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LENINISMO (Continua dalle pagine precedenti)

LENIN E LENINISMO
 

"...La Francia - scriveva Engels nella prefazione alla terza edizione del 18 Brumaio - è il paese in cui le lotte di classe della storia vennero combattute sino alla soluzione decisiva più che in qualsiasi altro luogo; e in cui quindi anche le mutevoli forme politiche, dentro alle quali quelle lotte si svolgono e in cui si riassumono i loro risultati, prendono i contorni più netti. Centro del feudalesimo nel medioevo, paese classico, a partire dal Rinascimento, della monarchia unitaria a poteri limitati, la Francia ha, con La Grande Rivoluzione, distrutto il feudalesimo e fondato il puro dominio della borghesia, in forma classica come nessun altro paese europeo. Anche la lotta del proletariato in ascesa contro la borghesia dominante assume qui una forma acuta, che altrove è sconosciuta" (p. 4, edizione del 1907). Quest'ultima osservazione è invecchiata, poichè dopo il 1871 la lotta rivoluzionaria del proletariato francese ha subíto una interruzione; interruzione però che, per quanto lunga, non esclude affatto che la Francia possa, nel corso della futura rivoluzione proletaria, rivelarsi ancora una volta come il paese classico della lotta delle classi condotta risolutamente fino in fondo. Ma gettiamo uno sguardo d'insieme sulla storia dei paesi avanzati alla fine del secolo decimonono e al principio del secolo ventesimo. Vedremo come, più lentamente, in forme più varie, su un'area molto più estesa, si sia svolto lo stesso processo: da un lato, l'elaborazione di un "potere parlamentare", tanto nei paesi repubblicani (Francia, America, Svizzera), quanto in quelli monarchici (Inghilterra, Germania, fino a un certo punto, Italia, paesi scandinavi, ecc.); dall'altro, la lotta per il potere dei diversi partiti borghesi e piccolo-borghesi che si dividono e si ridistribuiscono il "bottino" degli incarichi statali, mentre immutate restano le basi del regime borghese; finalmente un processo di perfezionamento e di rafforzamento del "potere esecutivo", del suo apparato burocratico e militare. Non v'è alcun dubbio che questi sono i caratteri comuni a tutta l'evoluzione moderna degli Stati capitalistici in generale. In tre anni, dal 1848 al 1851, la Francia mostrò, in una forma rapida, netta e concentrata, i processi di sviluppo propri dell'insieme del mondo capitalistico. L'imperialismo - epoca del capitale bancario e dei giganteschi monopoli capitalistici, epoca in cui il capitalismo monopolistico si trasforma in capitalismo monopolistico di Stato - mostra in modo particolare lo straordinario consolidamento della "macchina statale", l'inaudito accrescimento del suo apparato burocratico e militare per accentuare la repressione contro il proletariato, sia nei paesi monarchici che nei più liberi paesi repubblicani. La storia universale pone oggi, senza alcun dubbio, e su scala incomparabilmente più ampia che neI 1852, il compito della "concentrazione di tutte le forze" della rivoluzione proletaria per la "distruzione" della macchina statale. Con che cosa il proletariato la sostituirà? La Comune di Parigi ci ha fornito a questo proposito gli esempi più istruttivi. 3. Come Marx poneva la questione nel 1852 Mehring pubblicava nel 1907 nella Neue Zeit ( XXV, 2, 164 ) alcuni estratti di una lettera di Marx a Weydemeyer, del 5 marzo 1852. Questa lettera contiene fra l'altro il seguente importantissimo passo: "Per quello che mi riguarda, a me non appartiene né il merito di aver scoperto l'esistenza delle classi nella società moderna né quello di aver scoperto la lotta tra di esse. Già molto tempo prima di me degli storici borghesi avevano esposto la evoluzione storica di questa lotta delle classi, e degli economisti borghesi avevano esposto l'anatomia economica delle classi. Quel che io ho fatto di nuovo è stato di dimostrare: l. che l'esistenza delle classi è soltanto legata a determinate fasi di sviluppo storico della produzione [historische Entwicklungsphasen der Produktion]; 2. che la lotta di classe necessariamente conduce alla dittatura del proletariato; 3. che questa dittatura stessa costituisce soltanto il passaggio alla soppressione di tutte le classi e a una società senza classi...". In queste righe Marx è riuscito in primo luogo a esprimere con una impressionante nitidezza l'elemento essenziale e fondamentale che distingue la sua dottrina dalle dottrine dei più profondi e avanzati pensatori della borghesia. In secondo luogo, egli ha qui indicato la sostanza della sua dottrina dello Stato. L'elemento essenziale della dottrina di Marx è la lotta di classe. Cosí si dice e si scrive molto spesso. Ma questo non è vero e da questa affermazione errata deriva, di solito, una deformazione opportunista del marxismo, un travestimento del marxismo nel senso di renderlo accettabile alla borghesia. Perchè la dottrina della lotta di classe non è stata creata da Marx, ma dalla borghesia prima di Marx. e può, in generale, essere accettata dalla borghesia. Colui che si accontenta di riconoscere la lotta delle classi non è ancora un marxista, e può darsi benissimo che egli non esca dai limiti del pensiero borghese e dalla politica borghese. Ridurre il marxismo alla dottrina della lotta delle classi, vuol dire mutilare il marxismo, deformarlo, ridurlo a ciò che la borghesia può accettare. Marxista è soltanto colui che estende il riconoscimento della lotta delle classi sino al riconoscimento della dittatura del proletariato. In questo consiste la differenza più profonda tra il marxista e il banale piccolo-borghese (e anche il grande). E' questo il punto attorno al quale bisogna mettere alla prova la comprensione e il riconoscimento effettivi del marxismo. E non vi è da meravigliarsi che, nel momento in cui la storia dell'Europa ha condotto la classe operaia a porsi praticamente questa questione, non solo tutti gli opportunisti e i riformisti, ma anche tutti i "kautskiani" (gente che oscilla tra il riformismo e il marxismo) abbiano rivelato di essere dei miserabili filistei e dei democratici piccolo-borghesi che negano la dittatura del proletariato. L'opuscolo di Kautsky La dittatura del proletariato, uscito nell'agosto 1918, cioè molto tempo dopo la pubblicazione della prima edizione del presente libro, è un modello di deformazione piccolo-borghese del marxismo e di vile rinuncia ad esso nei fatti, unite a un riconoscimento ipocrita di esso a parole (si veda il mio opuscolo: La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky, Pietrogrado e Mosca 1918). L'opportunismo contemporaneo, personificato dal suo maggiore rappresentante, l'ex marxista K. Kautsky, rientra completamente nella caratteristica attribuita da Marx alla posizione borghese, perchè esso riconosce la lotta di classe soltanto nei limiti dei rapporti borghesi. (Ma entro questi limiti, nel quadro di questi rapporti, nessun liberale colto si rifiuta di riconoscere "in linea di principio" la lotta di classe!) L'opportunismo non porta il riconoscimento della lotta di classe sino al punto precisamente essenziale, sino al periodo del passaggio dal capitalismo al comunismo, sino al periodo dell'abbattimento della borghesia e del suo annientamento completo. In realtà, questo periodo è inevitabilmente un periodo di lotta di classe di un'asprezza inaudita, un periodo in cui le forme di questa lotta diventano quanto mai acute, e quindi anche lo Stato di questo periodo deve essere uno Stato democratico in modo nuovo (per i proletari e i non possidenti in generale), e dittatoriale in modo nuovo (contro la borghesia). Ancora. L'essenza della dottrina dello Stato di Marx può essere compresa fino in fondo soltanto da colui che comprende che la dittatura di una sola classe è necessaria non solo per ogni società classista in generale, non solo per il proletariato dopo aver abbattuto la borghesia, ma per un intero periodo storico, che separa il capitalismo della "società senza classi", dal comunismo. Le forme degli Stati borghesi sono straordinariamente varie, ma la loro sostanza è unica: tutti questi Stati sono in un modo o nell'altro, ma in ultima analisi, necessariamente, una dittatura della borghesia. Il passaggio dal capitalismo al comunismo, naturalmente, non può non produrre un'enorme abbondanza e varietà di forme politiche, ma la sostanza sarà inevitabilmente una sola: la dittatura del proletariato. III. Lo Stato e la rivoluzione. L' esperienza della Comune di Parigi (1871). L'analisi di Marx 1. In che cosa consiste l'eroismo del tentativo dei comunardi? E' noto che alcuni mesi prima della Comune, nell' autunno del 1870, Marx metteva in guardia gli operai parigini, mostrando loro che ogni tentativo di rovesciare il governo sarebbe stato una sciocchezza dettata dalla disperazione. Ma quando, nel marzo 1871, la battaglia decisiva fu imposta agli operai, ed essi l'accettarono cosicchè l'insurrezione divenne un fatto compiuto, Marx, nonostante i cattivi presagi, salutò con entusiasmo la rivoluzione proletaria. Egli non si ostinò a condannare per pedanteria un movimento "inopportuno", come fece Plekhanov, il tristemente celebre rinnegato russo del marxismo, che nei suoi scritti del novembre 1905 incoraggiava gli operai e i contadini alla lotta e, dopo il dicembre 1905, gridava alla maniera dei liberali: "Non bisognava prendere le armi". Marx non si limitò tuttavia ad entusiasmarsi per l'eroismo dei comunardi che, com'egli diceva, "davano l'assalto al cielo". Nel movimento rivoluzionario delle masse, benchè esso non avesse raggiunto il suo scopo, Marx vide una esperienza storica di enorme importanza, un sicuro passo in avanti della rivoluzione proletaria mondiale, un tentativo pratico più importante di centinaia di programmi e di ragionamenti. Analizzare questa esperienza, ricavarne delle lezioni di tattica, rivedere, sulla base di questa esperienza, la sua teoria - questo fu il compito che Marx si pose. L'unico "emendamento" che Marx giudicò necessario apportare al Manifesto del Partito comunista, lo fece sulla base dell'esperienza rivoluzionaria dei comunardi di Parigi. L'ultima prefazione a una nuova edizione tedesca del Manifesto del Partito comunista firmata insieme dai due autori porta la data del 24 giugno 1872. In questa prefazione Karl Marx e Friedrich Engels dicono che il programma del Manifesto del Partito comunista "è oggi qua e là invecchiato". "...La Comune, specialmente, - essi aggiungono, - ha fornito la prova che "la classe operaia non può impossessarsi puramente e semplicemente di una macchina statale già pronta e metterla in moto per i suoi propri fini"..." . Le ultime parole, fra virgolette, di questa citazione sono prese dagli autori dall'opera di Marx: La guerra civile in Francia. Così, a questo insegnamento principale e fondamentale della Comune di Parigi, venne attribuita da Marx ed Engels un'importanza talmente grande da trarne un emendamento sostanziale al Manifesto del Partito comunista. E' estremamente caratteristico che gli opportunisti abbiano snaturato proprio questo emendamento sostanziale; e i nove decimi, se non i novantanove centesimi, dei lettori del Manifesto del Partito comunista non ne afferrano certamente la portata. Su questa deformazione parleremo in particolare, in un capitolo successivo dedicato in modo speciale alle deformazioni. Qui basta rilevare che l'"interpretazione" corrente, volgare, della famosa formula di Marx, da noi citata, è che Marx vi avrebbe sottolineato l'idea dell'evoluzione lenta, in contrapposizione con la conquista del potere, ecc. In realtà, è proprio il contrario. L'idea di Marx è che la classe operaia deve spezzare, demolire la "macchina statale già pronta", e non limitarsi semplicemente ad impossessarsene. Il 12 aprile 1871, vale a dire precisamente durante la Comune, Marx scriveva a Kugelmann: "...Se tu rileggi l'ultimo capitolo del mio 18 Brumaio troverai che io affermo che il prossimo tentativo della rivoluzione francese non consisterà nel trasferire da una mano ad un'altra la macchina militare e burocratica, come è avvenuto fino ad ora, ma nello spezzarla" (il corsivo è di Marx; zerbrechen nell'originale) "e che tale è la condizione preliminare di ogni reale rivoluzione popolare sul Continente. In questo consiste pure il tentativo dei nostri eroici compagni parigini" (Neue Zeit, XX, I, 1901-1902. p. 709). (Le lettere di Marx a Kugelmann sono state pubblicate in russo almeno in due edizioni, una delle quali da me curata e preceduta da una mia prefazione.) "Spezzare la macchina burocratica e militare": in queste parole è espresso in modo incisivo l'insegnamento principale del marxismo sui compiti del proletariato nella rivoluzione per ciò che riguarda lo Stato. E proprio questo è l'insegnamento che non solo è stato assolutamente dimenticato, ma addirittura deformato dall'"interpretazione" dominante, kautskiana, del marxismo! Quanto al passo del 18 Brumaio al quale Marx si riferisce, l'abbiamo citato più sopra integralmente. E' interessante segnalare soprattutto due punti del passo citato da Marx. Anzitutto Marx limita la sua conclusione al Continente. Questo era comprensibile nel 1871, quando l'Inghilterra era ancora il modello d'un paese capitalistico puro, ma senza militarismo e in misura notevole senza burocrazia. Perciò Marx escludeva l'Inghilterra, dove la rivoluzione, e anche una rivoluzione popolare, si presentava ed era allora possibile senza la condizione preliminare della distruzione della "macchina statale già pronta". Attualmente, nel 1917, nell'epoca della prima grande guerra imperialista, questa riserva di Marx cade: l'Inghilterra e l'America, che erano, in tutto il mondo, le maggiori e le ultime rappresentanti della "libertà" anglosassone per quanto riguarda l'assenza di militarismo e di burocrazia, sono precipitate interamente nel lurido, sanguinoso pantano, comune a tutta Europa, delle istituzioni militari e burocratiche che tutto sottomettono a sé e tutto comprimono. Oggi, in Inghilterra e in America, la "condizione preliminare di ogni reale rivoluzione popolare" è la rottura, la distruzione della "macchina statale già pronta" (portata in questi paesi nel 1914-1917 a una perfezione "europea", imperialistica). In secondo luogo, merita un' attenzione particolare la osservazione straordinariamente profonda di Marx che la distruzione della macchina burocratica e militare dello Stato è "la condizione preliminare di ogni reale rivoluzione popolare". Questo concetto di rivoluzione "popolare" sembra strano in bocca a Marx, e i plekhanovisti e i menscevichi russi, questi seguaci di Struve che vogliono farsi passare per marxisti, potrebbero dire che questa espressione di Marx è un "lapsus". Essi hanno deformato il marxismo in modo così piattamente liberale che nulla esiste per loro all'infuori dell'antitesi: rivoluzione borghese o rivoluzione proletaria, e anche quest'antitesi è da essi concepita nel modo più scolastico che si possa immaginare. Se si prendono come esempio le rivoluzioni del ventesimo secolo, bisogna ben riconoscere che sia la rivoluzione portoghese che la rivoluzione turca furono rivoluzioni borghesi. Ma né l'una né l'altra furono "popolari"; né nell'una né nell'altra, infatti, la massa del popolo, la sua stragrande maggioranza, agì in modo attivo, indipendente, con le sue particolari esigenze economiche e politiche. La rivoluzione borghese russa del 1905-1907, invece, pur non avendo ottenuto i "brillanti" successi riportati in certi momenti dalle rivoluzioni portoghese e turca, fu incontestabilmente una rivoluzione "veramente popolare", poichè la massa del popolo, la sua maggioranza, i suoi strati sociali "inferiori", più profondi, oppressi dal giogo e dallo sfruttamento, si sollevarono in modo indipendente e lasciarono su tutta la rivoluzione l'impronta delle loro esigenze, dei loro tentativi di costruire a modo loro una nuova società al posto dell'antica ch'essi distruggevano. Nell'Europa del 1871, il proletariato non formava la maggioranza del popolo in nessun paese del Continente. Una rivoluzione poteva essere "popolare", mettere in movimento la maggioranza effettiva soltanto a condizione di abbracciare il proletariato e i contadini. Queste due classi costituivano allora il "popolo". Queste due classi sono unite dal fatto che la "macchina burocratica e militare dello Stato" le opprime, le schiaccia, le sfrutta. Spezzare questa macchina, demolirla, ecco il vero interesse del "popolo", della maggioranza del popolo, degli operai e della maggioranza dei contadini, ecco la "condizione preliminare" della libera alleanza dei contadini poveri con i proletari. Senza quest'alleanza non è possibile una democrazia salda, non è possibile una trasformazione socialista. E' noto che la Comune di Parigi si era aperta una strada verso questa alleanza, ma non raggiunse il suo scopo per ragioni di ordine interno ed esterno. Parlando quindi di una "reale rivoluzione popolare", senza dimenticare affatto le particolarità della piccola borghesia (delle quali parlò molto e spesso), Marx teneva dunque rigorosamente conto dei reali rapporti di forza fra le classi della maggior parte degli Stati continentali dell'Europa del 1871. D'altra parte egli costatava che gli operai e i contadini sono egualmente interessati a spezzare la macchina statale, che ciò li unisce e pone di fronte a loro il compito comune di sopprimere il "parassita" e di sostituirlo con qualche cosa di nuovo. Con che cosa precisamente ? 2. Con che cosa sostituire la macchina statale spezzata? A questa domanda Marx non dava ancora, nel 1847, nel Manifesto del Partito comunista, che una risposta puramente astratta; per meglio dire indicava i problemi e non i mezzi per risolverli. Sostituire la macchina dello Stato spezzata con 1'"organizzazione del proletariato come classe dominante", con la "conquista della democrazia": questa era la risposta del Manifesto del Partito comunista. Senza cadere nell'utopia, Marx aspettava dall'esperienza di un movimento di massa la risposta alla questione: quali forme concrete avrebbe assunto questa organizzazione del proletariato come classe dominante e in che modo precisamente questa organizzazione avrebbe coinciso con la più completa e conseguente "conquista della democrazia". Nella Guerra civile in Francia Marx sottopone l'esperienza della Comune, per quanto breve essa sia stata, a un'analisi attentissima. Citiamo i passi principali di questo scritto: Nel secolo decimonono, trasmesso dal medioevo, si sviluppava "il potere statale centralizzato, con i suoi organi dappertutto presenti: esercito permanente, polizia, burocrazia, clero e magistratura". A misura che l'antagonismo di classe tra capitale e lavoro si accentuava, "il potere dello Stato assumeva sempre più il carattere [...] di forza pubblica organizzata per l'asservimento sociale, di uno strumento di dispotismo di classe. Dopo ogni rivoluzione che segnava un passo avanti nella lotta di classe, il carattere puramente repressivo del potere dello Stato risaltava in modo sempre più evidente". Dopo la rivoluzione del 1848-1849 il potere dello Stato diviene uno "strumento pubblico di guerra del capitale contro il lavoro". Il Secondo Impero non fa che consolidarlo. "La Comune fu l'antitesi diretta dell'Impero." "Fu la forma positiva" di "una repubblica che non avrebbe dovuto eliminare soltanto la forma monarchica del dominio di classe, ma lo stesso dominio di classe...". In che cosa consisteva questa forma "positiva" di repubblica proletaria, socialista? Quale era lo Stato ch'essa aveva cominciato a creare? "...Il primo decreto della Comune fu la soppressione dell'esercito permanente, e la sostituzione ad esso del popolo armato..." Questa rivendicazione figura oggi nel programma di tutti i partiti che desiderano chiamarsi socialisti. Ma quel che valgono i loro programmi, lo dimostra nel modo migliore la condotta dei nostri socialisti-rivoluzionari e dei nostri menscevichi che, appunto dopo la rivoluzione del 27 febbraio, di fatto si rifiutarono di attuare questa rivendicazione! "...La Comune fu composta dei consiglieri municipali eletti a suffragio universale nei diversi mandamenti di Parigi, responsabili e revocabili in qualunque momento. La maggioranza dei suoi membri erano naturalmente operai, o rappresentanti riconosciuti della classe operaia... Invece di continuare ad essere agente del governo centrale, la polizia fu immediatamente spogliata delle sue attribuzioni politiche e trasformata in strumento responsabile della Comune revocabile in qualunque momento. Lo stesso venne fatto per i funzionari di tutte le altre branche dell'amministrazione. Dai membri della Comune in giù, il servizio pubblico doveva essere compiuto per salari da operai. I diritti acquisiti e le indennità di rappresentanza degli alti dignitari dello Stato scomparvero insieme coi dignitari stessi... Sbarazzatisi dell'esercito permanente e della polizia, elementi della forza fisica del vecchio governo, la Comune si preoccupò di spezzare la forza di repressione spirituale, il "potere dei preti"... I funzionari giudiziari furono spogliati di quella sedicente indipendenza... dovevano essere elettivi, responsabili e revocabili...". La Comune avrebbe dunque "semplicemente" sostituito la macchina statale spezzata con una democrazia più completa: soppressione dell'esercito permanente, assoluta eleggibilità e revocabilità di tutti i funzionari. In realtà ciò significa "semplicemente" sostituire - opera gigantesca - a istituzioni di un certo tipo altre istituzioni basate su princípi diversi. E' questo precisamente un caso di "trasformazione della quantità in qualità": da borghese che era, la democrazia, realizzata quanto più pienamente e conseguentemente sia concepibile, è diventata proletaria; lo Stato (forza particolare destinata a opprimere una classe determinata) s'è trasformato in qualche cosa che non è più propriamente uno Stato. Ma la necessità di reprimere la borghesia e di spezzarne la resistenza permane. Per la Comune era particolarmente necessario affrontare questo compito, e il non averlo fatto con sufficiente risolutezza è una delle cause della sua sconfitta. Ma qui l'organo di repressione è la maggioranza della popolazione, e non più la minoranza, come era sempre stato nel regime della schiavitù, del servaggio e della schiavitù salariata. E dal momento che è la maggioranza stessa del popolo che reprime i suoi oppressori, non c'è più bisogno di una "forza particolare" di repressione! In questo senso lo Stato comincia ad estinguersi. Invece delle istituzioni speciali di una minoranza privilegiata ( funzionari privilegiati, capi dell'esercito permanente), la maggioranza stessa può compiere direttamente le loro funzioni, e quanto più il popolo stesso assume le funzioni del potere statale, tanto meno si farà sentire la necessità di questo potere. A questo proposito è da notare in particolar modo un provvedimento preso dalla Comune e che Marx sottolinea: la soppressione di tutte le indennità di rappresentanza, la soppressione dei privilegi pecuniari dei funzionari, la riduzione degli stipendi assegnati a tutti i funzionari dello Stato al livello di "salari da operai". Qui appunto si fa sentire con speciale rilievo la svolta dalla democrazia borghese alla democrazia proletaria, dalla democrazia degli oppressori alla democrazia delle classi oppresse, dallo Stato come "forza particolare" destinata a reprimere una classe determinata, alla repressione degli oppressori ad opera della forza generale della maggioranza del popolo, degli operai e dei contadini. Ed è precisamente su questo punto particolarmente evidente - il più importante forse nella questione dello Stato - che gli insegnamenti di Marx sono stati più dimenticati! Gli innumerevoli commenti dei volgarizzatori non ne fanno cenno! E' "consuetudine" tacere su questo punto, come su di una "ingenuità" che ha fatto il suo tempo, esattamente come i cristiani "dimenticarono", quando il loro culto divenne religione di Stato, le "ingenuità" del cristianesimo primitivo e il suo spirito democratico rivoluzionario. La riduzione delle retribuzioni degli alti funzionari pare "semplicemente" l'esigenza di un democratismo ingenuo, primitivo. Uno dei "fondatori" del moderno opportunismo, l'ex socialdemocratico Ed. Bernstein, s'è molte volte esercitato a ripetere banali motteggi borghesi a proposito del democratismo "primitivo". Come tutti gli opportunisti, come i kautskiani dei nostri giorni, Bernstein non ha assolutamente compreso che, in primo luogo, il passaggio dal capitalismo al socialismo è impossibile senza un certo "ritorno" al democratismo "primitivo" (come si potrebbe altrimenti far compiere alla maggioranza della popolazione, e poi alla intera popolazione, le funzioni dello Stato?); in secondo luogo, che il "democratismo primitivo" sulla base del capitalismo e della civiltà capitalistica non è il democratismo primitivo delle epoche patriarcali e precapitalistiche. La civiltà capitalistica ha creato la grande produzione, le officine, le ferrovie, la posta, il telefono, ecc.; e su questa base, l'immensa maggioranza delle funzioni del vecchio "potere statale" si sono a tal punto semplificate e possono essere ridotte a così semplici operazioni di registrazione, d'iscrizione, di controllo, da poter essere benissimo compiute da tutti i cittadini con un minimo di istruzione e per un normale "salario da operai"; si può (e si deve) quindi togliere a queste funzioni ogni minima ombra che dia loro qualsiasi carattere di privilegio e di "gerarchia". Eleggibilità assoluta, revocabilità in qualsiasi momento di tutti i funzionari senza alcuna eccezione, riduzione dei loro stipendi al livello abituale del "salario da operaio": questi semplici e "naturali" provvedimenti democratici, mentre stringono pienamente in una comunità di interessi gli operai e la maggioranza dei contadini, servono in pari tempo da passerella tra il capitalismo e il socialismo. Questi provvedimenti concernono la riorganizzazione statale, puramente politica, della società; ma essi, naturalmente, assumono tutto il loro significato e tutta la loro importanza solo in legame con la "espropriazione degli espropriatori" realizzata o preparata; in legame cioè con la trasformazione della proprietà privata capitalistica dei mezzi di produzione in proprietà sociale. "La Comune - scriveva Marx - fece una realtà della frase pubblicitaria delle rivoluzioni borghesi, il governo a buon mercato, distruggendo le due maggiori fonti di spese, l'esercito permanente e il funzionarismo statale". Fra i contadini, come fra le altre categorie della piccola borghesia, solo un'infima minoranza "si eleva", "arriva" nel senso borghese della parola; solo alcuni individui divengono cioè delle persone agiate, dei borghesi o dei funzionari con posizione sicura e privilegiata. L'immensa maggioranza dei contadini, in tutti i paesi capitalistici in cui esistono dei contadini (e questi paesi sono la maggioranza), è oppressa dal governo e aspira a rovesciarlo, aspira ad un governo "a buon mercato". Solo il proletariato può assolvere questo compito, e assolvendolo egli fa in pari tempo un passo verso la riorganizzazione socialista dello Stato. 3. La soppressione del parlamentarismo "La Comune - scrisse Marx - non doveva essere un organismo parlamentare, ma di lavoro, esecutivo e legislativo allo stesso tempo... "...Invece di decidere un volta ogni tre o sei anni quale membro della classe dominante dovesse mal rappresentare [ver- und zertreten] il popolo nel Parlamento, il suffragio universale doveva servire al popolo costituito in comuni così come il suffragio individuale serve ad ogni altro imprenditore privato per cercare gli operai e gli organizzatori della sua azienda." Questa mirabile critica del parlamentarismo, fatta nel 1871, appartiene oggi anch'essa, grazie al dominio del socialsciovinismo e dell'opportunismo, alle "parole dimenticate" del marxismo. Ministri e parlamentari di professione, traditori del proletariato e socialisti "d'affari" dei nostri tempi hanno abbandonato agli anarchici il monopolio della critica del parlamentarismo e per questa ragione, di eccezionale saviezza, hanno qualificato di "anarchismo" qualsiasi critica del parlamentarismo! Nulla di strano quindi che il proletariato dei paesi parlamentari "progrediti", disgustato dalla vista di "socialisti" come gli Scheidemann, i David, i Legien, i Sembat, i Renaudel, gli Henderson, i Vandervelde, gli Staunig, i Branting, i Bissolati e compagnia, abbia riversato sempre più spesso le sue simpatie sull'anarco-sindacalismo, per quanto questo sia fratello dell'opportunismo. Ma per Marx la dialettica rivoluzionaria non fu mai quella vuota fraseologia alla moda, quel gingillo in cui la trasformarono Plekhanov, Kautsky e altri. Marx seppe romperla implacabilmente con l'anarchismo per la sua incapacità di utilizzare anche la "stalla" del parlamentarismo borghese. soprattutto quando è evidente che la situazione non è rivoluzionaria; ma egli seppe in pari tempo dare una critica veramente proletaria e rivoluzionaria del parlamentarismo. Decidere una volta ogni qualche anno qual membro della classe dominante debba opprimere, schiacciare il popolo nel Parlamento: - ecco la vera essenza del parlamentarismo borghese, non solo nelle monarchie parlamentari costituzionali, ma anche nelle repubbliche le più democratiche. Ma se si pone la questione dello Stato, se si considera il parlamentarismo come una delle istituzioni dello Stato, dal punto di vista dei compiti del proletariato in questo campo, dove è la via per uscire dal parlamentarismo? Come si può farne a meno? Siamo costretti a ripeterlo ancora: gli insegnamenti di Marx, basati sullo studio della Comune, sono stati dimenticati così bene che il "socialdemocratico" contemporaneo (si legga: il rinnegato contemporaneo del socialismo) è veramente incapace di concepire altra critica del parlamentarismo che non sia quella degli anarchici o dei reazionari. Senza dubbio la via per uscire dal parlamentarismo non è nel distruggere le istituzioni rappresentative e il principio dell'eleggibilità, ma nel trasformare queste istituzioni rappresentative da mulini di parole in organismi che "lavorino" realmente. "La Comune non doveva essere un organismo parlamentare. ma di lavoro, esecutivo e legislativo allo stesso tempo." Un organismo "non parlamentare, ma di lavoro": questo colpisce direttamente voi, moderni parlamentari e "cagnolini" parlamentari della socialdemocrazia! Considerate qualsiasi paese parlamentare, dall'America alla Svizzera, dalla Francia all'Inghilterra, alla Norvegia, ecc.: il vero lavoro "di Stato" si compie fra le quinte, e sono i ministeri, le cancellerie, gli stati maggiori che lo compiono. Nei Parlamenti non si fa che chiacchierare, con lo scopo determinato di turlupinare il "popolino". Questo è talmente vero che anche nella repubblica russa, repubblica democratica borghese, tutte queste magagne del parlamentarismo si fanno già sentire ancor prima che essa sia riuscita a darsi un vero Parlamento. Gli eroi del putrido fi1isteismo, gli Skobelev e gli Tsereteli, i Cernov e gli Avksentiev, sono riusciti a incancrenire persino i Soviet, trasformandoli in mulini di parole sul tipo del parlamentarismo borghese più rivoltante. Nei Soviet i signori ministri "socialisti" ingannano con la loro fraseologia e le loro risoluzioni i fiduciosi mugik. Nel governo si balla una quadriglia permanente, da un lato, per sistemare a turno attorno alla "torta" dei posticini remunerativi e onorifici il più gran numero possibile di socialisti-rivoluzionari e di menscevichi; d'altro lato, per "occupare l' attenzione" del popolo, E nelle cancellerie, negli stati maggiori "si sbrigano" le faccende "dello Stato". In un articolo di fondo, il Dielo Naroda, organo dei "socialisti rivoluzionari", partito al governo, confessava recentemente, con l'impareggiabile franchezza propria della gente della "buona società", in cui "tutti" si abbandonano alla prostituzione politica, che anche nei ministeri appartenenti ai "socialisti" (si passi la parola!), persino in essi tutto l'apparato amministrativo rimane in fondo lo stesso, funziona come per il passato e sabota in piena "libertà" le riforme rivoluzionarie! Ma, anche senza questa confessione, la storia effettiva della partecipazione dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi al governo non è forse la migliore prova di ciò? L'unica cosa caratteristica è qui che, trovandosi al governo in compagnia dei cadetti, i signori Cernov, Russanov, Zenzinov e altri redattori del Dielo Naroda abbiano perduto a tal punto il senso del pudore da raccontare pubblicamente e senza arrossire, come se si trattasse di un affare da nulla, che "da loro", nei loro ministeri, tutto procede come prima!! Fraseologia democratica rivoluzionaria per abbindolare i sempliciotti di campagna e trafila burocratica per "farsi ben volere" dai capitalisti: ecco il fondo di questa "onesta" coalizione. La Comune sostituisce questo parlamentarismo venale e corrotto della società borghese con istituzioni in cui la libertà di opinione e di discussione non degenera in inganno; poichè i parlamentari debbono essi stessi lavorare, applicare essi stessi le loro leggi, verificarne essi stessi i risultati, risponderne essi stessi direttamente davanti ai loro elettori. Le istituzioni rappresentative rimangono, ma il parlamentarismo, come sistema speciale, come divisione del lavoro legislativo ed esecutivo, come situazione privilegiata per i deputati, non esiste più. Noi non possiamo concepire una democrazia, sia pur una democrazia proletaria, senza istituzioni rappresentative, ma possiamo e dobbiamo concepirla senza parlamentarismo, se la critica della società borghese non è per noi una parola vuota di senso, se il nostro sforzo per abbattere il dominio della borghesia è uno sforzo serio e sincero e non una frase "elettorale" destinata a scroccare voti degli operai, come lo è per i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari, per gli Scheidemann e i Legien, i Sembat e i Vandervelde. E' molto significativo che Marx, parlando delle funzioni di questo personale amministrativo necessario alla Comune e alla democrazia proletaria, scelga come termine di paragone il personale di "ogni altro imprenditore", cioè un'ordinaria impresa capitalistica con "operai, sorveglianti e contabili". In Marx non v'è un briciolo di utopismo; egli non inventa, non immagina una società "nuova". No, egli studia, come un processo di storia naturale, la genesi della nuova società che sorge dall'antica, le forme di transizione tra l'una e l' altra. Egli si basa sui fatti, sull' esperienza del movimento proletario di massa e cerca di trarne insegnamenti pratici. Egli "si mette alla scuola" della Comune, come tutti i grandi pensatori rivoluzionari non esitavano a mettersi alla scuola dei grandi movimenti della classe oppressa, senza mai far loro pedantemente la "morale" (come faceva Plekhanov dicendo: "Non bisognava prendere le armi", o Tsereteli: "Una classe deve sapersi autolimitare"). Non sarebbe possibile distruggere di punto in bianco, dappertutto, completamente, la burocrazia. Sarebbe utopia. Ma spezzare subito la vecchia macchina amministrativa per cominciare immediatamente a costruirne una nuova, che permetta la graduale soppressione di ogni burocrazia, non è utopia, è l'esperienza della Comune, è il compito primordiale e immediato del proletariato rivoluzionario. Il capitalismo semplifica i metodi d'amministrazione "dello Stato", permette di eliminare la "gerarchia" e di ridurre tutto a un'organizzazione dei proletari (in quanto classe dominante) che assume, in nome di tutta la società, "operai, sorveglianti e contabili". Noi non siamo degli utopisti. Non "sogniamo" di fare a meno, dall' oggi al domani, di ogni amministrazione, di ogni subordinazione; questi sono sogni anarchici, fondati sull'incomprensione dei compiti della dittatura del proletariato, sogni che nulla hanno di comune con il marxismo e che di fatto servono unicamente a rinviare la rivoluzione socialista fino al giorno in cui gli uomini saranno cambiati. No, noi vogliamo la rivoluzione socialista con gli uomini quali sono oggi, e che non potranno fare a meno né di subordinazione, né di controllo, né di "sorveglianti, né di contabili". Ma bisogna subordinarsi all'avanguardia armata di tutti gli sfruttati e di tutti i lavoratori: al proletariato. Si può e si deve subito, dall'oggi al domani, cominciare a sostituire la specifica "gerarchia" dei funzionari statali con le semplici funzioni "di sorveglianti e di contabili", funzioni che sono sin da ora perfettamente accessibili al livello generale di sviluppo degli abitanti delle città e possono facilmente essere compiute per "salari da operai". Organizziamo la grande industria partendo da ciò che il capitalismo ha già creato; organizziamola noi stessi, noi operai, forti della nostra esperienza operaia, imponendo una rigorosa disciplina, una disciplina di ferro, mantenuta per mezzo del potere statale dei lavoratori armati; riduciamo i funzionari dello Stato alla funzione di semplici esecutori dei nostri incarichi, alla funzione di "sorveglianti e ai contabili", modestamente retribuiti, responsabili e revocabili (conservando naturalmente i tecnici di ogni specie e di ogni grado): è questo il nostro compito proletario; è da questo che si può e si deve cominciare facendo la rivoluzione proletaria. Questo inizio, fondato sulla grande produzione, porta da se alla graduale "estinzione" di ogni burocrazia, alla graduale instaurazione di un ordine - ordine senza virgolette, ordine diverso dalla schiavitù salariata - in cui le funzioni, sempre più semplificate, di sorveglianza e di contabilità saranno adempiute a turno, da tutti, diverrano poi un'abitudine e finalmente scompariranno in quanto funzioni speciali di una speciale categoria di persone. Verso il 1870 un arguto socialdemocratico tedesco considerava la posta come un modello di impresa socialista, Giustissimo. La posta è attualmente un'azienda organizzata sul modello del monopolio capitalistico di Stato. A poco a poco l'imperialismo trasforma tutti i trust in organizzazioni di questo tipo. I "semplici" lavoratori, carichi di lavoro e affamati, restano sempre sottomessi alla stessa burocrazia borghese. Ma il meccanismo della gestione sociale è già pronto. Una volta abbattuti i capitalisti, spezzata con la mano di ferro degli operai armati la resistenza di questi sfruttatori, demolita la macchina burocratica dello Stato attuale, avremo davanti a noi un meccanismo mirabilmente attrezzato dal punto di vista tecnico, sbarazzato dal "parassita", e che i lavoratori uniti possono essi stessi benissimo far funzionare assumendo tecnici, sorveglianti, contabili e pagando il lavoro di tutti costoro, come quelli di tutti i funzionari "dello Stato" in generale, con un salario da operaio. E' questo il compito concreto, pratico, immediatamente realizzabile nei confronti di tutti i trust e che libererà dallo sfruttamento i lavoratori, tenendo conto dell'esperienza praticamente iniziata (soprattutto nel campo dell'organizzazione dello Stato) dalla Comune. Tutta l'economia nazionale organizzata come la posta; i tecnici, i sorveglianti, i contabili, come tutti i funzionari dello Stato, retribuiti con uno stipendio non superiore al "salario da operaio", sotto il controllo e la direzione del proletariato armato: ecco il nostro fine immediato. Ecco lo Stato, ecco la base economica dello Stato di cui abbiamo bisogno. Ecco ciò che ci darà la distruzione del parlamentarismo e il mantenimento delle istituzioni rappresentative, ecco ciò che sbarazzerà le classi lavoratrici della prostituzione di queste istituzioni da parte della borghesia. 4. L'organizzazione dell'unità nazionale "...In un abbozzo sommario di organizzazione nazionale che la Comune non ebbe il tempo di sviluppare è detto chiaramente che la Comune doveva essere la forma politica anche del più piccolo borgo..." Le comuni avrebbero eletto la "delegazione nazionale" di Parigi. "...Le poche ma importanti funzioni che sarebbero ancora rimaste per un governo centrale, non sarebbero state soppresse, come venne affermato falsamente in mala fede, ma adempiute da funzionari comunali, e quindi strettamente responsabili... "L'unità della nazione non doveva essere spezzata, anzi doveva essere organizzata dalla costituzione comunale, e doveva diventare una realtà attraverso la distruzione di quel potere statale che pretendeva essere l'incarnazione di questa unità, indipendente e persino superiore alla nazione stessa, mentre non era che un'escrescenza parassitaria. Mentre gli organi puramente repressivi del vecchio potere governativo dovevano essere amputati, le sue funzioni legittime dovevano essere strappate a una autorità che usurpava una posizione predominante sulla società stessa, e restituite agli agenti responsabili della società.! Sino a qual punto gli opportunisti della socialdemocrazia contemporanea non abbiano capito, o per meglio dire, non abbiano voluto capire queste considerazioni di Marx, è provato nel modo migliore dal libro Le premesse del socialismo e i compiti della socialdemocrazia, col quale il rinnegato Bernstein si è acquistato una fama alla maniera di Erostrato. Proprio a proposito di questo passo di Marx, Bernstein scrisse che questo programma "per il suo contenuto politico, rivela, in tutti i suoi tratti essenziali, una straordinaria affinità col federalismo di Proudhon... Nonostante tutte le altre divergenze tra Marx e il "piccolo-borghese" Proudhon [Bernstein scrive "piccolo-borghese" tra virgolette, le quali, secondo lui, dovrebbero dare alle sue parole un senso ironico], il loro modo di vedere, è sotto questo aspetto, il più possibile simile". Certo, continua Bernstein, l'importanza delle municipalità aumenta, ma "mi pare cosa dubbia che il primo compito della democrazia sia l'abolizione [Auflösung, letteralmente: scioglimento, dissoluzione] degli Stati moderni e un cambiamento [Umwandlung, metamorfosi] così completo della loro organizzazione come lo raffigurano Marx e Proudhon: formazione di un'assemblea nazionale di delegati delle assemblee provinciali o dipartimentali, che a loro volta sarebbero composte di delegati delle comuni, in modo che le rappresentanze nazionali nella loro forma attuale scomparirebbero completamente" (Bernstein, Le premesse, pp. 134 e 136, edizione tedesca del 1899). E' semplicemente mostruoso! Confondere le concezioni di Marx sulla "soppressione del potere dello Stato parassita" col federalismo di Proudhon! Ma non è per caso, giacchè all'opportunista non viene nemmeno in mente che Marx qui non parla affatto del federalismo in opposizione al centralismo, ma della demolizione della vecchia macchina dello Stato borghese esistente in tutti i paesi borghesi. All'opportunista viene in mente soltanto ciò che egli vede attorno a se, nel suo ambiente di filisteismo piccolo-borghese e di stagnazione "riformista", vale a dire le sole "municipalità"! Quanto alla rivoluzione del proletariato, l'opportunista ha disimparato persino a pensarci. E' ridicolo. Ma è degno di nota che, su questo punto, nessuno abbia contraddetto Bernstein. Molti hanno confutato Bernstein, in particolare Plekhanov nella letteratura russa e Kautsky in quella europea, ma nessuno dei due ha mai detto niente di questa deformazione di Marx ad opera di Bernstein. L'opportunista ha disimparato così bene a pensare da rivoluzionario e a riflettere sulla rivoluzione, ch'egli attribuisce del "federalismo" a Marx, confondendolo così con Proudhon, fondatore dell'anarchismo. E Kautsky e Plekhanov, che pretendono di essere marxisti ortodossi e di difendere la dottrina del marxismo rivoluzionario, tacciono su questo punto! Ecco una delle ragioni essenziali del modo estremamente banale, proprio tanto dei kautskiani quanto degli opportunisti, su cui dovremo ritornare, di considerare la differenza esistente tra il marxismo e l'anarchismo. Nelle considerazioni di Marx già citate sull' esperienza della Comune non c'è la minima traccia di federalismo. Marx è d'accordo con Proudhon proprio su un punto che l'opportunista Bernstein non vede; Marx dissente da Proudhon proprio là dove Bernstein vede la concordanza. Marx è d' accordo con Proudhon in quanto entrambi sono per la "demolizione" dell'attuale macchina statale. Questa concordanza del marxismo con l' anarchismo (sia con Proudhon che con Bakunin) non vogliono vederla né gli opportunisti né i kautskiani, perchè su questo punto essi si sono allontanati dal marxismo. Marx dissente sia da Proudhon che da Bakunin appunto a proposito del federalismo (per non parlare poi della dittatura del proletariato). In linea di principio, il federalismo deriva dalle vedute piccolo-borghesi dell'anarchismo. Marx è centralista. E in tutti i passi citati non si troverà la minima rinuncia al centralismo. Soltanto gente imbevuta di una volgare "fede superstiziosa" nello Stato può scambiare la distruzione della macchina borghese con la distruzione del centralismo! Ma se il proletariato e i contadini poveri si impadroniscono del potere statale, si organizzano in piena libertà nelle comuni e coordinano l'azione di tutte le comuni per colpire il capitale, spezzare la resistenza dei capitalisti, rimettere a tutta la nazione, a tutta la società la proprietà privata delle ferrovie, delle officine, della terra, ecc, non è questo forse centralismo? Non è forse il centralismo democratico più conseguente, e, con ciò, un centralismo proletario? Bernstein è semplicemente incapace di concepire la possibilità di un centralismo volontario, di un'unione volontaria delle comuni in nazione, di una volontaria fusione delle comuni proletarie nell'opera di distruzione del dominio borghese e della macchina statale borghese. Bernstein, come ogni filisteo, si rappresenta il centralismo come un qualcosa che, venendo unicamente dall'alto, non può essere imposto e mantenuto se non dalla burocrazia e dal militarismo. Marx, quasi avesse previsto che le sue idee potevano essere travisate, sottolinea intenzionalmente che accusare la Comune di aver voluto distruggere l'unità nazionale e sopprimere il potere centrale equivale a commettere scientemente un falso. Marx adopera intenzionalmente l'espressione "organizzare l'unità della nazione" per contrapporre il centralismo proletario cosciente, democratico, al centralismo borghese, militare, burocratico. Ma... non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. Gli opportunisti della socialdemocrazia contemporanea non vogliono appunto sentir parlare di distruggere il potere dello Stato, di amputare questo parassita. 5. La distruzione dello Stato parassita Abbiamo già citato, su questo punto, i passi corrispondenti di Marx; dobbiamo ora completarli. "...E' comunemente destino di tutte le creazioni storiche completamente nuove di essere prese a torto per riproduzione di vecchie e anche di defunte forme di vita sociale, con le quali possono avere una certa rassomiglianza. Così questa nuova Comune, che spezza [bricht] il moderno potere statale, venne presa a torto per una riproduzione dei comuni medioevali... una federazione di piccoli Stati, come era stata sognata da Montesquieu e dai Girondini... una forma esagerata della vecchia lotta contro l'eccesso di centralizzazione... "...La costituzione della Comune avrebbe invece restituito al corpo sociale tutte le energie sino allora assorbite dallo Stato parassita, che si nutre alle spalle della società e ne intralcia i liberi movimenti. Con questo solo atto avrebbe iniziato la rigenerazione della Francia.. "...In realtà, la costituzione della Comune metteva i produttori rurali sotto la direzione intellettuale dei capoluoghi dei loro distretti, e quivi garantiva loro, negli operai, i naturali tutori dei loro interessi. L'esistenza stessa della Comune portava con se, come conseguenza naturale, la libertà municipale locale, ma non più come un contrappeso al potere dello Stato ormai diventato superfluo..." "Distruzione del potere totale", questa "escrescenza parassitaria", "amputazione", "demolizione" di questo potere, "il potere dello Stato ormai diventato superfluo": è in questi termini che Marx parla dello Stato, giudicando e analizzando l' esperienza della Comune. Tutto ciò è stato scritto circa mezzo secolo fa; ed oggi bisogna ricorrere quasi a degli scavi archeologici per far penetrare nella coscienza delle grandi masse questo marxismo non deformato. Le conclusioni che Marx trasse dall'ultima grande rivoluzione ch'egli visse, sono state dimenticate proprio quando è giunta l'ora di nuove grandi rivoluzioni del proletariato. " ...La molteplicità delle interpretazioni che si danno della Comune e la molteplicità degli interessi che nella Comune hanno trovato la loro espressione, mostrano che essa fu una forma politica fondamentalmente espansiva, mentre tutte le precedenti forme di governo erano state unilateralmente repressive. Il suo vero segreto fu questo: che essa fu essenzialmente un governo della classe operaia, il prodotto della lotta della classe dei produttori contro la classe appropriatrice, la forma politica finalmente scoperta. nella quale si poteva compiere la emancipazione economica del lavoro... "...Senza quest'ultima condizione, la costituzione della Comune sarebbe stata una cosa impossibile e un inganno..." Gli utopisti si sono sempre sforzati di "scoprire" le forme politiche nelle quali doveva prodursi la trasformazione socialista della società. Gli anarchici si sono disinteressati della questione delle forme politiche in generale. Gli opportunisti dell'odierna socialdemocrazia hanno accettato le forme politiche borghesi dello Stato democratico parlamentare come un limite al di là del quale è impossibile andare; si sono rotta la testa a furia di prosternarsi davanti a questo "modello" e hanno tacciato come anarchico ogni tentativo di demolire queste forme. Da tutta la storia del socialismo e della lotta politica Marx trasse la conclusione che lo Stato è condannato a scomparire e che la forma transitoria dello Stato in via di sparizione (transizione dallo Stato al non-Stato) sarà "il proletariato organizzato come classe dominante". In quanto alle forme politiche di questo avvenire, Marx non si preoccupò di scoprirle. Si limitò all'osservazione esatta della storia francese, alla sua analisi e alla conclusione che scaturiva dall' anno 1851: le cose marciano verso la distruzione della macchina dello Stato borghese. E quando il movimento rivoluzionario di massa del proletariato scoppiò, Marx, nonostante l'insuccesso del movimento, nonostante la sua breve durata e la sua impressionante debolezza, si mise a studiare le forme ch'esso aveva rivelato. La Comune è la forma "finalmente scoperta" dalla rivoluzione proletaria sotto la quale poteva prodursi la emancipazione economica del lavoro. La Comune è il primo tentativo della rivoluzione proletaria di spezzare la macchina dello Stato borghese; è la forma politica "finalmente scoperta" che può e deve sostituire quel che è stato spezzato. Vedremo più avanti che le rivoluzioni russe del 1905 e del 1917 continuano, in una situazione differente, in altre condizioni, l'opera della Comune e confermano la geniale analisi storica di Marx. IV. Seguito. Spiegazioni complementari di Engels Marx ha detto ciò che è essenziale sull'importanza dell'esperienza della Comune. Engels è ritornato più volte su questo tema, interpretando l'analisi e le conclusioni di Marx e spiegando talvolta altri aspetti della questione con tale vigore e con tale rilievo che è necessario soffermarsi in modo particolare su queste spiegazioni. 1. "La questione delle abitazioni" Nella sua opera sulla questione delle abitazioni (1872) Engels si basa già sull'esperienza della Comune quando, a più riprese, si sofferma sui compiti della rivoluzione nei confronti dello Stato. E' interessante vedere come in questo tema concreto appaiano con chiarezza, da un lato, i tratti di affinità tra lo Stato proletario e lo Stato attuale, - tratti che permettono in entrambi i casi di parlare di Stato - e, dall'altro lato, i tratti che li distinguono l'uno dall'altro, o il passaggio alla soppressione dello Stato. "Come risolvere dunque la questione delle abitazioni? Nell'odierna società, esattamente come si risolve qualsiasi altra questione sociale: mediante la graduale perequazione economica di domanda ed offerta, soluzione che crea sempre nuovamente la stessa questione, e che quindi non è una soluzione. La soluzione che darebbe alla questione una rivoluzione sociale non dipende soltanto dalle condizioni del momento, ma anche è connessa ad una serie di questioni di molto maggior ampiezza, fra le quali una delle più importanti è quella dell'eliminazione dell'antitesi fra città e campagna. Dato che noialtri non siamo di quelli che creano dei sistemi utopistici per l'instaurazione della società futura, dilungarci in proposito sarebbe superfluo. Però un fatto è sicuro fin da adesso, e cioè che nelle grandi città vi sono già sufficienti edifici di abitazioni da permettere di porre immediato riparo, con una utilizzazione razionale delle abitazioni medesime, ad ogni reale "insufficienza di abitazioni". Ciò può naturalmente farsi solo a condizione che siano espropriati gli attuali proprietari o siano occupate le loro case da parte dei senza tetto o degli operai che in precedenza vivevano ammassati in numero eccessivo nelle loro abitazioni; e non appena il proletariato avrà conquistato il potere politico. una tale misura - prescritta dal bene pubblico - sarà facile a compiere esattamente quanto sono facili oggi altre espropriazioni ed occupazioni da parte dell' attuale Stato" (p. 22, edizione tedesca del 1887). Non si prende qui in considerazione il cambiamento di forma del potere statale, ma soltanto il contenuto della sua attività. Anche per ordine dello Stato attuale si procede ad espropriazioni e a requisizioni di alloggi. Dal punto di vista formale, lo Stato proletario "ordinerà" esso pure delle requisizioni di alloggi e delle espropriazioni di case. Ma è evidente che il vecchio apparato esecutivo, la burocrazia legata alla borghesia, sarebbe semplicemente incapace di applicare le decisioni dello Stato proletario. "...D'altronde si deve costatare che la "effettiva presa di possesso" di tutti gli strumenti di lavoro, la presa di possesso di tutta l'industria da parte del popolo lavoratore, sono esattamente il contrario del "riscatto" proudhoniano. Col riscatto il singolo lavoratore diviene proprietario dell'abitazione, della cascina, degli strumenti di lavoro; con l'espropriazione il "popolo lavoratore" rimane proprietario in toto delle case, delle fabbriche e degli attrezzi, e - almeno nel periodo di trapasso - sarà difficile che ne conceda l'usufrutto a singoli o a società senza corresponsione delle spese. Proprio come l'abolizione della proprietà fondiaria non è l'abolizione della rendita fondiaria, ma il suo trasferimento, sia pure in forma modificata, alla società. La presa di possesso effettiva di tutti gli strumenti di lavoro da parte del popolo lavoratore non esclude dunque affatto il permanere dei rapporti di affittanza." (p. 69). Esamineremo nel capitolo seguente la questione qui accennata, e cioè quella delle basi economiche dell'estinzione dello Stato. Engels si esprime con estrema prudenza dicendo che lo Stato proletario "probabilmente", "almeno nel periodo transitorio", non distribuirà gli alloggi gratuitamente. L'affitto degli alloggi, proprietà di tutto il popolo, a queste o quelle famiglie col corrispettivo di una certa pigione, suppone dunque la percezione di questa pigione, un certo controllo e l'istituzione di certe norme di ripartizione degli alloggi. Tutto ciò esige una certa forma di Stato, ma non rende affatto necessario uno speciale apparato militare e burocratico, con funzionari che godano d'una situazione privilegiata. Il passaggio a uno stato di cose tale in cui gli alloggi possono essere assegnati gratuitamente è connesso alla totale "estinzione" dello Stato. Parlando dei blanquisti che, dopo la Comune e influenzati dalla sua esperienza, aderirono alle posizioni di principio del marxismo, Engels così definisce di sfuggita la loro posizione: "...necessità dell'azione politica del proletariato e della sua dittatura, come fase di transizione verso l'abolizione delle classi e, con esse, dello Stato..." (p. 55). Dilettanti di critica letterale o borghesi "distruttori del marxismo" vedranno forse una contraddizione tra questo riconoscimento dell'"abolizione dello Stato" e la negazione di questa stessa formula, considerata come anarchica, nel passo da noi già citato dell'Antidühring. Non ci sarebbe di che meravigliarsi nel vedere gli opportunisti classificare anche Engels fra gli "anarchici": accusare gli internazionalisti di anarchismo è un'abitudine oggi sempre più diffusa fra i socialsciovinisti. Il marxismo ha sempre insegnato che con l'abolizione delle classi si compie anche l'abolizione dello Stato. Il passo a tutti noto dell'Antidühring sull'"estinzione dello Stato" rimprovera gli anarchici non tanto di essere per l'abolizione dello Stato, quanto di pretendere che sia possibile abolire lo Stato "dall'oggi al domani". Poichè la dottrina "socialdemocratica" oggi dominante ha completamente deformato l'atteggiamento del marxismo verso l'anarchismo circa la questione della soppressione dello Stato, sarà particolarmente utile ricordare una polemica di Marx e di Engels con gli anarchici. 2. Polemica con gli anarchici Questa polemica risale al 1873. Marx ed Engels avevano pubblicato, in una raccolta socialista italiana, degli articoli contro i proudhoniani, "autonomisti" o "anti-autoritari", articoli che solo nel 1913 comparvero in traduzione tedesca nella Neue Zeit. "...Se la lotta politica della classe operaia - scriveva Marx deridendo gli anarchici e la loro negazione della politica - assume forme violente, se gli operai sostituiscono la loro dittatura rivoluzionaria alla dittatura della classe borghese, essi commettono il terribile delitto di leso-principio, perché per soddisfare i loro miserabili bisogni profani di tutti i giorni, per schiacciare la resistenza della classe borghese, invece di abbassare le armi e di abolire lo Stato, essi gli dànno una forma rivoluzionaria e transitoria..." (Neue Zeit, 1913-1914, A. XXXII, vol. I, p. 40). E' contro questa "abolizione" dello Stato, - e solo contro questa, - che Marx si levava nella sua polemica contro gli anarchici! Non contro I'idea che lo Stato scompare con la scomparsa delIe classi, o sarà abolito con la abolizione delIe classi, ma contro la rinuncia degli operai a fare uso delle armi, della violenza organizzata, vale a dire dello Stato, che deve servire a "schiacciare la resistenza deIla classe borghese". Perchè non si travisi il vero significato della sua lotta contro l'anarchismo. Marx sottolinea intenzionalmente "la forma rivoluzionaria e transitoria"dello Stato necessario al proletariato. Il proletariato ha bisogno dello Stato solo per un certo periodo di tempo. Quanto all'abolizione dello Stato, come fine, noi non siamo affatto in disaccordo con gli anarchici. Affermiamo che per raggiungere questo fine è indispensabile utilizzare temporaneamente, contro gli sfruttatori, gli strumenti, i mezzi e i metodi del potere statale, così com'è indispensabile, per sopprimere le classi, stabilire la dittatura temporanea della classe oppressa. Nel porre la questione contro gli anarchici, Marx sceglie il modo più incisivo e più chiaro: abbattendo il giogo dei capitalisti, gli operai debbono "deporre le armi" o rivolgerle contro i capitalisti per spezzare la loro resistenza? E se una classe fa sistematicamente uso delle armi contro un'altra classe, che cosa è questo se non una "forma transitoria" di Stato? Si domandi quindi ogni socialdemocratico: è così che egli ha posto il problema dello Stato nella polemica contro gli anarchici? è così che il problema è stato posto dall'immensa maggioranza dei partiti socialisti ufficiali della Seconda Internazionale? Engels sviluppa le stesse idee in modo ancor più particolareggiato e popolare. Egli deride innanzi tutto la confusione di idee dei proudhoniani che si chiamavano "anti-autoritari", negavano cioè ogni autorità, ogni subordinazione, ogni potere. Prendete una fabbrica, una ferrovia, un piroscafo in alto mare, - dice Engels, - non è evidente che senza una certa subordinazione, e quindi senza una certa autorità o un certo potere, non è possibile far funzionare nemmeno uno di questi complicati apparati tecnici, fondati sull'impiego delle macchine e la metodica collaborazione di un gran numero di persone? "...Allorchè io sottoposi simili argomenti ai più furiosi anti-autoritari, - scrive Engels, - essi non seppero rispondermi che questo: " Ah! Ciò vero, ma qui non si tratta di un'autorità che noi diamo ai delegati, ma di un incarico!". Questi signori credono aver cambiato le cose quando ne hanno cambiato i nomi..." Dopo aver così dimostrato che autorità ed autonomia sono nozioni re1ative, che il campo della loro applicazione varia secondo le differenti fasi dello sviluppo sociale, e che è assurdo considerarle come qualcosa di assoluto; dopo aver aggiunto che il campo di applicazione delle macchine e della grande industria va sempre più estendendosi, Engels passa dalle considerazioni generali sull'autorità al problema dello Stato. " ...Se gli autonomisti - egli scrive - si limitassero a dire che l'organizzazione sociale dell'avvenire restringerà l'autorità ai soli limiti nei quali le condizioni della produzione la rendono inevitabile, si potrebbe intendersi; invece, essi sono ciechi per tutti i fatti che rendono necessaria la cosa, e si avventano contro la parola. "Perchè gli anti-autoritari non si limitano a gridare contro l'autorità politica, lo Stato? Tutti i socialisti sono d'accordo in ciò, che lo Stato politico e con lui l'autorità politica scompariranno in conseguenza della prossima rivoluzione sociale, e cioè che le funzioni pubbliche perderanno il loro carattere politico, e si cangieranno in semplici funzioni amministrative veglianti ai veri interessi sociali. Ma gli anti-autoritari domandano che lo Stato politico autoritario sia abolito d'un tratto, prima ancora che si abbiano distrutte le condizioni sociali, che l'hanno fatto nascere. Eglino domandano che il primo atto della rivoluzione sociale sia l'abolizione dell'autorità. Non hanno mai veduto una rivoluzione questi signori? Una rivoluzione è certamente la cosa più autoritaria che vi sia; è l'atto per il quale una parte della popolazione impone la sua volontà all'altra parte col mezzo di fucili, baionette e cannoni, mezzi autoritari, se ce ne sono; e il partito vittorioso, se non vuol avere combattuto invano, deve continuare questo dominio col terrore che le sue armi ispirano ai reazionari. La Comune di Parigi sarebbe durata un sol giorno, se non si fosse servita di questa autorità di popolo armato, in faccia ai borghesi? Non si può al contrario rimproverarle di non essersene servita abbastanza largamente? "Dunque, delle due cose l'una: o gli anti-autoritari non sanno ciò che si dicono, e in questo caso non seminano che la confusione; o essi lo sanno, e in questo caso tradiscono il movimento del proletariato. Nell'un caso e nell'altro essi servono la reazione" (p. 39). In questo passo si fa accenno a questioni che devono essere esaminate in connessione con il problema dei rapporti fra la politica e l'economia nel periodo dell'estinzione dello Stato. (Il capitolo seguente è dedicato a questo tema.) Tali sono i problemi relativi alla trasformazione delle funzioni pubbliche da funzioni politiche in semplici funzioni amministrative; tale è il problema dello "Stato politico". Quest'ultima espressione, particolarmente suscettibile di far sorgere malintesi, mostra il processo dell'estinzione dello Stato: lo Stato che si estingue, a un certo punto dalla sua estinzione, può essere chiamato uno Stato non politico. La cosa più notevole in questo passo di Engels è ancora una volta il modo con cui egli imposta la questione contro gli anarchici. I socialdemocratici, che pretendono di essere allievi di Engels, hanno polemizzato milioni di volte con gli anarchici dopo il 1873, ma non hanno discusso come i marxisti possono e debbono fare. L'idea che si fanno gli anarchici dell'abolizione dello Stato è confusa e non rivoluzionaria: ecco come Engels impostò la questione. E' proprio la rivoluzione, nel suo sorgere e nel suo sviluppo, nei suoi compiti specifici rispetto alla violenza, all'autorità, al potere, allo Stato, che gli anarchici si rifiutano di vedere. Per i socialdemocratici contemporanei la critica dell'anarchismo si riduce abitualmente a questa pura banalità piccolo-borghese: "Noi ammettiamo lo Stato, gli anarchici no!". Naturalmente una tale banalità non può non suscitare l'avversione degli operai con un minimo di raziocinio e rivoluzionari. Ben altro è ciò che dice Engels: egli sottolinea che tutti i socialisti riconoscono che la scomparsa dello Stato è una conseguenza della rivoluzione socialista. In seguito egli pone in modo concreto la questione della rivoluzione, la questione appunto che i socialdemocratici, per il loro opportunismo, generalmente eludono, abbandonando agli anarchici il monopolio della pseudo "elaborazione" di questo problema. E ponendo tale questione, Engels prende il toro per le corna: la Comune non avrebbe dovuto forse servirsi maggiormente del potere rivoluzionario dello Stato, vale a dire del proletariato armato, organizzato come classe dominante? La socialdemocrazia ufficiale e dominante ha eluso di solito il problema dei compiti concreti del proletariato nella rivoluzione, o con un semplice sarcasmo da filisteo, o, nel migliore dei casi, con questa battuta sofistica ed evasiva: "Si vedrà poi!". Gli anarchici erano in diritto di rimproverare, a una tale socialdemocrazia, di venir meno al suo dovere di educare in uno spirito rivoluzionario gli operai. Engels mette a profitto l'esperienza dell'ultima rivoluzione proletaria appunto per studiare nel modo più concreto quello che il proletariato deve fare per ciò che riguarda sia le banche che lo Stato, e come deve farlo. 3. Una lettera a Bebel Una delle considerazioni più notevoli, se non la più notevole, che troviamo negli scritti di Marx e di Engels sullo Stato, è nel seguente passo di una lettera di Engels a Bebel del 18-28 marzo 1875. Notiamo tra parentesi che questa lettera è stata pubblicata per la prima volta, per quanto mi è noto, nel secondo volume delle memorie di Bebel (Ricordi della mia vita), apparse nel 1911, cioè trentasei anni dopo che era stata scritta e inviata. Engels aveva scritto a Bebel criticando il progetto del programma di Gotha, che anche Marx aveva criticato nella sua nota lettera a W. Bracke. Parlando in particolare del problema dello Stato, Engels scrive : " ...Lo Stato popolare libero si è trasformato in Stato libero. Secondo il senso grammaticale di queste parole, uno Stato libero è quello che è libero verso i suoi cittadini, cioè è uno Stato con un governo dispotico. Sarebbe ora di farla finita con tutte queste chiacchiere sullo Stato, specialmente dopo la Comune che non era più uno Stato nel senso proprio della parola. Gli anarchici ci hanno abbastanza rinfacciato lo "Stato popolare", benchè già il libro di Marx contro Proudhon e in seguito il Manifesto del Partito comunista dicano esplicitamente che con l'instaurazione del regime sociale socialista lo Stato si dissolve da sé [sich auflöst] e scompare. Non essendo lo Stato altro che un'istituzione temporanea di cui ci si deve servire nella lotta, nella rivoluzione, per tener soggiogati con la forza i propri nemici, parlare di uno "Stato popolare libero" è pura assurdità: finchè il proletariato ha ancora bisogno dello Stato, ne ha bisogno non nell'interesse della libertà, ma nell'interesse dell'assoggettamento dei suoi avversari, e quando diventa possibile parlare di libertà allora lo Stato come tale cessa di esistere. Noi proporremo quindi di mettere ovunque invece della parola Stato la parola Gemeinwesen, una vecchia eccellente parola tedesca, che corrisponde alla parola francese Commune" (p. 322 dell'originale tedesco). Bisogna ricordare che questa lettera si riferisce al programma del partito, criticato in una lettera di Marx scritta solo poche settimane dopo questa (la lettera di Marx è del 5 maggio 1875), e che Engels viveva allora con Marx a Londra. E' dunque certo che Engels, dicendo nella sua ultima frase "noi", propone, a nome suo e di Marx, al capo del partito operaio tedesco di sopprimere nel programma la parola "Stato" e di sostituirla con la parola "Comune". Come griderebbero all' "anarchia" i capi del moderno "marxismo" adattato alle comodità degli opportunisti, se si proponesse loro un simile emendamento del programma! Gridino pure! La borghesia li loderà. Noi, da parte nostra, continueremo la nostra opera. Nel rivedere il programma del nostro partito dovremmo assolutamente tener conto del consiglio di Engels e di Marx, per accostarci alla verità, per ristabilire il marxismo, purificandolo da tutte le deformazioni, per meglio dirigere la classe operaia nella lotta per la sua liberazione. E' certo che la raccomandazione di Engels e di Marx non troverà oppositori tra i bolscevichi. Non ci sarà, crediamo, che una difficoltà: la scelta del termine. In tedesco vi sono due parole che significano "Comune"; Engels scelse quella che indica non una singola comune, ma un insieme, un sistema di comuni. In russo non esiste una parola simile e bisognerà forse ricorrere alla parola francese "Commune", quantunque presenti anch'essa certi inconvenienti. "La Comune non era più uno Stato nel senso proprio della parola": ecco l'affermazione di Engels, fondamentale dal punto di vista teorico. Dopo l'esposizione che precede, questa affermazione è perfettamente comprensibile. La Comune cessava di essere uno Stato nella misura in cui essa non doveva più opprimere la maggioranza della popolazione, ma una minoranza (gli sfruttatori); essa aveva spezzato la macchina dello Stato borghese; invece di una forza particolare di oppressione, era la popolazione stessa che entrava in campo. Tutto ciò non corrisponde più allo Stato nel senso proprio della parola. Se la Comune si fosse consolidata, le tracce dello Stato si sarebbero "estinte" da sé: la Comune non avrebbe avuto bisogno di "abolire" le sue istituzioni: queste avrebbero cessato di funzionare a mano a mano che non avrebbero più avuto nulla da fare. "Gli anarchici ci rinfacciano lo "Stato popolare"." Così dicendo Engels allude soprattutto a Bakunin e ai suoi attacchi contro i socialdemocratici tedeschi. Engels riconosce che questi attacchi sono in qualche modo giusti in quanto lo "Stato popolare" è un nonsenso e una deviazione dal socialismo, come lo è lo "Stato popolare libero". Engels si sforza di correggere la lotta dei socialdemocratici tedeschi contro gli anarchici, di farne una lotta giusta nei principi, di sbarazzarla dai pregiudizi opportunisti sullo "Stato". Ahimè! La lettera di Engels è rimasta per ben trentasei anni in un cassetto. Vedremo più avanti che, anche dopo la pubblicazione di questa lettera, Kautsky si ostina a ripetere in sostanza i medesimi errori contro i quali Engels aveva messo in guardia. Bebel rispose a Engels il 21 settembre 1875, con una lettera nella quale dichiarava tra l'altro di essere "completamente d'accordo" con il giudizio da lui esposto sul progetto del programma e di aver rimproverato a Liebknecht di essere stato troppo accomodante (p. 304 dell'ed. tedesca delle memorie di Bebel, vol. II). Ma se prendiamo l'opuscolo di Bebel intitolato I nostri scopi vi troveremo delle considerazioni sullo Stato completamente sbagliate: "Lo Stato fondato sulla dominazione di una classe deve essere trasformato in uno Stato popolare" (Unsere Ziele, ed. tedesca, 1886, p. 14). E questo è pubblicato nella nona (nona!) edizione dell'opuscolo di Bebel! Non c'è da meravigliarsi che la socialdemocrazia tedesca si sia imbevuta di concezioni opportunistiche sullo Stato così ostinatamente ripetute, tanto più quando i commenti rivoluzionari di Engels giacevano in un cassetto e le circostanze della vita facevano "disimparare" per lungo tempo la rivoluzione. 4. Critica del progetto del programma di Erfurt Non si può, in un'analisi della dottrina marxista sullo Stato, trascurare la critica del progetto del programma di Erfurt inviata da Engels a Kautsky il 29 giugno 1891, e pubblicata solo dieci anni dopo nella Neue Zeit, perchè essa è soprattutto dedicata alla critica delle concezioni opportuniste della socialdemocrazia sui problemi dell'organizzazione dello Stato. Rileviamo di sfuggita che Engels dà anche, sulle questioni economiche, una indicazione estremamente preziosa, che mostra con quale attenzione e quale profondità di pensiero egli seguisse le trasformazioni del capitalismo moderno, e come sapesse quindi, in una certa misura, presentire i problemi della nostra epoca imperialista. Ecco questa indicazione: a proposito della parola Planlosigkeit (assenza di piano) adoperata nel progetto di programma per caratterizzare il capitalismo, Engels scrive: "...Se poi dalle società per azioni passiamo ai trust, che dominano e monopolizzano intere branche dell'industria, non soltanto non esiste più produzione privata, ma non possiamo parlare più neppure di assenza di un piano" (Neue Zeit, A. XX, vol. I, 1901-1902, p. 8). Nella valutazione teorica del capitalismo moderno, cioè dell'imperialismo, è colto qui l'essenziale, vale a dire che il capitalismo si trasforma in capitalismo monopolistico. E da sottolineare capitalismo perchè uno degli errori più diffusi è l'affermazione riformista borghese, secondo la quale il capitalismo monopolistico o monopolistico di Stato non è già più capitalismo e può essere chiamato "socialismo di Stato", ecc. Naturalmente i trust non hanno mai dato, non danno sinora e non possono dare la regolamentazione di tutta l'economia secondo un piano. Ma per quanto essi stabiliscano un piano, per quanto i magnati del capitale calcolino in anticipo il volume della produzione su scala nazionale e persino internazionale, per quanto essi regolino questa produzione in base a un piano, rimaniamo tuttavia in regime capitalistico, benchè in una sua nuova fase, ma, indubbiamente, in regime capitalistico. La "vicinanza" di tale capitalismo al socialismo deve essere per i veri rappresentanti del proletariato un argomento in favore della vicinanza, della facilità, della possibilità, dell'urgenza della rivoluzione socialista, e non già un argomento per mostrarsi tolleranti verso la negazione di questa rivoluzione e verso l'abbellimento del capitalismo, nella qual cosa sono impegnati tutti i riformisti. Ma ritorniamo al problema dello Stato. Engels ci dà qui indicazioni particolarmente preziose su tre punti: primo, sul problema della repubblica; secondo, sul legame esistente tra la questione nazionale e l'organizzazione dello Stato; terzo, sull'amministrazione autonoma locale. Engels fa della questione della repubblica il punto cruciale della sua critica nel programma di Erfurt. Se ricordiamo quale importanza il programma di Erfurt aveva assunto per tutta la socialdemocrazia internazionale, come era servito di modello a tutta la Seconda Internazionale, si potrà dire, senza timore di esagerare, che Engels critica qui l'opportunismo di tutta la Seconda Internazionale. "Le rivendicazioni politiche del progetto - egli scrive - hanno un grosso difetto. In esse manca proprio ciò che invece doveva essere detto" (il corsivo è di Engels). E più avanti dimostra che la Costituzione tedesca è, in sostanza, una copia ricalcata della Costituzione ultrareazionaria del 1850; che il Reichstag non è altro, come diceva Wilhelm Liebknecht, che "la foglia di fico dell'assolutismo", e che voler realizzare - sulla base di una Costituzione che consacra l' esistenza di piccoli Stati tedeschi e della confederazione di questi piccoli Stati - la "trasformazione dei mezzi di lavoro in proprietà comune" è "manifestamente privo di senso". "E' pericoloso toccare questo tasto", - aggiunge Engels, il quale sa benissimo che non si può, in Germania, enunciare legalmente in un programma la rivendicazione della repubblica. Tuttavia Engels non si adatta puramente e semplicemente a questa considerazione evidente di cui "tutti" si accontentano. Egli continua: "Ma l'argomento, in un modo o nell'altro, va affrontato. Quanto sia necessario lo sta dimostrando proprio ora l'opportunismo che è penetrato [einreissende] in una grande parte della stampa socialdemocratica. Per timore di una ripresa delle leggi antisocialiste, a causa del ricordo di tutte le varie dichiarazioni prematuramente espresse quando quelle leggi erano in vigore, all'improvviso l'attuale situazione legale in Germania dovrebbe essere sufficiente al partito per attuare per via pacifica tutte le sue rivendicazioni..." I socialdemocratici tedeschi hanno agito per paura di un rinnovo delle leggi eccezionali: - è questo il fatto essenziale che Engels pone in primo piano e definisce, senza mezzi termini, opportunismo, dichiarando che, appunto perchè in Germania non v'è repubblica e non v'è libertà, sognare una via "pacifica" è cosa insensata. Engels è abbastanza prudente per non legarsi le mani. Egli riconosce che nei paesi retti a repubblica o che godono di una grandissima libertà "si può concepire" (soltanto "concepire"!) un'evoluzione pacifica verso il socialismo, ma in Germania, egli ripete, "...in Germania, dove il governo è quasi onnipotente e il Reichstag e gli altri organismi rappresentativi sono privi di reale potere, e per di più proclamarlo senza necessità, significa togliere all'assolutismo la foglia di fico e servirsene per coprire le proprie nudità...". A fare da copertura all'assolutismo furono infatti, nella loro grande maggioranza, i capi ufficiali della socialdemocrazia tedesca, che aveva messo "nel dimenticatoio" gli avvertimenti di Engels. "...Una simile politica, alla lunga, non può non indurre in errore il partito. Si pongono in prima linea questioni politiche astratte, generali, e si celano così le questioni concrete e più urgenti, quelle questioni che al primo grande avvenimento, alla prima crisi politica, si pongono da sé all'ordine del giorno. Che altro può derivarne, se non il fatto che al momento decisivo il partito si trovi improvvisamente perplesso, che sui punti decisivi regnino la confusione e la discordia perchè questi punti non sono mai stati discussi?... "Questo dimenticare i grandi principi fondamentali di fronte agli interessi passeggeri del momento, questo lottare e tendere al successo momentaneo senza preoccuparsi delle conseguenze che ne scaturiranno, questo sacrificare il futuro del movimento per il presente del movimento, può essere considerato onorevole, ma è e rimane opportunismo, e l'opportunismo "onorevole" è forse il peggiore di tutti... "Se vi è qualcosa di certo, è proprio il fatto che il nostro partito e la classe operaia possono giungere al potere soltanto sotto la forma della repubblica democratica. Anzi, questa è la forma specifica per la dittatura del proletariato, come già ha dimostrato la Grande Rivoluzione francese..." Engels ripete qui, mettendola particolarmente in rilievo, l'idea fondamentale che attraversa, come un filo ininterrotto, tutte le opere di Marx: la repubblica democratica è la via più breve che conduce alla dittatura del proletariato. Questa repubblica, infatti, benchè non sopprima affatto il dominio del capitale, e quindi l'oppressione delle masse e la lotta di classe, porta inevitabilmente questa lotta a un'estensione, a uno sviluppo, a uno slancio e ad un'ampiezza tale che, una volta apparsa la possibilità di soddisfare gli interessi essenziali delle masse oppresse, questa possibilità si realizza necessariamente e unicamente con la dittatura del proletariato, con la direzione di queste masse da parte del proletariato. Per tutta la Seconda Internazionale anche queste sono state "parole dimenticate" del marxismo, e questa dimenticanza si è manifestata con particolare evidenza nella storia del partito menscevico durante i primi sei mesi della rivoluzione russa del 1917. Sul problema della repubblica federativa in relazione con la composizione nazionale della popolazione, Engels scriveva: "Che cosa dovrebbe subentrare al loro posto?" (al posto della costituzione monarchica reazionaria dell'attuale Germania e della sua non meno reazionaria suddivisione in piccoli Stati, che perpetua le caratteristiche specifiche del "prussianesimo" anziché dissolverle in una Germania come un tutto unico). "A mio giudizio, il proletariato può utilizzare soltanto la forma della repubblica una e indivisibile. La repubblica federale ancora oggi, nel complesso, è una necessità, data la gigantesca estensione territoriale degli Stati Uniti, sebbene nella loro parte orientale costituisca già un impedimento. Sarebbe un progresso in Inghilterra, dove sulle due isole vivono quattro nazioni, e dove nonostante un Parlamento unico sussistono già oggi, uno accanto all'altro, tre tipi di sistemi legislativi. Già da tempo essa è divenuta un ostacolo nella piccola Svizzera, sopportabile soltanto perché la Svizzera si accontenta di essere un membro puramente passivo del sistema degli Stati europei. Per la Germania una imitazione del federalismo svizzero sarebbe un enorme passo indietro. Due punti dividono lo Stato federale dallo Stato unitario, cioè il fatto che ogni singolo Stato federato, ogni Cantone, ha la propria legislazione civile e penale e la propria organizzazione giudiziaria, e il fatto che accanto al Parlamento del popolo (Volkshaus) esiste un Parlamento degli Stati (Staatenhaus), nel quale ogni Cantone, grande o piccolo, vota come tale." In Germania lo Stato federale rappresenta una forma di transizione verso uno Stato completamente unitario; non si deve far retrocedere la "rivoluzione dall'alto", compiuta nel 1866 e nel 1870, ma si deve completarla con un "movimento dal basso". Ben lontano dal disinteressarsi delle forme dello Stato, Engels si sforza al contrario di analizzare con la massima attenzione proprio le forme transitorie, per determinare in ogni caso specifico, in base alle particolarità storiche concrete, quale passaggio, da che cosa e verso che cosa, rappresenti la forma transitoria esaminata Come Marx, Engels difende, dal punto di vista del proletariato e della rivoluzione proletaria, il centralismo democratico, la repubblica una e indivisibile. Egli considera la repubblica federale o come un'eccezione alla regola e un ostacolo allo sviluppo, o come una transizione tra la monarchia e la repubblica centralizzata, come un "passo avanti", in certe condizioni particolari. E fra queste condizioni particolari, mette in evidenza la questione nazionale. Sia in Engels che in Marx, benché essi abbiano criticato implacabilmente il carattere reazionario degli staterelli in quanto tali e l'utilizzazione, in casi concreti, della questione nazionale per mascherare questo carattere reazionario, non si troverà, in nessuno dei loro scritti, neppur l'ombra della tendenza ad eludere la questione nazionale, tendenza di cui parlano spesso i marxisti olandesi e polacchi, pur partendo dalla lotta del tutto legittima contro il nazionalismo angustamente piccolo-borghese dei "loro" piccoli Stati. Persino in Inghilterra, dove le condizioni geografiche, la comunanza della lingua e una storia multisecolare sembrerebbero "aver messo fine" alla questione nazionale per singole piccole suddivisioni del paese, - persino qui Engels tiene conto del fatto evidente che la questione nazionale non è ancora superata e riconosce perciò che la repubblica federale costituirebbe un "passo in avanti". Ma non vi è qui neppur l'ombra della rinuncia a criticare i difetti della repubblica federale e a condurre la propaganda e la lotta più decisa in favore della repubblica unitaria, democratica, centralizzata. Ma Engels non concepisce affatto il centralismo democratico nel senso burocratico dato a questa nozione dagli ideologi borghesi e piccolo-borghesi, compresi, fra questi ultimi, gli anarchici. Per Engels il centralismo non esclude affatto una larga autonomia amministrativa locale, la quale, mantenendo le "comuni" e le regioni volontariamente l'unità dello Stato, sopprime recisamente ogni burocrazia e ogni "comando" dall'alto. "...Dunque repubblica unitaria, - scrive Engels sviluppando le concezioni programmatiche del marxismo a proposito dello Stato. - Ma non nel senso di quella francese odierna, che non è altro se non l'impero senza imperatore, fondato nel 1798. Dal 1792 al 1798 ogni dipartimento francese, ogni comune (Gemeinde) godettero di una amministrazione completamente autonoma, secondo il modello americano, e anche noi dobbiamo averla. L' America e la prima repubblica francese mostrarono a noi tutti in che modo si debba istituire l'amministrazione autonoma e come si possa fare a meno della burocrazia, e ancor oggi ce lo dimostrano l'Australia, il Canadà e le altre colonie inglesi. Tale amministrazione autonoma provinciale e comunale è assai più libera che, ad esempio, il federalismo svizzero, dove il Cantone è bensì assai indipendente rispetto alla Confederazione, ma lo è anche rispetto al distretto e al comune. I governi cantonali nominano governatori distrettuali e prefetti, mentre di tutto questo non si ha traccia nei paesi di lingua inglese, e anche noi in futuro vorremmo garbatamente fare a meno di essi come dei presidenti distrettuali e dei consiglieri di prefettura prussiana." Engels propone quindi di formulare nel modo seguente l'articolo del programma relativo all'autonomia amministrativa: "Amministrazione completamente autonoma nella provincia," (governatorato o regione) "nei distretti e nei comuni, da parte di impiegati eletti con suffragio universale. Abolizione di ogni autorità locale e provinciale nominata dallo Stato". Nella Pravda (n. 68, 28 maggio 1917), proibita dal governo di Kerenski e dagli altri ministri "socialisti", ho già avuto occasione di mostrare che, su questo punto, - il quale evidentemente è tutt'altro che il solo, - i nostri rappresentanti pseudosocialisti di una pseudodemocrazia pseudorivoluzionaria si allontanano in modo clamoroso dai princípi democratici. Si comprende come questa gente, legata dalla sua "coalizione" con la borghesia imperialista, sia rimasta sorda a queste considerazioni. E' molto importante rilevare che Engels, prove alla mano, smentisce con il più preciso degli esempi il pregiudizio straordinariamente diffuso - specie nella democrazia piccolo-borghese, - secondo il quale una repubblica federale significhi necessariamente maggiore libertà di quanto non si abbia in una repubblica centralizzata. E' falso. I fatti citati da Engels relativi alla repubblica francese centralizzata del 1792-l798 e alla repubblica federale svizzera confutano questa affermazione. In realtà la repubblica centralizzata, effettivamente democratica, diede maggiore libertà che non la repubblica federale. In altri termini: la maggiore libertà locale, regionale, ecc., che la storia abbia conosciuta è stata data dalla repubblica centralizzata e non dalla repubblica federale. La nostra propaganda e la nostra agitazione di partito hanno dedicato e dedicano tuttora una insufficiente attenzione a questo fatto, come, in generale, a tutto il problema della repubblica federale e centralizzata e della autonomia amministrativa locale

 
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