla lettura del Beneficio di
Christo di Benedetto Fontanini da Mantova e della Tragedia intitolata libero
arbitrio di Francesco Negri da Bassano, e, dopo la conversione, si diede ad
un'intensa attività di propaganda. Fu arrestato nel 1547 e processato
dall'inquisitore Alessandro da Lugo, ma fu liberato "per pietà" e bandito da
Faenza e dallo Stato della Chiesa. Tuttavia F. rimase in Romagna e,
associatosi agli evangelisti Barbone Morisi, Giovan Matteo Bulgarelli,
Alessandro Bianchi e Nicola Passerino, fece una massiccia propaganda
calvinista a Lugo, Imola e Bagnacavallo, dove fecero proselitismo perfino nel
convento femminile di Santa Chiara. I punti principali delle prediche
semplici, ma efficaci, di F. furono la negazione dei sacramenti
dell'Eucaristia e dell'Ordinazione, della messa e dell'intercessione dei
santi, della recita del rosario e della pratica del digiuno, ma a
Bagnacavallo il 27 febbraio 1549 F. fu arrestato per la seconda volta e
recluso nella rocca di Lugo per diciotto mesi, ed in seguito venne trasferito
a Ferrara per il processo. Tuttavia immediatamente dopo l'arresto il
cardinale Alessandro Farnese (1520-1589), nipote del Papa Paolo III
(1534-1549), chiese l'estradizione del prigioniero a Roma: era l'inizio di un
lungo tira e molla tra il papato e il duca di Ferrara Ercole II
d'Este (1543-1559), geloso della sua autonomia giudiziaria. Anche durante
il processo, il duca riuscì infatti a far affiancare l'inquisitore di
Ferrara Girolamo Papino da un domenicano, un francescano, ma soprattutto da
tre giudici "laici" nominati dalla corte ducale. Il processo, comunque, si
concluse il 25 settembre 1549 con la condanna al rogo di F., eppure il duca
fu notevolmente recalcitrante nel far eseguire la sentenza, anche per una
inusitata corsa alla solidarietà con tentativi di far liberare il fornaio
faentino da parte di illustri personaggi dell'epoca, come il famoso capitano
di ventura Camillo Orsini(1491-1559), la nuora Lavinia Franciotti della
Rovere Orsini e Olimpia Morato: le ultime due, probabilmente sollecitate
dalla duchessa Renata, moglie di Ercole II, cercarono di intercedere presso
il duca nella primavera 1550 e visitarono il prigioniero in carcere per
portargli l'elemosina della duchessa. Perfino Renata in persona cercò di
intervenire presso il marito, tuttavia essendo già in odore di eresia
calvinista (sarebbe stata poi relegata nel palazzo di San Francesco,
denominata per questo Palazzo della Duchessa), il suo tentativo fu vano, se
non ulteriormente compromettente per la sua posizione a corte. Dopo
l'elezione del nuovo papa, Giulio III (1550-1555) nel febbraio 1550, il duca
fu fatto oggetto di pressioni e ricatti da parte del famigerato inquisitore
cardinale Giovanni Pietro Carafa, poi Papa Paolo IV (1555-1559): Carafa
alluse che se Ercole non avesse acconsentito all'esecuzione di
F., l'Inquisitore Generale avrebbe aperto un procedimento contro la
duchessa Renata d'Este. A questo punto, per scaricarsi la responsabilità,
Ercole si fece mandare da Giulio III una breve di autorizzazione alla
condanna a morte di F.: il povero fornaio, nonostante un tentativo della
moglie e dei figli di convincerlo ad abiurare, fu giustiziato mediante
impiccagione, seguita dal rogo, a Ferrara il 22 agosto 1550.
Le
reazioni all'esecuzione F. fu subito eletto ad esempio di martire protestante
da parte di diversi riformatori, come Francesco Negri, che scrisse nel 1550
De Fanini faventini ac Dominici bassanensis morte (..) in merito
all'esecuzione capitale del fornaio di Faenza e di Domenico Cabianca da
Bassano, conterraneo di Negri. Anche Giulio Della Rovere esaltò la figura di
F. nella seconda edizione della sua popolare Esortazione alli dispersi per
l'Italia, titolo poi modificato in Esortazione al martirio, testo in cui
spingeva i potenziali martiri della fede riformata ad affrontare la
morte. Anche all'estero, e più precisamente a Ginevra, la vita ed il martirio
di F. furono descritti nel martirologio calvinista Actiones et monimenta
martyrum e nelle Icones di Théodore de Bèze.
Biandrata (o
Blandrata), Giorgio (c. 1515-1588)
La gioventù e il primo periodo
in Polonia e Transilvania Il medico antitrinitario Giorgio Biandrata (o
Blandrata), ultimogenito di Bernardino Biandrata, nacque nel 1515 ca. a
Saluzzo dalla nobile e antica famiglia De Blandrate. Egli si laureò in
arti liberali e in medicina a Montpellier nel 1533, e si specializzò nei
disordini funzionali e nervosi nelle donne. Nel periodo 1540-44 B. divenne
medico di corte della regina di Polonia, Bona Sforza, moglie di Sigismondo II
Iagellone, detto Augusto (1543-1572), e nel 1544 egli compì il suo primo
viaggio in Transilvania, alla corte di Isabella, figlia di Bona e di
Sigismondo, e recente vedova del voivoda di Transilvania e re della Ungheria
(orientale) Giovanni I Zapolya (1529-1540). A Giovanni I era succeduto il
figlio minorenne Giovanni II Sigismondo Zapolya (1541-1571), ma nel 1551
Isabella e il giovanissimo figlio erano stati obbligati a rinunciare alla
corona in cambio di un feudo in Slesia da parte di Ferdinando d'Asburgo
(imperatore 1558-1564), l'altro pretendente al trono ungherese, salvo poi
rientrare trionfalmente nel 1556 ad Alba Julia (Gyulafehèrvàr), spalleggiati
dai loro sostenitori e dal tutore Péter Petrovics, che resse il trono,
insieme alla regina-madre Isabella fino al 1559. In questo frangente, B.
era stato medico di corte e consigliere di Isabella fino al
1551.
B. in Italia e Svizzera In quell'anno infatti egli rientrò
in Italia, a Pavia, e a quel periodo verosimilmente risale la sua adesione
alla Riforma. Tuttavia, nel 1553, in seguito a questa conversione, B. decise
di abbandonare l'Italia, assieme a Giovanni Paolo Alciati della Motta e
a Camillo Renato, dapprima fuggendo nel Cantone Grigioni e poi
stabilendosi nel 1557 a Ginevra, dove abitò per un anno, anche se il suo
rapporto con Calvino fu alquanto difficile per la diffidenza che il
riformatore ginevrino nutriva nei suoi confronti. A Ginevra B. intervenne
come medico per curare Jane Stafford, moglie inglese del conte Celso
Massimiliano Martinengo, predicatore della Chiesa Italiana a Ginevra, e in
questa chiesa ebbe la possibilità di esprimere in libertà le sue opinioni
anti-trinitarie, tuttavia queste sue idee, potenzialmente disaggreganti per
la Riforma calvinista, furono denunciate da Martinengo al proprio protettore,
il riformatore di Zurigo Heinrich Bullinger, nonostante che il conte
bergamasco avesse avuto delle iniziali simpatie per le idee anabattiste e
antitrinitarie soprattutto durante il suo soggiorno
in Valtellina. Tuttavia l'episodio decisivo per la partenza di B. dalla
Svizzera avvenne il 18 maggio 1558, quando Calvino chiese a tutti gli
italiani esuli a Ginevra di firmare un atto di fede trinitaria. Il documento
venne contestato da Giovanni Valentino Gentile, Alciati della Motta e B., che
si rifiutarono di firmarla: in particolare, la decisione di Gentile e il B.
era motivata dal fatto che essi avevano, nel frattempo, sposato la causa
triteista, basata sulla separazione delle tre persone Divine: Padre, Figlio e
Spirito Santo in tre Dei distinti dei quali, però, solo il Padre era
veramente fonte di divinità, mentre gli altri due erano
subordinati.
Nuovamente in Polonia B. ritenne quindi più prudente
trasferirsi, in Polonia, dove incontrò l'antitrinitario Lelio Sozzini:
l'azione degli unitariani locali come Pietro Gonesio e Grzegorz Pawel fu
rinforzata dall'arrivo di B., che aiutò a formare una comunità, soprattutto
di esuli suoi connazionali, a Pinczòw vicino a Cracovia. La corrente
antitrinitaria polacca (denominata Ecclesia Minor, in contrapposizione
all'Ecclesia Major calvinista) ritrovò quindi in B. un vero leader, che
riuscì, nei sinodi di Pinczow nel 1558, di Wlodzislaw nel 1559 [convocato dal
collaboratore di B., Francesco Lismanini (1504-1566)], e di Ksionz nel 1560 e
1562, a mettere d'accordo le opposte fazioni, grazie ad una confessione di
fede ottenuta letteralmente dalle Sacre Scritture. Ciò, soprattutto dopo le
polemiche suscitate dall'ebraista mantovano Francesco Stancaro, tacciato di
modalismo, per la sua dottrina basata su Gesù Cristo mediatore con Dio Padre
solamente nella sua natura umana, la quale eresia venne respinta dal sinodo
di Wlodzislaw, dove le copie del suo libro vennero bruciate
pubblicamente.
L'amicizia con Dàvid in Transilvania Ma nel 1562
nuovo cambiamento di programma: lasciato il timone dell'antitrinitarismo
polacco in mano all'amico Pawel e la propria biblioteca a Prospero Provana,
B. decise di ritornare in Transilvania, a Gyulafehérvár (Alba Julia), dove
divenne medico di corte del principe Giovanni II Sigismondo Zapolya e conobbe
il vescovo della Chiesa Riformata di Transilvania Ferenc Dàvid, al quale B.
fece leggere una copia della famosa Christianismi restitutio (La
restaurazione del Cristianesimo) di Miguel Serveto, convertendolo
all'antitrinitarianismo (o unitarianismo). La conversione di David alla nuova
fede fu evidente nel 1566, quando egli fece rimuovere un professore della
scuola di Kolozsvár per aver osato insegnare la dottrina della Trinità:
quest'ultimo, assieme al calvinista Melius, chiese ed ottenne dal re la
convocazione di un sinodo nazionale a Gyulafehérvár, che si svolse nello
stesso 1566 per essere poi aggiornato in una nuova sede, a Torda (sempre in
Transilvania), che risultò poi un trionfo per gli unitariani Dàvid e
B. Nel frattempo B. collaborò lungamente con Dàvid, facendo anche pubblicare
il suo libro De vera et falsa unius Dei, Filii et Spiritus Sanctii
cognitione (Della falsa e vera conoscenza dell'unità di Dio Padre, Figlio e
Spirito Santo), nel quale il riformatore transilvano ridicolizzava la
dottrina della Trinità e perorava la causa della tolleranza religiosa per
tutte le fedi. Questo discorso venne poi ripreso durante la Dieta di Torda
nel gennaio 1568, dove Giovanni II Sigismondo riconobbe la piena libertà a
tutte le confessioni religiose: fu la prima dichiarazione, al mondo, di
tolleranza religiosa mai pronunciata da un regnante. In Transilvania B. fu
sempre un riferimento per esuli religiosi italiani, come ad esempio i
colleghi medici Niccolò Paruta, che nel 1573 si era trasferito in
Transilvania, presso il Collegio unitariano di Kolozsvàr, e che morì
(probabilmente nel 1581) nella casa di B. a Nagyenyed; e Niccolò Buccella,
che fu poi, grazie alla sua fama di valente medico, assunto da Stefano
Bàthory nel luglio 1574 allo stipendio di 600 talleri all'anno. Mantenne
inoltre duraturi contatti epistolari con il diplomatico italo-ungherese
Andrea Dudith Sbardellati. Tuttavia, nel 1571 con la morte a soli 31 anni di
Giovanni II Sigismondo e la salita al trono del cattolico Stefano I Báthory
(1571-1586), divenuto in seguito anche re di Polonia dal 1576 al 1586, la
situazione della fazione antitrinitaria di Dàvid si mise decisamente male,
soprattutto dal 1578, quando quest'ultimo, in piena polemica tra adoranti e
non-adoranti, cessò la collaborazione con B., il quale fece venire
inutilmente da Basilea Fausto Sozzini per cercare inutilmente di convincere
Dàvid a recedere dalle sue posizioni di non-adorante. Secondo il pensiero
di Sozzini, al quale aderì anche B., infatti, Gesù Cristo era un vero uomo
crocefisso, il cui compito era di rivelare Dio agli uomini, che potevano così
raggiungere la salvezza, seguendo il Suo esempio. Dàvid, invece, seguendo il
pensiero dell'italo-greco Giacomo Paleologo, autore del trattato
universalista De discrimine Veteris et Novi Testamenti, negava il ruolo di
guida per i fedeli verso la salvezza del Cristo e rifiutava,
conseguentemente, ogni forma di adorazione di Gesù Cristo. Alcuni settori
dell'unitarismo polacco accusarono violentemente B. di aver cambiato rotta su
questa dottrina e di aver tradito l'amico Dàvid, consegnandolo ai suoi
oppositori politici, i quali nel 1579 lo fecero arrestare e imprigionare
nella fortezza di Déva, dove, a causa del clima rigido e del fisico
debilitato, egli morì il 15 novembre dello stesso anno. Del resto la
decisione di abbandonare Dàvid al suo destino pesò sul futuro di B., il quale
venne isolato e disprezzato come un nuovo Giuda Iscariota dai sostenitori
dello sfortunato transilvano.
Per la terza volta in Polonia e la
morte Lo stesso B. seguì Bathory in Polonia nel 1576, quando questi fu
incoronato re di Polonia, pur mantenendo comunque buoni rapporti con
Cristoforo Bathory, fratello e successore di Stefano in Transilvania, il
quale aveva comunque permesso nel 1579 la diffusione dell'ordine dei Gesuiti
in Transilvania. Un altro amico (e un altro medico!) dell'epoca di B. fu
Marcello Squarcialupi, che non condivise le dispute dottrinali del saluzzese,
ma si allineò con il suo pensiero nel 1581, quando scrisse una lettera a
Fausto Socini per richiamarlo ad abbassare i toni della polemica, che
oltretutto danneggiava l'immagine degli esuli italiani. Negli ultimi anni
della sua vita, solitario ed isolato, come si è detto, a causa della sua
posizione nella polemica con Dàvid, B. fu preso dalla nostalgia della sua
patria, ma per potervi tornare con una certa sicurezza aveva aperto una
trattativa segreta con i gesuiti, promettendo di non occuparsi più di
problemi teologici, tuttavia poiché questi ultimi avevano preteso una totale
abiura, B. non accettò. Comunque nella propaganda cattolica girò la voce che
B. si fosse alla fine riconvertito alla religione cattolica. Similmente,
sempre secondo fonti gesuiti, in particolare il religioso Jacob Wujek, si
ipotizzò che la morte di B., avvenuta il 5 maggio 1588, fosse dovuta ad un
fatto delittuoso: sarebbe stato infatti strangolato dal nipote Giorgio,
figlio di suo fratello Alfonso, ma la notizia non viene confermata da altre
fonti.
Biddle, John (1615-1662) e unitarismo
inglese
John Biddle nacque nel 1615 a Wotton-under-Edge, nella
contea inglese del Gloucestershire, da un negoziante di stoffe di lana. Già
da piccolo B. dimostrò notevolissime capacità mnemoniche ed una intelligenza
fuori dall'ordinario: alla giovane età di 15 anni aveva pubblicato
un'antologia di traduzioni di testi classici in inglese! Quindi fu logico
che B. andasse all'università, iniziando a frequentare, dall'età di 17 anni,
la Magdalene Hall, ad Oxford, dove ottenne il baccalaureato nel 1638. In
seguito egli rimase come "tutor" ad Oxford e nel 1641, ottenuto la laurea a
26 anni, divenne preside del liceo Crypt, annesso alla cattedrale
di Gloucester, dove alternò l'insegnamento del catechismo agli
studi approfonditi della Bibbia. Grazie alla sua incredibile memoria, B.
riuscì ad imparare a memoria tutto il Nuovo Testamento in inglese e buona
parte della versione in greco. Ma non fu solo un esercizio mnemonico: i suoi
studi gli avevano fatto sorgere i primi dubbi dottrinali e i teologi
suoi contemporanei dipendevano troppo il proprio giudizio dagli scritti dei
Padri della Chiesa per dare risposte certe alle sue domande. In
particolare B. sollevò dubbi sulla santità dello Spirito Santo e scrisse a
riguardo il trattato, il primo dell'unitarismo o socinianismo
inglese, pubblicato solo nel 1647: Twelve arguments against the Deity of the
Holy Spirit (dodici ragioni contro la divinità dello Spirito Santo) a uso
privato per pochi amici. Benché B. disse di non essere stato ispirato dalle
opere di Fausto Sozzini, bisogna ricordare che comunque già nel 1614
circolava in Inghilterra il Catechismo di Racow [fatto bruciare pubblicamente
da Giacomo I (1603-1625)] e nel 1615 era stata inaugurata la Chiesa degli
Stranieri, di ispirazione unitariana. Purtroppo uno degli amici
destinatari dello scritto lo tradì e B. si trovò nel 1645 rinchiuso in
carcere per ordine dei magistrati di Gloucester. La disavventura non diminuì
comunque il suo senso di combattività nel difendere le sue idee. Infatti,
nello stesso periodo, B. vinse, per abbandono dell'avversario, frustrato e
disgustato, il dibattito pubblico con il famoso arcivescovo irlandese di
Armagh, James Ussher (1581-1656), l'ideatore della cronologia della
Bibbia. Nel 1646 B. fu convocato a Londra per essere giudicato da una
commissione di teologi, ma, nell'attesa della sentenza, fu confinato in
prigione a Westminster dove rimase per vari motivi per i successivi 5
anni. Infatti, imprudentemente, nel 1647, B. fece pubblicare le sue
Dodici ragioni, suscitando un putiferio: a gran voce venne chiesta la sua
condanna a morte, prevista anche dalla recentemente approvata (nel 1648)
legge Ordinance for punishing heresies and blasphemies (ordinanza per
punire eresie e blasfemie). Tuttavia il preside di Gloucester poté
sfruttare a suo vantaggio il mutato clima politico [Carlo I (1625-1649) era
stato decapitato nel 1649 e Oliver Cromwell (1599-1658) aveva proclamato la
repubblica] e nel 1652, grazie alla Act of Oblivion (legge di oblio), B.
finalmente uscì di prigione. Ma una volta libero B., non certo un campione di
prudenza, si mise pericolosamente in vista fondando una piccola congregazione
sociniana a Londra, traducendo testi base dei sociniani (o unitariani)
polacchi, come il Catechismo di Racow (in Polonia), la prima dichiarazione
dei principi sociniani, ma soprattutto pubblicò nel 1654 la sua opera più
celebre, il Twofold Catechism (Catechismo doppio), dove in 24 capitoli egli
bandì tutte le espressioni e dottrine non originarie delle Scritture,
come transustanziazione, peccato originale, Dio fatto uomo, Madre di Dio
etc. Insomma non ci fu un solo punto della teologia dell'epoca che non
fosse rimesso in discussione da lui, sebbene utilizzasse l'astuta tecnica
delle domande aperte, senza mai precisare la propria fede. Nonostante ciò,
per ordine del parlamento, le copie del suo libro furono bruciate sul rogo e
lui stesso imprigionato nel carcere di Newgate, ma, per l'ennesima evoluzione
della turbolenta situazione politica inglese (era stato sciolto il
parlamento), fu liberato. Libertà illusoria, purtroppo: un mese dopo B. venne
arrestato grazie alla vecchia legge del 1648 contro le eresie e blasfemie e
condannato a morte: Cromwell in persona riuscì a far trasformare la sentenza
in un confino, come si direbbe oggigiorno, nelle isole Scilly, al largo della
Cornovaglia, dove rimase segregato fino al 1658. Finalmente liberato nel
1658, B. riuscì a mantenersi fuori dai guai con la giustizia fino al giugno
1662, quando l'Act of Uniformity, voluta dal re Carlo II (1649-1685) per
stroncare il clero e le sette dissidenti, portò al suo arresto per aver
organizzato a casa sua delle lezioni non autorizzate di esegesi biblica.
Poiché non si riuscirono a trovare capi d'accusa teologici sufficientemente
validi, B. fu condannato ad una forte multa di £100 dell'epoca, somma che
egli non poteva assolutamente pagare, e quindi fu tenuto in prigione. Ma,
oramai minato nel fisico, B. fu rilasciato poco dopo e il 22 settembre 1662
morì nel suo letto all'età di 47 anni. L'unitarismo inglese dovette,
forzatamente, darsi alla clandestinità per più di cent'anni, fino al 1770
circa, quando Theophilus Lindsey fondò una chiesa ufficiale di ispirazione
sociniana a Londra.
Bilney, Thomas (ca.
1495-1531)
Thomas Bilney, soprannominato little (piccolo) per la
sua statura, nacque vicino a Norwich, in Inghilterra, nel 1495 circa, ma
crebbe a Cambridge dove la famiglia si trasferì, quando egli era ancora un
ragazzo. Egli studiò a Cambridge nella famosa Trinity College, laureandosi in
legge e diventando prete nel 1519. Dal 1520 B. simpatizzò sempre più per le
dottrine luterane, che lo portarono a fondare il gruppo di
confratelli, soprannominato Piccola Germania, organizzato nel convento
agostiniano di Cambridge, e alle quali riunioni, presso la locanda del
Cavallo Bianco, partecipavano personalità come il priore Robert Barnes
(1495-1540) e Miles Coverdale, traduttore della prima versione dell'Antico
Testamento in inglese. Nel 1524, B. convertì al luteranesimo Hugh Latimer,
docente alla Clare College, che diventò, da quel momento, un fervente
predicatore della Riforma luterana. Anche B. stesso divenne un predicatore
itinerante nel 1525 e predicò per due anni finché nel 1527 non attrasse
l'attenzione del cardinale e Lord Cancelliere Thomas Wolsey (1474-1530), che
lo accusò di luteranesimo e incaricò il vescovo di Londra, Cuthbert Tunstall
(1474-1559) di indagare sul suo operato. B. fu arrestato per sospetta
eresia ed in un primo momento, sotto la pressione di Tunstall e grazie
all'esortazione degli amici, abiurò le sue idee luterane: tuttavia, dopo un
periodo di detenzione nella Torre di Londra, B., una volta liberato, ricusò
la sua precedente abiura. Fu quindi catturato a Norwich e condannato al rogo
nel 1531: la sentenza fu eseguita in una località denominata La fossa dei
lollardi, dal nome del movimento, fondato da John Wycliffe, la cui
predicazione semplice, itinerante, basata sulla conoscenza approfondita della
Bibbia, ricordava molto da vicino quella del piccolo predicatore di
Norwich.
Arminio (Arminius o Hermanzoon o Harmansz o Harmensen),
Jacob (o Jacobus) (1569-1609) e Arminianismo
La vita Jacob
Hermanzoon (nome umanistico Jacobus Arminius, meglio conosciuto come Arminio)
nacque il 10 ottobre 1560 a Oudewater, in Olanda meridionale, da un arrotino,
di nome Herman. Erano tempi bui per i Paesi Bassi, percorsi dalle truppe
spagnole del tristemente noto Fernando Alvarez de Toledo (ca.1507-1582), duca
d'Alba, inviato dal re di Spagna, Filippo II (1556-1598) per reprimere il
tentativo di indipendenza dell'Olanda. Anche la famiglia di A. venne
tragicamente colpita dagli avvenimenti dell'epoca: A., rimasto orfano di
padre nell'anno della sua stessa nascita, fu adottato da Theodorus Aemilius,
un ex prete cattolico, diventato protestante, che lo mandò a studiare ad
Utrecht. Nel 1575, all'età di 15 anni, egli fu notato dal suo concittadino,
il matematico Rudolf Snellius (1546-1613), docente all'università di Marburg
(in Germania), che lo portò con sé per proseguire i suoi studi, ma, appena
giunto a Marburg, fu informato dell'assedio spagnolo di Oudewater: A. rientrò
in tutta fretta, per solo per apprendere la terribile notizia che, dopo
l'espugnazione della sua città natale, i soldati spagnoli avevano
massacrarono tutta la sua famiglia (madre, fratello e
sorella). Completamente solo al mondo, A. trovò, per sua fortuna, degli
amici generosi, che gli pagarono gli studi di teologia all'università di
Leida. Rivelatosi un brillante studente, nel 1582 A. proseguì i suoi studi,
pagati dalla gilda dei mercanti di Amsterdam, a Ginevra sotto la guida
del successore di Giovanni Calvino, Theodore de Béze. Nel 1586 A.fece un
lungo viaggio in Italia, assistendo alle lezioni a Padova del filosofo
umanista Jacopo Zabarella (1533-1589), ma poco dopo si sparse in Olanda la
voce che egli fosse caduto sotto l'influenza dei gesuiti, (San) Roberto
Bellarmino (1542-1621), ex-professore di teologia a Lovanio (tra il 1570 ed
il 1576), e Francisco De Suarez (1548-1617). Fu quindi
urgentemente richiamato indietro ad Amsterdam, dove dovette fare una
dichiarazione di ortodossia calvinista e, fugati i dubbi sulla sua fede,
venne nominato nel 1588 pastore di una comunità calvinista. Nel 1589 egli
fu direttamente chiamato in causa sia dal professore di Franeker (nella
Frisia occidentale) Martin Lydius per confutare due teologi infralapsariani
di Delft, che dal tribunale ecclesiastico di Amsterdam per dibattere contro
uno studioso laico, Dirk Koornhert, che aveva scritto contro il
supralapsarianismo e contro la dottrina della predestinazione, chiedendo
perfino la revisione della Confessio Belgica, elaborata nel 1561 da Guy de
Bray. A., approfondendo l'argomento, ebbe dei primi dubbi sulla
incondizionata predestinazione di Calvino, e decise di rifiutarlo,
sviluppando un concetto di libero arbitrio, del tutto estraneo al
calvinismo. Questa presa di posizione gli suscitò per anni critiche e pesanti
attacchi dall'establishment calvinista, che si acuirono quando nel 1602 A.
successe a Franz Junius (1545-1602), professore di teologia a Leida, nella
cui università A. fu fatto sistematicamente oggetto degli strali del
teologo supralapsariano Franz Gomar (Gomarius). Tra il 1608 ed il 1609
egli pubblicò tre difese scritte delle sue dottrine, ma nell'ottobre 1609,
morì di consunzione a soli 49 anni.
Teologia
dell'arminianismo Nettamente diversa, quindi, dalle altre dottrine
calviniste, l'arminianismo credeva che Dio avesse dato all'uomo la libera
scelta di accettarLo o di rifiutarLo. Quindi dopo la caduta dell'uomo, Dio
aveva provveduto per la salvezza di tutti, ma solo chi credeva avrebbe potuto
salvarsi, attraverso i meriti dell'azione di Cristo e per mezzo della Grazia
dello Spirito Santo. Infatti A. era convinto che: Sebbene Cristo fosse
morto per tutti, solo i credenti potevano ottenere la remissione dei
peccati, E comunque era necessaria la mediazione della Grazia dello Spirito
Santo, senza la quale non era possibile per l'uomo capire, volere e compiere
il bene. Quindi tutte le buone azioni dell'uomo dovevano essere riferite
alla Grazia, che però non era irresistibile: era infatti sempre possibile per
il credente perderla. L'a. introduceva quindi un concetto di libero
arbitrio sebbene condizionato: il teologo luterano del XX secolo Otto Heick
infatti la definì con l'ossimoro condizionalismo assoluto. La reazione
calvinista non si fece attendere e al concilio di Dort (Dordrecht) del
1618-19 furono elaborati, contro l'a., i seguenti cinque punti del
calvinismo, denominati Canone di Dort (tra parentesi, in italico, il pensiero
degli arminiani): Depravazione totale: l'uomo caduto in peccato non era
assolutamente in grado di salvarsi. (La natura umana permetteva all'uomo di
credere o rigettare Cristo, quindi egli non poteva essere totalmente
depravato) Elezione non condizionata: la volontà di Dio di salvare gli eletti
non poteva essere condizionata assolutamente dall'uomo. (L'elezione
era condizionata dalla conoscenza di Dio e dal libero arbitrio
dell'uomo) Espiazione limitata: l'espiazione attraverso la morte di Cristo
era sì sufficiente a salvare tutti gli uomini, ma efficace solo per gli
eletti. (L'espiazione era per tutti gli uomini, senza specifiche categorie
di eletti). Grazia irresistibile: gli eletti non potevano resistere al
dono della grazia, dato dallo Spirito Santo. (L'uomo poteva resistere alla
Grazia di Dio, rifiutando di farsi salvare) Perseveranza dei santi: coloro
che sono stati rigenerati e giustificati persevereranno nella fede. (Mediante
certi comportamenti, perfino il credente rigenerato e giustificato può essere
dannato).
I successori di A. Non avendo A. formalizzato la sua
dottrina, sarebbe toccato ai suoi successori Simon Bischop (nome umanistico:
Episcopius) (1583-1643) e Jan Uytenbogaert (1577-1644), sviluppare e
sistemare le idee, che furono presentate con forte spirito polemico agli
Stati Generali olandesi nel 1610: per questo la corrente degli arminiani fu
detta dei rimostranti. Al concilio di Dort (novembre 1618- maggio 1619), pur
supportato autorevolmente dall'Avvocato Generale dello Stato Jan (o Johan)
Van Oldenbarnevelt, che avrebbe pagato questa presa di posizione con la
propria testa (fu infatti decapitato il 14 maggio 1619) e dal teologo Ugo
Grozio, l'arminianismo fu condannato senza appello e i rimostranti
furono perseguitati durante il governo dello statolder Maurits
(Maurizio) d'Orange-Nassau (1584-1625): circa 200 predicatori furono espulsi
dalla Chiesa Riformata e 80 dovettero andare in esilio. La situazione perdurò
fino al 1632, anno dal quale i seguaci di A. furono finalmente lasciati in
pace, tuttavia solamente nel 1795 i rimostranti furono riconosciuti come
chiesa indipendente in Olanda.
La Chiesa arminiana dei Rimostranti
oggi Oggigiorno sono 21.500 gli aderenti alla chiesa arminiana, denominata
The Remonstrant Brotherhood (la Fratellanza dei Rimostranti) e aderente dal
1948 al Consiglio mondiale delle Chiese. Il web site http://www.remonstranten.org è in
lingua olandese ma l'introduzione e alcune pagine sono anche
in inglese. Le dottrine di A. ebbero un effetto duraturo sul pensiero
calvinista e inoltre, esportate in Inghilterra, influenzarono diverse
correnti religiose protestanti, tra cui i pietisti, alcuni battisti, i
pentecostali, le chiese di santità, il movimento di Oxford. Ma i concetti
arminiani di responsabilità morale dell'uomo e del potere santificante dello
Spirito Santo furono soprattutto decisivi nello sviluppo di una delle
dottrine più popolari nel "grande risveglio" protestante del XVIII secolo: il
metodismo di John Wesley.
Beghine e begardi (o bizocchi o pinzocheri
o beghini) (dal XIII secolo)
Il fenomeno medioevale delle beghine
vide, per la prima volta, le donne prendere l'iniziativa in un importante
movimento religioso.
L'etimologia L'etimologia del nome beghina è
oscura: l'ipotesi più probabile è che derivi dalla parola fiamminga
medioevale beghen, che significa pregare. Altri lo collegano: al francese
begard (mendicare), al sassone (e inglese) beg (chiedere l'elemosina), a
San Bega (o Begga), patrono di Nivelles, in Brabante (Belgio) dove fu fondata
una delle prime comunità, al prete (o frate) fiammingo Lambert le Bègue (cioè
il Balbuziente), fondatore a Liegi nel 1170 di una comunità per vedove e
orfani dei crociati, a un supposto collegamento con gli (al)bigesi (o
catari), al colore beige del vestito portato dagli aderenti al
movimento.
L'origine Nel XII secolo, particolarmente in Francia,
Germania e nei Paesi Bassi, vi era un numero elevato di donne sole, di
estrazione sociale medio-bassa, che non potevano maritarsi per penuria di
uomini decimati da crociate o guerre locali e non venivano, d'altra parte,
accettate dai pochi conventi femminili esistenti all'epoca, più interessati a
domande provenienti da fanciulle ricche e nobili. L'unica alternativa per
queste donne era di vivere da sole nelle periferie delle città, pregando e
occupandosi di lavori manuali o di insegnamento. Con l'andare del tempo molte
di esse, chiamate beghine (vedi sopra per l'etimologia), unirono le loro
dimore, l'una vicino all'altra, e da questo nacquero le prime comunità,
denominate beghinaggi, il primo dei quali comparve nel 1170 circa a Liegi (o
forse a Nivelles) in Brabante (Belgio) su iniziativa del prete Lambert le
Bègue. Le b. non erano delle suore, non prendevano infatti i voti e
potevano ritornare alla vita normale in qualsiasi momento: vivevano in
castità e spesso dedite alla carità, un po' come delle converse, cioè delle
suore laiche. Inoltre non chiedevano l'elemosina (da cui si capisce che è
errata l'etimologia da beg o begard), ma mantenevano le loro proprietà
originarie, se ne avevano, oppure, se necessario, lavoravano, per esempio
filando la lana o tessendo. La prima donna ad essere identificata come b.
fu la mistica Maria di Oignies, che influenzò il cardinale Jacques di Vitry
(1160-1240), protettore del movimento, di cui Vitry ottenne il
riconoscimento, purtroppo solo a parole, da Papa Onorio III (1216-1227) nel
1216. Con l'andare del tempo i beginaggi divennero delle vere e proprie
comunità, orientate alla cura dei malati e all'aiuto di donne sole, non
accettate dai conventi. Ci furono beginaggi, forti anche di migliaia di b.
(come a Ghent), in tutte le città e paesi del Belgio e dell'Olanda, dove,
nonostante le vicissitudini storiche (furono per esempio aboliti durante la
Rivoluzione Francese), esistono oggigiorno, dopo ben sette secoli, ancora 11
comunità in Belgio e 2 in Olanda.
I begardi Ci fu anche una
forma maschile di b., che ebbe minore diffusione rispetto alla controparte
femminile e fu denominata (con un connotato negativo in senso eretico)
begardi. In Italia vennero denominati anche bizzocchi o pinzocheri o beghini
e condussero spesso una vita da predicatori erranti (molto diffusa
nel Medioevo) e furono molto impegnati nel denunciare il nicolaismo e
la corruzione del clero, propendendo per una vita apostolica e povera,
come quella di Gesù e dei primi Apostoli. Su questi punti in comune si
allearono spesso con i Francescani spirituali nel combattere il comune nemico
Papa Giovanni XXII (1316-1334), che contro di loro scatenò il famoso (o
meglio famigerato) inquisitore Bernardo Gui (1261-1331).
La
condanna Benché le b. non dessero alcun segno di eresia (per i begardi il
discorso è più complesso), esse vennero dapprima condannate allo scioglimento
delle loro comunità dal IV Concilio Laterano (1215), ma successivamente
accettate verbalmente da Onorio III nel 1216 ed approvate da Papa Gregorio
IX (1227-1241) nella sua bolla Gloriam virginalem del 1233, il che non
impedì, tuttavia, il rogo della prima b. condannata come eretica, una tale
Aleydis. Nonostante l'approvazione papale, negli anni successivi seguì una
raffica di condanne, a loro carico, ai sinodi di Fritzlar (1259) e Mainz
(1261), concilio di Lione (1274), sinodi di Eichstätt (1282) e Béziers
(1299), ed infine al Concilio di Vienne (1311-12), dove vennero condannate
come eretiche, sebbene venisse precisato nel contempo che non c'era nulla di
male in comunità formate da donne penitenti anche senza che esse avessero
preso i voti. Nel 1310 fu bruciata sul rogo Marguerite La Porète, una b.
con simpatie verso i Fratelli del Libero Spirito ed autrice del libro Le
miroir des simples âmes (lo specchio delle anime semplici), attribuito per
anni a Santa Margherita d'Ungheria. Il solito Giovanni XXII perseguitò con
furore beghine e begardi, come si è detto, mediante Bernardo Gui, benché il
Papa stesso cercasse di distinguere tra forme eretiche e forme ortodosse del
movimento. Pur tuttavia, l'elenco dei processi e relativi roghi di b. durante
questo periodo, soprattutto in Francia meridionale, è impressionante: a
Marsiglia (il beghino Pierre Trancavel e sua figlia Andreina), Narbona,
Carcassonne, Béziers e Tolosa si giustiziarono senza pietà i b. Alcuni
episodi denotarono l'accanimento degli inquisitori, come a Lodève, dove fu
bruciata la b. Esclarmonda Durban, e, quando il fratello cercò
di raccoglierne le reliquie, fu giustiziato anche lui. O a Mirepoix, dove
si dovettero costruire delle nuove carceri tanti che erano gli "eretici"
(b., spirituali, catari) in attesa di essere interrogati dall'Inquisizione. O
nel 1325 a Carcassonne dove 82 b. vennero processati semplicemente
per manifestazioni di devozione sulla tomba del capo degli spirituali
francesi, Pietro di Giovanni Olivi.
La dottrina La stragrande
maggioranza delle b. e dei begardi era cattolica ortodossa, e tutt'altro che
eretica, tuttavia fu la vicinanza e la frequentazione dei Francescani
spirituali e dei Fratelli del libero spirito (delle cui dottrine venne
accusata Margherita la Porète), che permise agli inquirenti di fare di tutte
le erbe un fascio e processare anche gli aderenti al movimento
b., soprattutto i begardi. Giovanni XXII cercò di distinguere in b. buoni
e cattivi, tracciando una linea immaginaria tra i "cattivi", che stavano in
Italia e in Francia meridionale (Provenza e Linguadoca) e i "buoni" che
stavano in Germania, Paesi Bassi e Francia settentrionale, ma questa
classificazione era alquanto semplicistica. Oltretutto, durante il periodo
di persecuzioni, era sufficiente che il b., a cui venisse ordinato di
ritirarsi in clausura in un ordine religioso "approvato", si opponesse alla
questa decisione per essere automaticamente considerato eretico. Infine il
linguaggio, volutamente provocatorio, di alcuni scritti, come quelli di
Margherita la Porète fu strumentalmente interpretato dagli inquisitori come
dichiarazioni di antinomismo.
Biandrata (o Blandrata), Giorgio (c.
1515-1588)
La gioventù e il primo periodo in Polonia e
Transilvania Il medico antitrinitario Giorgio Biandrata (o Blandrata),
ultimogenito di Bernardino Biandrata, nacque nel 1515 ca. a Saluzzo dalla
nobile e antica famiglia De Blandrate. Egli si laureò in arti liberali e
in medicina a Montpellier nel 1533, e si specializzò nei disordini funzionali
e nervosi nelle donne. Nel periodo 1540-44 B. divenne medico di corte della
regina di Polonia, Bona Sforza, moglie di Sigismondo II Iagellone, detto
Augusto (1543-1572), e nel 1544 egli compì il suo primo viaggio in
Transilvania, alla corte di Isabella, figlia di Bona e di Sigismondo, e
recente vedova del voivoda di Transilvania e re della Ungheria (orientale)
Giovanni I Zapolya (1529-1540). A Giovanni I era succeduto il figlio
minorenne Giovanni II Sigismondo Zapolya (1541-1571), ma nel 1551 Isabella e
il giovanissimo figlio erano stati obbligati a rinunciare alla corona in
cambio di un feudo in Slesia da parte di Ferdinando d'Asburgo (imperatore
1558-1564), l'altro pretendente al trono ungherese, salvo poi rientrare
trionfalmente nel 1556 ad Alba Julia (Gyulafehèrvàr), spalleggiati dai loro
sostenitori e dal tutore Péter Petrovics, che resse il trono, insieme alla
regina-madre Isabella fino al 1559. In questo frangente, B. era stato
medico di corte e consigliere di Isabella fino al 1551.
B. in
Italia e Svizzera In quell'anno infatti egli rientrò in Italia, a Pavia, e a
quel periodo verosimilmente risale la sua adesione alla Riforma. Tuttavia,
nel 1553, in seguito a questa conversione, B. decise di abbandonare l'Italia,
assieme a Giovanni Paolo Alciati della Motta e a Camillo Renato, dapprima
fuggendo nel Cantone Grigioni e poi stabilendosi nel 1557 a Ginevra, dove
abitò per un anno, anche se il suo rapporto con Calvino fu alquanto difficile
per la diffidenza che il riformatore ginevrino nutriva nei suoi
confronti. A Ginevra B. intervenne come medico per curare Jane Stafford,
moglie inglese del conte Celso Massimiliano Martinengo, predicatore della
Chiesa Italiana a Ginevra, e in questa chiesa ebbe la possibilità di
esprimere in libertà le sue opinioni anti-trinitarie, tuttavia queste sue
idee, potenzialmente disaggreganti per la Riforma calvinista, furono
denunciate da Martinengo al proprio protettore, il riformatore di Zurigo
Heinrich Bullinger, nonostante che il conte bergamasco avesse avuto delle
iniziali simpatie per le idee anabattiste e antitrinitarie soprattutto
durante il suo soggiorno in Valtellina. Tuttavia l'episodio decisivo per
la partenza di B. dalla Svizzera avvenne il 18 maggio 1558, quando Calvino
chiese a tutti gli italiani esuli a Ginevra di firmare un atto di fede
trinitaria. Il documento venne contestato da Giovanni Valentino Gentile,
Alciati della Motta e B., che si rifiutarono di firmarla: in particolare, la
decisione di Gentile e il B. era motivata dal fatto che essi avevano, nel
frattempo, sposato la causa triteista, basata sulla separazione delle tre
persone Divine: Padre, Figlio e Spirito Santo in tre Dei distinti dei quali,
però, solo il Padre era veramente fonte di divinità, mentre gli altri due
erano subordinati.
Nuovamente in Polonia B. ritenne quindi più
prudente trasferirsi, in Polonia, dove incontrò l'antitrinitario Lelio
Sozzini: l'azione degli unitariani locali come Pietro Gonesio e Grzegorz
Pawel fu rinforzata dall'arrivo di B., che aiutò a formare una comunità,
soprattutto di esuli suoi connazionali, a Pinczòw vicino a Cracovia. La
corrente antitrinitaria polacca (denominata Ecclesia Minor,
in contrapposizione all'Ecclesia Major calvinista) ritrovò quindi in B. un
vero leader, che riuscì, nei sinodi di Pinczow nel 1558, di Wlodzislaw nel
1559 [convocato dal collaboratore di B., Francesco Lismanini (1504-1566)], e
di Ksionz nel 1560 e 1562, a mettere d'accordo le opposte fazioni, grazie
ad una confessione di fede ottenuta letteralmente dalle Sacre Scritture.
Ciò, soprattutto dopo le polemiche suscitate dall'ebraista mantovano
Francesco Stancaro, tacciato di modalismo, per la sua dottrina basata su Gesù
Cristo mediatore con Dio Padre solamente nella sua natura umana, la quale
eresia venne respinta dal sinodo di Wlodzislaw, dove le copie del suo libro
vennero bruciate pubblicamente.
L'amicizia con Dàvid in
Transilvania Ma nel 1562 nuovo cambiamento di programma: lasciato il
timone dell'antitrinitarismo polacco in mano all'amico Pawel e la
propria biblioteca a Prospero Provana, B. decise di ritornare in
Transilvania, a Gyulafehérvár (Alba Julia), dove divenne medico di corte del
principe Giovanni II Sigismondo Zapolya e conobbe il vescovo della Chiesa
Riformata di Transilvania Ferenc Dàvid, al quale B. fece leggere una copia
della famosa Christianismi restitutio (La restaurazione del Cristianesimo)
di Miguel Serveto, convertendolo all'antitrinitarianismo (o
unitarianismo). La conversione di David alla nuova fede fu evidente nel 1566,
quando egli fece rimuovere un professore della scuola di Kolozsvár per aver
osato insegnare la dottrina della Trinità: quest'ultimo, assieme al
calvinista Melius, chiese ed ottenne dal re la convocazione di un sinodo
nazionale a Gyulafehérvár, che si svolse nello stesso 1566 per essere poi
aggiornato in una nuova sede, a Torda (sempre in Transilvania), che risultò
poi un trionfo per gli unitariani Dàvid e B. Nel frattempo B. collaborò
lungamente con Dàvid, facendo anche pubblicare il suo libro De vera et falsa
unius Dei, Filii et Spiritus Sanctii cognitione (Della falsa e vera
conoscenza dell'unità di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo), nel quale il
riformatore transilvano ridicolizzava la dottrina della Trinità e perorava la
causa della tolleranza religiosa per tutte le fedi. Questo discorso venne poi
ripreso durante la Dieta di Torda nel gennaio 1568, dove Giovanni II
Sigismondo riconobbe la piena libertà a tutte le confessioni religiose: fu la
prima dichiarazione, al mondo, di tolleranza religiosa mai pronunciata da un
regnante. In Transilvania B. fu sempre un riferimento per esuli religiosi
italiani, come ad esempio i colleghi medici Niccolò Paruta, che nel 1573 si
era trasferito in Transilvania, presso il Collegio unitariano di Kolozsvàr,
e che morì (probabilmente nel 1581) nella casa di B. a Nagyenyed; e
Niccolò Buccella, che fu poi, grazie alla sua fama di valente medico, assunto
da Stefano Bàthory nel luglio 1574 allo stipendio di 600 talleri
all'anno. Mantenne inoltre duraturi contatti epistolari con il
diplomatico italo-ungherese Andrea Dudith Sbardellati. Tuttavia, nel 1571
con la morte a soli 31 anni di Giovanni II Sigismondo e la salita al trono
del cattolico Stefano I Báthory (1571-1586), divenuto in seguito anche re di
Polonia dal 1576 al 1586, la situazione della fazione antitrinitaria di Dàvid
si mise decisamente male, soprattutto dal 1578, quando quest'ultimo, in piena
polemica tra adoranti e non-adoranti, cessò la collaborazione con B., il
quale fece venire inutilmente da Basilea Fausto Sozzini per cercare
inutilmente di convincere Dàvid a recedere dalle sue posizioni di
non-adorante. Secondo il pensiero di Sozzini, al quale aderì anche B.,
infatti, Gesù Cristo era un vero uomo crocefisso, il cui compito era di
rivelare Dio agli uomini, che potevano così raggiungere la salvezza, seguendo
il Suo esempio. Dàvid, invece, seguendo il pensiero dell'italo-greco Giacomo
Paleologo, autore del trattato universalista De discrimine Veteris et Novi
Testamenti, negava il ruolo di guida per i fedeli verso la salvezza del
Cristo e rifiutava, conseguentemente, ogni forma di adorazione di Gesù
Cristo. Alcuni settori dell'unitarismo polacco accusarono violentemente B. di
aver cambiato rotta su questa dottrina e di aver tradito l'amico
Dàvid, consegnandolo ai suoi oppositori politici, i quali nel 1579 lo
fecero arrestare e imprigionare nella fortezza di Déva, dove, a causa del
clima rigido e del fisico debilitato, egli morì il 15 novembre dello stesso
anno. Del resto la decisione di abbandonare Dàvid al suo destino pesò sul
futuro di B., il quale venne isolato e disprezzato come un nuovo Giuda
Iscariota dai sostenitori dello sfortunato transilvano.
Per la
terza volta in Polonia e la morte Lo stesso B. seguì Bathory in Polonia nel
1576, quando questi fu incoronato re di Polonia, pur mantenendo comunque
buoni rapporti con Cristoforo Bathory, fratello e successore di Stefano in
Transilvania, il quale aveva comunque permesso nel 1579 la diffusione
dell'ordine dei Gesuiti in Transilvania. Un altro amico (e un altro
medico!) dell'epoca di B. fu Marcello Squarcialupi, che non condivise le
dispute dottrinali del saluzzese, ma si allineò con il suo pensiero nel 1581,
quando scrisse una lettera a Fausto Socini per richiamarlo ad abbassare i
toni della polemica, che oltretutto danneggiava l'immagine degli esuli
italiani. Negli ultimi anni della sua vita, solitario ed isolato, come si è
detto, a causa della sua posizione nella polemica con Dàvid, B. fu preso
dalla nostalgia della sua patria, ma per potervi tornare con una certa
sicurezza aveva aperto una trattativa segreta con i gesuiti, promettendo di
non occuparsi più di problemi teologici, tuttavia poiché questi ultimi
avevano preteso una totale abiura, B. non accettò. Comunque nella
propaganda cattolica girò la voce che B. si fosse alla fine riconvertito alla
religione cattolica. Similmente, sempre secondo fonti gesuiti, in
particolare il religioso Jacob Wujek, si ipotizzò che la morte di B.,
avvenuta il 5 maggio 1588, fosse dovuta ad un fatto delittuoso: sarebbe stato
infatti strangolato dal nipote Giorgio, figlio di suo fratello Alfonso, ma la
notizia non viene confermata da altre fonti.
Blaurock (o Cajacob o
vom Hause Jakob), Jörg (ca. 1491-1528)
Jörg vom Hause Jakob
(Giorgio della casa di Jakob), oppure Cajacob, nacque a Bonaduz, nel cantone
Grigioni, nel 1491-92 e frequentò le scuole a Chur. Dal 1513 studiò alla
università di Lipsia, diventando successivamente sacerdote. Iniziò la sua
carriera ecclesiastica nel 1516 come vicario a Trins, vicino a Chur,
rimanendoci fino al 1519. Successivamente fu chiamato ad operare nel convento
di San Lucio, sempre nelle vicinanze di Chur, ma nel 1523 si convertì alle
idee della Riforma, abbandonando il monastero, si sposò e si recò nel 1525 a
Zurigo, la città del riformatore Zwingli. Il suo soprannome di Blau rock
derivò da un abito azzurro o turchino, che era solito portare, mentre altri
lo chiamavano der starke Jörg (il forte Giorgio), sia per la figura possente
che per il carattere forte ed aggressivo. Durante il suo soggiorno a
Zurigo B. fu conquistato alla causa degli anabattisti da Conrad Grebel.
Benché avesse studiato, gli autori riportano che B. non fosse un uomo di
grande cultura: Zwingli stesso lo disprezzava come un ignorante e "folle".
Tuttavia la sua eloquenza nelle prediche fu molto preziosa alla causa
anabattista. Tra il 10 e 17 Gennaio 1525, in seguito ad una disputa pubblica,
si pervenne alla frattura insanabile tra anabattisti e i riformatori svizzeri
nelle persone di Zwingli e Johann Heinrich Bullinger. Il risultato della
disputa fu scontato: il Consiglio cittadino censurò la posizione del gruppo
di Grebel, ordinando il battesimo immediato di tutti i bambini entro
otto giorni dalla loro nascita. Il 21 Gennaio 1525, sfidando il divieto
delle autorità cittadine, 15 anabattisti si riunirono in casa di Felix Mantz,
e presero la decisione di procedere al proprio ribattesimo, cosa che fecero
la notte stessa: B. si inginocchiò davanti a Grebel e gli chiese di essere
battezzato, successivamente fu B. a ribattezzare gli altri. In seguito gli
anabattisti si trasferirono a Zollikon, un villaggio ad otto chilometri da
Zurigo, dove fondarono la comunità dei "Fratelli in Cristo", ma poco dopo B.,
Mantz ed altri furono arrestati su ordine del consiglio cittadino di Zurigo e
incarcerati nella torre di Wellenberg a Zurigo. Il 24 Febbraio B. fu
scarcerato e proseguì nella sua attività di proselitismo fino all'Ottobre
1525, quando, avendo interrotto una funzione in una chiesa nel villaggio di
Hinwil, fu arrestato e tradotto, insieme a Grebel e Mantz, a Zurigo. Qui si
tenne, tra il 6 e l'8 Novembre 1525, un'ulteriore disputa tra gli anabattisti
e Zwingli, che, scontento per l'ostinata posizione degli avversari, li fece
condannare dal Consiglio, il 18 Novembre, a rimanere in carcere. Il 5 e 6
Marzo 1526, dopo quattro mesi di duro carcere, il Consiglio cercò di fiaccare
la resistenza degli arrestati (i tre sopramenzionati più altri 14 compagni)
condannandoli al carcere a pane e acqua, finché essi non avessero ritrattato,
ma 15 giorni dopo, approfittando di una clamorosa distrazione, gli
anabattisti riuscirono ad evadere. Tra il momento della sua fuga e la sua
nuova cattura, B. trascorse il periodo errando per la Svizzera e battezzando
nuovi adepti, finché le autorità di Zurigo lo catturarono il 3 Dicembre 1526,
assieme a Mantz in una foresta vicino a Grüningen. Mantz fu messo a morte
per annegamento il 5 Gennaio 1527, mentre B. fu spogliato e frustato con
delle verghe e in seguito espulso dal territorio del cantone di
Zurigo. Continuando la sua missione attraverso Berna, Biel, nei Grigioni e
ad Appenzell, da dove venne espulso, B. pervenne alla decisione di
continuare la sua opera in un'altra nazione. Si recò quindi in Alto Adige nel
Maggio 1529, predicando e ribattezzando nella zona tra Chiusa (Klausen) e
Neumarkt, assieme al compagno Hans Langegger, finché il 14 Agosto 1529 le
autorità di Guffidaun li arrestarono e torturarono spietatamente per avere
informazioni sulla reale consistenza del fenomeno anabattista in zona. Il
6 Settembre 1529 B. e Langegger furono arsi sul rogo vicino a Klausen. Così
morì, dopo Grebel nel 1526 e Mantz nel 1527, il terzo dei capi storici del
movimento anabattista e purtroppo non l'ultimo di una tragica lista.
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