Home | Storia | Arte e letteratura | Foto | Ceramica | Moda | Info | Mappa
STORIA E LEGGENDA
HOTELS E RISTORANTI
ARTE E LETTERATURA
FOTO
CERAMICA
MODA

STORIA DI LENIN - STORIA DEL LENINISMO

STORIA DI LENIN ED IL LENINISMO - IL GIORNALE "ISKRA"
 
ISKRA, il famoso giornale russo fondato da Lenin
 

Il « Credo » non fu inventato, ma fu pubblicato senza il consenso e fors'anche contro la volontà dei suoi autori. In ogni caso, l'autore di queste righe, il quale contribuì a portare alla luce il nuovo « programma » *, subì proteste e rimproveri perché un riassunto delle loro opinioni, abbozzato da qualche oratore, era stato copiosamente diffuso, aveva ricevuto il titolo di « Credo » ed era stato persino stampato unitamente alla protesta contro di esso. Ci riferiamo a questo episodio perché svela un curioso tratto caratteristico del nostro economismo: la paura della pubblicità. E questa é una caratteristica dell'economismo in generale e non soltanto degli autori del « Credo » : essa si é manifestata nella Rabociaia Mysl, la più schietta e onesta partigiana dell'economismo, nel Raboceie Dielo (il quale si é indignato della pubblicazione dei documenti « economici » nel Vademecum70), nel Comitato di Kiev, che due anni or sono non ha voluto autorizzare la pubblicazione della sua Profession de foi71 insieme con la confutazione di essa **, e in un grande numero di singoli rappresentanti dell'economismo. * Si tratta della protesta dei diciassette contro il « Credo ». L'autore di queste righe prese parte alla redazione di questa protesta (fine del 1899)72. La protesta fu pubblicata all'estero insieme col « Credo » nella primavera del 1900 [cfr., nella presente edizione, vol. q, pp. 167-182]. Oggi si é appreso da un articolo della signora Kuskova (sul Byloie, se non erro) che essa fu l'autrice del « Credo » e che il signor Prokopovic aveva una funzione molto notevole tra gli economisti che allora erano all'estero. [Nota dell'autore all'edizione del 1907 (N. d. R.)]. ** A quanto ci consta, la composizione del Comitato di Kiev da allora è cambiata. Questa paura della critica che si manifesta nei partigiani della libertà di critica non può essere spiegata come un semplice artificio (benché a volte dell'artificio non possa fare a meno; sarebbe ingenuo presentare all'attacco dell'avversario i primi ancor fragili germi di una nuova tendenza!). No, la maggioranza degli economisti, con perfetta sincerità, non vede di buon occhio (e, data la sostanza stessa dell'economismo, non può che vedere malvolentieri) ogni discussione teorica, ogni dissenso di frazione, ogni vasta questione politica, ogni progetto di organizzare i rivoluzionari, ecc. « Lasciamo tutto ciò all'estero! », mi diceva un giorno un economista abbastanza conseguente, e in questo modo egli esprimeva la seguente opinione molto diffusa (e puramente tradunionista): quel che ci interessa é il movimento operaio, sono le organizzazioni operaie del nostro paese, tutto il resto non é che invenzione di dottrinari, « sopravvalutazione dell'ideologia », come si esprimevano gli autori della lettera pubblicata nel n. 12 dell'Iskra, all'unisono col n. 10 del Raboceie Dielo. Ci si chiede ora: date queste particolarità della « critica » e del bernsteinismo russi, in che doveva consistere il compito di chi voleva 11 combattere l'opportunismo a fatti e non soltanto a parole? Bisognava, prima di tutto, preoccuparsi di riprendere quel lavoro teorico che era stato appena incominciato all'epoca del marxismo legale e che ricadeva di nuovo sui militanti illegali; senza questo lavoro uno sviluppo reale del movimento era impossibile. In secondo luogo, era necessario impegnare una lotta attiva contro la « critica » legale, che pervertiva gli spiriti. In terzo luogo, era necessario insorgere vigorosamente contro la confusione e le esitazioni nel movimento pratico, smascherando e respingendo tutti i tentativi di svilire coscientemente o inconsciamente il nostro programma e la nostra tattica. Il Raboceie Dielo, come é noto, non ha assolto né il primo, né il secondo, né il terzo di questi compiti, e avremo più innanzi l'occasione di chiarire particolareggiatamente questa verità sotto i diversi aspetti. Per ora vogliamo semplicemente dimostrare che esiste una flagrante contraddizione tra la rivendicazione della « libertà di critica » e le particolarità della critica di casa nostra e dell'economismo russo. Si dia, infatti, uno sguardo alla risoluzione con la quale I'« Unione dei socialdemocratici russi » all'estero ha confermato il punto di vista del Raboceie Dielo. « Nell'interesse dell'ulteriore sviluppo ideologico della socialdemocrazia noi pensiamo che la libertà di criticare la teoria socialdemocratica nella letteratura di partito é cosa assolutamente necessaria, nella misura in cui questa critica non contraddice al carattere dì classe e al carattere rivoluzionario della teoria » (Due congressi, p. 10). Si motiva questa risoluzione col fatto che « nella prima parte essa coincide con la risoluzione del Congresso di Lubecca su Bernstein... ». Nella semplicità del loro cuore i membri dell'« Unione » non vedono nemmeno quale testimonium paupertatis (certificato di povertà) essi stessi si rilasciano con questo plagio; « ma... nella seconda parte, essa pone alla libertà di critica limiti più angusti di quelli posti dal Congresso di Lubecca ». La risoluzione dell'« Unione » sarebbe, dunque, rivolta contro i bernsteiniani russi? Altrimenti, sarebbe un'assurdità riferirsi a Lubecca! Ma è falso che essa « ponga limiti angusti alla libertà di critica ». Con la risoluzione di Hannover i tedeschi hanno respinto punto per punto proprio quegli emendamenti che Bernstein aveva presentato, e con quella di Lubecca hanno dato un avvertimento a Bernstein personalmente, facendone chiaramente il nome. I nostri « liberi » imitatori, invece, non indicano, neppure con un accenno, nessuna delle particolari manifestazioni della « critica » russa e dell'« economismo » russo. Cosicché la semplice allusione al carattere di classe e al carattere rivoluzionario della teoria lascia un posto molto più ampio alle interpretazioni sbagliate, soprattutto se l'« Unione » si rifiuta di considerare opportunismo il « cosiddetto economismo » (Due congressi, p. 8). Ma ciò sia detto di sfuggita. L'essenziale è che le posizioni degli opportunisti rispetto ai socialdemocratici rivoluzionari sono in 12 Germania e in Russia diametralmente opposte. In Germania i socialdemocratici rivoluzionari sono, com'è noto, per la conservazione di ciò che esiste: per il vecchio programma, la vecchia tattica, conosciuti da tutti e messi alla prova in tutti i particolari dall'esperienza di parecchi decenni. I « critici » vogliono invece introdurvi delle modificazioni, e poiché sono un'infima minoranza e le loro tendenze revisioniste sono molto timide, i motivi per cui la maggioranza si limita a respingere seccamente le loro « innovazioni » sono comprensibili. Da noi, in Russia, « critici » ed economisti sono per la conservazione di ciò che esiste: i « critici » vogliono continuare ad essere considerati come dei marxisti e a godere della « libertà di critica » della quale hanno approfittato nel senso più ampio (perché in fondo essi non hanno mai riconosciuto nessun legame di partito * e d'altra parte non avevamo un organo riconosciuto da tutto il partito il quale potesse « limitare », almeno con dei consigli, la libertà di critica); gli economisti vogliono che i rivoluzionari riconoscano il « pieno diritto del movimento nell'ora presente » (Raboceie Dielo, n. 10,.P. 25), Cioè la « legittimità » dell'esistenza di ciò che esiste; che gli « ideologi » non cerchino di « far deviare » il movimento dalla strada « determinata dal giunco reciproco degli elementi materiali e dell'ambiente materiale » (Lettera nel n. 72 dell'Iskra); che si riconosca come desiderabile condurre quella lotta « che gli operai possono condurre soltanto in circostanze determinate » e come possibile « quella che essi conducono effettivamente nel momento presente» (Supplemento alla « Rabociaia Mysl », p. 14). Per contro, noi, socialdemocratici rivoluzionari, non siamo soddisfatti di questa sottomissione alla spontaneità, ossia a ciò che esiste « nel momento presente ». Noi esigiamo la modificazione della tattica prevalsa in questi ultimi anni; dichiariamo che « prima di unirsi, e per unirsi, é necessario innanzi tutto definirsi risolutamente e nettamente » (annunzio della pubblicazione dell'Iskra **. In una parola, i tedeschi rimangono sulle posizioni esistenti e respingono ogni modificazione; noi esigiamo la modificazione dell'attuale stato di cose respingendo la sottomissione e la rassegnazione a ciò che esiste nel momento presente. *Questa mancanza di un legame di partito aperto e riconosciuto e di una tradizione di partito rappresenta in sé una differenza così radicale tra la Russia e la Germania, che avrebbe dovuto mettere in guardia ogni socialista sensato contro 1'imi tazione cieca. Ma ecco un esempio che mostra &n dove arriva la libertà di critica in Russia. Un russo, il signor Bulgakov, fa una partaccia al critico austriaco Hertz: «Malgrado tutta l'indipendenza delle sue conclusioni, Hertz su questo punto [sulla cooperazione] resta evidentemente troppo attaccato alle opinioni del proprio partito, e, pur dissentendo nei particolari, non si decide ad abbandonare il principio generale» (Capitalismo e agricoltura, v. II, p. 287). Un suddito di uno Stato politicamente asservito, dove il 999 per 1000 della popolazione é corrotto fino alle midolla dalla servitù politica t dalla totale incomprensione dell'onore di partito e del legame di partito, rimprovera superbamente a un cittadino di uno Stato costituzionale l'eccessivo x attaccamento alle opinioni del partito b! Alle nostre organizzazioni illegali non resta che incominciare a scrivere delle risoluzioni sulla libertà di critica... ** Cfr., nella presente edizione, vol. q, pp.. 353-364 (N.d.R.). 13 Ecco la « piccola » differenza di cui i nostri « liberi » copiatori di risoluzioni tedesche non si sono neppure accorti. d) Engels e l'importanza della lotta teorica « Il dogmatismo, il dottrinarismo », « la fossilizzazione del partito sono il castigo inevitabile della violenta compressione del pensiero »: ecco i nemici contro i quali scendono in lizza i campioni della « libertà di critica » del Raboceie Dielo. Siamo felicissimi che tale questione sia stata posta all'ordine del giorno; ma proporremmo di completarla con la seguente: Chi sono i giudici? Abbiamo innanzi a noi due annunzi di pubblicazioni: il programma del Raboceie Dielo, organo del periodico dell'« Unione dei socialdemocratici russi » (tiratura speciale del n. 1 del Raboceie Dielo) e l'annuncio della ripresa delle edizioni del gruppo « Emancipazione del lavoro ». Entrambi hanno la data del 1899, epoca nella quale la « crisi del marxismo » era all'ordine del giorno da molto tempo. Eppure nella prima di queste pubblicazioni si cercherebbero invano indicazioni sulla crisi stessa e un'esposizione precisa della posizione che conta di prendere il nuovo organo a questo riguardo. Dell'attività teorica e dei suoi compiti vitali nel momento attuale non dicono una parola né questo programma, né le aggiunte approvate dal III Congresso dell'« Unione » nel 1901 (Due congressi, pp. 15-18). In tutto questo periodo, la redazione del Raboceie Dielo ha lasciato da parte le questioni teoriche, benché esse appassionassero i socialdemocratici di tutto il mondo. L'altra pubblicazione, al contrario, segnala innanzi tutto l'indebolimento dell'interesse per la teoria durante questi ultimi anni, esige imperiosamente che sia data una « vigile attenzione al lato teorico del movimento rivoluzionario del proletariato » ed esorta a una « critica spietata delle tendenze bernsteiniane e delle altre tendenze antirivoluzionarie » esistenti nel nostro movimento. I numeri della Zarià finora pubblicati dimostrano come sia stato eseguito questo programma. Vediamo, dunque, che le grandi frasi contro la fossilizzazione del pensiero, ecc. dissimulano in realtà l'indifferenza e l'impotenza nei riguardi dello sviluppo del pensiero teorico. L'esempio dei socialdemocratici russi illustra in modo particolarmente chiaro il fenomeno, generale in Europa (e da molto tempo segnalato anche dai marxisti tedeschi), che la famosa libertà di critica non significa la sostituzione di una teoria con un'altra, ma significa libertà da ogni teoria coerente e ponderata, eclettismo e mancanza di principi. Chiunque abbia una conoscenza anche limitata della situazione di fatto del nostro movimento non può non vedere che la grande diffusione del marxismo è stata accompagnata da un certo abbassamento del livello teorico. Molta gente, la cui preparazione teorica era infima e persino inesistente, ha aderito al movimento grazie alla sua importanza pratica e ai suoi progressi pratici. Ognuno può dunque vedere quanto manchi di tatto il 14 Raboceie Dielo quando agita trionfalmente la frase di Marx: « Ogni passo del movimento reale 'è più importante di una dozzina di programmi » 73. Ripetere queste parole in un momento di sbandamento teorico, é come « fare. dello spirito a un funerale ». Queste parole, d'altra parte, sono estratte dalla lettera sul programma di Gotha, nella quale Marx condanna categoricamente l'eclettismo nell'enunciazione dei principi. Se é necessario unirsi - scriveva Marx ai capi del partito - fate accordi allo scopo di raggiungere i fini pratici del movimento, ma non fate commercio dei principi e non fate « concessioni » teoriche. Questo era il pensiero di Marx, e fra noi si trova della gente che nel suo nome tenta di sminuire l'importanza della teoria! Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario. Non si insisterà mai troppo su questo concetto in un periodo in cui la predicazione opportunistica venuta di moda é accompagnata dall'esaltazione delle forme più anguste di azione pratica. Ma per la socialdemocrazia russa, in particolare, la teoria acquista un'importanza ancora maggiore per le tre considerazioni seguenti, che sono spesso dimenticate. Innanzi tutto, il nostro partito è ancora in via di formazione, sta ancora definendo la sua fisionomia ed é ben lungi dell'aver saldato i conti con le altre correnti del pensiero rivoluzionario, che minacciano di far deviare il movimento dalla giusta via. Anzi, proprio in questi ultimi anni (come Axelrod già da molto tempo aveva predetto agli economisti) ci troviamo di fronte ad una reviviscenza delle tendenze rivoluzionarie non socialdemocratiche. In siffatte condizioni, un errore, che a prima vista sembra « senza importanza », può avere le più deplorevoli conseguenze; e bisogna essere ben miopi per giudicare inopportune e superflue le discussioni di frazione e la rigorosa definizione delle varie tendenze. Dal consolidarsi dell'una piuttosto che dell'altra « tendenza » può dipendere per lunghi anni l'avvenire della socialdemocrazia russa. In secondo luogo, il movimento socialdemocratico é per la sua stessa sostanza internazionale. Ciò non significa soltanto che dobbiamo combattere lo sciovinismo nazionale. Significa anche che in un paese giovane un movimento appena nato può avere successo solo se applica l'esperienza degli altri paesi. Ma per applicarla non basta conoscerla o limitarsi a copiare le ultime risoluzioni. Bisogna saper valutare criticamente e verificare da se stessi questa esperienza. Basta pensare quali passi giganteschi ha fatto il movimento operaio contemporaneo e come si é articolato per comprendere quale riserva di forze teoriche e di esperienza politica (ed anche rivoluzionaria) sia necessaria per adempiere questo compito. In terzo luogo, i compiti nazionali della socialdemocrazia russa sono tali, quali non si sono mai presentati a nessun altro partito socialista del mondo. Vedremo in seguito quali doveri politici ed organizzativi ci impone il compito di liberare tutto il popolo dal giogo dell'autocrazia. Per il momento 15 ci limiteremo a rilevare che solo un partito guidalo da una teoria di avanguardia può adempiere la funzione di combattente di avanguardia. Ma per raffigurarsi un po' più concretamente che cosa questo significhi, ricordi il lettore quei precursori della socialdemocrazia russa, che si chiamano Herzen, Belinski, Cernyscevski e la brillante pleiade dei rivoluzionari degli anni settanta; rifletta all'importanza mondiale che la letteratura russa acquista presentemente; pensi... ma basta così ! Ricordiamo le osservazioni di Engels (I874) sull'importanza della teoria nel movimento socialdemocratico. Secondo Engels, esistono non due forme della grande lotta socialdemocratica (politica ed economica) - come si pensa abitualmente fra noi -, ma tre, ponendosi accanto a queste anche la lotta teorica. La raccomandazione che egli fa al movimento operaio tedesco, già rafforzatosi praticamente e politicamente, è talmente istruttiva, dal punto di vista delle questioni e discussioni attuali, che il lettore ci scuserà se riportiamo il lungo brano seguente della prefazione all'opuscolo Der deutsche Bauernkrieg * che é diventato da molto tempo una rarità bibliografica eccezionale: * Dritter Abdruck. Leipzig, 1875, Verlag der Genossenschaftsbuchdruckerei. « Gli operai tedeschi hanno due vantaggi essenziali sugli operai del resto dell'Europa. In primo luogo essi appartengono al popolo dell'Europa più portato alla teoria ed hanno conservato il senso teorico, che i cosiddetti " uomini colti " della Germania hanno totalmente perduto. Senza il precedente della filosofia tedesca e precisamente della filosofia di Hegel, il socialismo scientifico tedesco - l'unico socialismo scientifico che sia mai esistito - non sarebbe mai nato. Se tra gli operai non ci fosse stato questo senso teorico, il socialismo scientifico non si sarebbe mai cambiato in sangue e carne in così grande misura come é effettivamente accaduto. E quale incommensurabile vantaggio sia questo, si rivela da una parte se si tenga presente l'indifferenza verso tutte le teorie, che é una delle cause principali per cui il movimento operaio inglese, malgrado tutta la notevole organizzazione dei singoli sindacati, avanza così lentamente, e, dall'altra parte, se si tengano presenti la confusione e le storture che il proudhonismo ha provocato, nella sua forma originaria, nei francesi e nei belgi, e, più tardi, nella caricatura che ne fece Bakunin, negli spagnoli e negli italiani. «Il secondo vantaggio é costituito dal fatto che i tedeschi sono arrivati quasi ultimi nel movimento operaio dell'epoca. Come il socialismo tedesco non dimenticherà mai che esso, diremo, poggia sulle spalle di Saint-Simon, Fourier e Owen, tre uomini che, con tutta la loro fantasticheria e tutto il loro utopismo, sono tra le teste più fini di tutti i tempi e hanno anticipato infinite cose che noi oggi dimostriamo scientificamente, così il movimento operaio pratico tedesco non può mai dimenticare che esso si é sviluppato sulle spalle dei movimenti inglese e francese, che può con tutta semplicità trarre profitto dalle loro esperienze acquistate a tosi caro prezzo ed evitare oggi i loro errori che erano allora inevitabili. Senza il gigantesco impulso 16 dato specialmente dalla Comune di Parigi, dallo sviluppo precedente delle trade-unions inglesi e dalle lotte politiche degli operai francesi, a che punto saremmo noi ora? « Si deve riconoscere che gli operai tedeschi hanno sfruttato con rara intelligenza la loro vantaggiosa posizione. Infatti, per la prima volta dacché esiste il movimento operaio, la lotta viene condotta unitariamente, coerentemente e secondo un piano che si svolge su tre linee: teorica, politica e pratico-economica (resistenza ai capitalisti). La forza e l'invincibilità del movimento tedesco sta precisamente in questo attacco che potremmo dire concentrico. « Da una parte per questa loro privilegiata posizione, dall'altra per le particolarità insulari del movimento inglese e la violenta repressione del movimento francese, gli operai tedeschi sono per il momento all'avanguardia della lotta proletaria. Per quanto tempo gli avvenimenti lasceranno loro questo posto d'onore, non si può dire. Ma sino a quando lo occuperanno, é sperabile che essi eseguiranno il loro compito come si conviene. Per questo occorre che gli sforzi siano raddoppiati in ogni campo della lotta e dell'agitazione. Precisamente sarà dovere di tutti i dirigenti chiarire sempre più tutte le questioni teoriche, liberarsi sempre più completamente dall'influsso delle frasi fatte proprie della vecchia concezione del mondo, e tenere sempre presente che il socialismo, da quando é diventato una scienza, va trattato come una scienza, cioè va studiato. Ma l'importante sarà poi diffondere tra le masse, con zelo accresciuto, la concezione che tosi si é acquisita e che sempre più si é chiarita, e rinsaldare sempre più fermamente l'organizzazione del partito e dei sindacati... « Se gli operai tedeschi tosi andranno avanti, non perciò marceranno alla testa del movimento - anzi non é affatto nell'interesse del movimento che gli operai di una singola nazione, quale che essa sia, marcino alla testa del movimento -, ma tuttavia occuperanno un posto degno di onore nella linea del combattimento; e saranno pronti in armi, se dure prove inattese o grandi avvenimenti esigeranno maggiore coraggio, maggiore decisione ed energia »74. Le parole di Engels furono profetiche. Qualche anno dopo, gli operai tedeschi erano improvvisamente sottoposti alla rude prova delle leggi eccezionali contro i socialisti. Ed effettivamente si trovarono armati per affrontarla e ne uscirono vittoriosi. Il proletariato russo dovrà subire delle prove infinitamente più gravi, dovrà combattere un mostro in confronto del quale una legge eccezionale in un paese costituzionale sembrerà un pigmeo. La storia ci pone oggi un compito immediato, il più rivoluzionario di tutti i compiti immediati del proletariato di qualsiasi altro paese. L'adempimento di questo compito, la distruzione del baluardo più potente della reazione, non soltanto europea, ma anche (oggi possiamo dirlo) asiatica, farebbe del proletariato russo (avanguardia del proletariato rivoluzionario internazionale. Siamo in diritto 17 di credere che ci meriteremo questo titolo onorevole, come già lo meritarono i nostri precursori, i rivoluzionari degli anni settanta, se sapremo animare dello stesso spirito di illimitata risolutezza e della stessa energia il nostro movimento, mille volte più vasto e più profondo. 59 Lassalliani, sostenitori e seguaci di F. Lassalle. Nucleo fondamentale dei lassalliani era la « Associazione generale degli operai tedeschi » fondata da Lassalle nel 1863. Considerando possibile la pacifica trasformazione del capitalismo in socialismo per mezzo di associazioni operaie appoggiate dallo Stato capitalistico, i lassalliani sostenevano la necessità di sostituire la lotta rivoluzionaria della classe operaia con la lotta per il suffragio universale e l'azione parlamentare. Marx criticò aspramente i lassalliani e rilevò che essi « nel corso di vari anni furono di impedimento all'organizzazione del proletariato e finirono per diventare semplicemente uno strumento nelle mani della polizia ». La valutazione delle concezioni teoriche dei lassalliani e della loro tattica fu data da Marx in: Critica al programma di Gotha, Immaginarie scissioni nell'Internazionale e nel carteggio con Engels. Gli eisenachiani erano sostenitori del marxismo. Sotto la guida di G. Liebknecht e di A. Bebel fondarono nel 1869 al Congresso di Eisenach il partito socialdemocratico tedesco. Tra questi partiti si svolse una lotta accanita. Sotto la influenza dello sviluppo del movimento operaio e delle accentuate repressioni governative, i due partiti si fusero nel partito operaio socialista unificato della Germania, nel quale i lassalliani rappresentavano l'ala destra. 60 Guesdisti, seguaci di J. Guesde, corrente di sinistra, marxista, che sosteneva una politica autonoma rivoluzionaria del proletariato; nel 1901 i guesdisti costituirono il Partito socialista di Francia. Possibilisti, corrente piccolo-borghese, riformista, che distoglieva il proletariato dai metodi rivoluzionari di lotta. I possibilisti proponevano di confinare l'attività della classe operaia nei limiti del possibile sotto il capitalismo. Nel 1902 i possibilisti insieme ad altri gruppi riformisti costituirono il Partito socialista francese. Nel 1905 il Partito socialista di Francia e il Partito socialista francese si fusero in un solo partito. Nel periodo della guerra imperialistica del 1914-1918 J. Guesde, insieme a tutta la direzione del Partito socialista francese, passò sulle posizioni del socialsciovinismo. 61 Fabiani, membri della riformista « Società dei fabiani », fondata da un gruppo di intellettuali borghesi nel 1884 in Inghilterra. La società si diede il nome dal capo militare romano Fabio il temporeggiatore, famoso per la sua tattica di attesa tendente a schivare combattimenti decisivi. I fabiani distoglievano il proletariato dalla lotta di classe, sostenendo il pacifico trapasso dal capitalismo al socialismo per via di piccole riforme. 62 Prefazione di F. Engels alla III edizione dell'opera di Marx 11 diciotto brumaio di Luigi Bonaparte. 63 Biezsaglavzy (cioè i senza titolo): gruppo (S.M. Prokopovic, L.D. Kuskova, V.I. Boguciarski e altri) che si raccoglieva intorno alla rivista Biez zaglavie (Senza titolo) pubblicata a Pietroburgo nel 1906 I senza titolo si dichiaravano apertamente seguaci del revisionismo, sostenevano menscevichi e liberali, si opponevano alla politica indipendente del proletariato. Altrove Lenin li chiama cadetti menscevicheggianti oppure menscevichi cadetteggianti. 18 64 Ilovaiski D.1. 1832-1920 storico, autore di numerosi manuali di storia largamente diffusi nelle scuole elementari e medie della Russia zarista. Nei suoi libri di testo la storia si riduceva soprattutto all'attività dei sovrani e dei capi militari. 65 Socialismo della cattedra, corrente dell'economia politica borghese sviluppatasi in Germania tra il 1870 e il 1890 I rappresentanti di questa corrente predicavano dalle cattedre universitarie il riformismo liberale borghese sotto la veste del socialismo. I socialisti della cattedra affermavano che lo Stato borghese, essendo al di sopra delle classi, avrebbe potuto conciliare le classi ostili e attuare a poco a poco il a socialismo ». In Russia le concezioni dei socialisti della cattedra furono sostenute dai « marxisti-legali ». 66 Risoluzione di Hannover, risoluzione sulla questione degli Attacchi alle concezioni fondamentali e alla tattica del partito, approvata dal Congresso della socialdemocrazia tedesca che si tenne à a Hannover dal 27 settembre al 2 ottobre (9-14 ottobre) 1899. La risoluzione approvata dal Congresso respingeva le richieste dei revisionisti, formulate da Bernstein, che proponeva di sottoporre a riesame la tattica e la politica rivoluzionaria della socialdemocrazia, ma non criticava e non smascherava il bernsteinismo. La risoluzione fu approvata anche dai seguaci di Bernstein. 67 II Congresso di Stoccarda della socialdemocrazia tedesca (3-8 ottobre 1898) discusse per la prima volta il problema del revisionismo in seno alla socialdemocrazia tedesca. AI Congresso venne letta una dichiarazione di Bernstein, assente, in cui venivano ribadite le concezioni opportunistiche, già espresse in precedenza dall'autore in una serie di articoli. Gli avversari di Bernstein al Congresso non erano uniti. Gli uni (Bebel, Kautsky e altri) volevano che gli errori di Bernstein fossero criticati, ma erano contrari a prendere nei suoi riguardi misure organizzative. Gli altri - in minoranza - diretti da Rosa Luxemburg avevano una posizione più risoluta. 68 Uno scrittore montato in superbia, da uno dei primi racconti di M. Gorki. 69 Lenin si riferisce alla miscellanea Documenti per uno studio del nostro sviluppo economico, pubblicata con una tiratura di 2.000 copie in una tipografia legale nell'aprile 1895. Essa conteneva l'articolo di V.I. Lenin (sotto lo pseudonimo di K. Tulin): Il contenuto economico del populismo e la sua critica nel libro del sig. Struve (cfr. nella presente edizione, v. I, PP. 34r-523). 70 Vademecum per la redazione del Raboceie Dielo, raccolta di materiali e documenti con prefazione di G.V. Plekhanov che smascherava le concezioni opportunistiche dell'« Unione dei socialdemocratici russi all'estero » e della redazione della rivista Raboceie Dielo. La raccolta fu curata da Plekhanov e pubblicata dal gruppo « Emancipazione del lavoro » a Ginevra, a partire dal 1900 71 Profession de foi (Professione di fede), manifestino che esponeva le concezioni opportunistiche del Comitato di Kiev; redatto alla fine del 1899. II contenuto del manifestino coincide sotto molti aspetti col famoso Credo degli « economisti ». Lenin criticò questo documento nell'articolo: A proposito della « Profession de foi » (Cfr., nella presente edizione, v. 4, pp. 263-273). 72 Questo articolo fu scritto in Siberia nel 1899. Avendo ricevuto il Credo (manifesto di un gruppo di « economisti », S.N. Prokopovic, E.D. Kuskova ed altri, che poi divennero cadetti), inviatogli dalla sorella A.I. Ielizarova, Lenin scrisse questa dura e sferzante 19 protesta, che fu discussa e approvata all'unanimità in un'assemblea di 17 marxisti deportati politici, assemblea che si era riunita, dietro invito di Lenin, nel villaggio di Iermakovskoie, circondario di Minusinsk. Le colonie di deportati di Turunkhansk e Orlov (governatorato di Viatka) aderirono alla Protesta. La Protesta dei socialdemocratici russi fu poi inviata da Lenin all'estero, al gruppo « Emancipazione del lavoro ». All'inizio del 1900 venne ristampata nella raccolta di Plekhanov Vademecum per la redazione del Raboceie Dielo, diretta contro l'economismo. 73 Cfr. K. Marx - F. Engels, Il partito e l'Internazionale, Roma, 1948, p. 224. 74 F. Engels, La guerra dei contadini in Germania. STATO E RIVOLUZIONE La dottrina marxista dello Stato e i compiti del proletariato nella rivoluzione Vladimir J.Ulianov Lenin (1917) Prefazione alla prima edizione Il problema dello Stato assume ai nostri giorni una particolare importanza, sia dal punto di vista teorico che dal punto di vista politico pratico. La guerra imperialista ha accelerato e acutizzato a un grado estremo il processo di trasformazione del capitalismo monopolistico in capitalismo monopolistico di Stato. L'oppressione mostruosa delle masse lavoratrici da parte dello stato, il quale si fonde sempre più strettamente con le onnipotenti associazioni dei capitalisti, acquista proporzioni sempre più mostruose. I paesi più avanzati si trasformano - ci riferiamo alle loro "retrovie" - in case di pena militari per gli operai. Gli inauditi orrori e flagelli di una guerra di cui non si vede la fine, rendono insostenibile la situazione delle masse, aumentano la loro indignazione. La rivoluzione proletaria internazionale matura in modo visibile, e il problema del suo atteggiamento verso lo Stato assume un significato pratico. Gli elementi di opportunismo che si son venuti accumulando nel corso di decenni di sviluppo relativamente pacifico, hanno fatto sorgere la corrente socialsciovinista che domina nei partiti socialisti ufficiali di tutto il mondo. Questa corrente (Plekhanov, Potresov, Bresckovskaia, Rubanovic, e, in forma appena velata, i signori Tsereteli, Cernov e consorti in Russia; Scheidemann, Legien, David e altri in Germania; Renaudel, Guesde, Vandervelde in Francia e nel Belgio; Hyndman e i fabiani in Inghilterra, ecc.), - che è socialismo a parole e sciovinismo nei fatti - si distingue per l'adattamento piatto, servile dei "capi" del "socialismo" agli interessi non solo della "propria" borghesia nazionale, ma precisamente del "proprio" Stato, giacchè da lungo tempo la maggior parte delle cosiddette grandi potenze sfruttano e asserviscono numerosi popoli piccoli e deboli. Orbene, la guerra imperialista è appunto una guerra per la spartizione e la ridistribuzione di un simile bottino. La lotta per sottrarre le masse lavoratrici all'influenza della borghesia in generale, e in particolare della borghesia imperialista, è impossibile senza una lotta contro i pregiudizi opportunistici sullo "Stato". Esamineremo innanzitutto la dottrina di Marx e di Engels sullo Stato, soffermandoci più a lungo sugli aspetti di questa dottrina che sono stati dimenticati o travisati dall'opportunismo. Studieremo poi in special modo il più autorevole rappresentante di queste deformazioni, Karl Kautsky, il capo più noto di quella Seconda Internazionale (1889-1914) così miseramente fallita nel corso della guerra attuale. Trarremo infine i principali insegnamenti dall'esperienza delle rivoluzioni russe, del 1905 e soprattutto del 1917. Quest'ultima, a quanto pare, volge in questo momento (principio d'agosto 1917) al termine della sua prima fase di sviluppo; ma tutta questa rivoluzione non può essere concepita se non come un anello della catena delle rivoluzioni proletarie socialiste provocate dalla guerra imperialista. La questione dell'atteggiamento della rivoluzione socialista del proletariato nei confronti dello Stato acquista quindi un significato non solamente politico pratico, ma assume anche un carattere di scottante attualità, perchè si tratta di far comprendere alle masse che cosa dovranno fare per liberarsi, in un avvenire prossimo, dal giogo del capitale. Agosto 1917, l'Autore Poscritto alla prima edizione Il presente opuscolo fu scritto nell'agosto-settembre 1917. Avevo già preparato il piano di un VII capitolo: "L'esperienza delle rivoluzioni russe del 1905 e del 1917", ma all'infuori del titolo non ho avuto tempo di scriverne una sola riga; ne fui "impedito" dalla crisi politica, vigilia della Rivoluzione d'Ottobre 1917. Non c'è che da rallegrarsi di un tale "impedimento". Ma la seconda parte di questo opuscolo ("L'esperienza delle rivoluzioni russe del 1905 e del 1917") dovrà certamente essere rinviata a molto più tardi; è più piacevole e più utile fare "l'esperienza di una rivoluzione" che non scrivere su di essa. Pietrogrado, 30 novembre 1917 - l'Autore I. LA SOCIETA' CLASSISTA E LO STATO 1. Lo Stato, prodotto dell'antagonismo inconciliabile tra le classi Accade oggi alla dottrina di Marx quel che è spesso accaduto nella storia alle dottrine dei pensatori rivoluzionari e dei capi delle classi oppresse in lotta per la loro liberazione. Le classi dominanti hanno sempre ricompensato i grandi rivoluzionari, durante la loro vita, con incessanti persecuzioni; la loro dottrina è stata sempre accolta con il più selvaggio furore, con l'odio più accanito e con le più impudenti campagne di menzogne e di diffamazioni. Ma, dopo morti, si cerca di trasformarli in icone inoffensive, di canonizzarli, per così dire, di cingere di una certa aureola di gloria il loro nome, a "consolazione" e mistificazione delle classi oppresse, mentre si svuota del contenuto la loro dottrina rivoluzionaria, se ne smussa la punta, la si avvilisce. La borghesia e gli opportunisti in seno al movimento operaio si accordano oggi per sottoporre il marxismo a un tale "trattamento". Si dimentica, si respinge, si snatura il lato rivoluzionario della dottrina, la sua anima rivoluzionaria. Si mette in primo piano e si esalta ciò che è o pare accettabile alla borghesia. Tutti i socialsciovinisti - non ridete! - sono oggi "marxisti". E gli scienziati borghesi tedeschi sino a ieri specializzati nello sterminio del marxismo, parlano sempre più spesso di un Marx "nazionaltedesco" che avrebbe educato i sindacati operai, così magnificamente organizzati per condurre una guerra di rapina! Così stando le cose, e dato che le deformazioni del marxismo si sono diffuse in modo inaudito, compito nostro è, innanzi tutto, ristabilire la vera dottrina di Marx sullo Stato. Dovremo a tal fine fare lunghe citazioni dalle opere stesse di Marx e di Engels. Naturalmente queste lunghe citazioni renderanno più pesante l' esposizione e non contribuiranno affatto a renderla popolare. Ma è assolutamente impossibile farne a meno. Tutti i passi, o almeno tutti i passi fondamentali di Marx e di Engels sullo Stato, debbono essere riportati in maniera quanto più è possibile completa, perchè il lettore possa farsi un'idea personale dell'insieme delle concezioni dei fondatori del socialismo scientifico, dello sviluppo di queste concezioni e anche per dimostrare, con le prove alla mano, in modo evidente, che il "kautskismo" attualmente dominante le ha snaturate. Cominciamo con l'opera più diffusa di F. Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, pubblicata già nella sesta edizione a Stoccarda nel 1894. Dobbiamo tradurre dall'originale tedesco perchè le traduzioni russe, per quanto numerose, sono nella maggior parte incomplete o molto difettose. "Lo Stato dunque - dice Engels, arrivando alle conclusioni della sua analisi storica - non è affatto una potenza imposta alla società dall'esterno e nemmeno "la realtà dell'idea etica", "l'immagine e la realtà della ragione", come afferma Hegel. Esso è piuttosto un prodotto della società giunta a un determinato stadio di sviluppo, è la confessione che questa società si è avvolta in una contraddizione insolubile con se stessa, che si è scissa in antagonismi inconciliabili che è impotente a eliminare. Ma perché questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto, non distruggano se stessi e la società in una sterile lotta, sorge la necessità di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell'"ordine"; e questa potenza che emana dalla società, ma che si pone al di sopra di essa e che si estranea sempre più da essa, è lo Stato" (pp. 177-178, sesta edizione tedesca). Qui è espressa, in modo perfettamente chiaro, l'idea fondamentale del marxismo sulla funzione storica e sul significato dello Stato. Lo Stato è il prodotto e la manifestazione degli antagonismi inconciliabili tra le classi. Lo Stato appare là, nel momento e in quanto, dove, quando e nella misura in cui gli antagonismi di classe non possono essere oggettivamente conciliati. E, per converso, l'esistenza dello Stato prova che gli antagonismi di classe sono inconciliabili. E' precisamente su questo punto di capitale e fondamentale importanza che comincia la deformazione deI marxismo, deformazione che segue due linee principali. Da un lato gli ideologi borghesi, e soprattutto piccolo-borghesi, costretti a riconoscere, sotto la pressione di fatti storici incontestabili, che lo Stato esiste soltanto dove esistono antagonismi di classe e la lotta di classe, "correggono" Marx in modo tale che lo Stato appare come l'organo della conciliazione delle classi. Per Marx, se la conciliazione delle classi fosse possibile, lo Stato non avrebbe potuto né sorgere né continuare ad esistere. Secondo i professori e pubblicisti piccolo-borghesi e filistei - che molto spesso si riferiscono con compiacimento a Marx - è proprio lo Stato a conciliare le classi. Per Marx lo Stato è l'organo del dominio di classe, un organo di oppressione di una classe da parte di un'altra; è la creazione di un "ordine" che legalizza e consolida questa oppressione, moderando il conflitto fra le classi. Per gli uomini politici piccolo-borghesi l'ordine è precisamente la conciliazione delle classi e non l'oppressione di una classe da parte di un'altra; attenuare il conflitto vuol dire per essi conciliare e non già privare le classi oppresse di determinati strumenti e mezzi di lotta per rovesciare gli oppressori. Così nella rivoluzione del 1917, quando la questione del significato e della funzione dello Stato si pose in tutta la sua ampiezza, si pose praticamente come un problema di azione immediata, e, per di più, di azione di massa, tutti i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi caddero subito e pienamente nella teoria piccolo-borghese della "conciliazione" delle classi "per opera dello Stato". Innumerevoli risoluzioni e articoli di uomini politici di quei due partiti sono profondamente impregnati di questa teoria piccolo-borghese e filistea della "conciliazione". Che lo Stato sia l'organo di dominio di una classe determinata, che non può essere conciliata col suo antipode (la classe che è al polo opposto), la democrazia piccolo-borghese non sarà mai in grado di capirlo. L'atteggiamento dei nostri socialistirivoluzionari e dei nostri menscevichi verso lo Stato è una delle prove più evidenti che essi non sono affatto dei socialisti (ciò che noi, bolscevichi, abbiamo sempre dimostrato), ma dei democratici piccolo-borghesi che usano una fraseologia quasi socialista. D'altra parte, la deformazione "kautskiana" del marxismo è molto più sottile. "Teoricamente" non si contesta che lo Stato sia l'organo del dominio di classe, né che gli antagonismi di classe siano inconciliabili. Ma si trascura o attenua quanto segue: se lo Stato è un prodotto dell'inconciliabilità degli antagonismi di classe, se esso è una forza che sta al di sopra della società e che "si estranea sempre più dalla società", è evidente che la liberazione della classe oppressa è impossibile non soltanto senza una rivoluzione violenta, ma anche senza la distruzione dell'apparato del potere statale che è stato creato dalla classe dominante e nel quale questa "estraneazione" si è materializzata. Questa conclusione, teoricamente di per sé chiara, è stata tratta da Marx con perfetta precisione, come vedremo più tardi, dall' analisi storica concreta dei compiti della rivoluzione. Kautsky ha... "dimenticato" e travisato appunto questa conclusione, come dimostreremo particolareggiatamente nel seguito della nostra esposizione. 2. Distaccamenti speciali di uomini armati, prigioni, ecc. "...Nei confronti dell'antica organizzazione gentilizia [della tribù o del clan] - continua Engels - il primo segno distintivo dello Stato è la divisione dei cittadini..." Questa divisione a noi sembra "naturale", ma essa richiese una lunga lotta con l'antica organizzazione per clan o per stirpi. "...Il secondo punto è l'istituzione di una forza pubblica che non coincide più direttamente con la popolazione che organizza se stessa come potere armato. Questa forza pubblica particolare è necessaria perchè un'organizzazione armata autonoma della popolazione è divenuta impossibile dopo la divisione in classi... Questa forza pubblica esiste in ogni Stato e non consta semplicemente di uomini armati, ma anche di appendici reali, prigioni e istituti di pena di ogni genere, di cui nulla sapeva la società gentilizia... ". Engels sviluppa la nozione di questa "forza", chiamata Stato, forza che è sorta dalla società ma che si pone al di sopra di essa e se ne estranea sempre più. In che consiste principalmente questa forza? Essa consiste anzitutto in distaccamenti speciali di uomini armati che dispongono di prigioni, ecc. Abbiamo il diritto di parlare di distaccamenti speciali di uomini armati, perchè il potere pubblico proprio di ogni Stato "non coincide più direttamente" con la popolazione armata, con la sua "organizzazione armata autonoma". Come tutti i grandi pensatori rivoluzionari, Engels si sforza di attirare l'attenzione dei lavoratori coscienti su ciò che il filisteismo dominante considera come meno degno d'attenzione, come più usuale, come cosa consacrata da pregiudizi non solo tenaci, ma, si potrebbe dire, fossilizzati. L'esercito permanente e la polizia sono i principali strumenti di forza del potere statale. Ma potrebbe forse essere altrimenti? Per la gran maggioranza degli europei della fine del secolo decimonono, a cui Engels si rivolgeva, e che non avevano vissuto né osservato da vicino nessuna grande rivoluzione, non poteva essere altrimenti. Essi non comprendevano assolutamente che cosa fosse questa "organizzazione armata autonoma della popolazione". Perchè è apparsa la necessità di distaccamenti speciali di uomini armati (polizia, esercito permanente), posti al di sopra della società e che si estraneano da essa? A tale domanda i filistei dell'Europa occidentale o della Russia sono inclini a rispondere con una copia di frasi prese in prestito da Spencer o da Mikhailovski e tirano in ballo la crescente complessità della vita sociale, la differenziazione delle funzioni, ecc. Questi argomenti sembrano "scientifici" ed assopiscono meravigliosamente il buon pubblico, velando la cosa principale, essenziale: la scissione della società in classi inconciliabilmente nemiche. Se non ci fosse questa scissione, "l'organizzazione armata autonoma della popolazione" differirebbe per la sua complessità, per la sua tecnica progredita, ecc. dall'organizzazione primitiva d'un branco di scimmie armate di bastoni, o da quella di uomini primitivi o associati in clan, ma tuttavia sarebbe possibile. Essa è impossibile perchè la società civile è divisa in classi ostili, e per di più inconciliabilmente ostili, il cui armamento "autonomo" determinerebbe una lotta armata fra di esse. Lo Stato si forma; si crea una forza distinta, si creano distaccamenti speciali di uomini armati; e ogni rivoluzione, distruggendo l'apparato statale, ci dimostra con tutta evidenza come la classe dominante si sforza di ricostruire distaccamenti speciali di uomini armati che la servano, e come la classe oppressa si sforza di creare una nuova organizzazione dello stesso genere, capace di servire non più gli sfruttatori, ma gli sfruttati. Nel passo citato, Engels pone teoricamente lo stesso problema che ogni grande rivoluzione pone praticamente davanti a noi con evidenza, e, inoltre, nell'ampiezza di una azione di massa, e precisamente: il problema del rapporto tra i distaccamenti "speciali" di uomini armati e l' "organizzazione armata autonoma della popolazione". Vedremo come questo problema è concretamente illustrato dalla esperienza delle rivoluzioni europee e russe. Ma torniamo all' esposizione di Engels. Egli mostra che talvolta, per esempio in certe regioni dell'America del Nord, il potere pubblico è debole (si tratta di un'eccezione assai rara nella società capitalistica e delle regioni dell' America del Nord in cui, nel periodo preimperialistico, predominava il colono libero), ma che, in generale, esso va rafforzandosi: [ La forza pubblica] "...si rafforza nella misura in cui gli antagonismi di classe all'interno dello Stato si acuiscono e gli Stati tra loro confinanti diventano più grandi e popolosi. Basta guardare la nostra Europa di oggi, in cui la lotta di classe e la concorrenza nelle conquiste ha portato il potere pubblico a un'altezza da cui minaccia di inghiottire l'intera società e perfino lo Stato". Queste righe furono scritte poco dopo il 1890, non più tardi. L'ultima prefazione di Engels ha la data del 16 giugno 1891. L'evoluzione verso l'imperialismo - sia nel senso del dominio assoluto dei trust che dell'onnipotenza delle grandi banche e della politica coloniale in grande, ecc. - era in quel tempo appena ai primi albori in Francia; ed ancora più debole era in America e in Germania. Da allora la "concorrenza nelle conquiste" ha fatto passi da gigante, tanto più che il globo terrestre si era trovato all'inizio del decennio 1910-1920 definitivamente spartito fra questi "concorrenti nelle conquiste", cioè fra le grandi potenze predatrici. Da allora gli armamenti di terra e di mare si sono accresciuti in proporzioni incredibili, e la guerra di rapina del 1914-1917, per il dominio sul mondo dell'Inghilterra o della Germania e per una ripartizione del bottino, ha avvicinato a una catastrofe completa il processo grazie al quale un potere statale vorace "minaccia di inghiottire" tutte le forze della società. Sin dal 1891 Engels aveva saputo denunciare la "concorrenza nelle Conquiste" come una delle più importanti caratteristiche della politica estera delle grandi potenze, mentre i mascalzoni del socialsciovinismo, nel 1914-1917, quando appunto questa rivalità, diventata ancora più acuta, ha generato la guerra imperialista, coprono la loro difesa degli interessi predatori della "loro" borghesia con frasi sulla "difesa della patria", sulla "difesa della repubblica e della rivoluzione", ecc.! 3. Lo Stato, strumento di sfruttamento della classe oppressa Per mantenere un potere pubblico speciale, posto al di sopra della società, sono necessarie delle imposte e un debito pubblico. "...In possesso della forza pubblica e del diritto di riscuotere imposte, - scrive Engels - i funzionari appaiono ora come organi della società al di sopra della società. La libera, volontaria stima che veniva tributata agli organi della costituzione gentilizia non basta loro, anche se potessero riscuoterla." Si fanno leggi speciali sulla santità e sull'inviolabilità dei funzionari. Il "più misero poliziotto" ha più "autorità" degli organi della società gentilizia, ma persino ...il capo dell'esercito di un paese civile potrebbe invidiare al capo gentilizio la stima spontanea e incontestata che gli viene tributata" Si pone qui la questione dei privilegi dei funzionari quali organi del potere statale. Il punto essenziale è questo: che cosa li pone al di sopra della società? Vedremo come questa questione teorica sia stata risolta in pratica dalla Comune di Parigi nel 1871 e come sia stata messa in ombra in modo reazionario da Kautsky nel 1912. "...Lo Stato, poiché è nato dal bisogno di tenere a freno gli antagonismi di classe, ma contemporaneamente è nato in mezzo al conflitto di queste classi, è, per regola, lo Stato della classe più potente, economicamente dominante che, per mezzo suo, diventa anche politicamente dominante e così acquista un nuovo strumento per tenere sottomessa e per sfruttare la classe oppressa"...Non solo lo Stato antico e lo Stato feudale erano organi deIlo sfruttamento degli schiavi e dei servi, ma anche "lo Stato rappresentativo moderno è lo strumento per lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale. Eccezionalmente tuttavia, vi sono dei periodi in cui le classi in lotta hanno forze pressoché eguali, cosicchè il potere statale, in qualità di apparente mediatore, momentaneamente acquista una certa autonomia di fronte ad entrambe". Così la monarchia assoluta dei secoli decimosettimo e decimottavo, il bonapartismo del primo e del secondo Impero in Francia, Bismarck in Germania. Così aggiungiamo noi, il governo di Kerenski nella Russia repubblicana, dopo ch'esso è passato alle persecuzioni contro il proletariato rivoluzionario nel momento in cui i Soviet sono già impotenti per causa dei loro dirigenti piccolo-borghesi, e la borghesia non è ancora abbastanza forte per scioglierli senz'altro. Nella repubblica democratica - continua Engels - "la ricchezza esercita il suo potere indirettamente, ma in maniera tanto più sicura", in primo luogo con la "corruzione diretta dei funzionari" (America), in secondo luogo con "l'alleanza tra governo e Borsa" (Francia e America). Nel momento attuale, l'imperialismo e il dominio delle banche "hanno sviluppato" sino a farne un'arte raffinata, in qualsiasi repubblica democratica, questi due metodi di difesa e di realizzazione dell'onnipotenza della ricchezza. Se, per esempio, fin dai primi mesi della repubblica democratica in Russia, durante, per così dire, la luna di miele del connubio dei "socialisti" - socialisti-rivoluzionari e menscevichi - con la borghesia nel governo di coalizione, il signor Palcinski ha sabotato tutti i provvedimenti tendenti a frenare i capitalisti e la loro speculazione, il saccheggio da parte loro dell'erario mediante le forniture militari; se in seguito il signor Palcinski, uscito dal ministero (e naturalmente sostituito da una altro Palcinski del suo stesso stampo), è stato "gratificato" dai capitalisti di una piccola sinecura con uno stipendio di centoventimila rubli all'anno, - che cosa è questo? corruzione diretta o indiretta? alleanza del governo con le organizzazioni dei capitalisti o "semplicemente" relazioni di buona amicizia? Quale funzione hanno i Cernov e gli Tsereteli, gli Avksentiev e gli Skobelev? Sono alleati "diretti", o soltanto indiretti, dei milionari concussionari? L'onnipotenza della "ricchezza" è, in una repubblica democratica, tanto più sicura in quanto non dipende da un cattivo involucro politico del capitalismo. La repubblica democratica è il migliore involucro politico possibile per il capitalismo; per questo il capitale, dopo essersi impadronito (grazie ai Palcinski, ai Cernov, agli Tsereteli e consorti) di questo involucro - che è il migliore - fonda il suo potere in modo talmente saldo, talmente sicuro, che nessun cambiamento, né di persone, né di istituzioni, né di partiti nell'ambito della repubblica democratica borghese può scuoterlo. Bisogna ancora rilevare che Engels definisce in modo categorico il suffragio universale come uno strumento di dominio della borghesia. Il suffragio universale, egli dice, tenendo evidentemente conto della lunga esperienza della socialdemocrazia tedesca, è: "la misura della maturità della classe operaia. Più non può né potrà mai essere nello Stato odierno". I democratici piccolo-borghesi, sul tipo dei nostri socialistirivoluzionari e dei nostri menscevichi, come i loro fratelli, tutti i socialsciovinisti e opportunisti dell'Europa occidentale, aspettano dal suffragio universale proprio qualche cosa "di più". Essi condividono e inculcano nel popolo la falsa concezione che il suffragio universale possa "nello Stato odierno" esprimere realmente la volontà della maggioranza dei lavoratori e assicurarne la realizzazione. Noi possiamo qui soltanto rilevare che questa concezione è falsa e far notare che l'affermazione chiara, precisa e concreta di Engels è ad ogni passo travisata nella propaganda e nell'agitazione dei partiti socialisti "ufficiali" (cioè opportunisti). Dimostreremo in modo particolareggiato quanto sia falsa la concezione che Engels qui respinge, esponendo più avanti le teorie di Marx e di Engels sullo Stato odierno. Nella sua opera più popolare, Engels dà un riassunto conclusivo delle sue concezioni con le parole seguenti: "Lo Stato non esiste dunque dall'eternità. Vi sono state società che ne hanno fatto a meno e che non avevano alcuna idea di Stato e di potere statale. In un determinato grado dello sviluppo economico, necessariamente legato alla divisione della società in classi, proprio a causa di questa divisione lo Stato è diventato una necessità. Ci avviciniamo ora, a rapidi passi, ad uno stadio di sviluppo della produzione nel quale la esistenza di queste classi non solo ha cessato di essere una necessità ma diventa un ostacolo effettivo alla produzione. Perciò esse cadranno così ineluttabilmente come sono sorte. Con esse cadrà ineluttabilmente lo Stato. La società, che riorganizza la produzione in base a una libera ed eguale associazione di produttori, relega l'intera macchina statale nel posto che da quel momento le spetta, cioè nel museo delle antichità accanto alla rocca per filare e all'ascia di bronzo". Questa citazione non accade di incontrarla spesso nella letteratura di propaganda e di agitazione della socialdemocrazia contemporanea. E quando la si ricorda, lo si fa per lo più come se ci si volesse genuflettere davanti a un'icona, per rendere cioè ufficialmente omaggio a Engels, senza il minimo tentativo di riflettere sull'ampiezza e la profondità della rivoluzione che è presupposta in questo "relegare l'intera macchina statale nel museo delle antichità". Il più delle volte non si arriva neppure a comprendere ciò che Engels intende per macchina dello Stato. 4. L'"estinzione" dello Stato e la rivoluzione violenta Le parole di Engels sull'"estinzione" dello Stato godono di una così larga notorietà, sono così spesso citate, mettono così bene in rilievo l'essenza stessa della falsificazione abituale del marxismo acconciato alla maniera opportunista, che è necessario soffermarsi su di esse in modo particolare. Citiamo tutto il passo da cui sono tratte: "Il proletariato si impadronisce del potere dello Stato e anzitutto trasforma i mezzi di produzione in proprietà dello Stato. Ma così sopprime se stesso come proletariato, sopprime ogni differenza di classe e ogni antagonismo di classe e sopprime anche lo Stato come Stato. La società esistita sinora, muoventesi sul piano degli antagonismi di classe, aveva necessità dello Stato, cioè di una organizzazione della classe sfruttatrice in ogni periodo, per conservare le condizioni esterne della sua produzione e quindi specialmente per tener con la forza la classe sfruttata nelle condizioni di oppressione date dal modo vigente di produzione (schiavitù, servitù della gleba, semiservitù feudale, lavoro salariato). Lo Stato era il rappresentante ufficiale di tutta la società, la sua sintesi in un corpo visibile, ma lo era in quanto era lo Stato di quella classe che per il suo tempo rappresentava, essa stessa, tutta quanta la società: nell'antichità era lo Stato dei cittadini padroni di schiavi, nel medioevo lo Stato della nobiltà feudale, nel nostro tempo lo Stato della borghesia. Ma, diventando alla fine effettivamente il rappresentante di tutta la società, si rende, esso stesso, superfluo. Non appena non ci sono più classi sociali da mantenere nell'oppressione, non appena con l'eliminazione del dominio di classe e della lotta per l'esistenza individuale fondata sull'anarchia della produzione sinora esistente, saranno eliminati anche le collisioni e gli eccessi che sorgono da tutto ciò, non ci sarà da reprimere più niente di ciò che rendeva necessaria una forza repressiva particolare, uno Stato. Il primo atto con cui lo Stato si presenta realmente come rappresentante di tutta la società, cioè la presa di possesso di tutti i mezzi di produzione in nome della società, è ad un tempo l'ultimo suo atto indipendente in quanto Stato. L'intervento di una forza statale nei rapporti sociali diventa superfluo successivamente in ogni campo e poi viene meno da se stesso. Al posto del governo sulle persone appare l'amministrazione delle cose e la direzione dei processi produttivi. Lo Stato non viene " abolito": esso si estingue. Questo è l'apprezzamento che deve farsi della frase "Stato popolare libero", tanto quindi per la sua giustificazione temporanea in sede di agitazione, quanto per la sua definitiva insufficienza in sede scientifica; e questo è del pari l'apprezzamento che deve farsi dell'esigenza dei cosiddetti anarchici che lo Stato debba essere abolito dall'oggi al domani" ( Antidühring. [La scienza sovvertita dal signor Eugenio Dühring], pp. 302-303, terza ed. tedesca, 1894). Si può dire senza timore di sbagliare che di tutto questo ragionamento di Engels, straordinariamente ricco di idee, i partiti socialisti di oggi non hanno veramente acquisito nel loro pensiero che la formula secondo cui, per Marx, lo Stato "si estingue", in contrapposizione alla dottrina anarchica dell'"abolizione" dello Stato. Amputare in tal modo il marxismo vuol dire ridurlo all'opportunismo, poichè, dopo una tale "interpretazione" non rimane che il concetto vago di un cambiamento lento, uguale, graduale, senza sussulti né tempeste, senza rivoluzione. La "estinzione" dello Stato nel concetto corrente, generalmente diffuso, di massa, se così si può dire, è senza dubbio la scomparsa, se non la negazione, della rivoluzione. Ebbene, questa "interpretazione" è la piu grossolana deformazione del marxismo, utile solo alla borghesia, ed è teoricamente possibile solo se si trascurano i principali elementi e, per esempio, gli argomenti indicati nello stesso ragionamento "conclusivo" di Engels che abbiamo citato per esteso. Primo. Proprio al principio del suo ragionamento Engels dice che il proletariato, impadronendosi del potere sopprime con ciò "Lo Stato in quanto Stato". Riflettere sul significato di questa frase è cosa che "non entra nelle abitudini". Per lo più o si trascura completamente questo pensiero o vi si vede una specie di "debolezza hegeliana" di Engels. In realtà, in queste parole è espressa in forma incisiva l'esperienza di una delle più grandi rivoluzioni proletarie, l'esperienza della Comune di Parigi del 1871, di cui parleremo a lungo più avanti. In realtà, Engels parla qui di "soppressione" dello Stato della borghesia per opera della rivoluzione proletaria, mentre ciò ch'egli dice sull'estinzione dello Stato riguarda i resti dello Stato proletario che sussisteranno dopo la rivoluzione socialista. Lo Stato borghese, secondo Engels, non "si estingue"; esso viene "soppresso" dal proletariato nel corso della rivoluzione. Ciò che si estingue dopo questa rivoluzione, è lo Stato proletario o semi-Stato. Secondo. Lo Stato è una "forza repressiva particolare". Questa definizione di Engels, meravigliosa e in sommo grado profonda, è qui enunciata con perfetta chiarezza. E ne deriva che questa "forza repressiva particolare" del proletariato da parte della borghesia, di milioni di lavoratori da parte di un pugno di ricchi, deve essere sostituita da una "forza repressiva particolare" della borghesia da parte del proletariato (dittatura del proletariato). In ciò appunto consiste "la soppressione dello Stato in quanto Stato". In ciò consiste 1'"atto" della presa di possesso dei mezzi di produzione in nome della società. E' ovvio che questa sostituzione di una "forza particolare" (quella della borghesia) con un'altra "forza particolare" (quella del proletariato), non può avvenire nella forma di "estinzione". Terzo. Questa "estinzione", o, per parlare con più risalto e più colore, questo "assopimento", Engels lo riferisce in modo chiaro ed evidente al periodo che segue "la presa di possesso di tutti i mezzi di produzione in nome della società", cioè al periodo che segue la rivoluzione socialista. E' noto a tutti noi che la forma politica dello "Stato" in tale momento è la democrazia più completa. Ma a nessuno degli opportunisti che snaturano sfrontatamente il marxismo viene in mente che qui si tratta quindi, in Engels, dell'"assopimento" e dell'"estinzione" della democrazia. A prima vista ciò pare molto strano; ma è "incomprensibile" soltanto per chi non ricordi che anche la democrazia è uno Stato e che anch'essa, quindi, scompare quando scompare lo Stato. Solo la rivoluzione può "sopprimere" lo Stato borghese. Lo Stato in generale, cioè la democrazia più completa, non può che "estinguersi". Quarto. Enunciando la sua celebre tesi: "Lo Stato si estingue", Engels si affretta a precisare che essa è diretta e contro gli opportunisti e contro gli anarchici. Inoltre da Engels è posta in primo piano quella conclusione dalla tesi sull'"estinzione dello Stato" che è diretta contro gli opportunisti. Si può scommettere che su diecimila persone che hanno letto o hanno sentito parlare dell'"estinzione" dello Stato, novemilanovecentonovanta ignorano assolutamente o hanno dimenticato che Engels dirigeva le conclusioni di questa tesi non soltanto contro gli anarchici. E sulle dieci che restano, ce ne sono certamente nove che non sanno che cosa sia "lo Stato popolare libero", e perchè mai nell'attacco contro questa parola d'ordine è contenuto un attacco contro gli opportunisti. Così si scrive la storia! Così si altera in sordina la grande dottrina rivoluzionaria accomodandola alla maniera del filisteismo dominante. La conclusione contro gli anarchici è stata mille volte ripetuta, banalizzata, conficcata nel modo più semplicista nei cervelli e ha acquistato la tenacia di un pregiudizio. E la conclusione contro gli opportunisti è stata messa in ombra e "dimenticata "! Lo "Stato popolare libero" era una rivendicazione programmatica, una parola d'ordine corrente dei socialdemocratici tedeschi degli anni 1870-1880. In questa parola d'ordine non v'è alcun contenuto politico salvo una pomposa enunciazione piccolo-borghese della nozione di democrazia. In quanto essa faceva legalmente allusione alla repubblica democratica, Engels era disposto a "giustificarla" "temporaneamente" dal punto di vista dell'agitazione. Ma questa parola d'ordine era opportunista, non soltanto perchè imbelliva la democrazia borghese, ma anche perchè esprimeva l'incomprensione della critica socialista di ogni Stato in generale. Noi siamo per la repubblica democratica, in quanto essa è, in regime capitalista, la forma migliore di Stato per il proletariato, ma non abbiamo il diritto di dimenticare che la sorte riservata al popolo, anche nella più democratica delle repubbliche borghesi, è la schiavitù salariata. Proseguiamo. Ogni Stato è una "forza repressiva particolare" della classe oppressa. Quindi uno Stato, qualunque esso sia, non è libero e non è popolare. Marx ed Engels l'hanno spiegato cento volte ai loro compagni di partito negli anni 1870-1880. Quinto. La stessa opera di Engels, in cui si trova il ragionamento sull'estinzione dello Stato che tutti ricordano, contiene anche una considerazione sul significato della rivoluzione violenta. La valutazione storica della sua funzione si trasforma in Engels in un vero panegirico della rivoluzione violenta. Nessuno "se ne ricorda"; nei partiti socialisti contemporanei non usa parlare dell'importanza di questa idea e nemmeno pensarvi; nella propaganda e nell'agitazione quotidiana fra le masse queste idee non trovano nessun posto. Eppure esse sono indissolubilmente legate all'idea dell'"estinzione" dello Stato, con la quale formano un tutto. Ecco questa considerazione di Engels: "...che la violenza abbia nella società ancora un'altra funzione [oltre al male che essa produce], una funzione rivoluzionaria, che essa, secondo le parole di Marx, sia la levatrice di ogni vecchia società gravida di una nuova, che essa sia lo strumento con cui si compie il movimento della società, e che infrange forme politiche irrigidite e morte, di tutto questo nel sig. Dühring non si trova neanche una parola. Solo con sospiri e con gemiti egli ammette la possibilità che per abbattere l'economia dello sfruttamento sarà forse necessaria la violenza...purtroppo! Infatti [secondo Dühring] ogni uso di violenza demoralizza colui che la usa. E questo di fronte all'elevato slancio morale e intellettuale che è stato il risultato di ogni rivoluzione vittoriosa! E questo in Germania, dove una violenta collisione, che potrebbe anche essere imposta al popolo, avrebbe almeno il vantaggio di estirpare lo spirito servile che, a causa dell' avvilimento conseguente alla guerra dei trenta anni, ha permeato la coscienza nazionale. E questa mentalità da predicatore, fiacca, insipida e impotente, ha la pretesa di imporsi al partito più rivoluzionario che la storia conosca?" (p. 193, terza ed. tedesca, fine del 4° capitolo, II parte). Come unire nella stessa dottrina questo panegirico della rivoluzione violenta, tenacemente presentato da Engels ai socialdemocratici tedeschi dal 1878 al 1894, cioè fino alla sua morte, e la teoria dell' "estinzione" dello Stato? Di solito li si unisce con un procedimento eclettico, ricorrendo senza criterio e in modo sofistico, arbitrariamente (o per compiacere ai detentori del potere), ora all'uno, ora all'altro di questi ragionamenti, e novantanove volte su cento, se non di più, è precisamente 1'"estinzione" che è messa in primo piano. L'eclettismo è sostituito alla dialettica; nei confronti del marxismo questa è la cosa più consueta, più frequente nella letteratura socialdemocratica ufficiale dei nostri giorni. Questa sostituzione non è certo una novità; si potè osservarla persino nella storia della filosofia greca classica. Nella falsificazione opportunista del marxismo, la falsificazione eclettica della dialettica inganna con più facilità le masse, dà loro una apparente soddisfazione, finge di tener conto di tutti gli aspetti del processo di tutte le tendenze dello sviluppo e di tutte le influenze contraddittorie ecc., ma in realtà non dà alcuna nozione completa e rivoluzionaria del processo di sviluppo della società. Abbiamo già detto prima, e lo dimostreremo in modo più particolareggiato nel seguito della nostra argomentazione, che la dottrina di Marx e di Engels sulla necessità della rivoluzione violenta si riferisce allo Stato borghese. Questo non può essere sostituito dallo Stato proletario (dittatura del proletariato) per via di "estinzione"; può esserlo unicamente, come regola generale, per mezzo della rivoluzione violenta. Il panegirico con cui Engels esalta la rivoluzione violenta concorda pienamente con le numerose dichiarazioni di Marx (ricordiamo la conclusione della Miseria della filosofia e del Manifesto del Partito comunista che proclama fieramente e categoricamente l'ineluttabilità della rivoluzione violenta; ricordiamo la critica del programma di Gotha nel 1875, circa trent'anni più tardi, dove Marx flagella implacabilmente l'opportunismo di questo programma). Questo panegirico non è per nulla effetto di una "infatuazione", né una declamazione, né una trovata polemica. La necessità di educare sistematicamente le masse in questa - e precisamente in questa - idea della rivoluzione violenta, è alla base di tutta la dottrina di Marx e di Engels. Il tradimento della loro dottrina perpetrato dalle tendenze socialsciovinista e kautskiana oggi dominanti si esprime con particolare rilievo nell'oblio di questa propaganda, di questa agitazione da parte dell'una e dell'altra. La sostituzione dello Stato proletario allo Stato borghese non è possibile senza rivoluzione violenta. La soppressione dello Stato proletario, cioè la soppressione di ogni Stato, non è possibile che per via di "estinzione". Marx ed Engels svilupparono queste concezioni in modo particolareggiato e concreto, studiando ogni situazione rivoluzionaria particolare, analizzando gli insegnamenti forniti dall'esperienza di ogni rivoluzione. Passiamo a questa parte, - indubbiamente la più importante, - della loro dottrina. II. Lo Stato e la rivoluzione. L'esperienza del 1848-1851 1. La vigilia della rivoluzione Le prime opere del marxismo giunto a maturità, la Miseria della filosofia e il Manifesto del Partito comunista, appartengono appunto al periodo che precede immediatamente la rivoluzione del 1848. Grazie a questa circostanza, noi troviamo in esse, in una certa misura, accanto all'esposizione dei princípi generali del marxismo, un riflesso della situazione rivoluzionaria concreta di quel tempo; conviene quindi, io credo, studiare ciò che gli autori di queste opere dicono dello Stato, immediatamente prima di esporre le loro conclusioni sull'esperienza degli anni 1848-1851. " ...La classe lavoratrice scrive Marx nella Miseria della filosofia - sostituirà, nel corso del suo sviluppo, all'antica società civile un'associazione che escluderà le classi e il loro antagonismo, e non vi sarà più potere politico propriamente detto, poiché il potere politico è precisamente il riassunto ufficiale dell'antagonismo [delle classi] nella società civile" (p. 182, ed. tedesca, 1885). E' istruttivo mettere a confronto questa esposizione generale dell'idea della scomparsa dello Stato dopo l'abolizione delle classi con l'esposizione fattane nel Manifesto del Partito comunista, scritto da Marx e da Engels alcuni mesi più tardi, cioè nel novembre del 1847. "...Tratteggiando le fasi più generali dello sviluppo del proletariato, abbiamo seguito la guerra civile più o meno occulta entro la società attuale fino al momento in cui essa esplode in una rivoluzione aperta, e col rovesciamento violento della borghesia il proletariato stabilisce il suo dominio... "...Abbiamo già visto sopra come il primo passo nella rivoluzione operaia sia l'elevarsi del proletariato a classe dominante, la conquista della democrazia. "Il proletariato si servirà della sua supremazia politica per strappare alla borghesia, a poco a poco, tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, vale a dire del proletariato stesso organizzato come classe dominante, e per aumentare, con la massima rapidità possibile, la massa delle forze produttive" (pp. 31 e 37, settima edizione tedesca, 1906). Vediamo qui formulata una delle più notevoli e importanti idee del marxismo a proposito dello Stato, l'idea della "dittatura del proletariato" ( espressione che Marx ed Engels cominciano ad usare dopo la Comune di Parigi) vi troviamo in seguito una definizione dello Stato del più alto interesse e che fa anch'essa parte delle "parole dimenticate" del marxismo: "lo Stato, vale a dire il proletariato organizzato come classe dominante". Stalin Questa definizione dello Stato non solo non è mai stata commentata nella letteratura di propaganda e di agitazione che predomina nei partiti socialdemocratici ufficiali. Peggio ancora, essa è stata dimenticata appunto perché è assolutamente inconciliabile col riformismo e perché contrasta in modo irriducibile con i pregiudizi opportunistici abituali e con le illusioni piccolo-borghesi sullo "sviluppo pacifico della democrazia". Il proletariato ha bisogno di uno Stato, ripetono tutti gli opportunisti, i socialsciovinisti e i kautskiani, assicurando che questa è la dottrina di Marx, ma "dimenticando" di aggiungere che innanzi tutto il proletariato, secondo Marx, ha bisogno unicamente di uno Stato in via di estinzione, organizzato cioè in modo tale che cominci subito ad estinguersi, e non possa non estinguersi. E, in secondo luogo, che i lavoratori hanno bisogno dello "Stato", "cioè del proletariato organizzato come classe dominante". Lo Stato è un'organizzazione particolare della forza, è l'organizzazione della violenza destinata a reprimere una certa classe. Qual è, dunque, la classe che il proletariato deve reprimere? Evidentemente una sola: la classe degli sfruttatori, vale a dire la borghesia. I lavoratori hanno bisogno dello Stato solo per reprimere la resistenza degli sfruttatori, e solo il proletariato è in grado di dirigere e di attuare questa repressione, perché il proletariato è la sola classe rivoluzionaria fino in fondo, la sola classe capace di unire tutti i lavoratori e tutti gli sfruttati nella lotta contro la borghesia, per soppiantarla completamente. Le classi sfruttatrici hanno bisogno del dominio politico per il mantenimento dello sfruttamento, vale a dire nell'interesse egoistico di un'infima minoranza contro l'immensa maggioranza del popolo. Le classi sfruttate hanno bisogno del dominio politico per sopprimere completamente ogni sfruttamento, vale a dire nell'interesse dell'immensa maggioranza del popolo, contro l'infima minoranza dei moderni schiavisti: i proprietari fondiari e i capitalisti. I democratici piccolo-borghesi, questi sedicenti socialisti che hanno sostituito alla lotta delle classi le loro fantasticherie sull'intesa fra le classi, si sono rappresentati anche la trasformazione socialista come una fantasticheria; non come l'abbattimento del dominio della classe sfruttatrice, ma come la sottomissione pacifica della minoranza alla maggioranza, consapevole dei propri compiti. Questa utopia piccolo-borghese, indissolubilmente legata al riconoscimento di uno Stato al di sopra delle classi, praticamente non ha portato ad altro che al tradimento degli interessi delle classi lavoratrici, come è stato provato, per esempio, dalla storia delle rivoluzioni francesi del 1848 e del 1871, come è stato provato dall'esperienza della partecipazione "socialista" ai ministeri borghesi in Inghilterra, in Francia, in Italia e altrove alla fine del secolo decimonono e all'inizio del secolo ventesimo. Marx lottò tutta la vita contro un tale socialismo piccolo-borghese, risuscitato oggi in Russia dai partiti socialista-rivoluzionario e menscevico. Marx sviluppò la dottrina della lotta di classe in modo coerente, ricavando da essa la dottrina del potere politico, dello Stato. L'abbattimento del dominio borghese è possibile soltanto ad opera del proletariato, come classe particolare, preparata a questo rovesciamento dalle proprie condizioni economiche di esistenza che gli danno la possibilità e la forza di compierlo. Mentre la borghesia fraziona, disperde la classe contadina e tutti gli strati piccolo-borghesi, essa concentra, raggruppa e organizza il proletariato. Grazie alla sua funzione economica nella grande produzione, solo il proletariato è capace di essere la guida di tutti i lavoratori e di tutte le masse sfruttate, che la borghesia spesso sfrutta, opprime, schiaccia non meno e anche più dei proletari, ma che sono incapaci di lottare indipendentemente per la loro emancipazione. La dottrina della lotta di classe, applicata da Marx allo Stato e alla rivoluzione socialista, porta necessariamente a riconoscere il dominio politico del proletariato, la sua dittatura, il potere cioè ch'esso non divide con nessuno e che si appoggia direttamente sulla forza armata delle masse. L'abbattimento della borghesia non è realizzabile se non attraverso la trasformazione del proletariato in classe dominante, capace di reprimere la resistenza inevitabile, disperata della borghesia, di organizzare per un nuovo regime economico tutte le masse lavoratrici e sfruttate. Il potere statale, l'organizzazione centralizzata della forza, l'organizzazione della violenza, sono necessari al proletariato sia per reprimere la resistenza degli sfruttatori, sia per dirigere l'immensa massa della popolazione - contadini, piccola borghesia, semiproletariato - nell' opera di "avviamento" dell'economia socialista. Educando il partito operaio, il marxismo educa una avanguardia del proletariato, capace di prendere il potere e di condurre tutto il popolo al socialismo, capace di dirigere e di organizzare il nuovo regime, d'essere il maestro, il dirigente, il capo di tutti i lavoratori, di tutti gli sfruttati, nell'organizzazione della loro vita sociale senza la borghesia e contro la borghesia. L'opportunismo oggi dominante educa invece il partito operaio in modo da farne il rappresentante dei lavoratori meglio retribuiti, che si staccano dalle masse, "si sistemano" abbastanza comodamente nel regime capitalistico e vendono per un piatto di lenticchie il loro diritto di primogenitura, rinunciando cioè alla loro funzione di guida rivoluzionaria del popolo nella lotta contro la borghesia. "Lo Stato, vale a dire il proletariato organizzato come classe dominante", - questa teoria di Marx è indissolubilmente legata a tutta la sua dottrina sulla funzione rivoluzionaria del proletariato nella storia. Questa funzione culmina nella dittatura proletaria, nel dominio politico del proletariato. Ma se il proletariato ha bisogno dello Stato in quanto organizzazione particolare della violenza contro la borghesia, ne scaturisce spontaneamente la conclusione: la creazione di una tale organizzazione è concepibile senza che sia prima annientata, distrutta la macchina dello Stato che la borghesia ha creato per sé? Il Manifesto del Partito comunista conduce direttamente a questa conclusione, ed è di questa conclusione che Marx parla quando fa il bilancio dell'esperienza della rivoluzione del 1848-l851. 2. Il bilancio di una rivoluzione Sul problema dello Stato che ci interessa, Marx, nella sua opera Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, fa con questo ragionamento il bilancio dei risultati della rivoluzione del 1848-l851. "...Ma la rivoluzione va fino al fondo delle cose. Sta ancora attraversando il purgatorio. Lavora con metodo. Fino al 2 dicembre [1851]" (data del colpo di Stato di Luigi Bonaparte) "non ha condotto a termine che la prima metà della sua preparazione; ora sta compiendo l'altra metà. Prima ha elaborato alla perfezione il potere parlamentare, per poterlo rovesciare. Ora che ha raggiunto questo risultato, essa spinge alla perfezione il potere esecutivo, lo riduce alla sua espressione più pura, lo isola, si leva di fronte ad esso come l'unico ostacolo, per concentrare contro di esso tutte le sue forze di distruzione" ( il corsivo è nostro). "E quando la rivoluzione avrà condotto a termine questa seconda metà del suo lavoro preparatorio, l'Europa balzerà dal suo seggio e griderà: Ben scavato, vecchia talpa! "Questo potere esecutivo, con la sua enorme organizzazione burocratica e militare, col suo meccanismo statale complicato e artificiale, con un esercito di impiegati di mezzo milione accanto a un altro esercito di mezzo milione di soldati, questo spaventoso corpo parassitario che avvolge come un involucro il corpo della società francese e ne ostruisce tutti i pori, si costituì nel periodo della monarchia assoluta, al cadere del sistema feudale, la cui caduta aiutò a rendere più rapida." La prima rivoluzione francese sviluppò la centraIizzazione, "e in pari tempo dovette sviluppare l'ampiezza, gli attributi e gli strumenti del potere governativo. Napoleone portò alla perfezione questo meccanismo delIo Stato. La monarchia legittima e la monarchia di luglio non vi aggiunsero nulla, eccetto una più grande divisione del lavoro... " ...La repubblica parlamentare, infine, si vide costretta a rafforzare nella sua lotta contro la rivoluzione, assieme alle misure di repressione, gli strumenti e la centralizzazione del potere dello Stato. Tutti i rivolgimenti politici non fecero che perfezionare questa macchina, invece di spezzarla" (il corsivo è nostro). "I partiti che successivamente lottarono per il potere considerarono il possesso di questo enorme edificio dello Stato come il bottino principale del vincitore" (Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, pp. 98-99, quarta ed. tedesca, Amburgo, 1907). In questo ammirevole ragionamento il marxismo fa un grandissimo passo in avanti in confronto al Manifesto del Partito comunista. Il problema dello Stato nel Manifesto era posto in modo ancora troppo astratto, in nozioni e termini dei più generici. Qui il problema è posto concretamente e la conclusione è estremamente precisa, ben definita, praticamente tangibile: tutte le rivoluzioni precedenti non fecero che perfezionare la macchina dello Stato, mentre bisogna spezzarla, demolirla. Questa conclusione è la cosa principale, essenziale della dottrina marxista sullo Stato. E appunto questa cosa essenziale non solo è stata completamente dimenticata dai partiti socialdemocratici ufficiali dominanti, ma è stata perfino snaturata (come vedremo) dal più eminente teorico della Seconda Internazionale, K. Kautsky. Nel Manifesto del Partito comunista si ricavano gli insegnamenti generali della storia; questi insegnamenti ci mostrano lo Stato come l'organo del dominio di una classe e ci portano a questa necessaria conclusione: il proletariato non potrebbe rovesciare la borghesia senza aver prima conquistato il potere politico, senza essersi assicurato il dominio politico, senza trasformare lo Stato in "proletariato organizzato come classe dominante"; e questo Stato proletario comincerà ad estinguersi subito dopo la sua vittoria, poichè lo Stato è inutile ed impossibile in una società senza antagonismi di classe. Il problema di determinare in che cosa consista - dal punto di vista dello sviluppo storico - questa sostituzione dello Stato proletario allo Stato borghese qui non è posto. Proprio questo è il problema che Marx pone e risolve nel 1852. Fedele alla sua filosofia, il materialismo dialettico, Marx prende come base l'esperienza storica dei grandi anni rivoluzionari 1848-l851. Qui, come sempre, la dottrina di Marx è il bilancio di un'esperienza, bilancio illuminato da una profonda concezione filosofica del mondo e da una vasta conoscenza della storia. Il problema dello Stato si pone in modo concreto: come è sorto storicamente lo Stato borghese, la macchina statale necessaria al dominio della borghesia ? Quali trasformazioni, quali evoluzioni ha subito nel corso delle rivoluzioni borghesi e di fronte ai movimenti autonomi delle classi oppresse? Quali sono i compiti del proletariato rispetto a questa macchina statale ? Il potere statale centralizzato, proprio della società borghese, apparve nel periodo della caduta dell'assolutismo. Le due istituzioni più caratteristiche di questa macchina statale sono: la burocrazia e l'esercito permanente. Marx ed Engels parlano molte volte, nelle loro opere, dei mille legami che collegano queste istituzioni appunto con la borghesia. L'esperienza acquisita da ogni lavoratore gli spiega in modo estremamente evidente e convincente questi legami. La classe operaia impara a conoscerli a proprie spese. Per questo essa afferra con tanta facilità ed assimila così bene la scienza che afferma l'ineluttabilità di questi legami, scienza che i democratici piccolo-borghesi negano per ignoranza o per leggerezza, quando non abbiano la leggerezza ancora maggiore di ammetterla "in generale", trascurando però di trarne le corrispondenti conclusioni pratiche. La burocrazia e l'esercito permanente sono dei "parassiti" sul corpo della società borghese, parassiti generati dalle contraddizioni interne che dilaniano questa società, ma parassiti appunto che ne "ostruiscono" i pori vitali. L'opportunismo kautskiano, oggi prevalente nella socialdemocrazia ufficiale, ritiene che questa concezione dello Stato, considerato come organismo parassitario, sia propria degli anarchici, ed esclusivamente degli anarchici. Questa deformazione del marxismo è certo, estremamente vantaggiosa ai piccoli borghesi che hanno portato il socialismo all'inaudita vergogna di giustificare e di imbellire la guerra imperialistica applicandole il concetto di "difesa della patria", ma rimane tuttavia una deformazione incontestabile. Questo apparato burocratico e militare si sviluppa, si perfeziona e si rafforza attraverso le numerose rivoluzioni borghesi di cui l'Europa è stata teatro dalla caduta del feudalesimo in poi. Tra l'altro, la piccola borghesia si lascia attrarre dalla parte della grande borghesia, ed è sottomessa a quest'ultima, in misura notevole proprio per mezzo di questo apparato che dà agli strati superiori dei contadini, dei piccoli artigiani, dei commercianti, ecc. impieghi relativamente comodi, tranquilli ed onorifici e che pongono i loro titolari al di sopra del popolo. Si pensi a quello che è avvenuto in sei mesi, dopo il 27 febbraio 1917, in Russia: i posti di funzionari, una volta riservati di preferenza agli ultrareazionari, sono divenuti il bottino dei cadetti, dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari. Non si è pensato, in fondo, a nessuna riforma seria; si è cercato di rinviare le riforme "fino all'Assemblea costituente", e di rinviare a poco a poco l'Assemblea costituente fino alla fine della guerra! Ma per la divisione del bottino, per l'attribuzione di sinecure ministeriali, di sottosegretariati di Stato, di posti di governatori generali, ecc. ecc. non si è perso tempo e non si è aspettata nessuna Assemblea costituente! Il giuoco delle combinazioni ministeriali non è stato, in fondo, che l'espressione di questa divisione e nuova spartizione del "bottino" alla quale si procede, dall'alto al basso, in tutto il paese, in tutte le amministrazioni centrali e locali. E' chiaro il risultato, il risultato obiettivo, dopo sei mesi - dal 27 febbraio al 27 agosto 1917 - di tutto ciò: le riforme sono rinviate, la spartizione degli impieghi è compiuta e gli "errori" commessi in questa spartizione sono stati corretti con qualche nuova spartizione. Ma più si procede a "nuove spartizioni" dell'apparato amministrativo fra i diversi partiti borghesi e piccolo-borghesi (cadetti. socialisti-rivoluzionari e menscevichi, se si prende l'esempio della Russia), e con maggiore evidenza appare alle classi oppresse, e al proletariato che ne è il capo, la loro ostilità irreducibile alla società borghese nel suo insieme. Di qui la necessità per tutti i partiti borghesi, anche i più democratici e "democratici rivoluzionari", di accentuare la repressione contro il proletariato rivoluzionario, di rafforzare l'apparato di coercizione, cioè questa stessa macchina statale. Questo corso degli avvenimenti obbliga perciò la rivoluzione a "concentrare tutte le sue forze di distruzione" contro il potere dello Stato; le impone il compito non di migliorare la macchina statale, ma di demolirla, di distruggerla. Non le deduzioni logiche, ma il corso reale degli avvenimenti, l'esperienza vissuta del 1848-1851, hanno condotto a porre il problema in questi termini. Fino a che punto Marx si attenga strettamente alla base reale della esperienza storica, è dimostrato dal fatto che nel 1852 egli non si domanda ancora in concreto che cosa si debba sostituire a questa macchina dello Stato che deve essere distrutta. L'esperienza non aveva allora fornito degli esempi che potessero far sorgere questa questione, che solo più tardi, nel 1871, la storia mise all'ordine del giorno. Nel 1852 si poteva unicamente constatare, con la precisione propria delle scienze naturali, che la rivoluzione proletaria affrontava il compito di "concentrare tutte le sue forze di distruzione" contro il potere dello Stato, il compito di "spezzare" la macchina statale. Si potrebbe a questo punto porre la domanda se sia giusto generalizzare l'esperienza, le osservazioni e le conclusioni Marx e applicarle a un campo più vasto della storia di tre anni della Francia: daI 1848 al 1851. Ricordiamo innanzi tutto, per analizzare la questione, un'osservazione di Engels. Passeremo poi all'esame dei fatti.

 
<- Indietro - Continua ->