Müntzer:
Il portavoce più significativo della riforma, in senso rivoluzionario, sul
fronte contadino-plebeo, fu Thomas Müntzer, mentre su quello borghese fu
Calvino.
Müntzer criticò Lutero proprio negli aspetti della sua dottrina sociale, che
praticamente non contenevano nulla di rivoluzionario, in quanto si
limitavano a confermare i rapporti di sfruttamento feudale e borghese
esistenti, preoccupandosi solo di modificare il modo di pensare dei
credenti.
Non a caso un maggior radicalismo sulle questioni socio-economiche trova
sempre un riscontro teorico in direzione dell'ateismo o del laicismo che dir
si voglia. Müntzer, in tal senso, è infinitamente superiore a Lutero, ma
solo perché, con lo sviluppo ulteriore del socialismo scientifico, lo si può
inserire in tale corrente (e con lui il riformatore Andreas Bodenstein o
Andrea Carlostadio, che restò rivoluzionario finché Müntzer fu vivo).
A quel tempo l'uomo che diede una svolta decisiva ai rapporti istituzionali
tra Stati (europei) e chiesa romana fu Lutero e quello che diede una svolta
analoga ai rapporti tra società borghese e società feudale fu Calvino.
Ecco perché diciamo che la riforma tradì gli ideali sociali di uguaglianza
democratica, quali si potevano intravedere nel corso della fase iniziale,
quando tutti erano d'accordo sul tema della lotta antiecclesiastica e ancora
non si erano sufficientemente chiariti sui comportamenti da tenere nei
riguardi dei latifondisti laici, delle pretese politiche imperiali e nei
riguardi di quanti speravano di non veder compromessi i propri privilegi
feudali.
Le tesi furono affisse nel 1517; quattro anni dopo fu convocata una Dieta a
Worms, in cui Carlo V, imperatore di una potenza cattolica mondiale, insieme
ai principi cattolici, chiedeva a Lutero un'ufficiale ritrattazione.
Da un lato il riformatore agostiniano rifiutò e dall'altro decise di
lasciarsi difendere non dalle masse popolari, che stavano insorgendo, ma dai
principi tedeschi ostili all'imperatore, oltre che naturalmente alla chiesa
di Roma.
La rottura con Müntzer fu inevitabile. Questi, che nel 1520 si trovava a
predicare a Zwickau, da dove venne espulso, si recò in Boemia nel 1521, dopo
aver capito che dai principi non avrebbe ottenuto alcun appoggio. Si
convinse che solo grazie alla tradizione rivoluzionaria dei taboriti si
sarebbe potuto dare alla riforma quel carattere progressista di cui aveva
bisogno e che con Lutero stava perdendo. Di qui l'invito ai contadini di
scendere in piazza armati.
Le idee di Müntzer cominciarono a farsi largo tra le file di un movimento
radicale: gli anabattisti. Müntzer diventò il predicatore più ricercato
d'Europa, colui che andava assolutamente eliminato. Lutero stesso intervenne
con lo scritto Contro le empie e scellerate bande dei contadini (maggio
1525), invitando i signori della Turingia a intervenire con la dovuta
durezza per stroncare l'espansione in rivolta.
Müntzer gli rispose per le rime: "Che sapete voi, che vivete
nell'abbondanza, che non avete mai fatto altro che mangiare e bere a
crepapelle, che sapete voi della serietà di una vera fede? I poveri che
hanno bisogno sono così bassamente ingannati che nessuna lingua può dirlo.
Con le loro parole e i loro atti, i signori ottengono che il povero,
preoccupato di procurarsi un nutrimento, non impari a leggere. Ed essi
predicano insolentemente che il povero deve lasciarsi scorticare e spogliare
dai tiranni".
Qui la storiografia marxista si rivela nei suoi limiti di fondo. Anzitutto
essa afferma che Müntzer non avrebbe mai potuto diventare un vero
rivoluzionario, in quanto esistevano limiti oggettivi, indipendenti dalla
sua volontà, dovuti al fatto che 500 anni fa non esistevano ancora le
premesse materiali per il socialismo scientifico. Inoltre si sostiene che la
rivoluzione non avrebbe potuto essere "socialista" o "comunista", dacché le
idee stesse di Müntzer non erano scientifiche.
In tal modo non ci rende conto di "condannare" il passato a vivere
nell'oppressione. Il motivo di questa interpretazione così unilaterale
dipende dal fatto che se Müntzer fosse riuscito a fare una rivoluzione
socialista, in nome di ideali religiosi, non si sarebbe poi potuto spiegare
il primato del marxismo classico e la necessità dello sviluppo
capitalistico. (Qui infatti non dobbiamo dimenticare che se il leninismo per
la prima volta sostenne che in Russia si poteva passare dal feudalesimo al
socialismo, lo stesso leninismo non mise mai in discussione il fatto che se
non ci fosse stato il socialismo in Russia sicuramente ci sarebbe stato il
capitalismo, in quanto il feudalesimo non aveva in sé alcuna possibilità di
vincere il confronto storico con la nuova formazione economica).
Posizioni storiografiche del genere hanno spesso, sul piano politico, un
risvolto di tipo unilaterale, favorevole a intese che prima di tutto devono
essere ideologiche. Viceversa, una storiografia "scientifica" avrebbe
anzitutto dovuto analizzare a fondo i motivi per cui alla teoria
rivoluzionaria dei tedeschi di mezzo millennio fa non fece seguito una
prassi rivoluzionaria: forse ci si sarebbe accorti che quei motivi non
furono molto diversi da quelli che impedirono successivamente in Europa
occidentale la stessa cosa nell'ambito dello stesso socialismo scientifico,
cioè l'insufficiente determinazione politica e coesione sociale.
Müntzer e Marx
La differenza sostanziale tra il socialismo di Müntzer e quello di Marx non
sta tanto nella teoria, poiché in questo campo le differenze sono
inevitabili, quanto nella pratica, poiché il socialismo scientifico fu
effettivamente realizzato in Russia da Lenin.
Eppure in Europa occidentale il socialismo scientifico, pur essendoci stata
una teoria rivoluzionaria, non s'è mai realizzato (questo senza nulla
togliere al significato storico di quei tentativi che passano sotto il nome
di Comune di Parigi, Biennio rosso italiano, Repubblica tedesca di Weimar,
ecc.). Ci chiediamo se al marxismo sia mai venuto in mente che la
realizzazione del socialismo di Müntzer avrebbe potuto portare col tempo a
democratizzare ulteriormente l'idea e l'esperienza concreta del socialismo,
senza dover affatto passare sotto le forche caudine dello sviluppo
capitalistico.
E' mai venuto in mente che tutti i tentativi di realizzare il socialismo
scientifico sono falliti in Europa occidentale proprio a causa dei
condizionamenti borghesi? E che quindi la possibilità di successo dei
socialismi pre-marxisti, come appunto quello di Müntzer, erano, nonostante
le limitatezze teoriche (ovvero le infarinature religiose), di molto
superiori a quelle del socialismo scientifico, pur con tutta la teoria
economica e politica rigorosamente materialistica e ateo-scientifica che
quest'ultimo seppe elaborare?
Il fatto che tutti i socialismi pre-marxisti non si siano realizzati
praticamente non va forse imputato a condizionamenti che riguardavano lo
sviluppo esperienziale della religione cattolica e dell'economia feudale? E
tali condizionamenti non sono forse strettamente connessi all'evoluzione
culturale del cattolicesimo-romano, che va ben oltre la semplice
determinazione di dogmi religiosi, ma che coinvolge tutto l'agire civile e
sociale, com'è appunto tipico di tale religione?
Nei paesi capitalistici di religione cattolica il cattolicesimo, come
cultura, è portato avanti da uomini di governo, dai politici di professione,
non solo dalla chiesa come istituzione e come complesso di comunità sociali.
Il cattolicesimo romano influenza profondamente anche il pensiero della
sinistra (basti pensare ai concetti di "centralismo", di "gerarchia", ecc.,
ovviamente riproposti in veste laicizzata).
E' vero che le migliori giustificazioni al capitalismo le ha date il
calvinismo, ma è anche vero che le migliori giustificazioni
dell'anticomunismo le ha sempre date il cattolicesimo-romano, che non si
pone solo come religione, ma anche come esperienza di vita alternativa in
primo luogo al socialismo, poiché ogni buon cattolico, se tale vuole
rimanere, cioè se non vuole essere espulso da questa chiesa, sa
perfettamente che più del capitalismo bisogna temere il comunismo, che sul
piano ideale predica gli stessi principi del cristianesimo.
In generale dovremmo dire che la storia del genere umano è la storia
dell'abbandono del comunismo primitivo a vantaggio di esperienze sociali
antagonistiche, dominate dai conflitti di classe. E' assurdo sostenere che
la risoluzione di tali conflitti sia possibile solo oggi in virtù delle
teorie del socialismo scientifico. Ogni epoca ha e ha avuto in se stessa gli
elementi, le condizioni sufficienti per superare efficacemente e stabilmente
i traumi provocati dai conflitti di proprietà. Il socialismo scientifico non
è nient'altro che una soluzione data nell'ambito del capitalismo.
L'INSURREZIONE CONTADINA
L'insurrezione contadina nella Germania del XVI sec. fu preceduta da una
serie di insurrezioni di portata più limitata, scoppiate nella valle del
Reno e nei villaggi del Württemberg negli anni 1493, 1502, 1513 e 1514.
Quella più a ridosso della guerra vera e propria fu la rivolta del Tirolo,
presso i confini con la Svizzera, nel 1524.
Inizialmente le sommosse si diffusero nelle regioni meridionali, dove più
forte era l'oppressione feudale, laica ed ecclesiastica, che voleva, da un
lato, liberarsi della tutela imperiale e, dall'altro, sostituire l'antico
diritto consuetudinario, che consentiva una certa autonomia
nell'amministrazione
dei villaggi contadini, col diritto romano, che permetteva una più facile
instaurazione di rapporti basati sulla proprietà privata e una più rapida ed
efficiente centralizzazione statale-territoriale.
L'inasprirsi del giogo feudale era divenuto tanto più pesante nelle campagne
quanto più nelle città si sviluppavano i rapporti borghesi. In tal senso la
risolutezza del movimento contadino e la radicalizzazione delle correnti
riformistiche anticattoliche praticamente si influenzavano a vicenda.
Ovviamente laddove i contadini erano liberi possessori delle terre che
lavoravano e avevano un libero accesso al mercato - come, per es., nei Paesi
Bassi settentrionali -, le loro condizioni erano migliorate con la
transizione ai rapporti capitalistici.
La Lettera degli articoli del 1525, redatta dal predicatore Christopher
Schappeler e dal pellicciaio Sebastian Lotzer, a capo di un gruppo che si
rifaceva alle idee di Müntzer, esigeva recisamente la fine del regime
feudale e la realizzazione della democrazia sociale, cioè la redistribuzione
delle terre, la fine delle corvées e delle tasse inique (come p.es. quella
di successione), la parziale eliminazione e la comunalizzazione delle decime
ecclesiastiche, i cui proventi sarebbero stati utilizzati esclusivamente per
mantenere il parroco (le eventuali eccedenze sarebbero andate ai poveri),
l'uso libero delle terre comuni (per la caccia, la pesca, il pascolo, il
legnatico ecc.). Si chiedeva anche la libera elezione del parroco da parte
dei villaggi e l'abolizione della pena di morte.
La novità stava nel fatto che mentre nelle rivendicazioni precedenti ci si
rifaceva all'antico diritto consuetudinario (che poteva variare da luogo a
luogo), qui invece ci si appellava al "diritto divino", secondo cui l'intera
società avrebbe dovuto essere riformata in base alle prescrizioni della
Scrittura. In pratica si poteva avanzare qualunque rivendicazione, in
qualunque luogo, purché giustificabile con la Bibbia. Alla domanda su chi
dovesse tradurre il diritto divino in diritto positivo, le comunità sveve
rispondevano facendo i nomi degli intellettuali più in vista, tra cui
anzitutto Lutero.
I Dodici articoli furono inviati a Lutero, che nell'aprile 1525 vi rispose
con lo scritto Esortazione alla pace sui dodici articoli dei contadini della
Svevia. Egli si rivolge ai principi e ai signori feudali cui rimprovera,
come già al clero regolare e secolare, un atteggiamento bellicoso nei
riguardi della predicazione evangelica. Tuttavia, quando si rivolge ai
contadini li invita a essere pazienti e a non usare mezzi violenti.
Qui è bene ricordare che tra riforma protestante e guerra contadina ci fu un
legame molto stretto sin dall'inizio, nonostante che la riforma abbia
successivamente portato i migliori vantaggi (ma non in Germania) ai ceti
borghesi. Il fatto è che senza l'appoggio delle grandi masse contadine, i
ceti borghesi, ancora sociologicamente poco significativi, non sarebbero mai
riusciti a imporsi su quelli feudali, e che se la guerra contadina fallì,
ciò dipese anche dal fatto che la borghesia non rispettò i propri impegni,
non volle essere coerente sino in fondo coi principi democratici professati,
e questa debolezza, che agli occhi delle plebi urbane e delle masse
contadine apparve come un vero e proprio tradimento, provocò addirittura un
rafforzamento delle posizioni feudali e una stasi dell'economia tedesca che
si trascinerà sino all'unificazione nazionale di 300 anni dopo, quando la
Prussia, nel corso della guerra vittoriosa contro la Francia, riuscirà a
imporsi su tutti gli altri lander.
A onor del vero va detto che il tradimento della borghesia è una costante di
tutte le rivoluzioni borghesi in cui si trovano coinvolte masse contadine e
proletariato urbano. La differenza tra la Germania e gli altri paesi
europei è che in quest'ultimi il tradimento servì a rendere la borghesia una
classe dominante o comunque servì a costringere le classi possidenti a
scendere a compromessi.
Il primo scontro sanguinoso avvenne alla fine del 1524, allorché nella città
di Villingen il magistrato, dopo essere riuscito con false promesse a
dividere gli insorti, fece piombare su di loro l'esercito.
La reazione dei contadini non si fece attendere: castelli e monasteri
cominciarono ad essere occupati e distrutti. Tra le posizioni moderate, che
chiedevano soltanto, tramite nuove intese, un'attenuazione degli oneri
padronali, vi fu quella di Huldreich Zwingli, il quale a Zurigo ebbe
successo tra i contadini più abbienti e meno clericali. Anche se, proprio
grazie a Zwingli e ad altri predicatori che avevano insistito molto più di
Lutero sul concetto di "comunità" come organismo che riuniva in sé sia i
legami politici e sociali (consociativo-federativi), sia quelli religiosi,
ogni città aveva il diritto di dirimere autonomamente le controversie
dottrinali che sorgevano tra diversi predicatori (com'era accaduto appunto a
Zurigo qualche anno prima della guerra dei contadini). Gli abitanti dei
villaggi poterono così esprimere in un linguaggio religioso, comune a tutti,
le loro aspirazioni all'autogoverno nei confronti dei principi e dei signori
territoriali. Zwingli cadde nella battaglia di Kappel che vide lo scontro
dei suoi seguaci con l'esercito dei cantoni cattolici nel 1531.
I contadini furono di nuovo attaccati nella primavera del 1525, questa volta
dagli eserciti della Lega sveva, una federazione militare tra i principi e
le città imperiali della Germania sud-occidentale. Pur essendo male armati e
organizzati, essi, negli scontri militari con gli eserciti della reazione,
sapevano difendersi egregiamente. Ma ciò che ad un certo punto li
demoralizzò fu l'atteggiamento conciliante dei ceti borghesi, sia urbani che
rurali, i quali, spaventati dagli esiti rivoluzionari dell'insurrezione e
soprattutto dopo le prime sconfitte militari (a Leipheim il 4 aprile 1525 e
a Böblingen il 12 maggio), presero a intavolare trattative segrete, finita
la primavera del 1525, con le forze della reazione. In particolare due
gruppi di ribelli (di Bodensee e di Allgau) condussero trattative di pace
col conte Ugo di Montfort e i rappresentanti della città di Ravensburg. Al
testo del patto Lutero aggiunse un'introduzione e una conclusione in cui
dimostrava d'essere diventato molto ostile ai contadini che non aspiravano a
una soluzione pacifica dei conflitti sociali.
I signori feudali, d'altra parte, riuscirono facilmente a trovare il modo di
convincere i contadini meno radicali a desistere dalla rivoluzione:
scaricarono sul clero, soprattutto quello regolare, che possedeva enormi
ricchezze immobiliari, tutte le contraddizioni del regime feudale.
Il Programma di Heilbronn, redatto da Wendel Hipler, capo della cancelleria
dei contadini di Franconia, nobile di origine e borghese di condizione,
chiedeva di trasferire all'imperatore tutti i poteri di far diventare i
principi dei funzionari statali, di privare il clero di ogni potere mondano,
confiscandone i patrimoni, di istituire dei tribunali elettivi, di unificare
a livello nazionale la moneta, le misure e i pesi, di abolire le tariffe
doganali interne, di proibire l'usura e di trasformare la proprietà
fondiaria da feudale in borghese.
Dunque anche in Franconia, come già nell'Alta Svevia, il destino dei
contadini insorti era segnato, e infatti gli eserciti imperiali ebbero
facilmente la meglio.
Non restavano che la Sassonia e la Turingia, dove le forze residue (circa
8.000 contadini) erano capeggiate da Müntzer. Ma anche qui non ci fu storia:
la scarsa preparazione militare dei contadini si rivelò decisiva nello
scontro armato nella città di Frankenhausen contro i lanzichenecchi guidati
da Filippo d'Assia, Giorgio di Sassonia ed Enrico di Braunschweig (principe
luterano il primo, cattolici gli altri due), nel maggio 1525. Vi morirono
5.000 contadini e lo stesso Müntzer, straziato dal boia e decapitato.
Lutero, nel testo Una terribile storia e un giudizio di Dio sopra Thomas
Müntzer, considerò l'eccidio un segno della giustizia divina.
Dopo quella terribile primavera del 1525, il movimento perse terreno; altre
fiammate rivoluzionarie, con punte notevoli di organizzazione
politico-militare, si ebbero in zone periferiche dell'Impero, tra cui il
Tirolo, dove emerse la figura di Michael Gaismair. Questi moti, però, a
differenza dei precedenti, ebbero soltanto una dimensione regionale.
Sul ruolo politico-rivoluzionario di Müntzer, nelle vicende complessive
dell'insurrezione, forse la storiografia marxista ha un po' esagerato, allo
scopo di denunciare con più vigore, indirettamente, il fatto che la
borghesia si comportò nel peggiore dei modi: in realtà Müntzer si trovò ad
operare in un territorio relativamente marginale rispetto ai grandi scontri
armati. Anche se uno dei punti più alti della lotta contadina fu raggiunto
proprio con la Comune di Münster, negli anni 1534-35, in cui gli anabattisti
(seguaci di Müntzer) riuscirono a impadronirsi della città, cacciandone il
vescovo-conte. Assediata dalle truppe imperiali, la città riuscì a resistere
14 mesi.
Nel complesso i principali artefici, materialmente, della disfatta militare
della guerra contadina (che si era sviluppata da Berna a Lipsia, da Besançon
a Linz, lungo due assi di oltre 600 km) furono il duca di Lorena in Alsazia,
il langravio Filippo d'Assia in Turingia, Georg Truchsess von Waldburg in
Svevia e Franconia.
Finita la guerra contadina si era riusciti ad ottenere la secolarizzazione
delle terre ecclesiastiche, della cui messa all'incanto si avvantaggiò la
borghesia rurale e in parte l'aristocrazia. Inoltre il potere decisionale
nelle questioni ecclesiastiche passò nelle mani dei principi, per cui gli
ambienti cattolici furono estromessi da qualunque gestione politica della
fede. Furono rivoluzionati completamente tutta la liturgia,
l'amministrazione dei sacramenti e il culto in genere.
In sostanza il luteranesimo sarebbe potuto diventare una religione di stato
se non fosse intervenuto Carlo V, che, vedendo minacciata l'unità imperiale,
a partire dagli anni '40 del XVI sec. iniziò a muovere guerra ai principi
luterani.
La guerra si trascinò sino al 1555, concludendosi con la pace di Augusta.
Carlo V decise di rinunciare all'unità politica e religiosa dell'Impero:
accettò la libertà religiosa dei protestanti, anche se impose due principi
restrittivi:
i sudditi di uno Stato avrebbero dovuto conformarsi alla religione del loro
principe o, in caso contrario, emigrare (cuius regio eius religio);
i beni ecclesiastici secolarizzati prima del 1552 non sarebbero più stati
rivendicati dalla chiesa cattolica, mentre se qualche prelato cattolico si
fosse convertito al luteranesimo dopo tale anno avrebbe dovuto rinunciare a
tutti i benefici e possessi goduti in virtù della propria carica e
restituirli alla chiesa cattolica (reservatum ecclesiasticum).
Poi, dopo aver abdicato, decise di dividere l'Impero: a Ferdinando I
l'Impero e la Boemia e a Filippo II la Spagna, i Paesi Bassi e l'Italia. Il
raggruppamento cattolico dell'impero comprendeva le terre ereditarie degli
Asburgo, la Baviera, la Franconia, i principati ecclesiastici del Reno e
della Germania nord-occidentale, nonché l'Alsazia. Il raggruppamento
protestante invece comprendeva i principati tedeschi del Nord, il ducato di
Prussia, di Brandeburgo, di Sassonia, di Hessen, di Braunschweig, del
Palatinato e del Württemberg.
Il frazionamento della Germania si era consolidato. La strada in direzione
dello sviluppo capitalistico era stata bloccata. La realizzazione del
socialismo era diventata sempre più remota. Il servaggio riprendeva vigore
nelle campagne in forme ancora più dure.
Continueranno tuttavia in Europa le rivolte contadine o di ex-contadini
divenuti operai ancora per molto tempo.
Nel 1649, in Inghilterra, a Walton-on-Thames, Surrey, furono occupate le
terre comuni. Diggers furono chiamati, "Zappatori". Più volte i proprietari
terrieri istigarono contro di loro folle inferocite. Villici e soldati li
assalirono e rovinarono i raccolti. Quando tagliarono la legna nel bosco del
demanio, i signori li denunciarono per violazione delle loro proprietà.
Allora si spostarono a Cobham Manor, costruirono case e seminarono grano. La
cavalleria li aggredì, distrusse le case, calpestò il grano. Ricostruirono e
riseminarono. Altri si erano riuniti in Kent e in Northamptonshire. Una
folla in tumulto li allontanò. La legge li scacciò.
Nel 1647 Masaniello guida a Napoli la sollevazione degli strati più umili.
Le rivolte di Boulogne, Vivarais, Bordeaux, Bretagna, Rennes contro il
fiscalismo di Luigi XIV negli anni 1662-75.
Servi, lavoranti, minatori, evasi e disertori si unirono ai cosacchi di
Pugaciov per rovesciare gli autocrati di Russia e abolire il servaggio. Nel
1774 occuparono roccaforti, espropriarono ricchezze e dagli Urali si
diressero verso Mosca. Pugaciov fu catturato e ucciso.
In Inghilterra dopo aver cacciato i contadini dalle terre su cui vivevano, i
loro figli diventarono operai tessitori, poi arrivò il telaio meccanico. Nel
1811, nelle campagne, per tre mesi furono prese di mira le fabbriche, i
telai... Il governo mandò contro i luddisti decine di migliaia di soldati e
civili in armi. Una legge stabilì che le macchine contavano più delle
persone e chi le distruggeva andava impiccato. Gli operai scatenarono la
rivolta generale, ma erano provati, denutriti. Chi non fu impiccato, fu
deportato in Australia.
ANALISI:
La fallita rivolta contadina è la dimostrazione che in nome di una religione
non si possono fare rivoluzioni, in quanto le religioni tendono sempre, in
ultima istanza, ad atteggiamenti rinunciatari, anche quando predicano ideali
che possono sembrare rivoluzionari. Infatti, quando a questi ideali si vuole
dare una concretezza politica davvero rivoluzionaria, si è costretti a
uscire dalla religione.
La rivolta ha dimostrato che non è sufficiente compiere una battaglia
religiosa contro la religione per ottenere un miglioramento delle condizioni
di vita sociale ed economica; quando si riescono ad ottenere miglioramenti
del genere, essi restano prerogativa più che altro dei ceti benestanti,
siano essi urbani o rurali.
Il luteranesimo fu una riforma moderata per i ceti borghesi e dal punto di
vista politico esso, in ultima istanza, preferì il dominio delle classi
possidenti su quelle lavoratrici.
La riforma contribuì comunque allo sviluppo di concezioni laiciste della
vita, tendenti all'ateismo, per quanto vissute in una dimensione
esistenziale fondamentalmente individualista e borghese.
Il fallimento di questa rivolta è anche la dimostrazione che il mondo
contadino non aveva leader politici in grado di rappresentarlo
efficacemente, cioè in grado di farlo uscire dallo spontaneismo male
organizzarlo e di guidarlo verso la conquista del potere politico ed
economico.
La sconfitta di questa insurrezione è la palese dimostrazione che della
borghesia ci si può fidare solo fino a un certo punto, in quanto nei momenti
più critici (sul piano militare) e nei momenti più importanti per la sorti
della democrazia, essa tende sempre a tradire gli interessi nazionali o
comuni.
Senza l'aiuto dei contadini la borghesia non sarebbe riuscita da sola a
realizzare l'unità nazionale né ad opporsi efficacemente alle forze feudali.
La dura repressione a carico di questa insurrezione, è la riprova che quando
si compiono tentativi rivoluzionari bisogna procedere con coerenza e
decisione, poiché, in caso di sconfitta, la reazione sarà spietata.
Se la rivolta contadina avesse avuto successo, forse non si sarebbe
sviluppata una Germania borghese, ma una Germania democratica, in cui la
democrazia sarebbe stata prerogativa di tutto il popolo e non di una classe
particolare.
Prendendo le mosse dal luteranesimo e portandolo alle sue più logiche e
coerenti conseguenze, il calvinismo ha fatto sì che il capitalismo potesse
imporsi con successo su qualunque forma economica non borghese.
BREVE STORIA DELLA GERMANIA DEGLI ULTIMO DUEMILA ANNI:
0-100 - I romani estendono il loro impero in Germania, ma vengono fermati
sul Reno e sul Danubio.
. 300-600 - Invasioni germaniche nell'impero romano. 500
. 500-800 - Processo di fusione tra la civiltà romana e quelle germaniche.
600-1000 - Cristianizzazione della Germania. Si estende l'agricoltura. Epoca
del feudalesimo.
. 700-800 - I franchi si impongono contro i germani.
. 800-814 - Carlo Magno ristabilisce il potere nell'Europa centrale. 900.
919 - Nasce il "Sacro Impero Romano" con imperatori germanici. Si diffonde
la lingua tedesca.
. 900-1100 - Cresce il potere politico ed economico della chiesa. 1100
. 1000-1400 - Continue lotte tra le autorità dell'imperatore e del Papa.
1200-1250 - Nasce la letteratura in lingua tedesca. Cominciano a fiorire le
città. 1300 1300 - Inizia il declino del potere dell'imperatore. Aumenta
l'influenza dei poteri regionali. 1350
. 1347-1350 - La peste porta a una riduzione della popolazione del 30%. 1400
. 1400-1500 - Risveglio della cultura e dell'economia. 1450 1450 -
Cominciano a diffondersi le idee dell'umanesimo e del rinascimento. 1500
. 1517 - Martin Lutero dà inizio al movimento della Riforma. 1550
1520-1560 - La Germania si spacca in due tra stati cattolici e protestanti.
1600
. 1618-1648 - La guerra dei trent'anni rovina e impoverisce la Germania.
1650-1800 - La Germania è frantumata in 300 stati e staterelli. Epoca
dell'assolutismo. 1700 - Inizia l'ascesa della Prussia. Cresce l'antagonismo
tra Prussia e Austria. 1750-1800 - Si diffondono le idee dell'illuminismo,
ma a livello politico regna il dispotismo. 1800-1815 - Lotta contro
l'invasione di Napoleone. Inizia l'espansione industriale. 1850
. 1848 - Fallisce la rivolta democratica in molte città tedesche. 1900
1871 - Unificazione della Germania e fondazione del Reich. Rapida espansione
economica. Era dell'Imperialismo.
. 1880-1910 - Nasce in Germania la società capitalista moderna. 1915
. 1914-1918 - Prima Guerra Mondiale. 1920 1919 - Rivoluzione democratica:
cade la monarchia - nasce la repubblica di Weimar. 1925
. 1923 - Inflazione e crisi economica. 1930-1933 - 6 milioni di disoccupati.
Hitler arriva al potere. Inizia il terrore nazista.
. 1935-1939 - Hitler prepara la guerra. Annessione dell'Austria. 1940
. 1939-1945 - Seconda Guerra Mondiale. 55 milioni di morti. 1945-1949 - La
Germania è sconfitta, ridotta a macerie e viene divisa in due stati.
1950-1960 - "Miracolo economico" all'ovest. Fuga di massa dall'est
all'ovest. 1955 1953 - Rivolta nella Germania dell'est contro lo stato viene
soppressa dai carri armati sovietici. 1960
. 1961 - Viene eretto il Muro di Berlino. 1965 1969 - Con Willi Brandt
inizia la "politica di distensione" tra i due stati tedeschi. 1970
. 1967-1970 - Movimento studentesco contro la guerra del Vietnam. 1975
. 1973 - I due stati della Germania vengono ammessi nell'ONU. 1980
1970-1980 - "Anni di piombo". Il terrorismo della "RAF" e la durissima
reazione dello stato. 1985 1975-1985 - Cresce la disoccupazione, aumentano i
problemi ambientali. 1990
. 1989-1990 - Cade il Muro di Berlino. Riunificazione della Germania. 1995
. 1990 - Inizia la dolorosa riconversione capitalista della ex-DDR. 2000
. 1999-2002 - Introduzione dell'Euro. Fine del Marco tedesco.
L'INNO NAZIONALE
"Deutschland über alles"
"La Germania al di sopra di tutto"! Chi non conosce queste parole con cui
inizia l'inno nazionale della Germania? E a chi non viene subito in mente
Hitler, la Seconda Guerra Mondiale e l'olocausto? Ma in origine queste
parole avevano un significato completamente diverso...
Chi era l'autore delle parole dell'inno nazionale?
Heinrich Hoffmann von Fallersleben, a sinistra un suo ritratto del 1840
quando aveva 42 anni, era un professore di letteratura e insegnava a
Breslau, nella Prussia. Le sue passioni erano, oltre al suo lavoro, le
donne, il vino, il canto, la democrazia (che non esisteva in Prussia) e
l'idea di una Germania unita (anch'essa, all'epoca, era solo un sogno). E su
tutto questo, compresi il vino, il canto e le donne, scrisse nel 1841 una
poesia - "La Canzone dei Tedeschi" - nello stile un po' patetico e romantico
dell'epoca. Di poesie come questa ne esistevano parecchie, ma Fallersleben
seppe trovare il tono giusto. La poesia ebbe dei risultati inaspettati:
prima si diffuse subito e velocemente in tutta la Germania rendendo famoso
il professore fino ad allora poco conosciuto. Ma poi Fallersleben fu
cacciato dall'università per aver espresso troppo esplicitamente il
desiderio di democrazia e di unità, un desiderio poco amato dai potenti
della Germania dell'epoca.
La prima strofa...
Deutschland, Deutschland über alles, Über alles in der Welt,
wenn es nur zum Schutz und Trutze brüderlich zusammenhält.
Von der Maas bis an die Memel,
von der Etsch bis an den Belt: *
Deutschland, Deutschland über alles, über alles in der Welt.Germania,
Germania, al di sopra di tutto
al di sopra di tutto nel mondo,
purché per protezione e difesa
si riunisca fraternamente.
Dalla Mosa fino alla Memel
dall'Adige fino al Belt: *
Germania, Germania, al di sopra di tutto
al di sopra di tutto nel mondo,
* Fallersleben definisce qui i confini della diffusione della lingua
tedesca:
La Mosa (all'ovest) e la Memel (all'est), l'Adige (al sud) e il Belt (al
nord).
Fu una poesia molto scomoda...
"Deutschland, Deutschland über alles" - queste sono le parole con cui
comincia la prima strofa della sua poesia - significava all'epoca: via con i
tanti stati e staterelli, vogliamo uno stato unitario, la Germania! Erano
parole sovversive contro i tanti piccoli e grandi re, principi, duca e
granduca che popolavano il paesaggio politico della Germania dell'800 e che
non avevano nessuna intenzione di andarsene per far spazio a una Germania
unita e per di più "democratica". Ma anche dopo la forzata unificazione
della Germania nel 1871, ad opera di Bismarck, la poesia di Fallersleben
rimaneva poco amata da chi regnava, soprattutto la terza strofa che parlava
di libertà e giustizia era troppo scomoda, perché di libertà e giustizia ce
n'era poco nel nuovo stato.
La seconda strofa...
Deutsche Frauen, deutsche Treue, deutscher Wein und deutscher Sang
sollen in der Welt behalten
ihren alten guten Klang.
Uns zu edler Tat begeistern
unser ganzes Leben lang
Deutsche Frauen, deutsche Treue, deutscher Wein und deutscher Sang.Donne
tedesche, fedeltà tedesca,
vino tedesco e canto tedesco,
devono mantenere nel mondo
la loro vecchia, buona fama.
Che ci ispirino a gesta nobili
per tutta la nostra vita
Donne tedesche, fedeltà tedesca,
vino tedesco e canto tedesco,
Era concepita come canzone popolare
Fin dall'inizio la poesia era concepita come canzone. Come melodia
Fallersleben scelse l'Inno Imperiale che Josef Haydn aveva scritto nel 1797
per l'imperatore austriaco Franz II impegnato in guerra contro Napoleone. La
solenne melodia, insieme alle parole semplici, ma espressive, fecero
diventare "La Canzone dei Tedeschi" molto popolare.
La poesia romantica divenne inno nazionale
Solo durante la Repubblica di Weimar, nel 1922, divenne l'inno nazionale e
si cantavano tutte le tre strofe. I nazisti poi lo riducevano alla prima
strofa, con accento alle parole "Deutschland über alles", aggiungendo un
senso del tutto nuovo: via con tutti gli altri stati dell'Europa, la
Germania è superiore a tutti gli altri! Dopo la Seconda Guerra Mondiale, per
non continuare in questa triste tradizione, si decise di cantare solo la
terza strofa di quest'inno, quella che parla di unità, libertà e giustizia.
La terza strofa, quella che si canta ancora oggi...
Einigkeit und Recht und Freiheit
für das deutsche Vaterland!
Danach laßt uns alle streben,
brüderlich mit Herz und Hand!
Einigkeit und Recht und Freiheit
sind des Glückes Unterpfand.
Blüh' im Glanze dieses Glückes,
blühe deutsches Vaterland.Unità, giustizia e libertà
per la patria tedesca!
È lì che vogliamo arrivare,
col cuore e col nostro fraterno lavoro!
Unità, giustizia e libertà
sono la garanzia della felicità.
Fiorisci nel pieno di questa felicità, fiorisci, patria tedesca!
LA NASCITA DELLA GERMANIA:
Chi era Bismarck?
Otto von Bismarck (1815-1898) era esponente di una delle grandi famiglie
dell'aristocrazia prussiana. Nel 1847 fu deputato della destra nel
parlamento prussiano e si oppose ai moti democratici della rivoluzione del
1848. Nel 1862 divenne presidente del consiglio dei ministri della Prussia.
Rafforzò l'esercito e impose gradualmente l'egemonia prussiana tra i tanti
piccoli e grandi stati della Germania. Fu, nel 1870-71, l'artefice
dell'unità della Germania sotto l'egemonia della Prussia e dopo, fino al
1890, il suo primo Cancelliere. Per i suoi metodi autoritari e
l'inflessibile determinazione nel perseguire l'obiettivo di fare della
Germania la potenza predominante in Europa, fu soprannominato "der eiserne
Kanzler", il cancelliere di ferro.
Per approfondire leggi:
Otto von Bismarck - il "cancelliere di ferro"
Come e quando è nata l'idea di una Germania unita?
L'idea della Germania unita nasce nella lotta comune contro Napoleone che,
all'inizio dell'800, aveva occupato tutta la Germania. Ma questa idea di una
Germania unita era accompagnata anche da richieste democratiche,
inaccettabili per i governanti, che erano tutt'altro che democratici. Un
primo tentativo di arrivare a democrazia e unità fallì nella rivoluzione del
1848. Ma l'unità divenne necessaria anche per liberare lo sviluppo
economico, bloccato da troppi confini e troppe leggi diverse. Ma purtroppo
in Germania le idee politiche non hanno mai avuto forza se non c'era
qualcuno che metteva a disposizione un esercito.
Chi voleva l'unità?
Quel qualcuno era la Prussia. Bismarck, uomo politico prussiano molto abile
e senza troppi scrupoli (vedi anche la sua scheda biografica sopra), aveva
capito che una Germania unita veniva o "dal basso", cioè dal popolo con
tutti i rischi che questo comportava (bisogna ricordarsi che Carlo Marx
aveva già scritto il suo "Manifesto dei comunisti") o arrivava "dall'alto",
cioè da qualcuno abbastanza forte da poter costringere gli altri stati ad
aderire a questa "Germania unita". Chiaramente, voleva essere la Prussia la
guida di questo nuovo stato. Ma come fare a convincere gli altri stati,
tutti orgogliosi di essere indipendenti? Un altro problema era l'Austria:
integrarla o lasciarla fuori dalla Germania? La Prussia fece di tutto per
provocare e rafforzare i contrasti con l'Austria, che, un po' alla volta fu
emarginata. In questo modo la Prussia conquistava una posizione sempre più
forte. La soluzione per risolvere definitivamente questi problemi era
trovato presto: si provocava una guerra contro la Francia, il nemico numero
uno, una guerra alla quale nessuno stato tedesco poteva dire di no.
La Germania è nata nella guerra!
La proclamazione dell'imperatore della Germania, nel 1871,
nella Sala degli specchi del castello di Versailles a Parigi
Questa guerra rafforzava da una parte i sentimenti nazionali, dall'altra
parte serviva a far capire a tutti la forza militare che la Prussia nel
frattempo aveva raggiunto. Così, vinta la guerra, tutti si piegarono alla
Prussia. Il modo concreto della costituzione del nuovo stato è degno di
essere raccontato perché costituiva una provocazione senza precedenti nei
confronti della Francia che la umiliava profondamente: la cerimonia
ufficiale della costituzione della nuova Germania fu celebrata, quando le
truppe tedesche avevano occupato Parigi, nella sala più prestigiosa del
palazzo reale di Versailles, centro e simbolo della monarchia francese (vedi
il quadro in alto che raffigura questa scena)! Una umiliazione che i
francesi non si dimenticavano certamente e che contribuì a cimentare la
"storica" inimicizia tra i due popoli fino alla fine della Seconda Guerra
Mondiale.
Otto von Bismarck :
All'inflessibile "Cancelliere di ferro", gli avversari gli attribuirono una
frase che viene spesso ripetuta "La forza supera il diritto". Bismarck negò
di averla pronunciata, ma essa resta come il fondo del suo pensiero, la base
della sua politica. E poiché questo pensiero messo in azione riuscì a fare
l'opera sognata più di quanto nessuno avesse immaginato, esso finì per
diventare la norma regolatrice della politica tedesca e quindi anche del
pensiero nazionale tedesco. La generazione dopo il 1870, quella cresciuta
con Bismarck, dominatore della vita politica per quasi trent'anni, finì per
imbeversi talmente della propria gloria da giudicare la civiltà tedesca di
gran lunga superiore alle altre e da considerare come suo dovere quello
d'imporla a tutto il mondo. Con quale mezzo? Con lo stesso adottato con
tanto successo dal "Cancelliere di ferro": "colla forza delle armi".
Con la forza delle armi, la Prussia da Stato subordinato all'Austria,
Bismarck riuscì a trasformare il suo Paese nella massima potenza
continentale europea, riunendolo dopo secoli di divisione nazionale.
Nel 1890, quello che fu definito il "grande burattinaio", "l'onesto
sensale", trasformatosi in uomo di pace, lasciò il potere e rimase in
disparte fino alla morte (1898) perché in urto con il nuovo giovane sovrano
Guglielmo II; ma quella struttura autoritaria e quell'aggressiva impronta
militarista - iniziata già nel periodo federiciano - rimase e portarono la
Germania prima al disastro della Prima Guerra Mondiale, poi, fortemente
decisi a rivalersi della umiliante sconfitta, con un "caporale" alla guida,
al disastro della Seconda.
Le date principali della vita di Bismarck
1815
1 aprile OTTONE LEONARDO LEOPOLDO VON BISMARCK-SCHONHAUSEN, nasce,
secondogenito, nella famiglia prussiana dei Bismarck-Schonhausen, orgogliosa
schiera di aristocratici prussiani, noti con il nome di "JUNKER": una rigida
casta di latifondisti autoritari e potentissimi.
1847
Fino a questa data, Bismarck, alto, imponente, vigoroso, attivo nei diversi
sport, trascorre i suoi primi 32 anni di vita turbolenta e inquieta, senza
pensare alla politica. Poi si sposa con Giovanna Puttkamer, e desideroso di
trovarsi una "sistemazione" di prestigio, iniziò a dedicarsi alla vita
politica, quasi alla vigilia della rivoluzione di Berlino. Viene eletto
deputato alla Dieta degli Stati Tedeschi (la prima che raccogliesse i
rappresentanti degli Stati tedeschi che allora formavano la Confederazione
Germanica, formatasi nel 1815.
1848
Alla sanguinosa sommossa di Berlino del 18 marzo 1848 ( che si proponeva di
costringere il Re di Prussia, Federico Guglielmo, a concedere una
Costituzione) il trono stava vacillando, ma il giovane deputato si schierò
decisamente dalla parte del Re, ribadendo che la sovranità veniva dal
"diritto divino". L'atteggiamento fu premiato dal Sovrano, affidandogli
sempre più importanti incarichi.
1851
Viene promosso ambasciatore. Dotato di eccezionale fiuto politico, Bismarck
inizia a dar prova del suo autentico genio politico e diplomatico. E' lui a
inventarsi la "Realpolitik", una "politica realista" che lo avrebbe reso
famoso; seguendo un solo dogma: raggiungere l'obiettivo proposto con il
mezzo più rapido, sicuro, efficace, qualunque esso fosse.
1862
Viene nominato Cancelliere (Primo Ministro). Nella crisi politica di
quest'anno dovuto al rifiuto dell'opposizione che non voleva accettare i
provvedimenti di potenziamento, ammodernamento, riorganizzazione
dell'esercito, il sovrano fa una mossa autoritaria: sciolse il Parlamento.
Ma in virtù della Costituzione votata nel 1850, questa consentiva di
rimanere in carica anche dopo un voto contrario e dopo lo scioglimento del
Parlamento. Bismarck resta al suo posto di comando.
1864
Sotto la sua guida, inizia il programma politico per fare della Prussia lo
Stato dominatore nel mondo tedesco, con il sogno di riunificare sotto di
essa la Germania divisa, con gli Stati subordinati all'Austria. E' il
periodo della Guerra alla Danimarca
1866
Sfrutta i dissidi interni dell'Austria e l'ostilità dell'Italia per
l'imperatore asburgico, dichiara guerra e vince gli austriaci in una paurosa
disfatta in Boemia a Sadova. La Confederazione, fino allora dominata
dall'Austria viene sciolta. Gli Stati si riuniscono in una Confederazione
(del Nord) sottoposta alla guida della Prussia.
1870-71
Dopo l'Austria rimaneva nel continente solo i Francesi di Napoleone III,
tradizionale avversario, a contrastare l'egemonia tedesca. E quando scoppiò
la guerra i piani per l'invasione della Francia erano pronti già da tre
anni; I piani di Bismarck e la genialità strategica di von Moltke travolsero
ogni resistenza a Sedan, lo stesso imperatore francese venne catturato,
Parigi fu posta in assedio.
1871
Nella reggia di Versailles, Bismarck ebbe la soddisfazione di udire i
principi tedeschi che si sottomettevano a Guglielmo I di Prussia e lo
nominavano imperatore in Germania. Così "in mezzo al ferro e al fuoco" come
si espresse lo stesso Cancelliere) poteva rinascere il Reich tedesco dopo
tanti secoli di divisione nazionale.
1873-75
"Lotta per la cultura". Leggi contro la Chiesa cattolica
1878
Proprio come un accorto "burattinaio" Bismarck iniziò a manovrare i fili di
una complicatissimi rete di alleanze, rapporti d'equilibrio, promesse e
minacce, concessioni e pretese. E con Congresso di Berlino di quest'anno
sancì tale equilibrio.
1882
Dopo le manovre di sopra parte una serie di alleanze e di patti. La maggiore
tra queste alleanze fu la "Triplice Alleanza", alla quale accedette anche
l'Italia, insieme all'Austria e alla Germania.
1888
Muore l'imperatore Guglielmo I. Sale al trono Guglielmo II e subito si aprì
in contrasto tra Bismarck e il giovane 29 enne sovrano, che (oltre che
geloso della sua popolarità) non tollerava i sistemi autoritari del
"Cancelliere di Ferro".
1890
I contrasti durarono due anni, e inaspriti fino a tal punto che Bismarck si
vide costretto a dimettersi dal governo e ritornare a malincuore alla vita
privata.
1898
Dopo otto anni di vita trascorsa nel suo podere di Friedrichsruh, Bismarck
il 30 luglio muore a 83 anni d'età.
L'ORIGINE DELL'ODIO VERSO GLI EBREI:
"Gli ebrei sono quelli che hanno crocefisso Gesù!"
La più antica fonte dell'antisemitismo è cristiana: "Gli ebrei sono quelli
che hanno crocefisso Gesù!". Per molti secoli la chiesa ha alimentato nel
popolo questa convinzione demagogica che serviva a giustificare la
persecuzione e l'eliminazione della "concorrenza" religiosa. La comunità
religiosa degli ebrei era sparsa in tutta l'Europa, e costituiva sempre un
corpo estraneo in una società in cui la chiesa voleva essere l'unica
autorità, non solo religiosa, ma anche politica. Solo per la loro esistenza,
gli ebrei erano un pericolo costante per una società medievale dominata
dalla religione cristiana, il loro costante rifiuto di farsi cristiani era
una specie di delegittimazione della validità universale della fede
cristiana. Così è nato l'odio e anche la necessità di trovare una
spiegazione "religiosa" per quest'odio. L'idea della "colpa collettiva"
degli ebrei per la morte di Gesù era praticamente la condanna a morte per
decine di migliaia di loro. Questa convinzione si mantenne molto a lungo, a
livello più o meno conscio, in vasti strati della popolazione.
Origine n°2:
"Gli ebrei sono avari, degli usurai che si arricchiscono con i soldi degli
altri!"
a sinistra: una stampa del 1450 che rappresenta un cambiamonete ebreo.
Durante il Concilio laterano del 1215 il Papa Innocente III, un nemico
giurato degli ebrei, fece rilasciare una serie di norme che dovevano segnare
il destino degli ebrei per molti secoli. Vietò per esempio ai cristiani di
prestare soldi contro interessi e consigliò di escludere gli ebrei dalle
altre associazioni professionali. Successivamente praticamente tutte le
associazioni professionali, riferendosi a queste leggi della chiesa,
vietarono agli ebrei l'esercizio della loro professione e costrinsero questi
a delle attività professionali (cambiamonete, prestasoldi etc.) che il
popolo, comprensibilmente, odiava. Tutti, anche i contadini più poveri,
dovevano rivolgersi prima o poi a un ebreo per farsi prestare dei soldi e
ogni raccolta andata male portava a un odio crescente verso di loro. Ma
anche gli imperatori avevano un gran bisogno di denaro, motivo per cui di
solito i poteri imperiali erano molto più tolleranti nei confronti degli
ebrei dai quali spesso dipendevano.
Origine n°3:
"Gli ebrei non vogliono integrarsi nel mondo cristiano-occidentale!"
Relegati da leggi religiose e civili nei loro ghetti, periodicamente
perseguitati e anche sterminati, gli ebrei svilupparono una forte identità
culturale che li fece sopportare e sopravvivere. Ma il loro essere diversi
che si vedeva nel modo di vestirsi e in molte abitudini quotidiane, la loro
"resistenza culturale", li rese ancora più oggetti di sospetti e di attacchi
ingiusti. Colui che è diverso è tendenzialmente pericoloso. Questo vale oggi
e valeva ancora di più per la società medioevale. Gli ebrei furono usati
come capri espiatori per tutte le occasioni, furono resi colpevoli persino
della peste che nel Trecento devastò mezza Europa: a Strasburgo, per
esempio, furono sepolti vivi 2000 ebrei ritenuti responsabili di quella
terribile epidemia.
Origine n°4:
"Gli ebrei vogliono dominare tutti i paesi, per poter manovrarli secondo i
loro interessi!"
a destra: la linea ferroviaria che conduceva all'entrata del campo di
Auschwitz (Polonia) costituì il viaggio finale di milioni di persone. Ad
Auschwitz e Birkenau morirono ca. 3 milioni di persone (soprattutto ebrei
polacchi).
Questa è la versione più "moderna" dell'antisemitismo, è quella inventata
dai nazisti per canalizzare e deviare i mille motivi di scontentezza e di
rabbia del popolo contro una facile preda, per dare una semplice
"spiegazione" alle molte ingiustizie nel mondo che molta gente non riusciva
a spiegarsi. In tutti i governi, in tutte le organizzazioni internazionali
si potevano trovare degli ebrei, anche in posizioni importanti, e così era
molto facile trovare delle "prove" per questa assurda affermazione.
L'antisemitismo doveva diventare così una lotta di tutti i popoli contro un
nemico che minaccia tutti. Per essere giustificato, lo sterminio sistematico
aveva bisogno di una motivazione più forte, più "politica" e non solo etnica
o religiosa.
Lo scrittore tedesco Hermann Hesse sulle origini dell'antisemitismo:
a sinistra: Hermann Hesse (1877-1962)
"L'uomo primitivo odia ciò di cui ha paura, e in alcuni strati della sua
anima anche l'uomo colto è primitivo. Anche l'odio dei popoli e delle razze
contro altri popoli e razze non si basa sulla superiorità e sulla forza, ma
sull'insicurezza e sulla paura. L'odio contro gli ebrei è un complesso di
inferiorità mascherato: rispetto al popolo molto vecchio e saggio degli
ebrei certi strati meno saggi di un'altra razza sentono un'invidia che nasce
dalla concorrenza e un'inferiorità umiliante. Più fortemente e più
violentemente questa brutta sensazione si manifesta nella veste della
superiorità, più è certo che dietro si nascondono paura e debolezza."
(1958).
LA GUERRA DEI TRENT'ANNI:
La tragedia fondamentale della storia tedesca
Alla luminosa fioritura del genio europeo che si associa per noi ai nomi di
Shakespeare e di Cervantes, seguì immediatamente una catastrofe che piombò
gran parte dell'Europa centrale in un abisso d'infelicità e di barbarie. La
guerra dei trent'anni, iniziatasi con una rivolta religiosa nella Boemia,
avrebbe potuto facilmente essere isolata, ma, non trovando invece ostacolo
alcuno, travolse nella lotta, quantunque in grado diverso, quasi tutti gli
stati europei. Tuttavia, benché Danimarca e Svezia, Francia e Inghilterra,
Savoia e Paesi Bassi rappresentassero una parte nella tragedia, principale
teatro della guerra fu sempre l'impero tedesco, e primi a soffrirne il
popolo tedesco e il boemo. La natura non aveva favorito i tedeschi, tagliati
fuori, per la loro posizione geografica, dalle imprese coloniali che, nel
diciassettesimo secolo, avevano arricchito le potenze oceaniche. A questo
ostacolo di natura geografica si aggiunse ora la depressione sociale,
prodotta dalle devastazioni di una guerra condotta con una ferocia di cui la
storia offre pochi esempi. È impossibile in verità esagerare le sofferenze
degl'inermi contadini dell'impero tedesco in questi tempi di ferro:
saccheggi, carestia, fame, persino cannibalismo. Interi villaggi scomparvero
e, come sempre accade in epoche di estrema e disperata calamità, i freni
morali si allentarono, dando luogo a scoppi selvaggi di dissolutezza.
All'inizio del secolo sedicesimo, la Germania era in primo piano nella
civiltà europea. Alla fine della guerra dei trent'anni (1648), priva di
letteratura e di arte, appesantita da una lingua quasi incomprensibile,
appariva, quanto a modi e costumi sociali, di poco superiore alla barbarie
moscovita.
Ferdinando II
Primum mobile della guerra fu un gesuita coronato. Giudicato alla luce dei
mutamenti attuati per sua personale iniziativa, Ferdinando di Stiria
(1619-37), divenuto più tardi l'imperatore Ferdinando II, dev'esser
considerato come uno dei grandi uomini d'azione del secolo. Fu il primo
allievo di un collegio di gesuiti che salisse al trono imperiale; e sulla
sua intelligenza angusta, esasperata e permeata dalla dottrina gesuitica,
dominava un'unica passione, un unico scopo: odiava i protestanti e stabilì
di sradicarli dai suoi dominii. Con una risoluta politica di persecuzione,
iniziata nella Stiria (1598), continuata nella Boemia, e diffusa in lungo e
in largo per tutti i suoi possedimenti austriaci, riuscì nel suo scopo di
«liquidare» gli eretici e di concentrare tutta la vita intellettuale e
religiosa del regno sotto il ferreo dominio dell'ordine dei gesuiti. Ma
terribile prezzo della sua vittoria fu il violento sovvertimento di tutta
l'impalcatura della società boema e, tra l'altro, lo scoppio della guerra
dei Trent'anni. Pochi sono gli uomini onesti, devoti e coerenti come lui che
abbiano attirato sul mondo sì gran valanga di miserie, imponendo allo
spirito di un popolo un così lungo periodo di costrizione teologica.
Carattere generale della guerra
La lunga e rovinosa lotta non fu però combattuta per scopi insignificanti;
si trattava di decidere se la Germania dovesse essere strappata alla
Controriforma, con grave danno dell'avanzata dei gesuiti, conservando alla
chiesa luterana e alla calvinista il dominio su grandi tratti dell'Europa
centrale. Ma la religione, pur essendo il motivo fondamentale e
appassionante non era allora, come forse non fu mai, l'unico che operasse
sullo spirito degli statisti.
La guerra dei trent'anni rivelò nel modo più lampante l'impossibilità della
Germania a riunirsi nuovamente sotto una forte costituzione imperiale.
Dimostrò che anche i prìncipi tedeschi, fautori della chiesa romana, erano
anzitutto preoccupati della propria posizione territoriale e, piuttosto che
cercar di ridare all'impero cattolico una posizione di vera autorità nella
Germania, preferivano rimaner neutrali o addirittura allearsi coi francesi:
cosicché la guerra, perpetuando le divisioni religiose della Germania, ne
confermò pur l'anarchia politica. Ma esisteva un altro problema politico che
entrava largamente nei motivi dell'epoca ed ebbe gran peso nella definitiva
sistemazione ottenuta con la pace di Westfalia (1648). A chi spettava il
dominio del Baltico? La grande epoca della Lega anseatica era ormai
tramontata. Da tempo Lisbona e Anversa, Amsterdam e Londra avevano superato
di gran lunga, dopo l'apertura delle nuove vie oceaniche, Lubecca e Rostock,
Stralsund e Danzica. Pretendenti alla supremazia nel Baltico non erano più
le repubbliche tedesche della Lega, ma i regni rivali di Danimarca, Svezia e
Polonia, formidabile il primo per il suo dominio sul Sund e la sua
occupazione delle tre provincie svedesi meridionali, e il secondo per
l'energia e intelligenza dei suoi re eccezionali, mentre la Polonia,
governata da un principe cattolico della casa dei Vasa, pareva annunziare
che un giorno anche la Svezia sarebbe sottoposta ai dominio straniero dei
gesuiti e degli slavi.
Compito della Svezia
È perciò caratteristico della guerra dei trent'anni che gli svedesi, pur
combattendo per la causa protestante e contribuendo in modo decisivo alla
sua definitiva vittoria, si preoccupassero anche vivamente di conquistare il
dominio politico e commerciale della costa baltica meridionale e la libertà
del Sund per il loro commercio, e che si servissero della guerra religiosa
della Germania per raggiungere i loro scopi, trovandosi, alla fine, in virtù
delle loro conquiste tedesche, padroni del Baltico e con un posto
predominante nella Dieta. L'epoca della Russia non era ancor giunta; e le
provincie baltiche le furono facilmente strappate dagli svedesi. Quanto agli
Hohenzollern del Brandeburgo, a cui doveva in definitiva toccarne il
possesso, il mare li separava dalla Pomerania e tenevano la Prussia
orientale come feudo polacco. Era l'ora della Svezia. Per la prima volta,
dopo le migrazioni gotiche, questo paese povero e sterile che contava un
milione e mezzo di abitanti, ricomparve sulla scena della politica mondiale,
contribuendo allo svolgimento della storia. Un grande re, appartenente a una
dinastia eccezionale per talento ed energia, con radici profonde
nell'affetto e nella devozione dei contadini, sorse come campione della
religione protestante, fece della Svezia una potenza di prim'ordine e con
una serie di brillanti vittorie, in gran parte finanziate dalla Francia,
trasformò il Baltico in un lago svedese.
Insurrezione protestante in Boemia
Esistono, nella storia dei popoli, momenti in cui cause diverse cospirano a
eccitare pericolosamente la pubblica opinione. Il centenario della Riforma
Protestante (1617) segnò appunto un momento simile. Da tempo le discordie
religiose nell'Europa centrale minacciavano un'esplosione generale. Vi erano
stati incidenti gravi, persino piccoli scoppi di guerra aperta,
fortunatamente circoscritti, come a Colonia nel 1580, e un'agitazione così
diffusa da giustificare la formazione di una Unione evangelica armata
difensiva (1608), cui si oppose immediatamente una Lega cattolica,
appoggiata dalla Spagna. Soltanto l'assassinio di Enrico IV di Francia
impedì, nel 1610, una guerra generale per la successione ai ducati di
Clèves-Jülich. Ed ecco, proprio nell'anno del centenario, quando più ardeva
la battaglia dei libelli contrastanti, nell'atmosfera fatta rovente dalle
recriminazioni dei teologi rivali, la notizia che Ferdinando, il persecutore
dei protestanti della Stiria, era salito al trono d'Ungheria e di Boemia ed
era designato a succedere nell'impero all'anziano cugino Mattia.
I protestanti di Boemia, benché abbastanza numerosi e potenti per ottenere
dall'imperatore Rodolfo uno statuto di tolleranza (Litterae majestaticae del
luglio 1609), non avendo parte alcuna nel congegno del governo, avevan
dovuto vedere l'amato statuto amministrato in senso contrario ai loro
interessi dal gruppo di reggenti o ministri reali, incaricati
dall'imperatore Mattia del governo del paese. Le litterae majestaticae
concedevano ai nobili e alle città reali della Boemia, della Slesia e della
Lusazia il diritto di costruire templi e di praticare la forma boema del
luteranesimo. In due posti soltanto, si diceva, a Braunau e Klostergrab,
tale diritto era stato reso vano dall'intolleranza del clero cattolico,
appoggiato dall'autorità imperiale. La chiesa protestante di Klostergrab era
stata abbattuta; imprigionati, a Braunau, i protestanti che si agitavano
contro la persecuzione cattolica. Se tutto ciò avveniva sotto il governo di
Mattia, che potevano mai sperare i protestanti da Ferdinando? Già la notizia
che il persecutore dei protestanti della Stiria era re e sarebbe presto
imperatore aveva riempito di gioia tutti i gesuiti del paese. Ecco perché,
sotto la guida di un nobile calvinista, Enrico Mattia di Thurn, i
protestanti boemi decisero d'insorgere.
La defenestrazione di Praga
A un decreto reale che proibiva ai protestanti di riunirsi in assemblea, i
nobili boemi risposero con la famosa «defenestrazione di Praga», prima
scintilla della lunga guerra. Il peso dell'odiosa politica reale ricadeva su
due ministri cattolici, Martinitz e Slawata, legati in modo particolare
all'ultimo impopolare governo. Durante una violenta intervista nel Hradshin,
il grande palazzo-fortezza che si erge cupo al disopra della città, questi
due uomini e il loro segretario privato furon gettati da una finestra nel
fossato del castello, con atto di collera premeditata, inteso a dimostrare
agli interessati che la pazienza dei protestanti boemi era ormai esaurita e
i calvinisti finalmente decisi a colpire.
Una grande opportunità si offriva ora all'elettore luterano di Sassonia e
all'Unione Evangelica. Se si fosse ben chiarito, a vantaggio di questo
potente gruppo di prìncipi tedeschi, che le litterae majestaticae dovevano
essere rispettate, e si fosse convinto il collegio elettorale a insistere su
di esse come condizione indispensabile per l'elezione di Ferdinando a
imperatore, forse la Boemia si sarebbe calmata e si sarebbe evitata la
guerra. Ma l'Unione Evangelica non era formata da un gruppo di uomini
valorosi e intelligenti. Non combatté la ribellione, ma neanche seppe darle
attivo aiuto, e Ferdinando salì al trono senza incontrare opposizione
(1619).
Il conte Palatino e la corona della Boemia
Il protestantesimo boemo non era stato mai né forte né unito, e, se non
trovava alleati, doveva inevitabilmente perire. In oriente sperava nei
turchi, nei protestanti ungheresi e nell'incerto appoggio di un misterioso e
barbaro principe calvinista della Transilvania, chiamato Bethlen Gabor; a
sud nei protestanti dell'Austria; a ovest, poiché la Sassonia era inerte e
impotente, nel Palatinato, vigorosa fortezza del calvinismo. Deposto
Ferdinando, i boemi offrirono la corona a Federico V, l'elettore Palatino,
o, come lo si chiamava allora in Inghilterra, il «Palgravio».
Era naturale che i puritani inglesi, dominanti ormai a Westminster,
considerassero il Conte Palatino come il campione della causa protestante
sul continente. Sua madre era figlia di Guglielmo il Silenzioso; sua moglie,
l'affascinante Elisabetta, figlia di Giacomo I, il re inglese allora
regnante. Ogni protestante inglese non privo di coraggio era disposto a
impugnare la spada per la principessa inglese, il cui giovane marito tedesco
pareva destinato a guidare la rivolta contro l'Austria e la Spagna. A Londra
era assai popolare l'idea che si dovessero mandare truppe inglesi a
difendere il Palatinato mentre il Conte Palatino muoveva alla riscossa della
Boemia.
Responsabilità di Giacomo di Inghilterra
Giacomo I però non condivideva questo entusiasmo naturale, innebriante, ma
ben poco saggio. E bisogna riconoscere che, in un certo senso, questo re
pedantesco era più illuminato dei suoi sudditi. Credeva nella possibilità di
un'unione profonda tra l'Inghilterra e la Scozia e pensava che, dopo le
lunghe e sanguinose lotte religiose, era ormai tempo che regnasse in Europa
un po' di pace e di tolleranza. Conchiuse perciò, nel 1604, una pace
impopolare con la Spagna e, sedotto da un compìto e affascinante
ambasciatore, stava appunto combinando per suo figlio un matrimonio spagnolo
altrettanto impopolare quando si trovò a dover rispondere all'offerta boema
e al deciso sentimento dei suoi sudditi.
Un saggio e preveggente statista avrebbe cercato in ogni modo di dissuadere
il Conte Palatino dall'iniziare un'impresa disperata, destinata a trascinare
in guerra l'Europa tutta, dai Carpazi sino al Reno. Ma Giacomo non volle
usare presso il genero dell'efficacia di cui avrebbe indubbiamente potuto
giovarsi, e dobbiamo perciò considerarlo in gran parte responsabile dei mali
che seguirono.
La battaglia della Montagna Bianca
Ed eccone le conseguenze. Il Conte Palatino, che non era affatto un
campione, ma un giovane inesperto e piuttosto timido, cedette alla pressione
degli scalmanati calvinisti e, senza pensare al seguito, si lasciò
incoronare re di Boemia. Un'aspra battaglia sulla Montagna Bianca, a poche
miglia fuori di Praga (novembre 1620), bastò per decidere il suo fato. Un
valoroso avrebbe forse tentato di radunare intorno a sé i fuggitivi. Il
giovane calvinista invece si limitò a fuggire con la sua graziosa moglie,
abbandonando i protestanti di Boemia alla mercé di Ferdinando; il quale,
appoggiato ora non soltanto dai cattolici della Lega, ma anche dai luterani
di Sassonia, non aveva ragione alcuna di esser mite verso i ribelli che
avevano congiurato coi turchi, minacciato Vienna, e posto sul suo trono un
eretico chiamato dall'altra estremità della Germania. Decise perciò di
estirpare dalla Boemia la religione protestante, e in questa sua risoluzione
ebbe un successo raramente uguagliato nella storia della persecuzione. Un
sistema di conquista diffusa e spietata repressione mise il paese sotto il
giogo austriaco. S'impose ai céchi una classe dirigente intollerante quanto
quella dei colonizzatori inglesi in Irlanda, e che non doveva essere
seriamente minacciata fino al diciannovesimo secolo. Funzionari tedeschi
governarono nello Hradshin, preti gesuiti furon messi a dirigere
l'educazione nel Clementinum. Al seguito dei nobili, degli avventurieri e
dei funzionari tedeschi, dei preti gesuiti e dei monaci cappuccini, giunsero
anche i legulei tedeschi a bandire i princìpi autocratici della legge
romana. Sotto la loro rigida dottrina, i contadini boemi furono calpestati e
ridotti in schiavitù. Prima conseguenza dell'impresa del Conte Palatino fu
perciò la creazione di uno stato servile in Europa. [...]
Intervento della Danimarca
Trovare alleati era ora più che mai necessario ai calvinisti, se volevano
riconquistare questi territori d'importanza vitale; poiché, tra le altre
conseguenze, l'avventura del Conte Palatino aveva spinto la Sassonia e i
luterani dalla parte dell'imperatore, provocando così lo scioglimento
dell'Unione Evangelica. Il fatto che la Sassonia luterana si fosse unita
alla Boemia cattolica in difesa del cattolicesimo e per Ferdinando di
Boemia, rivelava chiaramente il profondo antagonismo tra la fede luterana e
calvinista che, prevalente sia dall'inizio, era stato più d'una volta fatale
all'azione efficace dei protestanti. Ma rivelava anche un altro importante
elemento politico: il forte conservatorismo dell'elettore sassone, la sua
ripugnanza ad appoggiare le innovazioni violente e il suo desiderio di
collaborare con l'imperatore finché gli fosse possibile.
Nel momento più critico, i protestanti combattenti della Germania chiesero e
ottennero l'aiuto di Cristiano di Danimarca. Non certo ansia e sollecitudine
per la religione protestante spinsero questo monarca luterano a intervenire
nella contesa germanica, ma piuttosto l'avidità suscitata in lui dal
possibile bottino cattolico. Aspirando tra l'altro ad acquistare una bella
posizione per i suoi figli, sperava di ottenerla con le rendite di certi
vescovati della Germania settentrionale; e, poiché l'avidità per le
proprietà ecclesiastiche non era affatto particolare ai danesi, ma
ampiamente condivisa dai prìncipi protestanti della Sassonia inferiore, non
fu difficile, con qualche incoraggiamento da parte della corte
d'Inghilterra, combinare un'alleanza, mettere insieme un esercito e decidere
una campagna.
Wallenstein
Mentre tutto questo si veniva preparando nel nord, un importante mutamento
si verificava nella direzione militare delle forze cattoliche. I primi
trionfi della Controriforma nella Boemia e nel Palatinato non furono
ottenuti dall'esercito imperiale di Ferdinando, ma dai contingenti tedeschi
di Massimiliano di Baviera. Che la protezione dell'imperatore dipendesse
così da un vicino che poteva anche trasformarsi in rivale, era una
situazione che Vienna considerava ormai intollerabile. Una politica
imperiale esigeva un esercito imperiale e un comandante imperiale. Ed ecco,
a soddisfare questa esigenza, l'enigmatica e potente figura di Alberto
Venceslao von Waldstein, principe di Friedland, noto comunemente sotto il
nome di Wallenstein. Questo principe era un nobile boemo, utraquista per
nascita ed educazione [con questo nome erano indicati gli hussisti della
Boemia, a cui era stato concesso l'uso del calice nel sacramento
dell'Eucarestia], che già aveva dimostrato le proprie qualità nella guerra
contro i turchi. Poco o nulla si curava di religione, quando non si voglia
definir tale l'astrologia; ma nutriva in compenso desideri e ambizioni
sufficienti a creare o rovinare un impero. La sua ricchezza era enorme,
poiché egli ricavava denaro dalla guerra, dalle speculazioni terriere, da
tutto ciò che toccava; e la sua ambizione non era inferiore al suo destino.
Il grande palazzo di Praga, con le sue statue e il suo portico italiano, le
lunghe sale ornate da pomposi candelabri, le tappezzerie, i quadri e le
curiosità, sopravvive come ricordo del buon gusto, dello splendore e della
fortuna di Wallenstein. Ecco l'uomo che si offriva ora, di radunare a
proprie spese un esercito per Ferdinando, con l'unica condizione che, mentre
l'artiglieria e le munizioni catturate in guerra sarebbero consegnate
all'imperatore, il bottino fosse invece riservato alle truppe.
Minaccia cattolica del nord
Nella campagna protestante del 1626 si posson distinguere due imprese
diverse, terminate entrambe con un disastro: un attacco, in collaborazione
col principe di Transilvania, contro gl'imperiali a est, e un'avanzata verso
sud, dalla Danimarca, contro l'esercito della Lega cattolica. Il progetto
orientale non ebbe altra conseguenza che la morte, in un lontano villaggio
bosniaco, di Mansfield, il miglior condottiero dei protestanti. Quanto ai
danesi, un colpo schiacciante vibrato loro a Lutter, nella Turingia (27
agosto), fu sufficiente ad affermare la superiorità di Tilly e Wallenstein,
ad aprire lo Schleswig-Holstein all'avanzata dei cattolici, e a togliere ai
danesi ogni efficacia nella contesa.
Di nuovo la causa protestante era caduta nell'abisso più profondo, e di
nuovo la stessa completezza del trionfo imperiale creò forze di reazione
destinate a limitarlo e frenarlo. Nell'esaltazione prodotta dalla vittoria,
gli elettori cattolici concepirono un'idea abbastanza naturale ma poco
saggia, perseguita con conseguenze perniciose agli interessi
dell'imperatore. Una massa considerevole di ricchezza ecclesiastica, che
comprendeva nella Germania settentrionale due arcivescovati e dodici
vescovati, era, sin dal 1552, passata dai cattolici ai protestanti. Parte di
questa imponente proprietà era stata spesa degnamente a sostenere la chiesa
luterana; il resto, assai meno degnamente, a soddisfare le esigenze e il
lusso dei prìncipi secolari. Tutto questo bottino doveva ora, in virtù di un
editto del 6 marzo 1629, ritornare ai suoi proprietari cattolici. È facile
immaginare come simile sconvolgimento turbasse gli amministratori
protestanti, costretti, sotto la tirannica pressione delle truppe di
Wallenstein, a cedere una proprietà che da molti anni ormai consideravano
propria. Gli stessi cattolici incominciarono a mormorare quando seppero che
i padri gesuiti si venivano insinuando anche nelle abbazie dove non erano
stati mai prima d'allora e che, dietro consiglio di Wallenstein, si divisava
di creare, con quattro ricche sedi della Germania settentrionale, un
principato per un principe ereditario. A quale scopo, si chiedevano i
tedeschi sia cattolici che protestanti, tendevano la posizione e gli
atteggiamenti di Wallenstein? Era ammiraglio del Baltico e duca del
Meclemburgo; il suo grande esercito, composto di soldati di ogni fede e di
ogni paese, saccheggiava allo stesso modo cattolici e protestanti. Pensava
forse di far del suo padrone il despota della Germania? Oppure sognava di
costruire un regno per sé? Il suo furioso zelo per la religione romana era
forse soltanto una unzione di cui si serviva per mascherare il suo intento
di abbattere la libertà della Germania a favore degli interessi austriaci?
Tali i dubbi di molti spiriti protestanti e cattolici della Germania.
Massimiliano di Baviera era un onesto papista, ma non aveva combattuto per
Ferdinando alla Montagna Bianca per permettere a un condottiero boemo di
calpestar con gli zoccoli ferrati dei suoi cavalli i prìncipi tedeschi. Alla
Dieta di Ratisbona (luglio 1630) insisté perché Wallenstein fosse congedato
e, con grande sorpresa dei tedeschi, fu accontentato.
Di questa incipiente rivolta contro l'impressionante dominio dell'Austria,
la Francia, sotto la guida del cardinale di Richelieu, approfittò abilmente
e prontamente. Disarmando la Baviera con un trattato segreto, accettò di
finanziare (Trattato di Bâlwalde, 23 gennaio 1631) un'invasione svedese
nella Germania, allo scopo di rialzare le fortune della causa protestante.
Gustavo Adolfo ristabilisce l'equilibrio
Da qualunque punto di vista si voglia considerarla, la figura di Gustavo
Adolfo di Svezia ci appare alta e luminosa. Brillante linguista - parlava
infatti otto lingue -, grande soldato e istruttore di soldati, statista di
ambizioni ampie ma non inattuabili, sincero, appassionato e semplice
credente nella fede ereditata dai suoi padri, Gustavo fu superiore agli
altri statisti della sua epoca per energia, semplicità e integrità di
carattere. Generalmente parlando, i due grandi motivi che diressero la sua
vita furono la patria e la fede. Per la Svezia egli desiderava una
partecipazione sicura, non molestata e predominante, nel commercio del
Baltico e a tale scopo, e anche come scudo contro Russia e Polonia, una
lunga striscia della costa Baltica meridionale; per il protestantesimo
tedesco, la vittoria contro i cattolici e un territorio più ampio, al sicuro
da ogni attacco.
Passò guerreggiando la sua matura giovinezza. Combatté i danesi, i russi e
più tardi Sigismondo Vasa, il cattolico re di Polonia, appartenente alla sua
stessa famiglia, che aspirava a governare la Svezia imponendovi la fede
romana. In queste difficili guerre sotto gl'inclementi cieli polacchi,
Gustavo si foggiò lo strumento che lo rese famoso negli annali della storia
militare.
L'esercito svedese, di cui facevan parte molti gagliardi scozzesi, aveva
cinque caratteristiche importanti: i soldati portavano un'uniforme; i
reggimenti erano piccoli ed equipaggiati in modo da potersi spostare
rapidamente; una leggera artiglieria mobile da campo, facile da maneggiare e
brillantemente manovrata, rafforzava la fanteria; i moschetti erano di tipo
superiori a quelli generalmente in uso; la cavalleria, invece di galoppare
incontro al nemico, scaricando le pistole secondo l'uso olandese per poi
tornare indietro a ricaricarle, muoveva all'assalto ad arma bianca. A questi
vantaggi, la virtù del comandante dava un'efficacia incalcolabile. Regolando
ogni particolare, condividendo ogni difficoltà, accettando qualunque
rischio, valendosi di ogni opportunità, Gustavo animava i suoi rapidi e
focosi seguaci a sopportare, obbedire e, se necessario, morire.
Prima dell'importante trattato con la Francia, Gustavo era già a sud del
Baltico e ben stabilito nella Prussia orientale e nella Polonia occidentale.
Se mai aveva nutrito dubbi circa l'opportunità di una campagna in Germania
per la limitazione del potere imperiale, tali dubbi furono dissipati da
manifesti segni d'ostilità da parte di Ferdinando. Sostenendo che l'impero
di Svezia apparteneva per diritto al membro cattolico della casa dei Vasa
governante in Polonia, l'imperatore rifiutò di riconoscere a Gustavo il
titolo di re. Non ci voleva molto a capire che dietro questo rifiuto si
celava un piano di restaurazione cattolica nella Svezia nella persona del re
polacco Sigismondo.
Quando Wallenstein si fu impadronito della Germania settentrionale,
procedendo in seguito ad assediare Stralsund, Gustavo giudicò ch'era giunto
il momento d'intraprendere un'aspra lotta per la Svezia e per la fede.
Ferdinando gli era nemico per tre diverse ragioni: come amico della Polonia,
come campione della chiesa romana e come diretto pretendente alla potenza
nel Baltico - e tutta la Germania sembrava ai piedi di Ferdinando. Ma,
nonostante le sue ampie e generose vedute e il suo sogno di creare una
federazione protestante nella Germania, «l'invincibile monarca, baluardo
della fede protestante, leone del nord, terrore dell'Austria, Gustavo
Adolfo» non riuscì meglio dei danesi a risolvere il tormentato problema di
dare ai tedeschi la pace religiosa.
Agli studiosi d'arte militare di tutta Europa, non ultimi quelli
d'Inghilterra e di Scozia, come la guerra civile doveva presto dimostrare,
il metodo di Gustavo servì come modello. La sua rapida campagna vittoriosa
nella Germania settentrionale, la sua schiacciante vittoria sull'esercito,
superiore per numero, di Tilly a Breitenfeld (17 settembre 1631), l'avanzata
delle armi protestanti su Praga a oriente, e su Magonza e Worms a occidente,
la sconfitta finale di Tilly sul Ledi, e l'ingresso di Gustavo a Monaco,
formano un complesso di imprese abbaglianti che per molto tempo suscitarono
l'ammirazione europea. In meno di due anni le fortune delle due dottrine
rivali eran state violentemente capovolte.
Ma nella vittoria svedese v'era più apparenza che sostanza. Un esercito
straniero malpagato che viva sfruttando il paese non può essere popolare. I
protestanti tedeschi eran restii a sostenere una potenza di cui sospettavano
con buone ragioni che tendesse soprattutto a conquistare territori tedeschi.
Contrariamente alle speranze di Richelieu, i cattolici, esasperati dal
sistematico saccheggio delle brigate giallo-azzurre, videro negli svedesi
non degli amici, ma dei nemici, cosicché, invece di muovere unite contro
Ferdinando, Svezia e Baviera si gettarono l'una contro l'altra. Da questo
conflitto Gustavo uscì vittorioso. Ma doveva ancor fare i conti con un
esercito imperiale, nuovamente raccolto e guidato da Wallenstein, abbastanza
forte per cacciare i sassoni dalla Boemia e che, dopo la sua unione con le
forze di Massimiliano, contava ben 60.000 uomini. A Norimberga, Gustavo,
misurandosi contro il grande boemo, subiva la sua prima sconfitta; e, benché
se ne rifacesse sul sanguinoso campo di Lützen (16 novembre 1632), a poco
giovò il coraggio degli svedesi, poiché il loro re, senza che essi lo
sapessero, era caduto combattendo. «Io sono il re di Svezia», disse, a
quanto pare, ai corazzieri che gli chiedeva chi fosse, mentre giaceva al
suolo mortalmente ferito, «e consacro col mio sangue la causa della
religione e della, libertà tedesca».
Oxestierna e l'alleanza di Heilbronn
Con la morte di Gustavo, scomparve dalla contesa l'ultima parvenza
d'idealismo protestante. Ma la guerra continuò: ché la Svezia non era
disposta ad abbandonare una lotta da cui aveva ricavato il prezioso baluardo
della Pomerania, il saccheggio di molte facoltose città, e un posto
importante nei concilii europei. Se Gustavo era morto, rimaneva, come
reggente del regno svedese durante la minore età della sua figlioletta, il
perspicace statista che, compagno delle sue preoccupazioni e dei suoi sogni,
portava da tempo il peso del governo civile e aveva raccolto nelle proprie
mani le redini della diplomazia estera. Oxenstierna era ben deciso a
conservare alla Svezia il predominio sulla Germania protestante. I
marescialli di Gustavo, che consideravano la guerra come sale
dell'esistenza, non attendevano che il suo cenno; e col loro aiuto,
rafforzato dagli sforzi dei franconi, degli svevi, e delle due regioni
renane (Alleanza di Heilbronn, 23 aprile 1633), il cancelliere svedese
sperava ancora di poter assicurare una pace vittoriosa alla causa svedese e
protestante.
Assassinio di Wallenstein e pace di Praga
Con assai minor coerenza di propositi, anche Wallenstein meditava un piano
per risolvere la questione tedesca.
Nella cricca gesuitica di Vienna, la condotta del grande generale boemo dopo
la battaglia di Lützen suscitava i più gravi sospetti. Wallenstein, inerte
in guerra, era invece attivo nelle arti diplomatiche. Anziché sfruttare le
conseguenze di Lützen come sarebbe stato logico, se ne stava ozioso in
Boemia a negoziare coi sassoni. Né la presa di Ratisbona da parte degli
svedesi, né l'impressione che questa suscitò a Vienna, lo spinsero a
un'azione efficace. Malandato in salute e roso da ambizioni traditrici, egli
aspirava ormai a una pacificazione generale della Germania, da attuarsi col
suo prestigio personale. Ma la pace di Wallenstein non poteva essere una
pace gesuitica: sarebbe stata troppo boema, troppo tollerante per soddisfare
i padri: e forse, benché non fosse certo, egli avrebbe imposto, tra le
condizioni, una corona boema per sé. Tali fantasie però non eran destinate
ad avverarsi. Si decise a Vienna che quell'uomo era troppo pericoloso per
continuare a vivere, e sul campo di Eger i dragoni irlandesi si prestarono a
sopprimerlo (1634).
Le prime vere offerte di pace vennero da quella parte della Germania che,
sin dall'inizio della guerra, aveva dimostrato minor gusto per la lotta. Lo
spirito guerresco luterano era una tenera pianticella, prosperosa soltanto
al sole delle vittorie svedesi. Cosicché quando Bernardo di Sassonia-Weimar
e Horn, i due generali a cui era passato il comando di Gustavo Adolfo,
furono sconfitti definitivamente sul campo di Nördlingen, e la Germania
sud-occidentale passò di colpo dal dominio svedese all'imperiale, l'elettore
di Sassonia si schierò immediatamente coi luterani dalla parte
dell'imperatore. La pace di Praga (1635) non fu certo cavalleresca, ché i
luterani non soltanto abbandonarono gli alleati svedesi, ma s'impegnarono ad
aiutare l'Austria a cacciarli dalla Germania; comunque, la pace è sempre
migliore della guerra e la pace di Praga, accettata verso la fine del 1635
da quasi tutti i prìncipi importanti e le città libere del paese, fu, data
la situazione, la sistemazione migliore e più saggia. I firmatari
protestanti ottennero una garanzia per il loro culto e l'autorizzazione a
conservare ancora per un periodo di cinquant'anni le terre e le rendite
tolte alla chiesa romana.
Trionfo di Richelieu
Ma proprio quando pareva ormai imminente una pace generale, la guerra
entrava invece in una fase nuova e completamente secolare, perdendo
l'originario carattere religioso e trasformandosi nella lotta tra Borboni e
Absburgo per la supremazia in Europa. Ben poco rimaneva in verità
dell'antico spirito teologico in una lotta in cui la Francia cattolica e la
Svezia protestante erano alleate (Trattato di Compiègne, 28 aprile 1635) con
la repubblica olandese protestante contro la Germania luterana, l'Austria
cattolica e la cattolica Spagna; in cui la Savoia vendeva la propria
amicizia ora a un partito, ora al partito avverso, e in cui non si trattava
più di problemi di fede o di rituale, bensì di decidere se si dovesse
permettere alla Svezia di conservare la Pomerania o alla Francia di tenersi
l'Alsazia. Ben poco spirito religioso dunque, ma un insopportabile infuriare
di marce e contromarce, assedi e saccheggi, incendi, assassinii, e di tutti
gli orrori che truppe mercenarie barbare e affamate possono infliggere a una
popolazione inerme. Primo responsabile di questo lungo periodo di angoscia e
di caos, fu, come si è visto, un cardinale della chiesa romana. Per ben
diciotto anni (1624-42), il genio politico di Richelieu, primo ministro di
Luigi XIII, dominò la scena europea. Mancavano a questo imperioso prelato
molte qualità essenziali a uno statista. Completamente ignorante di economia
e finanza pubblica, non fece il minimo sforzo, nonostante il suo lungo
periodo di potere assoluto, per por rimedio alle confusioni, irregolarità e
oppressioni del sistema fiscale francese, destinato a far crollare la
monarchia. Né si preoccupò mai minimamente del lato umanitario della
politica. Una causa, e una sola dominò, dal principio alla fine, il suo
intelletto lucido, spietato e logico: lavorò unicamente e puramente per la
grandezza della Francia, nel senso in cui questo compito fu inteso da una
lunga serie di statisti francesi, da Mazarino e Luigi XIV, da Danton e
Napòleone, da Delcassé e Clemenceau, da Poincaré o dal suo allievo Tardieu.
Sin dall'inizio egli pose a se stesso tre fini: distruggere la potenza
politica degli ugonotti, riumiliare la nobiltà, e rendere il nome del re
temuto e rispettato in tutta Europa. Raggiunse perfettamente il primo scopo,
in parte il secondo; al terzo, cui era corollario la distruzione della
Germania e la caduta della Spagna, contribuì notevolmente.
Quanto poco fosse attaccato ai pregiudizi religiosi lo dimostra il fatto
che, nella sua grande impresa contro gli ugonotti, il cardinale non si fece
scrupolo d'invocare l'aiuto protestante. Per ricevere aiuti finanziari
dall'erario francese, gli olandesi furon costretti a collaborare alla presa
di La Rochelle, famosa capitale del calvinismo francese. Per quanto tale
impresa potesse apparire odiosa nella città di Amsterdam, da un punto di
vista più ampio giovava indubbiamente agl'interessi protestanti che fosse
tolta agli ugonotti la possibilità di molestare il governo francese. Una
minoranza armata, padrona di un centinaio di città fortificate, era come un
blocco di granito, ostacolo allo svolgimento nazionale. Finché gli ugonotti
formavano uno stato dentro lo stato, Richelieu non poteva organizzare e
dirigere i prìncipi protestanti del continente contro la casa d'Absburgo:
soltanto quando si fu liberata di questo ostacolo interno (1629), la Francia
poté assumere quella parte dominante nella direzione della guerra dei
trent'anni, che riaffermò e perpetuò lo scisma religioso in Europa. I nobili
non lo intimidivano: fece giustiziare, come colpevole di congiura,
Montmorency, primo nobiluomo di Francia. Per controbilanciare la potenza
dell'aristocrazia, creò gradatamente il nucleo di un'amministrazione civile
accentrata (gl'intendenti), come pure un esercito e una flotta al servizio
permanente della corona.
Dal punto di vista diplomatico, quando si distolga lo sguardo dalle
sofferenze umane, non si può fare a meno di ammirare l'abilità con cui un
prelato cristiano prolungò una guerra barbara e inutile, la tempestiva
liberalità con cui il languente entusiasmo degli indispensabili svedesi fu
ravvivato da elargizioni di uomini e di denaro, la finezza con cui il
miraggio di una pace imminente fu fatta balenare ai loro occhi e la
destrezza con cui i rivali più temibili, danesi e polacchi, furon placati e
convinti a rinchiudersi in una tranquilla neutralità. Se anche alcuni suoi
piani fallirono, come ad esempio quella confederazione renana sotto la
protezione francese che, più e più volte, sotto Mazarino, sotto Napoleone,
sotto Poincaré, fu poi creata o tentata non possiamo tuttavia fare a meno di
apprezzare un disegno che includeva la conquista del Rossiglione,
l'invasione della Catalogna, l'unione di Mantova, Parma e la Savoia contro
la potenza spagnola in Italia, un legame matrimoniale con l'Inghilterra e la
conquista dell'Alsazia Lorena alla monarchia francese. Si osservò che, come
ministro della guerra, Richelieu aveva molti difetti, che non sapeva creare
un esercito né combinare una campagna, ch'era troppo geloso della propria
superiorità per chiamare al comando uomini eminenti, e che soltanto nel
1643, quando già egli era sceso nella tomba, la vittoria di Condé a Rocroy
dimostrò che la Francia era di nuovo una grande potenza militare. Tanto più
dovremo dunque ammirare la diplomazia del cardinale. Benché poco avessero
fatto gli eserciti francesi, dopo i sette anni della campagna di Richelieu,
la Francia era padrona dell'Alsazia, della Lorena, del Rossiglione, e aveva
posto in freno all'avanzata della Controriforma in Germania.
Rovesci della Spagna
In quest'ultimo periodo della guerra (1621-65), la Spagna, governata da
Filippo IV e da Olivarez - un re fiacco e un ministro testardo - subì
quattro rovinosi disastri: la distruzione della flotta, la rivolta della
Catalogna, la perdita del Portogallo e un'insurrezione a Napoli. Sorgente
comune di tutti questi disastri fu l'ambizione della Spagna, paese povero,
esausto, mal amministrato, diviso dalla geografia e dalla storia in
compartimenti distinti e opposti, di rappresentare una parte dominante sulla
scena della politica europea. Uno statista, non affascinato dallo splendore
della guerra con l'estero, avrebbe capito che uno stato, caduto in basso
come la Spagna all'accessione di Filippo IV, chiedeva imperiosamente un
lungo periodo di pace, di economia e di riforme civili. Con le finanze in
disordine, la flotta oceanica ridotta a un'ombra, perdute le Indie, le
colonie americane attaccate ormai a un filo, il Portogallo e Napoli frementi
di malcontento, la moneta deprezzata e i Paesi Bassi praticamente perduti
per sempre, la Spagna non era più in grado di dirigere le forze cattoliche
dell'Europa contro il nemico protestante. Olivarez era abile, vigoroso,
irrequieto; ma era un cortigiano, completamente digiuno di scienza politica.
Il suo ozioso padrone fu lusingato dall'idea di una grande guerra estera
che, diretta da un abile ministro, restituisse alla corona l'antico
splendore. Ma questa politica naufragò urtando contro lo scoglio della
finanza. Per condurre una guerra vittoriosa, occorreva a Olivarez assai più
denaro di quel che il popolo di Spagna, attraverso le cinque Cortes
spagnole, fosse disposto a concedere. Incontrò perciò resistenza
dappertutto, specialmente nella Catalogna, la provincia più ricca, ma anche
più indipendente, dell'impero spagnolo. Nel momento più inopportuno,
Olivarez decise di debellare la resistenza dei catalani, abolire i loro
privilegi e imporre loro un esercito mercenario. Ma Barcellona non era La
Rochelle: era, subito dopo Siviglia, il più ricco porto della Spagna, la
capitale di una popolazione che aveva lingua e costumi propri antichissimi,
cui era più facile fraternizzare con un provenzale che con un castigliano, e
per nulla disposta a lasciarsi considerare come una provincia della
Castiglia. Nel 1640 i catalani insorsero, e l'anno seguente elessero Luigi
XIII conte di Barcellona, ponendosi formalmente sotto la protezione dei
francesi.
La rivolta catalana ebbe un'immediata e grave ripercussione sulla situazione
nel Portogallo. Sessant'anni di unione, anziché migliorare, non avevan fatto
che inasprire i rapporti tra Portogallo e Spagna. I portoghesi fremevano
sotto il governo degl'incomprensivi vicerè spagnoli e si lagnavano che
Cadice avesse tolto a Lisbona la supremazia commerciale.
Ma un rancore ancor più profondo e legittimo aveva reso il legame
assolutamente detestabile. La Spagna aveva fatto perdere al Portogallo il
suo impero nell'oriente, coinvolgendolo in tutte le inimicizie che le grandi
ambizioni cattoliche della monarchia spagnola si erano attirate. Assai
scarsa era la simpatia del Portogallo per queste ambizioni; avrebbe anzi
preferito mille volte liberarsi da un legame che portava a rovina le sue
migliori attività. La politica accentratrice di Olivarez, applicata
dall'odioso Vasconcellos, rese intollerabili questi già profondi scontenti.
Vedendosi trattati come una provincia della Castiglia e minacciati di tasse
castigliane e infiammati dall'esempio dei catalani, i portoghesi insorsero,
chiamando al trono un nobile della casa di Braganza.
Fu cosa di tre ore. L'unione fu spezzata, e la scissione, resa più profonda
da ventotto anni di futile guerreggiare (1640-68), non è stata ancora
sanata.
Olivarez e Richelieu avevano entrambi ragione a credere che un maggior
accentramento fosse necessario all'efficace svolgimento dei rispettivi
governi. Ma se Olivarez fallì mentre Richelieu ebbe successo, ciò si deve al
fatto che in Francia le condizioni erano favorevoli e in Spagna contrarie
all'accentramento. In Francia tutte le strade conducevano a Parigi. In
Spagna, nessuna via conduceva invece a Madrid. Montagne e uomini son
nell'Iberia ugualmente ostinati. Olivarez non tenne conto delle montagne e
tentò d'imporsi agli uomini. Contro tale affronto alla sua quiete diletta e
romita, nessuna razza al mondo poteva reagire con maggior testarda
ostinazione della razza iberica. Lo spagnolo costruiva vasti sogni d'impero,
ma non voleva pagare per attuarli. Era assolutamente impossibile convincere
un catalano dell'inadeguatezza di una finanza medievale alle responsabilità
di un impero moderno.
La ripresa della guerra con gli olandesi, spirata, nel 1621, la tregua di
dodici anni, fu un'altra speculazione che finì male per la Spagna. Alla
morte di Maurizio di Nassau, gli olandesi trovarono nel suo minor fratello
Federico Enrico uno statista e un soldato capace di dirigere la difesa
nazionale. Sotto questo comandante mirabile, e con l'aiuto di Richelieu e di
un gagliardo corpo di avventurieri inglesi, la repubblica olandese oppose
una vittoriosa resistenza agli eserciti di terra della Spagna.
Gli assedi di Hertogenbosch, di Maestricht e di Breda dimostrarono che
nell'arte poliorcetica gli olandesi non avevano perduto la virtù antica.
Sapevano conquistare città e difenderle. In una guerra di posizione, ben
diversa da una guerra di movimento, non esistevano truppe più competenti; ma
le rapide marce, le travolgenti vittorie e le operazioni su grande scala di
Gustavo Adolfo erano estranee al genio di questa razza lenta e metodica. Gli
olandesi non seppero far altro che conservare le proprie posizioni: anche
con l'aiuto francese, il compito di schiacciare la difesa austro-spagnola
nelle provincie meridionali era assolutamente superiore alle loro forze.
Il vero genio del popolo olandese non si rivelò in questa guerra di terra
ferma, ma sulle acque. Con intrepido coraggio essi penetrarono nelle più
remote e desolate parti del globo, esplorando le Amazzoni, portando da
Formosa il tè nell'Europa, fondando in Batavia il centro di un impero
orientale, e ritagliando uno stato olandese nella grande massa del Brasile
portoghese. Tra le cause che provocarono la caduta del regno unito di Spagna
e Portogallo, gli attacchi degli olandesi alle colonie portoghesi nel
Brasile e nell'isola di Ceylon debbono essere considerati come fattori
fondamentali.
Contro questo continuo svolgersi di attività coloniale, il regno iberico
unito fece, alla vigilia della dissoluzione, un ultimo gagliardo e disperato
sforzo. Una forte flotta al comando di Oquendo, uno dei migliori marinai
spagnoli, fu mandata nella Manica a lottare con gli olandesi nelle loro
acque native; un'altra armata, in parte spagnola e in parte portoghese,
attraversò l'Atlantico per riconquistare il Brasile. Ambedue queste flotte
furono distrutte dall'abilità superiore degli avversari olandesi. La
battaglia delle Dune (1639), in cui Van Tromp sconfisse Oquendo, è famosa
negli annali navali dell'Europa; ma i quattro giorni di battaglia di
Itamarca, al largo della costa di Pernambuco (1640) furono ugualmente
decisivi. Queste due vittorie olandesi, una nelle acque europee, la seconda
nel sud-America, segnarono la condanna dell'impero iberico.
La pace di Westfalia
Causa determinante della pace di Westfalia (1648) che conchiuse questa lunga
guerra, non fu la volontà degli eserciti rivali di Germania a imporre una
decisione militare, ché tale volontà non esisteva - essendo la guerra
un'occupazione assai vantaggiosa, - ma piuttosto il buon senso e l'umanità
della regina Cristina di Svezia, la stanchezza della Spagna, e l'impazienza
di un congresso, costretto da tre anni in due noiose cittadine della
Westfalia (Münster e Osnabrück) e ansioso di concludere un tedioso e
complicato lavoro. Ma soldati svedesi, francesi e imperiali esercitarono
sino alla fine il loro mestiere con lo stesso gusto. La lotta e il
saccheggio eran per loro come l'aria che si respira; e se i diplomatici non
fossero giunti a un accordo, scossi finalmente dal loro torpore dalla pace
separata tra Spagna e Paesi Bassi nel gennaio del 1648, Wrangel e
Konigsmark, Condé e Turenne, Colloredo e Piccolomini avrebbero continuato a
combattere finché non fosse giunta l'ora di cedere le armi a una nuova
generazione di formidabili capitani.
La pace di Westfalia, corrispondente all'equilibrio delle forze politiche e
religiose dell'epoca, determinò per molte generazioni la politica pubblica
dell'Europa. Ciascuno dei protagonisti ottenne una soddisfazione mondana;
l'imperatore la corona boema, riconosciuta ereditaria alla sua famiglia, la
Francia il langraviato dell'Alsazia, la Svezia la Pomerania occidentale e i
vescovati di Bremen e Verden, e la Baviera il Palatinato superiore. Per
l'avvenire dell'Europa il più importante di questi accordi fu l'acquisto da
parte della Francia della sovranità sull'Alsazia superiore e inferiore, a
compenso del suo intervento nella guerra del langraviato. Come vide allora
uno dei suoi diplomatici e come Mazarino comprese più tardi, sarebbe stata
una soluzione assai migliore per la Francia e meno provocatrice per la
Germania se l'Alsazia fosse stata riconosciuta come feudo imperiale che
portasse con sé uno scanno nella Dieta tedesca. Ma l'errore, ormai compiuto,
era irrimediabile. E la sfida lanciata in tal modo al popolo tedesco, fu
accolta più tardi, quando si fu sviluppato il sentimento nazionale.
Era impossibile che dalle passioni di questa guerra rovinosa nascesse la
tendenza alla tolleranza religiosa. Nessun partito era disposto alla
tolleranza; si trovò tuttavia un modus vivendi, riaffermando il principio
del cujus regio ejus religio, ch'era stato la base della pace di Augusta, ed
estendendolo alla fede calvinista. I vescovati del nord rimasero ai
protestanti. Il Palatinato inferiore, con l'aggiunta di un ottavo
elettorato, fu conferito a Carlo Luigi, figlio del Re di un inverno, che,
assumendo poco saggiamente la corona della Boemia, era stato l'origine di
tanti mali; ma la Boemia stessa e tutti i dominii ereditari della casa
d'Austria furono ceduti ai gesuiti e su questa ampia regione si attuò il
sogno di Ferdinando, che cioè a nessun eretico fosse permesso esercitare il
proprio culto o la propria predicazione.
Un vero abisso separa la Germania di Federico Barbarossa dalla debole
federazione di circa trecento e cinquanta stati (ciascuno dei quali
autorizzato a seguire una propria politica finché non si opponesse a quella
dell'imperatore) uscita dal congresso di Westfalia. Mentre il Barbarossa
esercitava sulla Germania un'autorità reale, anche se irregolare, ora la
potenza dell'imperatore, benché riconfermata nell'Austria, nella Boemia e
nell'Ungheria, non era che un'ombra fra i tedeschi. Svizzera e Paesi Bassi
appartenevano un tempo all'imperatore: ora l'indipendenza della repubblica
svizzera era formalmente riconosciuta e i Paesi Bassi, benché nominalmente
facessero ancor parte del distretto della Borgogna, si erano praticamente
scissi in una provincia spagnola e in una repubblica olandese. E se
anticamente la Germania era una potenza dominante nel mondo, ora era poco
più che zero, e a un'unica fede religiosa se n'erano sostituite tre. Le
divisioni della Germania e la prostrazione della Spagna diedero
all'ambizione militare francese possibilità di cui Luigi XIV e Napoleone
seppero pienamente giovarsi.
ELISABETTA D'AUSTRIA:
Elisabetta d'Austria (detta anche "Sissi") nacque nel 1837 in una famiglia
dell'aristocrazia bavarese. Nel 1854, all'età di 15 anni, sposò uno degli
uomini più potenti e ricchi dell'epoca, Francesco Giuseppe, imperatore
dell'Austria. Fu uccisa nel 1898, all'età di 60 anni, a Ginevra da un
anarchico italiano.
Già durante la sua vita si crearono intorno alla sua figura miti e cliché
che, rafforzati dai quadri "ufficiali", dalla stampa rosa di allora e di
oggi e infine dal cinema, hanno trasformato Elisabetta in una "regina del
cuore", che ancora oggi costituisce l'immagine collettiva di Elisabetta.
In queste tre pagine vi presento alcune fotografie che rappresentano gli
unici documenti autentici sull'aspetto di Sissi e che spero possano
contribuire a correggere l'immagine falsa creata dall'iconografia ufficiale
e da tutti quelli che traevano e continuano a trarne un profitto.
La giovane Elisabetta (nei quadri ufficiali):
Dolce, sorridente e in armonia col marito: così Elisabetta doveva essere per
la corte imperiale di Vienna, così il popolo austriaco doveva conoscere la
sua imperatrice, così fu dipinta innumerevoli volte. Ma a Elisabetta non
piaceva mettersi in posa per i quadri. La maggior parte dei pittori era così
costretta a dipingerla a memoria o si faceva ispirare da fotografie,
rendendole poi più adatte per il gusto della corte.
La giovane Elisabetta (in fotografia):
Due foto da una serie di fotografie "ufficiali" di Elisabetta, poco dopo il
suo matrimonio. Nonostante gli sforzi del fotografo di farla sorridere,
Elisabetta non ci riusciva proprio. Il suo viso esprime piuttosto
chiaramente la tensione, lo stress e l'angoscia che Elisabetta accumulò nei
primi mesi di matrimonio. L'ambiente ostile della corte viennese, la quasi
totale assenza di vita privata, l'invadenza della suocera, la sua solitudine
e l'indifferente "neutralità" di Francesco Giuseppe, suo marito, nei
confronti delle sue sofferenze non si potevano nascondere. Il sogno d'amore
si era trasformato, in pochissime settimane, in un incubo.
FEDERICO SECONDO:
Re della Germania, re della Sicilia, re di Gerusalemme, imperatore del
Sacro Romano Impero - di titoli e onori Federico II ne ha avuto tanti! Ma
aveva anche molti potenti nemici, primi fra tutti i papi che lo hanno
scomunicato ben tre volte. Era di origini tedesche, ma ha sempre preferito
la Sicilia che sotto il suo regno divenne uno dei paesi più acculturati e
sviluppati dell'Europa.
a sinistra: Federico II, in una rappresentazione dell'epoca
Nato nel 1194, Federico divenne re della Sicilia alla tenera età di 3 anni,
sotto la tutela del papa Innocenzo III, e re della Germania all'età di 16
anni. All'età di 24 aveva già raggiunto l'apice: fu eletto imperatore del
Sacro Romano Impero. Sotto il suo regno la Sicilia ebbe una fioritura
culturale mai visto prima, Federico riorganizzò l'amministrazione e favorì
il commercio e le attività manifatturiere. Prova della fioritura economica
del suo regno in Sicilia fu la coniazione della prima moneta d'oro
dell'Occidente dai tempi carolingi. Fondò l'università di Napoli e stimolò
arte e letteratura. Parlava varie lingue, tra l'altro anche l'arabo e aveva
vasi interessi intellettuali, coltivò studi di filosofia, astrologia,
geografia e delle scienze. Fu persino un buon poeta che fece diventare la
sua corte di Palermo un centro letterario al livello europeo, un punto di
incontro della cultura araba, bizantina, ebraica e latina. Tollerante e
rispettoso nei confronti dell'Islam riunì alla sua corte i saggi provenienti
da tutte le parti del mediterraneo.
a destra: il Castel del Monte, Castello pugliese di Federico II
Ma Federico ebbe anche dei violenti scontri con altri poteri, in particolare
con i papi che avevano paura del crescente potere di un imperatore così
indipendente che non volle sottomettersi al volere del papa. Nel 1224 il
papa Gregorio IX lo scomunicò con il pretesto della mancata indizione di una
crociata che Federico aveva promesso. Quando Federico poi partì per la
Terrasanta, concludendo vittoriosamente la crociata con dei trattati col
sultano d'Egitto, recuperando ai cristiani Gerusalemme, Betlemme e Nazareth
fu nuovamente osteggiato dal Papa. Con i sultani non si possono fare dei
trattati! Seguirono degli scontri militari molto violenti con il Papa e con
la lega dei Comuni nel nord dell'Italia. Nuovamente scomunicato dal Papa nel
1239 e nel 1245 persino dichiarato deposto dal concilio di Lione, Federico
II, tra vittorie, tregue e sconfitte riuscì comunque a uscire fuori con la
testa alta da tutti gli scontri dimostrandosi in tutto la sua vita, fino
alla sua morte per una improvvisa malattia nel 1250, uno dei più grandi
sovrani per vivacità intellettuale, larghezza di orizzonti culturali e
religiosi e una indiscussa capacità di governo.
Molti dei suoi avversari videro in lui incarnazione dell'Anticristo, per il
suo atteggiamento indipendente e poco rispettoso nei confronti della Chiesa,
mentre i suoi sostenitori lo considerarono persino come un "secondo Cristo".
Era indubbiamente un imperatore molto insolito per il suo tempo, qualcuno lo
considera persino il primo imperatore "rinascimentale". Pur essendo anche re
della Germania e di origine tedesca si interessava ben poco delle sue radici
al nord, culturalmente gli sembrò molto più stimolante e avanzata la Sicilia
e il mondo del mediterraneo con il diretto contatto tra mondo occidentale e
mondo arabo.
LA STORIA DELLA LINGUA TEDESCA:
Il tedesco che si parla oggi non è quello che si parlava 500 o 1000 anni
fa. È il risultato di molteplici mutamenti e influenze subite da altre
lingue. Ripercorrere questo sviluppo è molto utile per capire meglio il
tedesco di oggi.
Il tedesco appartiene alle lingue germaniche, che è una sottofamiglia delle
lingue indoeuropee. Le lingue germaniche sono soprattutto quelle scandinave,
l'inglese, il nederlandese e il tedesco. Il tedesco di oggi si è formato in
un lungo processo dal medioevo fino ai nostri giorni.
E lo sviluppo della lingua non è certamente finito qui: ogni lingua, anche
il tedesco, è in continuo movimento. Il tedesco fra due-trecento anni non
sarà più quello di oggi, cambia il vocabolario, ma cambiano anche delle
strutture grammaticali!
LA STORIA DEL MARCO TEDESCO:
Nella storia dell'ultimo secolo il Deutsche Mark ha giocato un ruolo da
vero protagonista: Bismarck unifica la Germania all'insegna del marco; lo
strumento vagheggiato da Hitler per realizzare il sogno di un Reich
millenario è la moneta tedesca; dalle macerie del dopoguerra sorge il
Deutsche Mark, poderoso strumento di sviluppo economico e di stabilità
politica, e sarà proprio il Deutsche Mark a sancire, prima di ogni altra
cosa, la riunificazione delle due Germanie. Quel che avverrà domani in
Europa si può intuire guardando a quanto è accaduto nell'ultimo secolo in
Germania, l'unico paese che ha conosciuto drastiche riforme valutarie e dove
la moneta è stata l'artefice di unità e di divisioni.
IL MITO DEL MAGGIOLINO:
La storia del Maggiolino cominciò con la testardaggine di Ferdinand Porsche
(1875-1951, foto a sinistra). Sì, è proprio quel Signor Porsche che nel
1950, all'età di 75 anni, a Stoccarda avrebbe fondata la fabbrica di
macchine sportive che ancora oggi fa sognare gli automobilisti di tutto il
mondo. Già da bambino Porsche era un entusiasta della tecnica e in
particolare delle prime macchine che all'epoca cominciarono a circolare per
le strade. Durante la Prima Guerra Mondiale disegnò carri armati alimentati
dall'energia elettrica e negli anni '20 lavorò per la più grande industria
automobilistica tedesca Daimler (che più tardi sarebbe diventata la
Mercedes), disegnando macchine da corsa. In quell'epoca, solo i ricchi
potevano comprarsi una macchina, il sogno di Porsche era invece costruire
una macchina economica che tutti potevano permettersi. Nel 1929 portò questa
idea al suo capo Daimler che però non voleva avventurarsi in un'impresa del
genere e rifiutò. Così Porsche, nel 1931, si mise in proprio e cominciò a
collaborare con Zündapp che era un produttore di motociclette. Insieme
costruirono tre prototipi. Ma nascevano problemi tecnici (dopo 10 minuti di
funzionamento il motore puntualmente si fuse) e Zündapp si ritirò. Il
partner successivo di Porsche fu, nel 1932, la NSU, un'altra ditta
costruttrice di motociclette. Insieme migliorarono il motore e lo resero
molto più affidabile, ma i tempi erano duri e dopo gravi problemi
finanziari, Porsche era di nuovo da solo alla ricerca di un nuovo partner
che potesse finanziare la realizzazione del suo sogno.
Il progetto di Adolf Hitler
a sinistra: Porsche (a sinistra) mostra a Hitler (al centro) un modello del
Maggiolino e gli spiega le sue caratteristiche.
Nel 1925, Adolf Hitler era in prigione. Nel caos economico e politico
dell'anno 1923, quando era ancora un uomo politico quasi sconosciuto, Hitler
aveva, insieme ad altri, tentato un colpo di stato. Ma quest'impresa fallì
il che comportò per lui un anno in prigione. In quell'anno Hitler lesse una
biografia di Henry Ford che, con il "Modello T", aveva creato per la prima
volta una macchina accessibile per un pubblico più largo, e cominciò a
sognare una "macchina per il popolo" (in tedesco: "Volkswagen") che poteva
anche essere un ottimo argomento a suo favore nelle future campagne
elettorali.
Hitler fu eletto Primo Ministro nel 1933 e uno dei primi discorsi da capo
del governo lo tenne a Berlino, in occasione di un'esposizione di
automobili. Porsche era presente e quando capì che Hitler aveva progetti
simili ai suoi fece di tutto per incontrarlo.
Hitler era entusiasta quando, nel 1934, conobbe Porsche e gli espose subito
un programma piuttosto impegnativo. La sua "macchina per il popolo" doveva
soddisfare le seguenti condizioni:
doveva correre 100 km/h in autostrada
doveva fare 7 km con un litro di benzina
doveva avere un motore raffreddato ad aria, robusto e affidabile
doveva essere capace di trasportare 2 adulti e 3 bambini
doveva essere capace di trasportare 3 soldati e un mitra (!!)
doveva costare meno di 1000 Reichsmark (un operiao specializzato con un buon
salario guadagnava all'epoca ca. 200 Reichsmark al mese, un operaio semplice
ca. 130, con poche possibilità di risparmiare qualcosa)
un prototipo di questa macchina doveva essere pronto in dieci mesi
Le ultime due condizioni sembravano quasi impossibili da realizzare
soprattutto perché la macchina più economica dell'epoca, la Opel P4, costava
il 50 % in più, circa 1.500 Reichsmark. Porsche accettò lo stesso perché
capiva che era l'unica chance che aveva. Porsche doveva disegnare la
macchina e la RDA, l'associazione tedesca dei costruttori di macchine,
doveva costruirla. Nel 1936 i primi tre prototipi furono provati in un test
massacrante di più di 50.000 km. Nel '37 seguirono altri 30 prototipi che
fecero insieme ca. 2,4 milioni di chilometri e nel 1938 il Maggiolino era
praticamente pronto e aveva già la sua forma caratteristica che nei prossimi
50 anni sarebbe cambiata solo in alcuni dettagli. Nello stesso anno fu posta
la prima pietra della fabbrica per la costruzione di serie che doveva
iniziare nel settembre del '39 (nella foto: due dei primi prototipi del
Maggiolino, a destra un decappottabile). Ma nello stesso mese, Hitler iniziò
la guerra e quindi solo pochissime macchine furono costruite. Il governo
aveva deciso che la macchina doveva costare 990 Reichsmark ed era stato
ideato un sistema che doveva permettere a chiunque di comprarsi la macchina
risparmiando 5 marchi alla settimana per un periodo di ca. 4 anni. Circa
337.000 persone aderirono a questa campagna di risparmio, che continuò anche
durante la guerra, e la somma risparmiata complessivamente crebbe fino a ca.
280 milioni di marchi.
La guerra cambia tutto
In guerra Hitler aveva un gran bisogno di macchine e perciò la fabbrica che
doveva costruire le macchine per il popolo fu destinata alla costruzione di
macchine per l'esercito. La carrozzeria originale di Porsche era pero troppo
"rotonda", il progetto originale troppo "sofisticato". I generali avevano
bisogno di macchine economiche facili da costruire e da riparare. Così il
"Volkswagen" (macchina del popolo) diventò il "Kübelwagen" ("Kübel"
significa "mastello"). Esisteva anche una versione anfibia ("Schwimmwagen")
e un'altra ("Kommandeurwagen", che era molto più comoda) per i comandanti e
i generali. Del Kübelwagen furono costruiti 50.000 esemplari, del
Schwimmwagen 15.000 e del Kommandeurwagen ca. 600. Nella fabbrica si
costruivano inoltre le stufe da campo per i soldati in Russia e alcuni tipi
di bombe aeree. I soldi messi via da molti piccoli risparmiatori che
volevano comprarsi la Volkswagen giacevano nel frattempo in banca e
aspettavano tempi migliori. Alla fine della guerra i soldati russi trovarono
questi soldi in una banca a Berlino, ma i risparmiatori dovettero aspettare
il 1961 quando la Volkswagen decise di concedere ai risparmiatori uno sconto
di 600 marchi sull'acquisto di una nuova Volkswagen.
Dopo la guerra arriva il grande successo
Per fortuna Hitler perse la guerra e la Germania fu divisa in quattro zone,
ognuna amministrata da uno dei paesi vincitrici, cioè dalla Francia, USA,
Inghilterra e Unione Sovietica. La fabbrica di Volkswagen a Wolfsburg si
trovava nella zona inglese che probabilmente la salvò perché i russi e i
francesi smontarono quasi tutte le grandi fabbriche nelle loro zone per
portare i macchinari nelle loro patrie e gli americani ritenevano la
Volkswagen superata. Gli inglesi, invece, rimisero in moto la produzione e,
dopo aver restituito la fabbrica all'amministrazione tedesca nel 1948,
nominarono Heinrich Nordhoff, che prima della guerra aveva lavorato per la
Opel, responsabile della nuova azienda. Per la sua stretta collaborazione
con Hitler, Porsche era politicamente troppo compromesso, quindi non aveva
nessuna chance di poter portare avanti il suo progetto con la Volkswagen. Ma
il suo ufficio di costruzioni che aveva aperto nel 1931, dopo il "divorzio"
con Daimler, esisteva ancora e così Ferdinand Porsche ricominciò da capo,
aprendo nel 1950, all'età di 75 anni, una nuova fabbrica a Stoccarda
cominciando con la costruzione della ... Porsche. E come si sa ha avuto un
certo successo.
A destra: un manifesto pubblicitario per il Maggiolino nei primi anni '60:
tutta la famiglia è felice perché è arrivata la macchina, il simbolo numero
uno del benessere dell'epoca.
Heinrich Nordhoff fu l'uomo che, negli anni '50 e '60 portò il Maggiolino
(che in Germania si chiama "Käfer"), e con esso la Volkswagen, al successo
in tutto il mondo. Creò per il Maggiolino una rete di vendita e di
assistenza capillare e senza precedenti: sbarcò con la Volkswagen prima in
Irlanda (1950), poi in Sudafrica (1951), in Brasile (1953) e in Australia
(1955). Nel 1955 fu aperta la VW of America e, contro ogni aspettativa, il
successo della piccola macchina tedesca continuò anche negli Stati Uniti
dove la gente si era ormai abituata a macchine ben più grosse (agli
"Straßenkreuzer", come si dice in tedesco, cioè gli "incrociatori delle
strade"). In Germania il Maggiolino diventava il simbolo e l'incoronamento
del nuovo benessere, del "miracolo economico" degli anni '50 e '60. Il
Maggiolino ha motorizzato le famiglie tedesche, non quelle ricche (che si
compravano la Mercedes), ma soprattutto quelle della fascia medio-bassa.
Solo negli anni '70 la richiesta del Maggiolino, almeno in Europa e negli
Stati Uniti, cominciò a calare e nel 1978 l'ultima macchina di questo tipo
lasciò la catena di montaggio di Wolfsburg, e nel 1980 l'ultima
decappottabile del Maggiolino fu costruita dal costruttore Karmann.
Una buona idea non muore mai
Ma il "Käfer", il Maggiolino non era morto. Da una parte in Brasile e in
Messico le fabbriche della Volkswagen continuavano a produrre e a vendere
questo modello con successo. In Europa invece, il Maggiolino è diventato
quasi "una macchina di culto", i raduni delle vecchie Volkswagen si tengono
regolarmente e il numero di macchine di questo tipo ancora in circolazione
non sembra diminuire. Chi ce l'ha ancora se la tiene stretta, la cura e la
coccola. Soprattutto tra i giovani il Maggiolino sembra godere di una fama
intramontabile e di questo devono essersi accorti anche i dirigenti della
Volkswagen in Germania. Infatti, nel gennaio del 1998, è stato presentato il
nuovo Maggiolino, chiamato Beetle:
In 60 anni, del vecchio "Käfer" sono stati venduti più di dieci milioni di
macchine. Ora c'è invece il nuovo "Beetle". Tecnologicamente non ha niente a
che fare con il modello vecchio, ma basta uno sguardo per capire che la
tradizione - e il mito - continuano. Peccato che costi così tanto!
IL MITO DELLA BIRRA TEDESCA:
Tutto inizia cinquecento anni fa ...
Tutto comincia cinquecento anni fa, quando il Duca Guglielmo IV di Baviera
emana il cosiddetto Reinheitsgebot (editto della purezza), nel 1485 per la
città di Monaco, nel 1516 per tutta la Baviera, con l'intenzione di regolare
l'industria della birra contemporanea.
La spinta a dare una certa regolamentazione venne da una grande inquietudine
nella popolazione bavarese: i cattivi raccolti del grano avevano avuto anche
come conseguenza l'aumento del prezzo della birra, spesso incontrollato. La
birra era un alimento importante e il principe voleva garantire per tutti
una bevanda dal costo accessibile.
Un'altra causa della inquietudine nella popolazione era la grande paura non
soltanto per le malattie, ma anche di essere avvelenati da alimenti
adulterati. Ma, al di là dello scandalo delle frodi, c'era anche un problema
insito nella birra stessa: il risultato della fermentazione naturale del
malto di per sé non aveva un gusto molto gradevole, essendo abbastanza
insipido.
Da tanto tempo, quindi, si sperimentavano altri ingredienti oltre l'acqua e
l'orzo per dare alla birra un sapore migliore. A tal fine si erano
utilizzate sostanze di ogni genere, come ad esempio erbe, radici, funghi;
persino sostanze organiche come il sangue di bue ... Per quanto il luppolo
fosse già conosciuto da tanto tempo come conservante naturale e come
sostanza per aromatizzare la bevanda, c'erano tanti birrai che cercavano di
migliorarne il gusto con altre sostanze - spesso pericolose per la salute.
La preoccupazione del principe fu di proteggere la popolazione da quegli
abusi.
Un terzo motivo per l'emanazione dell'editto del 1485 ha un sapore moderno:
il Principe volle condizionare i produttori di birra a livello economico,
concedendo il privilegio come una prerogativa speciale. Sotto la prospettiva
moderna del "marketing", si può dire che la birra bavarese diventò così un
"marchio di qualità". Il primo risultato di questa politica economica dei
principi bavaresi fu che i produttori di birra guadagnarono un prestigio
sociale molto alto.
Ecco Gambinus, il mitico re germanico,
che si dice abbia inventato la birra, nel IX secolo.
In Germania la birra è anche un affare politico ...
Le conseguenze dell'editto furono degne di nota: il massimo del prezzo per
una "misura" ("Maß" - circa un litro, espressione usata ancora oggi in
Baviera per il tipico boccale di birra) fu fissato a 2 Pfennig d'argento -
quando ad esempio la carne di vitello costava per chilo circa 5 Pfennig, un
pollo 4 Pfennig o dieci uova 2 Pfennig. Per fare una proporzione con il
livello di vita, un falegname guadagnava in quel tempo circa 24 Pfennig al
giorno.
Il prezzo della birra è sempre stato un affare quasi "politico". Nel 1844 la
popolazione a Monaco fece una rivolta per l'aumento arbitrario del prezzo
della birra. Quando le masse popolari insorsero contro le fabbriche di
birra, il governo tentò una repressione militare che non ebbe buon esito,
perché i soldati, soffrendo essi stessi per i prezzi impossibili della
birra, fraternizzarono con i rivoltosi ...
Un'altra conseguenza dell'editto fu la fissazione dei controlli. A Monaco
per esempio c'era dopo la sua emanazione una commissione comunale per
controllare la qualità ed anche l'igiene del processo di fabbricazione. I
produttori dovettero prestare giuramento e così furono obbligati al rispetto
delle regole dell'editto. I sofisticatori di birra venivano regolarmente
puniti; ma mentre nella Babilonia venivano annegati nella propria birra, in
Baviera erano imprigionati e forzati a bere per un bel po' di tempo la birra
da loro stessi adulterata...
Anche l'aspetto della "politica economica" fu coronato dal successo, e non
soltanto a livello di mercato (la birra bavarese è stata sempre un prodotto
importante della esportazione!). Un bell'esempio del prestigio goduto dai
produttori di birra fu il comportamento del padre di Federico II di Prussia.
Era usanza della corte Prussiana di avviare tutti i figli alla conoscenza di
un mestiere "borghese". Così il re spinse il principe ereditario allo studio
dell'arte della birra. Fu così che Federico II conobbe bene il mestiere del
birraio! Ancora un altro esempio: la figlia del produttore di Birra Pschorr
a Monaco si sposò nel secolo scorso con un rampollo dell'alta borghesia e
diventò così la nonna del famoso compositore Richard Strauß ...
La fermentazione della birra è stregoneria ??
Si capisce che per tanti secoli i produttori non ebbero una conoscenza
scientifica, nel senso moderno del termine, del processo di fermentazione.
Fin dall'inizio dell'evo moderno tante credenze popolari dovevano aiutare a
spiegare che cosa succedeva quando si trasformava il malto in alcool. Nella
regione corrispondente all'odierna Svizzera si credeva che la fermentazione
fosse opera delle "streghe della birra"; invece i Germani erano convinti che
il dio Wotan dovesse sputare nella birra per innescare il processo... Ma
alla fine si capì che era quella sostanza che saliva in superficie, il
lievito, a provocare la fermentazione. Solo nel secolo scorso, però, fu
scoperto da Louis Pasteur, che si trattava di microrganismi, cioè funghi,
che trasformavano il malto in alcool ed anidride carbonica.
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