Il « Credo » non fu inventato, ma fu pubblicato senza il consenso e
fors'anche contro la volontà dei suoi autori. In ogni caso, l'autore di
queste
righe, il quale contribuì a portare alla luce il nuovo « programma » *, subì
proteste e rimproveri perché un riassunto delle loro opinioni, abbozzato da
qualche oratore, era stato copiosamente diffuso, aveva ricevuto il titolo di
«
Credo » ed era stato persino stampato unitamente alla protesta contro di
esso. Ci riferiamo a questo episodio perché svela un curioso tratto
caratteristico del nostro economismo: la paura della pubblicità. E questa é
una caratteristica dell'economismo in generale e non soltanto degli autori
del « Credo » : essa si é manifestata nella Rabociaia Mysl, la più schietta
e
onesta partigiana dell'economismo, nel Raboceie Dielo (il quale si é
indignato
della pubblicazione dei documenti « economici » nel Vademecum70), nel
Comitato di Kiev, che due anni or sono non ha voluto autorizzare la
pubblicazione della sua Profession de foi71 insieme con la confutazione di
essa **, e in un grande numero di singoli rappresentanti dell'economismo.
* Si tratta della protesta dei diciassette contro il « Credo ». L'autore di
queste righe
prese parte alla redazione di questa protesta (fine del 1899)72. La protesta
fu pubblicata
all'estero insieme col « Credo » nella primavera del 1900 [cfr., nella
presente edizione, vol.
q, pp. 167-182]. Oggi si é appreso da un articolo della signora Kuskova (sul
Byloie, se
non erro) che essa fu l'autrice del « Credo » e che il signor Prokopovic
aveva una funzione
molto notevole tra gli economisti che allora erano all'estero. [Nota
dell'autore all'edizione
del 1907 (N. d. R.)].
** A quanto ci consta, la composizione del Comitato di Kiev da allora è
cambiata.
Questa paura della critica che si manifesta nei partigiani della libertà
di critica non può essere spiegata come un semplice artificio (benché a
volte
dell'artificio non possa fare a meno; sarebbe ingenuo presentare all'attacco
dell'avversario i primi ancor fragili germi di una nuova tendenza!). No, la
maggioranza degli economisti, con perfetta sincerità, non vede di buon
occhio (e, data la sostanza stessa dell'economismo, non può che vedere
malvolentieri) ogni discussione teorica, ogni dissenso di frazione, ogni
vasta
questione politica, ogni progetto di organizzare i rivoluzionari, ecc. «
Lasciamo tutto ciò all'estero! », mi diceva un giorno un economista
abbastanza conseguente, e in questo modo egli esprimeva la seguente
opinione molto diffusa (e puramente tradunionista): quel che ci interessa é
il
movimento operaio, sono le organizzazioni operaie del nostro paese, tutto il
resto non é che invenzione di dottrinari, « sopravvalutazione
dell'ideologia »,
come si esprimevano gli autori della lettera pubblicata nel n. 12
dell'Iskra,
all'unisono col n. 10 del Raboceie Dielo.
Ci si chiede ora: date queste particolarità della « critica » e del
bernsteinismo russi, in che doveva consistere il compito di chi voleva
11
combattere l'opportunismo a fatti e non soltanto a parole? Bisognava, prima
di tutto, preoccuparsi di riprendere quel lavoro teorico che era stato
appena
incominciato all'epoca del marxismo legale e che ricadeva di nuovo sui
militanti illegali; senza questo lavoro uno sviluppo reale del movimento era
impossibile. In secondo luogo, era necessario impegnare una lotta attiva
contro la « critica » legale, che pervertiva gli spiriti. In terzo luogo,
era
necessario insorgere vigorosamente contro la confusione e le esitazioni nel
movimento pratico, smascherando e respingendo tutti i tentativi di svilire
coscientemente o inconsciamente il nostro programma e la nostra tattica.
Il Raboceie Dielo, come é noto, non ha assolto né il primo, né il
secondo, né il terzo di questi compiti, e avremo più innanzi l'occasione di
chiarire particolareggiatamente questa verità sotto i diversi aspetti. Per
ora
vogliamo semplicemente dimostrare che esiste una flagrante contraddizione
tra la rivendicazione della « libertà di critica » e le particolarità della
critica
di casa nostra e dell'economismo russo. Si dia, infatti, uno sguardo alla
risoluzione con la quale I'« Unione dei socialdemocratici russi » all'estero
ha
confermato il punto di vista del Raboceie Dielo.
« Nell'interesse dell'ulteriore sviluppo ideologico della socialdemocrazia
noi pensiamo che la libertà di criticare la teoria socialdemocratica nella
letteratura di partito é cosa assolutamente necessaria, nella misura in cui
questa critica non contraddice al carattere dì classe e al carattere
rivoluzionario della teoria » (Due congressi, p. 10).
Si motiva questa risoluzione col fatto che « nella prima parte essa
coincide con la risoluzione del Congresso di Lubecca su Bernstein... ».
Nella
semplicità del loro cuore i membri dell'« Unione » non vedono nemmeno
quale testimonium paupertatis (certificato di povertà) essi stessi si
rilasciano
con questo plagio; « ma... nella seconda parte, essa pone alla libertà di
critica limiti più angusti di quelli posti dal Congresso di Lubecca ».
La risoluzione dell'« Unione » sarebbe, dunque, rivolta contro i
bernsteiniani russi? Altrimenti, sarebbe un'assurdità riferirsi a Lubecca!
Ma
è falso che essa « ponga limiti angusti alla libertà di critica ». Con la
risoluzione di Hannover i tedeschi hanno respinto punto per punto proprio
quegli emendamenti che Bernstein aveva presentato, e con quella di
Lubecca hanno dato un avvertimento a Bernstein personalmente, facendone
chiaramente il nome. I nostri « liberi » imitatori, invece, non indicano,
neppure con un accenno, nessuna delle particolari manifestazioni della «
critica » russa e dell'« economismo » russo. Cosicché la semplice allusione
al
carattere di classe e al carattere rivoluzionario della teoria lascia un
posto
molto più ampio alle interpretazioni sbagliate, soprattutto se l'« Unione »
si
rifiuta di considerare opportunismo il « cosiddetto economismo » (Due
congressi, p. 8). Ma ciò sia detto di sfuggita. L'essenziale è che le
posizioni
degli opportunisti rispetto ai socialdemocratici rivoluzionari sono in
12
Germania e in Russia diametralmente opposte. In Germania i
socialdemocratici rivoluzionari sono, com'è noto, per la conservazione di
ciò
che esiste: per il vecchio programma, la vecchia tattica, conosciuti da
tutti e
messi alla prova in tutti i particolari dall'esperienza di parecchi decenni.
I «
critici » vogliono invece introdurvi delle modificazioni, e poiché sono
un'infima minoranza e le loro tendenze revisioniste sono molto timide, i
motivi per cui la maggioranza si limita a respingere seccamente le loro «
innovazioni » sono comprensibili. Da noi, in Russia, « critici » ed
economisti
sono per la conservazione di ciò che esiste: i « critici » vogliono
continuare
ad essere considerati come dei marxisti e a godere della « libertà di
critica »
della quale hanno approfittato nel senso più ampio (perché in fondo essi
non hanno mai riconosciuto nessun legame di partito * e d'altra parte non
avevamo un organo riconosciuto da tutto il partito il quale potesse «
limitare
», almeno con dei consigli, la libertà di critica); gli economisti vogliono
che i
rivoluzionari riconoscano il « pieno diritto del movimento nell'ora
presente »
(Raboceie Dielo, n. 10,.P. 25), Cioè la « legittimità » dell'esistenza di
ciò che
esiste; che gli « ideologi » non cerchino di « far deviare » il movimento
dalla
strada « determinata dal giunco reciproco degli elementi materiali e
dell'ambiente materiale » (Lettera nel n. 72 dell'Iskra); che si riconosca
come
desiderabile condurre quella lotta « che gli operai possono condurre
soltanto
in circostanze determinate » e come possibile « quella che essi conducono
effettivamente nel momento presente» (Supplemento alla « Rabociaia Mysl »,
p. 14). Per contro, noi, socialdemocratici rivoluzionari, non siamo
soddisfatti
di questa sottomissione alla spontaneità, ossia a ciò che esiste « nel
momento presente ». Noi esigiamo la modificazione della tattica prevalsa in
questi ultimi anni; dichiariamo che « prima di unirsi, e per unirsi, é
necessario innanzi tutto definirsi risolutamente e nettamente » (annunzio
della pubblicazione dell'Iskra **. In una parola, i tedeschi rimangono sulle
posizioni esistenti e respingono ogni modificazione; noi esigiamo la
modificazione dell'attuale stato di cose respingendo la sottomissione e la
rassegnazione a ciò che esiste nel momento presente.
*Questa mancanza di un legame di partito aperto e riconosciuto e di una
tradizione
di partito rappresenta in sé una differenza così radicale tra la Russia e la
Germania, che
avrebbe dovuto mettere in guardia ogni socialista sensato contro 1'imi
tazione cieca. Ma
ecco un esempio che mostra &n dove arriva la libertà di critica in Russia.
Un russo, il
signor Bulgakov, fa una partaccia al critico austriaco Hertz: «Malgrado
tutta
l'indipendenza delle sue conclusioni, Hertz su questo punto [sulla
cooperazione] resta
evidentemente troppo attaccato alle opinioni del proprio partito, e, pur
dissentendo nei
particolari, non si decide ad abbandonare il principio generale»
(Capitalismo e
agricoltura, v. II, p. 287). Un suddito di uno Stato politicamente
asservito, dove il 999
per 1000 della popolazione é corrotto fino alle midolla dalla servitù
politica t dalla totale
incomprensione dell'onore di partito e del legame di partito, rimprovera
superbamente a
un cittadino di uno Stato costituzionale l'eccessivo x attaccamento alle
opinioni del
partito b! Alle nostre organizzazioni illegali non resta che incominciare a
scrivere delle
risoluzioni sulla libertà di critica...
** Cfr., nella presente edizione, vol. q, pp.. 353-364 (N.d.R.).
13
Ecco la « piccola » differenza di cui i nostri « liberi » copiatori di
risoluzioni tedesche non si sono neppure accorti.
d) Engels e l'importanza della lotta teorica
« Il dogmatismo, il dottrinarismo », « la fossilizzazione del partito sono
il
castigo inevitabile della violenta compressione del pensiero »: ecco i
nemici
contro i quali scendono in lizza i campioni della « libertà di critica » del
Raboceie Dielo. Siamo felicissimi che tale questione sia stata posta
all'ordine
del giorno; ma proporremmo di completarla con la seguente:
Chi sono i giudici?
Abbiamo innanzi a noi due annunzi di pubblicazioni: il programma del
Raboceie Dielo, organo del periodico dell'« Unione dei socialdemocratici
russi
» (tiratura speciale del n. 1 del Raboceie Dielo) e l'annuncio della ripresa
delle
edizioni del gruppo « Emancipazione del lavoro ». Entrambi hanno la data del
1899, epoca nella quale la « crisi del marxismo » era all'ordine del giorno
da
molto tempo. Eppure nella prima di queste pubblicazioni si cercherebbero
invano indicazioni sulla crisi stessa e un'esposizione precisa della
posizione
che conta di prendere il nuovo organo a questo riguardo. Dell'attività
teorica
e dei suoi compiti vitali nel momento attuale non dicono una parola né
questo programma, né le aggiunte approvate dal III Congresso dell'« Unione
» nel 1901 (Due congressi, pp. 15-18). In tutto questo periodo, la redazione
del Raboceie Dielo ha lasciato da parte le questioni teoriche, benché esse
appassionassero i socialdemocratici di tutto il mondo.
L'altra pubblicazione, al contrario, segnala innanzi tutto
l'indebolimento dell'interesse per la teoria durante questi ultimi anni,
esige
imperiosamente che sia data una « vigile attenzione al lato teorico del
movimento rivoluzionario del proletariato » ed esorta a una « critica
spietata
delle tendenze bernsteiniane e delle altre tendenze antirivoluzionarie »
esistenti nel nostro movimento. I numeri della Zarià finora pubblicati
dimostrano come sia stato eseguito questo programma.
Vediamo, dunque, che le grandi frasi contro la fossilizzazione del
pensiero, ecc. dissimulano in realtà l'indifferenza e l'impotenza nei
riguardi
dello sviluppo del pensiero teorico. L'esempio dei socialdemocratici russi
illustra in modo particolarmente chiaro il fenomeno, generale in Europa (e
da molto tempo segnalato anche dai marxisti tedeschi), che la famosa
libertà di critica non significa la sostituzione di una teoria con un'altra,
ma
significa libertà da ogni teoria coerente e ponderata, eclettismo e mancanza
di principi. Chiunque abbia una conoscenza anche limitata della situazione
di fatto del nostro movimento non può non vedere che la grande diffusione
del marxismo è stata accompagnata da un certo abbassamento del livello
teorico. Molta gente, la cui preparazione teorica era infima e persino
inesistente, ha aderito al movimento grazie alla sua importanza pratica e ai
suoi progressi pratici. Ognuno può dunque vedere quanto manchi di tatto il
14
Raboceie Dielo quando agita trionfalmente la frase di Marx: « Ogni passo del
movimento reale 'è più importante di una dozzina di programmi » 73.
Ripetere queste parole in un momento di sbandamento teorico, é come «
fare. dello spirito a un funerale ». Queste parole, d'altra parte, sono
estratte
dalla lettera sul programma di Gotha, nella quale Marx condanna
categoricamente l'eclettismo nell'enunciazione dei principi. Se é necessario
unirsi - scriveva Marx ai capi del partito - fate accordi allo scopo di
raggiungere i fini pratici del movimento, ma non fate commercio dei principi
e non fate « concessioni » teoriche. Questo era il pensiero di Marx, e fra
noi
si trova della gente che nel suo nome tenta di sminuire l'importanza della
teoria!
Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario.
Non si insisterà mai troppo su questo concetto in un periodo in cui la
predicazione opportunistica venuta di moda é accompagnata
dall'esaltazione delle forme più anguste di azione pratica. Ma per la
socialdemocrazia russa, in particolare, la teoria acquista un'importanza
ancora maggiore per le tre considerazioni seguenti, che sono spesso
dimenticate. Innanzi tutto, il nostro partito è ancora in via di formazione,
sta ancora definendo la sua fisionomia ed é ben lungi dell'aver saldato i
conti con le altre correnti del pensiero rivoluzionario, che minacciano di
far
deviare il movimento dalla giusta via. Anzi, proprio in questi ultimi anni
(come Axelrod già da molto tempo aveva predetto agli economisti) ci
troviamo di fronte ad una reviviscenza delle tendenze rivoluzionarie non
socialdemocratiche. In siffatte condizioni, un errore, che a prima vista
sembra « senza importanza », può avere le più deplorevoli conseguenze; e
bisogna essere ben miopi per giudicare inopportune e superflue le
discussioni di frazione e la rigorosa definizione delle varie tendenze. Dal
consolidarsi dell'una piuttosto che dell'altra « tendenza » può dipendere
per
lunghi anni l'avvenire della socialdemocrazia russa.
In secondo luogo, il movimento socialdemocratico é per la sua stessa
sostanza internazionale. Ciò non significa soltanto che dobbiamo
combattere lo sciovinismo nazionale. Significa anche che in un paese
giovane un movimento appena nato può avere successo solo se applica
l'esperienza degli altri paesi. Ma per applicarla non basta conoscerla o
limitarsi a copiare le ultime risoluzioni. Bisogna saper valutare
criticamente
e verificare da se stessi questa esperienza. Basta pensare quali passi
giganteschi ha fatto il movimento operaio contemporaneo e come si é
articolato per comprendere quale riserva di forze teoriche e di esperienza
politica (ed anche rivoluzionaria) sia necessaria per adempiere questo
compito.
In terzo luogo, i compiti nazionali della socialdemocrazia russa sono
tali, quali non si sono mai presentati a nessun altro partito socialista del
mondo. Vedremo in seguito quali doveri politici ed organizzativi ci impone
il
compito di liberare tutto il popolo dal giogo dell'autocrazia. Per il
momento
15
ci limiteremo a rilevare che solo un partito guidalo da una teoria di
avanguardia può adempiere la funzione di combattente di avanguardia. Ma
per raffigurarsi un po' più concretamente che cosa questo significhi,
ricordi
il lettore quei precursori della socialdemocrazia russa, che si chiamano
Herzen, Belinski, Cernyscevski e la brillante pleiade dei rivoluzionari
degli
anni settanta; rifletta all'importanza mondiale che la letteratura russa
acquista presentemente; pensi... ma basta così !
Ricordiamo le osservazioni di Engels (I874) sull'importanza della teoria
nel movimento socialdemocratico. Secondo Engels, esistono non due forme
della grande lotta socialdemocratica (politica ed economica) - come si pensa
abitualmente fra noi -, ma tre, ponendosi accanto a queste anche la lotta
teorica. La raccomandazione che egli fa al movimento operaio tedesco, già
rafforzatosi praticamente e politicamente, è talmente istruttiva, dal punto
di
vista delle questioni e discussioni attuali, che il lettore ci scuserà se
riportiamo il lungo brano seguente della prefazione all'opuscolo Der
deutsche Bauernkrieg * che é diventato da molto tempo una rarità
bibliografica eccezionale:
* Dritter Abdruck. Leipzig, 1875, Verlag der Genossenschaftsbuchdruckerei.
« Gli operai tedeschi hanno due vantaggi essenziali sugli operai del
resto dell'Europa. In primo luogo essi appartengono al popolo dell'Europa
più portato alla teoria ed hanno conservato il senso teorico, che i
cosiddetti
" uomini colti " della Germania hanno totalmente perduto. Senza il
precedente della filosofia tedesca e precisamente della filosofia di Hegel,
il
socialismo scientifico tedesco - l'unico socialismo scientifico che sia mai
esistito - non sarebbe mai nato. Se tra gli operai non ci fosse stato questo
senso teorico, il socialismo scientifico non si sarebbe mai cambiato in
sangue e carne in così grande misura come é effettivamente accaduto. E
quale incommensurabile vantaggio sia questo, si rivela da una parte se si
tenga presente l'indifferenza verso tutte le teorie, che é una delle cause
principali per cui il movimento operaio inglese, malgrado tutta la notevole
organizzazione dei singoli sindacati, avanza così lentamente, e, dall'altra
parte, se si tengano presenti la confusione e le storture che il
proudhonismo
ha provocato, nella sua forma originaria, nei francesi e nei belgi, e, più
tardi, nella caricatura che ne fece Bakunin, negli spagnoli e negli
italiani.
«Il secondo vantaggio é costituito dal fatto che i tedeschi sono arrivati
quasi ultimi nel movimento operaio dell'epoca. Come il socialismo tedesco
non dimenticherà mai che esso, diremo, poggia sulle spalle di Saint-Simon,
Fourier e Owen, tre uomini che, con tutta la loro fantasticheria e tutto il
loro utopismo, sono tra le teste più fini di tutti i tempi e hanno
anticipato
infinite cose che noi oggi dimostriamo scientificamente, così il movimento
operaio pratico tedesco non può mai dimenticare che esso si é sviluppato
sulle spalle dei movimenti inglese e francese, che può con tutta semplicità
trarre profitto dalle loro esperienze acquistate a tosi caro prezzo ed
evitare
oggi i loro errori che erano allora inevitabili. Senza il gigantesco impulso
16
dato specialmente dalla Comune di Parigi, dallo sviluppo precedente delle
trade-unions inglesi e dalle lotte politiche degli operai francesi, a che
punto
saremmo noi ora?
« Si deve riconoscere che gli operai tedeschi hanno sfruttato con rara
intelligenza la loro vantaggiosa posizione. Infatti, per la prima volta
dacché
esiste il movimento operaio, la lotta viene condotta unitariamente,
coerentemente e secondo un piano che si svolge su tre linee: teorica,
politica
e pratico-economica (resistenza ai capitalisti). La forza e l'invincibilità
del
movimento tedesco sta precisamente in questo attacco che potremmo dire
concentrico.
« Da una parte per questa loro privilegiata posizione, dall'altra per le
particolarità insulari del movimento inglese e la violenta repressione del
movimento francese, gli operai tedeschi sono per il momento all'avanguardia
della lotta proletaria. Per quanto tempo gli avvenimenti lasceranno loro
questo posto d'onore, non si può dire. Ma sino a quando lo occuperanno, é
sperabile che essi eseguiranno il loro compito come si conviene. Per questo
occorre che gli sforzi siano raddoppiati in ogni campo della lotta e
dell'agitazione. Precisamente sarà dovere di tutti i dirigenti chiarire
sempre
più tutte le questioni teoriche, liberarsi sempre più completamente
dall'influsso delle frasi fatte proprie della vecchia concezione del mondo,
e
tenere sempre presente che il socialismo, da quando é diventato una
scienza, va trattato come una scienza, cioè va studiato. Ma l'importante
sarà poi diffondere tra le masse, con zelo accresciuto, la concezione che
tosi
si é acquisita e che sempre più si é chiarita, e rinsaldare sempre più
fermamente l'organizzazione del partito e dei sindacati...
« Se gli operai tedeschi tosi andranno avanti, non perciò marceranno
alla testa del movimento - anzi non é affatto nell'interesse del movimento
che gli operai di una singola nazione, quale che essa sia, marcino alla
testa
del movimento -, ma tuttavia occuperanno un posto degno di onore nella
linea del combattimento; e saranno pronti in armi, se dure prove inattese o
grandi avvenimenti esigeranno maggiore coraggio, maggiore decisione ed
energia »74.
Le parole di Engels furono profetiche. Qualche anno dopo, gli operai
tedeschi erano improvvisamente sottoposti alla rude prova delle leggi
eccezionali contro i socialisti. Ed effettivamente si trovarono armati per
affrontarla e ne uscirono vittoriosi.
Il proletariato russo dovrà subire delle prove infinitamente più gravi,
dovrà combattere un mostro in confronto del quale una legge eccezionale in
un paese costituzionale sembrerà un pigmeo. La storia ci pone oggi un
compito immediato, il più rivoluzionario di tutti i compiti immediati del
proletariato di qualsiasi altro paese. L'adempimento di questo compito, la
distruzione del baluardo più potente della reazione, non soltanto europea,
ma anche (oggi possiamo dirlo) asiatica, farebbe del proletariato russo
(avanguardia del proletariato rivoluzionario internazionale. Siamo in
diritto
17
di credere che ci meriteremo questo titolo onorevole, come già lo meritarono
i nostri precursori, i rivoluzionari degli anni settanta, se sapremo animare
dello stesso spirito di illimitata risolutezza e della stessa energia il
nostro
movimento, mille volte più vasto e più profondo.
59 Lassalliani, sostenitori e seguaci di F. Lassalle. Nucleo fondamentale
dei lassalliani era
la « Associazione generale degli operai tedeschi » fondata da Lassalle nel
1863.
Considerando possibile la pacifica trasformazione del capitalismo in
socialismo per
mezzo di associazioni operaie appoggiate dallo Stato capitalistico, i
lassalliani
sostenevano la necessità di sostituire la lotta rivoluzionaria della classe
operaia con la
lotta per il suffragio universale e l'azione parlamentare. Marx criticò
aspramente i
lassalliani e rilevò che essi « nel corso di vari anni furono di impedimento
all'organizzazione del proletariato e finirono per diventare semplicemente
uno strumento
nelle mani della polizia ». La valutazione delle concezioni teoriche dei
lassalliani e della
loro tattica fu data da Marx in: Critica al programma di Gotha, Immaginarie
scissioni
nell'Internazionale e nel carteggio con Engels.
Gli eisenachiani erano sostenitori del marxismo. Sotto la guida di G.
Liebknecht e di A.
Bebel fondarono nel 1869 al Congresso di Eisenach il partito
socialdemocratico tedesco.
Tra questi partiti si svolse una lotta accanita. Sotto la influenza dello
sviluppo del
movimento operaio e delle accentuate repressioni governative, i due partiti
si fusero nel
partito operaio socialista unificato della Germania, nel quale i lassalliani
rappresentavano l'ala destra.
60 Guesdisti, seguaci di J. Guesde, corrente di sinistra, marxista, che
sosteneva una
politica autonoma rivoluzionaria del proletariato; nel 1901 i guesdisti
costituirono il
Partito socialista di Francia. Possibilisti, corrente piccolo-borghese,
riformista, che
distoglieva il proletariato dai metodi rivoluzionari di lotta. I
possibilisti proponevano di
confinare l'attività della classe operaia nei limiti del possibile sotto il
capitalismo. Nel
1902 i possibilisti insieme ad altri gruppi riformisti costituirono il
Partito socialista
francese.
Nel 1905 il Partito socialista di Francia e il Partito socialista francese
si fusero in un solo
partito. Nel periodo della guerra imperialistica del 1914-1918 J. Guesde,
insieme a tutta
la direzione del Partito socialista francese, passò sulle posizioni del
socialsciovinismo.
61 Fabiani, membri della riformista « Società dei fabiani », fondata da un
gruppo di
intellettuali borghesi nel 1884 in Inghilterra. La società si diede il nome
dal capo militare
romano Fabio il temporeggiatore, famoso per la sua tattica di attesa
tendente a schivare
combattimenti decisivi. I fabiani distoglievano il proletariato dalla lotta
di classe,
sostenendo il pacifico trapasso dal capitalismo al socialismo per via di
piccole riforme.
62 Prefazione di F. Engels alla III edizione dell'opera di Marx 11 diciotto
brumaio di Luigi
Bonaparte.
63 Biezsaglavzy (cioè i senza titolo): gruppo (S.M. Prokopovic, L.D.
Kuskova, V.I.
Boguciarski e altri) che si raccoglieva intorno alla rivista Biez zaglavie
(Senza titolo)
pubblicata a Pietroburgo nel 1906
I senza titolo si dichiaravano apertamente seguaci del revisionismo,
sostenevano
menscevichi e liberali, si opponevano alla politica indipendente del
proletariato. Altrove
Lenin li chiama cadetti menscevicheggianti oppure menscevichi
cadetteggianti.
18
64 Ilovaiski D.1. 1832-1920 storico, autore di numerosi manuali di storia
largamente
diffusi nelle scuole elementari e medie della Russia zarista. Nei suoi libri
di testo la storia
si riduceva soprattutto all'attività dei sovrani e dei capi militari.
65 Socialismo della cattedra, corrente dell'economia politica borghese
sviluppatasi in
Germania tra il 1870 e il 1890 I rappresentanti di questa corrente
predicavano dalle
cattedre universitarie il riformismo liberale borghese sotto la veste del
socialismo. I
socialisti della cattedra affermavano che lo Stato borghese, essendo al di
sopra delle
classi, avrebbe potuto conciliare le classi ostili e attuare a poco a poco
il a socialismo ».
In Russia le concezioni dei socialisti della cattedra furono sostenute dai
« marxisti-legali
».
66 Risoluzione di Hannover, risoluzione sulla questione degli Attacchi alle
concezioni
fondamentali e alla tattica del partito, approvata dal Congresso della
socialdemocrazia
tedesca che si tenne à a Hannover dal 27 settembre al 2 ottobre (9-14
ottobre) 1899. La
risoluzione approvata dal Congresso respingeva le richieste dei
revisionisti, formulate da
Bernstein, che proponeva di sottoporre a riesame la tattica e la politica
rivoluzionaria
della socialdemocrazia, ma non criticava e non smascherava il bernsteinismo.
La
risoluzione fu approvata anche dai seguaci di Bernstein.
67 II Congresso di Stoccarda della socialdemocrazia tedesca (3-8 ottobre
1898) discusse
per la prima volta il problema del revisionismo in seno alla
socialdemocrazia tedesca. AI
Congresso venne letta una dichiarazione di Bernstein, assente, in cui
venivano ribadite
le concezioni opportunistiche, già espresse in precedenza dall'autore in una
serie di
articoli. Gli avversari di Bernstein al Congresso non erano uniti. Gli uni
(Bebel, Kautsky
e altri) volevano che gli errori di Bernstein fossero criticati, ma erano
contrari a prendere
nei suoi riguardi misure organizzative. Gli altri - in minoranza - diretti
da Rosa
Luxemburg avevano una posizione più risoluta.
68 Uno scrittore montato in superbia, da uno dei primi racconti di M. Gorki.
69 Lenin si riferisce alla miscellanea Documenti per uno studio del nostro
sviluppo
economico, pubblicata con una tiratura di 2.000 copie in una tipografia
legale nell'aprile
1895. Essa conteneva l'articolo di V.I. Lenin (sotto lo pseudonimo di K.
Tulin): Il
contenuto economico del populismo e la sua critica nel libro del sig. Struve
(cfr. nella
presente edizione, v. I, PP. 34r-523).
70 Vademecum per la redazione del Raboceie Dielo, raccolta di materiali e
documenti con
prefazione di G.V. Plekhanov che smascherava le concezioni opportunistiche
dell'«
Unione dei socialdemocratici russi all'estero » e della redazione della
rivista Raboceie
Dielo. La raccolta fu curata da Plekhanov e pubblicata dal gruppo «
Emancipazione del
lavoro » a Ginevra, a partire dal 1900
71 Profession de foi (Professione di fede), manifestino che esponeva le
concezioni
opportunistiche del Comitato di Kiev; redatto alla fine del 1899. II
contenuto del
manifestino coincide sotto molti aspetti col famoso Credo degli «
economisti ». Lenin
criticò questo documento nell'articolo: A proposito della « Profession de
foi » (Cfr., nella
presente edizione, v. 4, pp. 263-273).
72 Questo articolo fu scritto in Siberia nel 1899. Avendo ricevuto il Credo
(manifesto di un
gruppo di « economisti », S.N. Prokopovic, E.D. Kuskova ed altri, che poi
divennero
cadetti), inviatogli dalla sorella A.I. Ielizarova, Lenin scrisse questa
dura e sferzante
19
protesta, che fu discussa e approvata all'unanimità in un'assemblea di 17
marxisti
deportati politici, assemblea che si era riunita, dietro invito di Lenin,
nel villaggio di
Iermakovskoie, circondario di Minusinsk. Le colonie di deportati di
Turunkhansk e Orlov
(governatorato di Viatka) aderirono alla Protesta. La Protesta dei
socialdemocratici russi
fu poi inviata da Lenin all'estero, al gruppo « Emancipazione del lavoro ».
All'inizio del
1900 venne ristampata nella raccolta di Plekhanov Vademecum per la redazione
del
Raboceie Dielo, diretta contro l'economismo.
73 Cfr. K. Marx - F. Engels, Il partito e l'Internazionale, Roma, 1948, p.
224.
74 F. Engels, La guerra dei contadini in Germania.
STATO E RIVOLUZIONE
La dottrina marxista dello Stato e i compiti del proletariato nella
rivoluzione
Vladimir J.Ulianov Lenin (1917)
Prefazione alla prima edizione
Il problema dello Stato assume ai nostri giorni una particolare
importanza, sia dal punto di vista teorico che dal punto di vista politico
pratico. La guerra imperialista ha accelerato e acutizzato a un grado
estremo il processo di trasformazione del capitalismo monopolistico in
capitalismo monopolistico di Stato. L'oppressione mostruosa delle masse
lavoratrici da parte dello stato, il quale si fonde sempre più strettamente
con le onnipotenti associazioni dei capitalisti, acquista proporzioni sempre
più mostruose. I paesi più avanzati si trasformano - ci riferiamo alle loro
"retrovie" - in case di pena militari per gli operai.
Gli inauditi orrori e flagelli di una guerra di cui non si vede la fine,
rendono insostenibile la situazione delle masse, aumentano la loro
indignazione. La rivoluzione proletaria internazionale matura in modo
visibile, e il problema del suo atteggiamento verso lo Stato assume un
significato pratico.
Gli elementi di opportunismo che si son venuti accumulando nel corso di
decenni di sviluppo relativamente pacifico, hanno fatto sorgere la corrente
socialsciovinista che domina nei partiti socialisti ufficiali di tutto il
mondo. Questa corrente (Plekhanov, Potresov, Bresckovskaia, Rubanovic, e, in
forma appena velata, i signori Tsereteli, Cernov e consorti in Russia;
Scheidemann, Legien, David e altri in Germania; Renaudel, Guesde,
Vandervelde in Francia e nel Belgio; Hyndman e i fabiani in Inghilterra,
ecc.), - che è socialismo a parole e sciovinismo nei fatti - si distingue
per l'adattamento piatto, servile dei "capi" del "socialismo" agli interessi
non solo della "propria" borghesia nazionale, ma precisamente del "proprio"
Stato, giacchè da lungo tempo la maggior parte delle cosiddette grandi
potenze sfruttano e asserviscono numerosi popoli piccoli e deboli. Orbene,
la guerra imperialista è appunto una guerra per la spartizione e la
ridistribuzione di un simile bottino. La lotta per sottrarre le masse
lavoratrici all'influenza della borghesia in generale, e in particolare
della borghesia imperialista, è impossibile senza una lotta contro i
pregiudizi opportunistici sullo "Stato".
Esamineremo innanzitutto la dottrina di Marx e di Engels sullo Stato,
soffermandoci più a lungo sugli aspetti di questa dottrina che sono stati
dimenticati o travisati dall'opportunismo. Studieremo poi in special modo il
più autorevole rappresentante di queste deformazioni, Karl Kautsky, il capo
più noto di quella Seconda Internazionale (1889-1914) così miseramente
fallita nel corso della guerra attuale. Trarremo infine i principali
insegnamenti dall'esperienza delle rivoluzioni russe, del 1905 e soprattutto
del 1917. Quest'ultima, a quanto pare, volge in questo momento (principio
d'agosto 1917) al termine della sua prima fase di sviluppo; ma tutta questa
rivoluzione non può essere concepita se non come un anello della catena
delle rivoluzioni proletarie socialiste provocate dalla guerra imperialista.
La questione dell'atteggiamento della rivoluzione socialista del
proletariato nei confronti dello Stato acquista quindi un significato non
solamente politico pratico, ma assume anche un carattere di scottante
attualità, perchè si tratta di far comprendere alle masse che cosa dovranno
fare per liberarsi, in un avvenire prossimo, dal giogo del capitale.
Agosto 1917, l'Autore
Poscritto alla prima edizione
Il presente opuscolo fu scritto nell'agosto-settembre 1917. Avevo già
preparato il piano di un VII capitolo: "L'esperienza delle rivoluzioni russe
del 1905 e del 1917", ma all'infuori del titolo non ho avuto tempo di
scriverne una sola riga; ne fui "impedito" dalla crisi politica, vigilia
della Rivoluzione d'Ottobre 1917. Non c'è che da rallegrarsi di un tale
"impedimento". Ma la seconda parte di questo opuscolo ("L'esperienza delle
rivoluzioni russe del 1905 e del 1917") dovrà certamente essere rinviata a
molto più tardi; è più piacevole e più utile fare "l'esperienza di una
rivoluzione" che non scrivere su di essa.
Pietrogrado, 30 novembre 1917 - l'Autore
I. LA SOCIETA' CLASSISTA E LO STATO
1. Lo Stato, prodotto dell'antagonismo inconciliabile tra le classi
Accade oggi alla dottrina di Marx quel che è spesso accaduto nella storia
alle dottrine dei pensatori rivoluzionari e dei capi delle classi oppresse
in lotta per la loro liberazione. Le classi dominanti hanno sempre
ricompensato i grandi rivoluzionari, durante la loro vita, con incessanti
persecuzioni; la loro dottrina è stata sempre accolta con il più selvaggio
furore, con l'odio più accanito e con le più impudenti campagne di menzogne
e di diffamazioni. Ma, dopo morti, si cerca di trasformarli in icone
inoffensive, di canonizzarli, per così dire, di cingere di una certa aureola
di gloria il loro nome, a "consolazione" e mistificazione delle classi
oppresse, mentre si svuota del contenuto la loro dottrina rivoluzionaria, se
ne smussa la punta, la si avvilisce. La borghesia e gli opportunisti in seno
al movimento operaio si accordano oggi per sottoporre il marxismo a un tale
"trattamento". Si dimentica, si respinge, si snatura il lato rivoluzionario
della dottrina, la sua anima rivoluzionaria. Si mette in primo piano e si
esalta ciò che è o pare accettabile alla borghesia. Tutti i
socialsciovinisti - non ridete! - sono oggi "marxisti". E gli scienziati
borghesi tedeschi sino a ieri specializzati nello sterminio del marxismo,
parlano sempre più spesso di un Marx "nazionaltedesco" che avrebbe educato i
sindacati operai, così magnificamente organizzati per condurre una guerra di
rapina!
Così stando le cose, e dato che le deformazioni del marxismo si sono diffuse
in modo inaudito, compito nostro è, innanzi tutto, ristabilire la vera
dottrina di Marx sullo Stato. Dovremo a tal fine fare lunghe citazioni dalle
opere stesse di Marx e di Engels. Naturalmente queste lunghe citazioni
renderanno più pesante l' esposizione e non contribuiranno affatto a
renderla popolare. Ma è assolutamente impossibile farne a meno. Tutti i
passi, o almeno tutti i passi fondamentali di Marx e di Engels sullo Stato,
debbono essere riportati in maniera quanto più è possibile completa, perchè
il lettore possa farsi un'idea personale dell'insieme delle concezioni dei
fondatori del socialismo scientifico, dello sviluppo di queste concezioni e
anche per dimostrare, con le prove alla mano, in modo evidente, che il
"kautskismo" attualmente dominante le ha snaturate.
Cominciamo con l'opera più diffusa di F. Engels, L'origine della famiglia,
della proprietà privata e dello Stato, pubblicata già nella sesta edizione a
Stoccarda nel 1894. Dobbiamo tradurre dall'originale tedesco perchè le
traduzioni russe, per quanto numerose, sono nella maggior parte incomplete o
molto difettose.
"Lo Stato dunque - dice Engels, arrivando alle conclusioni della sua analisi
storica - non è affatto una potenza imposta alla società dall'esterno e
nemmeno "la realtà dell'idea etica", "l'immagine e la realtà della ragione",
come afferma Hegel. Esso è piuttosto un prodotto della società giunta a un
determinato stadio di sviluppo, è la confessione che questa società si è
avvolta in una contraddizione insolubile con se stessa, che si è scissa in
antagonismi inconciliabili che è impotente a eliminare. Ma perché questi
antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto, non
distruggano se stessi e la società in una sterile lotta, sorge la necessità
di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui
il conflitto, lo mantenga nei limiti dell'"ordine"; e questa potenza che
emana dalla società, ma che si pone al di sopra di essa e che si estranea
sempre più da essa, è lo Stato" (pp. 177-178, sesta edizione tedesca).
Qui è espressa, in modo perfettamente chiaro, l'idea fondamentale del
marxismo sulla funzione storica e sul significato dello Stato. Lo Stato è il
prodotto e la manifestazione degli antagonismi inconciliabili tra le classi.
Lo Stato appare là, nel momento e in quanto, dove, quando e nella misura in
cui gli antagonismi di classe non possono essere oggettivamente conciliati.
E, per converso, l'esistenza dello Stato prova che gli antagonismi di classe
sono inconciliabili.
E' precisamente su questo punto di capitale e fondamentale importanza che
comincia la deformazione deI marxismo, deformazione che segue due linee
principali.
Da un lato gli ideologi borghesi, e soprattutto piccolo-borghesi, costretti
a riconoscere, sotto la pressione di fatti storici incontestabili, che lo
Stato esiste soltanto dove esistono antagonismi di classe e la lotta di
classe, "correggono" Marx in modo tale che lo Stato appare come l'organo
della conciliazione delle classi. Per Marx, se la conciliazione delle classi
fosse possibile, lo Stato non avrebbe potuto né sorgere né continuare ad
esistere. Secondo i professori e pubblicisti piccolo-borghesi e filistei -
che molto spesso si riferiscono con compiacimento a Marx - è proprio lo
Stato a conciliare le classi. Per Marx lo Stato è l'organo del dominio di
classe, un organo di oppressione di una classe da parte di un'altra; è la
creazione di un "ordine" che legalizza e consolida questa oppressione,
moderando il conflitto fra le classi. Per gli uomini politici
piccolo-borghesi l'ordine è precisamente la conciliazione delle classi e non
l'oppressione di una classe da parte di un'altra; attenuare il conflitto
vuol dire per essi conciliare e non già privare le classi oppresse di
determinati strumenti e mezzi di lotta per rovesciare gli oppressori.
Così nella rivoluzione del 1917, quando la questione del significato e della
funzione dello Stato si pose in tutta la sua ampiezza, si pose praticamente
come un problema di azione immediata, e, per di più, di azione di massa,
tutti i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi caddero subito e pienamente
nella teoria piccolo-borghese della "conciliazione" delle classi "per opera
dello Stato". Innumerevoli risoluzioni e articoli di uomini politici di quei
due partiti sono profondamente impregnati di questa teoria piccolo-borghese
e filistea della "conciliazione". Che lo Stato sia l'organo di dominio di
una classe determinata, che non può essere conciliata col suo antipode (la
classe che è al polo opposto), la democrazia piccolo-borghese non sarà mai
in grado di capirlo. L'atteggiamento dei nostri socialistirivoluzionari e
dei nostri menscevichi verso lo Stato è una delle prove più evidenti che
essi non sono affatto dei socialisti (ciò che noi, bolscevichi, abbiamo
sempre dimostrato), ma dei democratici piccolo-borghesi che usano una
fraseologia quasi socialista.
D'altra parte, la deformazione "kautskiana" del marxismo è molto più
sottile. "Teoricamente" non si contesta che lo Stato sia l'organo del
dominio di classe, né che gli antagonismi di classe siano inconciliabili. Ma
si trascura o attenua quanto segue: se lo Stato è un prodotto
dell'inconciliabilità degli antagonismi di classe, se esso è una forza che
sta al di sopra della società e che "si estranea sempre più dalla società",
è evidente che la liberazione della classe oppressa è impossibile non
soltanto senza una rivoluzione violenta, ma anche senza la distruzione
dell'apparato del potere statale che è stato creato dalla classe dominante e
nel quale questa "estraneazione" si è materializzata. Questa conclusione,
teoricamente di per sé chiara, è stata tratta da Marx con perfetta
precisione, come vedremo più tardi, dall' analisi storica concreta dei
compiti della rivoluzione. Kautsky ha... "dimenticato" e travisato appunto
questa conclusione, come dimostreremo particolareggiatamente nel seguito
della nostra esposizione.
2. Distaccamenti speciali di uomini armati, prigioni, ecc.
"...Nei confronti dell'antica organizzazione gentilizia [della tribù o del
clan] - continua Engels - il primo segno distintivo dello Stato è la
divisione dei cittadini..."
Questa divisione a noi sembra "naturale", ma essa richiese una lunga lotta
con l'antica organizzazione per clan o per stirpi.
"...Il secondo punto è l'istituzione di una forza pubblica che non coincide
più direttamente con la popolazione che organizza se stessa come potere
armato. Questa forza pubblica particolare è necessaria perchè
un'organizzazione armata autonoma della popolazione è divenuta impossibile
dopo la divisione in classi... Questa forza pubblica esiste in ogni Stato e
non consta semplicemente di uomini armati, ma anche di appendici reali,
prigioni e istituti di pena di ogni genere, di cui nulla sapeva la società
gentilizia... ".
Engels sviluppa la nozione di questa "forza", chiamata Stato, forza che è
sorta dalla società ma che si pone al di sopra di essa e se ne estranea
sempre più. In che consiste principalmente questa forza? Essa consiste
anzitutto in distaccamenti speciali di uomini armati che dispongono di
prigioni, ecc.
Abbiamo il diritto di parlare di distaccamenti speciali di uomini armati,
perchè il potere pubblico proprio di ogni Stato "non coincide più
direttamente" con la popolazione armata, con la sua "organizzazione armata
autonoma".
Come tutti i grandi pensatori rivoluzionari, Engels si sforza di attirare
l'attenzione dei lavoratori coscienti su ciò che il filisteismo dominante
considera come meno degno d'attenzione, come più usuale, come cosa
consacrata da pregiudizi non solo tenaci, ma, si potrebbe dire,
fossilizzati. L'esercito permanente e la polizia sono i principali strumenti
di forza del potere statale. Ma potrebbe forse essere altrimenti?
Per la gran maggioranza degli europei della fine del secolo decimonono, a
cui Engels si rivolgeva, e che non avevano vissuto né osservato da vicino
nessuna grande rivoluzione, non poteva essere altrimenti. Essi non
comprendevano assolutamente che cosa fosse questa "organizzazione armata
autonoma della popolazione". Perchè è apparsa la necessità di distaccamenti
speciali di uomini armati (polizia, esercito permanente), posti al di sopra
della società e che si estraneano da essa? A tale domanda i filistei
dell'Europa occidentale o della Russia sono inclini a rispondere con una
copia di frasi prese in prestito da Spencer o da Mikhailovski e tirano in
ballo la crescente complessità della vita sociale, la differenziazione delle
funzioni, ecc.
Questi argomenti sembrano "scientifici" ed assopiscono meravigliosamente il
buon pubblico, velando la cosa principale, essenziale: la scissione della
società in classi inconciliabilmente nemiche.
Se non ci fosse questa scissione, "l'organizzazione armata autonoma della
popolazione" differirebbe per la sua complessità, per la sua tecnica
progredita, ecc. dall'organizzazione primitiva d'un branco di scimmie armate
di bastoni, o da quella di uomini primitivi o associati in clan, ma tuttavia
sarebbe possibile.
Essa è impossibile perchè la società civile è divisa in classi ostili, e per
di più inconciliabilmente ostili, il cui armamento "autonomo" determinerebbe
una lotta armata fra di esse. Lo Stato si forma; si crea una forza distinta,
si creano distaccamenti speciali di uomini armati; e ogni rivoluzione,
distruggendo l'apparato statale, ci dimostra con tutta evidenza come la
classe dominante si sforza di ricostruire distaccamenti speciali di uomini
armati che la servano, e come la classe oppressa si sforza di creare una
nuova organizzazione dello stesso genere, capace di servire non più gli
sfruttatori, ma gli sfruttati.
Nel passo citato, Engels pone teoricamente lo stesso problema che ogni
grande rivoluzione pone praticamente davanti a noi con evidenza, e, inoltre,
nell'ampiezza di una azione di massa, e precisamente: il problema del
rapporto tra i distaccamenti "speciali" di uomini armati e l'
"organizzazione armata autonoma della popolazione". Vedremo come questo
problema è concretamente illustrato dalla esperienza delle rivoluzioni
europee e russe.
Ma torniamo all' esposizione di Engels.
Egli mostra che talvolta, per esempio in certe regioni dell'America del
Nord, il potere pubblico è debole (si tratta di un'eccezione assai rara
nella società capitalistica e delle regioni dell' America del Nord in cui,
nel periodo preimperialistico, predominava il colono libero), ma che, in
generale, esso va rafforzandosi:
[ La forza pubblica] "...si rafforza nella misura in cui gli antagonismi di
classe all'interno dello Stato si acuiscono e gli Stati tra loro confinanti
diventano più grandi e popolosi. Basta guardare la nostra Europa di oggi, in
cui la lotta di classe e la concorrenza nelle conquiste ha portato il potere
pubblico a un'altezza da cui minaccia di inghiottire l'intera società e
perfino lo Stato".
Queste righe furono scritte poco dopo il 1890, non più tardi. L'ultima
prefazione di Engels ha la data del 16 giugno 1891. L'evoluzione verso
l'imperialismo - sia nel senso del dominio assoluto dei trust che
dell'onnipotenza delle grandi banche e della politica coloniale in grande,
ecc. - era in quel tempo appena ai primi albori in Francia; ed ancora più
debole era in America e in Germania. Da allora la "concorrenza nelle
conquiste" ha fatto passi da gigante, tanto più che il globo terrestre si
era trovato all'inizio del decennio 1910-1920 definitivamente spartito fra
questi "concorrenti nelle conquiste", cioè fra le grandi potenze predatrici.
Da allora gli armamenti di terra e di mare si sono accresciuti in
proporzioni incredibili, e la guerra di rapina del 1914-1917, per il dominio
sul mondo dell'Inghilterra o della Germania e per una ripartizione del
bottino, ha avvicinato a una catastrofe completa il processo grazie al quale
un potere statale vorace "minaccia di inghiottire" tutte le forze della
società.
Sin dal 1891 Engels aveva saputo denunciare la "concorrenza nelle Conquiste"
come una delle più importanti caratteristiche della politica estera delle
grandi potenze, mentre i mascalzoni del socialsciovinismo, nel 1914-1917,
quando appunto questa rivalità, diventata ancora più acuta, ha generato la
guerra imperialista, coprono la loro difesa degli interessi predatori della
"loro" borghesia con frasi sulla "difesa della patria", sulla "difesa della
repubblica e della rivoluzione", ecc.!
3. Lo Stato, strumento di sfruttamento della classe oppressa
Per mantenere un potere pubblico speciale, posto al di sopra della società,
sono necessarie delle imposte e un debito pubblico.
"...In possesso della forza pubblica e del diritto di riscuotere imposte, -
scrive Engels - i funzionari appaiono ora come organi della società al di
sopra della società. La libera, volontaria stima che veniva tributata agli
organi della costituzione gentilizia non basta loro, anche se potessero
riscuoterla." Si fanno leggi speciali sulla santità e sull'inviolabilità dei
funzionari. Il "più misero poliziotto" ha più "autorità" degli organi della
società gentilizia, ma persino ...il capo dell'esercito di un paese civile
potrebbe invidiare al capo gentilizio la stima spontanea e incontestata che
gli viene tributata"
Si pone qui la questione dei privilegi dei funzionari quali organi del
potere statale. Il punto essenziale è questo: che cosa li pone al di sopra
della società? Vedremo come questa questione teorica sia stata risolta in
pratica dalla Comune di Parigi nel 1871 e come sia stata messa in ombra in
modo reazionario da Kautsky nel 1912.
"...Lo Stato, poiché è nato dal bisogno di tenere a freno gli antagonismi di
classe, ma contemporaneamente è nato in mezzo al conflitto di queste classi,
è, per regola, lo Stato della classe più potente, economicamente dominante
che, per mezzo suo, diventa anche politicamente dominante e così acquista un
nuovo strumento per tenere sottomessa e per sfruttare la classe
oppressa"...Non solo lo Stato antico e lo Stato feudale erano organi deIlo
sfruttamento degli schiavi e dei servi, ma anche "lo Stato rappresentativo
moderno è lo strumento per lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del
capitale. Eccezionalmente tuttavia, vi sono dei periodi in cui le classi in
lotta hanno forze pressoché eguali, cosicchè il potere statale, in qualità
di apparente mediatore, momentaneamente acquista una certa autonomia di
fronte ad entrambe". Così la monarchia assoluta dei secoli decimosettimo e
decimottavo, il bonapartismo del primo e del secondo Impero in Francia,
Bismarck in Germania.
Così aggiungiamo noi, il governo di Kerenski nella Russia repubblicana, dopo
ch'esso è passato alle persecuzioni contro il proletariato rivoluzionario
nel momento in cui i Soviet sono già impotenti per causa dei loro dirigenti
piccolo-borghesi, e la borghesia non è ancora abbastanza forte per
scioglierli senz'altro.
Nella repubblica democratica - continua Engels - "la ricchezza esercita il
suo potere indirettamente, ma in maniera tanto più sicura", in primo luogo
con la "corruzione diretta dei funzionari" (America), in secondo luogo con
"l'alleanza tra governo e Borsa" (Francia e America).
Nel momento attuale, l'imperialismo e il dominio delle banche "hanno
sviluppato" sino a farne un'arte raffinata, in qualsiasi repubblica
democratica, questi due metodi di difesa e di realizzazione dell'onnipotenza
della ricchezza. Se, per esempio, fin dai primi mesi della repubblica
democratica in Russia, durante, per così dire, la luna di miele del connubio
dei "socialisti" - socialisti-rivoluzionari e menscevichi - con la borghesia
nel governo di coalizione, il signor Palcinski ha sabotato tutti i
provvedimenti tendenti a frenare i capitalisti e la loro speculazione, il
saccheggio da parte loro dell'erario mediante le forniture militari; se in
seguito il signor Palcinski, uscito dal ministero (e naturalmente sostituito
da una altro Palcinski del suo stesso stampo), è stato "gratificato" dai
capitalisti di una piccola sinecura con uno stipendio di centoventimila
rubli all'anno, - che cosa è questo? corruzione diretta o indiretta?
alleanza del governo con le organizzazioni dei capitalisti o "semplicemente"
relazioni di buona amicizia? Quale funzione hanno i Cernov e gli Tsereteli,
gli Avksentiev e gli Skobelev? Sono alleati "diretti", o soltanto indiretti,
dei milionari concussionari?
L'onnipotenza della "ricchezza" è, in una repubblica democratica, tanto più
sicura in quanto non dipende da un cattivo involucro politico del
capitalismo. La repubblica democratica è il migliore involucro politico
possibile per il capitalismo; per questo il capitale, dopo essersi
impadronito (grazie ai Palcinski, ai Cernov, agli Tsereteli e consorti) di
questo involucro - che è il migliore - fonda il suo potere in modo talmente
saldo, talmente sicuro, che nessun cambiamento, né di persone, né di
istituzioni, né di partiti nell'ambito della repubblica democratica borghese
può scuoterlo.
Bisogna ancora rilevare che Engels definisce in modo categorico il suffragio
universale come uno strumento di dominio della borghesia. Il suffragio
universale, egli dice, tenendo evidentemente conto della lunga esperienza
della socialdemocrazia tedesca, è:
"la misura della maturità della classe operaia. Più non può né potrà mai
essere nello Stato odierno".
I democratici piccolo-borghesi, sul tipo dei nostri socialistirivoluzionari
e dei nostri menscevichi, come i loro fratelli, tutti i socialsciovinisti e
opportunisti dell'Europa occidentale, aspettano dal suffragio universale
proprio qualche cosa "di più". Essi condividono e inculcano nel popolo la
falsa concezione che il suffragio universale possa "nello Stato odierno"
esprimere realmente la volontà della maggioranza dei lavoratori e
assicurarne la realizzazione.
Noi possiamo qui soltanto rilevare che questa concezione è falsa e far
notare che l'affermazione chiara, precisa e concreta di Engels è ad ogni
passo travisata nella propaganda e nell'agitazione dei partiti socialisti
"ufficiali" (cioè opportunisti). Dimostreremo in modo particolareggiato
quanto sia falsa la concezione che Engels qui respinge, esponendo più avanti
le teorie di Marx e di Engels sullo Stato odierno.
Nella sua opera più popolare, Engels dà un riassunto conclusivo delle sue
concezioni con le parole seguenti:
"Lo Stato non esiste dunque dall'eternità. Vi sono state società che ne
hanno fatto a meno e che non avevano alcuna idea di Stato e di potere
statale. In un determinato grado dello sviluppo economico, necessariamente
legato alla divisione della società in classi, proprio a causa di questa
divisione lo Stato è diventato una necessità. Ci avviciniamo ora, a rapidi
passi, ad uno stadio di sviluppo della produzione nel quale la esistenza di
queste classi non solo ha cessato di essere una necessità ma diventa un
ostacolo effettivo alla produzione. Perciò esse cadranno così
ineluttabilmente come sono sorte. Con esse cadrà ineluttabilmente lo Stato.
La società, che riorganizza la produzione in base a una libera ed eguale
associazione di produttori, relega l'intera macchina statale nel posto che
da quel momento le spetta, cioè nel museo delle antichità accanto alla rocca
per filare e all'ascia di bronzo".
Questa citazione non accade di incontrarla spesso nella letteratura di
propaganda e di agitazione della socialdemocrazia contemporanea. E quando la
si ricorda, lo si fa per lo più come se ci si volesse genuflettere davanti a
un'icona, per rendere cioè ufficialmente omaggio a Engels, senza il minimo
tentativo di riflettere sull'ampiezza e la profondità della rivoluzione che
è presupposta in questo "relegare l'intera macchina statale nel museo delle
antichità". Il più delle volte non si arriva neppure a comprendere ciò che
Engels intende per macchina dello Stato.
4. L'"estinzione" dello Stato e la rivoluzione violenta
Le parole di Engels sull'"estinzione" dello Stato godono di una così larga
notorietà, sono così spesso citate, mettono così bene in rilievo l'essenza
stessa della falsificazione abituale del marxismo acconciato alla maniera
opportunista, che è necessario soffermarsi su di esse in modo particolare.
Citiamo tutto il passo da cui sono tratte:
"Il proletariato si impadronisce del potere dello Stato e anzitutto
trasforma i mezzi di produzione in proprietà dello Stato. Ma così sopprime
se stesso come proletariato, sopprime ogni differenza di classe e ogni
antagonismo di classe e sopprime anche lo Stato come Stato. La società
esistita sinora, muoventesi sul piano degli antagonismi di classe, aveva
necessità dello Stato, cioè di una organizzazione della classe sfruttatrice
in ogni periodo, per conservare le condizioni esterne della sua produzione e
quindi specialmente per tener con la forza la classe sfruttata nelle
condizioni di oppressione date dal modo vigente di produzione (schiavitù,
servitù della gleba, semiservitù feudale, lavoro salariato). Lo Stato era il
rappresentante ufficiale di tutta la società, la sua sintesi in un corpo
visibile, ma lo era in quanto era lo Stato di quella classe che per il suo
tempo rappresentava, essa stessa, tutta quanta la società: nell'antichità
era lo Stato dei cittadini padroni di schiavi, nel medioevo lo Stato della
nobiltà feudale, nel nostro tempo lo Stato della borghesia. Ma, diventando
alla fine effettivamente il rappresentante di tutta la società, si rende,
esso stesso, superfluo. Non appena non ci sono più classi sociali da
mantenere nell'oppressione, non appena con l'eliminazione del dominio di
classe e della lotta per l'esistenza individuale fondata sull'anarchia della
produzione sinora esistente, saranno eliminati anche le collisioni e gli
eccessi che sorgono da tutto ciò, non ci sarà da reprimere più niente di ciò
che rendeva necessaria una forza repressiva particolare, uno Stato. Il primo
atto con cui lo Stato si presenta realmente come rappresentante di tutta la
società, cioè la presa di possesso di tutti i mezzi di produzione in nome
della società, è ad un tempo l'ultimo suo atto indipendente in quanto Stato.
L'intervento di una forza statale nei rapporti sociali diventa superfluo
successivamente in ogni campo e poi viene meno da se stesso. Al posto del
governo sulle persone appare l'amministrazione delle cose e la direzione dei
processi produttivi. Lo Stato non viene " abolito": esso si estingue. Questo
è l'apprezzamento che deve farsi della frase "Stato popolare libero", tanto
quindi per la sua giustificazione temporanea in sede di agitazione, quanto
per la sua definitiva insufficienza in sede scientifica; e questo è del pari
l'apprezzamento che deve farsi dell'esigenza dei cosiddetti anarchici che lo
Stato debba essere abolito dall'oggi al domani" ( Antidühring. [La scienza
sovvertita dal signor Eugenio Dühring], pp. 302-303, terza ed. tedesca,
1894).
Si può dire senza timore di sbagliare che di tutto questo ragionamento di
Engels, straordinariamente ricco di idee, i partiti socialisti di oggi non
hanno veramente acquisito nel loro pensiero che la formula secondo cui, per
Marx, lo Stato "si estingue", in contrapposizione alla dottrina anarchica
dell'"abolizione" dello Stato. Amputare in tal modo il marxismo vuol dire
ridurlo all'opportunismo, poichè, dopo una tale "interpretazione" non rimane
che il concetto vago di un cambiamento lento, uguale, graduale, senza
sussulti né tempeste, senza rivoluzione. La "estinzione" dello Stato nel
concetto corrente, generalmente diffuso, di massa, se così si può dire, è
senza dubbio la scomparsa, se non la negazione, della rivoluzione.
Ebbene, questa "interpretazione" è la piu grossolana deformazione del
marxismo, utile solo alla borghesia, ed è teoricamente possibile solo se si
trascurano i principali elementi e, per esempio, gli argomenti indicati
nello stesso ragionamento "conclusivo" di Engels che abbiamo citato per
esteso.
Primo. Proprio al principio del suo ragionamento Engels dice che il
proletariato, impadronendosi del potere sopprime con ciò "Lo Stato in quanto
Stato". Riflettere sul significato di questa frase è cosa che "non entra
nelle abitudini". Per lo più o si trascura completamente questo pensiero o
vi si vede una specie di "debolezza hegeliana" di Engels. In realtà, in
queste parole è espressa in forma incisiva l'esperienza di una delle più
grandi rivoluzioni proletarie, l'esperienza della Comune di Parigi del 1871,
di cui parleremo a lungo più avanti. In realtà, Engels parla qui di
"soppressione" dello Stato della borghesia per opera della rivoluzione
proletaria, mentre ciò ch'egli dice sull'estinzione dello Stato riguarda i
resti dello Stato proletario che sussisteranno dopo la rivoluzione
socialista. Lo Stato borghese, secondo Engels, non "si estingue"; esso viene
"soppresso" dal proletariato nel corso della rivoluzione. Ciò che si
estingue dopo questa rivoluzione, è lo Stato proletario o semi-Stato.
Secondo. Lo Stato è una "forza repressiva particolare". Questa definizione
di Engels, meravigliosa e in sommo grado profonda, è qui enunciata con
perfetta chiarezza. E ne deriva che questa "forza repressiva particolare"
del proletariato da parte della borghesia, di milioni di lavoratori da parte
di un pugno di ricchi, deve essere sostituita da una "forza repressiva
particolare" della borghesia da parte del proletariato (dittatura del
proletariato). In ciò appunto consiste "la soppressione dello Stato in
quanto Stato". In ciò consiste 1'"atto" della presa di possesso dei mezzi di
produzione in nome della società. E' ovvio che questa sostituzione di una
"forza particolare" (quella della borghesia) con un'altra "forza
particolare" (quella del proletariato), non può avvenire nella forma di
"estinzione".
Terzo. Questa "estinzione", o, per parlare con più risalto e più colore,
questo "assopimento", Engels lo riferisce in modo chiaro ed evidente al
periodo che segue "la presa di possesso di tutti i mezzi di produzione in
nome della società", cioè al periodo che segue la rivoluzione socialista. E'
noto a tutti noi che la forma politica dello "Stato" in tale momento è la
democrazia più completa. Ma a nessuno degli opportunisti che snaturano
sfrontatamente il marxismo viene in mente che qui si tratta quindi, in
Engels, dell'"assopimento" e dell'"estinzione" della democrazia. A prima
vista ciò pare molto strano; ma è "incomprensibile" soltanto per chi non
ricordi che anche la democrazia è uno Stato e che anch'essa, quindi,
scompare quando scompare lo Stato. Solo la rivoluzione può "sopprimere" lo
Stato borghese. Lo Stato in generale, cioè la democrazia più completa, non
può che "estinguersi".
Quarto. Enunciando la sua celebre tesi: "Lo Stato si estingue", Engels si
affretta a precisare che essa è diretta e contro gli opportunisti e contro
gli anarchici. Inoltre da Engels è posta in primo piano quella conclusione
dalla tesi sull'"estinzione dello Stato" che è diretta contro gli
opportunisti.
Si può scommettere che su diecimila persone che hanno letto o hanno sentito
parlare dell'"estinzione" dello Stato, novemilanovecentonovanta ignorano
assolutamente o hanno dimenticato che Engels dirigeva le conclusioni di
questa tesi non soltanto contro gli anarchici. E sulle dieci che restano, ce
ne sono certamente nove che non sanno che cosa sia "lo Stato popolare
libero", e perchè mai nell'attacco contro questa parola d'ordine è contenuto
un attacco contro gli opportunisti. Così si scrive la storia! Così si altera
in sordina la grande dottrina rivoluzionaria accomodandola alla maniera del
filisteismo dominante. La conclusione contro gli anarchici è stata mille
volte ripetuta, banalizzata, conficcata nel modo più semplicista nei
cervelli e ha acquistato la tenacia di un pregiudizio. E la conclusione
contro gli opportunisti è stata messa in ombra e "dimenticata "!
Lo "Stato popolare libero" era una rivendicazione programmatica, una parola
d'ordine corrente dei socialdemocratici tedeschi degli anni 1870-1880. In
questa parola d'ordine non v'è alcun contenuto politico salvo una pomposa
enunciazione piccolo-borghese della nozione di democrazia. In quanto essa
faceva legalmente allusione alla repubblica democratica, Engels era disposto
a "giustificarla" "temporaneamente" dal punto di vista dell'agitazione. Ma
questa parola d'ordine era opportunista, non soltanto perchè imbelliva la
democrazia borghese, ma anche perchè esprimeva l'incomprensione della
critica socialista di ogni Stato in generale. Noi siamo per la repubblica
democratica, in quanto essa è, in regime capitalista, la forma migliore di
Stato per il proletariato, ma non abbiamo il diritto di dimenticare che la
sorte riservata al popolo, anche nella più democratica delle repubbliche
borghesi, è la schiavitù salariata. Proseguiamo. Ogni Stato è una "forza
repressiva particolare" della classe oppressa. Quindi uno Stato, qualunque
esso sia, non è libero e non è popolare. Marx ed Engels l'hanno spiegato
cento volte ai loro compagni di partito negli anni 1870-1880.
Quinto. La stessa opera di Engels, in cui si trova il ragionamento
sull'estinzione dello Stato che tutti ricordano, contiene anche una
considerazione sul significato della rivoluzione violenta. La valutazione
storica della sua funzione si trasforma in Engels in un vero panegirico
della rivoluzione violenta. Nessuno "se ne ricorda"; nei partiti socialisti
contemporanei non usa parlare dell'importanza di questa idea e nemmeno
pensarvi; nella propaganda e nell'agitazione quotidiana fra le masse queste
idee non trovano nessun posto. Eppure esse sono indissolubilmente legate
all'idea dell'"estinzione" dello Stato, con la quale formano un tutto.
Ecco questa considerazione di Engels:
"...che la violenza abbia nella società ancora un'altra funzione [oltre al
male che essa produce], una funzione rivoluzionaria, che essa, secondo le
parole di Marx, sia la levatrice di ogni vecchia società gravida di una
nuova, che essa sia lo strumento con cui si compie il movimento della
società, e che infrange forme politiche irrigidite e morte, di tutto questo
nel sig. Dühring non si trova neanche una parola. Solo con sospiri e con
gemiti egli ammette la possibilità che per abbattere l'economia dello
sfruttamento sarà forse necessaria la violenza...purtroppo! Infatti [secondo
Dühring] ogni uso di violenza demoralizza colui che la usa. E questo di
fronte all'elevato slancio morale e intellettuale che è stato il risultato
di ogni rivoluzione vittoriosa! E questo in Germania, dove una violenta
collisione, che potrebbe anche essere imposta al popolo, avrebbe almeno il
vantaggio di estirpare lo spirito servile che, a causa dell' avvilimento
conseguente alla guerra dei trenta anni, ha permeato la coscienza nazionale.
E questa mentalità da predicatore, fiacca, insipida e impotente, ha la
pretesa di imporsi al partito più rivoluzionario che la storia conosca?" (p.
193, terza ed. tedesca, fine del 4° capitolo, II parte).
Come unire nella stessa dottrina questo panegirico della rivoluzione
violenta, tenacemente presentato da Engels ai socialdemocratici tedeschi dal
1878 al 1894, cioè fino alla sua morte, e la teoria dell' "estinzione" dello
Stato?
Di solito li si unisce con un procedimento eclettico, ricorrendo senza
criterio e in modo sofistico, arbitrariamente (o per compiacere ai detentori
del potere), ora all'uno, ora all'altro di questi ragionamenti, e
novantanove volte su cento, se non di più, è precisamente 1'"estinzione" che
è messa in primo piano. L'eclettismo è sostituito alla dialettica; nei
confronti del marxismo questa è la cosa più consueta, più frequente nella
letteratura socialdemocratica ufficiale dei nostri giorni. Questa
sostituzione non è certo una novità; si potè osservarla persino nella storia
della filosofia greca classica. Nella falsificazione opportunista del
marxismo, la falsificazione eclettica della dialettica inganna con più
facilità le masse, dà loro una apparente soddisfazione, finge di tener conto
di tutti gli aspetti del processo di tutte le tendenze dello sviluppo e di
tutte le influenze contraddittorie ecc., ma in realtà non dà alcuna nozione
completa e rivoluzionaria del processo di sviluppo della società.
Abbiamo già detto prima, e lo dimostreremo in modo più particolareggiato nel
seguito della nostra argomentazione, che la dottrina di Marx e di Engels
sulla necessità della rivoluzione violenta si riferisce allo Stato borghese.
Questo non può essere sostituito dallo Stato proletario (dittatura del
proletariato) per via di "estinzione"; può esserlo unicamente, come regola
generale, per mezzo della rivoluzione violenta. Il panegirico con cui Engels
esalta la rivoluzione violenta concorda pienamente con le numerose
dichiarazioni di Marx (ricordiamo la conclusione della Miseria della
filosofia e del Manifesto del Partito comunista che proclama fieramente e
categoricamente l'ineluttabilità della rivoluzione violenta; ricordiamo la
critica del programma di Gotha nel 1875, circa trent'anni più tardi, dove
Marx flagella implacabilmente l'opportunismo di questo programma). Questo
panegirico non è per nulla effetto di una "infatuazione", né una
declamazione, né una trovata polemica. La necessità di educare
sistematicamente le masse in questa - e precisamente in questa - idea della
rivoluzione violenta, è alla base di tutta la dottrina di Marx e di Engels.
Il tradimento della loro dottrina perpetrato dalle tendenze
socialsciovinista e kautskiana oggi dominanti si esprime con particolare
rilievo nell'oblio di questa propaganda, di questa agitazione da parte
dell'una e dell'altra.
La sostituzione dello Stato proletario allo Stato borghese non è possibile
senza rivoluzione violenta. La soppressione dello Stato proletario, cioè la
soppressione di ogni Stato, non è possibile che per via di "estinzione".
Marx ed Engels svilupparono queste concezioni in modo particolareggiato e
concreto, studiando ogni situazione rivoluzionaria particolare, analizzando
gli insegnamenti forniti dall'esperienza di ogni rivoluzione. Passiamo a
questa parte, - indubbiamente la più importante, - della loro dottrina.
II. Lo Stato e la rivoluzione.
L'esperienza del 1848-1851
1. La vigilia della rivoluzione
Le prime opere del marxismo giunto a maturità, la Miseria della filosofia e
il Manifesto del Partito comunista, appartengono appunto al periodo che
precede immediatamente la rivoluzione del 1848. Grazie a questa circostanza,
noi troviamo in esse, in una certa misura, accanto all'esposizione dei
princípi generali del marxismo, un riflesso della situazione rivoluzionaria
concreta di quel tempo; conviene quindi, io credo, studiare ciò che gli
autori di queste opere dicono dello Stato, immediatamente prima di esporre
le loro conclusioni sull'esperienza degli anni 1848-1851.
" ...La classe lavoratrice scrive Marx nella Miseria della filosofia -
sostituirà, nel corso del suo sviluppo, all'antica società civile
un'associazione che escluderà le classi e il loro antagonismo, e non vi sarà
più potere politico propriamente detto, poiché il potere politico è
precisamente il riassunto ufficiale dell'antagonismo [delle classi] nella
società civile" (p. 182, ed. tedesca, 1885).
E' istruttivo mettere a confronto questa esposizione generale dell'idea
della scomparsa dello Stato dopo l'abolizione delle classi con l'esposizione
fattane nel Manifesto del Partito comunista, scritto da Marx e da Engels
alcuni mesi più tardi, cioè nel novembre del 1847.
"...Tratteggiando le fasi più generali dello sviluppo del proletariato,
abbiamo seguito la guerra civile più o meno occulta entro la società attuale
fino al momento in cui essa esplode in una rivoluzione aperta, e col
rovesciamento violento della borghesia il proletariato stabilisce il suo
dominio...
"...Abbiamo già visto sopra come il primo passo nella rivoluzione operaia
sia l'elevarsi del proletariato a classe dominante, la conquista della
democrazia.
"Il proletariato si servirà della sua supremazia politica per strappare alla
borghesia, a poco a poco, tutto il capitale, per accentrare tutti gli
strumenti di produzione nelle mani dello Stato, vale a dire del proletariato
stesso organizzato come classe dominante, e per aumentare, con la massima
rapidità possibile, la massa delle forze produttive" (pp. 31 e 37, settima
edizione tedesca, 1906).
Vediamo qui formulata una delle più notevoli e importanti idee del marxismo
a proposito dello Stato, l'idea della "dittatura del proletariato" (
espressione che Marx ed Engels cominciano ad usare dopo la Comune di Parigi)
vi troviamo in seguito una definizione dello Stato del più alto interesse e
che fa anch'essa parte delle "parole dimenticate" del marxismo: "lo Stato,
vale a dire il proletariato organizzato come classe dominante".
Stalin
Questa definizione dello Stato non solo non è mai stata commentata
nella letteratura di propaganda e di agitazione che predomina nei partiti
socialdemocratici ufficiali. Peggio ancora, essa è stata dimenticata appunto
perché è assolutamente inconciliabile col riformismo e perché contrasta in
modo irriducibile con i pregiudizi opportunistici abituali e con le
illusioni piccolo-borghesi sullo "sviluppo pacifico della democrazia".
Il proletariato ha bisogno di uno Stato, ripetono tutti gli
opportunisti, i socialsciovinisti e i kautskiani, assicurando che questa è
la dottrina di Marx, ma "dimenticando" di aggiungere che innanzi tutto il
proletariato, secondo Marx, ha bisogno unicamente di uno Stato in via di
estinzione, organizzato cioè in modo tale che cominci subito ad estinguersi,
e non possa non estinguersi. E, in secondo luogo, che i lavoratori hanno
bisogno dello "Stato", "cioè del proletariato organizzato come classe
dominante".
Lo Stato è un'organizzazione particolare della forza, è l'organizzazione
della violenza destinata a reprimere una certa classe. Qual è, dunque, la
classe che il proletariato deve reprimere? Evidentemente una sola: la classe
degli sfruttatori, vale a dire la borghesia. I lavoratori hanno bisogno
dello Stato solo per reprimere la resistenza degli sfruttatori, e solo il
proletariato è in grado di dirigere e di attuare questa repressione, perché
il proletariato è la sola classe rivoluzionaria fino in fondo, la sola
classe capace di unire tutti i lavoratori e tutti gli sfruttati nella lotta
contro la borghesia, per soppiantarla completamente.
Le classi sfruttatrici hanno bisogno del dominio politico per il
mantenimento dello sfruttamento, vale a dire nell'interesse egoistico di
un'infima minoranza contro l'immensa maggioranza del popolo. Le classi
sfruttate hanno bisogno del dominio politico per sopprimere completamente
ogni sfruttamento, vale a dire nell'interesse dell'immensa maggioranza del
popolo, contro l'infima minoranza dei moderni schiavisti: i proprietari
fondiari e i capitalisti.
I democratici piccolo-borghesi, questi sedicenti socialisti che hanno
sostituito alla lotta delle classi le loro fantasticherie sull'intesa fra le
classi, si sono rappresentati anche la trasformazione socialista come una
fantasticheria; non come l'abbattimento del dominio della classe
sfruttatrice, ma come la sottomissione pacifica della minoranza alla
maggioranza, consapevole dei propri compiti. Questa utopia piccolo-borghese,
indissolubilmente legata al riconoscimento di uno Stato al di sopra delle
classi, praticamente non ha portato ad altro che al tradimento degli
interessi delle classi lavoratrici, come è stato provato, per esempio, dalla
storia delle rivoluzioni francesi del 1848 e del 1871, come è stato provato
dall'esperienza della partecipazione "socialista" ai ministeri borghesi in
Inghilterra, in Francia, in Italia e altrove alla fine del secolo decimonono
e all'inizio del secolo ventesimo.
Marx lottò tutta la vita contro un tale socialismo piccolo-borghese,
risuscitato oggi in Russia dai partiti socialista-rivoluzionario e
menscevico. Marx sviluppò la dottrina della lotta di classe in modo
coerente, ricavando da essa la dottrina del potere politico, dello Stato.
L'abbattimento del dominio borghese è possibile soltanto ad opera
del proletariato, come classe particolare, preparata a questo rovesciamento
dalle proprie condizioni economiche di esistenza che gli danno la
possibilità e la forza di compierlo. Mentre la borghesia fraziona, disperde
la classe contadina e tutti gli strati piccolo-borghesi, essa concentra,
raggruppa e organizza il proletariato. Grazie alla sua funzione economica
nella grande produzione, solo il proletariato è capace di essere la guida di
tutti i lavoratori e di tutte le masse sfruttate, che la borghesia spesso
sfrutta, opprime, schiaccia non meno e anche più dei proletari, ma che sono
incapaci di lottare indipendentemente per la loro emancipazione.
La dottrina della lotta di classe, applicata da Marx allo Stato e alla
rivoluzione socialista, porta necessariamente a riconoscere il dominio
politico del proletariato, la sua dittatura, il potere cioè ch'esso non
divide con nessuno e che si appoggia direttamente sulla forza armata delle
masse. L'abbattimento della borghesia non è realizzabile se non attraverso
la trasformazione del proletariato in classe dominante, capace di reprimere
la resistenza inevitabile, disperata della borghesia, di organizzare per un
nuovo regime economico tutte le masse lavoratrici e sfruttate.
Il potere statale, l'organizzazione centralizzata della forza,
l'organizzazione della violenza, sono necessari al proletariato sia per
reprimere la resistenza degli sfruttatori, sia per dirigere l'immensa massa
della popolazione - contadini, piccola borghesia, semiproletariato - nell'
opera di "avviamento" dell'economia socialista.
Educando il partito operaio, il marxismo educa una avanguardia del
proletariato, capace di prendere il potere e di condurre tutto il popolo al
socialismo, capace di dirigere e di organizzare il nuovo regime, d'essere il
maestro, il dirigente, il capo di tutti i lavoratori, di tutti gli
sfruttati, nell'organizzazione della loro vita sociale senza la borghesia e
contro la borghesia. L'opportunismo oggi dominante educa invece il partito
operaio in modo da farne il rappresentante dei lavoratori meglio retribuiti,
che si staccano dalle masse, "si sistemano" abbastanza comodamente nel
regime capitalistico e vendono per un piatto di lenticchie il loro diritto
di primogenitura, rinunciando cioè alla loro funzione di guida
rivoluzionaria del popolo nella lotta contro la borghesia.
"Lo Stato, vale a dire il proletariato organizzato come classe dominante", -
questa teoria di Marx è indissolubilmente legata a tutta la sua dottrina
sulla funzione rivoluzionaria del proletariato nella storia. Questa funzione
culmina nella dittatura proletaria, nel dominio politico del proletariato.
Ma se il proletariato ha bisogno dello Stato in quanto organizzazione
particolare della violenza contro la borghesia, ne scaturisce spontaneamente
la conclusione: la creazione di una tale organizzazione è concepibile senza
che sia prima annientata, distrutta la macchina dello Stato che la borghesia
ha creato per sé? Il Manifesto del Partito comunista conduce direttamente a
questa conclusione, ed è di questa conclusione che Marx parla quando fa il
bilancio dell'esperienza della rivoluzione del 1848-l851.
2. Il bilancio di una rivoluzione
Sul problema dello Stato che ci interessa, Marx, nella sua opera Il 18
Brumaio di Luigi Bonaparte, fa con questo ragionamento il bilancio dei
risultati della rivoluzione del 1848-l851.
"...Ma la rivoluzione va fino al fondo delle cose. Sta ancora attraversando
il purgatorio. Lavora con metodo. Fino al 2 dicembre [1851]" (data del colpo
di Stato di Luigi Bonaparte) "non ha condotto a termine che la prima metà
della sua preparazione; ora sta compiendo l'altra metà. Prima ha elaborato
alla perfezione il potere parlamentare, per poterlo rovesciare. Ora che ha
raggiunto questo risultato, essa spinge alla perfezione il potere esecutivo,
lo riduce alla sua espressione più pura, lo isola, si leva di fronte ad esso
come l'unico ostacolo, per concentrare contro di esso tutte le sue forze di
distruzione" ( il corsivo è nostro). "E quando la rivoluzione avrà condotto
a termine questa seconda metà del suo lavoro preparatorio, l'Europa balzerà
dal suo seggio e griderà: Ben scavato, vecchia talpa!
"Questo potere esecutivo, con la sua enorme organizzazione burocratica e
militare, col suo meccanismo statale complicato e artificiale, con un
esercito di impiegati di mezzo milione accanto a un altro esercito di mezzo
milione di soldati, questo spaventoso corpo parassitario che avvolge come un
involucro il corpo della società francese e ne ostruisce tutti i pori, si
costituì nel periodo della monarchia assoluta, al cadere del sistema
feudale, la cui caduta aiutò a rendere più rapida." La prima rivoluzione
francese sviluppò la centraIizzazione, "e in pari tempo dovette sviluppare
l'ampiezza, gli attributi e gli strumenti del potere governativo. Napoleone
portò alla perfezione questo meccanismo delIo Stato. La monarchia legittima
e la monarchia di luglio non vi aggiunsero nulla, eccetto una più grande
divisione del lavoro...
" ...La repubblica parlamentare, infine, si vide costretta a rafforzare
nella sua lotta contro la rivoluzione, assieme alle misure di repressione,
gli strumenti e la centralizzazione del potere dello Stato. Tutti i
rivolgimenti politici non fecero che perfezionare questa macchina, invece di
spezzarla" (il corsivo è nostro). "I partiti che successivamente lottarono
per il potere considerarono il possesso di questo enorme edificio dello
Stato come il bottino principale del vincitore" (Il 18 Brumaio di Luigi
Bonaparte, pp. 98-99, quarta ed. tedesca, Amburgo, 1907).
In questo ammirevole ragionamento il marxismo fa un grandissimo passo in
avanti in confronto al Manifesto del Partito comunista. Il problema dello
Stato nel Manifesto era posto in modo ancora troppo astratto, in nozioni e
termini dei più generici. Qui il problema è posto concretamente e la
conclusione è estremamente precisa, ben definita, praticamente tangibile:
tutte le rivoluzioni precedenti non fecero che perfezionare la macchina
dello Stato, mentre bisogna spezzarla, demolirla.
Questa conclusione è la cosa principale, essenziale della dottrina marxista
sullo Stato. E appunto questa cosa essenziale non solo è stata completamente
dimenticata dai partiti socialdemocratici ufficiali dominanti, ma è stata
perfino snaturata (come vedremo) dal più eminente teorico della Seconda
Internazionale, K. Kautsky.
Nel Manifesto del Partito comunista si ricavano gli insegnamenti generali
della storia; questi insegnamenti ci mostrano lo Stato come l'organo del
dominio di una classe e ci portano a questa necessaria conclusione: il
proletariato non potrebbe rovesciare la borghesia senza aver prima
conquistato il potere politico, senza essersi assicurato il dominio
politico, senza trasformare lo Stato in "proletariato organizzato come
classe dominante"; e questo Stato proletario comincerà ad estinguersi subito
dopo la sua vittoria, poichè lo Stato è inutile ed impossibile in una
società senza antagonismi di classe. Il problema di determinare in che cosa
consista - dal punto di vista dello sviluppo storico - questa sostituzione
dello Stato proletario allo Stato borghese qui non è posto.
Proprio questo è il problema che Marx pone e risolve nel 1852. Fedele alla
sua filosofia, il materialismo dialettico, Marx prende come base
l'esperienza storica dei grandi anni rivoluzionari 1848-l851. Qui, come
sempre, la dottrina di Marx è il bilancio di un'esperienza, bilancio
illuminato da una profonda concezione filosofica del mondo e da una vasta
conoscenza della storia.
Il problema dello Stato si pone in modo concreto: come è sorto storicamente
lo Stato borghese, la macchina statale necessaria al dominio della borghesia
? Quali trasformazioni, quali evoluzioni ha subito nel corso delle
rivoluzioni borghesi e di fronte ai movimenti autonomi delle classi
oppresse? Quali sono i compiti del proletariato rispetto a questa macchina
statale ?
Il potere statale centralizzato, proprio della società borghese, apparve nel
periodo della caduta dell'assolutismo. Le due istituzioni più
caratteristiche di questa macchina statale sono: la burocrazia e l'esercito
permanente. Marx ed Engels parlano molte volte, nelle loro opere, dei mille
legami che collegano queste istituzioni appunto con la borghesia.
L'esperienza acquisita da ogni lavoratore gli spiega in modo estremamente
evidente e convincente questi legami. La classe operaia impara a conoscerli
a proprie spese. Per questo essa afferra con tanta facilità ed assimila così
bene la scienza che afferma l'ineluttabilità di questi legami, scienza che i
democratici piccolo-borghesi negano per ignoranza o per leggerezza, quando
non abbiano la leggerezza ancora maggiore di ammetterla "in generale",
trascurando però di trarne le corrispondenti conclusioni pratiche.
La burocrazia e l'esercito permanente sono dei "parassiti" sul corpo della
società borghese, parassiti generati dalle contraddizioni interne che
dilaniano questa società, ma parassiti appunto che ne "ostruiscono" i pori
vitali. L'opportunismo kautskiano, oggi prevalente nella socialdemocrazia
ufficiale, ritiene che questa concezione dello Stato, considerato come
organismo parassitario, sia propria degli anarchici, ed esclusivamente degli
anarchici. Questa deformazione del marxismo è certo, estremamente
vantaggiosa ai piccoli borghesi che hanno portato il socialismo all'inaudita
vergogna di giustificare e di imbellire la guerra imperialistica
applicandole il concetto di "difesa della patria", ma rimane tuttavia una
deformazione incontestabile.
Questo apparato burocratico e militare si sviluppa, si perfeziona e si
rafforza attraverso le numerose rivoluzioni borghesi di cui l'Europa è stata
teatro dalla caduta del feudalesimo in poi. Tra l'altro, la piccola
borghesia si lascia attrarre dalla parte della grande borghesia, ed è
sottomessa a quest'ultima, in misura notevole proprio per mezzo di questo
apparato che dà agli strati superiori dei contadini, dei piccoli artigiani,
dei commercianti, ecc. impieghi relativamente comodi, tranquilli ed
onorifici e che pongono i loro titolari al di sopra del popolo. Si pensi a
quello che è avvenuto in sei mesi, dopo il 27 febbraio 1917, in Russia: i
posti di funzionari, una volta riservati di preferenza agli ultrareazionari,
sono divenuti il bottino dei cadetti, dei menscevichi e dei
socialisti-rivoluzionari. Non si è pensato, in fondo, a nessuna riforma
seria; si è cercato di rinviare le riforme "fino all'Assemblea costituente",
e di rinviare a poco a poco l'Assemblea costituente fino alla fine della
guerra! Ma per la divisione del bottino, per l'attribuzione di sinecure
ministeriali, di sottosegretariati di Stato, di posti di governatori
generali, ecc. ecc. non si è perso tempo e non si è aspettata nessuna
Assemblea costituente! Il giuoco delle combinazioni ministeriali non è
stato, in fondo, che l'espressione di questa divisione e nuova spartizione
del "bottino" alla quale si procede, dall'alto al basso, in tutto il paese,
in tutte le amministrazioni centrali e locali. E' chiaro il risultato, il
risultato obiettivo, dopo sei mesi - dal 27 febbraio al 27 agosto 1917 - di
tutto ciò: le riforme sono rinviate, la spartizione degli impieghi è
compiuta e gli "errori" commessi in questa spartizione sono stati corretti
con qualche nuova spartizione.
Ma più si procede a "nuove spartizioni" dell'apparato amministrativo fra i
diversi partiti borghesi e piccolo-borghesi (cadetti.
socialisti-rivoluzionari e menscevichi, se si prende l'esempio della
Russia), e con maggiore evidenza appare alle classi oppresse, e al
proletariato che ne è il capo, la loro ostilità irreducibile alla società
borghese nel suo insieme. Di qui la necessità per tutti i partiti borghesi,
anche i più democratici e "democratici rivoluzionari", di accentuare la
repressione contro il proletariato rivoluzionario, di rafforzare l'apparato
di coercizione, cioè questa stessa macchina statale. Questo corso degli
avvenimenti obbliga perciò la rivoluzione a "concentrare tutte le sue forze
di distruzione" contro il potere dello Stato; le impone il compito non di
migliorare la macchina statale, ma di demolirla, di distruggerla.
Non le deduzioni logiche, ma il corso reale degli avvenimenti, l'esperienza
vissuta del 1848-1851, hanno condotto a porre il problema in questi termini.
Fino a che punto Marx si attenga strettamente alla base reale della
esperienza storica, è dimostrato dal fatto che nel 1852 egli non si domanda
ancora in concreto che cosa si debba sostituire a questa macchina dello
Stato che deve essere distrutta. L'esperienza non aveva allora fornito degli
esempi che potessero far sorgere questa questione, che solo più tardi, nel
1871, la storia mise all'ordine del giorno.
Nel 1852 si poteva unicamente constatare, con la precisione propria delle
scienze naturali, che la rivoluzione proletaria affrontava il compito di
"concentrare tutte le sue forze di distruzione" contro il potere dello
Stato, il compito di "spezzare" la macchina statale.
Si potrebbe a questo punto porre la domanda se sia giusto generalizzare
l'esperienza, le osservazioni e le conclusioni Marx e applicarle a un campo
più vasto della storia di tre anni della Francia: daI 1848 al 1851.
Ricordiamo innanzi tutto, per analizzare la questione, un'osservazione di
Engels. Passeremo poi all'esame dei fatti.
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