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I VICHINGHI IN
AMERICA - VINLAND - SKRAELINGS
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VIKINGS - L'ANSE AUX
MEADOWS - MARKLAND |
SITI STORICI A OVEST VERSO VINLAND A L’Anse aux Meadows gli archeologi
assegnano il sito del campo base, ma non tutti i dettagli combaciano. la
principale documentazione scritta dell’esplorazione vichinga del Nord America si
trova nelle saghe islandesi. In origine questi racconti facevano parte di una
ricca tradizione orale che fiorì molto prima che le storie fossero registrate su
pergamena. Specifici riferimenti a “Vinland” si trovano nelle saghe scritte alla
fine del 1000 e all’inizio del 1100, entro una generazione o due dagli eventi
che descrivono. Porzioni di due di esse, La Saga Dei Groenlandesi e La Saga di
Erik il Rosso trattano specificamente della colonizzazione di Vinland. Non vi è
dubbio che queste saghe siano state elaborate ed abbellite attraverso i secoli e
non sopravvive nessuna versione originale dei due testi. Il testo più antico
della Saga Dei Groenlandesi è una copia fatta tra il 1382 e il 1395, mentre la
versione più antica della Saga Di Erik data all’inizio del 1300. Non solo le
varie versioni di ciascun racconto differiscono talvolta, ma queste due saghe a
volte forniscono dettagli in conflitto tra loro, anche se spesso descrivono gli
stessi avvenimenti; nei racconti ci sono degli elementi evidentemente fantastici
o moralistici. Per tutte queste ragioni bisogna stare attenti quando si traggono
informazioni dalle saghe. Le figure principali di questi racconti, Erik il Rosso
e suo figlio Leif il Fortunato, sono vere figure storiche. Gli avvenimenti dei
loro viaggi, gli sbarchi e la cronologia grezza degli eventi concordano con
altre fonti del periodo e sono ulteriormente confermate dalla moderna
archeologia. Inoltre si conformano anche da vicino con la cronologia degli
eventi e degli individui documentata da altre fonti contemporanee. Il primo
avvistamento di nuove Terre dell’Ovest avvenne nell’autunno del 985 quando
Biarni Herjolfson venne spinto fuori rotta mentre tentava di arrivare alla
Colonia della Groenlandia. Anche se lui e la sua ciurma veleggiarono su per la
costa orientale per parecchi giorni, non sbarcarono e tornarono in Groenlandia.
Le saghe registrano quattro viaggi separati verso il Nord America. Il primo
viaggio fu un esplorazione pianificata di questa terra sconosciuta e venne
compiuta da Leif Eriksson intorno al 995. Leif ed il suo equipaggio di 35
persone navigarono verso ovest dalla Groenlandia dirigendosi poi verso sud.
Fecero parecchi sbarchi sulla costa, chiamarono le varie aree secondo il
carattere del paese: erano Helluland – Terra lastra di Roccia – e Markland –
Terra delle Foreste – che si pensa siano l’alto e il basso Labrador, ed infine
Vinland – Terra delle Viti -. Le speculazioni basate sulle descrizioni
geografiche nelle saghe suggeriscono che la sua destinazione finale fosse da
qualche parte nella regione fra Terranova ed il Golfo di San Lorenzo. Ovunque
fosse il sito effettivo, sappiamo che i vichinghi costruirono delle grandi case
loro caratteristiche e trascorsero l’inverno in quel luogo, con metà equipaggio
che preparava un carico di legname e l’altra metà che esplorava. Fu durante
queste ispezioni che furono le viti selvatiche che diedero nome a “Vinland”. Vi
è stato un considerevole dibattito tra gli storici ed i linguisti se il termine
di Vinland si riferisce alle Viti come bacche da vino o alle terre erbose. Forse
era solo un'altra esagerazione come la “Terra Verde” (Greenland) di Erik per
incoraggiare la colonizzazione. Il linea generale oggi molti esperti pensano che
il termine Vinland si riferisca realmente alle bacche da uva, con cui i norreni
erano familiari visto che era una merce d’importazione di lusso. Recentemente la
Dottoressa Brigitta Fallace ha sostenuto che il sito di L’Anse aux Meadows sia
effettivamente il “Leifsburòir” descritto nelle saghe. Il viaggio successivo
ancora di esplorazione, fu condotto dal fratello di Leif, Thorvald, alcuni anni
dopo nel 998. Egli prese con sé 30 uomini e restò nello stesso accampamento per
due inverni. Questo viaggio è notevole perché segna il primo confronto con le
tribù indiane native, chiamate Skraelings, ed i vichinghi, un episodio che diede
il tono dei futuri rapporti tra le due razze. I vichinghi massacrarono il primo
gruppo di indiani che trovarono e nel secondo scontro furono in grado di
combattere contro forze superiori con solo una perdita. Per il destino della
sorte la prima vittima fu proprio lo stesso Thorvald in seguito, sembra, ad una
ferita da freccia nell’addome. I moderni ricercatori sono dell’opinione che
quest’avvenimento sia capitato presso l’odierno lago Melville in Labrador. Il
terzo viaggio registrato nelle saghe fu quello organizzato da Thorfinn Karlsefni
alcuni anni dopo. Era un gruppo più consistente, con 60 uomini e 5 donne e,
contrariamente alle alre spedizioni, aveva l’intenzione di formare una colonia
permanente e, a tal scopo, i vichinghi portarono con se bestiame di ogni tipo ed
altro. Questa spedizione fu segnata dalla nascita del primo bambino europeo nato
in America, il figlio di Thorfinn e di sua moglie Gudrid, di nome Snorri. Ci fu
nuovamente contatto con i nativi, ma questa volta si cominciò con il commercio:
i norvegesi scambiarono strette strisce di stoffa rossa e tazze di latte in
cambio di pellicce, inflazionando ben presto il valore delle loro merci. Alla
seconda visita gli Skraelings compresero di essere stati imbrogliati ed
interruppero il commercio. Aspettandosi di essere aggrediti alla visita
successiva, i vichinghi studiarono ed eseguirono un imboscata: ancora una volta
il combattimento fu asimmetrico, senza perdite per i norreni. Nonostante ciò la
situazione divenne sconveniente e Thorfinn decise di tornare in Groenlandia la
primavera prossima, dopo un soggiorno di due anni. La descrizione di quei nativi
americani e le indicazioni geografiche fanno pensare che il luogo di tali eventi
fosse qualche posto lungo la costa dell’attuale New Brunswick. L’ultima
spedizione di cui narrano le saghe avvenne un anno dopo. Fu organizzata
congiuntamente da due fratelli provenienti dall’Islanda, Heigi e Finnbogialong,
insieme ad una seconda nave capitanata dalla figlia di Erik, Freydis. Il viaggio
partì fin dall’inizio all’insegna del tradimento: anche se erano d’accordo a
equipaggiare ogni nave con 30 uomini (le donne non erano comprese nel conto),
Freydis nascose altri cinque uomini nella sua nave. All’arrivo alle case di
Leif, ella si rifiutò di dare riparo alla seconda ciurma, che quindi dovette
costruirsi una nuova casa. Nel frattempo l’equipaggio di Freydis stava
preparando il legname per il viaggio di ritorno. Mentre l’inverno procedeva, i
rapporti tra i due gruppi divennero sempre più tesi portando all’isolamento
forzato. La storia procede raccontando di come Freydis accusò falsamente
Finnbogi di averla “disonorata”, convincendo suo marito a mettere a morte i due
fratelli ed il loro equipaggio. Quando gli uomini si rifiutarono di uccidere
anche le donne, Freydis prese un ascia e le assassinò lei stessa. In primavera
Freydis guidò la sua ciurma a casa in Groenlandia, nascondendo gli omicidi e
sostenendo che l’altro equipaggio aveva deciso di restare a Vinland. In generale
le saghe hanno un tipo di realismo pratico quando descrivono gli eventi
quotidiani che le rendono impareggiabili per la raffigurazione della vita degli
antichi norvegesi. Anche se i dati assoluti e i drammi descritti nelle saghe
possono essere messi in discussione, non c’è dubbio che erano gli stessi usi
della gente che sbarcò sulle spiagge della Baia di Epaves circa nell’anno
1000. L’ANSE AUX MEADOWS Nel 1960, dopo un estate trascorsa ad esplorare
la costa atlantica Helge Instad e sua moglie Anne Stine esaminarono le rovine di
parecchi antichi edifici a L’Anse aux Meadows, lungo le spiagge della baia di
Epaves sulla punta settentrionale di Terranova. Nelle sette estati successive
gli scavi rivelarono i primi indiscussi resti vichinghi in Nordamerica. Il sito
comprende otto edifici: ci sono tre grandi case di varia misura accompagnate dai
rispettivi edifici esterni e da parecchi ripari per le navi. Particolarmente
notevoli sono i resti di una fonderia da fabbro ed un forno a carbonella. Gki
edifici principali avevano tutti un intelaiatura in legno con spessi muri di
zolle di terra, simili al tipo costruito in Islanda ed in Groenlandia. Furono
trovati pochi manufatti, ma parecchi, ma parecchi di questi avevano un
indiscutibile origine norvegese. Le datazioni al carbonio 14 dei residui lignei
forniscono date poste tra il 890 ed il 1060. La totale mancanza di resti animali
domestici e di pollini di raccolti ed i modesti mucchi di spazzatura
suggeriscono un periodo di occupazione relativamente breve, forse solo due o al
massimo quattro anni. Le case, inoltre, non mostrano segno di riparazioni nelle
pareti di zolle, cosa che avveniva in genere ogni 15 o 25 anni.
La geografia
fisica di questo insediamento è del tutto diversa dalla descrizione fatta dalle
saghe del terreno intorno alla casa di Leif. La linea di costa piatta a L’Anse
aux Meadows è coperta da un adeguata terra da pascolo, ma gli alberi nella zona
sono nell’interno a una certa distanza dalla costa. In inverno venti feroci
provenienti dall’oceano spazzano le spiagge poco profonde. Le ragioni per cui un
sito così marginale sia stato scelto per l’insediamento, sono da imputarsi più
alla collocazione strategica che a motivi pratici. Nonostante i considerevoli
sforzi nel costruire gli edifici, questi vennero ben presto abbandonati. Oltre a
ciò, non ci sono tombe nell’area scavata: se queste ci fossero, in effetti, le
case dove abitarono realmente Freydis e la sua ciurma assassina, dovremmo
aspettarci di trovare le prove della tomba comune o tombe di 35 persone adulte
nei pressi. Un importante fattore nella scelta delle Case di Leifs fu
probabilmente l’assenza di nativi nell’area di L’Anse aux Meadows al tempo
dell’occupazione vichinga. L’archeologia dell’area dimostra che vi sono stati
stanziamenti di indiani recenti prima e secoli dopo l’arrivo dei norreni – i due
gruppi non dovrebbero mai essere venuti in contatto tra loro a L’Anse aux
Meadows. Tracce suggerite dalle descrizioni sia geografiche che degli skraelings
stessi, fanno pensare che il contatto sia avvenuto con i proto micmac – storici
del Golfo di San Lorenzo. Alcuni esperti credono che il sito sia servito come
stazione temporanea per la riparazione delle navi. Le spiagge che degradano
lentamente avrebbero facilitato il trascinamento delle navi fuori dall’acqua per
la manutenzione. Le attrezzature per forgiare e fondere il ferro a L’Anse aux
Meadows, anche se necessarie per riparare le navi, non erano normalmente
indispensabili per un breve soggiorno. Certamente i resti delle toppe indicano
un'unica fusione, molto improvvisato, con una produzione di circa 3 kg. Di
materiale. L’interpretazione archeologica prevalente del sito di L’Anse aux
Meadows è che venisse usato come principale stazione nell’area per la raccolta
di materie prime su base stagionale, un “campo base”. Benché la sua posizione in
un punto molto ventoso non sia tipica per un insediamento vichingo, è in una
posizione che permette un controllo visivo sulle principali rotte marine
costiere. Testimonianze dalla Groenlandia, basate sul tipo di legno, date e
quantità, indicano numerosi viaggi ad occidente negli oltre 400 anni di vita
della colonia groenlandese per procurarsi legname. Erano frequenti anche le
spedizioni di caccia sulla costa del Labrador in cerca di balene, foche,
trichechi e pesce ed è probabile che vi siano stati numerosi campi base per
queste spedizioni a breve termine. Come racconta la saga di Thorfinn, forse la
scelta di queste località divenne obbligata per l’equipaggio essendo avanti con
la stagione, quando i preparativi per l’inverno non potevano più aspettare.
L’interpretazione corrente dell’archeologia a L’Anse aux Meadows è che fosse
utilizzata come principale area organizzativa per la raccolta di risorse su base
stagionale. Gli equipaggi arrivavano qui dalla Groenlandia in primavera, poi in
gruppi più piccoli si disperdevano lungo le coste verso sud per raccogliere
legname ed altre risorse naturali grezze di valore. Ritrovamenti recenti come le
noci bianche provano che questi viaggi si estendevano a sud almeno fino al New
Brunswick. A L’Anse aux Meadows queste materie prime venivano unificate e
preparate per essere imbarcate per la Groenlandia. E’ probabile che i norvegesi
siano tornati a casa in Groenlandia dopo un breve soggiorno soltando e non
abbiano fatto alcun serio tentativo di colonizzazione. E’ da sottolineare che
tutte le date determinate dalle saghe sono sospette, ma sono incluse qui per
indicare la sequenza relativa degli avvenimenti e sono grosso modo correlate con
le testimonianze archeologiche. Magnus Magnusson, The Vinland Sagas. The
Norse Discovery of America, Penguin, 1967; La Saga dei Groenlandesi racconta in
dettaglio questi Quattro viaggi. La saga di Erik il Rosso combina molti dettagli
delle prime tre spedizioni in una sola volta. Si dice che questa spedizione più
imponente comprendesse 160 persone in quattro navi. Farley Mowat, West
Vikings, McClelland & Stewart, 2000. Ingstad Anne S., The Discovery of a
Norse Settlement in America: Excavations at L’Anse aux Meadows, New Foundland,
Universitetsforlaget, 1977. Mc Aleese Kevin, Full Circle First Contact, New
foundland Museum, 2000; Testo collegato alla mostra sui popoli nativi che hanno
avuto contatti con I vichinghi, www.nfmuseum.com/viking1.htm . Darrel Markewitz
è stato Interpretative Program Designer per il programma di storia vivente
“Accampamento Vichingo” a L’Anse aux Meadows, NHS, e consulente per le mostre
“Vikings”. The North Atlantic Saga” e “Full Circe” – First Contact”, fornendo
anche delle repliche di oggetti ed addestrando il personale. Ha pubblicato
numerosi articoli a livello accademico e organizzato gruppi di lavoro sulla
teoria e la pratica della storia vivente in particolare nel ricreare la storia
vichinga. Consulente in programmi educativi, è maestro fabbro specializzato in
riproduzioni di oggetti storici presso la Wareham Forge nell’Ontario centrale,
Canada. Sito web de Viking Encampment – www.warehamforge.ca/encamp.htm . Il
termine “vichinghi” dall’inglese antico, wicing, si ritrova nei libri di storia
medioevali insieme ai sinonimi di Northmen, Heatens (pagani), Danes (danesi).
Gli storici, soprattutto quelli inglesi, hanno preferito il termine “Viking”
pensando che significasse “feroci guerrieri”, in realtà la parola “vichinghi”
sembra derivi dall’antico vocabolo nordico Vik che significa “baia” o “ansa”.
Gli scandinavi lo adottarono nel IX secolo e nell’antico norreno – la loro
lingua da “norron tunga” da cui “norreni” – significava “spedizione marittima”.
Le saghe usano vari termini in riferimento ai luoghi di origine come Norvegesi,
Islandesi o Groenlandesi. LA PORTA DI VINLAND Grazie all’impegno di un
gruppo di archeologi dilettanti e di qualche ostinato professionista è ormai
provato che i vichinghi furono i primi europei a mettere piede in America ben
500 anni prima di Cristoforo Colombo. Un viaggio mentale lungo dieci secoli,
cinque prima del navigatore genovese, visitate l’accampamento di Bjorn, il
mercante avventuriero norvegese, di sua moglie Thora e Astrid, la schiava, e dei
membri della sua ciurma, Gunnar, Kol e Harald. Mentre visitate il villaggio
ricostruito, il capitano e sua moglie vi invitano a partecipare a varie
dimostrazioni, sperimentate la produzione tessile d’epoca, la preparazione del
cibo, la lavorazione del legno ed imparate di più sulla vita di questi primi
esploratori norvegesi. Maneggiate le riproduzioni degli oggetti e diventate uno
scopritore mentre sperimentate da voi la vita durante l’Età Vichinga! Il
villaggio vivente rappresenta il tipo di campo stagionale che fu stabilito dai
norvegesi a L’Anse aux Meadows nel primo decennio dell’undicesimo secolo. Gli
oggetti che formano questo accampamento vichingo sono tutti basati su artefatti
dell’Europa settentrionale norvegese dell’800 – 1000 d.C. Il sito dell’Anse aux
Meadows qui a Terranova ha fatto trovare solo una manciata di oggetti, forse a
causa della breve durata dell’occupazione e della natura marginale di questo
sito. Per questa ragione, abbiamo dovuto fare qualche supposizione sul tipo di
equipaggiamento che sarebbe stato disponibile in una spedizione a Vinland. Nel
complesso il campo è un po’ troppo “ricco” per riflettere veramente gli usuali
effetti personali di un tipico equipaggio norvegese. Sono stati inclusi alcuni
oggetti extra per illustrare aspetti generali della cultura norvegese e ci siamo
assicurati che il quadro presentato, dalla spada al cucchiaio, siano i più
accurati possibile (Darrel Markewitz, L’Anse aux Meadows National Historical
Site of Canada). Presso la punta occidentale di Terranova sono state scoperte
le vestigia di alcuni insediamenti vichinghi che risalgono all’undicesimo secolo
e testimoniano che i primi europei arrivarono in America 500 anni prima di
Cristoforo Colombo; gli scandinavi però, furono solo uno dei gruppi che vissero
a L’Anse aux Meadows, probabilmente a causa delle ricche risorse marine e della
vicinanza con la costa del Labrador e gli archeologi hanno identificato i resti
di accampamenti di almeno cinque o sei gruppi nativi, a partire da circa seimila
anni fa, tra cui spiccano gli eschimesi dorset, che costruirono le loro
abitazioni sulla spiaggia meridionale della baia più di duecento anni prima dei
vichinghi e non c’erano più quando questi ultimi arrivarono dalla Groenlandia.
Circa nove secoli dopo, nel 1960, Helge Ingstad, uno scrittore ed esploratore
dilettante norvegese, giunse al villaggio di pescatori chiamato L’Anse aux
Meadows, in origine una stazione francese di pesca all’epoca della colonia. Il
nome non fa alcun riferimento ai pirati (meadows), ma è la corruzione inglese
del nome francese che significa “La Baia di Medea” (l’anse significa insenatura
e meadows significa Medea, la maga della mitologia greca). In realtà fino a non
molto tempo fa la zona non era coperta da prati, ma da un fitto sottobosco e da
foreste di abeti balsamici (Abies balsamea), pioppi e larici. Ingstad trovò
aiuto in Gorge Decker, un abitante del luogo che lo guidò in una località dove
emergevano dei terrapieni e altre particolarità del terreno, che la voce
popolare dichiarava essere i resti di un antico accampamento indiano a cui si
era interessato anni prima un archeologo danese, ma che facevano pensare ai
resti di edifici. Per otto anni Helge, la moglie archeologa Anne Stine Ingstad
ed un gruppo di studiosi provenienti dalla Norvegia, l’Islanda, la Svezia e gli
Stati Uniti d’America, continuarono a scavare finchè portarono alla luce i resti
di otto edifici di epoca vichinga. Prima degli Ingstad, L’Anse aux Meadows aveva
attirato l’attenzione solo di alcuni dilettanti appassionati: nel 1914 un uomo
d’affari di Terranova che nutriva un profondo interesse per la storia locale,
William F. Munn, pubblicò una serie di articoli, poi raccolti in un libro,
Vinland Voyages, in cui sosteneva la teoria che Leif Eriksson delle saghe era
sbarcato nella zona della Baia di Pistolet. Tra il 1946 ed il 1947 il libro di
Munn era capitato tra le mani di un ingegnere americano, Arlington H. Mallery,
un entusiasta cercatore di tracce vichinghe in Nordamerica, che girava nella
zona. Convinto di aver trovato prove certe le pubblicò nel suo Lost America nel
1951, ma le ricerche dovevano uscire dal dilettantismo solo con l’arrivo
dell’archeologo Jorgen Melgaard, che nel 1956 fece uno scavo di prova alla foce
del Western Brook, dodici miglia a sudovest di L’Anse aux Meadows. Deciso a
tornare , Melgaard non riuscì mai a trovare i fondi necessari a mandare avanti
il progetto, ma lasciò la descrizione di quello che cercava agli abitanti del
villaggio. Fu così che i coniugi Ingstad vennero a sapere di quelle promettenti
collinette. Di fronte al sito si trovano cinque isolette e la più grande, la
Grande Isola Sacra, costituisce un distinto segnale geografico per chi si
avvicina dal mare. Più a sud una ripida collinetta di arenaria separa il sito da
un'altra baia e mezzo miglio circa all’interno un ruscello sorge dal laghetto
Black Duck Pond e si snoda attraverso le rovine vichinghe fino al mare. Gli otto
edifici, di cui sette raggruppati in tre complessi, allineati in direzione
nord-sud e spaziati in modo regolare a circa 30 metri l’uno dall’altro, sorgono
su una terrazza curva lunga circa 100 metri, l’unico terreno asciutto tra due
torbiere. Ciascun complesso consiste di un imponente sala a più vani, affiancata
da una capanna a un solo vano. Il complesso più meridionale presenta anche una
terza struttura, una casa più piccola monolocale, più grande delle capanne, ma
più piccola dei saloni multivani. L’ottavo edificio è rappresentato da una
capanna sull’altro lato del ruscello, più vicino alla spiaggia. Questo
insediamento rappresenta la base di Leif Eriksson a Vinland, lo Straumfjord
della Saga di Erik il Rosso e, in parte, Leifbuòir della Saga dei Groenlandesi,
la base da cui fu esplorata Vinland (Fallace 2000). Anche se all’inizio molti
pensarono che gli Ingstad avessero trovato soltando un sito coloniale, gli scavi
condotti tra il 1961 e il 1968 dimostrarono senza ombra di dubbio che questo era
un pezzo di America vichinga. La località venne posta nella lista dei Siti
Storici Nazionali del Canada e poco dopo diventò il primo World Heritage Site
dell’UNESCO. In seguito Parks Canada intraprese una nuova campagna di scavi, tra
il 1973 e il 1976, sotto la guida di Birgitta Linderoth Fallace, portando alla
luce circa il 25% dell’area circostante. Chi aveva vissuto nei tre complessi di
abitazioni ed officine? La datazione al carbonio sui ritrovamenti nei vari
strati mostra che solo 50 date appartengono al periodo vichingo, le altre sono
associate alle occupazioni native. Le varie datazioni ci consentono di
dichiarare con una sicurezza quasi completa che il sito fu abitato dai norvegesi
tra il 980 ed il 1020 e l’analisi stilistica degli artefatti, benché meno
precisa, concorda, situandolo tra la fine del X e l’inizio del XI secolo. Le
grandi sale dallo stile distintamente islandese ed i dettagli delle costruzioni
ci consentono di datarle all’XI secolo. Erano edifici costruiti di legno con
dovizia, pennellati e ricoperti di zolle di terra, che avevano richiesto un
dispendio di energia molto superiore ai semplici capanni stagionali o buòir, ma
non avevano fondamenta, segno che gli abitanti non avevano intenzioni di
rimanere in quel luogo in permanenza. Le dimensioni interne suggeriscono che
potessero viverci dalle settanta alle novanta persone, di cui rispettivamente
trentasei e cinquantaquattro nelle sali più grandi, ventiquattro in quella più
piccola e tra le sette e le quattordici nelle capanne. In questi complessi le
persone non appartenevano allo stesso rango. Le due sale maggiori erano case
padronali del genere usato dai capitani ed altre persone importanti, con una
grande area comune ed una stanza privata usata dal signore, sua moglie o i suoi
più stretti associati. La grande casa a nord è più complessa e fa concludere che
fosse la residenza del capo della spedizione e la sua ciurma. Qui gli acciarini
erano di diaspro della Groenlandia, mentre negli altri complessi era di diaspro
d’Islanda e frammenti di diaspro di Terranova. La seconda grande casa ospitava
un secondo gruppo di rango, mentre la terza, priva di stanza privata, era il
soggiorno dormitorio di una terza ciurma, forse arruolata per l’occasione. La
presenza di personaggi agiati viene testimoniata anche dal ritrovamento di un
frammento di spilla di ottone dorato ed una perla di vetro. La casetta vicino
alle grandi case era abitata da subordinati, come lavoranti e domestici, mentre
le piccole capanne erano per gli schiavi, che appaiono nelle saghe e che
svolgevano mansioni come tagliare le zolle per ricoprire le case e raccogliere
il minerale di ferro nella torbiera. Qui venne fuso il primo ferro
americano:l’equipaggiamento era modesto, ma uguale a quello islandese o
norvegese, una piccola struttura in pietra a tenuta d’aria, ricoperta d’argilla,
sopra un pozzetto nel terreno, che formava una fornace dove la carbonella,
prodotta in un pozzo vicino, permetteva di raggiungere i 1250 gradi centigradi
sufficienti a liquefare il metallo. Il ferro prodotto a L’Anse aux Meadows era
poco usato per produrre chiodi per le imbarcazioni a sostituzione di quelli
rovinati fabbricati altrove. Una delle capanne era la bottega del fabbro, mentre
un'altra era occupata da un carpentiere. Gli abitanti di L’Anse aux Meadows non
erano solo uomini: sappiamo che vi erano delle donne e non lo dicono solo le
saghe, ma anche il ritrovamento di un tipico trio di oggetti, un peso da telaio,
un ago di osso usato per lavorare a ferro con un solo ferro ed una piccola
pietra da mola molto usata per arrotare forbici, coltelli ed aghi. Anche se il
primo europeo nato in America era vichingo, non c’erano bambini né vera vita
familiare nel sito, che serviva come base per le esplorazioni e che, vista la
mancanza di cimitero, i mucchi di spazzatura modesti e gli scarsi oggetti
rinvenuti, venne abbandonato dopo pochi anni. La collocazione di L’Anse aux
Meadows forniva un conveniente accesso all’attuale New Brunswick e alla valle
del fiume San Lorenzo. Che i norvegesi siano arrivati fin là lo testimoniano un
tipo di noce, la Juglans Cinerea o Butternut, che cresce nella valle del San
Lorenzo a est di Quebec City e più a sud, in Nuova Inghilterra, insieme ad
un'altra pianta, quella vite selvatica di cui non c’è traccia a Terranova e che
dà il nome a Vinland. Durante l’estate i vichinghi prendevano legname, noci e
uva selvatica e l’inverno le stivavano a L’Anse aux Meadows per portarle in
Groenlandia l’anno seguente. Anche se a L’Anse aux Meadows non si scontrano con
i nativi, il continente era troppo fittamente abitato per stabilire una colonia,
visti i problemi demografici che già aveva la Groenlandia e le merci non
valevano i rischi dell’impresa. L’abbandono di L’Anse aux Meadows fu
pianificato, tutto l’equipaggiamento rimosso e fu abbandonato solo ciò che era
stato scartato come rotto o perduto. Almeno due grandi case a salone furono
bruciate deliberatamente, probabilmente dagli stessi vichinghi, come segno di
addio definitivo. CONTATTI CON I SKRAELINGS (Indiani d’America) Le saghe
raccontano con disprezzo e violenza quando indugiano sugli indigeni, ma
l’archeologia parla di un'altra storia meno epica forse, ma più ricca, variegata
e complessa.
Pierre Bricou “Era primavera inoltrata quando al mattino essi
notarono un gran numero di imbarcazioni coperte che doppiavano la punta la
punta sud. E n’erano così tante che sembravano pezzi di carbone gettati in mare
e un albero si alzava da ognuna. Essi (Karlsefni e gli altri) fecero segno con i
loro scudi e cominciarono a commerciare con i visitatori che desideravano
soprattutto la stoffa rossa. Volevano anche acquistare spade e lance, ma
Karlsefni e Snorri lo proibirono. Quelli scambiavano pelli scure e per ogni
pelle barattarono della stoffa rossa della lunghezza di un palmo che si legarono
attorno alla testa” (Saga di Erik il Rosso). L’Artico Canadese, la
Groenlandia, il Labrador e le cosiddette Province Marittime erano
abbondantemente popolate quando i drakkar vichinghi sbucarono dalle brume
dell’oceano. Benché le saghe ci presentino gli Skraelings come un entità
indifferenziata, molti popoli le abitavano e molte culture vi fiorivano o
stavano sbocciando. Nella tradizione norrena le relazioni con i nativi sono
impregnate di disprezzo, come denota il termine spregiativo di “skraelings”
(termine presente solo nei testi medioevali sinonimo di “mingherlino”, “ossuto”
o “rammollito”), e raccontano solo di scontri più o meno favorevoli che mettono
in luce il coraggio e la determinazione dei protagonisti, uomini e donne, ma gli
scavi archeologici forniscono una storia diversa. La diretta evidenza di
contatti tra dorset e vichinghi è sparsa e la maggior parte degli oggetti si
trova nell’alto Artico canadese e nella Groenlandia nord occidentale e solo
pochi sono stati scoperti a sud degli stretti di Hudson. In un sito dorset sulla
riva est della baia di Hudson è stato ritrovato un ciondolo di rame ottenuto per
fusione, una tecnica ignota in Nordamerica e perciò probabilmente vichingo.
Maggiori problemi pone una lampada di pietra saponaria dall’aspetto
inequivocabilmente dorset trovata a L’Anse aux Meadows; la lampada infatti era
nelle zolle del tetto e non sul pavimento. Quando vi arrivò Leif, i dorset
avevano abbandonato il Labrador meridionale e Terranova da secoli, questa
lampada si può dunque spiegare o come merce ottenuta dai nativi o come bottino
di un sito dorset abbandonato in Labrador o nell’Artico orientale, o fu portata
là dopo l’abbandono dell’avamposto da qualche gruppo tardo dorset giunto nella
zona e che si era spinto molto lontano dalle proprie terre nel Labrador
settentrionale. A L’Anse aux Meadows è stata anche trovata una fusaiola in
pietra saponaria impregnata di olio di foca che probabilmente fu costruita
utilizzando i resti di una lampada dorset che i vichinghi potevano aver trovato
in una delle loro spedizioni. Circa tre metri di matassa di lana filata di pelo
di lepre artica sono stati trovati in un sito tardo dorset nella parte
settentrionale dell’isola di Baffin; la filatura non era una tecnica indigena e
un panno fatto con un filato di lana di pelo di lepre e capra artiche è stato
scoperto a Gàrd Under Sandet, nella Colonia Occidentale. La presenza di tale
tessuto in un sito dorset fa intendere contatti più complessi che il mero
scambio di metallo. Un'altra stimolante scoperta sta nelle occasionali
rappresentazioni di soggetti con fattezze europee nell’arte dorset. I dorset
erano abili scultori e uno dei soggetti più utilizzati erano i volti umani,
rappresentazioni degli inua o spiriti guardiani; caratteristici erano i pezzi di
corno o di legno di deriva letteralmente coperti di facce, ciascuna ben
caratterizzata. Ora in alcune di queste sculture dei volti sembrano mostrare
fattezze nordiche con nasi lunghi e barbe. In particolare una scultura fu
scoperta nella stessa abitazione invernale dell’isola di Baffin dove fu trovato
il pezzo di tessuto vichingo. Alcuni studiosi ipotizzano che un possibile
incontro tra i vichinghi e i dorset sulla desolata costa della Groenlandia
orientale sia stato descritto nella Saga della Gente di Floi, un racconto
considerato fino ad oggi piuttosto fantastico e scarsamente attendibile. Le
popolazioni tardo-dorset cominciarono ad occupare le terre attorno a Smith Sound
attorno all’ottavo secolo e, dopo quella, data solo la costa occidentale della
Groenlandia nella zona costiera lungo gli stretti di Nares e il distretto di
Thule risultano ancora abitati da loro. Recentemente è stata scoperta una punta
di arpione tardo dorset nella baia di Disko e delle datazioni al radiocarbonio
suggeriscono insediamenti della stessa tradizione anche nell’estrema punta
nordorientale della Groenlandia e sullo Scoresby Sound. Si può supporre che il
cuore della cultura tardo-dorset in Groenlandia fosse attorno al distretto di
Thule, dove le strutture mostrano di essere state utilizzate per un paio di
secoli in due fasi successive, la prima tra il 1050 e il 1150 e la seconda
attorno al 1300. Insediamenti si trovano anche nell’isola di Baffin
(Helluland?), e sulla costa settentrionale del Labrador (Markland?). Queste
popolazioni avevano raggiunto il loro zenith culturale attorno al 900 d.C. e
geograficamente si trovavano al centro di una complessa rete di relazioni
commerciali dell’Artico e della costa atlantica settentrionale, che
coinvolgevano materiali litici come la selce Ramah ed il ferro meteorico
groenlandese. Probabilmente i dorset, a cui tra l’altro era ignoto l’arco
composito ricurvo, furono la minore delle minacce che gli indigeni posero a Leif
ed ai suoi seguaci quando iniziarono la loro avventura: una piccola spedizione
di caccia di sei o otto uomini armati di spade, asce, lance ed archi poteva
avere la supremazia militare e organizzativa su di un gruppo di dorset. E’
possibile che gli scontri non siano stati molti, anche per la scarsità di
popolazione che l’Artico permette, sia per i diversi habitat che usavano
sfruttare, ma che il commercio fosse il modo di relazionarsi preferito, dato che
le economie dorset e vichinga erano in un certo qual modo complementari. Ferro,
tessuto, abiti, avorio, pelli di foca e tricheco e pellicce erano merci di
grande interesse: abilissimi cacciatori di trichechi i dorset potevano
accumulare dei surplus di avorio e pelli per poter ottenere l’ambito ferro ed i
tessuti. A loro volta i vichinghi, benché costretti ad importare il ferro
dall’Europa, potevano sfruttare piccole schegge, lame spezzate ed altri attrezzi
ormai inutilizzabili come merce per venire incontro alle esigenze dei nativi già
abituati a creare, con le schegge dei meteoriti, coltelli, punte d’arpione e
attrezzi per lavorare pelli ed osso. Rovine tardo-dorset nel distretto di Thule
hanno fatto scoprire resti bronzei di campane di evidente origine europea ed un
ritrovamento analogo è stato fatto in Canada. E’ anche possibile che il
saccheggio di navi naufragate sulle coste inospitali dell’artico abbia fornito
quei materiali tanto desiderati dai dorset: la sfortuna degli uni diveniva
abbondanza per gli altri. Gli scavi condotti tra il 1977 e il 1995 sulla costa
centro orientale dell’isola di Ellesmere e dell’isola di Skraeling diedero
risultati di grande importanza nella decifrazione dei rapporti tra inuit e
vichinghi. Qui si trovano dei gruppi di rovine di abitazioni invernali
dell’antica cultura thule costruite con zolle, pietra e ossa di balena dove,
insieme a splendidi oggetti squisitamente thule, vennero scoperti una larga
porzione di maglia di ferro, un ampia sezione di lama e un rivetto intatto di
nave vichinga. Poiché le case erano molto simili alle abitazioni alaskane della
stessa cultura, era evidente che gli inuit di quell’insediamento erano dei nuovi
arrivati nella zona. Tra il 1978 ed il 1995 i reperti vichinghi scavati nella
zona aumentarono: i ritrovamenti comprendevano due pezzi di stoffa di lana
filata, rivetti di nave, lame di coltello e di lancia, cunei in ferro, un
impugnatura di pialla da carpentiere, un punteruolo, la maglia di ferro ed altri
anelli di ferro fuso provenienti da una cotta e 62 pezzi di ferro e rame
probabilmente di origine norrena. La maggior parte dei ritrovamenti proveniva da
un Karigi, la grande casa per le riunioni. L’insediamento fece anche rinvenire
alcuni pezzi di ferro meteorico do capo York, il che fece supporre che tale
materiale non fosse tanto frutto di un colpo di fortuna, ma di una qualche spece
di baratto con i dorset che ancora occupavano quella regione. Le date al
radiocarbonio dei siti tardo-dorset e thule-primitivo giustificano l’ipotesi di
un sovrapporsi delle due culture nella zona. Poiché gli oggetti vichinghi si
trovano negli strati più antichi dell’insediamento thule, si può dedurre che gli
inuit thule giunsero nella zona di Ellesmere e in Groenlandia nel XIII secolo,
circa due secoli dopo l’arrivo di Erik il Rosso. L’avanzata delle popolazioni
thule nell’Artico orientale verso il 1200, quando già i dorset avevano
cominciato a ritirarsi (poco dopo l’anno 1000), variò dunque ulteriormente lo
scenario soprattutto in Groenlandia dove i thule arrivarono attorno al 1300
raggiungendo la baia di Scoresby e scendendo poi verso sud e ovest nel XIV
secolo. Testimonianze archeologiche confermano la contemporanea occupazione di
popoli tardo dorset e thule primitivo nella zona della cosiddetta “Porta della
Groenlandia”, gli stretti di Nares e lo Smith Sound tra il 1200 e il 1300.
Questa regione era il Nordsetur, il territorio di caccia vichingo che molti
studiosi hanno identificato con l’ampia regione a nord della baia Disko e che
forniva merci pregiate quali pelli e zanne d’avorio di tricheco e di narvalo,
pellicce di orso polare e talvolta orsacchiotti vivi ed i pregiati falchi, così
richiesti dai ricchi europei e arabi. Scavi archeologici sembrano indicare che
il trapasso da dorset a thule abbia per un po’ allentato il rapporto tra i
vichinghi e gli skraelings – i norreni non sembrano mai consapevoli delle
differenze tra le popolazioni indigene – rapporto che ritornò abbastanza intenso
dopo il 1300 anche grazie ai migliori mezzi di trasporto dei nuovi venuti, le
slitte con i cani e gli umiak. Se è vera l’ipotesi che la domanda di ferro sia
stata uno dei fattori che concorsero alla migrazione inuit – thule verso est,
allora certamente i thule erano interessati sia al ferro meteorico, la cui fonte
conosciuta nell’artico canadese era a capo York a sud della Baia di Melville
nella Groenlandia nord occidentale, sia eventualmente al ferro da fusione
europeo che potevano ottenere commerciando, due fonti di cui certamente avevano
avuto notizia dai dorset. Nella Groenlandia settentrionale, nell’isola di Ruin,
i materiali vichinghi sono distribuiti in varie case tra cui il karigi: qui sono
stati trovati un pettine, del tessuto, un pezzo degli scacchi e un pugno di
maglia di ferro che combacia abbastanza bene con quello scavato nell’isola di
Skraeling. Il pezzo di stoffa dell’isola di Ruin è stato datato intorno al 1260,
quello dell’isola di Skraeling per il 1190, ovvero più o meno nello stesso
periodo attorno al 1200, nei limiti dell’errore sperimentale, il che è
confermato dalla maglia di ferro che proviene dalla stessa fonte. Questi reperti
scavati in due siti diversi provengono dunque da uno stesso viaggio vichingo
nell’Artico settentrionale e testimoniano un contatto diretto tra inuit e
norreni ed almeno di un naufragio tra le insidiose acque del Mar Glaciale
Artico, come i molti rivetti intatti e la pialla suggeriscono. Sempre nel
profondo artico altri reperti ci parlano dei contatti, di tragedie e dalla vasta
rete di commerci tra i gruppi nativi. Sull’isola di Devon in un abitazione
invernale thule è stato scoperto un largo frammento di un pentolone di bronzo
fuso, un oggetto di chiara origine europea prodotto tra il fine secolo XIII e
l’inizio XIV secolo. Frammenti di pentole in bronzo sono stati scavati anche in
siti tardo – dorset nel distretto di Thule della Groenlandia nordoccidentale. La
costa nordoccidentale dell’isola di Ellesmere ha fornito anche una parte di una
leva e un braccio di una bilancia di bronzo del tipo usato dai commercianti
norvegesi. In un villaggio thule sulla costa meridionale di Baffin è stata
trovata una piccola figura su legno di deriva che rappresenta un uomo con un
tipico abbigliamento europeo ed altre sculture con fattezze forse norrene sono
presenti anche in siti inuit groenlandesi. Una di esse in particolare, trovata a
Upernavik un agglomerato della cultura inugsuk del XV secolo, sembra raffigurare
un vichingo sia per la struttura del viso che per l’acconciatura, tanto che sul
retro si ha un intaglio con un tipico motivo a nodo vichingo. Resta il problema
se queste figurine siano state fatte da norreni e poi siano state saccheggiate
dagli inuit nelle fattorie abbandonate o se siano produzione indigena. Se si
analizzano gli oggetti vichinghi ritrovati nei siti thule possiamo dire che
questi si trovano dispersi sia nello spazio che nel tempo; è probabile che
reperti in questione siano stati oggetto di scambi e baratti e che alcuni di
essi siano giunti in questo modo nel grande nord. Pezzi di ferro e rame sono
stati trovati in località thule tardivo come Sverdrup, Inuarfigssuaq, Uummannaq,
l’isola Haa ed altri che furono occupati per un periodo di tempo che va dal 1350
circa al 1700, ben oltre quindi l’abbandono della Colonia Orientale. E’
possibile che alcuni di questi oggetti siano stati raccolti dalle rovine delle
fattorie vichinghe e siano passati di mano in mano e di generazione in
generazione. Indicativo di questi passaggi potrebbe essere un coperchio in legno
per una scatola che conteneva dei cucchiai, scolpito con motivi floreali gotico
primitivi scavato in un abitazione thule a Sermermiut in Groenlandia, mentre la
scatola di cui probabilmente era il coperchio fu scoperta ad alcune centinaia di
miglia di distanza sempre in un sito thule. Molto più rari sono invece gli
oggetti dorset o thule reperiti in siti vichinghi; a parte quelli trovati a
l’Anse aux Meadows, si può citare il pettine thule in corno recuperato ad
Austmannadal. Quali sono stati dunque i rapporti tra i vichinghi e le
popolazioni eschimesi dorset e thule in Groenlandia, Markland e Helluland? Per
cercare una risposta analizzeremo quali interessi economici avevano i
protagonisti in questa regione artica. Una delle principali fonti di sussistenza
e di merci erano gli animali della zona che fornivano cibo, ma anche pelli,
avorio e pregiati animali vivi. E’ probabile quindi che i principali contatti
avvenissero nel Nordsetur e che, a parte qualche incidente e tentazione di
saccheggio da entrambe le parti, i rapporti fossero di cauto commercio. L’avorio
ottenuto dalle zanne dei trichechi o dal corno del narvalo diventò una delle
merci più ricercate dopo il 1261, quando le colonie groenlandesi divennero
soggette alla corona norvegese e, soprattutto dopo il 1281 quando giunsero dalla
madrepatria nuove leggi e l’obbligo di pagare nuove tasse. Metalli e legname
erano materiali preziosi sia per gli eschimesi che per i coloni. I groenlandesi
dipendevano quasi completamente dalle importazioni per il ferro, mentre le
culture indigene, visto la loro particolare tecnologia riuscivano ad adottare
con successo sia il ferro meteorico che gli scarti degli europei. Scavi a
Nipaitsoq, una grande fattoria della Colonia Occidentale, hanno fatto trovare
una freccia la cui punta era ricavata con ferro meteorico, segno che anche i
vichinghi erano interessati a questa fonte. Questo può aver portato ad una
competizione per la preziosa risorsa. Un'altra merce preziosa era il legno che
divenne sempre più raro nell’Artico man mano che il clima si irrigidiva e la
banchisa si allungava verso sud lungo la costa orientale della Groenlandia. Il
legname che i coloni si procuravano con le loro spedizioni a Markland poteva
essere una merce interessante anche per i nativi. La flessibilità e
l’adattabilità di una cultura di fronte a sollecitazioni climatiche e culturali,
d’altra parte, garantisce la sua sopravvivenza. Una delle tracce della presenza
di relazioni commerciali tra le popolazioni appartenute a culture diverse è la
repentina presenza di tratti nuovi dovuti a fenomeni di assimilazione e
incorporazione di tradizioni estranee in una o tutte le culture interessate.
Alcune strutture venatorie utilizzate dagli inuit polari precedentemente al
contatto del 1818 hanno attratto l’attenzione degli studiosi. In particolare una
di esse è una trappola per orsi bianchi costruita con pietre massicce, le altre
sono i numerosi tipi di capanni in pietra utilizzati per attrarre le anitre, una
pratica comune anche ai norvegesi delle regioni dell’Atlantico settentrionale.
Sia i norreni che gli inuit erano grandi cacciatori di orsi polari di cui
soprattutto apprezzavano la pelliccia e queste trappole di pietra non sono altro
che la replica su larga scala delle analoghe trappole per volpi già usate dagli
eschimesi. Due cairn trovati sull’isola di Washington Irving dal capitano
Naresnel 1875, circa 130 miglia a nord dell’isola di Skraeling, presso
Ellesmere, sono risultati particolarmente interessanti: le ricerche scientifiche
hanno permesso di stabilire che essi non erano inuit, ma costruiti da qualche
spedizione vichinga che aveva lasciato anche altri oggetti sparsi là intorno.
Questa scoperta ha consentito di determinare il punto più settentrionale tuttora
noto, raggiunto dalle spedizioni vichinghe nell’alto artico, 1750 chilometri più
a nord della Colonia Occidentale. I ritrovamenti di oggetti norreni abbandonati
volontariamente in siti inuit, oggetti spesso trovati nelle discariche, fa
supporre che tali pezzi non fossero di particolare valore per gli indigeni che,
probabilmente ne erano solo momentaneamente affascinati come possiamo esserlo
noi oggi da esotici souvenir. Anche i pezzi di ferro e rame da fusione attaccati
a manici di coltello ed arpione in osso e poi scartati fanno supporre che la
fonte di questi due metalli non fosse poi di così impossibile accesso per gli
inuit. Dal canto loro i vichinghi, nei cui insediamenti ordinatamente
abbandonati non si ritrova praticamente nessun oggetto nativo, non sembrarono
mai interessati a scambi culturali e tecnologici con i dorset o con gli inuit
thule di cui non adottarono mai né le imbarcazioni in pelle, né le punte di
arpione snodate (poi accettate dai balenieri della Nuova Inghilterra), né le
slitte con i cani o le racchette da neve; una chiusura mentale che probabilmente
segnò il destino degli insediamenti norreni in Groenlandia e nel Nuovo Mondo
quando il clima e l’ecosistema artico mutò in peggio e la bilancia commerciale
della colonia subì un rapido declino. CRONACHE A parte quanto vi è nelle
saghe, poche sono le notizie sugli abitanti della Groenlandia che ci restano
nelle fonti scritte. Nel Libro degli Islandesi che si pensa sia stato scritto da
Ari il Saggio al tempo della colonizzazione di Erik il Rosso nell’ XI secolo, i
nativi sono menzionati di sfuggita:”Sia nella contrada orientale che in quella
occidentale del paese, essi trovano abitazioni umane, pezzi di imbarcazioni in
pelle, manufatti in pietra, per cui sembra che qui ci siano state popolazioni
analoghe a quella che abitano Vinland, che i groenlandesi chiamano
skraelings”. Nella Historia Norvegiae abbiamo questa citazione:”Sull’altra
costa della Groenlandia, verso nord, i cacciatori trovarono della gente smilza
che chiamarono skraeling; la loro situazione è tale che se sono colpiti da un
arma, la loro ferita diventa subito bianca senza sanguinare, ma se sono feriti
mortalmente il loro sangue a malapena cessa di scorrere. Essi non hanno ferro,
usano dei proiettili fatti di zanne di tricheco e pietre affilate per coltelli”.
Nel 1823 un groenlandese trovò una pietra runica su un caim (mucchio di pietre)
in cima ad un isoletta datato per la fine del XIII secolo, sull’iscrizione si
leggeva così:”Erlingur Sigvatsson, Bjarni Thordarson e Enridi Oddsson
costruirono il caim il sabato prima del Giorno delle Rogazioni.” All’inizio del
XIV secolo Haukur Erlansson scrisse nel suo Libro di Hauk, riferendosi ad una
spedizione avvenuta probabilmente attorno al 1266:”Questa gente giunge in estate
dal Nordsetur essendo stati più a nord di quanto prima menzionato. Essi non
trovarono segni di insediamenti skraelings eccetto che a Krogsfjordshede (la
Baia di Disko)… Essi videro molte isole ed ogni tipo di prede come foche, balene
e moltissimi orsi. Essi entrarono in Havbugten (la Baia di Melville) ed allora
la terra si inerpicò di fronte a loro, sia la linea di costa che i ghiacciai, ma
anche a sud vi erano altri ghiacciai a perdita d’occhio. Essi trovarono alcune
tracce del fatto che in tempi precedenti, gli skraelings avevano abitato quei
luoghi, ma non poterono sbarcare a causa degli orsi. Poi fecero vela per
ritornare e dopo tre giorni trovarono le rovine di insediamenti skraeling su
alcune isole a sud di Snefjeld.”. Nella stessa cronaca Erlandsson scrive:”Tutti
i groenlandesi di alto rango hanno larghe navi e battelli costruiti per mandare
questi uomini a cacciare negli insediamenti del nord…questi cosiddetti uomini
del Nordsetur hanno le loro barche e capanne sia a Greipar che a
Krogsfjordshede”. L’ultima fonte d’epoca viene dagli Annali Islandesi dove, in
una nota del 1379 vi è riportato che:”Gli skraeling attaccarono ostilmente i
groenlandesi, uccisi 18 uomini e catturati due ragazzi poi resi schiavi”; poiché
la Colonia Occidentale aveva già cessato di esistere, l’avvenimento avvenne
nella Colonia Orientale o nel Nordsetur. Verso la metà del XIV secolo Ivar
Bardarson, che aveva il compito di raccogliere le tasse per il re, di verificare
l’adesione alla fede cristiana ed era il più importante prelato a Gardar,
scrisse nella sua Descrizione della Groenlandia:”Ora gli skraelings possiedono
tutta la Colonia Occidentale, qui vi sono solo cavalli, capre, bestiame e pecore
inselvatichiti, ma non ci sono né Cristiani nà Pagani”. Nel 1420 il
cartografo Claudius Svart raccontò che egli aveva visto due Pygmie (inuit)
catturati con i loro kayak e che una delle due imbarcazioni era stata appesa
nella Cattedrale di Trondheim. Nel 1505 Olavus Magnus scrisse che “Uno di questi
piccoli battelli di pelle era appeso al muro sopra l’entrata occidentale della
Cattedrale di Oslo”. Nel 1721 Hans Egede, ministro della chiesa moravo –
luterana, parlando della Groenlandia scrisse che i vichinghi non erano stati i
primi abitanti e che tale primato spettava ad i “selvaggi” della costa
occidentale; questi discendevano dagli “Americani” che vivevano a nord della
Baia di Hudson ed erano giunti da nord lungo la costa occidentale dove spesso
facevano guerra ad i norvegesi. Fonte: Gullov H. C.: “Native and Norse in
Greeland”, in Vikings. The North Atlantic Saga, Washington, DC,
2000. SPLENDORE E DECLINO DELLA GROENLANDIA NORVEGESE “Accade in
Groenlandia che tutto ciò che è portato là da altr contrade è costoso, perché il
paese è così lontano dagli altri che la gente vi viaggia di rado. Ogni articolo
con cui possono aiutare il paese, devono comprarlo da altri, sia il ferro che il
legno con cui costruiscono le case. Esportano da quel paese pelli di capra, di
bue, di foca e la corda che tagliano dal pesce chiamato tricheco (in realtà un
mammifero marino) e che è chiamata corda di pelle, e le sue zanne. Questi
lontano abitanti sono stati battezzati ed hanno sia chiese che preti.” (“Lo
Specchio del Re, verso la metà del XIII secolo.). Attorno all’800 Gunnbjorn, un
norvegese in viaggio dalla Norvegia all’Islanda, incappò in una violente
tempesta che lo portò fuori rotta; tra le onde, il nevischio e gli spruzzi di
acqua sollevati dai venti, egli intravide una costa impervia e rocciosa che non
si sentì di esplorare. Giunto poi in Islanda egli narrò di quella terra ad
occidente e la chiamò Gunnbjorn Skerry (Scogli di Gunnbjorn). In quell’anno, il
982 secondo i cristiani, il Thing, il tribunale islandese, tra gli altri si
trovò a giudicare un ennesimo caso di omicidio in una terra che stava esplodendo
demograficamente e dove i pascoli disponibili ormai non bastavano più: un
immigrato norvegese, Erik il Rosso, uomo di carattere ruvido e irascibile aveva
ucciso a sangue freddo un altro vichingo. Come suo padre era stato bandito dalla
Norvegia per omicidio, così anche i vichinghi islandesi decisero di bandire
l’assassino dall’Islanda per tre anni; era il 982 per i cristiani. Audace per
quanto era violento, Erik decise di rischiare la fortuna partendo non non per
l’oriente o le ricche e calde terre del sud, ma andando ad ovest verso la terra
cantata dalle saghe, verso gli Scogli di Gunnbjorn. Armata una nave egli
raggiunse la terra incognita e cominciò a costeggiare l’inaccessibile costa
orientale chiusa dai ghiacci ed impenetrabile anche durante il il tepore del
Periodo Caldo Medioevale, poi doppiò capo Farewell e fu in vista della parte
occidentale più accessibile ed accogliente. Qui, in qualche fiordo, egli svernò
per riprendere in estate l’esplorazione di una vasta insenatura cui diede il
nome, Eriksfiord, poi proseguì verso nord ed Eirik diede il suo nome a molti
altri luoghi – dicono le saghe – e continuò ad esplorare quelle regioni per
altri due anni, finchè finito il suo esilio tornò in Islanda. La scoperta della
nuova terra, chiamata Gronland (Terra Verde) da Erik il Rosso, catapultò il
vecchio esiliato ai vertici della scala sociale islandese. Sfruttando il nome
così suggestivo, egli non ebbe molte difficoltà ad indurre molti capitani a
seguirlo per colonizzare quelle terre vergini lasciando alle spalle l’Islanda
già scarsa di terra. Il nome non era solo un ben riuscito slogan pubblicitario,
ma era piuttosto azzeccato perché rendeva onore alla lussureggiante vegetazione
dei fiordi più riparati e degli altipiani interni, unbel contrasto con le aride
brughiere della quasi esausta madrepatria. Nel 985 venticinque navi partirono
cariche di emigranti, animali domestici e sementi, ma di esse ne giunsero solo
quattordici, le altre scomparvero tra i ghiacci, gli iceberg e le terribili
tempeste dell’Atlantico settentrionale. Durante il viaggio di scoperta Eirik il
Rosso aveva scelto accuratamente il luogo che avrebbe rivendicato come primo
landnàm della Groenlandia per stabilire la sua fattoria: l’Eiriksfjord dove
costruì Bratthalid (“Ripido Pendio”, oggi Tungdiliafik), ritrovata nel 1932
dall’archeologo danese Poul Norlund. Attorno a Bratthalid si costituì la Colonia
Occidentale, Vestribygdh, vicino all’attuale Godthaab, dove si trova oggi la
capitale della Groenlandia, Nuuk. Scavi archeologici hanno portato alla luce i
resti di circa duecento poderi nel sito orientale, di circa cento nell’altro.
Sembra sia stato Leif il Fortunato, figlio di Erik il Rosso, secondo la saga che
porta il suo nome, ad introdurre il cristianesimo a nome del re Olaf Tryggvason
di Norvegia intorno all’anno 1000. Eirik il Rosso non ne fu entusiasta ma
permise alla moglie Thjodhild, che si era convertita, di costruire una chiesa
nella sua proprietà di Brattalhild. In realtà si trattava di una cappella, se è
stata identificata correttamente dagli scavi nel 1961 (Arneborg 2000) ed il suo
cimitero restò in uso fino alla fine del XII secolo. Secondo la Saga dei
Groenlandesi fu Sokki Thorisson di Brattalhild a convincere gli altri
proprietari terrieri a chiedere un vescovo, ma non vi sono prove della presenza
di un vescovo residente fino al 1210 o 1212. Le fonti scritte parlano di dodici
chiese, un monastero ed un istituto per suore, ciascuno con una chiesa nella
Colonia Orientale e quattro chiese in quella Occidentale. “Le ossa di molte
migliaia di antichi norreni sono impaccate strettamente in questi cimiteri,
silenziosi testimoni dell’espansione dell’Età Vichinga e del sistema di vita
medievale. Giacciono nel luogo forse più remoto abitato della società medioevale
europea” (Lynnerup 2000: 285). Per questi lontani coloni era importante essere
sepolti in terra consacrata: le saghe ci raccontano come si dessero gran pena
per recuperare i morti dei naufragi o delle spedizioni funestate da perdite,
come il tentativo da parte di Thorstein Eiriksson di recuperare il corpo del
fratello Thorvald ucciso dagli indiani e sepolto da qualche parte a Vinland.
Questi cimiteri, che seguivano i costumi funebri dell’Europa settentrionale,
dimostrano che i groenlandesi, lungi dall’essere isolati come si credeva un
tempo, seguirono i cambiamenti degli usi funebri medioevali, per esempio
riguardo alla posizione delle braccia del defunto ed anche, più mondanamente,
quelli della moda del vestiario. Gli abiti maschili e femminili nel cimitero di
Herjolfsness nella Colonia Orientale datano il loro stile tra il 1440 ed il 1480
e sono copie cucite localmente di abiti alla moda in Europa, non solo gli abiti
da lavoro, ma anche un cappello di mercante, forse un inglese di Bristol, ed un
abito da donna, forse indossato da sua moglie (Maton 2000). I cimiteri sfatano
anche un'altra comune convinzione che i norvegesi alla fine della colonia
avessero subito una degenerazione fisica vistosa, causata dalle cattive
condizioni di vita che li avrebbe infine spinti ad abbandonare la Groenlandia o,
secondo le ipotesi più tetre, finendo di stenti. Non vi è dubbio che alcune,
forse parecchie, fattorie ad affrontare tempi magri: gli scavi a Farm Beneath
the Sand, con tutti gli oggetti sacri e profani, e soprattutto il prezioso legno
delle strutture abitative lasciato a marcire, ci dicono che i suoi abitanti
furono costretti ad abbandonarla senza poter portar via importanti
equipaggiamenti e suppellettili (McGovern 2000). Molti scheletri nei cimiteri
mostrano segni di modificazioni dentarie dovuti al cambiamento di dieta,
divenuta via via più simile a quella marina degli inuit, con alimenti più rozzi
e meno facilmente masticabili di quelli dei contemporanei islandesi e norvegesi.
Non tutti però se la passavano male: un vescovo chiaramente mangiava molta più
carne di manzo e formaggio della maggior parte del suo gregge (McGovern 2000).
D’altro canto i corpi mostrano che i norvegesi dell’Età Vichinga, immaginati
come grandi e grossi, in realtà erano molto più piccoli dei loro discendenti
medievali (Bemike 1985; Lynnerup 2000). Una tomba comune con 13 adulti ed un
bambino di nove anni, i probabili perdenti di una faida tra clan, la lama di
coltello tra le costole di un uomo ed i segni lasciati da un tentativo di
strangolamento su di una donna, sono muti testimoni, invece, di drammi
dimenticati a l’alto numero di donne giovani, probabilmente morte per infezione
post partum, ci ricordano come la vita un tempo fosse assai precaria anche in
Europa. Vi sono molte ipotesi sulla consistenza numerica della popolazione e le
stime vanno dai 3000 abitanti (Gad 1984) ai 6000 (McGovern 1979), dato che non
tutte le fattorie erano occupate nello stesso momento e tenuto conto delle
variazioni tra gli immigrati ed emigrati in un arco di circa 500 anni di
occupazione. Lynnerup (2000) crede che, considerato il peggioramento generale
delle condizioni in Europa, per via di cambiamenti climatici, pestilenze e
spostamenti di flussi commerciali, un rivolo continuo, ma limitato di emigranti
sia partito dalla Groenlandia e si sia sistemato in Islanda senza dare
nell’occhio. I groenlandesi non erano una società isolata, sostiene lo studioso,
e probabilmente si consideravano parte di un territorio abitabile, che si
estendeva dalle isole Shetland, a nord della Scozia, al Labrador. E’ molto
moderno pensare alla Groenlandia come un entità distinta: i vichinghi non erano
neppure consapevoli di aver scoperto un nuovo continente a Vinland. Così,
conclude, “Forse i norvegesi non rinunciarono alla Groenlandia – rinunciarono
bensì a dei territori, terra e fiordi che divennero sempre più sconvenienti per
i loro modi di vivere e tornarono su spiagge con migliori auspici quando sorsero
nuove opportunità” (Lynnerup 2000:294). La società groenlandese, come quella
islandese, non era ancora stata unificata completamente sotto la corona: i capi
delle grandi proprietà terriere, con le terre e gli accessi portuali migliori
erano potenti per via dei molti uomini che comandavano tramite i vincoli
clanici, mentre i proprietari più deboli si dovevano accontentare delle terre
peggiori. Le persone si dividevano in due categorie: liberi e schiavi. Ogni
estate i liberi si riunivano per dirimere le dispute legali nell’assemblea
tipica dei popoli germanici, qui chiamata Thing o Althing. Nel 1261 l’Althing
groenlandese decise di pagare le tasse alla Corona norvegese; di conseguenza,
quando la Danimarca e Norvegia (sotto i danesi dal XIV secolo insieme alla
Groenlandia) si separarono nel 1814, la Groenlandia restò parte della Danimarca.
Le saghe accennano alla natura decentrata del commercio: i mercanti stranieri
attraccavano le navi vicino alle grandi fattorie e commerciavano direttamente
con il padrone di casa, che spesso li ospitava e li proteggeva, e controllava
così il commercio locale tramite la proprietà delle barche da caccia agli
animali marini e le tasse sulle merci importate. Gli islandesi, tra il XII e il
XIII secolo, persero il monopolio del commercio groenlandese a favore dei
norvegesi, a causa dei fenomeni di centralizzazione, monopolio e
specializzazione del commercio nel nord Europa. Anche i grandi padroni terrieri
groenlandesi vennero rimpiazzati commercialmente dai mercanti professionisti,
indipendenti o finanziati dall’aristocrazia terriera, la corona o le potenti
istituzioni ecclesiastiche. Nel corso del XIV secolo, però, i mercanti tedeschi
della Lega Anseatica presero in mano il commercio internazionale nordico, mentre
al termine del XIII secolo la fine delle Crociate apriva il mercato all’avorio
africano e asiatico. Era un duro colpo per i groenlandesi, mentre gli oggetti
eburnei, dal canto loro passavano di moda nei centri principeschi ed
ecclesiastici. In Groenlandia i vescovi provenivano tutti da fuori e l’ultimo
residente morì nel 1378. L’organizzazione della Chiesa groenlandese fu un
elemento chiave della società locale: la lotta di potere tra l’aristocrazia
terriera ed i preti per il controllo delle cappelle di casata, con gli annessi
privilegi di dire la messa, possedere un cimitero e riscuotere il pagamento
delle decime, si concluse, secondo certi autori con il trasferimento di molte
proprietà all’amministrazione ecclesiastica. Perciò gli aristocratici laici
vennero fortemente indeboliti, come era avvenuto in Islanda, mentre i legami
culturali e commerciali con la Scandinavia si sfilacciavano sempre di più.
“Spiegare la totale estinzione di una popolazione poco numerosa, ma coriacea,
che era sopravvissuta per 500 anni nella sua patria artica è un complesso
problema di ecologia storica”, dichiara Thomas H. McGovern. Quando il
missionario luterano Hans Egede si recò in Groenlandia nel 1721, per convertire
i sopravvissuti norvegesi dall’”idolatria papista”, non trovò nessuno e si
dovette accontentare degli eschimesi. In realtà l’Europa aveva perso da tempo i
contatti: le ultime notizie riguardavano la morte dell’ultimo vescovo residente,
Ulf, nel 1378, un matrimonio nel 1408 ed un documento del 1448 in cui papa
Nicolò V affermava che i norvegesi erano stati aggrediti e distrutti dagli
eschimesi thule, oggi noti come inuit Lo stesso Egede raccolse leggende che
parlavano di lotte tra inuit e norvegesi come spiegazione della loro scomparsa.
Le molte teorie sulla scomparsa dei groenlandesi norreni si possono raggruppare
in tre gruppi: il primo si basa sul notevole raffreddamento climatico iniziato
verso il 1200, che viene combinato con il declino commerciale della Groenlandia
fino all’interruzione totale dei contatti. A questo punto la caccia e la pesca
non sarebbero più bastati alla sopravvivenza, peggiorata dal crollo
dell’economia agricola locale. Pestilenze potrebbero essere giunte con qualche
nave, aggiungendosi alle malattie di una popolazione affamata. A peggiorare le
cose, razzie di pirati e di inuit, di cui parlano certe leggende, avrebbero dato
il colpo di grazia. La seconda teoria, destinata ad avere grande fortuna tra i
fautori scandinavi – americani dei viaggi vichinghi in tutto il Nord America,
prevede un possibile spostamento della colonia groenlandese verso zone più calde
del Nord America, il,che spiegherebbe sia la scomparsa di notizie dovuta alla
dispersione sul territorio americano che l’abbandono dei siti. Infine, una
teoria recepisce la possibilità di mescolanza razziale tra inuit e norvegesi di
Groenlandia, cui per altro fa cenno una leggenda, causata o dalla
schiavizzazione degli ultimi coloni oppure dal loro pacifico assorbimento ed
acculturizzazione. Nessuna di queste teorie, isolate o insieme, si è dimostrata
convincente, né è supportata da prove multidisciplinari definitive. La fine
della Colonia Occidentale è posta da molti intorno al 1355, e tutti convengono
che per il 1400 era stata del tutto abbandonata. Quanto alla Colonia Orientale
la sua fine è posta tra il 1450 ed il 1490 (Maton); il 23 ottobre 1492, undici
giorni dopo la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo per la
corona di Spagna, un documento papale nominava un nuovo vescovo per la sede di
Gardar, pur affermando che nessuna nave era giunta da colà da 80 anni e che i
suoi abitanti avevano rinnegato la fede cristiana. Secondo J. L. Maton, durante
il XV secolo la Colonia Orientale continuò ad intrattenere rapporti almeno con
l’Inghilterra, come testimoniano alcuni reperti archeologici, come oggetti
domestici, abiti e la costruzione di tre nuove grandi sale adibite alle feste
che indicano evidentemente una buona attività sociale e la presenza di mercanti
inglesi che giungevano a comprare il merluzzo, un genere molto importante
nell’Europa medievale per ragioni religiose, ed altre merci. Non vi è dubbio che
la piccola glaciazione si unì a gravi problemi di gestione del territorio
causati dal sistema di allevamento norvegese che portò all’eccessivo consumo dei
pascoli e all’erosione del terreno. Ancora oggi i groenlandesi, pur dopo la
ricostruzione del paesaggio, devono fare attenzione al problema della fragilità
ecologica. Anche se il freddo fu la causa immediata del ritiro dei norvegesi,
gli inuit, qui nuovi arrivati, fiorirono; i motivi a lungo termine del crollo
della cultura groenlandese di origine europea sono perciò più complessi e
superano anche la crisi del commercio. Anche se al ceto aristocratico ed ai
preti potevano mancare i beni di lusso, simbolo di status, i groenlandesi
avevano un economia autosufficiente. Tuttavia, “l’ecologia combinata con la
politica produsse una distanza sempre maggiore tra i proprietari terrieri di
alto e basso rango della Groenlandia norvegese”. Secondo questo autore
(McGovern), mentre gli inuit cacciatori potevano spostare i loro villaggi lungo
la costa a seconda del cambiamento climatico seguendo gli animali, i norvegesi
erano legati alle sacche di pascoli nelle aree più riparate ed erano molto meno
flessibili economicamente a causa della rigidità sociale. Col senno di poi del
XXI secolo potremmo dire che avrebbero fatto meglio a ridurre i loro
investimenti in elaborate chiese di pietra e ad aumentare gli sforzi per
prendere in prestito tecnologia artica criticamente importata dagli inuit… Il
punto di vista eurocentrico valutava il bestiame più delle foche e permetteva ai
signorotti ricchi di bovini e ovini di mettere a tacere i piccoli proprietari
dipendenti dalle foche su scelte vitali per la sussistenza e l’insediamento”
(McGovern 2000). Secondo questo autore, anche l’enorme potere dei vescovi, tutti
venuti da fuori, da aree con clima diverso, pesò sulle decisioni sbagliate, che
si concretizzarono in grosse mandrie e grandi costruzioni e costituirono una
barriera ideologica contro l’adozione di massa delle idee culturali inuit.
Secondo Maton, invece, lo strapotere dei vescovi e della corona, che obbligava a
pagare tasse cui non poterono alla lunga far fronte, è stato ampiamente
sopravvalutato, dato che non ci sono prove che questi ultimi non riconoscessero
altro che una lealtà virtuale, come avveniva anche in Islanda, e ricorressero ad
un fiorente, quanto indisturbato contrabbando. Secondo questo studioso quello
che provocò la chiusura definitiva della Colonia Orientale, che avvenne in
maniera ordinata e pianificata, come quella precedente della Colonia
Occidentale, fu la scoperta delle rotte per i Grandi Banchi di merluzzo di
Terranova da parte degli inglesi intorno al 1480, che by-passarono così i
groenlandesi e smisero di fornirsi da loro. Comunque sia, legati ad una società
marginale e perciò conservatrice, quando le sfide richiesero un cambiamento
radicale, i discendenti dei vichinghi non seppero o vollero farlo e scelsero di
evitare l’innovazione, probabilmente perché avevano l’alternativa di emigrare da
dove erano venuti i loro antenati 500 anni prima. I vassalli medioevali facevano
voto di fedeltà “fino a che morte mi prenda o che il mondo finisca”. Secondo
molti studiosi “questa piccola società medioevale restò fedele alle sue radici
fino alla fine del suo mondo” (McGovern 2000:339). Qualcuno però non partì,
troppo vecchio o troppo povero per possedere una barca: la ciurma di una nave
tedesca spinta fuori rotta negli anni 1540 giunse alla Colonia Orientale avvolta
nel freddo e nel silenzio. Su un isoletta, probabilmente l’isola Reindeer vicino
al fiordo di Brattalhild, dove Erik il Rosso aveva fondato la sua fattoria,
trovarono il corpo di un uomo che indossava un giubbetto di lana e pantaloni di
pelliccia di foca: l’ultimo vichingo era morto da solo. LA COLONIA DELLA
NUOVA SVEZIA, NYA SVERIGE Sei secoli dopo l’abbandono di Vinland, degli altri
scandinavi mettono di nuovo piede in Nord America per fondarvi delle nuove
colonie. Nella prima metà del XVII secolo la Svezia era uno dei maggiori
stati europei: non solo comprendeva l’attuale stato svedese ma, facevano parte
del Regno di Svezia anche la Finlandia, l’Estonia, la Livonia, la Camelia, la
Pomerania Occidentale, l’Ingermanland ed i vescovati di Verden e Brema. Il mar
Baltico poteva essere considerato quasi un lago svedese. Nel 1624, il re di
Svezia Gustavo Adolfo, incoraggiato da Willem Usselinx, che era stato uno dei
fondatori della Compagnia delle Indie Occidentali (West Indiche Compagnie, WIC)
olandesi, tentò di formare una compagnia svedese per il Nord America. Ciò fu
fatto con il fine di far prendere parte anche alla Svezia allo sviluppo ed allo
sfruttamento delle risorse presenti nelle nuove terre americane ancora
inesplorate dagli europei; questi prematuri preparativi vennero però interrotti
dalla Guerra dei Trenta Anni. Più tardi, nel 1632, il cancelliere svedese
Oxenstierna, nel tentativo di sviluppare il commercio marittimo svedese,
contattò un importante mercante olandese, Samuel Blommaert, che era stato anche
direttore della WIC, e progettare la costruzione di una compagnia commerciale
simile a quelle fondate trent’anni prima dagli olandesi. Nello stesso anno il
precedente governatore dei possedimenti olandesi in Nord America, Peter Minuti,
offrì i suoi servigi al re di Svezia ed il vecchio progetto di una colonia
svedese in Nord America riprese vigore. Fu quindi fondata una compagnia svedese
per la colonizzazione ed il commercio con l’America con sede a Stoccolma e con
capitale misto svedese – olandese. Negli anni successivi, vennero approntati i
preparativi per la prima spedizione che fu posta sotto il comando di Peter
Minuti e, fu deciso di inviare due imbarcazioni, la Kalmar Nickel ed il Gripen o
Grip, che partirono dal porto di Goteborg all’inizio del novembre 1637. Poco
dopo la partenza, le due navi furono costrette ad una sosta forzata nel porto di
Texel in Olanda per riparare i danni subiti durante una tempesta nel Mare del
Nord; la spedizione svedese potè ripartire, quindi, solo il 31 dicembre 1637
verso l’America. La rotta seguita dalla spedizione non è conosciuta, comunque,
agli inizi del marzo 1638, le due navi, con a bordo coloni valloni e fiamminghi
e soldati svedesi, arrivarono sulle coste americane all’altezza dell’attuale
stato del Delaware. Le imbarcazioni risalirono il fiume Delaware allora chiamato
Zuydt Revier (Fiume del Sud) dagli olandesi e sostarono alla confluenza di un
piccolo fiume, sulla sponda occidentale del fiume Delaware, il Minquas Kill.
Qui, Peter Minuti acquistò dagli indiani Senape una striscia di terra lunga
oltre 100 chilometri, dove gli svedesi edificarono il loro primo forte che
chiamarono Fort Christina in onore della futura regina di Svezia; a guarnigione
del forte vennero posti 24 soldati comandati da Maens Kling. Venne così fondato
il primo insediamento della colonia di Nya Sverige (Nuova Svezia). Gli olandesi
che avevano costruito pochi anni prima un forte (Fort Nassau) lungo lo stesso
fiume, ma più a nord, e che consideravano il territorio dove si erano stabiliti
gli svedesi come facente parte della loro colonia di Nieuw Nederland (Nuova
Olanda), appena vennero a conoscenza dell’esistenza dell’insediamento svedese,
fecero vibranti proteste e chiesero l’immediata evacuazione del forte svedese,
senza però ottenere alcun risultato. Il primo insediamento svedese in Nord
America, Fort Christina, era un forte di legno di forma quadrata con quattro
bastioni ad angolo acuto sui lati, su tre dei quali erano montati dei cannoni.
Il forte era situato su di una collinetta rocciosa circondata su tre lati da una
zona resa paludosa a causa delle maree, il luogo era era stato scelto anche per
la facilità di ancoraggio. Due erano gli accessi al forte, il principale era
quello che guardava verso il fiume e verso l’ancoraggio, l’altro accesso era
situato sul lato a nordest dove un piccolo sentiero conduceva verso la foresta.
Gli svedesi all’interno del forte costruirono una baracca per i soldati della
guarnigione ed un magazzino. Da questa base iniziarono ad acquistare pelli di
orso, castoro, e lontra dagli indiani. Queste pelli rivendute in Europa avevano
un altissimo valore commerciale. Nel 1640 un nuovo governatore, Peter Hollander
Ridder, arrivò a Fort Christina portando con sé rifornimenti per la colonia ed
un buon numero di coloni svedesi. Nello stesso anno venne acquistato un nuovo
tratto di terra dagli indiani che estese i possedimenti svedesi a sud, lungo il
lato occidentale del fiume Delaware, fino al Capo Hinlopen. Tra il 1638 ed il
1656, gli svedesi inviarono dodici spedizioni verso la colonia. Nell’autunno del
1640 alcuni coloni olandesi si stabilirono nei pressi di Fort Christina e nel
1641 arrivò un'altra spedizione dalla Svezia composta da due navi con a bordo
coloni finlandesi. Sempre nel 1641, vennero acquistati nuovi territori questa
volta lungo il lato orientale del fiume Delaware da Raccoon Creek fino a Capo
May. Nel 1641 i soci olandesi della compagnia svedese furono costretti a vendere
la loro parte alla corona svedese. Nel frattempo venne istituita una nuova
compagnia, chiamata Compagnia della Nuova Svezia. Durante i primi anni di
formazione della colonia, la maggior parte dei coloni era di origine olandese,
in seguito, con l’abbandono dei soci olandesi della compagnia, la maggior parte
dei coloni inviati divenne svedese o finlandese. Nel 1642 fu inaugurato il primo
mulino a vento a Fort Christina. Nel febbraio 1643, un nuovo governatore, John
Printz, arrivò nella colonia. Questi dette nuovo impulso allo sviluppo della
Nuova Svezia e, per controllare meglio il territorio nominalmente svedese,
iniziò la costruzione di diversi fortini, tra i quali uno sull’isola di Tinicum,
chiamato Fort Nya Goteborg, dove decise di trasferire la sede del governo della
colonia (che fino ad allora era rimasta a Fort Christina). Nel nuovo
insediamento fu anche costruita la residenza del governatore, chiamata
Printzhoff, dei magazzini ed una chiesa luterana (che venne consacrata il 4
settembre 1646). Un altro forte, chiamato Fort Nya Elfsborg, venne costruito sul
lato orientale del fiume Delaware, vicino alla confluenza con il Varkens Kill;
questo forte era composto da tre bastioni che dominavano il fiume ed era dal
punto di vista militare il più importante di tutti, perché dalla sua posizione
si poteva dominare il traffico navale sul fiume. La sua guarnigione era composta
da 13 soldati. Un piccolo insediamento venne poi fondato tra l’isola di Tinicum
e Fort Christina in una località chiamata Upland. Un piccolo forte, chiamato
dagli svedesi Fort Nya Vasa, fu costruito su di un torrente vicino allo
Schylkill. Ed infine, un altro, Fot Nya Korsholm, fu costruito su di un isola ad
ovest della foce dello Schuylkill (nelle vicinanze dell’attuale Philadelphia).
La colonia svedese a quel tempo contava una popolazione di circa 200 abitanti.
Oltre al commercio di pelli con gli indiani, furono sviluppate dai coloni
diverse altre attività, vennero avviate alcune piantagioni di tabacco,
coltivazioni di grano, orzo e segale, venne inoltre tentato l’allevamento del
bestiame. Erano infine presenti nella colonia alcuni carpentieri, fabbri ed
artigiani vari, presero avvio piccole botteghe ed attività artigianali. Lo
sviluppo degli insediamenti svedesi era stato, fin dall’inizio, visto con grande
preoccupazione da parte degli olandesi che, per arginare i rivali, nel 1648
costruirono sulla riva orientale dello Schuylkill un insediamento fortificato
chiamato Fort Beversreede. Non contenti di ciò, nel 1651, gli olandesi comandati
da Peter Stuyvesant alla testa di 100 uomini, smantellarono i loro vecchi
insediamenti di Fort Nassau e Fort Beversreede e costruirono un nuovo forte,
Fort Casimir, sulla riva occidentale del fiume Delaware (vicino all’odierna
Newcastle, Delaware) non lontano dallo svedese Fort Christina. Alla fine del
1653, il governatore svedese Printz, preoccupato per la condotta aggressiva
degli olandesi, lasciò la colonia per cercare aiuto in Svezia. Nel frattempo, il
2 febbraio 1654, una nuova spedizione di 350 coloni sotto il comando del nuovo
governatore Johan Rising, era partita dalla Svezia verso la colonia. Questa
spedizione ancorò il 20 maggio 1654 vicino al forte Nya Elfsborg che venne
trovato abbandonato ed in rovina. Il giorno seguente, 21 maggio 1654, quando gli
svedesi giunsero in vista dell’olandese Fort Casimir, i pochi soldati olandesi a
guarnigione del forte si arresero e questo venne occupato dagli svedesi e
rinominato Fort Trefaldighet (Trinità); con questa operazione le terre situate
su entrambe le rive del fiume Delaware passarono in mano svedese e gli olandesi
furono completamente estromessi. Erano adesso presenti nell’intera colonia circa
500 persone, tra soldati e coloni. La risposta olandese non tardò ad arrivare:
nel 1655 una spedizione composta da oltre 300 soldati olandesi e guidata ancora
una volta da Peter Stuyvesant attaccò i possedimenti svedesi, che caddero, dopo
aver offerto una debolissima resistenza protrattasi per un paio di settimane, il
15 settembre 1655. Fu così che l’intera colonia svedese passò nelle mani della
Compagnia delle Indie Occidentali Olandesi (WIC). Dopo la conquista olandese gli
insediamenti vennero ceduti alla città di Amsterdam e Fort Christina venne
rinominato Fort Altena. Circa 200 / 300 coloni nordici (svedesi e finlandesi),
comunque, rimasero sotto l’amministrazione olandese ed ancora oggi molte
famiglie della zona possono reclamare discendenti di quel primitivo tentativo di
colonizzazione svedese. I NUOVI VICHINGHI Oltre alla scienza ufficiale
esiste una rete di entusiasti che ha creato una storia antica parallela, che
rappresenta un esempio notevole di creatività identitaria etnica scandinava
americana. “Ero un antico! Le mie gesta, benché molteplici, niuno scaldo in
canzone ha cantato, niuna saga le insegnò!”, Così Henry W. Longfellow
scriveva nel suo “Lo scheletro in armatura”, 1841, sull’onda della sensazione
creata dalla “scoperta” di u guerriero vichingo sepolto con l’armatura presso
Fall River e pubblicizzata dallo studioso danese Carl Christian Rafn (1975 –
1864) nella versione inglese delle sue Antiquitates Americanae del 1837, in cui
traduceva parti delle saghe di Vinland e le descrizioni di possibili siti e
ritrovamenti vichinghi in Nuova Inghilterra. Da almeno due secoli esiste una
specie di guerra tra gli studiosi e gli storici e gli archeologi dilettanti, che
rischia di oscurare qualche vera scoperta, come quella di L’Anse aux Meadows.
Gli studiosi professionisti, infatti, hanno continuamente smentito la veridicità
di queste scoperte e “studi”, tutti risalenti al XIX secolo ed inizio del XX
secolo, quando l’archeologia era appena nata e migliaia di immigrati scandinavi
si apprestavano a diventare cittadini americani. La frustrazione creata da un
mancato riconoscimento del passato vichingo dell’America ha favorito il fiorire
di una parallela “archeologia fantastica”, secondo la definizione di Williams
nel 1991, e Gilmore – McElroy nel 1998. Questo tipo di archeologia continua ad
ispirare il dibattito e la rivalità con gli italiani, anche se di recente si
sono fatti avanti altri aspiranti colonizzatori precolombiani, come gli
“egiziani” ed i “mori” degli afrocentristi (HAKO 21), i cinesi ecc. Sul sito web
dei Minnesota Vikings, per esempio è dato per scontato che i vichinghi avessero
colonizzato il Minnesota, uno stato del Midwest dove gli immigrati scandinavi
sono molto numerosi. Questa squadra della National Football League, nata nel
1961 ha come logo un guerriero vichingo dai lunghi capelli biondi e la mascella
quadrata, baffi a manubrio ed elmo cornuto. La mascotte sui campi di calcio è
rappresentata da un pezzo d’uomo vestito di pelliccia di cuoio, con
l’immancabile elmo “vichingo” con le corna bovine ed armato con l’ascia da
battaglia. Il sito ufficiale spiega che il nome della squadra deriva dagli
antichi norreni (Norsemen), i guerrieri che colonizzarono il Minnesota. E’
curioso che nella realtà non esista alcun esempio di elmo cornuto, o anche senza
corna, proveniente dai siti dell’Età Vichinga. Sembra che questo copricapo,
inseparabile dall’icona del guerriero nordico, che ha avuto tanta fortuna
nell’immaginario popolare, abbia avuto origine dal pasticcio che fecero tra i
vichinghi e celti gli antiquari del XIX secolo ed i costumisti delle opere di
Wagner sugli eroi germani, che peraltro mostrano anche elmi alati, come nel noto
fumetto Thor (Orrling 2000).
Il pirata supervirile è diventato l’icona
aggressiva di una squadra sportiva ed anche, più tetramente, di certe frange
“ariane” americane, ispirate ai simboli del nazionalismo scandinavo e più in
generale germanico che sono stati sfruttati anche nel nazismo. Anche se il
pirata biondo stupratore di monache ed indifesi villaggi è certo una delle
immagini più care agli scandinavi americani, esiste un altro logo, virile ed
aggressivo ma meno compromesso con il lato oscuro dell’Europa e più adatto allo
spirito americano della frontiera, della saga del commercio e delle
esplorazioni: la lunga nave guidata da Leif il Fortunato ed altri eroi maschi e
solitari come lui. L’inizio della creazione dell’immagine vichinga nasce con il
nuovo apprezzamento operato dalla Riforma protestante del passato nordico, in
alternativa al modello greco romano e cattolico. Furono rilette le opere di
scrittori medioevali del XIII secolo come il danese Saxo Grammaticus e
l’islandese Snorri Sturlson e di scrittori rinascimentali del XVI e XVIII secolo
la pubblicazione a stampa diffuse non solo in scandinavia, ma anche in Europa,
queste opere ed altre, come le traduzione latina, francese, inglese e tedesca
dell’Edda. Lo scopo era innalzare la considerazione della Scandinavia in Europa,
dove però questo passato si combina con la letteratura celtica: l’amore
antiquario crea uno stile composito, ben rappresentato dal “meandro dragonesco”
che appare ovunque, dalle tazzine da tè ai tessuti, nelle case della borghesia
romantica e nazionalista. All’inizio de XIX secolo, mentre i contadini inurbati
formano nuovi ceti sociali, aiutati anche dal sorgere dell’archeologia nordica,
gli scandinavi cominciano a dividersi ed a identificarsi secondo nuove identità:
svedesi, norvegesi, danesi, islandesi, finlandesi. Tra il 1850 ed il 1875
soltando emigrarono dalla Svezia, Norvegia e Danimarca negli USA circa 370.000
persone; l’emigrazione finlandese, un po’ più tardi, fu altrettanto imponente ed
oggi esistono tanti islandesi negli USA quanti in Islanda. I loro eredi abitano
cittadine come New Sweden, Maine, Moorhead, Minneosta e Walhalla, North Dakota e
scolpiscono nel legno a grandezza naturale repliche di chiese lignee come la
copia della Hopperstad Stave Church di Vik, Norvegia, dell’XI secolo, appena
dopo l’Età Vichinga, regalata all’Hjemkomst Center di Moorhead, Minnesota, nel
1998 o quella di Gol, Norvegia allo Scandinavian Heritage Park di Minot, North
Dakota, dal 1999. “Questi immigrati portavano con sé un orgoglio nazionalista in
un passato nordico. Negli Stati Uniti, quel passato è il perno centrale della
loro eticità nordica; bianchi e protestanti come la cultura anglosassone
dominante, gli scandinavi americani confidano nelle loro tradizioni culturali e
nel passato vichingo come mezzo per autodefinirsi” (Ward 2000:366). Un impulso
identitario simile spiega come un mulino coloniale ed un indiano narragansett
diventarono vichinghi improbabili. Antiquari locali e storici dilettanti della
Nuova Inghilterra, non contenti che i Padri Pellegrini fossero sbarcati a
Plymouth “soltando” nel 1620, e disturbati dal fatto che Cristoforo Colombo
fosse un mediterraneo cattolico, cercarono radici più antiche per la Nuova
Inghilterra e le descrizioni delle saghe sono abbastanza vaghe da permettere
voli di fantasia. Così il danese Rafn identificò la Torre di Newport, un mulino
fatto costruire nel 1677 dal governatore del Rhode Island, come prova che i
vichinghi avevano colonizzato la Baia di Narragansett. Il “guerriero in
armatura” di Fall River, che tanto aveva impressionato il poeta Longfellow, si
rivelò essere un indiano narragansett sepolto alla fine del XVI o all’inizio o
all’inizio del XVII secolo con il suo tesoro di pezzi di rame, una merce
pregiata tra i nativi, ricavati da pentole europee, che sarebbero le placche
della supposta corazza! Da quel momento in poi le “scoperte” sono avvenute a
ritmo continuo, con due epicentri: La Nuova Inghilterra ed il Minnesota. “Le
testimonianze della Nuova Inghilterra sono generalmente associate ai viaggi a
Vinland dell’XI secolo, mentre quelle del Midwest sono collegate con una
supposta spedizione norvegese del 1354 verso la Groenlandia. Le rivendicazioni
della Nuova Inghilterra e delle Province Marittime canadesi sono state associate
a letterati, storici dilettanti e società antiquarie; quelle del Midwest sono
cominciate con la comunità immigrata svedese” (Fallace – Fitzhugh 2000:378).
Alcune “scoperte” come le iscrizioni di Dighton, Massachusetts o quelle di
Martha’s Vineyard, erano in realtà opera di indiani algonchini locali, altre
erano semplici frodi, come le pietre scolpite di Spirit Pond, Maine, o i tre
martelli di Thor del Connecticut, copiati da una foto di National Geographic
priva di scala del 1971, altre fanno parte della ricerca di città mitiche, in
questo caso Norumbega. Anche il noto scrittore di fantascienza di origine
danese, Frederick J. Pohl, ha pensato di aver scoperto il luogo dove ebbe luogo
l’ultima spedizione a Vinland della Saga dei Groenlandesi, quella dei fratelli
Helgi e Finnbogi e della terribile Freydis, a Follins Pond, cape Cod,
Massachusetts. In realtà si trattava di un sito del XVIII secolo usato dai
pescatori locali. Anche uno storico dilettante ed ex rappresentante al Congresso
statale del Massachusetts, l’irlandese americano Robert Ellis Cahill nel suo
“Viking and Indian Wars” identifica Cape Cod con Vinland ed approfitta per
reinventare a modo suo la saga descrivendo come i due schiavi gaelici di Leif
capissero benissimo la lingua parlata da due ragazzi indigeni presi prigionieri:
“Questi non erano indiani, ma bianchi che parlavano gaelico e furono capiti da
Haki e Haekia…Poi essi rivelarono che erano – governati da due re, Avaladamon e
Valdidia, che vestivano abitri bianchi -. Questa descrizione si adatta ai primi
monaci irlandesi Culdee che, quando furono costretti a lasciare l’Islanda,
possono essere andati in Nova Scotia” (Cahill n.d.:8). In questo modo riesce
destramente a mostrare come gli irlandesi in realtà fossero giunti in America
prima dei Vichinghi! Forse il reperto più famoso dell’archeologia fantastica
vichingo americana è la Pietra di Kensington, una località presso Alexandria,
Minnesota, connessa con la spedizione già citata del 1354 e nata probabilmente
nel clima influenzato dal fascino nazionalista per il passato scandinavo,
rappresentato da libri popolarissimi come “America Non Scoperta da Colombo”
(1874) di Rasmus B. Anderson, professore di lingue scandinave all’Università del
Wisconsin. Mentre le saghe di Vinland, sia in norvegese che in inglese,
trovavano ampio spazio nei giornali scandinavo americani, nel 1879 un immigrato
svedese Olof Ohman, giungeva in Minnesota e nel 1891 comprava una fattoria a
Kensington. Intanto, nel 1893 l’interesse per i vichinghi riceveva risonanza
nazionale con l’arrivo della Viking di Magnus Anderson, una copia della nave di
Gokstad, che aveva attraversato l’Atlantico, provando per la prima volta che i
viaggi dei vichinghi erano tecnicamente possibili. Costruita in Norvegia, la
Viking entrò nel Porto di New York ed andò poi, passando per i Grandi Laghi,
all’Esposizione Colombiana Mondiale di Chicago dell’estate del 1893, in
occasione del quattrocentenario della scoperta di Cristoforo Colombo, come
polemico contributo nel padiglione della Norvegia. Da allora parecchie altre
repliche hanno solcato l’Atlantico, compresa la Saga Siglar, altro polemico
viaggio per l’anniversario del quinto secolo dalla scoperta di Colombo del 1992,
mentre un intera flotta vichinga è giunta in America da tutta la Scandinavia
come parte del Millennio Vichingo del 2000. Tornando a Olof Ohman, l’idea che i
vichinghi si fossero stabiliti molto a sud, nel Canada meridionale e negli USA
orientali e che ci fossero stati viaggi successivi a quelli di Leif Eiriksson e
Thorfin Karlsefni, era perfettamente sensata per gli immigrati scandinavi del
XIX secolo. Così, mentre cercava di estirpare un albero dal suo campo, Olof
scoprì una pietra tabulare insolita, ricoperta di rune, che creò sensazione nei
giornali locali ed anche in due quotidiani di Chicago. Ispezionata da alcuni
specialisti, il testo runico venne dichiarato moderno ed Ohman accettò il
verdetto senza protestare. A questo punto entrò in gioco un giovane storico
dilettante di origine norvegese, Hjalman Holand, che prese la pietra e fece una
vigorosa campagna presso la Minnesota Historical Society, lo Smithsonian
Institution, per non parlare dei giornali, promovendo conferenze e pubblicando
libri e, infine, riuscendo a vendere la pietra alla Camera di Commercio di
Alexandria ed a tenersi i soldi. Lo Smithsonian, anche se gli studiosi
dichiararono senza appello che la pietra era un falso, la espose per un certo
periodo come pezzo di interesse culturale e non fu subito categorico
nell’affermare la sua non autenticità, forse per ragioni politiche. Quel che è
chiaro in tutta la storia è che la pietra fu materialmente scolpita da Ohman con
due amici: egli conosceva le rune, un fatto non insolito nella campagna
scandinava del XIX secolo e quelle della pietra appartengono alla varietà usata
in Dalecarlia, la provincia della madre di Ohman. Secondo uno dei tre burloni,
Jonas P., Gran (l’altro era un ex pastore luterano, Sven Fogelblad),
l’iscrizione fu ispirata da un articolo di giornale, scoperto poi tra le carte
di Ohman, a proposito di una pietra antica trovata tra le radici di un albero in
Svezia. I tre amici si divertirono molto per il successo della loro burla e la
cosa sarebbe finita lì se non fosse intervenuto Holand, che possiamo considerare
il padre spirituale della Pietra di Kensington e quello che ci guadagnò sopra.
Oggi la pietra è conservata insieme ad altri reperti vichinghi come amboni di
scudo, alabarde, spade, pietre d’attracco ed acciarini, nel museo adiacente alla
Camera di Commercio di Alexandria, Minnesota, curato dall’amore fervidamente
credente degli eredi degli scandinavi immigrati. Di fronte al museo si erge
l’immensa e coloratissima statua di un vichingo con l’immancabile elmo alato e
lo scudo che recita:”Alexandria, luogo di nascita dell’America”. La scritta
runica della pietra afferma:”Otto goti (svedesi) e ventidue norvegesi in
esplorazione da Vinland verso ovest. Ci siamo accampati presso due ripari di
roccia una giornata a nord da questa pietra. Stavamo pescando un giorno. Dopo
che siamo tornati al campo abbiamo trovato dieci uomini rossi di sangue e morti.
Ave Maria salvaci dal male”, e sul lato:”Ho dieci uomini per mare a badare alle
nostre navi, dieci più quattro giorni da questa ricchezza. Anno di Cristo 1362”.
Secondo i sostenitori dell’archeologia fantastica, di cui la Pietra di
Kensington è un caposaldo, la supposta spedizione norvegese di Paul Knutson
verso la Groenlandia continuò fino al Rhode Island, per cercare i norvegesi
perduti e riconvertirli al cristianesimo. Di qui risalì nella Baia di Hudson, su
per il fiume Nelson fino al lago Winnipeg e giù seguendo il Fiume Rosso fino al
Minnesota, dove un attacco degli indiani o una malattia uccise dieci uomini. La
debolezza intrinseca di questa tesi è che non ci sono ritrovamenti dal Labrador
fino al Minnesota, da un lato (mentre nei siti archeologici autentici canadesi
ve ne sono molti), che questi reperti provengono da zone lontane dal mare e che
sono state ritrovate troppe armi e nessun oggetto civile o personale, a parte
gli acciarini, che farebbero pensare ad un grosso esercito. Se consideriamo che
la spedizione spagnola di De Soto del 1541, che aveva con sé centinaia di uomini
armati, frati, servi, donne, animali da soma, cavalli da guerra, bestiame e
carriaggi di rifornimenti, ha girato gran parte degli Stati Uniti meridionali e
ci ha trasmesso una cronaca scritta, non ha lasciato dietro di se che deboli
tracce archeologiche, è ben strano che un pugno di scandinavi abbia lasciato
tante tracce, anche in luoghi improbabili come l’Oklahoma, privi, a quanto pare,
di scopi utilitari visibili che non sia la soddisfazione identitaria dei loro
lontani discendenti. Dopo la “scoperta” della Pietra di Kensington un ondata di
ritrovamenti percorse il Midwest degli USA ed il Canada, seguendo la mappa degli
stanziamenti di scandinavi: alcuni di questi confusero gli studiosi, perché
erano eredità di famiglia portate in America dagli immigrati e sepolte vicino
alla nuova casa americana, oppure erano oggetti appartenuti ai commercianti di
pellicce ed agli esploratori europei dal XVII secolo in poi; altri erano
semplici frodi recenti ed altri ancora, come le “Fortificazioni Vichinghe” sul
fiume Missouri, erano in realtà resti di villaggi indiani Mandan. Le polemiche e
l’incomprensione ostile che dividono accademici e dilettanti entusiasti e
frustrati nascondono però il significato reale della Pietra di Kensington e
delle altre “eredità” vichinghe in America, il fatto che rappresentano “un
sacrario alla creatività degli immigrati scandinavi ed alla tradizione viva
della conoscenza delle rune che portarono con sé nel Nuovo Mondo un notevole
esempio di cultura popolare nordico americana iniziale, ma non una pietra
miliare nell’archeologia americana” (Fallace – Fitzhugh). Oggi sappiamo per
certo che i vichinghi si fermarono in Canada e che, attraverso le vie
commerciali indigene un penny norvegese dell’XIX secolo giunse in Maine. In
America le genti scandinave, che nel XIX secolo si erano divise in Europa,
acquisendo cinque nuove identità nazionali, anche se al loro interno conservano
quelle reciproche differenze, si sono però ricomposte in una nuova identità
unitaria, quella scandinavo americana, che ha nei musei folk, nelle
associazioni, nei giornali etnici e nell’archeologia, autentica e fantastica, le
proprie radici fondanti. E’ in questo ambiente che è nata la religione neopagana
che riprende il culto degli dei dell’Edda, con associazioni come la Asatru Folk
Assembly, che ha contribuito a fermare per anni la restituzione dei resti di
9000 anni fa dell’Uomo di Kennewick agli indiani dello stato di Washington in
base al fatto che poteva essere un vichingo, dato che gli scienziati avevano
identificato nello scheletro tratti simili a quelli di un bianco. Il vichingo,
come icona dell’intrepido viaggiatore, forte, maschio ed indipendente, ha
lasciato traccia nell’immaginario popolare americano in generale, soprattutto
dopo la scoperta del sito a Terranova, tanto che nel 1966 ha influenzato la
scelta del nome della missione per Marte della NASA, Viking, che ha ricevuto un
enorme copertura mediatica quando venne lanciata nel 1976 come come il
successivo grande passo nell’esplorazione dello spazio. Questo è, probabilmente,
il contributo reale dei vichinghi all’America. L’ALTRA STORIA Le
tradizioni orali eschimesi che riguardano i coloni vichinghi sono poche e queste
storie furono raccolte solo nel XIX secolo. Nel 1858 il sovrintendente Rink
invitò i nativi groenlandesi a scrivere ed a illustrare le leggende che
conoscevano; il catechista Aron di Kangeq presso Nuuk le pubblicò illustrate su
Atuagagdliutit, il primo periodico groenlandese che uscì per la prima volta nel
gennaio 1861. Ecco una storia sul contatto tra inuit e norreni della Colonia
Occidentale. “Molto tempo fa, quando sulla costa vi era meno gente di adesso, la
ciurma di un battello sbarcò presso Nuuk (oggi Godthàb). Essi non trovarono
nessuno e attraversarono il fiordo di Kangersunek. A metà strada ad est di
Komok, presso Kangiusak, capitarono presso una grande casa; ma quando vi furono
dappresso non seppero come comportarsi con la gente del posto perché non erano
inuit. Fu in questo modo che si imbatterono con i primi coloni vichinghi. E
anche questi ultimi videro per la prima volta i nativi” (Petersen). Alcune
leggende spiegano dei nomi di località. Una di esse racconta di un norreno e di
un inuit che erano diventati grandi amici. Un giorno il vichingo sfidò l’amico
ad una gara con l’arco in cui il perdente si sarebbe buttato giù da un
promontorio. Alla gara assistettero molti vichinghi ed inuit e l’inuit vinse; il
vichingo allora si gettò dalla scogliera, ma questo non intaccò l’amicizia tra i
due popoli. Il promontorio da allora si chiama Pisissarfik (Montagna
dell’arciere). Un'altra leggenda racconta invece di come sia scoppiato il
conflitto tra i due gruppi. Si narra di una giovane inuit, Navaranaaq, che
lavorava come serva presso i vichinghi; dopo un po’ ella cominciò a seminare
zizzania tra i due popoli dicendo ai nordici che gli eschimesi li odiavano, ed
ai suoi parenti che i norreni volevano massacrarli. All’inizio nessuno le badò,
ma poi a forza di sentire queste parole cominciarono prenderla sul serio. I
vichinghi pensarono che fosse saggio attaccare per primi ed assalirono il campo
inuit massacrando tutti eccetto una donna che riuscì a sfuggire ed a raccontare
l’accaduto. Gli eschimesi erano ora molto arrabbiati, soprattutto un uomo,
Qasapi, che nel massacro aveva perso la moglie e l’unico figlioletto. Qasapi
andò allora a trovare uno sciamano per organizzare la ritorsione e per questa
impresa costruì un umiak particolare fatto di sezioni che si potevano separare e
riunire tra loro. Con questa imbarcazione gli inuit si avvicinarono alla
fattoria di Uunngortoq, il capo dei vichinghi, dove tutti i norreni si erano
riuniti. Quando furono in vista camuffarono con le pelli i loro umiak e da
allora il fiordo si chiama Ameralla (Luogo di Camuffamento), per non essere
visti. I vichinghi pensarono che i battelli fossero dei tronchi alla deriva.
Quando furono vicini Qasapi chiese allo sciamano di lanciare un incantesimo che
chiudesse tutti i vichinghi in casa, e che le loro barche sembrassero iceberg
alle sentinelle di guardia. Giunti a riva senza essere visti gli inuit diedero
fuoco alla fattoria uccidendo tutti eccetto il capo che si salvò gettando il suo
bambino in un lago per poter correre più veloce e salvarsi. Solo dopo questi
avvenimenti gli eschimesi capirono che la loro amicizia con i vichinghi era
stata distrutta per sempre e si vendicarono anche su Navaranaaq, la ragazza che
era causa di tutto, uccidendola per trascinamento sul terreno, ma senza usare
armi. Dopo di questi fatti non si videro più vichinghi nel fiordo di Nuuk. In
un'altra leggenda che attribuisce la rovina delle colonie vichinghe a pirati
provenienti dal mare. In questo racconto i vichinghi già assaliti una volta dai
pirati chiesero ai loro amici eschimesi di portare le donne ed i bambini con sé
nei territori di caccia estivi. Al ritorno i nativi scoprono la colonia
saccheggiata e deserta, perciò essi tennero con sé le donne ed i bambini che
vennero assimilati. Altre pagine sui vichinghi:
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