"...La Francia - scriveva Engels nella prefazione alla terza edizione del 18
Brumaio - è il paese in cui le lotte di classe della storia vennero
combattute sino alla soluzione decisiva più che in qualsiasi altro luogo; e
in cui quindi anche le mutevoli forme politiche, dentro alle quali quelle
lotte si svolgono e in cui si riassumono i loro risultati, prendono i
contorni più netti. Centro del feudalesimo nel medioevo, paese classico, a
partire dal Rinascimento, della monarchia unitaria a poteri limitati, la
Francia ha, con La Grande Rivoluzione, distrutto il feudalesimo e fondato il
puro dominio della borghesia, in forma classica come nessun altro paese
europeo. Anche la lotta del proletariato in ascesa contro la borghesia
dominante assume qui una forma acuta, che altrove è sconosciuta" (p. 4,
edizione del 1907).
Quest'ultima osservazione è invecchiata, poichè dopo il 1871 la lotta
rivoluzionaria del proletariato francese ha subíto una interruzione;
interruzione però che, per quanto lunga, non esclude affatto che la Francia
possa, nel corso della futura rivoluzione proletaria, rivelarsi ancora una
volta come il paese classico della lotta delle classi condotta risolutamente
fino in fondo.
Ma gettiamo uno sguardo d'insieme sulla storia dei paesi avanzati alla fine
del secolo decimonono e al principio del secolo ventesimo. Vedremo come, più
lentamente, in forme più varie, su un'area molto più estesa, si sia svolto
lo stesso processo: da un lato, l'elaborazione di un "potere parlamentare",
tanto nei paesi repubblicani (Francia, America, Svizzera), quanto in quelli
monarchici (Inghilterra, Germania, fino a un certo punto, Italia, paesi
scandinavi, ecc.); dall'altro, la lotta per il potere dei diversi partiti
borghesi e piccolo-borghesi che si dividono e si ridistribuiscono il
"bottino" degli incarichi statali, mentre immutate restano le basi del
regime borghese; finalmente un processo di perfezionamento e di
rafforzamento del "potere esecutivo", del suo apparato burocratico e
militare.
Non v'è alcun dubbio che questi sono i caratteri comuni a tutta l'evoluzione
moderna degli Stati capitalistici in generale. In tre anni, dal 1848 al
1851, la Francia mostrò, in una forma rapida, netta e concentrata, i
processi di sviluppo propri dell'insieme del mondo capitalistico.
L'imperialismo - epoca del capitale bancario e dei giganteschi monopoli
capitalistici, epoca in cui il capitalismo monopolistico si trasforma in
capitalismo monopolistico di Stato - mostra in modo particolare lo
straordinario consolidamento della "macchina statale", l'inaudito
accrescimento del suo apparato burocratico e militare per accentuare la
repressione contro il proletariato, sia nei paesi monarchici che nei più
liberi paesi repubblicani.
La storia universale pone oggi, senza alcun dubbio, e su scala
incomparabilmente più ampia che neI 1852, il compito della "concentrazione
di tutte le forze" della rivoluzione proletaria per la "distruzione" della
macchina statale.
Con che cosa il proletariato la sostituirà? La Comune di Parigi ci ha
fornito a questo proposito gli esempi più istruttivi.
3. Come Marx poneva la questione nel 1852
Mehring pubblicava nel 1907 nella Neue Zeit ( XXV, 2, 164 ) alcuni estratti
di una lettera di Marx a Weydemeyer, del 5 marzo 1852. Questa lettera
contiene fra l'altro il seguente importantissimo passo:
"Per quello che mi riguarda, a me non appartiene né il merito di aver
scoperto l'esistenza delle classi nella società moderna né quello di aver
scoperto la lotta tra di esse. Già molto tempo prima di me degli storici
borghesi avevano esposto la evoluzione storica di questa lotta delle classi,
e degli economisti borghesi avevano esposto l'anatomia economica delle
classi. Quel che io ho fatto di nuovo è stato di dimostrare: l. che
l'esistenza delle classi è soltanto legata a determinate fasi di sviluppo
storico della produzione [historische Entwicklungsphasen der Produktion]; 2.
che la lotta di classe necessariamente conduce alla dittatura del
proletariato; 3. che questa dittatura stessa costituisce soltanto il
passaggio alla soppressione di tutte le classi e a una società senza
classi...".
In queste righe Marx è riuscito in primo luogo a esprimere con una
impressionante nitidezza l'elemento essenziale e fondamentale che distingue
la sua dottrina dalle dottrine dei più profondi e avanzati pensatori della
borghesia. In secondo luogo, egli ha qui indicato la sostanza della sua
dottrina dello Stato.
L'elemento essenziale della dottrina di Marx è la lotta di classe. Cosí si
dice e si scrive molto spesso. Ma questo non è vero e da questa affermazione
errata deriva, di solito, una deformazione opportunista del marxismo, un
travestimento del marxismo nel senso di renderlo accettabile alla borghesia.
Perchè la dottrina della lotta di classe non è stata creata da Marx, ma
dalla borghesia prima di Marx. e può, in generale, essere accettata dalla
borghesia. Colui che si accontenta di riconoscere la lotta delle classi non
è ancora un marxista, e può darsi benissimo che egli non esca dai limiti del
pensiero borghese e dalla politica borghese. Ridurre il marxismo alla
dottrina della lotta delle classi, vuol dire mutilare il marxismo,
deformarlo, ridurlo a ciò che la borghesia può accettare. Marxista è
soltanto colui che estende il riconoscimento della lotta delle classi sino
al riconoscimento della dittatura del proletariato. In questo consiste la
differenza più profonda tra il marxista e il banale piccolo-borghese (e
anche il grande). E' questo il punto attorno al quale bisogna mettere alla
prova la comprensione e il riconoscimento effettivi del marxismo. E non vi è
da meravigliarsi che, nel momento in cui la storia dell'Europa ha condotto
la classe operaia a porsi praticamente questa questione, non solo tutti gli
opportunisti e i riformisti, ma anche tutti i "kautskiani" (gente che
oscilla tra il riformismo e il marxismo) abbiano rivelato di essere dei
miserabili filistei e dei democratici piccolo-borghesi che negano la
dittatura del proletariato. L'opuscolo di Kautsky La dittatura del
proletariato, uscito nell'agosto 1918, cioè molto tempo dopo la
pubblicazione della prima edizione del presente libro, è un modello di
deformazione piccolo-borghese del marxismo e di vile rinuncia ad esso nei
fatti, unite a un riconoscimento ipocrita di esso a parole (si veda il mio
opuscolo: La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky, Pietrogrado e
Mosca 1918).
L'opportunismo contemporaneo, personificato dal suo maggiore rappresentante,
l'ex marxista K. Kautsky, rientra completamente nella caratteristica
attribuita da Marx alla posizione borghese, perchè esso riconosce la lotta
di classe soltanto nei limiti dei rapporti borghesi. (Ma entro questi
limiti, nel quadro di questi rapporti, nessun liberale colto si rifiuta di
riconoscere "in linea di principio" la lotta di classe!) L'opportunismo non
porta il riconoscimento della lotta di classe sino al punto precisamente
essenziale, sino al periodo del passaggio dal capitalismo al comunismo, sino
al periodo dell'abbattimento della borghesia e del suo annientamento
completo. In realtà, questo periodo è inevitabilmente un periodo di lotta di
classe di un'asprezza inaudita, un periodo in cui le forme di questa lotta
diventano quanto mai acute, e quindi anche lo Stato di questo periodo deve
essere uno Stato democratico in modo nuovo (per i proletari e i non
possidenti in generale), e dittatoriale in modo nuovo (contro la borghesia).
Ancora. L'essenza della dottrina dello Stato di Marx può essere compresa
fino in fondo soltanto da colui che comprende che la dittatura di una sola
classe è necessaria non solo per ogni società classista in generale, non
solo per il proletariato dopo aver abbattuto la borghesia, ma per un intero
periodo storico, che separa il capitalismo della "società senza classi", dal
comunismo. Le forme degli Stati borghesi sono straordinariamente varie, ma
la loro sostanza è unica: tutti questi Stati sono in un modo o nell'altro,
ma in ultima analisi, necessariamente, una dittatura della borghesia. Il
passaggio dal capitalismo al comunismo, naturalmente, non può non produrre
un'enorme abbondanza e varietà di forme politiche, ma la sostanza sarà
inevitabilmente una sola: la dittatura del proletariato.
III. Lo Stato e la rivoluzione.
L' esperienza della Comune di Parigi (1871).
L'analisi di Marx
1. In che cosa consiste l'eroismo del tentativo dei comunardi?
E' noto che alcuni mesi prima della Comune, nell' autunno del 1870, Marx
metteva in guardia gli operai parigini, mostrando loro che ogni tentativo di
rovesciare il governo sarebbe stato una sciocchezza dettata dalla
disperazione. Ma quando, nel marzo 1871, la battaglia decisiva fu imposta
agli operai, ed essi l'accettarono cosicchè l'insurrezione divenne un fatto
compiuto, Marx, nonostante i cattivi presagi, salutò con entusiasmo la
rivoluzione proletaria. Egli non si ostinò a condannare per pedanteria un
movimento "inopportuno", come fece Plekhanov, il tristemente celebre
rinnegato russo del marxismo, che nei suoi scritti del novembre 1905
incoraggiava gli operai e i contadini alla lotta e, dopo il dicembre 1905,
gridava alla maniera dei liberali: "Non bisognava prendere le armi".
Marx non si limitò tuttavia ad entusiasmarsi per l'eroismo dei comunardi
che, com'egli diceva, "davano l'assalto al cielo". Nel movimento
rivoluzionario delle masse, benchè esso non avesse raggiunto il suo scopo,
Marx vide una esperienza storica di enorme importanza, un sicuro passo in
avanti della rivoluzione proletaria mondiale, un tentativo pratico più
importante di centinaia di programmi e di ragionamenti. Analizzare questa
esperienza, ricavarne delle lezioni di tattica, rivedere, sulla base di
questa esperienza, la sua teoria - questo fu il compito che Marx si pose.
L'unico "emendamento" che Marx giudicò necessario apportare al Manifesto del
Partito comunista, lo fece sulla base dell'esperienza rivoluzionaria dei
comunardi di Parigi.
L'ultima prefazione a una nuova edizione tedesca del Manifesto del Partito
comunista firmata insieme dai due autori porta la data del 24 giugno 1872.
In questa prefazione Karl Marx e Friedrich Engels dicono che il programma
del Manifesto del Partito comunista "è oggi qua e là invecchiato".
"...La Comune, specialmente, - essi aggiungono, - ha fornito la prova che
"la classe operaia non può impossessarsi puramente e semplicemente di una
macchina statale già pronta e metterla in moto per i suoi propri fini"..." .
Le ultime parole, fra virgolette, di questa citazione sono prese dagli
autori dall'opera di Marx: La guerra civile in Francia. Così, a questo
insegnamento principale e fondamentale della Comune di Parigi, venne
attribuita da Marx ed Engels un'importanza talmente grande da trarne un
emendamento sostanziale al Manifesto del Partito comunista.
E' estremamente caratteristico che gli opportunisti abbiano snaturato
proprio questo emendamento sostanziale; e i nove decimi, se non i
novantanove centesimi, dei lettori del Manifesto del Partito comunista non
ne afferrano certamente la portata. Su questa deformazione parleremo in
particolare, in un capitolo successivo dedicato in modo speciale alle
deformazioni. Qui basta rilevare che l'"interpretazione" corrente, volgare,
della famosa formula di Marx, da noi citata, è che Marx vi avrebbe
sottolineato l'idea dell'evoluzione lenta, in contrapposizione con la
conquista del potere, ecc.
In realtà, è proprio il contrario. L'idea di Marx è che la classe operaia
deve spezzare, demolire la "macchina statale già pronta", e non limitarsi
semplicemente ad impossessarsene.
Il 12 aprile 1871, vale a dire precisamente durante la Comune, Marx scriveva
a Kugelmann:
"...Se tu rileggi l'ultimo capitolo del mio 18 Brumaio troverai che io
affermo che il prossimo tentativo della rivoluzione francese non consisterà
nel trasferire da una mano ad un'altra la macchina militare e burocratica,
come è avvenuto fino ad ora, ma nello spezzarla" (il corsivo è di Marx;
zerbrechen nell'originale) "e che tale è la condizione preliminare di ogni
reale rivoluzione popolare sul Continente. In questo consiste pure il
tentativo dei nostri eroici compagni parigini" (Neue Zeit, XX, I,
1901-1902. p. 709). (Le lettere di Marx a Kugelmann sono state pubblicate in
russo almeno in due edizioni, una delle quali da me curata e preceduta da
una mia prefazione.)
"Spezzare la macchina burocratica e militare": in queste parole è espresso
in modo incisivo l'insegnamento principale del marxismo sui compiti del
proletariato nella rivoluzione per ciò che riguarda lo Stato. E proprio
questo è l'insegnamento che non solo è stato assolutamente dimenticato, ma
addirittura deformato dall'"interpretazione" dominante, kautskiana, del
marxismo!
Quanto al passo del 18 Brumaio al quale Marx si riferisce, l'abbiamo citato
più sopra integralmente.
E' interessante segnalare soprattutto due punti del passo citato da Marx.
Anzitutto Marx limita la sua conclusione al Continente. Questo era
comprensibile nel 1871, quando l'Inghilterra era ancora il modello d'un
paese capitalistico puro, ma senza militarismo e in misura notevole senza
burocrazia. Perciò Marx escludeva l'Inghilterra, dove la rivoluzione, e
anche una rivoluzione popolare, si presentava ed era allora possibile senza
la condizione preliminare della distruzione della "macchina statale già
pronta".
Attualmente, nel 1917, nell'epoca della prima grande guerra imperialista,
questa riserva di Marx cade: l'Inghilterra e l'America, che erano, in tutto
il mondo, le maggiori e le ultime rappresentanti della "libertà"
anglosassone per quanto riguarda l'assenza di militarismo e di burocrazia,
sono precipitate interamente nel lurido, sanguinoso pantano, comune a tutta
Europa, delle istituzioni militari e burocratiche che tutto sottomettono a
sé e tutto comprimono. Oggi, in Inghilterra e in America, la "condizione
preliminare di ogni reale rivoluzione popolare" è la rottura, la distruzione
della "macchina statale già pronta" (portata in questi paesi nel 1914-1917 a
una perfezione "europea", imperialistica).
In secondo luogo, merita un' attenzione particolare la osservazione
straordinariamente profonda di Marx che la distruzione della macchina
burocratica e militare dello Stato è "la condizione preliminare di ogni
reale rivoluzione popolare". Questo concetto di rivoluzione "popolare"
sembra strano in bocca a Marx, e i plekhanovisti e i menscevichi russi,
questi seguaci di Struve che vogliono farsi passare per marxisti, potrebbero
dire che questa espressione di Marx è un "lapsus". Essi hanno deformato il
marxismo in modo così piattamente liberale che nulla esiste per loro
all'infuori dell'antitesi: rivoluzione borghese o rivoluzione proletaria, e
anche quest'antitesi è da essi concepita nel modo più scolastico che si
possa immaginare.
Se si prendono come esempio le rivoluzioni del ventesimo secolo, bisogna ben
riconoscere che sia la rivoluzione portoghese che la rivoluzione turca
furono rivoluzioni borghesi. Ma né l'una né l'altra furono "popolari"; né
nell'una né nell'altra, infatti, la massa del popolo, la sua stragrande
maggioranza, agì in modo attivo, indipendente, con le sue particolari
esigenze economiche e politiche. La rivoluzione borghese russa del
1905-1907, invece, pur non avendo ottenuto i "brillanti" successi riportati
in certi momenti dalle rivoluzioni portoghese e turca, fu incontestabilmente
una rivoluzione "veramente popolare", poichè la massa del popolo, la sua
maggioranza, i suoi strati sociali "inferiori", più profondi, oppressi dal
giogo e dallo sfruttamento, si sollevarono in modo indipendente e lasciarono
su tutta la rivoluzione l'impronta delle loro esigenze, dei loro tentativi
di costruire a modo loro una nuova società al posto dell'antica ch'essi
distruggevano.
Nell'Europa del 1871, il proletariato non formava la maggioranza del popolo
in nessun paese del Continente. Una rivoluzione poteva essere "popolare",
mettere in movimento la maggioranza effettiva soltanto a condizione di
abbracciare il proletariato e i contadini. Queste due classi costituivano
allora il "popolo". Queste due classi sono unite dal fatto che la "macchina
burocratica e militare dello Stato" le opprime, le schiaccia, le sfrutta.
Spezzare questa macchina, demolirla, ecco il vero interesse del "popolo",
della maggioranza del popolo, degli operai e della maggioranza dei
contadini, ecco la "condizione preliminare" della libera alleanza dei
contadini poveri con i proletari. Senza quest'alleanza non è possibile una
democrazia salda, non è possibile una trasformazione socialista.
E' noto che la Comune di Parigi si era aperta una strada verso questa
alleanza, ma non raggiunse il suo scopo per ragioni di ordine interno ed
esterno.
Parlando quindi di una "reale rivoluzione popolare", senza dimenticare
affatto le particolarità della piccola borghesia (delle quali parlò molto e
spesso), Marx teneva dunque rigorosamente conto dei reali rapporti di forza
fra le classi della maggior parte degli Stati continentali dell'Europa del
1871. D'altra parte egli costatava che gli operai e i contadini sono
egualmente interessati a spezzare la macchina statale, che ciò li unisce e
pone di fronte a loro il compito comune di sopprimere il "parassita" e di
sostituirlo con qualche cosa di nuovo.
Con che cosa precisamente ?
2. Con che cosa sostituire la macchina statale spezzata?
A questa domanda Marx non dava ancora, nel 1847, nel Manifesto del Partito
comunista, che una risposta puramente astratta; per meglio dire indicava i
problemi e non i mezzi per risolverli. Sostituire la macchina dello Stato
spezzata con 1'"organizzazione del proletariato come classe dominante", con
la "conquista della democrazia": questa era la risposta del Manifesto del
Partito comunista.
Senza cadere nell'utopia, Marx aspettava dall'esperienza di un movimento di
massa la risposta alla questione: quali forme concrete avrebbe assunto
questa organizzazione del proletariato come classe dominante e in che modo
precisamente questa organizzazione avrebbe coinciso con la più completa e
conseguente "conquista della democrazia".
Nella Guerra civile in Francia Marx sottopone l'esperienza della Comune, per
quanto breve essa sia stata, a un'analisi attentissima. Citiamo i passi
principali di questo scritto:
Nel secolo decimonono, trasmesso dal medioevo, si sviluppava "il potere
statale centralizzato, con i suoi organi dappertutto presenti: esercito
permanente, polizia, burocrazia, clero e magistratura". A misura che
l'antagonismo di classe tra capitale e lavoro si accentuava, "il potere
dello Stato assumeva sempre più il carattere [...] di forza pubblica
organizzata per l'asservimento sociale, di uno strumento di dispotismo di
classe. Dopo ogni rivoluzione che segnava un passo avanti nella lotta di
classe, il carattere puramente repressivo del potere dello Stato risaltava
in modo sempre più evidente". Dopo la rivoluzione del 1848-1849 il potere
dello Stato diviene uno "strumento pubblico di guerra del capitale contro il
lavoro". Il Secondo Impero non fa che consolidarlo.
"La Comune fu l'antitesi diretta dell'Impero." "Fu la forma positiva" di
"una repubblica che non avrebbe dovuto eliminare soltanto la forma
monarchica del dominio di classe, ma lo stesso dominio di classe...".
In che cosa consisteva questa forma "positiva" di repubblica proletaria,
socialista? Quale era lo Stato ch'essa aveva cominciato a creare?
"...Il primo decreto della Comune fu la soppressione dell'esercito
permanente, e la sostituzione ad esso del popolo armato..."
Questa rivendicazione figura oggi nel programma di tutti i partiti che
desiderano chiamarsi socialisti. Ma quel che valgono i loro programmi, lo
dimostra nel modo migliore la condotta dei nostri socialisti-rivoluzionari e
dei nostri menscevichi che, appunto dopo la rivoluzione del 27 febbraio, di
fatto si rifiutarono di attuare questa rivendicazione!
"...La Comune fu composta dei consiglieri municipali eletti a suffragio
universale nei diversi mandamenti di Parigi, responsabili e revocabili in
qualunque momento. La maggioranza dei suoi membri erano naturalmente operai,
o rappresentanti riconosciuti della classe operaia... Invece di continuare
ad essere agente del governo centrale, la polizia fu immediatamente
spogliata delle sue attribuzioni politiche e trasformata in strumento
responsabile della Comune revocabile in qualunque momento. Lo stesso venne
fatto per i funzionari di tutte le altre branche dell'amministrazione. Dai
membri della Comune in giù, il servizio pubblico doveva essere compiuto per
salari da operai. I diritti acquisiti e le indennità di rappresentanza degli
alti dignitari dello Stato scomparvero insieme coi dignitari stessi...
Sbarazzatisi dell'esercito permanente e della polizia, elementi della forza
fisica del vecchio governo, la Comune si preoccupò di spezzare la forza di
repressione spirituale, il "potere dei preti"... I funzionari giudiziari
furono spogliati di quella sedicente indipendenza... dovevano essere
elettivi, responsabili e revocabili...".
La Comune avrebbe dunque "semplicemente" sostituito la macchina statale
spezzata con una democrazia più completa: soppressione dell'esercito
permanente, assoluta eleggibilità e revocabilità di tutti i funzionari. In
realtà ciò significa "semplicemente" sostituire - opera gigantesca - a
istituzioni di un certo tipo altre istituzioni basate su princípi diversi.
E' questo precisamente un caso di "trasformazione della quantità in
qualità": da borghese che era, la democrazia, realizzata quanto più
pienamente e conseguentemente sia concepibile, è diventata proletaria; lo
Stato (forza particolare destinata a opprimere una classe determinata) s'è
trasformato in qualche cosa che non è più propriamente uno Stato.
Ma la necessità di reprimere la borghesia e di spezzarne la resistenza
permane. Per la Comune era particolarmente necessario affrontare questo
compito, e il non averlo fatto con sufficiente risolutezza è una delle cause
della sua sconfitta. Ma qui l'organo di repressione è la maggioranza della
popolazione, e non più la minoranza, come era sempre stato nel regime della
schiavitù, del servaggio e della schiavitù salariata. E dal momento che è la
maggioranza stessa del popolo che reprime i suoi oppressori, non c'è più
bisogno di una "forza particolare" di repressione! In questo senso lo Stato
comincia ad estinguersi. Invece delle istituzioni speciali di una minoranza
privilegiata ( funzionari privilegiati, capi dell'esercito permanente), la
maggioranza stessa può compiere direttamente le loro funzioni, e quanto più
il popolo stesso assume le funzioni del potere statale, tanto meno si farà
sentire la necessità di questo potere.
A questo proposito è da notare in particolar modo un provvedimento preso
dalla Comune e che Marx sottolinea: la soppressione di tutte le indennità di
rappresentanza, la soppressione dei privilegi pecuniari dei funzionari, la
riduzione degli stipendi assegnati a tutti i funzionari dello Stato al
livello di "salari da operai". Qui appunto si fa sentire con speciale
rilievo la svolta dalla democrazia borghese alla democrazia proletaria,
dalla democrazia degli oppressori alla democrazia delle classi oppresse,
dallo Stato come "forza particolare" destinata a reprimere una classe
determinata, alla repressione degli oppressori ad opera della forza generale
della maggioranza del popolo, degli operai e dei contadini. Ed è
precisamente su questo punto particolarmente evidente - il più importante
forse nella questione dello Stato - che gli insegnamenti di Marx sono stati
più dimenticati! Gli innumerevoli commenti dei volgarizzatori non ne fanno
cenno! E' "consuetudine" tacere su questo punto, come su di una "ingenuità"
che ha fatto il suo tempo, esattamente come i cristiani "dimenticarono",
quando il loro culto divenne religione di Stato, le "ingenuità" del
cristianesimo primitivo e il suo spirito democratico rivoluzionario.
La riduzione delle retribuzioni degli alti funzionari pare "semplicemente"
l'esigenza di un democratismo ingenuo, primitivo. Uno dei "fondatori" del
moderno opportunismo, l'ex socialdemocratico Ed. Bernstein, s'è molte volte
esercitato a ripetere banali motteggi borghesi a proposito del democratismo
"primitivo". Come tutti gli opportunisti, come i kautskiani dei nostri
giorni, Bernstein non ha assolutamente compreso che, in primo luogo, il
passaggio dal capitalismo al socialismo è impossibile senza un certo
"ritorno" al democratismo "primitivo" (come si potrebbe altrimenti far
compiere alla maggioranza della popolazione, e poi alla intera popolazione,
le funzioni dello Stato?); in secondo luogo, che il "democratismo primitivo"
sulla base del capitalismo e della civiltà capitalistica non è il
democratismo primitivo delle epoche patriarcali e precapitalistiche. La
civiltà capitalistica ha creato la grande produzione, le officine, le
ferrovie, la posta, il telefono, ecc.; e su questa base, l'immensa
maggioranza delle funzioni del vecchio "potere statale" si sono a tal punto
semplificate e possono essere ridotte a così semplici operazioni di
registrazione, d'iscrizione, di controllo, da poter essere benissimo
compiute da tutti i cittadini con un minimo di istruzione e per un normale
"salario da operai"; si può (e si deve) quindi togliere a queste funzioni
ogni minima ombra che dia loro qualsiasi carattere di privilegio e di
"gerarchia".
Eleggibilità assoluta, revocabilità in qualsiasi momento di tutti i
funzionari senza alcuna eccezione, riduzione dei loro stipendi al livello
abituale del "salario da operaio": questi semplici e "naturali"
provvedimenti democratici, mentre stringono pienamente in una comunità di
interessi gli operai e la maggioranza dei contadini, servono in pari tempo
da passerella tra il capitalismo e il socialismo. Questi provvedimenti
concernono la riorganizzazione statale, puramente politica, della società;
ma essi, naturalmente, assumono tutto il loro significato e tutta la loro
importanza solo in legame con la "espropriazione degli espropriatori"
realizzata o preparata; in legame cioè con la trasformazione della proprietà
privata capitalistica dei mezzi di produzione in proprietà sociale.
"La Comune - scriveva Marx - fece una realtà della frase pubblicitaria delle
rivoluzioni borghesi, il governo a buon mercato, distruggendo le due
maggiori fonti di spese, l'esercito permanente e il funzionarismo statale".
Fra i contadini, come fra le altre categorie della piccola borghesia, solo
un'infima minoranza "si eleva", "arriva" nel senso borghese della parola;
solo alcuni individui divengono cioè delle persone agiate, dei borghesi o
dei funzionari con posizione sicura e privilegiata. L'immensa maggioranza
dei contadini, in tutti i paesi capitalistici in cui esistono dei contadini
(e questi paesi sono la maggioranza), è oppressa dal governo e aspira a
rovesciarlo, aspira ad un governo "a buon mercato". Solo il proletariato può
assolvere questo compito, e assolvendolo egli fa in pari tempo un passo
verso la riorganizzazione socialista dello Stato.
3. La soppressione del parlamentarismo
"La Comune - scrisse Marx - non doveva essere un organismo parlamentare, ma
di lavoro, esecutivo e legislativo allo stesso tempo...
"...Invece di decidere un volta ogni tre o sei anni quale membro della
classe dominante dovesse mal rappresentare [ver- und zertreten] il popolo
nel Parlamento, il suffragio universale doveva servire al popolo costituito
in comuni così come il suffragio individuale serve ad ogni altro
imprenditore privato per cercare gli operai e gli organizzatori della sua
azienda."
Questa mirabile critica del parlamentarismo, fatta nel 1871, appartiene oggi
anch'essa, grazie al dominio del socialsciovinismo e dell'opportunismo, alle
"parole dimenticate" del marxismo. Ministri e parlamentari di professione,
traditori del proletariato e socialisti "d'affari" dei nostri tempi hanno
abbandonato agli anarchici il monopolio della critica del parlamentarismo e
per questa ragione, di eccezionale saviezza, hanno qualificato di
"anarchismo" qualsiasi critica del parlamentarismo! Nulla di strano quindi
che il proletariato dei paesi parlamentari "progrediti", disgustato dalla
vista di "socialisti" come gli Scheidemann, i David, i Legien, i Sembat, i
Renaudel, gli Henderson, i Vandervelde, gli Staunig, i Branting, i Bissolati
e compagnia, abbia riversato sempre più spesso le sue simpatie
sull'anarco-sindacalismo, per quanto questo sia fratello dell'opportunismo.
Ma per Marx la dialettica rivoluzionaria non fu mai quella vuota fraseologia
alla moda, quel gingillo in cui la trasformarono Plekhanov, Kautsky e altri.
Marx seppe romperla implacabilmente con l'anarchismo per la sua incapacità
di utilizzare anche la "stalla" del parlamentarismo borghese. soprattutto
quando è evidente che la situazione non è rivoluzionaria; ma egli seppe in
pari tempo dare una critica veramente proletaria e rivoluzionaria del
parlamentarismo.
Decidere una volta ogni qualche anno qual membro della classe dominante
debba opprimere, schiacciare il popolo nel Parlamento: - ecco la vera
essenza del parlamentarismo borghese, non solo nelle monarchie parlamentari
costituzionali, ma anche nelle repubbliche le più democratiche.
Ma se si pone la questione dello Stato, se si considera il parlamentarismo
come una delle istituzioni dello Stato, dal punto di vista dei compiti del
proletariato in questo campo, dove è la via per uscire dal parlamentarismo?
Come si può farne a meno?
Siamo costretti a ripeterlo ancora: gli insegnamenti di Marx, basati sullo
studio della Comune, sono stati dimenticati così bene che il
"socialdemocratico" contemporaneo (si legga: il rinnegato contemporaneo del
socialismo) è veramente incapace di concepire altra critica del
parlamentarismo che non sia quella degli anarchici o dei reazionari.
Senza dubbio la via per uscire dal parlamentarismo non è nel distruggere le
istituzioni rappresentative e il principio dell'eleggibilità, ma nel
trasformare queste istituzioni rappresentative da mulini di parole in
organismi che "lavorino" realmente. "La Comune non doveva essere un
organismo parlamentare. ma di lavoro, esecutivo e legislativo allo stesso
tempo."
Un organismo "non parlamentare, ma di lavoro": questo colpisce direttamente
voi, moderni parlamentari e "cagnolini" parlamentari della socialdemocrazia!
Considerate qualsiasi paese parlamentare, dall'America alla Svizzera, dalla
Francia all'Inghilterra, alla Norvegia, ecc.: il vero lavoro "di Stato" si
compie fra le quinte, e sono i ministeri, le cancellerie, gli stati maggiori
che lo compiono. Nei Parlamenti non si fa che chiacchierare, con lo scopo
determinato di turlupinare il "popolino". Questo è talmente vero che anche
nella repubblica russa, repubblica democratica borghese, tutte queste
magagne del parlamentarismo si fanno già sentire ancor prima che essa sia
riuscita a darsi un vero Parlamento. Gli eroi del putrido fi1isteismo, gli
Skobelev e gli Tsereteli, i Cernov e gli Avksentiev, sono riusciti a
incancrenire persino i Soviet, trasformandoli in mulini di parole sul tipo
del parlamentarismo borghese più rivoltante. Nei Soviet i signori ministri
"socialisti" ingannano con la loro fraseologia e le loro risoluzioni i
fiduciosi mugik. Nel governo si balla una quadriglia permanente, da un lato,
per sistemare a turno attorno alla "torta" dei posticini remunerativi e
onorifici il più gran numero possibile di socialisti-rivoluzionari e di
menscevichi; d'altro lato, per "occupare l' attenzione" del popolo, E nelle
cancellerie, negli stati maggiori "si sbrigano" le faccende "dello Stato".
In un articolo di fondo, il Dielo Naroda, organo dei "socialisti
rivoluzionari", partito al governo, confessava recentemente, con
l'impareggiabile franchezza propria della gente della "buona società", in
cui "tutti" si abbandonano alla prostituzione politica, che anche nei
ministeri appartenenti ai "socialisti" (si passi la parola!), persino in
essi tutto l'apparato amministrativo rimane in fondo lo stesso, funziona
come per il passato e sabota in piena "libertà" le riforme rivoluzionarie!
Ma, anche senza questa confessione, la storia effettiva della partecipazione
dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi al governo non è forse la
migliore prova di ciò? L'unica cosa caratteristica è qui che, trovandosi al
governo in compagnia dei cadetti, i signori Cernov, Russanov, Zenzinov e
altri redattori del Dielo Naroda abbiano perduto a tal punto il senso del
pudore da raccontare pubblicamente e senza arrossire, come se si trattasse
di un affare da nulla, che "da loro", nei loro ministeri, tutto procede come
prima!! Fraseologia democratica rivoluzionaria per abbindolare i
sempliciotti di campagna e trafila burocratica per "farsi ben volere" dai
capitalisti: ecco il fondo di questa "onesta" coalizione.
La Comune sostituisce questo parlamentarismo venale e corrotto della società
borghese con istituzioni in cui la libertà di opinione e di discussione non
degenera in inganno; poichè i parlamentari debbono essi stessi lavorare,
applicare essi stessi le loro leggi, verificarne essi stessi i risultati,
risponderne essi stessi direttamente davanti ai loro elettori. Le
istituzioni rappresentative rimangono, ma il parlamentarismo, come sistema
speciale, come divisione del lavoro legislativo ed esecutivo, come
situazione privilegiata per i deputati, non esiste più. Noi non possiamo
concepire una democrazia, sia pur una democrazia proletaria, senza
istituzioni rappresentative, ma possiamo e dobbiamo concepirla senza
parlamentarismo, se la critica della società borghese non è per noi una
parola vuota di senso, se il nostro sforzo per abbattere il dominio della
borghesia è uno sforzo serio e sincero e non una frase "elettorale"
destinata a scroccare voti degli operai, come lo è per i menscevichi e i
socialisti-rivoluzionari, per gli Scheidemann e i Legien, i Sembat e i
Vandervelde.
E' molto significativo che Marx, parlando delle funzioni di questo personale
amministrativo necessario alla Comune e alla democrazia proletaria, scelga
come termine di paragone il personale di "ogni altro imprenditore", cioè
un'ordinaria impresa capitalistica con "operai, sorveglianti e contabili".
In Marx non v'è un briciolo di utopismo; egli non inventa, non immagina una
società "nuova". No, egli studia, come un processo di storia naturale, la
genesi della nuova società che sorge dall'antica, le forme di transizione
tra l'una e l' altra. Egli si basa sui fatti, sull' esperienza del movimento
proletario di massa e cerca di trarne insegnamenti pratici. Egli "si mette
alla scuola" della Comune, come tutti i grandi pensatori rivoluzionari non
esitavano a mettersi alla scuola dei grandi movimenti della classe oppressa,
senza mai far loro pedantemente la "morale" (come faceva Plekhanov dicendo:
"Non bisognava prendere le armi", o Tsereteli: "Una classe deve sapersi
autolimitare").
Non sarebbe possibile distruggere di punto in bianco, dappertutto,
completamente, la burocrazia. Sarebbe utopia. Ma spezzare subito la vecchia
macchina amministrativa per cominciare immediatamente a costruirne una
nuova, che permetta la graduale soppressione di ogni burocrazia, non è
utopia, è l'esperienza della Comune, è il compito primordiale e immediato
del proletariato rivoluzionario.
Il capitalismo semplifica i metodi d'amministrazione "dello Stato", permette
di eliminare la "gerarchia" e di ridurre tutto a un'organizzazione dei
proletari (in quanto classe dominante) che assume, in nome di tutta la
società, "operai, sorveglianti e contabili".
Noi non siamo degli utopisti. Non "sogniamo" di fare a meno, dall' oggi al
domani, di ogni amministrazione, di ogni subordinazione; questi sono sogni
anarchici, fondati sull'incomprensione dei compiti della dittatura del
proletariato, sogni che nulla hanno di comune con il marxismo e che di fatto
servono unicamente a rinviare la rivoluzione socialista fino al giorno in
cui gli uomini saranno cambiati. No, noi vogliamo la rivoluzione socialista
con gli uomini quali sono oggi, e che non potranno fare a meno né di
subordinazione, né di controllo, né di "sorveglianti, né di contabili".
Ma bisogna subordinarsi all'avanguardia armata di tutti gli sfruttati e di
tutti i lavoratori: al proletariato. Si può e si deve subito, dall'oggi al
domani, cominciare a sostituire la specifica "gerarchia" dei funzionari
statali con le semplici funzioni "di sorveglianti e di contabili", funzioni
che sono sin da ora perfettamente accessibili al livello generale di
sviluppo degli abitanti delle città e possono facilmente essere compiute per
"salari da operai".
Organizziamo la grande industria partendo da ciò che il capitalismo ha già
creato; organizziamola noi stessi, noi operai, forti della nostra esperienza
operaia, imponendo una rigorosa disciplina, una disciplina di ferro,
mantenuta per mezzo del potere statale dei lavoratori armati; riduciamo i
funzionari dello Stato alla funzione di semplici esecutori dei nostri
incarichi, alla funzione di "sorveglianti e ai contabili", modestamente
retribuiti, responsabili e revocabili (conservando naturalmente i tecnici di
ogni specie e di ogni grado): è questo il nostro compito proletario; è da
questo che si può e si deve cominciare facendo la rivoluzione proletaria.
Questo inizio, fondato sulla grande produzione, porta da se alla graduale
"estinzione" di ogni burocrazia, alla graduale instaurazione di un ordine -
ordine senza virgolette, ordine diverso dalla schiavitù salariata - in cui
le funzioni, sempre più semplificate, di sorveglianza e di contabilità
saranno adempiute a turno, da tutti, diverrano poi un'abitudine e finalmente
scompariranno in quanto funzioni speciali di una speciale categoria di
persone.
Verso il 1870 un arguto socialdemocratico tedesco considerava la posta come
un modello di impresa socialista, Giustissimo. La posta è attualmente
un'azienda organizzata sul modello del monopolio capitalistico di Stato. A
poco a poco l'imperialismo trasforma tutti i trust in organizzazioni di
questo tipo. I "semplici" lavoratori, carichi di lavoro e affamati, restano
sempre sottomessi alla stessa burocrazia borghese. Ma il meccanismo della
gestione sociale è già pronto. Una volta abbattuti i capitalisti, spezzata
con la mano di ferro degli operai armati la resistenza di questi
sfruttatori, demolita la macchina burocratica dello Stato attuale, avremo
davanti a noi un meccanismo mirabilmente attrezzato dal punto di vista
tecnico, sbarazzato dal "parassita", e che i lavoratori uniti possono essi
stessi benissimo far funzionare assumendo tecnici, sorveglianti, contabili e
pagando il lavoro di tutti costoro, come quelli di tutti i funzionari "dello
Stato" in generale, con un salario da operaio. E' questo il compito
concreto, pratico, immediatamente realizzabile nei confronti di tutti i
trust e che libererà dallo sfruttamento i lavoratori, tenendo conto
dell'esperienza praticamente iniziata (soprattutto nel campo
dell'organizzazione dello Stato) dalla Comune.
Tutta l'economia nazionale organizzata come la posta; i tecnici, i
sorveglianti, i contabili, come tutti i funzionari dello Stato, retribuiti
con uno stipendio non superiore al "salario da operaio", sotto il controllo
e la direzione del proletariato armato: ecco il nostro fine immediato. Ecco
lo Stato, ecco la base economica dello Stato di cui abbiamo bisogno. Ecco
ciò che ci darà la distruzione del parlamentarismo e il mantenimento delle
istituzioni rappresentative, ecco ciò che sbarazzerà le classi lavoratrici
della prostituzione di queste istituzioni da parte della borghesia.
4. L'organizzazione dell'unità nazionale
"...In un abbozzo sommario di organizzazione nazionale che la Comune non
ebbe il tempo di sviluppare è detto chiaramente che la Comune doveva essere
la forma politica anche del più piccolo borgo..." Le comuni avrebbero eletto
la "delegazione nazionale" di Parigi.
"...Le poche ma importanti funzioni che sarebbero ancora rimaste per un
governo centrale, non sarebbero state soppresse, come venne affermato
falsamente in mala fede, ma adempiute da funzionari comunali, e quindi
strettamente responsabili...
"L'unità della nazione non doveva essere spezzata, anzi doveva essere
organizzata dalla costituzione comunale, e doveva diventare una realtà
attraverso la distruzione di quel potere statale che pretendeva essere
l'incarnazione di questa unità, indipendente e persino superiore alla
nazione stessa, mentre non era che un'escrescenza parassitaria. Mentre gli
organi puramente repressivi del vecchio potere governativo dovevano essere
amputati, le sue funzioni legittime dovevano essere strappate a una autorità
che usurpava una posizione predominante sulla società stessa, e restituite
agli agenti responsabili della società.!
Sino a qual punto gli opportunisti della socialdemocrazia contemporanea non
abbiano capito, o per meglio dire, non abbiano voluto capire queste
considerazioni di Marx, è provato nel modo migliore dal libro Le premesse
del socialismo e i compiti della socialdemocrazia, col quale il rinnegato
Bernstein si è acquistato una fama alla maniera di Erostrato. Proprio a
proposito di questo passo di Marx, Bernstein scrisse che questo programma
"per il suo contenuto politico, rivela, in tutti i suoi tratti essenziali,
una straordinaria affinità col federalismo di Proudhon... Nonostante tutte
le altre divergenze tra Marx e il "piccolo-borghese" Proudhon [Bernstein
scrive "piccolo-borghese" tra virgolette, le quali, secondo lui, dovrebbero
dare alle sue parole un senso ironico], il loro modo di vedere, è sotto
questo aspetto, il più possibile simile". Certo, continua Bernstein,
l'importanza delle municipalità aumenta, ma "mi pare cosa dubbia che il
primo compito della democrazia sia l'abolizione [Auflösung, letteralmente:
scioglimento, dissoluzione] degli Stati moderni e un cambiamento
[Umwandlung, metamorfosi] così completo della loro organizzazione come lo
raffigurano Marx e Proudhon: formazione di un'assemblea nazionale di
delegati delle assemblee provinciali o dipartimentali, che a loro volta
sarebbero composte di delegati delle comuni, in modo che le rappresentanze
nazionali nella loro forma attuale scomparirebbero completamente"
(Bernstein, Le premesse, pp. 134 e 136, edizione tedesca del 1899).
E' semplicemente mostruoso! Confondere le concezioni di Marx sulla
"soppressione del potere dello Stato parassita" col federalismo di Proudhon!
Ma non è per caso, giacchè all'opportunista non viene nemmeno in mente che
Marx qui non parla affatto del federalismo in opposizione al centralismo, ma
della demolizione della vecchia macchina dello Stato borghese esistente in
tutti i paesi borghesi.
All'opportunista viene in mente soltanto ciò che egli vede attorno a se, nel
suo ambiente di filisteismo piccolo-borghese e di stagnazione "riformista",
vale a dire le sole "municipalità"! Quanto alla rivoluzione del
proletariato, l'opportunista ha disimparato persino a pensarci.
E' ridicolo. Ma è degno di nota che, su questo punto, nessuno abbia
contraddetto Bernstein. Molti hanno confutato Bernstein, in particolare
Plekhanov nella letteratura russa e Kautsky in quella europea, ma nessuno
dei due ha mai detto niente di questa deformazione di Marx ad opera di
Bernstein.
L'opportunista ha disimparato così bene a pensare da rivoluzionario e a
riflettere sulla rivoluzione, ch'egli attribuisce del "federalismo" a Marx,
confondendolo così con Proudhon, fondatore dell'anarchismo. E Kautsky e
Plekhanov, che pretendono di essere marxisti ortodossi e di difendere la
dottrina del marxismo rivoluzionario, tacciono su questo punto! Ecco una
delle ragioni essenziali del modo estremamente banale, proprio tanto dei
kautskiani quanto degli opportunisti, su cui dovremo ritornare, di
considerare la differenza esistente tra il marxismo e l'anarchismo.
Nelle considerazioni di Marx già citate sull' esperienza della Comune non
c'è la minima traccia di federalismo. Marx è d'accordo con Proudhon proprio
su un punto che l'opportunista Bernstein non vede; Marx dissente da Proudhon
proprio là dove Bernstein vede la concordanza.
Marx è d' accordo con Proudhon in quanto entrambi sono per la "demolizione"
dell'attuale macchina statale. Questa concordanza del marxismo con l'
anarchismo (sia con Proudhon che con Bakunin) non vogliono vederla né gli
opportunisti né i kautskiani, perchè su questo punto essi si sono
allontanati dal marxismo.
Marx dissente sia da Proudhon che da Bakunin appunto a proposito del
federalismo (per non parlare poi della dittatura del proletariato). In linea
di principio, il federalismo deriva dalle vedute piccolo-borghesi
dell'anarchismo. Marx è centralista. E in tutti i passi citati non si
troverà la minima rinuncia al centralismo. Soltanto gente imbevuta di una
volgare "fede superstiziosa" nello Stato può scambiare la distruzione della
macchina borghese con la distruzione del centralismo!
Ma se il proletariato e i contadini poveri si impadroniscono del potere
statale, si organizzano in piena libertà nelle comuni e coordinano l'azione
di tutte le comuni per colpire il capitale, spezzare la resistenza dei
capitalisti, rimettere a tutta la nazione, a tutta la società la proprietà
privata delle ferrovie, delle officine, della terra, ecc, non è questo forse
centralismo? Non è forse il centralismo democratico più conseguente, e, con
ciò, un centralismo proletario?
Bernstein è semplicemente incapace di concepire la possibilità di un
centralismo volontario, di un'unione volontaria delle comuni in nazione, di
una volontaria fusione delle comuni proletarie nell'opera di distruzione del
dominio borghese e della macchina statale borghese. Bernstein, come ogni
filisteo, si rappresenta il centralismo come un qualcosa che, venendo
unicamente dall'alto, non può essere imposto e mantenuto se non dalla
burocrazia e dal militarismo.
Marx, quasi avesse previsto che le sue idee potevano essere travisate,
sottolinea intenzionalmente che accusare la Comune di aver voluto
distruggere l'unità nazionale e sopprimere il potere centrale equivale a
commettere scientemente un falso. Marx adopera intenzionalmente
l'espressione "organizzare l'unità della nazione" per contrapporre il
centralismo proletario cosciente, democratico, al centralismo borghese,
militare, burocratico.
Ma... non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. Gli opportunisti della
socialdemocrazia contemporanea non vogliono appunto sentir parlare di
distruggere il potere dello Stato, di amputare questo parassita.
5. La distruzione dello Stato parassita
Abbiamo già citato, su questo punto, i passi corrispondenti di Marx;
dobbiamo ora completarli.
"...E' comunemente destino di tutte le creazioni storiche completamente
nuove di essere prese a torto per riproduzione di vecchie e anche di defunte
forme di vita sociale, con le quali possono avere una certa rassomiglianza.
Così questa nuova Comune, che spezza [bricht] il moderno potere statale,
venne presa a torto per una riproduzione dei comuni medioevali... una
federazione di piccoli Stati, come era stata sognata da Montesquieu e dai
Girondini... una forma esagerata della vecchia lotta contro l'eccesso di
centralizzazione...
"...La costituzione della Comune avrebbe invece restituito al corpo sociale
tutte le energie sino allora assorbite dallo Stato parassita, che si nutre
alle spalle della società e ne intralcia i liberi movimenti. Con questo solo
atto avrebbe iniziato la rigenerazione della Francia..
"...In realtà, la costituzione della Comune metteva i produttori rurali
sotto la direzione intellettuale dei capoluoghi dei loro distretti, e quivi
garantiva loro, negli operai, i naturali tutori dei loro interessi.
L'esistenza stessa della Comune portava con se, come conseguenza naturale,
la libertà municipale locale, ma non più come un contrappeso al potere dello
Stato ormai diventato superfluo..."
"Distruzione del potere totale", questa "escrescenza parassitaria",
"amputazione", "demolizione" di questo potere, "il potere dello Stato ormai
diventato superfluo": è in questi termini che Marx parla dello Stato,
giudicando e analizzando l' esperienza della Comune.
Tutto ciò è stato scritto circa mezzo secolo fa; ed oggi bisogna ricorrere
quasi a degli scavi archeologici per far penetrare nella coscienza delle
grandi masse questo marxismo non deformato. Le conclusioni che Marx trasse
dall'ultima grande rivoluzione ch'egli visse, sono state dimenticate proprio
quando è giunta l'ora di nuove grandi rivoluzioni del proletariato.
" ...La molteplicità delle interpretazioni che si danno della Comune e la
molteplicità degli interessi che nella Comune hanno trovato la loro
espressione, mostrano che essa fu una forma politica fondamentalmente
espansiva, mentre tutte le precedenti forme di governo erano state
unilateralmente repressive. Il suo vero segreto fu questo: che essa fu
essenzialmente un governo della classe operaia, il prodotto della lotta
della classe dei produttori contro la classe appropriatrice, la forma
politica finalmente scoperta. nella quale si poteva compiere la
emancipazione economica del lavoro...
"...Senza quest'ultima condizione, la costituzione della Comune sarebbe
stata una cosa impossibile e un inganno..."
Gli utopisti si sono sempre sforzati di "scoprire" le forme politiche nelle
quali doveva prodursi la trasformazione socialista della società. Gli
anarchici si sono disinteressati della questione delle forme politiche in
generale. Gli opportunisti dell'odierna socialdemocrazia hanno accettato le
forme politiche borghesi dello Stato democratico parlamentare come un limite
al di là del quale è impossibile andare; si sono rotta la testa a furia di
prosternarsi davanti a questo "modello" e hanno tacciato come anarchico ogni
tentativo di demolire queste forme.
Da tutta la storia del socialismo e della lotta politica Marx trasse la
conclusione che lo Stato è condannato a scomparire e che la forma
transitoria dello Stato in via di sparizione (transizione dallo Stato al
non-Stato) sarà "il proletariato organizzato come classe dominante". In
quanto alle forme politiche di questo avvenire, Marx non si preoccupò di
scoprirle. Si limitò all'osservazione esatta della storia francese, alla sua
analisi e alla conclusione che scaturiva dall' anno 1851: le cose marciano
verso la distruzione della macchina dello Stato borghese.
E quando il movimento rivoluzionario di massa del proletariato scoppiò,
Marx, nonostante l'insuccesso del movimento, nonostante la sua breve durata
e la sua impressionante debolezza, si mise a studiare le forme ch'esso aveva
rivelato.
La Comune è la forma "finalmente scoperta" dalla rivoluzione proletaria
sotto la quale poteva prodursi la emancipazione economica del lavoro.
La Comune è il primo tentativo della rivoluzione proletaria di spezzare la
macchina dello Stato borghese; è la forma politica "finalmente scoperta" che
può e deve sostituire quel che è stato spezzato.
Vedremo più avanti che le rivoluzioni russe del 1905 e del 1917 continuano,
in una situazione differente, in altre condizioni, l'opera della Comune e
confermano la geniale analisi storica di Marx.
IV. Seguito. Spiegazioni complementari di Engels
Marx ha detto ciò che è essenziale sull'importanza dell'esperienza della
Comune. Engels è ritornato più volte su questo tema, interpretando l'analisi
e le conclusioni di Marx e spiegando talvolta altri aspetti della questione
con tale vigore e con tale rilievo che è necessario soffermarsi in modo
particolare su queste spiegazioni.
1. "La questione delle abitazioni"
Nella sua opera sulla questione delle abitazioni (1872) Engels si basa già
sull'esperienza della Comune quando, a più riprese, si sofferma sui compiti
della rivoluzione nei confronti dello Stato. E' interessante vedere come in
questo tema concreto appaiano con chiarezza, da un lato, i tratti di
affinità tra lo Stato proletario e lo Stato attuale, - tratti che permettono
in entrambi i casi di parlare di Stato - e, dall'altro lato, i tratti che li
distinguono l'uno dall'altro, o il passaggio alla soppressione dello Stato.
"Come risolvere dunque la questione delle abitazioni? Nell'odierna società,
esattamente come si risolve qualsiasi altra questione sociale: mediante la
graduale perequazione economica di domanda ed offerta, soluzione che crea
sempre nuovamente la stessa questione, e che quindi non è una soluzione. La
soluzione che darebbe alla questione una rivoluzione sociale non dipende
soltanto dalle condizioni del momento, ma anche è connessa ad una serie di
questioni di molto maggior ampiezza, fra le quali una delle più importanti è
quella dell'eliminazione dell'antitesi fra città e campagna. Dato che
noialtri non siamo di quelli che creano dei sistemi utopistici per
l'instaurazione della società futura, dilungarci in proposito sarebbe
superfluo. Però un fatto è sicuro fin da adesso, e cioè che nelle grandi
città vi sono già sufficienti edifici di abitazioni da permettere di porre
immediato riparo, con una utilizzazione razionale delle abitazioni medesime,
ad ogni reale "insufficienza di abitazioni". Ciò può naturalmente farsi solo
a condizione che siano espropriati gli attuali proprietari o siano occupate
le loro case da parte dei senza tetto o degli operai che in precedenza
vivevano ammassati in numero eccessivo nelle loro abitazioni; e non appena
il proletariato avrà conquistato il potere politico. una tale misura -
prescritta dal bene pubblico - sarà facile a compiere esattamente quanto
sono facili oggi altre espropriazioni ed occupazioni da parte dell' attuale
Stato" (p. 22, edizione tedesca del 1887).
Non si prende qui in considerazione il cambiamento di forma del potere
statale, ma soltanto il contenuto della sua attività. Anche per ordine dello
Stato attuale si procede ad espropriazioni e a requisizioni di alloggi. Dal
punto di vista formale, lo Stato proletario "ordinerà" esso pure delle
requisizioni di alloggi e delle espropriazioni di case. Ma è evidente che il
vecchio apparato esecutivo, la burocrazia legata alla borghesia, sarebbe
semplicemente incapace di applicare le decisioni dello Stato proletario.
"...D'altronde si deve costatare che la "effettiva presa di possesso" di
tutti gli strumenti di lavoro, la presa di possesso di tutta l'industria da
parte del popolo lavoratore, sono esattamente il contrario del "riscatto"
proudhoniano. Col riscatto il singolo lavoratore diviene proprietario
dell'abitazione, della cascina, degli strumenti di lavoro; con
l'espropriazione il "popolo lavoratore" rimane proprietario in toto delle
case, delle fabbriche e degli attrezzi, e - almeno nel periodo di trapasso -
sarà difficile che ne conceda l'usufrutto a singoli o a società senza
corresponsione delle spese. Proprio come l'abolizione della proprietà
fondiaria non è l'abolizione della rendita fondiaria, ma il suo
trasferimento, sia pure in forma modificata, alla società. La presa di
possesso effettiva di tutti gli strumenti di lavoro da parte del popolo
lavoratore non esclude dunque affatto il permanere dei rapporti di
affittanza." (p. 69).
Esamineremo nel capitolo seguente la questione qui accennata, e cioè quella
delle basi economiche dell'estinzione dello Stato. Engels si esprime con
estrema prudenza dicendo che lo Stato proletario "probabilmente", "almeno
nel periodo transitorio", non distribuirà gli alloggi gratuitamente.
L'affitto degli alloggi, proprietà di tutto il popolo, a queste o quelle
famiglie col corrispettivo di una certa pigione, suppone dunque la
percezione di questa pigione, un certo controllo e l'istituzione di certe
norme di ripartizione degli alloggi. Tutto ciò esige una certa forma di
Stato, ma non rende affatto necessario uno speciale apparato militare e
burocratico, con funzionari che godano d'una situazione privilegiata. Il
passaggio a uno stato di cose tale in cui gli alloggi possono essere
assegnati gratuitamente è connesso alla totale "estinzione" dello Stato.
Parlando dei blanquisti che, dopo la Comune e influenzati dalla sua
esperienza, aderirono alle posizioni di principio del marxismo, Engels così
definisce di sfuggita la loro posizione:
"...necessità dell'azione politica del proletariato e della sua dittatura,
come fase di transizione verso l'abolizione delle classi e, con esse, dello
Stato..." (p. 55).
Dilettanti di critica letterale o borghesi "distruttori del marxismo"
vedranno forse una contraddizione tra questo riconoscimento dell'"abolizione
dello Stato" e la negazione di questa stessa formula, considerata come
anarchica, nel passo da noi già citato dell'Antidühring. Non ci sarebbe di
che meravigliarsi nel vedere gli opportunisti classificare anche Engels fra
gli "anarchici": accusare gli internazionalisti di anarchismo è un'abitudine
oggi sempre più diffusa fra i socialsciovinisti.
Il marxismo ha sempre insegnato che con l'abolizione delle classi si compie
anche l'abolizione dello Stato. Il passo a tutti noto dell'Antidühring
sull'"estinzione dello Stato" rimprovera gli anarchici non tanto di essere
per l'abolizione dello Stato, quanto di pretendere che sia possibile abolire
lo Stato "dall'oggi al domani".
Poichè la dottrina "socialdemocratica" oggi dominante ha completamente
deformato l'atteggiamento del marxismo verso l'anarchismo circa la questione
della soppressione dello Stato, sarà particolarmente utile ricordare una
polemica di Marx e di Engels con gli anarchici.
2. Polemica con gli anarchici
Questa polemica risale al 1873. Marx ed Engels avevano pubblicato, in una
raccolta socialista italiana, degli articoli contro i proudhoniani,
"autonomisti" o "anti-autoritari", articoli che solo nel 1913 comparvero in
traduzione tedesca nella Neue Zeit.
"...Se la lotta politica della classe operaia - scriveva Marx deridendo gli
anarchici e la loro negazione della politica - assume forme violente, se gli
operai sostituiscono la loro dittatura rivoluzionaria alla dittatura della
classe borghese, essi commettono il terribile delitto di leso-principio,
perché per soddisfare i loro miserabili bisogni profani di tutti i giorni,
per schiacciare la resistenza della classe borghese, invece di abbassare le
armi e di abolire lo Stato, essi gli dànno una forma rivoluzionaria e
transitoria..." (Neue Zeit, 1913-1914, A. XXXII, vol. I, p. 40).
E' contro questa "abolizione" dello Stato, - e solo contro questa, - che
Marx si levava nella sua polemica contro gli anarchici! Non contro I'idea
che lo Stato scompare con la scomparsa delIe classi, o sarà abolito con la
abolizione delIe classi, ma contro la rinuncia degli operai a fare uso delle
armi, della violenza organizzata, vale a dire dello Stato, che deve servire
a "schiacciare la resistenza deIla classe borghese".
Perchè non si travisi il vero significato della sua lotta contro
l'anarchismo. Marx sottolinea intenzionalmente "la forma rivoluzionaria e
transitoria"dello Stato necessario al proletariato. Il proletariato ha
bisogno dello Stato solo per un certo periodo di tempo. Quanto
all'abolizione dello Stato, come fine, noi non siamo affatto in disaccordo
con gli anarchici. Affermiamo che per raggiungere questo fine è
indispensabile utilizzare temporaneamente, contro gli sfruttatori, gli
strumenti, i mezzi e i metodi del potere statale, così com'è indispensabile,
per sopprimere le classi, stabilire la dittatura temporanea della classe
oppressa. Nel porre la questione contro gli anarchici, Marx sceglie il modo
più incisivo e più chiaro: abbattendo il giogo dei capitalisti, gli operai
debbono "deporre le armi" o rivolgerle contro i capitalisti per spezzare la
loro resistenza? E se una classe fa sistematicamente uso delle armi contro
un'altra classe, che cosa è questo se non una "forma transitoria" di Stato?
Si domandi quindi ogni socialdemocratico: è così che egli ha posto il
problema dello Stato nella polemica contro gli anarchici? è così che il
problema è stato posto dall'immensa maggioranza dei partiti socialisti
ufficiali della Seconda Internazionale?
Engels sviluppa le stesse idee in modo ancor più particolareggiato e
popolare. Egli deride innanzi tutto la confusione di idee dei proudhoniani
che si chiamavano "anti-autoritari", negavano cioè ogni autorità, ogni
subordinazione, ogni potere. Prendete una fabbrica, una ferrovia, un
piroscafo in alto mare, - dice Engels, - non è evidente che senza una certa
subordinazione, e quindi senza una certa autorità o un certo potere, non è
possibile far funzionare nemmeno uno di questi complicati apparati tecnici,
fondati sull'impiego delle macchine e la metodica collaborazione di un gran
numero di persone?
"...Allorchè io sottoposi simili argomenti ai più furiosi anti-autoritari, -
scrive Engels, - essi non seppero rispondermi che questo: " Ah! Ciò vero, ma
qui non si tratta di un'autorità che noi diamo ai delegati, ma di un
incarico!". Questi signori credono aver cambiato le cose quando ne hanno
cambiato i nomi..."
Dopo aver così dimostrato che autorità ed autonomia sono nozioni re1ative,
che il campo della loro applicazione varia secondo le differenti fasi dello
sviluppo sociale, e che è assurdo considerarle come qualcosa
di assoluto; dopo aver aggiunto che il campo di applicazione delle macchine
e della grande industria va sempre più estendendosi, Engels passa dalle
considerazioni generali sull'autorità al problema dello Stato.
" ...Se gli autonomisti - egli scrive - si limitassero a dire che
l'organizzazione sociale dell'avvenire restringerà l'autorità ai soli limiti
nei quali le condizioni della produzione la rendono inevitabile, si potrebbe
intendersi; invece, essi sono ciechi per tutti i fatti che rendono
necessaria la cosa, e si avventano contro la parola.
"Perchè gli anti-autoritari non si limitano a gridare contro l'autorità
politica, lo Stato? Tutti i socialisti sono d'accordo in ciò, che lo Stato
politico e con lui l'autorità politica scompariranno in conseguenza della
prossima rivoluzione sociale, e cioè che le funzioni pubbliche perderanno il
loro carattere politico, e si cangieranno in semplici funzioni
amministrative veglianti ai veri interessi sociali. Ma gli anti-autoritari
domandano che lo Stato politico autoritario sia abolito d'un tratto, prima
ancora che si abbiano distrutte le condizioni sociali, che l'hanno fatto
nascere. Eglino domandano che il primo atto della rivoluzione sociale sia
l'abolizione dell'autorità. Non hanno mai veduto una rivoluzione questi
signori? Una rivoluzione è certamente la cosa più autoritaria che vi sia; è
l'atto per il quale una parte della popolazione impone la sua volontà
all'altra parte col mezzo di fucili, baionette e cannoni, mezzi autoritari,
se ce ne sono; e il partito vittorioso, se non vuol avere combattuto invano,
deve continuare questo dominio col terrore che le sue armi ispirano ai
reazionari. La Comune di Parigi sarebbe durata un sol giorno, se non si
fosse servita di questa autorità di popolo armato, in faccia ai borghesi?
Non si può al contrario rimproverarle di non essersene servita abbastanza
largamente?
"Dunque, delle due cose l'una: o gli anti-autoritari non sanno ciò che si
dicono, e in questo caso non seminano che la confusione; o essi lo sanno, e
in questo caso tradiscono il movimento del proletariato. Nell'un caso e
nell'altro essi servono la reazione" (p. 39).
In questo passo si fa accenno a questioni che devono essere esaminate in
connessione con il problema dei rapporti fra la politica e l'economia nel
periodo dell'estinzione dello Stato. (Il capitolo seguente è dedicato a
questo tema.) Tali sono i problemi relativi alla trasformazione delle
funzioni pubbliche da funzioni politiche in semplici funzioni
amministrative; tale è il problema dello "Stato politico". Quest'ultima
espressione, particolarmente suscettibile di far sorgere malintesi, mostra
il processo dell'estinzione dello Stato: lo Stato che si estingue, a un
certo punto dalla sua estinzione, può essere chiamato uno Stato non
politico.
La cosa più notevole in questo passo di Engels è ancora una volta il modo
con cui egli imposta la questione contro gli anarchici. I socialdemocratici,
che pretendono di essere allievi di Engels, hanno polemizzato milioni di
volte con gli anarchici dopo il 1873, ma non hanno discusso come i marxisti
possono e debbono fare. L'idea che si fanno gli anarchici dell'abolizione
dello Stato è confusa e non rivoluzionaria: ecco come Engels impostò la
questione. E' proprio la rivoluzione, nel suo sorgere e nel suo sviluppo,
nei suoi compiti specifici rispetto alla violenza, all'autorità, al potere,
allo Stato, che gli anarchici si rifiutano di vedere.
Per i socialdemocratici contemporanei la critica dell'anarchismo si riduce
abitualmente a questa pura banalità piccolo-borghese: "Noi ammettiamo lo
Stato, gli anarchici no!". Naturalmente una tale banalità non può non
suscitare l'avversione degli operai con un minimo di raziocinio e
rivoluzionari. Ben altro è ciò che dice Engels: egli sottolinea che tutti i
socialisti riconoscono che la scomparsa dello Stato è una conseguenza della
rivoluzione socialista. In seguito egli pone in modo concreto la questione
della rivoluzione, la questione appunto che i socialdemocratici, per il loro
opportunismo, generalmente eludono, abbandonando agli anarchici il monopolio
della pseudo "elaborazione" di questo problema. E ponendo tale questione,
Engels prende il toro per le corna: la Comune non avrebbe dovuto forse
servirsi maggiormente del potere rivoluzionario dello Stato, vale a dire del
proletariato armato, organizzato come classe dominante?
La socialdemocrazia ufficiale e dominante ha eluso di solito il problema dei
compiti concreti del proletariato nella rivoluzione, o con un semplice
sarcasmo da filisteo, o, nel migliore dei casi, con questa battuta sofistica
ed evasiva: "Si vedrà poi!". Gli anarchici erano in diritto di rimproverare,
a una tale socialdemocrazia, di venir meno al suo dovere di educare in uno
spirito rivoluzionario gli operai. Engels mette a profitto l'esperienza
dell'ultima rivoluzione proletaria appunto per studiare nel modo più
concreto quello che il proletariato deve fare per ciò che riguarda sia le
banche che lo Stato, e come deve farlo.
3. Una lettera a Bebel
Una delle considerazioni più notevoli, se non la più notevole, che troviamo
negli scritti di Marx e di Engels sullo Stato, è nel seguente passo di una
lettera di Engels a Bebel del 18-28 marzo 1875. Notiamo tra parentesi che
questa lettera è stata pubblicata per la prima volta, per quanto mi è noto,
nel secondo volume delle memorie di Bebel (Ricordi della mia vita), apparse
nel 1911, cioè trentasei anni dopo che era stata scritta e inviata.
Engels aveva scritto a Bebel criticando il progetto del programma di Gotha,
che anche Marx aveva criticato nella sua nota lettera a W. Bracke. Parlando
in particolare del problema dello Stato, Engels scrive :
" ...Lo Stato popolare libero si è trasformato in Stato libero. Secondo il
senso grammaticale di queste parole, uno Stato libero è quello che è libero
verso i suoi cittadini, cioè è uno Stato con un governo dispotico. Sarebbe
ora di farla finita con tutte queste chiacchiere sullo Stato, specialmente
dopo la Comune che non era più uno Stato nel senso proprio della parola. Gli
anarchici ci hanno abbastanza rinfacciato lo "Stato popolare", benchè già il
libro di Marx contro Proudhon e in seguito il Manifesto del Partito
comunista dicano esplicitamente che con l'instaurazione del regime sociale
socialista lo Stato si dissolve da sé [sich auflöst] e scompare. Non essendo
lo Stato altro che un'istituzione temporanea di cui ci si deve servire nella
lotta, nella rivoluzione, per tener soggiogati con la forza i propri nemici,
parlare di uno "Stato popolare libero" è pura assurdità: finchè il
proletariato ha ancora bisogno dello Stato, ne ha bisogno non nell'interesse
della libertà, ma nell'interesse dell'assoggettamento dei suoi avversari, e
quando diventa possibile parlare di libertà allora lo Stato come tale cessa
di esistere. Noi proporremo quindi di mettere ovunque invece della parola
Stato la parola Gemeinwesen, una vecchia eccellente parola tedesca, che
corrisponde alla parola francese Commune" (p. 322 dell'originale tedesco).
Bisogna ricordare che questa lettera si riferisce al programma del partito,
criticato in una lettera di Marx scritta solo poche settimane dopo questa
(la lettera di Marx è del 5 maggio 1875), e che Engels viveva allora con
Marx a Londra. E' dunque certo che Engels, dicendo nella sua ultima frase
"noi", propone, a nome suo e di Marx, al capo del partito operaio tedesco di
sopprimere nel programma la parola "Stato" e di sostituirla con la parola
"Comune".
Come griderebbero all' "anarchia" i capi del moderno "marxismo" adattato
alle comodità degli opportunisti, se si proponesse loro un simile
emendamento del programma!
Gridino pure! La borghesia li loderà.
Noi, da parte nostra, continueremo la nostra opera. Nel rivedere il
programma del nostro partito dovremmo assolutamente tener conto del
consiglio di Engels e di Marx, per accostarci alla verità, per ristabilire
il marxismo, purificandolo da tutte le deformazioni, per meglio dirigere la
classe operaia nella lotta per la sua liberazione. E' certo che la
raccomandazione di Engels e di Marx non troverà oppositori tra i
bolscevichi. Non ci sarà, crediamo, che una difficoltà: la scelta del
termine. In tedesco vi sono due parole che significano "Comune"; Engels
scelse quella che indica non una singola comune, ma un insieme, un sistema
di comuni. In russo non esiste una parola simile e bisognerà forse ricorrere
alla parola francese "Commune", quantunque presenti anch'essa certi
inconvenienti.
"La Comune non era più uno Stato nel senso proprio della parola": ecco
l'affermazione di Engels, fondamentale dal punto di vista teorico. Dopo
l'esposizione che precede, questa affermazione è perfettamente
comprensibile. La Comune cessava di essere uno Stato nella misura in cui
essa non doveva più opprimere la maggioranza della popolazione, ma una
minoranza (gli sfruttatori); essa aveva spezzato la macchina dello Stato
borghese; invece di una forza particolare di oppressione, era la popolazione
stessa che entrava in campo. Tutto ciò non corrisponde più allo Stato nel
senso proprio della parola. Se la Comune si fosse consolidata, le tracce
dello Stato si sarebbero "estinte" da sé: la Comune non avrebbe avuto
bisogno di "abolire" le sue istituzioni: queste avrebbero cessato di
funzionare a mano a mano che non avrebbero più avuto nulla da fare.
"Gli anarchici ci rinfacciano lo "Stato popolare"." Così dicendo Engels
allude soprattutto a Bakunin e ai suoi attacchi contro i socialdemocratici
tedeschi. Engels riconosce che questi attacchi sono in qualche modo giusti
in quanto lo "Stato popolare" è un nonsenso e una deviazione dal socialismo,
come lo è lo "Stato popolare libero". Engels si sforza di correggere la
lotta dei socialdemocratici tedeschi contro gli anarchici, di farne una
lotta giusta nei principi, di sbarazzarla dai pregiudizi opportunisti sullo
"Stato". Ahimè! La lettera di Engels è rimasta per ben trentasei anni in un
cassetto. Vedremo più avanti che, anche dopo la pubblicazione di questa
lettera, Kautsky si ostina a ripetere in sostanza i medesimi errori contro i
quali Engels aveva messo in guardia.
Bebel rispose a Engels il 21 settembre 1875, con una lettera nella quale
dichiarava tra l'altro di essere "completamente d'accordo" con il giudizio
da lui esposto sul progetto del programma e di aver rimproverato a
Liebknecht di essere stato troppo accomodante (p. 304 dell'ed. tedesca delle
memorie di Bebel, vol. II). Ma se prendiamo l'opuscolo di Bebel intitolato I
nostri scopi vi troveremo delle considerazioni sullo Stato completamente
sbagliate:
"Lo Stato fondato sulla dominazione di una classe deve essere trasformato in
uno Stato popolare" (Unsere Ziele, ed. tedesca, 1886, p. 14).
E questo è pubblicato nella nona (nona!) edizione dell'opuscolo di Bebel!
Non c'è da meravigliarsi che la socialdemocrazia tedesca si sia imbevuta di
concezioni opportunistiche sullo Stato così ostinatamente ripetute, tanto
più quando i commenti rivoluzionari di Engels giacevano in un cassetto e le
circostanze della vita facevano "disimparare" per lungo tempo la
rivoluzione.
4. Critica del progetto del programma di Erfurt
Non si può, in un'analisi della dottrina marxista sullo Stato, trascurare la
critica del progetto del programma di Erfurt inviata da Engels a Kautsky il
29 giugno 1891, e pubblicata solo dieci anni dopo nella Neue Zeit, perchè
essa è soprattutto dedicata alla critica delle concezioni opportuniste della
socialdemocrazia sui problemi dell'organizzazione dello Stato.
Rileviamo di sfuggita che Engels dà anche, sulle questioni economiche, una
indicazione estremamente preziosa, che mostra con quale attenzione e quale
profondità di pensiero egli seguisse le trasformazioni del capitalismo
moderno, e come sapesse quindi, in una certa misura, presentire i problemi
della nostra epoca imperialista. Ecco questa indicazione: a proposito della
parola Planlosigkeit (assenza di piano) adoperata nel progetto di programma
per caratterizzare il capitalismo, Engels scrive:
"...Se poi dalle società per azioni passiamo ai trust, che dominano e
monopolizzano intere branche dell'industria, non soltanto non esiste più
produzione privata, ma non possiamo parlare più neppure di assenza di un
piano" (Neue Zeit, A. XX, vol. I, 1901-1902, p. 8).
Nella valutazione teorica del capitalismo moderno, cioè dell'imperialismo, è
colto qui l'essenziale, vale a dire che il capitalismo si trasforma in
capitalismo monopolistico. E da sottolineare capitalismo perchè uno degli
errori più diffusi è l'affermazione riformista borghese, secondo la quale il
capitalismo monopolistico o monopolistico di Stato non è già più capitalismo
e può essere chiamato "socialismo di Stato", ecc. Naturalmente i trust non
hanno mai dato, non danno sinora e non possono dare la regolamentazione di
tutta l'economia secondo un piano. Ma per quanto essi stabiliscano un piano,
per quanto i magnati del capitale calcolino in anticipo il volume della
produzione su scala nazionale e persino internazionale, per quanto essi
regolino questa produzione in base a un piano, rimaniamo tuttavia in regime
capitalistico, benchè in una sua nuova fase, ma, indubbiamente, in regime
capitalistico. La "vicinanza" di tale capitalismo al socialismo deve essere
per i veri rappresentanti del proletariato un argomento in favore della
vicinanza, della facilità, della possibilità, dell'urgenza della rivoluzione
socialista, e non già un argomento per mostrarsi tolleranti verso la
negazione di questa rivoluzione e verso l'abbellimento del capitalismo,
nella qual cosa sono impegnati tutti i riformisti.
Ma ritorniamo al problema dello Stato. Engels ci dà qui indicazioni
particolarmente preziose su tre punti: primo, sul problema della repubblica;
secondo, sul legame esistente tra la questione nazionale e l'organizzazione
dello Stato; terzo, sull'amministrazione autonoma locale.
Engels fa della questione della repubblica il punto cruciale della sua
critica nel programma di Erfurt. Se ricordiamo quale importanza il programma
di Erfurt aveva assunto per tutta la socialdemocrazia internazionale, come
era servito di modello a tutta la Seconda Internazionale, si potrà dire,
senza timore di esagerare, che Engels critica qui l'opportunismo di tutta la
Seconda Internazionale.
"Le rivendicazioni politiche del progetto - egli scrive - hanno un grosso
difetto. In esse manca proprio ciò che invece doveva essere detto" (il
corsivo è di Engels).
E più avanti dimostra che la Costituzione tedesca è, in sostanza, una copia
ricalcata della Costituzione ultrareazionaria del 1850; che il Reichstag non
è altro, come diceva Wilhelm Liebknecht, che "la foglia di fico
dell'assolutismo", e che voler realizzare - sulla base di una Costituzione
che consacra l' esistenza di piccoli Stati tedeschi e della confederazione
di questi piccoli Stati - la "trasformazione dei mezzi di lavoro in
proprietà comune" è "manifestamente privo di senso".
"E' pericoloso toccare questo tasto", - aggiunge Engels, il quale sa
benissimo che non si può, in Germania, enunciare legalmente in un programma
la rivendicazione della repubblica. Tuttavia Engels non si adatta puramente
e semplicemente a questa considerazione evidente di cui "tutti" si
accontentano. Egli continua: "Ma l'argomento, in un modo o nell'altro, va
affrontato. Quanto sia necessario lo sta dimostrando proprio ora
l'opportunismo che è penetrato [einreissende] in una grande parte della
stampa socialdemocratica. Per timore di una ripresa delle leggi
antisocialiste, a causa del ricordo di tutte le varie dichiarazioni
prematuramente espresse quando quelle leggi erano in vigore, all'improvviso
l'attuale situazione legale in Germania dovrebbe essere sufficiente al
partito per attuare per via pacifica tutte le sue rivendicazioni..."
I socialdemocratici tedeschi hanno agito per paura di un rinnovo delle leggi
eccezionali: - è questo il fatto essenziale che Engels pone in primo piano e
definisce, senza mezzi termini, opportunismo, dichiarando che, appunto
perchè in Germania non v'è repubblica e non v'è libertà, sognare una via
"pacifica" è cosa insensata. Engels è abbastanza prudente per non legarsi le
mani. Egli riconosce che nei paesi retti a repubblica o che godono di una
grandissima libertà "si può concepire" (soltanto "concepire"!) un'evoluzione
pacifica verso il socialismo, ma in Germania, egli ripete,
"...in Germania, dove il governo è quasi onnipotente e il Reichstag e gli
altri organismi rappresentativi sono privi di reale potere, e per di più
proclamarlo senza necessità, significa togliere all'assolutismo la foglia di
fico e servirsene per coprire le proprie nudità...".
A fare da copertura all'assolutismo furono infatti, nella loro grande
maggioranza, i capi ufficiali della socialdemocrazia tedesca, che aveva
messo "nel dimenticatoio" gli avvertimenti di Engels.
"...Una simile politica, alla lunga, non può non indurre in errore il
partito. Si pongono in prima linea questioni politiche astratte, generali, e
si celano così le questioni concrete e più urgenti, quelle questioni che al
primo grande avvenimento, alla prima crisi politica, si pongono da sé
all'ordine del giorno. Che altro può derivarne, se non il fatto che al
momento decisivo il partito si trovi improvvisamente perplesso, che sui
punti decisivi regnino la confusione e la discordia perchè questi punti non
sono mai stati discussi?...
"Questo dimenticare i grandi principi fondamentali di fronte agli interessi
passeggeri del momento, questo lottare e tendere al successo momentaneo
senza preoccuparsi delle conseguenze che ne scaturiranno, questo sacrificare
il futuro del movimento per il presente del movimento, può essere
considerato onorevole, ma è e rimane opportunismo, e l'opportunismo
"onorevole" è forse il peggiore di tutti...
"Se vi è qualcosa di certo, è proprio il fatto che il nostro partito e la
classe operaia possono giungere al potere soltanto sotto la forma della
repubblica democratica. Anzi, questa è la forma specifica per la dittatura
del proletariato, come già ha dimostrato la Grande Rivoluzione francese..."
Engels ripete qui, mettendola particolarmente in rilievo, l'idea
fondamentale che attraversa, come un filo ininterrotto, tutte le opere di
Marx: la repubblica democratica è la via più breve che conduce alla
dittatura del proletariato. Questa repubblica, infatti, benchè non sopprima
affatto il dominio del capitale, e quindi l'oppressione delle masse e la
lotta di classe, porta inevitabilmente questa lotta a un'estensione, a uno
sviluppo, a uno slancio e ad un'ampiezza tale che, una volta apparsa la
possibilità di soddisfare gli interessi essenziali delle masse oppresse,
questa possibilità si realizza necessariamente e unicamente con la dittatura
del proletariato, con la direzione di queste masse da parte del
proletariato. Per tutta la Seconda Internazionale anche queste sono state
"parole dimenticate" del marxismo, e questa dimenticanza si è manifestata
con particolare evidenza nella storia del partito menscevico durante i primi
sei mesi della rivoluzione russa del 1917.
Sul problema della repubblica federativa in relazione con la composizione
nazionale della popolazione, Engels scriveva:
"Che cosa dovrebbe subentrare al loro posto?" (al posto della costituzione
monarchica reazionaria dell'attuale Germania e della sua non meno
reazionaria suddivisione in piccoli Stati, che perpetua le caratteristiche
specifiche del "prussianesimo" anziché dissolverle in una Germania come un
tutto unico). "A mio giudizio, il proletariato può utilizzare soltanto la
forma della repubblica una e indivisibile. La repubblica federale ancora
oggi, nel complesso, è una necessità, data la gigantesca estensione
territoriale degli Stati Uniti, sebbene nella loro parte orientale
costituisca già un impedimento. Sarebbe un progresso in Inghilterra, dove
sulle due isole vivono quattro nazioni, e dove nonostante un Parlamento
unico sussistono già oggi, uno accanto all'altro, tre tipi di sistemi
legislativi. Già da tempo essa è divenuta un ostacolo nella piccola
Svizzera, sopportabile soltanto perché la Svizzera si accontenta di essere
un membro puramente passivo del sistema degli Stati europei. Per la Germania
una imitazione del federalismo svizzero sarebbe un enorme passo indietro.
Due punti dividono lo Stato federale dallo Stato unitario, cioè il fatto che
ogni singolo Stato federato, ogni Cantone, ha la propria legislazione civile
e penale e la propria organizzazione giudiziaria, e il fatto che accanto al
Parlamento del popolo (Volkshaus) esiste un Parlamento degli Stati
(Staatenhaus), nel quale ogni Cantone, grande o piccolo, vota come tale."
In Germania lo Stato federale rappresenta una forma di transizione verso uno
Stato completamente unitario; non si deve far retrocedere la "rivoluzione
dall'alto", compiuta nel 1866 e nel 1870, ma si deve completarla con un
"movimento dal basso".
Ben lontano dal disinteressarsi delle forme dello Stato, Engels si sforza al
contrario di analizzare con la massima attenzione proprio le forme
transitorie, per determinare in ogni caso specifico, in base alle
particolarità storiche concrete, quale passaggio, da che cosa e verso che
cosa, rappresenti la forma transitoria esaminata
Come Marx, Engels difende, dal punto di vista del proletariato e della
rivoluzione proletaria, il centralismo democratico, la repubblica una e
indivisibile. Egli considera la repubblica federale o come un'eccezione alla
regola e un ostacolo allo sviluppo, o come una transizione tra la monarchia
e la repubblica centralizzata, come un "passo avanti", in certe condizioni
particolari. E fra queste condizioni particolari, mette in evidenza la
questione nazionale.
Sia in Engels che in Marx, benché essi abbiano criticato implacabilmente il
carattere reazionario degli staterelli in quanto tali e l'utilizzazione, in
casi concreti, della questione nazionale per mascherare questo carattere
reazionario, non si troverà, in nessuno dei loro scritti, neppur l'ombra
della tendenza ad eludere la questione nazionale, tendenza di cui parlano
spesso i marxisti olandesi e polacchi, pur partendo dalla lotta del tutto
legittima contro il nazionalismo angustamente piccolo-borghese dei "loro"
piccoli Stati.
Persino in Inghilterra, dove le condizioni geografiche, la comunanza della
lingua e una storia multisecolare sembrerebbero "aver messo fine" alla
questione nazionale per singole piccole suddivisioni del paese, - persino
qui Engels tiene conto del fatto evidente che la questione nazionale non è
ancora superata e riconosce perciò che la repubblica federale costituirebbe
un "passo in avanti". Ma non vi è qui neppur l'ombra della rinuncia a
criticare i difetti della repubblica federale e a condurre la propaganda e
la lotta più decisa in favore della repubblica unitaria, democratica,
centralizzata.
Ma Engels non concepisce affatto il centralismo democratico nel senso
burocratico dato a questa nozione dagli ideologi borghesi e
piccolo-borghesi, compresi, fra questi ultimi, gli anarchici. Per Engels il
centralismo non esclude affatto una larga autonomia amministrativa locale,
la quale, mantenendo le "comuni" e le regioni volontariamente l'unità dello
Stato, sopprime recisamente ogni burocrazia e ogni "comando" dall'alto.
"...Dunque repubblica unitaria, - scrive Engels sviluppando le concezioni
programmatiche del marxismo a proposito dello Stato. - Ma non nel senso di
quella francese odierna, che non è altro se non l'impero senza imperatore,
fondato nel 1798. Dal 1792 al 1798 ogni dipartimento francese, ogni comune
(Gemeinde) godettero di una amministrazione completamente autonoma, secondo
il modello americano, e anche noi dobbiamo averla.
L' America e la prima repubblica francese mostrarono a noi tutti in che modo
si debba istituire l'amministrazione autonoma e come si possa fare a meno
della burocrazia, e ancor oggi ce lo dimostrano l'Australia, il Canadà e le
altre colonie inglesi. Tale amministrazione autonoma provinciale e comunale
è assai più libera che, ad esempio, il federalismo svizzero, dove il Cantone
è bensì assai indipendente rispetto alla Confederazione, ma lo è anche
rispetto al distretto e al comune. I governi cantonali nominano governatori
distrettuali e prefetti, mentre di tutto questo non si ha traccia nei paesi
di lingua inglese, e anche noi in futuro vorremmo garbatamente fare a meno
di essi come dei presidenti distrettuali e dei consiglieri di prefettura
prussiana."
Engels propone quindi di formulare nel modo seguente l'articolo del
programma relativo all'autonomia amministrativa: "Amministrazione
completamente autonoma nella provincia," (governatorato o regione) "nei
distretti e nei comuni, da parte di impiegati eletti con suffragio
universale. Abolizione di ogni autorità locale e provinciale nominata dallo
Stato".
Nella Pravda (n. 68, 28 maggio 1917), proibita dal governo di Kerenski e
dagli altri ministri "socialisti", ho già avuto occasione di mostrare che,
su questo punto, - il quale evidentemente è tutt'altro che il solo, - i
nostri rappresentanti pseudosocialisti di una pseudodemocrazia
pseudorivoluzionaria si allontanano in modo clamoroso dai princípi
democratici. Si comprende come questa gente, legata dalla sua "coalizione"
con la borghesia imperialista, sia rimasta sorda a queste considerazioni.
E' molto importante rilevare che Engels, prove alla mano, smentisce con il
più preciso degli esempi il pregiudizio straordinariamente diffuso - specie
nella democrazia piccolo-borghese, - secondo il quale una repubblica
federale significhi necessariamente maggiore libertà di quanto non si abbia
in una repubblica centralizzata. E' falso. I fatti citati da Engels relativi
alla repubblica francese centralizzata del 1792-l798 e alla repubblica
federale svizzera confutano questa affermazione. In realtà la repubblica
centralizzata, effettivamente democratica, diede maggiore libertà che non la
repubblica federale. In altri termini: la maggiore libertà locale,
regionale, ecc., che la storia abbia conosciuta è stata data dalla
repubblica centralizzata e non dalla repubblica federale.
La nostra propaganda e la nostra agitazione di partito hanno dedicato e
dedicano tuttora una insufficiente attenzione a questo fatto, come, in
generale, a tutto il problema della repubblica federale e centralizzata e
della autonomia amministrativa locale
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