La grande parola è stata detta: la costituzione d'Inghilterra. Ecco il modello che si sarebbe dovuto prendere almeno come punto di partenza, non per seguirlo servilmente, ma per arrecargli "tutti gli emendamenti che la ragione e l'esperienza avrebbero consigliato". Nella costituzione inglese, infatti, il problema politico fondamentale è, se non pienamente risolto, almeno provvisto di una soluzione abbastanza soddisfacente: l'unione dell'efficienza e della libertà. è nella formazione dell'obbedienza," afferma Necker, "è nella combinazione dei mezzi per assicurare la subordinazione generale, senza dispotismo e senza tirannia, che consistono tutta la scienza politica e tutta la difficoltà dell'ordinamento sociale." L'idea ritorna come un leitmotiv. "Non c e nulla di così straordinario nell'ordine morale come l'obbedienza di una nazione a una sola legge... Una simile subordinazione deve riempire di stupore gli uomini capaci di riflettere." Che ora sia possibile ottenere una tale sottomissione senza una coercizione brutale è cosa "quasi misteriosa", che va considerata come il vertice della difficoltà in materia di arte costituzionale. Il fascino esercitato da questa obbedienza senza violenza è il vero centro del pensiero di Necker. Ora, invece di appoggiarsi sull'esempio esistente, i costituenti francesi hanno scelto, per una biforcazione fatale, la via della ricostruzione astratta. Hanno voluto procedere secondo i principi. Necker non avrà parole mai abbastanza dure per stigmatizzare l'ambizione costruttivista dell'Assemblea nazionale. Nel 1796 riassume così le sue accuse: "Un gusto giovanile per le novità, un presuntuoso desiderio di originalità, una ripugnanza vanesia e pusillanime per ogni specie di imitazione, infine una credula fiducia nelle figure tracciate dalla teoria e uno sconsiderato disprezzo per le realtà incise dall'esperienza." E il suo limite: scorge solo la psicologia degli attori, ed è cieco ai fattori oggettivi che potevano dare tanta forza di persuasione all'illusione della tabula rasa. Non vede l'intrinseca potenza dell'idea di sovranità della nazione, non ne concepisce l'effettività dinamica. A ciò vanno aggiunti i pregiudizi comuni sull'incapacità politica della parte di popolazione "interamente occupata a guadagnarsi di che vivere con un lavoro continuo", che gli impediscono radicalmente di capire quanto vi è di profondo nell'aspirazione ugualitaria.In una parola, non ha il senso delle cause. In compenso, ha un'acuta intelligenza degli effetti. Così mette perfettamente in luce, subito, la contraddizione che mina la costituzione del 1791, che i suoi autori volevano dettare per l'eternità. Monarchica nel titolo, essa è in realtà "repubblicana nelle forme" e, aggiunge, "dispotica nei mezzi di esecuzione". "È' uno sbaglio per sempre memorabile, da parte di un'assemblea di legislatori," ripeterà nel 1796, "aver voluto mantenere in Francia il governo monarchico, averlo giudicato il più conveniente a una nazione di 25 milioni di anime, e aver creduto di attuare quest'idea mettendo un re a capo di una costituzione democratica." Ma questa incongruenza, per quanto decisiva, a sua volta è solo il frutto di un errore di metodo più generale. I costituenti sono caduti nella trappola dell'ordine logico delle materie, che è l'opposto dell'ordine reale. Così hanno trattato per ultimo il potere esecutivo, seppur non l'hanno "del tutto dimenticato", mentre "questo potere, benché in apparenza sia il secondo nell'ordinamento politico, vi svolge la parte essenziale". L'obiezione va molto lontano. Porta al centro del sistema di legittimità dei moderni. Si ricordi la formula di Locke: "Non può esistere che un solo potere supremo, il potere legislativo, cui tutti gli altri sono e devono essere subordinati." In buona logica rappresentativa, è nell'istanza legislatrice che si concentra la sovranità, non essendo il potere esecutivo altro che uno strumento. Nel contrapporre a quest'ordine di ragioni le necessità imperiose del buon funzionamento sociale, Necker mette a nudo la contraddizione principale intorno a cui girerà per più di un secolo e mezzo l'impossibile stabilizzazione del regime rappresentativo inteso come regime parlamentare. Se in astratto esiste solo per applicare la norma elaborata dal rappresentanti, in pratica il potere esecutivo è la prima potenza. Esso è, dice Necker, "la forza motrice di un governo. Rappresenta nel sistema politico quella forza misteriosa che nell'uomo morale collega l'azione alla volontà." Forma "la pietra angolare di un edificio politico". E per non aver riconosciuto questa regola essenziale che i "metafisici politici" della Costituente hanno privato il monarca dell'importanza e dell'autorità indispensabili per svolgere le sue funzioni di capo supremo dell'esecutivo. Non solo hanno eccessivamente ridotto le sue prerogative concrete - e Necker si sforza di dimostrare, nel quadro del duplice confronto con la costituzione inglese e con quella americana che gli serve da supporto permanente, che gli Stati Uniti, per quanto repubblicani, "hanno garantito l'azione del governo in modo assai più forte e rispettabile di quel che abbiamo fatto in Francia" - ma, fatto ancor più grave in ultima analisi, i costituenti hanno colpito l'ascendente simbolico del monarca, I' "imponente carattere di dignità necessario alla sua azione". Comandare significa "dominare l'immaginazione". L'efficacia del potere passa, per una parte essenziale, attraverso la forza rappresentativa: "La sua autorità deve essere ragionata e la sua influenza magica; deve agire come la natura, con mezzi visibili e grazie a un ascendente misterioso." La libertà si ottiene infatti a tal prezzo: perché tutto ciò che non si ottiene per spontanea sottomissione dev'essere ottenuto per coercizione effettiva. Il tema è lungamente ripreso in De la Révolution francaise, di cui costituisce in fondo il principale oggetto, se si considera l'opera dalla visuale delle Réflexions sui- l'égalité, che ne sono il coronamento. Ogni libertà è impensabile senza l'economia della violenza reale consentita dall'universo simbolico della gerarchia. La saggezza politica, se si vuole un regime autenticamente liberale, consiste nel "servirsi della grandezza convenzionale di quest'ente politico, della sua magnificenza esteriore, del suo dominio sull'opinione e sulla stessa immaginazione, per stabilire un'autorità morale atta ad agevolare l'azione del governo, a mantenere l'ordine pubblico senza ricorrere di continuo ad atti di violenza e a strumenti tirrenici". In quest'ordine di idee, la maestà del monarca ha come complemento indispensabile "le differenze di stato, di rango e di fortuna", tutte gradazioni che "predispongono ai sentimenti di rispetto e di obbedienza". E qui sta la suprema contraddizione della costituzione del 1791: nell'aver creduto "che un trono potesse sussistere, flagellato da tutte le ondate dell'uguaglianza". Se si toglie all'autorità quest'appoggio spontaneo, occorre sostituirlo con un apparato coercitivo: "Tutti gli strumenti di forza divengono necessari al governo di un grande stato quando nessuna gradazione gerarchica predispone gli spiriti al rispetto e alla subordinazione." Per aver pensato che 1' "autorità si creasse per comando della legge", per aver misconosciuto la preminente necessità del potere effettivo, i rivoluzionari si sono condannati a cadere dall'inefficienza dei mezzi regolari nella brutalità dello stato d'eccezione. La dissoluzione dei vincoli e degli obblighi naturalmente alimentati dalla piramide gerarchica sfocia in un rapporto di rude imposizione. "Il regno della violenza e il regno dell'uguaglianza hanno uno stretto rapporto fra loro." È' lo stesso motivo che induce Necker a respingere l'associazione stabilita comunemente fra libertà e uguaglianza: esse sono alleate solo "a titolo di astrazioni... In realtà, introdotte insieme in un vasto teatro, saranno sempre in opposizione." Questa visione della politica, in Necker, si fonda in ultima analisi su una rappresentazione religiosa dell'universo. La gerarchia è radicata nella natura delle cose: "Tutto ci dice che le idee di preminenza e di superiorità sono inseparabilmente connesse allo spirito della creazione." Il compito del legislatore illuminato consiste nell' "armonizzare le disuguaglianze", di modo che, da un lato, l'ordine sociale partecipi come per risonanza dell'economia divina e, dall'altro, l'accordo introdotto fra le varie credenze "alleggerisca il compito dei governi". Qui sta l'originalità della sua posizione: il massimo liberalismo possibile, si potrebbe dire, all'interno di una coerente armonia religiosa del mondo. Essa lo rende estremamente sensibile all'immenso fenomeno che la rivoluzione annuncia e porta con sé: l'esorbitante dilatazione della sfera del potere, contropartita alla radicale eliminazione dell'economia religiosa della dipendenza gerarchica. Come tenere a freno 25 milioni di uomini, se non con il dispotismo, quando non esistono più legami tradizionali per tenerli insieme? E come aumenta a dismisura il potere, quando l'autorità è composta solo di potere, come suggerisce una bella formula. La ricostituzione rappresentativa del potere pubblico si traduce innanzi tutto in un suo formidabile allargamento: "Questo sistema rappresentativo, per una specie di gioco di prestigio metafisico, oggi viene proclamato come l'esatta impronta delle volontà individuali, come un'immagine così precisa di se stesso che un piccolo numero di eletti possono ragionevolmente e legittimamente disporre delle persone e dei beni di un'intera nazione; e possono farlo indefinitamente, e allo stesso modo in cui questa nazione avrebbe il diritto di farlo se tutti gli individui che la compongono fossero consultati a uno a uno. Quale abuso del termine rappresentativo! ... Nulla, mi sembra, è una miglior prova di quanto la nazione francese sia ancora allo stadio infantile, della sua rispettosa adesione a una servitù senza pari." A lungo termine, non senza pericolosi soprassalti, questi timori davanti all'abisso di un dominio "di cui non si è misurata la natura né l'estensione" si sono dimostrati vani. Si è dimostrato possibile assicurare senza violenza la coesione di una moltitudine di uguali in seno a un grande stato, nonché prevenire l'usurpaziome di quell1aristocrazia di nuovo genere - la parola è di Necker - di cui il sistema elettivo fa intravedere il pericolo. Ma è straordinariamente illuminante guardare attraverso gli occhi di un uomo, di cui una rara mescolanza di conservatorismo e di apertura fa un testimone privilegiato, il vertiginoso irrompere del problema in un momento in cui nessuno era ancora in grado di dire se comportasse una via d'uscita. Ai suoi occhi, e tanto più quanto meno egli è in grado di comprenderla, la radicalità dei principi del moto rivoluzionario emerge con un rilievo impressionante: vi è, per esempio, una pagina molto intensa sulla differenza di significato strategico fra le dichiarazioni dei diritti americana e francese. Egli si sbaglia attribuendola a un errore, ma avverte profondamente ciò che separa il bisogno di rifondazione ex nihilo e l'universalismo istituente dei francesi dal procedimento tutto sommato pragmatico degli americani. Poiché era in testa al loro codice costituzionale, egli dice, "noi abbiamo considerato questa dichiarazione come il principio, in qualche modo, della natura politica (degli americani), mentre ne era piuttosto l'estratto e il risultato. La loro posizione continentale, il genere dei loro rapporti con l'estero, i loro costumi, le loro abitudini e i limiti della loro fortuna, tutte queste grandi circostanze che determinano il genio di una nazione esistevano prima della loro dichiarazione dei diritti; sicché la loro professione di fede si è trovata, come tutte le parole devono esserlo, alla dipendenza delle cose e in una giusta armonia con l'imperio assoluto delle realtà. I nostri legislatori, invece, hanno considerato questa dichiarazione dei diritti come la causa efficiente della libertà degli americani e come un principio universale di rigenerazione che poteva adattarsi ugualmente a tutte le nazioni." Del resto, non gli è difficile dimostrare come tutto quello che assicura la funzionalità della costituzione americana venga a mancare nell'opera dei costituenti del 1791. Abbiamo visto la sua obiezione a proposito degli strumenti dell'esecutivo. Sottolinea inoltre in che modo l'uguaglianza rigidamente intesa abbia portato in Francia al rifiuto delle due camere, in che modo un'interpretazione dottrinaria della separazione dei poteri li abbia "messi in conflitto prima ancora che fossero creati", e infine quanto sia illogico il proposito di istituire forme elettorali estese respingendo il contrappeso federale, sull'esempio degli americani, in nome dell'unità e indivisibilità del regno. "L'Inghilterra nella sua unità," conclude Necker, "l'America nel suo sistema di federazione, presentano ai nostri sguardi due bei modelli di governo. L'Inghilterra ci insegna come una monarchia ereditaria possa essere mantenuta senza ispirare diffidenza agli amanti della libertà; l'America, come un vasto continente possa essere soggetto alle forme repubblicane senza creare inquietudine negli amanti dell'ordine pubblico..." Tutte virtù di cui la costituzione francese "incerta nei suoi fini, confusa nei suoi principi, errabonda nel suo cammino, mescolanza imperfetta di tutti i governi e di tutte le idee politiche" è purtroppo sprovvista. Sono questi principi assunti nella loro pienezza e nel loro rigore, indipendentemente e al di là di quanto la realtà potesse tollerarli nella loro trascrizione pratica, che formano la grandezza della rivoluzione e ne favoriranno la diffusione. Necker è uno spirito troppo positivo per essere sensibile a tutto ciò, almeno in un primo momento - la distanza, in seguito, modificherà un po' la sua ottica. Ma c'è un'altra faccia delle cose in cui la sua acribia realistica fa prodigi: il tragico deficit di mezzi di esecuzione, appunto, con cui si pagano la vastità e radicalità di questo disegno che vuole assurgere all'universale. Egli è l'incomparabile analista del senso d'impotenza che pure appartiene all'esperienza rivoluzionaria: l'impotenza a dotare questa democrazia - ricercata effettivamente al di fuori delle forme esistenti, senza il conforto dell'esempio -di strumenti adeguati, di incarnazioni consistenti e di istituzioni stabili, con gli sbandamenti che ne risultano e i correttivi che aggravano il male. Lo smontaggio in piena regola delle disposizioni prese dal potere rivoluzionario gli procura perfino, talvolta, una capacità di predizione piuttosto singolare. E vero, innanzi tutto, per il suo primo libro del 1792, in cui l'analisi delle scelte costituzionali e della dinamica avviata dall'Assemblea nazionale sfocia in un quadro premonitorio delle possibili evoluzioni: precarietà di quel residuo di monarchia innestato su un corpo "talmente democratico" che basterebbe pochissimo per "finir di trasformare la Francia in repubblica", tendenza a riunire "tutti i generi di potere nelle mani degli eletti della nazione", prevedibile delusione del popolo, infine, che non tarderà ad accorgersi che la sua sorte non è cambiata e che "il prezzo del pane e la tariffa salariale non dipendono [dai suoi rappresentanti]". Necker aveva già lungamente criticato il modo in cui la costituzione del 1791 intendeva la distribuzione delle funzioni tra legislativo ed esecutivo, e i loro rapporti. La Convenzione era stata l'esempio estremo della tendenza da lui denunciata a concentrare i poteri in seno a un corpo legislativo ridotto a sua volta a un'unica assemblea, al fine di meglio sottolineare la sua preminenza. La costituzione dell'anno 111 e la sua virata in senso contrario gli fornisce l'occasione per un'accusa supplementare contro i suoi avversari preferiti: lo schematismo e l'astrazione in politica. La preoccupazione di sottrarsi all'organizzazione convenzionale ha fatto sì che si cadesse in un altro estremo, "la separazione completa e assoluta delle due principali autorità, una che fa le leggi, l'altra che sorveglia e dirige la loro esecuzione". Anche qui, al falso rigore dei meccanismi cartacei, bisogna preferire il senso pratico delle "combinazioni e dei rapporti". Fin dal 1792, contro la rigida dottrina della separazione e dell'equilibrio dei poteri, Necker sottolineava che sono "i legami più che i contrappesi, le proporzioni più che le distanze, le convenienze più che la vigilanza, a contribuire all'armonia dei governi". Lo ripeté con forza quattro anni dopo: "Si deve cercar di stabilire un rapporto costituzionale fra il potere esecutivo e il potere legislativo; si deve pensare che la loro prudente associazione, il loro ingegnoso intreccio saranno sempre la miglior garanzia di una reciproca limitazione e di una sorveglianza efficace." In mancanza di simile coerenza nella divisione dei compiti, "o l'ordine o la libertà" saranno in pericolo - l'uno e l'altra non tarderanno a esserlo. Non ci vorrà molto perché la diagnosi di incapacità a sopravvivere che egli redige ed espone nei particolari sia ampiamente verificata. Due anni prima di morire, Necker riprende la penna un'ultima volta - lo sa e lo dice - scegliendo il titolo testamentario di Dermières vues de politique et de finance. L'opera è sorprendente per l'apertura mentale che attesta in un uomo così anziano. Il tenace fautore del governo inglese si arrende all'avanzata della storia. Convinto "che un seguito di avvenimenti senza pari hanno fatto della Francia un mondo nuovo", si ricrede sul suo vecchio pregiudizio e si sforza a sua volta di tracciare il piano di una "repubblica una e indivisibile, sottoposta per quanto è ragionevolmente possibile alle leggi dell'uguaglianza", una repubblica, però, suscettibile di regolare funzionamento, a differenza degli abbozzi prematuri che sono stati tentati, o peggio ancora del travestimento dittatoriale compiuto dalla costituzione dell'anno VIII. Come le precedenti essa non trova grazia ai suoi occhi. Neker vede chiaramente che si tratta solo di un abito provvisorio. Non ha "nessun fondamento di per se stessa. Tutte le autorità di cui è composta non possono né sorvegliarsi né aiutarsi reciprocamente e l'indipendenza del primo potere è stata predisposta in tutti i modi". Si tratta invero di una "oligarchia borghese schierata intorno a un padrone, in cui si è conservato semplicemente il nome di repubblica". Ben presto sarà necessario scegliere tra la verità della dittatura e il travestimento repubblicano. Donde la strategia del libro: un appello discreto a Bonaparte perché stabilisca finalmente la repubblica su solide basi. Così Necker si decide ad avanzare la sua proposta, non senza timore e tremore davanti alla difficoltà del compito: "L'unione dell'ordine, della libertà e dell'uguaglianza con un governo uno e indivisibile dev'essere considerata in politica come il capolavoro; se il problema possa essere risolto in un grande paese, la storia, almeno, non ne offre alcun esempio." Nel 1792 aveva dichiarato la repubblica inattuabile in un grande paese, senza l'aiuto del governo federativo all'americana. Poiché l'esperienza sembra aver stabilito che la nazione, in Francia, resterà decisamente una e indivisibile, nel 1802 pensa di poterne fare a meno. La sua costituzione prevede due camere fornite di uguali attribuzioni, elette rispettivamente per cinque e dieci anni con suffragio censuario (un censo relativamente modesto, d'altronde, poiché è fissato a 12 franchi di imposte per gli elettori, a 200 franchi per gli eleggibili), e - tributo pagato al generale atteggiamento di rifiuto di una nuova monarchia da parte della rivoluzione - un esecutivo collettivo di sette membri. Le sue intime preferenze, egli non lo dissimula, continuano ad andare alla monarchia temperata, in funzione del suo invariabile argomento: "Il vantaggio di un simile governo, il suo merito particolare, è quello di impegnare tutti gli organi e tutti i poteri al mantenimento dell'armonia esistente." Semplicemente, in Francia, la sua ora è trascorsa, "tanto gli spiriti," egli dice, "sono alieni da ogni specie di finzione". Le sue assise simboliche, quegli "appannaggi di rispetto" cui un tempo egli aveva attribuito questa funzione, sono stati definitivamente eliminati. Già nel 1792 Necker aveva messo in guardia coloro che credevano possibile "il puro e semplice ritorno di un vecchio governo da un pezzo screditato nell'opinione pubblica". "Un dispotismo ventennale," ammoniva, "e la più terribile tirannia non sarebbero di troppo per eseguire questo progetto." Dieci anni dopo, il principio stesso della regalità gli sembra colpito senza rimedio: nemmeno Bonaparte, constata deluso, oggi riuscirebbe "a instaurare una monarchia ereditaria temperata". In compenso, egli potrebbe fare ciò che nemmeno la Convenzione al vertice della sua potenza, "quando l'autorità suprema era interamente nelle mani di gente innamorata della più completa uguaglianza", è stata capace di fare: "Gettare le fondamenta di una repubblica che sia forte e rispettata e che resista alla prova del tempo." Possiamo credere che il vecchio malato che scriveva queste parole, in un momento che indovinava decisivo, si facesse molte illusioni sul personaggio e sulle probabilità di successo della sua perorazione? Pochissime, senza dubbio. Tuttavia era un ultimo tentativo per influire sul corso di una storia che da molto tempo gli era sfuggita di mano. Nessun altro destino, forse, rende meglio la portata della tragedia rivoluzionaria, senza l'aureola della morte, nel tranquillo grigiore di uno studio: ovvero l'inutile scontro dell'uomo ragionevole con la ragione della storia, cioè con l'irrazionalità degli eventi. MARCEL GAUCHET Opere, testi, documenti disponibili in: Gallica.BNF Mélanges d'économie politique. II / précédés de notices historiques sur chaque auteur, et accompagnés de commentaires et notes explicatives par M. Gust. de Molinari http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N005447 Corinne ou L'Italie / Madame de Staël ; nouv. éd. revue avec soin et précédée d'observations par Mme Necker de Saussure et M. Sainte-Beuve,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N029504 Lettre de M. Necker du 24 juin 1789 ; discours faits à l'Assemblée nationale le 25, avec la liste de ceux de M.M. de la noblesse qui se sont présentés http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040300 Réflexions présentées à la nation française, sur le procès intenté à Louis XVI / par M. Necker http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040985 Dernières vues de politique et de finance / offertes à la Nation française par M. Necker http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041680 Réflexions sur le divorce / par Mme Necker http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N042791 De l'administration des finances de la France / par M. Necker http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N042949 Sur la législation et le commerce des grains / [Necker] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N043239 Compte-rendu au roi, janvier 1781 / [Jacques Necker] ; [éd. par Auguste-Louis Staël-Holstein] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N043240 Mémoire publié par M. Necker au mois d'avril 1787, en réponse au discours prononcé par M. de Calonne devant l'Assemblée des notable / [Jacques Necker] ; [éd. par Auguste-Louis Staël-Holstein] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N043241 Nouveaux éclaircissements sur le compte rendu au roi en 1781 / [Jacques Necker] ; [éd. par Auguste-Louis Staël-Holstein] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N043242 [Aperçu sur l'administration des finances] / [Jacques Necker] ; [éd. par Auguste-Louis Staël-Holstein] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N043243 Sur l'administration de M. Necker / par lui-même ; [éd. par Auguste-Louis Staël-Holstein] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N043244 [Lettre aux commissions intermédiaires provinciales, et leurs réponses] / [Jacques Necker] ; [éd. par Auguste-Louis Staël-Holstein] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N043245 De la Révolution française. Troisième partie. Section première / [Jacques Necker] ; [éd. par Auguste-Louis Staël-Holstein] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N043246 De la Révolution françoise / par M. Necker http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N046876 Défense de M. Necker, contre M. le comte de Mirabeau ; précédée de quelques Observations sur les mémoires dont Paris est inondé / par M. L. C. G. http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N046989 Justification de M. Necker, concernant les emprunts, les impôts, le crédit public, le taux de l'intérêt et l'extinction de la dette nationale http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N046995 Mémoire de M. Necker http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047010 Principes positifs de M. Neker, extraits de tous ses ouvrages http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047397 Questions de M. Necker, ... à l'ouverture de l'Assemblée des notables, tenue à Versailles le 6 novembre 1788 http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047416 Rapport fait au Roi, dans son conseil, par le ministre des finances : précédé du Résultat du conseil d'Etat du Roi, tenu à Versailles le 27 décembre 1788 / [par Necker] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047782 Opinion de M. Necker, relativement au décret de l'Assemblée nationale, concernant les titres, les noms & les armoiries http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N051822 Cours de littérature dramatique. [Volume 1] / A. W. Schlegel ; traduit de l'allemand par Mme Necker de Saussure... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N067770 Cours de littérature dramatique. [Volume 2] / A. W. Schlegel ; traduit de l'allemand par Mme Necker de Saussure... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N067771 De la Révolution françoise. Tome premier / par M. Necker http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N073710 De la Révolution françoise. Tome second / par M. Necker http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N073712 De l'importance des opinions religieuses / par M. [Jacques] Necker,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N074453 Réflexions sur le divorce / par Mme [Suzanne] Necker http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N075477 Elementa botanica : genera genuina, species naturales omnium vegetabilium detectorum eorumque characteres diagnosticos ac peculiares exhibentia, secundum systema omologicum seu naturale evulgata. Tomus primus / Nat. Jos. de Necker,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N096663 Natalis Josephi de Necker deliciae gallo-belgicae silvestres seu Tractatus generalis plantarum gallo-belgicarum ad genera relatarum, cum differentiis specificis... Tomus primus http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N097376 Traité sur la mycitologie ou Discours historique sur les champignons en général... / par Natalis Joseph de Necker,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N098399 Nat. Jos. de Necker,... Physologia muscorum : per examen analyticum de corporibus variis naturalibus inter se collatis continuitatem proximamve animalis cum vegetabili concatenationem indicantibus http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N098441 Opuscules philosophiques et littéraires, la plupart posthumes ou inédites http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N101933 ORLÉANS Louis Philippe Joseph (duc d') Homme politique français né à Saint-Cloud le 13 avril 1747, décédé à Paris le 6 novembre 1793. Duc de Montpensier, de Chartres puis d'Orléans, il avait épousé l'arrière-petite-fille de Louis XIV, Adélaïde de Bourbon-Penthière en 1769 et possédait une fortune considérable, qu'il devait en parti mettre au service de ses ambitions politiques. Franc-maçon (Grand maître maçonnique en 1786), adepte des idées nouvelles et admirateur du régime politique anglais, il s'opposa au ministère de Maupeau et fut exilé en 1771 à 1772. Après avoir servi quelque temps dans la marine sous Louis XVI, il saisit toutes les occasions (affaire du collier, politique financière) pour afficher son hostilité au régime et à la cour, Député de la noblesse aux Etat généraux en 1789, il se rallia parmi les premiers au Tiers Etat. Lié à Mirabeau*, il songea peut-être à prendre la place de Louis XVI ou du moins à se faire nommer régent. Exilé en Angleterre après les journées révolutionnaire des 5 et 6 octobre 1789, il revint en France en 1790. Elu député à la Convention en 1792, où il prit le nom de Philippe-Egalité, il vota la mort du roi, son cousin. Son fils le futur Louis Philippe, ayant émigré avec Domouriez*, après la trahison de celui-ci, le duc d'Orléans fut suspecté et, arrêté par les montagnards*, il fut condamné à mort pour avoir aspiré à la royauté et guillotiné. Pascal ou Pasquale Paoli Patriote corse né à Morosaglia corse en 1725, décédé à Londre en 1807. Exilé en Italie avec son père, il servit dans l'armée napolitaine. De retour dans son pays natal en 1753, il fut nommé général en chef de l'armée de Corse en 1755, et, vainqueur des Génois auxquels il se laissa que le littoral, tenta d'organiser un gouvernement démocratique régulier, contribua à développer l'agriculture et le commerce corse, et à fonder une université à Corse. Lorsque les Génois vendirent à la France leurs droits sur la Corse en 1767), Pascal Paoli voulut s'opposer à ses nouveaux adversaires. Charles Marie Bonaparte lutta à ses côtés puis l'abandonna pour se rallier au gouvernement royal. Vaincu, il émigra en Angleterre. Rappelé par l'Assemblée nationale constituante en 1790, il fut nommé lieutenant et gouverneur de la Corse. Mais en 1793, il prit position contre la Convention et fit appel aux Anglais; la famille Bonaparte se réfugia alors en France. Contrairement à son attente, les Anglais nommèrent dans l'île, en la personne d'Eliott, un autre vice-roi que lui. Pascal Paoli mourut ex exil en Angleterre. PETION de VILLENEUVE Jérôme Pétion de Villeneuve Jérôme, homme politique français né à Chartres le 3 janvier1756- Se donne la mort à Saint-Emilion le 20 juin 1794, maire de Paris en 1791 et président de la Convention. Proscrit au 31 mai comme Girondin, il se Suicida. Opere, testi, documenti disponibili in: Gallica.BNF [La] société des Amis des Noirs. [3] / [Jérôme Petion, Jean Pierre Brissot, Benjamin Sigismond Frossard... [et al.]] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N009332 Lettre de MM. les commissaires de l'Assemblée nationale à M. le président / [signé Petion, La Tour Maubourg, Barnave] ; impr. par ordre de l'Assemblée nationale http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040774 Lettre de M. le maire de Paris à M.M. du Conseil du département : 24 juin 1792, l'an 4 de la liberté / [Pétion] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040852 Règles générales de ma conduite / [Pétion] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040853 Compte rendu par M. Pétion, maire de Paris, au département et à ses concitoyens, de la conduite qu'il a tenue dans la journée du 20 juin 1792 http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040854 Conduite tenue par M. le maire de Paris, à l'occasion des événemens du 20 juin 1792 / [Pétion] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040855 Pétition de M. Pétion à l'Assemblée nationale http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040857 Pétition de la Commune de Paris à l'Assemblée nationale, sur la déchéance du Roi / [Pétion] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040915 [Les] voeux du véritable souverain, exprimés à l'Assemblée nationale par M. Pétion, au nom de la Commune de Paris, sur la déchéance du Roi http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040916 Lettre de M. Pétion à l'assemblée des commissaires des 48 sections réunis à la maison commune http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040934 Discours sur les assignats / par J. Pétion ; impr. par ordre de l'Assemblée nationale http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N043406 Mémoires inédits de Pétion et mémoires de Buzot & de Barbaroux : accompagnés de notes inédites de Buzot et de nombreux documents inédits sur Barbaroux, Buzot, Brissot, etc. / précédés d'une introd. par C. A. Dauban http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N046816 Lettre de M. le maire de Paris à ses concitoyens / [Pétion] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N048642 Philippe Egalité Louis, Philippe, Joseph Duc d'Orléans (1747-1793) Prince de sang, l'homme le plus riche de France après son mariage avec Adelaïde de Penthièvre. Grand Maître du Grand Orient de France. Ambitieux, décidé à monter sur le trône il est considéré par certain comme l'un des personnages clés de la révolution, mais pas à la hauteur du rôle qu'il voulait jouer. Grâce à son immense fortune il a pu avoir à sa solde plusieurs grands chefs révolutionnaires (La Fayette, Talleyrand, Dumouriez mais aussi Marat, Hébert, Danton ou Desmoulin). Il n'a pourtant pu acheter ni les Girondins ni les Robespierristes. En 1789 il rejoint le Tiers Etat et réunit les opposants au Palais Royal. C'est lui qui organise les journée des 5/6 octobre. En 1790, il émigre en Angleterre et revient en juillet 1791 où il tente de se faire nommer roi après les événements de Varenne. En 1792 élut à la Convention il prend le nom de Philippe Egalité et vote la mort de Louis XVI. Compromis par la fuite de Dumouriez et de son fils, il est arrêté par la Commune en avril 1793 et il perd ses moyens d'action (l'argent). Danton, membre du comité de salut public le fait acquitté. En septembre Billaud-Varenne entré au comité le fait inscrire comme Girondin avec lesquels il n'a aucun rapport et le 6/11 il est jugé et guillotiné. PRIEUR DE LA MARNE Pierre Louis Homme politique français né à Sommesous le 1er août 1756, champagne, décédé à Bruxelles le 30 mai 1827. Avocat député du Tiere Etat, aux Etat généraux en 1789, et membre du club des Jacobins, il siégea à l'extrême gauche à l'Assemblée constituante où sa violence lui valut le surnom de Crieur de la Marne. Réélu à la Convention en 1792, il contribua à faire adopter le décret sur la levée de 300 000 hommes le 24 février 1793, il fut membre du Comité de défense générale en mars 1793, puis du Comité de salut public juillet 1793, où, avec Jean Bon-Saint-André, il s'occupa de l'organisation de la marine militaire. Après la chute de Robespierre le 9 thermidor, (27 juillet 1794), il fut impliqué dans les insurrections montagnardes de l'an IV. Avocat à Paris, puis commissaire des hospices civils, il fut proscrit comme régicide en 1816. © Robert des noms propres Opere, testi, documenti disponibili in: Gallica.BNF Carte du château & jardin de Versailles. [Plan géométral et descriptif] / dessiné par P. Prieur http://gallica.bnf.fr/Catalogue/Notices/IMG/07740473.htm Fédération au Champ de Mars le 14 juillet 1790 / Prieur del. Procédés de la fabrication des armes blanches / [Prieur Duvernois] ; publ. par ordre du Comité de salut public http://gallica.bnf.fr/Catalogue/Notices/IMG/07744154.htm Rapport sur le salpêtre, fait à la Convention nationale, au nom du Comité de salut public : le 14 frimaire, an II de la République / par C. A. Prieur,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N043803 Compte rendu de la mission des représentans du peuple Rochegude, Defermon & C. A. Prieur (de la Côte d'Or), chargés de parcourir les côtes maritimes depuis l'Orient jusqu'à Dunkerque, en vertu des décrets des 13 & 22 janvier 1793 / [à la] Convention nationale http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N044441 Note sur des dénominations des nouvelles mesures employées dans le nouvel acte constitutionnel / par C. A. Prieur ; imprimée par ordre de la Convention nationale http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N048763 Rapport fait au nom du Comité d'instruction publique, sur la nécessité et les moyens d'introduire dans toute la République les nouveaux poids et mesures précédemment décrétés ; [suivi d']Un projet de décret et une note instructive : séance du 11 ventose, an troisième / par C. A. Prieur ; imprimés par ordre de la Convention nationale http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N048765 Note instructive sur les poids et mesures, à joindre au rapport de C. A. Prieur(de la Côte d'Or) : lu à la Convention le 11 ventose an troisième http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N048769 Rapport sur les moyens préparés pour établir l'uniformité des poids et mesures dans la République et pour substituer prochainement le mètre à l'aune dans le département de Paris, sur le mode à déterminer pour le remplacement successif des anciennes mesures dans toute la France, enfin sur les réglemens à promulguer à ce sujet ; [suivi d'un]Projet de décret / par C. A. Prieur ; imprimés par ordre de la Convention nationale http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N048775 Mémoire sur la nécessité et les moyens de rendre uniformes : dans le royaume, toutes les mesures d'étendue et de pesanteur... / par M. Prieur [ci devant Du Vernois],... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N062066 [La] nomenclature sociale / d'après F. [Frédéric] Le Play. La science sociale est elle une science ? / par M. Henri de Tourville. Les lois du travail / par M. Prosper Prieur http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N074364 Dialogue de la lycanthropie ou Transformation d'hommes en loups vulgairement dits loups garous, et si telle se peut faire... / par F. Claude Prieur,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N084814 QUINETTE Nicolas Marie (baron de Rochemont) Homme politique français né à Soissons en 1762, décédé à Bruxelles en 1781. Député à l'Assemblée législative en 1792, puis à la Convention en 1792, où il se prononça pour la mort du roi, membre du premier Comité de salut public en mars 1793, il fut chargé d'enquêter sur la conduite de Dumouriez. Celui-ci le livra, avec ses collègues, au Autrichiens qui en 1795, l'échangèrent contre Marie-Thérèse, fille de Louis XVI (Madame royale), Membre du Conseil des Cinq-Cents, ministre de l'intérieur en 1799, il se rallia à Bonaparte. Successivement préfet, conseiller d'Etat, directeur général au ministère des Finances sous l'Empire, fait baron en 1810 et pair de la France pendant les Cent-Jours, il fut bani comme régicide en 1816 © Robert des noms propres Opere, testi, documenti disponibili in: Gallica.BNF Copie de la lettre, écrite à Messieurs du Directoire du département de la Gironde, par Monsieur Delessart, le 13 mai 1791 http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040001 [Fête de la vieillesse à Alençon, 10 fructidor an VII] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041627 [Fête de la fondation de la République dans le canton de Sées, fructidor an VI-jour complémentaire an VII] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041630 ROBESPIERRE Maximilien (de) cronologia, saggi critici, testi In che modo 1' "avvocato di Arras" è potuto diventare, nel giro di qualche settimana, il "padrone assoluto della Francia"? La questione che tormenta Necker nel 1797 è banale, poiché di solito le rivoluzioni trasformano esistenze ordinarie in destini eccezionali. La maggior parte dei protagonisti della rivoluzione francese potrebbe esser sottoposta alla stessa indagine. Ma, per giustificare l'ex ministro, si può dire che nessuno di essi ha sposato la propria epoca come Robespierre, che nessuno si è fuso a tal punto in essa da far segnare con la propria morte sul patibolo la conclusione di molte storie della rivoluzione. La morte di Robespierre è anche la morte della rivoluzione, quella degli altri una conseguenza dell'avvenimento che li distrugge, ma che non scompare con loro. Robespierre fa dono totale di se stesso, nel momento della vittoria come in quello della sconfitta, mentre i suoi avversari, innalzandosi sui cadaveri dei loro predecessori, sembrano non pensare che verrà anche il loro turno, manifestando in ultimo "lo stesso ingenuo stupore quando l'ondata li raggiunge", come scrive Cochin. In termidoro, Robespierre non sarà preso alla sprovvista, poiché la sua morte costituisce l'orizzonte di tutti i suoi discorsi: "Conosco la sorte che mi è riservata," afferma nel 1791. La morte di Marat preannuncia la sua: "Gli onori del pugnale sono riservati anche a me... la mia caduta si avvicina a grandi passi." Un "trapasso prematuro" è il prezzo che deve pagare 1' "uomo virtuoso", scrive nella sua celebre dedica a Rousseau. Sviluppa instancabilmente il tema della virtù perseguitata e del trionfo ineluttabile del delitto. Ineluttabile ma provvisorio, dato che, "se i buoni e i cattivi scompaiono dalla terra", ciò avviene "a condizioni diverse". Destinato a una morte imminente dai nemici che vede appostati ovunque sul suo cammino, Robespierre lascia ai posteri la cura di giudicare - e di giustificare - il suo sacrificio per il "bene dei suoi simili". Discorso che appartiene non tanto all'esperienza della vita quanto a una retorica sperimentata e sempre adattata al conformismo dell'uomo. Avvocato nel 1781, prospera all'ombra dei suoi protettori del vescovato di Arras. Nel 1783 ottiene il suo maggior successo difendendo la causa della scienza perseguitata, grazie a un'abile e brillante difesa dei parafulmini di cui, del resto, non è l'autore; ma poco importa, accoglie il successo con grande soddisfazione, assaporando una notorietà nuova di zecca. La buona società lo riceve nei suoi salotti, l'accademia di Arras gli apre le porte. E molto apprezzato nei circoli di cui Marat scriveva, con un po' d'invidia e molta acutezza: "Assemblee formate dalla vanità di uomini di piccola importanza che cercavano di interpretare una parte, e dalla noia di piccoli dilettanti che non sapevano come ammazzare il tempo." Quale migliore definizione dell'esistenza sbiadita, ma rispettabile, cui Robespierre si dedica con forsennato zelo? Per lui, rispettabilità è costrizione e rigidezza, odio di ogni spontaneità; il disordine negli abiti o nei sentimenti, la volgarità dell'espressione, più in generale tutte le forme d'indecenza e d'esibizione gli fanno orrore. Si sa quanta repulsione provocheranno le dissolutezze di Mirabeau e di Danton in quest'uomo disperatamente decoroso e, come dirà Buchner, "insopportabilmente onesto". Quest'apparenza levigata si schiude sul vuoto delle passioni: "Tenacemente occupato a ornarsi la mente," dice di lui uno dei suoi professori, "sembrava ignorare che c'era un cuore cui pensare." Tuttavia le donne gli stanno intorno, a cominciare da sua sorella Charlotte, pronta a tutto per tenersi vicino quel fratello adorato, e perfino a battersi come un'arpia quando la cricca femminile dei Duplay riuscirà, nel 1791, a monopolizzare l'eterno "fratello maggiore". Le fidanzate che gli sì attribuiscono sono solo delle corrispondenti, alle quali dedica rime scipite che celebrano la purezza dei suoi senti menti o, più prosaicamente, un esemplare della sua ultima arringa. E casto per scelta, e potrebbe sospirare, come l'Eloisa di Rousseau: "Voglio essere casto, perché questa è la prima virtù che nutre tutte le altre." La rivoluzione non cambierà l'avvocato di provincia, di cui Robespierre conserverà i modi fino all'epoca del potere. Nulla potrà indurlo a rinunciare al rigoroso impiego del tempo o all'abbigliamento meticoloso: quando la Convenzione si popolerà di sanculotti e di berretti frigi, egli continuerà a ostentare cravatta e parrucca incipriata. Eppure, è in lui che s'incarna lo spirito della rivoluzione. Vedendo il popolo giacobino dietro l'oratore, Michelet nota che "è molto più di un uomo quello che ha parlato"; ma è una semplice constatazione, che non spiega le ragioni di questo strano potere d'incarnazione il cui enigma non sarà mai del tutto chiarito. Forse tale potere può essere riferito in parte alla personalità di Robespierre: inaccessibile alle passioni, egli è interamente disponibile per la virtù. Avendo eliminato in se stesso ogni forma di separazione fra pubblico e privato, fra l'amor proprio e l'amor dì patria, ha percorso il ciclo della "rigenerazione" che diventerà il centro della sua politica: arriva da cittadino in una rivoluzione in cui gli altri sono ancora sudditi. La forza del suo discorso sta nella sua esperienza personale della virtù; Robespierre porta il discorso ideologico al suo più alto grado di perfezione perché egli stesso è l'ideologia incarnata. Subito dopo il "trionfo" nella causa del parafulmine trova il suo ruolo e definisce la sua strategia, in una duplice rottura con i mezzi e i fini ordinari dell'azione politica. Come inizio una causa banale: deve difendere un cordaio accusato di furto da un monaco preoccupato di coprire i propri misfatti. Ottiene facilmente soddisfazione ma, rifiutando di limitarsi a questo, reclama un indennizzo finanziario per il suo cliente e redige per l'occasione un memoriale assai violento, in cui denuncia le disuguaglianze davanti alla legge e fustiga i costumi equivoci del religioso. I diritti calpestati, il vizio trionfante: il registro del futuro membro della Convenzione è già qui. Si comincia a chiamarlo "sostegno degli infelici, vendicatore dell'innocenza"... Poco sensibili alla sua dedizione, i colleghi del tribunale denunciano "l'infame libello" che Robespierre, contrariamente a ogni usanza, ha fatto stampare prima della sentenza. Senza esitare un attimo, egli attacca i pregiudizi del suo ambiente e s'indigna per le persecuzioni di cui è oggetto. In mezzo a una serie di conflitti, abbandona tutto ciò che può servire alla sua carriera d'avvocato e al suo avvenire politico, proprio nel momento in cui l'effervescenza che precede la convocazione degli Stati generali consiglierebbe invece di appigliarsi a tutte le relazioni utili: si allontana dall'accademia, si rivolta contro l'alto clero e i notabili. Messo all'indice, ne prova ben presto le conseguenze: nel 1788 difende lo stesso numero di cause sostenute al suo esordio, nel 1782, mentre i suoi colleghi hanno raddoppiato o addirittura triplicato la loro clientela. Ma Robespierre trasforma questa sconfitta e questo isolamento in vittoria e popolarità: il vescovato non gli perdona le sue accuse, ma i parroci diventano i suoi propagandisti; l'élite del Terzo Stato lo ripudia, ma la corporazione più povera di Arras, quella degli zoccolai, lo sceglie come deputato. Nell'apprendistato politico di Robespierre, l'esperienza esistenziale è una delle componenti principali, e quando gli Stati generali si riuniscono, il suo cammino è già tracciato. Forte delle sue convinzioni e della lotta già iniziata, arriva a Versailles con un giudizio politico molto sicuro che gli permette ben presto sia di valutare i partiti esistenti, sia le possibilità di svolgere un ruolo quando sarà venuto il momento. Tutto Robespierre si ritrova già in questa prima esperienza, e da Arras a Versailles, dove rappresenta il Terzo Stato della provincia di Artois, rimane fedele alla stessa strategia: il rifiuto intransigente della duplicità eretto ad arte politica. Alla trasparenza egli sacrifica tutto, immolando ogni interesse personale sull'altare del "sentimento imperioso" che gli fa abbracciare la causa del popolo. Respinge ogni forma di coesistenza tra la fedeltà alle idee e il parallelo perseguimento di un'ambizione legittima: "Sappiate," dirà a Brissot, "che io non sono il difensore del popolo... sono parte del popolo, non sono mai stato altro che questo, non voglio essere che questo; disprezzo chiunque abbia la pretesa di voler essere qualcosa di più." Attaccato dai girondini nel 1792, esclama: "Salendo su questa tribuna per rispondere all'accusa avanzata contro di me, non difenderò affatto la mia causa, ma la causa pubblica." L'8 termidoro ricorda ai suoi nemici che le loro denunce "non sono un'ingiuria fatta a un individuo, ma a una nazione invincibile, che doma e punisce i re Robespierre è popolo egli stesso; la causa dell'uno è la causa dell'altro. La sua probità è incontestabile e, dal 1790, egli è per tutti l'Incorruttibile. Roederer, malalingua e troppo umano per riuscire a comprendere un uomo celebrato come "il commento vivente della Dichiarazione dei diritti", sospettava una certa affettazione in questo culto della trasparenza: "Avrebbe pagato perché gli si offrisse dell'oro, per poter dire di averlo rifiutato." Ma Robespierre, "piccolo dio in un magnifico nulla", si rivolge soltanto ai credenti, come Saint-Just, che gli scriveva con fervore di conoscerlo solo "come si conosce Dio, per i suoi miracoli". Del tutto involontariamente, non è lontano dalla verità: morto per se stesso, Robespierre è tutto azione, e nel suo caso si potrebbe quasi "dedurre dagli atti la sua esistenza" - per riprendere la formula di Kierkegaard. Ma quale azione? Alla Costituente, non partecipa ai lavori di nessun comitato, rimane estraneo al dibattito legislativo vero e proprio. Si dimette sistematicamente dalle funzioni giudiziarie cui gli elettori di Parigi o di Versailles lo chiamano a varie riprese. Rinunciando a uno di questi mandati, invoca la missione che incombe su di lui: "Difendere la causa dell'umanità, della libertà, come cittadino e come uomo, davanti al tribunale dell'universo e della posterità." Giudice lo è già nell'Assemblea; depositano e custode dei diritti del popolo, contrappone agli atti legislativi questi " principi semplici e incontestabili": è il censore dell'assemblea, " la vigile sentinella che nulla può cogliere di sorpresa", e i giacobini di Marsiglia vedono in lui "lo straordinario emulo del romano Fabrizio", del quale si diceva: "E più facile deviare il sole dal suo corso che allontanare Fabrizio dalla via dell'onore." Ancorato all'universo dei principi, Robespierre non agisce. In lui, l'immobilità diventa azione, ed egli costituisce un punto fisso nel tumulto della rivoluzione, che sconvolge le cose e trascina gli uomini. Ha misurato molto presto la potenza irresistibile della dinamica rivoluzionaria, e la vanità degli sforzi impiegati per frenarla. L'uno dopo l'altro, tutti i capipartito hanno cercato di controllare il corso degli avvenimenti, divenendo i consiglieri di un re fantasma di cui avevano distrutto essi stessi l'autorità. "Crudeli e ingegnosi sofisti," dice Robespierre a tutti quelli che pretendono di terminare la rivoluzione, "sarete spazzati via come deboli insetti." Lascia che si compromettano, che si spezzino l'uno dopo l'altro, poiché ogni caduta e ogni "tradimento" lo rendono più grande. Mentre i suoi avversari guardano in alto, ma nel vuoto, lui si volge verso il basso, verso il popolo che occupa tutta la scena. "Smettete di calunniare il popolo," insorge parafrasando Rousseau, "e di rappresentarlo senza tregua come indegno di godere dei suoi diritti, malvagio, barbaro, corrotto! Siete voi gli ingiusti e i corrotti, mentre il popolo è buono, paziente, generoso." Robespierre non tralascia una sola occasione per celebrare la generosità del "popolo" - come quando scrive, a proposito dei massacri del luglio 1789: "M. Foullon è stato impiccato ieri per decreto del popolo" - o per stigmatizzare le colpevoli intenzioni dei BAILLY Jean Sylvain BARBAROUX Charles Henri Marie BARÈRE DE VIEUZAC Bertrand BARNAVE Antoine BERTIER DE SAUVIGNY Louis Bénigne BESENVAL Pierre Victor (de) BEURNONVILLE Pierre Riel (comte puis marquis) BILLAUD-VARENNES Jacques Jean BONNEVILLE Nicolas (de) BOUILLE François Claude Amour (marqui de.) BOURBOTTE Pierre BRISSOT Chartres BROGLIE Victore François BUZOT François Nicolas Léonard CAMBACERES Jean-Jacques-Régis de ( 1753 - 1824 ). CAMBON Joseph CAMUS Armand Gaston CARNOT Lazare Nicolas Marguerite CARRA Jean-Louis CASTHELINEAU CHAPPE Claude (l'abbé) CHARLES X Charles de France, comte d'Artois CHAUMETTE Pierre Gaspard dit ANAXAGORAS (1763-1794) CLAVIERE Etienne COLLOT D'HERBOIS Jean Marie CONDÉ Louis Joseph de Bourbon ( prince de) CORDAY D'ARMONT Charlotte CUSTINE Adam Philippe DANTON Georges Jacques DE BRY Jean Antoine Joseph D'EGLANTINE Nazaire François Philippe FABRE DELACROIX Jean-François Lacroix, ou DELMAS Jean François Bertrand DESÈZE ou DE SÈZE Raymond Romain (comte) DESMOULLINS Camille DILLON Arthure (comte) DILLON Théobald ( chevalier de ) son frère DUBOIS-CRANCE Edmond Louis (dit Dubois de Crané) DUMOURIEZ Charles François DUPORT ou DU PORT Adrien Jean François FLESSELLES Jacques (de) FOULLON Joseph François FRAVRAS Thomas de MAHY (marquis de) GARAT Dominique Joseph GENSONNÉ Armand GILLET François GIRONDIN GONCHON Clément GRÉGOIRE Henry (l'abbé) GUADET Marguerite Elie GUYTON DE MORVEAU Louis Bernard (baron) HEBERT Jacques René HÉRAULT de SECHELLES Marie Jean ISNARD Honoré Maximin JOURDAN Mathieu Jouve (dit JOURDAN COUPE-TETE) LAFAYETTE Marie Joseph Paul Yves Roch Gilbert (marqui de.) LAMBESC Charles Eugène de LORRAINE duc d'ELBEUF et prince (de) LASOURCE Marie David Albin LAUNAY Bernard JORDAN (de) LAVOISIER Antoine Laurent LE CHAPELIER Isaac René Guy LE PELETIER de SAINT-FARGEAU LOUIS MICHEL LEFRANC Jean Georges de POMPIGNAN LINDET Jean Baptiste Robert LOUIS XVI LUCKNER Nicolas MAILHE Jean Baptiste MALESHERBES Chrétien Guillaume MANUEL Pierre louis MARAT Jean Paul MARIE-ANTOINETTE MERLIN Philippe Antoine (comte) MIRABEAU Honoré Gabriel RIQUETI (comte de) MOMORO Antoine François MOUNIER Jean Joseph NECKER Jacques (1732-1804) ORLÉANS Louis Philippe Joseph (duc d') PASCAL ou Pasquale Paoli PETION de VILLENEUVE Jérôme PHILIPPE EGALITE' Louis, Philippe, Joseph Duc d'Orléans PRIEUR DE LA MARNE Pierre Louis QUINETTE Nicolas Marie (baron de Rochemont) ROBESPIERRE Maximilien (de) ROCHAMBEAU Jean Baptiste Donatien de Vimeur (comte de) ROLAND de la Platière Jean Marie ROUGET DE L'ISLE Claude Joseph ROUX Jacques SAINT-JUST Louis Antoine SALICETTI Antoine Christophe SERVAN DE GERBEY Joseph SIEYÈS Emmanuel Joseph (dit l'abbé Sieyès) STOFFLET Jean Nicolas THÉROIGNE DE MÉRICOURT Anne-Josèphe Therwagne THOURET Jacques Guillaume TREILHARD Jean BaptisteVARLET Jean François VERGNIAUD Pierre Victurnien
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ILLUMINISMO IN ITALIA

ILLUMINISMO IN ITALIA - ILLUMINISMO LOMBARDO
 
 

L'ILLUMINISMO LOMBARDO In Lombardia l.impero asburgico aveva messo in discussione gli antichi assetti stabiliti, fondati sull.identificazione di molte libertà ai gruppi locali, alla Chiesa, alla nobiltà. Si evidenziava una volere di cambiamento che superasse gli organismi e i gruppi locali, stimati di ostacolo ad una politica di crescita. Un segnale chiaro era stato il fatto del catasto, che aveva rappresentato anche concettualmente un.esperienza tanto rilevante. L.Asburgo nel momento in cui combatteva gli stabili assetti collettivi, operava pure da pungolo della rigenerazione intellettuale. Gli interpreti principali di queste esigenze di cambiamento e di rinnovamento sociale, che allora investivano la società lombarda furono principalmente certune figure di intellettuali impegnati e alcuni movimenti culturali: Pietro Verri, Cesare Beccarla, le esperienze collettive raccolte intorno all.Accademia dei Pugni e del Caffè. I processi di razionalizzazione politico-economico. sociale avviati dall.Asburgo, costituiscono il punto di partenza della riflessione intellettuale Verriana. Il suo programma di riforma si estende a 360 gradi ad ogni singolo settore della vita associata. Il fine principale della sua opera è quello di formare una classe dirigente nuova e dotata di una propria cultura, di una visione del mondo specifica. Si formulava in un.ottica diversa la relazione tra politica e cultura. L.intellettuale si proponeva di avvalersi dei procedimenti di funzionamento dell.autorità per rendere possibile i cambiamenti economici, istituzionali, culturali e morali. Nella propria opera Meditazioni sulla felicità (1763), Verri disegnava una morale secolare e priva di pregiudizi da consigliare all.intero movimento illuministico lombardo. Le basi principali del proprio programma scientifico e politico sono rappresentate da: a) il riconoscimento delle proprie prerogative e privilegi di casta, ma parallelamente si afferma la decisione di utilizzarli per la collettività; b) la dottrina de .il calcolo dei piaceri e dei dolori. e Parte quarta . Le origini delle scienze sociali in Italia nell.età dell.Illuminismo 168 una visione laica della vita; c) l.analisi dell.ambizione, considerata fra le passioni la più pericolosa e allo stesso tempo la più meritoria.; d) la aspirazione alla affermazione, stimata nella propria crescita transitoria, che sorge dalla riuscita culturale. Secondo Verri «il compito dell.intellettuale è di assicurare la pubblica felicità, ma non è facile orientarsi fra i diversi tipi di comandamenti, quelli della religione, quelli dell.onore e delle leggi civili. È possibile che ci sia un contrasto fra questi tre impulsi. In tal caso l.unica guida è il calcolo dell.utilità e dell.interesse generale. Verri propone, come base dell.azione politica, un.etica della responsabilit à che nasce da una filosofia utilitaristica» [Ivi, p. 325]. Egli teorizza una morale laica, nella quale l.interesse individuale e quello generale coincidono perfettamente. Questa visione razional-utilitaristica trova il suo perfetto equilibrio nella presenza contemporanea di due sentimenti connaturati alla natura umana: la compassione e l.amicizia. Elabora anche una teoria del progresso, visto essenzialmente come una serie di tappe successive verso l.incivilimento della società umana, accompagnato però nello stesso tempo, da una serie d.interruzioni e fasi di decadimento. Queste esperienze dolorose contribuiscono nonostante tutto ad arricchire il genere umano. I bisogni costituiscono una potente forza che spinge sulla strada dello sviluppo. Allo stesso tempo si propongono nuovi modelli culturali. «Se prima la repubblica letteraria comprendeva solo eruditi e .curiosi., i nuovi intellettuali di oggi sono scienziati, tecnici, agrimensori, economisti. .L.agricoltura, le finanze, il commercio, l.arte di governare i popoli, questi sono gli oggetti che occupano i popoli di studio. La stampa e le poste, comunicando dall .una all.altra estremità dell.Europa le scoperte, danno una vera esistenza a questo corpo di pensatori diversi.» [Ivi, p. 326]. Il movimento delle idee, nell.analisi verriana appare la reale forza del moto che dilaga nell.Europa illuminista. La propria affermazione corre parallelamente con quella delle libertà civili in tutti i paesi europei. La propria visione del processo d.incivilimento è nettamente ottimistica, ed è fondata, su uno stretto rapporto di collaborazione tra ceto intellettuale e classe politica riformatrice. La sua concezione era perfettamente in linea con il clima intellettuale, che allora si respirava in Europa. Lo spirito del tempo condizionava in maniera corretta o negativa, le idee sulla natura umana, che allora circolavano in Europa. La rivoluzione francese La Francia alla vigilia della rivoluzione (1774-1788) Amministrazione. Sussistono ancora gli intendenti e i poteri locali , continui scontri tra la corona e il Parlamento di Parigi che pretende il controllo sulle leggi regali. La venalità della burocrazia e i privilegi ecclesiastici e nobiliari mostrano come il regime feudale sia ancora attuale. Società. L'ordinamento di tipo feudale crea malcontento e tensioni in tutti gli ordini sociali: in realtà siamo di fronte ad uno scontro tra due mondi e due sistemi differenti e incompatibili, il sistema feudale difeso dall'aristocrazia e dal clero contro quello mercantilistico innovativo difeso dalla borghesia che comincia a diventare cosciente dei propri mezzi. Anche il ceto contadino, al suo interno, comincia a presentare notevoli differenziazioni sociali e politiche: mentre i proprietari liberi, benché si trovino costretti a far fronte agli abusi feudali, vivono con decoro, i braccianti nullatenenti sono i più colpiti dalla crisi. Politica finanziaria. Il sistema fiscale inefficiente e irrazionale, l'instabilità nell'amministrazione della finanza pubblica, le imposte affidate ad appaltatori senza scrupoli e le esenzioni del clero e della nobiltà dalle imposte a danno degli strati più poveri che vedono svanire in tasse circa il 70% del loro reddito, queste sono le cause del grave deficit finanziario che accompagna la Francia pochi anni prima della rivoluzione. Opposizione. L'opposizione al vecchio regime viene condotta: Dal ceto superiore privilegiato, che si tiene fermo da una parte ai diritti feudali, ma dall'altra, sotto l'influsso del pensiero illuminista, esige la limitazione della monarchia assoluta. Dalla borghesia, che si considera Terzo Stato ed esige l'abolizione dei diritti feudali e la partecipazione alla vita politica. Dai circoli illuministici che favoriscono la rivoluzione tramite la divulgazione del loro pensiero riguardo la libertà e l'uguaglianza. Cronologia 1774-1788 1774 Il re Luigi XVI capisce la necessità di operare alcune riforme e nomina Turgot Controllore Generale delle Finanze. Gli operai di Parigi insorgono per l'aumento del costo del pane e il programma di riforme viene fatto fallire da alcuni rappresentanti dell'aristocrazia tra cui la stessa regina Maria Antonietta. 1778 La Francia si allea con gli Stati Uniti ed entra in guerra contro l'Inghilterra. Intanto il banchiere Necker viene nominato nuovo Controllore Generale delle Finanze. Egli istituisce un'assemblea con il compito di ripartire le imposte anche tra i ceti più abbienti con lo scopo di porre fine al periodo di crisi economica. Metà dei membri di tale assemblea dovrebbero essere stati rappresentanti del Terzo Stato. Il Parlamento di Parigi si oppone all'iniziativa di Necker che viene licenziato. 1783 Il ministro delle Finanze Calonne propone l'istituzione di un'imposta unica sulla terra senza esenzioni e l'abolizione della gabella sul sale, ma un'assemblea di notabili composta per la maggior parte da rappresentanti dell'aristocrazia non è disposta a votare tali proposte per risanare il deficit dello stato. 1787 Il successore di Calonne, Lomenie, non può far altro che proporre ai notabili gli stessi progetti dei suoi predecessori. Anch'egli fallisce per l'opposizione del Parlamento e della nobiltà che chiedono ed ottengono per l'approvazione di una riforma fiscale la convocazione degli Stati Generali. 1788 Bancarotta dello Stato e richiamo di Necker, che ottiene il raddoppio dei rappresentanti del terzi Stato. Finalmente vengono convocati gli Stati Generali che si pronunciano per una monarchia limitata. Primo Periodo (1789-1792) 5 Maggio 1789. Seduta di apertura degli Stati Generali a Versailles. Il Terzo Stato chiede la votazione per testa anziché per ordine e la verifica comune dei poteri. 17 Giugno 1789. Primo atto rivoluzionario: il Terzo Stato si proclama Assemblea nazionale e con il giuramento di continuare a lottare finché non si sia raggiunta la Costituzione inizia la prima fase della rivoluzione. Prima fase: La Costituente (1789-1791) Il re sembra accettare la nuova situazione ma il licenziamento di Necker e le truppe di soldati attorno alla città portano alla sollevazione del popolo di Parigi. 14 Luglio 1789. Assalto alla Bastiglia (prigione politica e simbolo del dispotismo): il popolo vince l'assolutismo e l'esercito del re si sbanda. Il rivoluzionario La Fayette crea una milizia cittadina detta Guardia Nazionale. La presa della Bastiglia e il suo significato provocano sollevazioni di contadini in tutta la Francia, si ha la prima ondata di nobili emigranti in zone più sicure. 4-5 Agosto 1789. Sotto la pressione popolare l'assemblea Nazionale delibera l'abolizione del regime feudale e la liberazione dei contadini. 26 Agosto 1789. Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo: libertà, parità di diritti e fraternità diventano le parole chiave della rivoluzione. Intanto anche la stampa illuminista si muove a favore della Rivoluzione e spinge il popolo a continuare la battaglia. 5 Ottobre 1789. Marcia su Versailles, il re è costretto a stabilirsi a Parigi assieme all'Assemblea Nazionale. I popolani si fanno ora chiamare sanculotti (ossia senza i calzoni corti dei nobili). 1790. La rivoluzione sembra aver trovato un suo equilibrio. Tra le forze presenti nell'Assemblea Costituente i reazionari sedevano sulla destra mentre i rivoluzionari sedevano sulla sinistra, tra questi cominciano a nascere i primi club politici: i foglianti moderati, i cordiglieri radicali e i giacobini che si considerano come una lega santa contro i nemici della libertà. Luglio 1790. Costituzione civile del clero, statalizzazione della Chiesa, soppressione dei conventi e di Ordini religiosi. La maggioranza degli ecclesiastici rifiuta il giuramento e sorge un conflitto tra stato e chiesa. Giugno 1791. Tentativo di fuga di Luigi XVI: il re, riconosciuto a Varennes, è riportato a Parigi e privato di tutti i suoi poteri politici. 3 Settembre 1791. Proclamazione della nuova Costituzione, giurata dal re il 14 Settembre. La Monarchia parlamentare presenta un debole esecutivo e la rappresentanza legislativa è unicamerale, ottenuta con elezione censitaria (il voto spetta tuttavia solo al cittadino proprietario di patrimonio proprio). Le cariche amministrative sono elettive e lo stato viene diviso in 83 dipartimenti con amministrazione autonoma. Sono garantiti i diritti dell'uomo, la parità di diritti e la proprietà privata. Seconda fase: L'Assemblea Legislativa (1791-1792) Oltre ai club politici già considerati ne nascono ora di nuovi, è quindi necessario fare un piccolo schema riguardo le forze rivoluzionarie che animano la Francia di questo periodo. Nome del club politicoCaratteristicheMaggiori esponenti CordiglieriE' il gruppo politico più radicale.Danton, Marat FogliantiSono a favore di un'evoluzione democratica della Rivoluzione. Fedeli al re.La Fayett GirondiniNe fanno parte la borghesia abbiente e i repubblicani favorevoli al decentramento.Brissot SanculottiCostituiti da masse popolare senza idee chiare in testa. 10 Ottobre 1791. Prima Riunione dei 745 deputati dell'Assemblea Legislativa. Un terzo di essi entrò a far parte del club moderato dei foglianti, un quinto aderì ai giacobini, ma la grande maggioranza rimase neutrale rispetto alle fazioni politiche che si erano formate nei mesi precedenti. Tra i nuovi dirigenti politici un ruolo importante spetta a Brissot, attorno al quale si formò un piccolo raggruppamento di deputati, eletti del dipartimento della Gironda. Gli aristocratici emigrati all'estero scatenano all'interno dell'Assemblea il timore di una loro coalizione con le forze austriaco - prussiane. Aprile 1792. I girondini sollecitano la dichiarazione di guerra ad Austria e Prussia: inizio delle guerre di coalizione contro la Francia rivoluzionaria. I maggiori esponenti della sinistra rivoluzionaria, Robespierre e Danton, indicano la possibilità di un'invasione della Francia da parte delle truppe austriache e prussiane e del tradimento del re che avrebbe potuto sfruttare a suo favore un'eventuale sconfitta delle truppe rivoluzionarie. Il re viene arrestato. I rivoluzionari più moderati, i foglianti, vengono fatti uscire dalla scena politica e la loro Guardia Nazionale viene sciolta. La Fayette è costretto ad emigrare in zone meno pericolose per lui. Gli ordini religiosi vengono sciolti. Agosto 1972. La famiglia reale, accusata di tradimento, viene internata nella prigione del Tempio. Sotto la pressione del popolo l'Assemblea vota la sospensione del re e la convocazione di una Convenzione, eletta a suffragio universale. Comincia un periodo di grande tensione e sospetto, una seconda ondata di nobili abbandona il paese. Secondo Periodo (1792-1799) Terza fase: La Convenzione (1792-1793) Settembre 1792. Viene proclamata la Repubblica. Il fronte dell'esercito francese vede aumentare notevolmente i suoi effettivi e la propaganda fa aumentare il grado di politicizzazione dei soldati. Nella Convenzione si formano nuovi gruppi. A destra la Gironda (Brissot), partito della legalità, rappresentante la borghesia possidente, difensore della proprietà privata e della libertà economica, e favorevole al decentramento amministrativo. Sostengono la necessità di reprimere con la forza le rivolte dei sanculotti. A sinistra la Montagna (Robespierre, Marat), rappresentate della media e piccola borghesia e delle classi popolari, fautrice dell'accentramento e disposta a misure eccezionali per mantenere l'appoggio del popolo alla rivoluzione. Da qui nasce il contrasto con la Gironda. Al centro la Pianura, ondeggiante tra posizioni più o meno rivoluzionarie. Gennaio 1793. Su proposta di Robespierre e della Montagna, ma con la Gironda contraria, viene votata la condanna a morte di Luigi XVI. I francesi cominciano ad ottenere le prime vittorie in campo militare sul Reno, intanto il generale Dumoriez procede all'invasione del Belgio. Quarta fase: Il Terrore (1793-1794) Febbraio 1793. Entrata in guerra contro la Francia dell'Inghilterra e di altre potenze europee. La crisi interna della rivoluzione si riflette anche sulla condotta della guerra. La coalizione antifrancese ha, per il momento, la meglio. La crisi interna - carestie, inflazione, rivolte di cittadini, clima di sospetto, arresti di massa e lotta contro il clero - ed esterna - insuccessi militari - dello Stato viene superata con l'entusiasmo rivoluzionario e con il ricorso al Terrore. Giugno 1793. Proclamazione di una seconda Costituzione, la democrazia assoluta prevede plebisciti per ogni legge e abolisce la separazione dei poteri. I girondini, screditati dagli insuccessi militari dell'anno precedente, vengono rovesciati dai giacobini di Robespierre. Egli ritiene che l'unica via per uscire dalla crisi sia la proclamazione di una dittatura e Danton propone di insediare come governo provvisorio a pieni poteri il Comitato di salute pubblica. Tramite quest'ultimo si presero le seguenti misure: Massimo vigore nell'impedire un innalzamento dei prezzi. Abolizione delle ultime tracce di diritti signorili. Leva militare di massa, creazione di un esercito democratico al cui interno esista la possibilità di far carriera. In ognuno dei dipartimenti francesi i Commissari del Comitati di Salute Pubblica soffocano le rivolte con esecuzioni di massa. Vengono chiusi tutti gli edifici conosciuti come chiese. Vengono giustiziati tutti i sospetti, sia estremisti come coloro che si facevano chiamare arrabbiati, sia moderati come i foglianti (lo stesso Danton viene fatto ghigliottinare). La giustizia sommaria della dittatura sembra prevaricare i diritti dell'uomo, per la difesa dei quali la rivoluzione stessa era iniziata. Le continue requisizioni ai danni dei contadini rendono più difficili gli approvvigionamenti per le città e portano all'alleanza di tutti i gruppi ostili a Robespierre nella Convenzione e nel Comitato di Salute Pubblica. 9 Termidoro (28 Luglio) 1794. Dalla Convenzione e dal Comitato parte un colpo di stato ai danni della dittatura e di Robespierre. Quest'ultimo viene ghigliottinato e, con la sua fine, si conclude la fase giacobina della rivoluzione. Settembre 1794. Soppressione del Tribunale rivoluzionario istituito durante la dittatura e chiusura dei club politici. Quinta fase: Il Direttorio (1795-1799) Come reazione al terrore e alla dittatura popolare era necessario: Smantellare il Terrore. Liberare i prigionieri politici. Restituire libertà di culto alla Chiesa Cattolica. Abolire il controllo sui prezzi e riportare il mercato alla normalità. Fronteggiare il ritorno delle forze controrivoluzionarie francesi ed europee. Settembre 1795. La terza Costituzione, meno democratica di quella del 1791, prevede un debole Esecutivo composto da 5 Direttori, Si attua un sistema bicamerale e i deputati delle due camere legislative vengono scelti con un'elezione censitaria indiretta. Ottobre 1795. Insurrezione monarchica delle sezioni parigine. Il leader dei termidoriani, Barras, con l'aiuto del generale Napoleone Bonaparte, sconfigge i monarchici per incarico del Direttorio. Primavera 1796. Il Direttorio capisce che la crisi economica si può risolvere solo tramite delle annessioni territoriali. Carnot viene nominato lo stratega ella campagna militare che doveva portare all'annessione della Masa e del Reno. Tuttavia l'unico successo si ebbe con la piccola amata affidata a Napoleone, che dimostrò di possedere qualità militari non inferiori alla sua ambizione politica. Settembre 1797. Colpo di stato militare effettuato dal generale Hoche e da Napoleone per arginare l'ondata monarchica. Carnot e gli altri sospetti di posizioni controrivoluzionari vengono arrestati. Il potere torna nelle mani dei termidoriani di Barras, ma l'influenza dell'esercito nelle questioni politiche è sempre più evidente. 1798-99. La crisi economica francese non accenna a migliorare, il Direttorio accetta il consiglio di Talleyrand: la conquista dell'Egitto. Lo scopo era quello di assicurarsi il controllo navale sul Mediterraneo. Il comando della spedizione è affidato a Napoleone: occupata malta, sbarca ad Alessandria e conquista il Cairo. L'Inghilterra si oppone al progetto della Francia e ottiene una vittoria navale presso Abukir. Si alleano ad essa anche Russia e Impero Ottomano, l'esercito francese è tagliato fuori dalla Francia e non può far altro che soccombere di fronte alla forza della coalizione. Sesta fase: Il consolato (1799-1804) 1799. Napoleone lascia il suo esercito in Egitto e, sbarcato in Francia, effettua il colpo di stato del 18 Brumaio: aiutato dai militari elimina il Direttorio e crea un governo provvisorio con Fouché e Talleyrand. Sieyès redige la nuova Costituzione, di cui ora vediamo le principali caratteristiche. Carattere generale. Assistito da due consoli e dal Consiglio di Stato, il primo console nomina tutti gli ufficiali, i funzionari e gli 80 membri del Senato. I senatori scelgono i membri del Tribunato (sola discussione delle leggi) e del Corpo Legislativo (sola approvazione delle leggi). La sostanza del nuovo assetto è la legittimazione della dittatura militare mascherata da apparenze democratiche. Napoleone viene eletto primo console per 10 anni. Egli riuscirà a fondere l'eredità dell'assolutismo con quella rivoluzionaria. Amministrazione. Formazione e specializzazione di un forte apparato burocratico, riorganizzazione della giustizia. Educazione. L'istruzione viene articolata in scuole inferiori, medie e superiori, controllate dallo stato. Più che alle scuole popolari, lo Stato napoleonico si interessa ai licei e alle università, proponendo un sistema educativo centralizzato e uniforme. L'accento è posto sulle scienze naturali applicate e sulle materie logico formali. Chiesa. Si riaprono i rapporti tra Chiesa e Stato grazie a un Concordato, stipulato nel 1801, che pone fine allo scisma religioso e alla persecuzione del clero che si era opposto alla rivoluzione. Tutti i vescovi sono dichiarati deposti e devono essere r nuovamente consacrati dal Papa. La costituzione civile del clero viene abolita. Economia. Si cerca di attenuare l'inflazione con l'istituzione della Banca di Francia. Si ha una lenta ripresa del commercio grazie a dazi protezionistici e costruzione di nuove strade. Ordinamento sociale. La grande borghesia è la classe dirigente, la nobiltà emigrata viene invitata a tornare purché essa sia pronta a giurare fedeltà al nuovo regime. La carriera statale è aperta a tutti i cittadini. Il regime poggia sulla censura della stampa e su un apparato poliziesco molto efficiente. 1802. Istituzione dell'ordine cavalleresco della legione d'Onore al fine di stimolare l'ambizione dei francesi e proclamazione di Napoleone a console a vita. Il primo problema di Napoleone fu, tuttavia, quello di porre fine in modo pacifico alla guerra contro la coalizione antifrancese. Il trattato di Amiens firmato nel corrente anno pone fine alla coalizione europea. 1804. L'emanazione del Codice Civile realizza l'obiettivo della completa unificazione giuridica della Francia, garantendo la libertà personale, la proprietà privata, la parità di diritti, il matrimonio civile e il divorzio. Terzo Periodo (1799-1814) Settima fase: L'Impero di Napoleone (1804-1814) Dicembre 1804. Il Papa in persona viene a Parigi e incorona Napoleone come Imperatore. Si apre così la strada ai membri della sua famiglia che ottengono titoli principeschi, mentre i suoi ministri e generali vengono nominati grandi dignitari e marescialli. Al momento dell'incoronazione la pace con l'Inghilterra, firmata nel 1802, era già stata rotta da un anno. Napoleone era pronto, ora, per riprendere a combattere e spingere le sue armate al di fuori dei confini francesi. Vediamo ora in che modo Napoleone intendeva riorganizzare la sua sfera d'egemonia in Europa. 1a Tendenza. Procedere a nuove annessioni dirette. Liguria, Toscana, Stato della Chiesa, Lazio, Umbria, Marche divengono dipartimenti francesi. 2a Tendenza. Sostituzione delle repubbliche satelliti con delle monarchie, creazione di dinastie ereditarie a favore dei propri fratelli. 3a Tendenza. Intervento sempre più massiccio all'interno della Germania e dei paesi baltici. 1805-06 (terza coalizione). Il rifiuto da parte dell'Inghilterra di restituire Malta all'ordine dei cavalieri di San Giovanni scatena una nuova serie di conflitti tra la Francia e una terza coalizione antifrancese, dopo quelle del 1793-97 e 1799-1802. Accerchiamento e capitolazione dell'esercito austriaco, che si vede costretto a firmare la pace di Presburgo: l'Austria perde Venezia e la Dalmazia che passano al regno d'Italia. 1806-07 (quarta coalizione). Si forma una nuova coalizione comprendente Russia Prussia, Inghilterra e Svezia. Napoleone sconfigge l'esercito prussiano ed entra a Berlino. Qui Napoleone fa la sua dichiarazione del Blocco Continentale: poiché aveva capito che non era possibile sconfiggere militarmente l'Inghilterra, intendeva piegarla economicamente interrompendo le sue relazioni commerciali con la parte dell'Europa già caduta sotto il dominio imperiale. In seguito a un colloquio con lo zar di Russia Alessandro I, vengono gettate le basi per la pace di Tilsit tra Russia e Francia. L'Inghilterra si dimostra tuttavia un forte avversario e, in seguito al decreto di Milano sull'inasprimento del Blocco Continentale, vengono occupati: Portogallo, Olanda e Germania settentrionale. Conseguenze dell'espansione francese in Europa: Diffusione delle idee liberali e superamento del feudalesimo. Formazioni di stati con burocrazia centrale di scuole controllate dallo Stato. Espansione dell'economia francese e incremento dell'industria tessile in Svizzera. Scarseggiano sul mercato i generi coloniali e il contrabbando si fa sempre più imponente. La Russia, fiancheggiando Napoleone, ottiene importanza e si annette numerosi territori. 1808. Napoleone decide l'annessione della Spagna, con lo scopo di rendere più forte la chiusura del continente alle merci inglesi. Appoggiato dall'Inghilterra, il popolo spagnolo oppose resistenza all'Imperatore. 1809 (quinta coalizione). L'Austria tenta di ribellarsi al potere dell'Imperatore aderendo ad una nuova coalizione con l'Inghilterra. La guerra si dimostra più dura del previsto, ma Napoleone ne esce ancora vincitore. L'Austria deve cedere alcuni territori alla Baviera e al Regno d'Italia. 1810. Napoleone sposa la principessa asburgica Maria Luisa, figlia del re d'Austria Ungheria Francesco I. 1812. Crisi economiche costringono lo zar Alessandro I a mettersi in contrasto col sistema del Blocco Continentale: dazi preferenziali favoriscono il commercio inglese, che fornisce prodotti commerciali di prima necessità. Napoleone intende allora ridare valore al trattato di Tilsit con un'azione militare diretta. All'inizio del 1812 l'egemonia napoleonica sull'Europa pareva aver raggiunto il suo culmine: alleanze con la Prussia e con l'Austria rendono sicuro lo spiegamento della Grande Armata. Solo il generale Bernadotte, divenuto re di Svezia, con un imprevisto cambiamento di fronte passò dalla parte dello zar. Alla vigilia della campagna russa la Francia era riuscita ad introdurre in buona parte dell'Europa quelle riforme economiche ed istituzionali che avevano fatto di essa un paese molto potente, tuttavia aveva anche suscitato quelle forze nazionali antifrancesi che da sempre avevano considerato intollerabile il dominio Francese su tutta l'Europa. 1813. La campagna di Russia si rivelò presto un fallimento: Il generale russo Kutuzov punta sulla vastità del paese e decide una difesa elastica, evitando battaglie decisive e portando i francesi sempre più all'interno. La sua tecnica della terra bruciata non permette ai francesi di trovare viveri e rifornimenti. Napoleone riesce a conquistare Mosca, ma quando egli arriva la capitale è ormai rasa al suolo. Inizia per l'esercito francese una disastrosa ritirata, molti soldati si consegnano ai russi, mentre il gelo e le guerriglie di Kutuzov decimano il resto dei militari francesi. Anche gli spagnoli riescono a concludere a concludere vittoriosamente la loro guerra contro l'esercito francese fortemente ridotto dall'entrata a far parte della Grande Armate da parte di molti soldati. Si forma una nuova coalizione antifrancese composta da Inghilterra, Prussia, Russia, Svezia e Austria. Nell'ottobre del 1813 l'esercito francese risultò definitivamente sconfitto e Napoleone non poté far altro che lasciare aperta la Francia all'invasione di russi, prussiani e asiatici. Marzo 1814. Le truppe della coalizione entrano a Parigi, Napoleone è costretto a firmare la sua totale rinuncia al trono di Francia in cambio della sovranità sull'Isola d'Elba. Il senato di Napoleone, rappresentato dall'alta borghesia francese, era già preparato alla fine dell'Impero e proclamò il conte di Provenza, il maggiore dei fratelli di Luigi XVI, re di Francia con il nome di Luigi XVIII. A Talleyrand fu dato il compito di negoziare una pace onorevole con la coalizione. Al fine di ridare un assetto all'Europa dopo gli sconvolgimenti dell'epoca imperiale, i ministri di tutti i paesi che avevano preso parte alla guerra si riunirono a Vienna nel Settembre del 1814. 1815. Le trattative all'interno del congresso di Vienna sono molto lente e tutto viene rimesso in questione quando si viene a sapere che Napoleone ha lasciato l'Isola d'Elba per ritornare a Parigi e imporre la propria restaurazione. Subito si riforma la coalizione del 1813 e nella campagna del Giugno 1815 Napoleone fu sconfitto definitivamente A Waterloo. Napoleone, che si è messo sotto la protezione dell'Inghilterra, viene deportato nell'isoletta di Sant'Elena, dove muore nel 1821. Rivoluzione nell'organizzazione militare e nella strategia durante la Rivoluzione Francese Il sentimento nazionale e il patriottismo trasformano l'ordinamento delle forze armate e la condotta della guerra: La guerra popolare sostituisce le guerre dei sovrani, combattute prevalentemente da truppe mercenarie. L'impiego di grandi masse di soldati permette battaglie offensive capaci di decidere le sorti della guerra in poco tempo. Le operazioni di difesa su una linea più elastica sono più efficaci dei massicci attacchi frontali. L'approvvigionamento sul posto delle truppe sostituisce il vettovagliamento mediante magazzini. Le nomine e le promozioni degli ufficiali sono fatte in base al merito e non più in base all'estrazione sociale. Sono queste le caratteristiche che resero il nuovo esercito francese imbattibile nelle mani di Napoleone. LE MASSE POPOLARI NELLA RIVOLUZIONE FRANCESE La storiografia borghese ostile alla rivoluzione ha sempre dipinto le masse che vi presero parte con le tinte più fosche e cupe. Burke, Taine, Madelin, Gaxotte non hanno avuto scrupoli nell'identificarle con le peggiori bande di assassini, di vagabondi, di ricercati e depravati. Viceversa, per Michelet, Louis Blanc, Aulard e i sostenitori della tradizione repubblicana, le masse erano la suprema incarnazione del bene, l'ideale della giustizia personificato. Sia l'una che l'altra corrente, come si può notare, non riuscirono ad osservare il fenomeno del movimento rivoluzionario dal basso. Probabilmente, il primo storico francese a indirizzarsi verso questa più concreta e realistica prospettiva è stato Jaurès, con la sua Histoire socialiste de la Révolution française (1901-03). Per la prima volta la rivoluzione francese - ha detto Soboul - veniva raccontata dal punto di vista delle masse popolari, ponendo alla base degli studi i fattori sociali ed economici. La scelta non fu casuale. A determinarla fu lo sviluppo impetuoso del movimento operaio e della lotta di classe alla fine del XIX secolo, che costrinse gli studiosi a esaminare più da vicino le condizioni sociali delle masse e le motivazioni del loro agire. Si pensi alle opere di A Mathiez e di G. Lefebvre. Due piste di ricerca sin da allora s'imposero: la composizione sociale delle masse che fecero la rivoluzione, le motivazioni sociopolitiche per le quali esse si erano mobilitate. Non poche furono le difficoltà dell'indagine: sia perché i popolani raramente scrivono, sia perché moltissimi documenti che avrebbero potuto offrire informazioni obiettive (come gli archivi municipali e di quartiere, i registri dei verbali delle sedute delle assemblee generali, ecc.) sono andati distrutti nella settimana di sangue del 1871, in cui cadde la Comune di Parigi. Restavano comunque i dossier della polizia e dei tribunali negli archivi nazionali e in quelli della prefettura: un materiale assai cospicuo, utile sotto molti aspetti, ma da maneggiare con precauzione perché spesso tendenzioso o alquanto lacunoso. Con l'espressione "masse rivoluzionarie", che fu anche il titolo di un saggio divenuto poi un classico, G. Lefebvre intese distinguere chiaramente l'aggregato spontaneo dall'assembramento cosciente. Il primo è rappresentato da gruppi d'individui privi di vera organizzazione, che protestano in modo istintivo e spesso repentinamente. Le rivolte agrarie, soprattutto agli inizi della rivoluzione, erano di questo tipo, ma anche le code delle casalinghe davanti ai forni, che assai facilmente si trasformavano in gruppi sovversivi, i raduni in piazza o al mercato o all'uscita della messa domenicale. La colonna del 5 ottobre 1789, capeggiata dall'usciere Mailard e composta prevalentemente di donne che vollero marciare su Versailles per rivendicare la concessione del pane, fu in sostanza una protesta di tipo economico, non politico. Del pari, i combattenti dell'89 non presentavano ancora motivazioni di carattere rivoluzionario. Male, comunque, faceva Arthur Young a deridere, nel 1788, i contadini che andavano a vendere al mercato per pochi soldi i loro legumi o le loro galline: questi aggregati semi-volontari risultarono in fin dei conti di notevole importanza per la formazione della mentalità collettiva e nella preparazione del movimento rivoluzionario. Certo è che l'assembramento presuppone l'esistenza di una mentalità comune, sufficientemente organizzata e consolidata. Senza questo presupposto sarebbe stato impossibile indurre l'insieme del Terzo stato ad agire contro i privilegiati e i rappresentanti della monarchia. La manifestazione del 20 giugno 1792, con la quale il popolo occupa l'Assemblea e le Tuileries, l'insurrezione del 10 agosto dello stesso anno, che determina la caduta della monarchia, le feste della Indivisibilità della Repubblica del 10 agosto 1793 e dell'Ente supremo dell'8 giugno 1794: queste furono tutte iniziative consapevoli, in vista di un'azione più o meno concertata, ove i sentimenti e le motivazioni erano comuni. Solo quando gli uomini si convincono che il sistema in sé è irriformabile, che cioè non è più sufficiente strappare una concessione per garantirsi un futuro di benessere, solo allora il movimento si trasforma da spontaneo a cosciente, da istintivo a organizzato. Naturalmente i livelli di coscienza collettiva erano diversi. Pretendere misure repressive a carico d'un commerciante speculatore è una cosa, esigere prezzi fissi per tutti, requisizioni e una riorganizzazione generale dell'economia nazionale, è un'altra. Sarebbe stato praticamente impossibile passare dalle rivolte per il grano del 1789 ai movimenti insurrezionali del '92 e '93, senza che le folle avessero acquisito una grande maturità político-organizzativa. Di notevole interesse è l'esame della composizione sociale di queste folle rivoluzionarie. Stando agli elenchi approvati dall'Assemblea costituente nel 1790, quasi 2/3 dei rivoltosi del 14 luglio appartenevano a una trentina di professioni (falegnami, ebanisti, fabbri, calzolai, bottegai, vinai, osti, ecc.). Vi furono quindi prevalentemente persone di mestiere, artigiani, compagnons, piccolo-borghesi: scarsi invece i salariati (anche se qui è bene tener conto che il vocabolario del tempo si riferiva di più alla qualifica professionale che non al livello sociale o al rango nella produzione). Del tutto assenti i rentiers e i capitalisti. La maggioranza dei vincitori della Bastiglia abitava il sobborgo popolare di S. Antoine e si recò armata sul luogo della battaglia, essendo non "plebaglia coinvolta in mestieri infami" - come vuole il Taine - ma membri regolarmente iscritti alla milizia cittadina della borghesia. Furono appunto i borghesi "non possidenti" a guidare, insieme al popolo lavoratore, la rivoluzione. L'insurrezione nazionale del 10 agosto 1792 vide ancora prevalere il settore artigianale e commerciale, mentre recuperavano terreno le fasce salariate. Il giornalista della corona, Peltier, qualificò questi valorosi combattenti come "un branco di sbandati, di barboni, di maltesi, di italiani, di genovesi e piemontesi". E' difficile precisare il numero esatto di questi o quei gruppi sociali coinvolti nelle sommosse e nei tumulti popolari, perché nelle indicazioni delle professioni riportate negli elenchi della polizia o dei tribunali, spesso non si fa alcuna differenza fra il maestro artigiano e il compagnon salariato. Anche per questa ragione è impossibile sostenere che fra i gruppi abituali delle insurrezioni parigine mancavano gli operai. Sarebbe più esatto parlare di assenza di proletari privi di formazione tecnica o di assenza di emarginati in rotta con i legami sociali. Fra i 662 vincitori della Bastiglia la stragrande maggioranza possedeva un domicilio fisso e un regolare lavoro. E fra gli arrestati della primavera 1795 i documenti non segnalano né mendicanti né vagabondi. Fu invece tra i sanculotti, il cosiddetto "Quarto stato", quello che diede alla rivoluzione il carattere più radicale, che si trovarono i senza tetto e i disoccupati. Quando i montagnardi trionfarono sui girondini, tutti i militanti repubblicani volevano essere chiamati sanculotti. Con questo termine infatti s'intendevano coloro che non solo nell'abbigliamento, ma anche in ogni aspetto della loro vita sociale si distinguevano nettamente dagli aristocratici. Meno marcata invece era la loro differenza dalla piccola e media borghesia. E' difficile, in questo senso, definire la sans-culotterie come una classe sociale. Un borghese patriota volentieri veniva qualificato come un sanculotto. E ogni sanculotto aveva sicuramente partecipato alle battaglie più importanti della rivoluzione. Furono proprio questi strati sociali più popolari che scatenarono la violenza rivoluzionaria dopo il complotto aristocratico col quale si cercò dì ripristinare il vecchio regime assolutistico: la violenza popolare aveva un contenuto di classe e uno scopo politico, non era un fenomeno gratuito. Proprio sotto il Terrore si poté garantire al popolo il pane quotidiano. Filosofi progressisti come Rousseau e Voltaire avevano previsto con un certo anticipo che il XVIII secolo sarebbe stato caratterizzato da tensioni rivoluzionarie. Ma quando il momento venne ci si illuse che tutto sarebbe stato facile, che il nemico si sarebbe ritirato spontaneamente. Solo i rivoluzionari francesi più lungimiranti si accorsero che la rivoluzione non coincideva unicamente con la conquista del potere, ma anche e soprattutto con la sua difesa e con la profonda trasformazione delle strutture sociali. In particolare, Robespierre sin dal luglio 1789 denunciò il complotto aristocratico e i tentativi controrivoluzionari per farla fallire. Egli aveva compreso che il successo della rivoluzione esigeva la distruzione del vecchio regime, anche con la violenza, se questo fosse stato necessario. Nella sua risposta agli attacchi del girondino Louvet, il 5 novembre 1792, egli affermò ch'era impossibile volere "una rivoluzione senza rivoluzione", era cioè assurdo meravigliarsi di fronte agli arresti dei cittadini sospettati di minare l'ordine pubblico. Senza nascondersi il pericolo che comportava la sospensione delle garanzie giuridiche che, in tempi normali, tutelavano i diritti dell'uomo e del cittadino (p.es. la libertà di stampa, che avrebbe dovuto essere concessa anche alle opposizioni), Robespierre sosteneva con franchezza la necessità della violenza rivoluzionaria: "La forza viene usata per evitare il crimine", diceva. Come noto, tuttavia, la rivoluzione francese non arrivò mai a capire che non ci si può servire della minaccia di una controrivoluzione come di un pretesto per imporre un regime di terrore. Le minacce non possono mai autorizzare provvedimenti del genere, semplicemente perché i mezzi usati finirebbero col contraddire i fini per cui si usano, e anche perché se una rivoluzione gode dell'appoggio popolare, saprà essa stessa, con la forza della persuasione, del libero confronto, superare le contraddizioni del passato, cristallizzatesi come abitudini di vita sociale, senza paura d'essere rovesciata. Ma questo è un altro discorso. Indubbiamente le rivoluzioni (non i colpi di stato) obbediscono a cause sociali e razionali molto concrete. Esse non sono mai l'effetto di un capriccio; non succede mai che per una causa frivola il popolo si rivolti. La violenza rivoluzionaria è un male, ma un male necessario, in quanto lo scontro delle classi è inevitabile. "Se le rivoluzioni sono necessarie nell'economia dell'universo, le disgrazie ch'esse provocano non sono un argomento a loro sfavore. Bisogna accusare non chi si fa strumento consapevole di questa necessità, ma chi vi si oppone. Sangue e lacrime vanno gettate su chi combatte non per la giustizia ma per l'oppressione" (sul Courrier français dell'8-12-1822). Barnave, Mignet, Guizot, Thierry furono degli storici che riuscirono a comprendere una grande verità: e cioè che il motore della storia è la lotta di classe. Marx scrisse a Weydemeyer il 5 marzo 1852 che non aveva alcuna intenzione di rivendicare il merito d'aver scoperto l'esistenza delle classi e la lotta di classe, in quanto già da tempo gli storici borghesi l'avevano capito. In una lettera a Engels del 25 luglio 1854, egli considerò Thierry come "il padre della lotta di classe nella storiografia francese". Marx andò più avanti. Proprio lo studio della rivoluzione francese lo portò a chiedersi in che modo una "classe particolare" può rivendicare una supremazia generale. La risposta a questa domanda la si può leggere nel Contributo alla critica della Filosofia del diritto di Hegel (1844): "Solo in nome dei diritti generali della società una classe particolare può rivendicare il dominio generale. Ma perché la rivoluzione di un popolo e l'emancipazione di una classe particolare della società civile coincidano, occorre che tutti i difetti della società si concentrino in un'altra classe, bisogna che un gruppo determinato sia oggetto di scandalo universale, l'incarnazione della barbarie universale (...) Il carattere negativo generale della nobiltà e del clero francesi è stato la condizione del carattere positivo generale della classe che era a loro più vicina e che a loro si opponeva: la borghesia". Senza questo concentrato di contraddizioni fra due classi antagonistiche fondamentali, la semplice volontà rivoluzionaria non è sufficiente per cambiare le cose. Ciò non vuol dire che l'elemento soggettivo non sia di primaria importanza.

 
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