LA STREGONERIA - GLI
ERETICI |
Sozzini (o Socini, Sozini, Sozzino, Socino o Socinus), Fausto
Paolo (1539-1604) e Socinianesimo in Polonia
I primi
anni Il famoso teologo antitrinitario Fausto Paolo Sozzini (o Socini: per
le altre varianti del cognome, vedere il titolo), nome umanistico
Faustus Socinus, nacque il 5 dicembre 1539 a Siena, primogenito del
giurista Alessandro Sozzini (1509-1541) [a sua volta primogenito del
giureconsulto Mariano Sozzini il giovane (1482-1556)] e di Agnese Petrucci,
discendente di Pandolfo Petrucci (1452-1512), governatore di Siena dal 1487
al 1512. Il piccolo Fausto, dopo la nascita della sorella Fillide
(1540-1568), rimase nel 1541 orfano del padre, e dopo poco anche della madre.
Egli fu allevato nella famiglia paterna senza un'educazione regolare, con un
interesse più per le lettere che per la giurisprudenza (gli studi
tradizionali della famiglia Sozzini), sotto lo stimolo culturale di suo zio
Celso, professore di diritto a Bologna, e proprio in questa città Celso
trasportò nel 1554 l'Accademia senese dei Sizienti, di cui S., pare, abbia
fatto parte. E' sicuro invece la sua adesione, nel 1557, all'Accademia senese
degli Intronati, dove egli entrò con il nome di Frastagliato, sempre al
seguito dello zio Celso, che aveva assunto il nome di Sonnacchioso. Le
riunioni degli Intronati, votati alle discussioni sulla letteratura, lingua
e religione furono per S. senz'altro più interessanti di quelle dei
Sizienti, dedicati solo ad argomenti giuridici. Comunque, per sua fortuna,
non dovette affidarsi ad un titolo di studi per vivere, perché, nel 1556,
alla morte del nonno Mariano, S. poté disporre (per più di trent'anni) di una
certa sicurezza economica, quando ricevette in eredità un quarto dei beni
di famiglia.
Lo sviluppo del pensiero religioso di S. I primi
interessi religiosi eterodossi di S. gli furono trasmessi dallo zio Lelio,
che, benché esule dal 1547 in Svizzera per motivi religiosi, ebbe
la possibilità di rivisitare Siena e parlare col nipote nel 1552. Nel 1558
S. fu coinvolto nel processo per eresia a carico degli zii Celso e Camillo,
segno di un graduale schieramento a favore delle scelte protestanti dei
famigliari. Nel 1561 egli lasciò Siena per recarsi a Lione ufficialmente per
impratichirsi nell'arte mercantile, ma nella città francese egli spese due
anni della sua vita soprattutto ad approfondire le sue conoscenze religiose e
a mantenere i contatti con lo zio Lelio, che abitava a Zurigo. Avvertito
della morte di quest'ultimo, avvenuto il 14 maggio 1562, da parte del
mercante Antonio Mario Besozzi (m. 1567), S. accorse a Zurigo per raccogliere
gli scritti di Lelio, che poi usò per meditare e sviluppare la dottrina del
pensiero sociniano: già nell'aprile 1563, rielaborando concetti di Lelio, S.
aveva composto un commento all'incipit del Vangelo di San Giovanni, dal
titolo Explicatio primae partis primi capiti Evangelii Johannis, dove però,
rispetto allo zio, S. diede più forza al carattere spirituale di
Cristo. In seguito S. si stabilì per un breve periodo a Basilea (sebbene il
suo nome fosse anche citato nell'elenco degli iscritti alla Chiesa degli
Italiani a Ginevra), dove conobbe Celio Secondo Curione, amico dello zio
Lelio. S. si recò anche a Zurigo, dove fu tuttavia coinvolto nell'espulsione,
per le sue idee antitrinitarie, antiecclesiastiche e contro i Sacramenti, di
Bernardino Ochino (da S. conosciuto nella città svizzera) da parte del
riformatore Johann Heinrich Bullinger nel dicembre 1563. A questo punto
S., nonostante fosse già abbastanza compromesso con la Riforma, prese la
sconcertante decisione di ritornare in Toscana. Sulla strada di ritorno,
passò per Chiavenna, dove fece visita all'amico e maestro Ludovico
Castelvetro.
Il periodo fiorentino (1563-1574) Effettivamente non
è del tutto chiaro perché S. decidesse di rientrare in Italia, visto che poi,
per la sua stessa incolumità, dovette poi osservare una prassi fortemente
nicodemitica: infatti per i successivi 11 anni (dal 1563 al 1574) si tenne
per sé le sue intime elucubrazioni religiose. S. si trasferì a Firenze ed
entrò come segretario al servizio di Isabella de' Medici(1542-1576), figlia
del granduca Cosimo I de' Medici (duca di Firenze: 1537-1569 e granduca di
Toscana: 1569-1574), e del marito Paolo Giordano Orsini (1537-1585),
accompagnando la sua protettrice a Roma nel 1571 e componendo poemi e
sonetti, di cui i più ispirati furono quelli composto in onore della sorella
Fillide, morta nel 1568 e di Ludovico Castelvetro, morto il 21 febbraio 1571,
in cui S. dichiarò che il modenese gli aveva chiaramente mostrato la via da
seguire: l'esilio (in terra protestante) e la palese professione di
fede. Nel frattempo (1568) fu stampato, sotto lo pseudonimo del gesuita
Domenico Lopez, il suo scritto teologico De Sacrae Scripturae Autoritate,
che, applicando i metodi della filologia moderna, introdotti da Lorenzo
Valla, ribadiva l'autorità della Sacra Scrittura e l'eccellenza della
religione cristiana. L'uso di uno pseudonimo fu probabilmente frutto di un
accordo segreto con Cosimo I: il granduca avrebbe accordato la sua
protezione, a patto che S. non pubblicasse i suoi scritti con il proprio
nome. L'accordo proseguì anche con il successore di Cosimo, Francesco Maria
(1574-1587) e garantì il regolare afflusso di proventi verso il paese estero,
dove S. aveva, in volta in volta, stabilito la propria
residenza. Nonostante la dichiarazione in occasione della morte di
Castelvetro e la pubblicazione del De Sacrae Scripturae Autoritate, S. prese
la decisione di abbandonare per sempre l'Italia solo dopo la morte del
Granduca Cosimo I de' Medici, avvenuta nell'aprile 1574. Del resto, due anni
dopo, nel giugno 1576, avvenne una tragedia che avrebbe rinforzato la sua
decisione: la sua protettrice, Isabella de' Medici, fu strangolata dal
gelosissimo marito, che aveva saputo dell'esistenza di un amante della moglie
[sebbene avesse lui stesso come amante Vittoria Colonna Accoramboni
(1557-1585)]. Quindi nulla poté il nuovo granduca, Francesco Maria, fratello
di Isabella, per convincere il senese a recedere dalla sua decisione. Tra
l'altro, la scelta di S. era dettata dalla necessità di vivere in un
ambiente, che gli permettesse di sviluppare con serenità e sicurezza i suoi
studi sulle Scritture.
S. in Svizzera Nella seconda metà del
1574, quindi, S. emigrò in Svizzera, a Basilea, dove i capi religiosi erano i
tolleranti riformatori Theodore Zwinger (1533-1588) e Basilio Amerbach
(1533-1591): per quest'ultimo lo zio Lelio aveva scritto una lettera di
presentazione nel lontano 1547, quando lo svizzero aveva espresso il
desiderio di recarsi in Italia per completare i suoi studi di giurisprudenza.
A Basilea S. risedette per circa quattro anni, studiando le Sacre Scritture e
soprattutto il problema della redenzione, sul quale argomento scrisse due
trattati: la sua opera principale De Jesu Christo Servatore (Gesù Cristo
salvatore), finita nel 1578, pubblicata parzialmente (ma senza il suo
consenso) nel 1583 e interamente in Cracovia nel 1594, e il trattato De statu
primi hominis ante lapsum (Sulla condizione del primo uomo prima della
Caduta), sempre scritta nel 1578, ma pubblicata postuma nel 1610. Il primo
trattato, nato dalle discussioni con i riformatori Gerolamo Marliano,
Giovanni Battista Rota (pastore della Chiesa italiana a Ginevra), Manfredi
Balbani e Jacques Couët du Vivier (1547-1608), esponeva l'idea di S. a
riguardo della redenzione: il punto principale della dottrina protestante
della giustificazione per fede non era il sacrificio di Cristo compiuto per
espiare i nostri peccati, bensì la rivelazione divina attraverso l'esempio
della vita di Cristo, vero salvatore e redentore degli uomini. Il secondo
trattato, invece, si inserì nella polemica in atto tra S. e Francesco Pucci,
il pensatore utopistico che rigettava il concetto di peccato originale:
secondo Pucci, l'uomo è immortale e si danna solo quando, razionalmente,
devia dalla legge divina. Per S., che si confrontò con Pucci nel 1577 a
Basilea in un incontro organizzato da Francesco Betti, l'uomo, essere
mortale, si deve invece conquistare l'immortalità con la fede
attiva.
S. in Transilvania Una copia del manoscritto del De Jesu
Christo Servatore giunse fino in Transilvania e attirò l'attenzione del
riformatore antitrinitario e medico Giorgio Biandrata, che invitò S. a
recarsi a Kolozsvàr (oggi Cluj in Romania) nel novembre 1578, per polemizzare
con Ferenc Dàvid, il quale aveva aderito alla fazione degli antitrinitariani
non-adoranti, coloro i quali negavano il ruolo di guida per i fedeli verso la
salvezza del Cristo e rifiutavano, conseguentemente, ogni forma di adorazione
di Gesù Cristo. A loro si contrapponevano gli antitrinitariani adoranti, che
ponevano la figura di Cristo come riferimento per la salvezza degli uomini.
Da qui si comprende l'interesse di Biandrata verso il trattato di S., che
considerava Gesù Cristo colui il cui compito era di rivelare Dio agli uomini,
i quali potevano così raggiungere la salvezza, seguendo il Suo
esempio. L'inattesa conclusione della discussione avvenne nel giugno 1579,
quando, su denuncia di Biandrata, Dàvid fu fatto arrestare in giugno e
imprigionare nella fortezza di Déva dove morì il 15 novembre dello stesso
anno.
S. in Polonia S. non prese comunque parte attiva alla
tragedia umana di Dàvid, perché, già nel maggio 1579, si era trasferito in
Polonia, presso i Fratelli Polacchi, l'ecclesia minor di fede antitrinitaria
(o unitariana) che aveva mantenuto le caratteristiche ariane (in particolare
il concetto che Cristo era pre-esistito alla creazione del mondo e quindi era
giusto adorarlo) e anabattiste, datale da Pietro Gonesio: fu soprattutto
l'arrivo di S. che contribuì ad uniformare la dottrina sui principi proposti
dal senese. S. pose la sua residenza a Cracovia, sebbene il centro di
riferimento per l'unitarismo polacco fosse la vicina cittadina di Raków, dove
era stato fondato un seminario di studi antitrinitari nel 1569 e dove, tra il
1603 ed il 1605, sarebbe stato redatto il catechismo ufficiale della
setta. Curiosamente S. non fece ufficialmente parte della Chiesa
antitrinitariana di Cracovia, se non in tarda età, a causa del suo rifiuto di
farsi ribattezzare (l'influenza anabattista era ancora molto forte
sugli antitrinitariani polacchi) da parte del pastore Szymon
Ronemberg. Qui, però, riprese la polemica tra adoranti ed alcuni
esponenti non-adoranti, come Giacomo Paleologo, Jànos Sommer (1540-1574), e
Andrea Dudith Sbardellati: comunque, oltre alla solita diatriba se fosse
giusto o meno adorare Gesù Cristo, con il suo De Jesu Christi filii Dei
natura sive essentia, S. attaccò i non-adoranti come giudaizzanti, che
volevano, tra l'altro, santificare il sabato, secondo un uso sabbatariano,
che si sarebbe espanso in Inghilterra, portatovi proprio dagli
antitrinitariani profughi dalla Polonia. Inoltre un altro punto di
frizione con S. fu l'obbligo morale, secondo Paleologo, del cristiano nella
difesa, anche prendendo le armi, del paese che offriva la sua ospitalità. S.
era in totale disaccordo con questa tesi: per l'antitrinitariano senese, il
cristiano, secondo l'interpretazione del Nuovo Testamento, non poteva versare
il sangue di altri cristiani. I toni della polemica furono così accesi che il
medico Marcello Squarcialupi, amico di Biandrata, nel 1581 scrisse una
lettera a S. per richiamarlo ad abbassare i toni della polemica, che
danneggiava l'immagine degli esuli italiani. Comunque, a parte questo
episodio, S. mantenne sempre buone relazioni sociali con diversi esuli
italiani in Polonia, soprattutto con Niccolò Buccella, che diventò suo amico
fraterno e che nominò S. come uno dei suoi eredi, e con Prospero Provana, che
lo ospitò spesso in sua casa. Nel marzo 1583, temendo rappresaglie da parte
del fronte cattolico polacco, S. decise di andare ad abitare nel villaggio di
Pawlikowice (oggigiorno Roznów, sudest di Cracovia), ospite del nobile
polacco Krzysztof Morsztyn, e ne sposò la figlia Elizabeth nel 1586. L'anno
dopo nacque l'unica figlia di S., Agnese (1587-1654), ma, nello stesso anno
morì la moglie. Il 1587 fu anche l'anno della morte del suo protettore in
patria, Francesco Maria de' Medici, e, nonostante S. mantenesse
apparentemente dei buoni rapporti con il nuovo granduca, Ferdinando I
(1587-1609), l'Inquisizione a Siena gli sequestrò i beni, con l'accusa di
eresia. Tuttavia la perdita di introiti dalla madrepatria fu parzialmente
compensata dalla possibilità di pubblicare con il proprio nome le sue opere,
poiché, come si è detto precedentemente, l'anonimato era la conditio sine qua
non imposta prima da Cosimo I, poi da Francesco Maria de' Medici perché S.
potesse continuare a ricevere i proventi delle sue proprietà di
famiglia. Nel 1588 S. riuscì nell'impresa di unire tutte le fazioni
antitrinitariane al sinodo di Brest (Brzesc, in Lituania) e, in suo onore, da
questo momento gli antitrinitariani si denomineranno sociniani. Oltretutto la
crescente popolarità presso la nobiltà polacca e l'autorevolezza dei suoi
interventi fecero sì che nel 1596 S. fosse nominato capo della Chiesa
sociniana polacca. Tuttavia la conseguenza fu che egli dovette
fronteggiare una violenta reazione, anche di piazza, dei cattolici: nel 1591
il suo punto d'incontro a Cracovia fu devastato dalla folla, ma soprattutto,
nel 1598, gli studenti universitari, sobillati dai gesuiti, fecero irruzione
nella sua casa di Cracovia, mentre giaceva a letto ammalato: S. stesso fu
malmenato e portato davanti al municipio, dove vennero bruciati i suoi
scritti e i suoi libri. Richiesto di abiurare, rifiutò e fu quindi trascinato
via per essere annegato nel fiume Vistola, e solo il tempestivo intervento di
un professore universitario, Martin Wadowit, gli salvò la vita. Temendo
quindi per altri attacchi di fanatici, S. si trasferì da Cracovia
a Luslawice, un villaggio a nord di Tarnów, a 30 km. da Cracovia, ospite
di Abraham Blonski, e qui iniziò, senza poterla finire, la stesura della
bozza di un catechismo antitrinitariano, la Christianae religionis
brevissima institutio, per interrogationes et responsiones, quam catechismus
vulgo vocant, che fu la base del catechismo ufficiale, redatto, dopo la sua
morte, dal fedele discepolo Piotr Stoinski junior (m. 1605), assieme a
Valentinus Smalcius (1572-1622), Hieronymus Moskorzowski (m. 1625) ed altri,
in polacco nel 1605. Il testo fu poi tradotto in tedesco nel 1608, in
latino nel 1609, ed in inglese, a cura di John Biddle, nel 1652 con il titolo
di The Racovian Catechisme (Catechismo di Raków), nome con il quale oggi è
conosciuto nel mondo anglosassone unitariano. S., ormai vecchio e
sofferente per ripetute coliche e calcoli renali, morì a Luslawice il 4 marzo
1604. Dapprima sulla sua tomba fu posta la scritta Chi semina virtù,
raccoglie la fama, e vera fama supera la morte, ma nel 1936 i suoi resti
furono posti in un mausoleo, dove sulla sua tomba vennero scritte queste
significative parole: Crolli la superba Babilonia: Lutero ne distrusse i
tetti, Calvino le mura, Socini le fondamenta.
Il pensiero
religioso Secondo Marian Hillar, il nocciolo delle dottrine sociniane si
riassumano in dieci punti: Antitrinitarismo, o negazione del concetto
tradizionale della Trinità. Unitarianismo, o negazione della pre-esistenza di
Gesù. Il concetto della redenzione attraverso atti morali. Il dualismo
radicale: Dio e l'uomo sono radicalmente differenti. Il primo uomo, Adamo,
era mortale prima della Caduta. Il concetto della religione come pratica di
principi etici, per esempio la convinzione che gli insegnamenti morali di
Cristo, tipo il Sermone della Montagna, devono essere praticati. La
convinzione che l'uomo è capace di sviluppare la volontà di seguire Cristo e
così ottenere la salvezza. L'opposizione al misticismo, che richieda qualche
speciale illuminazione per conoscere la verità religiosa. La convinzione
che la ragione dell'uomo è sufficiente per capire e interpretare le
Scritture. La posizione empirica che tutte le nostre conoscenze
derivano dall'esperienza dei sensi. Il pensiero di S., fortemente
razionale, accettava un solo Dio, mentre Gesù Cristo era semplicemente un
uomo crocefisso, il cui compito era di rivelare Dio agli uomini, permettendo
loro di raggiungere così la salvezza, seguendo il Suo esempio. Per lui la
Sacra Scrittura, redatta da uomini, non era indenne da errori, e l'uomo
doveva basarsi sulla propria etica per osservare i comandamenti e non era
quindi necessaria la grazia divina. Egli, inoltre, negava l'esistenza
dell'inferno, il peccato originale, la necessità dei sacramenti, la
predestinazione, e, rispetto ai Fratelli Polacchi, rifiutava il secondo
battesimo.
La fine del socinianesimo in Polonia Pochi anni dopo,
nel 1610, sotto il regno di Sigismondo Augusto III (1587-1632), la potente
organizzazione gesuita sbarcò in Polonia decretando il rapido declino degli
antitrinitariani (o unitariani) in Polonia: il 6 novembre 1611 fu bruciato
sul rogo a Varsavia l'unitariano Jan Tyskiewicz, un agiato cittadino di
Bielsk, per essersi rifiutato di giurare sulla Trinità e nel 1638 fu chiuso
il seminario di Raków. Il colpo finale per l'unitarismo in Polonia fu
comunque, durante il regno di Giovanni Casimiro (1648-1668), il bando di
espulsione per tutti gli unitariani polacchi, deciso nel 1658 e diventato
esecutivo il 10 luglio 1660, che li costrinse o ad uniformarsi al
cattolicesimo o ad emigrare in altri paesi europei (in Olanda, dove la
maggior parte si trasferì aderendo alla Chiesa Arminiana dei rimostranti, in
Germania, e in Transilvania, dove però essi non aderirono alla Chiesa
Unitariana Transilvana, ma formarono una chiesa autonoma a Kolozsvàr
estinguendosi nel 1793). Nel 1668 fu introdotta la legge, che prevedeva la
pena di morte per i cattolici battezzati, che si fossero convertiti al
protestantesimo. L'ultima sacca di resistenza unitariana in Polonia si
estinse nel 1811 e solo nel 1921 furono riaccettate le congregazioni
unitariane nella nazione rinata dopo secoli di dominazione straniera. Ma la
successiva occupazione nazista nel 1939 e l'instaurazione del comunismo ha
fatto sì che l'unitarianismo polacco potesse incominciare a muovere
nuovamente qualche timido passo solamente dopo la caduta del muro di Berlino,
negli anni '90 del XX secolo. L'attuale Chiesa unitariana in Polonia
comprende solo qualche centinaio di fedeli. Per lo sviluppo del
socinianesimo in altri paesi, vedi unitarianismo.
Smyth (o Smith),
John (ca. 1554-1610) e i battisti inglesi
Le notizie
sull'infanzia di John Smyth (o Smith) [da non confondere con l'omonimo, di
poco più giovane, John Smith (1580-1631), fondatore della colonia di
Jamestown, in Virginia e famoso per il noto episodio di Pocahontas] sono
molto scarse: si sa che nacque circa nel 1554, ma non se ne conosce la
località di nascita. E' invece noto che S. iniziò nel 1586 gli studi
universitari al Christ's College di Cambridge, dove fece la conoscenza del
puritano Francis Johnson (1562-1618), e dove si laureò come Maestro in Arti
Liberali nel 1593. Nel 1594 S. fu ordinato sacerdote anglicano dal vescovo di
Lincoln, William Wickham (vescovo 1584-1595), e divenne professore aggiunto
nel suo collegio universitario. Nel settembre 1600 a S. fu chiesto di
recarsi nella città di Lincoln, dove fu nominato predicatore ufficiale e
cappellano del sindaco. Ma i vigorosi e franchi sermoni di S. non piacquero
ai cittadini e nell'ottobre 1602 gli fu revocato il mandato. E' vero che
fu compensato per la perdita dell'incarico, ma l'episodio fu solo l'inizio
dei suoi guai: l'anno successivo gli fu tolto la licenza di predicatore e nel
1606 fu inquisito per aver letto le Sacre Scritture nella chiesa parrocchiale
di Gainsborough, nella contea del Lincoln(shire), dove S. risiedeva e faceva
il medico. Fu una palese ingiustizia perché il volonteroso S. si era prestato
a questa incombenza solo perché il prete titolare, pagato per officiare, non
era comparso in chiesa quel giorno. Comunque ciò tolse ogni residua fiducia
di S. nell'episcopato ed egli quindi decise, insieme ad John Robinson, il
futuro ideatore del viaggio dei Padri Pellegrini, di fondare una
congregazione separatista nella valle del fiume Trent, alla confluenza delle
contee del Lincolnshire, Yorkshire e Nottinghamshire. Facevano parte del
gruppo William Brewster, Richard Clifton, Hugh Bromhead, Thomas Helwys e
William Bradford (1590-1657). Quest'ultimo sarebbe in seguito diventato il
governatore della colonia dei Padri Pellegrini a Plymouth nel
Massachusetts. A causa di divergenze interne (contrariamente a Robinson, S.
voleva tagliare ogni forma di amicizia con i puritani rimasti nell'ambito
della chiesa ufficiale), il gruppo ben presto si spezzò in due tronconi,
anche per motivi geografici: Helwys, Clifton e Bromhead rimasero con S. a
Gainsborough, mentre gli altri, che vivevano vicino a Scrooby (nella contea
del Nottinghamshire), scelsero Robinson come loro capo. Comunque ambedue
i gruppi decisero di emigrare in Olanda nel 1608, Robinson a Leida e S.
ad Amsterdam. Ad Amsterdam S. rincontrò Francis Johnson, che aveva fondato
una chiesa separatista in esilio, dopo aver scontato quattro anni di
prigione, fino al 1596, per aver fondato precedentemente una simile chiesa a
Londra. Tuttavia ben presto il focoso S. trovò la maniera di litigare anche
con Johnson su tre punti: S. insisteva a leggere le Sacre Scritture in
lingua originaria (ebraico e greco) e traducendo a braccia, perché, secondo
lui, la traduzione ufficiale, già bell'e fatta, era un elemento di formalismo
introdotto nel culto. S. rimase sempre profondamente congregazionalista,
mentre Johnson, visti i suoi trascorsi, aveva ogni tanto delle nostalgie
presbiteriane. Tuttavia, come obiettava S., la chiesa può fare degli atti
legali senza gli anziani, ma gli anziani non possono fare niente senza
l'approvazione della comunità, o contro di essa. Questa argomentazione fu
sufficiente per convincere Henry Ainsworth (1571-1622), il teologo della
chiesa di Johnson ad aderire alla chiesa di S. Ma soprattutto ci fu il
rifiuto di S. del battesimo dei bambini, un punto piuttosto originale per una
chiesa protestante inglese. Ciò era inizialmente derivato dal rifiuto di
tutto quello che veniva celebrato dalla Chiesa Anglicana, incluso il
battesimo infantile e poi, secondo S., era fondamentale credere per poter
essere battezzati, una condizione evidentemente impossibile per bambini
neonati. Ma questa presa di posizione, a quel tempo, suscitò scalpore perché
faceva immediatamente venire alla mente gli anabattisti e le atrocità della
dittatura di Münster del 1534-36, che avevano provocato tanti lutti e dolori
in molte famiglie olandesi. Comunque S. e i suoi seguaci decisero ugualmente
di fondare una seconda chiesa separatista in Olanda nel 1609 e di
ribattezzarsi: dapprima S. battezzò se stesso, poi battezzò Helwys e gli
altri. Questo gesto di se-battesimo, come fu chiamato l'auto-battesimo di S.,
fu aspramente criticato da Clifton, che obiettò che se qualsiasi uomo poteva
battezzarsi da solo, allora sarebbero potuto esistere tante chiese quanti
erano i fedeli. S., il cui se-battesimo poteva significare la mancanza di
una vera chiesa, rispose alle critiche cercando l'adesione ad uno dei rami
più importanti dell'anabattismo mennonita olandese: quello dei waterlanders
di Hans De Ries. Tuttavia questa subitanea decisione fu contestata da Thomas
Helwys, il quale, non volendo assimilare in toto la dottrina dei mennoniti,
abbandonò la chiesa di S., fondandone una nuova, denominata dei Battisti
Generali, che scomunicò S. e tagliò ogni relazione con lui entro il 1611.
L'anno successivo, Helwys decise, con un atto molto coraggioso, di far
rientrare in Inghilterra il proprio gruppo nel 1612. In Olanda, nel
frattempo, con molte esitazioni e polemiche interne, il gruppo superstite di
S., oramai ridotto a qualche decina di adepti, fu finalmente ammesso e
assorbito dalla chiesa mennonita dei waterlanders nel 1615, ma il loro
fondatore era già morto di consunzione nel agosto 1612. Secondo alcuni
autori, S. si può definire il fondatore della corrente dei battisti, la più
diffusa confessione religiosa protestante attualmente esistente, sebbene la
linea che lo collega alle attuali chiese battiste passi obbligatoriamente
attraverso Thomas Helwys, più pronto a recepire, in senso moderato, alcuni
punti mennoniti, ma anche a respingere altri, come il divieto di giurare o di
occupare incarichi pubblici. In più Helwys accettò e incorporò nella teologia
della sua chiesa le dottrine del teologo olandese Jacob Hermanzoon, detto
Arminio. Le due anime battiste (Battisti Generali inglesi e Mennoniti
olandesi) rimasero separate, nonostante un tentativo di unione, poi fallito
nel 1626. Due secoli dopo, nel 1815 i Battisti generali inglesi confluirono
nel movimento unitariano.
Sozzini (o Sozini, Sozzino, Socino,
Socini o Socinus), Lelio (o Laelius) Francesco Maria
(1525-1562)
La famiglia Sozzini Lelio Francesco Maria Sozzini
(il cui cognome è riportato secondo svariate grafie come Sozini, Sozzino,
Socino o Socini, nonché nella forma latinizzata completa Laelius Socinus)
nacque a Siena il 25 marzo 1525, sesto dei sette figli del giureconsulto e
professore universitario Mariano Sozzini (1482-1556), detto il giovane per
distinguerlo dal più noto e omonimo nonno (1401-1467), e della moglie
fiorentina Camilla Salvetti (m. 1554). Il primogenito dei due coniugi fu
Alessandro Sozzini il giovane (1509-1541), padre, a sua volta dell'altro
famoso riformatore della famiglia, Fausto Sozzini, mentre degno di nota
furono anche altri quattro fratelli di Lelio, tutti di fede
antitrinitaria: Cornelio: eretico processato dapprima a Bologna nel 1558
assieme al fratello Celso, e poi a Siena nel 1560, assieme al fratello Dario,
per aver messo in dubbio l'autorità del pontefice e la validità del
sacramento dell'Eucaristia: fu liberato per interessamento del Duca Cosimo I
de' Medici (1537-1574). Dario: incarcerato a Siena per gli stessi motivi
di Cornelio (vedi sopra). Dopo la liberazione, si recò con il fratello
Camillo in Valtellina, ma, accusati di antitrinitarismo, essi ne vennero
espulsi nel 1563 per ordine di Johann Heinrich Bullinger, riparando in
seguito a Costanza. Alcuni autori ipotizzano che, da questo momento, la
figura di Dario Sozzini (da Siena) coincida con quella di un certo Dario
Senese, un antitrinitario attivo in Moravia e Transilvania negli anni '70 del
XVI secolo. Celso (m. 1570): professore di diritto a Bologna, trasportò nella
città felsinea l'Accademia senese dei Sizienti nel 1554 e successe
come cattedratico al padre Mariano alla sua morte nel 1556. Fu processato
a Bologna assieme al fratello Cornelio ed abiurò. Morì a Bologna nel
1570. Camillo: sfuggì alla cattura nel 1560, che coinvolse i fratelli
Cornelio e Dario, emigrando in Svizzera. A Zurigo fu ospite del mercante
Antonio Mario Besozzi (m. 1567): scoperto nel 1565, fu cacciato dalla città e
il Besozzi fu processato. Camillo si recò allora in Valtellina, cercando di
stabilire la propria residenza a Chiavenna, ma ne fu impedito dal pastore
riformato, Scipione Lentulo. Scelse allora di abitare a Piuro, in casa del
pastore riformato Girolamo Turriani (o Turriano), dove conobbe e divenne
amico del commerciante anabattista Niccolò Camulio. Tutto questo gruppo,
compreso Camillo, venne espulso dalla Valtellina nel 1571.
I primi
anni Iniziato agli studi di legge, secondo la tradizione di
famiglia, all'università di Padova, dove la famiglia era emigrata quando egli
aveva cinque anni, S. conobbe e strinse rapporti di amicizia con il collega
del padre Matteo Gribaldi Mofa. Tuttavia , poco dopo, S. abbandonò i suoi
studi giuridici per approfondire la teologia evangelica: la tradizione lo
vuole ispiratore (ma fu, più probabilmente data la giovane età, un semplice
partecipante) dei Collegia Vicentina del 1546, le riunioni riformate
eterodosse, alle quali parteciparono i principali anabattisti e antitrinitari
dell'epoca, tra cui Paolo Alciati della Motta, Celio Secondo Curione,
Francesco Della Sega, Giovanni Valentino Gentile, Giulio Gherlandi, Matteo
Gribaldi Mofa e Francesco Negri da Bassano.
S. in esilio Nel
1547 S. lasciò l'Italia, probabilmente perché già nel
mirino dell'Inquisizione come eretico, per recarsi in Valtellina, all'epoca
parte del Cantone svizzero dei Grigioni. Qui, a Chiavenna, egli conobbe e
fu fortemente influenzato da Camillo Renato, ma pur parteggiando per le
sue idee, cercò di mantenersi il più neutrale possibile nella diatriba
che quest'ultimo aveva intrapreso con il pastore locale Agostino
Mainardi. Nell'ottobre dello stesso 1547 egli si trasferì a Basilea, dove
conobbe Sébastien Castellion e Celio Secondo Curione (la presunta amicizia
dei due risalente ai Collegia Vicentina del 1546 non è documentata). Nella
città svizzera, S. si iscrisse all'università, il cui rettore era il
cartografo tedesco ed ex francescano passato (nel 1529) al luteranesimo,
Sebastian Münster (1488-1552). Qui venne accolto da un collega svizzero
del padre, Bonifacio Amerbach (1495-1562), a sua volta genitore del futuro
riformatore Basilio Amerbach (1533-1591): S. scrisse una lettera di
presentazione per quest'ultimo, il quale desiderava recarsi in Italia per
completare i suoi studi di giurisprudenza. Studi che evidentemente il nostro
non perseguì più di tanto poiché nel periodo 1548-49 la sua presenza viene
segnalata prima a Ginevra, poi in Francia, a Nérac, presso la corte di
Margherita di Angoulême (1492-1549), moglie di Enrico II di Navarra
(re:1516-1555), protettrice di riformatori come Guillaume Briçonnet, Jacques
Le Fèvre d'Étaples e Giovanni Calvino, e infine in Inghilterra, dove avrebbe
conosciuto Pier Martire Vermigli e Jan Laski. In seguito S. rientrò a
Basilea, dove visse, alternandosi con Zurigo, negli ambienti universitari,
ospite rispettivamente di Sebastian Münster e dello zurighese Conrad Pellican
(Pellicanus) (1478-1556). A Zurigo S. entrò in contatto con Johann Heinrich
Bullinger, che divenne quasi un padre per il giovane senese e al quale egli
espose i suoi primi dubbi religiosi: il riformatore lo incoraggiò a scrivere
a Calvino in persona ed in effetti S. gli inviò due lettere con vari quesiti
sulle pratiche nicodemiche, come la possibilità di sposare una donna
riformata, che non avesse abbandonato le cerimonie cattoliche, oppure le
implicazioni per i riformati nel dover assistere ad una messa cattolica, se
costretti, o su argomenti più teologicamente impegnativi come il valore del
Battesimo o il dogma della resurrezione della carne. Le risposte ferme, ma
aspre, di Calvino, anticipavano le future battaglie epistolari fra i
due.
S. in Germania e Polonia Nel giugno 1550 S. si recò in
Germania, a Wittenberg, per incontrare Melantone e per iscriversi
all'università, dove strinse amicizia con Flacio Illirico. Tuttavia, già
esattamente un anno dopo (giugno 1551), l'avventuroso senese partì, su invito
del polacco J. Maczynski conosciuto a Wittenberg, per un primo viaggio in
Polonia, passando da Breslavia, e qui fece la conoscenza del medico
imperiale, cripto-calvinista, Johannes Crato von Crafftheim (1519-1585),
corrispondente epistolare di diversi riformati italiani, che operavano in
quelle terre, come Marcello Squarcialupi e Andrea Dudith Sbardellati. Da
Breslavia S. si recò a Cracovia, conoscendo Francesco Lismanini (1504-1566),
all'epoca confessore cattolico della regina di Polonia, Bona Sforza, moglie
di Sigismondo II Iagellone, detto Augusto (1543-1572), ma in seguito stretto
collaboratore di Giorgio Biandrata.
Le accuse contro S. in
Svizzera S. rientrò, dopo essere passato dalla Moravia, in Svizzera, giusto
nel momento della disputa tra Calvino e Jèrome Bolsec, l'ex carmelitano,
passato alla Riforma e contestatore della dogma calvinista sulla
predestinazione, che decise di ritornare al Cattolicesimo. Agli inviti alla
moderazione e alla tolleranza di S., indirizzati al riformatore ginevrino,
questi, in maniera violenta e minacciosa, rispose a S. di guarire dalla sua
curiosità di questionare continuamente le cose religiose, prima che questo lo
portasse in grossi guai: del resto i crescenti dubbi dello senese
sull'utilità dei Sacramenti e sulla forza redentrice di Cristo iniziavano a
mettere in dubbio perfino i riformatori svizzeri a lui più favorevoli, come
Bullinger. Nella seconda metà del 1553 avvenne il famoso processo a carico di
Michele Serveto, conclusosi con il rogo, il 27 ottobre, del medico
antitrinitario spagnolo. Questo episodio fu l'occasione per i dissidenti
della Riforma, principalmente italiani, di far sentire la loro voce di
protesta: infatti vi furono prese di posizione molto polemiche da parte di
Gentile, Gribaldi Mofa e Curione, che dovettero emigrare successivamente da
quella che a loro era sembrata la città della tolleranza religiosa. Anche
Castellion intervenne, scrivendo, sotto lo pseudonimo di Martin Bellius, il
suo libro più famoso, De haereticis, an sint persequendi (Gli eretici devono
essere perseguiti?), un appassionato appello alla tolleranza ed alla libertà
religiosa, alla cui stesura pare avesse collaborato anche S., benché nel
periodo 1552-53, quando avvenne la tragedia di Serveto, egli si trovasse in
Italia (nella natia Siena dove iniziò alle sue idee religiose il nipote
Fausto, a Bologna per visitare il padre Mariano, e a Padova presso l'amico
Gribaldi Mofa). A questo punto fioccarono, sempre più fitte, accuse e
segnalazioni a Bullinger di eterodossia a carico di S.: il medico bergamasco
Guglielmo Gratarolo (1516-1568) segnalò che S. era in accordo con i difensori
di Serveto, il pastore Celso Massimiliano Martinengo, predicatore della
Chiesa Italiana a Ginevra, denunciò l'aperta critica di S. verso il dogma
della Trinità, e perfino Pier Paolo Vergerio scrisse da Tubinga per segnalare
il rafforzamento delle idee antitrinitarie di S. nei Grigioni, confermato
in loco anche da Giulio Della Rovere. Bullinger fu quindi costretto ad
insistere che S. scrivesse una confessione di fede ortodossa: dopo qualche
tentennamento il senese compilò un'ambigua dichiarazione, senza una vera e
propria confessione di fede. Egli dichiarò di onorare i tre principali credi
cristiani occidentali (Cattolicesimo, Calvinismo e Luteranesimo), di seguire
la Scrittura canonica e il Simbolo apostolico, di voler abbandonare le
discussioni e le inutili dispute per poter "riposare nella stessa verità di
Dio". Bullinger si limitò ad introdurre delle correzioni nella suddetta
dichiarazione e ad avvertire il suo protetto di non propagandare le sue
dottrine e i suoi dubbi. E S. mantenne per un certo periodo la promessa,
assumendo un atteggiamento nicodemico in terra protestante: in questo tempo,
l'unico suo intervento fu quando egli fece delle osservazioni al proprio
protettore a proposito dei Commentaria dell'umanista antitrinitario Martin
Borrhaus (nome umanistico: Cellarius) (1499-1564).
Gli ultimi
anni Ma, nel 1554 morì sua madre, Camilla Salvetti, seguita dal padre nel
1556, e, oltre ai lutti di famiglia, egli soffrì anche per la fine della
sua indipendenza economica a causa del sequestro da parte dell'Inquisizione
dei suoi beni di famiglia, in quanto condannato come eretico in contumacia.
S. decise quindi di intraprendere un nuovo viaggio in Polonia,
probabilmente per cercare un ambiente più tollerante alle sue idee
eterodosse, rispetto alla Svizzera, ed un protettore, che potesse garantirgli
un salvacondotto per un viaggio in Italia alla ricerca di come recuperare
almeno parte del patrimonio di famiglia. Fu proprio Calvino che gli
scrisse una lettera di raccomandazione per il principe polacco Nicola
Radziwill e il riformatore Jan Laski. S. si recò dunque, passando dapprima
dalla Germania, in Polonia nell'autunno 1558, dove incontrò il medico
Giorgio Biandrata: l'azione degli antitrinitari polacchi come Pietro Gonesio
e Grzegorz Pawel fu rinforzata dall'arrivo dei due riformatori italiani, i
quali (soprattutto il Biandrata) aiutarono a formare una comunità,
soprattutto di esuli loro connazionali, a Pinczòw vicino a Cracovia. Dopo
esser stato ricevuto benevolmente dal principe Radziwill e dal re Sigismondo
II Augusto, nella primavera del 1559, carico di raccomandazioni
e salvacondotti regali, S. partì per l'Italia, passando attraverso
Vienna, dove l'accolse il futuro imperatore Massimiliano II
(1564-1578), simpatizzante per la causa riformista, che gli fornì un
ulteriore salvacondotto per l'Italia. Ma nonostante tutti le potenti
presentazioni e raccomandazioni, S., giunto a Venezia, non riuscì, neppure
con l'aiuto del doge Girolamo Priuli (1559-1567), a far dissequestrare i suoi
beni, confiscati dall'Inquisizione. Oltretutto i suoi fratelli Cornelio e
Dario sarebbero stati da lì a poco arrestati per le loro idee religiose
eterodosse. Deluso, S. rientrò nel 1560 a Zurigo, da cui non si mosse più e
dove ricevette varie volte la visita del nipote Fausto. A Zurigo S. dimorò
presso la casa di un tessitore di seta di nome Hans Wyss e vi morì il 14
maggio 1562, a soli 37 anni.
Le opere S. pubblicò molto poco
nella sua vita e quasi tutti i suoi appunti e carteggi passarono al nipote
Fausto, che, avvisato della morte dello zio da parte di Antonio Mario
Besozzi, si precipitò a Zurigo per raccogliere gli scritti di Lelio, che poi
usò per meditare e sviluppare la dottrina del pensiero sociniano. Solo due
brevi trattati De Sacramentis e De resurrectione corporum furono dati alle
stampe, oltre ad un commentario sul primo capitolo del Vangelo di San
Giovanni, pubblicato nel capitolo 11 del libro II del trattato di Biandrata e
Ferenc Dàvid De vera et falsa unius Dei, Filii et Spiritus Sanctii cognitione
(Della falsa e vera conoscenza dell'unità di Dio Padre, Figlio e Spirito
Santo), la cui attribuzione alla penna di S. si deve allo storico Delio
Cantimori.
La dottrina Il pensiero di S. risentì degli influssi
dell'umanesimo filologico di Lorenzo Valla, dell'esegesi del Nuovo Testamento
di Erasmo, delle tesi antitrinitarie di Michele Serveto (senza la sua
concezione metafisica), della spiritualità di Juan de Valdés e della polemica
sui sacramenti di Camillo Renato. Tuttavia fu un suo pensiero originale il
desiderio di richiedere continuamente risposte razionali a domande
teologiche: questa posizione non lasciava spazi per i dogmi, le Sacre
Scritture erano viste come un'autentica testimonianza e non un pretesto per
l'invenzione di ulteriori dogmi. Il ruolo della volontà e dell'intelletto
umano veniva elevato ai massimi livelli: l'uomo poteva controllare le sue
decisioni morali, partendo da una base razionale. Su queste premesse, la
"vera" Chiesa perdeva il suo supernaturalismo e diventava una società di
credenti, idealmente collegata alla Chiesa dei primordi o Chiesa
primitiva. L'altro punto fondamentale del pensiero di S. era la negazione
della divinità di Gesù: Cristo non era la seconda persona (o ipostasi)
della Trinità, ma solamente un uomo, sebbene con caratteristiche divine.
Inoltre la Sua umanità era identificata con la sofferenza, l'umiltà, la
povertà del mondo degli oppressi, che Egli voleva salvare, e non con il mondo
dei ricchi e potenti, un concetto radicale di ispirazione anabattista, che
sarebbe stato in seguito rielaborato dal nipote e da
Biandrata.
Unitarianismo (o unitarismo o antitrinitarismo) (XVI -
XVII secolo)
Termine teologico per indicare la fede nell'unicità
di Dio e nella contemporanea negazione del dogma della Trinità. Ne consegue
anche la negazione della divinità di Cristo. L'unitarianismo è stato, a
parte l'anabattismo, la terza grande alternativa nella galassia protestante,
oltre al luteranesimo e allo zwinglianismo/calvinismo.
La
storia La dottrina dell'unitarianismo viene fatta tradizionalmente risalire
agli inizi del Cristianesimo, ed in particolare agli eretici del periodo
intorno al Concilio di Nicene (325), come Ario (infatti gli unitariani
furono proprio chiamati ariani dai loro detrattori), Paolo di Samosata, Noeto
di Smirne, Prassea e Sabellio. Nel medioevo il concetto antitrinitario
non scomparì del tutto, ma rimase nella filosofia di Abelardo e
Roscellino. Venendo al periodo rinascimentale, i primi studiosi ad aver
espresso concetti antitrinitari furono nel 1527 Martin Borrhaus (nome
umanistico: Cellarius) (1499-1564), amico di Martin Lutero, e il predicatore
anabattista Ludwig Haetzer (1500-1529), ma fu soprattutto la pubblicazione a
Hagenau, in Alsazia, nel 1531, del famoso libro De trinitatis erroribus (Gli
errori sulla Trinità) del medico spagnolo Miguel Servet (Michele Serveto) a
gettare nello scompiglio i più famosi pensatori protestanti dell'epoca, da
Lutero ("un libro abominevolmente malvagio") a Melantone, Ecolampadio,
Bucero. Quest'ultimo tuonò dal proprio pulpito che l'autore avrebbe meritato
di essere squartato! E proprio in seguito alla pubblicazione di questo
libro tutti i riformatori dell'epoca decisero di rinforzare
l'importanza dottrinale della Santa Trinità. Dopo una vita tribolata da
continue persecuzioni, Serveto finì i suoi giorni, messo al rogo a Ginevra
nel 1553 da un altro dei pensatori riformisti, che più lo detestavano,
Giovanni Calvino. Ma la morte di Serveto fece levare moltissime voci di
protesta, tra cui quelle dei protestanti italiani Giovanni Valentino Gentile,
Matteo Gribaldi Mofa, Giorgio Biandrata e Giovanni Paolo Alciati della Motta,
i quali furono costretti ad emigrare da Ginevra, portando, pur con sfumature
diverse, i germi della dottrina antitrinitaria soprattutto dal 1560
nell'Europa orientale, cioè in Polonia, Moravia e
Transilvania.
Antitrinitari in Polonia Qui le dottrine
antitrinitarie non erano totalmente sconosciute, tant'è vero che già nel 1538
una anziana donna di 80 anni, Caterina Weygel (o Vogel), era stata bruciata
sul rogo a Cracovia per una sospetta eresia antitrinitaria. Ma sotto il regno
di Sigismondo II Augusto (1543-1572) si crearono le premesse per lo sviluppo
delle idee antitrinitarie in Polonia. L'antesignano fu Petrus Gonesius (Piotr
Z Goniazde), che aveva studiato a Padova nel 1552-54 con Gribaldi Mofa e da
lui era stato convertito. Già nel secondo sinodo della Chiesa Riformata
Polacca (fondata da Jan Laski) del 1556, Gonesius espresse forti concetti
antitrinitari, ma fu solo con l'arrivo di Giorgio Biandrata e di Lelio
Sozzini nel 1558 che la corrente unitariana trovò dei veri leader e formò una
comunità, soprattutto di esuli italiani, a Piñczòw vicino a
Cracovia. Tuttavia, poco dopo, ci fu per loro un durissimo colpo quando i
cattolici, rappresentati dal nunzio apostolico cardinale Giovanni Francesco
Commendone (1523-1584), convinsero il re Sigismondo II Augusto ad emettere
nell'agosto 1564 l'editto di Parczów, che stabiliva l'espulsione di tutti gli
stranieri non cattolici. Agli antitrinitari italiani, compreso il famoso
ex vicario generale dei Cappuccini, Bernardino Ochino appena giunto in
Polonia, non restò che emigrare in Moravia o in
Transilvania.
L'esilio in Moravia Il margraviato di Moravia, pur
facendo parte dei possedimenti assurgici, godeva di una ampia autonomia,
anche in campo religioso. Un esempio pratico fu l'accoglienza positiva
riservata per le comunità di anabattisti, guidati da Balthasar Hübmaier e
Jakob Hutter, perseguitati senza pietà in tutto il resto
dell'Europa. Austerlitz (Slavkov in ceco), in particolare, fu una città dove
fecero capo diverse correnti religiose dissidenti, compresi gli
antitrinitari: nel 1564, scacciati dalla Polonia in seguito all'editto di
Parczów, un gruppo di antitrinitari italiani, comprendente Niccolò Paruta
(che formò in seguito delle comunità denominate seminaria veritas), Gentile,
Alciati della Motta, Ochino, si recò nella città morava. Furono seguiti nei
successivi anni da altri dissidenti come Marcello Squarcialupi, Andrea
Dudith-Sbardellati e Niccolò Buccella, che man mano, con il miglioramento
della situazione polacca, decisero di rientrare in
Polonia.
Ripresa delle attività in Polonia Già dopo la dieta di
Piotrków della Chiesa Riformata Polacca del 1564 che decretò l'esclusione
degli antitrinitari, ci fu una separazione tra una ecclesia major calvinista
ed una ecclesia minor di fede antitrinitaria. Gli antitrinitari, in quel
periodo, si erano frazionati in quattro correnti, qui riassunti dal nome dei
capi-scuola: Stanislao Farnowski (Farnovius, m.1615): come Gonesio, i suoi
seguaci pensavano che Cristo era pre-esistito alla creazione del mondo e
quindi era giusto adorarlo, ma non adottavano la stessa venerazione per lo
Spirito Santo. Erano inoltre contrari al battesimo degli infanti. Nel 1568
il gruppo di Farnowski si separò dalla chiesa unitariana
polacca, concentrandosi in una zona a cavallo del confine con l'Ungheria.
La secessione durò circa 50 anni e, dopo la morte del loro leader, i
suoi seguaci vennero riassorbiti dagli unitari o dai calvinisti. Martin
Czechowic: egli era un ariano molto radicale: Cristo era un uomo come gli
altri, ma essendo nato senza peccato, fu divinizzato e era giusto adorarlo.
Prendendo, come Gonesio, dagli anabattisti, Czechowic si opponeva al
battesimo dei bambini, all'uso delle armi, al coinvolgimento in
incarichi pubblici e alla proprietà privata. Grzegorz Pawel: il gruppo di
Cracovia di Pawel negava sia la pre-esistenza di Cristo, sia la necessità di
adorarlo. Come Gonesio e Czechowic, Pawel aveva convinzioni anabattiste e in
più era un millenarista. Szymon Budny: per Budny Cristo era un uomo ed era
idolatria adorarlo. Venne scomunicato nonostante il suo vasto seguito in
Lituania. Un punto di svolta fondamentale per l'ecclesia minor fu l'arrivo in
Polonia nel 1579 di Fausto Sozzini, nipote di Lelio, che divenne ben presto
la guida di tutti gli antitrinitariani locali. Socini pose la sua
residenza a Cracovia, sebbene il centro di riferimento per l'unitarismo
polacco fosse la vicina cittadina di Raków, dove era stato fondato un
seminario di studi antitrinitari nel 1569 e dove, tra il 1603 ed il 1605,
sarebbe stato redatto il catechismo ufficiale della setta. Nello stesso
periodo Socini entrò nella polemica tra gli adoranti (al cui pensiero lui
aderiva) e i non-adoranti, come Ferenc Dàvid, Giacomo Paleologo, Jànos Sommer
e Andrea Dudith Sbardellati. (vedi capitolo "Antitrinitari in
Transilvania"). Socini, con il suo De Jesu Christi filii Dei natura sive
essentia, attaccò i non-adoranti come giudaizzanti, che volevano, tra
l'altro, santificare il sabato, secondo un uso sabbatariano, che si sarebbe
poi diffuso in Inghilterra, portatovi proprio dagli unitariani profughi dalla
Polonia. Il pensiero di Socini, fortemente razionale, accettava un solo Dio,
mentre Gesù Cristo era semplicemente un uomo crocefisso, il cui compito era
di rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così la
salvezza, seguendo il Suo esempio. Per lui la Sacra Scrittura, redatta da
uomini, non era indenne da errori, e l'uomo doveva basarsi sulla propria
etica per osservare i comandamenti e non era quindi necessaria la grazia
divina. Egli, inoltre, negava l'esistenza dell'inferno, il peccato originale,
la necessità dei sacramenti, la predestinazione. Un bel programma in un
secolo caratterizzato dal fanatismo religioso degli opposti
estremismi! Nel 1588 Socini riuscì nell'impresa di unire tutte le fazioni
unitariane al sinodo di Brest (in suo onore, da quel momento gli unitariani
si denominarono sociniani), ma negli anni successivi dovette fronteggiare
la reazione, anche di piazza, dei cattolici: nel 1591 il suo punto d'incontro
a Cracovia fu devastato dalla folla e nel 1598 Socini stesso fu
malmenato, scampando per poco ad un linciaggio. Egli morì nel 1604 e sulla
sua tomba vennero scritte queste significative parole: Crolli la superba
Babilonia: Lutero ne distrusse i tetti, Calvino le mura, Socini le
fondamenta. Pochi anni dopo, nel 1610, la potente organizzazione gesuita
sbarcò in Polonia decretando il rapido declino degli unitariani in Polonia:
nel 1611 fu bruciato sul rogo a Varsavia l'unitariano Jan Tyskiewicz, un
agiato cittadino di Bielsk, e nel 1638 i sociniani furono espulsi da Raków e
ne fu chiuso il seminario. Il colpo finale per l'unitarismo in Polonia fu
il bando di espulsione per tutti gli unitariani polacchi, deciso nel 1658 e
diventato esecutivo il 10 luglio 1660, che li costrinse o ad uniformarsi o ad
emigrare in altri paesi europei (in Olanda, dove la maggior parte si trasferì
aderendo alla Chiesa Arminiana dei rimostranti, in Germania, e in
Transilvania, dove però essi non aderirono alla Chiesa Unitariana
Transilvana, ma formarono una chiesa autonoma a Kolozsvàr estinguendosi nel
1793). L'ultima sacca di resistenza unitariana in Polonia si estinse nel 1811
e solo nel 1921 furono riaccettate le congregazioni unitariane nella
nazione rinata dopo secoli di dominazione straniera. Ma la successiva
occupazione nazista nel 1939 e l'instaurazione del comunismo ha fatto sì
che l'unitarianismo polacco potesse incominciare a muovere nuovamente
qualche timido passo solamente dopo la caduta del muro di Berlino, negli anni
'90 del XX secolo. L'attuale Chiesa unitariana in Polonia comprende solo
qualche centinaio di fedeli.
Antitrinitari in Transilvania Nel
1562 Giorgio Biandrata si recò in Transilvania, a Gyulafehérvár (Alba Julia),
dove fece la conoscenza e divenne amico di Ferenc Dàvid, vescovo della Chiesa
Riformata di Transilvania e cappellano personale del principe Giovanni II
Sigismondo Zapolya (1541-1571). Biandrata fece leggere a Dàvid una copia
della famosa Christianismi restitutio (La restaurazione del Cristianesimo) di
Miguel Serveto, convertendolo all'antitrinitarismo. Il successivo sinodo
nazionale a Gyulafehérvár del 1566 risultò un trionfo per gli antitrinitari,
sottolineato dalla pubblicazione del libro di Dàvid De vera et falsa unius
Dei, Filii et Spiritus Sanctii cognitione (Della falsa e vera conoscenza
dell'unità di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo), nel quale il riformatore
transilvano ridicolizzava la dottrina della Trinità e perorava la causa della
tolleranza religiosa per tutte le fedi. Questo discorso venne poi ripreso
durante la Dieta di Torda nel gennaio 1568, dove Giovanni II Sigismondo
Zapolya riconobbe la piena libertà a tutte le confessioni religiose: fu la
prima dichiarazione, al mondo, di tolleranza religiosa mai pronunciata da un
regnante. Oltre a questo, il re aderì apertamente all'unitarismo con molti
nobili della corte e Dàvid divenne il capo della Chiesa Unitariana di
Transilvania. Nel 1570 Dàvid entrò in contatto, e ne fu influenzato, con lo
studioso italo-greco Giacomo Paleologo e il suo discepolo locale, il rettore
del ginnasio di Kolozsvár, János Sommer (1540-1574). Paleologo polemizzava
con un altro famoso antitrinitario, Fausto Socini, a riguardo della figura
di Gesù Cristo, che, per il Socini, era un vero uomo crocefisso, il cui
compito era di rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così
la salvezza, seguendo il Suo esempio. Il Paleologo, invece, negava il ruolo
di guida del Cristo, per i fedeli verso la salvezza, e
rifiutava, conseguentemente, ogni forma di adorazione di Gesù Cristo. Per
questo, il Paleologo e i suoi seguaci, tra cui si associò anche Dàvid,
vennero denominati antitrinitari non-adoranti in contrapposizione al
pensiero sociniano di tipo adorante. Alla corrente non-adorante aderì anche
l'ex vescovo cattolico e ambasciatore (di madre italiana)
Andrea Dudith-Sbardellati. Purtroppo il momento magico per Dàvid finì solo
tre anni dopo, nel 1571 con la morte, a soli 31 anni, di Giovanni II
Sigismondo e la salita al trono del cattolico Stefano I Báthory (1571-1586),
che tolse a Dàvid l'incarico di cappellano personale del re e gli impedì di
pubblicare altri scritti. Nel 1579 i suoi nemici riuscirono a farlo arrestare
e imprigionare nella fortezza di Déva dove, a causa del clima rigido e del
fisico debilitato, Dàvid morì nel novembre dello stesso anno. La Chiesa
Unitariana di Transilvania, fondata da Dàvid, pur attraverso mille traversie,
spietate persecuzioni da parte degli Asburgo cattolici e feroci pogrom da
parte di fanatici ortodossi rumeni, esiste ancora oggi formata da 125 chiese,
sebbene divisa dal 1949 in un troncone in Ungheria (25.000 fedeli), ed uno
di etnia ungherese in Transilvania/Romania (circa
80.000 fedeli).
Sociniani in Inghilterra Attraverso l'Olanda,
che accolse molti esuli sociniani, l'antitrinitarismo giunse in Inghilterra,
dove il principale esponente fu John Biddle, preside del liceo di Gloucester,
che pubblicò, nel 1647, il primo trattato dell'unitarismo inglese, Twelve
arguments against the Deity of the Holy Spirit (dodici ragioni contro la
divinità dello Spirito Santo) a uso privato per pochi amici, uno dei quali lo
tradì, facendolo rinchiudere in carcere nel 1645 per ordine dei magistrati di
Gloucester. Nel 1646 Biddle fu convocato a Londra per essere giudicato da
una commissione di teologi, ma, nell'attesa della sentenza, fu confinato
in prigione a Westminster dove rimase per vari motivi per i successivi 5
anni. Infatti, imprudentemente, nel 1647, Biddle fece pubblicare le sue
Dodici ragioni, suscitando un putiferio: a gran voce venne chiesta la sua
condanna a morte, prevista anche dalla recentemente approvata (nel 1648)
legge Ordinance for punishing heresies and blasphemies (ordinanza per
punire eresie e blasfemie), ma nel 1652, grazie alla Act of Oblivion (legge
di oblio), egli poté finalmente uscire di prigione. Una volta libero,
Biddle fondò una piccola congregazione sociniana a Londra, traducendo testi
base dei sociniani (o unitariani) polacchi, come il Catechismo di Racow (in
Polonia), la prima dichiarazione dei principi sociniani, ma soprattutto
pubblicò nel 1654 la sua opera più celebre, il Twofold Catechism (Catechismo
doppio), dove in 24 capitoli egli bandì tutte le espressioni e dottrine non
originarie delle Scritture, come transustanziazione, peccato originale, Dio
fatto uomo, Madre di Dio etc. Insomma non ci fu un solo punto della teologia
dell'epoca che non fosse rimesso in discussione da lui, sebbene utilizzasse
l'astuta tecnica delle domande aperte, senza mai precisare la propria
fede. Nonostante ciò, per ordine del parlamento, le copie del suo libro
furono bruciate sul rogo e lui stesso imprigionato nel carcere di Newgate,
ma, per l'ennesima evoluzione della turbolenta situazione politica inglese
(era stato sciolto il parlamento), fu liberato. Biddle continuò per tutta
la vita a professare attivamente le proprie idee e per questo venne più volte
condannato al confino e al carcere fino alla sua morte avvenuta nel
1662. Il principale esponente dell'unitarismo inglese dopo Biddle fu Thomas
Emlyn (1663-1741), che fondò una congregazione unitariana a Londra nel 1705,
ma va anche citata l'attività del teologo neo-ariano Samuel Clarke con il
suo trattato Scripture Doctrine of the Trinity (Scrittura dottrina
sulla Trinità), del 1712. In seguito si affermò Joseph Priestley
(1733-1804), che divise il suo tempo tra la chimica (individuò, tra l'altro,
la molecola dell'ossigeno) e le predicazioni unitariane, e Theophilus Lindsey
che nel 1774 fondò la prima chiesa ufficiale di ispirazione sociniana a
Londra. Nel 1791 un gruppo di teppisti distrusse sia la casa che il
laboratorio di Priestley, che qualche anno dopo prese la decisione di
emigrare in America, dove fondò una chiesa unitariana in Pennsylvania. Nel
frattempo, in Inghilterra si era formata nel 1825 la British and
Foreign Unitarian Association, che dovette lottare contro le leggi
britanniche varate per proibire agli unitariani di accettare lasciti donati
dai puritani, cosa che verrà aggiustata soltanto con una nuova legge nel
1844. Nel 1840 avvenne una grave scissione nel movimento: i "cristiani
liberi" di James Martineau, convinti in una fede più intuitiva e meno
"razionale", si separarono fino al 1928, anno in cui le due anime
dell'unitarismo inglese si rifusero nella attuale General Assembly of
Unitarian and Free Christian Churches.
Unitariani in America Come
già detto, Joseph Priestley fu uno dei predicatori che aiutò la diffusione
dell'unitarismo negli Stati Uniti, dove la dottrina però si sviluppò
abbastanza lentamente: prendendo spunto dalle prediche in Inghilterra di
Priestley, due chiese di Boston, la West Church del pastore Jonathan Mayhew
(1720-1766) e la First Church del pastore Charles Chauncy (1705-1787)
divennero unitariane. Nel 1825 si formò la American Unitarian Association,
ma, come per la crisi degli unitariani inglesi del 1840, anche il pensiero
unitariano americano fu fortemente scosso dalle idee di William Ellery
Channing, che inserì elementi pietisti e filantropici. Lo scontro tre le due
anime, mistica-pietistica da una parte e razionale dall'altra, avrebbe
caratterizzato la storia degli unitariani americani negli anni seguenti: per
esempio, nel 1865 la conferenza nazionale unitariana adottò una piattaforma
programmatica nettamente cristiana, provocando il distacco della minoranza
razionalista che fondò la Free Religious Association (associazione religiosa
libera).
L'unitarianismo odierno Venendo ai giorni nostri, nel
1961 avvenne la svolta con la fusione degli unitariani statunitensi con il
movimento dell'universalismo, fondato dall'ex pastore metodista John Murray,
che credeva nella salvezza di tutti gli uomini e negava la dannazione
eterna. La fusione diede luogo alla American Unitarian Universalist
Association, poi solo Unitarian Universalist Association, che conta oggi
502.000 aderenti. Nonostante la diffusione
relativamente bassa dell'unitarismo/universalismo, ben 5 presidenti degli
Stati Uniti hanno professato una fede unitariana e/o universalista: Thomas
Jefferson (che gli unitariani danno come loro seguace, anche se una sua
adesione ufficiale non c'è mai stata), John Adams, John Quincy Adams, Millard
Fillmore William Howard Taft. L'associazione, nella quale la corrente
razionalista ha oramai preso il sopravvento, è un movimento basato su
congregazioni autogestite senza una comune formula religiosa ufficiale,
retaggio della sua travagliata storia e dell'apporto di idee molto
diversificate e perfino contrastanti: si nota un interesse più nella libera
ricerca della verità. Infatti, da una statistica risulta che solo il 3% degli
aderenti considera Dio come un essere soprannaturale e il 40% come simbolo
dell'amore o di altri processi naturali. Inoltre 90% non crede nella
immortalità dell'anima e 64% ammette di non pregare mai o di farlo
raramente. In compenso, gli unitariani universalisti si sono sempre schierati
in battaglie civili contro la pena di morte, a favore del divorzio,
l'aborto, l'eutanasia, per il controllo delle nascite, per la riforma
carceraria, per l'educazione sessuale nelle scuole. L'associazione
mantiene contatti con simili organizzazioni in Inghilterra, Irlanda,
Filippine, Ungheria, Francia e Cecoslovacchia e fa parte della International
Association for (Liberal Christianity) and Religious Freedom (IARF), che
afferma di rappresentare 1.500.000 aderenti in 25 paesi.
Soranzo,
Vittore (o Vettore), vescovo di Bergamo (1500-1558)
Vittore (o
Vettore) Soranzo, era nato a Venezia nel 1500, primogenito del patrizio
Alvise Soranzo e della moglie Lucia Cappello, ed aveva studiato
a Padova. Uscito dall'università, egli intraprese la carriera
ecclesiastica e fu nominato cameriere segreto di Papa Clemente VII
(1523-1534), ma in seguito conobbe importanti figure dell'evangelismo e
riformismo italiano, come Giovanni Morone, Alvise Priuli, Pietro Carnesecchi,
Vittoria Colonna, attraverso i quali venne a contatto con le idee di Juan de
Valdés. Dopo la dissoluzione dei circoli valdesiani, S. abitò, tra la fine
del 1541 e l'inizio del 1542, nella casa viterbese del cardinale Reginald
Pole, dove fece la conoscenza di altri pensatori eterodossi come Apollonio
Merenda e Marcantonio Flaminio, e studiò, apprezzandolo, il Beneficio di
Christo di Benedetto Fontanini da Mantova. Tuttavia, pur sentendo il fascino
delle idee dell'ambiente dei circoli di Valdès e di Pole, S. non avvertì mai
la necessità di doversi distaccare dalle istituzioni ecclesiastiche
cattoliche, e mantenne quindi un atteggiamento abbastanza
nicodemitico. Amico e allievo del cardinale Pietro Bembo, fu da questi
delegato a subentrare come vescovo della diocesi di Bergamo, nel cui ruolo si
installò nel 1544. Pio, onesto e favorevole al dialogo con la Riforma, S.
diede immediatamente luogo ad una decisa svolta nella lotta contro gli abusi
ed i vizi del clero bergamasco, e chiamò a predicare un minorita itinerante
alquanto eterodosso, Bartolomeo Golfi Della Pergola, favorevole alla
giustificazione per fede, ma nel contempo le sue azioni gli inimicarono i
Rettori, cioè le autorità civili locali. Infatti, benché nel 1549 S.
avesse aperto e presieduto, lui stesso, un tribunale dell'Inquisizione
[venne, tra gli altri, condannato a morte in contumacia nel 1551 il medico
calvinista Guglielmo Gratarolo (1516-1568)], ebbe comunque luogo una velenosa
campagna di calunnia nei suoi confronti: mediante anonimi opuscoli, lo si
accusò di eresia luterana, assieme al notaio Giorgio de Vavassori (o
Vavassoribus) di Medolago (o più semplicemente Giorgio Medolago) (1483-ca.
1551). Questi era già stato inquisito per luteranesimo e imprigionato nel
1536 per ordine del vescovo Pietro Lippomano, ma i familiari e amici (i
Vavassori di Medolago erano una conosciuta e potente dinastia di notai a
Bergamo) avevano assaltato la prigione di Santo Stefano, liberandolo e
permettendogli di fuggire a Venezia. Rientrato a Bergamo nel 1549, Giorgio de
Vavassori si trovò coinvolto appunto in questa campagna antiluterana contro
il vescovo della città, complicata dall'arrivo nel 1550 del fanatico
Inquisitore fra Michele Ghisleri, il futuro papa Pio V (1566-1572), il quale,
in un primo momento, dovette ignominiosamente battere in ritirata,
abbandonando Bergamo con un cavallo preso in prestito, poiché si trovò in
grave pericolo di vita a causa dell'ostilità dei bergamaschi. Questi erano
stati sobillati dal clan dei Vavassori, in seguito al nuovo arresto e
trasferimento del loro congiunto nelle carceri di Venezia, dove in seguito
morì. Tuttavia Ghisleri non era certo uno che mollava facilmente la presa,
quando sentiva odore di eresia: continuò quindi a raccogliere testimonianze e
prove contro S., che riuscì a far arrestare nel 1551 e rinchiudere a
Castel Sant'Angelo, a Roma. Particolarmente compromettente fu il ritrovamento
di un quaderno del vescovo, con la trascrizione dei testi della
Confessio Augustana e della Praefatio in Novum Testamentum di Lutero, le
copie di varie lettere, come quelle da Lutero a Baldassarre Altieri d'Aquila,
o di Bucero ai "fratelli italiani" e altre letture proibite. S. fu
processato a Roma, ma assolto dal Santo Uffizio, venne reintegrato nella sua
diocesi nel 1554. Tuttavia, dopo tre anni, egli fu nuovamente inquisito in
seguito all'arresto del cardinale Morone nel 1557. Nell'aprile di quell'anno,
il papa Paolo IV (1555-1559) dichiarò nulli tutti gli atti di S. come vescovo
di Bergamo e considerò la sede vacante dal 1547, in quanto il privilegio a
S., concesso dal Bembo ad beneplacitum nostrum, era venuto a decadere con la
morte di quest'ultimo in quell'anno. Comunque S. morì nel 1558 senza che si
potessero prendere ulteriori provvedimenti contro di
lui.
Spadafora, Bartolomeo (ca. 1510-1566)
Il nobile
siciliano Bartolomeo Spadafora nacque a Messina nel 1510 circa, secondogenito
di Francesco Spadafora, 3° barone di Venetico, Mazzarrà Sant'Andrea, S.
Martino e Solanto e patrizio veneto, e di Melchiorra Moncada, figlia del
barone Giovanni Moncada della Ferla. Ebbe un'ottima educazione umanistica e
fu avviato dal padre alla carriera diplomatica alla corte dell'imperatore
Carlo V (1516-1556), che seguì nel 1536 a Napoli e qui egli iniziò a
frequentare i circoli valdesiani, conoscendo Giulia Gonzaga, Pietro
Carnesecchi e Bernardino Ochino. Nel 1546 S. accompagnò l'imperatore in
Germania per partecipare alla dieta di Ratisbona, dove fallì il tentativo di
accordo tra cattolici e protestanti. Al rientro in Italia nel 1547, S. si
fermò a Roma, presso Vittoria Colonna, che gli fece conoscere il grande
artista Michelangelo Buonarroti (1475-1564), ma qui lo raggiunse il mandato
di comparizione per eresia davanti al Tribunale siciliano dell'Inquisizione a
causa dei suoi trascorsi valdesiani. S. non si presentò affatto e gli
furono quindi confiscati i beni, tuttavia il tentativo dell'Inquisizione
siciliana di coinvolgere i colleghi romani portò invece ad una breve di
assoluzione per il nobile messinese da parte del papa, Paolo III (1534-1549),
soprattutto in seguito all'intercessione del cardinale Reginald Pole. In
Sicilia, comunque, la situazione rimase off-limits per S., soprattutto dopo
l'arrivo del severissimo inquisitore Bartolomeo Sebastiani, vescovo di Patti
dal 1549 al 1568 e inquisitore di Sicilia dal 1549 al 1555: S. decise di
andare in esilio a Venezia, dove fu benaccolto dal Consiglio dei Quaranta in
ricordo dell'antenato Federico Spadafora, creato patrizio veneto nel 1409 e
console di Venezia a Messina. S. si inserì nella vita pubblica veneziana,
entrando all'Accademia degli Uniti nel 1552 e scrivendo, nel 1554, due
orazioni per la morte del doge Marcantonio Trevisan (doge 1553-1554) e per la
successiva elezione a doge dell'amico e protettore Francesco Venier
(doge:1554-1556). Nel 1553, per farsi restituire dignità e beni perduti, egli
ritentò di coinvolgere l'imperatore Carlo V, che intercesse senza buon esito
presso Sebastiani. Anche la stessa Repubblica di Venezia, attraverso il
proprio ambasciatore Antonio de Mula, cercò perlomeno di ottenere un
salvacondotto per il nobile messinese, ma il punto decisivo a suo favore S.
lo segnò con il parere favorevole del viceré di Sicilia Ferdinando de Vega
(viceré: 1550-1557): il 13 maggio 1555 S. fu perdonato dall'imperatore e gli
fu tolta la confisca dei beni. Tuttavia quello che sembrò il momento di
gloria per S. si trasformò all'improvviso in una tragedia: dietro istigazione
del nuovo inquisitore della Sicilia, Francesco Orosio, il papa Paolo IV
(1555-1559) (l'inflessibile ex cardinale Gian Pietro Carafa) fece riaprire il
caso di S., archiviato da Paolo III ed arrestare il nobile siciliano,
traducendolo nelle carceri dell'Inquisizione a Roma l'8 settembre
1556. Stessa fine fecero anche Mario Galeota, il cardinale di Modena,
Giovanni Morone e Andrea Ghetti da Volterra: con quest'ultimo e con
Giovanni Francesco Verdura, ex vescovo valdesiano di Cheronissa, S. spartì la
cella per tre lunghi anni. Come Ghetti, anche S. riuscì finalmente a fuggire
dalla galera solo nel 1559, in seguito ai moti popolari del 18 e 19
agosto, scatenatisi alla morte del papa Paolo IV. Egli ritornò in Sicilia,
fece liberare la sorella Matilde, imprigionata probabilmente per motivi
legati alle vicende del fratello, e si mise a ricostruire il patrimonio di
famiglia. Riuscì anche nell'impresa di farsi accettare come console generale
della Repubblica veneta a Messina. Il 16 aprile 1566 il decesso della
contessa Giulia Gonzaga e la contestuale scoperta del suo ricco carteggio con
molti esponenti dell'intellighenzia evangelica italiana mise nei guai diversi
riformatori, come Pietro Carnesecchi: anche S. avrebbe potuto essere
coinvolto in un nuovo processo a suo carico, ma la morte, giunta nel luglio
1566, gli diede finalmente la pace eterna.
Speciale (o Speziale),
Pietro (1478-1554)
La figura di Pietro Speciale (o Speziale) si
erge come un originale precursore dei concetti luterani, ante-litteram, di
giustificazione per fede, attraverso la grazia di Dio. Questo umanista e
grammatico veneto, nato a Cittadella (Padova) nel 1478, studiò infatti gli
scritti di Sant'Agostino e di Erasmo da Rotterdam ed approfondì le tematiche
del libero arbitrio e giustificazione sola fide già dal 1512, un anno prima,
cioè, della nota "esperienza della torre" (Turmerlebnis) di Martin
Lutero. In quell'anno S. si mise a comporre la sua grande opera, De Gratia
Dei, che però finì e pubblicò solamente il 17 ottobre 1542, ben trent'anni
dopo. Nel libro S. concordò con Lutero sulla giustificazione sola fide e nel
rifiuto della transustanziazione, ma ribadì energicamente la sua convinzione
nel libero arbitrio e nella struttura della Chiesa ufficiale, pur censurando
gli eventuali abusi. Durante questi trent'anni, nei quali, tra l'altro, fu
maestro (dal 1536) e rettore della scuola di Cittadella, S. prese comunque
parte attivamente al panorama protestante nella Repubblica di Venezia del
primo `500. Iniziò alle idee riformiste l'avvocato Francesco Spiera ed il
nipote Girolamo Facio: Spiera sarebbe successivamente morto a soli 46
anni, schiacciato dal rimorso di aver accettato di abiurare dalla
fede protestante. S. inoltre si aggiornò, leggendo gli scritti dei
principali riformatori tedeschi, come Lutero, Bucero e Melantone e mantenne
contatti con i dissidenti religiosi Baldo Lupetino e Francesco Negri e con il
teologo e storico francescano Bernardino Scardeone (1482-1574), autore del
saggio De Castitate Libri Septem (1542), la cui esaltazione della castità
matrimoniale venne condivisa anche dallo stesso S. Ma nel 1543 l'anziano
umanista fu arrestato con l'accusa di eresia e tenuto per ben otto anni in
prigione a Venezia, dove il grande delatore dell'anabattismo veneto, Pietro
Manelfi si vantò di averlo convertito alla propria fede. Oramai stanco,
malato e povero per il sequestro dei propri beni, S. si decise di abiurare il
14 luglio 1551, tuttavia, non contento dell'abiura, il tribunale
dell'Inquisizione veneta stabilì che il vecchio ex rettore di Cittadella
dovesse restare in carcere ancora sei anni. Ma, in seguito all'aggravamento
dello stato di salute, gli fu permesso di lasciare la prigione e, ritornato a
Cittadella, vi morì nel giugno 1554.
Spener, Philipp Jakob
(1635-1705) e Speneriani e Pietismo
Introduzione Dopo la morte
di Martin Lutero nel 1546, tra i suoi seguaci si sviluppò un acceso dibattito
con la contrapposizione tra la scuola adiaforista di Philipp Melantone e i
gnesio-luterani, capeggiati da Nikolaus von Amsdorf, che rigidamente
seguivano l'insegnamento di Lutero. La divisione fu faticosamente ricomposta
solamente con la Formula (1577) e il Libro (1580) di Concordia. Tuttavia,
successivamente proprio i teologi luterani caddero in quella
cristallizzazione scolastica, che tanto avevano criticato nei studiosi
cattolici. Contro questa cristallizzazione e contro un'osservanza rigida e
superficiale della vita religiosa reagì il movimento dei pietisti, una
corrente luterana sviluppatosi nel XVII e XVIII secolo in Germania grazie
all'azione del teologo alsaziano Philipp Jakob Spener, ispirato, a sua volta,
dai lavori di Johannes Arndt, il padre teologico del pietismo, e del mistico
francese Jean de Labadie.
La vita Il teologo Philipp Jakob
Spener, fondatore del movimento pietista, nacque il 13 gennaio 1635 a
Rappoltsweiler, in Alsazia. Egli frequentò dapprima il ginnasio di Colmar, e
successivamente l'università di Strasburgo, dove studiò filologia, storia e
filosofia, ottenendo il titolo di Maestro di arti liberali nel 1653. Dal 1659
al 1662 egli viaggiò visitando le università di Basilea, Tübingen e Ginevra,
ed iniziò i suoi studi di araldica, che portò avanti per tutta la sua vita. A
Ginevra, fondamentale per le sue future scelte teologiche fu l'incontro con
il riformatore Jean de Labadie. Nel 1663 S. ritornò a Strasburgo come
predicatore e oratore, ma solo tre anni più tardi egli decise di accettare il
posto di Pastore capo della chiesa luterana di Francoforte sul Meno: qui
riscossero un vivo successo i suoi sermoni ispirati alla necessità di una
fede più viva e alla santificazione della vita quotidiana e qui, nel 1670,
concepì i cosiddetti Collegia pietatis (da cui il nome del movimento),
riunioni in case private per lo studio delle letture sacre e per approfondire
le esperienze interiori. Nel contempo egli scrisse il suo lavoro
principale: Pia desideria oder herzliches Verlangen nach gottgefälliger
Besserung der wahren evangelischen Kirche (Pii desideri, o la viva
aspirazione ad un miglioramento, gradito a Dio, della vera chiesa evangelica)
(1675), in realtà una lunga introduzione della nuova edizione, voluta da S.
stesso, dei Vier Bücher vom Wahren Christhentum (Quattro libri sul vero
cristianesimo) di Johann Arndt. Nella sua prefazione S. ipotizzava una
riforma della chiesa luterana basata su sei pii desideri: A causa
dell'inadeguatezza dei sermoni, bisognava favorire lo studio delle Sacre
Scritture attraverso riunioni private. Era necessario sviluppare un
sacerdozio universale con laici accanto ai pastori. La conoscenza del
Cristianesimo doveva essere accompagnate dalle virtù cristiane della Carità e
del Perdono. L'attitudine verso i non credenti doveva basarsi non sulla
polemica virulenta, ma sul desiderio di convertirli. Andava sviluppato
negli studenti di teologia non solo lo zelo per lo studio, ma anche verso una
vita devota. La retorica nella predicazione doveva essere abbandonata per
favorire una vita cristiana pratica, piena di fede, ma anche severa [tra il
1680 ed il 1690 S. pubblicò tre opere contro il gioco, il teatro e la danza,
le cosiddette adiaphora (cose, per Melantone, indifferenti dal punto di
vista morale, un pensiero evidentemente non condiviso da S.!)]. Nel 1686
S. accettò il posto di cappellano di corte a Dresda, presso il principe
elettore di Sassonia, Johann Georg (Giovanni Giorgio) III (1680-1691), ma nel
1691, il principe, constatato lo scarso interesse di S. al ruolo
assegnatogli, riuscì a convincere i principi di Brandeburgo a farlo nominare
rettore della chiesa di San Nicola a Berlino e consigliere
del concistoro. Qui S. fu tenuto in alta considerazione da parte del
principe elettore di Brandeburgo, Federico III (principe elettore: 1688-1701
e, come Federico I, re di Prussia: 1701-1713) e fu decisivo nella scelta dei
professori per la facoltà di teologia della neonata università di Halle.
Questa università diventò ben presto il centro di riferimento del pietismo
tedesco e il suo sviluppo venne ulteriormente implementato dall'erede
spirituale di S., August Hermann Franke, che vi fondò scuole di carità,
orfanotrofi, case di riposo per anziani, laboratori artigiani, centri di
studio della Bibbia. Tuttavia l'ortodossia luterana non abbassò mai la
guardia contro S.: nel 1695 la facoltà teologica dell'università di
Wittenberg lo accusò di 264 errori dottrinali e solo la sua morte il 5
febbraio 1705 lo liberò per sempre da questi attacchi.
Il
Pietismo Già nell'anno di nomina (1686) di S. a cappellano di corte a Dresda,
August Hermann Franke e i colleghi Johann Kaspar Schade (1666-1698) e Paul
Anton (1661-1730) fondarono a Lipsia i Collegia philobiblica, scuole per
la spiegazione pratica e devozionale delle Sacre Scritture. Essi invitarono
i cittadini di Lipsia a parteciparvi, e nel 1689/90 a creare essi stessi
i loro collegi. Ma l'iniziativa fu ostacolata dall'ortodossia luterana
e tramontò solo cinque anni più tardi, nel 1691. A Franke fu revocato
lo stipendio e proibito di organizzare incontri di qualsiasi tipo: non
gli restò che recarsi ad Halle (poco dopo fu raggiunto da Anton) per
diventarvi professore e pastore nel 1692. Franke, vero diffusore del
pietismo in Germania, come già sopradetto, formò una schiera di teologi
pietisti, che si contrapposero al centro dei luterani tradizionali, cioè
l'università di Wittenberg. Tra gli altri teologi o fondatori di movimenti
religiosi, nati come pietisti, ma che hanno poi sviluppato posizioni diversi
si annoverano: Gottfried Arnold, Johann Konrad Dippel, Johann Albrecht
Bengel,(che operò proprio a Wittenberg) ed infine il conte Nikolaus Ludwig
Graf von Zizendorf, fondatore della Herrnhuter Brüdergemeine (comunità dei
fratelli a Herrnhut), nella quale confluirono i discendenti dei Fratelli
Moravi, fondati da Luca di Praga nel XV secolo, i labadisti, ed alcuni
schwenckfeldiani. Anche sul movimento fondato dal mistico svedese Emmanuel
Swedenborg fu forte l'influenza del pietismo. La massima fioritura per il
pietismo in Germania, che comunque non creò mai una chiesa separata, si ebbe
sotto Federico I di Prussia e il successore Federico Guglielmo I (1713-1740),
ma declinò ben presto sotto il famoso (e scettico) Federico II, detto il
Grande (1740-1786). All'estero l'influenza del pietismo fu più duraturo, in
Danimarca con il re Federico IV (1699-1730), che nel 1705 scelse i primi
missionari per le Indie fra i pietisti, ma soprattutto in Inghilterra e Nord
America, nei confronti di movimenti religiosi protestanti come quello
Anglicano, Puritano, Battista e Metodista.
Speroni, Ugo (att.
1164-1185) e speronisti
Ugo Speroni nacque a Piacenza nella 1° ½
del XII secolo e studiò giurisprudenza a Bologna, diventando successivamente
un giurista di notevole cultura della sua città natale. Ebbe un ruolo
attivo nella vita politica di Piacenza, diventandone il console tra il 1164
ed il 1171 ed intervenendo nelle lotte cittadine tra il comune ed il
vescovo. Nel 1177, S. pubblicò il suo lavoro Adversus Antichristum, nel quale
egli espose il suo credo religioso, basato sulla predestinazione ed il
rifiuto di ogni elemento materiale nella liturgia, della figura del
sacerdote, degli stessi sacramenti, come ad esempio il battesimo dei bambini:
per S. tutto ciò era inutile, perché, come scriveva San Paolo nella lettera
ai Galati (3,11) "il giusto vivrà in virtù della fede ". Inoltre, S.
teneva come unico riferimento valido la Sacra Scrittura, letta comunque con
un'ottica tipica della filosofia scolastica e rifiutando le interpretazioni
strumentali della Chiesa. Insomma tutto l'impianto concepito da S. portava ad
un rapporto diretto con Dio, in comunione spirituale con il mondo, ed in
questo S. si poteva considerare un anticipatore di alcuni temi cari ai
quaccheri. Molte delle cose su di lui, le conosciamo attraverso la
confutazione, Liber contra multiplices et varios errores, scritta da un suo
vecchio collega di università, il maestro di giurisprudenza Vacario (m. ca.
1198) e pubblicata dopo il 1170 in Inghilterra, dove Vacario era andato a
vivere nel 1145. Vacario decise di scrivere questa confutazione dopo che S.
gli aveva inviato degli scritti sul proprio credo religioso. S., comunque,
non fece mai predicazioni itineranti, come altri dell'epoca, per esempio
Pietro de Bruis, Enrico di Losanna, Tanchelmo di Brabante, Eon de l'Etoile,
sebbene alcuni punti propugnati da questi personaggi coincidessero con i
suoi. Si ignora la data della sua morte. Il movimento, che prese il nome
da S., fu denominato dei speronisti, e si crede abbia avuto inizio nel 1185,
poiché prima di questa data non si ne fece menzione. L'impegno missionario
richiesto ai speronisti non fu mai eccessivo, se è vero che ad essi non venne
nemmeno ordinato di abbandonare la propria famiglia. Tuttavia, pochi anni
dopo, il movimento venne condannato come eresia e i suoi seguaci fecero
ritorno nella Chiesa Cattolica solamente nel 1200.
A proposito
degli speronisti, diamo qui di seguito due convincimenti errati o fantasiosi
di alcuni autori stranieri, di lingua inglese: Il collegamento tra speronisti
e umiliati, facendo addirittura risalire la fondazione del movimento di
questi ultimi direttamente a S. stesso. La fondazione di questa setta dovuta
alla figura del vescovo cataro Robert d'Espernon, italianizzato in un
improbabile Roberto di Sperone, da cui il nome speronisti o
esperonistes.
Speciale (o Speziale), Pietro
(1478-1554)
La figura di Pietro Speciale (o Speziale) si erge
come un originale precursore dei concetti luterani, ante-litteram, di
giustificazione per fede, attraverso la grazia di Dio. Questo umanista e
grammatico veneto, nato a Cittadella (Padova) nel 1478, studiò infatti gli
scritti di Sant'Agostino e di Erasmo da Rotterdam ed approfondì le tematiche
del libero arbitrio e giustificazione sola fide già dal 1512, un anno prima,
cioè, della nota "esperienza della torre" (Turmerlebnis) di Martin
Lutero. In quell'anno S. si mise a comporre la sua grande opera, De Gratia
Dei, che però finì e pubblicò solamente il 17 ottobre 1542, ben trent'anni
dopo. Nel libro S. concordò con Lutero sulla giustificazione sola fide e nel
rifiuto della transustanziazione, ma ribadì energicamente la sua convinzione
nel libero arbitrio e nella struttura della Chiesa ufficiale, pur censurando
gli eventuali abusi. Durante questi trent'anni, nei quali, tra l'altro, fu
maestro (dal 1536) e rettore della scuola di Cittadella, S. prese comunque
parte attivamente al panorama protestante nella Repubblica di Venezia del
primo `500. Iniziò alle idee riformiste l'avvocato Francesco Spiera ed il
nipote Girolamo Facio: Spiera sarebbe successivamente morto a soli 46
anni, schiacciato dal rimorso di aver accettato di abiurare dalla
fede protestante. S. inoltre si aggiornò, leggendo gli scritti dei
principali riformatori tedeschi, come Lutero, Bucero e Melantone e mantenne
contatti con i dissidenti religiosi Baldo Lupetino e Francesco Negri e con il
teologo e storico francescano Bernardino Scardeone (1482-1574), autore del
saggio De Castitate Libri Septem (1542), la cui esaltazione della castità
matrimoniale venne condivisa anche dallo stesso S. Ma nel 1543 l'anziano
umanista fu arrestato con l'accusa di eresia e tenuto per ben otto anni in
prigione a Venezia, dove il grande delatore dell'anabattismo veneto, Pietro
Manelfi si vantò di averlo convertito alla propria fede. Oramai stanco,
malato e povero per il sequestro dei propri beni, S. si decise di abiurare il
14 luglio 1551, tuttavia, non contento dell'abiura, il tribunale
dell'Inquisizione veneta stabilì che il vecchio ex rettore di Cittadella
dovesse restare in carcere ancora sei anni. Ma, in seguito all'aggravamento
dello stato di salute, gli fu permesso di lasciare la prigione e, ritornato a
Cittadella, vi morì nel giugno 1554.
Spiera, Francesco
(1502-1548)
La vita Francesco Spiera nacque nel 1502 a
Cittadella, vicino a Padova, dove studiò legge, diventando in seguito un noto
avvocato. Verso i quarant'anni, S. si accostò, assieme al nipote Girolamo
Facio, alle idee riformiste, presentategli dall'amico umanista e grammatico
Pietro Speciale (o Speziale), maestro di scuola a Cittadella fino dal
1536. Il 15 novembre 1547, su segnalazione di cinque sacerdoti e del vescovo
di Vicenza, S. e suo nipote vennero denunciati all'Inquisizione per
idee luterane. In particolare lo si accusò di aver tradotto il Padre Nostro
in italiano, di aver letto libri proibiti come il Beneficio di Cristo
di Benedetto Fontanini da Mantova, laTragedia del libero arbitrio di
Francesco Negri, il Pasquino in estasi di Celio Secondo Curione, e la Opera
utilissima intitolata dottrina vecchia et nuova dell'umanista Urban König
(Regius) (1489-1541), oltre ad aver propagandato idee luterane quali il
rifiuto dell'autorità papale, del rito della messa, del valore delle
opere, dell'intercessione dei santi, del suffragio dei morti, dell'esistenza
del Purgatorio ed infine di aver messo in dubbio il significato canonico
del Sacramento dell'Eucaristia. Venne arrestato e messo nella stessa cella
dove già era detenuto da quattro anni un altro accusato di idee riformiste,
Baldo Lupetino. Il 24 maggio 1548 iniziò l'interrogatorio davanti al
Tribunale dell'Inquisizione: S. un po' ammise gli addebiti, un po' si difese,
ma, dopo soli cinque giorni di processo, ebbe un crollo psichico (secondo la
versione del Vergerio, pensò alle possibili conseguenze per sua moglie e i
suoi figli) e accettò di abiurare pubblicamente il 26 giugno dello stesso
anno nella cappella di San Teodoro, in San Marco a Venezia, seguito da una
seconda abiura a Cittadella il 1 luglio. A quel punto, subentrò nella
mente dell'avvocato di Cittadella la convinzione di aver tradito Gesù Cristo
e il Vangelo, e di essere destinato alla dannazione eterna. Egli entrò quindi
in una profonda depressione, si ammalò rapidamente e nonostante le cure dei
medici e il conforto di Pier Paolo Vergerio, accorso al suo capezzale e che
si offrì di pagare le relative spese mediche, le sue condizioni di salute
peggiorarono vistosamente in pochi mesi. Nel tentativo di ottenere cure
migliori, egli fu portato a Padova, in casa di un parente, Giacomo Nardini,
ma in dicembre rientrò a Cittadella, dove il 27 dicembre 1548, schiacciato
dal rimorso, S. si spense a soli 46 anni.
Le reazioni in seguito alla
sua morte Il caso Spiera ebbe una grande diffusione negli ambienti
protestanti del Cinquecento grazie anche agli autorevoli personaggi, che,
colpiti dal caso umano e religioso, fecero resoconti molto particolareggiati
noti anche all'estero. Già si è detto di Pier Paolo Vergerio, che dichiarò
che dall'episodio dell'avvocato di Cittadella aveva tratto la forza di
prendere la via dell'esilio. Fu, secondo alcuni autori, la sua "esperienza
della torre" (Turmerlebnis), di luterana memoria. Ma l'agonia colpì anche
i testimoni oculari Bartolomeo Fonzio e Matteo Gribaldi Mofa, che scrisse a
riguardo la Historia de quondam quem hostes Evangelii in Italia coegerunt
abijcere agnitam veritatem, influenzò Celio Secondo Curione, che redasse una
Francisci Spierae (.) historia, e infine lo stesso Calvino, che ne fece
riferimento in una polemica sorta con i luterani, dopo che quest'ultimi
avevano accusato i calvinisti di far morire la gente disperata. La
polemica era sorta dopo la comparsa di un'epistola del 1550 di
Giorgio Siculo: Epistola di Georgio Siculo servo fedele di Jesu Christo
alli cittadini di Riva di Trento contra il mendatio di Francesco Spiera et
falsa dottrina de' Protestanti. Lo scritto aveva una valenza
anti-protestante, non certo cattolica, ma di stampo anabattista o tipicamente
del filone di pensiero di Miguel Serveto, e si inserì nella polemica del
Siculo contro la dottrina calvinista della
predestinazione.
Spinola, Publio Francesco (m.
1567)
Umanista milanese, insegnante e poeta in latino, grande
ammiratore e amico di Aonio Paleario, al cui viaggio a Milano nel 1556,
Publio Francesco Spinola contribuì in notevole misura. Come lo stesso
Paleario, anche S. si fece mettere sotto la protezione del cardinale
Cristoforo Madruzzo (1512-1578), referente imperiale a Milano negli anni
1556-1557 e protettore di altri dissidenti religiosi come Andrea Ghetti da
Volterra, Jacopo Aconcio, Bartolomeo Spadafora, Ortensio Lando e Filippo
Valentini da Modena. Tuttavia, poco dopo, nel 1560, S. ebbe noie con
l'Inquisizione e dovette lasciare Milano per Brescia, dove trovò rifugio
presso le famiglie Ugoni e Martinengo, profondamente influenzate dalla
Riforma, e dove rimase per un anno come insegnante di latino nelle scuole
pubbliche locali. Fece amicizia anche con Giovanni Andrea Ugoni, al quale
donò un libro dello storico tedesco e annalista della Riforma, Johannes
Sleidano (1506-1556), ma che, in seguito, lo tradì, facendo il suo nome
all'Inquisizione, quando Ugoni venne processato nel 1564 a Venezia. Nel
1561-62 S. si trasferì a Venezia per diventare precettore dei figli
del nobile veneziano Lunardo di Antonio Mocenigo. Ma nel luglio 1564, in
seguito alle rivelazioni dell'Ugoni, come già detto, S. fu incarcerato a
Venezia stessa con l'accusa di luteranesimo, sebbene, da alcune
testimonianze, pare che il suo pensiero sull'Eucaristia fosse più allineato
alle dottrine espresse da Zwingli. Mentre era in carcere, S. continuò a fare
propaganda religiosa per la Riforma, ma la denuncia di alcuni suoi compagni
di cella probabilmente accelerò la condanna a morte eseguita per annegamento
nella laguna veneta, più precisamente nel Canale Orfano, il 31 gennaio
1567.
Manelfi, Pietro (ca. 1519-dopo
1552)
Pietro Manelfi (detto anche Pietro della Marca) nacque nel
1519 circa a San Vito di Senigallia, nelle Marche. Fattosi sacerdote, M. fu
però convertito dapprima al luteranesimo e poi, nel 1540, all'anabattismo da
Tiziano (capo storico dell'anabattismo veneto, di cui si conosce solo il nome
di battesimo, da non confondere con il valdesiano Lorenzo Tizzano) e da
Fra Hieronimo Spinazzola. Fu ribattezzato a Ferrara e compì in
seguito un'intensa attività di proselitismo come ministro anabattista in
Triveneto, Lombardia, Emilia, Romagna, Toscana e Istria, diventando uomo di
punta dell'organizzazione anabattista veneta. Nel Settembre 1550, M.
partecipò ad un vero e proprio concilio anabattista a Venezia, dove egli
annotò le conclusioni finali alquanto radicali per l'epoca: negazione della
natura divina di Cristo, degli angeli, dell'inferno, ma soprattutto un
rifiuto del concetto cattolico di giustificazione mediante le opere, ma anche
di quello protestante di giustificazione per fede, il tutto sostituito da una
imperscrutabilità divina. Tuttavia, dopo anni di militanza anabattista, il
17 ottobre 1551 M. si presentò spontaneamente all'inquisitore di Bologna, il
domenicano Leandro Alberti (o de Albertis) (1479-ca.1552), avendo preso la
decisione di abiurare e di denunciare tutti gli anabattisti e luterani da lui
conosciuti. L'occasione per l'Inquisizione era quanto mai ghiotta per
assestare un colpo mortale all'organizzazione anabattista italiana: M. venne
trasferito a Roma e durante gli interrogatori (riprodotti nel libro I
costituiti di don Pietro Manelfi di Carlo Ginzburg) del novembre 1551 fornì
tali e tante notizie da scatenare una repressione senza pari dell'anabattismo
e dell'evangelismo italiano, i cui pesanti effetti si sentirono per
anni. Inquisiti, vittime o esiliati famosi, in seguito alle sue
rivelazioni, furono, tra gli altri, Giulio Gherlandi, Francesco Della Sega,
Antonio Rizzetto, Bartolomeo Panciatichi, Pier Paolo Vergerio, Ludovico Manna
e Niccolò Buccella. Esaurito il suo compito di delazione, M. letteralmente
scomparve dalla scena religiosa italiano (si ignora infatti dove e quando sia
morto), non prima comunque che l'Inquisizione gli assegnasse, nel maggio
1552, uno stipendio mensile di cinque ducati d'oro, per i servizi
resi.
Gubbio, Fra Bentivegna da (inizio XIV
secolo)
Bentivegna, nato a Gubbio, aderì nel 1304 alla setta
degli apostolici sotto la guida di Fra Dolcino da Novara, ma successivamente
alla repressione del movimento attuata dalle truppe del vescovi di Novara e
Vercelli, abbandonò i dolciniani, entrando nell'ordine dei
francescani. Qui, però, l'irrequieto B. decise di aderire al movimento dei
Fratelli del Libero Spirito, una setta, diffusosi dal XII secolo, che
professava l'indipendenza dall'autorità ecclesiastica e la possibilità di
vivere secondo una vita apostolica e ascetica, poiché i propri adepti
erano convinti di essere pervasi dallo Spirito Santo. Essi infatti
ritenevano di essere talmente perfetti da poter commettere qualsiasi atto
senza correre il rischio di peccare, secondo il detto di San Paolo: Tutto è
puro per i puri (Lettera a Tito 1,15). Alcuni autori cattolici riportarono
che essi, forti di questo convincimento, si lasciavano andare soprattutto ad
atti contro la morale, come atti sessuali extramatrimoniali. B. fondò una
sua variante dei Fratelli del Libero Spirito, denominata Spirito di Libertà,
ma i francescani, scandalizzati da questo atteggiamento antinomiano,
condannarono nel 1307 B. e i suoi seguaci ad essere confinati a vita nelle
loro celle. E, ironia della sorte, fu proprio Ubertino da Casale, diventato
poi uno dei leader storici del movimenti dei francescani spirituali o
fraticelli, a pronunciare la condanna.
Hubmaier, Balthasar
(1480/1-1528)
La gioventù Balthasar Hubmaier, il più famoso
teologo anabattista, nacque nel 1480/1 a Friedberg, vicino ad Augsburg
(Augusta) in Baviera, da una povera famiglia contadina. Nonostante ciò, egli
riuscì con mille difficoltà a completare gli studi universitari, dapprima a
Friburgo e, in seguito, ad Ingolstadt, seguendo il suo maestro, il più
giovane, ma già affermato, teologo Johann Eck (1486-1543). H. divenne
sacerdote nel 1510 e dottore in teologia nel 1512, iniziando immediatamente a
lavorare per l'università di Ingolstadt, di cui divenne vice-rettore nel
1515. Nel 1516 H. fu nominato predicatore della cattedrale di
Ratisbona (Regensburg), in Baviera, dove ebbe molto successo, ma dove si
lasciò anche coinvolgere in una violenta campagna contro gli ebrei, culminata
con la loro cacciata dalla città. In seguito a questo non edificante
episodio, la sua popolarità presso i cittadini cristiani salì comunque alle
stelle, suscitando l'invidia dell'ordine dei Domenicani e convincendolo
quindi a trasferirsi in un posto più tranquillo. Prese dunque la decisione
di recarsi nel 1521 a Waldshut, vicino al confine con la Svizzera, nel sud
del Baden Württenberg, allora (dal 1520 al 1534) sotto il dominio degli
Asburgo.
La conversione alla Riforma Fino a quel momento H. era
stato un cattolico osservante, ma dal soggiorno a Waldshut in avanti si
accostò sempre più alle idee riformiste, leggendo gli scritti di Lutero e
scambiando lettere con Zwingli ed Ecolampadio. Con i due riformatore svizzeri
H. si trovò spesso d'accordo, soprattutto nel primato della Sacra Scrittura e
nella lotta contro l'uso delle immagini e contro la messa in latino, tuttavia
incominciò anche ad essere sempre più in contrasto con loro per quanto
concerneva il battesimo dei bambini. A riguardo man mano egli si accostò alle
posizioni espresse dal gruppo anabattista di Conrad Grebel. Nel 1524 H. si
impegnò a fondò per la conversione alla Riforma della Germania meridionale:
introdusse la messa in tedesco, abolì il celibato e il digiuno, ma la sua
azione venne contrastata dal vescovo di Costanza Hugo von Hohenlandenberg
(vescovo: 1496-1529, m. 1532) e dagli Asburgo, che tentarono inutilmente di
fare delle pressioni sulle autorità di Waldshut, acciocché lo espellessero:
fu comunque lo stesso riformatore che decise di rifugiarsi, nel Settembre
1524 a Sciaffusa, in Svizzera, per evitare guai peggiori alla città
tedesca. A Sciaffusa H. scrisse una delle sue opere migliori: Von Ketzern und
ihren Verbrennern (Sugli eretici e su coloro che li bruciano), contro
le persecuzioni dei suoi nemici, cattolici e Asburgo, che nuovamente,
questa volta al consiglio di Sciaffusa, chiesero la sua estradizione.
Comunque H., anche qui, tolse le autorità dall'imbarazzo, ritornando a
Waldshut in Ottobre.
La conversione all'anabattismo Qui egli
riprese la sua azione riformatrice, ma con un forte connotato anabattista,
alla quale dottrina dichiarò di aderire nel Gennaio 1525, mese in cui si
sposò con Elsbeth Hügeline. In Aprile fu battezzato da Wilhelm Reublin, e nei
giorni successivi lui stesso battezzò circa trecento persone. Dal Maggio 1525
H. entrò in una polemica sul battesimo, a colpi di opuscoli dottrinali, con
Zwingli: iniziò il riformatore di Zurigo con Vom Tauff, Widertauff und
Kindertauff (Del battesimo, contro-battesimo e battesimo dei bambini), al
quale H. rispose con Von dem Christenlichen Tauff der glaübigen (Del
battesimo cristiano dei credenti). Zwingli accusò il colpo pubblicando il
piccato e polemico Über dr. Balthazars Tauffbüchlin waarhaffte
gründte antwurt (Risposta all'opuscolo del dr. Balthazar sul battesimo), ma
H. rintuzzò l'attacco pubblicando Ein Gesprech auf Zwinglen Tauffbüchlein
von dem Kindertauff (Discorso sull'opuscolo di Zwingli intorno al battesimo
dei bambini). In questi scritti l'impianto dottrinale di H. sul battesimo
si fondava su una visione catartica del sacramento, purificatrice dei
peccati, che doveva seguire la confessione ed il pentimento ed evidentemente
non era applicabile ai neonati per ovvi motivi. Nel frattempo il contrasto
con gli Asburgo prese una piega molto drammatica: nell'autunno 1525
Ferdinando d'Asburgo fece porre d'assedio Waldshut, con il pretesto della
repressione della rivolta dei contadini, ma anche con l'obiettivo di
riportare il Cattolicesimo nella città. Waldshut si arrese il 5 Dicembre 1525
e H., non volendo piegarsi ai voleri del nemico, fuggì con la moglie e
qualche amico a Zurigo.
H. a Zurigo Qui H., perseguitato e lacero,
entrò il 7 Dicembre di nascosto, ritenendo saggiamente di non far sapere la
cosa alle autorità, poiché era ancora viva l'impressione per le polemiche
anabattiste e la successiva condanna di Grebel, Mantz e Blaurock. Tuttavia,
qualche giorno dopo, egli venne scoperto ed arrestato su ordine delle
autorità cittadine, che rifiutarono l'estradizione chiesta dagli Asburgo, ma
accettarono la richiesta di un confronto pubblico con Zwingli. L'esito di
questo dibattito fu scontatamente a favore di Zwingli, il quale mise
l'avversario di fronte ad un aut-aut: o ritrattare o abbandonare la città.
H., malato e stanco, scrisse la sua ritrattazione, ma quando il 5 Gennaio
1526 gli fu richiesto di leggerla pubblicamente davanti alla cittadinanza,
egli negò tutto lanciandosi in una appassionante quanto pericolosa apologia
del battesimo degli adulti, interrotta a forza dalle guardie, che lo
imprigionarono nuovamente nella famigerata Wasserturm. Questa volta per
essere più sicuro del pentimento di H., Zwingli lo fece spietatamente
torturare fino ad ottenere una piena ritrattazione, che fu da H. reiterato
pubblicamente per ben tre volte.
H. a Nikolsburg Disprezzato dagli
anabattisti e dai riformatori, per motivi ovviamente diversi, e ricercato
attivamente dalle spie degli Asburgo, H. lasciò segretamente Zurigo nel 1526,
dirigendosi verso Ausgburg (Augusta), dove nell'Aprile dello stesso anno
fondò una comunità anabattista e battezzò Hans Denck. Ma già nel Luglio
1526 H. se ne andò da Augusta e si diresse a Nikolsburg (oggigiorno Mikulov),
nella Moravia meridionale, invitato dai signori del luogo, appartenenti ad un
ramo della nobile famiglia dei Liechtenstein. Il successo ottenuto da H. a
Nikolsburg andò oltre ogni più rosea previsione: non solo egli convertì sia i
signori Leonhard e Johann von Liechtenstein che i due predicatori luterani
della città, Hans Spittelmaier (1497-1528) e Oswald Glait (m. 1546), ma
ribattezzò anche circa 6.000 persone durante la sua permanenza, creando a
Nikolsburg quel centro di riferimento, che gli anabattisti perseguitati in
Europa anelavano disperatamente. E i perseguitati risposero entusiasticamente
alla possibilità di rifugio in Moravia, affluendo talmente numerosi che
la popolazione di Nikolsburg crebbe fino a sfiorare le 12.000 unità. A
Nikolsburg H. si dedicò ad elaborare la dottrina anabattista attraverso
la pubblicazione di circa 18 opere tra scritti, trattati, brevi saggi, il
più famoso dei quali furono i Zwölf Artikel des christlichen Glaubens
(Dodici articoli della fede cristiana) del 1526. H. era fautore di un
coinvolgimento dei cristiani nella vita politica e nella difesa con le armi,
se necessario, della propria autonomia: i suoi seguaci furono per questo
detti Schwertler (i portatori di spada). Questa posizione alimentò dei
dissidi interni al movimento anabattista con la corrente pacifista degli
Stabler (i portatori di bastone), seguaci di Jakob Wideman, detto Jakob il
guercio (m.1535 ca.). La polemica peggiorò con l'arrivo di Hans Hut, che
diede un sapore apocalittico alle sue predicazioni per aver fissato la data
della parusia (seconda venuta di Cristo sulla terra) per la Pentecoste del
1528. Hut riuscì a spezzare il movimento anabattista, portando dalla sua
parte gli adepti più radicali, che mal tolleravano i compromessi di H. con le
autorità locali e propendevano per un anabattismo estremo secondo un concetto
caro al fondatore Conrad Grebel.
La fine La situazione
precipitò quando i signori di Liechtenstein fecero arrestare Hut, poi evaso:
i successivi tumulti creati dai seguaci di Hut misero anche H. in cattiva
luce presso i governanti stessi. Fu questo probabilmente il motivo perché
essi acconsentirono, nell'autunno 1527, all'estradizione di H. e della moglie
in Austria, su richiesta degli Asburgo, dove vennero arrestati e imprigionati
nel castello di Kreuzenstein, nell'Austria inferiore. Dapprima Ferdinando
d'Asburgo adoperò la linea morbida, facendo parlare H. nel Dicembre 1527 con
il suo vecchio amico, il teologo cattolico Johann Faber (1478-1541), che
cercò di convincerlo, per la verità con un fare molto brusco e prepotente, ad
una parziale ritrattazione delle sue idee. Ma gli Asburgo volevano una totale
e incondizionata resa del teologo anabattista, che egli, nonostante le
torture, non volle dare: fu quindi condannato a morte per eresia e
sedizione. Il 10 Marzo 1528 H. fu bruciato sul rogo a Vienna, perdonando i
suoi nemici, e pochi giorni dopo anche la moglie venne uccisa, gettata con
una pietra al collo nel Danubio.
La dottrina Attraverso i suoi
innumerevoli scritti, H. fu il primo teologo a cercare di sistemare la
nebulosa (fino ad allora) dottrina anabattista: la Chiesa era vista come una
comunità di rigenerati fondata su due patti con Dio: il Battesimo e la Cena
del Signore. Egli infatti concepì il Battesimo come un voto, una pubblica
testimonianza della fede cristiana, un vero arruolamento nella Chiesa dei
credenti. La Cena del Signore (Eucaristia) era invece una pubblica
testimonianza dell'amore cristiano, non andava inteso come un sacrificio, ma
come la commemorazione della morte e delle sofferenze di Cristo, che aveva
dato il Suo corpo per la nostra salvezza. Tuttavia H. in polemica con i
concetti protestanti della salvezza per fede e della predestinazione, era
convinto che i credenti fossero comunque tenuti a vivere secondo gli
ordinamenti di Cristo e che la comunità dovesse punire pubblicamente il
fedele per i suoi peccati commessi, anche come esempio per gli
altri. Inoltre vi erano molti ruoli nella società che dovevano essere
ricoperti, anche se sgradevoli, come la difesa e l'esercizio della giustizia,
e per H. questo compito spettava alle autorità costituite. Questo concetto
avvicinò, pur con alcune sfumature diverse, la posizione di H. a quelle di
Zwingli e Lutero, differendo alquanto da quella degli altri anabattisti, come
ad esempio Michael Sattler.
Squarcialupi, Marcello (1538-ca.
1592)
La vita Il medico Marcello Squarcialupi, nato a Piombino
nel 1538, prima della conversione alla dottrina riformista, divenne noto per
un trattato, scritto nel 1565, sulla prevenzione dalla peste, dal titolo
Difesa contra la Peste, che dedicò al capitano di ventura Camillo Castiglione
(1520-1598). Verso la fine degli anni '60, S. decise di emigrare nei
Grigioni, a Piuro, per motivi religiosi, anche se la sua fede non è di facile
collocazione: è stato bollato dagli studiosi come antitrinitario, tuttavia,
secondo lo storico Delio Cantimori, pare più semplicemente un'anima
irrequieta in cerca di fortuna. Comunque nei Grigioni, nel 1571, parteggiò
per le fazioni più radicali (anabattisti e antitrinitari) e, nel contempo, si
mantenne in contatto con illustri personaggi dell'epoca, come il medico e
studioso di Basilea, Theodore Zwinger (1533-1588) e con Rudolf Gwalther
(1519-1586), successore di Johann Heinrich Bullinger, come capo della Chiesa
di Zurigo. Dal 1573 S. intraprese un viaggio in Moravia, dove rimase fino al
1576 abitando a Trebitsch e a Paskov (ospite di Andrea Dudith-Sbardellati)
ed esercitando la professione di medico. Qui egli tentò inutilmente di
farsi accettare nella comunità dei Fratelli Boemi e a riguardo scrisse
una professione di fede ortodossa in termini cristologici e trinitari, ma
non riuscì mai a superare una notevole diffidenza nei suoi confronti. Dopo
un breve rientro in Valtellina nel 1577, si trasferì l'anno dopo in Polonia,
a Breslavia, presso il medico imperiale Johannes Crato von Crafftheim
(1519-1585), con cui (oltre che con Niccolò Buccella e con Giovanni Michele
Bruto) era già in comunicazione epistolare dalla Moravia. Tuttavia, poco
dopo, lo troviamo in Transilvania, come medico della corte del voivoda Istvàn
(Stefano) I Báthory (1571-1586). Qui conobbe e divenne amico di Giorgio
Biandrata, con il quale non condivise le dispute dottrinali, allineandosi
comunque con il suo pensiero almeno una volta, cioè quando nel 1581 scrisse
una lettera a Fausto Socini per richiamarlo ad abbassare i toni della
polemica, che oltretutto danneggiava l'immagine degli esuli italiani. S.,
d'altra parte, mantenne comunque buone relazioni con i gesuiti locali a tal
punto che nel 1584 il rettore del collegio di Cluj fu perfino convinto di
riuscire a riportarlo nell'ambito del Cattolicesimo. Stanco e deluso
dell'ambiente di Gyulafehérvár (Alba Julia), non più la corte ufficiale di
Stefano Bàthory, da quando, nel 1575, questi era stato nominato re di Polonia
(re: 1576-1586), S. ottenne nel 1585 da Báthory stesso una piccola somme per
portare la moglie malata indietro nei Grigioni, dove risedette, a Poschiavo,
fino al 1586. In quell'anno si trasferì in Polonia, dove a Cracovia prese
parte alle polemiche scaturite in seguito alla morte del re Stefano Bàthory.
Infatti il medico Simone Simoni, astioso e invidioso del successo di
Buccella, medico ufficiale di corte, non esitò a formulare la gravissima
accusa della responsabilità di quest'ultimo nella morte del sovrano. La
polemica tra i due coinvolse anche il S., amico di Buccella, che il toscano
difese in un suo violento libello, accusando il Simoni di ateismo,
epicureismo e religione della natura, S. morì poco dopo, probabilmente nel
1592, o, secondo altre fonti, nel 1599.
Il pensiero religioso e
scientifico Mentre, dal punto di vista religioso, non è chiaro se S. possa
essere considerato un vero antitrinitario, come scienziato e ammiratore di
Marsilio Ficino (1433-1499), invece, S. era favorevole allo studio della
natura senza implicazioni aristoteliche, e in occasione del fenomeno celeste
della cometa apparsa nel 1577, ingaggiò una lotta dialettica contro le
interpretazioni soprannaturali dei teologi e le astuzie metafisiche degli
astrologi.
Cecco d'Ascoli (Francesco Stabili) (ca.
1269-1327)
Francesco di Simeone Stabili, detto Cecco d'Ascoli,
nacque per l'appunto ad Ascoli Piceno nel 1269 ca. Della prima parte della
sua vita si sa molto poco. Si sa invece che, verso il 1324, C. insegnava alla
facoltà di medicina all'Università di Bologna e in seguito ad alcune lezioni
all'università, dove aveva parlato in senso negativo della fede cattolica, fu
condannato dal inquisitore domenicano Lamberto da Cingoli ad una penitenza di
tipo religiosa, oltre al sequestro dei libri di astrologia e la sospensione
dall'incarico di docente. Nel 1325, C. venne reintegrato nel suo ruolo anche
grazie all'intercessione dei suoi studenti ed alcune brillanti lezioni, anche
di astrologia, gli portarono fama e gloria, a tal punto che Carlo, duca di
Calabria e primogenito del re Roberto d'Angiò (1309-1343), lo nominò nel 1326
medico di corte. Tuttavia l'incauto C., chiesto un parere sul futuro della
figlia Giovanna di due anni [la futura Regina Giovanna I di Napoli, detta la
Pazza (1343-1381)] da parte di Carlo, rispose che sarebbe stata "di lussuria
disordinata". Ovviamente Carlo non poteva sapere che Giovanna effettivamente
sarebbe stata un personaggio storico molto discusso, che avrebbe sposato ben
quattro mariti, sarebbe stata scomunicata da Papa Urbano VI (1378-1389) e
avrebbe finito i suoi giorni strangolata. Per Carlo, questa profezia
era un'insolenza gravissima da parte del medico/astrologo di corte. Il
Duca visitò quindi il frate Minore Inquisitore e Arcivescovo di
Cosenza Accursio, facendogli imbastire una serie di capi di accusa, tra cui
"errori contro la fede". In realtà, a parte la gaffe con Carlo di Calabria,
C. aveva compiuto dei discutibili studi di astrologia per determinare
l'esatta data della nascita e della morte di Gesù Cristo e oltretutto egli
aveva elaborato altri calcoli per predire la comparsa dell'Anticristo. Il
tutto quindi faceva parte di quella disciplina, l'astrologia, a quei tempi
tollerata con certe limitazioni dalla Chiesa Cattolica: per esempio gli studi
di C. potevano far pensare che le azioni di Gesù Cristo in terra fossero
dovute all'influenza degli astri e non perché Egli fosse il Figlio di Dio
incarnato. C. fu quindi condannato al rogo, dove salì il 16 Settembre 1327:
la sua opera principale, il poema L'Acerba rimase quindi
incompiuta.
Stancaro (Stancari), Francesco
(ca.1501-1574)
La vita Francesco Stancaro (o Stancari) nacque
a Mantova nel 1501 circa, ma si hanno pochissime notizie sulla famiglia
d'origine e sulla sua gioventù, fuorché il fatto che S. entrò in convento e
successivamente diventò un prete, dedicando, tuttavia, la maggior parte del
suo tempo agli studi scolastici e umanistici. In breve tempo S. divenne un
vero esperto della lingua ebraica e nel 1530 scrisse la sua opera De modo
legendi Hebraice institutio brevissima. Nel 1540 fu assunto come professore
di ebraico a Padova, dove si sposò e, con la moglie, si convertì in quegli
anni alla fede evangelista. Tuttavia poco dopo S. fu arrestato
dall'Inquisizione e detenuto per qualche mese a Venezia, da dove però riuscì
a fuggire prima che iniziasse il processo: il mantovano si rifugiò a
Chiavenna, aiutando Francesco Negri a creare una comunità evangelista
locale. Nell'estate 1544 fece domanda di ammissione all'università di Vienna
e qui venne nominato docente di ebraico in ottobre, tuttavia nel marzo
1546 dovette lasciare la città per decreto imperiale, perché si era sparsa
la notizia che era ricercato per eresia. Nello stesso anno, S.
incontrò Bernardino Ochino ad un dibattito pubblico a Regensburg (Ratisbona)
e questi gli procurò un lavoro di docente ad Augsburg (Augusta). Tuttavia,
dopo la sconfitta dei protestanti della lega Smalcaldica nella battaglia di
Muhlberg il 24 aprile 1547, S. e Ochino fuggirono a Basilea, dove S. ottenne
un dottorato in teologia e perfino pubblicò una grammatica di lingua ebraica,
ma, nonostante i buoni offici di Celio Secondo Curione, egli non riuscì a
procurarsi un posto di docente all'università e dovette quindi ritornare a
Chiavenna. Vi giunse in piena polemica sull'opportunità dei sacramenti tra il
pastore riformato Agostino Mainardi e l'antitrinitario Camillo Renato, nella
quale S. intervenne, accusando Mainardi di troppa ortodossia, e troppo poco
dialogo. Alla fine del 1548 S. fu raccomandato per un posto all'università
di Cracovia, in Polonia, dove si trasferì nell'autunno 1549, ma già nel
marzo 1550 egli fu denunciato e arrestato a causa dei insegnamento
eterodossi, durante una lezione sui Salmi. Fu tradotto nel carcere di
Lipowitz, ma ne fuggì tre mesi dopo, dapprima presso un amico della nobiltà
locale e poi a Pinczów. Qui, nell'estate 1550, S. iniziò la sua attività
come riformatore nella "Piccola Polonia" e stese il suo programma di riforma
in 50 punti riguardanti dottrina, stato ecclesiastico, scuola e sinodi, e
noto come Canones reformationis ecclesiarum Polonicarum, pubblicato a
Francoforte nel 1552. Nell'ottobre dello stesso anno S. partecipò al sinodo
di Pinczów, ma venne espulso dal paese in seguito ad un editto del 12
dicembre 1550 del re Sigismondo II Augusto (1543-1572). S. emigrò quindi a
Köningsberg, nel ducato di Prussia, creato nel 1525 da Alberto di
Brandeburgo-Ansbach, e qui nel maggio 1551 egli fu nominato professore di
lingua ebraica alla locale università, ma solo pochi mesi dopo, egli fu
coinvolto nella polemica sorta tra Andreas Osiander e Joachim Moerlin
(1514-1571) sulla giustificazione per fede. Non solo S. parteggiò per
Moerlin, ma osò anche confrontarsi con il duca Alberto per essersi schierato
con Osiander. Il risultato fu che il 15 agosto del 1551, S. dovette cessare
le sue lezioni e nuovamente emigrare per andare a vivere a Kuestrin, vicino a
Francoforte sull'Oder, dove scrisse le proprie argomentazioni contro Osiander
nella sua Apologia contra Osiander. Le sue idee sul Cristo intermediatore
incontrarono immediatamente l'ostilità dei teologi brandeburghesi e il 10
ottobre 1552 S. dovette dibattere pubblicamente la sua posizione con Wolfgang
Musculus (nome umanistico di Wolfgang Müslin o Mäuslin) (1497-1563). Il
mantovano cercò inutilmente alleanze con Melantone, ma isolato e criticato,
decise di lasciare Francoforte e ritornare in Polonia, ma anche qui le
inimicizie lo costrinsero nel novembre 1554 a cercare migliore fortuna in
Ungheria, dove poté finalmente vivere tranquillamente per i cinque successivi
anni, protetto da Péter Petrovics, tutore del giovane Giovanni Sigismondo di
Transilvania (1540-1571). Ma alla morte del Petrovics, venendo a mancare il
suo influente protettore, S. decise di ritornare in Polonia nel maggio 1559.
Eppure già poco dopo il suo rientro S. pubblicò uno scritto (Collatio ..
doctrinae Arrii, et Philippi Melanchthonis), nel quale affermò che Melantone
era d'accordo con la dottrina dell'eresia ariana: si scatenò una reazione
molto dura da parte di vari personaggi (tra cui Francesco Lismanini
(1504-1566), collaboratore di Giorgio Biandrata), che fecero convocare un
sinodo a Wlodzislaw il 28 giugno 1559 con l'ovvia conclusione che il lavoro
di S. venne severamente condannato e le copie bruciate pubblicamente. S.
reagì dichiarando che lui era l'unico non ariano in tutta la Polonia e disse
provocatoriamente che 100 Lutero, 200 Melantone, 300 Bullinger, 400 Vermigli
e 500 Calvino, pestati per bene in un mortaio, non avrebbero prodotto neanche
un grammo di vera teologia! Poco dopo, in agosto, Lismanini e Jan Laski (di
cui si racconta che, infuriatosi per le argomentazioni del mantovano, gli
avesse lanciato contro una Bibbia durante i lavori del sinodo!) convinsero i
partecipanti al sinodo di Pinców di condannare gli insegnamenti di S., nei
quali essi ravvisavano un revival dell'eresia modalista e di quella
nestoriana e di respingere ogni possibile disputa pubblica
sull'argomento. Nel frattempo S. sviluppò una sua propria Confessione di
Pinców, ma dovette lasciare la città polacca per mettersi sotto la protezione
di Stanislaw Stadtniecki in Dubiecko, che però lasciò nel 1562 per
Stobnica. Nonostante un'ulteriore condanna delle sue dottrine nel sinodo di
Ksionz del settembre 1560, S. concepì nella primavera 1561 la creazione di
una comunità autonoma, dalla vita però abbastanza breve, i.e. circa 10 anni.
Infatti già dal 1567 diversi fedeli della comunità di S. chiesero di
ritornare all'ortodossia e di essere riammessi nella Chiesa riformata, fino
all'atto finale nel 1570, quando anche gli ultimi sette pastori lo
abbandonarono. Visto il fallimento del suo esperimento, lo stesso S. abiurò
le proprie idee e si riconciliò con la Chiesa riformata alla convenzione di
Olesnica. Si ritirò in pensione poco dopo e morì a Stopnica il 12 novembre
1574.
La dottrina Contro gli insegnamento sulla giustificazione
per fede di Osiander, S. sviluppò una dottrina basata sull'intermediazione di
Cristo. Facendo riferimento agli insegnamento di Pietro Lombardo (ca.
1100-1160), S. cercò di dimostrare che Gesù poteva essere il Cristo, cioè il
mediatore con Dio Padre, solamente nella sua natura umana. Ma, facendo
così, S. venne accusato di nestorianesimo, la dottrina del Patriarca di
Costantinopoli del V secolo basata sul convincimento che esistessero due
persone separate nel Cristo incarnato, l'uno Divino e l'altro umano, cioè le
due nature erano solo congiunte, mentre veniva negata sia l'unione ipostatica
fra le due nature, come affermato dalla scuola ortodossa alessandrina, che la
prevalenza della natura divina, tipica del monofisismo. S. dovette anche
subire l'accusa di modalismo, la dottrina del II-III secolo che affermava che
le persone della Trinità non erano altro che "modi" di essere e di agire
dell'unico Dio, a maggior ragione rinforzata dall'idea di S. di reintrodurre
il testo originario del Credo di Costantinopoli del 381, dove si faceva
menzione dello Spirito Santo discendente dal Padre, ma non dal
Figlio. D'altra parte, pur insistendo sulla sua dottrina di Gesù
Cristo intermediario, comunque S. rimase sostanzialmente ortodosso nel suo
credo riformato e respinse sempre fermamente le teorie dei suoi
compatrioti anti-trinitari, come Fausto Sozzini, Matteo Gribaldi Mofa and
Giorgio Biandrata. S. era comunque, nonostante tutto, convinto sul dogma
della Trinità e dell'insegnamento sulla doppia natura del
Cristo.
Storch, Nicholas o Niklas (m. 1525) e "Profeti di Zwichau" o
abecedariani
Premessa Il paese di Zwickau era, nel XVI secolo,
una ricca città della Sassonia, vicino al confine con la Boemia, ed aveva
basato il suo sviluppo sulle attività minerarie dell'argento. Questo
orientamento dell'economia locale aveva, tuttavia, portato in rovina la
precedente fiorente industria tessile, generando una vasta disoccupazione tra
i lavoratori tessili.
Nicholas Storch Nicholas (o Niclas) Storch,
era, per l'appunto, uno di questi ex-tessitori, discendente di una ricca e
potente famiglia mandata in bancarotta dai proprietari minerari. Nel
Maggio 1520, era giunto a Zwickau il noto predicatore riformatore
Thomas Müntzer, chiamato come sostituto del precedente pastore della Chiesa
di Santa Maria, Johannes Egranus. La retorica di Müntzer fu forte e
radicale, soprattutto quando, diventato pastore della Chiesa di Santa
Caterina nell'Ottobre dello stesso 1520, si scagliò contro i monaci
francescani locali. Tra i suoi parrocchiani, i più attenti alle sue
argomentazioni erano, oltre a Storch, l'ex studente di Wittenberg Markus
Stübner e un terzo personaggio, che le varie fonti indicano o come Thomas
Drechsel oppure come Markus Thomä. I tre, denominati "Profeti di Zwickau",
furono fortemente influenzati dalle dottrine dei Fratelli Boemi con una
decisa impronta millenaria - apocalittica, derivata dagli hussiti taboriti:
essi predicavano l'imminenza dell'avvento della "Chiesa degli Eletti",
ricusavano lo studio della teologia e consideravano gli uomini istruiti come
manipolatori della parola di Dio. Per questo erano convinti che era
necessario essere totalmente ignoranti, persino delle prime lettere
dell'alfabeto (ABC), da cui il loro nome di abecedariani. Erano infatti
convinti che Dio avrebbe illuminato i suoi eletti e dato loro la conoscenza
della verità tramite lo Spirito Santo. S. affermava inoltre che l'arcangelo
Gabriele gli era apparso, ordinandogli di diventare capo della "Chiesa degli
Eletti" e di nominare 12 apostoli e 72 discepoli. Finché i "profeti"
potettero godere della benevolenza di Müntzer, non ci furono problemi, ma il
16 Aprile 1521, quest'ultimo fu espulso dal consiglio cittadino di Zwickau,
nonostante le manifestazioni di piazza inscenate per solidarietà dai
"profeti". Il nuovo pastore, Nicolaus Hausmann, non fu affatto tenero con il
movimento e il 16 Dicembre 1521 fece accusare gli abecedariani di ripudio del
battesimo infantile. A questa data, quindi, si fa risalire la prima comparsa
di un movimento radicale, in realtà più anti-pedobattista (contrario al
battesimo dei bambini) che anabattista (ri-battesimo degli adulti),
concetto, quest'ultimo, espresso da Conrad Grebel ed i suoi seguaci in
Svizzera. S., Stübner e Thomä (o Drechsel), espulsi da Zwickau, cercarono di
esportare le loro idee a Wittenberg: furono ascoltati dai principali
collaboratori di Martin Lutero, Nikolaus von Amsdorf, Philipp Schwarzerd
(Melantone) e Andreas Bodenstein (Carlostadio) e riuscirono ad
impressionare favorevolmente Carlostadio e perfino ad installare dei dubbi in
Melantone, colpito dalla loro conoscenza della Bibbia. La situazione,
precipitata in seguito ad una serie di episodi di iconoclastia provocati da
Carlostadio, divenne così critica che Lutero stesso dovette lasciare il suo
rifugio nel castello di Wartburg e, travestito da cavaliere, tornare a
Wittenberg il 7 Marzo 1522. Le tesi dei "profeti" furono prontamente respinte
da un suo diretto ed energico intervento, riassunto nell'opuscolo Contro i
profeti celesti, dove attaccò duramente anche il suo ex-amico Carlostadio.
Quest'ultimo fu esiliato nel 1524 dal principe Federico III di Sassonia,
detto il Saggio (1486-1525) e si stabilì perfino per un certo periodo nella
città mineraria sassone. S. e i profeti furono espulsi da Wittenberg: in
particolare S. viaggiò tra il 1522 e 1524 in Turingia e Slesia, per
propagandare le sue dottrine, nonostante Lutero nel Settembre 1522 tentasse
inutilmente di convincerlo a ricusare le sue idee. All'inizio del 1525,
con un piccolo esercito di seguaci, S. raggiunse a Mühlhausen Müntzer, che
capeggiava, assieme a Heinrich Pfeiffer, la nota Rivolta dei
contadini. Questa rivolta aveva tuttavia i giorni contati in quanto venne
soppressa il 15 Maggio 1525 dalle truppe di Filippo, langravio di Hesse,
durante la battaglia di Frankenhausen, risoltasi in una orrenda carneficina
dei contadini, 5.000 dei quali furono fatti immediatamente a pezzi dai
cavalieri e soldati meglio equipaggiati e dotati di artiglieria, mentre altri
20.000, che si arresero, furono sgozzati senza pietà. Sia Müntzer che
Pfeiffer furono catturati, torturati e decapitati. Pare che S. fosse
sfuggito alla morte in battaglia, ma che, giunto gravemente ferito a Monaco
di Baviera, fosse morto in un ospedale della città nello stesso
1525.
Nayler, James (1618-1660)
Il quacchero James Nayler
nacque nel 1618 a Andersloe (oggi Ardsley), vicino a Leeds, nella contea
inglese del West Yorkshire, da una famiglia di piccoli proprietari
terrieri. Nel 1642, allo scoppio della guerra civile, N. si arruolò
come quartiermastro (furiere) nella cavalleria dell'esercito parlamentare, ma
nel 1650 dovette ritirarsi a vita privata a causa delle sue cattive
condizioni di salute. Ritornato a casa, ebbe un giorno una visione, mentre
arava i suoi campi: una voce che lo esortava a vendere tutto e ad andarsene
dalla casa del padre. Ma non prese decisioni drastiche finché non ebbe
incontrato nel marzo 1652 il fondatore del movimento dei quaccheri, George
Fox. A quel punto N. vendette tutti i suoi averi e divenne uno dei primi, ed
il più dotato come eloquenza, dei predicatori quaccheri. Il suo pensiero era
abbastanza radicale e nell'esercizio della predicazione, amava inserire
concetti cari ai ranters e ai familisti, ma fu imprigionato diverse volte per
blasfemia tra il 1653 ed il 1655. Nel 1656, però, N. passò il segno
prestandosi ad una rappresentazione che lo mise nei guai seri con le autorità
anglicane. L'anno prima, il 1655, infatti N. si era recato a Londra, dove
aveva conosciuto un gruppo di signore della setta, affascinate dal suo
aspetto e modo di fare. Quando poi, recatosi nell'ovest del paese, N. era
stato arrestato ad Exeter, queste donne, tra cui Martha Symmonds e Hannah
Stranger, erano andate a trovarlo in carcere, iniziando ad adorarlo come un
novello Cristo. Una terza adepta, particolarmente emotiva, tale Dorcas
Erbury, alla vista di N., svenne e questo svenimento fu esageratamente
descritto come una morte improvvisa, per cui il semplice rinvenimento,
avvenuto in presenza di N., fu interpretato come un vero e proprio miracolo
della resurrezione operata dal predicatore quacchero. Fox stesso visitò N.
in carcere per controllare e reprimere questa preoccupante divinizzazione del
suo ex pupillo, derivata probabilmente da una interpretazione un po' troppo
letterale di una frase di Fox stesso, Dio è in ogni uomo, ma N., irretito
dalle sue seguaci e convinto da loro di essere lui stesso Gesù Cristo, lo
trattò con sufficienza. Poco dopo il suo rilascio nell'ottobre 1656, il
misfatto: preceduto dalla Symmonds e dalla Stranger, che cantavano: "Santo,
Santo, Santo, il Signore Dio di Israele" e stendevano vesti per terra davanti
al corteo, N. entrò a Bristol a cavallo di un asino, appunto come un novello
Gesù Cristo, ad imitazione dell'entrata in Gerusalemme, descritta nei
Vangeli. Immediatamente arrestato con il suo seguito, egli fu inviato a
Londra per essere interrogato dal parlamento inglese, dominato in quel
momento dalla fazione puritana. Qui N. fu condannato per blasfemia: egli
non avrebbe potuto essere messo in prigione per più di sei mesi, secondo la
legge contro la blasfemia (Blasfemy Act), se non fosse stato per i
conservatori puritani che prima tentarono inutilmente di farlo condannare a
morte e poi concepirono per lui una tremenda punizione. Infatti, dopo
essere stato esposto per due ore alla gogna, N. fu legato ad un carro e
frustato a sangue per tutto il percorso durante il suo trasferimento ad un
altro luogo di condanna, rimesso alla gogna, gli fu bucata la lingua con un
ferro rovente e fu marchiato a fuoco sulla fronte con la lettera B
(blasfemia). Non soddisfatti di questo trattamento, i suoi giudici ordinarono
che N. fosse in seguito condotto a Bristol per essere portato in giro per la
città, in segno di scherno, seduto all'incontrario su un cavallo senza
sella, nuovamente frustato ed infine gettato nella prigione di Bridewell a
Londra, dove rimase per due anni e mezzo. Perfino il Lord Protettore
Oliver Cromwell (1599-1658) fu sconvolto da tanta severità della condanna, ma
non riuscì a fermare la punizione. In prigione, comunque, nonostante la
proibizione di ricevere penna e carta, N. riuscì a scrivere diversi trattati.
Finalmente l'8 settembre 1659 N. fu liberato per ordine del nuovo parlamento
e nel gennaio 1660 si riconciliò con Fox e gli altri
quaccheri. Nell'ottobre 1660 egli si mise in viaggio da Londra per andare a
visitare la sua mai dimenticata, ma un po' trascurata, famiglia che abitava
ancora nello Yorkshire. Purtroppo non ci arrivò mai: dopo qualche giorno
fu trovato legato e bastonato in un campo di Kings Ripton, vicino a
Huntingdon, nella contea del Cambridgeshire, probabilmente vittima di banditi
di strada, e, nonostante i soccorsi portati da Thomas Parnell, un medico
quacchero locale, N. morì a Kings Ripton il 21 ottobre 1660 per le gravissime
ferite riportate al capo.
Stregoneria (dal XIV
secolo)
Origine della stregoneria come eresia Contrariamente
ad altre eresie, che si basavano su riletture dell'insegnamento cristiano,
oppure movimenti riformatori nell'ambito della Chiesa, oppure riformulazioni
della dottrina cristiana, la stregoneria è sempre sfuggita ad una
classificazione precisa, sebbene alcuni autori moderni propendono per un
proseguimento di antichi riti pagani precristiani. Altri ipotizzano
addirittura che la stregoneria fosse stata "inventata" dall'Inquisizione,
quando, alla metà del XIV secolo, debellati i grandi movimenti eretici come i
catari, o presunti tali come i templari, gli inquisitori, per non rimanere
disoccupati, avevano creato questa nuova eresia. Effettivamente, fino a
quel momento, vigeva la posizione ufficiale, stabilita dal Canon Episcopi, un
documento ecclesiastico scritto intorno al 906 da Regino di Prüm, abate di
Treviri (in Germania), che affermava che la vera eresia stava nel credere
all'esistenza della stregoneria, e non la stregoneria in sé.
Il
caso di Lady Alice Kyteler Questo fu uno dei primi casi di processi per
stregoneria del Medioevo che si ricordi. Alice Kyteler (o Kettle), una
facoltosa nobildonna irlandese di Kilkenny, fu accusata nel 1324 di
stregoneria ed eresia, ed in particolare di aver ucciso i suoi tre (o forse
quattro) mariti e di aver compiuto le solite cose, rinfacciate alle streghe
per tutti i secoli successivi: aver avuto rapporti sessuali con il diavolo
(apparso a lei sotto il nome di Robin Artisson), aver compiuto sacrifici di
animali, aver parodiato cerimonie religiose, aver fatto delle profezie
attraverso i demoni e aver preparato delle pozioni magiche, facendole bollire
nel teschio di un ladro decapitato sopra un fuoco di legno scuro. Essa,
pur scomunicata, si difese contrattaccando e riuscendo perfino a convincere
le autorità a far imprigionare per 17 giorni il suo accusatore, il vescovo di
Ossory, Riccardo di Ledrede. Tuttavia Ledrede lanciò l'interdizione
sull'intera diocesi (nessuno poteva ricevere alcun sacramento) e quindi
Alice, aiutata da alcuni nobili locali, pensò bene di fuggire in Inghilterra
per chiedere protezione al re Edoardo II (1307-1327). Non così bene andò alla
sua cameriera, Petronilla de Meath, che fu catturata, torturata e bruciata
sul rogo il 3 Novembre dello stesso 1324.
L'Inquisizione e la
stregoneria Nello stesso periodo, durante il papato di Giovanni XXII
(1316-1334), il pontefice esortò gli inquisitori a perseguitare stregoni e
maghi come eretici e i casi di processi per stregoneria si moltiplicarono
negli anni successivi: nel 1390, in Francia, fu trascritto agli atti il primo
processo ufficiale con questa causale. L'interesse degli inquisitori
incrementò con l'aumento delle pubblicazioni, che, soprattutto nella seconda
metà del XV secolo, trattavano di stregoneria, come Fortalicium fidei,
scritta nel 1459 dal francescano Alfonso de Spina, Flagellum Haereticorum
Fascinariorum, scritta dal domenicano Nicholas Jacquier nel 1458, ma
soprattutto il famigerato Malleus Maleficarum (martello delle streghe),
scritto in Germania dai domenicani Heinrich Krämer e Jakob Sprenger intorno
al 1485. Quest'ultimo testo, un vero e proprio manuale per l'inquisitore alle
prese con casi di stregoneria, fu stampato per ben 28 volte e fu usato dai
giudici cattolici, ma anche da quelli protestanti, nella caccia alle streghe,
che seguì nei secoli successivi e che portò alla morte di
200.000/300.000 persone, soprattutto donne. Tuttavia, secondo altri testi,
ben 3 milioni (o addirittura 9!) di vittime caddero in 5 secoli di
persecuzioni contro la stregoneria. Un caso molto famoso si ebbe anche
nelle colonie inglesi dell'America: nel 1692 nella cittadina di Salem, nel
Massachusetts, il puritano Cotton Mather guidò una serie di processi, nei
quali 20 persone furono uccise con l'accusa di
stregoneria.
Mather, Cotton (1663-1723) e la caccia alle streghe a
Salem
Uno degli episodi più truci di intolleranza accaduti nelle
colonie inglesi nel New England fu quello della caccia alle streghe a Salem,
nella colonia del Massachusetts Bay, esplosa improvvisamente nell'estate
1692. Il fenomeno della caccia alle streghe era purtroppo ricorrente nella
storia delle religioni: basta ricordarsi gli episodi di streghe in Irlanda
del 1380. Una parte non trascurabile in questa vicenda lo ebbe la
pubblicazione nel 1689 del libro Memorable Providences (atti della
Provvidenza degni di memoria), scritta dal pastore Cotton Mather, i cui
sermoni, assieme a quelli del padre Increase Mather, infiammarono gli animi
più del dovuto.
Increase e Cotton Mather Increase Mather nato nel
1639, dal 1664 fu ministro di culto della North Church a Boston e, dal 1685,
presidente dell'università di Harvard. Morì nel 1723. Il figlio Cotton
Mather, nato nel 1663, ebbe il nome di battesimo dal cognome del nonno
materno, il famoso predicatore puritano John Cotton, mentore spirituale di
Anne Hutchinson. Egli si laureò ad Harvard nel 1678, fu assistente ministro
di culto nella chiesa del padre, e morì solo quattro anni dopo quest'ultimo
nel 1727. Nel 1689 Cotton pubblicò il suo libro, che descriveva un caso di
presunta stregoneria avvenuta a Boston l'anno precedente: tre bambini
avevano iniziato a comportarsi in maniera strana dopo un litigio con una
lavandaia irlandese di nome Mary Glover, che, secondo Cotton, aveva lanciato
un sortilegio sui minori. L'intollerante Cotton era così convinto
della presenza della stregoneria da dichiarare che si sarebbe subito
spazientito con chiunque avesse osato negare l'esistenza dei diavoli o delle
streghe.
La caccia alle streghe di Salem Nel gennaio 1692, due
bambine di Salem (nel Massachusetts), Elizabeth Parris ed Abigail Williams,
iniziarono a comportarsi in modo strano, con bestemmie, attacchi epilettici,
stati di trance. Dopo pochi giorni questo comportamento si estese ad altre
ragazzine della cittadina. Vista l'impossibilità dei medici di diagnosticare
il tipo di malattia (oggigiorno il fenomeno sarebbe stato probabilmente
diagnosticato come una miscela di epilessia, senso di colpa e stato di
depressione adolescenziale), il padre di Elizabeth, il pastore Samuel Parris,
trovò delle similarità tra l'episodio della figlia e quello descritto nel
suddetto libro di Cotton Mather e accettò la discutibile tesi di un medico
locale che fosse stato un intervento soprannaturale di Satana. Ben presto
si trovò il capro espiatorio: la schiava caraibica di Parris, Tituba e altre
due donne, la mendicante Sarah Good e l'anziana e litigiosa Sarah Osborne,
ma, mentre queste ultime due protestarono la loro innocenza, Tituba peggiorò
la sua situazione, riferendo di incontri con un uomo alto di Boston
(ovviamente Satana per i giudici) e dell'esistenza di una cospirazione di
streghe a Salem. Tra marzo e giugno, il caso si allargò a macchia d'olio:
centinaia di persone furono accusate di stregoneria e decine e decine di esse
languirono in prigione per mesi senza processo. Il governatore Phips
decise di istituire un tribunale per decidere sul caso, ma Cotton Mather
riuscì ad influenzare il parere di tre giudici sui cinque preposti ad
organizzare i processi, esortandoli a considerare valide le prove
soprannaturali e di dare massimo rilievo alle confessioni
delle streghe. La prima vittima fu Bridget Bishop, una anziana donna
accusata di mandare in giro il proprio fantasma per tormentare le persone e
di potersi trasformare in un gatto: Bridget fu impiccata il 10 giugno
1692. Seguì un impiccagione di cinque donne il 19 luglio, tra cui una pia
donna, tale Rebecca Nurse, in un primo momento assolta, ma
successivamente condannata a causa di indegne pressioni da parte dei giudici
sulla giuria. E non solo donne vennero condannate a morte: persero la vita
sia John Proctor, un taverniere, ironia della sorte!, intransigente contro
la stregoneria [la sua vicenda ispirò il drammaturgo Arthur Miller nella
sua opera The Crucible (La prova del fuoco)], che l'ex pastore del
villaggio, George Burroughs, che si difese strenuamente, protestandosi
innocente fino all'ultimo e dimostrando il 19 agosto, davanti alla forca, di
conoscere il Padre Nostro perfettamente (si supponeva che le streghe non
fossero in grado di recitarlo): solo l'intervento dell'implacabile Cotton,
giunto appositamente, il quale affermò che spesso il Diavolo poteva
trasformarsi in un Angelo di Luce, fece proseguire l'esecuzione
capitale. Una sola vittima non fu impiccata, ma la sorte riservatale fu anche
peggio: si trattava dell'ottantenne Giles Corey, il quale si rifiutò di
farsi processare. La pena in questo caso fu tremenda: fu fatto schiacciare
da pesanti lastre di pietra, mentre, tre giorni dopo, la moglie e altre
otto presunte streghe furono impiccate. Furono le ultime vittime di
questo attacco di isteria collettiva: in tutto furono uccise 20 persone e
altre 4 morirono in carcere. Solo in autunno la voglia di spargere sangue
passò di colpo e iniziarono a circolare lavori che criticavano i metodi
addottati e perfino uno dei più accaniti, il padre di Cotton, Increase Mather
scrisse un lavoro intitolato Cases of Conscience (casi di coscienza), nel
quale affermò che era meglio che dieci presunte streghe fossero rilasciate
piuttosto che un innocente fosse condannato. Ma il lavoro che diede un
colpo mortale alla credibilità dei Mather fu la pubblicazione nel 1700 del
More wonders from the invisible world (altre meraviglie dal mondo invisibile)
del mercante di tessuti Robert Calef (1648-1719), il quale dipinse l'operato
di Cotton Mather come così spietatamente crudele e palesemente tendenzioso
che a quest'ultimo venne negata la presidenza di Harvard e a nulla servì il
rogo pubblico (nel cortile del college di Harvard) di questo libro,
organizzato da un inviperito Increase.
Stribo, Jakoubek di (m.
1429)
Negli anni successivi la morte del loro caposcuola Jan Hus,
da subito venerato come martire della riforma in Boemia e del nazionalismo
ceco, gli hussiti si organizzarono sotto vari predicatori, come Vaclav
Koranda, capo dei taboriti, Jan Zelivsky o Martin Huska, che sarebbe
diventato successivamente il capo della setta degli adamiti, brutalmente
eliminata da una azione militare dei taboriti, al comando di Jan Zizka. Ma
il più importante dei predicatori fu senz'altro fu Jakoubek di
Stribo, successore di Hus alla Cappella di Betlemme nel 1418. J. è infatti
noto soprattutto per aver pubblicato nel 1420 i Quattro articoli di Praga,
manifesto del credo hussita: Libertà per i preti di predicare le Sacre
Scritture in lingua locale. Comunione eucaristica sotto ambedue le forme, il
calice contenente il vino e il pane, data sia agli adulti che ai
bambini. Espropriazione dei beni ecclesiastici e povertà del clero. Pene
temporali per i peccati mortali commessi da membri del clero.
J. morì
nel 1429 e quattro anni dopo, durante il Concilio di Basilea (1431-1439) si
arrivò ad un accordo tra hussiti e cattolici per la stesura delle Compactata,
una serie di deroghe dottrinali, che sostanzialmente riproducevano i suoi
Quattro Articoli di Praga.
Storch, Nicholas o Niklas (m. 1525) e
"Profeti di Zwichau" o abecedariani
Premessa Il paese di
Zwickau era, nel XVI secolo, una ricca città della Sassonia, vicino al
confine con la Boemia, ed aveva basato il suo sviluppo sulle attività
minerarie dell'argento. Questo orientamento dell'economia locale aveva,
tuttavia, portato in rovina la precedente fiorente industria
tessile, generando una vasta disoccupazione tra i lavoratori
tessili.
Nicholas Storch Nicholas (o Niclas) Storch, era, per
l'appunto, uno di questi ex-tessitori, discendente di una ricca e potente
famiglia mandata in bancarotta dai proprietari minerari. Nel Maggio 1520,
era giunto a Zwickau il noto predicatore riformatore Thomas Müntzer, chiamato
come sostituto del precedente pastore della Chiesa di Santa Maria, Johannes
Egranus. La retorica di Müntzer fu forte e radicale, soprattutto quando,
diventato pastore della Chiesa di Santa Caterina nell'Ottobre dello stesso
1520, si scagliò contro i monaci francescani locali. Tra i suoi parrocchiani,
i più attenti alle sue argomentazioni erano, oltre a Storch, l'ex studente di
Wittenberg Markus Stübner e un terzo personaggio, che le varie fonti indicano
o come Thomas Drechsel oppure come Markus Thomä. I tre, denominati
"Profeti di Zwickau", furono fortemente influenzati dalle dottrine dei
Fratelli Boemi con una decisa impronta millenaria - apocalittica, derivata
dagli hussiti taboriti: essi predicavano l'imminenza dell'avvento della
"Chiesa degli Eletti", ricusavano lo studio della teologia e consideravano
gli uomini istruiti come manipolatori della parola di Dio. Per questo erano
convinti che era necessario essere totalmente ignoranti, persino delle prime
lettere dell'alfabeto (ABC), da cui il loro nome di abecedariani. Erano
infatti convinti che Dio avrebbe illuminato i suoi eletti e dato loro la
conoscenza della verità tramite lo Spirito Santo. S. affermava inoltre che
l'arcangelo Gabriele gli era apparso, ordinandogli di diventare capo della
"Chiesa degli Eletti" e di nominare 12 apostoli e 72 discepoli. Finché i
"profeti" potettero godere della benevolenza di Müntzer, non ci furono
problemi, ma il 16 Aprile 1521, quest'ultimo fu espulso dal
consiglio cittadino di Zwickau, nonostante le manifestazioni di piazza
inscenate per solidarietà dai "profeti". Il nuovo pastore, Nicolaus Hausmann,
non fu affatto tenero con il movimento e il 16 Dicembre 1521 fece accusare
gli abecedariani di ripudio del battesimo infantile. A questa data,
quindi, si fa risalire la prima comparsa di un movimento radicale, in realtà
più anti-pedobattista (contrario al battesimo dei bambini) che anabattista
(ri-battesimo degli adulti), concetto, quest'ultimo, espresso da Conrad
Grebel ed i suoi seguaci in Svizzera. S., Stübner e Thomä (o Drechsel),
espulsi da Zwickau, cercarono di esportare le loro idee a Wittenberg: furono
ascoltati dai principali collaboratori di Martin Lutero, Nikolaus von
Amsdorf, Philipp Schwarzerd (Melantone) e Andreas Bodenstein (Carlostadio) e
riuscirono ad impressionare favorevolmente Carlostadio e perfino ad
installare dei dubbi in Melantone, colpito dalla loro conoscenza della
Bibbia. La situazione, precipitata in seguito ad una serie di episodi
di iconoclastia provocati da Carlostadio, divenne così critica che
Lutero stesso dovette lasciare il suo rifugio nel castello di Wartburg
e, travestito da cavaliere, tornare a Wittenberg il 7 Marzo 1522. Le tesi
dei "profeti" furono prontamente respinte da un suo diretto ed energico
intervento, riassunto nell'opuscolo Contro i profeti celesti, dove attaccò
duramente anche il suo ex-amico Carlostadio. Quest'ultimo fu esiliato nel
1524 dal principe Federico III di Sassonia, detto il Saggio (1486-1525) e si
stabilì perfino per un certo periodo nella città mineraria sassone. S. e i
profeti furono espulsi da Wittenberg: in particolare S. viaggiò tra il 1522 e
1524 in Turingia e Slesia, per propagandare le sue dottrine, nonostante
Lutero nel Settembre 1522 tentasse inutilmente di convincerlo a ricusare le
sue idee. All'inizio del 1525, con un piccolo esercito di seguaci, S.
raggiunse a Mühlhausen Müntzer, che capeggiava, assieme a Heinrich Pfeiffer,
la nota Rivolta dei contadini. Questa rivolta aveva tuttavia i giorni
contati in quanto venne soppressa il 15 Maggio 1525 dalle truppe di Filippo,
langravio di Hesse, durante la battaglia di Frankenhausen, risoltasi in una
orrenda carneficina dei contadini, 5.000 dei quali furono fatti
immediatamente a pezzi dai cavalieri e soldati meglio equipaggiati e dotati
di artiglieria, mentre altri 20.000, che si arresero, furono sgozzati senza
pietà. Sia Müntzer che Pfeiffer furono catturati, torturati e
decapitati. Pare che S. fosse sfuggito alla morte in battaglia, ma che,
giunto gravemente ferito a Monaco di Baviera, fosse morto in un ospedale
della città nello stesso 1525.
Butzer (Bucero), Martin
(1491-1551)
Martin Kuhhorn o Butzer (nome umanistico Bucero)
nacque a Schlettstadt (Sélestat) in Alsazia l'11 Novembre 1491. Dopo aver
ricevuto una prima educazione di base alla scuola di latino della sua città,
B., all'età di quindici anni (nel 1506) entrò nell'ordine domenicano, dove
proseguì gli studi diventando prete. Successivamente fu inviato
all'università di Heidelberg dove si iscrisse alla facoltà di teologia nel
1517. L'anno seguente (1518) durante un incontro dell'ordine agostiniano, B.
ebbe l'opportunità di ascoltare Martin Lutero, che esponeva la propria
dottrina e ne fu talmente conquistato che nel 1521 chiese al Papa Leone X
(1513-1521), ed ottenne, la dispensa dai voti monastici. Sempre nel 1521
B. si trasferì a Magonza (Mainz), diventando cappellano di corte del principe
elettore del Palatinato, Luigi V, detto il Pacifico (1508-1544), ma già
l'anno dopo fu nominato pastore a Landstuhl, vicino a Kaiserslauten: qui si
sposò con l'ex suora Elizabeth Silbereisen. Tuttavia a causa della sua
intensa attività di predicazione riformista, egli fu scomunicato e trovò un
primo rifugio nel castello di Weissenburg (Wissembourg), in bassa Alsazia, di
proprietà del cavaliere Franz von Sickingen (1481-1523), difensore di molti
riformisti e dissidenti, come Johannes Reuchlin e Johannes
Ecolampadio. Successivamente, nel 1523, B. si trasferì a Strasburgo, dove la
Riforma era stata da poco introdotta con successo dal predicatore Mathias
Zell (1477-1548), nonostante diversi tentativi di assassinarlo. A
Strasburgo B. lavorò per venticinque anni come principale predicatore della
città, collaborando con gli altri noti riformisti, come il già citato Zell,
Wolfgang Capito (1478-1541) e Caspar Hedio (1491-1552). Egli si attivò anche
per una riforma della vita non solo ecclesiastica, ma anche sociale della
città, ed in questo fu sorretto da Jacob Strum (m. 1553), che divenne, a
livello del consiglio cittadino, il più accesso sostenitore della
causa protestante. Nel 1527 B. pubblicò un libro di teologia, che
influenzò notevolmente Calvino, con il quale aveva in comune le stesse idee
sulla predestinazione e sul ruolo dello Spirito Santo. Nel Giugno 1528 si
tenne a Berna i cosiddetti Colloqui, con una massiccia e qualificata
partecipazione protestante svizzera (Zwingli, Berthold Haller, Ecolampadio,
Franz Kolb, Capito e B. stesso), alla quale i cattolici contrapposero una
delegazione non di grande rilievo, scelta dettata da una serie di rifiuti
alla partecipazione da parte degli ecclesiastici e dei teologi cattolici più
noti, come ad esempio Eck. Il risultato fu una scontata vittoria dei
riformatori e la redazione, a cura di Haller, delle dieci tesi di
Berna. Come pensiero riformatore, B. aderì alla corrente zwingliana, ma ciò
non gli impedì, in varie occasioni, di cercare di agire come mediatore tra
le posizioni svizzere e quelle tedesche luterane. B. fu infatti uno
degli artefici dei colloqui di Marburg del 1529 tra Lutero e Zwingli per
dirimere la questione dei valore attribuito al sacramento dell'Eucaristia,
pur conclusisi con un nulla di fatto. Nell'anno successivo, 1530, egli fu
uno dei protagonisti della prima dieta di Augusta, dove, assieme ai
riformisti delle città di Costanza, di Memmingen e di Lindau, presentò la
Confessio Tetrapolitana (cioè, per l'appunto, delle quattro città). La
riunione si concluse con la conciliatoria Confessio Augustana, tracciata da
Philipp Melantone, che tuttavia B. non accettò. Ciò nonostante, la pace,
almeno formale e di breve durata, tra Lutero e Zwingli avvenne nel 1536 alla
Concordia di Wittenberg, dove perlomeno si ottenne un accordo, per quanto
concerne l'Eucaristia, tra i luterani tedeschi del nord e i riformatori della
Germania del sud, capitanati da B. stesso. Alla stesura dei cosiddetti
Capitoli di Concordia, B. fu aiutato dal riformatore italiano Bartolomeo
Fonzio, un suo fedele collaboratore. Dal 1538 al 1541, B. ebbe la possibilità
di confrontarsi con Calvino, che risiedeva a Strasburgo, dopo essere stato
mandato in esilio da Ginevra. Nel 1540, B. fu purtroppo protagonista, assieme
a Lutero e Melantone, dell'assenso alla bigamia del Langravio Filippo di
Assia (Hesse)(1504-1567), fatto che provocò un grave scandalo. L'anno
successivo (1541) la moglie Elizabeth Silbereisen morì di peste e B. sposò la
trentanovenne Willibrandis Rosenblatt, precedentemente vedova di ben 3
riformatori: Ludwig Keller (Cellarius), Johann Ecolampadio e Wolfgang Capito!
Willibrandis gli diede 3 figli. Negli anni successivi, B. partecipò a diverse
conferenze tra cattolici e protestanti (Hagenau 1540 e Regensburg 1541) e
tentò inutilmente, nel 1542, assieme a Melantone, di portare la Riforma a
Colonia (Köln). Nel 1548 B. respinse l'interim di Augusta, la formula
dottrinale provvisoria fra protestanti e cattolici in attesa delle risultanze
del Concilio di Trento. In seguito a ciò, dovette lasciare Strasburgo:
diversi riformatori come Calvino e Melantone gli offrirono ospitalità, ma
egli decise di accettare l'offerta dell'arcivescovo di Canterbury, Thomas
Cranmer di stabilirsi in Inghilterra, dove si recò nel 1549. Qui B. fu
altamente apprezzato sia da Cranmer che dal re Edoardo VI (1547-1553) e finì
i suoi giorni come professore di teologia a Cambridge, dove lavorò alla sua
opera De regno Christi e contribuì alla stesura del Book of Common Prayer (il
fondamentale libro delle funzioni religiose anglicane). B. morì il 28
Febbraio 1551 a Cambridge, ma non ebbe vita tranquilla, neanche da morto:
infatti nel 1556, sotto il regno della regina Maria Tudor la Cattolica (detta
la Sanguinaria) (1553-1558), la sua tomba fu distrutta e le sue ossa bruciate
sul rogo. Toccò alla sorellastra di Maria, la regina Elisabetta I (1558-1603)
di far restaurare la tomba di B. con tutti gli onori dovuti. B. fu, dopo
Lutero e Melantone, il più influente dei riformatori tedeschi, presso i quali
si distinse nel tentativo di conciliare posizioni spesso non coincidenti. Si
può inoltre attribuire a B. il ruolo di ponte tra la Riforma tedesca e quella
inglese, che lui poté influenzare negli ultimi anni della sua
vita.
Gomar (o Gomarus), Franz (o Francois) (1563-1641) e
gomaristi
Il teologo Franz Gomar nacque a Bruges, in Belgio, il
30 gennaio 1563, da una famiglia, che nel 1578 abbracciò la fede protestante
e fu per questo costretta ad emigrare nel Palatinato, in Germania. G.
studiò a Strasburgo, sotto l'insegnamento dell'educatore riformato Johannes
Sturm (1507-1589), successivamente a Neustadt con i professori riformati
Zacharius Ursinus (Zaccaria Ursino)(1534-1583) e Girolamo Zanchi, cacciati da
Heidelberg perché non luterani, ed infine nel 1582 in Inghilterra, e più
precisamente ad Oxford con il puritano John Rainolds (1549-1607) e a
Cambridge con il calvinista William Whitaker (1548-1598). In quest'ultima
università G. si laureò nel 1584. Tra il 1587 ed il 1593 G. fu pastore di una
chiesa riformata olandese a Francoforte, ma nel 1594 gli fu offerto il posto
di professore di teologia all'università di Leida, in Olanda. Nel 1602
divenne suo collega Jacob Arminius, successore del professore di teologia
Franz Junius (1545-1602): lo scontro ideologico fra Arminio, fautore
dell'introduzione del libero arbitrio nel calvinismo e G., rigido osservante
della forma più estrema del calvinismo, il cosiddetto supralapsarianismo, fu
immediato e senza quartiere. La leadership di G. fu tale che i suoi seguaci
assunsero il nome di gomaristi. Nonostante la strenua opposizione di G., alla
morte di Arminio nel 1609, diventò suo successore alla cattedra di teologia,
il suo seguace Konrad von der Vorst (Vorstius) (1569-1622), che pubblicò nel
1610 il Tractatus Theologicus de Deo, ritenuto da G. un testo eretico
[Vorstius sarebbe stato poi condannato da sinodo di Dort (1618-19) ed espulso
dall'Olanda]. Nel 1611, però, amareggiato per le polemiche sorte con
l'elezione di Vorstius, G. decise di rassegnare le dimissioni per ricoprire
di seguito i ruoli di predicatore di una chiesa riformata a Middleburg nel
1612, poi professore di teologia a Saumur nel 1614 ed infine, dal 1618 fino
alla morte, professore di teologia e lingua ebraica a Groningen. Ciò non
gli impedì, comunque, di partecipare al sinodo di Dort (Dordrecht) nel
1618-19, dove, grazie alla sua influenza, venne condannata ufficialmente la
dottrina arminiana, e di contribuire alla traduzione in olandese del Vecchio
Testamento nel 1633. G. morì a Groningen l'11 gennaio
1641.
Subordinazianismo (II - III secolo)
Teoria della
dottrina trinitaria che considerava il Figlio come subordinato al Padre e lo
Spirito Santo come subordinato ad ambedue. In particolare, quest'ultimo punto
sarebbe diventato una delle principali divergenze tra Chiesa cattolica e
Chiesa orientale.
Questo pensiero fu presente in varie forme di
"dissidenza" cristiana nel II e III secolo: Origene credeva che il Figlio
fosse un attributo del pensiero del Padre. I docetisti credevano che Cristo
fosse solo apparenza nella Sua incarnazione, cioè che avesse un corpo solo
apparente oppure etereo. Noeto e Prassea erano convinti che il Figlio fosse
un modo (da cui il termine di modalisti) con cui il Padre si manifestava al
mondo. Sabellio ribadì lo stesso concetto modalista: la trinità di Dio
risultava da modi di rivelazione o attributi, che venivano dati ad un unico
Dio, ad un unico principio (in greco mòne arché), da cui il nome di
monarchianismo, nella fattispecie, modalista. I due precedenti gruppi
modalisti, insistendo su un'unica persona divina, affermavano che, se il
Cristo era stato crocefisso, allora era il Padre stesso che aveva sofferto la
Passione e da questo concetto venivano denominati
patripassianisti. Teodato di Bisanzio propose la dottrina adozionista (o
monarchianista dinamica), che propugnava l'idea che Gesù fosse un uomo in
tutto per tutto e che fosse stato "adottato" solo al momento del
battesimo. Sant'Ippolito credeva che il Figlio fosse stato creato (non
generato) da Dio e che la sua essenza umana fosse subordinata all'essenza
divina. I pneumatomachi (popolari intorno al 380) negavano la divinità dello
Spirito Santo. Gli ariani credevano che il Figlio non fosse identico,
nella sostanza, a Dio, cioè non fosse affatto consustanziale e che, inoltre,
fosse stato creato e non generato.
In generale, la maggior parte
delle dottrine subordinazianiste scomparvero progressivamente dopo il
Concilio di Nicea del 325.
Nayler, James
(1618-1660)
Il quacchero James Nayler nacque nel 1618 a Andersloe
(oggi Ardsley), vicino a Leeds, nella contea inglese del West Yorkshire, da
una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Nel 1642, allo scoppio della
guerra civile, N. si arruolò come quartiermastro (furiere) nella cavalleria
dell'esercito parlamentare, ma nel 1650 dovette ritirarsi a vita privata a
causa delle sue cattive condizioni di salute. Ritornato a casa, ebbe un
giorno una visione, mentre arava i suoi campi: una voce che lo esortava a
vendere tutto e ad andarsene dalla casa del padre. Ma non prese decisioni
drastiche finché non ebbe incontrato nel marzo 1652 il fondatore del
movimento dei quaccheri, George Fox. A quel punto N. vendette tutti i suoi
averi e divenne uno dei primi, ed il più dotato come eloquenza, dei
predicatori quaccheri. Il suo pensiero era abbastanza radicale
e nell'esercizio della predicazione, amava inserire concetti cari ai ranters
e ai familisti, ma fu imprigionato diverse volte per blasfemia tra il 1653
ed il 1655. Nel 1656, però, N. passò il segno prestandosi ad una
rappresentazione che lo mise nei guai seri con le autorità anglicane. L'anno
prima, il 1655, infatti N. si era recato a Londra, dove aveva conosciuto un
gruppo di signore della setta, affascinate dal suo aspetto e modo di fare.
Quando poi, recatosi nell'ovest del paese, N. era stato arrestato ad Exeter,
queste donne, tra cui Martha Symmonds e Hannah Stranger, erano andate a
trovarlo in carcere, iniziando ad adorarlo come un novello Cristo. Una terza
adepta, particolarmente emotiva, tale Dorcas Erbury, alla vista di N., svenne
e questo svenimento fu esageratamente descritto come una morte improvvisa,
per cui il semplice rinvenimento, avvenuto in presenza di N., fu
interpretato come un vero e proprio miracolo della resurrezione operata dal
predicatore quacchero. Fox stesso visitò N. in carcere per controllare e
reprimere questa preoccupante divinizzazione del suo ex pupillo, derivata
probabilmente da una interpretazione un po' troppo letterale di una frase di
Fox stesso, Dio è in ogni uomo, ma N., irretito dalle sue seguaci e convinto
da loro di essere lui stesso Gesù Cristo, lo trattò con sufficienza. Poco
dopo il suo rilascio nell'ottobre 1656, il misfatto: preceduto dalla Symmonds
e dalla Stranger, che cantavano: "Santo, Santo, Santo, il Signore Dio di
Israele" e stendevano vesti per terra davanti al corteo, N. entrò a Bristol a
cavallo di un asino, appunto come un novello Gesù Cristo, ad imitazione
dell'entrata in Gerusalemme, descritta nei Vangeli. Immediatamente arrestato
con il suo seguito, egli fu inviato a Londra per essere interrogato dal
parlamento inglese, dominato in quel momento dalla fazione puritana. Qui
N. fu condannato per blasfemia: egli non avrebbe potuto essere messo
in prigione per più di sei mesi, secondo la legge contro la blasfemia
(Blasfemy Act), se non fosse stato per i conservatori puritani che prima
tentarono inutilmente di farlo condannare a morte e poi concepirono per lui
una tremenda punizione. Infatti, dopo essere stato esposto per due ore
alla gogna, N. fu legato ad un carro e frustato a sangue per tutto il
percorso durante il suo trasferimento ad un altro luogo di condanna, rimesso
alla gogna, gli fu bucata la lingua con un ferro rovente e fu marchiato a
fuoco sulla fronte con la lettera B (blasfemia). Non soddisfatti di questo
trattamento, i suoi giudici ordinarono che N. fosse in seguito condotto a
Bristol per essere portato in giro per la città, in segno di scherno, seduto
all'incontrario su un cavallo senza sella, nuovamente frustato ed infine
gettato nella prigione di Bridewell a Londra, dove rimase per due anni e
mezzo. Perfino il Lord Protettore Oliver Cromwell (1599-1658) fu sconvolto da
tanta severità della condanna, ma non riuscì a fermare la punizione. In
prigione, comunque, nonostante la proibizione di ricevere penna e carta, N.
riuscì a scrivere diversi trattati. Finalmente l'8 settembre 1659 N.
fu liberato per ordine del nuovo parlamento e nel gennaio 1660 si
riconciliò con Fox e gli altri quaccheri. Nell'ottobre 1660 egli si mise
in viaggio da Londra per andare a visitare la sua mai dimenticata, ma un po'
trascurata, famiglia che abitava ancora nello Yorkshire. Purtroppo non ci
arrivò mai: dopo qualche giorno fu trovato legato e bastonato in un campo di
Kings Ripton, vicino a Huntingdon, nella contea del Cambridgeshire,
probabilmente vittima di banditi di strada, e, nonostante i soccorsi portati
da Thomas Parnell, un medico quacchero locale, N. morì a Kings Ripton il 21
ottobre 1660 per le gravissime ferite riportate al capo.
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