LA STORIA DEL
CALVINISMO - ELENCO ERETICI |
Il calvinismo in Olanda nei secoli successivi Mentre gli emigranti olandesi
portarono la fede riformata in America, fondando nel 1628 la Reformed Dutch
Church (Chiesa riformata olandese), in Olanda si consolidarono le Chiese
riformate calviniste (Gereformeerde Kerken) fino al 1816, data nella quale il
re Guglielmo I di Nassau-Orange (1814-1840) riorganizzò la Chiesa come
Nederlandse Hervormde Kerk (NKC, Chiesa riorganizzata olandese) con una
struttura più gerarchica. Tuttavia questo diede luogo ad una serie di
scissioni: nel 1834 la separazione della Christelijke Afgescheiden Kerk
(Chiesa cristiana separata) e della Gereformeerde Kerk onder het Kruis
(Chiesa riformata sotto la Croce), nel 1841 della Chiesa fondata dal
reverendo Ledeboer e nel 1886 della Doleantie (Afflizione) del Dr. Abraham
Kuyper. La maggior parte di queste denominazioni riformate confluirono, in
varie fasi, nella Gereformeerde Kerken in Nederland (GKN, Chiese riformate
in Olanda), fondata nel 1892, mentre le rimanenti chiese decisero di
aggregarsi nelle Gereformeerde Gemeenten (Congregazioni riformate) nel 1907.
Non c'e un sito ufficiale, L'ultima scissione avvenne alla fine della seconda
guerra mondiale con la separazione dalla GKN della GKN
Vrijgemaakt (liberate)(GKN-v)Ma finalmente, dopo tante scissioni, sta avendo
luogo dal 1997 un importante riaccorpamento: le due organizzazioni più
grosse, la NKC (1,9 milioni di fedeli), la GKN (660,000 fedeli), assieme alla
piccola chiesa luterana olandese ELC (15,000 fedeli) hanno deciso di unirsi,
entro il 2004, nella PCN (Chiesa protestante in Olanda).
Gichtel,
Johann Georg (1638-1710) e Fratelli della vita angelica
La
vita Il mistico tedesco Johann Georg Gichtel nacque il 14 marzo 1638 a
Regensburg (Ratisbona), in Baviera, da una famiglia in vista della città (il
padre era senatore). A scuola G. si mostrò versato nelle lingue,
approfondendo la conoscenza del greco, ebraico, siriaco e arabo, ma inviato
all'università di Strasburgo per frequentare la facoltà di teologia, decise
di abbandonarla per passare alla facoltà di legge, non concordando con gli
insegnamenti dei teologi docenti J. S. Schmidt e Philipp Jakob
Spener. Dopo la laurea, G. esercitò la professione di avvocato, dapprima a
Spira, poi a Ratisbona: qui conobbe nel 1664 il barone ungherese Justinianus
von Weltz (1621-1668), un idealista mistico con un programma preciso: riunire
le chiese cristiane e convertire tutto il mondo al Cristianesimo. Per
questo aveva fondato un movimento, denominato Christerbauliche
Jesusgesellschaft (Società di Gesù per l'educazione cristiana), al quale
aderì anche G., contribuendo con un sistematico attacco contro la chiesa
luterana e alcuni suoi insegnamenti fondamentali, come la giustificazione per
fede. L'atteggiamento di G. suscitò la reazione delle autorità della
chiesa luterana locale, che lo fecero arrestare e rinchiudere per tredici
settimane con la pericolosa accusa di anabattismo (un'accusa del genere
poteva portare anche al rogo), dalla quale scampò grazie all'intervento di un
potente conoscente del padre. Ma non poté sottrarsi alla condanna
all'esilio perpetuo ed alla confisca di tutti i suoi beni da parte dello
stato bavarese. Nel 1665 G. decise quindi di recarsi in Olanda, terra
promessa per la libertà di pensiero, libertà sì ma.senza esagerare, come egli
ben presto si accorse, quando a Zwolle G. intervenne energicamente a favore
del pastore luterano Friedrich Breckling (1629-1711) fautore di un sistema
educativo e sociale, svincolato dalle istituzioni ecclesiastiche: G. si
ritrovò arrestato, esposto alla gogna, schiaffeggiato pubblicamente ed
infine espulso dalla città olandese! Finalmente nel 1668 G. arrivò ad
Amsterdam, dove abitò per i rimanenti 42 anni della sua vita, contraddistinti
da visioni, rivelazioni profetiche, preghiere e una quantità elevatissima di
opere (4.000 pagine di corrispondenza e diversi trattati), tra cui il più
importante è il trattato Theosophica practica. Ad Amsterdam egli conobbe
la visionaria fiamminga Antoinette Bourignon, ma soprattutto scoprì gli
insegnamenti di Jacob Boehme, di cui fece pubblicare le opere complete nel
1682. Nonostante una vita molto solitaria e ritirata, egli riuscì a riunire
un piccolo gruppo di seguaci, denominati Fratelli della vita angelica
o Gichteliani, i quali miravano ad una vita di tipo sacerdotale libera
da desideri carnali e da impegni matrimoniali. G. morì ad Amsterdam il 21
gennaio 1710.
La dottrina G. rielaborò la dottrina teosofica di
Boehme dei tre principi della Deità [l'Abisso (il Padre) che desiderava
rivelarsi (il Figlio) attraverso un come processo di riflessione, o
introspezione Divina (lo Spirito Santo)], ma soprattutto del quarto
principio, lo specchio divino del processo di riflessione, denominato
Saggezza Vergine o Sophia, di cui G. elaborò gli otto gradi di azione e
rivelazione. Attraverso questo specchio il mondo creato è l'immagine del
mondo divino, le creature appaiono come riflessione delle idee di Dio e sia
Adamo, che Cristo nascono androgini (un concetto ripreso da Helena Blavatsky
nella sua teoria sul Padre-Madre universale). La razza umana era quindi
contenuta nella riflessione della Deità, che formava una nuova ed invisibile
chiesa, il cui scopo era il ritorno alla Perfezione attraverso tre fasi
dell'uomo: l'uomo dell'oscurità, l'uomo rinato e l'uomo interno (o
perfetto). Gli unici mezzi dell'uomo per ottenere ciò erano: la visione della
dualità del mondo (le forze oscure contrapposte a Sophia) ed il potere
della volontà, che poteva far scoprire il Regno di Dio nascosto nel
profondo dell'anima. La partecipazione dell'anima umana alle nozze
mistiche di Cristo con Sophia (un'idea dal vago sapore
alchemico-rosacrociano) davano all'uomo l'Eterna Vita.
Brenz,
Johannes (1499-1570) e ubiquitari
Johannes Brenz nacque a Weil der Stadt,
vicino a Stoccarda il 24 Giugno 1499. Da giovane B. subì l'influenza di
Erasmo da Rotterdam, ma successivamente, mentre frequentava nel 1518
l'università di Heidelberg, B. si accostò alla dottrina luterana e al
pensiero di Ecolampadio, suo professore alla stessa università. Divenuto
teologo e sacerdote, B. fu nominato predicatore della chiesa di San Michele a
Schwäbisch Hall (una città a NE di Stoccarda), ma smise di servire messa nel
1523 e si dedicò allo studio approfondito delle Sacre Scritture. Nel 1525 B.
ebbe l'occasione di svolgere un ruolo importante durante la controversia
contro gli zwingliani sulla reale presenza di Cristo nell'Eucaristia: egli si
schierò decisamente a favore della dottrina luterana della sostanziale
presenza del corpo e sangue di Cristo nel pane e vino. I teologi luterani
dell'epoca, in opposizione al dogma cattolico della transustanziazione
(durante l'Eucaristia, il pane e vino mantengono solo l'apparenza e non la
sostanza, in quanto trasformati nel corpo e sangue di Cristo), avevano
elaborato la dottrina della consustanziazione (il pane e vino rimangono tali
anche in sostanza): B. fece di più, affermando, nel suo Sygramma Suevicum, la
presenza di Cristo non solo nell'Eucaristia, ma in ogni luogo e per questo
motivo i suoi seguaci furono definiti Ubiquitari. Pare che impegnato nella
confutazione del pensiero di Zwingli, B. si fosse dedicato ad un curioso
ragionamento matematico-dottrinale: egli calcolò la distanza tra il cielo e
la terra, arrivando alla misura di 16.338.562 miglia terrestri tedesche (ca.
26 milioni di Km.) ed affermò quindi che, misurando la velocità di ascesa in
cielo di Cristo dal Monte degli Ulivi, il corpo di Cristo non poteva ancora
essere arrivato in cielo nel 16° secolo! L'impegno luterano di B. comunque
non si limitò a queste controversie matematico-teologiche, estendendosi anche
all'organizzazione e alle istituzioni della neonata Chiesa
riformata. Infatti, durante la guerra smalcaldica del 1546-47, B. cercò
protezione presso il duca Ulrich di Württemberg, diventato nel 1534 luterano:
per il duca B. completò la diffusione della Riforma in tutto il ducato e creò
un modello di organizzazione della Chiesa luterana locale, ammirato in tutta
la Germania. Durante questo periodo turbolento, B. operò sotto lo
pseudonimo del balivo Huldreich Engster. Nel 1553 B. fu nominato prevosto
della Stiftskircke a Stoccarda, dove morì l'11 Settembre
1570.
Niclaes (o Niclas), Hendrik (o Heinrich) (ca.1502- ca.1580)
e Famiglia d'amore o familisti e grindletoniani
La vita I
dati sulla nascita di Hendrik Niclaes sono alquanto confusi: egli nacque il 9
o 10 Gennaio 1502 (o forse 1501), probabilmente a Münster, dove comunque
visse nella prima parte della sua vita come merciaio. Da piccolo fu soggetto
a visioni mistiche e all'età di 27 anni, essendosi accostato alle dottrine
riformiste, fu imprigionato con l'accusa di eresia. Dopo la sua liberazione
dovuta per mancanza di prove, N. emigrò con la sua famiglia ad Amsterdam,
dove però fu nuovamente imprigionato con l'accusa di essere stato complice
nella famosa rivoluzione anabattista di Münster (1534-1535). In seguito N.
si dedicò ad una vita, simile a quella seguita nel secolo successivo dai
pietisti. Nel 1539-40 N. ebbe una visione di Dio, che riversava su di lui lo
spirito del vero amore di Gesù Cristo, secondo le sue parole. La stessa
visione lo sollecitò a fondare una comunità denominata Famiglia d'amore
(Familia caritatis) (solo omonimo del movimento odierno, fondato nel 1968 da
David Brandt Berg): si trasferì quindi nella remota provincia della Frisia
orientale, ad Emden, dove visse per vent'anni, viaggiando spesso, in Olanda,
Fiandre, Francia e Inghilterra, sia per motivi legati alla sua professione di
merciaio che per motivi religiosi. Il suo credo religioso, come tracciato nel
suo principale libro Un'introduzione alla Santa Comprensione dello Specchio
di Giustizia, era infatti una miscela di varie dottrine: L'antinomianismo
(o antinomismo): le leggi dell'uomo non erano più valide per chi aveva
ottenuto il perfetto stato di grazia divina. Questo spirito divino, secondo
il concetto antinomiano di N., metteva la comunità e suoi adepti al di sopra
della Bibbia, dei Credi, della liturgia e delle leggi. In questo senso, anche
le dottrine della setta medioevale dei Fratelli del libero spirito non gli
erano certo estranee, Il panteismo mistico, e L'anabattismo (per entrare
nella comunità bisognava essere ribattezzati), quest'ultimo derivato
dall'influenza di David Joris. Tuttavia, poiché N. e suoi seguaci non
seguivano alcuna particolare forma di liturgia, molti di loro, compreso lo
stesso N. continuavano a ritenersi parte della Chiesa Cattolica.
Contemporaneamente essi osservavano una stretta forma di nicodemismo (il
praticare di nascosto un credo religioso, adeguandosi in pubblico a seguire
quello ufficiale), che non favorì certo la diffusione della setta, rimasta
sempre confinata a livello di parenti e amici intimi degli
adepti. Tuttavia la propaganda di N. non poté passare inosservata per sempre
e circa vent'anni dopo, nel 1560, egli dovette fuggire per evitare l'arresto
da parte delle autorità di Emden. A quel punto N. condusse una vita
errante, risiedendo a Kampen, Utrecht, in Inghilterra fino al 1569, ed
infine, dal 1570, a Colonia. E fu proprio a Colonia, dove pare N. morì nel
1580 circa.
La Famiglia d'Amore e i familisti La dottrina di N.
sopravvisse al suo ideatore almeno fino al 1604 sotto forma di comunità di
familisti segretamente costituite e sparse in Olanda, Germania, Francia e
Fiandre. Un caso a parte furono i familisti in Inghilterra, il cui capo
Christopher Vitel tradusse molti degli scritti di N. in inglese. Nel 1574
e nel 1580 il governo inglese di Elisabetta I (1558-1603) procedette contro i
familisti, condannando i loro libri e imprigionando gli aderenti.
Particolarmente accanito nella persecuzione nei loro confronti fu il
predicatore puritano John Knewstub (1544-1624). Tuttavia la setta non
scomparve, come testimoniano le petizioni, non accolte, indirizzate dai
familisti al successivo re Giacomo I (1603-1625), il quale comunque accusava
questa setta di essere tra i principali responsabili della nascita del
Puritanesimo. Un caso a parte di familismo fu la setta denominata dei
grindletoniani, dal paese di Grindleton, nella contea inglese dello
Yorkshire, influenzata dalle prediche del pastore Roger Brerely (m. 1637) e
attiva dal 1610 al 1630 circa e i cui collegamenti con i familisti sembrano
abbastanza accertati, particolarmente per quanto concerne la dottrina
antinomiana. Brerely infatti predicava che la dottrina del Vangelo insegnava
non quello che dobbiamo fare a Dio, ma casomai quello che noi dobbiamo
ricevere da Lui. Anche il reverendo John Pordage, fondatore della Società dei
Filadelfi, fu influenzato dal familismo e durante il periodo storico
repubblicano del Commonwealth (1649-1658) di Oliver Cromwell, diversi libri
familisti furono ristampati: si ritiene che per il suo famoso libro Pilgrim's
Progress lo scrittore battista John Bunyan abbia tratto ispirazione da alcuni
concetti familisti. Infine durante la Restaurazione (dopo il 1660), la
setta scomparve, fagocitato da gruppi radicali come i Quaccheri, (George Fox,
il fondatore, disse di aver convertito molti familisti alla sua causa)
Battisti e Unitariani, e all'inizio del diciottesimo secolo, gli autori
riferirono di solo un anziano adepto ancora in vita.
Renato,
Camillo (o Paolo Ricci o Lisia Fileno o Fileno
Lunardi) (ca.1500-1575)
La vita Paolo Ricci, meglio
conosciuto come Camillo Renato, nacque nel 1500 ca. in Sicilia, probabilmente
a Palermo, ma si hanno poche notizie sulla prima parte della sua vita: si sa
comunque che diventò frate minorita. Va precisato inoltre che, a parte la
regione d'origine ed una certa misteriosità sulla prima parte della sua vita,
R., contrariamente alle convinzioni di alcuni autori, non ha nulla in comune
con il corregionale Giorgio Rioli (detto Giorgio Siculo). In seguito R.
frequentò i circoli evangelici di Juan de Valdès a Napoli e visse a Venezia,
mentre dalla fine degli anni '30 del XVI secolo egli pose il suo campo
d'azione nell'Emilia, nel triangolo compreso fra Bologna, Modena e Ferrara. A
Bologna, probabilmente sotto lo pseudonimo dello studente di diritto Fileno
Lunardi, R. poté approfondire i suoi studi del pensiero di Erasmo da
Rotterdam, insieme agli agostiniani Giulio Della Rovere, Ortensio Lando e
Ambrogio Cavalli, e all'umanista abruzzese Giovanni Angelo Odoni. Abitò
inoltre a Modena, dove l'Accademia del Grillenzoni fece da centro di
diffusione delle sue idee. R. infatti già iniziava ad esprimere alcune sue
tipiche idee radicali, come l'opposizione del culto dei santi e della
Madonna, e la negazione del valore dei sacramenti. Inoltre, tra i primi in
Italia ad interessarsi all'anabattismo e all'antitrinitarismo, R. aveva letto
i testi di Miguel Serveto e sembra che avesse, intorno al 1550, convertito
all'anabattismo il misterioso Tiziano, pare un ex frate friulano e poi
mercante ed uno dei più attivi propagatori dell'anabattismo. Quando
finalmente si decise a convertirsi alla dottrina riformata (seppur con una
serie di importanti distinguo), R. decise di cambiare il proprio nome in
Camillo Renato, proprio per sottolineare la sua "rinascita". Ma, con
l'avanzare del suo radicalismo religioso, aumentarono anche i
guai giudiziari: nel 1540 a Modena, sotto lo pseudonimo di Lisia Fileno,
aveva dovuto fare una pubblica ritrattazione delle sue idee e nel 1542 R.
fu arrestato a Ferrara per eresia. Per sua fortuna, Renata di
Francia intercesse per farlo uscire da prigione: libero, R. prese
immediatamente la via dell'esilio per la Valtellina, insieme a Celio Secondo
Curione. In Valtellina, ai tempi parte del territorio elvetico del Cantone
Grigioni, R. divenne dapprima tutore dei figli di Raffaele Pallavicini a
Caspano, vicino a Morbegno, poi, nel 1545 fu maestro di scuola nella vicina
Traona e infine visse a Vicosoprano, in Val Bregaglia. Nel 1546 fece un
viaggio a Vicenza per partecipare ai Collegia Vicentina, dove si riunirono i
principali anabattisti e antitrinitariani veneti dell'epoca. Ritornato in
Valtellina, nel 1547 R. si trasferì a Chiavenna, il centro più importante per
la Riforma nei cantoni svizzeri di lingua italiana, dove conobbe Lelio
Sozzini, ma qui, dopo un breve periodo iniziale di simpatia reciproca, egli
entrò in rotta di collisione con il pastore riformato Agostino Mainardi, che,
nell'esercizio delle sue funzioni, si sentì in dovere di contestare le
pericolose idee protocristiane e anabattiste, che R. propagandava presso la
popolazione delle vallate valtellinesi. Infatti nel 1548, come reazione
all'avanzata delle idee troppo estremiste del pensatore siciliano, Mainardi,
eccessivamente rigoroso, cercò di obbligare tutti i fedeli della Chiesa
riformata di Chiavenna di giurare fedeltà ad una Confessione di Fede, che
egli si era fatto approvare dalle autorità religiose di Coira, Zurigo e
Basilea. L'azione gli alienò l'amicizia con Francesco Negri da Bassano, con
il quale aveva avuto dei buoni rapporti fino a quel momento e che
provocatoriamente si rifiutò di far battezzare il suo neonato se prima
Mainardi non avesse firmato una Confessione di Fede redatta da Negri stesso,
e con Francesco Stancaro, che accusò Mainardi di troppa ortodossia, e troppo
poco dialogo, in questa diatriba sorta sull'opportunità dei sacramenti. La
lunga e amara controversia sulla Cena del Signore con Mainardi, ebbe un amaro
epilogo per R. (magnus haereticus, secondo Mainardi): essendosi rifiutato di
cessare di propagare le sue dottrine egli fu scomunicato il 6 luglio
1550. Del resto, anche in una lettera scritta un mese dopo (il 3 agosto 1550)
da Altieri d'Aquila a Heinrich Bullinger (curiosamente anche lo stesso R.
aveva una vasta corrispondenza con il riformatore svizzero) l'ex
diplomatico definì R. anabaptistarum patronus, cioè protettore degli
anabattisti. A R. non rimase che ritirarsi in un punto non meglio precisato
della Valtellina, dopo aver polemicamente pubblicato un elenco di 125
errori, scandali, contraddizioni vari di Mainardi dal 1545 in poi. Di R.
non si sentì più parlare eccetto che nel 1554, quando, indignato
per l'esecuzione sul rogo di Michele Serveto, R. scrisse a proposito un
lungo poema, De injusto Serveti incendio e lo inviò a Calvino in
persona. In vecchiaia, da una testimonianza del 1560, pare fosse diventato
cieco e morì nel 1575, sempre in Valtellina.
Il pensiero Il
punto essenziale del pensiero mistico spirituale di R., espresso nel
suo Trattato del Battesimo e della Santa Cena, scritta in italiano (cosa
rara all'epoca), era la vera rinascita spirituale del credente, che si
sentiva unito in spirito e carità con gli altri fedeli in un unico corpo
mistico. Il tutto rendeva per R. ovviamente superfluo ogni sacramento
e manifestazione esteriore e utilitaristica della religione cristiana. Da
ciò quindi derivava il principale motivo del contendere con Mainardi: l'idea
di considerare la Cena del Signore come una semplice memoria della morte
di Cristo e, similmente, il Battesimo come una mera affermazione della
fede individuale di ogni credente. D'altra parte, questa poca importanza
attribuita, o addirittura rifiuto del Battesimo (vedi anche lo scritto
Adversus baptismum del 1548) mette in serio dubbio una supposta appartenenza
di R. al movimento anabattista. Inoltre per R., le anime, dopo la morte, non
godevano subito della vita ultraterrena, ma stavano in uno stato di sonno
fino al giorno del Giudizio Universale, un concetto che accosta curiosamente
R. ad un papa medioevale molto criticato: Giovanni XXII! Questi aveva infatti
incautamente dichiarato nel 1331 che le anime dei morti in grazia di Dio
avrebbero goduto della "visione beatifica" non subito dopo la morte, come
affermava la tradizione, ma solo alla resurrezione dei morti e che,
nell'attesa, essi avrebbero dormito godendo del conforto di Cristo "sotto
l'altare". L'affermazione del papa fu condannata dai teologi dell'Università
di Parigi nel 1333.
I seguaci R. influenzò diversi pensatori e
riformati dell'epoca, di cui si possono citare, a parte l'ebraista Francesco
Stancaro, sopra menzionato: il bolognese Ulisse Aldrovandi (1522-1605),
coinvolto nel 1549-50 in un processo per eresia, proprio come presunto
seguace di R.; il pastore di Casaccia (in Val Bregaglia, nell'attuale cantone
Grigioni) e scrittore Bartolomeo Silvio di Cremona; il medico Pietro
Bresciani di Casalmaggiore.
Valdés (poi italianizzato in Valdesso,
Valdessio o Val d'Esso), Juan de (ca. 1500-1541)
I primi
anni Il mistico e riformatore Juan de Valdés, figlio del gentiluomo Hernando
de Valdés, corregidor (ufficiale incaricato del governo di una città) di
Cuenca ed esponente di una famiglia di conversos (ebrei spagnoli
convertiti), nacque nel 1500 ca. (altri autori propendono per un improbabile
1509 o 1510) appunto a Cuenca, in Castiglia (Spagna). Nel 1524 egli ebbe
la possibilità di assistere alle prediche del pensatore alumbrado Pedro Ruiz
de Alcaraz, nel palazzo ad Escalona del marchese di Villena, e dal 1526
studiò, all'università di Alcalà de Henàres, greco (con lo studioso Francisco
de Vergara), ebraico, latino e letteratura spagnola e italiana: ad Alcalà
conobbe e si appassionò agli scritti di Erasmo da Rotterdam e di Martin
Lutero.
Il fratello Alfonso Juan era il fratello gemello più
giovane di Alfonso (ca. 1500-1532): quest'ultimo, dal 1522 segretario della
cancelleria dell'imperatore Carlo V (1519-1558), fu l'autore di un dialogo
pesantemente anti-papale, stampato nel 1529, il Lactantius, nel quale egli
attaccò il papa Clemente VII (1523-1534) come disturbatore della pace,
istigatore della guerra e perfido ingannatore! Ma, nonostante che il
nunzio papale di Madrid, Baldassarre Castiglione (1478-1529) in persona
avesse portato il caso davanti all'Inquisizione, lo stato di impopolarità
presso la corte imperiale in cui era caduto Clemente VII dopo il Sacco di
Roma del 1527 e la potente protezione dell'imperatore verso il suo segretario
fece sì che nulla potesse accadere al temerario Alfonso. Comunque la morte
prematura, a causa della peste, del gemello di Juan a Vienna nel 1532 mise a
tacere ogni possibile inchiesta delle autorità religiose.
V. in
Italia Questi appoggi dall'alto furono meno evidenti per Juan, che, dopo
aver scritto nel 1528-29, in forma anonima, il Dialogo de doctrina cristiana,
in cui attaccava la corruzione della Chiesa Romana, sebbene difendesse
nel contempo la legittimità del matrimonio di Enrico VIII d'Inghilterra
con Caterina d'Aragona fu comunque processato per eresia
dall'Inquisizione spagnola una prima volta nel 1529: egli fu quindi costretto
a riparare definitivamente in Italia nell'inverno 1530-31, anche se sotto una
copertura diplomatica, come agente imperiale, per conto di Carlo V, per
sfuggire ad un secondo e più decisivo processo.
Si stabilisce a
Napoli Dopo aver abitato a Roma, dove frequentò il circolo umanistico di Juan
Ginés de Sepulveda, e viaggiato per la penisola italiana, per esempio nel
1533 a Bologna, al seguito del papa Clemente VII, e poi una prima volta a
Napoli, all'indomani dell'elezione del papa Paolo III (1534-1549), V. si
trasferì, nell'autunno 1535, definitivamente a Napoli e nel rione di Chiaia
stabilì la propria residenza fino alla sua morte nel 1541. Nella sua casa
egli formò un circolo umanistico religioso, che coagulò tutto il fior fiore
dell'intellighenzia riformista dell'epoca in Italia. Infatti la quantità e
qualità di coloro che aderirono ai circoli valdesiani fu impressionante. Tra
gli altri, si annoverano: nobili come la contessa di Fondi Giulia Gonzaga
Colonna (che V. sempre considerò sua erede spirituale, a cui dedicò la sua
opera principale l'Alfabeto cristiano e a cui affidò tutti i suoi scritti in
punto di morte), il marchese d'Oria Bernardino Bonifacio, la duchessa di
Camerino Caterina Cibo, la marchesa di Pescara Vittoria Colonna, il nobile
siciliano Bartolomeo Spadafora, il marchese di Vico Galeazzo Caracciolo, il
cavaliere Mario Galeota suo fedele collaboratore, la nobile Isabella
Bresegna, moglie del capitano don Garcia Manrique, futuro governatore di
Piacenza, alti prelati come l'arcivescovo di Otranto Pietro Antonio Di Capua,
il vescovo di Bergamo Vittore Soranzo, il vicario generale dell'ordine
dei cappuccini Bernardino Ochino, il vescovo di Cheronissa Giovanni
Francesco Verdura, religiosi come il domenicano Ludovico Manna, il
canonico regolare Pier Martire Vermigli, il benedettino Benedetto Fontanini
da Mantova, il sacerdote Apollonio Merenda, l'abate Girolamo Busale, il
francescano Giovanni Buzio, intellettuali come l'umanista Marcantonio
Flaminio e il protonotario apostolico Pietro Carnesecchi. Inoltre
l'impatto delle dottrine di V. fu decisivo sulle idee di altri pensatori
eterodossi, anche se questi non frequentarono direttamente i suoi circoli di
Napoli, come, ad esempio, gli intellettuali Aonio Paleario e Pier Francesco
Riccio, e il cardinale inglese Reginald Pole. V. morì a Napoli nell'agosto
1541.
La dottrina Influenzato dallo spiritualismo degli
alumbrados, oltre che dalle dottrine di Erasmo e Lutero, il pensiero di V. ha
avuto comunque un suo sviluppo autonomo. Come devoto mistico evangelico V.
credeva nell'illuminazione dello spirito, come rivelazione di Dio del fatto
che chi si abbandonava alla Sua misericordia, era da Lui chiamato alla
salvezza. Sostanzialmente questa era una giustificazione sola fide simile al
concetto luterano, ma per V., solo mediante la negazione di se stessi, gli
uomini potevano ricevere l'illuminazione divina e perciò conformarsi
all'immagine di Dio, di cui erano fatti. La fede era quindi un argomento
puramente soggettivo, fondata cioè su un senso molto individuale della
religione, in contrapposizione al magistero ufficiale della Chiesa e alle sue
reinterpretazioni delle Sacre Scritture. Sebbene tutte le forme esteriori
della ritualità ufficiale cristiana fossero inutili orpelli da combattere,
come la pensava del resto anche Erasmo, in quanto non necessari al cammino
interiore verso Dio, tuttavia V. era favorevole ad uno stretto nicodemismo,
come forma di schermo contro le intolleranze della Chiesa ufficiale. Infatti
per il mistico spagnolo i veri cristiani erano molto pochi e dovevano agire
con prudenza e riservatezza in maniera da non provocare polemiche e
condanne.
Le opere Detto dell'opera composta nel periodo spagnolo
(Dialogo de doctrina christiana), in Italia il lavoro principale di V. fu
senz'altro l'Alphabeto christiano, che insegna la vera via d'acquistare il
lume dello Spirito Santo, o semplicemente Alphabeto christiano, tradotto da
Marcantonio Flaminio e pubblicato postumo a Venezia nel 1545 e che ebbe una
notevole popolarità nel mondo riformato italiano. Ma V. scrisse una
notevole mole di altri lavori tra cui un breve catechismo, dal titolo Qual
maniera si dovrebbe tenere a informare insino della fanciullezza i figliuoli
de Christiani delle cose della religiosa (Roma 1545) e opuscoli divulgativi,
come In che maniera il Christiano ha da studiare nel suo proprio libro, il
Modo che si de tenere nell'insegnare et predicare il principio della
religione Christiana, le Dimande et risposte e le Cento e dieci divine
Considerationi. Altro settore nel quale V. eccelleva era il commento alle
Sacre Scritture, del quale si ricordano Il vangelo secondo San Matteo o i
Commentari ai Salmi. Infine la produzione letteraria di V. comprese anche
lavori non di stretto argomento religioso, come il trattato linguistico
Diálogo de la lengua, un fondamentale contributo del pensatore castigliano
per lo sviluppo dell'uso della sua lingua come idioma ufficiale della giovane
nazione spagnola.
Briçonnet, Guillaume
(1472-1534)
Guillaume Briçonnet, nato a Tours nel 1472, era il
figlio dell'omonimo e noto cardinale Guillaume Briçonnet (m. 1514), ministro
delle finanze del re francese Carlo VIII (1483-1498), organizzatore della
sfortunata spedizione del re in Italia nel 1495 e artefice dell'incoronazione
del successore Luigi XII (1498-1515). B., che, prima di intraprendere la
carriera ecclesiastica, ebbe il titolo di Conte di Montbrun, studiò con il
noto umanista Jacques Le Fèvre d'Étaples (o Jacobus Faber Stapulensis) nel
collegio parigino fondato nel XIII secolo dal Cardinale Lemoine (1250-1313),
e nel 1489 divenne vescovo di Lodeve. Essendo entrato nei favori del re Luigi
XII, fu nominato cappellano della regina e inoltre svolse delicati incarichi
di diplomazia per il suo sovrano, mentre nel 1507 subentrò al padre come
abate di Saint-Germain-des-Pres. B. poté godere della fiducia anche del
successore di Luigi XII, Francesco I (1515-1547), che nel 1516 lo nominò
vescovo di Meaux, sulla Marne. A Meaux B. chiamò nel 1520 il suo maestro Le
Fèvre d'Étaples, che nominò vicario generale: B. e Le Fèvre avevano in mente
un progetto di riforma all'interno, pur accettandone la gerarchia, della
Chiesa cattolica: introdussero l'uso del francese nella liturgia,
distribuirono traduzioni delle Sacre Scritture ai fedeli e eliminarono tutte
le immagini sacre, eccetto quelle di Gesù Cristo. Ma nel 1525,
approfittando della prigionia del re Francesco I, catturato dall'imperatore
Carlo V (1519-1558) in seguito alla battaglia di Pavia, il partito
filo-cattolico nel parlamento francese fece processare B., accusato di eresia
da parte dei Cordigliari, francescani osservanti, anche a causa della
amicizia che egli concedeva ai studiosi umanisti, come lo stesso Le Fèvre e
Guillaume Farel. Tuttavia il rientro di Francesco I nel 1526 e la protezione
dell'influente sorella del re Margherita di Angoulême, diventata poi regina
di Navarra, scagionarono B. da ogni accusa. B. morì il 24 gennaio 1534 nel
castello di Aimans (Esmant) vicino a Montreau, in Borgogna. Tuttavia il
suo esperimento della chiesa riformata a Meaux durò solo fino al 1546, quando
l'inizio dei conflitti religiosi in Francia e le persecuzioni della
Controriforma decimarono i protestanti.
Brigantino, Fra Giuliano da
Colle Val d'Elsa (Giuliano da
Colle) (ca.1510-ca.1552)
Reggente dello Studio di San Giacomo
a Bologna fra il 1539 ed il 1542, fra Giuliano fece parte di quella
consistente schiera di predicatori agostiniani, soprattutto concentrati in
Lombardia, che si fecero carico della diffusione delle idee luterane in
Italia. B. fu ripreso più volte dal generale dell'ordine, che lo spostò di
sede ripetutamente, da Pavia a Milano, Ferrara, Padova, Venezia [dove
partecipò a riunioni di protestanti e valdesiani (seguaci, cioè, di Juan de
Valdes)], Vicenza ed infine Siena nel 1549. Nulla poté, però, contro il suo
arresto da parte dell'Inquisizione romana, in seguito ad una predica
quaresimale a Firenze nel 1552. Benché avesse ritrattato solennemente sul
pulpito del convento di Santo Spirito, fu ugualmente imprigionato e morì
nelle carceri dell'Inquisizione nello stesso anno.
Brötli,
Johannes (Hans), detto Panicellus (m. 1528)
Johannes (Hans) Brötli (in
svizzero-tedesco = panino, da cui il nome umanistico di Panicellus), unico
religioso svizzero che aderì al movimento anabattista di Zurigo fin dalle sue
origini nel 1523, era originario del cantone Grigioni, e al tempo dell'inizio
del movimento faceva l'aiuto parroco del villaggio di Zollikon, vicino a
Zurigo. A Zollikon B. si era pronunciato, nell'estate 1524, contro il
battesimo dei bambini e questa posizione fu seguita da Conrad Grebel,
fondatore del movimento anabattista, che si rifiutò di far battezzare suo
figlio, nato da poco. Nel cantone Zurigo B. rimase ed operò fino al 21
Gennaio 1525: in quella data infatti il consiglio cittadino, nell'ambito
delle misure contro gli anabattisti, ordinò l'espulsione dalla città e dal
cantone di tutti gli anabattisti non cittadini zurighesi, tra cui B.
stesso. B. allora si recò, con Wilhelm Reublin, a Hallau, nel cantone
Sciaffusa, dove fu così efficace nella sua predica da convincere quasi tutti
gli abitanti a farsi ribattezzare. Mentre era a Hallau, B. cercò come
Grebel, Reublin e Felix Mantz, di portare alla propria causa il principale
riformatore del cantone Sciaffusa, Sebastian Hofmeister
(Oconomus)(1476-1533). Questi, in un primo momento, sembrò essere infatti
convinto delle affermazioni degli anabattisti, soprattutto in tema di
battesimo degli infanti, ma in seguito si rivelò una delusione per il
movimento, preferendo schierarsi con Zwingli, anzi diventando anche uno dei
più feroci oppositori dell'anabattismo. Tuttavia, per quanto concerneva la
comunità anabattista di Hallau, le autorità di Sciaffusa non potevano fare
molto in quel momento a causa dell'appoggio dato al paese dalla vicina città
tedesca di Waldshut, centro anabattista, dove operavano Reublin e Balthasar
Hubmaier Ma nel 1525 gli Asburgo repressero l'anabattismo a Waldshut, facendo
venire meno la sua protezione sul paese di Hallau, i cui abitanti anabattisti
si diedero allora alla clandestinità. B. stesso e l'ebanista anabattista
Hans Rueger, che aveva avuto un certo ruolo nelle insurrezioni locali durante
la Guerra dei Contadini, furono catturati nel 1527 e Rueger fu decapitato
nello stesso anno. B. invece riuscì a fuggire, per essere poi catturato e,
secondo alcuni autori, bruciato sul rogo nel 1528.
Browne, Robert
(ca. 1550-1633) e Congregazionalisti o Indipendenti o Separatisti o
Brownisti
Brownisti o indipendenti o congregazionalisti Il
termine di Brownisti, dal nome del fondatore della setta Robert Browne, fu
comunemente usato per identificare gli Indipendenti o Separatisti
della Chiesa Anglicana prima del 1620. I seguaci di Browne furono denominati
anche congregazionalisti, in quanto credevano nella indipendenza ed autonomia
di ciascuna congregazione di fedeli e ciò in contrasto con le due altre
anime del protestantesimo inglese: Gli episcopali, la linea principale
della Chiesa Anglicana, convinti della necessità di preservare le figure dei
vescovi ed arcivescovi, e I presbiteriani, principale filone del puritanesimo
inglese, che prediligevano una amministrazione della Chiesa basata su un
governo centrale di presbiteri, cioè gli anziani, sia chierici che laici,
simile a quello sviluppato dai presbiteriani in Scozia, sotto la guida di
Andrew Melville.
La vita Robert Browne nacque a Tolethorpe Hall,
vicino a Stamford, nella contea inglese del Lincolnshire, nel 1550 circa, da
una antica e benestante famiglia e compì i suoi studi universitari a
Cambridge dal 1570 al 1573, ottenendo un baccalaureato in arti nel 1572
presso il Corpus Christi College. A Cambridge B. fece amicizia con il più
anziano compagno d'università Robert Harrison (m. 1585) ed ambedue rimasero
profondamente influenzati dagli scritti, di ispirazione calvinista, del
teologo puritano Thomas Cartwright, sospeso dal proprio incarico, pochi anni
prima, a causa delle sue idee anti-episcopali, dal vice-cancelliere
dell'università, John Whitgift (ca. 1530-1604), futuro arcivescovo di
Canterbury. Dopo il baccalaureato, B. ritornò al Tolethorpe Hall, dove
diventò il preside della locale scuola, ma in seguito si mise nei guai per
aver predicato senza permesso in alcune chiese di Cambridge e di Londra e
fu imprigionato. In seguito venne scarcerato grazie alle sue
conoscenze altolocate: infatti il Lord Gran Tesoriere, William Cecil, Barone
di Burghley (1520-1598) era un suo parente e negli anni successivi
dovette intervenire spesso per tirare B. fuori dai guai. Nel 1580 B.
decise di trasferirsi a Norwich, dove, insieme a Harrison, divenuto nel
frattempo Direttore dell'Ospedale Maggiore Saint Giles di Norwich, fondò nel
1581 la prima congregazione religiosa indipendente. Questo atto fu criticato
da Edmund Freake (m. 1591), vescovo di Norwich, che li fece imprigionare con
l'accusa di predicare senza una licenza. Nuovamente fatti liberare da Lord
Burghley, B. e Harrison decisero di trasferire la comunità in Olanda, a
Middleburg, nella regione dello Zealand. Qui B. diede alle stampe nel 1582 i
suoi due e più famosi trattati (soprattutto il primo): A Treatise of
Reformation without Tarrying for Anie (Un trattato di Riforma senza aspettare
alcuno), nel quale ribadiva il diritto della Chiesa di operare le opportune
riforme senza attendere il permesso delle autorità civili, e A Booke which
sheweth the life and manners of all True Christians (Un libro che mostri la
vita e i modi di tutti i veri cristiani), che enunciava la teoria
dell'indipendenza delle congregazioni religiose. Nel 1583 copie delle opere
di B. iniziarono a circolare in Inghilterra, scatenando una violenta
reazione. Fu infatti emanato un proclama contro gli scritti di B. e contro
coloro che li diffondessero: due seguaci della congregazione di Norwich, John
Copping e Elias Thacker pagarono con la loro vita sulla forca la sfida alle
autorità. Tuttavia anche nella congregazione di Middleburg si evidenziarono
dei problemi: infatti a causa di reciproche accuse alle rispettive mogli,
si ruppe l'amicizia con Harrison e B. decise di trasferirsi via mare in
Scozia con i propri seguaci nel gennaio 1584. Rimasto solo, Harrison continuò
a gestire la comunità fino alla sua morte avvenuta circa due anni dopo,
nel 1585. Ma neanche in Scozia B. ebbe vita facile: la sua presenza a
Edimburgo, Dundee e Saint Andrews venne ben presto segnalata alle autorità
religiose presbiteriane e fu quindi imprigionato. Stanco e deluso da questa
esperienza di soli pochi mesi, dopo il rilascio decise di ritornare in
Inghilterra nell'estate del 1584, ponendo la sua residenza a Stamford, vicino
al suo paese natale. Nuovamente fu accusato di scrivere e pubblicare fuori
legge e fu inquisito ed arrestato diverse volte, ma sempre liberato
per intercessione di Lord Burghley. Tuttavia nel 1586 successe il fatto
più grave: a cause delle sue ennesime prediche senza licenza, B. fu convocato
davanti al vescovo Howard di Peterborough, ma non essendosi presentato, fu
scomunicato. Probabilmente questo drastico provvedimento nei suoi confronti
gli fece capire la necessità di trovare un compromesso con la Chiesa
Anglicana. Quindi, con la solita intermediazione di Lord Burgley, B. abiurò
le sue precedenti dottrine nel novembre 1586. Ristabilito il suo
ruolo nell'establishment anglicano, B. fu nominato preside del liceo Saint
Olaves di Southwark, ruolo che occupò fino al 1591 con una credibile aderenza
ai principi della chiesa ufficiale, sebbene proprio vicino a Southwark
fu scoperta nell'ottobre 1587 una congregazione brownista, organizzata
dal reverendo John Greenwood, che, arrestato, rimase in prigione per sei anni
e nel 1593 venne impiccato. Tuttavia B. aveva ormai sviluppato delle idee
diverse da quelle della sua gioventù e contro Greenwood e il suo confratello
Henry Barrow, scrisse nel 1587-88 il polemico Reproofe of certaine
schismalical persons and their doctrine touching the hearing and preaching of
the word of God (Riprova di certe persone scismatiche e delle loro dottrina
riguardante l'ascolto e la predica della parola di Dio). Nel 1591 B. fu
ordinato e gli fu offerto il beneficio della parrocchia di Achurch cum Thorpe
a Stamford, parte dei possedimenti dell'onnipresente Lord Burghley. Qui B.
rimase fino alla sua morte avvenuta nel 1633, all'età di 83 anni. Anche
l'episodio che condusse alla sua morte fu piuttosto significativo della
perenne sfida da lui lanciata contro l'autorità costituita: litigò infatti
con un gendarme, volarono parole grosse ed anche qualche pugno, e l'anziano
fondatore del Congregazionalismo si trovò rinchiuso nel carcere
di Northampton, dove morì appunto nell'ottobre 1633.
Browne,
Robert (ca. 1550-1633) e Congregazionalisti o Indipendenti o Separatisti o
Brownisti
Brownisti o indipendenti o congregazionalisti Il
termine di Brownisti, dal nome del fondatore della setta Robert Browne, fu
comunemente usato per identificare gli Indipendenti o Separatisti
della Chiesa Anglicana prima del 1620. I seguaci di Browne furono denominati
anche congregazionalisti, in quanto credevano nella indipendenza ed autonomia
di ciascuna congregazione di fedeli e ciò in contrasto con le due altre
anime del protestantesimo inglese: Gli episcopali, la linea principale
della Chiesa Anglicana, convinti della necessità di preservare le figure dei
vescovi ed arcivescovi, e I presbiteriani, principale filone del puritanesimo
inglese, che prediligevano una amministrazione della Chiesa basata su un
governo centrale di presbiteri, cioè gli anziani, sia chierici che laici,
simile a quello sviluppato dai presbiteriani in Scozia, sotto la guida di
Andrew Melville.
La vita Robert Browne nacque a Tolethorpe Hall,
vicino a Stamford, nella contea inglese del Lincolnshire, nel 1550 circa, da
una antica e benestante famiglia e compì i suoi studi universitari a
Cambridge dal 1570 al 1573, ottenendo un baccalaureato in arti nel 1572
presso il Corpus Christi College. A Cambridge B. fece amicizia con il più
anziano compagno d'università Robert Harrison (m. 1585) ed ambedue rimasero
profondamente influenzati dagli scritti, di ispirazione calvinista, del
teologo puritano Thomas Cartwright, sospeso dal proprio incarico, pochi anni
prima, a causa delle sue idee anti-episcopali, dal vice-cancelliere
dell'università, John Whitgift (ca. 1530-1604), futuro arcivescovo di
Canterbury. Dopo il baccalaureato, B. ritornò al Tolethorpe Hall, dove
diventò il preside della locale scuola, ma in seguito si mise nei guai per
aver predicato senza permesso in alcune chiese di Cambridge e di Londra e
fu imprigionato. In seguito venne scarcerato grazie alle sue
conoscenze altolocate: infatti il Lord Gran Tesoriere, William Cecil, Barone
di Burghley (1520-1598) era un suo parente e negli anni successivi
dovette intervenire spesso per tirare B. fuori dai guai. Nel 1580 B.
decise di trasferirsi a Norwich, dove, insieme a Harrison, divenuto nel
frattempo Direttore dell'Ospedale Maggiore Saint Giles di Norwich, fondò nel
1581 la prima congregazione religiosa indipendente. Questo atto fu criticato
da Edmund Freake (m. 1591), vescovo di Norwich, che li fece imprigionare con
l'accusa di predicare senza una licenza. Nuovamente fatti liberare da Lord
Burghley, B. e Harrison decisero di trasferire la comunità in Olanda, a
Middleburg, nella regione dello Zealand. Qui B. diede alle stampe nel 1582 i
suoi due e più famosi trattati (soprattutto il primo): A Treatise of
Reformation without Tarrying for Anie (Un trattato di Riforma senza aspettare
alcuno), nel quale ribadiva il diritto della Chiesa di operare le opportune
riforme senza attendere il permesso delle autorità civili, e A Booke which
sheweth the life and manners of all True Christians (Un libro che mostri la
vita e i modi di tutti i veri cristiani), che enunciava la teoria
dell'indipendenza delle congregazioni religiose. Nel 1583 copie delle opere
di B. iniziarono a circolare in Inghilterra, scatenando una violenta
reazione. Fu infatti emanato un proclama contro gli scritti di B. e contro
coloro che li diffondessero: due seguaci della congregazione di Norwich, John
Copping e Elias Thacker pagarono con la loro vita sulla forca la sfida alle
autorità. Tuttavia anche nella congregazione di Middleburg si evidenziarono
dei problemi: infatti a causa di reciproche accuse alle rispettive mogli,
si ruppe l'amicizia con Harrison e B. decise di trasferirsi via mare in
Scozia con i propri seguaci nel gennaio 1584. Rimasto solo, Harrison continuò
a gestire la comunità fino alla sua morte avvenuta circa due anni dopo,
nel 1585. Ma neanche in Scozia B. ebbe vita facile: la sua presenza a
Edimburgo, Dundee e Saint Andrews venne ben presto segnalata alle autorità
religiose presbiteriane e fu quindi imprigionato. Stanco e deluso da questa
esperienza di soli pochi mesi, dopo il rilascio decise di ritornare in
Inghilterra nell'estate del 1584, ponendo la sua residenza a Stamford, vicino
al suo paese natale. Nuovamente fu accusato di scrivere e pubblicare fuori
legge e fu inquisito ed arrestato diverse volte, ma sempre liberato
per intercessione di Lord Burghley. Tuttavia nel 1586 successe il fatto
più grave: a cause delle sue ennesime prediche senza licenza, B. fu convocato
davanti al vescovo Howard di Peterborough, ma non essendosi presentato, fu
scomunicato. Probabilmente questo drastico provvedimento nei suoi confronti
gli fece capire la necessità di trovare un compromesso con la Chiesa
Anglicana. Quindi, con la solita intermediazione di Lord Burgley, B. abiurò
le sue precedenti dottrine nel novembre 1586. Ristabilito il suo
ruolo nell'establishment anglicano, B. fu nominato preside del liceo Saint
Olaves di Southwark, ruolo che occupò fino al 1591 con una credibile aderenza
ai principi della chiesa ufficiale, sebbene proprio vicino a Southwark
fu scoperta nell'ottobre 1587 una congregazione brownista, organizzata
dal reverendo John Greenwood, che, arrestato, rimase in prigione per sei anni
e nel 1593 venne impiccato. Tuttavia B. aveva ormai sviluppato delle idee
diverse da quelle della sua gioventù e contro Greenwood e il suo confratello
Henry Barrow, scrisse nel 1587-88 il polemico Reproofe of certaine
schismalical persons and their doctrine touching the hearing and preaching of
the word of God (Riprova di certe persone scismatiche e delle loro dottrina
riguardante l'ascolto e la predica della parola di Dio). Nel 1591 B. fu
ordinato e gli fu offerto il beneficio della parrocchia di Achurch cum Thorpe
a Stamford, parte dei possedimenti dell'onnipresente Lord Burghley. Qui B.
rimase fino alla sua morte avvenuta nel 1633, all'età di 83 anni. Anche
l'episodio che condusse alla sua morte fu piuttosto significativo della
perenne sfida da lui lanciata contro l'autorità costituita: litigò infatti
con un gendarme, volarono parole grosse ed anche qualche pugno, e l'anziano
fondatore del Congregazionalismo si trovò rinchiuso nel carcere
di Northampton, dove morì appunto nell'ottobre 1633.
Brucioli,
Antonio (1497-1566)
La vita Il letterato Antonio Brucioli,
nato a Firenze nel 1497, si formò culturalmente nel circolo spiritualista
platonico degli Orti Oricellari [frequentato anche da Niccolò Machiavelli
(1469-1527)], e ben presto divenne noto per il suo anticlericalismo contro
gli abusi e la corruzione delle strutture ecclesiastiche un concetto caro a
Girolamo Savonarola (esempio di riformatore per B.), e per le sue simpatie
verso le dottrine luterane, sviluppatesi in seguito a suoi viaggi a Lione e
in Germania. Il 16 maggio 1527 Firenze insorse, cacciando il duca Alessandro
de' Medici (duca 1525-1527 e 1530-1537), pronipote di Lorenzo il Magnifico,
al potere dal 1525, e B. esultò per la decisione, convinto, com'era, che solo
le autorità repubblicane del Comune potessero restaurare un rigore morale
e dare l'avvio ad una seria riforma politica e religiosa. Tuttavia, due
anni dopo, il 5 giugno 1529, lo stesso B., pur essendo un convinto
antimediceo, fu esiliato per due anni, per le sue convinzioni religiose:
Benedetto Varchi scrisse che aveva letto "ad alcuni giovani le cose di Martin
Lutero publice", ma pare che avesse anche rinnegato le sue antiche simpatie
per Savonarola. B. andò quindi ad abitare a Venezia, dove suo fratello
Francesco aveva impiantato una tipografia, e nel 1530 egli fece pubblicare in
italiano (clamorosamente non da parte del fratello, ma dallo stamperia Eredi
di Lucantonio Giunti) il suo famosissimo Il Nuovo Testamento di
greco nuovamente tradotto in lingua toscana, seguito dall'intera Biblia,
quale contiene i sacri libri del Vecchio Testamento nel 1532. La
popolarità assunta dalla sua versione delle Sacre Scritture presso
vasti strati della popolazioni e presso le corti di Mantova, Urbino e Ferrara
gli permise di usufruire di potenti protezioni da parte della duchessa
di Ferrara Renata d'Este (alla cui figlia, Anna, B. dedicò la versione del
1538 della sua Bibbia), ma soprattutto della duchessa di Urbino Eleonora
Gonzaga (1493-1550), sorella del cardinale Ercole Gonzaga (1505-1563), alla
quale B. dedicò il commento al Libro di Iesaia profeta nel 1537 e i
Dialoghi metafisicali nel 1538. A Venezia, oltre a scrivere, B. esercitava
il mestiere di libraio, e, in questa funzione, poté procurare e pubblicare
opere dei più famosi riformatori tedeschi, come Lutero, Bucero o Melantone,
ad intellettuali come il concittadino Pier Francesco Riccio, con cui si
manteneva in contatto epistolare. Nel 1547 B. si incaricò di far stampare
una edizione del famoso libro di Francesco Negri, la Tragedia intitolata
libero arbitrio, ma, ad iniziare dall'anno successivo egli fu più volte
sottoposto a processi da parte dell'Inquisizione, nonostante che, da un punto
di vista religioso, B. avesse adottato un rigoroso nicodemismo ed almeno
formalmente non avesse mai abbandonato il Cattolicesimo. Nel 1558, però, egli
fu costretto all'abiura pubblica delle sue idee, ma poiché era comunque
rimasto influenzato dall'opera teologica di Lutero, fu comunque inquisito
nuovamente nel 1559. Infine B. morì, pare in notevole indigenza, nel 1566 a
Venezia.
La Bibbia Come già detto, B. pubblicò, rispettivamente
nel 1530 e 1532, le sue popolarissime versioni del Nuovo e Antico Testamento,
in quanto desiderava che la Bibbia fosse resa accessibile alla gente del
popolo. Ed, in effetti questa versione di B., ristampata più volte tra il
1540 ed il 1546 ed accompagnata da un ponderoso commentario, fu uno dei più
efficaci mezzi di diffusione della Riforma in Italia. Per il testo
utilizzato, nonostante egli affermasse di aver tradotto partendo dalle
Scritture originali in greco, sembra invece che la versione del Vecchio
Testamento del B. si basi sulla traduzione latina dell'orientalista Sante
Pagnino (1470-1541), mentre per il Nuovo Testamento egli abbia usufruito
della versione latina di Erasmo da Rotterdam.
Bruno, Giordano
(1548-1600)
La gioventù Il famoso filosofo Giordano Bruno (il
nome di battesimo era Filippo, ma lo cambiò in Giordano quando entrò
nell'ordine dei domenicani) nacque nel gennaio (o febbraio) 1548 a Nola, in
provincia di Napoli, dal gentiluomo (dedito alla carriera militare) Giovanni
Bruno e da Fraulissa (o Fraulisa) Savolino, modesta proprietaria terrena. A
Nola B. frequentò il ginnasio locale e nel 1560 si trasferì allo Studio, un
liceo di Napoli, dove studiò lettere, logica, dialettica e filosofia
aristotelica [quest'ultima sotto l'agostiniano Fra Teofilo da Vairano (m.
1578)]. Nel 1565 B. entrò come novizio nel convento domenicano di San
Domenico Maggiore, dove il 16 giugno 1566 prese i voti, diventando professo.
Come già detto, in questa occasione egli prese il nome di fra Giordano. A
San Domenico B. si fece notare per le sue capacità mnemoniche, tant'è che nel
1568-69 venne invitato a Roma da Papa Pio V (1566-1572), al quale dedicò la
sua prima opera (andata perduta) L'arca di Noé. Nel periodo 1568-72
egli proseguì i suoi studi di logica e filosofia e nel 1572 venne
ordinato sacerdote. Nello stesso anno si iscrisse al corso di Teologia presso
lo Studio, dal quale uscì laureato nel luglio 1575. In questo periodo B.
coltivò la lettura di autori alquanto off-limits per un convento, come
Raimondo Lullo (1235-1315), testi di cabala, neoplatonici come Plotino
(205-270), Porfirio (ca. 233-305), Giamblico (ca. 245-ca. 325) e Proclo (ca.
410-485) fino a Nicola Cusano (1401-1464), del quale B. apprezzò il tentativo
di conciliare tradizione magica neoplatonica e Cristianesimo, e al grande
Erasmo da Rotterdam, con il quale condivise la critica alla Chiesa
cattolica.
B. abbandona la tonaca All'inizio del 1576 la crisi:
trascinato in un violento battibecco con un confratello, B. venne accusato di
arianesimo e di antitrinitarismo, ma egli non attese il processo a suo
carico, preferendo invece fuggire a Roma, presso il convento di Santa Maria
sopra Minerva, dove però, alla fine del marzo 1576, si mise ancora nei guai,
essendo stato accusato di aver provocato la morte di un frate domenicano,
testimone nel suo processo napoletano. B. allora prese la decisione di
gettare la tonaca e dirigersi verso il nord Italia, a Genova, Noli, Savona,
Torino e Venezia, dove venne pubblicato un'altra sua opera perduta, il
trattato astrologico De' segni de' tempi. Nella vicina Padova si rivestì con
la tonaca (probabilmente per puri motivi di opportunità), recandosi a
Brescia, Bergamo, Milano, ed infine a Chambery, nella Savoia, dove svernò nel
1578-79 per poi proseguire per Ginevra nella primavera 1579.
B. a
Ginevra Nella città svizzera, B. venne subito avvicinato dal marchese di
Vico, Galeazzo Caracciolo, capo della comunità degli esuli religiosi
italiani, che cercò di convincere B. a convertirsi alla religione calvinista,
al cui credo pare che B. aderisse per un certo periodo. Tuttavia il soggiorno
ginevrino venne guastato da un clamoroso incidente di percorso con il
professore di filosofia dell'Accademia Antoine De la Faye (1540-1615), alle
cui lezioni il filosofo nolano aveva assistito. In uno scritto polemico, B.,
vero esperto del pensiero aristotelico, contestò ben 20 errori commessi in
una sola lezione da De la Faye, vera e propria imprudenza perché
quest'ultimo, molto immanicato politicamente presso l'establishment
calvinista, fece arrestare B. e il nostro poté cavarsela, il 27 agosto 1579,
solo con un penoso atto di pentimento pubblico, seguito dalla distruzione
pubblica, a cura dello suo stesso autore, dello scritto polemico. Scontata
l'umiliante pena, B. lasciò immediatamente Ginevra per Tolosa, in Francia,
dopo aver transitato da Lione.
B. in Francia A Tolosa B. rimase
per circa venti mesi, divenendo lettore pubblico di filosofia e scrivendo un
commento al Tractatus de sphaera mundi dell'astronomo agostiniano Johannes de
Sacrobosco (1195-1256), ma fu costretto nel 1581 a lasciare Tolosa a causa
della guerra civile tra cattolici e ugonotti e, mediante un viaggio
avventuroso e pieno di pericoli, si recò a Parigi. Qui egli tenne un ciclo di
trenta lezioni alla Sorbona sugli attributi divini secondo Tommaso d'Aquino
(1221-1274), che suscitarono l'ammirazione del re francese Enrico III
(1574-1589), al quale B. dedicò il suo De umbris idearum, un testo di arte
mnemotecnica, ispirata alle dottrine del francescano Raimondo Lullo
(1235-1315). Il periodo molto favorevole per B. gli permise di poter scrivere
e pubblicare diversi altri trattati di mnemotecnica, come Cantus circaeus e
De compendiosa architectura et complemento artis Lullii, oltre alla commedia
in lingua italiana Il candelaio.
B. in Inghilterra Nell'aprile
1583, al seguito dell'ambasciatore Michel di Castelnau (1520-1592), signore
di Mauvissière, B. si recò in Inghilterra, a Londra, dove, secondo lo storico
John Bossy, svolse attività di spionaggio, sotto lo pseudonimo di Henry
Fagot, al servizio di Sir Francis Walshingham (m.1590) proprio contro
l'ambasciatore francese. Comunque, a parte questo episodio alquanto oscuro,
in Inghilterra B. conobbe diversi personaggi famosi dell'epoca, come la
stessa regina Elisabetta I (1558-1603), John Dee, il nobile polacco Albert
Laski (m. 1605), nipote del riformatore Jan Laski, e il poeta Sir Philip
Sidney (1554-1586), del quale divenne amico, dedicandogli la sua famosa opera
Spaccio della bestia trionfante. Pubblicò inoltre altre opere fondamentali
come Ars reminiscendi, Explicatio tringinta sigillorum, Sigillus sigillorum,
De la causa, principio et uno, De infinito, universo et mondi, La cabala del
cavallo pegaseo con l'aggiunta dell'asino cillenico e Degli eroici furori
(anche quest'ultima dedicata a Sidney). B. si recò anche ad Oxford, dove però
si scontrò con il teologo inglese, e futuro vescovo di Oxford, John Underhill
(ca. 1545-1592) in un dibattito sulla filosofia aristotelica, degenerata ben
presto in una rissa verbale. Nonostante l'incidente egli venne accettato come
docente di filosofia, tuttavia non era destino egli rimanesse per troppo
nella città universitaria: infatti alla terza sua lezione imperniata sulle
teorie copernicane, venne tacciato di plagio nei confronti di Marsilio
Ficino (1433-1499) e invitato ad andarsene. Il filosofo nolano,
offesissimo, lasciò Oxford per tornare a Londra, ma anche qui fu protagonista
di un ennesimo episodio di scontro con i cattedratici inglesi. Infatti,
durante una cena presso il nobile Sir Fulke Greville (1554-1628), il 15
febbraio 1584 (Mercoledì delle ceneri), egli entrò in polemica sulle sue idee
sull'universo con due professori di Oxford, tali Torquato e Nundinio
[pseudonimi probabilmente del medico George Turner (1565-1610) e del
sopramenzionato John Underhill], A dir la verità, furono proprio questi
ultimi a provocare la rissa: il tutto venne descritto in uno dei suoi più
famosi libri La Cena delle ceneri, fortemente caustico nei confronti della
realtà inglese del momento. La pubblicazione dell'opera provocò una tale
reazione a catena (compresa la devastazione dell'ambasciata francese) da
costringere B. a ritornare in Francia nell'ottobre 1585.
B.
nuovamente in Francia Ma in Francia la situazione politica era cambiata: la
tensione tra cattolici e ugonotti era alle stelle e i Duchi cattolici di
Guisa guidavano la Santa Unione, o Lega, opponendosi al re Enrico III, che
aveva nominato suo erede al trono, nel 1584, il cognato protestante Enrico di
Borbone. Da lì a poco il confronto sarebbe sfociato in tragedia con la fuga
del re da Parigi nel maggio 1588, l'assassinio, su ordine del re, dei Duchi
di Guisa nel dicembre 1588, e la morte del sovrano stesso, ucciso a sua volta
dal pugnale di un fanatico domenicano, Jacques Clément, nell'agosto
1589. B. rimase in Francia solo nove mesi, ma in questo periodo il suo
spirito indomitamente polemico gli procurò altri guai in almeno due
occasioni: quando insultò un protetto dei cattolici Guisa, il matematico
salernitano Fabrizio Mordente, inventore del compasso differenziale, al quale
dedicò il sarcastico dialogo Idiota triumphans seu de Mordentio inter
geometras deo [il litigio era nato da una presentazione non molto lusinghiera
di B. (Dialogi duo de Fabricii mordentis salernitani prope divina
adinventione ad perfectam cosmimetria praxim) sull'invenzione del Mordente],
e quando pubblicò l'opuscolo anti-aristotelico Centum et viginti articuli de
natura ed mundo adversos peripateticos, suscitando la reazione risentita
dei cattedratici francesi del Collège de Cambrai, anche se la
paternità dell'opera fu prudentemente occultata come farina del sacco del
suo principale allievo, Jean Hennequin.
B. in Germania e in
Boemia Nuova emigrazione dell'inquieto filosofo, questa volta in Germania,
nel giugno 1586: dopo una veloce passata a Marburg (dove ebbe tempo di
litigare con il rettore dell'università, Petrus Nigidius!), B. arrivò a
Wittenberg nell'agosto 1586 e qui egli insegnò filosofia all'università per
due anni e poté pubblicare diverse opere, come De lampada combinatoria
lulliana, De progressu et lampada venatoria logicorum, Artificium
perorandi, Animadvertiones circa lampadem lullianam e Lampas tringinta
statuarum. Ma nel 1588 egli decise di lasciare Wittenberg per le mutate
condizioni religiose: infatti al luterano Augusto I, principe elettore di
Sassonia (1541-1586), era succeduto il figlio Cristiano I (1586-1591), che
aveva nominato suo cancelliere Nicholas Crell (o Krell), il cui pensiero
religioso era allineato con la dottrina dei filippisti, seguaci di Philipp
Melantone, cioè una forma di cripto-calvinismo con simpatie verso alcuni
punti della dottrina di Giovanni Calvino. Grazie al suo potere, Crell
favorì la promozione di calvinisti a posizioni di rilievo e prestigio: la
perdita dei riferimenti luterani accelerò la decisione del nolano di
abbandonare Wittenberg, dopo una dotta orazione d'addio (Oratio valedictoria)
pronunciato l'8 marzo 1588 davanti ai professori e studenti della locale
università. Si recò allora a Praga, dove fece pubblicare i suoi Articuli
centum et sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque
philosophos, dedicati all'imperatore Rodolfo II (1576-1612). Questi donò a B.
una borsa di 300 talleri, ma non un incarico all'università al quale il
filosofo ambiva, ragione per cui B. decise di emigrare nuovamente, questa
volta ad Helmstadt, nel ducato del Braunschweig (Brunswick), dove poté
insegnare, dal gennaio 1589, come libero docente all'Accademia Giulia,
fondata dal duca Julius von Braunschweig-Wolfenbuttel (1568-1589), alla morte
del quale B. scrisse la Oratio consolatoria. Almeno formalmente egli aderì,
in questo periodo, al luteranesimo, ma ciò non impedì al sovrintendente della
locale Chiesa luterana Gilbert Voët (da non confondere con il teologo
olandese calvinista Gisbert Voët) di scomunicarlo, ufficialmente per
filo-calvinismo, ma più probabilmente per espressioni ingiuriose che B. aveva
pronunciato contro il pastore stesso. La scomunica luterana (quindi, dopo
quella cattolica e calvinista, anche l'ultima delle tre maggiori confessioni
cristiane occidentali lo aveva scomunicato!) non impedì a B. di continuare a
vivere a Helmstadt, anche per la benevolenza del nuovo duca Heinrich Julius
(1589-1613), fino alla primavera 1590 e di concepire qui i suoi trattati
sulla magia, come De magia, Theses de magia, De rerum principiis et elementis
et causis, Medicina lulliana e De magia mathematica. Il 2 giugno 1590 B.
giunse a Francoforte, ma la richiesta di un permesso di soggiorno venne
respinta dal senato della città, e quindi il filosofo alloggiò
provvisoriamente presso un convento di carmelitani. Riuscì comunque a
pubblicare la sua importante trilogia di trattati filosofici in latino
(De triplice minimo et mensura, De monade, numero et figura e De
innumerabilis, immenso et infigurabili seu de universo et mundis), dedicati
al duca Heinrich Julius, e, dopo aver passato l'inverno a Zurigo come
docente privato di filosofia, rientrò a Francoforte nella primavera 1591 per
curare la pubblicazione del De imaginum, signorum et idearum compositione,
una rivisitazione dei suoi testi sulla mnemotecnica. Nella città tedesca egli
fu raggiunto dalla lettera del nobile veneziano Giovanni Mocenigo, che
lo invitava a recarsi a Venezia per insegnare l'arte della memoria. B.
accettò e nell'agosto 1591 partì alla volta dell'Italia.
B.
ritorna in Italia Perché il più volte scomunicato B. abbia accettato di
rientrare in Italia è stato oggetto di approfondite analisi di critici e
storici e varie sono le ipotesi formulate: A livello europeo, B. era
oramai isolato ed era stato scomunicato ripetutamente, mentre, d'altra parte,
Venezia era nota per una certa autonomia ed indipendenza decisionale nei
confronti del potere papale. Il Mocenigo aveva offerto denaro e ospitalità
per poter ricevere lezioni sull'arte mnemotecnica (anche se il suo principale
intendimento era di essere iniziato alle arti occulte) e gli estimatori
generosi di B. non erano poi così numerosi. Nella vicina Padova era
vacante la prestigiosa cattedra di matematica e le esperienze di Oxford,
Praga e Francoforte avevano mostrato a B. come era difficile vivere senza una
rendita fissa. Ma alcuni autori ipotizzano che B. si sentisse addirittura
investito di una missione: realizzare praticamente la nuova visione dell'uomo
in senso panteistico e magico e finalmente mondato dal dogmatismo e
dall'intolleranza della Chiesa. Comunque nell'agosto 1591 B. giunse a
Venezia, e dopo tre mesi si recò a Padova, dove cercò inutilmente di ottenere
la cattedra di matematica e dove, con l'aiuto del suo discepolo Jerome Besler
(1566-1632), scrisse il De vinculis in genere e Lampas triginta
statuarum. Ritornato a Venezia, B. snobbò e trascurò il lavoro di precettore
del Mocenigo, un nobile sì ma di scarsa cultura, che, come già detto,
era probabilmente più interessato alle arti occulte, che a quelle
mnemotecniche. Deluso e sentendosi truffato, Mocenigo, dopo aver raccolto
delle informazioni sul suo conto presso un corrispondente a Francoforte,
fece arrestare B. la notte del 22 maggio 1592 e lo consegnò all'Inquisizione
con l'accusa di eresia e blasfemia. Nei due mesi successivi B. venne
sottoposto a 7 interrogatori (o costituti), al termine dei quali B. chiese di
abiurare e di essere perdonato e i giudici veneziani sembravano perfino
favorevoli a questa soluzione.
B. a Roma: il processo e la
morte Tuttavia il Santo Uffizio romano chiese a gran voce, il 12 settembre,
la sua estradizione: questo primo tentativo fu respinto dai giudici
veneziani, ma nulla essi poterono contro una seconda richiesta, motivata dal
fatto che B. comunque non era cittadino veneziano. Il 27 febbraio 1593 B. fu
dunque trasferito a Roma ed incarcerato nel palazzo del Santo Uffizio. I
successivi 7 anni si trascinarono in interminabili interrogatori (e probabili
torture, soprattutto dal 1597) da parte di una Congregazione composta da
sette cardinali e otto teologi, che dovettero anche studiare le sue
innumerevoli opere. Nel 1597, anno del rogo di Francesco Pucci e della
condanna di Tommaso Campanella, detenuti nella stessa prigione di B., nel
processo di quest'ultimo subentrò il cardinale gesuita Roberto Bellarmino
(1542-1621) (futuro persecutore di Galileo Galilei e del Campanella), il
quale nel 1599 enucleò le seguenti otto proposizioni di B. ritenute eretiche
dalla Chiesa: 1) L'anima mundi e la materia prima sono i due principi eterni
delle cose, 2) Da una causa infinita deve derivare un infinito effetto, 3)
Non esiste l'anima individuale, 4) Nulla si crea e nulla si distrugge, 5)
La Terra si muove, 6) Gli astri sono angeli ed esseri animati, 7) La Terra
è dotata di un'anima sensitiva e razionale, 8) L'anima non è la forma del
corpo dell'uomo. Dal 18 gennaio 1599 tra B. e gli inquisitori iniziò una
complessa partita di scacchi, basata su accuse, ripensamenti, colpi di scena
e quant'altro. Inizialmente gli venne richiesto ufficialmente di abiurare:
egli cercò dapprima di prendere tempo, e perfino cedette in febbraio per poi
inviare un memoriale difensivo in aprile. Si pensò di utilizzare nuovamente
la tortura, quando, il 10 settembre, egli dichiarò di volersi sottomettere
alla Chiesa, salvo poi rimettere in discussione solo una settimana dopo. Ma
la situazione precipitò dopo la denuncia di un anonimo che il principale
bersaglio della sua opera Lo spaccio de la bestia trionfante fosse il
papa. L'irrigidimento di ambedue le posizioni portarono infine alla
inevitabile condanna a morte di B. l'8 febbraio 1600 ed in quella occasione
egli pronunciò la famosa frase: Forse con maggiore timore pronunciate contro
di me la sentenza, di quanto ne provi io nel riceverla. La mattina del 17
febbraio 1600 egli venne condotto a Campo dei Fiori, dove venne spogliato dei
vestiti, fu issato sul rogo, gli fu impedito di parlare con una mordacchia in
legno e infine fu bruciato vivo, in quanto impenitente (quelli che si
pentivano venivano strozzati prima del rogo). 300 anni dopo, il 9 giugno
1899, nonostante fortissime resistenze cattoliche, venne inaugurato il
monumento a lui dedicato in Campo dei Fiori: fu un'occasione di riunione
delle anime anticlericali dell'Italia umbertina, massoni, repubblicani,
radicali, positivisti, tutti debitori di questo martire del libero pensiero
filosofico e scientifico.
Il pensiero Il complesso pensiero di B.
è stato per molti anni circoscritto all'ambito ermetico, un po' equivocando
sul termine di "mago" e molto grazie ai lavori della studiosa inglese Francis
Yates. Riscoperto recentemente, il pensiero di B. è una miscela di filosofia
antiaristotelica, magia naturale (la magia divina, in contrasto con la magia
diabolica), religione naturale, mnemotecnica e panpsichismo (il mondo è vivo
e sensibile, come anche per Bernardino Telesio e Tommaso
Campanella). L'universo aristotelico finito e diviso in sfere celesti stava
stretto a B., che contrapponeva un universo infinito e unico. Secondo B., la
natura animata del mondo (anima mundi), secondo un concetto
tipicamente neoplatonico, presenta due aspetti: la forma e la materia. La
forma è l'anima universale e la sua principale facoltà, l'intelletto, muove
la materia (materia prima) dall'interno. E' quindi logico che egli si
appassionasse alle teorie astronomiche di Niccolò Copernico (1473-1543),
sebbene non fosse tanto la loro portata scientifica che lo interessava, bensì
le speculazioni filosofiche che ne potevano derivare: l'infinito superava
perfino il concetto copernicano di eliocentrismo e univa tutto, anche gli
opposti, che, nell'unità dell'infinito, coincidevano l'uno nell'altro, un
concetto caro ad un autore molto amato da B., cioè Nicola
Cusano. L'attacco ai metodi lenti e metodici della scolastica aristotelica
B. lo portò sviluppando l'arte della mnemotecnica, un tecnica rapida e
quasi "magica" per impossessarsi del sapere. E questo sapere se ne
impossessa l'eroico e furioso ricercatore della verità, che ubbidisce
solamente all'istinto della razionalità nella sua cerca della vera
conoscenza, cioè il concetto del principio unico, da cui generano tutte le
specie e tutti i numeri. Quindi la religione propugnata da B. è una religione
razionale o naturale, privo di quel dogmatismo, intransigenza, ignoranza,
ipocrisia, fede cieca ed inconsapevole, tipici delle confessioni cristiane
dell'epoca, che l'avevano perseguitato per tutta la sua vita e che, alla
fine, l'avevano portato sul rogo.
Lollardi (XIV-XV
secolo)
Il nome di lollardi venne dato ai seguaci di John
Wycliffe e contraddistinse un movimento eretico inglese del XIV e XV
secolo.
Origine del nome L'origine del nome è incerta: pare
dall'olandese lollen, cantare o, secondo alcuni autori, il soprannome,
attribuito sarcasticamente ai lollardi dai loro avversari cattolici, deriva
dall'inglese to lollop, camminare goffamente o to loll, sedere
oziando.
Il movimento A dir la verità, negli anni di Wycliffe, il
termine di L. venne applicato a diversi movimenti di dissenzienti religiosi,
non necessariamente wycliffiti, come ad esempio i begardi, i fratelli del
libero spirito, i singoli cavalieri in rotta con l'autorità della Chiesa, i
parrocchiani che non volevano pagare le decime, i seguaci del visionario
gallese Walter Brute, ecc. Dopo la morte di Wycliffe nel 1384, divenne il
leader del movimento il suo segretario, John Purvey, che approfittò della
schizofrenia del tirannico re Riccardo II (1377- deposto 1399), per
rinforzare la posizione del movimento, protetto da diversi esponenti della
nobiltà. Egli giunse anche a presentare nel 1395 al Parlamento un progetto di
riforma della Chiesa inglese, che fu ovviamente respinto, in dodici punti,
che ricalcavano i precetti di Wycliffe. Ma, in seguito alla deposizione di
Riccardo da parte di Enrico di Lancaster (il figlio di Giovanni, il
protettore di Wycliffe), divenuto re Enrico IV (1399-1413), la situazione per
i L. cambiò radicalmente in peggio. Infatti Enrico, per ringraziarsi la
Chiesa, iniziò una energica azione di soppressione del movimento L.,
contrassegnata dall'Atto De Hæretico Comburendo (Del bruciare gli eretici)
del 1401, che permetteva ai vescovi di arrestare, imprigionare, torturare e
consegnare al braccio secolare gli eretici. Il primo L. a pagare con la
vita l'applicazione di questa legge fu il prete londinese William Sawtrey,
che dichiarò il suo rifiuto nel dogma della transustanziazione e
nell'autorità della Chiesa. Anche all'estero si reagì al movimento L.: in
particolare in Boemia, dove nel 1403 l'università di Praga condannò gli
scritti di Wycliffe, tradotte in boemo dai suoi seguaci. Nel 1408, il
grande avversario del movimento, l'arcivescovo di Canterbury Thomas Arundel,
stabilì in un sinodo ad Oxford le regole (costituzioni) per poter predicare
in pubblico, tradurre le Sacre Scritture e insegnare teologia nelle
scuole. Infine nel 1415 fu pronunciata postuma la condanna di Wycliffe per
eresia al Concilio di Costanza e nel 1428, dietro pressioni di Papa Martino
V (1417-1431), il suo corpo fu riesumato e bruciato sul rogo e le
ceneri sparse nel fiume Swift. Tuttavia, già da prima, nel 1414, i L.,
vista minacciata la loro sopravvivenza, avevano organizzato una insurrezione
armata per rapire il re Enrico V (1413-1422), sotto il comando di Sir John
Oldcastle, l'anno precedente processato e imprigionato per eresia, ma che era
riuscito a fuggire dalla famigerata Torre di Londra per mettersi a capo degli
insorti. La chiamata alle armi dei L. fu un vero insuccesso e ben pochi
risposero all'appello: secondo alcuni autori solo 300, di cui 80 furono
catturati. Di questi 69 (altri autori riportano 44) furono messi a morte.
Oldcastle riuscì a sfuggire alla cattura per 3 anni, finché non fu catturato
nel 1417 e impiccato su una forca sotto la quale bruciava un fuoco
lento. La persecuzione del movimento continuò per altri due decenni fino ad
un nuovo tentativo di insurrezione organizzato dal L. William Perkins,
represso nel sangue, nel 1431. I L. continuarono a sopravvivere, ma anche
essere perseguitati fino quasi all'avvento della Chiesa d'Inghilterra nel
1534: perfino durante il regno di Enrico VIII (1509-1547) ne furono bruciati
sul rogo 2 nel 1511 e 4 nel 1522. Nel 1523 furono infine fatti oggetto di un
elogio di Erasmo da Rotterdam, che li definì "conquistati, ma non estinti", e
negli anni successivi furono gradualmente riassorbiti dal Protestantesimo
inglese, di cui avevano promosso le idee due secoli prima.
Bruto,
Giovanni Michele (1517-1592)
La gioventù Il celebrato umanista
e storico Giovanni Michele Bruto nacque a Venezia nel 1517 da una antica
famiglia veneziana. Dopo aver compiuto gli studi giovanili a Venezia, B. si
iscrisse all'Università di Padova, nel 1539-40 circa, diventando allievo del
famoso grecista e latinista Lazzaro Buonamici (1471-1552), discepolo, a sua
volta, di Pietro Pomponazzi. Rientrato a Venezia, B. entrò nel convento
dell'ordine dei canonici regolari di S. Agostino [chiamati anche Canonici
Lateranensi dal loro breve soggiorno presso la basilica del Laterano durante
il pontificato di Eugenio IV (1431-1447)]. Tuttavia, poco dopo, egli poté
lasciare il convento grazie ad una dispensa: conobbe allora Pietro Antonio di
Capua, arcivescovo di Otranto, che lo introdusse ai circoli valdesiani e nel
1551 soggiornò presso il convento benedettino di Maguzzano sul Lago di Garda,
dove fece la conoscenza del cardinale inglese Reginald Pole e
dell'ecclesiastico italo-ungherese Andrea Dudith Sbardellati, del quale
divenne un buon amico.
Gli anni di peregrinazione attraverso
l'Europa Dopo la partenza del cardinale Pole, B. iniziò una vita errante
attraverso l'Europa: nel 1555 era ad Anversa, dove diventò amico del
facoltoso mercante genovese Silvestro Cattaneo, al quale B. dedicò un suo
breve trattato pedagogico La Institutione di una fanciulla nata
nobilmente. Nello stesso anno 1555 B. compose un'apprezzabile orazione in
onore dell'imperatore Carlo V (1516-1556) per richiamarlo alla
difesa dell'autonomia delle città italiane, strette tra le
ambizioni espansionistiche della Francia e del Papato. Nel 1556 B. si recò
a Madrid come segretario della delegazione veneziana, tuttavia qui fu colpito
da una malattia, che lo debilitò per quasi tutto l'anno. Non appena
ristabilitosi, si recò in Inghilterra, poi a Lione, ritornando infine in
Italia, dapprima a Genova, poi a Massa e quindi a Venezia nel 1558, dove
scoprì che il suo editore Paolo Manuzio (1512-1574), divenuto nel frattempo
stampatore ufficiale del Papa ed editore dei decreti del Concilio di Trento
(1545-1563), aveva censurato i nomi di autori sospettati di eresia, fra i
quali figurava lo stesso B. Egli decise allora di recarsi a Lione per poter
proseguire nella sua attività letteraria, e qui curò la pubblicazione nel
1560 del De rebus gestis dell'umanista spezzino Bartolomeo Fazio (1400-1457),
di cui egli possedeva un manoscritto, e dei Commentarii di Giulio Cesare, di
cui era riuscito ad ottenere un codice durante la sua breve permanenza a
Massa, in Toscana. Sempre a Lione, nel 1562, egli si legò al circolo dei
fuoriusciti toscani, frequentati anche dopo il suo rientro a Venezia, dove
concepì e pubblicò le sue Historiae Florentinae, intrise di una forte
ostilità anti-medicea e che gli alienò i favori della potente famiglia
fiorentina, la quale cercò di boicottare la diffusione del suo libro,
acquistando e distruggendo molte copie del trattato. Inoltre i Medici non
si fecero scrupoli di scatenare gli strali dell'Inquisizione contro lo
storico veneziano, che fu ufficialmente invitato a presentarsi davanti al
Tribunale del Sant'Uffizio entro il 26 marzo 1562, ma da questo primo
procedimento egli riuscì a discolparsi, nonostante i suoi trascorsi
evangelisti e valdesiani. Tuttavia, quando la Santa Inquisizione tornò
nuovamente ad occuparsi di lui il 10 marzo 1565, B. preferì la fuga a Lione e
fu quindi condannato in contumacia come eretico e gli fu posta una taglia
sulla testa.
B. in Transilvania e Polonia A Lione, dove rimase
fino al 1572, B. pubblicò svariati lavori di Cicerone, ricuperati da antichi
codici, ma, visto il clima dei violenza e di intolleranza religiosa che
aleggiava in Francia in quel momento (il 23 agosto avvenne il sanguinoso
massacro degli ugonotti durante la tristemente famosa notte di San
Bartolomeo), dopo essersi momentaneamente trasferito a Basilea, egli si
decise di accettare, nel giugno 1573, l'incarico, offerto dal voivoda di
Transilvania Istvàn (Stefano) Bàthory (poi re di Polonia: 1576-1586), di
storiografo ufficiale di corte, posto che comunque gli era già stato offerto
in precedenza (nel 1563) dal vescovo di Varadino, Ferenc Forgach (ca.
1530-1577). Dopo una tappa a Vienna, B. arrivò nel 1574 in Transilvania, e
qui si dedicò a raccogliere materiale per una Storia dell'Ungheria (Magyar
historiàja), concepita in chiave fortemente anti-asburgico e che suffragava
la tesi della legittimità di Giovanni I Zapolya (1526-1540), di rivendicare
il trono di re d'Ungheria per sé. Questo sposava le idee di Bàthory, che a
Zapolya doveva tutta la sua fortuna. Nel 1576 B. si trasferì a Cracovia,
in seguito all'elezione di Bàthory a re di Polonia. Qui riprese i contatti
con il vecchio amico Dudith Sbardellati e per lui scrisse la prefazione del
suo trattato sulle comete (De Cometis), pubblicato nel 1579. Entrò inoltre in
rapporti con diversi dissidenti italiani in esilio, come Giorgio Biandrata,
Niccolò Buccella e Prospero Provana. Tuttavia, con l'avvento di Bàthory
sul trono di Polonia, la controffensiva cattolica si fece sempre più
pressante e gli stessi riformati tendevano a distinguersi, isolando le frange
più estreme. Infatti, già dopo la dieta di Piotrków della Chiesa Riformata
Polacca del 1564 che decretò l'esclusione degli antitrinitari, ci fu una
separazione tra una ecclesia major calvinista ed una ecclesia minor di fede
antitrinitaria. Benché B. fosse tacciato di essere un eretico e frequentasse
così "pericolose" compagnie come i sopramenzionati dissidenti, il
nunzio apostolico in Polonia monsignor Giovanni Andrea Caligari, ex vescovo
di Bertinoro, non disperava, nel 1578, di poterlo riconvertire
al Cattolicesimo. Egli tentò di blandirlo, facendogli aumentare il
suo stipendio di storiografo di corte, chiedendo una dispensa a Roma per
fargli portare il vestito da chierico senza obbligarlo a rientrare
nell'ordine, proponendogli perfino un'abiura segreta. La situazione si
impantanò con il successore di Caligari, il cardinale Alberto Bolognetti
(nunzio: 1581-1585), anzi B., per qualche tempo, dichiarò la sua fedeltà agli
ideali evangelici. Tuttavia, nell'aprile 1585, capitolò e abiurò davanti a
Bolognetti.
Gli ultimi anni come cattolico e filo-asburgico Dopo
la sua riconversione, nell'ultimo periodo della sua vita, B. cambiò rotta di
180 gradi rispetto alle sue precedenti idee religiose e politiche: a parte la
riconversione al Cattolicesimo, egli diventò filo-asburgico, appoggiando nel
1586 la candidatura del principe Ernesto, figlio dell'imperatore Massimiliano
II (1564-1576) al trono di Polonia, e diventando poi lo storiografo
addirittura dell'imperatore Rodolfo II (1576-1612). Cercò inoltre di
emendare la vena polemica delle sue opere, come le Historiae Florentinae,
dandogli un sapore un po' meno anti-mediceo, e la Magyar historiàja (Storia
d'Ungheria), del quale venne a sapere che il nipote di Bàthory e nuovo
voivoda della Transilvania, Sigismondo Bàthory (1572-1602) stava per far
pubblicare una copia. Preoccupato per il tono anti-asburgico del testo
originale, cercò in tutta fretta di recarsi a Gyulafehérvár (Alba Julia), in
Transilvania per apportare le correzioni del caso, ma, arrivato sul luogo,
morì nel 1592, a 75 anni.
Bruys, Pietro (Pierre de Bruys)(m. ca.
1132) e petrobrusiani
Sulla vita di Pietro, le notizie sono
scarsissime e derivano quasi esclusivamente da un trattato, Contra
Petrobrusianos hereticos, scritto da Pietro il Venerabile, abate di Cluny
(1092-1156): egli era nato probabilmente nell'omonimo villaggio di Bruys, nel
cantone di Rosans (nel sud est della Francia), alla fine del XI secolo ed era
diventato prete, sebbene fosse stato successivamente espulso dalla
Chiesa. Egli iniziò la sua attività come predicatore itinerante nel
1112-1113, scendendo dalle Alpi, per vagare nella Francia meridionale, in
particolare in Provenza, nel Delfinato e in Linguadoca. Per P., tutti
avevano diritto ad un accesso diretto a Dio ovunque fossero, anche in una
stalla, e l'unico testo sacro era il Vangelo, mentre egli rifiutò sia gli
altri scritti del Nuovo Testamento, perché di dubbia origine, che l'Antico
Testamento. Egli contestava violentemente qualsiasi forma esteriore della
Chiesa Cattolica, come le chiese, le croci, viste come lo strumento della
tortura di Gesù Cristo, i preti, le preghiere dei defunti o le cerimonie
religiose, rifiutava i sacramenti (eccetto il battesimo agli adulti), a cui
attribuiva un valore puramente simbolico e che non erano utili per la
salvezza, la quale infatti si poteva ottenere solo per fede personale del
credente. In particolare P. respinse ogni valore dato all'eucaristia come
la transustanziazione, forse riprendendo i concetti di Berengario di
Tours. Egli fondò una setta, chiamata, dal suo nome, dei petrobrusiani, i
quali si diedero ad intolleranze e provocazioni nei confronti della Chiesa,
come forzare i monaci a sposarsi o bruciare le croci in un falò sul quale
cuocere della carne, offerta poi ai presenti: il tutto naturalmente di
Venerdì Santo! E fu proprio un Venerdì Santo, probabilmente nel 1132 (o
perlomeno in un anno non meglio precisato tra il 1131 ed il 1139) che la
popolazione di Saint Gilles, vicino a Nimes, esasperata dagli atteggiamenti
estremisti di P. e dei suoi seguaci, dopo una ennesima provocazione, lo
assalì e lo bruciò sul rogo. Dopo la sua morte, le sue prediche furono
riprese in forma modificata dall'ex monaco Enrico di Losanna. Alcuni
autori ravvisano nelle prediche di P. elementi che ricordano il furore
iconoclasta di Claudio di Torino, altri vedono infiltrazioni bogomile, come
se egli fosse stato un precursore dei catari (sebbene manchino completamente
le caratteristiche dualiste), altri infine notano nelle sue dottrine, ma non
certo nei metodi, alcuni punti ripresi poi dal pensiero
protestante.
Buccella, Niccolò (m. 1599)
La
vita Niccolò Buccella nacque a Padova da una famiglia borghese (suo padre
era libraio e fornitore dell'università patavina) e poté, unico della
famiglia, studiare medicina all'università, diventando in seguito un medico
di prestigio. Da giovane egli aderì, assieme ai fratelli Girolamo e Gian
Battista, all'anabattismo, in seguito al quale viaggiò nel 1557 ad
Austerlitz, in Moravia, presso le Seminaria veritatis, comunità di
antitrinitari italiani fondati da Niccolò Paruta e visitando le comunità
hutterite, presso le quali venne ribattezzato dal vescovo Leonard
Lanzenstiel. Nel 1559 egli fece un secondo viaggio in Moravia, dalla quale si
recò, nel 1560-61, a Ginevra per riportare i nipoti, orfani di madre,
indietro a Padova. Ritornato quindi in patria, B. fece proselitismo presso i
ceti più umili della popolazione locale, ma il 27 agosto 1562, in procinto di
intraprendere un ulteriore viaggio in Moravia, fu arrestato a Capodistria e
subì un processo da parte delle autorità della Serenissima. Dopo due anni
di detenzione nelle carceri veneziane, il 27 marzo 1564 abiurò, tentando,
senza successo, di indurre ad una simile azione, i suoi confratelli
Francesco Della Sega e Antonio Rizzetto. Nei 9 anni successivi
(1564-1573), coprendo il suo credo religioso mediante un accurato e rigoroso
nicodemismo, B. si dedicò totalmente alla sua attività di medico e chirurgo,
tuttavia si attirò dapprima le critiche e successivamente perfino una
scomunica, a causa degli esperimenti di sezionamento dei cadaveri, compiuti
privatamente (in casa sua) e senza le necessarie autorizzazioni. Fuggì,
quindi, in Transilvania, su invito di Giorgio Biandrata e, grazie alla sua
fama di valente medico, fu assunto dal voivoda Istvàn (Stefano) Bàthory nel
luglio 1574 allo stipendio di 600 talleri all'anno. Nel 1575 B. seguì Bàthory
in Polonia quando quest'ultimo ne diventò il re (1576-1586). In Polonia, B.
accumulò una notevole fortuna economica: organizzò il trasporto del sale in
Lituania, impiantò una fabbrica di carta in Livonia, praticò il prestito ad
interesse e poté perfino comperarsi una tenuta reale in Volinia. Fece anche
venire ad abitare con lui il nipote Filippo, figlio di un suo fratello
(probabilmente Girolamo). Dovette tuttavia difendere il suo status acquisito
in momenti difficili, come durante la polemica con Fabiano Nifo, con il quale
ebbe un dissenso sui suoi metodi terapeutici e di più ancora con l'altro
medico di corte, Simone Simoni, che era stato raccomandato al re da Andrea
Dudith Sbardellati. Infatti il Simoni, astioso e invidioso del successo di
B., non esitò a formulare la gravissima accusa della responsabilità del B.
per la morte del re Stefano Bàthory nel 1586. La polemica tra i due investì
anche la sfera religiosa, con risse verbali e reciproche accuse, alle quali
partecipò anche Marcello Squarcialupi, amico del B., e solo l'intervento del
nuovo re Sigismondo III Vasa (1587-1632) prosciolse B. dalle accuse: il
sovrano lo nominò inoltre suo medico personale, elevandolo successivamente
perfino ad un titolo nobiliare. Al Simoni, sconfitto su tutta la linea, non
rimase altro che riparare in Moravia. Il B., per il resto della sua vita,
si adoperò a favore di tutti gli eretici perseguitati e, in particolare,
degli esuli italiani, come Giovanni Paolo Alciati della Motta, Giovanni
Bernardino Bonifacio, marchese di Oria (che ospitò nel 1584), o Fausto
Sozzini, di cui diventò amico fraterno e che nominò come uno dei suoi
eredi. Morì nel 1599.
La dottrina E' molto difficile definire
la dottrina del B., alquanto individualista, razionalistica (gli argomenti
razionali erano le uniche armi valide contro gli eretici) ed estranea ad ogni
dogma religioso. Era convinto che era necessario vivere secondo coscienza,
interpretando il Vecchio ed il Nuovo Testamento a modo proprio, come ebbe a
rilevare uno dei grandi avversari dei riformatori italiani esuli in Polonia,
il cardinale Alberto Bolognetti, nunzio apostolico in Polonia dal 1581 al
1585, con il quale, seppur da due posizioni ideologiche diverse, B. mantenne
un rapporto di reciproca stima.
Butzer (Bucero), Martin
(1491-1551)
Martin Kuhhorn o Butzer (nome umanistico Bucero)
nacque a Schlettstadt (Sélestat) in Alsazia l'11 Novembre 1491. Dopo aver
ricevuto una prima educazione di base alla scuola di latino della sua città,
B., all'età di quindici anni (nel 1506) entrò nell'ordine domenicano, dove
proseguì gli studi diventando prete. Successivamente fu inviato
all'università di Heidelberg dove si iscrisse alla facoltà di teologia nel
1517. L'anno seguente (1518) durante un incontro dell'ordine agostiniano, B.
ebbe l'opportunità di ascoltare Martin Lutero, che esponeva la propria
dottrina e ne fu talmente conquistato che nel 1521 chiese al Papa Leone X
(1513-1521), ed ottenne, la dispensa dai voti monastici. Sempre nel 1521
B. si trasferì a Magonza (Mainz), diventando cappellano di corte del principe
elettore del Palatinato, Luigi V, detto il Pacifico (1508-1544), ma già
l'anno dopo fu nominato pastore a Landstuhl, vicino a Kaiserslauten: qui si
sposò con l'ex suora Elizabeth Silbereisen. Tuttavia a causa della sua
intensa attività di predicazione riformista, egli fu scomunicato e trovò un
primo rifugio nel castello di Weissenburg (Wissembourg), in bassa Alsazia, di
proprietà del cavaliere Franz von Sickingen (1481-1523), difensore di molti
riformisti e dissidenti, come Johannes Reuchlin e Johannes
Ecolampadio. Successivamente, nel 1523, B. si trasferì a Strasburgo, dove la
Riforma era stata da poco introdotta con successo dal predicatore Mathias
Zell (1477-1548), nonostante diversi tentativi di assassinarlo. A
Strasburgo B. lavorò per venticinque anni come principale predicatore della
città, collaborando con gli altri noti riformisti, come il già citato Zell,
Wolfgang Capito (1478-1541) e Caspar Hedio (1491-1552). Egli si attivò anche
per una riforma della vita non solo ecclesiastica, ma anche sociale della
città, ed in questo fu sorretto da Jacob Strum (m. 1553), che divenne, a
livello del consiglio cittadino, il più accesso sostenitore della
causa protestante. Nel 1527 B. pubblicò un libro di teologia, che
influenzò notevolmente Calvino, con il quale aveva in comune le stesse idee
sulla predestinazione e sul ruolo dello Spirito Santo. Nel Giugno 1528 si
tenne a Berna i cosiddetti Colloqui, con una massiccia e qualificata
partecipazione protestante svizzera (Zwingli, Berthold Haller, Ecolampadio,
Franz Kolb, Capito e B. stesso), alla quale i cattolici contrapposero una
delegazione non di grande rilievo, scelta dettata da una serie di rifiuti
alla partecipazione da parte degli ecclesiastici e dei teologi cattolici più
noti, come ad esempio Eck. Il risultato fu una scontata vittoria dei
riformatori e la redazione, a cura di Haller, delle dieci tesi di
Berna. Come pensiero riformatore, B. aderì alla corrente zwingliana, ma ciò
non gli impedì, in varie occasioni, di cercare di agire come mediatore tra
le posizioni svizzere e quelle tedesche luterane. B. fu infatti uno
degli artefici dei colloqui di Marburg del 1529 tra Lutero e Zwingli per
dirimere la questione dei valore attribuito al sacramento dell'Eucaristia,
pur conclusisi con un nulla di fatto. Nell'anno successivo, 1530, egli fu
uno dei protagonisti della prima dieta di Augusta, dove, assieme ai
riformisti delle città di Costanza, di Memmingen e di Lindau, presentò la
Confessio Tetrapolitana (cioè, per l'appunto, delle quattro città). La
riunione si concluse con la conciliatoria Confessio Augustana, tracciata da
Philipp Melantone, che tuttavia B. non accettò. Ciò nonostante, la pace,
almeno formale e di breve durata, tra Lutero e Zwingli avvenne nel 1536 alla
Concordia di Wittenberg, dove perlomeno si ottenne un accordo, per quanto
concerne l'Eucaristia, tra i luterani tedeschi del nord e i riformatori della
Germania del sud, capitanati da B. stesso. Alla stesura dei cosiddetti
Capitoli di Concordia, B. fu aiutato dal riformatore italiano Bartolomeo
Fonzio, un suo fedele collaboratore. Dal 1538 al 1541, B. ebbe la possibilità
di confrontarsi con Calvino, che risiedeva a Strasburgo, dopo essere stato
mandato in esilio da Ginevra. Nel 1540, B. fu purtroppo protagonista, assieme
a Lutero e Melantone, dell'assenso alla bigamia del Langravio Filippo di
Assia (Hesse)(1504-1567), fatto che provocò un grave scandalo. L'anno
successivo (1541) la moglie Elizabeth Silbereisen morì di peste e B. sposò la
trentanovenne Willibrandis Rosenblatt, precedentemente vedova di ben 3
riformatori: Ludwig Keller (Cellarius), Johann Ecolampadio e Wolfgang Capito!
Willibrandis gli diede 3 figli. Negli anni successivi, B. partecipò a diverse
conferenze tra cattolici e protestanti (Hagenau 1540 e Regensburg 1541) e
tentò inutilmente, nel 1542, assieme a Melantone, di portare la Riforma a
Colonia (Köln). Nel 1548 B. respinse l'interim di Augusta, la formula
dottrinale provvisoria fra protestanti e cattolici in attesa delle risultanze
del Concilio di Trento. In seguito a ciò, dovette lasciare Strasburgo:
diversi riformatori come Calvino e Melantone gli offrirono ospitalità, ma
egli decise di accettare l'offerta dell'arcivescovo di Canterbury, Thomas
Cranmer di stabilirsi in Inghilterra, dove si recò nel 1549. Qui B. fu
altamente apprezzato sia da Cranmer che dal re Edoardo VI (1547-1553) e finì
i suoi giorni come professore di teologia a Cambridge, dove lavorò alla sua
opera De regno Christi e contribuì alla stesura del Book of Common Prayer (il
fondamentale libro delle funzioni religiose anglicane). B. morì il 28
Febbraio 1551 a Cambridge, ma non ebbe vita tranquilla, neanche da morto:
infatti nel 1556, sotto il regno della regina Maria Tudor la Cattolica (detta
la Sanguinaria) (1553-1558), la sua tomba fu distrutta e le sue ossa bruciate
sul rogo. Toccò alla sorellastra di Maria, la regina Elisabetta I (1558-1603)
di far restaurare la tomba di B. con tutti gli onori dovuti. B. fu, dopo
Lutero e Melantone, il più influente dei riformatori tedeschi, presso i quali
si distinse nel tentativo di conciliare posizioni spesso non coincidenti. Si
può inoltre attribuire a B. il ruolo di ponte tra la Riforma tedesca e quella
inglese, che lui poté influenzare negli ultimi anni della sua
vita.
Budny, Symon (1533-ca.1584)
Symon Budny,
nato nel 1533 da una famiglia di religione ortodossa vicino a Zabludnae, in
Bielorussia (oggi Belarus, ma allora parte del regno polacco-lituano), studiò
e si laureò all'università di Cracovia. Filosofo umanista e uomo dotato di
vasta cultura, B. parlava fluentemente svariate lingue, tra cui il
bielorusso, polacco, ceco, italiano, latino, greco ed ebraico. Dopo aver
completato gli studi, nel 1562 B. fu chiamato ad occupare il posto di pastore
calvinista a Kleck (in Bielorussia) dal duca Nicola Radzivil, detto il Nero
(1515-1565), gran ciambellano della corte del re Sigismondo II Iagellone,
detto Augusto (1548-1572) e sostenitore del calvinismo. Qui nel 1562 B. diede
alle stampe il suo Cathehesis (Catechismo), il primo del genere scritto in
bielorusso e con evidenti aspetti polemici contro la religione ortodossa e
contro i suoi preti, colpevoli di non saper spiegare le idee cristiane ai
fedeli, abilità che egli riconobbe sempre ai rabbini ebrei. Nel 1572 B.,
cambiando lingua, B. pubblicò in polacco una traduzione della Bibbia in
quanto non riteneva che le versioni circolanti fossero state preparate in
accordo ai testi originari. Poco dopo, però, B. abbandonò la fede calvinista
per accostarsi alle idee antitrinitariane, che presentò nel suo libro O
opravdanii greshnogo cheloveka pred Bogom (Della giustificazione dei
peccatori davanti a Dio). Inoltre, non avendo apprezzato le correzioni
apposte, ma non autorizzate da lui, nel testo della sua Bibbia del 1572, B.
pubblicò nel 1574 una traduzione solo del Nuovo Testamento, evitando
riferimento alla Trinità secondo il suo nuovo credo religioso. Questi atti
gli costarono la condanna e la revoca del posto come pastore da parte del
sinodo calvinista e il brusco congedo da parte del suo protettore
Radzivil. A quel punto, senza appoggi ed in una condizione economica
disperata, B. lasciò Kleck per recarsi nei territori del potente magnate o
atarost (proprietario terriero) della Samogizia (regione occidentale
della Lituania), Jan Stanislawowicz Kiszka (1579-1589), protettore di
pensatori antitrinitariani, come Petrus Gonesius. Nei territori di Kiszka, B.
fece un proselitismo molto diffuso. Per B., caposcuola di una delle
quattro correnti antitrinitariane polacche (gli altri erano Stanislao
Farnowski o Farnovius, (m.1615), Martin Czechowic e Grzegorz Pawel) credeva
che Cristo fosse stato un uomo come tutti gli altri ed che fosse idolatria
adorarlo. A causa di questo e nonostante il suo vasto seguito in Lituania, B.
venne scomunicato sia dai cattolici che dai calvinisti. B. morì nel 1584
ca.
Fanini, Fanino (o Fannio, Camillo) (ca.
1520-1550)
La vita Fanino Fanini (o Camillo Fannio) nato a
Faenza nel 1520 circa da una agiata famiglia di fornai, era il primogenito
dei tre figli di Melchiorre Fanini (m. 1546) e Chiara Brini. Nel 1542 F.
sposò Barbara Baroncini, da cui ebbe due figli, Giovanni Battista e Giulia,
ed intraprese il mestiere di famiglia, ma poco dopo iniziò ad interessarsi
alle idee calviniste, probabilmente in seguito alla lettura del Beneficio di
Christo di Benedetto Fontanini da Mantova e della Tragedia intitolata libero
arbitrio di Francesco Negri da Bassano, e, dopo la conversione, si diede ad
un'intensa attività di propaganda. Fu arrestato nel 1547 e processato
dall'inquisitore Alessandro da Lugo, ma fu liberato "per pietà" e bandito da
Faenza e dallo Stato della Chiesa. Tuttavia F. rimase in Romagna e,
associatosi agli evangelisti Barbone Morisi, Giovan Matteo Bulgarelli,
Alessandro Bianchi e Nicola Passerino, fece una massiccia propaganda
calvinista a Lugo, Imola e Bagnacavallo, dove fecero proselitismo perfino nel
convento femminile di Santa Chiara. I punti principali delle prediche
semplici, ma efficaci, di F. furono la negazione dei sacramenti
dell'Eucaristia e dell'Ordinazione, della messa e dell'intercessione dei
santi, della recita del rosario e della pratica del digiuno, ma a
Bagnacavallo il 27 febbraio 1549 F. fu arrestato per la seconda volta e
recluso nella rocca di Lugo per diciotto mesi, ed in seguito venne trasferito
a Ferrara per il processo. Tuttavia immediatamente dopo l'arresto il
cardinale Alessandro Farnese (1520-1589), nipote del Papa Paolo III
(1534-1549), chiese l'estradizione del prigioniero a Roma: era l'inizio di un
lungo tira e molla tra il papato e il duca di Ferrara Ercole II
d'Este (1543-1559), geloso della sua autonomia giudiziaria. Anche durante
il processo, il duca riuscì infatti a far affiancare l'inquisitore di
Ferrara Girolamo Papino da un domenicano, un francescano, ma soprattutto da
tre giudici "laici" nominati dalla corte ducale. Il processo, comunque, si
concluse il 25 settembre 1549 con la condanna al rogo di F., eppure il duca
fu notevolmente recalcitrante nel far eseguire la sentenza, anche per una
inusitata corsa alla solidarietà con tentativi di far liberare il fornaio
faentino da parte di illustri personaggi dell'epoca, come il famoso capitano
di ventura Camillo Orsini(1491-1559), la nuora Lavinia Franciotti della
Rovere Orsini e Olimpia Morato: le ultime due, probabilmente sollecitate
dalla duchessa Renata, moglie di Ercole II, cercarono di intercedere presso
il duca nella primavera 1550 e visitarono il prigioniero in carcere per
portargli l'elemosina della duchessa. Perfino Renata in persona cercò di
intervenire presso il marito, tuttavia essendo già in odore di eresia
calvinista (sarebbe stata poi relegata nel palazzo di San Francesco,
denominata per questo Palazzo della Duchessa), il suo tentativo fu vano, se
non ulteriormente compromettente per la sua posizione a corte. Dopo
l'elezione del nuovo papa, Giulio III (1550-1555) nel febbraio 1550, il duca
fu fatto oggetto di pressioni e ricatti da parte del famigerato inquisitore
cardinale Giovanni Pietro Carafa, poi Papa Paolo IV (1555-1559): Carafa
alluse che se Ercole non avesse acconsentito all'esecuzione di
F., l'Inquisitore Generale avrebbe aperto un procedimento contro la
duchessa Renata d'Este. A questo punto, per scaricarsi la responsabilità,
Ercole si fece mandare da Giulio III una breve di autorizzazione alla
condanna a morte di F.: il povero fornaio, nonostante un tentativo della
moglie e dei figli di convincerlo ad abiurare, fu giustiziato mediante
impiccagione, seguita dal rogo, a Ferrara il 22 agosto 1550.
Le
reazioni all'esecuzione F. fu subito eletto ad esempio di martire protestante
da parte di diversi riformatori, come Francesco Negri, che scrisse nel 1550
De Fanini faventini ac Dominici bassanensis morte (..) in merito
all'esecuzione capitale del fornaio di Faenza e di Domenico Cabianca da
Bassano, conterraneo di Negri. Anche Giulio Della Rovere esaltò la figura di
F. nella seconda edizione della sua popolare Esortazione alli dispersi per
l'Italia, titolo poi modificato in Esortazione al martirio, testo in cui
spingeva i potenziali martiri della fede riformata ad affrontare la
morte. Anche all'estero, e più precisamente a Ginevra, la vita ed il martirio
di F. furono descritti nel martirologio calvinista Actiones et monimenta
martyrum e nelle Icones di Théodore de Bèze.
Bullinger, Johann
Heinrich (1504-1575)
Johann Heinrich Bullinger nacque nel 1504 a
Bremgarten, nel cantone di Argovia, in Svizzera. Studiò per quattro anni
con i monaci certosini ad Emerich (Germania), ma fu successivamente
convertito alla Riforma da Ulrich Zwingli, di cui divenne un fervente
seguace, sposandone la figlia e subentrando a questi nella guida della Chiesa
riformata di Zurigo, dopo la tragica morte di Zwingli durante la battaglia di
Kappel del 1531. Il suo principale impegno fu quello di evitare il
riassorbimento del pensiero del suo maestro nel più popolare calvinismo, di
cui non condivideva la dottrina della predestinazione (non che lo rifiutasse
in toto, ma non poteva credere che Dio volesse la dannazione dei peccatori),
i rapporti troppo stretti con l'autorità civile, e il concetto di una
partecipazione reale di Cristo nell'Eucaristia. A proposito di
quest'ultimo argomento, nel 1549 B. firmò il Consensus Tigurinus assieme a
Calvino e Farel: nell'accordo non si faceva menzione del termine substantia,
(sebbene il termine presenza reale fosse rimasto nel testo) un successo
comunque per B, che era riuscito a portare Calvino su posizione più vicine
all'interpretazione simbolica dell'Eucaristia, cara a Zwingli. Tuttavia resta
sempre il dubbio che i riformatori ginevrini abbiano accettato il compromesso
dottrinale per un'opportunità politica: quella di non isolare la loro città
dal resto della Svizzera riformata. Nuovamente, dopo la morte di Calvino,
anche il suo successore, il diplomatico Théodore di Béze, impegnato in una
disputa sull'Eucaristia con B., preferì non insistere sulle sue posizioni per
mantenere l'unità della Chiesa riformata. Nel 1563 B. fu favorevole al
Catechismo di Heidelberg (1563): questo testo, benché scritto dai calvinisti
Caspar von der Olewig (Olevianus o Olevian) (1536-1585) e Zacharias Beer
(Ursinus) (1534-1583), non faceva menzione alla dottrina delle
predestinazione e per quanto concerne l'Eucaristia, si allineava più sulle
posizioni zwingliane. Il Catechismo di Heidelberg influenzò poi il testo
della Seconda Confessio Helvetica del 1566, scritto da B. stesso, in risposta
ad una richiesta dell'Elettore-Palatino Federico III, detto il Pio
(1559-1576), che aveva annunciato la sua adesione al calvinismo nel
1563. B., saggio e moderato, godeva di grande prestigio all'estero, presso
la Chiesa riformata scozzese di John Knox, in Francia con l'amico
filosofo Pierre de la Ramée (Ramus) (1515-1572), nei Paesi Bassi, dove i suoi
scritti erano molto popolari, e, grazie all'amico John Hooper, negli
ambienti anglicani: quando Pio V (1566-1572) confermò la scomunica di
Elisabetta I d'Inghilterra (1558-1603), fu B. ad aiutare la regina inglese a
preparare un'adeguata risposta. Del resto proprio il riformatore zurighese
ospitò alcuni vescovi riformati inglesi profughi in Svizzera, in occasione
delle persecuzioni durante il regno della sorella cattolica di Elisabetta,
Maria Tudor, detta la Sanguinaria (1553-1558). L'atteggiamento di B. nei
confronti delle frange radicali fu non sempre costante: da una parte amico
dell'antitrinitariano Lelio Sozzini, dall'altra dapprima ammiratore, ma
successivamente avversario del movimento anabattista, soprattutto dopo le
atrocità compiute a Münster. B. morì a Zurigo nel
1575.
Bunyan, John (1628-1688)
John Bunyan Lo
scrittore religioso John Bunyan nacque a Harrowden, nella parrocchia
di Elstow, vicino a Bedford (Inghilterra) nel novembre 1628. Dopo un
breve periodo di studi presso la scuola locale, B. iniziò a praticare il
mestiere di stagnino, lo stesso del padre. Nel 1644 B. si arruolò
nell'esercito parlamentare, dove rimase fino al 1647; ritornato a casa, egli
si sposò nel 1649 andando a vivere a Elstow fino al 1655, anno in cui morì la
moglie. Nel frattempo egli incominciò a leggere libri ad argomento religioso
e ad approfondire lo studio della Bibbia: poco dopo B. aderì ad una
congregazione battista indipendentista e fu ribattezzato per immersione nel
fiume Ouse nel 1653. Iniziò la sua carriera religiosa come diacono nel 1655
ed entrò in polemica con i quaccheri di George Fox, diventando scrittore per
difendere le proprie idee religiose. In seguito B. divenne un predicatore
laico, ma nel 1658 fu accusato di predicare senza una licenza. Avendo
insistito nonostante il richiamo precedente, B. fu arrestato e incarcerato a
Bedford, dove rimase in prigione per 12 anni. Durante il periodo di
carcerazione, B. scrisse nove libri, dei quali il più conosciuto fu Grace
abounding to the Chief of Sinners (grazia che abbonda al capo dei peccatori),
una sorta di autobiografia spirituale. Nel gennaio 1672 B. fu liberato e
nello stesso mese fu nominato pastore della chiesa battista di Bedford, ma
nuovamente nel 1675 venne imprigionato, come la volta precedente, per il
solito motivo, ma per sua fortuna trascorse questa volta solo sei mesi in
carcere. In questo secondo periodo di galera, B. scrisse la prima parte del
suo più famoso libro The Pilgrim's Progress from this world to that which is
to come (il viaggio del pellegrino da questo mondo verso quello che deve
ancora venire), più noto semplicemente come Pilgrim's Progress e considerato
uno dei grandi capolavori della letteratura inglese. Nell'agosto 1688,
mentre si recava a Londra, B., a causa di un acquazzone, prese un colpo di
freddo, che gli risultò fatale: morì infatti il 31 agosto 1688 a Snow
Hill.
Pilgrim's Progress Il libro fu scritto sotto forma di
romanzo allegorico che descriveva le tribolazioni subite e le persone
incontrate dal pellegrino cristiano nel suo viaggio dalla Città della
Distruzione alla Città Celeste. Ebbe un successo incredibile: situazioni
descritte come il Pantano dello scoramento (Slough of Despond), e personaggi
come il Signor Saggio-mondano (Mr. Wordly-Wiseman) entrarono nel linguaggio
comune dell'Inghilterra dell'epoca. La prima parte venne pubblicata nel 1678
e nei seguenti sette anni, venne ristampata per ben otto volte, mentre la
seconda parte venne completata nel 1684. Il romanzo fu un vero bestseller
dell'epoca (si calcola che giravano più di centomila copie del libro), letto
non solo in Inghilterra, ma anche nelle colonie americane, in Olanda e presso
gli ugonotti francesi.
Buonagrazia, Girolamo
(1470-1541)
Il medico Girolamo Buonagrazia, nato a Firenze nel
1470, entrò, da giovane, nel partito dei piagnoni, i sostenitori del
domenicano Girolamo Savonarola (il nome derivava dalle lacrime che versavano
ad ogni sermone del predicatore ferrarese). Nel 1494 Savonarola creò la
repubblica teocratica di Firenze, cacciando Pietro de' Medici (l'indegno
figlio di Lorenzo il Magnifico): l'attivo B. fu anche firmatario di una
petizione inviata nel luglio 1497 da 365 fiorentini a Papa Alessandro VI
(1492-1503) in difesa delle dottrine del Savonarola. Comunque, anche dopo la
tragica morte di quest'ultimo nel 1498, B. rimase nell'animo profondamente
savonaroliano e repubblicano, nonostante che i Medici riprendessero il potere
in città nel 1512. Negli anni successivi, B. si dedicò alla professione
medica, ma anche alla lettura entusiasta, fin dal 1523, degli scritti di
Martin Lutero. Il 6 maggio 1527 avvenne il Sacco di Roma e, dieci giorni
dopo, Firenze insorse, cacciando nuovamente i Medici, questa volta nella
figura del duca Alessandro, pronipote di Lorenzo il Magnifico, al potere dal
1525. Per la sua fama di convinto repubblicano, B. fu subito investito di
alte cariche nella neonata repubblica. In questo periodo B. scrisse una
lettera (andata persa) a Lutero, ormai sostituitosi nella sua mente al
Savonarola come colui che poteva attuare la rennovatio ecclesiae del
Cristianesimo. Ma, nell'ottobre 1530, Alessandro de' Medici (duca 1525-1527 e
1530-1537) riconquistò Firenze con l'aiuto delle truppe imperiali, e l'anno
dopo B. fu accusato di eresia luterana, ma in realtà si voleva fargli pagare
la sua partecipazione alla cacciata dei Medici dalla città. Durante
gli interrogatori, B., amareggiato per la fine della repubblica, si sfogò con
il camaldolese Domenico Bencivenni, manifestando la sua intenzione di
emigrare in Germania da Lutero, se fosse stato esiliato. Il processo si
concluse nel dicembre 1531 con la condanna ad una consistente penitenza e
all'esilio da Firenze, dove però ritornò, dopo essere stato graziato, e dove
morì nel 1541.
Galilei, Galileo (1564-1642)
I primi
anni Il famoso scienziato Galileo Galilei nacque a Pisa il 15 febbraio
1564, primogenito dei sette figli di Vincenzo Galilei (ca. 1525-1591), un
nobile caduto in miseria, di origine fiorentina, che si era guadagnato una
certa notorietà come liutista, teorico della musica e matematico, e di
Giulia Ammannati (1538-1620). Nonostante che il giovane G. si interessasse
ben presto alla matematica e alla meccanica, il padre decise, nel 1581,
di iscriverlo alla facoltà di medicina dell'università di Pisa, che il
figlio frequentò per quattro anni senza però ottenere alcun titolo
accademico.
I primi studi fisici e matematici G. proseguì invece
privatamente nei suoi studi preferiti con il matematico della corte medicea
Ostilio Ricci (1540-1603), che convinse Vincenzo Galilei di permettere al
figlio di abbandonare medicina per intraprendere gli studi, per l'appunto, di
matematica, nella quale il giovane ottenne brillanti risultati. Infatti, come
racconta un noto aneddoto, nel 1583 osservando le oscillazioni di una lampada
nella cattedrale di Pisa, G. formulò la sua teoria sull'isocronismo delle
oscillazioni della pendola. Nel contempo egli fu influenzato dal pensiero del
suo professore Francesco Buonamici (ca. 1530-1603), che gli instillò la
convinzione che solo l'esperienza fisica poteva stabilire la verità o la
falsità delle tesi formulate in maniera teorica. Nel 1586 G. realizzò una
stadera idrostatica per la determinazione del peso specifico (gli studi
vennero pubblicati nel trattato La bilancetta) e nel 1588 un trattato sulla
gravità nei solidi gli permise di occupare una cattedra di matematica
all'università di Pisa dal 1589, ma poco dopo entrò in conflitto con gli
studiosi aristotelici dell'università, quando dimostrò, pare dall'alto della
torre di Pisa, la falsità della teoria che la velocità di caduta di un solido
fosse proporzionale al proprio peso, dimostrando invece che dipendeva
dalla diversa resistenza all'attrito dell'aria. Le polemiche che ne
seguirono convinsero G. di trasferirsi dapprima a Firenze, e poi, grazie
all'interessamento di amici nel Senato di Venezia, a Padova, dove fu nominato
nel 1592 cattedratico di matematica, posto che mantenne fino al 1610. Il
periodo di G. a Padova fu inoltre allietato dalla nascita, tra il 1600 ed il
1606, dei suoi tre figli, Virginia, Livia e Vincenzo, avuti dalla sua
compagna, la veneziana Marina Gamba.
Gli studi
astronomici Nell'estate 1609, G. mise a punto un telescopio (seguito nel
periodo 1619-24 dal microscopio o occhialini, come li chiamava lui), che
tuttavia non fu inventato, come spesso si crede, dal matematico pisano,
bensì dal fabbricante di occhiali olandese Hans Lippershay, o Lipperhey (m.
1619), che ne aveva depositato il brevetto il 2 ottobre 1608. Comunque, con
questo strumento G. iniziò una serie di osservazioni astronomiche che lo
resero celebre. Vide infatti che la Luna non era affatto una sfera
perfettamente liscia, ma della stessa natura della Terra, che la Via Lattea
non era altro che un ammasso di stelle, che Giove aveva un sistema di
satelliti, da lui denominati "stelle medicee" in onore di Cosimo II de'
Medici (1609-1621). In seguito egli scoprì gli anelli di Saturno, le fasi di
Venere e le macchie solari. Tutte queste scoperte, riassunte nel Sidereus
Nuncius del 1610 e nell'Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari
del 1612, misero in crisi la tesi aristotelica della fissità della Terra e
dell'unicità del centro dei movimenti cosmici e rafforzarono la convinzione
di G. nella bontà della criticata teoria eliocentrica di Niccolò Copernico
(1473-1543). Nonostante ciò, G. fu ammirato, anche dalla stessa Chiesa, per
le sue scoperte e nel 1610 accettò la cattedra di matematica all'università
di Pisa.
Le accuse Eppure una parte del mondo accademica
aristotelico e del clero mal sopportavano i suoi enunciati e lanciarono una
campagna di pesanti accuse contro il pisano. Iniziò il filosofo
anti-copernicano Ludovico delle Colombe (1565-ca. 1616), al quale seguì nel
1612 il predicatore domenicano Niccolò Lorini, che accusò G. di eresia, e
l'anno dopo, un altro domenicano Tommaso Caccini (1574-1648) si recò perfino
a Roma per esporre all'Inquisizione le sue accuse contro G. Quest'ultimo
incominciò a preoccuparsi di questa situazione e scrisse, tra il 1613 ed il
1615, quattro lettere (le cosiddette "lettere copernicane") rispettivamente
una all'amico Benedetto Castelli (1578-1643), due a monsignor Pietro Dini
(futuro arcivescovo di Fermo: 1621-1625) e una alla granduchessa madre
Cristina di Lorena (1565-1636), in cui egli si difese, affermando l'autonomia
della scienza dalla metafisica, e ribadendo che alcuni punti delle Sacre
Scritture erano stati scritti in forma volutamente allegorica per i lettori
culturalmente più semplici e che il testo non sempre doveva essere preso alla
lettera, in particolare per quanto concerneva la natura. Nonostante le
argomentazioni di queste lettere e benché il Duca di Acquasparta, Federico
Cesi (1585-1630), fondatore dell'Accademia dei Lincei nel 1603, lo mettesse
in guardia di non esporsi troppo, nel febbraio 1616 G. fu convocato a Roma
per ordine del Papa Paolo V (1605-1621) ed il cardinale gesuita Roberto
Bellarmino (1542-1621) (persecutore di Giordano Bruno e di Tommaso
Campanella) lo ammonì ufficialmente, attraverso un decreto del Tribunale
dell'Inquisizione, a non difendere l'astronomia copernicana in quanto
contraria alle dottrine della Chiesa: G. dovette obtorto collo adeguarsi alle
direttive papali.
Nuove accuse ed il processo Tuttavia sette anni
dopo, nel 1623, approfittando di una situazione all'apparenza meno repressiva
[nel 1621 era morto Bellarmino ed era salito al potere nel 1623 il nuovo
papa, amico di G. e senz'altro di visioni più ampie di Paolo V, Urbano VIII
(1623-1644)], G. scrisse Il saggiatore, dedicandolo proprio al nuovo
pontefice. Il libro, prendendo spunto da una polemica con il matematico e
architetto gesuita Orazio Grassi (1583-1654) circa la natura delle comete,
riportava invece la sua teoria della conoscenza, dove, tra l'altro, venne
ribadita la superiorità della natura ed il rifiuto metodologico a riferirsi
ad autorità precostituite o a sacri testi, una vera stoccata polemica non
tanto contro Aristotele, quanto contro la scuola aristotelica dell'epoca e
contro i gesuiti. Poiché l'accoglienza del libro sembrò positiva, G. osò
spingersi oltre, arrivando a pubblicare nel febbraio 1632 il suo capolavoro,
il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano: il
dialogo, articolato in quattro giornate, riportava le discussioni in tema
di astronomia, moto dei corpi e fenomeno delle maree, di tre
studiosi, l'aristotelico e tolemaico (quindi per G. altamente criticabile)
Simplicio, il giovane acuto e imparziale Sagredo e il copernicano Salviati
(nel quale si può identificare lo stesso G.). Tuttavia nelle conclusioni del
libro G. riportò, per bocca di Simplicio, il pensiero di Urbano VIII, secondo
il quale Dio, nella sua onnipotenza, può fare sì che i fenomeni
osservati convalidano (o meno) una teoria, e che quindi l'osservazioni degli
eventi non può condurre per forza di cose alla verità. La reazione del
papa stesso non si fece attendere: non potendo essere attaccato per il
contenuto del libro, regolarmente accettato dalla censura ecclesiastica,
nell'ottobre 1632 G. fu convocato a Roma da parte del Santo Uffizio con
l'accusa di non aver rispettato l'ordine di Bellarmino del 1616 di non
difendere la teoria copernicana. G. fu quindi processato e, sotto la minaccia
della tortura, dovette abiurare il 22 giugno 1633 in Santa Maria della
Minerva. Secondo la leggenda, G., alzatosi in piedi dopo l'abiura, pronunciò
a bassa voce la frase E pur si muove, con riferimento al moto della
Terra.
Il confino e la morte Lo scienziato fu condannato al
carcere perpetuo e venne trasferito dapprima a Siena, sotto la custodia
dell'amico e protettore arcivescovo Ascanio Piccolomini (1597-1671), ma,
pochi mesi più tardi, gli fu permesso di trasferirsi nella sua villa di
Arcetri, vicino a Firenze, dove visse fino alla sua morte. Riuscì ancora a
far pubblicare nel 1638 a Leida, in Olanda, i suoi Discorsi e dimostrazioni
matematiche intorno a due nuove scienze, attinenti alla meccanica e i
movimenti locali, e a ospitare alcuni allievi, come il suo più fedele allievo
Vincenzo Viviani (1622-1703), autore della Vita di Galileo, ed Evangelista
Torricelli (1608-1647), l'inventore del barometro, ma gli ultimi anni furono
resi dolorosi sia dalla morte nel 1634 della figlia Virginia (1600-1634),
diventata una religiosa carmelitana con il nome di suor Maria Celeste e unico
suo conforto durante il processo e nel periodo immediatamente successivo, che
dalla cecità progressiva, divenuta totale da partire dal 1638. G. morì ad
Arcetri l'8 gennaio 1642.
Colonna, Vittoria, marchesa di Pescara
(1490-1547)
La vita Vittoria Colonna, "la più famosa donna
nell'Italia del `500", secondo una definizione condivisa da molti autori,
nacque nell'aprile 1490 (altri testi citano il 1492) a Marino (in provincia
di Roma), figlia primogenita del famoso condottiero Fabrizio Colonna
(1460-1520), Duca dei Marsi e di Paliano, Marchese di Manopello e Gran
Conestabile di Napoli [personaggio immortalato nel dialogo Dell'arte della
guerra di Niccolò Machiavelli (1469-1527)], e di Agnese da Montefeltro
(1470-1506), figlia del Duca di Urbino, Federico II Maria da Montefeltro
(1422-1482). A cinque anni C. fu promessa in sposa a Ferrante Francesco
d'Avalos (1490-1525), figlio del marchese di Pescara, Alfonso d'Avalos
d'Aquino e nel 1509 i due si sposarono a Ischia Castello senza praticamente
essersi mai visti: ciò nonostante, tra di essi nacque ben presto un grande
amore, perlomeno da parte di C. I due sposi risiederono ad Ischia [la
signoria dell'isola fu il loro dono di nozze da parte del re di Napoli
Ferdinando III d'Aragona (1503-1516)] fino a 1511, quando d'Avalos si arruolò
nella Lega Santa contro la Francia: fu però catturato durante la battaglia di
Ravenna dell'aprile 1512 e inviato prigioniero in Francia. Dopo la sua
liberazione, d'Avalos diventò uno dei più brillanti capitani dell'esercito di
Carlo V (1519-1558): il culmine della sua carriera militare si ebbe con la
famosa battaglia di Pavia del 24 febbraio 1525, durante la quale fu però
ferito gravemente. Egli morì a Milano nel novembre 1525, proprio quando C.
era in viaggio per raggiungerlo. Saputo della morte del marito, C. cadde in
una profonda depressione, meditando perfino il suicidio [il poeta Francesco
Berni (1497-1535) le scrisse perfino un sonetto per dissuaderla dall'insano
gesto]. Dopo il suo rientro ad Ischia, C. decise di ritirarsi in convento
dapprima a Roma presso le monache clarisse di San Silvestro in Capite, e , in
seguito, a Orvieto, nel convento di San Paolo. In quegli anni, C. entrò in
rapporti di amicizia con diversi ecclesiastici, che premevano per la riforma
della Chiesa, come Gaspare Contarini, Bernardino Ochino, Gian Matteo
Giberti, Pietro Bembo e Giovanni Morone, e riformatori che dibattevano
sulla giustificazione per fede, come Juan de Valdès. Nel 1537 la marchesa
si stabilì a Ferrara, dove aiutò Bernardino Ochino a fondare un monastero di
clarisse cappuccine, mentre nel 1539 C. rientrò a Roma, dove conobbe e
diventò grande amica di Michelangelo Buonarroti (1475-1564), il quale, pur
già abbastanza anziano per l'epoca (61 anni), ebbe una vera passione
spirituale per lei e le dedicò diversi suoi sonetti e disegni: non è stato
mai accertato però se il grande artista avesse anche condiviso l'interesse
per la Riforma di C., sicuramente, se lo fece, mantenne comunque uno stretto
atteggiamento nicodemitico. Tuttavia la permanenza di C. a Roma fu
bruscamente interrotta nel 1541 dalla rivolta fallita di suo fratello Ascanio
Colonna (1495-1555) contro il papa Paolo III (1534-1549). Il pontefice aveva
infatti esteso la tassa sul sale anche alle terre che ne erano esenti per
antichi privilegi, come ad esempio quelle soggette ai Colonna. La protesta
sfociò in una vera guerra, ma alla fine il comandante delle truppe pontificie
e figlio del pontefice stesso, Pier Luigi Farnese (1503-1547), ebbe la meglio
e Ascanio dovette andare in esilio fino alla morte di Paolo III nel
1549. Naturalmente questa sconfitta della sua famiglia costrinse C. a
rientrare nel suo convento di San Paolo a Orvieto. Dopo qualche mese, però,
la poetessa si trasferì a Viterbo nel convento di Santa Caterina. E lì
che conobbe il cardinale inglese Reginald Pole (a cui essa fu molto devota) e
la cerchia di riformatori che frequentavano la sua casa, come
Marcantonio Flaminio, Alvise Priuli e Pietro Carnesecchi, con i quali la
marchesa di Pescara poté liberamente discorrere di problemi di fede e
maturare le sue convinzioni negli ideali valdesiani. C. ritornò a Roma nel
1544 e continuò a mantenere contatti con riformati, come il suo lontano
parente Bartolomeo Spadafora, di passaggio a Roma nel gennaio 1547, dove,
presso la marchesa, conobbe Michelangelo Buonarroti, ma dove venne purtroppo
raggiunto da un mandato di comparizione per eresia davanti al Tribunale
siciliano dell'Inquisizione a causa dei suoi trascorsi valdesiani. Infine,
C. morì il 25 febbraio 1547 nel suo convento di San Silvestro in Capite e la
sua morte le risparmiò la grande stagione delle persecuzioni contro gli
spirituali, che iniziò durante il papato di Paolo IV (1555-1559). Le sue
ultime volontà furono di essere seppellita nel convento di Sant'Anna de'
Funari a Roma, ma è più probabile che il suo corpo sia stato traslato accanto
a suo marito a San Domenico a Napoli. Poco dopo la sua morte, Benedetto
Varchi scrisse il sonetto (Donna, che, come chiaro a ciascun mostra .),
dedicato a Caterina Cibo, ma dove la duchessa di Camerino veniva associata a
Juan de Valdés, Pietro Bembo e C. come cercatori fortunati sulla strada della
salvezza eterna dell'anima.
Le opere C. è conosciuta più per
essere stata un famoso personaggio sulla scena dell'Italia del XVI secolo che
per i suoi meriti come poetessa. I suoi poemi elegiaci e d'amore per il
marito (pubblicati a Parma nel 1538) non mostrano un particolare talento,
mentre le sue Rime spirituali, i sonetti della maturità, come il Trionfo di
Cristo, e la meditazione in prosa Pianto sulla Passione di Cristo sono
decisamente più interessanti, soprattutto da un punto di vista religioso, e
mostrano non solo l'influenza dei padri della letteratura italiana, come
Dante e Petrarca, ma anche del pensiero di riformatori del `400, come
Girolamo Savonarola, oltre, naturalmente a quello di
Valdès.
Burckhardt, Georg (Spalatino)
(1484-1545)
Georg Burckhardt (nome umanistico: Spalatino), nacque
il 17 Gennaio 1484 a Spalt (da cui il suo nome umanistico), vicino a
Norimberga. Studiò a Erfurt, con il grande umanista Mutiano Rufo [nome
umanistico del Conrad Mudt (1471-1526), canonico di Gotha, in Turingia, e
amico di Pico della Mirandola e dello stampatore veneziano Aldo Manunzio] e a
Wittenberg, laureandosi in legge a Erfurt nel 1505. Nello stesso anno, B.
iniziò a lavorare come bibliotecario di un monastero a Georgenthal, vicino a
Gotha, mentre nel 1507 divenne pastore a Hohenkirchen, nella Frisia
orientale, ed infine, nel 1508, fu consacrato sacerdote, ma considerò
quest'ultimo atto come semplicemente la base per una maggiore sicurezza
economica. Nel 1509, B. divenne tutore del giovane principe Giovanni Federico
di Sassonia alla corte di Federico III, detto il Saggio (1486-1525), il
quale apprezzò sempre più le sue caratteristiche, assegnandogli via via
nuovi incarichi: tutore dei principi Otto e Ernst di Brunswick-Luenenburg
nel 1511-16, bibliotecario di corte nel 1512, fino a consigliere di
maggiore fiducia del Principe elettore di Sassonia dal 1516, con funzioni
di segretario, storiografo, confessore e cappellano di corte. Nel
frattempo B. conobbe Martin Lutero, probabilmente nel 1513, ed ebbe un ruolo
fondamentale per il successo della Riforma, avendo una notevole influenza
delle decisioni di Federico il Saggio. Quando il 7 Agosto 1518 (10 mesi dopo
l'affissione delle 95 tesi sulle indulgenze) il Sacri Palatii Magister, il
domenicano Silvestro Mazzolini da Priero (1456-1527), invitò Lutero a recarsi
a Roma per discolparsi, B. fece delle pressioni perché il dibattito fosse
mantenuto in Germania: infatti questo invito venne variato da un "breve" del
papa del 23 Agosto, che ordinò a L. di recarsi ad Augusta (Augsburg) per
farsi interrogare dal cardinale domenicano Tommaso Caietano
(1469-1534). L'incontro avvenne il 12 Ottobre, ma Lutero non ritrattò nulla
delle sue affermazioni e Caietano cercò di farlo catturare o espellere dai
territori del principe di Sassonia, il tutto inutilmente grazie all'influenza
di B., che fu decisivo anche dopo la bolla di scomunica Decet Romanum
Pontificem comminata nel 1520 a Lutero in seguito al rogo, davanti agli
studenti di Wittenberg, della precedente bolla Exsurge Domine di Papa Leone
X (1513-1521). B. infatti convinse Federico il Saggio a negare ogni
richiesta di estradizione per il riformatore. Anche l'anno dopo, nel 1521,
quando Lutero partecipò alla dieta di Worms, il cui editto imperiale finale
(8 Maggio) lo condannò, ordinando ai principi di catturarlo e consegnarlo
all'autorità imperiale e ordinando il rogo dei suoi scritti, Federico il
Saggio e B. architettarono il piano per portare Lutero al sicuro nella rocca
di Wartburg, mediante il suo finto rapimento eseguito il 4 Maggio. Nel
1525 B. divenne pastore di Altenburg (in Turingia), posto che egli mantenne
per 20 anni, fino alla sua morte. Negli anni successivi, B. divenne un membro
influente del Luteranesimo, partecipando all'introduzione della Riforma in
Sassonia nel 1526 e alla stesura della Confessione di Augusta (Augsburg) del
1530, scrivendo gli Annales reformationis, un elenco di fatti e personaggi
della Riforma e infine partecipando nel Dicembre 1536, su invito di Lutero
assieme a Johannes Schneider (Agricola) e Nikolaus von Amsdorf, alla stesura
degli articoli di Smacalda, sollecitati dal principe elettore di
Sassonia, Giovanni Federico I (1532-1547) come risposta alla bolla papale Ad
dominici gregis di Papa Paolo III (1534-1549), e che diedero origine al
trattato omonimo. B. morì il 16 Gennaio 1545 ad
Altenburg.
Burlamacchi, famiglia
Famiglia di
riformatori esuli lucchesi del XVI e XVII secolo. La situazione di Lucca,
centro di diffusione di testi luterani, introdotti attraverso i contatti dei
mercanti della seta e luogo di predicazione di noti riformatori, come
Bernardino Ochino, fu menzionata nella bolla papale Licet ab initio di Papa
Paolo III del 21 Luglio 1542, quella che istituì la Congregazione del Santo
Ufficio, o Inquisizione, come è più nota. La pesante repressione che ne seguì
mise in fuga svariati dissidenti, come Pier Martire Vermigli, Celio Secondo
Curione, Niccolò Balbani, Giovanni Diodati ed intere famiglie, come, appunto,
quella dei Burlamacchi. Di questa famiglia si ricordano:
1)
Burlamacchi, Michele (1532-1590) Michele, figlio di Francesco Burlamacchi
(accusato di un fallito complotto anti-mediceo e decapitato a Milano il 14
febbraio 1548), riparò, assieme alla moglie Chiara Calandrini, nel 1567,
presso la duchessa Renata d'Este, simpatizzante della causa calvinista,
confinata nel suo castello di Montargis, in Francia, in seguito alle accuse
di eresia da parte del marito Ercole II (1543-1559), e successivamente del
figlio Alfonso II (1559-1597). Dopo varie vicissitudini in Francia, culminate
con la strage degli Ugonotti, la notte di San Bartolomeo (23 Agosto 1572),
M., assieme a Pompeo Diodati, decise nel 1575 di recarsi a vivere a Ginevra.
Morì a Saint Denis (vicino a Parigi) nel 1590.
2) Burlamacchi,
Filippo (1575-1644) Uno dei 7 figli di Michele, di cui sono degne di menzione
3 delle figlie: Renata (o Renea, in onore di Renata d'Este), nata a Montargis
il 25 marzo 1568, autrice delle memorie del padre Michele e sposa di Cesare
Balbani, Camilla, moglie di Francesco Turrettini, e Maddalena, moglie di
Giovanni Diodati. F. diventò famoso, non tanto per il credo religioso,
quanto per la sua professione di banchiere in Inghilterra, dove emigrò nel
1605 e da dove intervenne per fornire mezzi e finanziamenti alla causa
protestante durante la Guerra dei Trent'anni. Sposò, a Londra, Elisabetta,
figlia di Giovanni Calandrini.
3) Burlamacchi, Vincenzo
(1598-1682) Vincenzo nacque a Ginevra nel 1598 ed era figlio di Fabrizio
(1553-1598), morto di peste quando il figlio aveva solo 2 mesi e capostipite
dell'altro ramo della famiglia Burlamacchi emigrato a Ginevra. Nel 1618 V.
partì per un lungo viaggio, dapprima per accompagnare un ormai malato
Giovanni Diodati, inviato in rappresentanza della città e della chiesa di
Ginevra, al sinodo di Dort (o Dordrecht), dove il pensiero religioso di
Arminio (Jacob Hermanzoon) fu duramente condannato. In seguito V. soggiornò
in Germania, Francia, Paesi Bassi e Inghilterra, dal quale rientrò a Ginevra
solo nell'aprile 1621. Al suo rientro, V., dal 1622, iniziò la stesura del
Libro di ricordi degnissimi delle nostre famiglie, il libro che narrava delle
vicende della famiglia Burlamacchi, e che sarebbe stato aggiornata dagli
eredi fino al XVIII secolo. Nel 1625 egli sposò Zabetta Turrettini, figlia
di Francesco Turrettini, genero di Michele Burlamacchi, come già sopra
ricordato. Egli si inserì attivamente nella vita pubblica di Ginevra, dal
1631 entrò, assieme a suo figlio Fabrizio, a far parte ufficialmente della
borghesia cittadina, fu diacono e tesoriere della Borsa Italiana (la
struttura assistenziale della Chiesa Italiana) e fece parte anche del
Consiglio dei Duecento. V. morì a Ginevra il 18 febbraio
1682.
Burlamacchi, famiglia
Famiglia di riformatori
esuli lucchesi del XVI e XVII secolo. La situazione di Lucca, centro di
diffusione di testi luterani, introdotti attraverso i contatti dei mercanti
della seta e luogo di predicazione di noti riformatori, come Bernardino
Ochino, fu menzionata nella bolla papale Licet ab initio di Papa Paolo III
del 21 Luglio 1542, quella che istituì la Congregazione del Santo Ufficio, o
Inquisizione, come è più nota. La pesante repressione che ne seguì mise in
fuga svariati dissidenti, come Pier Martire Vermigli, Celio Secondo Curione,
Niccolò Balbani, Giovanni Diodati ed intere famiglie, come, appunto, quella
dei Burlamacchi. Di questa famiglia si ricordano:
1) Burlamacchi,
Michele (1532-1590) Michele, figlio di Francesco Burlamacchi (accusato di un
fallito complotto anti-mediceo e decapitato a Milano il 14 febbraio 1548),
riparò, assieme alla moglie Chiara Calandrini, nel 1567, presso la duchessa
Renata d'Este, simpatizzante della causa calvinista, confinata nel suo
castello di Montargis, in Francia, in seguito alle accuse di eresia da parte
del marito Ercole II (1543-1559), e successivamente del figlio Alfonso II
(1559-1597). Dopo varie vicissitudini in Francia, culminate con la strage
degli Ugonotti, la notte di San Bartolomeo (23 Agosto 1572), M., assieme a
Pompeo Diodati, decise nel 1575 di recarsi a vivere a Ginevra. Morì a Saint
Denis (vicino a Parigi) nel 1590.
2) Burlamacchi, Filippo
(1575-1644) Uno dei 7 figli di Michele, di cui sono degne di menzione 3 delle
figlie: Renata (o Renea, in onore di Renata d'Este), nata a Montargis il 25
marzo 1568, autrice delle memorie del padre Michele e sposa di Cesare
Balbani, Camilla, moglie di Francesco Turrettini, e Maddalena, moglie di
Giovanni Diodati. F. diventò famoso, non tanto per il credo religioso,
quanto per la sua professione di banchiere in Inghilterra, dove emigrò nel
1605 e da dove intervenne per fornire mezzi e finanziamenti alla causa
protestante durante la Guerra dei Trent'anni. Sposò, a Londra, Elisabetta,
figlia di Giovanni Calandrini.
3) Burlamacchi, Vincenzo
(1598-1682) Vincenzo nacque a Ginevra nel 1598 ed era figlio di Fabrizio
(1553-1598), morto di peste quando il figlio aveva solo 2 mesi e capostipite
dell'altro ramo della famiglia Burlamacchi emigrato a Ginevra. Nel 1618 V.
partì per un lungo viaggio, dapprima per accompagnare un ormai malato
Giovanni Diodati, inviato in rappresentanza della città e della chiesa di
Ginevra, al sinodo di Dort (o Dordrecht), dove il pensiero religioso di
Arminio (Jacob Hermanzoon) fu duramente condannato. In seguito V. soggiornò
in Germania, Francia, Paesi Bassi e Inghilterra, dal quale rientrò a Ginevra
solo nell'aprile 1621. Al suo rientro, V., dal 1622, iniziò la stesura del
Libro di ricordi degnissimi delle nostre famiglie, il libro che narrava delle
vicende della famiglia Burlamacchi, e che sarebbe stato aggiornata dagli
eredi fino al XVIII secolo. Nel 1625 egli sposò Zabetta Turrettini, figlia
di Francesco Turrettini, genero di Michele Burlamacchi, come già sopra
ricordato. Egli si inserì attivamente nella vita pubblica di Ginevra, dal
1631 entrò, assieme a suo figlio Fabrizio, a far parte ufficialmente della
borghesia cittadina, fu diacono e tesoriere della Borsa Italiana (la
struttura assistenziale della Chiesa Italiana) e fece parte anche del
Consiglio dei Duecento. V. morì a Ginevra il 18 febbraio
1682.
Filadelfi, Società dei (Philadelphian Society)
(1670-1730)
Una setta di mistici religiosi operanti a Londra
nella seconda metà del 1600, fondati dal reverendo John Pordage e dalla
behmenista Jane Leade (o Lead).
John Pordage (1608-1681) John
Pordage, un uomo di chiesa molto devoto, era il rettore della chiesa
di Bradfield, vicino a Reading, nella contea inglese del Surrey, Egli fu
influenzato dalle idee del movimento familista di Henrik Niclaes,
ma soprattutto si appassionò agli scritti di Jacob Boehme,
leggendoli avidamente, man mano che venivano tradotti e pubblicati tra il
1644 ed il 1662. Per queste sue idee, nel 1655 a P. furono sospesi i
benefici per ordine dei Triers, un corpo di commissari, fondato da Oliver
Cromwell (1599-1658) e preposto ad esaminare ed approvare predicatori e
professori universitari prima del loro insediamento. Solo nel 1660, con la
restaurazione del re Carlo II (1649-1685), egli fu reintegrato nella sua
precedente funzione. Nel 1663 P. incontrò Jane Leade e, insieme a lei,
proprio per promuovere un maggiore interesse verso il pensiero di Boehme, P.
fondò nel 1670 il circolo teosofico dei Filadelfi (The Philadelphians) dal
nome della chiesa menzionata nel seguente passo dell'Apocalisse di San
Giovanni (Ap. 3,7): All'angelo della Chiesa di Filadelfia scrivi: Così
parla il Santo, il Verace, Colui che ha la chiave di Davide: quando egli
apre nessuno chiude, e quando chiude nessuno apre. Dopo la morte di P. nel
1681, Leade divenne, a tutti gli effetti, capo del circolo.
Jane
Leade (1623-1704) Nata nel 1623 da una famiglia agiata di Norfolk, Jane Ward,
nel 1638 all'età di 15 anni, ebbe un'esperienza mistica quando, ballando
durante una festa di Natale, sentì una voce che le diceva: "Cessa tutto
questo, Io voglio condurti ad un altro ballo, poiché questo è solo Vanità".
Da questo momento L. divenne melanconica e si isolò dal mondo esterno,
assumendo di fatto un pensiero simile a quello della corrente dei quietisti,
tutto ciò fino al 1643, quando sposò il mercante William Leade, con il quale
ebbe quattro figlie ed un matrimonio tutto sommato felice durato 27
anni. Nel 1663 L. incominciò a frequentare il reverendo Pordage e nel 1670,
dopo la morte del marito, con lui fondò a Bradfield il circolo teosofico
dei Filadelfi (The Philadelphians) [in seguito Società dei Filadelfi per
la promozione della pietà e della filosofia divina (The Philadelphian
Society for the Advancement of Piety and Divine Philosophy)] diventandone
la profetessa. Infatti nello stesso 1670, L. ebbe, per ben tre volte, una
visione di una dama, che si definiva la Vergine Sapienza (Sophia). In seguito
annotò le sue esperienze mistiche nel suo diario, dal titolo A Fountain of
Gardens (una fontana di giardini), dove tracciò le regole del circolo (dette
Leggi del Paradiso dal titolo di uno dei suoi numerosi libri) il cui scopo
era di "promuovere il Regno di Dio migliorando la vita, insegnando la
moralità più eccelsa e facendo valere il dovere della fratellanza universale,
della pace e dell'amore". La dottrina di L. era una miscela di quietismo,
come già detto, e di dualismo behmenita. Inoltre ella credeva nella
rigenerazione e nella resurrezione delle anime, nella parusia (secondo venuta
di Cristo) e nell'apocatastasi (la salvezza per tutto il creato: angeli e
uomini, anche se peccatori o dannati, e demoni). Nelle riunioni del
circolo, gli aderenti praticavano, come i sufi nell'Islam, una meditazione
silenziosa o un ballo ritmico e armonico per migliorare la disciplina
spirituale. L. pubblicò molti libri sulle sue esperienze, come Heavenly Cloud
(la nube celeste) del 1681, The Revelation of the Revelations (la rivelazione
delle rivelazioni) del 1683, anno in cui L. si occupò anche di far
pubblicare, postumo, il libro di Pordage, Theologica Mistica. In 23 anni, tra
il 1681 ed il 1704, L. scrisse e pubblicò circa 15 libri. Dal 1693 i libri
di L. furono tradotti in olandese e tedesco, stimolando la diffusione delle
sue idee anche sul continente. In Germania Eva von Buttlar fondò nel 1697 il
ramo tedesco della Società dei Filadelfi sotto forma di una comunità
rigorosamente regolamentata, dove beni e relazioni sessuali (sic!) erano a
disposizione di tutti i membri. L'esperimento tedesco fallì ben presto,
chiudendo le attività nel 1706. Dal 1694 L. iniziò ad essere aiutata dal
giovane medico Francis Lee (1661-1719), professore di Oxford, che divenne in
seguito suo genero e suo successore nella guida della Società dei
Filadelfi. Infine, dopo 65 anni di attività, L. morì il 19 agosto 1704
all'età di 81 anni. L'anno prima (1703) sotto la spinta di Lee, i
filadelfi avevano tracciato la loro confessione scritta di fede, tuttavia,
dopo la morte della fondatrice e, nel 1719, quella di Lee stesso, la setta
rapidamente declinò scomparendo intorno al 1730.
Butzer (Bucero),
Martin (1491-1551)
Martin Kuhhorn o Butzer (nome umanistico
Bucero) nacque a Schlettstadt (Sélestat) in Alsazia l'11 Novembre
1491. Dopo aver ricevuto una prima educazione di base alla scuola di latino
della sua città, B., all'età di quindici anni (nel 1506) entrò
nell'ordine domenicano, dove proseguì gli studi diventando prete.
Successivamente fu inviato all'università di Heidelberg dove si iscrisse alla
facoltà di teologia nel 1517. L'anno seguente (1518) durante un incontro
dell'ordine agostiniano, B. ebbe l'opportunità di ascoltare Martin Lutero,
che esponeva la propria dottrina e ne fu talmente conquistato che nel 1521
chiese al Papa Leone X (1513-1521), ed ottenne, la dispensa dai voti
monastici. Sempre nel 1521 B. si trasferì a Magonza (Mainz), diventando
cappellano di corte del principe elettore del Palatinato, Luigi V, detto il
Pacifico (1508-1544), ma già l'anno dopo fu nominato pastore a Landstuhl,
vicino a Kaiserslauten: qui si sposò con l'ex suora Elizabeth
Silbereisen. Tuttavia a causa della sua intensa attività di predicazione
riformista, egli fu scomunicato e trovò un primo rifugio nel castello di
Weissenburg (Wissembourg), in bassa Alsazia, di proprietà del cavaliere Franz
von Sickingen (1481-1523), difensore di molti riformisti e dissidenti,
come Johannes Reuchlin e Johannes Ecolampadio. Successivamente, nel 1523,
B. si trasferì a Strasburgo, dove la Riforma era stata da poco introdotta con
successo dal predicatore Mathias Zell (1477-1548), nonostante diversi
tentativi di assassinarlo. A Strasburgo B. lavorò per venticinque anni come
principale predicatore della città, collaborando con gli altri noti
riformisti, come il già citato Zell, Wolfgang Capito (1478-1541) e Caspar
Hedio (1491-1552). Egli si attivò anche per una riforma della vita non solo
ecclesiastica, ma anche sociale della città, ed in questo fu sorretto da
Jacob Strum (m. 1553), che divenne, a livello del consiglio cittadino, il più
accesso sostenitore della causa protestante. Nel 1527 B. pubblicò un libro
di teologia, che influenzò notevolmente Calvino, con il quale aveva in comune
le stesse idee sulla predestinazione e sul ruolo dello Spirito Santo. Nel
Giugno 1528 si tenne a Berna i cosiddetti Colloqui, con una massiccia
e qualificata partecipazione protestante svizzera (Zwingli, Berthold
Haller, Ecolampadio, Franz Kolb, Capito e B. stesso), alla quale i
cattolici contrapposero una delegazione non di grande rilievo, scelta dettata
da una serie di rifiuti alla partecipazione da parte degli ecclesiastici e
dei teologi cattolici più noti, come ad esempio Eck. Il risultato fu
una scontata vittoria dei riformatori e la redazione, a cura di Haller,
delle dieci tesi di Berna. Come pensiero riformatore, B. aderì alla
corrente zwingliana, ma ciò non gli impedì, in varie occasioni, di cercare di
agire come mediatore tra le posizioni svizzere e quelle tedesche luterane. B.
fu infatti uno degli artefici dei colloqui di Marburg del 1529 tra Lutero e
Zwingli per dirimere la questione dei valore attribuito al sacramento
dell'Eucaristia, pur conclusisi con un nulla di fatto. Nell'anno
successivo, 1530, egli fu uno dei protagonisti della prima dieta di Augusta,
dove, assieme ai riformisti delle città di Costanza, di Memmingen e di
Lindau, presentò la Confessio Tetrapolitana (cioè, per l'appunto, delle
quattro città). La riunione si concluse con la conciliatoria Confessio
Augustana, tracciata da Philipp Melantone, che tuttavia B. non
accettò. Ciò nonostante, la pace, almeno formale e di breve durata, tra
Lutero e Zwingli avvenne nel 1536 alla Concordia di Wittenberg, dove
perlomeno si ottenne un accordo, per quanto concerne l'Eucaristia, tra i
luterani tedeschi del nord e i riformatori della Germania del sud, capitanati
da B. stesso. Alla stesura dei cosiddetti Capitoli di Concordia, B. fu
aiutato dal riformatore italiano Bartolomeo Fonzio, un suo fedele
collaboratore. Dal 1538 al 1541, B. ebbe la possibilità di confrontarsi con
Calvino, che risiedeva a Strasburgo, dopo essere stato mandato in esilio da
Ginevra. Nel 1540, B. fu purtroppo protagonista, assieme a Lutero e
Melantone, dell'assenso alla bigamia del Langravio Filippo di Assia
(Hesse)(1504-1567), fatto che provocò un grave scandalo. L'anno
successivo (1541) la moglie Elizabeth Silbereisen morì di peste e B. sposò la
trentanovenne Willibrandis Rosenblatt, precedentemente vedova di ben 3
riformatori: Ludwig Keller (Cellarius), Johann Ecolampadio e Wolfgang Capito!
Willibrandis gli diede 3 figli. Negli anni successivi, B. partecipò a diverse
conferenze tra cattolici e protestanti (Hagenau 1540 e Regensburg 1541) e
tentò inutilmente, nel 1542, assieme a Melantone, di portare la Riforma a
Colonia (Köln). Nel 1548 B. respinse l'interim di Augusta, la formula
dottrinale provvisoria fra protestanti e cattolici in attesa delle risultanze
del Concilio di Trento. In seguito a ciò, dovette lasciare Strasburgo:
diversi riformatori come Calvino e Melantone gli offrirono ospitalità, ma
egli decise di accettare l'offerta dell'arcivescovo di Canterbury, Thomas
Cranmer di stabilirsi in Inghilterra, dove si recò nel 1549. Qui B. fu
altamente apprezzato sia da Cranmer che dal re Edoardo VI (1547-1553) e finì
i suoi giorni come professore di teologia a Cambridge, dove lavorò alla sua
opera De regno Christi e contribuì alla stesura del Book of Common Prayer (il
fondamentale libro delle funzioni religiose anglicane). B. morì il 28
Febbraio 1551 a Cambridge, ma non ebbe vita tranquilla, neanche da morto:
infatti nel 1556, sotto il regno della regina Maria Tudor la Cattolica (detta
la Sanguinaria) (1553-1558), la sua tomba fu distrutta e le sue ossa bruciate
sul rogo. Toccò alla sorellastra di Maria, la regina Elisabetta I (1558-1603)
di far restaurare la tomba di B. con tutti gli onori dovuti. B. fu, dopo
Lutero e Melantone, il più influente dei riformatori tedeschi, presso i quali
si distinse nel tentativo di conciliare posizioni spesso non coincidenti. Si
può inoltre attribuire a B. il ruolo di ponte tra la Riforma tedesca e quella
inglese, che lui poté influenzare negli ultimi anni della sua
vita.
Buzio (o Mollio), Giovanni da Montalcino (m.
1553)
Giovanni Buzio, detto il Mollio, nato a Montalcino, in
provincia di Siena, era un francescano minorita conventuale ed un
predicatore, che ebbe, all'epoca, un vasto seguito. Negli anni '30 del XVI
secolo, egli frequentò i circoli erasminiani di Brescia e nel 1538 si
convertì alla dottrina luterana. Fu per questo, processato intorno al 1540,
quindi trasferito nel convento di San Lorenzo, a Napoli, dove partecipò ai
circoli valdesiani, ma successivamente lo troviamo a Ravenna, dove incontrò
Pietro Manelfi. Nel 1552 egli fu nuovamente arrestato e tradotto a Roma per
essere giudicato dalla temibile Inquisizione Romana del cardinale Giovanni
Pietro Carafa, poi Papa Paolo IV (1555-1559). Il processo si svolse contro
undici eretici, dei quali solo B. non abiurò e quindi fu ricondotto in
carcere in attesa della sentenza di condanna a morte. Nel frattempo, i
governanti di Siena cercarono inutilmente di fare un tentativo di intercedere
per il loro conterraneo, ma B. fu impiccato, poi bruciato sul rogo, il 4
settembre 1553 a Campo dei Fiori, a Roma, assieme ad un tessitore di seta,
detto il Perugino. Secondo Theodore Elze, testimone oculare della sentenza,
che descrisse gli ultimi attimi di B. in una lettera del 1553, pubblicata
l'anno seguente a Strasburgo, B., ottenuto la possibilità di dire le sue
ultime parole davanti al patibolo, rese grazie a Dio per il fatto di dover
soffrire il martirio per il nome di Dio e della universale Chiesa
cristiana. Esortato a nominare la Chiesa romana, B. avrebbe risposto che la
Chiesa di Cristo non poteva essere divisa in chiese locali, ma era unica e
unita per la fede, sposa diletta di Cristo.
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