LA GUERRA DEI TRENTANNI IN VISIONE CRONOLOGICA:
1555: Pace di Augusta
Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero, decise di rinunciare all'unità
politica e religiosa dell'Impero: coi protestanti accettò la loro libertà
religiosa, anche se impose due principi restrittivi:
1) cuius regio eius religio, secondo cui i sudditi di uno Stato avrebbero
dovuto conformarsi alla religione del loro principe o, in caso contrario,
emigrare;
2) reservatum ecclesiasticum, secondo cui i beni ecclesiastici secolarizzati
prima del 1552 non sarebbero più stati rivendicati dalla chiesa cattolica,
mentre se qualche prelato cattolico si fosse convertito al luteranesimo dopo
tale anno avrebbe dovuto rinunciare a tutti i benefici e possessi goduti in
virtù della propria carica e restituirli alla chiesa cattolica. Poi decide
di dividere l'Impero: a Ferdinando I l'Impero e la Boemia e a Filippo II la
Spagna, i Paesi Bassi e l'Italia.
Ma nonostante gli sforzi di molti principi per far funzionare le antiche
istituzioni imperiali, erano le alleanze religiose a dominare ora la scena.
La necessità di una politica confessionale era accettata senza minima
riserva nel Palatinato del Reno (Elettore Federico III, calvinista). Sotto
Federico IV il Palatinato era controllato da Cristiano di Anhalt. Costui
pensava che per difendere la causa protestante, la restaurazione cattolica
andava combattuta su tutti i fronti, non solo entro i confini dell'Impero,
ma anche attraverso la promozione di un'alleanza protestante internazionale.
Le relazioni più strette erano con la Repubblica Olandese.
L'affaire Cleves-Julich
All'inizio del 1600 si era definito un nuovo centro d'interesse con la
discussa successione al cattolico Giovanni Guglielmo, duca di Cleves-Julich,
che non aveva figli. Entrambi i pretendenti alla successione erano di fede
luterana: l'Elettore Giovanni Sigismondo del Brandeburgo e Philipp Ludwig,
duca di Neuburg. Ma gli stati dello Cleves-Julich avevano ricevuto garanzie
di appoggio dai cattolici Elettore di Colonia e da Filippo II di Spagna.
Il candidato favorito da Cristiano di Anhalt e dagli olandesi era l'elettore
del Brandeburgo. Cristiano concentrò la sua attenzione sulla creazione di
un'alleanza
esclusivamente tedesca, visto che non aveva trovato alleanze all'estero.
Nel 1607 egli siglò un trattato tra Palatinato, i mangravi di Ansbach e
Kulmbach e la città di Norimberga, con lo scopo di proteggere l'Alto
Palatinato da un'aggressione della Baviera. Comunque il futuro dell'Unione
protestante era lungi dall'essere chiaro.
L'alleanza non era dotata di un programma politico comune e all'interno
degli 8 firmatari solo la metà era convinta dell'inevitabilità di una grande
guerra di religione. I principi pretendenti al ducato di Cleves-Julich
(Giovanni Sigismondo del Brandeburgo e Philipp Ludwig) erano ora sostenuti
dall'Unione protestante. Ora Cristiano di Anhalt chiese l'aiuto di Enrico IV
di Francia (4 febbraio 1610). L'intervento di Enrico IV trasformò l'affaire
Cleves-Julich da crisi intestina l'Impero in crisi internazionale. Ma le
ambiziose manovre francesi furono frenate dall'assassinio di Enrico IV il 14
maggio 1610.
Sempre nel 1610, ma il 10 luglio, fu fondata la Lega cattolica (andava a
sostituire la lega di Landsberg, sciolta per bancarotta nel 1599).
La nuova lega era comandata da Massimiliano di Baviera, ma esitava ad
intervenire nella crisi di Cleves-Julich fino a quando il timore che la
guerra potesse estendersi dopo la caduta di Julich spinse la Lega a
mobilitare un esercito, ma questo provocò dall'altra parte un incremento dei
membri dell'Unione protestante: l'Inghilterra nel 1612 e le Province Unite
nel 1613 e 13 città. Nessuna delle due parti però voleva entrare in guerra e
venne firmata una tregua: il governo dei ducati venne diviso: il Brandeburgo
ricevette il Cleves e Neuburg il Julich.
Ma la crisi non era finita: all'interno dell'alleanza si verificò una
spaccatura tra le città ed i principi: Nel 1615 le città rifiutarono di una
guerra che rivendicasse le pretese del Brandeburgo sul Julich: le città non
esitarono a utilizzare il loro predominio economico per dettare i termini
della nuova alleanza: le città ottennero un diritto di veto per futuri
interventi militari comuni. Così l'Elettore del Brandeburgo si ritirò.
Finito il problema Cleves-Julich si aprì un nuovo affaire: la designazione
del successore dell'Imperatore Mattia. La casa degli Asburgo sosteneva
Ferdinando di Stiria, i signori del Palatinato gli preferivano Massimiliano
di Baviera, nella speranza di dividere gli Elettori cattolici visto che per
Federico V non c'erano chances di ottenere la maggioranza nel collegio
elettorale. Cristiano di Anhalt ("capo" del Palatinato) decise allora di
sollecitare gli Stati rappresentativi protestanti d'Austria e Boemia:
nell'Italia
settentrionale poi era coinvolto nella costituzione di un fronte
anti-asburgico con Venezia e la Savoia.
Per Anhalt la sfida agli Asburgo non era persa in partenza: la Lega
cattolica era al collasso per disaccordi intestini, inoltre se i suoi
alleati (Francia e Inghilterra) non erano affidabili di li a poco sarebbe
scaduta la Tregua dei Dodici anni tra Spagna e Olanda (nel 1621) e
l'Inghilterra
la Francia sarebbero state obbligate e schierarsi con il fronte
anti-asburgico.
La guerra degli uscocchi
La difesa della frontiera austro-turca era parzialmente affidata ai
rifugiati dei Balcani, che avevano trovato asilo nei territori asburgici.
Essi erano chiamati uscocchi (parola serba per "rifugiati"). Alcuni di loro
si insediarono nei piccoli porti della costa orientale e conservavano la
zona libera dalle navi turche, ma sfortunatamente anche da quelle cristiane:
nessuna nave era al sicuro dai loro attacchi pirateschi. Il loro obiettivo
privilegiato erano le navi dei mercanti veneziani.
La Repubblica di Venezia tentò prima di difendere le proprie navi con flotte
più consistenti, poi decise di attaccare direttamente e nel dicembre del
1615 le sue truppe assediavano Gradisca.
Nello stesso tempo gli agenti veneziani organizzarono all'estero una
campagna diplomatica per procurarsi alleati nella lotta contro Ferdinando.
La Repubblica Olandese invia allora aiuti militari ai veneziani; più tardi
giunse anche un contingente di volontari inglesi. Nel frattempo una
flottiglia di navi inglesi ed una olandese presidiavano l'Adriatico
impedendo così che arrivassero degli spagnoli di Napoli in aiuto a
Ferdinando.
Anche per via terra gli aiuti a Ferdinando erano negati: nel ducato di
Milano era scoppiata la "guerra di Mantova": si era aperto il conflitto per
la successione al feudo di Mantova. I pretendenti erano il fratello del duca
Francesco (sostenuto dagli Asburgo) e la figlia di Francesco (che chiese
aiuto alla Savoia).
Solo la Spagna era in grado di fornire i rinforzi necessari ed ora la
cessione dell'Alsazia e dei due enclaves imperiali (Finale Ligure e
piombino) alla Spagna sembrava un equo prezzo da pagare in cambio del
riconoscimento spagnolo della legittimità di Ferdinando come erede di
Mattia.
Nell'inverno 1617-18 Ferdinando venne nominato sovrano designato e la corte
imperiale si ritirò a Vienna lasciando un governo di reggenti a Praga
[L'elezione imperiale doveva essere poi confermata dal pontefice, che
procedeva all'incoronazione ufficiale. In origine, tutti i principi
dell'impero partecipavano all'elezione del re, ma nel 1263 il papa Urbano IV
emise due bolle che limitavano tale privilegio a sette principi.
Tuttavia, l'autorità e la composizione di tale elettorato non furono
stabilite definitivamente fino al 1356, quando con la Bolla d'Oro
l'imperatore Carlo IV nominò gli arcivescovi di Colonia, Magonza e Treviri e
quattro laici, il margravio di Brandeburgo, il duca di Sassonia, il conte
palatino del Reno e il re di Boemia. Nel 1623 il voto del duca di Baviera fu
sostituito a quello del conte palatino del Reno, poi riammesso nel 1648. Gli
elettori salirono a nove nel 1692, quando fu ammesso anche l'Hannover, per
tornare a otto con l'estinzione dei duchi di Baviera nel 1778.]
Agendo sui reggenti di Praga, Ferdinando introdusse una serie di misure
provocatorie: controllo dei libri stampati, vietò il ricorso a sussidi da
fondi ecclesiastici per pagare i ministri protestanti e infine proibì
l'ammissione
di non-cattolici a cariche civili.
I leader boemi decisero di opporre resistenza all'imperatore e si
attendevano una mobilitazione di massa per la loro causa da parte degli
alleati stranieri, ma se le nazioni si potevano permettere di venire in
aiuto di uno stato indipendente, non altrettanto potevano fare con dei
ribelli.
La fase boema
Il 5 marzo del 1618 gli Stati rappresentativi del regno di Boemia
convocarono un incontro per discutere la politica antiprotestante dei
reggenti. Il nocciolo era la predilezione del re per i prelati cattolici
nella cessione di terre. L'assemblea venne immediatamente sciolta da Mattia,
ma due mesi più tardi se ne apri un'altra, chiusa anche quella.
L'ordine di chiudere un'assemblea sembrava incostituzionale e provenendo dal
consiglio dei reggenti che sedeva a Hradschin i delegati protestanti si
recarono a palazzo e defenestrarono due reggenti e un loro segretario.
L'esercito
imperiale era impegnato nelle guerre contro gli uscocchi e Mantova e quindi
non disponeva di uomini per sedare la rivolta di Boemia. Gli Stati generali
della Boemia, come seconda mossa, fecero domanda di essere ammessi
nell'Unione
protestante ed offrirono la loro corona a chi prestasse aiuto (un'offerta un
po' doppiogiochista).
Comunque si fecero avanti il duca di Savoia, Bethlen Gabor di Transilvania,
l'Elettore della Sassonia (Giovanni Giorgio) e Federico del Palatinato (sarà
quest'ultimo a ricevere la corona). Nell'estate del 1619 venne posto
l'assedio
a Vienna, ma grazie agli aiuti della Spagna e del Papato venne tolto quasi
immediatamente.
Un confitto generale sembrava inevitabile allo scadere della tregua dei
Dodici anni in Olanda. L'impressione era che se la rivolta boema fosse stata
repressa, sarebbe finita la libertà religiosa del regno. Nell'agosto del
1619 Bethlen Gabor diede inizio alla conquista dell'Ungheria asburgica.
Il 28 settembre Federico accettò la corona boema. In novembre le forze della
Transilvania si unirono alle truppe di Thurn (capo dell'esercito dei
confederati protestanti e uno dei protagonisti della defenestrazione) e
posero il secondo assedio a Vienna. Offerte di aiuti giunsero da molte
parti: arrivò pesino l'offerta del sultano turco Osman II.
L'Impero si organizza
Tattica dell'Impero è acquisire aiuti e disperdere i nemici. Figura di
spicco è l'ambasciatore spagnolo conte di Onate. Ferdinando II si recò a
Monaco da Massimiliano di Baviera (capo della Lega cattolica) per valutare
quale aiuto avrebbe potuto fornire alla causa asburgica. Ma Massimiliano era
titubante e Onate convinse Ferdinando ad offrirgli anche le terre
conquistate in Palatinato dalla Lega e la promessa che la carica di Elettore
sarebbe passata da Federico del Palatinato alla Baviera..
La Spagna aveva un quadro fin troppo chiaro della situazione: se la Spagna
non fosse intervenuta in aiuto di Ferdinando II, i ribelli avrebbero
affidato il controllo dell'Impero ai protestanti e ciò significava per la
Spagna la perdita dei Paesi Bassi e delle posizioni in Italia. Ma anche un
aiuto significava provocare un conflitto destinato a durare per lungo tempo.
Allora Filippo III di Spagna decise che la via più efficace per far
allentare la pressione su Vienna fosse quella di creare un attacco diversivo
rivolto al Palatinato. Un esercito di 20.000 uomini partì dai Paesi Bassi
diretto verso il Palatinato e comandato da Ambrogio Spinola.
La rivolta dio Boemia si era trasformata nella "guerra dei Trent'anni". Ora
i diplomatici degli Asburgo avevano convinto alcuni nemici a ritirare i loro
sostegni alla causa dei confederati: il sultano turco Osman II, Bethlen
Gabor di Transilvania. Invece il Brandeburgo e la Sassonia vennero
neutralizzati dal collasso finanziario.
Il colpo finale alla causa protestante fu inferto dalla Francia. Anche Luigi
XIII aveva affrontato rivolte e altre traversie per mano dei suoi sudditi
protestanti, e perciò aveva all'inizio guardato con solidarietà alla
situazione di Ferdinando. Allora venne mandata in Germania una missione
diplomatica plenipotenziaria guidata dal duca di Angolueme. Egli convinse i
comandanti dei due schieramenti (Lega e Unione) al cessate il fuoco
(trattato di Ulm, 3 luglio 1620). Ma la tregua aveva dato all'Imperatore un
vantaggio decisivo di cui volle servirsi.
Un esercito comandato da conte Tilly si diresse nell'Austria superiore; a
settentrione i Sassoni occuparono la Lusazia e ad occidente Spinola avanzò
facilmente attraverso il Palatinato. Perciò le truppe di Tilly e di
Massimiliano di Baviera avanzarono inesorabilmente all'interno della Boemia.
L'8 novembre 1620 i ribelli tentarono una disperata resistenza alla Montagna
Bianca, proprio sotto le mura di Praga. Solo un'ora ci volle ai cattolici
per assicurarsi la vittoria. La rivolta boema era terminata.
L'Europa e la guerra del Palatinato
Alcuni sostenitori attivi di Federico in Germania abbandonarono la causa
(Cristiano di Anhalt e Ansbach conclusero la pace con l'imperatore nel
1621). Solo un manipolo di principi continuavano a sposare la causa del
Palatinato: i duchi di Sassonia-Weimar e Cristiano di Brunwick-Wolfenbuttel.
Cristiano di Danimarca tendeva a non esporsi e nel 1621 proclamò che sarebbe
intervenuto solo se sostenuto dall'Inghilterra. In questo modo l'Inghilterra
diventava fulcro della diplomazia del Palatinato, e di tutti i protestanti.
Nel 1621 Giorgio I d'Inghilterra tentò di negoziare una sospensione generale
delle ostilità nell'Impero, come primo passo verso il riassetto totale, nel
quale contava di ottenere la restaurazione di Federico nel Palatinato in
cambio della rinuncia alle sue pretese boeme.
Ma Federico non si convinceva a rinunciare incondizionatamente alle proprie
rivendicazioni boeme. Nel maggio del 1621 l'Unione protestante si sciolse.
Alla fine dell'estate del 1621 Tilly guidò l'esercito della Lega nell'Alto
Palatinato e lo occupò. Alla fine anche Federico era pronto a negoziare, ma
i cattolici vittoriosi non avevano tuttavia più interesse a intavolare
negoziati.
L'imperatore aveva promesso grandi ricompense a Massimiliano di Baviera -
soprattutto la cessione sia dell'Alto Platinato sia del titolo di Elettore -
in cambio di assistenza militare contro Federico. L'offerta era stata fatta
avventatamente, dando per scontato che Massimiliano non sarebbe riuscito mai
a mobilitare un esercito abbastanza forte da sedare una rivolta senza farsi
aiutare: ma dopo la Montagna Bianca, prima o poi il debito andava pagato.
Ferdinando promise dunque di dare corso al trasferimento della carica
elettorale nella successiva Dieta imperiale, con l'approvazione di Sassonia
e Spagna. Ma il governo spagnolo era ostile alla cessione del titolo.
Nonostante ciò a gennaio del 1623 una ristretta assemblea di principi si
riunì a Ratisbona per ratificare la cessione: Ferdinando concesse a
Massimiliano il titolo, ma a lui solo e senza possibilità di trasmetterlo ai
suoi eredi; comunque il problema del Palatinato continuava ad essere
irrisolto.
La cessione era più di quanto la maggior parte delle potenze europee fosse
disposta a tollerare. Federico, una volta deposto trovò più alleati che mai.
Federico progettò un nuovo attacco all'imperatore per riprendersi terre e
titoli, Tilly glielo impedì (Stadtlohn, 6 agosto 1623).
Federico alla notizia della disfatta del suo esercito, rinunciò a ulteriori
ambizioni militari, cedendo senza riserve la propria causa alla meditazione
di Giacomo I d'Inghilterra. Quest'ultimo cercava un'alleanza con la Spagna
(attraverso il matrimonio spagnolo di suo figlio Carlo) per accomodare la
questione del Palatinato. Ma la Spagna in cambio chiedeva la riconversione
al cattolicesimo di Carlo e dell'erede di Federico.
Le trattative si conclusero immediatamente e l'Inghilterra cercò di
avvicinarsi alla Francia per organizzare una sedizione militare congiunta
che riconquistasse il Platinato al deposto elettore. Federico aveva sondato
anche la possibilità di aiuto dalla Svezia: il re Gustavo Adolfo era
notoriamente favorevole alla cosa, ma il resto del consiglio svedese,
capeggiato da Oxenstierna, considerava più pericolosa la Polonia della
Germania.
A questo punto la Francia si rese conto che stava per sostenere la causa
protestante quando invece la sua confessione era quella cattolica e
Richelieu respinse i tentativi di Massimiliano di Baviera di mettersi sotto
la protezione francese in modo da sganciarsi dagli Asburgo. Fu in parte per
questo che Richelieu si risolse a concentrare i suoi sforzi in Italia
piuttosto che in Germania.
In questa fase così delicata, una nuova potenza arrivò a salvare il
Palatinato: l'ambizioso e ricco Cristiano IV di Danimarca.
L'intermezzo danese
Cristiano IV venne coinvolto nella guerra dei Trent'anni da due serie di
circostanze diverse: La Svezia, timorosa di ulteriori attacchi danesi, firmò
nel 1614 un'alleanza con la Repubblica Olandese. Alleanza che mirava ad
indebolire il dominio danese dei traffici del Baltico. Ma l'alleanza non
funzionò e il potere restava ai danesi.
Nel 1621 terminò la tregua tra Spagna e Olanda e quest'ultima allora
privilegiò la politica rispetto ai commerci e decise di fare uno sforzo
decisivo per intrappolare Cristiano nella causa protestante, sostenendo
tacitamente le sue ambizioni dinastiche in Germania.
Per Cristiano il territori tedeschi potevano costituire un comodo
appannaggio per i suoi figli e anche un comodo modo per controbilanciare
l'espansione
svedese nel Baltico orientale. I sostenitori di Federico del Platinato,
avidi di alleati, riuscirono a sfruttare le rivalità scandinave e le
ambizioni tedesche di Cristiano, al punto che il re si trovò costretto a
condividerne la sorte e salvaguardare l'ossatura del suo sistema politico in
Scandinavia e nel nord della Germania.
All'inizio Cristiano rifiutò di intervenire da solo contro l'imperatore,
così si limitò a prestare denaro. La situazione si capovolse nel 1624 quando
i capi di Olanda, Inghilterra, Brandeburgo e Palatinato decisero di invitare
Gustavo Adolfo di Svezia a guidare un esercito di coalizione in Germania (
per invadere la Boemia).
Questi sviluppi allarmarono Cristiano di Danimarca che temeva che se al suo
rivale fosse stato consegnato un esercito di grandi dimensioni, magari
appoggiato dalla flotta olandese, il Baltico si sarebbe trasformato in un
lago svedese.
Nel gennaio del 1625, Cristiano si offrì di intervenire personalmente
organizzando una campagna diversiva nei Paesi Bassi. Dopo la morte di
Giacomo I d'Inghilterra, Cristiano assunse bruscamente il ruolo di Difensore
della fede protestante e scese in guerra senza essersi procurato alcun
sostegno politico ed economico. Ma Cristiano aveva scelto il moneto più
sbagliato per un'invasione. Nella primavera del 1625, dietro suggerimento
dei capi della Lega, l'imperatore decise di mettere in piedi un esercito di
ampie proporzioni per conto suo affidandone il comando a Wallenstein. Ora
Cristiano doveva affrontare gli eserciti della Lega (comandato da Tilly) e
dell'imperatore (comandato da Wallenstein). Adesso che Cristiano aveva
disperatamente bisogno di aiuto i suoi alleati si dileguarono.
L'alleanza anglo-francese fu la prima a collassare. Intrappolato nei dilemmi
di politica confessionale Richelieu abbandonò la guerra e accettò di cedere
la Valtellina alla Spagna. Pochi mesi dopo, il governo francese rifiutò
formalmente di unirsi all'alleanza antiasburgica e nel marzo del 1627
concluse un'alleanza con la Spagna per muovere guerra all'Inghilterra .
Nell'estate del 1625 anche Gustavo Adolfo abbandonò la coalizione. Restavano
nella coalizione Inghilterra, Danimarca e Province Unite. Nello scontro del
26 agosto 1626 Tilly sconfisse Cristiano a Lutter. L'imperatore ora
pretendeva un prezzo terribile per la pace. A Cristiano venne imposto di
cedere tutto lo Jutland, di pagare riparazioni di guerra esorbitanti e di
rinunciare per sempre ai suoi territori nell'ambito dell'Impero. Cristiano
non intendeva accettarle ed i suoi alleati non potevano permettersi di
consentirglielo.
Gustavo Adolfo firmò un'alleanza difensiva con Cristiano, suo rivale di un
tempo. L'esercito imperiale non riuscì così ad impadronirsi delle isole
danesi, premessa necessaria alla resa totale. Ma era chiaro che l'Impero
necessitava della pace altrettanto della Danimarca, perciò furono intrapresi
seri negoziati a Lubecca. Con la pace, Cristiano recuperò tutti i territori
perduti, in cambio promise di non intervenire mai più negli affari interni
dell'Impero. Così si concluse l'intermezzo danese. A che cosa era dunque
approdato l'intermezzo danese? Cristiano era sconfitto e caduto in
discredito e Carlo I d'Inghilterra si ritirò definitivamente dal conflitto.
A quell'ora la causa protestante era in rovina, ma almeno era sopravvissuta.
Guerra totale
Nell'estate del 1630 gli Elettori s'incontrarono a Ratisbona per risolvere
le controversie recentemente maturate tra di loro. Ferdinando doveva
ottenere il consenso degli Elettori sul suo sostegno finanziario e militare
alla Spagna in guerra contro la Repubblica Olandese. Inoltre egli aveva
bisogno del loro appoggio contro la minaccia di un'aggressione
franco-svedese.
La preoccupazione dominante degli Elettori era d'altro canto quella di
assicurarsi le dimissioni di Wallenstein. Quest'ultimo versava in condizioni
finanziarie precarie: la quota inviata dall'imperatore per il mantenimento
del suo esercito non era sufficiente tanto che sembrò alquanto sollevato
quando l'imperatore acconsentì alle richieste di dimissioni degli Elettori.
Toccò a Tilly il compito di ridurre l'esercito imperiale del 75%, unendo le
truppe residue a quelle della Lega.
L'incontro di Ratisbona si trasformò in una corte d'inquisizione sulla
politica interna ed esterna di Ferdinando. Egli dovette promettere che: "non
verrà dichiarata nessuna nuova guerra senza il consulto degli Elettori" in
cambio non ottenne nulla: non fu eletto il re dei Romani e non venne
garantito il sostegno della Lega alle truppe asburgiche nei Paesi Bassi. La
sua unica vittoria consistette nella conferma dell'Editto di restituzione
[Decreto emanato il 6 marzo 1629 dall'imperatore Ferdinando II che prevedeva
la restituzione alla Chiesa cattolica dei beni ecclesiastici incamerati dai
principi protestanti a partire dal 1555 (trattato di Passau).
Le disposizioni dell'editto non entrarono mai in vigore, poiché,
incontrarono l'opposizione sia dei principi protestanti sia di quelli
cattolici, che intendevano porre un freno al potere degli Asburgo. Con la
pace di Vestfalia del 1648 l'editto di restituzione fu annullato.]
Temporaneamente rafforzato dal presunto ritiro di Luigi XIII dal conflitto,
Ferdinando II si dispose ad affrontare il piccolo esercito svedese che
Gustavo Adolfo aveva fatto sbarcare in Pomerania il 6 luglio 1630, senta
minimamente tentare di rendere la sua politica più accettabile per i
protestanti tedeschi. Il gesto gli fu fatale, poiché nel momento in cui gli
imperiali realizzarono di non poter ritirare le loro truppe dall'Italia, era
troppo tardi per scacciare gli svedesi dalla Pomerania.
Nel novembre del 1630 i cattolici, allarmati dal ripudio francese della pace
di Ratisbona, comunicarono che delle concessioni sull'Editto di restituzione
erano ancora possibili, e proposero un incontro con i protestanti;
Francoforte 1631. L'incontro era deliberatamente programmato per impedire ai
protestanti di unire le proprie forze.
I protestanti si riunirono allora per escogitare una strategia comune per
Francoforte. Il 6 febbraio 1631 a Lipsia si riunirono tutti i più
prestigiosi principi protestanti. Fu allora pensato che un'alleanza
difensiva protestante, senza alcun obiettivo particolare, ma finalizzata
solo a garantire i diritti dei principi contro chiunque potesse minacciarli
potesse essere allestita senza violare la costituzione dell'Impero.
Contraltare cattolico del Manifesto protestante di Lipsia fu il trattato di
Fontainebleau, firmato nel maggio del 1631 tra Francia e Baviera.
Fontainnebleau e Lipsia costituivano la risposta immediata al fallimento
dell'incontro di Ratisbona ed inoltre aspiravano alla creazione di una terza
forza neutrale che facesse da cuscinetto tra l'imperatore e i suoi avversari
stranieri, in modo da impedire al conflitto di diffondersi; ma alla fine
fallirono perché nessuno dei due riuscì a frenare gli svedesi.
L'intervento della Svezia
Nell'autunno del 1629, con la pace in Polonia , una nuova ricchezza in tasca
e la promessa dell'aiuto francese per il futuro, Gustavo Adolfo era pronto
ad intervenire in Germania. La Francia si impegnò a versare 400.000 talleri
annualmente per 5 anni così da finanziare l'impegno svedese.
Gustavo Adolfo aveva intrapreso la guerra animato dall'idea che gran parte
delle necessità delle truppe sarebbe stata soddisfatta dalle risorse dei
territori occupati, ma fino all'agosto del 1631 questi erano semplicemente
troppo poco estesi per riuscire a provvedere ad una simile concentrazione di
truppe. Allora, l'oro di Richelieu non avrebbe potuto arrivare in un momento
più opportuno.
Nell'aprile del 1631 l'esercito svedese avanzò verso sud nel Brandeburgo, ma
era troppo lontano per salvare l'unico alleato in armi della Svezia, Il
Magdeburgo, che venne occupato dalle truppe imperiali.
L'intera città venne immediatamente sottoposta al saccheggio dai soldati
furibondi e gran parte della popolazione venne massacrata ed ancor più perì
nell'incendio scoppiato dopo la resa della città. Solo pochissimi riuscirono
a salvarsi. In tutta Europa si sparse la notizia dell'eccidio in modo che
tutti sapessero quale trattamento l'imperatore riservasse ai suoi sudditi
protestanti. Il riluttante Giorgio Guglielmo del Brandeburgo si convinse al
allearsi alla Svezia. Conclusa la pace di Cherasco con l'Italia
settentrionale, Ferdinando II diresse Tilly contro Gustavo.
La Sassonia era tra i due fuochi. Tilly invase la Sassonia per scontrarsi
con Gustavo e Giovanni Giorgio di Sassonia si unisce alla Svezia. I
protestanti erano più forti del 30% dei loro avversari e misero Tilly in
fuga. La vittoria di Breitenfeld costituì la prima grande vittoria
protestante in campo dall'inizio della guerra. Ma re Gustavo non aveva
predisposto piani adeguati a una vittoria di così vaste proporzioni.
La Svezia continuava ad attirare alleati che avevano poco o nulla da
perdere: Brandeburgo-Kulmbach, Assia-Dramstad. Morto Tilly nel 1632 e messo
in rotta il suo esercito non c'era più nulla che potesse ostacolare
l'invasione
della Baviera. Ora era la causa cattolica votata al fallimento: l'esercito
della Lega era disperdo e la Baviera, la sua roccaforte, era in cenere. Per
di più la Spagna era bloccata dall'esercito olandese nei Paesi bassi e anche
l'Italia devastata dalla peste non potevano prestare aiuto all'imperatore.
Quando l'ondata del successo svedese si avvicinò a Monaco e a Vienna, fu
deciso che l'unica salvezza sarebbe stato un nuovo esercito imperiale e che
solo Wallenstein era in grado di reclutarlo.
Wellenstein si stanziò appena fuori Norimberga ed ottenne i primi successi
su Gustavo, ma commise anche l'errore più grave della sua carriera: dopo
aver tenuto in assetto da guerra per due settimane l'esercito concluse che
la campagna era finita e diede ordine alle truppe di disperdersi nei
quartieri invernali, ma gli svedesi stavano avanzando e al momento della
battaglia Wallenstein disponeva di pochissimi uomini. Non gli restò che il
ritiro. Il 17 novembre del1632 moriva anche Gustavo Adolfo. Ora le due parti
erano di nuovo più o meno in una situazione di parità. Le speranze della
Svezia erano puntate alla Francia, quelle dell'imperatore verso la Spagna.
Oxenstierna contro Wallenstein
Alla morte di Gustavo Adolfo la politica estera svedese fu affidata alla
direzione di Axel Oxenstirna. La sua tattica consisteva nel rendere
permanente la presenza svedese in Pomerania e in Prussia, così da
assicurarsi il Baltico sia contro la Polonia sia contro l'imperatore; in
secondo luogo organizzò una confederazione di principi amici nella Germania
centrale.
Magonza era il quartier generale svedese e venne allestito un programma di
rifondazione economica, fu coniata una nuova moneta e introdotta una chiesa
luterana. Ma la pietra angolare della Magonza svedese fu un vasto campo
fortificato battezzato "Gustavburg", nel punto in cui il Meno confluiva nel
Reno. La fortezza aveva lo scopo di garantire il controllo della zona e di
servire da rifugio in caso di bisogno. Nel 1633 fu costituita una Lega
difensiva legata alla Svezia, detta Lega di Heilbronn.
I tre obiettivi di tale unione erano: le libertà tedesche, la restaurazione
degli stati protestanti e la soddisfazione della corona di Svezia: la Lega
di Heilbronn acconsentì a mantenere un esercito con un costo annuale di
quasi 10 milioni di talleri e gli alleati accettarono di pagare anche gli
arretrati delle unità in servizio. Questi ultimi erano così enormi che si
rivelò impossibile accordarsi su una cifra totale.
Il problema si aggravava di giorno in giorno perché quante più aree venivano
destinate al saldo degli arretrati, meno ne restavano disponibili per la
retribuzione corrente. Per la fine del 1633 era chiaro che la Lega di
Heilbronn non era in grado di reggere il peso dell'esercito: per vivere
doveva necessariamente espandersi.
La Svezia era intenzionata ad annettere la Pomerania incurante dei diritti
del Brandeburgo. Allora Giorgio Guglielmo del Brandeburgo si convinse che
una riconciliazione con l'imperatore era l'unico modo per ottenere la pace,
ma le condizioni degli Asburgo erano talmente dure che il Brandeburgo e la
Sassonia si unirono nuovamente alla Svezia per un'altra campagna. La
tensione tra Svezia e i suoi alleati ormai non era più un segreto e
Wallenstein lo sapeva, quindi cercò di sfruttare la spaccatura. Oxenstierna
mise a capo dell'esercito svedese Thurn , ma Wallenstein lo costrinse alla
resa nel giro di una settimana.
Nel 1634 Wallenstein fu assassinato. Le possibili cause furono: l'imperatore
era esasperato per aver dovuto pagare il mantenimento di un gigantesco
esercito che non aveva concluso grandi cose; poi ci fu una diatriba sul
comando dell'esercito quanto alle truppe di Wallenstein si unirono a quelle
spagnole, ma l'ipotesi più probabile sull'assassinio di Wallenstein e lo
misero in cattiva luce agli occhi dell'imperatore erano le manovre
diplomatiche che Wallenstein condusse di propria iniziativa con la Sassonia
e il Brandeburgo, rifiutandosi per di più di intraprendere le azioni
militari prescritte da Vienna.
In ogni caso, l'uccisione di Wallenstein diede alla Svezia il tempo per
cercare di riparare alcune delle divisioni sorte nella Lega di Heilbronn.
Successivamente Ferdinando cinse d'assedio la città protestante di
Nordlingen, aspettando l'arrivo del cugino, il cardinale-infante Ferdinando
(pure lui). Quando i due eserciti si trovarono di fronte, la città cadde
immediatamente. Ora solo la Francia sarebbe stata in grado di salvare la
causa protestante.
Nel 1635 venne concluso un cessate il fuoco con la Sassonia e il
Brandeburgo: pace di Praga, 30 maggio 1635. La pace di Praga segnò una
svolta significativa nella guerra dei Trent'anni: provocò un declino
notevole dell'aspetto religioso del conflitto. Nello stesso mese in cui
venne firmata la pace di Praga, il re di Francia dichiarò guerra a Filippo
IV.
La "guerra di diversione" della Francia
La dichiarazione di guerra della Francia alla Spagna avvenne a seguito
dell'arresto
dell'Elettore di Treviri, alleato francese, da parte di una colonna di
soldati spagnoli. Da parte spagnola si dichiarò che la questione
dell'Elettore
di Treviri non era che un pretesto, e che i francesi erano decisi ad entrare
in guerra in qualsiasi caso. La Spagna pensò allora di predisporre un
attacco preventivo alla Francia in modo che il campo di battaglia fosse uno
dei territori asburgici, piuttosto che si trovasse a combattere una guerra
difensiva nelle viscere della Francia.
Fra il 1630 e il 1635, il governo francese aveva stretto accordi con la
Repubblica Olandese e con la Svezia. Lo scopo di queste alleanze era quello
di combattere gli Asburgo per procura, evitando l'intervento aperto della
Francia nella guerra dei Trent'anni. Tra le altre considerazioni strategiche
si inseriva la vulnerabilità della frontiera francese e la vicinanza di due
stati clienti degli Asburgo: Savoia e Lorena; e queste furono le prime
conquiste francesi.
Inizialmente i francesi volevano comunque che il loro intervento fosse sia
limitato sia indiretto. La Francia avrebbe portato avanti una massiccia
"guerra di diversione" mantenendo il suo coinvolgimento in Germania a
livelli minimi. La premessa di questa strategia stava nella convinzione che
era il re di Spagna, non l'imperatore, a costituire la minaccia più seria
alla sicurezza europea. Richelieu mirava a ad attirare fuori dall'alleanza
asburgica Massimiliano di Baviera in cambio della conservazione da parte sua
del titolo di Elettore.
La Francia, inoltre, non era disposta a concedere libertà d'azione alla
Svezia nel condurre il conflitto dato che godeva di un consistente
contributo francese in uomini e denaro e per questo in cambio di una
garanzia di assistenza in caso di aggressione per venti anni dopo la pace,
la Svezia doveva cedere la suprema direzione del conflitto a rinunciare al
sostegno francese.
Naturalmente Oxenstierna rifiutò e fu costretto a recarsi personalmente da
Luigi XIII. Conclusione dell'incontro fu il trattato di Compiègne del 28
aprile 1635, con il quale entrambi le parti si impegnavano a sostenere con
le armi il partito protestante in Germania, mentre nessuna delle due avrebbe
firmato paci separate. Una delle ragioni che avevano spinto Richelieu a
dilazionale il più possibile l'intervento nella guerra dei Trent'anni era
quella di rinsaldare l posizione finanziaria della monarchia francese, e la
sua capacità di sostenere una guerra prolungata.
Per questo, nel 1635, nel momento di massimo declino delle sorti delle cause
svedese e protestante in Germania, entrò in gioco un nuovo potente fondo
bellico, con il quale, né l'imperatore né la Spagna erano in grado di
competere. Di fatto praticamente nulla andò per il verso giusto nelle prime
due campagne francesi.
La campagna franco-olandese del 1635 sfociò nel fallimento: l'esercito
spagnolo delle fiandre riuscì a respingere gli invasori francesi. Poi la
Francia occupò la Valtellina, ma nel 1637 il mancato versamento del sussidio
provocò una sommossa generale contro tutti gli stranieri. Nella Francia
settentrionale le forze asburgiche avanzavano, ma furono arginati. Se la
programmata invasione della Linguadoca fosse avvenuta allora, invece di
essere ritardata fino al 1637, il regno di Francia avrebbe potuto essere
costretto a una resa ignominiosa. Ma la grande occasione per la causa
asburgica venne persa nel 1636.
Ma le vere grandi vittorie francesi nella guerra contro gli Asburgo giunsero
dopo la rivolta dei catalani nel maggio del 1640; dunque gli anni della
"guerra di diversione" non erano stati del tutto vani.
Conto alla rovescia per la pace
Alla morte di Gustavo Adolfo gli obiettivi bellici della Svezia erano stati
raggiunti. Oxenstierna era convinto che la Svezia dovesse uscire dal
conflitto, ma pace in che modo? Pace a quali condizioni?. La Svezia doveva
negoziare la pace da una posizione di vantaggio. L'interesse principale
della Svezia doveva essere quello di garantirsi da eventuali aggressioni da
parte della Danimarca e soprattutto dalla Polonia.
Il rifiuto della Svezia alle sue pretese sulla Pomerania implicò il netto
rifiuto di Giorgio Guglielmo del Brandeburgo di unirsi alla Lega di
Heilbronn. La strada per la disgregazione della Lega di Heilbronn era
aperta. A questo punto la Germania centrale era perduta e a Oxenstierna
appariva evidente che l'unico sostituto valido a Heilbronn era la Francia.
Ma un'alleanza francese avrebbe sbarrato la strada a qualsiasi pace
separata. Fu questo il dilemma col quale Oxenstriena continuò a confrontarsi
fino alla decisione finale del 1641.
Nel marzo del 1636 stipulò il trattato di Wismar che gli garantiva - se
ratificato - l'alleanza francese; ma egli fece in modo di non firmarlo. Solo
nel 1638 il trattato di Wismar venne ratificato col trattato di Amburgo:
vincolava ognuna delle due parti a non concludere paci separate per altri 3
anni, e dotò la Svezia dei sussidi di cui aveva urgente bisogno. Nel 1641
l'alleanza
venne di fatto rinnovata e la Svezia, in cambio di sussidi più frequenti, si
impegnò a combattere a fianco della Francia per l'intera durata della
guerra.
Nel frattempo, il 15 febbraio del 1637 Ferdinando II morì. Gli successe suo
figlio Ferdinando III, il quale pur proseguendo in Germania la politica del
padre, fu sempre meno disposto ad impegnare i suoi eserciti e le sue finanze
a favore della Spagna, che entrava proprio allora in una situazione di crisi
interna.
Torstensson, uno dei comandanti più validi svedesi venne mandato in Germania
per vincere la guerra. Invase la Sassonia e raggiunse la Moravia passando
per la Slesia, infine cinse Lipsia d'assedio. Il 2 novembre si scontrò con
l'esercito
imperiale e lo mise in rotte. Dopo quasi un quarto di secolo di guerra,
l'imperatore
era stato alla fine abbandonato da quasi tutti i suoi alleati tedeschi. Ora
bisognava solo obbligare gli Asburgo a piegarsi all'inevitabile.
La disfatta degli Asburgo
Ferdinando III venne spinto a rispondere positivamente agli inviti di pace
dal collasso improvviso e apparentemente totale della potenza spagnola. I
francesi comunque non erano gli unici nemici della Spagna. La Repubblica
Olandese continuava ad essere un osso duro, sia in Europa che nell'America
del Sud. Come se non bastasse nel 1640 la provincia di Catalogna si ribellò
e di seguito il Portogallo fece lo stesso. Ma anche la Francia stava ormai
incontrando pesanti difficoltà nel sostenere il suo sforzo bellico. Poi nel
maggio del 1643 spirò anche Luigi XIII, Richelieu era morto nel 1642.
Dovunque in Germania si moltiplicavano gli appelli alla pace. Così per
l'inizio
del 1643, la pace era certo nell'aria respirata dai partecipanti alla
guerra, tedeschi e non, e in breve si aprirono due sessioni di conferenze di
pace. A Francoforte le rappresentanze di molti principi tedeschi, inclusa la
maggio parte degli Elettori, si riunirono nel gennaio del 1643 per discutere
le questioni esclusivamente tedesche. La Francia, la Spagna e altri stati
cattolici stabilirono la propria sede a Munster; la Svezia ed i suoi alleati
a Osnabruck. L'intenzione di Ferdinando III era quella di tenere le
assemblee separate, poiché sperava che i suoi inviati particolari sarebbero
stati in grado di condurre trattative a nome di tutto l'Impero. Ai principi
cattolici stava bene, a quelli protestanti no e per questo le delegazioni
protestanti si spostarono a Osnabruck. Le deliberazioni della conferenza in
Vestfalia vennero dotate dello status di Dieta, in modo che le decisioni
prese in quella sede avrebbero goduto delle prerogative delle leggi emanate
dall'Impero.
Nel 1643 la Svezia aveva dichiarato guerra alla Danimarca. Cristiano IV, il
cui desiderio di gloria non era svanito neppure dopo le sconfitte patite,
aveva cercato di ostacolare sempre la Svezia occupando il porto di Amburgo,
dando rifugio agli avversari politici del governo svedese e depredando le
navi svedesi nel Baltico. Quando si diffuse la notizia che Cristiano godeva
di un'alleanza segreta con l'imperatore, la Svezia decise di attaccare per
prima. Le forze di cristiano furono sconfitte e il 23 agosto fu firmata la
pace a favore della Svezia. L'alto comando svedese decise allora di
allestire un'operazione in grado di provocare l'immediato collasso della
resistenza asburgica: l'invasione della Boemia avrebbe ferito l'imperatore
dritto al cuore. Nello scontro di Jankau (5 marzo 1645) gli imperiali furono
sconfitti. Ad agosto si raggiunse l'accordo secondo cui tutti i principi e
le città con un seggio nella Dieta imperiale avevano diritto a una
rappresentanza effettiva ai colloqui di pace. In settembre l'imperatore
concesse un'amnistia a tutti i suoi vassalli ribelli. Il 29 novembre del
1645 il consigliere dell'imperatore nonché capo dei negoziati, il conte
Trauttmannsdorf, arrivò a Munster. I problemi squisitamente tedeschi vennero
trattati per primi. I punti salienti erano: il riconoscimento ufficiale del
calvinismo; la restituzione dei terreni secolarizzati della Chiesa e la
restaurazione dell'Elettore del Palatinato. I protestanti riuscirono a
restare compatti fino a quando la frammentazione del Corpus Catholicorum non
segnò la vittoria per loro. Un accordo finale su tutte le questioni
religiose venne concluso dal Congresso il 24 marzo 1648. La data di
decorrenza per tutte le controversie religiose diventava il primo gennaio
1624. La tolleranza per il culto privato delle minoranze religiose sarebbe
stata rispettata dovunque tali minoranze preesistessero alla data di
decorrenza. In questo modo il principio del cuius regio eius religio venne
abbandonato.
Ora il congresso doveva affrontare le richieste delle potenze straniere. La
Svezia adesso voleva anche il Meclemburgo, Brema e Verden, non gli bastava
più solo la Pomerania. La Francia allora decise di rafforzare il Brandeburgo
(sempre interessato alla Pomerania) per controbilanciare la potenza della
Svezia. Alla fine la Svezia decide di suddividere la Pomerania e gli restò
la parte occidentale più Brema e Verden, cedutegli dalla Danimarca. Le
pretese territoriali della Francia erano più moderate. Mazzarino chiedeva il
riconoscimento delle conquiste fatte nel territorio del Reno e la
legalizzazione del controllo francese su Alsazia e Lorena.
A settembre del 1646 fu conclusa la pace preliminare tra Francia e
l'imperatore;
ma la guerra continuò ancora per due anni. Furono le nuove richieste di
Mazzarino. I suoi negoziatori a Munster cercavano ora di procurare a Luigi
XIV lo status di principe dell'Impero, un'indennità di guerra e una
soluzione per la questione del Platinato che non era do nessun vantaggio per
la Baviera. Allora Massimiliano di Baviera rinnovò nel 1647 la sua antica
alleanza con l'imperatore. Fu una mossa imprudente: l'esercito di
Massimiliano non costituiva certo una minaccia per la Francia. Nemmeno gli
aiuti imperiali salvarono Massimiliano dalla sconfitta.
La Francia ora avrebbe sfruttato anche questa vittoria per ottenere altri
vantaggi se non fosse scoppiata una grave rivolta in Francia (nota come "la
Fronda parlamentare": una serie di rivolte contro la corona francese,
consumatesi tra il 1648 e il 1653, sotto il regno di Luigi XIV. Iniziata
come protesta del parlamento di Parigi contro la politica fiscale del primo
ministro del re, il potente cardinale Giulio Mazzarino, la Fronda degenerò
presto in insurrezione armata.
L'ordine fu ristabilito solo nel marzo 1649, quando le forze governative
condotte da Luigi II principe di Condé stroncarono con la forza la rivolta,
realizzando intanto un accordo tra parlamento e monarchia. Nel 1650 fu la
volta dell'aristocrazia a ribellarsi all'autorità centrale; l'insuccesso di
questo tentativo finì per rafforzare l'immagine e l'effettiva autorità del
re. ) Nonostante la Fronda Mazzarino era deciso a proseguire gli scontri
finché gli Asburgo d'Austria non si fossero decisi ad abbandonare la Spagna.
Ferdinando crollò: non poteva permettersi di proseguire i combattimenti a
solo beneficio della Spagna. I legami tra Spagna e Austria erano finalmente
indeboliti.
La "pace preliminare" tra Svezia e imperatore venne fatta dopo essersi messi
d'accordo l'ammontare dell'indennità che spettavano all'esercito svedese: 5
milioni di talleri.
Le condizioni definitive per porre termine alla guerra vennero firmate a
Munster il 24 ottobre 1648.
Nell'aprile del 1649, le città imperiali, costrette ad ammettere la parità
delle confessioni, ottemperarono alle clausole del contratto. L'amnistia
generale venne proclamata e l'Elettore del Platinato riprese il suo posto
nel consiglio degli Elettori.
Il 26 giugno del 1650 i delegati svedesi e gli imperiali firmarono un
accordo di ritiro graduale di tutte le truppe, in giorni prestabiliti, dalle
aree della Germania.
LA GUERRA CONTADINA DEL SEDICESIMO (XVI) SECOLO IN GERMANIA:
Una delle cose che la storiografia marxista di tutti i tempi ha sempre
sostenuto è l'idea secondo cui il mondo contadino, da solo, non è in grado
di creare alcun vero processo democratico, in quanto troppo influenzato da
idee religiose, troppo individualista nell'agire sociale, troppo
disorganizzato e spontaneista nell'agire politico. Il mondo rurale, detto
sinteticamente, ha bisogno di quello operaio per passare al socialismo.
Vediamo ora quali effetti ha prodotto l'aver applicato una tesi del genere
allo studio dei tempi passati. Prendiamo come caso emblematico la guerra
contadina nella Germania del XVI sec.: un argomento trattato estesamente già
da Engels, ripreso da molti altri storici, fino a Bloch, e sviluppato
ampiamente nel volume IV della Storia Universale dell'Accademia delle
Scienze dell'URSS.
Se esaminiamo p.es. il modo di affrontare il periodo di formazione dello
Stato unitario tedesco, subito appare in evidenza un giudizio negativo sulla
frantumazione del paese in tanti principati tra loro indipendenti. Con ciò
si dà praticamente per scontato che il concetto di "nazione" o di "Stato
centralizzato" sia, rispetto alla divisione politica, un fattore in sé
positivo, quasi un indice sicuro di progressiva democratizzazione.
Ovviamente mettendo a confronto termini come "unificazione" e "divisione" è
facile che la scelta cada sul primo. Se esiste una "divisione" in tanti
principati o staterelli è giocoforza pensare che sia da preferire l'unità
nazionale.
E' rarissimo vedere qualche storico chiedersi se per caso non sia o non
fosse possibile costruire l'unità a livello locale o regionale, in modo che
l'unità nazionale altro non sia o non fosse che un patto federativo tra le
varie realtà locali o regionali. La necessità di uno Stato centralizzato,
sotto questo aspetto, appartiene tanto alla storiografia borghese quanto a
quella marxista.
In pratica si sostiene che l'unificazione nazionale può essere garantita
soltanto da uno Stato centralizzato, che inevitabilmente si pone in maniera
autoritaria rispetto alle istanze di tipo locale o regionale. E' lo Stato
che deve decidere i criteri fondamentali con cui vivere gli aspetti
dell'unificazione nazionale. Lo Stato non riconosce le esperienze di unità
presenti nella società civile, non si limita a coordinarle, tutelandone le
specificità, ma, al contrario, presume di ricavare da esse soltanto ciò che
è funzionale all'idea di unificazione centralizzata.
In sostanza la storiografia marxista, piuttosto che chiedersi quali
possibilità vi fossero di democratizzare, sul piano socio-economico, la
realtà feudale del singolo lander tedesco, preferisce limitarsi a dire che
un sicuro progresso politico sarebbe stata l'unificazione nazionale in nome
di uno Stato centralizzato, che, in tal modo, avrebbe potuto competere con
gli Stati confinanti, già da tempo convinti di questa necessità.
Detto in parole più semplici ma più efficaci, la storiografia marxista,
piuttosto che stare dalla parte dei contadini, preferisce, in mancanza di un
proletariato industriale, stare dalla parte della borghesia. Questo in
coerenza con le tesi classiche secondo cui senza borghesia industriale non
ci sarebbe neppure una classe operaia vera e propria.
La storiografia marxista non può chiedersi (anche se dopo la perestrojka
gorbacioviana molti progressi sono stati fatti) come le cose sarebbero
potute andare, senza lo sviluppo del capitalismo, proprio perché essa è
convinta che senza questo sviluppo esisterebbe ancora oggi un feudalesimo
coi suoi privilegi di casta, le sue rendite, i suoi integralismi..., essendo
storicamente provato che le forze rurali non sono capaci di porre una valida
alternativa a tutto ciò.
Quindi il marxismo prende atto di come le cose si sono storicamente svolte
e, in nome della categoria della "necessità storica", plaude allo sforzo
della borghesia, la quale, grazie anche all'aiuto dei contadini, è riuscita
a liberarsi di un pesante fardello del passato, costituito appunto dal
servaggio feudale e dal clericalismo cattolico-romano.
Tumulto dei follatori a Bologna risalente al 1289.
Tensioni sociali a Douai (Fiandre) negli anni 1296-1306.
Scioperi in diverse città dell'Inghilterra e delle Fiandre nel 1311-13.
Nel movimento dei "pastorelli" nella Francia del 1320 si congiungono motivi
di protesta religiosa e rivendicazione sociale.
Nelle Fiandre nel 1323-28 vi furono rivolte contadine, stroncate
dall'esercito francese.
Scioperi a Gand (Fiandre) nel 1337.
Una rivolta contadina in Danimarca nel 1340.
Tumulti dei tessitori a Poznan (Polonia) nel 1344.
Nel 1345 si registrò a Firenze lo sciopero dei tintori, guidato da Ciuto
Brandini, che venne condannato a morte come sedizioso.
Scioperi a Gand (Fiandre) nel 1345.
Nel 1346-54 scioperi e agitazioni, congiunte con manifestazioni antisemite,
a seguito dell'epidemia di peste in diverse aree della Germania e della
Francia.
I contadini francesi della Jacquerie (Ile-de-France) nel 1358 si
sollevarono, demolendo i castelli e requisendo le terre dei signori feudali.
Il movimento dei tuchins (miserabili) in Linguadoca (Francia), si estende in
Piemonte negli anni 1363-84.
Scioperi in Polonia nel 1375-95 contro il divieto di costituire associazioni
di lavoratori salariati.
Agitazioni e ribellioni in diverse città della Boemia nel 1377-84.
I Ciompi di Firenze, popolo minuto di opifici e arti minori, presero nel
1378 il comune di Firenze, riformarono arti e mestieri. I padroni fuggirono
in campagna, da dove li affamarono cingendo d'assedio la città. Dopo due
anni di stenti li sconfissero, restaurando l'oligarchia.
Moti e agitazioni a Puy e a Nimes (Francia) nel 1378.
Disordini e sollevazioni a Gand e in diverse città francesi nel 1379.
Sollevazioni nelle Fiandre (soprattutto a Bruges e a Gand) nel 1380.
Agitazioni antifiscali in diverse località della Francia nel 1380
Disordini a Lubecca (Germania) nel 1380.
I contadini d'Inghilterra presero le armi contro i nobili per porre fine a
gabelle e imposizioni. Nel 1381 seguirono la predicazione di John Ball e con
roncole e forconi si diressero verso l'Essex e il Kent, occuparono Londra,
appiccarono fuochi, saccheggiarono il palazzo dell'arcivescovo, aprirono le
porte delle prigioni. Per ordine di re Riccardo II molti di loro salirono
sul patibolo.
Rivolte antifiscali in Francia nel 1382; agitazioni a Parigi e a Rouen
(stroncate l'anno dopo).
Iniziano in Catalogna nel 1395 le agitazioni dei contadini spagnoli, che per
quasi un secolo si opporranno ai loro signori (fino al 1471).
Agitazioni nelle campagne dello Jütland (Danimarca) nel 1411.
Gli ussiti e i taboriti, artigiani e operai boemi, ribelli al papa, al re e
all'imperatore, dopo che il rogo consumò Jan Hus, nel 1419 assalirono il
municipio di Praga, defenestrarono il borgomastro e i consiglieri comunali.
Il re Venceslao morì di infarto. I principi d'Europa mossero loro guerra.
Chiamato alle armi il popolo ceco, fu respinta ogni invasione, anzi il
movimento contrattaccò in Austria, Ungheria, Brandeburgo, Sassonia,
Franconia, Palatinato. Furono aboliti il servaggio e le decime. Gli insorti
vennero sconfitti dopo trent'anni di guerre e crociate.
Rivolte contadine nella Francia centro-meridionale nel 1422-31.
Vari episodi di ribellismo assieme a forme di brigantaggio nelle campagne
francesi nel 1435-65.
Sollevazioni dei contadini in Scandinavia nel 1436-40.
Rivolta di ispirazione lollarda (seguaci di Wycliff) in Inghilterra nel
1450.
La ribellione dei contadini catalani nel 1462 portò a un'ondata di
sollevazioni in Spagna che durò fino al 1487.
Trentaquattromila risposero all'appello di Hans il pifferaio nel 1476. Il
programma era chiaro: "Niente più re né principi. Niente più papato né
clero. Niente più tasse né decime. I campi, le foreste e i corsi d'acqua
saranno di tutti. Tutti saranno fratelli e nessuno possiederà più del suo
vicino." Ma i cavalieri del vescovo catturarono Hans, poi attaccarono e
sconfissero gli insorti. Hans bruciò sul rogo.
I seguaci dello "Scarpone", salariati e contadini d'Alsazia, che nel 1493
cospirarono per giustiziare gli usurai e cancellare i debiti, espropriare le
ricchezze dei monasteri, ridurre lo stipendio dei preti, abolire la
confessione, sostituire al Tribunale Imperiale giudici di villaggio eletti
dal popolo. Il giorno di Pasqua attaccarono la fortezza di Schlettstadt, ma
furono sconfitti e molti di loro impiccati o mutilati ed esposti al dileggio
delle genti. Ma quanti riuscirono a salvarsi portarono lo Scarpone in tutta
la Germania. Dopo anni di repressione e riorganizzazione, nel 1513 lo
"Scarpone" insorse a Friburgo. Susseguirsi di rivolte contadine in Germania
dal 1487 al 1517.
I contadini di Svevia (Povero Konrad) si ribellarono alle tasse su vino,
carne e pane nel 1514. In cinquemila minacciarono di conquistare Schorndorf,
nella valle di Rems. Il duca Ulderico promise di abolire le nuove tasse e
ascoltare le lagnanze dei contadini, ma voleva solo prendere tempo. La
rivolta si estese a tutta la Svevia. I contadini mandarono delegati alla
Dieta di Stoccarda, che accolse le loro proposte, ordinando che Ulderico
fosse affiancato da un consiglio di cavalieri, borghesi e contadini e che i
beni dei monasteri fossero espropriati e dati alla comunità. Ma Ulderico
convocò un'altra Dieta a Tubinga, si rivolse agli altri principi e radunò
una grande armata con la quale riuscì ad espugnare la valle di Rems: assediò
e affamò gli insorti sul monte Koppel, depredò i villaggi, arrestò
sedicimila contadini, sedici furono decapitati, gli altri condannati a
pagare forti ammende.
I contadini d'Ungheria, riunitisi per la crociata contro il Turco, decisero
invece di muover guerra ai signori, nel 1514. Sessantamila uomini in armi,
guidati dal comandante Dosza, portarono l'insurrezione in tutto il paese.
L'esercito
dei nobili li accerchiò a Czanad, dov'era nata una repubblica di eguali. Li
presero dopo due mesi di assedio. Dosza fu arrostito su un trono rovente, i
suoi luogotenenti costretti a mangiarne le carni per aver salva la vita.
Migliaia di contadini furono impalati e impiccati.
Ribellione dei Cavalieri tedeschi (piccola nobiltà) contro i grossi
feudatari laici e ecclesiastici. Siamo negli anni 1521-23.
Vediamo ora come la storiografia marxista ha affrontato la grande guerra
contadina nella Germania del '500, ivi inclusi i suoi rapporti con la
riforma protestante.
Anzitutto è interessante notare come detta storiografia critichi da un lato
la mancanza di unità nazionale del paese, e dall'altro tutti i tentativi di
"riforma imperiale" di far rientrare nei territori dell'impero quelle
regioni che avevano avviato un processo di indipendenza.
Questo strano atteggiamento trova ovviamente la sua spiegazione nel fatto
che mentre l'unità imperiale avrebbe voluto essere fatta in nome di ideali
feudali, quella nazionale doveva essere fatta in nome di ideali borghesi. In
assenza di quest'ultima, detta storiografia preferisce sempre la separazione
dei poteri feudali dominanti: di qui, p.es., i consensi favorevoli
all'indipendenza dell'Unione Svizzera, che l'imperatore tedesco Massimiliano
I e la Lega sveva furono costretti a riconoscere nel 1511.
Da questo punto di vista appare del tutto naturale che detta storiografia
prenda sempre le difese del protestantesimo (espressione dei ceti borghesi)
contro il cattolicesimo-romano (espressione dei ceti clerico-feudali).
In Germania gli Asburgo e in Austria gli arciduchi non rappresentavano
soltanto gli interessi di un feudalesimo decrepito, ma anche quelli di una
religione che aveva fatto il suo tempo.
Il confronto storico-culturale non viene posto dalla storiografia marxista
tra Chiesa e Impero da un lato e mondo rurale dall'altro, ma da Chiesa e
Impero da un lato e mondo borghese dall'altro. Il mondo rurale non viene mai
considerato come uno dei termini positivi di riferimento dello scontro con
le forze retrive del feudalesimo, se non per dire - come vedremo - ch'esso
non era e non sarebbe stato in grado di porre alcuna vera alternativa allo
stato di cose.
Da notare inoltre che detta storiografia, quando mette a confronto le
esigenze imperiali di unificazione con quelle separatiste dei principi
tedeschi, culturalmente entrambe retrive perché apertamente feudali e quindi
lontanissime dagli sviluppi della borghesia, preferisce stare sempre dalla
parte dei principi tedeschi, che pur si opponevano strenuamente, in
contrasto con le idee asburgiche, a qualunque ipotesi di unificazione
territoriale dell'impero.
E' vero che gli Asburgo avevano in mente più la prosecuzione dell'idea
feudale di un sacro impero romano-germanico, che non la realizzazione di una
moderna monarchia nazionale, ma per quale motivo, in questo caso
particolare, il marxismo preferisce perorare la causa di chi non voleva né
l'unificazione nazionale né quella imperiale (come appunto i principi
aristocratici o il ceto della cavalleria)?
Il motivo sta nel fatto che, dovendo combattere a favore dell'unità
nazionale, la borghesia può vincere più facilmente contro chi non ha alcuna
vera idea di unificazione alternativa. E questo ragionamento al marxismo sta
bene.
Qui il discorso esce dai binari dello storiografia e diventa meramente
politico. E, se vogliamo, è lo stesso che fa il cattolicesimo-romano quando
mette sui piatti della bilancia i suoi nemici di sempre: capitalismo e
comunismo. Dovendo scegliere chi dei due debba essere considerato il suo
nemico peggiore, il cattolicesimo sceglie sempre quello che, negli ideali di
giustizia, uguaglianza ecc., gli assomiglia di più, e cioè il comunismo.
Detto altrimenti, invece di analizzare concretamente i pro e i contro di una
politica imperiale cattolico-feudale, che nella fattispecie verrà condotta
da Carlo V (1519-56), oltre che ovviamente dalla classe aristocratica
tedesca, si preferisce assumere le difese, in maniera aprioristica, di tutte
quelle forze politiche e sociali che le si opponevano, all'insegna del
principio secondo cui uno sviluppo storico europeo verso il capitalismo
sarebbe sempre stato da preferirsi, in modo assoluto, a qualunque altra
soluzione alternativa.
Ora, è generalmente noto che la politica imperiale e aristocratica, non a
caso appoggiata dall'Austria, dalla Spagna e dal papato, fu il tentativo di
salvaguardare intatto il privilegio feudale, il clericalismo
cattolico-romano, le rendite parassitarie, il servaggio, in una parola il
peggio di quanto esistesse in tutto il Medioevo, ma è storicamente
giustificato sostenere, in nome di questa certezza, che tutto quanto questa
politica combatteva andava difeso ad oltranza?
Poniamo tale domanda anche perché, alla luce di quanto poi storicamente
avvenne nell'Europa dei secoli successivi, gli storici non dovrebbero essere
così sicuri che i guasti provocati da una politica imperiale
cattolico-feudale, se avesse vinto, sarebbero stati superiori a quelli
provocati dallo sviluppo del capitalismo, che riuscì a coinvolgere, nella
sua fase sanguinosa di espansione, il mondo intero, cioè anche quella parte
dell'umanità che dalle contraddizioni del feudalesimo europeo non era mai
stata toccata.
Certo, qui si può obiettare che la vittoria della politica feudale in
Germania (pur in veste luterana) provocò dei guasti di molto superiori a
quelli provocati dallo sviluppo del capitalismo all'interno del territorio
nazionale degli altri Stati europei, ma è anche vero che in Germania il
ritorno a forme para-schiavistiche di sfruttamento della manodopera rurale
fu dovuto a una reazione contro lo sviluppo borghese dell'economia.
Qui ovviamente sarebbe assurdo sostenere, come fanno le attuali forze
retrive del cattolicesimo-romano, che, proprio alla luce dei guasti
provocati dal capitalismo su scala mondiale, sarebbe stato meglio (e forse
per loro lo sarebbe ancora oggi) tornare al regime feudale. Si vuole
semplicemente sostenere che una qualunque storiografia viziata dai
condizionamenti politici (peraltro inevitabili), rischia di diventare
fatalmente superficiale. Ciò che fa parte del passato non è di per sé
peggiore di quanto lo ha superato. L'idea di un progresso storico lineare va
decisamente riveduta e corretta.
Naturalmente faremmo un torto alla storiografia marxista se dicessimo
ch'essa non si preoccupa di esaminare, sul terreno socio-economico, le
motivazioni che rendevano quanto mai superata la politica feudale
dell'impero di Carlo V.
E' fuor di dubbio, tuttavia, che per una storiografia del genere, abituata a
cercare nello sviluppo della borghesia, commerciale e soprattutto
imprenditoriale, una delle principali cause della necessità di superare il
feudalesimo, deve essere apparso alquanto strano che la principale
opposizione alla politica imperiale e a quella dei principi tedeschi venisse
condotta nella Germania del XVI sec. dalla classe rurale guidata da
predicatori religiosi.
Vedremo però che la storiografia marxista cercherà di dimostrare alcune tesi
che ancora oggi restano dei capisaldi di ogni interpretazione storica che
voglia dirsi di "sinistra".
Abbacinato dall'idea di dover difendere a tutti i costi lo sviluppo del
capitalismo rispetto a quello del feudalesimo, il marxismo s'è sempre ben
guardato (in tal senso gli studi di Engels sulla guerra contadina vanno
visti anche come un tentativo di sottrarsi all'enorme influenza esercitata
su di lui da Marx) di sottolineare il fatto che mentre nell'ambito del
feudalesimo venivano tollerate forme di produzione borghese (vedremo alcuni
esempi in riferimento alla Germania), viceversa nell'ambito del capitalismo
non vengono mai tollerate forme di produzione basate sull'autoconsumo o
sull'autosussistenza.
La produzione per il mercato viene sempre considerata superiore a qualunque
forma di autoconsumo: per il socialismo marxista si tratta soltanto di
organizzarla in maniera razionale, sottraendola alla logica del profitto
privato.
Ecco gli esempi relativi alla Germania del XVI sec.
Elementi di produzione capitalistica nella forma della manifattura sparsa si
trovano là dove vigeva il cosiddetto "sistema di acconto" (Verlagssystem),
mediante cui gli artigiani (soprattutto del tessile) lavoravano per un
mercante che anticipava loro la materia prima da trasformare, e che poi la
rivendeva come prodotto finito o semilavorato sul mercato, vicino e lontano,
a prezzi molto competitivi. Questo modo di produzione scardinava le regole
delle corporazioni artigiane e trasformava i produttori diretti in operai
salariati, la cui paga spesso altro non era che una parte del prodotto
finito.
Altri elementi di produzione capitalistica si trovano nell'industria
mineraria (soprattutto quella relativa all'argento) che nella Germania di
allora era molto sviluppata. Tale primato rimase, seppure in misura ridotta,
anche quando giunsero in Europa, dopo la conquista dell'America, ingenti
quantitativi di metallo pregiato: in particolare non subì una battuta
d'arresto l'estrazione di quei minerali che permettevano la costruzione
delle armi.
Nell'estrazione di questi metalli si sentivano direttamente coinvolti anche
i regnanti della casa d'Asburgo e i principi feudali, in quanto avevano
capito che da lì potevano ricavare ampi redditi senza dover fare particolari
concessioni alle classi emergenti.
Questo a testimonianza che i poteri feudali non disdegnavano, né mai l'hanno
fatto per tutto il Medioevo, l'idea di poter sfruttare economicamente i
vantaggi di una produzione mercantile senza dover rinunciare al privilegio
feudale. Ciò che tali poteri non sapevano fare (e su questo limite il
capitalismo giocò le proprie carte), era quello di trasformare una risorsa
privilegiata in un'impresa produttiva vera e propria.
Tutta la cultura feudale di stampo cattolico è sempre stata caratterizzata
dall'idea di rendita, anche quando pensava di poter realizzare un profitto
borghese, come p.es. accadde agli spagnoli schiavisti nel Nuovo Mondo.
Un profitto capitalistico, infatti, non si ottiene soltanto dallo
sfruttamento del lavoro altrui, ma anche dallo sviluppo del macchinismo: più
si sviluppa una rivoluzione tecnico-scientifica e più è possibile realizzare
un rapporto tra capitalista e operaio salariato in cui quest'ultimo, prima
ancora di diventarlo, si trova sul mercato del lavoro formalmente "libero",
cioè padrone solo delle proprie braccia. Viceversa, la rendita suppone un
rapporto di dipendenza personale, in cui la tecnologia ha un'importanza
relativa.
La differenza di atteggiamento stava nel diverso modo di affrontare non solo
il rapporto uomo-uomo ma anche quello uomo-natura.
La Germania, con le sue città commerciali di Augsburg (Augusta) e
Norimberga, era diventata uno dei punti di concentrazione della ricchezza e
del lusso determinati dai prodotti di seta italiani, dalle spezie indiane e
da tutta la produzione del Levante.
E questo nonostante che con la conquista dell'America il fulcro dei traffici
commerciali andava sempre più spostandosi verso l'Atlantico, determinando il
progressivo calo dell'attività del commercio anseatico, come d'altra parte
di quello mediterraneo.
Oltre a ciò però va detto che i principi feudali non seppero mai adeguarsi
in maniera intelligente allo sviluppo capitalistico ch'era iniziato anche
nel loro paese. Essi volevano beneficiare dei vantaggi di questo sviluppo
restando però ancorati alle classiche posizioni di privilegio, tipiche della
rendita.
Anzi, di fronte alle accresciute esigenze determinate da questo sviluppo
borghese dell'economia, essi non seppero fare altro che peggiorare le già
dure condizioni dei contadini, acuendo le contraddizioni del servaggio,
soprattutto nell'area geografica sud-occidentale della Germania, in quanto
ad est, nelle terre strappate agli slavi, già al tempo delle crociate
baltiche, i contadini tedeschi si trovavano in una posizione più favorevole.
Di qui l'aumento delle corvées, delle tasse e dei tributi, delle vessazioni
usuraie e delle decime ecclesiastiche, la riduzione delle terre comuni,
l'abolizione del diritto di eredità dei possessi terrieri dei contadini, la
riduzione dei termini del possesso temporaneo, l'imposta sull'eredità del
contadino defunto (riscossa in natura e spesso ammontante a 1/3 della
proprietà lasciata), un'imposta in denaro in caso di matrimonio, e così via,
di abuso in abuso.
Praticamente si era arrivati a una situazione di molto peggiore a quella
feudale classica, in cui gli sviluppi del capitalismo commerciale erano del
tutto marginali e i loro effetti negativi, finché prevalse il primato del
valore d'uso su quello di scambio, non potevano farsi sentire, neppure
indirettamente, sulle condizioni della vita rurale.
Ora invece le cose erano molto cambiate, al punto che bisognava prendere una
decisione di carattere storico. Furono appunto queste contraddizioni che
fecero scoppiare la rivolta contadina negli anni 1524-25.
La storiografia marxista - sulla scia di Engels, che fu il primo ad
affrontare in maniera sistematica questa rivolta - ha sempre visto gli abusi
feudali come un ostacolo insormontabile allo sviluppo del capitalismo
agrario e non anche come un ostacolo non meno grande allo sviluppo di
un'economia naturale basata sull'autoconsumo, in cui alla democrazia
economica potesse far seguito una democrazia politica di matrice rurale.
Cosa che nella Germania di Lutero voleva dire l'elezione del pastore da
parte della comunità di villaggio, il potere decisionale in materia di
dottrina da parte dell'assemblea comunitaria, la residenza in loco del
pastore, l'amministrazione comunitaria delle decime, l'abolizione o almeno
la limitazione del foro ecclesiastico, il diritto alla "predica riformata",
l'elezione diretta dei rappresentanti della comunità, il vangelo come canone
giuridico, l'abolizione della proprietà della persona (il servaggio), la
trasformazione della "signoria rurale" in aziende familiari contadine e
comunque in comunità di villaggio, in modo da poter gestire in comune i
patrimoni che un tempo appartenevano al diritto consuetudinario (boschi,
pascoli, fiumi, laghi ecc.).
E' significativo come il marxismo raramente riesca a vedere nelle forze
contadine un elemento di vera opposizione al sistema feudale. Quand'esse, in
detta storiografia, appaiono agire in maniera eversiva, il motivo viene
ricondotto al fatto che le loro istanze erano state fatte proprie dai ceti
borghesi, contro i signori feudali, o dalla classe operaia, contro quella
borghese, oppure perché esisteva una contemporanea lotta della borghesia o
del proletariato, in ambito urbano, che indirettamente aveva favorito lo
sviluppo di quella condotta nelle campagne. Questa miopia storiografica
parte dal fatto che, in nome del proletariato industriale, si vuole
concedere a tutti i costi un primato ingiustificato alla città rispetto alla
campagna.
Ma il motivo di fondo di questo pregiudizio risiede nel fatto che il mondo
contadino è sempre stato legato alla religione, e il fatto di dover
ammettere che delle forze rurali possano essere capaci di attività
rivoluzionaria autonoma o anche solo di lotta di classe, implicitamente
vorrebbe dire che la loro religione può contenere aspetti positivi: il che
viene escluso a priori.
Un credente può essere migliore della religione che professa e una religione
può essere migliore di un credente che la mette in pratica, ma in nessun
caso la religione può aiutare il credente a risolvere i suoi problemi di
uomo e cittadino, o comunque non può farlo in maniera reale e definitiva,
ché, in caso contrario, di "scientifico" l'ateismo non avrebbe proprio
nulla.
Sotto questo aspetto è indubbio che le forze borghesi e soprattutto
proletarie sono sufficientemente emancipate dalla religione per non
rischiare di mettere in discussione la coerenza di alcuna analisi storica.
Come noto l'ateismo borghese è più teorico che pratico, in quanto, essendo
la borghesia una classe che ha interessi di parte, è costretta sul piano
pratico a scendere a compromessi con le forze clericali (laiche ed
ecclesiastiche) che teoricamente vorrebbe o dice di voler combattere.
Certo, nessuno si sognerebbe di dire che la religione ha in sé una forza
propulsiva in direzione di cambiamenti radicali; tuttavia, è pur vero che la
cultura contadina è sempre stata fortemente influenzata dalla religione
(tanto che la difficoltà di passare dal paganesimo al cristianesimo fu
proprio dovuta alla resistenza contadina, in qualunque parte si sia imposto
il cristianesimo), per cui sarebbe sciocco non tener conto delle istanze
religiose, ovvero delle istanze sociali espresse in forme anche religiose,
che spesso hanno caratterizzato questa categoria di lavoratori.
Purtroppo il marxismo ogniqualvolta prende in esame le istanze emancipative
del mondo contadino, tralascia di analizzare tutte quelle esplicitamente
religiose, oppure svuota quest'ultime di ogni significato religioso. Col che
ci si impedisce d'avere uno sguardo più completo di tutta la cultura
contadina.
Condividiamo che sul piano culturale è, in astratto, più progressista una
posizione ateistica o laicistica di una religiosa. Tuttavia, se un ceto
lotta non solo per migliorare le proprie condizioni di vita, ma anche per
compiere una riforma morale e intellettuale nell'ambito del fenomeno
religioso, può uno storico - ci chiediamo - esimersi dal giudicare le scelte
che si operano?
Uno studioso può anche professare l'ateismo e ritenere del tutto inutili le
controversie religiose, preferendo affrontare solo quelle più strettamente
politiche o economiche, o al massimo cercando di scoprire nel guscio mistico
della rivendicazione religiosa il suo nucleo razionale. Questo tuttavia non
può essere sufficiente per comprendere a fondo la cultura contadina.
Se uno storico è competente anche in materia di religione, forse può
comprendere le vicende del mondo contadino meglio di quanto lo potessero
quegli stessi contadini tedeschi coinvolti nella rivolta di 500 anni fa, i
quali sicuramente credevano molto di più in talune forme religiose piuttosto
che in altre.
Quando si esamina un fenomeno come quello della riforma protestante o quello
dei tanti movimenti ereticali che in tutta Europa l'hanno preceduta, bisogna
saper individuare, in maniera chiara e distinta, fin dove la rivendicazione
religiosa era di natura democratica, vicina agli ideali del socialismo, e
fin dove invece se ne allontanava ancor più, rispetto alle istituzioni
religiose dominanti, che pur venivano sottoposte a critica.
A uno storico marxista non può sfuggire il fatto che il cattolicesimo-romano
è molto più democratico nella vita sociale dei contadini che non nella vita
politica delle gerarchie. Non può neppure sfuggire il fatto che lo spirito
democratico del primo protestantesimo non s'è mai sviluppato
indipendentemente dalle nuove concezioni borghesi che venivano emergendo tra
i ceti urbani. La riforma protestante è scoppiata dopo 500 anni dalla
nascita dei Comuni italiani, che furono il frutto di forze borghesi
relativamente emancipate dalla religione dominante (per non parlare di
quella borghesia legata allo sviluppo capitalistico-commerciale delle
Fiandre).
Se noi dicessimo che i contadini tedeschi cercarono di mettere in pratica,
svolgendole socialmente e politicamente, delle idee religiose innovative
maturate negli ambienti borghesi urbani, diremmo forse un'eresia
storiografica?
Dunque, il fatto che nel XVI sec. la cultura si esprimesse in termini
religiosi non va preso come un inevitabile condizionamento storico, di cui
tener conto il meno possibile, ma come un'occasione per sviluppare studi
scientifici di settore, in cui gli aspetti religiosi abbiano la stessa
dignità di quelli politici ed economici.
La chiesa romana in Germania (come ovunque d'altra parte) non era solo un
grandissimo proprietario terriero, ma anche un centro privilegiato di
diffusione della cultura popolare e istituzionale. Praticamente svolgeva lo
stesso ruolo che oggi svolgono gli Stati e le società cosiddette "civili"
coi loro apparati ideologici di massa (tv, radio, editoria, stampa, scuola
ecc.). Se fra 500 anni uno storico studiasse il nostro tempo, dovrebbe forse
trascurare la funzione dei mass-media solo perché i loro contenuti oggi sono
del tutto superficiali, demagogici, finalizzati al consumo e quant'altro?
Se guardiamo l'evolversi cronologico della guerra contadina e della riforma
luterana, noteremo subito che quest'ultima è stata preceduta dalle
rivendicazioni del mondo rurale e anzi che i contadini avanzavano da tempo
istanze di riforma sociale in tutta la Germania, al punto che la stessa
insurrezione generale va considerata come l'epilogo di una serie di atti che
gli storiografi spesso non prendono neppure in considerazione. Persino le
istanze di riforma religiosa comparvero sulla scena della lotta ideologica e
politica contro il clericalismo cattolico assai prima di Lutero.
A dir il vero l'intera Europa assisteva, almeno a partire dall'ultima decade
del 1400 a grandi sconvolgimenti ideologici, politici e sociali e, tra
questi, a un'ondata di numerose e ampie rivolte soprattutto, per quanto
riguarda la Germania, nelle regioni meridionali.
E' importante specificare queste cose, non foss'altro che per dare un
piccolo contributo alla critica del culto della personalità. I grandi
rivoluzionari della storia sono sempre stati il frutto maturo di un albero
cresciuto lentamente.
Per es. la società contadina segreta, detta "Scarpone", che si proponeva di
realizzare un grande programma antifeudale, i cui obiettivi principali erano
la confisca delle terre clericali e la loro equa redistribuzione tra le
masse rurali, nonché l'abolizione di tutti i tributi feudali e di ogni
vincolo di dipendenza personale, incluso il recupero di tutti i beni comuni
espropriati con la forza o l'inganno dai signori feudali, sino
all'abolizione di tutti i poteri istituzionali che non accettassero queste
condizioni, fu una società la cui attività cospirativa venne scoperta nel
1502, ben prima quindi delle famose tesi di Lutero, ed è impensabile che
Lutero potesse scrivere delle tesi così fortemente anticattoliche se non
fossero esistite nel suo paese decine di società come quella chiamata
"Scarpone", che da tempo lottavano, più o meno pubblicamente, per ottenere
migliori condizioni di vita.
Detto questo però uno storico dovrebbe evitare immediatamente di cadere in
due errori piuttosto gravi e che se vogliamo dovremmo considerare "classici"
per la storiografia marxista:
pensare che le rivendicazioni dei contadini fossero del tutto indipendenti
dalle concezioni religiose ch'essi avevano della vita in generale;
pensare che le tesi di Lutero e degli altri riformatori non abbiano potuto
influire sulle rivendicazioni sociali e politiche dei contadini.
Se vogliamo ragionare in termini dialettici (quei termini che il marxismo,
sulla scia dell'hegelismo, ha tanto voluto esaltare), ammettendo un rapporto
interdipendente tra struttura e sovrastruttura (e qui ovviamente ereditiamo
la lezione leniniana-gramsciana), noi dovremmo ammettere:
che qualunque rivendicazione sociale e politica poteva trovare nel
cristianesimo del Nuovo Testamento delle basi teoriche sufficienti per
potersi sviluppare in maniera conseguente e autonoma, anche rispetto allo
stesso cristianesimo, la cui evoluzione storica non fu coerente coi propri
ideali;
che uno sviluppo cristiano dell'ideologia rivoluzionaria sarebbe prima o poi
giunto a porsi il problema di uno svolgimento politico della rivoluzione.
Detto questo, si possono qui anticipare due conclusioni, esposte a mo' di
tesi:
la riforma luterana non ha portato al socialismo perché i contadini non sono
stati sufficientemente coerenti con le loro istanze rivoluzionarie, nel
senso che non hanno saputo trasformare le rivendicazioni politiche ed
economiche in una occasione di trasformazione radicale del vivere civile e
dei rapporti produttivi;
la riforma non ha portato al socialismo perché gli intellettuali non hanno
saputo o voluto associare sino in fondo la loro battaglia teorica con quella
pratica dei contadini e, in ultima istanza, si sono accontentati di vincere
una battaglia meramente culturale.
In entrambi i casi il cristianesimo, che pur era servito per giustificare
posizioni di protesta, ha finito per svolgere un ruolo di freno alla
coerenza rivoluzionaria.
Successivamente la storia s'incaricherà di dimostrare (p.es. con la
rivoluzione francese) che vi sono più possibilità di realizzare cambiamenti
epocali o comunque risolutivi, rinunciando definitivamente a credere che la
democrazia possa semplicemente essere una mera applicazione logica e
coerente dei principi del cristianesimo primitivo. Questo perché il
cristianesimo in sé non ha sufficienti mezzi per realizzare gli obiettivi
che si professa.
Nei primi decenni del sec. XVI il movimento insurrezionale delle città
tedesche (soprattutto sud-occidentali) collaborava fattivamente con quello
antifeudale della campagna, al punto che all'ordine del giorno vi era
l'obiettivo di abbattere gli Stati feudali e di costituire un'unica nazione,
i cui poteri sarebbero stati democraticamente divisi tra contadini e plebei
(i ceti urbani più poveri).
Queste ovviamente erano le posizioni più radicali, poiché i ceti mercantili
e artigiani si limitavano a chiedere maggiore equità (soprattutto fiscale) e
democrazia politica all'interno delle singole città.
Diciamo che mentre nell'area meridionale della Germania il movimento
insurrezionale aveva più un carattere rurale, man mano che si diffondeva
lungo il medio e basso Reno assumeva un carattere sempre più urbano e quindi
borghese, al punto che oggi gli storici preferiscono parlare, in luogo di
"guerra contadina", di "rivoluzione dell'uomo comune", mescolando così
arbitrariamente le rivendicazioni radicali dei ceti più oppressi con quelle
moderate dei ceti benestanti.
La questione dell'unificazione nazionale in Germania non era di poco conto,
poiché se è vero che fin quando domina il regime feudale essa ha
un'importanza alquanto relativa, essendo l'economia basata sull'autoconsumo,
viceversa in una società in cui tendono ad affermarsi i rapporti mercantili,
ad un certo punto le strade diventano due: o si forma un unico mercato
interno, oppure ci vuole una svolta politica reazionaria, che arresti lo
sviluppo economico e che anzi riporti indietro l'orologio della storia.
La storiografia marxista qui non ha dubbi nel sostenere le difese della
borghesia e quindi dell'unificazione nazionale, dando per scontato che
questa fosse comunque l'unica alternativa praticabile di fronte allo sfacelo
dei rapporti tardo-feudali. Non a caso detta storiografia si preoccupa di
esaltare solo quelle rivendicazioni rurali che avevano nel loro programma
anche questo fondamentale obiettivo "borghese".
Infatti, finché non nasce la moderna industria non può neppure nascere il
moderno proletariato. E in ogni caso nella Germania del XVI sec. gli
elementi "progressisti" della borghesia erano quelli che appoggiavano le
battaglie antifeudali per l'unificazione nazionale, fossero esse condotte in
città o nelle campagne.
Questi elementi erano una minoranza, in quanto - come vedremo - la
maggioranza si limitò a una lotta radicale contro i privilegi del clero,
fino alla rottura definitiva con le istituzioni del cattolicesimo romano. In
questa maggioranza va visto anche il ceto dei cavalieri, che per il resto
invece si proponeva quale baluardo degli interessi dell'impero, seppur
frammentato in tanti lander. Detti cavalieri (la piccola nobiltà) si
ribellarono ai grandi feudatari laici e ecclesiastici negli anni 1521-23.
Quanto agli abusi politici ed economici della chiesa romana, essi non erano
una novità. Sicuramente con lo sviluppo dei rapporti mercantili in tutta
Europa, le pretese della curia pontificia e dei prelati di alto grado erano
accresciute, in quanto anch'essa, non meno degli altri proprietari fondiari,
voleva beneficiare dei vantaggi della manifattura capitalistica e dei
commerci internazionali, senza dover per questo rinunciare ai propri
privilegi feudali o dover fare concessioni politiche a favore dei ceti
borghesi emergenti.
Tutta la storia della chiesa romana post-feudale può essere vista come il
tentativo di arginare pretese politiche borghesi, pur permettendo alla
borghesia di svilupparsi come classe sociale, con interessi economici
estranei alla cultura tradizionale della rendita feudale. Il conflitto tra
chiesa e borghesia giungerà a maturazione completa quando la borghesia vorrà
rivendicare un autonomo potere politico, non inferiore a quello della
chiesa.
Nella Germania del XVI sec. era aumentata, da parte della borghesia, dei
ceti rurali e artigiani, la consapevolezza della necessità di ridimensionare
notevolmente le pretese clericali, la cui natura antidemocratica si poneva
con sempre maggiore evidenza. Quanto più aumentava la consapevolezza che la
ricchezza poteva essere il frutto di un lavoro autonomo, in cui era
possibile ricavare profitti, rischiando qualcosa sugli investimenti e
organizzando razionalmente lo sfruttamento della manodopera, tanto più le
posizioni basate sulla rendita apparivano del tutto ingiustificate.
Questo da parte dei ceti borghesi. Da parte dei ceti rurali la
consapevolezza era ovviamente diversa: qui ormai si era sempre più convinti
che, di fronte ai privilegi clerico-feudali, che invece di diminuire
aumentavano, la fatica del lavoro dei campi rischiava di diventare una sorta
di condanna a morte anticipata, una schiavitù senza scampo, che si poteva
soltanto trasmettere di padre in figlio.
Indubbiamente la chiesa romana trovava maggiori difficoltà a far valere le
proprie pretese (si pensi alle figure dei messi papali, degli esattori
fiscali, dei venditori di indulgenze ecc.) là dove erano in atto processi di
centralizzazione dei poteri laici, semplicemente perché ogni forma di
centralismo era il più delle volte indirizzata a ridimensionare qualunque
privilegio vetero-feudale. Le monarchie centralizzate non amavano affatto
l'aristocrazia centrifuga e, tra questa aristocrazia, andava annoverato
anche il clero.
Ma è anche vero che mentre nei confronti degli Stati nazionali la chiesa
romana era disposta, generalmente, a scendere a compromessi, molto più
rigido era il suo atteggiamento là dove dominava la frantumazione feudale e
la presenza dell'istituto imperiale, che, nelle situazioni politicamente più
critiche, avrebbe sempre potuto aiutarla.
La chiesa post-feudale era convinta che se voleva salvaguardare i propri
privilegi di casta doveva assumere un atteggiamento debole coi forti e forte
coi deboli. Ma, come tutte le istituzioni che vivono isolate nel lusso,
prive di contatti con la dura realtà quotidiana, spesso essa non si rendeva
conto del mutamento dei tempi, soprattutto del fatto che l'aver concesso
alla borghesia di svilupparsi, aveva generato una complessità di problemi
che non avrebbero più potuto essere affrontati in maniera autoritaria.
Nei confronti di tutta la riforma protestante la chiesa romana fece
clamorosi errori di valutazione, e questo appunto nella convinzione che là
dove erano ancora presenti le istituzioni imperiali o assenti gli Stati
centralizzati fosse relativamente facile tenere le cose sotto controllo.
Anche nei confronti dello sviluppo culturale della Germania del XVI sec.
l'interpretazione marxista è unanime: lo sviluppo dell'umanesimo borghese va
preferito alla tarda scolastica cattolica.
Il marxismo s'è sempre rifiutato di ritenere migliore un'esperienza
religiosa in luogo di un'altra: dal punto di vista dei principi ogni forma
di religione va classificata sotto la voce "alienazione", in quanto
qualunque religione è "oppio". Tesi, questa, che se può essere considerata
comprensibile in riferimento ai nostri giorni, non può però esserlo in
riferimento a 500 anni fa, quando un'esperienza religiosa presumeva di porsi
in alternativa, o nella teoria o solo nella pratica o in entrambe le cose,
alle teorie o alle esperienze religiose dominanti, ufficiali o semplicemente
storicamente rivali. Tutta la storia dei movimenti ereticali, sino alla
riforma protestante, può essere letta in quest'ottica.
La riforma protestante divenne un fenomeno sociale, dando una svolta epocale
ai rapporti della Germania con la chiesa romana, proprio perché si propose
come rivoluzione teologica ed ecclesiale, capace di coinvolgere grandi masse
popolari e gli strati più intellettuali del paese.
Se nel 1789 fu possibile in Francia una rivoluzione politica sostanzialmente
laica (la religione dei rivoluzionari era al massimo il deismo), ciò fu
dovuto anche all'enorme contributo dato dal protestantesimo alla visione
laica della vita (che in Francia fu trasmessa grazie anche ai calvinisti
ugonotti), per quanto tale visione avesse connotati profondamente borghesi e
individualistici. In virtù di questi processi culturali di secolarizzazione
si poterono requisire al clero cattolico (uno dei maggiori feudatari
tedeschi e in fondo di tutta Europa) le terre di cui disponeva e
ridistribuirle tra la borghesia agraria.
Diciamo che proprio per i suoi connotati laicistici, il protestantesimo, al
marxismo, è sempre parso migliore rispetto a qualunque forma di
cattolicesimo (se si esclude quello terzomondista orientato chiaramente
verso il socialismo). Il cattolicesimo è sempre stato giudicato, e non a
torto, una forma di religione troppo politicizzata, troppo integralistica
nei suoi contenuti dottrinari.
Il marxismo non s'è mai preoccupato neppure di verificare in che modo
l'affermato umanesimo laico avrebbe potuto essere vissuto, nel momento della
sua nascita, in forme e modi non borghesi. L'umanesimo borghese, sul piano
storiografico, va accettato in sé, poiché per suo mezzo si è giunti al
pensiero laico e allo sviluppo del capitalismo, anticamera del socialismo
scientifico.
Qui però bisogna fare un distinguo molto importante. La storiografia
marxista tende a preferire l'umanesimo italiano a quello tedesco, perché
considera che uno sviluppo delle idee religiose (seppure in forma
protestantica) vada considerato un limite culturale di una borghesia
socialmente debole, arretrata - e, come noto, l'umanesimo italiano fu assai
poco religioso.
Ora, è indubbiamente vero che in Italia le questioni teologiche più
favorevoli allo sviluppo borghese erano già state affrontate a livello
accademico negli ambienti universitari, con la riscoperta dell'aristotelismo
intorno al Mille, ma è anche vero che tra quei progressi culturali (in
direzione di una maggiore laicità del pensiero) e l'arretratezza culturale
delle masse contadine il divario era enorme. Non a caso in Italia non partì
mai una riforma protestante e l'umanesimo degli intellettuali, non avendo
appoggi sociali, fu presto sconfitto dalla controriforma.
Viceversa gli intellettuali tedeschi, affrontando direttamente le questioni
religiose e stravolgendole dall'interno, non avrebbero potuto in alcun modo
continuare in quest'opera di demolizione senza un concreto e vasto appoggio
sociale e persino politico.
La storiografia marxista qui sconta un pregiudizio anticlericale che non le
permette di scorgere nella riforma una forma di protesta decisamente
superiore, per quanto entro la cornice delle idee teologiche, a quel
movimento laico di intellettuali umanisti che in Italia non riuscì mai ad
avere una vera base popolare.
Non a caso detta storiografia, che è in grado di apprezzare l'umanesimo di
Erasmo da Rotterdam, finisce col giudicarlo estremamente incoerente là dove
esso cerca di conciliare ragione e religione. E questo limite viene
addebitato al fatto che la borghesia, da cui egli proveniva, non era capace
di lottare politicamente per l'unificazione nazionale.
Ancora più arretrata viene vista la posizione di J. Reuchlin, che pur a quel
tempo, con la sua richiesta di esaminare le fonti bibliche criticamente, a
prescindere dall'esegesi dogmatica, costituiva un elemento di rottura
culturale considerevole, sicuramente anticipativa dei futuri sviluppi
luterani.
A Erasmo e a Reuchlin il marxismo preferisce nettamente i rivoluzionari già
culturalmente emancipati dalla religione, che, come Crotus Rubianus, Ulrich
von Hutten e altri, predicavano l'unificazione nazionale e l'unione politica
delle forze tedesche contro il papato romano. Come dire: meglio una
minoranza di puri e duri piuttosto che una maggioranza progressista ma
culturalmente incoerente, ideologicamente arretrata.
Alla storiografia marxista bisogna riconoscere un merito, il saper mostrare
quanto le posizioni intellettuali spesso siano solo un riflesso di esigenze
popolari. Lutero diede voce istituzionale a un malcontento da tempo diffuso
tra le masse.
Le 95 tesi redatte in latino contro le indulgenze, affisse sulla porta della
chiesa del castello di Wittenberg, erano tesi contro uno strumento che oggi
potremmo definire "millantatorio", in quanto si pretendeva, in forza della
propria posizione di prestigio, un compenso per un'attività
d'intermediazione tra la sfera terrena e quella ultraterrena (prassi,
questa, ascrivibile al reato di "circonvenzione d'incapace"): insomma una
truffa e un raggiro ben orchestrati.
Avere il coraggio di dirlo pubblicamente, precludendosi qualunque carriera
di prestigio, dovette costare a Lutero non poche perplessità. E' tuttavia
fuori discussione che con le sue tesi Lutero non avesse di mira solo la
questione delle indulgenze, bensì una critica molto più generale dell'intera
istituzione ecclesiastica. Era una critica così radicale quale non si vedeva
dai tempi dei movimenti ereticali pauperistici, tutti duramente
perseguitati.
Qui ora bisogna aprire una parentesi. Il movimento umanista e rinascimentale
italiano aveva radici profondamente laiche anche perché era stato preceduto
da tre secoli di movimenti ereticali contro la chiesa trionfante e di
sommosse popolari urbane contro gli emergenti ceti imprenditoriali.
L'Italia è stato il primo paese ad affrontare la critica teologica della
chiesa (si pensi solo a quel grandissimo intellettuale che fu Marsilio da
Padova) e la protesta sociale contro il capitalismo commerciale e
manifatturiero, proprio perché è stata la prima che con la nascita dei
Comuni, delle Signorie e con lo sviluppo delle città marinare che dominavano
i traffici mediterranei, seppe porre le basi di una rivoluzione che in
Europa sarebbe andata ben oltre le proprie aspettative e che invece nella
stessa Italia non trovò adeguato svolgimento proprio a causa dello
scollamento esistente tra masse e intellettuali.
In Germania si volle fare una riforma teologica quando in Italia, da almeno
quattro secoli, si erano poste le basi pratiche (sociali ed economiche) per
il superamento del primato della chiesa; quelle basi che sul piano
ideologico avevano prodotto un movimento laico come appunto l'umanesimo.
Ciò che mancò alla borghesia italiana fu la volontà di creare uno Stato
unitario, che avrebbe dovuto avere una naturale connotazione federale e che
invece tre secoli dopo la controriforma diventerà forzatamente centralista.
In un certo senso si può dire che la borghesia italiana assunse nei
confronti della teologia cattolica un atteggiamento non riformistico (era
già stata riformista al tempo dei movimenti ereticali, che erano
"pauperistici" e "piccolo-borghesi"), ma un atteggiamento di indifferenza
più o meno aperta.
Ad un certo punto ci si convinse in Italia che la chiesa romana non era più
riformabile e che un'esperienza alternativa poteva essere condotta solo
ponendosi al di fuori di essa, o comunque continuando ad avere con essa un
rapporto formale, più politico che ideologico.
Sotto questo aspetto la riforma protestante va considerata come un movimento
anacronistico rispetto a quello umanista italiano, e tuttavia, proprio per
la capacità che ebbe di coinvolgere le masse, essa rappresenta un movimento
assolutamente decisivo per lo sviluppo del moderno capitalismo (anche se qui
andrebbero specificate le differenze, radicali per molti versi, tra Lutero e
Calvino).
Non si può mettere in dubbio il fatto che la riforma sia stata un movimento
di massa per l'affermazione dei diritti del singolo e dei ceti borghesi
emergenti: un singolo o un ceto che voleva restare sì religioso, ma a modo
suo, senza dover fare riferimento ad alcuna tradizione ecclesiale, ad alcuna
istituzione clericale, che rappresentasse ufficialmente una dottrina comune,
vincolante per tutti.
In tal senso le tesi di Lutero sono già chiarissime sin dall'inizio, per
quanto esse non avessero un vero contenuto politico-rivoluzionario in
direzione della democrazia socio-economica. Molto più radicali, sotto questo
aspetto, erano state le tesi di Arnaldo da Brescia, vissuto quattro secoli
prima.
E' comunque inutile disquisire sul livello del contenuto rivoluzionario
delle tesi religiose di Lutero: di fatto esse furono oggetto di un grande
dibattito in tutta la Germania e anche in tutta Europa, un dibattito che nel
giro di poco tempo si trasformerà in un meccanismo eversivo inarrestabile,
che procederà poi anche contro lo stesso Lutero. Tant'è che il terreno più
favorevole alla realizzazione di queste idee non sarà tanto l'Europa quanto
gli Stati Uniti d'America.
95 TESI DI LUTERO
Novantacinque tesi sulle indulgenze (31 ottobre 1517)
1) Il Signore e maestro nostro Gesù Cristo, dicendo: "Fate penitenza ecc.",
volle che tutta la vita dei fedeli fosse una penitenza.
2) E ciò non può intendersi della penitenza sacramentale (cioè della
confessione e della soddisfazione, che viene compiuta mediante il ministero
dei sacerdoti).
3) E tuttavia non ha in vista la sola penitenza interiore, perché anzi non
vi è penitenza interiore se questa non produce esternamente le diverse
mortificazioni della carne.
4) Quindi questa pena perdura finché continua l'odio di se stesso (la vera
penitenza interiore), vale a dire fino all'entrata nel regno dei cieli.
5) Il Papa non vuole né può rimettere alcuna pena, eccetto quelle che ha
imposto o per suo volere o per volontà dei canoni.
6) Il Papa non può rimettere alcuna colpa se non dichiarando e approvando
che è stata rimessa da Dio o rimettendo nei casi a lui riservati, fuori dei
quali la colpa di certo rimarrebbe. Dio non rimette certamente la colpa a
nessuno, senza nel contempo sottometterlo al sacerdote suo vicario,
completamente umiliato.
8) I canoni penitenziali sono imposti solo ai vivi, e nulla devesi imporre
in base ad essi ai moribondi.
9)Quindi lo Spirito Santo ci benefica nel papa, eccettuando sempre nel suoi
decreti i casi di morte e di necessità.
10)Agiscono con ignoranza quei sacerdoti, che riservano penitenze canoniche
per il purgatorio ai moribondi.
11) Le zizzanie di mutare una pena canonica in una pena del purgatorio sono
state certo seminate mentre i vescovi dormivano.
12) Una volta le pene canoniche venivano imposte non dopo, ma prima dell'
assoluzione, come prova della vera contrizione.
13) 1 morenti soddisfano (solvunt) ogni cosa con la morte, e sono già morti
alla legge dei canoni, essendone sollevati per diritto.
14) La integrità o carità imperfetta del morente comporta necessariamente un
grande timore, tanto maggiore quanto essa e minore.
Questo timore e orrore basta da solo (per non parlare del resto) a
costituire la pena del purgatorio, in quanto è prossimo all'orrore della
disperazione.
16) L'inferno, il purgatorio ed il cielo sembrano distinguersi tra loro come
la disperazione, la quasi disperazione e la sicurezza.
17) Sembra necessario che nelle anime del purgatorio l'orrore diminuisca
nella misura in cui aumenta la carità.
18) Né appare approvato vuoi sulla base della ragione vuoi sulla base delle
scritture che queste anime si trovino al di fuori della capacità di meritare
o di aumentare la carità.
19) Né appare provato che esse siano certe o sicure della loro beatitudine,
almeno tutte, anche se noi ne siamo certissimi.
20) Pertanto il Papa con la remissione plenaria di tutte le pene non intende
semplicemente (quella che riguarda) tutte, ma solo (quella che riguarda) le
pene imposte da lui.
21) Errano dunque quei predicatori di indulgenze, i quali dicono che l'uomo
può essere liberato e salvato da ogni pena mediante le indulgenze del papa.
22) (Il papa anzi) non rimette alle anime in purgatorio nessuna pena che
avrebbero dovuto subire in questa vita secondo i canoni.
23) Se mai può essere concessa ad alcuno la completa remissione di tutte le
pene, è certo che essa può essere data solamente ai perfettissimi, cioè a
pochissimi.
24) Perciò deve accadere che la più parte del popolo sia ingannata da quella
promessa di liberazione dalla pena indiscriminata e appariscente.
25) Quella potestà che il papa ha in genere sul purgatorio, l'ha qualsiasi
vescovo e curato nella propria diocesi o parrocchia.
26) Il papa agisce benissimo quando concede alle anime la remissione non a
causa del potere delle chiavi (che non ha), ma a modo di suffragio.
27) Predicano l'uomo quelli che dicono che appena il soldino gettato nella
cassa risuona, un'anima se ne vola via (dal purgatorio).
28) Certo è che col tintinnio della moneta nella cassa si possono aumentare
il guadagno e l'avidità; ma il suffragio della Chiesa dipende solo da Dio.
29) Chi sa se tutte le anime nel purgatorio desiderino essere liberate, come
si narra di S. Severino e di S. Pasquale?
30) Nessuno è sicuro della realtà della propria contrizione; tanto meno può
esserlo del conseguimento della remissione plenaria.
31) Quanto è raro un vero penitente, altrettanto è raro chi acquista
veramente le indulgenze, cioè è rarissimo.
32) Saranno dannati in eterno con i loro maestri coloro che si credono
sicuri della propria salvezza per mezzo delle lettere di indulgenza.
33) Bisogna specialmente evitare coloro che dicono che quelle indulgenze del
papa sono un dono inestimabile di Dio, per cui l'uomo viene riconciliato con
Dio.
34) Infatti tali grazie ottenute mediante le indulgenze si riferiscono solo
alle pene della soddisfazione sacramentale, stabilite dall'uomo.
35) Predicano una dottrina non cristiana coloro che insegnano che non è
necessaria la contrizione per quelli che comprano le indulgenze per i
defunti o le lettere confessionali.
36) Qualsiasi cristiano veramente pentito ottiene la remissione plenaria
della pena e della colpa che gli spetta, anche senza lettere di indulgenza.
37) Qualunque vero cristiano, vivo o defunto, ha la partecipazione, datagli
da Dío, a tutti i beni del Cristo e della Chiesa, anche senza lettere di
indulgenze.
38) Tuttavia la remissione e la partecipazione del papa non èaffatto da
disprezzarsi, perché, come ho detto, è la dichiarazione della remissione
divina.
39) E' difficilissimo anche ai più dotti teologi esaltare allo stesso tempo
davanti al popolo l'ampiezza delle indulgenze e la verità della contrizione.
40) La vera contrizione cerca e ama le pene; la prodígalità delle indulgenze
invece produce un rilassamento e fa odiare le pene, o almeno ne offre
l'occasione.
41 ) I perdoni apostolici devono essere predicati con prudenza per evitare
che il popolo non finisca con il credere falsamente che essi siano
preferibili alle altre buone opere di carità
42) Bisogna insegnare ai cristiani che non è intenzione del ~apa di
equiparare in alcun modo l'acquìsto delle indulgenze con le opere di
misericordia.
403 ` Bisogna insegnare ai cristiani che è meglio dare a un povero o fare un
prestito a un bisognoso che non acquistare indulgenze.
44) Poiché la carità cresce con le opere di carità e l'uomo diventa
migliore, mentre con le indulgenze questi non diventa migliore, ma solo più
libero della pena,
45) Bisogna insegnare ai cristiani che chi vede un bisognoso e lo trascura
per comprarsi indulgenze, si merita non l'indulgenza del papa ma
l'indignazione di Dio.
46) Bisogna insegnare ai cristiani che, eccettuato il caso in cui abbondano
di beni superflui, debbono risparmiare il necessario per la loro casa e non
sprecarlo mai per le indulgenze.
47) Bisogna insegnare ai cristiani che l'acquisto delle indulgenze è cosa
libera non di precetto.
48) Bisogna insegnare ai cristiani che il papa, quanto più ha bisogno, tanto
più desidera per sé, nel concedere le indulgenze, una devota preghiera
piuttosto che del pronto denaro.
49) Bisogna insegnare ai cristiani che i perdoni del papa sono utili, se
essi non vi confidano, ma diventano molto nocivi se, a causa di quelli,
perdono il timore di Dio.
50) Bisogna insegnare ai cristiani che se il papa conoscesse le estorsioni
dei predicatori di indulgenze, preferirebbe che la basilica di s. Pietro
finisse in cenere, piuttosto che vederla edificata con la pelle, la carne e
le ossa delle sue pecorelle.
51 ) Bisogna insegnare ai cristiani che il papa, come deve, vorrebbe dare
del proprio denaro (anche a costo di vendere - se se fosse necessario - la
basilica di s. Pietro) a quei molti ai quali alcuni predicatori di
indulgenze carpiscono denaro.
52) E' vana la fiducia nella salvezza mediante le lettere di indulgenze,
anche se un commissario, e perfino lo stesso papa impegnasse per esse la
propria anima.
53) Nemici del Cristo e del papa sono coloro i quali, perché si possano
predicare le indulgenze, ordinano che la parola di Dio sia fatta del tutto
tacere nelle altre chiese.
54) Si offende la parola di Dio quando in una stessa predica si dedica un
tempo uguale o maggiore all'índulgenza che ad essa.
55)E' certamente intenzione del papa che se si celebra l'indulgenza, che è
cosa minima, con una sola campana, con una sola processione, con una sola
cerimonia, il Vangelo che è la cosa più grande, sia predicato con cento
campane, cento processioni, cento cerimonie.
56) 1 tesori della Chiesa, dai quali il papa concede le indulgenze, non sono
sufficientemente ricordati né conosciuti presso il popolo cristiano.
57) Che non siano beni temporali è certo evidente: infatti molti di quei
predicatori non usano profondere tanto facilmente tali tesori, ma solamente
raccoglierli.
58) Né sono i meriti di Cristo e dei santi, perché questi operano sempre,
senza l'intervento del papa, la grazia dell'uomo interiore e la croce, la
morte e l'inferno dell'uomo esteriore.
59) Tesori della Chiesa chiamò s. Lorenzo i poveri della Chiesa; ma egli
parlava il linguaggio del suo tempo.
60) Senza temerarietà diciamo che questo tesoro sono le chiavi della Chiesa
(donate per il merito di Cristo).
61) E', chiaro infatti che per la remissione delle pene e dei casi
(riservati) basta la sola potestà del papa.
62) Vero tesoro della Chiesa è il sacrosanto Vangelo della gloria e della
grazia di Dio.
63) Ma questo tesoro è a ragione odíatissímo perché dei primi fa gli ultimi.
64) Il tesoro delle indulgenze invece è giustamente il più accetto, perché
fa degli ultimi i primi.
65) Dunque i tesori evangelici sono reti con le quali una volta venivano
pescati uomini ricchi.
66) Ora i tesori delle indulgenze sono reti con le quali si pescano le
ricchezze degli uomini.
67) Le indulgenze, che i predicatori esaltano a gran voce come grazie
grandissime, appaiono veramente tali per i guadagni che permettono.
68) Al contrario sono le minime paragonate alla grazia di Dio ed alla pietà
della croce.
69) I vescovi e i curati sono tenuti ad accogliere con tutto il rispetto i
commissari delle indulgenze apostoliche.
70) Ma sono ancor di più tenuti a vigilare attentamente, con gli occhi e le
orecchie ben aperte, perché, invece del mandato ricevuto dal papa, quelli
non predichino i loro sogni.
71) Sia anatemizzato e maledetto chi parla contro la verità delle indulgenze
apostoliche.
72) Sia benedetto invece chi si oppone alla sfrenatezza e alla licenza nel
parlare dei predicatori di indulgenze.
73) Come il papa fulmina giustamente coloro che operano qualsiasi
macchinazione contro la vendita delle indulgenze.
74) Così molto più gravemente intende colpire coloro che, con il pretesto
delle indulgenze, operano macchinazioni a danno della santa carità e verità.
75) Ritenere che le indulgenze papali siano tanto potenti da poter assolvere
un uomo anche se questi - per impossisibile - avesse violato la madre di
Dio, è pura follia.
76) Al contrario affermiamo che i perdoni papali non possono cancellare
neppure il minimo peccato veniale, quanto alla colpa.
77) Dire che neppure S. Pietro, se fosse oggi papa, potrebbe dare maggiori
grazie, è una bestemmia contro S. Pietro e il papa.
78) Diciamo invece che anche questo papa, come qualsiasi altro, possiede
grazie maggiori, come il Vangelo, le virtù, i doni di guarigione ecc.
secondo I Corínti 12.
79) Dire che la croce delle insegne papali, eretta solennemente. equivalga
alla croce di Cristo, è bestemmia.
80) Dovranno renderne conto vescovi, curati e teologi che permettono che
simili discorsi siano tenuti al popolo.
81) Questa scandalosa predicazione delle indulgenze è tale che non rende
facile neppure ad uomini dotti di difendere il rispetto dovuto al papa dalle
calunnie o, se volete, dalle sottili obiezioni dei laici.
82) Vale a dire: perché il papa non vuota il purgatorio a causa della
santissima carità e della grande sofferenza delle anime, che è la ragione
più giusta di tutte, quando libera un numero senza fine di anime a causa del
funestissimo denaro per la costruzione della basilica, che è un motivo
futilissimo?
83) Parimenti: perché devono continuare le esequie e gli anniversari dei
defunti e non restituisce, o permette siano ritirati i benefici istituiti
per loro, dal momento che è un'offesa pregare per dei redenti?
84)Parimenti: qual è questa nuova pietà di Dío e del papa, per cui concedono
per denaro ad un empio nemico di liberare un'anima pia ed amica di Dio,
mentrè non la liberano con gratuita carità per la sofferenza in cui
quest'anima pia e diletta si è venuta a trovare?
85) Parimenti: perché canoni penitenzíali di per sé e per il disuso già da
tempo morti e abrogati, tuttavia a causa della concessione delle indulgenze
sono riscattati ancora con il denaro come se fossero ancora in pieno vigore?
86) Parimenti: perché il papa, le cui ricchezze oggi sono più crasse di
quelle dei più ricchi Crassi, non costruisce almeno la basilica di s. Pietro
con il suo denaro, invece che con quello dei poveri fedeli?
87) Parimenti: che cosa rimette o partecipa il papa a coloro che, a causa di
una perfetta contrizione, hanno diritto alla piena remissione o
partecipazione?
88) Parimenti: quale maggior bene si arrecherebbe alla Chiesa se il papa,
invece di concedere ad ognuno dei fedeli queste remissioni e partecipazioni
una sol volta, la concedesse cento volte al giorno?
89) Dato che il papa, per mezzo delle indulgenze, cerca la salvezza delle
anime più che il denaro, perché sospende le lettere confessionali e le
indulgenze precedentemente concesse, mentre sarebbero ancora efficaci?
90) Soffocare queste sottilissime argomentazioni dei laici con la sola forza
e senza addurre ragioni, significa esporre la Chiesa e il papa alle beffe
dei nemici e rendere infelici i cristiani.
91) Se dunque le indulgenze fossero predicate secondo lo spirito e
l'intenzione del papa, tutte quelle difficoltà sarebbero facilmente risolte,
anzi non esisterebbero.
92) Addio dunque a tutti quei profeti che dicono al popolo di Cristo: «
Pace, pace », mentre non v'è pace.
93) E sia bene per tutti quei profeti che dicono al popolo di Cristo: croce,
croce, mentre non v'è croce.
94) Bisogna esortare i Cristiani perché si sforzino di seguire il loro capo
Cristo attraverso le pene, le morti e gli inferni.
95) E confidino così di entrate nel cielo più attraverso molte tribolazioni
che non nella sicurezza di (una falsa) pace.
Martin Lutero
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