le crisi permanenti non esistono - Karl Marx
1. Introduzione
L'analisi dell'economia come flusso circolare di risorse nasce nel
diciottesimo secolo con il Tableau Economique di Quesnay, capo
della scuola fisiocratica francese. La formazione scientifica di Quesnay,
che era il medico di corte di Luigi XV, lo aiutò a concepire l'analogia
tra sistema economico e flusso sanguigno. Marx riprese questa intuizione
e la approfondì descrivendo l'analisi della circolazione e rotazione del
capitale nel II volume del Capitale. Per portare a termine tale
compito sviluppò uno strumento analitico eccezionalmente fecondo: gli
schemi di riproduzione.
Gli schemi di riproduzione permettono di comprendere le condizioni di
cui il capitalismo ha bisogno per crescere. Essi mostrano la compresenza
di fattori che avvicinano e di fattori che allontanano il sistema
produttivo da queste condizioni. L'interazione di queste forze fa sì che
nel capitalismo l'equilibrio, ovvero una crescita proporzionata
dell'economia, sia estremamente improbabile e solo momentanea. Il
capitalismo trova l'equilibrio per un attimo fugace, durante le sue
oscillazioni periodiche.
Gli schemi di riproduzione, nel descrivere come il capitalismo
può crescere in modo equilibrato spiegano effettivamente perché
ciò non avviene. Questo non ha impedito ad alcuni “socialisti” di dare
agli schemi un'interpretazione ben diversa. I riformisti, che nella
teoria economica erano rappresentati dai cosiddetti neoricardiani (per
tutti, il russo Tugan Baranovskij), cercavano di dimostrare che il
capitalismo può svilupparsi senza fine, e che dunque il socialismo è
solo un desiderio morale, non una necessità storica. Gli schemi di
riproduzione vennero utilizzati a questo fine attraverso un'operazione
di cattiva logica.
Secondo il noto detto, se mio nonno avesse avuto le ruote, sarebbe
stato una cariola. I riformisti si limitarono a questo ragionamento,
senza indagare la possibilità storica che un uomo abbia delle ruote. Per
i riformisti la cosa era semplice. “Purché” si diano certe proporzioni,
la produzione può andare avanti per sempre. La loro idea di “astrazione”
manca totalmente di dialettica, è davvero pura matematica, pura
fantasia. I riformisti non comprendevano l'essenza del concetto marxiano
di produzione in generale sviluppato da Marx nell'Introduzione
a Per la critica dell'economia politica. Non comprendevano che il
capitalismo, come ogni altro modo di produzione, in ultima analisi,
deve produrre valori d'uso. Non è lo scopo della produzione, non è lo
scopo dei capitalisti, ma alla fine, se le merci prodotte non servono,
non si vendono.
Ora, gli “ottimisti” alla Tugan Baranovskij eliminano ogni problema
di realizzo con questa semplice trovata: basta espandere il settore dei
mezzi di produzione [1].
Se anche gli operai si riducono (o meglio, se il capitale variabile si
riduce come proporzione del capitale complessivo), non c'è problema: i
capitalisti si vendono le merci l'un l'altro. Ma poiché nessun
capitalista può mangiare per mille operai, di che merci stiamo parlando?
Di mezzi di produzione. E che se ne fa il capitalista? Ci produce altri
mezzi di produzione che vende ad altri capitalisti. Tutti producono
macchine che servono a produrre altre macchine che servono a produrre
altre macchine che inevitabilmente servono a produrre altre macchine,
perché una simile concentrazione di mezzi di produzione, se si dedicasse
alla produzione di merci finali, saturerebbe rapidamente il mercato. Ma
si può escludere che si arrivi a questo perché una simile montagna di
capitale costante, manovrata da una sparuta quantità di operai,
implicherebbe una composizione organica del capitale così elevata che il
saggio di profitto dovrebbe inevitabilmente ridursi rapidamente a zero.
Molto prima di quel momento i capitalisti avrebbero smesso di investire,
a prescindere dagli eleganti e armonici modelli dei riformisti. La prima
guerra mondiale, l'imperialismo in generale, sono la dimostrazione
storica che gli “ottimisti” non avevano idea di come funzioni il
capitalismo.
Reagendo a questa degenerazione del marxismo, Rosa Luxemburg cercò di
mostrare che gli schemi di riproduzione erano un'astrazione eccessiva
del capitalismo, ne perdevano alcuni aspetti essenziali. In particolare,
secondo Rosa Luxemburg, solo attraverso lo scambio con settori
extracapitalistici la borghesia aveva la possibilità di realizzare il
plusvalore, ovvero trovare sufficiente domanda solvibile.
Rosa Luxemburg si sbagliava, il motore del capitalismo è endogeno. Ma
su almeno due punti la sua idea sull'“esaurimento” dello spazio
extracapitalistico ha molto da dire. Innanzitutto, la crisi
dell'imperialismo (la prima guerra mondiale) si ebbe grosso modo quando
finì l'occupazione dell'Africa e del Medio Oriente, sostanzialmente la
parte di mondo che ancora andava spartita tra le grandi potenze. Che
questo abbia reso insuperabili i dissidi tra i paesi imperialisti non
c'è dubbio. In secondo luogo, il capitalismo si espande assorbendo nuova
forza-lavoro e questa forza-lavoro, se è “nuova”, significa che non
proviene dalle file del proletariato. Si tratta dunque di contadini (di
paesi avanzati e arretrati) e di altri ceti non già compresi nell'orbita
della produzione capitalistica. Che il capitalismo tenda molto presto ad
espandersi per cercare manodopera a basso costo, materie prime, sbocchi
per merci e capitali è indubbio. Già Marx osservò:
“La tendenza a creare il mercato mondiale è data immediatamente nel
concetto stesso di capitale. Ogni limite si presenta qui come un
ostacolo da superare”[2].
E ancora
“Non appena comincia ad avere la sensazione e la consapevolezza di
essere esso stesso un ostacolo allo sviluppo, subito [il capitale] cerca
scampo verso forme le quali, mentre danno l'illusione di perfezionare il
dominio del capitale imbrigliando la libera concorrenza, annunciano
nello stesso tempo la dissoluzione sua e del modo di produzione che su
di esso si fonda. Ciò che è implicito nella natura del capitale viene
solo reso realmente esplicito, come una necessità esterna; e il mezzo è
la concorrenza, la quale poi non è altro che questo: che i molti
capitali si impongono reciprocamente e impongono a se stessi le
determinazioni immanenti del capitale”[3],
Allo stesso modo, è indubbio che l'inglobamento di paesi non
capitalisti nell'orbita capitalista abbia conseguenze economiche e
politiche di prim'ordine, ma le ragioni di questo processo non solo
quelle ipotizzate da Rosa Luxemburg. Da queste errate premesse Rosa
Luxemburg traeva anche una conseguenza: una volta terminate le “terze
persone”, il capitalismo sarebbe imploso, affogato in una ineludibile
crisi di realizzo.
Rosa Luxemburg sbagliava a ritenere necessaria la presenza delle
“terze persone”. Sotto il profilo teoretico è possibile ridurre il
capitalismo a due classi. Infatti, Marx spiega che il rapporto di
produzione capitalistico, come ogni rapporto, è una relazione dialettica
tra due classi sociali: i proprietari dei mezzi di produzione e i
proprietari della forza lavoro. Questo rapporto non ha logicamente e
storicamente bisogno di altro. Ovviamente, il capitalismo, come sistema
storico, per le necessità complessive della sua sopravvivenza, sviluppa
altre classi, il cui ruolo è economicamente non necessario alla
produzione di plusvalore. L'astrazione compiuta da Marx è corretta: essa
delinea il fondamento del problema e dunque consente poi allo storico e
al politico di ricondurre verso il concreto l'analisi effettuata.
Saltare i passaggi verso il concreto significa compiere errori di
schematismo, ma impostare male l'astrazione significa escludersi la
possibilità di capire.
2. La crisi economica
La sintesi degli schemi di riproduzione è che le crisi capitalistiche
sono crisi di sproporzione:
“i nostri schemi dimostrano che nella produzione capitalistica sia la
riproduzione semplice che la riproduzione allargata possono svolgersi
indisturbatamente, solo a patto che vengano mantenute tali proporzioni”[4].
Ma occorre capire che cosa si intende per sproporzione. Tale concetto
abbraccia non solo la crescita relativa tra i settori economici (e
dunque crisi di sovracapacità, bolle speculative, ecc.) ma anche il
rapporto tra consumo sociale e produzione, e dunque la distribuzione del
reddito e il saggio del profitto. Pertanto le crisi sono insieme crisi
di sovrapproduzione, sottoconsumo, sovrainvestimento, sovracapacità,
sproporzione, domanda, saggio del profitto. L'impostazione tipica degli
economisti “marxisti” accademici è di prendere uno di questi fattori e
isolarlo dal resto. Così abbiamo i teorici del sottoconsumo, i teorici
della sproporzione, i teorici del calo del saggio del profitto, ecc.
Questi signori confondono la forma fenomenica della crisi con la sua
essenza. In ultima analisi, ogni crisi del capitalismo non è che la
manifestazione della sua contraddizione chiave: la contraddizione tra
forma sociale della produzione e carattere privato della appropriazione.
Le circostanze storiche fanno emergere questa contraddizione in modalità
specifiche, ad esempio lo scoppio di una bolla speculativa finanziaria,
una guerra, una recessione “classica”, una combinazione di tutte queste
cose.
Hilferding ha tratteggiato così l'andamento del ciclo di sviluppo
capitalistico:
“Ogni ciclo industriale inizia con una espansione della produzione,
le cui cause variano di volta in volta a seconda del concreto momento
storico, ma che, in generale, possono essere ricondotte all'apertura di
nuovi mercati, al sorgere di nuovi rami produttivi, all'introduzione di
nuove tecniche, all'aumento del fabbisogno conseguente all'incremento
della popolazione. Tutto ciò determina l'aumento della domanda, che
provoca, a sua volta, in singoli rami produttivi, l'aumento di prezzi e
profitti. Aumenta così la produzione de settori interessati…il ciclo si
inizia così, con il rinnovamento e la crescita del capitale fisso, il
che costituisce la causa principale della incipiente prosperità…da
questo ciclo, abbracciante una serie di anni di rotazioni in connessione
fra loro, nelle quali il capitale è vincolato dalla sua parte
costitutiva fissa, deriva un fondamento materiale delle crisi
periodiche, in cui la vita economica percorre successivi periodi di
ristagno, di vitalità media, di precipitazione, di crisi. I periodi nei
quali viene investito capitale sono bensì molto differenti e non
coincidono affatto. Ma tuttavia la crisi costituisce sempre il punto di
partenza di un nuovo grande investimento, quindi costituisce anche, più
o meno,…un nuovo fondamento materiale per il prossimo ciclo di
rotazione”[5].
Come detto, l'aspetto immediato della crisi dipende dalle specifiche
circostanze storiche. Ad esempio, la carenza di domanda può sentirsi nel
settore delle merci di consumo, se nel periodo precedente i salari si
sono ridotti, oppure nel settore dei mezzi di produzione, se un calo del
saggio del profitto ha condotto alla tesaurizzazione dei profitti. Ma da
qualunque settore parta la crisi, le sue conseguenze saranno un crollo
della produzione, dell'occupazione e degli investimenti, un acuirsi
della concorrenza, e infine un calo generalizzato di prezzi che
ristabilisce un qualche ordine nel sistema. Gli eccessi di produzione,
che segnalano le difficoltà della produzione capitalistica a realizzare
quanto è stato portato sul mercato, sono i termini della sproporzione
della crisi. Questa sproporzione emerge alla coscienza reificata
dell'economista come uno squilibrio tra la domanda e l'offerta in un
mercato e nel sistema complessivamente. Ma questo squilibrio non è altro
che l'inevitabile risultato di scelte autonome di milioni di produttori
e consumatori, composte a livello sociale nella circolazione delle
merci. Una recessione avviene per la sproporzione dei mercati, ovvero
perché non c'è una scelta degli obiettivi quantitativi e qualitativi che
orienti le azioni dei soggetti che producono, scambiano, consumano.
All'interno di questo meccanismo inesorabile del ciclo, giocano un
ruolo crescente il credito e i monopoli. Il credito consente un
allungamento della durata del ciclo a costo di una crescita della
fragilità dei bilanci delle imprese. La crescente monopolizzazione
dell'economia consente alle aziende, di solito multinazionali, di
scaricare la crisi sulla picola media borghesia:
“I cartelli non eliminano affatto gli effetti della crisi: tutt'al
più essi riescono a modificarli, in quanto possono rovesciare il peso
della crisi sulle industrie indipendenti”[6].
Ma c'è un aspetto in cui la monopolizzazione dell'economia può anche
peggiorare i picchi del ciclo: l'innovazione tecnologica. Marx spiega
che il valore del capitale costante non è determinato dai suoi costi di
produzione storici ma dai suoi costi di produzione attuali. Se i
monopoli, per aumentare il proprio saggio di profitto, introducono delle
innovazioni, svalutano parte del capitale costante che loro stessi e i
loro concorrenti detengono perché riducono non il lavoro in essi
oggettivato (che è stato erogato da lungo tempo), ma il lavoro vivo che
serve oggi per produrli. L'innovazione, distruggendo parte del valore
del capitale costante, accresce la concentrazione del capitale come
strumento per contrastare la caduta del saggio del profitto.
Analizzando la teoria marxiana della crisi è dunque necessario vedere
come le leggi di movimento del capitalismo portino a trasformazioni
irreversibili del processo produttivo e riproduttivo. Il ciclo
capitalistico non è una semplice alternanza di crescita e recessione, ma
una spirale, la cui direzione muta, a un dato momento, dall'alto al
basso e viceversa [7].
Questi macromovimenti a loro volta sono inseriti in un unico processo
fondamentale che è lo sviluppo e il declino del modo di produzione
capitalistico. Inoltre, la crisi termina con un'accelerazione delle
tendenze di fondo del capitalismo. Portando alla morte molte imprese,
soprattutto le più piccole, spinge alla concentrazione del capitale.
Aumentando la dimensione delle aziende, la quantità del capitale
accumulato, si fa inesorabile la ricerca di nuovi mercati in patria e
all'estero. Il ruolo del credito diviene così decisivo, nasce il
capitale finanziario, fusione del capitale creditizio e industriale. Si
conquista lo Stato, che da camera di compensazione della borghesia
diviene marionetta del complesso industriale e finanziario. Nasce
l'imperialismo.
3. L'imperialismo
Sebbene Rosa Luxemburg avesse torto nel ritenere inevitabile lo
scambio con “terze persone” per il realizzo del plusvalore, è indubbio
che la nascita dell'imperialismo abbia prodotto una profonda
modificazione storica nel funzionamento del modo di produzione
capitalistico. L'analisi di questi cambiamenti impegnò le diverse
correnti del movimento operaio dalla fine del diciannovesimo secolo.
Come nel caso dell'interpretazione degli schemi di riproduzione, la
storia sancì quale analisi corrispondesse meglio all'effettivo cammino
del capitalismo a livello mondiale. Mentre si stava ancora asciugando
l'inchiostro sui libri dei revisionisti che parlavano di come i monopoli
e il capitalismo di Stato avrebbero eliminato le crisi e le guerre, si
udirono i boati dei cannoni che annunciavano la prima guerra mondiale.
Allo stesso tempo, il boom postbellico si incaricò di dimostrare che
anche la teoria di Rosa Luxemburg era errata. Il capitalismo era sì
stato immerso per trent'anni in una profondissima crisi economica e
politica, ma seppure a costo di due guerre mondiali, degli orrori del
nazifascismo e della perdita di un quarto del pianeta a favore dello
stalinismo, era riuscito ad emergere dalla crisi. La dimostrazione
storica definitiva che l'imperialismo è orrore senza fine, come disse
Lenin, ma anche che esso può essere distrutto solo dalla classe operaia
armata delle idee del marxismo, non da un inesorabile processo storico.
La “crisi finale” del capitalismo è la rivoluzione e dunque il partito
rivoluzionario.
Furono i bolscevichi a tratteggiare le caratteristiche essenziali del
capitalismo nella sua ultima fase, che tuttora attraversa. Tuttavia,
Marx aveva già fornito alcune intuizioni interessanti in proposito.
Nelle sue Teorie sul plusvalore, parlando del rapporto tra Say e
Ricardo, Marx spiega che non appena si instaura il commercio mondiale,
la legge del valore “è sottoposta a modificazioni essenziali” perché le
giornate lavorative stanno fra di loro sulla base delle diverse
produttività relative e dunque “il paese più ricco sfrutta quello più
povero”. Questa è la nascita della teoria dell'imperialismo. Se vogliamo
è un'estensione dell'analisi di come le grandi aziende si impadroniscono
di nuovi settori: vi investono e dunque realizzano profitti, devastando
o comprando i produttori “locali”. Lo scambio di più lavoro con meno
lavoro è appunto l'essenza dell'imperialismo, sia verso i paesi
coloniali ed ex coloniali sia verso la piccola e media borghesia. Spettò
a Lenin nell'analisi dell'imperialismo e a Trotskij con la teoria della
rivoluzione permanente trarre compiutamente le conseguenze politiche di
questo sviluppo.
4. La riproduzione semplice
Introducendo gli schemi di riproduzione, Marx distingue la
riproduzione semplice, che è uno stato in cui il ciclo economico si
ripete sempre uguale a se stesso, e la riproduzione allargata,
che introduce l'aspetto dell'accumulazione e della crescita economica.
Sarebbe un errore ritenere che la riproduzione semplice sia solo un
artificio didattico, usato da Marx per introdurre l'accumulazione del
capitale. Marx spiega infatti che la riproduzione semplice esiste in
ogni contesto ed è alla base dell'accumulazione. Senza riproduzione
semplice sarebbe infatti impossibile procedere ad una espansione delle
forze produttive. Allo stesso tempo, l'essenza del capitalismo sta nel
fatto che i proprietari dei mezzi di produzione sono delle macchine per
accumulare, il loro scopo è massimizzare la quota di lavoro non pagato
da destinare a nuovi investimenti. La borghesia, come “funzionario del
capitale”, assolve la funzione storica di accrescere lo sviluppo delle
forze produttive. In questo senso il passaggio dalla riproduzione
semplice alla riproduzione allargata è anche un processo storico da
società in cui l'accrescimento del plusvalore non era lo scopo della
produzione, al capitalismo.
Per analizzare le caratteristiche di sviluppo del capitalismo, Marx
divide l'economia in due settori. Il settore 1 produce i mezzi di
produzione, il settore 2 produce le merci per il consumo. Ovviamente
nella realtà vi è una certa sovrapposizione perché una merce puo avere
più funzioni, ma si può pensare, in linea teorica, che una parte della
produzione di quella merce ricada nel settore 1, l'altra nel settore 2.
Integrando le singole porzioni di capitale costante, capitale variabile
e plusvalore nei settori 1 e 2 possiamo scrivere:
(1)
(2)
(dove P sta per produzione totale, c per capitale costante v per
capitale variabile e s per plusvalore)
Ora, perché la riproduzione di questo sistema avvenga con regolarità
vi sono due condizioni di equilibrio. La prima è che il valore della
produzione del settore 1 corrisponda ai mezzi di produzione impiegati
dall'economia. La seconda è che il valore della produzione del settore 2
corrisponda alla domanda complessiva del sistema. Ovvero, il valore del
settore dei mezzi di produzione deve corrispondere ai mezzi di
produzione esistenti e, allo stesso modo, il valore del settore delle
merci di consumo deve corrispondere alla domanda complessiva. In formule
le due condizioni sono:
(3)
(4)
Sostituendo la (1) nella (3) e la (2) nella (4), ovvero scrivendo per
esteso il valore della produzione dei due settori, osserviamo che le due
condizioni si riducono a una:
(A)
Questa è la condizione di equilibrio che, se raggiunta, è necessaria
e sufficiente al regolare funzionamento del sistema.
Da un punto di vista analitico, occorre analizzare che cosa succede
quando il capitalismo non si trova in questa condizione. Poniamo ad
esempio di osservare che: v1+s1>c2.
Ciò significa che la grandezza del settore 1 supera il valore
complessivo del capitale costante. Vi è dunque domanda solvibile non
corrisposta dalla produzione. In una situazione del genere, le merci
tenderanno a vendersi ad un prezzo superiore al loro costo di
produzione. Questo aumenterà i profitti e dunque gli investimenti per
ampliare la scala della produzione. I mezzi di produzione tenderanno
perciò a crescere, riequilibrando la domanda potenziale. Si noti che
questa è soltanto una tendenza.
Nulla garantisce, nonostante la spinta della concorrenza, che ciò
accada nel tempo e nella dimensione adatti a equilibrare il sistema. Al
contrario, i produttori espanderanno tutti insieme la produzione,
guidati dalla crescita del saggio di profitto, e questo avrà come
effetto di aumentare la capacità dei mezzi di produzione oltre la
domanda solvibile (c1>v1+s1), provocando una riduzione dei prezzi e
dunque una riduzione dei profitti, degli investimenti e così via. Le
oscillazioni attorno all'equilibrio potranno essere più o meno violente
a seconda della situazione dell'economia mondiale, del sistema
creditizio, della politica economica e così via. Ma in linea di massima
le forze che riequilibrano il sistema non garantiscono il raggiungimento
di una situazione armonica.
Da questa analisi, pure matematicamente elementare, è possibile
trarre profonde indicazioni analitiche. Notiamo ad esempio che il
rapporto tra i settori 1 e 2 - che si può leggere in un certo senso come
l'ampiezza dello sviluppo della società rispetto alla sua attuale
dimensione - si connette ai due aspetti chiave del capitalismo: il
saggio di profitto e la composizione organica del capitale. Possiamo
infatti scrivere:
(5)
(dove C=c1+c2, ecc.)
Ora definendo con q la composizione organica e con e il
saggio di plusvalore, possiamo scrivere
(6)
Questo significa che lo sviluppo decresce con q e sale con e. Il che
è del tutto in linea con quello che è successo nella storia del
capitalismo e con quello che succede nelle diverse fasi del ciclo.
5. La riproduzione allargata
Se nulla garantisce l'equilibrio nella riproduzione semplice, in cui
tutto procede immutato di anno in anno, a maggior ragione ciò varrà
introducendo l'accumulazione. Ipotizziamo ora che i capitalisti, da veri
funzionari del capitale, capitalizzino una parte del plusvalore con cui
acquistano nuovo capitale costante e nuovo capitale variabile. Seguendo
la notazione introdotta da Bucharin, dividiamo il plusvalore come segue:
s=ac+av+b, dove: ac rappresenta l'accumulazione di capitale costante, av
l'accumulazione di capitale variabile e b il consumo personale della
popolazione non proletaria. A questo punto riscriviamo la (1) e la (2):
(1a)
(2a)
Come si vede, la riproduzione allargata si basa sempre sulla
riproduzione semplice. Infatti:
|
riproduzione semplice |
|
riproduzione allargata |
P1= |
|
+ |
|
P2= |
|
+ |
|
Allo stesso modo, le condizioni di equilibrio diventano
(3a)
(4a)
Anche qui, sostituendo la scrittura estesa della produzione ricaviamo
un'unica condizione, analoga a quella già vista:
(B)
Questa condizione significa che la crescita della domanda e la
crescita della capacità produttiva devono andare di pari passo. Una
conclusione abbastanza logica, persino scontata, e nel capitalismo assai
difficilmente raggiungibile.
6. Un esempio numerico
Ricordiamo che l'equilibrio della riproduzione semplice implica tre
condizioni:
- uguaglianza del saggio di plusvalore
- uguaglianza del saggio di profitto
- la condizione (A)
L'esempio più semplice che si può immaginare di un'economia che
rispetti queste condizioni è quello in cui i due settori hanno le stesse
proporzioni ma diverse dimensioni. Infatti, se immaginiamo che il
settore 2 sia identico al settore 1 ma grande il doppio (cioè, c2=2c1
ecc.), le tre condizioni risultano immediatamente rispettate. In
particolare la terza è: c2=v1+s1=>20=10+10.
Più in generale, vediamo qui ripresentarsi la questione della
proporzione. Infatti le tre condizioni sono rispettate quando P1=xP2.
Come visto, possiamo scrivere x come q/1+e. Questo è il fattore di
proporzionalità tra i due settori. Esso incorpora la composizione
organica del capitale e il saggio di plusvalore, i due cardini dello
sviluppo del capitalismo, rappresenta la proporzione tra gli
investimenti passati (la composizione organica) e quelli possibili (il
saggio del plusvalore). In una parola, la storia dell'ascesa e del
declino del modo di produzione capitalistico.
Note
1. Contro questi “socialisti” si può utilizzare
un'osservazione che Marx fece sugli economisti borghesi “ottimisti”:
“Quando la scissione estrema porta a eruzioni, gli economisti additano
l'unità essenziale e astraggono dall'alienazione. La loro sapienza
apologetica consiste nel dimenticare in tutti i momenti decisivi le loro
stesse condizioni.” (
Grundrisse, vol. 1, p. 87).
2. K. Marx, Grundrisse, vol. 2, p. 9.
3. Cit., p. 334.
4. R. Hilferding, Il capitale finanziario, p.
333.
5. R. Hilferding, Il capitale finanziario, pp.
336-337
6. Cit., p. 389.
7. Trotskij ha descritto molto acutamente questo
processo ne La curva dello sviluppo capitalistico.
Bibliografia
- Brofenbrenner M., Il capitale per l'uomo moderno
- Bucharin N., L'imperialismo e l'accumulazione del capitale
- Hilferding R., Il capitale finanziario
- Lenin, L'imperialismo
- Luxemburg R., L'accumulazione del capitale
- Marx K., Grundrisse
- Marx K., Introduzione del '57 a Per la critica
dell'economia politica
- Marx K., Il capitale, vol. 2
- Rosdolski R., Genesi e struttura del Capitale di Marx
- Trotskij L., La curva dello sviluppo capitalistico