Tifone, o Tifeo, è un essere mostruoso, il figlio più giovane di Gaia (la terra) e del Tartaro. Esiste tuttavia una serie di versioni che ricollegano Tifone con Era e con Crono. Gaia, scontenta per la difatta dei Giganti, calunniò Zeus presso Era, e quest'ultima andò a chiedere a Crono un mezzo per vendicarsi. Crono le consegnò due uova, ch'egli aveva spalmato col proprio seme: sotterrate, queste uova dovevano originare un demone capace di spodestare Zeus. Questo demone fu Tifone.<BR>Secondo un'altra tradizione, Tifone era un figlio d'Era, ch'ella stessa aveva generato senza aiuto d'alcun principio maschile, e così già aveva fatto Efesto. Ella diede da allevare il figlio mostruoso a un drago, il serpente Pitone, che viveva a Delfi.<BR>Tifone era mezzo uomo e mezzo belva. Per statura e forza sorpassava tutti gli altri figli della Terra; era più alto di tutte le montagne e, spesso, la sua testa urtava le stelle. Quando stendeva le braccia, una delle mani raggiungeva l'Oriente, e l'altra toccava l'Occidente e, invece di dita, aveva cento teste di draghi. Dalla cintola in giù era circondato di vipere. Il suo corpo era alato, e gli occhi lanciavano fiamme. Allorchè gli dei videro questo essere attaccare il Cielo, fuggirono fino in Egitto e si nascosero nel deserto, dove assunsero forme animalesche. Apollo diventò un nibbio, Ermes un ibis, Ares un pesce, Dionisio un caprone, Efesto un bue ecc. Soltanto Atena e Zeus resistettero al mostro. Zeus gli scagliò da lontano dei fulmini, e, lottando corpo a corpo, l'abbattè con la sua falce d'acciaio. La lotta si svolse sul monte Casio, ai confini fra l'Egitto e l'Arabia Petrea. Tifone, il quale era soltanto ferito, riuscì ad avere il sopravvento, e strappo la falce al dio. Gli tagliò i tendini delle braccia e delle gambe e lo caricò indifeso sulle proprie spalle portandolo fino in Cilicia, dove lo rinchiuse in una caverna, la "grotta coricia". Nascose i tendini e i muscoli di Zeus in una pelle d'orso e li affidò alla custodia della dragonessa Delfine. Ermes e Pan - alcuni dicono Cadmo - sottrassero i tendini e li rimisero al loro posto nel corpo di Zeus. Questi recuperò subito le proprie forze, e, risalendo al Cielo su un carro trainato da cavalli alati, si mise a colpire il mostro col fulmine. Tifone fuggi, e, nella speranza di accrescere la propria forza, volle assaggiare i frutti magici che crescevano sul monte Nisa. E' perlomeno la promessa che gli avevano fatto le Moire per attirarvelo. Zeus lo raggiunse in quel luogo e l'inseguimento continuò. In Tracia, egli lanciò montagne contro Zeus, ma questi le faceva ricadere sul mostro a colpi di fulmine. Così il monte Emo dovette il proprio nome al sangue he colò da una delle sue ferite. Scoraggiato definitivamente, Tifone fuggì e, mentre attraversava il mare di Sicilia, Zeus lanciò su di lui il monte Etna che lo schiacciò. E le fiamme che escono dall'Etna sono o quelle che vomitò il mostro o il resto dei fulmini con cui Zeus lo abbattè. Si attribuisce a Tifone la paternità di vari mostri (il cane Ortro, l'Idra di Lerna, la Chimera), ch'egli generò da Echidna, figlia di Calliroe o di Crisaore. Gli antichi mitografi distinguevano tre specie di Ciclopi: i Ciclopi "urani", figli di Urano e di Gaia (il Cielo e la Terra), i Ciclopi "siciliani", compagni di Polifemo, che intervengono nell'Odissea, e i ciclopi "costruttori".<BR>I Ciclopi "urani" appartengono alla prima generazione divina, quella dei Gianti. Hanno un solo occhio in mezzo alla fronte, e sono caratterizzati dalla forza e dall'abilità manuale. Se ne contano tre, chiamati Bronte, Sterope (o Asterope) e Arge, i cui nomi ricordano quelli del Tuono, del Lampo e del Fulmine. Dapprima incatenati da Urano, sono liberati da Crono, poi incatenati da quest'ultimo nel Tartaro, fino a che Zeus, avvertito da un oracolo che avrebbe potuto riportare la vittoria soltanto col loro aiuto, non li liberò definitivamente. Allora, gli dettero il tuono, il lampo, e il fulmine; dettero ad Ade un lmo che rendeva invisibili, e a Poseidone un tridente. Armati in tal modo, gli Dei Olimpici sfidarono i Titani, e li fecero precipitare nel Tartaro.<BR>Nella leggenda, i Ciclopi restano fabbri del fulmine divino. A questo titolo, insorsero nell'ra di Apollo, il cui figlio, Asclepio, era stato ucciso da Zeus con un colpo di fulmine per aver risuscitato alcuni morti. Non potendo vendicarsi su Zeus, Apollo uccise i ciclopi (o i loro figli, secondio una tradizione isolata), e ciò gli valse, come punizione, l'obbligo di servire, in qualità di schiavo, presso Admeto. In questa versione, i Ciclopi appaiono dunque come esseri mortali, e non dei.<BR>Nella poesia alessandrina, i Ciclopi non sono considerati altro che demoni subalterni, fabbri e artigiani di tutte le armi degli dei. Fabbricano, per esempio, l'arco e le frecce d'Apollo e della sorella Artemide, sotto la direzione d'Efesto, il dio fabbro. Abitano le isole Eolie, oppure la Sicilia. Qui possiedono una fucina sotterranea, e lavorano con gran rumore. Sono proprio l'ansimare del loro fiato e il fracasso delle loro incudini che si sentono rimbombare in fondo ai vulcani siciliani. Il fuoco della loro fucina rosseggia la sera in cima all'Etna. E, in queste leggende legate ai vulcani, essi tendono a confondersi con i Giganti imprigionati sotto la massa delle montagne, e i cui soprassalti agitano talvolta il paese. Già nell'Odissea i Ciclopi sono ritenuti una popolazione di esseri selvaggi e giganteschi, dotati di un solo occhio e di forza prodigiosa, che vivono sulla costa italiana (nei Campi Flegrei, presso Napoli). Dediti all'allevamento dei montoni, la loro sola ricchezza consiste nel gregge. Sono volentieri antropofagi e non conoscono l'uso del vino. E neppure la coltivazione della vite. Abitano nelle caverne e non hanno imparato a formare  città. Certi tratti di questi Ciclopi tendono a farli assomigliare ai Satiri, con la quale sono talvolta assimilati. Si attribuiva a Ciclopi (venuti, si dice, dalla Licia) la costruzione di tutti  i monumenti preistorici che si vedevano in Grecia, in Sicilia e altrove, costituiti da grossi blocchi il cui peso e dimensione sembravano sfidare le forze umane. Non si tratta più dei Ciclopi figli di Urano, ma di tutto un popolo che si era messo al servizio degli eroi leggendari, di Petro, per esempio, per fortificare Tirinto, di Perseo, per fortificare Argo ecc. Si affibia loro il curioso epiteto di Chirogasteri, cioè "coloro che hanno braccia al ventre", e ciò ricorda gli Ecatonchiri, i "Giganti dalle Cento Braccia", che sono, nella mitologia esiodea, i fratelli dei tre Ciclopi Urani. Polifemo è il nome di due personaggi distinti. Il primo è un Lapita, figlio d’Elato e d’Ippe. Suo padre "divino" è Poseidone. E’ il fratello di Ceneo. Sposò Laonome che, in una tradizione oscura, passava per essere sorella d’Eracle. Questo Polifemo partecipò alla spedizione degli Argonauti; ma restò in Misia, dove fondò la città di Cio. Perì nella guerra contro i Calibi. Il secondo personaggio con questo nome, assai più celebre, è il Ciclope che ha una parte nell’Odissea. E’ figlio di Poseidone e della ninfa Toosa, ella stessa figlia di Forcide. Il racconto omerico lo presenta come un gigante orribile, il più selvaggio di tutti i Ciclopi. E’ pastore, vive del prodotto del suo gregge di pecore e abita in una caverna. Benché conosca l’uso del fuoco, divora la carne cruda. Sa che cos’è il vino, ma ne beve molto di rado e non sta attento agli effetti dell’ubriacatura. Non è totalmente insocievole poiché, nel suo dolore chiama gli altri Ciclopi in aiuto, ma è incapace di far loro capire quello che gli è capitato. Si sa come Ulisse, catturato da lui con alcuni compagni, in numero di dodici, fu rinchiuso nella caverna del Ciclope. Questi cominciò col divorarne diversi e promise ad Ulisse di divorarlo per ultimo per ringraziarlo d’avergli dato un vino delizioso, che l’eroe aveva fatto sbarcare con lui. Di notte quando il Ciclope era profondamente addormentato sotto l’effetto del vino, Ulisse e i compagni aguzzarono un palo immenso, l’indurirono al fuoco e lo piantarono nell’unico occhio del gigante. Al mattino quando il gregge uscì per andare al pascolo, i greci si legarono sotto il ventre degli arieti, per oltrepassare la soglia della caverna, dove il Ciclope, cieco, controllava con le mani tutto ciò che passava. Una volta libero, quando la sua nave prese il largo, Ulisse gridò a Polifemo il suo nome e lo canzonò. Ora, un oracolo aveva predetto un tempo al Ciclope ch’egli sarebbe stato accecato da Ulisse. Incollerito per essere stato ingannato, lanciò contro le navi massi enormi, ma invano. Proprio da questo momento data la collera di Poseidone, padre di Polifemo, contro Ulisse.<BR>Dopo i poemi omerici, Polifemo diventa, in modo assai strano, l’eroe di un’avventura amorosa con la Nereide Galatea. E’ un Idillio di Teocrito che ci ha conservato il quadro più celebre del Ciclope galante, innamorato di una civetta che lo trova troppo villano. Lo stesso tema è ripreso da Ovidio. Esiste una tradizione secondo cui Galatea è innamorata del Ciclope e gli dà figli. ACI Aci era il dio del fiume con questo nome vicino all’Etna. Passava per essere figlio del dio italico Fauno, e della ninfa Simeto. Prima di essere un fiume, aveva amato la ninfa Galatea, e anche il ciclope Polifemo la amava, ma senza speranza. Questi violento e geloso, aveva cercato di schiacciare il rivale sotto alcune rupi, ma Aci si trasformò in fiume, sfuggendo così al gigante. Etna il cui nome divenne quello del vulcano che domina la città di Catania, era una ninfa siciliana, figlia di Urano e di Gea, o, secondo antiche versioni, di Briareo, gigante dalle Cento Mani. Allorché Efesto e Demetra si disputano il possesso della Sicilia (terra di vulcani e di grano), Etna intervenne come mediatrice nella loro contesa. Ella è considerata la madre dei Palici, che avrebbe avuto da Efesto. La legenda conosce due personaggi con questo nome, la cui etimologia evoca la bianchezza del latte. La prima è figlia di Nereo e divinità marina che ha parte nelle leggende popolari della Sicilia. Galatea, ragazza bianca, abitante del mare tranquillo è amata da Polifemo, il Ciclope siciliano dal corpo mostruoso. Ma ella non gli corrisponde e ama invece il bell’Aci, figlio del dio Pan (o Fauno, nella tradizione latina) e d’una ninfa. Un giorno in cui Galatea riposava, in riva al mare, sul petto dell’amante, Polifemo li scorse e, benché Aci tentasse di scappare il Ciclope lanciò contro di lui una roccia enorme che lo schiacciò. Galatea ridette ad Aci la natura di sua madre, la ninfa, e ne fece un fiume dalle acque chiare. Si attribuisce talvolta agli amori di Polifemo e Galatea la nascita di tre eroi, Gala, Celto e Illirio, eponimi, rispettivamente dei Galati, dei Celti e degli Illiri. E’ dunque possibile che una versione della leggenda di Galatea abbia raccontato gli amori condivisi di Polifemo e della Nereide, ma nessuna testimonianza diretta ci è giunta. L’altra Galatea è una Cretese, figlia d’un certo Eurizio e sposata a Lampro, uomo di buona famiglia, ma assai povero, che viveva nella città di Festo. Lampro, sapendola incinta le aveva dichiarato di volere un maschio; se avesse partorito una figlia, avrebbe dovuto esporla. Mentre Lampro era sulla montagna a custodire gli armenti, Galatea mise al mondo una bambina, ma non ebbe il coraggio di esporla. Consigliata da indovini, la vestì da maschio e la chiamò Leucippo. Ma con il passare del tempo Leucippo diventò bellissima, e fu ben presto impossibile mantenere la finzione. Galatea fu assalita dalla paura e di recò al santuario di Latona, chiedendo alla dea di cambiare sesso alla figlia. Latona si lasciò piegare, e la ragazza divenne un maschio.
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STORIA ANTICA GRECIA

STORIA DELL'ANTICA GRECIA

Da qualunque visuale si esamini il bacino del Mediterraneo, esso appare come
il ricettacolo naturale di una civiltà che gli è debitrice dei suoi
caratteri; da qualunque visuale si esamini il bacino dell’Egeo, ci
accorgiamo che esso accentua con singolare vigoria ciascuna delle
caratteristiche che distinguono il Mediterraneo nel suo complesso:
caratteristiche le quali fanno dell’Egeo la culla della civiltà. Quel che
stupisce altrove, nei grandi paesi dell’Oriente, è l’enorme nell’uniforme:
nella produzione, nella potenza, nella bellezza stessa, in tutto impera la
quantità.
Nell’Egeide, il continuo variare della natura non lascia possibilità in
nessun luogo a grandi agglomeramenti né di piante, né di animali, né di
uomini. In ogni campo, nella politica come nell’arte, è impossibile
aggiungere indefinitamente il medesimo al medesimo. Qui trionfano l’
autonomia e l’individualismo, e i doni naturali si sviluppano liberamente,
senza altro ostacolo che la necessità di un’organizzazione armoniosa.
Tuttavia, nella cerchia ristretta di una città o di un’isola, una simile
civiltà corre il rischio d’esaurire ben presto la sua linfa e di morire anzi
tempo. Ma c’è il mare, il grande benefattore. Attraverso di esso, gli Egei
vanno a cercare la ricchezza e a prender conoscenza dei costumi d’altri
popoli.
Grazie al mare, possono stabilirsi in terre lontane, ingrandendo il loro
paese con innumerevoli colonie e, dando alla propria civiltà una sempre
nuova giovinezza, portarla sino ai confini del mondo conosciuto. In
complesso, il "miracolo greco", anzi il miracolo egeo, è l’effetto di un
singolare concorso di condizioni naturali su uomini capaci di trarne
partito.
Gustave Glotz, La civiltà egea

La storia dei popoli mediterranei, divisi tra regioni e culture orientali o
medio-asiatiche, e regioni e culture occidentali, conosce un'evoluzione
lunga ed incerta: se da una parte e per molto tempo le due 'metà' del bacino
mediterraneo si sono mantenute infatti in comunicazione costante, dall'altra
e per lunghi periodi della loro storia hanno intrattenuto rapporti
conflittuali o di latente estraneità.
La Grecia d'altra parte si trova, come regione occidentale, in una
condizione tutta particolare: quella cioè di essere sia, per così dire,
l'"avamposto" (tanto cronologicamente, quanto geograficamente) della cultura
occidentale, sia un centro di mediazione e contaminazione tra queste due
distinte aree politico-culturali.
Punto di irradiamento della cultura europea - i cui caratteri, assieme a
quelli della cultura asiatica, verranno sommariamente analizzati nel
prossimo paragrafo - in direzione delle regioni orientali (si pensi ad
esempio al grande 'esperimento' dei regni ellenistici…), ma anche centro di
assorbimento e di assimilazione di suggestioni e di temi politici e
culturali tipicamente asiatici, la cultura e la storia greche trovano in una
tale ambiguità di fondo uno dei (molteplici) motivi del proprio fascino e
della propria modernità.

Ma un tale soggetto - ovvero le molteplici e variegate relazioni che hanno
legato tra loro nei secoli passati Europa e Medio oriente - può costituire
uno spunto di riflessione su problemi che, soprattutto in questi anni,
segnati a quanto pare da un risorgente 'scontro di civiltà' tra Europa e
Asia, ci riguardano più che mai da vicino.
Introduzione alla storia propriamente greca ed ellenica:
i due opposti modelli di sviluppo, quello schiavile e quello asiatico
La dicotomia tra mondo occidentale e mondo orientale non è certo una
'scoperta' moderna, e nemmeno un'invenzione marxista. La tradizione
storiografica occidentale infatti, è da sempre incline a opporre questi due
tipi di tradizioni: quelle (da essa ritenute chiaramente migliori e più
evolute) tipiche della cultura europea occidentale, e quelle asiatiche.
Gli illuministi ad esempio, così come - dopo di loro - il grande Hegel,
erano soliti contrapporre mondo asiatico e mondo occidentale, vedendoli come
due archetipi politico-culturali dominanti e opposti tra loro.
D'altra parte, la scuola di pensiero marxista ha spesso ignorato o comunque
non ha sottolineato a sufficienza la differenza che intercorre tra il
feudalesimo occidentale (un tipo di società cioè fondamentalmente 'chiusa' e
immobile, pur collocata in un contesto occidentale) e le strutture sociali e
politiche asiatiche (le quali effettivamente hanno dei punti di contatto e
di affinità con il feudalesimo, ma anche delle profonde divergenze, come si
vedrà meglio più avanti).

Gli stessi Marx e Engels, all'inizio della loro elaborazione delle categorie
storiografiche del materialismo dialettico, si erano soffermati
esclusivamente sulla linea evolutiva tipicamente occidentale (sfociante come
noto, nel corso dei secoli, nel sistema capitalista), ignorando così
l'esistenza di quella seconda tipologia evolutiva (in realtà, oltretutto,
quantitativamente di gran lunga prevalente) che è appunto quella asiatica
basata sulle caste.
Solo in un secondo momento essi si soffermarono su questa differente
tipologia di organizzazione, cogliendone le caratteristiche peculiari e
l'autonoma dignità storica e epistemologica.
Si può quindi dire che, tutto sommato, l'organizzazione delle strutture
sociali, all'uscita dalle fasi più 'primitive' o tribali, si divida tra due
opposte strade: a) quella asiatica basata sulle caste e b) quella europea
basata invece sulle classi.
Bisogna anche sottolineare - come uno studio storico più specifico e meno
astratto, dimostra largamente - come queste due soluzioni, e soprattutto
quella asiatica, raramente si trovino ad essere realizzate integralmente
nelle formazioni sociali reali.
Queste ultime difatti, per quanto 'orientali' nella scelta delle proprie
strutture di fondo, di solito concedono sempre qualcosa anche alla proprietà
privata e al commercio - ovvero ad attività privatistiche e non
collettivistiche, pressoché inevitabili con l'insorgere di una maggiore
complessità dell'organizzazione del lavoro. Il che non esclude però che
possano esistere e che siano esistite società integralmente orientali o 'di
casta', così come vi sono molteplici esempi di società 'miste' - seppure con
una prevalenza al proprio interno o delle componenti asiatiche o di quelle
occidentali.
Nel corso della sua lunga evoluzione, la società umana ha conosciuto
differenti stadi di organizzazione, di complessità (almeno tendenzialmente)
sempre crescente. Le prime fasi di una tale storia, nelle quali l'uomo poco
si distingue dagli altri animali, sono caratterizzate dalla caccia dalla
pesca e dalla raccolta di frutti come mezzi di sostentamento della comunità,
d'ambito fondamentalmente ancora familiare.
In essa vige ancora una effettiva uguaglianza tra gli individui, dovuta a
una pressoché totale assenza di divisione sociale del lavoro: ogni membro
della comunità infatti deve provvedere al pari degli altri all'espletamento
delle mansioni alla base del mantenimento comune.
Un avanzamento essenziale delle forze produttive - nonché, di conseguenza,
una svolta epocale nell'organizzazione sociale, che alle prime è sempre
strettamente connessa - fu determinata dalla scoperta dell'agricoltura,
della pastorizia e dall'allevamento, in sostituzione agli antichi metodi
della caccia e della raccolta dei frutti offerti spontaneamente dalla terra.
All'affermazione - tra certe popolazioni, anche se non in tutte - di questi
nuovi metodi produttivi, fece da complemento l'affermazione di rapporti
sociali e di produzione più complessi di quelli precedenti, ed anche meno
paritari. La fase selvaggia dell'umanità ebbe fine difatti con queste nuove
invenzioni, fenomenali mezzi di avanzamento del genere umano, ovvero di
crescita della sua popolazione.
A tali scoperte tuttavia, fecero seguito necessariamente anche degli enormi
cambiamenti nello stile di vita, legati appunto ad esigenze strutturalmente
connesse alle nuove tecniche produttive. Essenzialmente da nomade l'uomo
divenne stanziale, mentre le popolazioni rimaste 'attaccate' ai vecchi stili
di esistenza e di produzione (inizialmente certo non una minoranza!) vennero
gradualmente espropriate e allontanate dai territori più fertili e più
ambiti dalle nuove popolazioni, di gran lunga più numerose, che si nutrivano
di cereali per mezzo dell'agricoltura.
Anche questa seconda fase - che complessivamente chiamiamo 'barbarica', o
pre-civile - conobbe diverse fasi: quella della gens, quella delle fratrie e
infine quella propriamente tribale.
In essa si ebbe un avanzamento tanto nelle strutture produttive, quanto
nell'organizzazione sociale, quanto infine nell'estensione e
nell'articolazione della comunità.
Si può dire che, complessivamente, il dato fondamentale di un tale progresso
consista nella nascita di una gerarchia sociale, per la quale vi è
distinzione tra coloro che sono preposti a lavori più 'umili' (come ad
esempio quello di curare le greggi o sovrintendere alla coltivazione) e
coloro che sono invece preposti ad attività di tipo dirigistico. Il primo
effetto della complessità del lavoro, cioè la necessità di frazionare
quest'ultimo in diverse mansioni - riflesse poi in diversi ruoli e in
diverse 'categorie sociali' - ha inizio in questa fase. Appare qui in grande
evidenza la correlazione esistente tra le forze produttive (ovvero le
risorse, sia tecniche che umane, alla base della produzione sociale) e i
rapporti sociali di produzione (le relazioni che esistono fra i distinti
gruppi sociali componenti la comunità, intesa come organizzazione
finalizzata alla produzione).
Col tempo, la crescita numerica dei componenti della gens (ovvero la prima
forma della fase qui analizzata) impone a quest'ultima l'esigenza di
frazionarsi in differenti sottogruppi, legati tra loro da rapporti di
parentela, detti fratrie o gentes. Queste ultime poi, estendendosi
ulteriormente, finiscono per unirsi in gruppi più ampi (gruppi al cui capo
si pone solitamente una gens particolare) aventi il vantaggio della
collaborazione reciproca, definiti tribù.
Sarà appunto il modo differente di relazionarsi tra loro delle tribù a
determinare i due diversi sviluppi successivi: quello asiatico e quello
occidentale.
In entrambi i casi sorgerà lo Stato, ovvero una forma di organizzazione
superiore a quella gentilizia, in quanto connessa alle trasformazioni
avvenute in seno a quest'ultima, trasformazioni legate: o a nuove e
superiori esigenze comunitarie (fondamentalmente - specialmente in Oriente -
quella di migliorare la produttività agricola e il rendimento delle terre, e
di organizzare la difesa dai nemici esterni…) o, altre volte, risultato
delle lotte instauratesi tra differenti tribù (e ciò soprattutto in
Occidente).
Un'ultima osservazione sulle società gentilizie: mentre gli Stati futuri
saranno caratterizzati da una fondamentale (e spesso col tempo sempre più
marcata) disparità sociale, le tribù gentilizie (nelle quali pure già
iniziano a formarsi le prime distinzioni di carattere sociale: venendo ad
esempio le donne solitamente preposte ai mestieri più umili, la categoria
dei servi a quelli più pesanti, quella dei capi alle attività decisionali,
ecc.) sono ancora fondamentalmente "democratiche", nel senso che vige in
esse - soprattutto rispetto alle successive formazioni sociali - una
sostanziale parità tra i soggetti che compongono la comunità. Una
eguaglianza che, con l'evoluzione del lavoro e con la sua frammentazione in
mansioni sempre più specialistiche, finirà per essere fortemente
ridimensionata.
Lo Stato asiatico e quello occidentale: due strade opposte e complementariAl
termine della fase gentilizia, si sviluppa una nuova forma di organizzazione
sociale, detta Stato. Caratteristica di quest'ultimo è il fatto di essere
una struttura politica e organizzativa che è base di comunità decisamente
più ampie e più complesse di quelle tribali (nascendo infatti dall'unione
e/o dallo scontro tra diversi clan o tribù), e di collocarsi come tale a uno
stadio più avanzato dello sviluppo sociale dell'umanità.
Come si è già accennato però, non bisogna credere che un tale tipo di
struttura sorga ovunque in modi e tempi fondamentalmente affini. Al
contrario, vi sono un'infinità di diversi modi di concepire e organizzare lo
Stato. Di questi - in modo schematico, ma utile - vogliamo ricordare prima
di tutto quello basato sulle caste e quello basato sulle classi, in ragione
della loro opposizione e della loro complementarietà: tali modalità infatti,
tendono a riflettersi l'una nell'altra come in uno specchio che rovesci
un'immagine nel suo esatto contrario!
Non è necessario inoltre, ricordare una volta di più come i due "modi" qui
analizzati siano in gran parte delle astrazioni, delle idee-guida,
estremamente utili al fine di orientarsi nella complessità reale delle forme
storiche degli Stati, antichi e moderni, anche se non sempre vere in senso
'letterale'.

- Lo Stato asiatico o delle caste
Giunte a un certo grado di sviluppo, le tribù si trovano (molto
probabilmente principalmente a causa dell'aumento della popolazione, quindi
delle maggiori esigenze alimentari) nella condizione di dover organizzare in
modo più efficiente la propria produzione, e assieme a essa la propria
capacità difensiva nei confronti di popolazioni esterne - i popoli nomadi -
da parte delle quali sono spesso oggetto di incursioni e razzie.
Un chiaro esempio di questo tipo di situazione ce lo fornisce l'Egitto
antico il quale - come la Francia medievale per la transizione, comune a
molti popoli europei, dal feudalesimo alla monarchia nazionale - è un ottimo
modello di Stato asiatico. Le differenti tribù, organizzate attorno a centri
urbani (o pre-urbani) e situate sulle sponde del Nilo, si riuniscono prima
in due Stati indipendenti (quello a sud e quello a nord) e successivamente
in un unico regno, dominato da un Sovrano assoluto, detto Faraone.
Una tale opera di unificazione è il prodotto della volontà e del bisogno -
da parte delle diverse comunità locali - di cooperare in funzione di
obiettivi comuni, il cui conseguimento è potentemente facilitato
dall'instaurazione di un'organizzazione gerarchica piramidale, detta Stato.
E' in un contesto di questo tipo appunto, che si sviluppano i grandi Stati
asiatici, il cui fondamento è l'attiva collaborazione tra differenti
località, fortemente indipendenti tra loro (perché disperse di solito in
zone estremamente ampie e a scarsa densità demografica). Tale collaborazione
è impostata su un tipo di divisione del lavoro di carattere funzionale :
ogni categoria sociale - detta casta - è infatti caratterizzata da una
propria mansione o attività sociale.
Così, se da una parte vi è la gran massa dei lavoratori agricoli, cioè la
classe produttrice, dall'altra vi è quella dei funzionari (che sono
ovviamente di diversi tipi: alcuni più legati alle realtà locali, altri a
quelle centrali) i quali sovrintendono all'organizzazione dei lavori di
pubblica utilità (public works) sia a livello locale che globale. Al culmine
di tutto poi, si trova il Faraone con la sua corte, che incarna - in senso
sia pratico che simbolico - il vertice stesso dello Stato.
Si parla di caste, e non di classi, perché un tale tipo di società è divisa
tra diverse 'funzioni' produttive (ognuna incarnata da una diversa figura
sociale: il Faraone, lo scriba, il contadino…), le quali rimangono
fondamentalmente invariate col passare del tempo, mantenendo così invariata
la stessa struttura della società. Non è un caso, infatti, che le società
asiatiche abbiano conosciuto un'evoluzione interna quantitativamente molto
inferiore a quelle occidentali - ad esse, come vedremo, per molti versi
strutturalmente antitetiche - di tipo classista.
Nella concezione di fondo dello Stato asiatico prevale quindi il concetto
della cooperazione, cioè di un'organizzazione sociale (statica) finalizzata
al mantenimento - per un tempo virtualmente indefinito - di una determinata
forma di organizzazione produttiva, basata su una divisione del lavoro che
si esprime nelle caste : differenti categorie di lavoratori (funzionari
statali, contadini, guerrieri, sacerdoti…), preposte ciascuna ad assolvere
una propria mansione all'interno della più ampia catena del processo
produttivo della società.
- Lo Stato occidentale
Mentre in Oriente lo Stato sorge nel segno dell'armonia e della
collaborazione (pur con tutti i limiti che ciò implica), in Occidente esso
nasce invece nel segno della lotta e dell'antagonismo.
Se in Oriente difatti, prevalgono geograficamente i larghi spazi, che
rendono più improbabile lo scontro fisico tra diversi clan, accentuando al
tempo stesso tra essi la consapevolezza della necessità di un aiuto
reciproco (il che appunto è alla base stessa della loro scelta di
'federarsi'), in Occidente prevale invece l'aspetto di rivalità e di
competizione tra differenti tribù al fine di conquistarsi il predominio su
una determinata area geofisica, oggetto (spesso a causa proprio della
mancanza degli spazi vitali) di contesa.
Alla collaborazione si sostituisce qui la guerra come cardine o perno alla
base della costruzione dello Stato: un dato che lascerà un'impronta
profondissima nei suoi futuri sviluppi, e ciò peraltro fino ai nostri
giorni!
L'evento tipico alla base della formazione delle società occidentali - lo si
vedrà bene nella storia dell'Ellade - consiste nell'invasione da parte di
alcuni popoli, di solito popolazioni nomadi, di determinati territori con la
conseguente sottomissione delle popolazioni indigene. Solitamente quindi è
il fenomeno dell'espropriazione la base dello Stato occidentale, e con
esso - sua diretta conseguenza - la spartizione delle terre conquistate tra
i popoli invasori, attraverso l'idea della proprietà privata.
Un'idea quest'ultima che non a caso è pressoché inesistente all'interno
delle società asiatiche - quantomeno nei primi periodi -, nelle quali tutte
le terre sono giuridicamente proprietà del Sovrano, e tutti i cittadini di
conseguenza sudditi privi (o quasi) di diritti individuali: servitori di
quel Signore-Dio che si pone al vertice della piramide sociale.
Così se nelle società e negli Stati di carattere orientale (strutturati su
una base gerarchica di tipo piramidale) prevale totalmente o quasi la
dimensione collettiva, diversamente quelli occidentali sono caratterizzati
dalla contrapposizione tra due fasce sociali, di cui una si spartisce - in
una condizione di sostanziale parità sociale, almeno inizialmente - le terre
sottratte alle popolazioni indigene, prima sottomesse e successivamente
schiavizzate.
Volendo possiamo dire che, mentre le società orientali sono
"assolutistiche", fondate cioè su un'autorità assoluta (come ad esempio, in
Egitto, quella del Faraone), quelle occidentali sono invece "oligarchiche",
in quanto basate su una minoranza (che può tuttavia essere anche
maggioranza, da un punto di vista quantitativo) i cui beni e privilegi si
fondano sull'espropriazione ai danni delle popolazioni precedentemente
insediate sui propri territori, uscite sconfitte nella dura lotta per la
conquista degli spazi vitali.
Il surplus produttivo

Un altro dato fondamentale delle società umane fin dai tempi più remoti, è
quello dell'accumulo di un surplus produttivo, ovvero di un'eccedenza di
beni rispetto alle immediate esigenze di consumo di colui o di coloro che li
hanno prodotti. E' appunto un tale surplus a permettere non solo la
sopravvivenza e la crescita della popolazione, ma anche la concreta
possibilità di edificare i 'simboli' stessi del potere dello Stato, come ad
esempio le grandi opere pubbliche tipiche degli Stati asiatici (ancor prima
che di quelli occidentali antichi) o le manifestazioni di sfarzo di
personaggi particolarmente potenti e di spicco (soprattutto negli Stati
occidentali).
La differenza tra questi due tipi di società e tra le concezioni ad essi
sottese, emerge molto chiaramente anche esaminando il diverso rapporto che
esse intrattengono con un tale surplus. Nelle società asiatiche infatti
quest'ultimo non diviene proprietà dell'individuo o degli individui che lo
hanno generato, ma resta al contrario un 'bene comune' di cui tutti i
cittadini (almeno formalmente) hanno diritto di usufruire; viceversa in
quelle occidentali - "privatistiche" - un tale surplus diviene proprietà,
come del resto i beni effettivamente consumati, di colui che lo ha prodotto.
Anche dall'analisi di questi aspetti dunque, emerge chiaramente il carattere
individualistico delle società occidentali, in contrapposizione a quello
collettivistico e comunitario di quelle orientali.
Non è un caso, che queste ultime siano fondamentalmente un prolungamento
delle più arcaiche strutture tribali (nelle quali, come si è visto, vige
fondamentalmente una condizione di parità tra gli individui del clan), come
dimostra il fatto che il potere statale centrale si innesta su poteri locali
di carattere ancora essenzialmente gentilizio, incarnati da quelle comunità
locali che dall'intervento del potere centrale traggono cospicui vantaggi di
carattere produttivo (quali la costruzione di opere pubbliche come dighe,
canali, ecc.) - oltre ovviamente ad obblighi di carattere fiscale e morale.
Mentre dunque negli stati asiatici il lavoro è 'immediatamente sociale',
poiché i prodotti di esso vengono spartiti - pur con palesi ineguaglianze -
tra i componenti delle diverse caste, in quelli occidentali tali prodotti
divengono, o meglio sono fin dall'inizio, proprietà di qualcuno (ovvero del
proprietario delle terre, degli schiavi, ecc. alla base della produzione)
che, in quanto tale, può disporne a proprio piacimento. Ed è proprio da tale
libertà che ha origine - nelle società occidentali - la pratica del
commercio.
Il commercio in Occidente e in Oriente
Il fenomeno degli scambi non è propriamente occidentale, e nemmeno
propriamente asiatico. In qualsiasi contesto è naturale tra diversi
individui 'scambiare' ciò che si ha in eccedenza con ciò di cui si ha
bisogno, in base al principio della reciproca convenienza. Ma non basta
questo a costituire un commercio né tantomeno un mercato.
Per arrivare a questo è necessario che gli scambi siano 'irregimentati', che
escano cioè dalla fase puramente istintiva e irriflessa nella quale il
passaggio della merce è un fatto che riguarda semplicemente i suoi attori,
senza essere per nulla legato a una volontà di accumulazione sistematica dei
prodotti da parte di qualcuno (ai danni, magari, di qualcunaltro). In questa
prima fase 'ingenua', lo scambio è ancora essenzialmente mero baratto.

Questo tipo di transazioni rimarranno (e rimangono ancora oggi, forse) un
dato di fondo consistente anche nelle società occidentali, nelle quali
tuttavia un ruolo primario ha oramai assunto il mercato. Nelle società
asiatiche poi, pur sviluppandosi col tempo una forma di commercio con
l'esterno, soprattutto in relazione a popoli marginali e semi-nomadi (come
ad esempio i celeberrimi Fenici, o i Berberi) specializzati nel favorire
transazioni commerciali tra regioni tra loro anche estremamente distanti, il
baratto rimarrà a livello locale la regola e non certo l'eccezione.
Negli stati classisti, viceversa, la possibilità dei singoli produttori di
disporre liberamente dei prodotti delle proprie terre darà impulso molto
presto al commercio, inteso come pratica di scambio sistematica (da un certo
momento sostenuta anche dall'invenzione della moneta [1] ) finalizzata
all'accumulo di ricchezze private.
Una tale pratica inoltre - nonché in generale la tendenza di alcuni soggetti
all'accumulazione privata, ai danni chiaramente degli equilibri interni
della comunità -, laddove si svilupperà (esistono difatti anche esempi di
civiltà occidentali che tendono a rifiutare questi fenomeni, una per tutte
la società spartana), porterà come diretta conseguenza alla nascita di
disparità sociali all'interno anche della stessa 'classe dominante', quella
cioè dei conquistatori e dei 'liberi'.
E' in questo secondo tipo di contesto che diviene possibile la nascita delle
classi : gruppi sociali - tra loro differenti sia per quantità di ricchezze
possedute che per interessi, valori… - che tendono a rapportarsi tra loro in
modo conflittuale (nonostante la possibilità di trovare delle convergenze su
problemi e su scelte concrete), dando vita così a quel meccanismo - detto
appunto "lotta di classe" - che è il motore stesso del dinamismo delle
società di tipo occidentale, in contrasto con l'immobilismo del mondo
asiatico!
Anche da questo punto d'osservazione si può arguire quale profonda
differenza sussista tra le società asiatiche, fondate su un sistema sociale
fondamentalmente chiuso e immobile (le caste), e quelle occidentali, fondate
al contrario sulla lotta tra interessi e punti di vista differenti
(incarnati da quelle realtà economico-politiche, in continua evoluzione, che
sono appunto le classi), e le implicazioni che tali differenze non possono
non avere sul piano dello svolgimento storico delle due differenti forme di
Stato!
[1] Ma il fatto che siano le società occidentali a sviluppare maggiormente
il commercio, anche attraverso l'uso della moneta, non deve indurre a
credere che quest'ultima sia una loro invenzione: al contrario, pare che
essa sia nata in Lidia, per iniziativa quindi di 'popoli mercantili'
specializzati - come si è già detto - nel favorire le transazioni
commerciali tra i più vasti Stati del Vicino Oriente (come ad esempio
l'Egitto o la Mesopotamia).
Alcuni esempi di Stati antichi
Dopo aver affrontato il discorso sullo Stato in un'ottica per così dire
teorica e astratta, vogliamo ora provare a fornire alcuni esempi di Stati
antichi, per mostrare come le astratte categorie sopra descritte possano
trovare una concreta applicazione nell'analisi di casi storici specifici. Si
vedrà così ad un tempo sia il carattere molto spesso riduttivo di tali
categorie, sia i vantaggi che esse possono fornire per comprendere lo
svolgimento storico non solo del mondo antico, ma anche di quello moderno.
A) Esempi di Stati asiatici
Egitto e Mesopotamia
L'Egitto è l'esempio più classico di Stato asiatico basato sulle caste: ne
ha difatti tutti i connotati. A partire da una stabilità interna quasi
immobilistica (le sue tradizioni, infatti, non muteranno che di poco col
passare dei secoli; e così la sua peculiare struttura sociopolitica, basata
su un rigido controllo da parte degli organi centrali dello stato su tutte
le regioni e su tutti gli aspetti della vita del Regno: compresi, e
soprattutto, quelli economici e produttivi!), per giungere all'estrema
chiusura nei confronti di contaminazioni e influssi culturali esterni
(sentiti ovviamente come potenziali sovvertitori di tradizioni millenarie)
fino all'estremo conservatorismo che caratterizza le sue strutture
istituzionali (le caste dominanti difatti, saranno sempre quella dei
guerrieri e quella dei sacerdoti - questi ultimi coadiuvati dagli scribi o
funzionari statali - : cioè il braccio armato da una parte e la classe
portatrice del sapere, di quel know how che sta alla base di ogni civiltà,
dall'altra).

La Mesopotamia si trova, dal punto di vista geofisico, in una condizione
molto diversa rispetto all'Egitto, un fattore che inevitabilmente la porterà
a sviluppare delle strutture politiche e sociali da esso per molti aspetti
differenti. La decantata stabilità interna dello Stato nilotico infatti, la
cui politica separatistica nei confronti delle regioni circostanti è resa
possibile anche e soprattutto da condizioni geografiche molto favorevoli,
non è neanche immaginabile in una regione come quella mesopotamica, situata
in una zona affacciantesi su vaste regioni montane non del tutto sterili, e
oggetto quindi non solo di continue incursioni da parte di popoli nomadi e
di continui 'rimpasti' sul piano delle dinastie regnanti, ma anche di una
rivalità costante tra le proprie città-Stato per conquistare una posizione
di predominio interno (lo Stato - o meglio gli Stati mesopotamici - saranno
infatti sempre delle federazioni di città-Stato politicamente, almeno
tendenzialmente, autonome).
Il carattere asiatico di tali formazioni politiche si manifesterà tuttavia
nella perenne tendenza alla formazione di Imperi unici, sempre soggetti però
a rapidi declini, dovuti a frequenti rivolte da parte delle città
sottomesse: Imperi insomma, affetti da un cronico problema di instabilità
politica!
Anche gli Stati mesopotamici inoltre, saranno soggetti al dominio di caste
di sacerdoti, guerrieri e funzionari statali, emanazione dei poteri
centrali.
B) Esempi di Stati misti
Oriente: stati mercantili;
Occidente: stati oligarchici-conservatori (Sparta) e stati di tradizioni
miste (Etruria)
Esamineremo ora alcune situazioni 'in controtendenza' rispetto alle
tradizioni dominanti sia in occidente che in oriente. Da una parte infatti,
per vari ordini di motivi, troviamo in Occidente stati dalla cui storia e
dalle cui scelte è sorto un assetto solo in parte classista (ancora legati
quindi, in buona misura, a una concezione di tipo "funzionale" dei ceti
sociali, non basati cioè sulla proprietà privata); mentre dall'altra
troviamo, nelle regioni asiatiche, popoli - cui peraltro viene attribuita
l'invenzione della moderna moneta - la cui attività principale non è la
produzione di una ricchezza volta al consumo interno (come accade invece nei
paesi propriamente asiatici o di casta), bensì la redistribuzione su scala
internazionale di beni prodotti dai più vasti Stati circostanti : in altri
termini il commercio.
Per cominciare dal Vicino Oriente, parliamo dei Fenici, cioè dell'esempio
più tradizionale di Stato mercantile asiatico, versato fin dalle proprie
origini nel commercio marittimo e le cui rotte si spingono a occidente fin
sulle coste dell'Africa e a oriente su quelle della Grecia - passando
ovviamente per l'isola di Creta (come vedremo meglio più avanti).

Dei Fenici ci parla abbondantemente già Omero, soprattutto nell'Odissea,
descrivendoli come un popolo di commercianti e di pirati (il commercio e
l'attività meramente predatoria infatti, si confondono ancora fortemente tra
loro, dato il bassissimo sviluppo di regolamentazione degli scambi!).
Può apparire paradossale il fatto che proprio in Oriente, laddove cioè il
commercio dovrebbe essere attività pressoché inesistente, venga a crearsi il
fenomeno dei popoli-mercanti. Un tale fatto tuttavia è il prodotto proprio
della diffusa impreparazione dei popoli di quell'area nell'affrontare e nel
portare avanti questo tipo di attività, neglette eppur necessarie!
Anche in Occidente troviamo svariati esempi di "Stati misti": uno, molto
celebre, è costituito da Sparta, l'altro invece dalla civiltà etrusca. Nel
primo caso, un tale tipo di conformazione mista è innanzitutto il risultato
di un'esigenza pratica: quella di una ristretta minoranza della popolazione
di conservare il dominio politico e militare su una fetta molto più vasta,
da essa mantenuta in una condizione servile o comunque fortemente
minoritaria; nell'altro caso, invece, essa è il prodotto oltre che di
fattori abbastanza simili a quelli precedenti, anche - quasi certamente - di
un retaggio culturale di stampo asiatico (legato alle origini di tale
popolo).
In entrambi gli Stati, troviamo una minoranza (classe/casta) proprietaria
delle terre (discendente di antenati che hanno sottomesso gli originari
abitanti delle regioni su cui essi ora risiedono… i quali, nel caso degli
Etruschi, si trovavano molto probabilmente a un livello di sviluppo
decisamente inferiore rispetto agli invasori) la quale ha costituito uno
Stato di tipo militare.
Nel caso di Sparta, la popolazione dominatrice - al fine di salvaguardare
l'unità politica e militare interna - ha scelto la via della condivisione
dei beni, bandendo cioè la proprietà privata e, con essa, gli squilibri e le
disparità sociali a essa legate (le quali porterebbero all'insorgenza di una
lacerante lotta di classe tra la stessa popolazione dominante). Si ha così
una netta contrapposizione tra le popolazioni esproprianti (proprietarie -
seppure collettivamente - delle terre), e quelle espropriate e asservite, o
comunque residenti in zone periferiche e prive di diritti politici.
Il caso etrusco è in parte differente. Meno accentuati sono infatti in esso
gli aspetti militaristici della dominazione, anche a causa del minore
squilibrio numerico esistente tra invasori e invasi, e meno rigide le norme
vigenti all'interno della comunità dominante (ovvero l'aristocrazia
etrusca): più elastica quindi la stessa proibizione della proprietà privata.
I nobili si spartiscono così le terre, avendo ognuno un proprio appezzamento
su cui risiedere e in cui sviluppare una vasta rete clientelare privata.
In ogni caso, anche nell'Etruria è forte l'esigenza di compattezza da parte
di una fascia ristretta della popolazione, al fine di fronteggiare eventuali
ribellioni delle popolazioni asservite, tenute a bada anche attraverso lo
strumento della sudditanza psicologica (oltre che con le armi).
Come si accennava, non va poi dimenticata come causa di un tale sviluppo non
pienamente occidentale, pure in regioni nelle quali la conformazione fisica
del territorio lo favorisce, l'origine probabilmente asiatica degli
etruschi. Si suppone infatti una loro provenienza dalle regioni anatoliche.
Se ciò fosse vero, i loro antenati sarebbero appartenuti ad etnie sfuggite
alle devastazioni del XII secolo a. C. (i segni delle quali sono presenti un
po’ su tutta l'area mediterranea orientale) ed approdate successivamente, al
termine di peregrinazioni via mare, sopra le coste tirreniche dell'Italia
centrale.
C) Esempi di Stati classisti occidentali
Città-stato greche e italiche; l'evoluzione del mercato nel mondo
occidentale moderno.
Oltre agli Stati 'misti', si sviluppano nelle regioni europee e occidentali
anche degli Stati di carattere integralmente classista. Le città-stato
greche, una su tutte Atene, ne sono un chiaro esempio. Anche in Italia,
sotto l'influenza greca e cartaginese, ma anche per motivi autonomi, si crea
una cultura molto favorevole agli scambi e ai commerci, all'appropriazione
privata delle terre e all'accumulazione dei beni. Di un tale sviluppo sarà
massima espressione la civiltà romano-latina, che porterà tali caratteri al
loro apogeo.
Esamineremo meglio più avanti queste strutture, soprattutto in relazione al
mondo greco. Sottolineiamo qui però come i dati fondanti di tali società
siano appunto: a) il libero sviluppo della proprietà privata (che qui può
infatti svilupparsi senza - o quasi - limiti di carattere giuridico e
politico) e, assieme ad essa, la nascita delle prime diseguaglianze sociali
(inizialmente, soprattutto quella tra piccoli e grandi possidenti terrieri);
e b) , come conseguenza di tali squilibri, le prime manifestazioni della
lotta di classe, cioè dello scontro politico tra diverse fasce sociali
caratterizzate in gran parte dal differente livello di reddito (lotta della
quale la democrazia ateniese, e gli stessi stati oligarchici temperati, sono
una testimonianza molto eloquente).


Il modello propriamente 'moderno' di società, del quale noi occidentali
siamo tuttora gli eredi principali (nonché gli esportatori a livello
mondiale o globale), affonda le sue radici proprio in un tale contesto
culturale e politico. E' da quelle particolari concezioni infatti, che sorge
l'odierna "società del mercato", come risultato di uno sviluppo e di una
diffusione amplissima del commercio, ovvero della mercificazione dei
prodotti: un fatto la cui origine risiede appunto nella possibilità -
propria delle formazioni politiche di tipo occidentale e classista - di
un'accumulazione pressoché illimitata di beni da parte di singoli soggetti
privati. [2]
[2] Riepilogando: la proprietà privata rende possibile l'appropriazione e
l'accumulazione dei beni da parte dei singoli individui. Anche se ciò non
implica logicamente che si sviluppi il commercio, quest'ultimo diviene la
naturale conseguenza dell'accumulo di un'eccedenza non direttamente
consumabile da parte del produttore, il quale perciò scambia (rivende) tali
prodotti e ne accumula così degli altri.
La crescita delle attività commerciali (che col tempo divengono sempre più
ampie e articolate) porterà queste ultime a rivestire un ruolo sempre più
centrale all'interno delle società classiste, fino allo sviluppo
dell'odierna società capitalistica (nella quale l'accumulazione e il
reinvestimento della ricchezza monetaria, sono in pratica l'unica forma
possibile di ricchezza).
Un confronto tra feudalesimo e strutture statali asiatiche
Differenze e somiglianze tra i due sistemi
Per concludere questa breve ma significativa carrellata sui vari tipi di
Stato e d'organizzazione delle attività produttive, vogliamo soffermarci qui
avanti sinteticamente su due tipologie di società per alcuni versi molto
simili, seppure per altri estremamente differenti: quella feudale
occidentale da una parte, e quella più propriamente asiatica (già descritta
sopra) dall'altra.
Prova indiscutibile della loro somiglianza è il fatto che esse siano state
spesso confuse tra loro (magari volontariamente) anche da insigni storici e
filosofi della storia… insomma dagli stessi esperti del settore! Le affinità
e le profonde diversità tra di esse saranno dunque l'oggetto dei prossimi
paragrafi.
Come si è detto, nelle società asiatiche la divisione del lavoro tra
differenti categorie sociali (contadini, funzionari statali, scribi, ecc.) è
la base della società stessa. Mantenendosi inalterata la struttura del
lavoro all'interno della società (espressa dalle caste), si mantiene
inalterata anche la società. Il carattere 'immobilistico' è infatti uno dei
dati distintivi essenziali dell'oriente rispetto all'occidente.
Altro dato fondamentale, è il fatto che - geograficamente - le società
orientali (dei grandi spazi) siano un insieme di comunità locali (ancora di
natura gentilizia) che cooperano attraverso un potere centrale molto rigido,
quasi trascendente (ad esempio, il Faraone).

Anche l'assenza di appropriazione privata dei prodotti e quindi del
commercio privato, determina una struttura molto dissimile da quella
tipicamente occidentale. Il lavoro - come già si diceva - è in esse
immediatamente sociale, e la produzione è finalizzata al consumo e non allo
scambio (essa cioè non si traduce da 'valore d'uso' in 'valore di scambio').
Nelle società feudali (tipica è quella sorta in Europa al termine delle
invasioni barbariche e con lo smembramento territoriale e
politico-istituzionale dell'Impero romano) troviamo elementi molto simili
alla prima, collocati comunque in un contesto di fondo - quello classista -
ad essa antitetico.
Elementi accomunanti tra le due sono: la presenza di forti autorità e di
forti poteri locali, dovuta allo strapotere dei feudatari (non
controbilanciato però, a differenza che nelle società asiatiche, da
un'autorità centrale); un basso grado di sviluppo delle forze produttive
(cioè delle tecniche che sono alla base della produzione sociale); l'assenza
o quasi di commerci (ovvero un arretramento, almeno in occidente, a forme di
scambio basate sul baratto).
Oltre a tali macroscopiche affinità, vi sono però anche delle differenze
altrettanto macroscopiche - anche se forse meno evidenti a un'analisi
affrettata.
Essenzialmente, esse ruotano attorno al concetto di proprietà privata, un
concetto virtualmente assente all'interno del mondo asiatico! Dal momento
infatti che, nel sistema feudale, i poteri locali non sono 'asserviti' al
potere centrale del sovrano, ma godono al contrario di una grande autonomia
(in quanto i feudatari sono proprietari delle terre su cui risiedono), lo
'Stato feudale' si riduce praticamente a nulla (può apparire infatti una
contraddizione anche solo accostare questi due termini). L'assenza di un
potere centrale comporta poi degli svantaggi palesi: cioè una scarsa
coesione interna tra i poteri locali, un perenne stato di guerra (almeno
latente), e inoltre l'assenza dei public works (di quelle opere pubbliche
volte cioè ad ottimizzare la produttività interna)!
Complessivamente, quindi, possiamo dire che lo stato feudale sia, in linea
di massima, una forma di arretramento dello Stato classista nelle sue forme
più floride (commerciali), una sua involuzione e un momento di passaggio
verso nuove forme produttive (come accade al termine del feudalesimo, con la
rinascita dei centri urbani). D'altra parte, bisogna notare come gli Stati
asiatici tendano spesso a feudalizzarsi, nella misura in cui i poteri locali
ambiscono a tradire l'autorità centrale dello Stato e a divenire poteri
autonomi (cioè padroni di se stessi) - un fatto esemplificato dalla storia
dell'Egitto, segnata dalla lotta tra il faraone e le caste più alte, quella
dei sacerdoti e di altri poteri di carattere terriero.
Le civiltà dei Palazzi: Minoici e Micenei

La popolazione della Grecia classica e preclassica fu il prodotto di vari e
successivi rimescolamenti etnici: non ebbe quindi - come, più o meno, tutto
ciò che riguarda la storia di tale regione - un carattere stabile e univoco.
Sommariamente possiamo dire che la composizione etnica del periodo ormai
maturo della Grecia fu il risultato della fusione tra i più antichi abitanti
delle zone elleniche (i Pelasgi) e le diverse popolazioni di stirpe nordica
(indoeuropea) che, ad ondate successive, invasero tali territori fondendosi
poi con le stirpi originarie.
Sono due, secondo la storiografia moderna, gli episodi chiave delle grandi
invasioni da nord: a) il primo è situato all'inizio del II millennio a.C. ,
b) l'altro invece sul finire di esso.
Dalla prima invasione sorsero i "Regni Achei" o micenei (soggetto dei due
grandi poemi omerici, oltre che di gran parte della mitologia greca), così
definiti dal nome degli Achei, ovvero dei primi popoli invasori, mentre
dalla seconda scaturì la civiltà del cosiddetto "Medioevo Ellenico", di quel
periodo buio cioè al termine del quale avrà inizio la civiltà propriamente
greca.



1- La civiltà minoica
Prima di descrivere la società e le vicende storiche del continente greco
nel periodo miceneo, è opportuno dare uno sguardo d'insieme agli eventi che
precedettero tali vicende: sia a quelle della Grecia pre-micenea, che a
quelle della civiltà minoica (la quale anticipò e sotto molti aspetti
influenzò, seppure piuttosto superficialmente, la successiva civiltà
continentale micenea).
- La Grecia continentale pre-micenea e la prima grande migrazione (XIX sec.)
Brevemente, per quanto riguarda la Grecia prima della grande invasione dei
popoli indoeuropei (avvenuta, come si è detto, verso il 1900 a.C.), si può
dire che essa fu caratterizzata da civiltà di tipo agricolo e rurale, ancora
allo stadio neolitico (quello cioè della produzione ceramica), definite
rispettivamente di Sesklo e di Dimini.
E' da notare inoltre il fatto che, al termine della prima invasione dei
popoli indoeuropei, non si verificò (come avvenne invece al termine della
seconda invasione, nel XIII sec.) un radicale cambiamento
nell'organizzazione sociale di tali aree. Ciò avvenne molto probabilmente a
causa del minore avanzamento tecnologico dei popoli invasori. In altri
termini, nei secoli successivi alla prima grande migrazione vi fu quasi
certamente un periodo di assimilazione culturale al termine del quale le
popolazioni achee - fatta propria in qualche modo la civiltà delle
popolazioni indigene - riuscirono a emergere e imporsi su di esse, divenendo
così la casta dominante di una nuova società, detta appunto micenea.
Bisogna notare inoltre come queste prime invasioni indoeuropee (come del
resto quelle successive) non riguardarono solo e unicamente i popoli
ellenici, bensì piuttosto un po' tutto il bacino dell'Egeo, quindi gli
stessi popoli del Vicino Oriente ! E' un fatto inoltre che tali invasioni -
a differenza di quelle del XIII sec. - non ebbero un carattere
fondamentalmente distruttivo, essendo al contrario caratterizzate dalla
fusione tra i popoli invasori e quelli indigeni, e che inoltre diedero
spesso origine a nuove e fiorenti civiltà, quali ad esempio quella micenea
in Grecia, o quella dell'Impero Ittita nelle regioni orientali
dell'Anatolia.
Questa prima migrazione - che possiamo considerare relativamente
'non-traumatica' - ebbe quindi delle implicazioni positive sulla futura
storia del mondo egeo. Essa diede vita difatti a delle formazioni statali
che, anziché basarsi sull'espropriazione dei popoli vinti da parte dei
conquistatori, e su strutture privatistiche fortemente decentrate rispetto
al potere del sovrano, furono caratterizzate da un tipo di organizzazione
politica di carattere comunitario o 'di casta' (cfr primo paragrafo).
La civiltà cretese (XXI sec. - 1400)

Ma la primissima storia greca non fu soltanto storia del continente. Essa
difatti iniziò anche da quella grande isola - divenuta molto presto un ponte
tra il Vicino oriente e l'Occidente Egeo - che fu Creta.
Se i caratteri della civiltà che si sviluppò su quest'isola furono in gran
parte antitetici - soprattutto da un punto di vista culturale - rispetto a
quelli della società micenea o Achea, ciò si spiega facilmente sulla base
della due differenti situazioni geografiche e del differente ceppo etnico
dei minoici rispetto ai popoli che abitavano la Grecia continentale.
Alle rudi popolazioni contadine del continente, si contrapposero infatti -
più o meno nello stesso periodo - le popolazioni raffinate ed "edoniste"
dell'isola di Creta, prodotto tanto della ricchezza dei traffici con
l'Oriente quanto della mitezza del clima cretese, non avido certo né dei
frutti della terra né di quelli del mare! Né dobbiamo del resto dimenticare
l'origine nordica e guerriera delle popolazioni achee (mescolatesi, come si
è detto, a partire dal diciannovesimo secolo a quelle originarie
pelasgiche), i cui caratteri si rifletteranno molto bene nella cultura
guerriera del periodo miceneo.
Anche a Creta - come avverrà poi in Grecia, sotto la dominazione micenea -
le formazioni politiche furono caratterizzate da: a) una struttura sociale
fortemente gerarchizzata (che verteva attorno alla figura del sovrano e alla
sua corte) , e b) un notevole frazionamento territoriale (secondo una
dimensione che anticipa quella delle future città-stato greche) che
contrappone tali realtà a quelle, territorialmente molto più vaste, del
Vicino oriente!
Per quanto riguarda la struttura sociale di tale civiltà, essa era divisa
tra caste differenti: in alto si trovavano appunto i nobili e ricchi (i
quali hanno lasciato ovviamente i più cospicui segni del proprio passaggio);
socialmente intermedi erano poi coloro le cui attività (artigianali e
'commerciali') ruotavano essenzialmente attorno alla corte e alle sue
esigenze, essendo dipendenti quindi dalla vita interna al Palazzo; in ultimo
infine si trovavano coloro che svolgevano attività di 'bassa manovalanza',
quelle preposte cioè alla mera sussistenza e alla produzione dei beni di
consumo più elementari (ovvero quelli alimentari): contadini, pescatori…
Come nelle civiltà tipicamente asiatiche, anche a Creta le eccedenze
alimentari e produttive erano raccolte in depositi di carattere pubblico
(situati all'interno del Palazzo reale), divenendo così una proprietà di
tipo collettivo anziché dei privati cittadini.
Una peculiarità della civiltà minoica, che la rende peraltro ai nostri occhi
quasi irreale (un po’ come la mitica civiltà dei Feaci descritta
nell'Odissea), è il fatto che essa - se si escludono i periodi finali,
segnati dall'invadenza militare degli Achei - non abbia lasciato alcun segno
della presenza di attività belliche al proprio interno, anche solo a scopo
di difesa. I ritrovamenti fatti nelle città, per esempio, non lasciano
trapelare traccia alcuna di mura difensive. Già difesa naturalmente dal
mare, e dalla scarso sviluppo tecnologico delle vicine popolazioni
continentali, essa non avvertiva il bisogno di fortificarsi contro eventuali
invasioni dall'esterno. Al proprio interno inoltre, essa non conosceva
probabilmente attriti tanto forti da suscitare vere e proprie necessità
militari.
Anche la civiltà minoica - come tutte le civiltà della storia umana -
conobbe differenti fasi, oltre che periodici declini (legati forse a
disastri naturali, o all'invasione di popoli esterni…) dai quali seppe però
risollevarsi velocemente e - almeno nel caso della misteriosa distruzione
del secolo XVIII - più sana e vitale di prima.
Un ultimo cenno va fatto poi al ruolo di intermediatrice che essa svolse,
assieme alla successiva civiltà micenea, tra le regioni del mondo orientale
e quelle del mondo occidentale. Nei traffici infatti (chiamiamo così quelle
forme di scambio, non ancora basate sulla moneta o su misure standardizzate,
anche se estendentesi già ben oltre le realtà meramente locali) essa trovò
un fattore essenziale di splendore e di ricchezza interna, oltre che di
irraggiamento della propria cultura a livello - per così dire -
internazionale.
La presenza di queste attività di scambio, portate avanti non solo
ovviamente dai Minoici, ma anche dai Fenici e in generale dai popoli
orientali, testimonia inoltre la forte unità sia commerciale che culturale
raggiunta dal mondo mediterraneo già nel secondo millennio prima di Cristo:
un'unità che, come si vedrà, verrà in poco tempo spazzata via dalla seconda
grande migrazione di popoli indoeuropei, quella cioè avvenuta nel
tredicesimo secolo (e i cui segni si possono vedere più o meno in tutte le
regioni in questione: dalla Grecia fino all'Egitto).
2- La civiltà micenea
- Introduzione: struttura monarchica e centralistica delle società micenee,
zone di diffusione e centri principali
Come si è già accennato, la società micenea si distingue profondamente da
quella minoica per ciò che concerne gli aspetti culturali e di sentire, meno
tuttavia riguardo a quelli organizzativi e istituzionali.
Mentre difatti il mondo minoico pare esser caratterizzato da un generale
benessere e da uno spirito gaudente e raffinato, estraneo quindi ai valori
tipicamente guerrieri e in generale ad idealità basate su qualità 'virili'
(come attesta anche il ruolo primario che in essa detiene la donna, al
centro non solo della società ma anche della religione: si pensi allaPotnia,
la Grande madre, che costituiva il fulcro dell'antica religiosità minoica, e
più in generale di quella egea!), il mondo miceneo ci appare al contrario
contraddistinto da valori e idealità guerresche peculiarmente maschili.

A cosa sia dovuta una tale differenza non è facile a dirsi, quantomeno in
modo certo. E' probabile però che fattori quali il clima e la conformazione
geografica del territorio continentale (più aspro e ostile alla presenza
umana) abbiano contribuito a foggiare l'animo dell'uomo greco in modo molto
differente da quello cretese. A ciò si aggiunga inoltre il senso di
insicurezza dovuto alla costante possibilità di invasioni da nord (quale
appunto quella Achea), e si capirà - anche se in via del tutto ipotetica -
il perché di tali profonde diversità.
Resta il fatto però, che la civiltà achea farà proprie molte componenti
della civiltà minoica : dalla scrittura alla navigazione, alla pratica del
commercio su basi marittime (ovvero sulle lunghe distanze). Un altro
elemento che accomunerà queste due civiltà, infine, sarà la struttura stessa
della società, essenzialmente palaziale e 'asiatica' (seppure, come si
vedrà, con delle componenti che la avvicinano già alle future formazioni
occidentali e greche).
Ma quali zone della Grecia continentale furono maggiormente interessate dal
fenomeno miceneo?
Come avverrà per i successivi sviluppi del mondo greco, anche in questo
periodo le zone di maggiore sviluppo saranno quelle situate nella parte
sud-orientale di esso: in quell'area cioè che partendo dall'Etolia (nella
parte centro occidentale) giunge fino alla Laconia (in quella sud
orientale). Il tutto, in questi anni, con particolare riferimento alla zona
dell'Argolide. In essa difatti si trovarono i maggiori centri della civiltà
micenea : da Micene (da cui essa prende il nome), a Argo e a Tirinto. Altri
importanti centri micenei furono poi Atene nell'Attica, Orcomeno e Tebe
nella zona beotica, Pilo in quella peloponnesiaca più meridionale.
E' evidente inoltre che, dato il superiore livello di sviluppo dell'area in
questione rispetto alle zone circostanti, essa abbia esercitato una forte
influenza ed egemonia su di esse … oltre che - quantomeno a partire dal XV
sec. circa - sull'isola di Creta.
- Rapporti tra Cretesi e Micenei
Intendiamo, qui avanti, analizzare la relazione esistente tra queste due
civiltà sia da un punto di vista astratto (cercando cioè di individuare tra
esse i fattori di fondo di somiglianza e di dissomiglianza), sia dal punto
di vista delle loro concrete relazioni storiche, anche - per quanto
possibile - su un piano evenemenziale.
Una somiglianza sostanziale tra queste due civiltà la possiamo scorgere nel
tipo di organizzazione politica che le caratterizza, di struttura
essenzialmente piramidale, tutta convergente cioè nella figura del sovrano;
e oltre a ciò, nella loro frammentazione in piccoli stati (i quali, come già
si è detto a proposito di Creta, preludono alle future città-stato d'epoca
classica).
L'unità tra i diversi centri locali si limitò, forse, alla formazione di
leghe a scopo militare, che si scioglievano di solito al termine della
guerra per cui erano sorte (un fatto chiaramente testimoniato dall'Iliade di
Omero). Tali centri infatti tendevano in tempo di pace, per ragioni di
ordine geografico, a condurre un'esistenza tra loro fondamentalmente
autonoma e indipendente.
In questa sostanziale assenza di unità, e quindi nello spirito
individualista e 'anarchico' tanto della civiltà minoica che di quella
micenea, ci è dato di scorgere anticipatamente i caratteri morali e politici
che contraddistingueranno le future organizzazioni statali, il cui stile si
può dire già pienamente occidentale, della Grecia!
Elementi invece di stridente diversità tra esse sono senza dubbio quelli
legati al carattere guerriero degli Achei, in contrasto con quello pacifico
e gioioso dei popoli Cretesi del periodo minoico.
Non bisogna considerare difatti solo tale diversità spirituale, ma anche le
conseguenze a essa connesse: cioè la pratica costante o frequente della
guerra, le forti aspirazioni imperialistiche ed espansive (basate spesso su
azioni di carattere militare) nonché in generale il carattere predatorio
della società micenea, tutti aspetti discendenti appunto dalle sue
inclinazioni guerriere.
Non infrequenti dovettero essere infatti le azioni belliche ai danni di
altre popolazioni, e a volte forse anche tra stati consanguinei, con la
conseguenza che presto si sviluppò - attraverso la pratica della riduzione
in schiavitù dei vinti - una prima forma di produzione servile o schiavile.
Tutti elementi quasi certamente estranei alla società minoica (oltre che a
quelle del Vicino oriente asiatico, nelle quali la schiavitù rivestì sempre
un carattere marginale), e che inoltre preannunciarono molti dei caratteri
dell'economia delle società occidentali future.
Vi sono poi dei punti di somiglianza dinamici, in quanto sorti
dall'influenza esercitata dai Minoici sulle popolazioni del continente, in
particolare su quelle achee.
Tra essi troviamo prima di tutto la pratica del commercio e quella della
navigazione, attività estranee (soprattutto la seconda) alle popolazioni
indoeuropee provenienti dalle zone interne dell'Europa, e comunque poco
sviluppate nel mondo pre-miceneo (anche dato il basso livello di
produttività, e la scarsa presenza di eccedenze da impegnare nei traffici).
E' da notare inoltre che i Micenei, appresa in un certo qual senso fin
troppo bene la lezione dei Minoici, arrivarono a soppiantare l'egemonia di
questi ultimi sul mare Egeo (definita "talassocrazia"), ereditandone così la
missione di civiltà guida dei popoli marittimi circostanti, ed estendendo al
tempo stesso il raggio di tale azione anche attraverso la fondazione di
colonie, sia in Asia minore che in Italia.
La fine della civiltà minoica si fa risalire comunemente all'invasione da
parte degli Achei avvenuta nel XV secolo (1475?), con la conseguente
distruzione dei Palazzi sedi del potere precedente - in particolare quello
di Cnosso. Fu questo molto probabilmente l'evento principale nel quale le
due civiltà si incontrarono e si scontrarono, e comunque è l'unico di cui ci
sia giunta notizia.
Esso - se avvenne - segnò in un certo senso il passaggio di consegne da una
civiltà all'altra; altrimenti si deve dedurre che il declino autonomo di
Creta abbia favorito o comunque accelerato l'affermazione della civiltà
micenea a livello egeo.
- La struttura interna della società micenea
La società micenea era impostata (come, del resto, tutte le società sorte
dal superamento delle fasi associative di carattere gentilizio) su rapporti
gerarchici estremamente rigidi, fondati su di una piramide di poteri
statica, alle cui estremità si trovavano da una parte delle realtà di tipo
locale (damoi), eredità appunto della precedente fase tribale, e dall'altra
il sovrano (wanax) che deteneva ruoli amministrativi e militari.
Punto controverso è il ruolo detenuto dalla classe intermedia tra il popolo
e la corte, ovvero l'aristocrazia (divisa tra il lawaghetas, il nobile
principale, e i lawoi, la nobiltà territoriale), e soprattutto il tipo di
rapporto che essa intratteneva con i territori (temenoi) su cui era
insediata. In altri termini, è in questione l'esistenza o meno di una prima
forma di proprietà privata - la quale, seppure esisteva, era comunque
certamente in stretta connessione con il potere del sovrano, dal quale
derivava.
Secondo alcuni storici non si può infatti parlare, per le società micenee,
di una esclusiva proprietà della terra da parte del sovrano (come invece
accadeva nella maggior parte degli stati orientali: per esempio l'Egitto).
Ciò poiché l'invasione dei territori, innestatasi sul precedente possesso
territoriale delle popolazioni pelasgiche, avrebbe reso meno definitivo il
diritto di proprietà dei conquistatori. Di conseguenza, secondo questa
teoria, gli Achei si sarebbero limitati a pretendere dalle popolazioni
asservite il pagamento di tributi e il rispetto di vincoli di fedeltà, senza
tuttavia espropriarle totalmente dei loro beni: in altri termini, alla
"proprietà orientale" del re si sarebbe qui sostituito un concetto per così
dire attenuato: quello di "sovranità", i cui futuri sviluppi sarebbero
germogliati proprio in occidente.
Se una tale teoria è vera, allora è molto probabile che negli stati micenei
si sia sviluppata una prima forma di proprietà indipendente dal potere del
Principe, sia per ciò che riguarda la nobiltà, sia per ciò che riguarda
coloro che - peraltro proprio principalmente sotto l'impulso e per
soddisfare le commissioni dei componenti della corte - praticavano attività
di scambio con altre regioni. Anche le popolazioni originarie, inoltre,
avrebbero goduto di una relativa autonomia rispetto ai poteri del wanax e
della sua corte.
A prescindere da una tale questione comunque, è indiscutibile che la società
achea fosse basata su un potere centrale estremamente forte, dalle cui
decisioni dipendevano (forse in modo totale, forse no) i diversi poteri
locali.
Un altro aspetto caratteristico della civiltà micenea è la pratica frequente
di incursioni ai danni delle popolazioni circostanti, specialmente di quelle
delle vicine regioni anatoliche.
Da tali guerre di conquista derivavano ai nobili e ai sovrani non solo
ricchi bottini (come ampiamente attestato dalle loro sepolture), ma anche un
notevole apporto di manodopera schiavile - un apporto che col tempo si fece
sempre più indispensabile, divenendo così nelle società classiche una delle
basi pricipali (se non la principale) della produzione.
Un altro fenomeno connesso alla pratica delle attività belliche fu la
fondazione di molteplici colonie, avamposti non soltanto militari ma anche
commerciali, diffuse sia sulle coste dell'Asia minore che su quelle
dell'Italia meridionale!
Tali insediamenti costituiranno inoltre la base dei futuri flussi migratori
sia ellenici sia dorici (XII sec.), oltre che di quelli della "Seconda
grande colonizzazione", avvenuta tra IX e VIII secolo.
L'Iliade e l'Odissea, preziose fonti sul mondo miceneo
Punto d'avvio della tradizione letteraria classica, l'Iliade e l'Odissea non
sono per noi moderni solo delle grandissime opere d'arte, ma anche
preziosissime fonti di conoscenza del mondo Miceneo. Non che tali poemi
siano stati composti in questo periodo (le ragioni della loro composizione
verranno analizzate nel prossimo paragrafo), essendone al contrario una
rivisitazione in chiave poetica fatta da uno o più autori d'età arcaica
(cioè tra il IX e l'VIII sec.) Essi comunque, per quanto certamente poco
attendibili sotto molti aspetti, rimangono la principale sorgente di
informazioni non archeologiche sull'età micenea.
Mentre l'Iliade narra di una spedizione di guerra fatta congiuntamente da
diversi stati micenei ai danni della città di Ilio, dandoci in questo modo
un esempio (più o meno affidabile) di come tali imprese dovessero svolgersi,
l'Odissea al contrario ci può fornire (attraverso la descrizione del regno
di Ulisse, dei rapporti sociali e politici in esso vigenti, della
distribuzione delle attività…) preziose informazioni su come fosse
organizzata una tipica società di Palazzo micenea.
Ci limiteremo qui avanti a delle brevi osservazioni su ciò che si può
evincere da tali opere, cominciando dalla più antica, l'Iliade, e passando
poi a quella più moderna, l'Odissea.

Quel che appare in grande evidenza dall'Iliade della società micenea è il
carattere guerriero e i valori eroici (pur forse in gran parte prodotto di
un'idealizzazione successiva, quella del poeta e della civiltà di cui era
espressione, cfr prossimo paragrafo) che la caratterizzavano.
Si possono poi fare inoltre svariate osservazioni, a cominciare dalla
fondamentale anarchia vigente tra i diversi stati, pure riuniti sotto il
potere di un sovrano considerato (in gran parte solo formalmente) il più
potente e il primo su tutti gli altri. Se ne evince allora che: a) l'unica
unità possibile tra gli stati micenei si riduceva alla composizione di leghe
militari in tempo di guerra, e che b) la loro coesione reale doveva essere
nei fatti molto debole, se non inesistente.
Non è dato inoltre di scorgere una forte presenza di tipo sacerdotale, nel
mondo descritto dai poemi omerici. La sola presenza che richiami questo tipo
di mansioni è quella dell'indovino Calcante. La quasi totale assenza di
questo tipo di figure potrebbe essere dovuta al soggetto stesso dell'opera,
ma è comunque molto probabile che ciò sia dovuto invece a un dato
strutturale del mondo miceneo (e che si ritroverà poi nel mondo classico).
Per quanto riguarda l'Odissea invece, ciò che essa ci dice del mondo miceneo
è di portata decisamente più ampia. La seconda parte infatti, quella che
narra la vicenda del ritorno in patria dell'eroe, è l'occasione per
descrivere un mondo oramai perduto anche per l'autore. Vi si intravedono
così i rapporti sociali sussistenti nel mondo miceneo, non solo da un punto
di vista della gerarchia dei poteri ma anche da quello umano e affettivo.
Essa ci lascia immaginare così un mondo in cui i sovrani vivono fianco a
fianco con i loro servi e schiavi, in un rapporto che è sì affettuoso e
confidenziale ma anche profondamente gerarchizzato! Caratteristica di
Odisseo infatti, è il non disdegnare i lavori umili (come la costruzione
della zattera che lo porterà sull'isola dei Feaci), ma anche l'essere
oggetto di venerazione da parte del porcaro Eumeo e il poter rivendicare,
come sovrano, una fedeltà pressoché assoluta da parte dei componenti della
comunità di Itaca.
Si può scorgere inoltre, nelle pieghe delle vicende narrate, la struttura
fisica della società di Palazzo, con la reggia di Ulisse che è il centro e
il punto di convergenza di svariate attività: la pastorizia, l'allevamento
del bestiame, la pratica delle attività di tipo artigianale (connesse
soprattutto alla lavorazione dei metalli), e le attività tipicamente
femminili (si pensi alla tela di Penelope…) Anche se non si può parlare di
una descrizione completa del mondo miceneo, sono in ogni caso presenti in
tale opera svariati indizi che ci aiutano a farcene un'immagine.
Non si deve dimenticare inoltre che anche l'Iliade abbonda, nelle sue molte
digressioni sulla vita dei personaggi, di descrizioni riguardanti la loro
esistenza quotidiana, e indirettamente anche di quella dei loro sudditi.
Un ultimo cenno va fatto infine alle tavolette in lineare A e B (le prime
rimaste ancora indecifrate), ritrovate sia a Micene che a Pilo e a Cnosso.
Si tratta di una sorta di contabilità interna dei palazzi di tali città,
importanti sia per conoscere le attività che si volgevano al loro interno,
sia come testimonianza dell'esistenza di una scrittura (per la verità ancora
molto lontana da quella alfabetica, più veloce e facile da utilizzare…
insomma, più popolare) la cui invenzione è forse dovuta a influenze
orientali e in particolare egizie.
La pratica della scrittura quindi, sarebbe giunta a Creta dal Vicino
Oriente, e da lì sarebbe stata trasmessa ai Micenei.
Essa scomparirà con la fine delle civiltà 'palazziali', riapparendo - anche
se stavolta in forma alfabetica - nel periodo greco arcaico, cfr prossimi
due paragrafi) di nuovo per l'influenza dei popoli orientali.
Il "Medioevo ellenico" o la fine dei Palazzi
Dopo la fase micenea o dei Palazzi, iniziò per la storia greca un'epoca
oscura e colma di inquietudine, il cosiddetto Medioevo ellenico, ovvero
quell'epoca buia che fece seguito alla relativa ricchezza e prosperità della
civiltà precedente.
Una delle peculiarità di questo periodo è di avere lasciato ben poche tracce
del proprio passaggio, e di essere stato perciò molto spesso assimilato e
confuso con il periodo precedente e con quello arcaico successivo.
In realtà però anche questa seconda fase ebbe delle peculiarità proprie, per
le quali si pose all'origine dei successivi sviluppi della società ellenica,
sviluppi di carattere tipicamente occidentale. Per tale ragione - e
nonostante le inevitabili difficoltà che per noi la sua conoscenza
comporta - un tale periodo di transizione va studiato attentamente e inteso
nei suoi specifici tratti di fondo.

Detto questo, bisogna ricordare anche come gli sconvolgimenti che a partire
dal XIII secolo devastarono il mondo miceneo e in generale la fiorente
civiltà egea, non furono per nulla un fatto isolato.
Negli stessi secoli difatti, anche le zone dell'entroterra asiatico
(dall'Anatolia, sede degli Ittiti, alla Mesopotamia, comprese le zone a nord
di essa, fino all'Egitto) risentirono di sconvolgimenti interni spesso non
meno distruttivi di quelli della Grecia, e sempre causati da movimenti
migratori di carattere violento. E' chiaro poi che, data la diversità del
contesto di partenza, tali eventi diedero luogo in quelle regioni a
formazioni statali estremamente differenti da quelle sviluppatesi nello
stesso periodo in Grecia e in occidente.



1- Un quadro generale della grande migrazione del tredicesimo secolo
Fu il ferro il grande protagonista di questi anni ! Molto probabilmente esso
fornì difatti alle popolazioni del nord - la seconda ondata di genti
'indoeuropee' - il dirompente strumento che sbaragliò le difese di una
civiltà, quella mediterranea, decisamente più progredita in quanto maturata
nei secoli, e nei millenni, precedenti (civiltà che tuttavia già da alcuni
decenni attraversava, in zone come la Grecia, un autonomo declino).
Così, se l'epoca precedente, coincidente temporalmente con la civiltà
micenea e con quella ittita, viene definita dagli storici "Età del Bronzo",
il successivo periodo viene denominato invece "Età del Ferro", e fatto
iniziare più o meno concordemente con le invasioni e le devastazioni
indoeuropee del XIII secolo, ovvero con il generale declino di quella che
era stata la precedente civiltà.
- Prospetto generale delle trasformazioni del mondo asiatico e mediterraneo
Alla base di tutto vi fu forse il movimento degli Illiri, popolazioni
situate a nord della Grecia le quali, partendo dalle loro sedi originarie e
mettendo in moto altre popolazioni, determinarono una sorta di 'effetto
domino'. Gli effetti di tali spostamenti si avvertirono così un po’ in tutta
l'area egea e in quella vicino orientale, dalla Grecia all'Anatolia alla
Mesopotamia.
In Grecia, per esempio, tali popoli coinvolsero nella propria discesa anche
le popolazioni doriche e quelle nord occidentali. Il tutto poi con
pesantissime ripercussioni sugli equilibri delle zone più interne e
storicamente più 'interessanti', quella cioè che partendo dall'Etolia
giungono fino al Peloponneso.
Quanto all'Anatolia invece, si pensa che furono soprattutto i Traci, spinti
in avanti dall'invasione illirica, a invaderla. In Oriente invece furono gli
Assiri (un'etnia estremamente aggressiva situata nelle regioni a nord della
Mesopotamia, e le cui innovative tecniche belliche colsero di sorpresa i
popoli asiatici) ad approfittare della situazione di destabilizzazione
politica dovuta alle invasioni per sottomettere le zone circostanti: dalla
Babilonia, nel X secolo, fino all'Egitto nel VII.
Ma furono soprattutto i cosiddetti "Popoli del Mare" (molto probabilmente un
miscuglio di differenti popolazioni alla ricerca di terre su cui insediarsi,
e la cui corsa fu infine fermata dall'esercito egiziano) a guidare le
scorribande migratorie nell'area asiatica.
Queste poi le conseguenze principali che tali eventi ebbero sulla precedente
compagine degli stati: 1) la scomparsa - o quantomeno una profonda
trasformazione - dei regni Micenei, assieme a quella (pressoché totale)
dell'Impero ittita; 2) l'instaurarsi di un dominio assiro sulla più antica
civiltà babilonese, nonché successivamente sulle zone limitrofe e su quelle
a sud; 3) ed infine la chiusura politica dell'Egitto (un paese da sempre
caratterizzato da marcate tendenze isolazionistiche, dalle quali però nei
secoli precedenti, costretto anche dalla generale apertura tra gli stati
asiatici, si era fortemente emancipato).
Collocandoci poi su un piano complessivo, possiamo parlare di una brusca
interruzione - o comunque di un ridimensionamento - delle comunicazioni e
dei traffici, quindi anche delle contaminazioni culturali, tra le regioni
che avevano composto la precedente unità mediterranea (nazioni i cui
interessi ed approvvigionamenti dipendevano appunto da tale unità).
Un'interruzione che, non soltanto in Grecia ma in tutto il mondo
mediterraneo, durerà per alcuni secoli.
E' estremamente probabile infine - come attestato anche da una lunga
tradizione storiografica, risalente ancora agli storici antichi - che gli
Etruschi fossero in origine delle popolazioni anatoliche che, in fuga dalle
proprie sedi verso le regioni occidentali, raggiunsero le regioni italiche.
- Situazione del Mediterraneo orientale e del Vicino Oriente al termine
delle invasioni indoeuropee
Come facilmente intuibile, le conseguenze di tali invasioni - oltretutto
estremamente violente - su società ancora 'primitive', le cui basi non erano
certamente solide, poiché fondate su tecniche produttive e su strutture
politiche ancora estremamente fragili, furono sconvolgenti! Da una parte vi
furono le molteplici e inevitabili devastazioni legate alle guerre,
dall'altra vi fu la sostituzione delle vecchie 'classi dirigenti' (cresciute
nei secoli precedenti ed espressione del clima che in essi si era andato
formando) con le nuove, decisamente più "barbare" e più primitive.
A ciò si aggiunga poi: un forte arretramento nelle tecniche produttive [1],
il collasso dello stato e della quantità dei traffici (un fatto dovuto sia a
un'ormai minore produzione dei beni d'uso, sia - e soprattutto - alla
scomparsa di molti popoli precedentemente dediti ad attività mercantili, sia
infine alla generale insicurezza delle vie di transito), ed infine, molto
probabilmente, anche la diminuzione della popolazione. (Fattori simili
peraltro a quelli che, mutatis mutandis, caratterizzeranno anche l'inizio
del Medioevo cristiano.)
Si interruppe insomma quel clima di serena comunione tra popoli legati - più
o meno direttamente - al Mediterraneo orientale, che aveva caratterizzato
l'epoca precedente, sia nell'area egea che in quella medio orientale. E un
tale cambiamento di rotta determinò (essendone al tempo stesso anche una
manifestazione) un impoverimento generalizzato, tanto materiale che
culturale, delle zone in questione.
Soltanto i Fenici costituirono un'eccezione a questo clima di chiusura. Essi
infatti continuarono a portare avanti gli scambi commerciali: un'attività
nella quale ora (e per un lungo periodo) detennero un primato pressoché
assoluto.
Non fu un caso poi se essi tesero a sviluppare i loro traffici
prevalentemente verso l'occidente, cioè verso l'Africa e la Spagna, in
quanto zone ricche di metalli e non toccate da tali eventi traumatici.
[1] Perché un simile arretramento delle forze (ovvero delle tecniche)
produttive? Semplicemente per la precarietà - vista la fondamentale assenza
di scrittura e di strumenti che potessero tramandare la sapienza antica - di
quel 'know how' che a esse era sotteso. Inevitabilmente infatti i barbari
spazzarono via, assieme a molti elementi materiali (quali monumenti, strade,
ecc.) della civiltà precedente, anche un gran numero di conoscenze di
carattere tecnico. E si faticò poi molto, attraverso un processo che
richiese certamente parecchio tempo, a riscoprirle.
2- La trasformazione della Grecia e delle vicine coste egee tra XII e IX
secolo:
nascita di nuovi regni e prima colonizzazione greca
Dopo avere delineato la situazione complessiva che fece seguito alle grandi
migrazioni del XIII/XII secolo, affronteremo qui di seguito un tale evento
in relazione alla Grecia continentale e insulare e alle regioni costiere
dell'Asia anteriore (oggetto, a loro volta, di invasione e di colonizzazione
da parte dei Greci).
Come già abbiamo fatto per il mondo mediterraneo, ci soffermeremo prima sui
fatti, cioè sia sulle migrazioni indoeuropee che su quelle a esse connesse
(in quanto determinate dalle prime, e con le quali inoltre spesso si
fusero), e successivamente ci occuperemo delle trasformazioni di ordine
sociale e politico cui tali sconvolgimenti diedero luogo, non solo sul
continente europeo.

- Movimenti di popoli in Grecia e dalla Grecia
Gli eventi che sconvolsero la Grecia nel XIII secolo (e al termine dei quali
sorsero delle nuove società) passarono alla storia come "invasioni doriche",
dal nome di alcuni popoli situati a nord della Grecia (nella regione del
Pindo) che, a quanto pare, detennero in essi un ruolo primario.
Ma, come già si è detto, tale flusso migratorio non fu prima di tutto
dorico, bensì indoeuropeo e illirico. Questi popoli infatti, nella loro
discesa verso le regioni meridionali, dotati tra l'altro di micidiali armi
in ferro (ancora totalmente sconosciute ai popoli egei), finirono per
smuovere dalle loro sedi alcune popolazioni della Grecia settentrionale (i
Dori e i Tessali) rafforzando così l'effetto delle proprie incursioni.
Come gli Illiri avevano scacciato molti Tessali dalla Tessaglia e molti Dori
dal loro territorio originario, il Pindo, così le popolazioni miste che
invasero le regioni della Grecia centro-meridionale indussero molto
probabilmente gran parte dei loro abitanti a fuggire, con le seguenti
conseguenze: a) le etnie Eoliche (situate nella zona a Nord) fondarono sulle
coste anatoliche settentrionali (antistanti alle loro regioni originarie)
delle proprie colonie; b) le etnie Ioniche (per la verità le meno toccate
dalle invasioni doriche) fondarono invece le colonie ioniche; c) le etnie
Achee, situate nelle regioni più a sud, cioè in Argolide e nel Peloponneso,
dopo essere rifluite a nord (Ionia, Etolia, Beozia, ecc.), presero
probabilmente parte alle precedenti migrazioni.
Anche i Dori non si fermarono, dopo l'acquisizione delle regioni meridionali
della Grecia, cioè l'Argolide e il Peloponneso, e passarono a conquistare
sia le isole meridionali (compresa Creta, che divenne una delle sedi della
civiltà dorica nel mar Egeo) sia le coste meridionali dell'Anatolia
occidentale.
Al termine di questo flusso migratorio troviamo dunque la Grecia
centro-meridionale divisa in tre distinte zone: a) quella eolica (la più a
nord), b) quella ionica (nella parte centrale: Eubea, Attica, Cicladi), c)
quella dorica (all'estremo sud).
A esse corrisposero a grandi linee poi tre zone coloniali sulle coste
asiatiche, poste loro immediatamente di fronte: a) le colonie eoliche
(nord), b) quelle ioniche (centro), c) quelle doriche (sud).
Era così oramai delineata quella che sarebbe stata la conformazione etnica e
politica del mondo ellenico, fino peraltro al periodo classico!
- Trasformazioni sociali e istituzionali nel mondo ellenico
Come si è detto, le incursioni del XIII secolo ebbero pesanti conseguenze
non solo sulla distribuzione delle diverse etnie sul suolo ellenico, ma
anche sul loro stile di governo. Queste nuove forme di dominio poi, emerse
tutte - più o meno direttamente - da tali eventi, portarono con sé dei
fenomeni nuovi, quali ad esempio la proprietà privata, i primi governi su
base aristocratica o oligarchica, i fondamenti delle future poleis d'età
classica… oltre a tutta una serie di trasformazioni che anticiperanno molti
aspetti dei regimi politici dei prossimi secoli.
Analizzeremo qui avanti i seguenti punti: a) il passaggio dalle società
monarchiche (di Palazzo) a quelle aristocratiche, b) il ruolo delle colonie
negli sviluppi della civiltà greca, c) le sopravvivenze della civiltà achea
e micenea nelle regioni egee, d) il discorso sullo sviluppo della proprietà
privata nelle sue due opposte forme: quella più propriamente personale e
quella invece collettiva o 'di casta'.
a) le società oligarchiche
Abbiamo visto come le società di Palazzo fossero il risultato di invasioni
prevalentemente non violente: non a caso esse riflettevano, nelle proprie
strutture, le condizioni pacifiche e il graduale processo storico dal quale
erano sorte. Erano difatti fondamentalmente società piramidali, in cui le
decisioni più importanti dipendevano dall'autorità del sovrano (wanax),
vertice di un'organizzazione sociale fondata su una cooperazione incessante
tra le diverse classi (o meglio caste) che la componevano.
Le società sorte dall'invasione dorica (e in generale dal processo di
riassestamento delle popolazioni greche) riflettevano invece ben altra
condizione di partenza: quella dell'espropriazione violenta delle terre da
parte di una popolazione conquistatrice, ai danni dei suoi precedenti
abitatori. A partire da questa considerazione, si può capire quale profonda
diversità sussistesse tra la civiltà Micenea e quella "feudale" successiva.
Da una parte, mentre nel mondo miceneo la proprietà era interamente del
sovrano, ovvero vigeva (implicitamente) una forma di proprietà collettiva,
in quelle post-micenee la proprietà divenne una prerogativa esclusiva di una
parte minoritaria della popolazione, ovvero i conquistatori, cui si
contrapponeva la 'plebe' asservita ed espropriata. Da una struttura
piramidale si passò così ad un'altra di tipo orizzontale, o comunque fondata
su due condizioni sociali parallele: quella dei vinti e quella dei
vincitori.
Dall'altra - fatto non meno importante - mentre nel mondo miceneo era
fondamentale la figura del sovrano, che costituiva il vertice stesso della
piramide sociale, in quelle 'doriche' era il gruppo dominante ad assolvere
un simile ruolo egemone. Non più quindi un singolo individuo e una singola
autorità, bensì piuttosto un gruppo di individui posti su un piano di
fondamentale parità (dovuto all'appartenenza a una medesima etnia e, spesso,
a una stessa famiglia o stirpe, il ghenos). Quella dell'età buia insomma, fu
una società di tipo oligarchico, basata sul "governo dei pochi", anziché,
come quella precedente, una società monarchica di matrice assolutistica.
Ma l'esistenza effettiva del sovrano e del Palazzo divenne impossibile - a
ben osservare la situazione - anche per un'altra ragione: il ruolo del
Palazzo era stato in passato quello di servire da collettore delle eccedenze
alimentari (come in tutte le società di tipo asiatico, del resto), o come
punto di irraggiamento dei commerci (alimentati dalle commissioni della
corte, o pianificati da questa in vista di esigenze di carattere
collettivo), o si era comunque basato su aspetti della vita sociale allora
molto vivi, ma oramai virtualmente inesistenti. Appare insomma chiaro che,
in un contesto fortemente impoverito come quello che fece seguito alle
invasioni doriche, le esigenze connesse alla funzione regale diminuissero
drasticamente, e con esse quindi il ruolo dell'autorità del wanax e quella
del Palazzo.
Non si vuole dire con questo che, da un momento all'altro, l'istituzione
monarchica scomparve, ma piuttosto che essa - pur sopravvivendo per un certo
periodo, come vestigio del tempo passato, o come espressione di una
gerarchia interna ai popoli invasori vigente ancora ai tempi delle guerre di
conquista - tese gradualmente ad atrofizzarsi, per la perdita di un ruolo e
di un significato reale. Già prima del X secolo, difatti, non vi fu più
traccia - o quasi - dell'istituto monarchico nel mondo greco (se si
eccettuano alcuni sporadici esempi interni e altri nelle regioni
periferiche, come la Macedonia e l'Epiro).
Differenze essenziali tra il mondo miceneo e il mondo 'dorico' (quello sorto
cioè dagli stravolgimenti causati dalle incursioni violente dei popoli
dorici) furono quindi: a) la mancanza nel secondo di un centro di potere
forte, dal quale dipendessero le realtà locali; e b) la conquista del potere
politico da parte di una classe aristocratica (di stampo militare) che si
contrappose alla massa della popolazione originaria, da essa espropriata dei
propri diritti e delle proprie terre.
Altre implicazioni di questo discorso verranno analizzate più avanti.
Occupiamoci ora del ruolo delle colonie asiatiche nell'economia degli stati
greci.
b) Il ruolo svolto dalle colonie nella storia greca arcaica
Nelle trasformazioni del mondo ellenico dopo il XII secolo, un ruolo molto
particolare ebbero le colonie asiatiche, e ciò peraltro fino al periodo
successivo, quello arcaico.
Esse infatti svolsero due funzioni essenziali per la civiltà greca: a)
svilupparono una prima coscienza 'nazionale', un primo senso di patria e di
appartenenza culturale (che contagiò poi anche i Greci europei); b)
assolsero ad una preziosa funzione di assimilazione di motivi e influssi
provenienti dalle civiltà asiatiche (anatoliche, fenicie, mesopotamiche ed
egizie), all'avanguardia come sempre da un punto di vista
tecnico-scientifico e ricche di suggestioni culturali.
Per tali ragioni, furono proprio le colonie asiatiche a porre molte delle
basi della futura cultura greca. Non a caso difatti, alcuni dei più grandi
esponenti di essa - uno tra tutti, Omero - provennero proprio da esse.
Un aspetto che da subito iniziò a emergere nelle zone greco-asiatiche - e
soprattutto in quelle ioniche - fu la 'nostalgia' per la madrepatria, per i
costumi e per la lingua originari, non solo a causa della distanza da essa,
ma anche a partire da un contesto - quello dei popoli asserviti -
decisamente differente e estremamente ostile. Le colonie difatti, si
mantennero sempre molto legate (almeno idealmente) alle proprie terre
d'origine: un fattore alimentato dall'ostilità delle etnie da esse
sottomesse, con le quali molto probabilmente non fu possibile istituire un
dialogo.
Fu insomma a partire dalla distanza dai propri usi e costumi di provenienza,
che i coloni svilupparono la consapevolezza di essere greci, trasmettendola
successivamente alle regioni di provenienza.
L'altro aspetto non fu forse così immediato. Inizialmente difatti anche
l'Oriente (pur così antico e così ricco di suggestioni) non ebbe molto da
offrire alla cultura greca. La recente migrazione aveva difatti fortemente
destabilizzato anche tali aree e provocato una loro temporanea regressione.
Solo nei secoli successivi, con lo svilupparsi di un nuovo assetto politico
stabile, esso poté costituire di nuovo una fucina di idee e di stimoli per
l'occidente.
In Anatolia, per esempio, si affermarono prima il regno dei Frigi (nella
zona orientale) e poi quello dei Lidi (in quella più occidentale);
nell'entroterra asiatico invece l'Impero assiro la fece da padrone un po’
ovunque (compreso l'Egitto, anche se per un periodo breve) dal IX fino
all'VIII/VII secolo.
Fu soprattutto dai Lidi però che le colonie greche, nel periodo finale del
cosiddetto 'Medioevo ellenico', ricevettero i maggiori stimoli. Da tali
popoli infatti esse raccolsero due invenzioni fenomenali, che posero le basi
dei futuri sviluppi non solo della Grecia, ma dell'intera umanità: a) la
moneta (intesa in senso moderno), e b) la scrittura alfabetica (più veloce e
comoda di quella geroglifica, più facile quindi da utilizzare).
Ma anche in campo letterario le colonie diedero un apporto fondamentale, con
la stesura tra il X e il IX secolo dei due celebri poemi omerici (ad opera
di una figura "semi-storica", il poeta Omero), nei quali veniva rievocata
l'antica civiltà micenea, oramai appartenente ad un passato mitizzato, che
assumeva quindi un forte valore simbolico. Tali opere difatti assommavano in
se stesse sia gli ideali eroici dell'aristocrazia greca conquistatrice, sia
il rimpianto di essa per la propria patria e per le proprie gloriose
origini.
Va però ricordato di nuovo, che gli apporti più rilevanti provenienti sia
dalle colonie orientali che dalle vicine civiltà asiatiche, si collocarono
quasi tutti sul finire dell'epoca buia, quando cioè la situazione cominciava
a stabilizzarsi, permettendo così alle energie intellettuali e creative fino
ad allora rimaste compresse e inutilizzate di potersi nuovamente esprimere.
c) Sopravvivenze delle civiltà micenee
La scomparsa, in seguito alle incursioni indoeuropee del XIII secolo, delle
civiltà di Palazzo micenee, non significò però quella della cultura achea.
Le popolazioni achee, infatti, continuarono a esistere e - sebbene con forti
limitazioni - a portare avanti le proprie antiche tradizioni (artistiche,
religiose, ecc.)
Nel complesso tuttavia, all'epoca delle società piramidali e 'cooperative'
fece seguito quella delle nuove società, fondate sull'espropriazione (un
discorso che non vale solo per i Dori, ma anche per quei popoli greci che -
cacciati dai primi dalle proprie sedi originarie - molto spesso si trovarono
costretti a porre in atto un analogo meccanismo di espropriazione, ai danni
ovviamente di altre popolazioni.)
La pratica della violenza ai fini del dominio su territori contesi tra
diverse etnie divenne insomma un fatto molto comune, e si ruppe così l'unità
linguistico-culturale (anche se non politica) sorta nel corso dei secoli
precedenti tra le diverse zone dell'Ellade.
Ma in che modo e in che misura gli Achei, o meglio le popolazioni eoliche e
quelle ioniche, espressione di oramai antiche civiltà, poterono perpetuare
le proprie tradizioni e la propria identità culturale, in un mondo tanto
fortemente trasformato?
Sul territorio greco il clima politico era profondamente mutato, e ciò anche
in quelle zone (come l'Attica e l'Eubea) nelle quali le incursioni doriche
non erano giunte direttamente. Ma nelle isolette minori dell'Egeo, poste al
di fuori del grande flusso storico, essi poterono conservare ancora a lungo
sia la propria cultura che le precedenti strutture sociali (ne fanno fede ad
esempio, le tombe a tumulo che sono state ritrovate in alcune di esse). Un
discorso abbastanza simile vale poi per le colonie ioniche e eoliche,
laddove però i Greci dovettero combattere e difendersi dall'ostilità degli
indigeni (con conseguenze ad esempio sul tipo di governo, che fu, come era
del resto in Grecia, di tipo aristocratico e militare).
Un discorso a sé merita infine l'isola di Cipro, e non solo in relazione ai
greci. In essa difatti, i popoli del Mare non arrivarono, ragion per cui
Cipro si conservò intatta dalle trasformazioni che tali incursioni portarono
laddove giunsero.
In tale isola si sviluppò una sorta di civiltà mista, acheo-fenicia (essa
difatti è posta immediatamente davanti alla Siria), nella quale molto
probabilmente un gran numero di caratteri delle civiltà precedenti poterono
conservarsi con singolare vigoria.
In ogni caso, complessivamente, il mondo egeo subì - sia sul piano
culturale, che su quello politico - una profonda trasformazione, che annullò
molte delle precedenti scoperte (anche tecniche, come ad esempio la
scrittura lineare d'origine cretese) del periodo precedente. Il mondo greco
passò quindi attraverso le forche caudine di una sorta di Medioevo, per
risvegliarsi però al suo termine - come del resto accade di solito per tutti
i 'Medioevi' - più maturo e più ricco di prima !
d) I due sviluppi della proprietà aristocratica
Come si è detto, la base storica dei nuovi stati fu l'atto stesso con cui
gli invasori espropriarono delle loro terre le popolazioni indigene (o che
comunque in essi risiedevano da più lungo tempo). Per tale ragione, la
società si divise tra una casta dominante e una subordinata (composta in
prevalenza dagli antichi residenti).
A partire da un tale atto di espropriazione, si comprende in che modo
insorgesse l'uso della proprietà privata (nel senso escludente ed
'esclusivo' del termine) delle terre ad opera di una fascia della
popolazione, più o meno ristretta, e ai danni di un'altra. Si formò difatti
una classe/casta dominante - dove il termine classe sta a indicare un gruppo
di individui proprietari, inizialmente solo a titolo collettivo, delle terre
su cui risiedevano (senza, quindi, alcuna funzione delegata rispetto a
un'autorità superiore: quella del re), mentre il termine casta indica un
gruppo (chiuso) di individui proprietari per famiglia e per nascita, e non
per meriti o per fortuna, di certi privilegi sociali (primo dei quali, ovvia
mente, quello di essere proprietaria delle terre) - contrapposta a un'altra
che si trovava in una condizione minoritaria.
E' chiaro poi come, mancando un'autorità di riferimento - o essendo
quest'ultima comunque estremamente debole - gli esponenti della classe
nobiliare fossero indotti a fare anche un ultimo passo: quello cioè di
appropriarsi a titolo personale dei territori sui quali già risiedevano,
seppure in qualità di gestori per conto della loro stessa comunità clanica
(ghenos).
Da una proprietà di carattere collettivo, dunque, essa diveniva lentamente
una proprietà integralmente privata! O, se si preferisce, da una forma di
proprietà di carattere comunitario e collegiale (di casta), si passava a
un'altra completamente privata, in quanto prettamente personale e
individuale.
Tuttavia, è da notare come quest'ultima trasformazione, sebbene costituisse
la norma, non fu in ogni caso del tutto priva di eccezioni.
L'esempio più eclatante è quello costituito da Sparta, una polis di
carattere spiccatamente militare nella quale, tra gli individui componenti
la casta dei dominatori, non esisteva alcuna dimensione privata, nemmeno -
come noto - quella familiare. In tale città la dimensione di casta fu
conservata con un rigore che spesso suscitò tra i contemporanei una profonda
ammirazione e che oggi, a un osservatore moderno, provoca invece di solito
una sorta di raccapriccio.
Ma Sparta è esemplare ai nostri occhi anche per un'altra ragione, per
comprendere cioè le motivazioni alla base di una tale organizzazione
politica. Posta difatti a capo di un vero e proprio impero territoriale - il
quale col tempo finì per estendersi anche alle zone circostanti: cioè la
Laconia e la Messenia - essa avvertì più profondamente di altre aree il
bisogno di mantenere una forte compattezza e coesione tra i propri cittadini
(gli Spartiati) contro le popolazioni sottomesse (Iloti e Perieci).
Dalla sua vicenda dunque, si rende chiaro come mai furono soprattutto le
stirpi doriche a propendere per una tale soluzione, aristocratica e
militare, anziché per una di tipo (maggiormente) democratico
Infiltratesi infatti sui propri territori come dominatrici, attraverso una
rivoluzione violenta, esse da subito non riuscirono ad amalgamarsi alle
precedenti popolazioni (da esse asservite). Tale fattore poi diede vita col
tempo ad un meccanismo di tipo difensivo che finì per autoalimentarsi,
creando così una spirale di odio e di violenza che - anziché attenuarla -
rafforzò sempre di più tale ostilità. Questo certamente indusse i popoli
egemoni a rimanere tali, anziché - come invece accadde nella maggior parte
delle altre regioni - a mitigare la distanza che li separava dai vinti.
Se è dunque vero che la Grecia ci offre un vasto ventaglio di esempi (anche
se certo non gli unici) di stati di tipo occidentale o privatistico, è vero
anche che un tale discorso vi si sviluppò secondo modalità o 'gradi'
estremamente differenti : Atene, la città-stato democratica per eccellenza
(sorta però, si badi bene, ben oltre il periodo qui descritto!) fu difatti
molto differente rispetto a quella aristocratica e militare per antonomasia,
cioè Sparta.
Preciseremo meglio più avanti il modo e i percorsi attraverso cui tali
destini si separarono.
Dark Ages: una breve premessa
Il presente testo ci appare interessante per due motivi: da una parte esso
ribadisce alcuni concetti già espressi nel nostro breve scritto, a volte
aggiungendovi utili elementi di riflessione; dall'altra invece prospetta
delle questioni (come la possibilità di un autonomo processo di decadenza
dei regni micenei) nemmeno considerate dalla nostra modesta trattazione.
Inoltre, la chiarezza dell'esposizione ne fa un ottimo strumento di ripasso
dei punti salienti del discorso.
Si è scelto di conservare il testo originale, al fine di permettere al
lettore di confrontarlo con la nostra traduzione - forse non sempre esente
da errori e parzialità.

Dark Ages / L'età oscura
The Immediate Post Sub-mycenaean Period
Il periodo immediatamente seguente a quello sub-miceneo
At about 1050 virtually all signs of habitation in mainland Greece
disappear. There are virtually no sites where there is continuous occupation
from Mycenaean times into the later period (even then it's no more than a
few potsherds). Only Crete shows continuous habitation. All the major
Mycenaean sites are abandoned, and knowledge of the Linear B writing system
is lost.
All'incirca dal 1050 in poi, praticamente tutti i segni d'insediamenti
stabili nella Grecia vera e propria scompaiono. Non si trovano più
virtualmente luoghi in cui sia presente un'occupazione permanente, che parta
dal tempo dei Micenei e arrivi fino a quello successivo (così come, del
pari, non ci rimangono che pochi cocci). Solo Creta mostra ancora la
presenza di abitazioni stabili. Tutti i maggiori centri micenei vengono
abbandonati, e si perde la conoscenza del sistema di scrittura in lineare B.
Dorians
I Dori
Between the Mycenaean period and the historical period there is an important
difference in the distribution of dialects of the Greek language. The
language of the Linear B tablets most closely resembles the later Aeolic and
Arcadian dialects. In the historical period, only the interior mountains of
the Peloponnesus are inhabited by speakers of the Arcadian dialect, and a
very similar dialect is spoken on the island of Cyprus, while the less
similar Aeolic dialect is spoken along the Aegean coast of mainland Greece
and some islands to the east. At this time, almost all of the Peloponnesus
is inhabited by speakers of the Doric dialects, which extend to the NW north
of the Isthmus. How to explain the appearance of Doric in areas where in the
Bronze the language of the Linear B tablets remebled Arcadian?
Tra il periodo miceneo e quello propriamente storico [quello cioè
concomitante alla rinascita della scrittura in forma alfabetica nel IX
secolo, n.d.r.] sussiste, tra i dialetti della lingua greca, una importante
differenza. La lingua delle tavolette in lineare B ricorda difatti molto da
vicino quella tardo-eolica e quella dei dialetti arcadici. Nel periodo
storico invece, solo le zone interne e montagnose del Peloponneso sono
abitate da popoli che parlano in dialetto arcadico, mentre un dialetto molto
somigliante viene parlato poi nell'isola di Cipro. Il dialetto eolico meno
similare viene invece utilizzato lungo le coste egee della terraferma greca
e su alcune isole a est. In questo periodo, la maggior parte della regione
del Peloponneso è abitata da popoli che parlano dialetti dorici, e che si
spingono fin nella parte nord-ovest dell'Istmo. Ma come spiegare l'apparire
della lingua dorica in aree in cui durante l'età del Bronzo il linguaggio
delle tavolette in lineare B ricordava tanto l'arcadico?
Greek myth indicates that in the generation after the Trojan war, the
ancestors of the Dorians invaded the Peloponnesus and destroyed the kingdoms
described in the Iliad. Could this be a distant remembrance of a take-over
of the Peloponnesus at the time of the destruction of Mycenaean
civilization? Did the Dorians themselves cause this destruction or did they
come south to occupy territory that became thinly populated in the
sub-Mycenaean period as a result of whatever brought an end to the Mycenaean
palaces around 1190? Certainly, the presence of speakers of the dialect
descended from that of the Mycenaeans in the interior of the Peloponnesus
and in Cyprus suggests that they were pushed aside by the Dorians and
retained possession only of the less desirable mountainous interiour, but
this does not indicate when this happened. Archaeology does not provide an
answer to this question, but the linguistic evidence does indicate that
after the fall of Mycenaean civilization the Dorians took over most of the
Peloponnesus. Probably the Dorians did not cause the collapse of the
Mycenaean civilization, and came in after the destruction of Mycenaean
centers, occupying the now sparcely inhabited regions. If they had entered
in such large numbers to destroy the palaces, one might expect evidence of
continuous occupation, and certainly the decadent physical remains of the
Sub-Myrcenaean period suggests a continuation of previous culture at a
reduced level rather than its replacement through take over by outsiders.
La mitologia greca indica che, nel corso della generazione seguente alla
guerra contro Troia, gli antenati dei popoli dorici invasero il Peloponneso
e distrussero i regni descritti dall'Iliade. Può tutto ciò essere il lontano
ricordo di un avvicendamento all'interno del Peloponneso, ai tempi della
distruzione della civiltà micenea? Furono i Dori stessi la causa di tale
distruzione, o essi piuttosto sopravvennero, durante il periodo sub-miceneo,
a occupare dei territori oramai scarsamente popolati, risultato di una
qualche distruzione apportata ai palazzi micenei attorno al 1190?
Di certo, la presenza di popoli che parlavano un dialetto che discendeva da
quello miceneo nei territori dell'interno del Peloponneso e in Cipro,
suggerisce che questi ultimi fossero stati sospinti lontano dai Dori
mantenendo così solo il possesso delle zone meno appetibili, quelle cioè
interne e montagnose, anche se questo non indica quando ciò avvenisse.
L'archeologia non ci fornisce una risposta a quest'ultima domanda, ma
l'evidenza linguistica indica che - al termine della decadenza micenea - i
Dori presero possesso della maggior parte del Peloponneso.
Probabilmente, essi non causarono il collasso della precedente civiltà,
sopravvenendo solo al termine della distruzione dei centri micenei, e
occupando così delle regioni abitate oramai in modo discontinuo. Nel caso
infatti essi fossero giunti in numero tale da riuscire a distruggere i
palazzi, dovremmo aspettarci i segni di un'occupazione continua e organica,
mentre i resti oramai decaduti del periodo sub-miceneo suggeriscono
piuttosto un prolungamento, seppure a un livello inferiore, della cultura
precedente, anziché un rimpiazzo di essa dovuto alla presenza degli
invasori.
Dark Ages
L'età oscura
We now enter a period known as the Dark Ages. For 150 years (1050-900) it
seems that there was an extremely low population, and then a gradual
increase. Writing is developed around 800, but we have reliable written
histories only from the fifth century on. This means we have reasonably good
written information back to about 500. There is information for the period
before 500, but it gets increasingly unreliable as one goes back in time.
Back to around 700 we have fragments of poetical texts and inscriptions,
which give us some contemporary information. But much of the literary
tradition about the earlier period is suspect. For the period before about
700 we have to rely mainly on archaeological evidence. In the broader sense,
the whole period 1050-750 can, in light of the paucity of reliable
information, be classified as the Dark Age.
Si entra così in un'epoca conosciuta come l'Età oscura. Per 150 anni
(1050-900) sembra che la popolazione sia stata estremamente ridotta,
dopodiché pare vi sia stato un incremento graduale. La scrittura si sviluppa
attorno all'800, ma iniziamo a possedere documenti degni di fiducia solo dal
quinto secolo in avanti. Il che significa che abbiamo informazioni
ragionevolmente attendibili sul passato solo all'incirca a partire dal 500.
E le informazioni che abbiamo per i periodi precedenti divengono sempre meno
affidabili mano a mano che ci si allontana da una tale data.
Per ciò che concerne gli anni attorno al 700, possediamo frammenti di testi
poetici e di iscrizioni, che ci forniscono delle informazioni su di essi. Ma
la maggior parte della tradizione scritta sui periodi più antichi è molto
sospetta. Per gli anni che precedono il 700 dobbiamo così basarci molto su
evidenze di tipo archeologico. In termini generali quindi, l'intero periodo
1050-750 può essere definito, alla luce della penuria di notizie
attendibili, come l'Età oscura.
Differences between Mycenaean and Later Greece
Le differenze tra la civiltà micenea e la Grecia posteriore
The world which comes into view in the historical period is completely
different from the Mycenaean world. In Mycenaean times, there was cultural
unity (physical remains in all sites are similar), and all signs indicate
that everyone spoke a single dialect related to the later Arcado-Cyprian
dialect. Now there are major intrusions of Dorians into the NW and
Peloponnesus.
Il mondo che viene alla luce con l'inizio del periodo storico è
completamente diverso da quello miceneo. Ai tempi di quest'ultimo infatti,
vi era un'unità culturale di fondo (i resti archeologici infatti sono simili
in tutte le zone), e tutti gli indizi ci portano a credere che ogni regione
parlasse un dialetto specifico, affine peraltro a quello arcadico e cipriota
più tardo [gli Achei cacciati dalle loro sedi dalle popolazioni entranti, si
trasferirono infatti - come ha già detto sopra - in parte nell'entroterra
peloponesiaco, in parte invece sull'isola di Cipro, n.d.r.] Ora invece,
troviamo nelle regioni di nord ovest e nel Peloponneso le maggiori
intrusioni doriche.
Furthermore, Classical Greece is extremely parochial, being divided into
many small regions that fiercely defended their independence. We'll talk
about the characteristic of these settlements in a minute. First, what was
the government of these early areas like?
Inoltre, la Grecia classica è estremamente frazionata, divisa cioè in molte
piccole unità regionali che difendono con fierezza la propria autonomia.
Parleremo ora molto brevemente delle caratteristiche di questi insediamenti.
Prima di tutto, a cosa somigliò il governo di queste antiche regioni?
We know that in the earliest part of the post-Mycenaean resettlement the
Greek communities were ruled by kings (basileus; note the difference from
the term wanax attested for the king in the Linear B tablets). In a few
areas kings survived into the historical period (e.g, Sparta, Athens).
Furthermore there is the disputed evidence from Homer.
Sappiamo che nelle zone meno arcaiche del ripopolamento post-miceneo, le
comunità greche furono governate dal sovrano (il "basileus" - si noti
inoltre la differenza con il termine "wanax", con cui questi viene designato
nelle tavolette in lineare B). Solo in poche aree i Re sopravvissero anche
nel periodo storico (ad esempio Sparta e Atene).
Oltre a ciò, dobbiamo poi vagliare anche le evidenze che ci fornisce Omero.
Homer
Omero
In order to assess the information given to us by Homer, it is necessary to
know something about how his work was composed. Antiquity thought that Homer
was the name of the author of the Iliad and Odyssey (the former about the
siege of Troy, the latter about Odysseus's attempt to return home following
that war) but knew nothing for certain about him. Milman Parry demonstrated
in 1928 that the poems preserved under Homer's name were composed in an oral
tradition. This refers to poetical practices in non-literate societies
whereby a poet extemporaneously recites a known story before an audience
using a stock of previously learned formulas that he manipulates to create
the poetry as he goes along. This means that the Iliad and Odyssey were not
the spontaneous creations of a single man who used writing as his method of
composition. Instead, whatever the reality of the person called Homer, the
poems stood at the end of a long tradition of oral composition (there is
much dispute about how these originally oral poems came to be preserved in
the written form in which we have them).The poems we have are generally
thought to have reached their present form in about 750 -- reasoning not
very convincing, basically that's the date after which scenes from them
appear on works of art. So, what society is portrayed in them? Is it
modelled on the Dark Age period that immediately precedes the one in which
Homer lived, or does it preserve memories of the Mycenaean world? It seems
that the poems have a mixture of both.
Per accedere alla informazioni che Omero ci fornisce, dobbiamo prima
conoscere qualcosa sul modo in cui il suo lavoro fu composto. Gli antichi
pensavano che Omero fosse il nome dell'autore sia dell'Iliade che
dell'Odissea (il primo un testo che trattava la vicenda di Troia; l'altro le
imprese di Odisseo per tornare a casa al termine della guerra), senza sapere
però nulla di certo su di lui. Milman Parry dimostrò nel 1928 che i poemi
conservatici sotto il nome di Omero furono frutto di una tradizione
compositiva orale. Ciò rimanda alle attività poetiche proprie delle società
non letterarie, nelle quali il poeta ri-compone in modo estemporaneo delle
storie già note all'uditorio, usando una serie di formule pregresse
manipolando le quali riesce a creare via via il suo stesso testo.
Il che significa che Iliade e Odissea non furono le creazioni autonome di un
singolo personaggio che utilizzò la scrittura come mezzo di composizione. Al
contrario, nonostante l'effettiva esistenza di colui che viene chiamato
Omero, tali poemi sorsero al termine di una lunga tradizione orale (e si
discute molto su come queste opere originariamente orali accedettero, al
fine di venir preservati, alla forma scritta nella quale oggi li
possediamo).
Si crede generalmente che essi ottennero la forma attuale attorno al 750 -
ma tale convinzione si fonda su indizi non molto convincenti, essenzialmente
cioè sul fatto che le scene, riprese da esse, raffigurate nelle opere d'arte
datino più o meno a quel periodo. Dunque, che tipo di società viene
rappresentata in tali opere? Una società modellata sul periodo oscuro che
precede immediatamente l'età [arcaica] in cui visse Omero, o piuttosto il
ricordo del più antico periodo miceneo? Sembra che esse riportino a qualcosa
di intermedio tra i due.
Ostensibly the Iliad deals with the sack of Troy. The Greek tradition dated
this to ca. 1184, and in fact Troy seems to have been sacked shortly before
1200. The poems do preserve Mycenaean features. For example, it describes a
kind of helmet made of boar's tusks which is known archaeologically only
from the Mycenaean period and was apparently unknown in Homer's time; also
the poem mentions only weapons made of bronze, something true of Mycenaean
period, but in the later period much use was made of iron.
Concretamente, l'Iliade tratta del sacco della città di Troia. La tradizione
greca data al 1180 circa questo evento, e difatti Ilio sembra essere stata
saccheggiata poco prima del 1200. Il poema preserva alcune caratteristiche
micenee. Ad esempio, descrive un genere di elmo fatto di zanne di cinghiale
conosciuto archeologicamente solo nel periodo miceneo, e che pare fosse
sconosciuto al tempo di Omero. Inoltre esso parla solo di armi in bronzo,
cosa vera per il periodo miceneo, dal momento che nel periodo successivo si
usarono prevalentemente quelle in ferro.
Yet the poems clearly aren't an accurate description of Mycenaean period.
They show no knowledge of the palaces and their complicated bureaucracy and
economic system. Chariots are mentioned, but the poet no longer knows how
they are used in battle (they serve as a sort of taxi service to get the
heroes to the front line where they jump off to fight). There is also no
knowledge in the poems of writing. Furthermore, the society portrayed seems
to bear little resemblance to what one would expect of Mycenaean times.
There is no powerful king, only weak leaders who are challenged by the
warriors supposedly under their command (the main plot of the Iliad concerns
Agamemnon's inability to control Achilles). The kings summon assemblies and
listen to the advice given to them by the leading warriors. This seems to be
a reflection of what the kings in the early Dark Ages were like: much
weakened compared to their followers. Interestingly, the old title for
"king" (wanax) used in the Linear B tablets is preserved only as a title of
the god Apollo and has been replaced by the later word basileus.
Dunque, i due poemi non sono certamente delle descrizioni accurate del mondo
miceneo. Essi dimostrano di non conoscere i palazzi, la loro complicata
burocrazia interna e il loro sistema economico. I carri vengono menzionati,
ma il poeta non sa come essi venissero usati in battaglia (servono infatti
per una sorta di servizio-taxi, per portare cioè gli eroi sul luogo della
battaglia, dopodichè essi ne scendono). Né appare in essi alcun ricordo
della presenza della scrittura.
Di più, la società descritta sembra avere scarse relazioni con quella che ci
aspetteremmo dai tempi di Micene. Non esiste un potere monarchico forte, ma
solo deboli leader sfidati dagli stessi guerrieri che dovrebbero essere al
loro servizio (filo conduttore dell'Iliade è l'incapacità di Agamennone a
tenere a freno Achille). I sovrani convocano le assemblee e ascoltano i
pareri dati loro dai principali uomini d'armi. Il che sembra appunto un
riflesso di ciò che furono i re nell'età oscura, ovvero molto più deboli
rispetto ai loro predecessori. Ed è interessante notare che il termine
antico "wanax", usato dalle tavolette in lineare B, rimanga come titolo solo
per il dio Apollo e sia rimpiazzato per il resto dal termine "basileus".
 Aristocratic rule
Il dominio dell'aristocrazia
It seems that by around 800 most kings had generally been ousted in favor of
rule by aristocracy. This means wealthy landowners. In antiquity land was
the only form of investment, generally passed on to sons. Hence a hereditary
aristocracy naturally arose, and over time, as a natural result of mortality
and the dying out of various families, the land came to be concentrated in
the possession of a limited number of families, who formed an aristocracy.
The landowners provided the military force, and eventually threw out the
kings. They then monopolized political power. This period sees an increase
in wealth and trade and at the same time the growth of the characteristic
form of Greek community, the polis.
Pare che attorno all'800 la maggior parte delle monarchie fosse stata
sostituita da un nuovo tipo di dominio, quello cioè dell'aristocrazia. Il
che significa, dalla grande proprietà terriera!
In antico, la terra era l'unica forma di investimento economico, di solito
tramandata ai figli. Per tale ragione, sorse col tempo un'aristocrazia
ereditaria della terra, prodotto immediato della mortalità e della scomparsa
di varie famiglie, col risultato che la terra rimase concentrata nelle mani
di poche casate, le quali formarono appunto la nobiltà. I proprietari
terrieri fornivano la forza militare, e alle volte eleggevano anche i
sovrani. Essi finirono insomma per avere il monopolio della vita politica.
Questo periodo vide inoltre un notevolissimo incremento della ricchezza e
del commercio, nonché al tempo stesso la formazione di quella che sarebbe
stata la forma tradizionale delle comunità greche: la polis.
Polis
La città-stato (= poliϚ)
For the Classical period, Greek communities can be divided into two
categories. One kind is called an ethnos and the other a polis. An ethnos is
a settled community which
is descended (theoretically) from a common ancestry
is subject to no other and
has no single urban center.
Nel periodo classico, le comunità greche possono essere divise tra due
categorie. Una è chiamata ethnos, l'altra polis. La prima è una comunità
stanziale la quale
discende (teoricamente) da una stirpe comune
non è soggetta che a se stessa
non possiede un centro urbano stabile.
The ethnos was considered by the later Greeks to be a primitive form of
political organization, but is presumably what Greece was originally like
once the migrations following the collapse of Mycenaean society settled
down. There was a tendency in the historical period for the ethne (pl. of
ethnos) to turn themselves into poleis (plural of polis). It is not known
exactly when the transition to urban organization began, but certainly by
the eighth century it was well established, and all the colonies sent out in
that century adopted the form of the polis.
L'ethnos fu considerato dai Greci dei periodi successivi come una forma
alquanto primitiva di organizzazione politica, ma esso fu presumibilmente la
forma politica assunta dalla Grecia in seguito al collasso dei regni micenei
e all'insediamento dei popoli migranti.
Nel periodo storico vi fu la tendenza delle ethne (= plurale di ethnos) a
trasformarsi in poleis (= plurale di polis). Non si sa quando esattamente
una tale trasformazione verso le organizzazioni urbane prese avvio, ma è
certo che verso l'ottavo secolo queste fossero giunte già ad uno stadio di
sviluppo avanzato; d'altra parte, le colonie formatesi in quel secolo,
adottarono tutte la forma politica della polis.
The polis then is the characteristic form of Greek community in the
historical period. Polis originally means "citadel", and so it would seem
that in some of the early ethne a permanent central urban area grew up
around an easily defended raised area. Greece came to be covered with
hundreds of poleis. Most were small, some large. Plato said 5000 was the
perfect population (large enough to be viable yet still small enough that
the adult males could pretty much know each other). To this central polis
all the surrounding countryside was subordinated, all political activity
taking place in the polis itself. Hence, the polis can in some ways be
considered a city state. Some had surrounding villages, but these had no
political significance. Generally, people lived in the polis and went out
during the day to work the land.
La polis dunque è la forma caratteristica della comunità greca nel periodo
storico. Il termine in origne significava "ciittadella", e sembrerebbe
quindi che nelle più giovani ethne vi fosse un centro stabile cresciuto
attorno a un territorio soprelevato debolmente difeso. La Grecia si coprì di
centinaia di poleis. La maggior parte molto piccole, alcune invece più
ampie.
Platone disse che 5000 era il numero perfetto dei suoi cittadini (larga
abbastanza quindi perché fosse percorribile, e abbastanza piccola da
permettere a tutti i cittadibni maschi di conoscersi). A tale centro
rimanevano subordinate le campagne circostanti, dal momento che tutte le
attività politiche avevano luogo in esso. Quindi, la polis poteva a volte
essere considerata come una città-stato. Alcune poleis poi avevano anche dei
villaggi periferici, i quali tuttavia non detenevano alcun potere politico.
In generale, la gente viveva nella polis, uscendone di giorno per lavorare
le terre.
There was no form of political organization common to all poleis. Around 800
 BC aristocracies (arrangements restricting political control to the
landowners) prevailed, but even they had no uniformity in constitution.
Greek history is characterized till the time of Philip of Macedon by the
experimentation in the government of the poleis and by their interactions.
Non vi fu mai una forma di organizzazione politica che accomunasse tra loro
le diverse poleis. Attorno all'800 a.C. le classi aristocratiche (attraverso
disposizioni che restringevano il potere politico ai proprietari terrieri)
finirono per prevalere, ma esse non ebbero mai una qualche uniformità a
livello costituzionale.
La storia greca fu caratterizzata fino al tempo di Filippo il Macedone,
dalla sperimentazione di una forma di organizzazione politica fondata sulle
poleis e sulla loro interazione.
Writing
La scrittura
It would appear that sometime not very long before 750 the Greeks developed
the alphabet (this being a system in which each symbol represents a single
sound). Greek mythological tradition ascribes this development to a
borrowing from the Phoenicians (Canaanites) and this seems to be basically
true.
Sembrerebbe che non molto prima del 750, i Greci sviluppassero a volte un
loro alfabeto (un sistema nel quale ogni simbolo rappresentava uno specifico
suono). La tradizione mitologica ellenica attribuisce questa invenzione a
influenze fenicie (Canaaniti), il che pare essere fondamentalmente vero.
Ca. 1700 Semites in Egypt developed an "acrophonic" alphabet based on
hieroglypic signs: each sound was represented by the picture of an object
beginning with that sound ("apple is for A, ball is for B, cow is for
C..."). By 1200 it had become a linear script (no longer pictorial). The new
alphabet only had 27 (later 22) characters -- huge improvement over the
clumsy hieroglyphic and cuneiform systems of writing. This system spread to
the eastern coast of the Mediterranean. But like hieroglyphics the system
represented only consonants (perfectly reasonable practice for Semitic
languages). The Greeks took this system, and represented vowels with some of
the signs for Semitic consonants not appearing in the Greek language.
(Semitic languages have many more fricative sounds than does Greek). The
Romans got their alphabet from a variant Greek alphabet, and we use the
Roman alphabet.
Circa nel 1700 i Semiti, in Egitto, svilupparono un alfabeto acrofonico
basato su segni geroglifici: ogni suono difatti era rappresentato con il
disegno di qualcosa che iniziasse con quello stesso suono! ("Apple" stava
per A, "Ball" per B, e così via). Dal 1200 esso divenne una scrittura di
tipo lineare (e non più pittografica). Il nuovo alfabeto possedeva 27 (poi
22) caratteri - era già un enorme ridimensionamento rispetto ai farraginosi
sistemi di scrittura geroglifico e cuneiforme. Esso attecchì nelle zone
costiere asiatiche del Mediterraneo. Come quello geroglifico, però, esso
rappresentava soltanto le consonanti (cosa perfettamente praticabile per i
linguaggi semitici). I Greci ripresero questo sistema e vi rappresentarono
le vocali con alcuni dei segni destinati alle consonanti nelle lingue
semitiche, quelle che non comparivano nella loro lingua. (Le lingue
semitiche possiedono maggiori suoni fricativi rispetto a quella greca). I
Romani presero il loro alfabeto da una delle varianti di quello greco, e noi
usiamo appunto l'alfabeto romano.
The earliest inscriptions are poems inscribed on pottery (examples from
around 750 are preserved on an island of the west coast of Italy called
Pithecusae and at Athens). Semitic scholars claim that the Semitic forms
most similar to those borrowed by the Greeks date to about 1200-1050. This
is very unlikely. Why would it have been borrowed in such an impoverished
period? Why no record of it for hundreds of years? Furthermore, while most
of the Greek forms do resemble the earlier Semitic forms, the distinctive
sign for K shows that the script that gave rise to the Greek script was one
used in Phoenicia in the 800s BC. The well formed shapes of the earliest
Greek letters suggests that the system had been used for a certain while
before. Hence, an adaptation around 800 or a little earlier is plausible.
La iscrizioni più antiche sono dei poemi scritti su vasellame (alcuni
esempi, a partire dal 750 circa, sono conservati su un isola della parte
occidentale della costa italiana e ad Atene). Gli studiosi della lingua
semitica sostengono che le forme semitiche più simili a quelle prese a
prestito dai Greci datino a circa il 1200-1050 a.C.
Ma ciò è altamente improbabile. Perché infatti gli Elleni avrebbero dovuto
imitare queste ultime proprio in un periodo di forte impoverimento fonetico?
[Come è scritto anche nel nostro testo infatti, il periodo tra XIII e XII
secolo segnò un forte arretramento un po' in tutto il bacino mediterraneo
orientale; n.d.r.] E perché poi non sarebbe rimasta per alcuni secoli alcuna
traccia della sua presenza? […si ricordi che tra 1200 e 800 scompare
qualsiasi traccia di scrittura greca; n.d.r.] Inoltre, mentre la maggior
parte dei caratteri greci ricorda quelli semitici più antichi, il
caratteristico segno usato per la K dimostra che la scrittura che diede
inizio a quella greca fu una di quelle usate in Fenicia nell'800 a.C. circa.
La forma armoniosa dei caratteri greci più antichi ci induce, d'altra parte,
a pensare che tale sistema grafico fosse stato usato già per un certo lasso
di tempo. Dunque, è plausibile che esso fosse stato adattato già attorno
all'800, o anche qualche tempo prima.
Apart from the utilitarian advantages of the new script (comparatively easy,
hence much greater spread of literacy, no need for professional scribes) it
allowed for much easier composition and dissemination of literary works. The
sense of a common culture was a major element of Greek identity and writing
played a major role in this. Writing also allowed for the drawing up of
fixed law codes.
A parte i vantaggi legati all'utilizzo di questo nuovo tipo di scrittura
(più semplice, che quindi diede adito a un'esplosione letteraria, e che non
richiedeva l'uso di scribi professionisti), essa rese più facile la
composizione e la diffusione di opere letterarie. Il senso di un'unità
culturale comune fu poi un elemento fondante dell'identità greca, e la
scrittura giocò un ruolo fondamentale in ciò. Essa inoltre rese possibile il
fissare le leggi attraverso dei codici scritti.
Summary Of Major Points
Punti essenziali
No continuity of occupation in mainland Greece after sub-Mycenaean period
Dorians occupy most of the Peloponneus in the historical period, entered
sometime soon after fall of Mycenaean civilization
Homeric poems written in oral tradition, preserve imperfect memory of
Mycenaean period
Period 1050-750 poorly known, called Dark Ages
Kings ruled non-urban Greek communities during Dark Ages
At end of the period aristocracy began to throw o-ut kings, take over
management of the community
Around 800 the Greeks develop the alphabet on the basis of Phonoecian script
In the late Dark Ages the Greeks began to form urban centers around a
citadel. These centers are called poleis (singular polis). They were well
established by the eighth century
The polis (city state) is the characteristic Greek political institution of
the Classical period
No single form of government for the polis



Assenza di continuità nell'occupazione della madrepatria greca, dopo il
periodo sub-miceneo
I Dori occupano nel periodo storico la maggior parte del Peloponneso,
essendovi giunti a volte subito dopo la caduta dei regni micenei
I poemi omerici, frutto della tradizione orale, preservano in modo
imperfetto la memoria del periodo miceneo
Periodo tra 1050-750 poco conosciuto, è chiamato 'Età oscura'
Durante l'epoca oscura, i re governavano delle comunità prive di un centro
urbano
Alla fine di tale periodo, l'aristocrazia iniziò a sostituire i sovrani, e
assunse il governo della comunità
Attorno all'800, i Greci sviluppano un loro alfabeto sulla base della
scrittura fenicia
Alla fine dell'età oscura, i Greci comunciarono a sviluppare dei centri
urbani organizzati attorno a una 'cittadella'. Tali centri furono chiamati
poleis (= plur. di polis), e si assestarono a partire dall'ottavo secolo
La polis (città-stato) è l'istituzione politica caratteristica del periodo
greco classico
Assenza di un'unica forma di governo per la polis
LA POLIS GRECA
La Grecia micenea o achea dei secoli XVI-XII a.C. viene comunemente
equiparata alle formazioni statali dispotiche d'Oriente, ad essa coeve
(Assiria, Babilonia, Egitto, il regno Hittita). Molti tratti, in effetti,
sono comuni: un forte potere monarchico, grande proprietario terriere,
supportato dall'esercito e da funzionari statali; vasti territori soggetti a
sfruttamento, sotto il controllo universale di una contabilità burocratica,
ecc.
Tuttavia, nella società greca più antica vi erano anche delle
caratteristiche non riscontrabili in alcuna società orientale. Si pensi, ad
es., al rapporto tra Micene (principale capitale del mondo acheo) e le altre
città minori, ovvero il suo re (simile all'Agamennone dell'Iliade) e i
principi di rango inferiore (come i vari Menelao, Ulisse, Achille...).
In Oriente esisteva una grande differenza fra i monarchi veri e propri, che
si consideravano alla stregua di "fratelli", e gli altri potentati,
giudicati dei vassalli o "figli" del re. Quest'ultimi dovevano al loro
"padre" la subordinazione politica, il tributo economico, l'aiuto militare e
la collaborazione diplomatica.


Certo, anche i re micenei avevano una grande autorità. Basti pensare che
Micene e Tirinto (altra residenza reale) erano le due uniche città
fortificate da cinte imponenti, mentre le altre città ne erano quasi prive,
a testimonianza della loro inferiorità. Inoltre lo stile miceneo dominava le
arti e i mestieri di tutta la Grecia.
Nondimeno l'autorità sovrana dei micenei era fondata più sulla leadership
morale che non sul dominio economico o sulla forza militare. Nessun tributo
venne mai pagato a Micene da altre città. Tra i documenti ritrovati a Pylos,
vi è una lettera del XIII sec. a.C. che il re hittita aveva scritto, con
tutta la deferenza possibile, al re della Grecia achea, per chiedergli
l'estradizione di un vassallo ribelle. Ebbene, il re acheo -come si evince
dal documento- mostrava di non avere il potere di obbligare i propri
sudditi, presso i quali il fuggiasco s'era rifugiato, a estradarlo. Egli al
massimo poteva raccomandarli di consegnarlo, ma non forzarli, come invece si
aspettava il re hittita.
Questo rispetto della dignità dell'individuo, del suo libero arbitrio,
benché riguardi ancora una ristretta cerchia di aristocratici, costituirà
più tardi una caratteristica fondamentale della struttura politico-sociale
della polis. In fondo l'universo dell'Iliade, che rispecchiava la tradizione
micenea, era dominato da una sorta di "cultura cavalleresca", del tutto
estranea al centralismo assolutistico.
La polis era un tipo di organizzazione socio-politica formatasi nella Grecia
e nella Roma antiche. Essa si fondava sulla sovranità economica e politica
della comunità dei proprietari e dei liberi produttori, cittadini appunto
della polis, e la sua organizzazione si estendeva all'intero territorio.
Tale sovranità implicava, per ogni cittadino, la possibilità (e spesso anche
l'obbligo) di partecipare, con l'uso del voto nelle assemblee popolari, alle
delibere riguardanti le questioni politiche vitali della città. La polis
costituiva l'unità organica della struttura politica e della società civile.
Essa contribuiva allo sviluppo del patriottismo, del sentimento di
uguaglianza fra tutti i cittadini e al rispetto consapevole delle leggi
fissate, normalmente, da una Costituzione scritta.
La monarchia micenea avrebbe anche potuto trasformarsi in un dispotismo
assoluto. Ciò non avvenne anche per una ragione molto concreta: una potente
ondata migratoria dal nord s'abbatté sulla Grecia achea nei secoli XIII-XI
a.C. I possedimenti reali furono suddivisi tra gli immigrati, ovvero tra le
comunità d'invasori e, all'interno di queste, tra i membri la cui proprietà
privata della terra stava per diventare la base del nuovo sviluppo economico
della Grecia.
Col passare del tempo, nella misura in cui cresceva il progresso economico e
la stabilità politica, le comunità rurali si allearono, dando vita a delle
formazioni che prefiguravano la polis ("protopolis") e che si ponevano come
garanti della proprietà dei loro membri. La comunità dei proprietari liberi
costituiva una sorta di embrione della futura società civile.
L'ideologia dei liberi proprietari, abitanti della "protopolis", trovò la
sua migliore espressione nel poema di Esiodo, Le opere e i giorni (sec.
VIII-VII a.C.). Già da tempo gli studiosi hanno rilevato lo spirito
"borghese" della morale di Esiodo, la cui "protopolis" rappresenta una
società debolmente stratificata, ove si distingue un ceto elevato che vanta
sì origini aristocratiche, ma che, nel contempo, resta aperto a ogni
proprietario agiato.
La principale massima morale è "Lavora e avrai successo". Nella "protopolis"
il lavoro è non solo una via verso il benessere e la reputazione sociale, ma
anche una sorta di dovere religioso, una forma di espiazione dell'antico
peccato di Prometeo, imposta dagli dèi, che amano i lavoratori e odiano i
fannulloni. Il lavoro apprezzato dagli dèi è una convinzione che prefigura,
se vogliamo, quella "etica protestante" il cui ruolo nella formazione del
capitalismo è stato ben sottolineato da Max Weber.
La "protopolis" si trasformò in polis classica nei secolo VII-VI a.C.,
quando in Grecia le varie comunità dei liberi proprietari stabilirono
formalmente, attraverso delle Costituzioni scritte, la sovranità sui loro
rispettivi territori e introdussero l'uguaglianza dei cittadini davanti alla
legge. Fu così che, per la prima volta, la società civile apparve sulla
scena storica, in una forma praticamente identica alla struttura politica.
Nella stragrande maggioranza delle società antiche il potere militare e
amministrativo dominava la proprietà, cioè la controllava e la distribuiva.
Nella polis invece il potere veniva esercitato dalla comunità dei
proprietari cittadini ed essa era chiamata ad esprimere direttamente la loro
volontà.
La seconda componente aristocratica della polis, correlata alla morale di
Esiodo, era l'atmosfera di competizione che vi regnava, cioè l'aspirazione
dell'individuo, socialmente incoraggiato, alla gloria, alla notorietà,
guadagnata anche in campi estranei alla politica e alla produzione materiale
(come le gare atletiche, l'arte, la scienza). Lo stile di vita era
agonistico e l'individuo cercava di affermarsi in una competizione tra
uguali.
All'epoca della "protopolis" questo stile di vita si traduceva nel desiderio
di distinguersi nella guerra, nella caccia, nei festini, nella produzione di
oggetti di lusso, nel mecenatismo, nell'organizzazione delle competizioni
poetiche, nel finanziare regolarmente i giochi olimpici, che erano assai
costosi. Gli aristocratici, praticamente, emulavano lo stile di vita
miceneo, così vivacemente descritto da Omero.
Nella misura in cui la democratizzazione si estese a tutti gli aspetti della
vita cittadina, l'ideale aristocratico di autoaffermazione nella
competizione guadagnò strati sociali più vasti di cittadini liberi. Tutte le
capacità: fisiche, intellettuali, artistiche, che potevano rendere celebri,
venivano sviluppate.
Così, mentre la "borghesia" della polis seppe creare l'unità della società
politica e civile, l'aristocrazia invece seppe aggiungere a questa sintesi
l'ideale dell'individuo libero, che non pensa solo a "lavorare" ma anche a
"competere per diventare famoso".
La sovranità economica della polis era sempre considerata come una garanzia
della proprietà privata dei suoi cittadini, anzitutto della loro proprietà
fondiaria, benché in numerose polis si siano sviluppate efficacemente anche
l'artigianato e il commercio.
Se la proprietà fondiaria e la cittadinanza procedevano parallelamente,
l'artigianato e il commercio erano spesso praticati, nella polis, da
lavoratori non-cittadini, come ad es. i coloni di altre polis e, più tardi,
i liberti. Come nel caso della plebe romana, esisteva uno strato sociale
assai vasto di persone che, pur non fruendo dei diritti civili, giocava un
ruolo considerevole nella vita economica della città, lottando, spesso con
successo, per l'uguaglianza.
Per l'uomo dell'antichità classica gli schiavi, così come i meteci (persone
prive di cittadinanza), erano visti come "strumenti" o "circostanze" che
servivano al benessere della polis. L'impiego degli stranieri schiavizzati
divenne un fenomeno di massa in seguito alla vasta applicazione
dell'iniziativa libera nella produzione mercantile. Nell'antichità gli
schiavi avevano la stessa funzione della macchina nell'epoca industriale.
Non per questo dobbiamo considerare gli antichi greci e romani come
anzitutto degli "schiavisti". L'abitante della polis era prima di tutto un
libero proprietario in emulazione coi suoi pari, che partecipava
direttamente alla realizzazione della volontà politica del suo Stato.
Il fenomeno dello schiavismo è parte integrante d'un fenomeno più generale:
l'autarchia, il separatismo civile della polis, che nega ai non-cittadini
ogni diritto sul proprio territorio e che impone dei limiti alla crescita
della stessa polis. Da un lato, quindi, s'impongono rigidi e assurdi
controlli sul numero effettivo della popolazione; dall'altro sorgono
interminabili e spesso disastrosi conflitti egemonici tra le polis.
La cosiddetta "democrazia dei piccoli spazi", se assolutizzata, restringe le
possibilità evolutive del sistema, trasformando i rapporti tra le polis in
una guerra interminabile di tutti contro tutti.
La Roma antica cercò di superare questa contraddizione, sostituendo
progressivamente alla polis greca la costruzione dell'impero, che, dapprima
in forme repubblicane, si pose come obiettivo quello di creare una
"cosmopolis universale". Il cosmopolitismo, come teoria filosofica, era nato
nella Grecia antica, ma solo nell'impero romano trovò la sua adeguata
espressione politica. Una gigantesca potenza polietnica appariva come
un'unica città. Con l'editto di Caracalla (212 d.C.) tutti gli abitanti
dell'Impero acquisivano lo status legale di cittadini liberi. Nel contempo
l'Impero cercava di trasformare gli schiavi in coloni locatari,
interessandoli ai risultati del loro lavoro.
Purtroppo, riducendo la polis a livello di "municipi", e subordinandole alle
strutture burocratiche indipendenti dalla volontà dei cittadini, l'Impero
aveva creato, col tempo, una frattura tra il sistema politica e la società
civile. L'importanza politica di un cittadino era stata ridotta al minimo:
il potere centrale poteva facilmente disporre di lui e della sua proprietà.
L'Impero, divenuto dispotico, si avvicinava così ai modelli delle monarchie
orientali.

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