suoi colleghi - come quando si lancia, quasi da solo, in un'accanita campagna contro il suffragio censuario. Questo "sofista" secondo Baudot, questo "vile incendiario" secondo Duquesnoy, che mescola abilmente sincerità e demagogia, attira per forza l'attenzione, se non sempre il rispetto, dei suoi colleghi. Mirabeau dice di lui: "Andrà lontano, crede in tutto quello che dice." Robespierre non è, come sostiene Aulard, "il buffone suo malgrado e lo zimbello dell'Assemblea": ne e la termite. In pochi mesi acquista un peso politico sorprendente, proprio perché l'Assemblea disapprova i suoi discorsi o rifiuta di ascoltarlo. Poco importa, egli non si rivolge ai suoi colleghi, ma all'opinione pubblica, al pubblico delle tribune: "Il fatto singolare," scrive a proposito dei discorsi di Robespierre il redattore del Babillard, "è che essi sono sempre conosciuti in anticipo, e che le opinioni di questo deputato famoso ottengono un prodigioso successo in tutte le osterie della capitale prima di essere pronunciate nel senato della nazione." L'ostilità che deve affrontare all'interno dell'Assemblea alimenta la sua popolarità fuori dell'Assemblea. I suoi sforzi sono diretti principalmente verso la società dei giacobini. Nel marzo 1790 ne è già il presidente, ma deve ancora fare i conti con concorrenti temibili come Mirabeau, poi con i triumviri. Per rafforzare la sua posizione, allaccia stabili rapporti con alcune filiali, non disdegna di frequentare certi club parigini meno preoccupati della legalità. Di questi investimenti sul terreno radicale, raccoglie i frutti ai giacobini. A poco a poco, la tribuna diventa la sua tribuna, il pubblico il suo pubblico. Una volta riunita la platea, e individuati con cura gli avversari nell'uditorio, Robespierre può entrare in scena. Se non può ancora installarsi d'autorità al banco di comando, come farà dopo il 10 agosto, è lui comunque che guida la danza, che dà il segnaledegli applausi o dei mormorii, che monopolizza la tribuna per ore e ore. A partire dalla primavera del 1791 fa regnare il "dispotismo d'opinione" di cui lo accuserà Louvet. Ma, pur essendo il padrone nell'assemblea giacobina, l'accesso al comitato di corrispondenza - vero e proprio esecutivo della società -gli resta a lungo precluso. La fuga del re a Varennes, il 20 giugno 1791, provocando la scissione dell'ala moderata del club, abbatterà gli ultimi ostacoli che impediscono a Robespierre di impadronirsi totalmente dei giacobini. La riconquista delle filiali, sulle prime esitanti, la "rigenerazione" e l'epurazione fanno della società uscita dalla crisi dell'estate 1791 un'organizzazione ormai liberata dalla tutela dell'Assemblea nazionale, un contro-potere sul quale egli regnerà ormai da padrone assoluto. Dando prova di vero virtuosismo, Robespierre fa la spola tra l'Assemblea e i giacobini, tra rue Saint-Honoré e la sala del Maneggio. Qui utilizza tutti i trucchi della tattica parlamentare, là tutte le risorse della manipolazione. Senza dubbio non è il solo che sappia manovrare abilmente. 111789 ha generato altri strateghi, altrettanto temibili e tenaci. Alcuni di essi, come Mirabeau o Barnave, sono anche brillanti oratori. Robespierre non ha questo talento. Secondo l'espressione di Baudot, è un "parlatore", ma di un genere tutto particolare, il cui linguaggio è quello della predicazione e dell'inquisizione. Infaticabile nel denunciare intrighi e congiure, potrebbe essere paragonato a Marat: ma l'Amico del popolo, per il carattere elementare delle sue imprecazioni, gli è molto inferiore. Sospettando e denunciando, Robespierre non obbedisce a una pulsione patologica: esercita un magistero politico. "Non calunniate la diffidenza," egli afferma. "Checché ne diciate, essa è la custode dei diritti del popolo, sta al sentimento profondo della libertà come la gelosia sta all'amore." Venendo da lui, il parallelo è divertente, ma ha il merito di definire con molta esattezza il compito che Robespierre si è assegnato: quando gli altri propongono o agiscono, egli esamina, scruta, per scoprire l'intenzione nascosta dietro gli atti. Il suo ruolo non è quello di fare, o anche di volere, ma di discernere, di riportare alla luce ciò che si voleva dissimulare. Il complotto è qui, onnipresente, nelle iniziative in apparenza più patriottiche, dietro l'evidenza delle intenzioni manifeste. In questo sospetto sistematico vi è talvolta una grande lucidità: quando Brissot spinge alla guerra, trascinando con sé l'opinione pubblica, Robespierre denuncia con molta chiaroveggenza le motivazioni interessate del capo della Gironda; quando, alla fine del 1793, si accanisce contro il culto della Ragione e i suoi promotori hébertisti, stigmatizza, cogliendo nel segno, le basse ambizioni di quegli arrivisti. Ma l'esercizio del sospetto non è puntuale, è generale e permanente. Ogni atto - e soprattutto quello che sembra andare nel senso della rivoluzione - è legittimamente sospetto, risultando a priori da una intenzione doppia. L'approvazione o la sanzione sono subordinate al lavoro d'indagine che solo Robespierre può compiere, essendo l'unico ad aver abbandonato ogni forma di duplicità e di linguaggio ipocrita: "Ho appena fatto il processo a tutta l'Assemblea nazionale," afferma il 21 giugno 1791, molto sicuro di sé, "la sfido a fare il mio." Sospetto universale, per cui la rivoluzione perde ogni certezza: la realtà non è la verità, anzi la maschera, è opacità. Quello che si vede non è quello che esiste realmente: la realtà è una menzogna sulla verità. Se i fatti sono mistificatori, le parole che li esprimono lo sono altrettanto: "Non ci parlino più tanto di costituzione," esclama nell'ottobre 1789, "le parole ci hanno addormentato anche troppo!" Bisogna liberarsene: "Con quanta bonarietà ci lasciamo ingannare dalle parole", constata nel piovoso Anno II. Esse non hanno il senso che vien loro attribuito di solito, e significano anche il contrario, come Robespierre dimostra nel suo discorso del 17 piovoso: "Alcuni, che invitavano la Francia alla conquista del mondo, non avevano altro scopo che quello di chiamare i tiranni alla conquista della Francia. Lo straniero ipocrita, che da cinque anni proclama Parigi la capitale del globo, non faceva che tradurre in un altro linguaggio gli anatemi dei vili federalisti che votavano Parigi alla distruzione. Predicare l'ateismo è solo un modo di assolvere la superstizione e di accusare la filosofia, e la guerra dichiarata alla divinità non è che una diversione a favore della monarchia." Spogliando dei suoi artifici il "linguaggio" menzognero dei nemici del popolo, Robespierre strappa la maschera delle parole e del reale. Questo discorso demistificatorio è l'opera di un grande illusionista. Si cercherebbero invano, negli interventi di Robespierre, gli entusiasmi di Danton, le formule di Mirabeau, o il senso dell'improvvisazione di Barnave. Nulla, in apparenza, può suscitare entusiasmo in questi discorsi a lungo elaborati, esenti sia da qualunque volgarità come da ogni facile effetto, attenti, come sottolinea Garat nei suoi Mémoires, alle "forme della lingua che possiedono eleganza, nobiltà e splendore". Robespierre rielabora di continuo la sua minuta: "Gli occorre uno schema," scrive Aulard, "se ne compiace, lo segue fino in fondo e lo allunga ogni giorno di più. Da qui le sue eterne ripetizioni, la sua verbosità, il ritorno degli stessi temi ogni volta più sviluppati." Discorsi interminabili che potevano stancare anche gli ascoltatori meglio disposti: "È Robespierre che non muta mai d'ali, I sui pregiudizi dirige i suoi strali, I piace sentir come corre al suo fine, I ma il suo orologio mai segna la fine", scriveva già uno dei suoi colleghi all'accademia di Arras. Per gli avversari di Robespierre, i suoi discorsi sono "un chiacchiericcio insignificante", un "eterno ritornello"... Eppure, questa retorica monocorde provoca l'entusiasmo dell'uditorio giacobino: "Non erano più applausi," scriverà Louvet, "erano scalpitii convulsi, era un entusiasmo religioso, era un sacro furore." Il ritmo dell'incantesimo importa più del rigore del ragionamento. Quest'ultimo può anche essere debole, ma la magia non per questo ha meno effetto sul pubblico. Con la sua retorica, Robespierre trasporta gli uditori fuori del tempo e delle realtà concrete. Come dice giustamente Aulard, egli "pratica di preferenza tutti i modi di espressione che ridestano nell'ascoltatore sentimenti confusi, una confusa ammirazione, un terrore confuso, una confusa speranza.Fa pesare sugli spiriti una specie di tirannia dell'incertezza." La perifrasi e l'insinuazione sono di rigore per denunciare i traditori che si oppongono ancora al compimento della promessa di un avvenire radioso. Del complotto continuamente denunciato, ogni volta rintuzzato ma sempre rinascente, Robespierre non nomina mai gli autori. Certamente si attendono delle rivelazioni, delle sentenze di proscrizione, ma egli padroneggia l'arte del suspense e dell'elusione: "Il momento di smascherare i traditori arriverà," afferma il 23 aprile 1792. "Bisogna che i semi gettati oggi germoglino," nell'attesa del momento in cui i malvagi "siperderanno da sé per i loro eccessi." I "malvagi" del resto soccombono al potere di questa parola, precipitandosi - incoerenza o cecità -a fare ammenda onorevole, mentre il padrone dei giacobini ha accuratamente omesso di nominarli. Spesso ci si interroga sulla parte avuta da Robespierre nella preparazione e nella realizzazione delle epurazioni decisive. Senza dubbio nessuna, poiché il suo ruolo non è quello di liquidare coloro che ha indotto a smascherarsi: egli si arresta nel preciso istante in cui, lanciato il sospetto, la condanna è virtualmente pronunciata. Bisogna "rituffare" i traditori "nel nulla", dice il 28 maggio 1793 alla Convenzione, per aggiungere il giorno dopo ai giacobini, nel tono lamentoso che predilige: "Non spetta a me indicare questi provvedimenti, a me che sono consumato da una lenta febbre, e soprattutto dalla febbre del patriottismo. L'ho detto, in questo momento non mi restano altri doveri da compiere." "L'ho detto"... Robespierre parla da padrone. Escludendo il dibattito e la contraddizione, monologa e si scandalizza di ogni interruzione. Il 25 settembre 1792, interrotto, assillato, esclama: "Sento che è penoso per me essere sempre interrotto .Ebbene, vi obbligherò dunque ad ascoltarmi!" Nel marzo 1792, al club dei giacobini: "No, signori, non soffocherete la mia voce, non c'è ordine del giorno che possa soffocare questa verità." La verità è senza appello, viene enunciata sotto forma di ingiunzione. "Chiunque non voglia, non raccomandi il licenziamento è un traditore," minaccia nel giugno 1791 quando si discute del licenziamento degli ufficiali nobili, e subito la società gli fa coro, mentre un momento prima sembrava divisa. Il terrore è qui, nel magistero della parola che Robespierre porta al livello più perfezionato. Sicché la sua arte retorica non è semplicemente un'arma come tante altre nella lotta politica: la sua parola terrorizza e, come ha dimostrato Claude Lefort, annulla ogni altra parola. "Del resto," egli dice per concludere il discorso pronunciato dopo il contestato arresto di Danton, "la discussione che si è appena iniziata è un pericolo per la patria; è già un colpevole oltraggio contro la libertà!" Con l'arma della verità, Robespierre dissipa le tenebre della realtà, svela i travestimenti del linguaggio; grazie a lui, la confusione diventa ordine, l'oscurità chiarezza: smaschera, unisce e divide, divide per unire, e raccoglie il popolo contro i suoi nemici. L'Incorruttibile ha potuto imporsi ai giacobini urtando contro l'ostilità dell'Assemblea; e divenendo il padrone dei giacobini può infine imporsi all'Assemblea. Il 16 giugno 1791 Robespierre pronuncia il discorso che consacra definitivamente la sua reputazione, facendo decretare, "con brio", la non rieleggibilità dei deputati alla successiva legislatura. La sua argomentazione è di grande abilità, una mistura di autocelebrazione, adulazione e minaccia. Dichiarandosi pronto a rinunciare all'onore di un nuovo mandato, Robespierre invita i deputati a imitare il suo esempio: un grave sacrificio, dichiara, sapendo benissimo che i suoi colleghi hanno fretta di tornarsene a casa, e che approfitteranno subito di un alibi così nobile per giustificare un ritiro che lo èm9lto meno. Se volessero restare in politica, ecco bell'e pronta la minaccia per temperare il loro zelo: "Quanto saranno deboli gli sforzi della calunnia, quando essa non potrà rimproverare a uno solo di coloro che hanno edificato [la costituzione] di aver voluto sfruttare il credito che la sua stessa missione gli conferisce presso gli elettori per prolungare il proprio potere." Nessuno lo fraintende, e la Costituente vota il decreto proposto. Quel giorno Robespierre avvia la sua "lunga marcia". Con l'allontanamento dal nuovo corpo legislativo di tutta la classe politica formatasi dal 1789, mentre lui stesso continuerà a onorare il mandato a tempo indefinito affidatogli dai giacobini, è la costituzione stessa, fragile e contestata, che viene colpita a morte, privata del sostegno di quelli che l'hanno creata. "Non credo che la rivoluzione sia finita," egli può affermare nel suo ultimo discorso da deputato. Per la conquista del potere, obiettivo supremo di tutta la sua azione, Robespierre prevede un lungo termine: "Prima di mettersi in cammino," scrive, "bisogna conoscere la meta cui si vuole arrivare, e le vie da percorrere." Non si potrebbe trovare uno slogan più adatto per illustrare l'abilità, la perseveranza e l'accanimento con cui egli perseguita i suoi avversari. In tre mesi, la sorte dei triumviri è decisa: feriti il 16giugno 1791, colpiti a morte dopo Varennes e la scissione dei foglianti, ricevono la stoccata finale da Robespierre nell'Assemblea, a settembre. Con Brissot e i girondini le cose andranno meno rapidamente. Cresciuti ai giacobini, come Robespierre, beneficiando dell'appoggio della stampa e di un grande prestigio nei dipartimenti, essi resisteranno per diciotto mesi. Iniziato al club dei giacobini con l'opposizione di Robespierre alla politica bellicista di Brissot nel dicembre 1791, lo scontro finirà alla Convenzione con la messa sotto accusa dei girondini, il 2 giugno 1793. La consacrazione di questa vittoria decisiva è l'ingresso di Robespierre nel Comitato di salute pubblica, il 27luglio. Un mutamento radicale per colui che si era sempre tenuto in disparte da responsabilità suscettibili di limitare la sua libertà d'azione. Avrebbe potuto restare fedele a questa strategia, tenendosi fuori del Comitato e partecipandovi solo indirettamente tramite Couthon e Saint-Just. Come spiegare questo improvviso mutamento? Robespierre non si è scoperto una tardiva vocazione di amministratore. Le cose sono cambiate dall'epoca della Costituente. Lo spazio politico si è frammentato, tra la Convenzione, i giacobini, la Comune, le sezioni, poi i Comitati. Ma, parallelamente, il centro nevralgico si è spostato: dal settembre 1792 non vi sono più dibattiti ai giacobini, il club si accontenta di approvare decisioni prese al suo esterno; il 2 giugno annuncia il richiamo all'ordine della Comune e delle sezioni, poco sicure, troppo sensibili alle sirene radicali, o "bacate" dal "moderatismo"; paralizzata, la Convenzione tace, e quando, nel settembre 1793, pretende di rinnovare il Comitato di salute pubblica, Robespierre la rimette al suo posto, con ragione: "Se non credete al suo zelo, spezzate questo strumento... Ma prima esaminate in quali circostanze vi trovate." Tutto si svolge ormai nei Comitati, alla fine di un lento spostamento dalla base verso il vertice. Robespierre segue molto fedelmente questa evoluzione. Dal 1789 alla sua elezione alla Convenzione nel settembre 1792, l'accento principale è posto sulla difesa dei principi della democrazia diretta. L'argomento rousseauiano dell'impossibilità, per un corpo politico, di farsi rappresentare senza alienare la propria sovranità, gli permette di rivendicare per le sezioni popolari un diritto di revoca illimitato. A partire dalla fine del 1792, altra epoca, altro linguaggio: il discepolo si allontana dall'insegnamento del maestro, e il suo discorso sarà ormai quello della rappresentanza. Favorevole ancora, il 27 agosto 1792, al diritto per le assemblee primarie di rivedere le scelte fatte dall'assemblea di secondo grado, Robespierre, eletto il 5 settembre, cambia parere il 9! Alla Convenzione, d'ora in poi, si opporrà a tutte le proposte tendenti a regolamentare il potere delle assemblee primarie sui loro eletti. Queste incessanti variazioni condannano al fallimento ogni tentativo di tracciare un quadro coerente dell'ideologia robespierrista. Nel 1789 prende in prestito da Sieyès, in quel momento il più radicale e il più coerente dei costituenti, gli argomenti contro il veto reale; da Varennes al 10 agosto difende la costituzione che più di ogni altro ha condannato all'insuccesso, e si dimostra risoluto avversario dei repubblicani, adottando il punto di vista inverso non appena l'insurrezione risulta vittoriosa. Le sue convinzioni sociali non hanno certo maggior consistenza. Quando, nell'aprile 1793, propone di limitare il diritto di proprietà, lo fa innanzi tutto per staccarsi dal progetto girondino di dichiarazione dei diritti, nel momento in cui i giacobini e la Comune si mobilitano contro i deputati "faziosi": un anno dopo, i decreti votati in ventoso hanno lo scopo di far accettare dalle sezioni la liquidazione degli hébertisti, offrendo loro un compenso con minima spesa. Invece Robespierre si scaglia contro i disordini sociali, dietro i quali vede invariabilmente la mano della controrivoluzione: vitupera gli agenti dell' "aristocrazia" che "percorrono le strade offrendo l'immagine dell'indigenza e della carestia", accusa gli "scellerati camuffati sotto l'abito rispettabile della povertà". Alla Costituente, non è mai intervenuto nel dibattito sulla legge Le Chapelier. Bisogna dunque giudicare con riserva il ripetuto impiego di espressioni come "coloni opulenti" o "borghesi egoisti" da una parte, e "povero rispettabile" o "contadino virtuoso" dall'altra. Questi epiteti, allo stesso modo di ingiurie come "federalista" o "aristocratico", non si riferiscono a una realtà oggettiva, ma appartengono al registro politico. Il popolo cui Robespierre ha dedicato la vita scende in piazza per esigere la testa dei cospiratori, mai per chiedere pane. Il solo denominatore comune delle sue "idee sociali", condiviso del resto dalla maggior parte dei contemporanei, è l'ignoranza letteraria del popolo reale: "Tratto peculiare agli uomini di cultura classica," scrive Quinet, "le cieche passioni della folla sembravano loro ispirate dallo straniero, tanto erano lontani dal temperamento delle masse ... nessun tribuno al mondo ha avuto un linguaggio meno popolare, più dotto, più studiato, di Robespierre e di Saint-Just. Chiunque cercò di parlare la lingua del popolo fu loro subito e naturalmente odioso: pensavano che ciò facesse scadere la repubblica." Il dono di Robespierre è quello di seguire sempre la congiuntura. Se si lascia rinchiudere in un sistema coerente e definitivo, deve rinunciare a parlare in nome del popolo. Può quindi essere monarchico il 9 agosto 1792 e repubblicano il 1 senza nessuna contraddizione o grossolano opportunismo da parte sua. Il capovolgimento, per quanto brusco possa essere, è legittimo, dato che il popolo sovrano ha preso la sua decisione il 10. Ogni idea definita sul diritto, sulle istituzioni o la forma di governo si eclissa davanti all'imperativo strategico. Il 2 giugno 1793, il legame che unisce Robespierre al popolo si modifica in maniera decisiva. Poiché ormai regna l'unanimità, dopo l'eliminazione di ogni divergenza in seno alla Convenzione, l'opposizione fra questa e il popolo sovrano non ha più ragion d'essere: la rappresentanza è divenuta finalmente degna dei suoi committenti. La "giornata" del 2 giugno è l'ultimo faccia a faccia fra la piazza e l'Assemblea, fra il popolo e la sua rappresentanza, poiché si suppone che il popolo d'ora in poi, sieda nell'Assemblea epurata. Dopo il 2 giugno, Robespierre può, identificando il popolo con la convezione, sopprimere il dualismo esistente dal 1789, e sostituire alla critica della rappresentanza la difesa della legittimità e delle prerogative di un'Assemblea umiliata, privata di ogni effettivo potere di decisione: si ritiene che il popolo voglia ciò che vuole la Convenzione, e questa, a sua volta, ciò che le dettano Robespierre e il Comitato di salute pubblica. Dall'autunno 1793 alla primavera 1794, Robespierre dà la sua impronta al processo incompiuto di restaurazione dello stato: la Convenzione è imbavagliata, i quadri del movimento popolare sono smantellati, i club trasformati in ingranaggi della macchina amministrativa, l'autonomia locale è infranta. Tutto ciò che aveva origine nella periferia e nella base è riportato al centro e al vertice. Sia pure in modo incompleto, Robespierre riesce là dove tutti i suoi predecessori hanno fallito: "fissare" la rivoluzione diceva Duport, "congelare" dirà Saint-Just. Stabilizzare sarebbe più appropriato, dato che Robespierre non si colloca mai al di là di una rivoluzione terminata, e il problema è quello di impedire un eventuale ritorno al passato. Il suo progetto è di arrivare a una conclusione, per "sostituire tutte le virtù e tutti i miracoli della repubblica a tutti i vizi e a tutte le ridicolaggini della monarchia". La rivoluzione politica, in realtà, è fatta: proclamata la repubblica e istituito il suffragio universale, i principi fondatori del 1789 sono divenuti realtà. Al tempo stesso, tutto resta ancora da fare: "Non è una parola vana ciò che costituisce la repubblica," egli scrive alla fine del 1792, "è il carattere dei cittadini." Politicamente repubblicana, la Francia è moralmente monarchica, perché la rivoluzione fa ancora parte del mondo che ha distrutto: "Abbiamo innalzato il tempio della libertà con mani ancora piagate dai ferri del dispotismo." Robespierre si colloca esattamente nell'intervallo in cui il ricordo di quello che si è perduto riempie ancora il presente. Bisogna strappare la rivoluzione al passato, elevando "di continuo il popolo all'altezza dei suoi diritti e del suo destino" o, il che è la stessa cosa, amputandolo di tutto ciò che lo attira verso il basso, verso gli "abissi fangosi" dell' "abiezione dell'io personale". Qui, l'intervallo della necessaria rigenerazione si estende all'infinito, e Robespierre non nasconde che bisognerà lottare senza tregua contro "gli intriganti che cercano di rimpiazzare altri intriganti". Ogni epurazione annuncia nuove proscrizioni: quando, il 18 floreale, propone di istituire un culto civico adatto a segnare l'entrata in una nuova era, chiede al tempo stesso la punizione dei cospiratori. L'8 termidoro tende una mano fraterna ai "galantuomini" che siedono nella Convenzione, e promette un' "ultima" epurazione. "Il numero dei colpevoli non è tanto grande," affermava l'il germinale: senza dubbio, ma è piccolo all'infinito. Equidistante dalle fazioni, colpendo alternativamente quelli che vorrebbero vedere la rivoluzione riprendere iena (hébertisti) o retrocedere (dantonisti), Robespierre assume su di sé la conclusione, rimandata indefinitamente, di una rivoluzione interminabile. In questo ingranaggio svolge un ruolo determinante con i suoi discorsi, come quelli del 5 nevoso e del 17 piovoso, per legittimare e rendere sistematico il Terrore. Ne è ancora uno dei principali responsabili, per l'attività instancabile dedicata ai compiti di polizia, sia nel Comitato di salute pubblica sia nell'Ufficio generale di polizia, che non cesserà di controllare strettamente, anche durante il suo preteso ritiro in messidoro. In termidoro, per scaricarsi di ogni responsabilità, tenterà con evidente malafede di imputare al machiavellismo dei suoi nemici l'imballo del Terrore. In realtà, questo gli sfugge perché non è possibile dominarlo. Frutto di una fede perversa nel potere della volontà sulle cose, esso si nutre dell'illusione da cui è originato. Più ancora, il suo funzionamento quotidiano richiede un apparato, crea una pratica e una routine, si basa sull'attività di una moltitudine di agenti, funzionari imperturbabili o individui declassati, le cui speciali competenze sono indispensabili. Tutto questo piccolo mondo vive nel Terrore, e resiste a ogni rallentamento dell'opera di morte che lo fa vivere. Durante questo periodo buio, gli interventi di Robespierre -ipocrisia o ingenuità- testimoniano la volontà di colmare lo scarto sempre crescente fra la giustificazione del Terrore e la sua realtà: da una parte emanazione della virtù, dall'altra pratica criminale che permette di soddisfare le passioni che pretendeva di reprimere. "In mani perfide," dice Robespierre, sembrando dimenticare che non esistono carnefici dalle mani pulite, "tutti i rimedi ai nostri mali diventano veleni" e mettono in pericolo la libertà! Confusione dei valori e capovolgimento del senso delle parole, già incontrati... Definendo una deviazione ciò che costituisce la realtà iniziale di ogni terrorismo, Robespierre è obbligato, come il 18 floreale, a collocare il principio del Terrore tanto più in alto, quanto più il Terrore è contrario, evidentemente, a ogni principio. Per restare conforme, in apparenza, al suo principio, esso deve rivolgersi contro i propri agenti: Robespierre ottiene il richiamo dei proconsoli più sanguinari, fa sorvegliare gli altri da agenti come Jullien. Nei primi mesi del 1794, vari esecutori subalterni sono perseguiti, alcuni vengono ghigliottinati; queste punizioni preparano la liquidazione di pesci più grossi che, sentendosi minacciati, a loro volta fanno lega contro Robespierre. Il decreto del 18 floreale che istituisce le feste civili in onore dell'Essere supremo interviene in un momento cruciale che ne confonde il significato:dopo l'eliminazione delle fazioni, questa legge sembra chiudere un'epoca; poiché precede un periodo di accresciuta violenza, sembra prepararlo. La festa del 20 pratile per l'inaugurazione del nuovo culto aveva suscitato un vero sollievo; un osservatore lucido come Mallet du Pan, allora rifugiato a Berna, riferisce nei suoi Mémoires "la straordinaria impressione" provocata all'estero da quest'avvenimento: "Si credette che Robespierre avrebbe chiuso l'abisso della rivoluzione." Dopo i furori della scristianizzazione, il tono singolare del discorso del 18 floreale sembra davvero testimoniare un cambiamento di rotta, se non un dietro-front completo. Robespierre non intende resuscitare la chiesa, né renderle la minima parte dell'autorità temporale di cui è stata spogliata, o riallacciare i legami fra l'opinione religiosa e il potere politico della religione che la critica illuministica ha sciolto. Nemico della superstizione, Robespierre condivide il sentimento religioso del suo secolo, crede nel Dio della natura, soccorrevole e vicino agli uomini, fonte degli "eterni principi su cui la debolezza umana si puntella per slanciarsi verso la virtù". Nello stesso tempo, abbraccia la critica rousseauiana alle prove razionali dell'esistenza di Dio: l'Essere supremo è invece accessibile attraverso la coscienza o il cuore, liberati dai ceppi dei sensi e delle passioni. Il 18 floreale invita i suoi colleghi a strapparsi dalle circostanze presenti, a ritornare in se stessi per "ascoltare nel silenzio delle passioni la voce della saggezza e della modestia che essa ispira"- un'esperienza intima ''limitata'', come dice Rousseau, "al culto puramente interiore del dio supremo e ai sempiterni doveri della morale". La ragione costituisce addirittura un ostacolo sul cammino della verità, deriva dall'emulazione delle passioni, mentre la verità è tributaria della vittoria sulle passioni: Robespierre può così contrapporre il senso morale istintivo del popolo alla corruzione dello spirito metafisico dei filosofi. Tracciando il parallelo fra i progressi impressionanti delle scienze e delle arti nella sfera fisica e lo stato di "stupidità" in cui ancora si trovano i suoi contemporanei nella sfera morale, contraddice l'ottimismo razionalista del secolo, contrappone la civiltà alla felicità, come Rousseau quando faceva l'elogio della "beata ignoranza in cui la saggezza ci aveva posti". Negare alla ragione la capacità di far riconoscere agli uomini le "verità profonde" che ciascuno porta nel cuore significa anche rifiutare ai Lumi l'influenza che di solito vien loro attribuita nelle origini della rivoluzione. Avendo affermato che il progresso delle conoscenze è inoffensivo per il potere dei re, accusa i filosofi di essere stati "fieri nei loro scritti e rampanti nelle anticamere", di essersi accaniti contro la superstizione e la morale per meglio proteggere il trono, e infine di aver avvilito il carattere dei cittadini per meglio assoggettarli al dominio del principe. In una requisitoria priva di sfumature, riannoda il filo che va dagli enciclopedisti alla consorteria del barone d'Holbach, e da questa agli scristianizzatori dell'anno 11, scorgendovi, sotto forme diverse, una stessa cospirazione contro la verità e la libertà. Senza dubbio allora è costretto, per spiegare l'esplosione rivoluzionaria, ad ammettere che "la ragione umana da molto tempo marcia contro i troni", minacciando il dispotismo dei re "proprio mentre sembra accarezzarlo". Se la superstizione e la "filosofia" sono i sostegni ordinari del dispotismo, l'ateismo è il mezzo più sicuro per restaurarlo. "Nessuno stato," scrive Rousseau, "fu mai fondato senza che la religione gli servisse da base", e Robespierre gli fa eco il 18 floreale: "L'unico fondamento della società civile è la morale." Predicando il nulla, gli atei privano l'uomo della certezza di un premio o di un castigo futuri, cancellano la distinzione fra bene e male, per spogliare infine l'uomo da tutto ciò che "ingrandisce il suo essere ed eleva il suo cuore". L'ateismo - "una specie di filosofia pratica che, erigendo l'egoismo a sistema... confondendo il destino dei buoni e dei malvagi, non lascia fra essi altra differenza che gli incerti favori della fortuna, né altro arbitro che il diritto del più forte o del più astuto" - minaccia di dissoluzione il corpo sociale: la religione, invece, mantiene la sua coesione. Nell'ordine morale, spiega Robespierre, essa fa le veci del dolore, il quale, "senza il soccorso tardivo del ragionamento", orienta le scelte che si compiono nell'ordine fisico, imprimendo "nelle anime l'idea di una sanzione data ai precetti della morale da una potenza superiore all'uomo". "Continuo richiamo alla giustizia", il culto dell'Essere supremo è utile, e lo sarebbe anche se si trattasse soltanto di una finzione. Con successivi slittamenti, Robespierre passa dalla religione dell'uomo a quella del cittadino, dalla verità del sentimento religioso all'efficacia di una polizia sociale. In altri termini, lo scopo della religione civile è quello di creare il popolo richiesto dalle nuove istituzioni, o solo di dare alle leggi la forza che esse possono attingere soltanto nell'aiuto della morale? Dopo aver fatto il processo all'incredulità e all'immoralità, Robespierre si affretta ad assicurare che non vuol bandire "nessuna opinione filosofica in particolare", e che auspica il mantenimento della libertà dei culti, il cui principio è stato riaffermato il 18 frimaio: sembra così fare una distinzione fra ciò che ognuno può credere come privato e ciò che deve credere come cittadino. Ora, questa proclamata tolleranza non è né coerente né liberale. Già nel giugno 1793, quando la Convenzione discuteva sulla Dichiarazione dei diritti, Robespierre si era opposto, ma invano, al voto di un articolo che garantiva la libertà dei culti, denunciando ai suoi colleghi il pericolo degli intrighi controrivoluzionari che avrebbero potuto svilupparsi all'ombra della libertà religiosa. 1118 floreale, avanzando lo stesso argomento, ottiene il voto di un articolo che prevede la repressione dei "disordini di cui qualsivoglia culto sia l'occasione o il motivo". Da allora, una diffusa minaccia pesa sul principio altrimenti affermato. Ma, più sostanzialmente, il distinguo liberale tra fede privata e fede civile deriva soltanto dal realismo di Robespierre, indubitabile quando, per esempio, invita a trattare con riguardo le opinioni consacrate dal tempo. La diversità delle convizioni si risolverà da sé, egli afferma: "Richiamare gli uomini al culto puro dell'Essere supremo significa vibrare un colpo mortale al fanatismo. Tutte le finzioni spariscono davanti alla verità, e tutte le follie soccombono davanti alla ragione. Senza costrizione, senza persecuzione, tutte le sette si fonderanno da sé nella religione universale della natura." L'impossibilità di supporre che i comandamenti delle varie religioni saranno sempre compatibili fra loro rende evidentemente illusoria la fusione progressiva e naturale sotto il solo dominio della verità. Nata da una coscienza ottenebrata, la "superstizione" dovrà per forza cedere. La verità non si divide, e non tutte le opinioni sono ugualmente legittime: la coscienza dell'individuo è davvero se stessa solo quando è retta -cioè quando si esercita nel silenzio delle passioni - e allora si unisce spontaneamente alla coscienza universale. Tutto il resto, sottolinea Robespierre, è"fanatismo"e "superstizione". Dietro una serie di precauzioni puramente formali, il progetto è proprio quello di epurare l'individuo da tutto ciò che lo distingue dal corpo civico, di imporre il giogo di un dogma di stato che determina la coscienza pubblica e privata, e infine di indurre il cittadino a partecipare all'operazione per cui egli si incorpora al tutto. La morale, che apparteneva fino allora alla sfera privata, se ne stacca per cristallizzarsi in morale di stato: "A che si riduce dunque questa misteriosa scienza della politica e della legislazione," se non, dice Robespierre, "ad applicare alla condotta dei popoli le comuni nozioni di probità che ognuno è tenuto ad adottare nella propria condotta privata"? Robespierre era senza dubbio il primo a credere, non solo alla realizzazione di quest'utopia, ma anche alla possibilità di fermare la rivoluzione per decreto. L'entusiasmo dell'opinione pubblica sarà però di breve durata: il 22 pratile viene votata la legge che riforma la procedura del Tribunale rivoluzionario, sopprime le prove e la difesa, e avvia il Terrore verso una fase di accelerazione incontrollabile. Si tratta solo di una sfortunata coincidenza? In effetti, lo scenario della cerimonia del 20 pratile non era destinato a sostituire la ghigliottina, e fra l'uno e l'altro decreto esistono corrispondenze che non possono essere fortuite: appoggio e guida degli uomini virtuosi, l'Essere supremo è suscettibile di diventare la fonte della forza morale necessaria ai giudici che "fanno il loro dovere ... vivono senza timore e agiscono senza rimorso", come dice Couthon il 22 pratile. Semplice principio di distinzione fra bene e male e garanzia di punizione, l'Essere supremo è lo strumento che permette alla giustizia rivoluzionaria di riconoscere e di colpire i nemici della patria, senza altra regola che "la coscienza dei giurati, illuminata dall'amore della patria". Lungi dall'annunciare la fine della rivoluzione, il nuovo culto civico fornisce al Terrore un fondamento morale, e una legittimazione resa indispensabile dal venir meno - con l'aiuto delle vittorie militari e dell'eliminazione delle fazioni -di ogni criterio affidabile per selezionare i malvagi. Il discorso del 18 floreale fu la prima vera "azione" di Robespierre e il prologo della sua caduta. Egli non era mai stato così potente, costringendo la Convenzione ad aderire a una politica di terrore generalizzato, né così isolato, per le minacce contenute nel suo discorso contro un'Assemblea che aveva accettato le abiure e ordinato la chiusura delle chiese, ma sopravvalutava la propria autorità: regnando grazie al silenzio dei suoi colleghi, grazie all'unanimità fittizia imposta il 2 giugno, confermata dalla morte di Danton e alimentata in via accessoria dai 73 girondini salvati dalla ghigliottina per servire da ostaggi, era divenuto a sua volta ostaggio di quel silenzio compiacente. Pronunciava monologhi, riceveva applausi meccanici e si credeva onnipotente. Ma bastò che i membri della Convenzione ritrovassero l'uso della parola perché Robespierre, privato dell'appoggio di chi tre anni prima l'aveva portato in trionfo, apparisse d'un tratto infinitamente vulnerabile e disarmato. Il suo errore fu probabilmente di credere che il tempo giocasse in suo favore. Dedicando tutto il mese di messidoro a preparare lo scontro ineluttabile, a limare la sua requisitoria, aveva lasciato che i suoi nemici si unissero. Se Robespierre fosse riuscito vittorioso nella prova del 9 termidoro, qualche altra carretta di suppliziati avrebbe preso la via del patibolo. Ma eccolo vinto, e il Terrore viene colpito al cuore. Il 9 termidoro, liquidando Robespierre e le sue comparse, i terroristi che lui stesso aveva preso di mira chiudono l'epoca del Terrore, almeno nella sua forma più brutale. PATRICE GUENIFFEY Opere, testi, documenti disponibili in: Gallica.BNF Dialogue entre Marat et Robespierre http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041112 Testament de I. M. Robespierre, trouvé à la maison commune / [signé : I. M. Robespierre] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041115 [La] tête à la queue, ou Première lettre de Robespierre, à ses continuateurs http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041157 Rendez-moi ma queue, ou Lettre de Robespierre à la Convention nationale http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041234 Papiers inédits trouvés chez Robespierre, Saint-Just, Payan, etc. / [publ.] par Courtois. précédés du Rapport fait au nom de la Commission chargée de l'examen des papiers de Robespierre, etc. / [réd.] par Courtois http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N046894 A la nation artésienne : sur la nécesité de réformer les états d'Artoix / [par Robespierre] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047518 Plan d'éducation nationale de Michel Lepelletier / présenté à la Convention par Maximilien Robespierre, au nom de la Commission d'instruction publique ; impr. par ordre de la Convention nationale http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N048991 Projet de décret sur l'éducation publique : lu dans la séance du 29 juillet 1793 / par le citoyen Robespierre ; impr. par ordre de la Convention nationale http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N048992 Projet de la constitution française de 1791 : notes manuscrites et inédites de Robespierre... / publ. par les soins du Dr. E. Tardif http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N055365 Motion de M. de Robespierre, au nom de la province d'Artois & des provinces de Flandre, de Hainaut & de Cambraisis, sur la restitution des biens communaux envahis par les seigneurs http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N055365 Recueil d'hymnes républicaines qui ont paru à l'occasion de la fêteà l'Etre suprême, qui a été célébrée Décadi 20 prairial, l'an second de la République françoise. précédé des Discours / de Maximilien de Robespierre,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N057073 Discours prononcé par Robespierre à la Convention nationale, dans la séance du 8 thermidor de l'an II de la République, une et indivisible / impr. par ordre de la Convention nationale http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N057107 ROCHAMBEAU Jean Baptiste Donatien de Vimeur (comte de) Maréchal de france (Vendôme 1725 - Thoré, Orléanais 1807). Officier dès 1742, nommé lieutenant général, il commanda un corps de 6000 homme envoyés au secours des Américains lors de la guerre d'Indépendance, réussit à faire la jonction de Yorktown en 1781. Gouverneur de Picardie et d'Artois, maréchal de France en 1791, il fut nommé à la tête de l'armée du Nord en 1792, mais remplacé peu après par Luckner*. Emprisonné sous la terreur, il échappa à la guillotine grace à la chute de Robespierre* le 9 thermidor ROLAND de la Platière Jean Marie Homme politique français, né à thizy beaujolais le 19 février 1734, se donne la mort à Bourg-Baudoin le 10 novembre 1793. Inspecteur des manufactures de Lyon il fut envoyé à Paris en 1791. Son amitié avec Brissot lui valut de devenir ministre de l'intérieur en mars 1792. Il donna sa démission à la suite de l'exécution du roi (janvier 1793), fut mis hors la loi comme Girondin ( 31 mai *-2 juin) et réussit à s'enfuir en Normandie, mais il se suicida cinq mois plus tard en apprenant la nouvelle de la condamnation de sa femme. Celle-ci Jeanne Marie ou Manon Phlipon connue sous le nom Mme Roland (Paris le 17 mars 1754 - id le 8 novembre 1793) passe pour avoir poussé son mari dans le lieu de réunion des Girondins, Arrêtée avec ceux-ci en juin 1793, elle écrivit ses Mémoires pendant sa détention. Elle fut Guillotinée. ROLAND DE LA PLATIERE Jean Marie, homme politique français (Thizy, près de Villefranche, Rhône 1734), Acquis aux idées nouvelles, il siégea comme notable du conseil de la commune de Lyon (1790) et fonda le club des jacobins de cette ville. Venu à Paris en 1791, il s'y lia avec Brissot et devint un des chefs du mouvement girondin, avec sa femme Mme Roland . Sous l'Assemblée législative, il fut nommé ministre de l'Intérieur dans le cabinet girondin formé en mars 1792. Ayant pris position contre les massacres de septembre 1792 et surtout voté contre la mort du roi, il vit sa popularité baisser et le 22 janvier 1793, donna sa démission qui fut acceptée par l'Assemblée. Lors de l'élimination des Girondin (31 mai 2 juin 1793) un mandat d'amener fut lncé contre lui; il réussit à se cacher, mais se suicida après avoir appris la condamnation à mort et l'exécution de sa femme. © LE ROBERT Dictionnaire universel des Noms propres édition 1976 mise à jour le samedi 21 octobre 2000 Opere, testi, documenti disponibili in: Gallica.BNF [Album de 14 planches et 31 phot. de Hottentots, de la "Collection anthropologique du prince Roland Bonaparte". Don du prince en 1888] http://gallica.bnf.fr/Catalogue/Notices/IMG/07702111.htm [Le] Mexique au début du XXe siècle. Tome premier / par MM. le prince Roland Bonaparte, Léon Bourgeois, Jules Claretie... [et al.] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N027897 [Le] Mexique au début du XXe siècle. Tome deuxième / par MM. le prince Roland Bonaparte, Léon Bourgeois, Jules Claretie... [et al.] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N027898 Lettre de M. Roland, ministre de l'intérieur, à M. Santerre, commandant de la Garde nationale parisienne provisoire http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040947 [Le] Ministre de l'intérieur aux Parisiens / [Roland] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040948 Aux pasteurs des villes et des campagnes / [J. M Roland] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N045932 Mémoires de madame Roland : nouv. éd. critique contenant des fragments inédits et des lettres de la prison / publ. par Cl. Perroud,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N046827 Lettres de madame Roland : [1780-1793] / publ. par Claude Perroud,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N046924 Lettres de madame Roland. Nouvelle série : 1767-1780 / publ. par Claude Perroud,... ; avec la collab. de Mme Marthe Conor http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N046925 Appel à la Nation françoise / par Roland-Gaspard Lemerer,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N051891 [Le] premier livre du théâtre tragique de Roland Brisset, gentilhomme tourangeau http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N071091 Parallèle de l'architecture antique et de la moderne : avec un recueil des dix principaux autheurs qui ont écrit des cinq ordres... / par Roland Fréart,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N071091 Relation d'un voyage fait dans la Mauritanie, en Afrique, par ordre de Sa Majesté, en l'année 1666 / par le sieur Roland Fréjus http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N086194 Vers une nouvelle Lorraine / par Roland Alix http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N092268 Voyage en France, 1769 / J. M. Roland de la Platière ; publ. par Cl. Perroud http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N102183 Rouget de Lisle Claude Joseph (1760-1836) Sous lieutenant en 1789 puis du capitaine du génie en 1791,il composa en 1792 un hymne patriotique qui deviendra " La Marseillaise ". Refusant la déchéance de Louis XVI il est suspendu de ses fonctions puis incarcéré comme suspect. Il ne sort de prison qu'à la chute de Robespierre et rejoint l'armée de l'ouest. Quittant l'armée en 1796 il vécut misérablement jusqu'à ce que Louis Philippe lui accorde une pension. ROUGET DE L'ISLE Claude Joseph Compositeur et officier français né à Lons-le-Saunier, décédé à Choisy-le-Roi en 1836. Officier du génie en garnison à Strasbourg, il composa le Chant de guerre pour l'armée du Rhin en 1792 qui devint La Marseillaise. Incarcéré sous la Terreur*, il écrit, après sa liberation, un Hymne dithyrambique sur la conjuration de Robespierre* en 1794, un Chant des vengueances 1798, un Chant des combats, pour l'armée d'Egypte en 1800, la mélodie de cinquante chants français, des romances et des livrets d'opéra. ROUX Jacques Roux Jacques ( Pranzac le 23 août 1752 - Bicêtre le 10 février 1794 ) Prêtre épris des idées démocrates surnommé " le Prédicateur des sans culottes ", Il devint membre de la Commune. Passionné d'égalité sociale, il prit la tête des " Enragés". Son programme révolutionnaire inquiéta la Convention, surtout lorsque le 25 juin 1793, il vint prononcer à l'assemblée un réquisitoire contre l'inertie des pouvoirs publics. Arrêté, il se suicida en prison. © L'histoire de la France édition Larousse. Né le 21 août 1752 à Pranzac, en charente, dans une famille bourgeoise de 12 enfants (père lieutenant d'artillerie, mère issue d'une famille de médecins). Etudes au séminaire d'Angoulême. Nommé chamoine à 15 ans, professeur de philosophie à 20 ans. Très sévère avec ses élèves (il est compromis en 1779 dans le meutre d'un jeune séminariste : il est arrêté puis gracié). Vicaire à Angoulême. Vers 1784, nommé dans le diocèse de Saintes, vicaire à Cozes, puis à St Thomas de Conac (jusqu'au 20 avril 1790). A 40 ans, c'est un être complexe et contradictoire: à la fois ambitieux et profondément ému par la misère paysanne. Les vicaires de Saintes (Taillet, Luchet, Delord) l'accusent d'être à l'origine de la révolte de St Thomas de Conac par son prêche sur "le Triomphe des braves Parisiens sur les ennemis du bien public". Bien qu'il ait quitté sa paroisse au moment où éclatent ces troubles, il est frappé d'interdit par le clergé saintais. Il est à Paris au début de 1791. Il adhère au club des Cordeliers, devint le prêtre des sans-culottes dans la section des Gravilliers. Dans ce quartier très pauvre il s'intéresse au problème du ravitaillement, réclame en chaire des messures contre les accapareurs et les faussaires: pour lui la vie chère est un ferment contre-révolutionnaire. Il participe à la prise des Tuileries le 10 août 1792, devient membre du Conseil général de la Commune de Paris, assiste à l'exécution du roi. Il reproche leur mollesse aux Montagnards, qui le qualifient lui et ses partisans 'd'Enragés". Mettant en cause la propriété, Jacques Roux est la tête des manifestations populaires de février 1793 qui poussent les Conventionels à voter le premier maximum: la taxation des grains. Parce que Jacques Roux est plus soucieux de révolution sociale que politique, les Conventionnels le calomnient et le font arrêter. Traduit devant le tribunal révolutionnaire, il se porte, à deux reprises, des coups de poignards à la poitrine et meurt le 10 février 1794 documentation livre : La Révolution francaise 1789-1799 à Sainte page 71 Opere, testi, documenti disponibili in: Gallica.BNF Discours sur les moyens de sauver la France et la liberté : prononcé dans l'église métropolitaine de Paris, dans celles de St.-Eustache, de Ste.-Marguerite, de Saint-Antoine, et de Saint-Nicolas-des-Champs / par Jacques Roux,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N006669 Relation de l'événement des 8, 9 et 10 thermidor, sur la conspiration des triumvirs, Robespierre, Couthon et St.-Just / [signé : Roux, député de la Haute-Marne] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041109 SAINT-JUST Louis Antoine cronologia, saggi critici, testi BAILLY Jean Sylvain BARBAROUX Charles Henri Marie BARÈRE DE VIEUZAC Bertrand BARNAVE Antoine BERTIER DE SAUVIGNY Louis Bénigne BESENVAL Pierre Victor (de) BEURNONVILLE Pierre Riel (comte puis marquis) BILLAUD-VARENNES Jacques Jean BONNEVILLE Nicolas (de) BOUILLE François Claude Amour (marqui de.) BOURBOTTE Pierre BRISSOT Chartres BROGLIE Victore François BUZOT François Nicolas Léonard CAMBACERES Jean-Jacques-Régis de ( 1753 - 1824 ). CAMBON Joseph CAMUS Armand Gaston CARNOT Lazare Nicolas Marguerite CARRA Jean-Louis CASTHELINEAU CHAPPE Claude (l'abbé) CHARLES X Charles de France, comte d'Artois CHAUMETTE Pierre Gaspard dit ANAXAGORAS (1763-1794) CLAVIERE Etienne COLLOT D'HERBOIS Jean Marie CONDÉ Louis Joseph de Bourbon ( prince de) CORDAY D'ARMONT Charlotte CUSTINE Adam Philippe DANTON Georges Jacques DE BRY Jean Antoine Joseph D'EGLANTINE Nazaire François Philippe FABRE DELACROIX Jean-François Lacroix, ou DELMAS Jean François Bertrand DESÈZE ou DE SÈZE Raymond Romain (comte) DESMOULLINS Camille DILLON Arthure (comte) DILLON Théobald ( chevalier de ) son frère DUBOIS-CRANCE Edmond Louis (dit Dubois de Crané) DUMOURIEZ Charles François DUPORT ou DU PORT Adrien Jean François FLESSELLES Jacques (de) FOULLON Joseph François FRAVRAS Thomas de MAHY (marquis de) GARAT Dominique Joseph GENSONNÉ Armand GILLET François GIRONDIN GONCHON Clément GRÉGOIRE Henry (l'abbé) GUADET Marguerite Elie GUYTON DE MORVEAU Louis Bernard (baron) HEBERT Jacques René HÉRAULT de SECHELLES Marie Jean ISNARD Honoré Maximin JOURDAN Mathieu Jouve (dit JOURDAN COUPE-TETE) LAFAYETTE Marie Joseph Paul Yves Roch Gilbert (marqui de.) LAMBESC Charles Eugène de LORRAINE duc d'ELBEUF et prince (de) LASOURCE Marie David Albin LAUNAY Bernard JORDAN (de) LAVOISIER Antoine Laurent LE CHAPELIER Isaac René Guy LE PELETIER de SAINT-FARGEAU LOUIS MICHEL LEFRANC Jean Georges de POMPIGNAN LINDET Jean Baptiste Robert LOUIS XVI LUCKNER Nicolas MAILHE Jean Baptiste MALESHERBES Chrétien Guillaume MANUEL Pierre louis MARAT Jean Paul MARIE-ANTOINETTE MERLIN Philippe Antoine (comte) MIRABEAU Honoré Gabriel RIQUETI (comte de) MOMORO Antoine François MOUNIER Jean Joseph NECKER Jacques (1732-1804) ORLÉANS Louis Philippe Joseph (duc d') PASCAL ou Pasquale Paoli PETION de VILLENEUVE Jérôme PHILIPPE EGALITE' Louis, Philippe, Joseph Duc d'Orléans PRIEUR DE LA MARNE Pierre Louis QUINETTE Nicolas Marie (baron de Rochemont) ROBESPIERRE Maximilien (de) ROCHAMBEAU Jean Baptiste Donatien de Vimeur (comte de) ROLAND de la Platière Jean Marie ROUGET DE L'ISLE Claude Joseph ROUX Jacques SAINT-JUST Louis Antoine SALICETTI Antoine Christophe SERVAN DE GERBEY Joseph SIEYÈS Emmanuel Joseph (dit l'abbé Sieyès) STOFFLET Jean Nicolas THÉROIGNE DE MÉRICOURT Anne-Josèphe Therwagne THOURET Jacques Guillaume TREILHARD Jean BaptisteVARLET Jean François VERGNIAUD Pierre Victurnien Nasce a Decize, nel Nivernese, nel 1767 . Figlio di un capitano di cavalleria, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Reims, ma non porta a compimento gli studi. Nel 1789 pubblica un poema satirico in 20 canti e 2 volumi, l'Organi; nel 1791, un saggio su l'Esprit de la revolution et de la constitution de France, largamente ispirato alle teorie di Montesquieu. Deputato alla Convenzione a soli 25 anni, si mette in luce nel processo contro il re per il carattere stringente e sempre lucido, essenziale, delle sue argomentazioni. Rifiuta in nome della logica le armi della retorica e gli schemi dell'oratoria politica. Si oppone al federalismo girondino, dichiarandosi in favore di un sistema accentrato di governo, di una gestione unitaria e coerente del processo rivoluzionario. Scrive i Fragments d'institutions républicaines (apparsi a stampa solo nel 1800), che rappresentano il contributo da lui offerto all'elaborazione della Costituzione del 1793. Membro del Comitato di salute pubblica, lega il proprio destino a quello di Robespierre; ne condivide la politica, e anzi collabora a realizzarla con proposte e interventi legislativi di notevole importanza. Commissario dell'esercito in Alsazia e in altre zone di guerra, contribuisce a riportare disciplina e fiducia nell'esercito e a creare le condizioni psicologiche per le vittorie militari, che culminano in quella conclusiva di Fleurus. Le sue requisitorie contro il gruppo di Hébert, poi contro il gruppo di Danton, sono un capolavoro di lucidità politica e di rigore morale. Nei giorni della svolta termidoriana, si schiera a fianco di Robespierre. Lo difende alla Convenzione, anche quando ormai la situazione appare insostenibile. Viene perciò arrestato, condannato a morte e ghigliottinato, insieme allo stato maggiore giacobino, nell'estate 1794. Nel generale smarrimento dello stato maggiore giacobino, pochi uomini restano, fino all'ultimo, fedeli a Robespierre. Tra essi, campeggia la figura di Saint-Just: un uomo che unisce a un'indubitabile vocazione politica, a un'attiva e stimolante presenza sul fronte del dibattito, una lucida e robusta preparazione dottrinale. Aveva studiato al Louis-le-Grand, senza giungere alla laurea per 1'insorgere della svolta rivoluzionaria e per il suo repentino dedicarsi ai confronti dialettici e alle lotte che essa aveva inalveato; prosegue a Reims negli studi di diritto. A soli 22 anni, aveva dato alle stampe un poema satirico di netta ispirazione voltairriana; a 24, l'Esprit de la revolution, ricco di riferimenti a Montesquieu, ma ben inquadrato nel dibattito in corso tra le diverse forze politiche emerse dal processo rivoluzionario. Di lì a poco, Saint- Just comincia ad assumere posizioni di primo piano nel corso delle assemblee giacobine e si schiera costantemente al fianco di Robespierre. Diventa deputato alla Convenzione; nel febbraio 1794 ne assume addirittura la presidenza. Quando viene decapitato assieme a Robespierre, a Couthon e ad altri 19 giacobini, il 10 termidoro, ha solo 27 anni. Solo postumi usciranno i suoi Fragments, scritti sotto forma di appunti, presumibilmente nella seconda metà del 1793. Il suo pensiero politico è rimasto dunque affidato, se si eccettua l'Esprit (il cui taglio è però prevalentemente letterario) , a discorsi, frammenti, lettere, appunti che hanno il carattere più di promemoria personali che di elaborazioni definitive; si tratta, dunque, di un insieme più di intuizioni che di riflessioni, più di,spunti per il dibattito che di note per una ricerca. La lotta politica, tra"il 1792 e il 1794, non offriva tregue, non consentiva, a chi vi aveva assunto un ruolo da protagonista, di attardarsi in analisi, in messe a punto teoriche, in ricerche che non venissero bruciate nell'azione rivoluzionaria dall'oggi al domani. Assai diverso era il taglio dell' Esprit rispetto a quello che si desume dai Fragments. Nell'Esprit , Saint- Just era ancora su posizioni monarchico-costituzionali; la critica rigorosa nei confronti dell'ancien regime non postulava, ai suoi occhi, quel superamento dell'istituto monarchico che solo la fuga di Varennes renderà maggioritario tra gli artefici della revolution. La politica economica del girondino Clavière era giudicata in modo positivo, ma già veniva messa in luce l'esigenza di produrre una più forte tensione morale per consentire alle misure finanziarie e creditizie di non risolversi nel nulla. L'anticipazione di quel rigorismo che accomunerà più avanti Robespierre e Saint- Just nell'avventura del Terrore come leva indispensabile per il trionfo della « virtù », è già compresa nella quarta parte dell'Esprit, ma non ha pregnanza politica, si mantiene entro una fitta arginatura parenetica. Dovevano essere gli sviluppi politici impetuosi della situazione, la rivelazione dell'assoluta inidoneità della Corona a garantire la continuità del nuovo ordine costituzionale, la presenza di forti spinte controrivoluzionarie, a far maturare al giovane Saint- Just una più spiccata attenzione verso la risolutezza del gioco politico e verso l'assunzione di responsabilità decisive. I Fragments, aggiunti a tutto ciò che si conosce dell'attività politica del giovane conventionel robespierriano, costituiscono la prova più netta della grande svolta di pensiero che si era operata rispetto ai cosiddetti ideali del 1789, cui vanamente ancora si richiamavano La Fayette e gli uomini del triumvirato « liberale » . Assemblea nazionale, Assemblea costituente, Assemblea legislativa e Convenzione costituiscono, in soli 4 anni, 4 momenti diversi nella politica francese, 4 fasi di maturazione e di rapida svolta nelle posizioni politiche. Chi era all'estrema sinistra nella prima fase, si trovava all'estrema destra nella terza; nuove forze, nuove posizioni erano subentrate. Da Mounier a Hebert, si era aperto un ventaglio enorme di posizioni tra le stesse forze che, fino all'inaugurazione degli Stati generali, si erano riconosciute all'interno del Terzo stato. Di fronte ai moti controrivoluzionari e agli andamenti negativi della guerra, solo una concentrazione di poteri e un diverso legame coi gruppi effettivamente interessati a restituire solidità e chiarezza alla prospettiva rivoluzionaria avrebbero potuto imporre una sintesi teorica ordinata ed efficace. Nei Fragments, il salto dalle teorie costituzionali ispirate a Montesquieu a quelle che, nel nuovo corso politico, si erano venute aggregando intorno a Condorcet è indubbiamente netto. Anche l'indirizzo economico della Costituente vi figura del tutto abbandonato. La forza delle cose aveva condotto la situazione verso approdi inaspettati e, dunque, verso l'esigenza di ben altre modalità d'intervento rispetto al passato. La libertà dei commerci, per esempio, appariva agli occhi di Saint- Just come accettabile in astratto, ma, allo stato dei fatti, del tutto inadeguata ad affrontare gli scogli di un periodo rivoluzionario. La spaccatura all'interno del vecchio schieramento del Terzo stato era, ormai, irrimediabile; molti di coloro che avevano innescato il moto rivoluzionario erano passati dall'altra parte della barricata. L'ancoraggio alle plebi cittadine, ai contadini, al Quarto stato diventava, a questo punto essenziale, ma la rivoluzione, anche in termini istituzionali, avrebbe dovuto compiere un salto di qualità e incarnarsi nelle consuetudini e ne rapporti di struttura della vecchia Francia. Saint- Just recupera, così, ed esalta quel sistema delle autonomie, delle municipalités, su cui, come al tempo di Turgot, si erano messi in atto i primi tentativi di superamento del vecchio dispotismo, ma ne inquadra il senso in una nuova visione comunitaria, in un ordine giuridico che tuteli la popolazione contadina dalle usurpazioni compiute attraverso titoli di proprietà sovrapposti a tradizioni di possesso, di uso, di organizzazione sociale. Nella vertenza dei contadini di Blérancourt contro il signore di Grenet, vissuta in modo diretto da Saint- Just, delineata lucidamente nel suo Rapport sur l'alfaire des biens communaux, sono già colte le anticipazioni di quell'interesse per la questione agraria, che finirà col porsi al centro della stessa ideologia giacobina. Del resto, fino al 1792, fino al suo passaggio sui banchi della Convenzione, Saint- Just si era costantemente diviso tra Parigi e Blérancourt, aveva perciò vissuto l'esperienza della silenziosa rivoluzione contadina dell'89 e, di lì, le vicende relative alla proprietà fondiaria, alla vendita dei beni nazionali ecc. Di qui l'interesse per i problemi e per le rivendicazioni del mondo del lavoro, il legame con i sanculotti delle città e delle campagne, la messa a punto, nelle lnstitutions républicaines, di una concezione politica non più legata ai temi del costituzionalismo liberale, ma alle teorie sociali di Rousseau e alle prime avvisaglie di un pensiero democratico. Come per Robespierre, per Saint- Just si dovèva puntare alla formazione di una società di uomini liberi, da nient'altro dipendenti che dalle leggi e messi, frattanto, nelle condizioni di non mancare del minimo indispensabile per esistere. Di qui, poco più avanti, i decreti di ventoso, elaborati appunto da Saint- Just, relativi all'assegnazione ai patrioti bisognosi dei beni dei sospetti. Di qui, le leggi di ventoso relative all'assistenza medica gratuita, alle pensioni di invalidità e di vecchiaia, agli aiuti per le famiglie numerose ecc. Le lnstitutions, nelle intenzioni di Saint- Just, dovevano servire alla promozione di nuovi rapporti sociali tra gli uomini, e dovevano fondarsi su attribuzioni sottratte allo Stato e su un insieme di iniziative miranti alla formazione di un nuovo clima morale. Istituzioni, per Saint- Just, sono le municipalità, le singole amministrazioni, i comitati di sorveglianza, ma anche l'amicizia, il culto religioso nei templi, le feste nei paesi. Più ci si addentra nell'elencazione delle Institutions più ci si trova dinnanzi a una concezione morale della vita, a uno spaccato spartano sul ruolo delle virtù repubblicane che rasentano l'utopia. Solo che la loro lettura in controluce svela l'intenzione polemica evidente contro la corruzione della classe politica uscita dalla rivoluzione, contro l'abuso del terrorismo, contro la tendenza a creare nuovi rapporti di dipendenza dell'uomo nel rapporto con la società e con le forme della gestione politica. Così, fino alla fine, con assoluta coerenza, Saint- Just si affianca a Robespierre. Ma il suo contributo teorico presenta aspetti di singolare originalità. Cercando di offrire una base materiale all'espressione della volonté du peuple, egli tende a trasformare le municipalità in comunità sociali, e ad attribuire loro la titolarità effettiva della sovranità nazionale. Questo gli appariva un modo per calare nella storia le intuizioni di Rousseau, per aprire la strada a un'affermazione del Quarto stato dentro il quadro costituzionale, per fondare l'evoluzione politica sulla base di uno sforzo generale di riaggregazione morale. Saint- Just sapeva bene, peraltro, che l'esperienza rivoluzionaria sarebbe facilmente crollata o non sarebbe rimasta fedele alle aspirazioni che l'avevano promossa se non si fosse enucleata all'interno di un nuovo ordine istituzionale. Scipione aveva dovuto difendersi contro le più false accuse portando in campo tutta la storia della sua vita. Poi, venne ugualmente assassinato. I Gracchi, Demostene, poi Sidney, Barneveldt erano finiti allo stesso modo, avendo avuto la "sventura di nascere in Paesi privi di istituzioni". I grandi uomini, secondo Saint- Just, erano quelli che si erano battuti per la giustizia e non erano mai morti nel loro letto. Nel preambolo dei Fragments gli era capitato, dunque, in sorte, di tracciare, con pochi mesi di anticipo, le linee del suo stesso necrologio. Opere, testi, documenti disponibili in: Gallica.BNF Essais littéraires de Saint-Just. Tome premier http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N029521 Essais littéraires de Saint-Just. Tome second http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N029522 Réponse de M. le Président de l'Assemblée nationale à la Commune de Paris : du 19 octobre 1789 / [Freteau] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040603 Histoire du paupérisme, des caisses d'épargne, de leur institution et de leur utilité / opinion de M. Le Baron Lacuée... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N043102 [L']heureuse nouvelle, opéra impromptu à l'occasion de la paix / paroles des citoyens Saint-Just et Longchamp http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N048371 [L']occasion et le moment, ou les Petits riens : par un amateur sans prétention... 1ère partie / [par S.-P. Mérard de Saint-Just] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N071152 [L']occasion et le moment, ou les Petits riens : par un amateur sans prétention... 2ème partie / [par S.-P. Mérard de Saint-Just] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N071153 [L']occasion et le moment, ou les Petits riens : par un amateur sans prétention... 3ème partie / [par S.-P. Mérard de Saint-Just] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N071154 [L']occasion et le moment, ou les Petits riens : par un amateur sans prétention... 4ème partie / [par S.-P. Mérard de Saint-Just] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N071155 Organt : poème en vingt chants... T. I / [par Antoine-Louis-Léon de Saint-Just] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N071461 Organt : poème en vingt chants... T. II / [par Antoine-Louis-Léon de Saint-Just] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N071462 Mes passe-temps, ou le Nouvel Organt de 1792 : poème lubrique en 20 chants / par un député à la Convention nationale... [Antoine-Louis-Léon de Saint-Just] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N072003 Jean de Paris : opéra en 2 actes... / paroles de M. Saint-Just,... ; musique de M. Boieldieu,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N084980 De la nature, de l'état civil, de la cité ou Les règles de l'indépendance du gouvernement / Saint-Just http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N089599 Esprit de la Révolution et de la Constitution de France / par Saint-Just http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N089600 Histoire du chateau de Coucy / Saint-Just [chanoine Jean Jovet] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N089601 SALICETI Antoine Christophe Avocat et homme politique francçais né à Saliceto, Corse le 26 août 1757, décédé à Naple 23 décembre 1809. Député de la Corse à la Constituante et la Constitution, il fit confier la direction des opérations au jeune Bonaparte sous le commandement de Doguommier au siège de Toulon en 1793. Il fut membre du Conseil des Cinq-Cents en 1797, puis ministre de la Police et de la Guerre sous Joseph Bonaparte à Naples. SERVAN DE GERBEY Joseph Général français (Romans, Dauphiné 1741 - Paris 1808). Collaborateur à l'Encyclopédie et auteur d'un Projet de constitution pour l'armée française en 1790, il fut nommé ministre de la Guerre dans le cabinet girondin* formé en mars 1792 sous la Législative, et proposa la formation d'un camp de 20 000 gardes nationaux sous Paris. Voté par l'Assemblée, ce décret ne fut pas sanctionné par le roi, qui fit renvoyer le ministère girondin (13 juin 1792). Membre de la commission exécutive provisoire, constituée après la journée révolutionnaire du 10 août 1792, Servan de Gerbey commanda l'armée des Pyrénées occidentales, puis fut interné à la prison de l'Abbaye comme Girondin sous la Terreur. Opere, testi, documenti disponibili in: Gallica.BNF Projet de constitution pour l'armée des François présenté au comité militaire de l'Assemblée nationale / par l'auteur du "Guide de l'officier en campagne" [Lacuée], et par celui du "Soldat citoyen" [Servan] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N043907 Plan d'organisation pour des bataillons de piquiers, arrêté par le Conseil exécutif provisoire / [signé : le ministre de la guerre, J. Servan] ; [éd. par le] Département de la guerre http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N044025 Evénemens remarquables et intéressants, à l'occasion des décrets de l'auguste Assemblée nationale, concernant l'éligibilité de MM. les comédiens, le bourreau, et les juifs / [par Servan] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N046676 Avis charitable du Tiers et du Quart au trois ordres du royaume / [par M. Servan] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047437 Avis salutaire au Tiers-état, sur ce qu'il fut, ce qu'il est, & ce qu'il peut être / par un jurisconsulte allobroge http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047438 Commentaire roturier, sur le noble discours adressé, par Monseigneur le prince de Conti, à Monsieur, frère du Roi, dans l'Assemblée des notables, le... 1788 / [par J.-M.-A. Servan] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047439 Glose et remarques sur l'arrêté du Parlement de Paris, du 5 décembre 1788 / [par J.-M.-A. Servan] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047440 Petit colloque élémentaire entre Mr. A. et Mr. B., sur les abus, le droit, la raison, les Etats-généraux, les parlemens, et tout ce qui s'ensuit / par un vieux jurisconsulte allobroge http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047441 Réflexions sur la réformation des Etats provinciaux / par M. de Servan,... http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047442 Evénemens remarquables & intéressans, à l'occasion des décrets de l'auguste Assemblée nationale, concernant l'éligibilité de MM. les comédiens, le bourreau & les juifs / [par Servan] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N048189 Lettre du citoyen Danton au citoyen Servan ; Réponse du citoyen Servan... [13-14 septembre 1792] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N072972 SIEYÈS Emmanuel Joseph (dit l'abbé Sieyès) cronologia, saggi critici, testi HOMME Politique français né à Fréjus le 3 mai 1748, décédé à Paris 20 juin 1836. Fervent lecteur de philosophes du XVIII° siècle, il entra sans vocation dans les ordres et fut nommé en 1787 vicaire général de Chartres. Installé à Paris en 1788, il fit paraître peu après son Essai sur les privilèges en 1788 et sa brochure qu'est-ce que le tiers Etat, en 1789, qui défendant les idées nouvelles, connurent un grand retentissement. Député du tiers Etat en 1789, il joua un rôle décisif dans la transformation des Etat généraux en Assemblée nationale en juin 1789, s'opposant, avec Mirabeau, au coup de force contre cette dernière le 23 juin. Membre du Club des Jacobins*, il contribua au sein de la Constituante à faire adopter la division administrative de la France en 83 départements et le maintien du suffrage censitaire dans la Constitution de 1791. Monarchiste constitutionnel, rallié aux feuillants*, il fut élu à la Convention où il vota cependant la mort du roi. Il n'eut plus, apparemment, qu'un rôle effacé sous la Terreur, dont certains, pourtant, le considèrent comme un des principaux instigateurs. Membre du Comité de salut public après le 9 thermidor, il s'occupa de diplomatie, et, partisan de la politique d'annexion, signa avec la Hollande le traité de La Haye en 1795. Elu directeur en 1795, il se démit en faveur de Carnot* et siégea au Conseil des Cinq-Cents* qu'il présida après le coup d'Etat du 18 fructidor an V (4 septembre 1797). Ministre plénipotentiaire à Berlin, il revint à Paris en mai 1799 pour occuper au sein du Directoire* la place de Reubell*, fut un des instigateurs de la journée du 30 prairial an VII et prépara le coup d'Etat du 18 brumaire an VII, qu'il réussit avec Bonaparte (après avoir d'abord songé à utiliser Joubert*) et grâce à l'aide de Fouché*. Consul provisoire, il participa à la rédaction de la Constitution de l'An VIII, que Bonaparte modifia dans le sens de ses intérêts. Ecarté des hautes fonction politique, Sieyès fut fait comte d'Empire en 1809, pair pendant les Cent-Jours? Réfugié à Bruxelles en 1815, et proscrit comme régicide en 1816, il ne revint en France qu'en 1830. Opere, testi, documenti disponibili in: Gallica.BNF Oeuvres de Sieyès. [2] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N006674 Journal d'instruction sociale / par les citoyens Condorcet, Sieyès et Duhamel http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N009724 Conspiration infâme découverte par le Directoire, tendante à allumer la guerre civile et livrer la France aux ennemis, Liste générale et noms des conspirateurs arrêtés par ordre du Directoire, et qui vont être jugés par le tribunal criminel / [signé : Sièyes, président] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041338 Découverte d'un nouveau rassemblement de Jacobins, arrestation de cinquante des principaux chefs... / [signé : Sièyes, président] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041430 Essai sur les privilèges / [par Sieyès] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041686 Qu'est-ce que le Tiers état ? / [par Sieyès] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041687 Vues sur les moyens d'exécution dont les représentans de la France pourront disposer en 1789 / [Sieyès] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041688 Quelques idées de constitution applicables à la ville de Paris, en juillet 1789 / par M. l'Abbé Sieyès http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041689 Préliminaire de la Constitution françoise : reconnoissance et exposition raisonnée des droits de l'homme & du citoyen / par M. l'Abbé Sieyès http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041690 Observations sur le rapport du Comité de constitution concernant la nouvelle organisation de la France / [Sieyès] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N041691 Observations sommaires sur les biens ecclésiastiques : du 10 août 1789 / par M. l'abbé Sieyes http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N045000 Essai sur les privilèges / [par Sieyès] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047520 Qu'est-ce que le Tiers-Etat ? / [Sieyès] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N047521 Discours du citoyen Sieyès, président du Directoire exécutif, à la célébration de l'anniversaire du 10 août http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N057097 Qu'est-ce que le Tiers état ? / par Emmanuel Sieyes ; éd. critique avec une introd., par Edme Champion http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N089685 STOFFLET Jean Nicolas Stofflet Jean Nicolas, Chef vendéen né à Lunéville vers 1751 décédé à Angers le 14 février 1796. Parmi les premiers insurgés vendéens, il participa à la prise de Cholet en mars 1793, combatit sous les ordres de D'Elbée* puis de la Rochejaquelein*, qu'il remplaça en 1794. Il s'était brouillé avec Charrette*, qui avait signé le traité de pacification de La Jaunaye avec la Convention thermidorienne, mais se soumit lui aussi à Saint Florent le Vieil en mai 1795. Il reprit toutefois les armes peu après, poussé par les agents du comte d'Artois. Arrêté près de La Poitevinière, il fut exécuté à Angers. THÉROIGNE DE MÉRICOURT ANNE-JOSÈPHE THERWAGNE dite , née à Pamiers le 4 mars 1765, Morte à Paris vers 1820 Avec Olympe de Gouges et Claire Lacombe, Théroigne de Méricourt est l'une des premières féministes françaises de la période révolutionnaire. Née à Marcourt, au sud de Liège, dans les Pays-Bas autrichiens, Théroigne était issue d'une famille de paysans propriétaires. Elle passa son enfance dans une grande misère morale, qui fut sans doute à l'origine de son état mélancolique. Très vite, elle rêva de changer de condition et de devenir musicienne. À la veille de la Révolution, rongée par la vérole, elle mena une existence de demi-mondaine, entre Londres et Paris, entretenue par un marquis jaloux et escroquée par un castrat, chanteur à la chapelle Sixtine, qui lui fait miroiter une carrière de chanteuse. Engagée dans le combat en faveur de la liberté, elle suit chaque jour les travaux de l'Assemblée constituante et se construit une identité nouvelle en fréquentant l'abbé Sieyès, Barnave et Pétion. Elle ouvre d'abord un salon intellectuel, puis fonde une société patriotique avec Gilbert Romme, futur inventeur du calendrier républicain et futur conventionnel dans les rangs de la Montagne. Plus elle apparaît comme une mystique de la Révolution, plus elle devient la cible de la presse royaliste, qui fait d'elle une libertine sadienne et l'accuse d'avoir voulu assassiner Marie-Antoinette lors des journées d'octobre, auxquelles elle n'a pas pris part. Les Actes des apôtres , journal fondé par Antoine Rivarol, Jean-Gabriel Peltier et François Suleau, se montre le plus virulent. Poursuivie par le tribunal du Châtelet pour un "crime" qu'elle n'a pas commis, elle retourne dans son pays natal. Mais la rumeur la précède et elle est enlevée par des aristocrates en exil qui la livrent à la justice autrichienne. L'empereur Léopold II, dont elle est sujette, reconnaît son innocence et la fait libérer. De retour à Paris, elle s'engage au côté de la Gironde et tente en vain de lever des "bataillons d'Amazones" pour combattre les monarchies européennes. Elle réclame aussi pour les femmes l'égalité civile et politique. Lors de la journée insurrectionnelle du 10 août, qui fait tomber la royauté, elle prend part, sur la terrasse des Feuillants, à un meurtre collectif au cours duquel François Suleau, le chroniqueur des Actes des apôtres , est massacré. Elle le reconnaît quand la foule crie son nom. Puis elle participe à l'assaut des Tuileries avec les fédérés marseillais. Lors de la chute de la Gironde, en mai 1793, elle est fouettée à nu, devant la Convention, par des femmes jacobines qui lui reprochent ses idées "brissotines". Marat la protège; mais cette humiliante flagellation la conduit sur le chemin de l'asile. En s'achevant dans la Terreur, la Révolution ne porte plus l'idéal de Théroigne et celle-ci s'enfonce alors dans la folie, comme pour " témoigner", à son insu, que la Révolution est devenue "folle ". Internée en 1794, Théroigne de Méricourt passera vingt-trois années à l'asile, à l'Hôtel-Dieu d'abord, puis à la Salpêtrière, où elle deviendra, sous le regard d'Étienne Esquirol, l'un des cas les plus célèbres de la médecine mentale. Son histoire, sa légende et sa folie ont été plusieurs fois racontées, notamment par Michelet, Lamartine et les Goncourt. Sarah Bernhardt a interprété le rôle pour le théâtre et Baudelaire lui a consacré un sonnet des Fleurs du mal . Opere, testi, documenti disponibili in: Gallica.BNF Discours prononcé à la Société fraternelle des minimes, le 25 mars 1792, l'an quatrième de la liberté, par Mlle Théroigne, en présentant un drapeau aux citoyennes du faubourg S. Antoine http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N056679 Aux 48 sections / [signé : Théroigne] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N056680 TREILHARD Jean Baptiste Homme politique français né à Brive-la-Gaillarde en 1742, décédé à Paris en 1710. Avocat au parlement de Paris, il fut député à l'Assemblée nationale constituante où il participa à la rédaction de la Constitution civile du clergé. Réélu à la Convention en 1792, il siégea avec la montagne et fit partie du premier Comité de salut public avril 1793. Membre du Conseil des Cinq-Cents après le 9 thermidor, puis ambassadeur à Naples, il fut envoyé comme plénipotentiaire au congrés de Rasstatt en 1797-1799. Directeur de 1798-1799, remplacé par Gohier le 28 prairial an VIII (16 juin 1799). Il fut conseiller d'état après le coup d'état du 18 Brumaire an VIII contre l'Empire, il fut nommé ministre d'état en 1809. © Robert des noms propres Opere, testi, documenti disponibili in: Gallica.BNF Archives départementales de la Gironde, 1 L69. Rapports, lettres, etc. : janvier 1793 - fructidor an III. Instructions diverses : novembre 1789 - janvier 1793 http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040040 [32 pamphlets sur la chasse et la pêche] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N056645 VARLET Jean François Député : Leaders des Enragés sont Jacques Roux, Jean-François Varlet ainsi que des femmes comme Claire Lacombe et qui réclament une administration directe, un programme social, une taxation des biens et une véritable égalité des droits politiques entre les hommes et les femmes. Opere, testi, documenti disponibili in: Gallica.BNF Déclaration solennelle des droits de l'homme dans l'état social / [par le citoyen Varlet, natif de Paris] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N006699 [Brochures sur la municipalité et les districts de Paris]. [Sections Mau-U] / [publ. par la] BHVP, Fonds Cousin http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040138 Voeux formés par des Français libres, ou Pétition manifeste d'une partie du souverain à ses délégués pour être signée sur l'autel de la patrie et présenté [sic] le jour où le peuple se lèvera en masse pour résister à l'oppression avec les seules armes de la raison / [signé : J. Varlet] http://gallica.bnf.fr/scripts/ConsultationTout.exe?E=0&O=N040901 VERGNIAUD Pierre Victurnien Conventionnel français né à Limoges le 31 mai 1753, adversaire déterminé de la Commune il fut arrêté avec les Girondins et périt sur l'échafaud le 31 octobre 17931793 à Paris. © Petit Larousse Illustré 1989 Né à Limoges âgé de 34 ans en 1788 Sa jeunesse a été laborieuse. Son père, fournisseur des vivres au régiment de cavalerie de Limoges, a été ruiné par la cherté des grains. Grâce à Turgot, intendant du Limousin, le jeune Vergniaud a obtenu une bourse au collège Du Plessis, à Bordeaux, tenu par les jésuites. Un moment employé à la direction des tailles, il a quitté ce poste, perdant le bureau de recettes qu'on voulait lui obtenir. Après avoir envisagé l'état ecclésiastique, il est toutefois une passion : il lit beaucoup. Sont beau-frère, ingénieur géographe, le prend en main et l'oriente vers le barreau, en payant ses études. A Bordeaux, où il fait son droit, il devient secrétaire de Charles Dupaty, président à mortier du parlement, magistrat réputé pour ses idées libérales. Enfin, en 1781, il est avocat au parlement. L'année suivante, il plaide sa première cause et la gagne, car il est un orateur hors pair, d'un très noble débit, ample et mesuré, et aux éblouissantes improvisations? Ce talent se renforce d'un physique séduisant. Il a de magnifiques yeux noirs passionnés, une chevelure abondante, un front imposant, d'épaisses lèvres sensuelles. Il collectionne les succès féminins. Mais il a deux défauts: Il manque de ténacité et il méprise les hommes. BAILLY Jean Sylvain BARBAROUX Charles Henri Marie BARÈRE DE VIEUZAC Bertrand BARNAVE Antoine BERTIER DE SAUVIGNY Louis Bénigne BESENVAL Pierre Victor (de) BEURNONVILLE Pierre Riel (comte puis marquis) BILLAUD-VARENNES Jacques Jean BONNEVILLE Nicolas (de) BOUILLE François Claude Amour (marqui de.) BOURBOTTE Pierre BRISSOT Chartres BROGLIE Victore François BUZOT François Nicolas Léonard CAMBACERES Jean-Jacques-Régis de ( 1753 - 1824 ). CAMBON Joseph CAMUS Armand Gaston CARNOT Lazare Nicolas Marguerite CARRA Jean-Louis CASTHELINEAU CHAPPE Claude (l'abbé) CHARLES X Charles de France, comte d'Artois CHAUMETTE Pierre Gaspard dit ANAXAGORAS (1763-1794) CLAVIERE Etienne COLLOT D'HERBOIS Jean Marie CONDÉ Louis Joseph de Bourbon ( prince de) CORDAY D'ARMONT Charlotte CUSTINE Adam Philippe DANTON Georges Jacques DE BRY Jean Antoine Joseph D'EGLANTINE Nazaire François Philippe FABRE DELACROIX Jean-François Lacroix, ou DELMAS Jean François Bertrand DESÈZE ou DE SÈZE Raymond Romain (comte) DESMOULLINS Camille DILLON Arthure (comte) DILLON Théobald ( chevalier de ) son frère DUBOIS-CRANCE Edmond Louis (dit Dubois de Crané) DUMOURIEZ Charles François DUPORT ou DU PORT Adrien Jean François FLESSELLES Jacques (de) FOULLON Joseph François FRAVRAS Thomas de MAHY (marquis de) GARAT Dominique Joseph GENSONNÉ Armand GILLET François GIRONDIN GONCHON Clément GRÉGOIRE Henry (l'abbé) GUADET Marguerite Elie GUYTON DE MORVEAU Louis Bernard (baron) HEBERT Jacques René HÉRAULT de SECHELLES Marie Jean ISNARD Honoré Maximin JOURDAN Mathieu Jouve (dit JOURDAN COUPE-TETE) LAFAYETTE Marie Joseph Paul Yves Roch Gilbert (marqui de.) LAMBESC Charles Eugène de LORRAINE duc d'ELBEUF et prince (de) LASOURCE Marie David Albin LAUNAY Bernard JORDAN (de) LAVOISIER Antoine Laurent LE CHAPELIER Isaac René Guy LE PELETIER de SAINT-FARGEAU LOUIS MICHEL LEFRANC Jean Georges de POMPIGNAN LINDET Jean Baptiste Robert LOUIS XVI LUCKNER Nicolas MAILHE Jean Baptiste MALESHERBES Chrétien Guillaume MANUEL Pierre louis MARAT Jean Paul MARIE-ANTOINETTE MERLIN Philippe Antoine (comte) MIRABEAU Honoré Gabriel RIQUETI (comte de) MOMORO Antoine François MOUNIER Jean Joseph NECKER Jacques (1732-1804) ORLÉANS Louis Philippe Joseph (duc d') PASCAL ou Pasquale Paoli PETION de VILLENEUVE Jérôme PHILIPPE EGALITE' Louis, Philippe, Joseph Duc d'Orléans PRIEUR DE LA MARNE Pierre Louis QUINETTE Nicolas Marie (baron de Rochemont) ROBESPIERRE Maximilien (de) ROCHAMBEAU Jean Baptiste Donatien de Vimeur (comte de) ROLAND de la Platière Jean Marie ROUGET DE L'ISLE Claude Joseph ROUX Jacques SAINT-JUST Louis Antoine SALICETTI Antoine Christophe SERVAN DE GERBEY Joseph SIEYÈS Emmanuel Joseph (dit l'abbé Sieyès) STOFFLET Jean Nicolas THÉROIGNE DE MÉRICOURT Anne-Josèphe Therwagne THOURET Jacques Guillaume TREILHARD Jean BaptisteVARLET Jean François VERGNIAUD Pierre Victurnien
Home | Storia | Arte e letteratura | Foto | Ceramica | Moda | Info | Mappa
STORIA E LEGGENDA
HOTELS E RISTORANTI
ARTE E LETTERATURA
FOTO
CERAMICA
MODA

LA PACE DI AQUISISGRANA - ILLUMINISMO

IL NUOVO ASSETTO EUROPEO DOPO LA PACE DI AQUISGRANA (1748) FUNZIONE DELL'ENCICLOPEDIA E PRINCIPI FONDAMENTALI DELL'ILLUMINISMO
 
Robespierre, Rivoluzione Francese. La pace di Aquisisgrana
 

IL NUOVO ASSETTO EUROPEO DOPO LA PACE DI AQUISGRANA (1748) FUNZIONE DELL'ENCICLOPEDIA E PRINCIPI FONDAMENTALI DELL'ILLUMINISMO La Pace di Aquisgrana del 18.10.1748 pose fine alla Guerra di Successione Austriaca: essa era scoppiata poiché l'Imperatore d'Austria Carlo VI aveva assicurato la successione al trono alla figlia Maria Teresa, ma, alla sua morte, nel 1740, Carlo Alberto di Baviera aveva avanzato la sua richiesta di successione, andando anche contro l'Ungheria, che aveva accettato la donna come legittima sovrana. La precaria situazione era precipitata dopo l'invasione della Slesia, territorio asburgico, da parte di Federico Il di Prussia. Nella guerra erano entrate successivamente anche Francia e Spagna, al fianco di Carlo Alberto, e Inghilterra e Olanda, alleate con Maria Teresa. La guerra durò otto anni; alla sua conclusione i trattati di pace stabilirono i rispettivi territori di ciascuna parte in causa. La Slesia fu assegnata alla Prussia; i ducati di Parma, Piacenza e Guastalla andarono in mano a Filippo di Borbone, fratello del Re di Napoli; i distretti di Vigevano e Voghera e dell' alto novarese furono dati a Carlo Emanuele III di Savoia. La Spagna si impegnò a rinnovare all'Inghilterra il diritto di monopolio della tratta dei neri da trasportare in America (detto Asiento). La Francia uscì dalla guerra senza aver ottenuto alcun vantaggio territoriale, ma la sua conquista fu di aver ridotto il potere asburgico in Europa. Nella Pace di Aquisgrana fu anche riconosciuta la successione alla dignità imperiale sia a Maria Teresa sia al marito Francesco di Lorena. L'assetto dell'Europa, a causa dei nuovi assegnamenti territoriali, era cambiato:, in particolare stava emergendo la Prussia, piccolo staterello, che però stava assumendo un ruolo importante nella politica europea. I suoi confini erano incerti, ma la sua potenza politica enorme: infatti grazie al sovrano Federico II la Prussia ebbe un esercito forte e preparato, ottimo strumento nelle mani di un condottiero ardimentoso. Federico Il fu spesso accusato di spregiudicatezza, poiché invece di preoccuparsi del benessere del suo popolo, egli preferì dedicarsi alla guerra di conquista: passò in spedizioni militari più di 30 dei suoi 46 anni di governo. Il re di Prussia però non si comportava diversamente degli altri sovrani settecenteschi: tutti i reggenti di quell'epoca furono detti "sovrani illuminati" perché seguivano l'ideologia dell'Illuminismo, un cui rappresentante, Voltaire, sosteneva che bisognava fare "tutto per il popolo, nulla per mezzo del popolo". I sovrani illuminati dunque agivano in modo assolutistico, decidendo da sé ciò che era bene per i loro sudditi e agendo di conseguenza. I sovrani illuminati (termine usato per la prima volta da Grimin nella Corrispondenza letteraria) promossero un sistema di modernizzazione dello Stato e dei suoi apparati in base ai dettami illuministici. Il principio basilare dell'Illuminismo era la centralità della Ragione umana: i pensatori del 700 sostenevano che, prima di loro, nessuno aveva usato la Ragione in modo proprio. Immanuel Kant, alla fine del 700, disse che l'Illuminismo fu "l'uscita dell'uomo da uno stato di minorità, il quale è da imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro". Kant con questa affermazione sintetizzò il carattere basilare dell'Illuminismo, che sosteneva di utilizzare per la prima volta nella storia dell'uomo la Ragione in quanto tale: il termine "illuminato" deriva proprio dal francese "illuminer", indicando che ogni attività e ogni dinamica umana doveva essere illuminata dalla luce della Ragione. Oltre all'assoluta fede nella razionalità, gli Illuministi avevano anche una grande fede nella Natura: i Fisiocratici credevano che la natura spontaneamente offrisse una quantità di cibo superiore ai bisogni dell'uomo. Lo stato di natura in particolare veniva inteso come età felice, nella quale l'uomo era innocente e libero. Nacque così il mito del "buon selvaggio": i missionari parlavano così spesso di esempi di bontà nei selvaggi, che gli occidentali si convinsero che per essere felici e buoni non era necessario essere civilizzati, ma bastava vivere secondo Natura. Secondo questo stesso ragionamento, neanche la religione era necessaria, perché persino popoli non cristiani avevano un ordine politico (per esempio i Cinesi, spesso citati come esempio di civiltà tollerante) e una serenità invidiabili. La religione diveniva così un'attività umana al pari di tutte le altre. Voltaire, filosofo illuminista, sosteneva che la religione cristiana cattolica serviva solo per tenere calmo il popolo; agli intellettuali egli offriva il Deismo, che ammetteva l'esistenza di Dio, ma rifiutava la necessità della rivelazione, dei dogmi e del culto. Il Deismo si batteva per la nascita di una religione naturale comune a tutti gli uomini, sostenendo ideali di tolleranza universale. Dato che la religione non era più la necessità prima degli uomini, le regole del comportamento umano non potevano più venire dalla Legge di Dio, ma dalla Natura: dai ragionamenti in campo etico-morale nel 1789 nacque la prima Dichiarazione dei diritti dell'uomo, grazie all'Assemblea nazionale costituente francese (già nel 1776 con la Dichiarazione d'Indipendenza americana erano stati fissati alcuni diritti umani come il diritto alla libertà e alla ricerca della felicità). I princìpi dell'Illuminismo si diffusero, come mai era accaduto prima per altri movimenti culturali, anche molto oltre la cerchia degli intellettuali; la larga diffusione avvenne grazie all'Encyclopédie. Suo titolo completo era "Encyc1opédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers". ossia "Enciclopedia, o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri", e fu pubblicata fra il 1751 e il 1772; era composta di 17 volumi di testo e 11 volumi di tavole e divenne il più efficace strumento di propaganda delle idee illuministiche. Già il titolo indica che a tutte le possibili attività umane era stata applicata la Ragione, come voleva la regola basilare dell'Illuminismo; nell'Enciclopedia tutti i saperi erano messi sullo stesso piano e vi si potevano trovare affiancate nozioni di Storia, Grammatica, Architettura, Geografia, Letteratura, Scienza, senza che nessuna prevalesse sulle altre. All'Enciclopedia collaborarono diversi intellettuali, fra cui Diderot e d'Alembert (che ne furono i promotori), Montesquieu, Voltaire, Rousseau, d'Holbach, Buffon, Quesnay, Turgot, de Jancourt. Tutti costoro scrissero, sulle pagine dell'Enciclopedia, oltre alle loro conoscenze specifiche, anche le loro idee, rendendole così note al pubblico. I valori che passavano nelle parole dell'Enciclopedia spaziavano dalla religione alla tolleranza, all'economia, alla politica. L'Illuminismo fornì gli strumenti filosofici e scientifici a molti dei regnanti europei decisi a rinnovare i loro Stati, limitando i privilegi della nobiltà e della Chiesa; i philosophes si misero al servizio dei monarchi, consigliandoli e sollecitandoli a liberare le industrie, i commerci, le proprietà dai vincoli feudali e dalla rigidità medievale, in modo tale da essere più vicini ai bisogni del popolo. I philosophes infatti, sostenendo di essere i primi a usare realmente la Ragione, vedevano il passato come un'epoca oscura, e soprattutto il Medioevo come un'età buia, di passaggio dallo splendore della Classicità alla luce dell'Illuminismo. Con il Settecento la storia dell'Uomo arriva nel pieno della Modernità, intesa come opposizione al passato e voglia di novità, di "modernizzazione". DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE ALLA COMUNE DI PARIGI (1789-1871) Lo sviluppo capitalistico del primo periodo manifatturiero (XVI-XVII sec.) procedeva lentamente. Solo alla fine del XVIII sec. ci fu una vera e propria rivoluzione industriale e solo in Inghilterra. A partire da questa rivoluzione i progressi furono sconvolgenti. Se all'inizio il lavoro manuale fu eliminato solo nel ramo industriale della filatura del cotone, in seguito il processo di sostituzione interessò tutti i rami. Verso il 1870 la grande industria meccanica instaurò il suo dominio nei paesi più avanzati d'Europa e negli USA. Il capitalismo contribuì allo sviluppo delle forze produttive anche nell'agricoltura e nel campo dei trasporti grazie all'impiego delle nuove macchine a vapore. Verso il 1830 la costruzione delle ferrovie uscì dalla fase sperimentale. Lo sviluppo del commercio mondiale, l'espansione del capitalismo, la febbre dell'oro (California e Australia), la trasformazione dell'Oceano Pacifico in una delle vie commerciali più importanti del mondo, resero necessaria una navigazione più veloce e sicura: la ruota venne sostituita dall'elica, la vela dal vapore. Il perfezionamento dei trasporti, a sua volta, accelerò gli scambi, la produzione e la divisione del lavoro. Cresce la domanda dei metalli (specie l'acciaio, che era preferito al ferro e alla ghisa). Cresce l'industria pesante. Nei paesi capitalistici avanzati avviene il distacco definitivo della città dalla campagna. Il mestiere come fatto individuale si sfalda. Le grosse imprese capitalistiche soppiantano il piccolo artigiano, le corporazione, le botteghe dei mastri. Sorgono le grandi città industriali. Si accentra il capitale. Si afferma la borghesia industriale e compare il proletariato industriale. Il crollo del feudalesimo e l'avvento della borghesia Alla fine del XVIII sec. permaneva quasi ovunque la dipendenza feudale dei contadini (specie nell'Europa orientale). Oltre a questo ciò che ostacolava lo sviluppo del capitalismo era l'accentramento del potere statale nelle mani della nobiltà e il frazionamento politico (specie nell'Europa centrale). Le rivoluzioni borghesi furono inevitabili. Esse avvennero, generalmente, con la partecipazione delle grandi masse popolari: contadini, bassa plebe, operai, piccola-borghesia. La Rivoluzione francese dell'89 fu quella più risoluta ed energica, a motivo del fatto che avanzò rivendicazioni politiche ed economiche di fondo. I suoi risultati non poterono essere annullati dal fugace trionfo della reazione aristocratico-feudale-monarchica che seguì al crollo dell'impero napoleonico. Le idee e i principi della Rivoluzione francese influenzarono tutte le rivoluzioni borghesi d'Europa e d'America. Nei paesi capitalisti più avanzati si formano anche movimenti proletari-operai (ad es. negli anni 1830-40 il cartismo in Inghilterra, l'insurrezione di Lione in Francia e quella dei tessitori di Slesia in Prussia). Con il marxismo si ha il passaggio del socialismo dall'utopia alla scienza. Nelle rivoluzioni del '48-'49 il proletariato si presenta in forma autonoma (specie in Francia). La borghesia europea, impaurita dall'imponenza dei movimenti proletari, non volle condurre con coerenza la sua battaglia antifeudale, per questo tradì le sue stesse rivoluzioni scendendo a patti con la nobiltà, il clero, la monarchia. In questo senso si parla di fallimento dei moti democratico-borghesi del '48-'49. In Germania gli junkers conservarono tutte le funzioni dirigenziali dello stato. In Russia lo zarismo dominerà incontrastato sino all'inizio del XX sec., per quanto la sconfitta della Russia nella Guerra di Crimea e il timore di una rivoluzione contadina abbia portato negli anni '70 all'abolizione della servitù della gleba. In Francia la rivoluzione del 1870, distruggendo l'impero di Napoleone III, fu l'ultimo anello della catena delle rivoluzioni borghesi in questo paese. L'occupazione di Roma da parte degli italiani nel 1870 e la proclamazione a Versailles nel 1871 del re di Prussia imperatore di Germania conclusero il processo di unificazione dei due paesi. Se verso il 1871 l'occidente aveva finito le rivoluzioni democratico-borghesi, i paesi eurorientali si trovavano ancora alle soglie di queste stesse rivoluzioni. Qui infatti anche le più modeste riforme erano fallite (Turchia, Persia, Corea). Solo in Giappone la borghesia avanzava con relativa facilità. Colonialismo e imperialismo Fra il 1850 e il 1870 il processo di formazione di un mercato mondiale capitalista era compiuto nelle sue linee generali. L'isolamento e la chiusura dei diversi paesi e popoli erano stati superati. Tuttavia la barbarie congenita alla civiltà borghese si manifestò con tutta la sua forza e determinatezza proprio nelle colonie da essa conquistate. Nel secolo precedente i colonialisti avevano cercato di creare punti d'appoggio lungo i litorali, esercitando la tratta dei negri, rubando o pagando a prezzi irrisori metalli preziosi, spezie e prodotti dell'artigianato locale. Alla fine del '700 i colonialisti pensano di sfruttare sistematicamente questi paesi sia come fonte di materie prime che come mercati di sbocco dei loro prodotti industriali. Così nelle agricolture delle colonie vennero introdotte le monocolture, molti settori dell'industria locale vennero distrutti o rovinati dalla concorrenza, i prezzi continuarono ad essere imposti, la cultura locale tradizionale si cercò di sostituirla con quella europea. Le colonie erano diventate soprattutto appendici agrarie delle metropoli capitalistiche. In una situazione semicoloniale vivevano anche quei paesi formalmente indipendenti, ma deboli militarmente ed economicamente. Movimenti anticoloniali si formarono presto in Cina, India, Persia, Algeria, ecc. Il nuovo assetto dell'Europa Nel 1815 il Congresso di Vienna cercò di annullare tutti i cambiamenti provocati dalle guerre rivoluzionarie borghesi e napoleoniche. Tuttavia: dal regno di Olanda, creato dallo stesso Congresso, si staccò nel 1830 il Belgio, che divenne uno Stato indipendente; nonostante che il Congresso volesse un'Italia divisa, essa raggiunse nel 1870 la propria unità; si unificò anche la Germania; nella penisola balcanica la lotta antiturca portò all'indipendenza della Grecia e della Serbia; nel 1859 nasce la Romania; la Norvegia era passata sotto la Svezia; la stessa Russia zarista si era notevolmente allargata... In Sudamerica, approfittando dell'indebolimento delle metropoli durante le guerre napoleoniche, le colonie spagnole e portoghesi divennero indipendenti. Gli USA acquistano da Napoleone la Lousiana, dalla Spagna la Florida, con la guerra tolgono al Messico il Texas e la California. Gli indiani vengono sterminati. Nel 1830 la Francia conquista l'Algeria, nel 1850 il Senegal. L'Inghilterra occupa il Sudafrica, poi l'India. Negli anni '40 viene occupata la Cina da diverse nazioni europee in seguito alla guerra dell'oppio. Gli inglesi poi conquistano la Birmania, i francesi il Vietnam. In Oceania l'Inghilterra occupa la Nuova Zelanda, Tahiti e altre isole. Nel Mediterraneo occupa Malta, in Asia occupa Singapore, Hong Kong, Aden. La Gran Bretagna aveva l'assoluto predominio sui mari. L'AFFARE DREYFUS (1894-1906) La drammatica vicenda del capitano d'artiglieria dell'esercito francese, Alfred Dreyfus, ebbe inizio nel 1894, con la scoperta di un biglietto anonimo e non datato (bordereau) in cui un ufficiale di stato maggiore francese comunicava a M. von Schwartzkoppen, addetto militare dell'ambasciata tedesca di Parigi, un elenco di documenti da inviare, relativi all'organizzazione militare francese. L'elenco era stato trovato, in mille pezzi, dentro il cestino della carta straccia da Marie Bastian, una donna delle pulizie in servizio presso l'ambasciata tedesca (in realtà agente del controspionaggio francese). La donna fece pervenire il biglietto al maggiore H.J. Henry. Il 13 ottobre 1894 fu arrestato il trentacinquenne Dreyfus. Sembrava una comune vicenda di spionaggio. In realtà la vicenda sarebbe durata ben 12 anni. La scoperta non giunse inaspettata: nei ranghi dell'esercito francese echeggiava con insistenza, fin dal 1870, la parola "tradimento", con cui si cercava di spiegare la sconfitta subìta a Sédan nella guerra contro la Prussia e la crisi boulangista degli anni 1886-89. La Francia era in pessimi rapporti non solo con la Germania e tutto l'impero austro-ungarico, ma, a causa delle contrapposte politiche coloniali afroasiatiche, anche con l'Italia e con l'Inghilterra. Nel 1882 era fallito l'Istituto di credito cattolico Union Générale e dieci anni dopo i piccoli risparmiatori erano stati inoltre rovinati dal fallimento della Compagni che doveva gestire il Canale di Panama. Nel 1886 era apparso il libro antisemita di E. Drumon, La France juive, che con la sua equazione "ebreo=traditore per definizione", ebbe un gran successo. Nei primi anni '90 si era radicalizzato il nazionalismo in chiave aggressiva, nei confronti dei lavoratori stranieri immigrati (in particolar modo gli italiani, presenti in gran numero nella Francia meridionale: sanguinosi episodi vi furono nel 1893 ad Aigues-Mortes e a Lione nel '94). Ovviamente non si poteva pensare di trovare un "traditore" tra gli ufficiali dello stato maggiore, ch'era una casta rigidamente selezionata (di origine prevalentemente nobiliare). Si pensò quindi che il "colpevole" potesse annidarsi fra i giovani ufficiali che svolgevano il loro tirocinio presso lo stato maggiore e fra questi spiccò subito un nome che nobile non era, ma suonava piuttosto come ebreo e come tedesco: Alfred Dreyfus (egli infatti era di origine alsaziana). Dei cinque esperti calligrafi chiamati a consulto dallo stesso ministro della guerra, Mercier, che aveva affidato le indagini al maggiore d'Omerscheville, solo tre si dichiararono favorevoli a riconoscere in Dreyfus l'autore dell'elenco. Ciononostante, a conclusione dell'inchiesta si ritenne che le prove fossero sufficienti per portare Dreyfus davanti alla Corte marziale con l'accusa di alto tradimento. Le alte gerarchie, il presidente della Repubblica, Casimir Périer (succeduto a Sadi Carnot, assassinato da un anarchico il 24 giugno precedente) e un'opinione pubblica infettata da idee xenofobe e acceso nazionalismo, spingevano a fare di Dreyfus il colpevole. Il 31 ottobre la notizia dell'arresto venne diffusa dai giornali francesi. Il processo militare si svolge a porte chiuse fra il 19 e il 22 dicembre: il governo si giustifica dicendo che non vuol far conoscere i documenti venduti né le nazioni acquirenti. La stampa è tutta favorevole a una condanna esemplare: in molti giornali sono apparse notizie secondo cui Dreyfus era sommerso da debiti di gioco, che fu incitato al tradimento dalla sua amante (Dreyfus era sposato e padre di due figli), che la situazione dei Dreyfus avrebbe dovuto essere molto critica dopo il rifiuto da parte della compagnia di assicurazione di coprire le spese del danno causato dall'incendio della loro fabbrica di Mulhouse, ma che in realtà essi si erano ripresi grazie al governatore di Strasburgo. Fu inoltre trovato nella Senna il cadavere di un impiegato di uno stabilimento militare che aveva nelle tasche l'indirizzo di Dreyfus, per cui si supponeva fosse suo complice. La stampa di destra inoltre sosteneva che non si sarebbe potuto assolvere Dreyfus senza sconfessare il ministro della guerra e lo Stato maggiore in un momento in cui la Francia era minacciata dalla Triplice Alleanza e dalla rivalità coloniale con l'Inghilterra. Il Consiglio di guerra, presieduto dal colonnello Maurel e composto da sette giudici emette all'unanimità un verdetto di colpevolezza e condanna l'ufficiale alla degradazione e alla deportazione perpetua in una fortezza della Nuova Caledonia (Guyana). La stampa pensò che non fu comminata la pena di morte sia perché essa era stata abolita per i delitti politici nel 1848, sia perché il tradimento non era stato commesso in tempo di guerra. Le uniche due prove esibite furono il suddetto biglietto e un dossier segreto, di cui non era a conoscenza né Dreyfus né la sua difesa; dell'esistenza di questo dossier si verrà a conoscenza solo al momento dello scoppio dell'affaire vero e proprio e sarà uno degli elementi fondamentali sui quali si baserà la difesa di Dreyfus per richiedere la revisione del processo. D'altra parte interrogatori e perquisizioni non avevano portato ad alcun risultato; per di più mancava un valido movente: figlio di un industriale alsaziano che aveva optato per la nazionalità francese nel 1871, Dreyfus era ricco (apparteneva alla borghesia ebraica di recente crescita sociale), patriota (aveva scelto la carriera militare proprio per riscattare l'Alsazia allora occupata dai tedeschi) e benpensante (credeva nei valori della giovane repubblica, tra cui quello del laicismo. Si era laureato al Politecnico). La cerimonia di degradazione ha luogo il 5 gennaio 1895, all'interno del cortile della Scuola Militare: a Dreyfus vengono strappati i gradi e spezzata la spada di ordinanza. Egli si proclama innocente e patriota. La folla che assisteva fuori del cortile e che ha sempre gridato: "Morte al traditore", appena egli uscì sotto scorta lo prese a bastonate, pugni e calci e solo con grande fatica la scorta riuscì a evitargli il linciaggio e a farlo partire per l'isola del Diavolo, al largo della costa della Caienna . Dreyfus dichiarò al direttore delle carceri dell'isola che se entro tre anni non si fosse riconosciuta la sua innocenza avrebbe preferito suicidarsi. Nell'isola fu proibito l'accesso a chiunque e Dreyfus veniva sorvegliato giorno e notte: non gli venne imposto alcun lavoro ma gli fu negata la possibilità di scrivere qualunque cosa. Il 18 gennaio si dimette improvvisamente il presidente della Repubblica, Périer, con la motivazione che non riesce più a sopportare la campagna di diffamazione e ingiurie contro l'esercito, la magistratura, il Parlamento e lui stesso. Lo sostituisce Felix Faure (repubblicano moderato), eletto coi voti della destra. Subito dopo la deportazione, la moglie e il fratello di Dreyfus, con l'aiuto dello scrittore ebreo Bernard Lazare, si mobilitano per cercare di riaprire il processo. Tuttavia, nazionalisti e socialisti erano concordi nel ritenere che Dreyfus avrebbe meritato la pena di morte e gli stessi ambienti israeliti non gradivano la riapertura di un caso che gettava ombra sulla loro onorabilità. Grande incertezza regna nelle file del partito operaio. La linea di tendenza dominante è quella di considerare il caso come un conflitto interno alla borghesia. Anche personalità socialiste indipendenti, come p.es. J. Jaurès, denunciano in Parlamento l'eccessiva indulgenza del tribunale militare che avrebbe dovuto comminare la pena di morte. Intanto nel luglio 1895 il tenente colonnello Georges Picquart subentra al colonnello Sandherr a capo dei Servizio Informazioni dello Stato maggiore e scopre nel marzo del '96 che l'ambasciata tedesca era da tempo in contatto col maggiore M.Ch. Walsin-Esterhazy, un nobile di origine ungherese, giocatore pieno e debiti e spesso invischiato in affari loschi. Il rapporto di una agente francese a Berlino asseriva che i servizi segreti tedeschi non sapevano nulla circa il capitano Dreyfus e che il loro informatore era un maggiore dell'esercito, nobile e decorato. Il servizio intercetta frammenti di un telegramma che, ricostruito, diventa una comunicazione riservata dell'addetto militare tedesco Schwartzkoppen al maggiore Esterhazy. Picquart riesce anche ad avere la certezza che la calligrafia del bordereau è la stessa di Esterhazy. Decide dunque, nonostante le resistenze dei vertici militari (soprattutto del colonnello Henry, che produsse anche dei documenti falsi) e del ministro della guerra Billot, di riaprire il dossier Dreyfus. Il 3 settembre 1896 Mathieu Dreyfus diffonde, attraverso un quotidiano londinese, la falsa notizia della fuga del fratello, per suscitare nuovamente l'attenzione della stampa sul caso. Il 14 infatti "L'Eclair" afferma che Dreyfus sarebbe stato condannato sulla base di documenti segreti. Scendono nuovamente in campo i nazionalisti (Drumont, Rochefort.) per denunciare le trame del cd. "sindacato ebraico". Il Parlamento, con soli cinque voti contrari, respinge la domanda di revisione del processo avanzata dalla moglie Lucie e dal fratello di Dreyfus. Il ministro della Giustizia dispone che di notte il prigioniero sia legato a un letto di contenzione. L'unico a non arrendersi è l'anziano vicepresidente del Senato A. Scheurer-Kestner, che conosceva le scoperte di Picquart. Dal canto suo Esterhazy chiede di essere giudicato da un tribunale militare per fugare ogni sospetto su di lui. Il 6 novembre 1896 Lazare pubblica a Bruxelles, poi a Parigi, un pamphlet in cui ricostruisce l'incredibile vicenda giudiziaria. Il 10 novembre due giornali conservatori, "Le Matin" e "L'éclair" pubblicano un facsimile del bordereau, nonché alcuni documenti del dossier segreto, pensando di chiudere definitivamente il caso; in realtà ottengono l'effetto contrario, poiché risulta evidente la differenza della calligrafia con quella di Dreyfus. Infatti alcuni intellettuali cominciano a prendere le sue difese: il filosofo Lucien Herr, gli storici Albert Mathiez, Paul Mantoux e Leon Blum, i sociologi Lévy-Bruhl e Durkheim, il politologo Sorel, l'economista Simiand, letterati quali Charles Peguy, Marcel Proust, Anatole France, Sarah Bernhardt, A. Gide, pittori come Monet, Pissarro, Toulouse-Lautrec, Signac. Violenta diventa la campagna di stampa antidreyfusarda: quotidiani come "L'Intransigeant" e la "Libre Parole" per almeno tre anni attaccheranno duramente gli ebrei, i democratici, i socialisti. L'ostile campagna lanciata contro gli ufficiali ebrei provocherà anche molti duelli tra i militari. Il 16 il generale Boisdeffre allontana Picquart da Parigi col pretesto d'una missione in Algeria e in Tunisia, in territori infestati da tribù ribelli. Ma nel giugno del '97 in congedo a Parigi, Picquart rivela all'amico e avvocato L. Leblois i suoi sospetti su Esterhazy; Leblois a sua volta informa della cosa il vicepresidente del Senato, Scheurer-Kestner, che ottiene il 29 ottobre d'essere ricevuto dal presidente della Repubblica Faure. Il 15 novembre il fratello di Dreyfus invia una lettera al ministro della guerra accusando esplicitamente Esterhazy d'essere l'autore del bordereau. Il 4 dicembre di fronte alle Camere riunite il primo ministro Méline dichiara che "non esiste alcun affaire Dreyfus". Infatti il 10-11 gennaio 1898 Esterhazy viene assolto con formula piena e diventa l'eroe del momento. LA SVOLTA Una svolta improvvisa, assolutamente inaspettata, per la destra, al corso degli avvenimenti, fu causata dal pamphlet J'accuse di Emile Zola. In realtà sin dal 16 maggio 1896 Zola aveva cominciato a pubblicare su "Le Figaro" degli articoli in difesa della questione ebraica. P.es. in quello intitolato Per gli ebrei, pur senza citare Dreyfus, egli si era energicamente opposto alle tesi antisemite di E. Dumont che costantemente venivano pubblicate sul giornale "La Libre Parole". Verso la fine del '96 Zola si era incontrato con Lazare, che aveva appena pubblicato il suo pamphlet, e nel '97 aveva incontrato gli avvocati di Dreyfus e di Picquart, nonché il vicepresidente del Senato Scheurer-Kestner. Il 25 novembre 1897 aveva preso le difese di quest'ultimo con un articolo su "Le Figaro". Zola in realtà aveva scritto molti articoli prima di quello famoso che determinò la svolta. Gli ultimi erano stati due opuscoli, Lettera alla gioventù e Lettera alla Francia, con cui esortava i giovani francesi a battersi per la verità e la giustizia. Tuttavia con nessuno di essi era riuscito a smuovere veramente le acque. Fu allora che capì d'aver sbagliato strategia e che doveva decidersi per un attacco diretto contro la gerarchia militare e politica, citando nomi e cognomi. Fu la sfrontatezza del processo Esterhazy a spingerlo nella decisione d'inviare il 13 gennaio 1898 a "L'Aurore" (il giornale di Clemenceau) una lettera aperta al presidente della Repubblica, al fine di dimostrare l'innocenza di Dreyfus. Il celebre J'accuse rimase un pamphlet unico in tutta la letteratura polemica del XIX secolo: non si era mai visto un coraggio del genere. L'affaire Dreyfus nasceva praticamente con quell'articolo. Nello stesso giorno Jaurès, convintosi dell'innocenza di Dreyfus, aveva pronunciato in Parlamento un atto di accusa contro il governo. Viceversa il partito operaio guidato da Jules Guesde resta ancora neutrale e non sa cogliere le contraddizioni interne alla borghesia, né l'importanza di sfruttare tali contraddizioni per conquistarsi il consenso delle masse. Anche la neutralità della Confederazione generale del lavoro contribuisce ad allontanare ampi settori della classe operaia dalla battaglia innocentista. Della forte stampa repubblicana solo alcuni quotidiani, come "La Lanterne", "Pétite République", "Le Siècle", "Le Figaro", "Le Rappel" e altri minori appoggiano la causa dreyfusarda. Molti dirigenti repubblicani temono che eventuali rivelazioni relative alla manipolazione delle prove contro Dreyfus possano travolgere il governo repubblicano e riportare al potere la destra monarchica e orleanista. Non sono inoltre esclusi i pregiudizi antisemiti. E comunque il 15 gennaio viene reso pubblico il primo appello di intellettuali e uomini di cultura che chiedono la revisione del processo. Il 17-18 gennaio si scatenano manifestazioni antisemite (con tanto di saccheggi) nelle province francesi e in Algeria (pogrom). Il giorno dopo il quotidiano "Le Siècle" inizia la pubblicazione delle Lettere di un innocente di Dreyfus. Il potere politico-militare non vuole dare la sensazione di debolezza evitando di perseguire Zola, però teme di offrire una tribuna ai dreyfusardi. Dal 7 al 23 febbraio si svolge il processo a carico di Zola, che viene condannato (insieme al direttore dell'"Aurore") per vilipendio delle forze armate al massimo della pena: un anno di carcere e a una multa di 3.000 franchi. La sentenza fece scalpore all'estero ma venne applaudita dai parigini e dal Parlamento. La nazione tende ormai a spaccarsi in due schieramenti contrapposti: gli ambienti anticlericali, i liberi pensatori, la borghesia radicale appoggia la causa di Dreyfus (i socialisti restano neutrali), poi vi è un piccolo gruppo raccolto nel "Comitato cattolico per la difesa del diritto", capeggiato da Ch. Peguy e Paul Viollet. La "Lega dei patrioti" e la "Lega per la difesa dei diritti dell'uomo" esercitano una certa influenza sui professori e sugli studenti dell'Istituto Pasteur, del Collegio di Francia e della Scuola di alti studi. In campo opposto erano allineati ambienti militaristi e nazionalisti, legittimisti (monarchici), alti gradi della magistratura e congregazioni cattoliche. Le due leghe più importanti sono quella della "Patria francese" (con oltre 100.000 aderenti) e quella "antisemitica" di Henri Drumont. Professori e studenti universitari della Sorbona (salvo la facoltà di lettere e alcune facoltà scientifiche) sono schierati a maggioranza contro la revisione del processo. Tra i cattolici, importanti scrittori come Alphonse Daudet, Maurice Barrès, Charles Maurras, Paul Valery sono antidreyfusardi. Vi si trovano anche i nomi di Jules Verne e F. Mistral, di Renoir, Cèzanne e Degas. Così pure quotidiani di larga tiratura come "La Croix" (dei padri agostiniani) e "Le Pélerin". Il più significativo prodotto dell'affaire, in campo cattolico-conservatore, fu l'Action française, il movimento sorto nel 1899 intorno all'omonima rivista di Charles Maurras, la cui adesione alle idee di Nietzsche sfociava in una concezione del cattolicesimo come prodotto della civiltà occidentale, depurato dagli elementi originali del giudaismo-cristiano. Il 2 aprile 1898 viene annullato, per vizi procedurali, il verdetto del processo a carico di Zola, il quale ritorna in tribunale il 18 luglio, e, dopo aver annunciato la propria contumacia, abbandona l'udienza. Gli viene inflitta la stessa pena e Zola esilia a Londra. Dieci giorni prima il ministro della Guerra, Cavaignac, aveva ribadito alle Camere la colpevolezza di Dreyfus, confermando la presenza di un dossier segreto. In risposta a un'interpellanza parlamentare, è costretto a dare lettura integrale dei documenti del dossier. L'evidenza del falso fabbricato dal colonnello Henry non tarda a rivelarsi. Il 12 luglio era già stato arrestato Esterhazy per truffa e radiato dall'esercito. Anche Picquart viene arrestato per aver divulgato dei documenti riservati e per aver fabbricato documenti per accusare Esterhazy. Scheurer-Kestner invece viene privato della sua carica parlamentare. Alla fine dell'agosto Cavaignac è costretto ad arrestare il colonnello Henry, successore di Picquart nei Servizi d'Informazione: egli confessa le sue responsabilità e il giorno dopo si uccide in carcere. Esterhazy fugge in Inghilterra. Viene arrestato Du Paty de Clam che aveva collaborato con Henry a produrre il falso dossier e a incriminare Dreyfus. Cavaignac decide di dimettersi. Alla fine dell'ottobre la Corte di cassazione accoglie la richiesta di revisione del processo a carico di Dreyfus. Nell'agosto Jaurès pubblica sulla "Petite république" una serie di articoli intitolati La prova dell'innocenza di Dreyfus. La destra di spaventa. Maurras afferma che per la Francia minacciata da nemici interni ed esterni, l'esercito era l'estrema garanzia di sopravvivenza. Quindi i dreyfusardi diventavano pericolosi proprio se Dreyfus era innocente, perché rischiavano di demolire il prestigio delle forze armate. I nazionalisti Déroulède e Guérin approfittano dell'improvvisa morte del presidente della Repubblica, Faure (16 febbraio 1899), sostituito il 18 da Loubet, per tentare un colpo di stato, incitando le truppe del generale Roget a marciare sull'Eliseo, ma il generale rifiuta. Il 3 giugno in un'intervista a "Le Matin" Esterhazy confessa di essere l'autore del bordereau, aggiungendo però che si trattava di un'esca predisposta dai servizi segreti francesi per scoprire la centrale dello spionaggio tedesco. (Nel 1930 la pubblicazione postuma delle memorie di Schwartzkoppen confermerà che i documenti militari segreti gli erano stati consegnati a più riprese da Esterhazy, il quale, a causa di rovesci finanziari, aveva impellente necessità di denaro. Tuttavia l'addetto militare tedesco affermò di non aver mai ricevuto il bordereau. È dunque probabile che la vera spia fosse proprio il colonnello Henry, che, non potendo occultare il bordereau, intercettato da qualche suo agente, affermò di averlo rinvenuto nel famoso cestino dell'ambasciata tedesca. Esterhazy dunque non era che un uomo di paglia dello stesso Henry, e non è escluso che questi coprisse un alto generale francese. Ciò comunque significa che l'affare Dreyfus non sarebbe mai stato, neppure alle origini, un errore giudiziario, ma una macchinazione ordita per trovare un capro espiatorio). Nel luglio del '99 Dreyfus viene rimpatriato, ma la situazione è ancora critica. Il presidente Loubet ha subìto il 4 giugno un attentato monarchico (fu colpito da un bastone); il fronte antidreyfusardo ha intenzione di linciare lo stesso Dreyfus, che per questa ragione viene nuovamente rinchiuso in carcere. Ora finalmente gli operai scendono in piazza e il Parlamento si sposta progressivamente a sinistra. Zola intanto è tornato in Francia. Nasce assai presto il governo di "difesa repubblicana" guidato da Waldeck-Rousseau: è la prima volta che si forma un governo di sinistra (gambettiani, moderati radicali e socialisti). Questo governo sottrae allo stato maggiore la nomina dei generali. Il 7 agosto 1899 inizia il secondo processo a Dreyfus. Rennes, la cittadina bretone, fu invasa dai giornalisti di tutto il mondo: all'estero l'innocenza dell'imputato era un fatto scontato. La scelta di essere nuovamente giudicato dalla giustizia militare viene sostenuta dalla stessa famiglia Dreyfus, che vuole la piena riabilitazione nell'esercito. Tuttavia i generali sostennero che c'erano prove così segrete che non si potevano esibire, poiché contenevano un'annotazione dell'imperatore Guglielmo II. Ora, accusare il Kaiser di aver personalmente commissionato azioni di spionaggio, equivaleva a una dichiarazione di guerra. Ecco perché il tribunale di guerra (5 giudici contro 2) dichiarò nuovamente colpevole Dreyfus di tradimento, anche se gli riconobbe le circostanze attenuanti e lo condannò a 10 anni di lavori forzati. L'indignazione scoppiò in tutto il mondo con manifestazioni davanti alle ambasciate francesi. Il 19 settembre il presidente Loubet concede la grazia a Dreyfus, che però gli è concessa solo per gli anni che gli restano da scontare dopo la doppia condanna e che è vincolata alla rinuncia, da parte sua, a fare ricorso contro la seconda sentenza. Nel dicembre del 1900 viene approvata una legge di amnistia per tutti i reati commessi in relazione all'Affaire. Zola e Picquart sono dunque amnistiati, ma anche tutti i militari coinvolti. Nel 1902 il voto della provincia francese determina la vittoria del blocco delle sinistre alle elezioni legislative. A Waldeck-Rousseau succede il governo Combes che sottopone le congregazioni religiose al controllo dello Stato e in molti casi ne impone la soppressione. Nel 1905 ci sarà la legge di separazione tra Stato e chiesa. Bernard Lazare dirà che il governo faceva pagare alla chiesa cattolica i conti della destra nazionalista. Il 5 ottobre muore Zola per un'asfissia provocata dalla volontaria manomissione del camino da parte di un fumista. Il 6 aprile 1903 Jaurès chiede in Parlamento la revisione della sentenza di Rennes, l'abolizione del Servizio di Informazioni dell'esercito e l'avvio di una inchiesta sull'operato dei servizi. Ma negli archivi si troveranno solo grossolane contraffazioni, niente di veramente compromettente. Il 12 luglio 1906 la Corte di Cassazione annulla la sentenza di Rennes e Dreyfus viene reintegrato nell'esercito col grado di maggiore, ricevendo anche la croce di cavaliere della Legione d'onore. Anche Picquart viene reintegrato e promosso generale di brigata e nominato ministro della Guerra dal nuovo governo Clemenceau. Il 4 giugno 1908 le ceneri di Zola vengono traslate al Pantheon. Dreyfus, che assiste alla cerimonia, viene ferito in un attentato. Il tribunale della Senna pronuncia un verdetto di assoluzione nei confronti dell'attentatore. Dreyfus muore nel 1935. Nel 1940 un nuovo Statuto per gli ebrei li escluderà da qualsiasi impiego pubblico e da numerose professioni (preavviso delle successive deportazioni verso i lager). Una nipote di Dreyfus, Madeleine, appartenente alla resistenza francese, verrà deportata e uccisa ad Auschwitz. Nel 1985 il ministro socialista della cultura, Jack Lang, volle piazzare un monumento a Dreyfus nel cortile della Scuola Militare di Parigi, ma i militari posero il veto: la statua è ora visibile alle Tuileries. Nel settembre 1995 l'esercito francese, a nome dello storico ufficiale dell'esercito, Jean-Louis Mourrut, ammette definitivamente l'innocenza di Dreyfus, dopo aver sostenuto fino ad oggi che "nessuno è in grado di dire se Dreyfus fosse una vittima cosciente o incosciente". Tuttavia, il ministro della difesa, F. Léotard, è stato costretto a licenziare in tronco il capitano Paul Gauyac, responsabile del servizio storico dell'esercito francese, perché aveva fatto pubblicare nel settimanale dell'esercito Sirpa Actualités, un testo antidreyfusardo. CONSIDERAZIONI FINALI Conseguenze dell'affare Dreyfus: l'affare Dreyfus può essere visto come la lotta della giovane repubblica, succeduta all'impero, per affermare la propria legittimità e sconfiggere le ultime fortezze dell'Ancien Régime; separazione fra Stato e chiesa; sottomissione dei militari al potere civile; nascita di un movimento operaio che va al di là delle mere rivendicazioni salariali e delle critiche astratte al sistema, ma che s'interessa di tutte le libertà civili calpestate; l'affaire permetterà al blocco delle sinistre di detenere il potere politico per 20 anni; nascita di un movimento di intellettuali impegnati politicamente; nascita del concetto di democrazia come affermazione di un "quarto potere": la stampa, che crea l'opinione pubblica; l'affare Dreyfus è stata la prima grande battaglia politica condotta attraverso i mass-media; nascita del moderno concetto di "diritti umani": una persona non può mai essere sacrificata alla ragion di stato, né a dei barbari pregiudizi: l'affare Dreyfus è stata la prima lotta collettiva contro l'antisemitismo in Francia; nasce la prima Lega dei diritti dell'uomo; nascita della corrente di pensiero del relativismo storico, contraria al rozzo nazionalismo; la destra sconfitta assumerà posizioni sempre più aggressive, al punto che l'Action française fornirà un modello politico-culturale al fascismo italiano. (Antisemitismo di Vichy e opposizione all'indipendenza algerina). La Francia è la culla culturale dell'antisemitismo e del fascismo. In Italia solo la stampa cattolica sosteneva la colpevolezza di Dreyfus, con accenti, più o meno marcati di antisemitismo. Primeggiava per la durezza dei toni la rivista gesuita "La civiltà cattolica", che poneva come rimedio al potere ebraico una legge che li considerasse alla stregua di "stranieri ospiti non cittadini". Bibliografia Mathieu Dreyfus, Dreyfus mio fratello, Editori Riuniti, Roma 1980 Bruno Revel, L'affare Dreyfus, Mondadori, Milano 1967 N. L. Kleeblat, L'Affaire Dreyfus: la storia, l'opinione, l'immagine, Bollati-Boringhieri, Torino 1990 F. Coen, Dreyfus, Mondadori, Milano 1994 "Storia e Dossier" n. 82/1994 Mario Locatelli, Dreyfus, Mondadori, Milano 1930 dedicato alle tecniche impiegate per smascherare testi falsificati, contraffatti o scritti sotto costrizione. Il sito, illustra alcuni "casi celebri" quali, ad esempio il "caso Drefyus".

 
<- Indietro - Continua ->