13. Le idee di Madison e di Hamilton dettarono legge alla Convenzione. Essi cercarono di dimostrare che ogni società è divisa in due fazioni o classi: una minoranza ricca e una maggioranza con poca o nessuna proprietà. Hamilton sosteneva che alla radice di questa inevitabile disuguaglianza c'era il possesso della proprietà e che la libertà di concorrenza, nonché l'ulteriore sviluppo dell'industria, avrebbero allargato il fossato che separava i ricchi dai poveri. Madison la pensava in modo analogo. E per entrambi era evidente che, per impedire che la maggioranza scatenasse il suo spirito "livellatore" e risolvesse da sé tali contraddizioni, occorreva un forte potere politico gestito dalla minoranza. 14. Tuttavia, rispetto all'ala più conservatrice, che rivendicava l'abolizione tout-court delle principali rivendicazioni democratiche, Madison proponeva (e in questo era appoggiato da Hamilton, da J. Rutledge, J. Wilson e O. Ellsworth) di usare metodi più diplomatici, specie in riferimento al problema della legge elettorale, la soluzione del quale, se non fosse venuta incontro alle esigenze degli Stati, avrebbe indotto quest'ultimi a rifiutare l'abbozzo della Costituzione federale. 15. Così, la decisione della Convenzione dell'87 di estendere i diritti di voto, nelle elezioni nazionali, a tutti coloro che durante la guerra d'indipendenza avevano fruito di questi diritti, non rappresentò altro che una forma di concessione ai princìpi che ispirarono la rivoluzione americana. Non bisogna però sopravvalutare l'importanza di questo passo. L'estensione del suffragio riguardava solo i contribuenti del fisco, di sesso maschile e di razza bianca, che allora costituivano circa il 4% della popolazione americana (120.000 su 3 milioni). Franklin era contrario all'introduzione del censo patrimoniale nella Costituzione, ma la sua proposta venne respinta: si decise soltanto che ogni Stato avrebbe avuto il diritto di fissare il proprio censo. 16. Peraltro, l'accettazione da parte della Convenzione della legge elettorale, sancita dalle costituzioni dei singoli Stati, servì più che altro come pretesto per ulteriori attacchi contro i diritti del popolo. Il primo attacco fu proprio l'assegnazione al Senato di una speciale funzione di tutela degli interessi della minoranza possidente. E questo proprio mentre si voleva far credere che il potere del governo era stato creato per difendere ovunque e comunque i diritti umani. Il Senato, in un certo senso, veniva a porsi come un bastione di stabilità e di ordine: l'organo che più di ogni altro avrebbe limitato gli "eccessi democratici" della Camera dei rappresentanti. Il che era del tutto in contrasto con i princìpi di uguaglianza proclamati nella Dichiarazione d'Indipendenza del 1776. Insomma, la Convenzione dell'87 riconosceva come supremo obiettivo dello Stato federale anzitutto quello di tutelare gli interessi dei proprietari. 17. Quando, in questa Convenzione, si giunse a discutere sulla natura e le funzioni del Senato, i partecipanti si divisero in due gruppi. Il primo esigeva che si affidasse al Senato un'esclusiva funzione di classe; il secondo -rappresentato dai delegati dei piccoli Stati- era del parere che lo si potesse usare come strumento per controbilanciare il dominio degli Stati più grandi nella Unione Federale. Naturalmente si giunse a un compromesso, ovvero a difendere gli interessi di proprietà e a valorizzare il principio dell'uguale rappresentanza degli Stati, ognuno dei quali, a prescindere dalla sua popolazione, avrebbe ottenuto due seggi al Senato. Gli autori della Costituzione furono comunque concordi nel considerare il Senato come uno strumento di stabilità socio-politica, in quanto i suoi membri, di numero limitato, avrebbero tenuto il potere per un periodo abbastanza lungo (sei anni). Il Senato insomma avrebbe avuto molti più poteri della Camera dei rappresentanti (solo ad esso, p.es., spettava di consigliare il presidente e approvarne le scelte in materia di decreti federali e di stipulazione di trattati internazionali). Il diritto di eleggere i senatori veniva concesso alle assemblee legislative dei singoli Stati. Le elezioni avvenivano ogni due anni (dividendo il senato in tre settori che si rinnovavano a rotazione). Tale regola aveva appunto lo scopo di frenare ogni tendenza al rinnovamento espressa dagli elettori, poiché rendeva praticamente impossibile in una sola tornata elettorale il formarsi di nuove maggioranze: 2/3 dei "vecchi" senatori restavano sempre in carica. 18. Gli autori della Costituzione decisero anche di raddoppiare i termini della legislatura della Camera dei rappresentanti (eletta ogni biennio, per voto diretto, in proporzione agli abitanti) rispetto a quelli delle assemblee legislative allo stesso livello. Seguendo l'esempio britannico, essi stabilirono un livello di rappresentanza all'incirca equivalente a quello della Camera dei Comuni. Nel momento in cui venne adottata la Costituzione, la Camera dei rappresentanti del Congresso doveva avere 65 membri, mentre il numero di quelli dell'assemblea legislativa dello Stato del Massachusetts era di circa 400. Proprio quest'ultima Camera, che al tempo della rivolta di D. Shays tenne un atteggiamento esitante, fu oggetto di aspre critiche da parte dei federalisti. 19. Di qui l'esigenza moderata di concedere un ruolo-chiave, per la tutela degli interessi degli strati più elevati, a un'autorità esecutiva forte e indipendente, nella persona del presidente. Non solo quindi si volle ripristinare l'euroborghese divisione dei poteri, ma concedere anche ampie prerogative statali all'esecutivo, considerato come unico e indivisibile (vedi le tesi di Montesquieu). Un potere cioè che sapesse mettere in pratica, con prontezza e decisione, con il massimo di concentrazione e centralizzazione dei poteri, le leggi promulgate. Un esecutivo forte (nella persona del presidente) avrebbe altresì garantito l'ordine pubblico interno e la difesa della patria dai nemici esterni. Da questo punto di vista i moderati ritenevano che non la repubblica ma una monarchia costituzionale sarebbe stato il governo più adatto a un paese così vasto come gli USA. Fra i sostenitori di questa proposta vi furono A. Hamilton, J. Dickinson, G. Morris, J. Brum e J. McClure. Ma l'idea non trovò i necessari consensi. Si accettò invece la proposta di una durata del mandato presidenziale di quattro anni. Anzi quando si discusse la questione dei poteri presidenziali, non passò neppure la formula del potere esecutivo indivisibile, in quanto si volle affiancare alle prerogative del presidente quelle del Senato. Ciononostante il potere del presidente restava molto grande: quasi si trattava di un "monarca eletto", simile ai re d'Inghilterra del '700 (non a caso egli aveva, e tuttora ha, il diritto di veto sulle leggi approvate dalle Camere, il diritto di designare a vita, con ratifica del senato, i membri della Corte suprema, che è l'unico organo autorizzato a decidere della costituzionalità di una qualunque legge. Inoltre il presidente era ed è comandante supremo dell'esercito e della flotta). 20. I partecipanti alla Convenzione non videro alcuna necessità di includere nella Costituzione la Carta dei diritti (Bill of Rights), che era parte integrante delle costituzioni degli Stati e che proclamava la libertà di parola, di stampa, di assemblea, di coscienza e altre libertà non meno importanti. Dopo la pubblicazione del progetto di Costituzione, i suoi autori furono subito accusati d'essere antidemocratici. Essi cercarono di giustificare il loro rifiuto della Carta dicendo ch'essa esisteva in tutte le costituzioni degli Stati e la sua ripetizione nella Costituzione federale sarebbe stata superflua. Ma la risposta non si fece attendere. Le forze progressiste ritenevano che proprio il fatto d'aver dichiarato la Costituzione "legge suprema", obbligava ad incorporare in essa una Carta dei diritti. Gli articoli di unione della Confederazione univano non la popolazione degli Stati Uniti ma solo gli Stati, preservando la completa autonomia e sovranità di quest'ultimi. La Costituzione non poteva agire così. 21. La violazione dei principali diritti umani e soprattutto di quello dell'uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, era ben visibile nel fatto che gli autori della Costituzione ammettevano lo schiavismo dei negri. Il riconoscimento costituzionale di tale realtà fu, in effetti, il risultato di un compromesso fra il nord-est borghese e il sud dei piantatori, al fine di assicurare una stabile unione di tutti gli Stati. G. Morris, uno dei leaders riconosciuti del nord-est, dichiarò che, di fronte alla scelta di mantenere l'unità con il sud o di rispettare i diritti umani, preferiva un'alleanza coi piantatori. In sostanza, il nord-est, con estrema disinvoltura, solo per affermare l'inviolabilità della proprietà privata, sacrificò l'idea dell'uguaglianza fra neri e bianchi americani. Non solo, ma la Costituzione permetteva anche agli Stati del sud di estendere la rappresentanza politica al Congresso, in considerazione del fatto che i 3/5 della loro popolazione era composta di negri costretti ai lavori forzati. (In particolare si stabilì che ogni schiavo fosse calcolato come i 3/5 di un uomo bianco nel computo della popolazione, che doveva servire da base alla distribuzione dei seggi di ogni Stato). 22. Il 17 settembre 1787 i Padri fondatori presentarono a Filadelfia il documento ch'essi avevano redatto dopo averlo sottoposto al giudizio dell'opinione pubblica americana. "Pubblica", in realtà, sino ad un certo punto, poiché meno del 3% della popolazione venne coinvolta nella ratifica della Costituzione. Ci si limitò a tenere delle speciali convenzioni nei singoli Stati. Le contestazioni al progetto di legge furono generali. T. Jefferson e altri democratici furono meravigliati che la Costituzione non specificasse il numero massimo di mandati per ogni parlamentare rieletto: essi cioè temevano che il potere presidenziale si trasformasse in una monarchia. Molti antifederalisti sostenevano che lo schema proposto per l'organizzazione del Senato era un'abile manovra per istituire un governo di tipo aristocratico. Tuttavia, le obiezioni maggiori vennero mosse contro l'assenza della Carta dei diritti. Quattro Stati decisero di approvare l'abbozzo solo se fosse stato integrato dalla suddetta Carta. Molti altri li seguirono in questa direzione. Alla fine non si poté più ignorare la volontà di questi Stati. Nonostante che due assemblee votassero contro (Rhode Island e South Carolina, rispettivamente la più democratica e la più reazionaria), la Costituzione venne approvata, poiché la Convenzione aveva stabilito che per la ratifica sarebbero stati sufficienti nove Stati su tredici. 23. Dopo l'approvazione della Costituzione, vennero eletti nel 1788 il primo presidente degli Stati Uniti: G. Washington, e il Congresso nazionale. Durante la prima sessione del Congresso, nel 1789, fu proposto di includere la Carta dei diritti nella Costituzione, sotto forma di "Dieci emendamenti". La proposta venne fatta da J. Madison e approvata. Rispetto all'assolutismo feudale del XVIII secolo, questa prima borghese e repubblicana Costituzione fu senza dubbio un passo avanti, ma rispetto alla realtà sociale e politica emersa dalla rivoluzione americana, fu senza dubbio un passo indietro. BEARD E LA COSTITUZIONE AMERICANA Di tutte le opere scritte sulla Costituzione federale americana ancora oggi una delle più interessanti, dal punto di vista della storiografia borghese, resta quella di Charles A. Beard, Un'interpretazione economica della Costituzione degli Stati Uniti (N.Y. 1913). La successiva storiografia apologetica americana venne scritta, relativamente al tema in oggetto, in polemica con le idee di questo autore. Il motivo sta nel fatto che Beard fu il primo storico non-marxista a rifiutare, nel 1913, l'interpretazione legale o formale della Costituzione americana che aveva dominato nel corso del XIX sec. In contrasto con gli storici precedenti, che avevano esaltato l'immagine di una Costituzione rappresentativa della libera volontà dell'intera nazione, Beard si concentrò sulle ragioni economiche degli ideatori della legge fondamentale, e sostenne ch'essi altri non erano che un'incarnazione delle garanzie legali a tutela degli interessi di proprietà degli strati sociali più elevati. Analizzando gli interessi economici dei 55 partecipanti alla Convenzione di Filadelfia del 1787, che elaborò la stesura della Costituzione, Beard arrivò alla conclusione ch'essi rappresentavano la volontà di soli quattro gruppi: il capitale finanziario, i creditori dello Stato, i proprietari delle fabbriche e i settori più importanti del commercio. Furono appunto questi gruppi che provvidero a creare un forte governo federale, volto principalmente a difendere gli interessi del capitale monetario. Le idee di Beard furono poi sviluppate dalla scuola degli storici progressisti. A. Schlesinger sr. dimostrò che la Convenzione costituzionale dell'87 aveva cancellato le conquiste democratiche della rivoluzione americana, rimettendo in piedi l'aristocrazia coloniale, sia finanziaria che commerciale, ch'era stata rovesciata nella guerra d'indipendenza del 1775-83. H.U. Faulkner scrisse che i "saggi" Padri fondatori degli Stati Uniti mostravano d'essere seriamente preoccupati riguardo ai cosiddetti "diritti umani", ma essi di fatto vollero difenderne solo uno in particolare, quello alla proprietà privata. Le loro più importanti novità furono di aggiungere ai poteri del governo federale le prerogative d'imporre tasse, di regolare il commercio, di proteggere l'industria e di battere moneta. F.A. Shannon dichiarò apertamente che nella Costituzione non c'era nulla di democratico, poiché essa aveva soltanto legittimato la proprietà schiavistica, regolato il commercio interstatale e il protezionismo negli interessi della borghesia commerciale e imprenditoriale, istituendo infine un sistema politico legale capace di tutelare la proprietà su vasta scala. Negli anni '60 e '70 di questo secolo la tradizione critica della Scuola di storici progressisti venne continuata da M. Jensen, G.S. Wood, S. Lynd e J.T. Main, ma la maggioranza degli storici non marxisti ha continuato ad offrire un'interpretazione apologetica della Costituzione americana, ritenendola l'esempio più avanzato di formulazione di princìpi democratici moderni. Soprattutto dopo la II guerra mondiale il trend apologista ha cercato di provare che al tempo della sua approvazione, la Costituzione godeva dell'appoggio non solo della borghesia e dei piantatori, ma anche di una parte dei farmers e specialmente degli strati urbani più bassi (artigiani, lavoratori e piccoli commercianti). In effetti, attorno alla Costituzione ci furono molti consensi popolari, ma non perché essa esprimeva gli interessi dei circoli borghesi e dei piantatori. La storia ha voluto che la sua adozione fosse concomitante alla centralizzazione dello Stato federale americano: un fatto, questo, su cui facilmente si potevano trovare ampi consensi nazionali. Obiettivamente, la centralizzazione facilitava il consolidamento degli Stati nordamericani, fornendo la base per la loro ulteriore indipendenza economica e per il loro prestigio politico in una scena internazionale dominata dalle monarchie europee. Di questo erano perfettamente consapevoli i leaders democratici T. Jefferson, T. Paine, B. Franklin e B. Rush. Fu dunque relativamente facile far convergere intorno alla difesa dell'industria americana contro la concorrenza straniera e l'inflazione vasti strati di operai e di artigiani, ma anche di far convergere attorno all'idea di un potere statale centralizzato i farmers desiderosi di vendere i loro prodotti sul mercato nazionale. Questo tuttavia non implicò affatto che il popolo potesse partecipare attivamente all'elaborazione della Legge fondamentale. Furono anzi i leaders politici della borghesia e dei piantatori che seppero imbottire la Costituzione di molte clausole utili alla salvaguardia dei loro interessi di classe, neutralizzando così molte innovazioni democratiche della rivoluzione americana. La stessa organizzazione di un forte governo centrale non venne realizzata dai Padri fondatori democratici degli States, bensì da quelli moderati e conservatori. Altro argomento favorito dai critici contemporanei di Beard è quello secondo cui egli diede un quadro semplicistico delle motivazioni e della composizione sociale della Convenzione del 1787. A giudizio di Beard, infatti, i partecipanti della Convenzione, essendo proprietari di capitali finanziari e creditori dello Stato, preoccupati com'erano di garantire i loro diritti di proprietà, non fecero altro che elaborare un documento economico, dandogli la forma di una Costituzione. Naturalmente la Costituzione non fu un mero documento economico, né una sorta di accordo fra dirigenti di una joint stock company. Non tutti i suoi ideatori erano creditori del governo e proprietari fondiari. Ciò tuttavia non significa che i membri della Convenzione furono mossi da interessi "popolari" e che redassero un documento veramente "democratico". Certo, non ci fu un legame diretto fra la situazione socioeconomica di un politico della Convenzione e la sua concezione classista della società. Sul piano storico, i fondatori dell'ideologia borghese non furono dei capitalisti che succhiavano il sangue agli operai, bensì intellettuali e politici che, rispetto a quei capitalisti, spesso non avevano il becco d'un quattrino. Questo però non impedì loro d'esprimere gli interessi della borghesia meglio di come avrebbero potuto fare gli stessi capitalisti. Marx sottolineò che ciò che fa questa o quella persona "ideologa" della borghesia non è tanto la sua posizione sociale, quanto il fatto che nella sua mente essa non riesce ad andare aldilà dei limiti che la borghesia stessa s'impone nella propria vita pratica. In questo senso l'ideologo borghese cerca di affrontare e di risolvere, sul piano teorico, quegli stessi problemi, che la borghesia (spinta dai suoi interessi materiali e dalla sua posizione sociale) risolve sul piano pratico, usando le stesse modalità. Un altro moderno apologista, ostile all'analisi di Beard, è T. Eidelberg, il quale, esaminando le contraddittorie motivazioni che guidavano i Padri fondatori degli States, è disposto ad ammettere che gli autori della Costituzione vollero distinguere gli interessi di un'élite possidente da quelli della maggioranza nullatenente, e suggerisce l'idea che la Costituzione sia stata un riflesso dei contrasti sociali allora esistenti in America. Egli però non accetta il fatto che alcune idee sostenute dagli autori della Costituzione fossero un'evidente manifestazione degli interessi degli strati sociali più elevati. Eidelberg anzi presume di dimostrare che i Padri fondatori, contrari alla soppressione delle rivendicazioni degli strati sociali più bassi, speravano che con l'aiuto del pluralismo, tipico della società americana, si potessero col tempo conciliare gli interessi di tutti gli strati sociali. A suo giudizio, in altre parole, gli autori della Costituzione non furono né gli esponenti dei capitalisti monetari e terrieri, né gli avvocati della democrazia conforme alla volontà della maggioranza, ma semplicemente gli estensori di una forma più alta di democrazia pluralista, sconosciuta all'Europa occidentale, che avrebbe dato diritto a uguali garanzie politiche per i più vasti interessi sociali. Questo modo di vedere le cose oggi è condiviso dalla stragrande maggioranza dei politologi occidentali. Esiste poi una corrente di storici non-marxisti che considera la Costituzione americana come l'espressione giuridica più coerente e radicale degli ideali rivoluzionari dell'Illuminismo. R. Hofstadter, p.es., pur senza cercare di negare che gli autori della Legge fondamentale si preoccuparono di "santificare" la proprietà privata, sostiene che le idee dei Padri fondatori coincidevano perfettamente con i postulati più progressisti della filosofia illuministica. Lo storico liberale H.S. Commanger si spinge ancora più in là, affermando che i Padri fondatori erano in realtà gli eredi delle migliori tradizioni intellettuali dell'Europa occidentale. Nessuno, in effetti, potrebbe contestare la tesi secondo cui i princìpi dell'ideologia che ha fatto nascere l'Illuminismo e formato la Weltanschauung dei settori più avanzati della borghesia settecentesca, trovarono un riflesso nella Costituzione americana. Nel contempo però sarebbe stupido non accorgersi, mettendo a confronto le diverse Costituzioni borghesi, la filosofia dei Padri fondatori e le correnti ideologiche dell'Illuminismo europeo, che gli autori della Costituzione americana accettarono dell'Illuminismo solo le idee più moderate. Non solo, ma alcuni princìpi di questa Costituzione furono in aperto contrasto con le idee più democratiche dell'Illuminismo: si pensi, ad es., al fatto che non si volle abolire la schiavitù dei negri, mentre in Europa occidentale già vigeva il principio dell'uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge. Naturalmente con questo non si vuole sostenere che se i Padri fondatori avessero adottato i princìpi più avanzati dell'Illuminismo europeo, avrebbero potuto elaborare una Costituzione non classista. La dea ragione, che regna incontrastata sulle rovine del feudalesimo, portando felicità e benessere a ogni cittadino, è un mito della società borghese, sia che questa si presenti in forma radicale o moderata. La posizione di Beard nondimeno resta inadeguata sul piano scientifico. Egli infatti, attribuendo tutta la responsabilità dei mali della società borghese della sua epoca ai Padri fondatori degli Stati Uniti, non riusciva a comprendere che la Costituzione americana, nonostante i suoi limiti di fondo, rappresentò un certo progresso nel momento in cui venne adottata. Sarebbe inoltre davvero poco storico attribuire tutta la responsabilità di determinati processi sociali a individui singoli. Beard inoltre sbagliava anche in un'altra direzione. Egli infatti era convinto che la Costituzione mirasse soprattutto a fare gli interessi del capitale monetario, più che quelli del capitale fondiario. In realtà la Costituzione fu l'esito di un compromesso fra due gruppi dominanti: la borghesia del nord-est e i piantatori, proprietari di schiavi, del sud, che si servirono dell'Unione per contenere le aspirazioni democratiche delle masse. Beard infine, essendo guidato da un metodo essenzialmente positivistico nella sua interpretazione economica della storia, non ha saputo prendere in considerazione l'ideologia e la filosofia politica dei Padri fondatori, i quali adottarono i princìpi degli illuministi moderati europei (specie quelli di Locke e Montesquieu). Di qui la concezione errata della Costituzione come di un "documento economico". tutti i dissidenti religiosi. Dietro questo scontro politico e religioso si poteva intravedere anche un motivo sociale tra la vecchia aristocrazia, la piccola nobiltà ed i borghesi di città ; la prima con il re, i secondi due con il Parlamento. L'esercito parlamentare era comandato da Olivier Cronwell, appartenente alla piccola nobiltà campagnola e sposato alla figlia di un ricco mercante londinese. La rivoluzione si concluse nel 1646 con la SCONFITTA di Carlo I che fu fatto prigioniero, e con l'abolizione della struttura episcopale della Chiesa. Carlo I fu processato e condannato a morte : per la prima volta un re veniva giustiziato perché ritenuto colpevole verso il suo popolo. La soluzione della crisi politica ed istituzionale avrebbe potuto assumere connotati diversi, perché all'interno del Parlamento esistevano anche posizioni moderate, favorevoli ad un compromesso con la monarchia. Nell'esercito vittorioso, al contrario, avevano preso piede le idee favorevoli ad una piena sovranità popolare, alla libertà religiosa, al suffragio universale; i radicali propugnatori di queste idee vennero definiti LIVELLATORI. Cronwell, dopo aver dato prova delle proprie capacità militari rivelò anche eccellenti qualità politiche: eliminò gli estremisti mentre veniva proclamata la repubblica ; il Parlamento continuò ad esistere, ma, dopo aver eliminato gli esponenti più radicali, il vero potere era detenuto dall'esercito . Infine nel 1653 sciolse il Parlamento e assunse il titolo di LORD PROTETTORE. Negli anni del governo di Cronwell venne repressa duramente la rivolta irlandese e fu proclamato «L'Atto di Navigazione» che riservava esclusivamente alle navi inglesi il commercio diretto ai possessi britannici; era un provvedimento mercantilista che colpiva soprattutto gli olandesi. La guerra fra le due potenze mercantili fu inevitabile e si concluse con la sconfitta degli olandesi. Alla morte di Cronwell, nel 1658, l'Inghilterra si trovò nella più grande incertezza politica. Di fronte al timore di una ripresa del movimento livellatore, l'esercito restaurò la monarchia e richiamò Carlo II, figlio del re condannato a morte 11 anni prima. Il ritorno del re comportò la restaurazione della Chiesa Anglicana, ma non toccò i risultati raggiunti con la rivoluzione, a cominciare dai poteri del Parlamento. la seconda rivoluzione inglese Con il ritorno di Carlo II s'instaurò in Inghilterra un equilibrio di potere fra la Corona ed il Parlamento. Il problema più spinoso era quello dei cattolici ; il Parlamento aveva approvato il «TEST ACT», una legge che imponeva a chiunque dovesse svolgere funzioni pubbliche un giuramento di dissociazione dal Papa, dalla Chiesa romana e dai suoi dogmi. Carlo II sembrava favorevole ad una piena libertà religiosa ed era sospettato di voler riconciliarsi con la Chiesa romana. Alla sua morte la successione toccò al fratello Giacomo II, cattolico. Le sue pretese assolutistiche ed i tentativi di abolire il «TEST ACT» aprivano un nuovo conflitto tra il re ed il Parlamento. La nascita di un erede maschio a Giacomo II fece temere il consolidamento di una dinastia cattolica; il Parlamento si rivolse a Guglielmo d'Orange, comandante militare della repubblica olandese, che aveva sposato la figlia maggiore di Giacomo, Maria Stuart (omonima della Stuart condannata a morte nel 1587). Guglielmo accettò d'intervenire in Inghilterra per salvare la religione riformata, perciò sbarcò nell'isola nel 1688. Nel giro di pochi giorni senza il bisogno di combattere, rovesciò la monarchia : Giacomo II fuggì in Francia e l'Inghilterra elesse un nuovo Parlamento per risanare la frattura costituzionale. Nel 1688 Maria Stuart e Guglielmo d'Orange furono proclamati sovrani d'Inghilterra. RIVOLUZIONE AMERICANA (1763-1787). Lungo processo di trasformazione politica, economica e sociale delle colonie britanniche dell'America settentrionale, abitualmente identificato con la guerra di indipendenza americana, iniziato negli anni della protesta antinglese seguita alla guerra dei Sette anni (1756-1763) e concluso nel 1787 dalla Convenzione costituzionale di Filadelfia. LE PREMESSE. Affondò le proprie radici nelle origini delle colonie: in particolare nella loro possibilità di praticare modelli di convivenza religiosa e sociale legati al radicalismo puritano, inattuabili nella madrepatria, e nei caratteri di instabilità sociale propri dell'emigrazione nel Nuovo mondo (strati intermedi di gentry rurale e dei ceti mercantili, ma soprattutto artigiani e contadini attratti dalla promessa di miglioramento economico). La stessa struttura dell'impero coloniale britannico, basato sugli ampi poteri di autogoverno concessi alle colonie e sulla mancanza di organi di governo centrale, facilitò la proliferazione di comunità differenziate e autonome. L'assenza di tradizioni feudali, il diritto di voto fondato sull'appartenenza alla comunità, il pluralismo religioso, la prevalenza di una morale del lavoro antiaristocratica, configurarono sin dall'inizio la società coloniale come un "mondo alla rovescia" rispetto alla madrepatria, nonostante la fortissima dipendenza economica e militare. La salda integrazione tra le componenti del sistema imperiale creò le contraddizioni che guidarono le elite americane a maturare la consapevolezza del proprio ruolo economico e del rapporto di subordinazione al quale erano costrette. A ciò vanno aggiunte le trasformazioni in atto nella società coloniale, sia nelle campagne, nelle quali le spinte arcaiche del comunitarismo popolare e quelle modernizzanti legate a una agricoltura commerciale si fondevano in un'originale autonomia culturale, segnata nella prima metà del XVIII secolo dal movimento revivalista del Grande risveglio, sia nelle città, percorse da crescenti differenziazioni sociali nel quadro di una realtà economica ancora preindustriale. LA DICHIARAZIONE DI INDIPENDENZA. Il rifiuto di una posizione di minorità, già visibile nella crescita del potere delle assemblee coloniali rispetto al potere dei governatori imperiali, si volse in un'azione politica comune contro le leggi mercantiliste dallo Stamp Act (1765) agli Intolerable Acts (1774) varate per rinsanguare le stremate finanze britanniche. Il rifiuto opposto dal Parlamento britannico a un'evoluzione federativa dell'impero, incompatibile col ruolo di potenza mondiale assunto dalla Gran Bretagna, innescò il passaggio dalla disputa giuridico-costituzionale a quella più generale sui diritti naturali e sul contratto sociale, base della Dichiarazione di indipendenza. La rielaborazione allora compiuta dalle elite americane del pensiero politico inglese radicale, risalente alla tradizione della rivoluzione puritana e ai suoi motivi democratici, mirava al recupero di una politica originaria tradita dalla tirannia del re e del parlamento; di qui nacque l'idea della contrapposizione tra un'America nuova e incorrotta e un'Europa decaduta e perversa. Alla lotta per l'indipendenza si affiancò una rivoluzione interna alle società coloniali stesse, divise tra conservatori (di orientamento elitario e aristocratico) e modernizzatori, forti tra i ceti in ascesa, orientati all'abbattimento delle gerarchie e all'instaurazione di un ordine sociale razionale ed efficiente. UNA NUOVA CLASSE DIRIGENTE. Le istituzioni politiche extralegali sorte in luogo delle assemblee esautorate dal parlamento britannico come i congressi provinciali e le convenzioni elette in tutti gli stati secondo procedure anomale, rappresentate al congresso di Filadelfia (1774) registrarono un ampliamento senza precedenti del potere dei ceti subalterni (medi e piccoli contadini, artigiani) e la nascita di una nuova classe politica rappresentativa di vari strati sociali e di molteplici interessi. La guida dei conservatori dovette da allora confrontarsi con il consenso dei ceti popolari non più politicamente marginali, portatori di nuove richieste di uguaglianza (anche attraverso il ruolo svolto nelle milizie coloniali) e sostenitori di un'interpretazione radicale del repubblicanesimo (repubblicani radicali), che privilegiava la salvaguardia delle libertà dei governati attraverso la limitazione e il controllo del potere dei governanti; tale orientamento trovò la sua prima istituzionalizzazione nelle costituzioni degli stati, accomunate dalla perdita di potere da parte dell'esecutivo a favore del potere legislativo. L'ultima parte della guerra d'indipendenza segnò invece il passaggio della rivoluzione dalla fase radicale alla fase federale. L'indipendenza aveva creato problemi di portata nazionale ai quali i singoli stati non erano in grado di far fronte; emerse così dagli organismi unitari creati per fronteggiare le difficoltà strategiche, organizzative e finanziarie della guerra (l'Esercito e il Congresso continentali) un nuovo ceto politico di orientamento nazionalista, avverso al localismo del movimento radicale. Di fronte all'impotenza della compagine politica sorta dagli Articles of Confederation, il movimento nazionalista, che ebbe come maggior rappresentante Thomas Jefferson, si impegnò per la difesa dell'indipendenza, dell'unità e dell'autonomia economica degli Stati uniti e, al termine della guerra, riuscì a mediare tra la nuova aristocrazia finanziaria e i timori dei radicali nei confronti di una "tirannia" economica, governando la transizione verso la Costituzione del 1787 e verso la democrazia politica. D.L. Smith, T.A. Simmerman (a c. di), The Era of the American Revolution: A Bibliography, Oxford University Press, 1975; O. Handlin, L. Handlin, Gli americani nell'età della rivoluzione, 1770-1787, Il Mulino, Bologna 1984 (1982); T. Bonazzi (a c. di), La rivoluzione americana, Il Mulino, Bologna 1986. INDIPENDENZA AMERICANA, GUERRA DI (1775-1783). Guerra combattuta dalle colonie della Gran Bretagna dell'America settentrionale, col sostegno di Francia e Spagna, contro la madrepatria britannica; costituì la fase centrale della Rivoluzione americana. Preparata dalle violentissime reazioni dei coloni all'emanazione da parte di re Giorgio III degli Intolerable Acts del 1774, in seguito alle vicende del Boston Tea Party, scoppiò all'inizio del 1775, dopo che il parlamento inglese aveva dichiarato il Massachusetts in stato di ribellione, con lo scontro di Lexington, e il successivo assedio di Boston da parte della milizia chiamata alle armi dal Congresso provinciale rivoluzionario. La costituzione di un esercito nazionale (Continental Army) agli ordini di G. Washington, comandante delle milizie della Virginia, e l'approvazione di una Dichiarazione dei motivi e delle necessità di prendere le armi, stilata da J. Dickinson e T. Jefferson, furono deliberate dal secondo Congresso continentale di Filadelfia; tuttavia il confronto militare rimase inizialmente limitato a scontri occasionali tra milizie americane e battaglioni britannici intorno a Boston e lungo il confine con il Canada. Immediatamente dopo la dichiarazione di indipendenza, i britannici ottennero il primo grande successo militare occupando la città di New York (agosto 1776), che restò sotto il controllo britannico fino al termine della guerra, mentre il Congresso, timoroso di un attacco contro Filadelfia, si ritirò provvisoriamente a Baltimora. Migliorata la precaria posizione militare grazie ad alcuni successi invernali ed evitato lo sbandamento dell'esercito continentale, il Congresso decise l'arruolamento di ufficiali stranieri (tra cui il marchese di Lafayette, il barone de Kalb, Friedrich von Steuben e Tadeusz Kosciuszko), scelta che contribuì in misura decisiva alla professionalizzazione dell'esercito. Ciò nonostante, le truppe di Washington subirono nell'autunno del 1777 dure sconfitte a Brandywine Creek e a Germantown, consentendo ai britannici di occupare Filadelfia. Il successo ottenuto a Saratoga dalle milizie del New England contro le truppe britanniche del generale J. Burgoyne permise al governo francese di passare dall'appoggio ufficioso (finanziario e militare) dato alle colonie al riconoscimento ufficiale dell'indipendenza americana, sancito l'8 gennaio 1778 da un trattato di alleanza cui seguì l'intervento diretto della flotta militare francese in appoggio ai ribelli. Durante i successivi tre anni di guerra, nonostante l'incapacità da parte britannica di conseguire vittorie decisive e l'intervento della Spagna a fianco di americani e francesi, la situazione militare degli americani si deteriorò. Le vittorie del generale C. Cornwallis in South Carolina e la caduta di Charleston (maggio 1780) rischiarono di portare l'esercito americano al collasso, ma l'irresolutezza britannica nella conduzione della campagna e la mancanza di rinforzi dalla madrepatria consentirono la riorganizzazione delle forze americane, che riconquistarono l'anno successivo il South Carolina costringendo alla resa Cornwallis dopo un lungo assedio a Yorktown. Le successive sconfitte subìte dai britannici a opera della flotta francese indussero il Parlamento di Londra a votare il 27 febbraio 1782 contro la prosecuzione della guerra; caduto il governo di lord North, il suo successore, lord Rockingham, aprì immediatamente le trattative di pace. Firmati il 30 novembre gli articoli preliminari di pace con gli americani e raggiunto l'accordo con Francia e Spagna all'inizio del 1783, i britannici, che avevano sino ad allora proseguito le incursioni navali contro le città costiere americane, dichiararono la cessazione delle ostilità. Il trattato di Parigi (3 settembre 1783), che riconosceva l'indipendenza degli Stati uniti, fu ratificato dal Congresso continentale il 14 gennaio 1784. Il successo militare e diplomatico fu pagato da gravissime conseguenze economiche: il costo dell'indipendenza fu estremamente alto e l'impoverimento del paese notevole. Oltre alle distruzioni provocate dalla marcia degli eserciti e dagli attacchi della marina britannica alle città costiere, la chiusura del florido mercato dei Caraibi inglesi al commercio americano colpì duramente l'agricoltura degli stati centrali, impedendo l'esportazione di grano, carne salata, legname; nelle colonie del nord, oltre ai pescatori del Massachusetts e del New Hampshire, furono le distillerie e gli zuccherifici, privati dei rifornimenti di melassa, a essere più profondamente penalizzati, così come i grandi piantatori di tabacco nel sud, nonostante la parziale compensazione derivante dal commercio con i Caraibi francesi, spagnoli e olandesi. Le necessità di rifornimento degli eserciti diedero viceversa un vigoroso impulso allo sviluppo della produzione industriale. All'inflazione e al crescente caos finanziario, il Congresso oppose dal 1780 una politica duramente deflativa, con la cessazione dell'emissione di carta moneta e il ritiro di quella in circolazione all'irrisorio prezzo di mercato. L'azione di R. Morris, nominato sovrintendente alle Finanze dal Congresso, consentì la costituzione della Bank of North America, presso la quale furono depositati i cospicui prestiti francesi al governo statunitense, e che funzionò come vera e propria banca pubblica, operando tutti i pagamenti di guerra. Tale politica salvò la nascente Confederazione dalla bancarotta, ma distrusse il potere d'acquisto dei piccoli contadini e artigiani, i più larghi possessori di cartamoneta, e favorì la concentrazione delle risorse finanziarie del paese nelle mani di un piccolo gruppo di ricchi uomini d'affari legati alle grandi banche della costa orientale. S.J. Underal (a c. di), Military History of the American Revolution, Washington D.C. 1976; E. Wayne Carp, To Starve the Army at Pleasure: Continental Army Administration and American Political Culture, 1775-1783, Chapel Hill 1984. LA RIVOLUZIONE AMERICANA INTRODUZIONE Con "Guerra d'indipendenza americana", si intende il conflitto che si scatenò tra le tredici colonie britanniche in nordamerica e la madrepatria, fra il 1776 e il 1783 terminato con la costituzione di una nazione indipendente, gli Stati Uniti d'America LE CAUSE DELLA GUERRA Alla fine della guerra dei Sette anni (1756-1763), la Gran Bretagna, risultò essere maggiore potenza e dominatrice assoluta sui mari, ma nonostante ciò la corona inglese si ritrovò a dover sostenere enormi spese di guerra e la responsabilità di amministrare e difendere i nuovi territori acquisiti in Nord America. Allo scopo di far contribuire alle spese dell'impero anche i coloni, il Parlamento inglese, nel marzo del 1765 impose una tassa di bollo su tutti i documenti legali, i contratti, le licenze, anche giornali, opuscoli, carte da gioco ecc., stampati in terra americana. L'imposta provocò una forte opposizione tra i coloni. Normalmente, infatti, erano le assemblee locali ad emanare leggi fiscali e di organizzazione della sicurezza interna; tale legge venne quindi percepita dai coloni come un tentativo di limitare i loro piani di autogoverno. Nell'ottobre del 1765, i delegati di nove colonie si riunirono a New York per far conoscere alla madrepatria le proprie lamentele. In effetti, nel marzo successivo, il Parlamento abolì la tassa ma ciò non fu determinato dalle obiezioni dei coloni sull'istituzionalità della tassa, bensì dalle pressioni dei mercanti inglesi, fortemente danneggiati dalla protesta dei coloni. La cancellazione dell'imposta lasciò irrisolti i problemi finanziari della corona britannica che ben presto impose nuove tasse sull'importazione di vetro, piombo, vernici, carta e tè, inviando nel contempo delle truppe allo scopo di imporre ai coloni l'osservanza della legge. Ancora una volta, la reazione fu pronta e vigorosa. Manifestazioni di protesta accolsero ovunque l'arrivo degli ufficiali doganali e i commercianti adottarono nuovamente la politica di non importazione delle merci britanniche. Le tensioni esplosero il 21 giugno 1768, quando migliaia di manifestanti bostoniani minacciarono i commissari delle dogane obbligandoli alla fuga; immediatamente Londra inviò quattro reggimenti di truppe per permettere il rientro dei commissari e dando inizio all'occupazione militare della città. La lunga serie di scontri che ne seguirono culminò nel marzo del 1770 nel cosiddetto massacro di Boston, quando i soldati britannici, provocati dalla folla, aprirono il fuoco uccidendo cinque coloni; si scatenò allora una nuova violenta ondata di protesta. Piegata ancora una volta dal boicottaggio economico, Londra dispose la revoca della tassa. Ma tre anni dopo il Parlamento dispose il monopolio della vendita di tè in America. Tale provvedimento risollevò immediatamente il conflitto tra i coloni e la madrepatria tanto che a Boston il carico delle navi che trasportavano il tè venne addirittura rovesciato in mare. Per tutta risposta, nel 1774 il Parlamento inglese approvò alcune misure repressive, intese a riaffermare l'autorità regia: il porto di Boston fu chiuso e venne rafforzato il regime di occupazione militare della città, riducendo anche le leggi di autogoverno dei coloni. Il 16 dicembre 1773, per protestare contro l'imposizione da parte della Corona britannica di una tassa sull'importazione del tè, alcuni coloni americani, guidati da Samuel Adams, salirono a bordo di navi britanniche e gettarono in mare i carichi di tè. IL CONFLITTO I rappresentanti di tutte le colonie si riunirono a Philadelphia nel settembre del 1774 nel primo Congresso continentale per stabilire una linea d'azione comune e definire i diritti delle terre d'America e i limiti dell'autorità del Parlamento di Londra. In una Dichiarazione dei diritti i delegati ribadirono il rifiuto di pagare tasse e decisero la cessazione di ogni commercio con la Gran Bretagna fino al ritiro delle truppe inglesi. Nel frattempo nel Massachusetts le milizie cittadine andavano organizzandosi in un Comitato di salute pubblica clandestino. Nella notte del 18 aprile 1775 il governatore inglese inviò un reggimento a requisire un deposito d'armi nei pressi di Boston ma i coloni intercettarono le truppe inglesi che furono costrette a ritirarsi a Boston che fu posta sotto assedio dai ribelli. Nell'aprile 1775, mentre si dirigeva verso Concord, nel Massachusetts, per distruggere le riserve di polvere da sparo dei coloni americani, un contingente britannico, sotto la guida del generale Thomas Gage, si scontrò a Lexington con un gruppo di 70 volontari. Non si sa quale delle due parti abbia scatenato la battaglia, ma gli otto coloni morti nello scontro furono i primi caduti della guerra d'indipendenza americana. Questi sviluppi determinarono, da parte dei coloni la costituzione di un esercito che venne posto sotto il comando di George Washington. Tuttavia, tra i delegati era ancora prevalente una volontà di riconciliazione con la Gran Bretagna ed infatti essi riaffermarono la lealtà al Re, chiedendogli però di ritirare le truppe. Intanto gli inglesi asserragliati a Boston, ricevuti rinforzi via mare, avevano conseguito una netta vittoria sugli americani che non servì tuttavia a rompere l'assedio della città. Le notizie sulla battaglia e sulle richieste del Congresso raggiunsero Londra contemporaneamente. Senza prendere in nessuna considerazione le richieste dei coloni il Re, Giorgio II dichiarò guerra ai ribelli. In risposta alle decisioni inglesi il Congresso continentale emanò la Dichiarazione d'indipendenza (4 luglio 1776), con la quale le colonie si costituivano in stati liberi e indipendenti, impegnandosi a respingere l'invasione di quella che veniva ormai considerata una potenza straniera. LA FINE DELLE OSTILITÀ All'inizio del 1779 anche la Spagna dichiarò guerra alla Gran Bretagna, e l'anno successivo altrettanto fece l'Olanda. In territorio americano le operazioni proseguirono con alterne vicende fino all'assedio di Yorktown, dove si erano rifugiare le truppe inglesi. Nell'agosto del 1781 la flotta francese sbaragliò quella inglese, impedendo così ogni possibilità di collegamento via mare. Dopo una serie di inutili tentativi di forzare le linee nemiche, il 19 ottobre 1781 il comandante inglese si vide costretto alla resa. Yorktow segnò la fine delle ostilità, anche se i negoziati di pace si trascinarono fino al 3 settembre del 1783, quando la Gran Bretagna firmò il trattato di Parigi, con il quale riconobbe l'indipendenza delle ex colonie; i confini degli Stati Uniti d'America vennero stabiliti a ovest con il Mississippi, a nord con il Canada, a sud con la Florida Nel 1770 l'introduzione di nuovi dazi, voluti dal governo di Londra, portò allo scontro fra i coloni americani e le truppe britanniche nelle strade di Boston. La rivolta si concluse con la morte di cinque civili. La stampa d'epoca di Paul Revere è una libera ricostruzione degli avvenimenti. Il 16 dicembre 1773, per protestare contro l'imposizione da parte della Corona britannica di una tassa sull'importazione del tè, alcuni coloni americani, guidati da Samuel Adams, salirono a bordo di navi britanniche e gettarono in mare i carichi di tè. Nell'aprile 1775, mentre si dirigeva verso Concord, nel Massachusetts, per distruggere le riserve di polvere da sparo dei coloni americani, un contingente britannico, sotto la guida del generale Thomas Gage, si scontrò a Lexington con un gruppo di 70 volontari. Non si sa quale delle due parti abbia scatenato la battaglia, ma gli otto coloni morti nello scontro furono i primi caduti della guerra d'indipendenza americana. Il testo originale della Dichiarazione d'indipendenza, documento con il quale i rappresentanti delle 13 colonie americane, riuniti in congresso, proclamarono la loro autonomia dal governo britannico. I delegati adottarono la Dichiarazione il 4 luglio 17. Due Rivoluzioni molto diverse: l'americana e la francese Duecento anni fa, l'Assemblea Nazionale francese proclamava la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino: la Rivoluzione in Francia si muove progressivamente verso la catastrofe. Due secoli fa, George Washington viene insediato come primo presidente degli Stati Uniti e viene convocato per la prima volta il Congresso degli Stati Uniti sotto l'egida della Costituzione. A cominciare dal 1789 la Francia ha sofferto a causa delle successive rivoluzioni, mettendo da parte la Costituzione. Sempre dal 1789, gli Stati Uniti d'America hanno sperimentato soltanto un unico periodo selvaggio di disunione, dal 1861 al 1865, e la Costituzione americana del 1787 rimane ancora la legge fondamentale del paese. Dalla riva sinistra della Senna - la Rive Gauche - le dottrine rivoluzionarie ancora si propagano verso la Cambogia, l'Etiopia, l'America Latina; dalla città di Washington hanno origine i princìpi conservatori, che vengono disseminati in tutto il mondo. Chiaramente la Rivoluzione in Francia e la Rivoluzione nel Nord America britannico producono notevoli conseguenze differenti, entrambe durante l'ultimo decennio del XVIII secolo e più oltre. Osserviamo le ragioni del motivo per cui viene stabilita l'esistenza di un grande abisso fra l'esperienza americana durante gli anni dal 1775 al 1789 e quella francese dal 1789 al 1812. La prima spiegazione ben argomentata del carattere differente delle Rivoluzioni americana e francese viene pubblicata nel 1800 da un emergente letterato prussiano, Friedrich von Gentz (1), che più tardi sarebbe diventato uno dei principali architetti della ricostruzione d'Europa dopo la caduta di Napoleone. Il saggio di Friedrich von Gentz viene tradotto in inglese da John Quincy Adams, poi ministro statunitense in Prussia e successivamente eletto sesto presidente degli Stati Uniti, con il titolo The American and French Revolutions Compared (2). Friedrich von Gentz aveva studiato sotto la guida di Immanuel Kant; ma le Riflessioni sulla Rivoluzione francese di Edmund Burke avevano convertito il giovane Friedrich von Gentz ai princìpi conservatori (3). Aborrendo le teorie e le conseguenze della Rivoluzione francese, Friedrich von Gentz traduce l'opera di Edmund Burke in tedesco (4). La follia dell'intera Rivoluzione - al contrario di ciò che era stata la Guerra d'Indipendenza americana - sarà il grande tema del pensiero e dell'azione di Friedrich von Gentz dal 1791 fino al termine della sua vita. Gentz sostiene l'esistenza di quattro grandi differenze fra la Rivoluzione francese e quella americana. La prima di queste è che la Rivoluzione americana si fondava principalmente su chiari princìpi: cioè che le lamentele degli americani erano autentiche, ed essi si appellavano giustamente alla legge e alla tradizione inglese. La Rivoluzione francese, al contrario, era fondata su princìpi fallaci e passò di errore in errore. La seconda differenza essenziale fra le due Rivoluzioni del XVIII secolo, secondo Friedrich von Gentz, riguarda un problema di aggressività: "la Rivoluzione americana fu, per gli americani, dall'inizio alla fine soltanto una rivoluzione difensiva; quella francese fu, dall'inizio alla fine, nel senso più pieno del termine, una rivoluzione offensiva" (5). La terza grande distinzione, scrive Friedrich von Gentz, consiste nel fatto che la Rivoluzione americana "ebbe un obiettivo fissato e definito, e si mosse all'interno di limiti definiti, e in una direzione definita verso quell'obiettivo. La Rivoluzione francese non ebbe mai un obiettivo definito, e correva in un migliaio di diverse direzioni, continuamente intersecantesi fra loro, nello spazio sconfinato di una volontà arbitraria e fantastica e di un'anarchia senza fondo" (6). Per quanto riguarda la quarta linea di demarcazione, la Guerra d'Indipendenza americana, incontrando una resistenza relativamente limitata, potè essere conclusa con meno difficoltà di quella francese e i suoi successi poterono essere consolidati; mentre "la Rivoluzione francese sfidò quasi ogni sentimento umano e ogni passione umana alla resistenza più veemente, e potè dunque soltanto forzare il proprio cammino con crimini e violenze" (7). Friedrich von Gentz sostiene questa analisi con retorica persuasiva. Come Edmund Burke, come gli Adams che saranno presidenti degli Stati Uniti, Friedrich von Gentz percepisce che dalle fallaci teorie di Jean-Jacques Rousseau, Turgot, Condorcet e Thomas Paine sarebbe venuto inevitabilmente il disastro. Egli sostiene che la Rivoluzione americana fu "una Rivoluzione non fatta ma impedita" (8), utilizzando l'espressione con cui i Whigs inglesi definiscono apologeticamente la Glorious Revolution del 1688 in Inghilterra. Gli americani erano insorti per i loro diritti fondamentali; le loro richieste e le loro attese erano moderate e fondate su una giusta percezione della natura umana e della legge naturale; le loro costituzioni erano conservatrici. Invece, i rivoluzionari francesi, sperando di riplasmare la natura umana e la società, rompevano con il passato, sfidavano la storia, abbracciavano dogmi astratti, e così cadono sotto il dominio crudele di una ideologia mostruosa. I passi degli americani sono guidati dalla prudenza e dalla consuetudine, che semplicemente preservano e continuano la tradizione inglese del governo rappresentativo e dei diritti privati, mentre il fanatismo e le vane attese guidano i francesi verso la propria distruzione. Edmund Burke, all'inizio della Rivoluzione americana, dichiarava che le colonie stavano tentando di conservare, non di distruggere: esse cercavano di mantenere quelle libertà ottenute attraverso l'esperienza storica e non di pretendere chimerici diritti evocati nei circoli filosofici. I coloni erano - secondo le parole di Edmund Burke - "non solo devoti alla libertà, ma alla libertà intesa secondo idee e princìpi inglesi. La libertà in astratto, come tante altre astrazioni, non esiste. La libertà fabita in qualche oggetto sensibile" (9). Continuamente Friedrich von Gentz ribadisce le profonde differenze fra i princìpi della Rivoluzione americana e di quella francese, una disputa sufficientemente illustrata dai torbidi avvenimenti del secolo XX. Egli mette in contrasto, per esempio, la chiara comprensione che gli americani avevano della legge naturale con l'illusione francese degli astratti "diritti dell'uomo". La Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino - sottolinea Friedrich von Gentz - "è una sorta di formula magica che dissolve, a poco a poco, tutti i legami delle nazioni e dell'umanità" (10). Questa è l'eresia francese della vox populi, vox Dei. Il preteso diritto del "popolo" di fare tutto ciò che vuole - insiste Friedrich von Gentz - avrebbe divorato tutti gli antichi, preziosi e duramente guadagnati diritti dei gruppi e dei singoli. E così è stato. Gli americani avevano cercato la sicurezza; i francesi, con la loro dottrina agguerrita, avevano cercato il potere in modo irresponsabile e assoluto. Friedrich von Gentz scrive: "Dato che la Rivoluzione americana fu una rivoluzione difensiva, terminò ben presto, nel momento in cui respinse l'attacco che l'aveva originata. La Rivoluzione francese, fedele alle caratteristiche di una rivoluzione offensiva molto violenta, non potè che continuare fino a quando fossero esistiti obiettivi da attaccare, conservando forza per l'offensiva" (11). I miei studi mi hanno convinto che le quattro distinzioni fra le due rivoluzioni indicate da Friedrich von Gentz sono valide. Ma Friedrich von Gentz non tratta della più grande delle differenze: l'ostilità dei rivoluzionari francesi nei confronti della religione cristiana, e invece il forte attaccamento degli americani alle Chiese e alla morale cristiana. All'inizio della Rivoluzione in Francia, certamente, il basso clero o una gran parte di esso era favorevole a radicali mutamenti sia nello Stato che nella Chiesa. Il governatore Morris - lo statista americano che aveva scritto il testo finale della Costituzione degli Stati Uniti - giunge a Parigi nel febbraio del 1789 per motivi d'affari; il suo diario, riguardante i tre anni successivi, è la nostra principale fonte di conoscenza a proposito della Rivoluzione francese. Morris, quanto prima, sarà designato come rappresentante americano in Francia e sarà l'unico ambasciatore che rimane a Parigi durante il Terrore. Nella lettera di questo coraggioso statista a George Washington del 29 aprile del 1789, Morris così commenta le azioni rivoluzionarie del basso clero in tutta la Francia: "La grande massa della gente comune non ha altra religione che i propri preti, non ha altra legge che i suoi superiori, non ha altra morale che i propri interessi. Queste sono le creature che, guidate da curati invasati, stanno percorrendo la solenne strada verso la "Libertà" e il primo uso che ne faranno sarà di fomentare insurrezioni ovunque scarseggi il pane" (12). L'Assemblea Nazionale procede alla confisca dei terreni ecclesiastici e alla promulgazione della Costituzione Civile del clero, favorevolmente accolta da sacerdoti e da molti vescovi. Ma giunge presto il tempo in cui i sacerdoti vengono imprigionati e assassinati, il tempo in cui una prostituta sarebbe stata posta sul trono come Dea Ragione. L'ateismo militante di Diderot e di D'Alembert esce dall'Enciclopedia scatenandosi sulle cattedrali e l'Essere Supremo di Maximilien de Robespierre approva l'impiego quotidiano della ghigliottina. La distruzione della monarchia segue la distruzione della Chiesa. Una volta che la misura morale dell'insegnamento cristiano viene gettata nel fuoco rivoluzionario, ogni atrocità può essere giustificata nel nome del popolo: e ogni atrocità viene compiuta. In America, al contrario, nessun colpo viene portato contro la fede cristiana. Fra gli uomini che firmano la Dichiarazione d'Indipendenza, la grande maggioranza è composta da cristiani praticanti dell'una o dell'altra confessione; dei cinquantacinque delegati alla Convenzione Costituzionale, tranne tre o quattro, tutti sono membri di una Chiesa. Con il primo emendamento alla Costituzione, al Congresso viene proibito di interferire con il libero esercizio della religione. Così, durante la Rivoluzione americana nessuno viene perseguitato per la sua fede religiosa e il dogma cristiano della fratellanza in Cristo dissuade anche i più feroci partigiani su ciascun fronte della Guerra d'Indipendenza dal praticare la tortura o il massacro, con poche eccezioni. Nei loro princìpi morali e politici, i rivoluzionari francesi sono gli ardenti discepoli di Jean-Jacques Rousseau, definiti da Edmund Burke "i folli Socrate dell'Assemblea Nazionale" (13). Ma in America il nome di Jean-Jacques Rousseau è poco conosciuto e i suoi insegnamenti non hanno seguito: persino Thomas Jefferson non legge il pensatore ginevrino fino a dopo la positiva conclusione della lotta rivoluzionaria. Quei leader americani che hanno letto letteratura francese di solito aborriscono le opere di Jean-Jacques Rousseau. Il governatore Morris, subito dopo che il re e la regina vengono trascinati da Versailles a Parigi, fa un riferimento sardonico alla scuola di Jean-Jacques Rousseau. "Dovete considerare compiuta la Rivoluzione -scrive da Parigi -. L'autorità del re e della nobiltà non esiste più, tutto il potere è concentrato nella mani dell'Assemblea Nazionale. Io tremo, comunque, per la Costituzione; tutti sono imbevuti di quelle teorie romantiche di governo dalle quali in America siamo stati felicemente guariti prima che fosse troppo tardi" (14). Durante quegli anni, quando i sentimenti di Jean-Jacques Rousseau dominano il pensiero francese, la più potente influenza intellettuale nel Nord America britannico è quella del rigido calvinismo di Jonathan Edwards. Il ginevrino insegna la naturale bontà del genere umano, mentre il teologo calvinista americano insegna la depravazione della natura umana. Gli orrori della Rivoluzione in Francia dimostreranno la solidità dei sermoni agostiniani di Jonathan Edwards. "Così è la Francia, esaurita dai digiuni sotto la monarchia, inebriata dalla cattiva acquavite del Contratto sociale e da altre bevande adulterate o corrosive, e aggredita infine da una improvvisa paralisi cerebrale: di colpo, il funzionamento delle sue membra viene sconvolto dalle spinte contraddittorie e dall'azione incoerente dei suoi organi discordi" (15): con queste parole Hippolythe Taine conclude il primo volume della sua famosa analisi della Rivoluzione francese. Le cose vanno diversamente nelle tredici colonie che si estendono lungo la costa atlantica dal Canada alla Florida. I francesi entusiasti proclamano la loro passione nello spazzare via tutto ciò che fosse antico, mentre i patrioti americani si dichiarano i campioni di tutte le cose migliori da lungo tempo stabilite nel Nord America britannico. Essi affermano di stare resistendo alle pericolose innovazioni di re Giorgio III d'Inghilterra e dei suoi amici; affermano che stanno difendendo ciò che Edmund Burke definisce "i diritti costitutivi degli inglesi" (16). Nell'antico significato dell'incerto termine "rivoluzione", essi stavano cercando di evitare piuttosto che di fare una rivoluzione. O questo è stato l'intento dei patrioti americani fino a quando, nel 1776, l'alleanza con la Francia diventa indispensabile. Le tesi che i patrioti non avessero intenzioni di radicale rottura con il passato - così che si definivano conservatori piuttosto che innovatori - non è peculiare soltanto a chi scrive. È ora dominante fra i più insigni storici della politica americana. Daniel J. Boorstin, fino a poco tempo fa bibliotecario del Congresso, afferma ciò succintamente nel suo breve volume The Genius of American Politics, del 1953: "La più ovvia peculiarità della nostra Rivoluzione americana è che, nel senso moderno ed europeo del termine, essa non fu affatto una rivoluzione" (17). The Daughyers of American Revolution, che sono state comprensibilmente sensibili a questo tema, hanno sempre insistito nei loro scritti sul fatto che la Rivoluzione americana non fu una rivoluzione ma soltanto una ribellione delle colonie. Più ho fatto ricerche sul tema, più mi sono convinto della saggezza della loro interpretazione. "La condizione sociale e la Costituzione degli americani sono democratici - aveva osservato Alexis de Tocqueville -, ma essi non hanno avuto una rivoluzione democratica" (18). Questo fatto è certamente uno dei più importanti della nostra storia. Questo punto viene sottolineato con uguale forza da Clinton Rossiter nella sua opera Seedtime of the Republic: The Origin of the American Tradition of Political Liberty, del 1953 (19). Nel corso della sua discussione con Richard Bland, Clinton Rossiter sottollinea che "durante il periodo coloniale e fino agli ultimi mesi prima della Dichiarazione d'Indipendenza, gli americani politicamente coscienti guardavano alla Costituzione inglese piuttosto che alla legge naturale come baluardo delle loro conclamate libertà. Il pensiero politico pratico nell'America del secolo XVIII fu dominato da due postulati: che la Costituzione britannica era la migliore e la più felice di tutte le forme di governo, e che i coloni, discendenti dei liberi inglesi, godevano la felicità derivante da questa Costituzione nella misura più grande, conformemente con un ambiente selvaggio" (20). Si guardi lo studio di H. Trevor Colbourn, The Lamp of Experience: Whig History and the Intellectual Origins of the American Revolution, del 1963 (21). Egli scrive: "Insistendo sui diritti che la loro storia mostrava profondamente radicati nell'antichità, i rivoluzionari americani sostenevano che la loro posizione era essenzialmente conservatrice; era la corrotta madre patria che stava perseguendo radicali e pressanti innovazioni e abusi sulle sue colonie, già da lungo tempo sofferenti. L'indipendenza fu in larga misura il prodotto delle concezioni storiche degli uomini che la fecero, uomini che fornirono a una nuova nazione la guida intellettuale e politica" (22). Ecco l'autorevole e famosa espressione di Patrick Henry, il più coraggioso ed eloquente dei leader patriottici, nel 1775: "Non ho che un lume con il quale guidare i miei passi ed è il lume dell'esperienza. Non conosco altro mezzo per giudicare il futuro se non mediante il passato" (23). Il richiamo persino dei più appassionati e coraggiosi capi dell'emergente America contro le innovazioni del re, si rivolge verso gli usi antichi e non verso utopiche visioni. Gli uomini che fecero la Rivoluzione americana, insomma, avecano poca intenzione di rifondare la propria società. Fino a quando restasse anche la più piccola possibilità, essi si mostrarono tutt'altro che entusiasti persino di separarsi dall'Inghilterra. Benjamin Franklin, a Londra, disse a Edmund Burke che "l'America non avrebbe mai più visto giorni così felici dopo avere abbandonato la protezione dell'Inghilterra" (24). Benjamin Franklin osservava "che il nostro fu il solo esempio di un grande impero nel quale i luoghi e le persone più distanti erano stati governati così bene come le metropoli e le zone limitrofe, ma che gli americani stavano perdendo i mezzi che avevano assicurato loro questo raro e prezioso vantaggio" (25). Queste erano le parole e le convinzioni dei patrioti americani, come evidenzia Clinton Rossiter, "fino agli ultimi mesi prima della Dichiarazione d'Indipendenza" (26). Ora che dobbiamo farne del linguaggio altamente teorico e astratto della prima parte della Dichiarazione d'Indipendenza, con il suo richiamo a "le leggi della natura e al Dio della natura", alle verità evidenti, al diritto di abolire qualsiasi forma di governo? Perché il Parlamento non è neppure menzionato nella Dichiarazione d'Indipendenza? Cos'era successo della Costituzione inglese, della menzione delle consuetudini inglesi, dei riferimenti al re Giacomo II e alla Glorious Revolution del 1688? Queste allarmanti inclusioni e omissioni sono discusse e dibattute in maniera penetrante da Carl Becker nella sua opera The declaration of Indipendence: A Study in the History of Political Ideas, pubblicato per la prima volta nel 1922 (27). In verità, il linguaggio di gran parte della Dichiarazione d'Indipendenza è il linguaggio dell'illuminismo francese, come notava Friedrich von Gentz, e, più precisamente, il linguaggio del Thomas Jefferson del 1776, piuttosto che il tono e la moderazione dei tipici membri del Congresso Continentale di quell'anno. "Non senza ragione, Jefferson si sentiva quasi a casa propria a Parigi - scrive Carl Becker -, per la qualità del suo pensiero e per il suo temperamento, egli apparteneva realmente alla scuola filosofica degli Enciclopedisti, quelle anime generose che amavano il genere umano in virtù del fatto che non conoscevano molto gli uomini, che adoravano la ragione con una fede irragionevole, che compivano studi sulla Natura mentre coltivavano una studiata avversione per "l'entusiasmo" e la forte emozione religiosa. Come loro Jefferson, specialmente nei suoi primi anni, stupisce perché si professa espressamente un radicale. Noi spesso sentiamo che egli difende alcune pratiche e idee, che denuncia alcuni costumi e istituzioni non tanto per riflessione autonoma o convinzione profonda circa la particolare posta in gioco, quanto perché in generale questi sono temi che un filosofo o un uomo virtuoso deve naturalmente difendere o denunciare" (28). Il francofilo Thomas Jefferson, in altre parole, era un uomo atipico rispetto agli uomini imbevuti dei Commentaries on the Laws of England di sir William Blackstone (29), che sedevano nel Congresso Continentale. Tuttavia il Congresso aveva accettato la stesura della dichiarazione redatta da Thomas Jefferson senza proteste. Perché? Perché l'aiuto francese era divenuto un'urgente necessità per la causa patriottica. Le frasi della Dichiarazione d'Indipendenza, congeniali ai philosophe e alla corte francese, sono calcolate per risvegliare forti simpatie nel clima e nell'opinione culturale della Francia e, come enfatizza Carl Becker, queste frasi raggiungono precisamente il risultato desiderato. Non sarebbe stato soltanto inutile, ma controproducente, chiedere l'assistenza francese sulla base degli antichi diritti degli inglesi: i francesi non volevano un gran bene agli inglesi. Ora ritorniamo di nuovo al citato Daniel Boorstin, che differisce in qualche cosa da Carl Becker. Non è alla Dichiarazione d'Indipendenza che dovremmo guardare, suggerisce Daniel Boorstin, se cerchiamo di capire le motivazioni degli uomini che realizzarono la Rivoluzione americana; non, perlomeno, ai primi due paragrafi di essa. "Alcuni hanno cercato di aggrapparsi alla formula "vita, libertà e ricerca della felicità", dimenticando che per i due terzi essa è presa in prestito e, comunque, è solo parte di un preambolo - scrive Daniel Boorstin -. Noi abbiamo ripetuto che "tutti gli uomini sono creati uguali" senza tentare di scoprire che cosa effettivamente significasse e senza comprendere che per nessuno degli uomini che ne parlavano essa significava quello che noi avremmo voluto significasse" (30). In realtà, dice Daniel Boorstin, la Rivoluzione era tutta incentrata sul problema "nessuna tassa senza rappresentanza parlamentare" (31). "È mia opinione che l'esito maggiore della Rivoluzione americana era la vera costituzione dell'Impero britannico, che è uno squisito problema tecnico-legale" (32). E con ciò è tutto. Edmund Burke, guardando l'orrendo spettacolo della Rivoluzione francese, dichiara che nulla è più consumatamente malvagio del cuore di un metafisico astratto, che aspira a governare una nazione con progetti utopici, senza riguardo alla prudenza, all'esperienza storica, alle convenzioni, ai costumi, alle complessità del compromesso politico e ai princìpi della moralità, consolidati nel tempo. Gli uomini che fecero la Rivoluzione americana non erano rivoluzionari di tipo metafisico. Essi avanzavano richieste pratiche e cercavano soluzioni pratiche. Non avendole ottenute, avevano deciso per la separazione della Corona d'Inghilterra come una dura necessità. Il loro atto non intendeva essere un ripudio del passato, ma un mezzo per evitare la distruzione dei propri modelli politici da parte dell'arbitrario potere britannico, per il quale, secondo le parole di Edmund Burke, "gli americani non avrebbero potuto avere nessun tipo di sicurezza per le loro leggi o libertà" (33). Questo non è il pensiero dei rivoluzionari del secolo XX. L'attento studio della storia è cosa di alto valore, fra l'altro perché istruisce, a volte, sui modi per affrontare i problemi odierni. Non voglio dire che la storia ripeta semplicemente sé stessa o si ripeta con qualche variante, sebbene c'è qualcosa in quel progetto - e particolarmente nella storia delle rivoluzioni che hanno per modello quella francese - che tende a divorare i propri figli. Sto suggerendo, piuttosto, che la mancanza di prospettiva storica porta ai rovinosi errori degli ideologi, definiti "i terribili semplificatori" da Jacob Burckhardt (34), mentre una chiara consapevolezza storica può vanificare l'aforisma di Georg Friedrich Hegel, secondo il quale "noi impariamo dalla storia che dalla storia non vi è nulla da imparare" (35). La storia di questo ambiguo termine "rivoluzione" è un tema da approfondire. I termini politici hanno origini storiche. Se queste ultime non sono conosciute, se addirittura sono ignorate da potenti statisti, gravi errori diventano probabili. Sarebbe come se si confondesse il termine "legge", nella sua valenza giuridica, con lo stesso termine considerato nel significato attribuitogli dalle scienze naturali. Se si parte dal presupposto che il termine "rivoluzione" significa sempre lo stesso fenomeno, senza riguardo per il retroterra storico, si possono sottovalutare le conseguenze, che potrebbero essere gravi e addirittura fatali. La Rivoluzione americana, o Guerra d'Indipendenza, è stato un movimento di prevenzione, prevalentemente orientato a salvaguardare un'antica struttura costituzionale. Raggiunti i suoi obiettivi limitati - come evidenzia Friedrich von Gentz - l'ordine viene restaurato. Essa nasce per cause intimamente connesse con l'esperienza coloniale e con la Costituzione inglese, ma con pochi legami con le cause della Rivoluzione francese. Nella sua intenzione, almeno, la Rivoluzione americana è stata una rivoluzione nel senso che a questo termine si dava generalmente durante il secolo XVII e nella prima metà di quello successivo. La Rivoluzione francese è stata un fenomeno molto diverso, come quella russa che la seguì. Queste sono state rivoluzioni filosofiche o, come si usa dire oggi con grande precisione, rivoluzioni ideologiche, sconvolgimenti catastrofici nel senso che il termine assumerà successivamente. I loro obiettivi erano illimitati perché utopistici; le loro conseguenze sono state proprio il contrario di ciò che i promotori originari si aspettavano da esse. Per comprendere la Rivoluzione francese faremmo ancora bene a considerare le analisi di Alexis de Tocqueville e di Hippolyte Taine; per la Rivoluzione bolscevica vi sono gli studi recenti di Aleksandr Solzhenitsyn, di Igor R. Safarevic e di altri. "Iniziare con la libertà illimitata - dice Fyodor Dostoievski - significa terminare con il dispotismo illimitato" (36); o, come dice Edmund Burke, per potere essere posseduta, la libertà deve essere limitata. Una parte considerevole della popolazione sia dell'America che dell'Europa, dall'inizio della Repubblica americana, ha teso a fantasticare che tutte le rivoluzioni del mondo sono in qualche modo emulatrici della Guerra d'Indipendenza americana e devono condurre a istituzioni democratiche simili. Gli ideologi rivoluzionari di molti paesi hanno "giocato" con questa ingenuità con discreto successo, da L'Avana a Saigon. Questa diffusa confusione intorno al termine "rivoluzione" ha portato soltanto al sentimentalismo in politica nel modo di giudicare i movimenti marxisti o nazionalisti nelle loro prime fasi, ma anche a infondate aspettative che qualche magica e improvvisa "riforma democratica" - specialmente le libere elezioni - possa bastare a frenare ciò che Edmund Burke chiamava "una dottrina armata" (37). La conoscenza della storia non è perfetta salvaguardia contro tali errori. Essa non ha salvato Woodrow Wilson, un bravo storico prima di essere eletto presidente degli Stati Uniti, da calcoli sbagliati intorno alle conseguenze dell'"autodeterminazione" nell'Europa Centrale. Non ha salvato il suo consigliere Herbert Hoover, anch'egli conoscitore della storia, dal fantasticare che un'improbabile "restaurazione della tirannia degli Asburgo" - sono parole di Herbert Hoover, non mie (38) - fosse una minaccia più imminente rispetto al vivo e vegeto bolscevismo o alla recrudescenza delle ambizioni nazionalistiche tedesche. Nondimeno, la conoscenza storica in generale e la conoscenza delle origini storiche dei termini politici sono una sorta di assicurazione contro l'infatuazione ideologica o contro gli slogan sentimentali.Il disperato bisogno della nostra epoca è quello di allontanare le rivoluzioni e non di moltiplicarle. Le rivoluzioni recenti hanno ridotto metà del mondo alla schiavitù del corpo e della mente, e all'estrema povertà, in Etiopia e nello Zaire, in Cambogia e a Timor e in cinquanta altri paesi. Ciò che chiamiamo Rivoluzione americana ha avuto conseguenze fortunate, poiché, in qualche modo, non è stata una rivoluzione fatta, ma evitata. Coloro che fantasticano attorno al termine "rivoluzione permanente" stanno in realtà sostenendo, anche se inconsapevolemente, la miseria permanente. Il primo passo per la difesa da questa confusione consiste nel comprendere che il termine "rivoluzione" ha molteplici significati; che non tutte le rivoluzioni sono tagliate dalla stessa stoffa; che la politica non può essere separata dalla storia e che la "rivoluzione" - nel senso che comunemente le si attribuisce nel secolo XX - non è la strada privilegiata verso la vita, la libertà e la ricerca della felicità.
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STORIA DELLA RIVOLUZIONE AMERICANA

RIVOLUZIONE AMERICANA - LA COSTITUZIONE
 

LA COSTITUZIONE: Dopo la vittoria restava ancora da risolvere un problema fondamentale:la mancanza di una costituzione federale e di un governo centrale che unisse i tredici stati in un'unica Confederazione ; solo in questo modo i tredici stati sarebbero potuti diventare una nazione forte politicamente ed economicamente. Su questo problema si fronteggiavano due posizioni contrapposte:quella degli antifederalisti o nazionalisti che volevano un governo centrale abbastanza forte e la posizione dei federalisti che volevano difendere i poteri dei singoli stati. Nel 1787 una Convenzione di delegati riunitasi a Filadelfia ,alla quale partecipavano i maggiori esponenti della rivoluzione riuscì a raggiungere un compromesso tra le due posizioni: fu così promulgata la Costituzione degli Stati Uniti d'America che costituiva una repubblica presidenziale e democratica . Al comando vi è un Presidente, eletto a suffragio universale indiretto, che detiene il potere esecutivo ed è eletto ogni 4 anni (dal 1951 con il 22 emendamento è permessa una sola rielezione) che è a capo del governo e sceglie i segretari (ministri). Al governo centrale (Autorità Federale) furono riconosciuti poteri decisionali solo in politica estera, in tema di difesa e finanze e nel camp delle principali questioni di comuni interesse,quali l'esplorazione e colonizzazione di nuovi territori. Il potere legislativo è affidato al Congresso, composto dalla Camera dei Rappresentanti e dal Senato, la Camera è in carica per due anni ed è formata da cittadini eletti in proporzione al numero d'abitanti dello stato, il Senato, in carica per 6 anni con rotazione di un terzo di senatori ogni due anni,è formato da 2 senatori per ogni stato. In questo modo gli artefici della costituzione avevano raggiunto un compromesso tra i rappresentanti degli stati più popolosi, che volevano un'elezione in base alla proporzione con i loro abitanti e gli stati più piccoli che proponevano lo stesso numero di rappresentanti per tutti gli stati. Il potere giudiziario è affidato alla Corte Suprema (Supreme Court) composta da nove membri nominati a vita dal Presidente. Essa è il vertice delle corti federali di tutti gli stati, ha la facoltà di annullare quelle decisioni che sono contrarie alla Costituzione e l'incarico di appianare eventuali contrasti tra gli stati. Per garantire un certo equilibrio tra i poteri costituzionali e per impedire che uno prevalesse sull'altro la Costituzione prevede una serie di controlli reciproci:il Presidente può porre il veto di sospensione sulle leggi del Congresso e questo a sua volta esercita un controllo politico sull'attività del Presidente. La costituzione è formata da un preambolo e da sette articoli ai quali dal 1791 al 1951 sono stati aggiunti 22 emendamenti (articoli addizionali) i primi dieci si riferiscono alla carta dei diritti che rispetta la libertà individuale (di culto,parola,stampa,petizione,associazione,riunione) ,quello del 1863 abolisce la schiavitù, e il 22° preclude al Presidente la possibilità si superare i due mandati presidenziali. Quindi si passò a decidere chi avesse il diritto di voto :alcuni sostenevano il suffragio universale basandosi sul principio dell'uguaglianza naturale di tutti gli uomini, altri sostenevano il suffragio basato sul censo, cioè sulla ricchezza, sostenendo che i poveri non sarebbero stati in grado di esprimersi su problemi di cui non avevano competenza. Prevalse questa seconda linea: gli elettori furono i maschi maggiorenni bianchi che avevano delle proprietà o pagavano le tasse da un certo livello in su. I negri non avevano diritto al voto, ma gli Stati del sud sfruttarono il fatto che essi costituivano in ogni modo una colazione molto numerosa per aumentar il numero dei loro rappresentanti al Congresso e fecero calcolare cinque negri come tre cittadini liberi. Solo cento anni dopo nel 1870 ai neri fu concesso il diritto di voto, ma molti stati emanarono leggi locali che cercavano in ogni modo di impedire loro di votare (come il superamento di un esame di lettura e scrittura). Nonostante l'accordo rimasero le divergenze venutasi a manifestare già durante la guerra, quando 11 delle 13 colonie si erano costituite come Stati indipendenti: ciascuna aveva redatto una Dichiarazione dei Diritti, una carta in cui,in base agli ideali illuministici di libertà ed uguaglianza erano stati fissati i diritti dei singoli cittadini ed i principi secondo i quali doveva essere organizzato lo stato, contenuti in Costituzioni, documenti che stabilivano gli uffici,le funzioni pubbliche ed i loro poteri. Durante il conflitto, il Congresso,composto dai rappresentanti delle colonie, aveva coordinato tutte le azioni militari e diplomatiche contro il comune nemico. Conclusa la pace sarebbe stato opportuno conferire al Congresso maggiori poteri per difendere l'indipendenza ottenuta e soprattutto rimuovere tutti quegli impedimenti come la differenza delle monete e de dazi che ostacolavano le attività commerciali fra gli Stati. Non tutti però erano del parere di limitare la propria autonomia a favore di un governo centrale poiché diverse erano le caratteristiche e le esigenze che li distinguevano. Si formarono due correnti:quella dei federalisti (dal latino foedus cioè patto) favorevoli ad un unione tra gli stati e quella dei repubblicani sostenitori delle autonomie dei singoli stati. Per il momento la Costituzione conservava alcuni limiti:il diritto di voto era precluso agli schiavi che rappresentavano un sesto della popolazione ed erano esclusi da qualsiasi esercizio politico ed ai pellirossa. Comunque la Costituzione americana rivestiva un modello di riferimento per gli stati europei che videro nell'America la libertà come scrisse il marchese di LaFayette in una lettera alla moglie:"Difensore di quella libertà che adoro,libero me stesso più che altri,venendo come amico ad offrire i miei servizi a questa Repubblica così interessante, io non porto che la mia franchezza e la mia buon volontà;nessuna ambizione,nessun interesse particolare,lavorando per la mia gloria io lavoro per la loro felicità.la felicità dell'america è intimamente legata alla felicità di tutta l'umanità. Essa diventerà il rispettabile e sicuro asilo della virtù, dell'onesta, della tolleranza, dell'uguaglianza, e di una tranquilla libertà." LA COSTITUZIONE AMERICANA 1787 PREAMBOLO Noi, popolo degli Stati Uniti, allo scopo di perfezionare ulteriormente la nostra Unione, di garantire la giustizia, di assicurare la tranquillità all'interno, di provvedere alla comune difesa, di promuovere il benessere generale e di salvaguardare per noi stessi e per i nostri posteri il dono della libertà, decretiamo e stabiliamo questa Costituzione degli Stati Uniti d'America. ARTICOLO I Sezione 1. - Tutti i poteri legislativi conferiti col presente atto sono delegati ad un Congresso degli Stati Uniti, composto da un Senato e da una Camera dei Rappresentanti. Sezione 2. - La Camera dei Rappresentanti sarà composta di membri eletti ogni due anni dal popolo dei vari Stati, e gli elettori di ciascuno Stato dovranno avere i requisiti richiesti per essere elettori della Camera più numerosa del Parlamento dello Stato. Non può essere Rappresentante chi non abbia raggiunto l'età di 25 anni, non sia da sette anni cittadino degli Stati Uniti e non sia, nel periodo delle elezioni, residente nello Stato in cui sarà eletto. Rappresentanti e le imposte dirette saranno ripartiti fra i diversi Stati che facciano parte della Unione secondo il numero dei loro abitanti; numero che verrà determinato aggiungendo al totale degli uomini liberi - compresi quelli sottoposti a prestazioni di servizio per un periodo limitato ed esclusi gli indiani non soggetti ad imposte - tre quinti del rimanente della popolazione.Il censimento deve essere fatto entro tre anni dalla prima riunione del Congresso degli Stati Uniti, e successivamente ogni dieci anni, secondo le norme che verranno stabilite per legge. Il numero dei Rappresentanti non supererà quello di uno per ogni trentamila abitanti, però ciascuno Stato avrà almeno un Rappresentante; e fino a che quel computo non sarà effettuato, lo Stato del New Hampshire avrà il diritto di eleggere tre Rappresentanti, il Massachusetts otto, il Rhode Island e le Piantagioni di Providence uno, il Connecticut cinque, lo Stato di New York sei, quello del New Jersey quattro, la Pennsylvania otto, il Delaware uno, il Maryland sei, la Virginia dieci, la Carolina del Sud cinque, la Georgia tre. Quando nella rappresentanza di uno Stato rimarranno seggi vacanti, già organi del Potere esecutivo indiranno le elezioni per ricoprire tali seggi.Camera dei Rappresentanti eleggerà il suo Presidente e le altre cariche ed essa sola avrà il potere di mettere in stato di accusa il Presidente o i membri del Congresso. Sezione 3. - Il Senato degli Stati Uniti sarà composto da due Senatori per ogni Stato, eletti dalla Legislatura locale per un periodo di sei anni; ed ogni Senatore disporrà di un voto.Immediatamente dopo la riunione successiva alla prima elezione, i Senatori saranno divisi in tre classi, in numero possibilmente eguale. I seggi dei Senatori della prima classe diverranno vacanti allo scadere del secondo anno, quelli della seconda classe allo scadere del quarto anno, quelli della terza allo scadere del sesto anno, in modo che ogni due anni venga rieletto un terzo del Senato; e ove nell'intervallo tra le sessioni della Legislatura di ciascuno Stato, in seguito a dimissioni o per altra causa qualsiasi, alcuni seggi rimangano vacanti, l'Esecutivo potrà procedere a nomine provvisorie fino alla successiva sessione della Legislatura, che conferirà i seggi vacanti. Non potrà essere Senatore chi non abbia compiuto l'età di 30 anni, non sia da nove anni cittadino degli Stati Uniti, e non sia, nel periodo della elezione, residente nello Stato in cui sarà eletto.Il Vicepresidente degli Stati Uniti sarà Presidente del Senato, ma non avrà voto, salvo nel caso di pareggio dei voti.Senato nominerà le altre sue cariche, come pure un Presidente protempore, il quale presiederà in assenza del Vicepresidente, o quando questi svolga le funzioni di Presidente degli Stati Uniti.Il Senato avrà il potere esclusivo di giudicare nei casi d'impeachment . Ove si riunisca per tale scopo, i suoi membri presteranno giuramento o impegneranno la loro parola. Ove si debba giudicare il Presidente degli Stati Uniti, presiederà il Presidente della Corte Suprema; nessun accusato potrà essere dichiarato colpevole senza una maggioranza dei due terzi dei membri presenti. Le condanne pronunziate in tali casi non avranno altro effetto se non di allontanare l'accusato dalla carica che occupa e di interdirgli, negli Stati Uniti, l'accesso a qualsiasi carica onorifica, di fiducia, o retribuita; ma il condannato potrà, nondimeno, essere soggetto, e sottoposto, ad incriminazione, processo, giudizio e punizione secondo le leggi ordinarie. Sezione 4. - La data, i luoghi e le modalità delle elezioni dei Senatori e dei Rappresentanti saranno fissati in ogni Stato dalle relative Legislature; ma il Congresso federale potrà in qualsiasi momento emanare o modificare queste norme, salvo per quanto riguarda i luoghi in cui i Senatori debbono essere eletti.Il Congresso si riunirà almeno una volta all'anno e tale riunione dovrà aver luogo nel primo lunedì di dicembre, a meno che non venga fissato per legge un altro giorno. Sezione 5. - Ciascuna delle due Camere sarà giudice delle elezioni, delle rielezioni e dei requisiti dei propri membri. Il numero legale per ciascuna delle due Camere sarà costituito dalla metà più uno; qualora non si raggiunga il numero legale, ciascuna Camera potrà aggiornare la seduta di giorno in giorno, ed essere autorizzata a costringere i membri assenti ad intervenire, ricorrendo a quei mezzi e comminando quelle sanzioni cui essa riterrà di ricorrere. Ciascuna Camera elaborerà il proprio regolamento, punirà i suoi membri per condotta scorretta, e potrà, a maggioranza di due terzi, procedere ad espulsioni.Ciascuna Camera redigerà un verbale delle proprie sedute e lo pubblicherà periodicamente, ad eccezione di ciò che crederà debba rimanere segreto; i voti favorevoli e contrari dei membri di ciascuna Camera, sopra una qualsiasi questione, saranno, su domanda di un quinto dei membri presenti, inseriti a verbale. Nessuna delle due Camere, durante la sessione del Congresso, potrà, senza il consenso dell'altra, rinviare la seduta per più di tre giorni, né spostare in luogo diverso da quello in cui seggono le due Camere. Sezione 6. - I Senatori e i Rappresentanti riceveranno per le loro funzioni un'indennità, che verrà determinata per legge e pagata dal Tesoro degli Stati Uniti. In nessun caso, salvo che per tradimento, fellonia e turbamento della quiete pubblica, essi potranno essere arrestati, sia durante la sessione, sia nel recarsi a questa o nell'uscirne; né, per i discorsi pronunziati o per le opinioni sostenute nelle rispettive Camere, potranno essere sottoposti a interrogatori in alcun altro luogo. Nessun Senatore e Rappresentante, per tutto il periodo per cui è stato eletto, potrà essere chiamato a coprire un qualsiasi ufficio civile alle dipendenze degli Stati Uniti, che sia stato istituito, o la cui retribuzione ne sia stata aumentata, durante detto periodo; e nessuno, che abbia un impiego alle dipendenze degli Stati Uniti, potrà essere membro di una delle due Camere anche conservi tale impiego. Sezione 7. - Tutti i progetti di legge relativi all'imposizione di tributi debbono avere origine nella Camera dei Rappresentanti; il Senato, però, può concorrervi, come per gli altri progetti di legge, proponendo emendamenti qualsiasi progetto di legge che abbia ottenuto l'approvazione del Senato e della Camera dei Rappresentanti, deve essere presentato, prima di divenire legge, al Presidente degli Stati Uniti. Questi, qualora lo approvi, vi apporrà la firma; in caso contrario, lo rinvierà con le sue osservazioni alla Camera da cui è stato proposto, e questa inserirà integralmente a verbale tali osservazioni e discuterà di nuovo il progetto. Se dopo questa seconda discussione, due terzi dei membri della Camera interessata si dichiareranno in favore del progetto, questo sarà mandato, insieme con le osservazioni del Presidente, all'altra Camera, da cui verrà discusso in maniera analoga; e se anche in questa sarà approvato con una maggioranza di due terzi, acquisterà valore di legge.In tali casi, però, i voti di entrambe le Camere debbono essere espressi con appello nominale, e i nomi dei votanti pro e contro saranno annotati nei verbali delle rispettive Camere. Se entro dieci giorni (escluse le domeniche) dal momento in cui gli sarà stato presentato, il Presidente non restituirà un progetto di legge, questo acquisterà forza di legge come se egli lo avesse firmato, a meno che il Congresso, aggiornandosi, non renda impossibile che il progetto stesso gli sia rinviato; nel qual caso il progetto non acquisterà forza di legge.Tutte le decisioni, le deliberazioni o i voti, per i quali sia necessario il concorso delle due Camere (salvo che si tratti di aggiornamenti) debbono essere sottoposti al Presidente degli Stati Uniti, e da lui approvati prima che entrino in vigore; oppure, se egli li respinge, debbono nuovamente essere approvati dai due terzi delle due Camere, conformemente a quanto prescritto per i progetti di legge. Sezione 8. - Il Congresso avrà facoltà: d'imporre e percepire tasse, diritti, imposte e dazi; di pagare i debiti pubblici e di provvedere alla difesa comune e al benessere generale degli Stati Uniti I diritti, le imposte, le tasse e i dazi dovranno, però, essere uniformi in tutti gli Stati Uniti; di contrarre prestiti per conto degli Stati Uniti; di regolare il commercio con le altre Nazioni, e fra i diversi Stati e con le tribù indiane;di fissare le norme generali per la naturalizzazione, e le leggi generali in materia di fallimento negli Stati Uniti; di battere moneta, di stabilire il valore della moneta stessa e di quelle straniere, e di fissare i vari tipi di pesi e di misure; di provvedere a punire ogni contraffazione dei titoli e della moneta corrente degli Stati Uniti; di stabilire uffici e servizi postali; di promuovere il progresso della scienza e delle arti utili, garantendo per periodi limitati agli autori e agli inventori il diritto esclusivo sui loro scritti e sulle loro scoperte; di costituire tribunali di grado inferiore alla Corte Suprema; di definire e di punire gli atti di pirateria e di fellonia compiuti in alto mare, nonché le offese contro il diritto delle genti; di dichiarare la guerra, di concedere permessi di preda e rappresaglia e di stabilire norme relative alle prede in terra e in mare; di reclutare e mantenere eserciti; nessuna somma, però, potrà essere stanziata a questo scopo per più di due anni; di creare e mantenere una Marina militare; di stabilire regole per l'amministrazione e l'ordinamento delle forze di terra e di mare; di provvedere a che la milizia sia convocata per dare esecuzione alle leggi dell'Unione, per reprimere le insurrezioni e per respingere le invasioni; di provvedere a che la milizia sia organizzata, armata e disciplinata e di disporre di quella parte di essa che possa essere impiegata al servizio degli Stati Uniti, lasciando ai rispettivi Stati la nomina degli ufficiali e la cura di addestrare i reparti secondo le norme disciplinari prescritte dal Congresso; di esercitare esclusivo diritto di legiferare in qualsiasi caso in quel distretto (non eccedente le dieci miglia quadrate) che per cessione di Stati particolari, e per consenso del Congresso, divenga sede del governo degli Stati Uniti; e di esercitare analoga autorità su tutti i luoghi acquistati, con l'assenso della Legislatura dello Stato in cui si trovano, per la costruzione di fortezze, di depositi, di arsenali, di cantieri e di altri edifici di utilità pubblica; di fare tutte le leggi necessarie ed adatte per l'esercizio dei poteri di cui sopra, e di tutti gli altri poteri di cui la presente Costituzione investe il governo degli Stati Uniti, o i suoi dicasteri ed uffici. Sezione 9. - L'immigrazione o l'introduzione di quelle persone che gli Stati attualmente esistenti possono ritenere conveniente di ammettere non potrà essere vietata dal Congresso prima dell'anno 1808; ma può essere imposta sopra tale introduzione una tassa o un diritto non superiore ai dieci dollari per persona.Il privilegio dell'habeas corpus non sarà sospeso se non quando, in caso di ribellione o d'invasione, lo esiga la sicurezza pubblica. Non potrà essere approvato alcun decreto di limitazione dei diritti del cittadino, né alcuna legge penale retroattiva.Non potrà essere imposto testatico, o altro tributo diretto, se non in proporzione del censimento e della valutazione degli averi di ciascuno, che dovranno essere effettuati come disposto più sopra nella presente legge.Nessuna tassa e nessun diritto potrà essere stabilito sopra merci esportate da uno qualunque degli Stati. Nessuna preferenza dovrà essere data dai regolamenti commerciali o fiscali ai porti di uno Stato rispetto a quelli di un altro; e le navi dirette ad uno Stato o provenienti dai suoi porti non potranno essere costrette ad entrare in quelli di un altro Stato o di pagarvi alcun diritto. Nessuna somma dovrà essere prelevata dal Tesoro, se non in seguito a stanziamenti decretati per legge; e dovrà essere pubblicato periodicamente un rendiconto regolare delle entrate e delle spese pubbliche.Gli Stati Uniti non conferiranno alcun titolo di nobiltà; nessuna persona che occupi un posto retribuito o di fiducia, alle dipendenze degli Stati Uniti potrà, senza il consenso del Congresso, accettare doni, emolumenti, incarichi o titoli da un Sovrano, da un Principe o da uno Stato straniero. Sezione 10. - Nessuno Stato potrà, concludere trattati, alleanze o patti confederali; o accordare permessi di preda o rappresaglia; o battere moneta; o emettere titoli di credito; o consentire che il pagamento dei debiti avvenga in altra forma che mediante monete d'oro o d'argento; o approvare alcun decreto di limitazione dei diritti del cittadino, alcuna legge penale retroattiva, ovvero leggi che portino deroga alle obbligazioni derivanti da contratti; o conferire titoli di nobiltà. Nessuno Stato potrà, senza il consenso del Congresso, stabilire imposte o diritti di qualsiasi genere sulle importazioni e sulle esportazioni, ad eccezione di quanto sia assolutamente indispensabile per dare esecuzione alle proprie leggi di ispezione; e il gettito netto di tutti i diritti e di tutte le contribuzioni imposte da qualsiasi Stato sulle importazioni e sulle esportazioni sarà a disposizione della Tesoreria degli Stati Uniti; e tutte le leggi relative saranno soggette a revisione e a controllo da parte del Congresso. Nessuno Stato potrà, senza il consenso del Congresso, imporre alcuna imposta sulle navi in base al tonnellaggi, mantenere truppe o navi da guerra in tempo di pace, concludere trattati o unioni con altri Stati o con Potenze straniere, o impegnarsi in una guerra, salvo in caso di invasione o di pericolo così imminente da non ammettere alcun indugio. ARTICOLO II Sezione 1. - II Presidente degli Stati Uniti d'America sarà investito del potere esecutivo. Egli rimarrà in carica per il periodo di quattro anni, e la sua elezione e quella del Vicepresidente, eletto per lo stesso periodo, avranno luogo nel modo seguente:Lo Stato nominerà, nel modo che verrà stabilito dai suoi organi legislativi, un numero di elettori pari al numero complessivo dei Senatori e dei Rappresentanti che lo Stato ha diritto di mandare al Congresso; nessun Senatore e Rappresentante, però, né alcuna persona che abbia un pubblico incarico o un impiego retribuito dagli Stati Uniti, potrà essere nominato elettore. Gli elettori si riuniranno nei rispettivi Stati e voteranno a scrutinio segreto per due persone, delle quali una almeno non dovrà appartenere allo stesso Stato degli elettori. Essi compileranno una lista di tutti coloro che hanno ottenuto voti e del numero dei voti raccolti da ciascuno; questa lista sarà da essi firmata, autenticata e trasmessa, sotto sigillo, alla sede del governo degli Stati Uniti, indirizzata al Presidente del Senato.Il Presidente del Senato, in presenza del Senato e della Camera dei Rappresentanti, aprirà le liste autenticate e quindi si procederà al computo dei voti. La persona che avrà ottenuto il maggior numero di voti sarà Presidente, sempre che questo numero rappresenti la maggioranza del numero totale degli elettori prescelti: e se vi sarà più di uno che abbia ottenuto tale maggioranza, con un eguale numero di voti, allora la Camera dei Rappresentanti procederà immediatamente a scegliere uno di essi per Presidente, mediante scrutinio segreto; qualora invece nessuno raccogliesse la maggioranza, la Camera procederà in modo analogo a eleggere il Presidente tra i cinque che abbiano raccolto il maggior numero di voti.Nell'elezione del Presidente, tuttavia, i voti saranno dati per Stato e la rappresentanza di ciascuno Stato avrà un solo voto. Il numero legale sarà costituito a tale scopo dalla rappresentanza, composta di uno o più membri, dei due terzi degli Stati, ma per la validità dell'elezione saranno necessari i voti della meta più uno di tutti gli Stati. In ogni caso, dopo l'elezione del Presidente, la persona che abbia raccolto il maggior numero di voti degli elettori sarà nominata Vicepresidente.Se due o più candidati si trovassero con egual numero di voti, il Senato eleggerà fra questi il Vicepresidente a scrutinio segreto. Il Congresso può determinare l'epoca per la designazione degli elettori, e il giorno in cui questi dovranno dare i loro voti; giorno che dovrà essere lo stesso per tutti gli Stati Uniti. Nessuna persona, che non sia per nascita o, comunque, cittadino degli Stati Uniti nel momento in cui questa Costituzione sarà adottata, potrà essere eleggibile alla carica di Presidente, né potrà essere eleggibile a tale carica chi non abbia raggiunto l'età di 35 anni e non sia residente negli Stati Uniti da 14 anni. In caso di rimozione del Presidente dalla carica, o di morte, o di dimissioni, o di inabilità ad adempiere le funzioni e i doveri inerenti alla sua carica, questa sarà affidata al Vicepresidente, ed il Congresso potrà provvedere mediante legge, in caso di rimozione, di morale, di dimissioni o di inabilità sia del Presidente che del Vicepresidente, dichiarando quale pubblico funzionario dovrà adempiere le funzioni di Presidente, e tale funzionario le adempirà fino a quando la causa di inabilità cessi, o venga eletto il nuovo Presidente. Il Presidente riceverà per i suoi servizi, a epoche stabilite, un'indennità, che non potrà essere aumentata né diminuita durante il periodo per il quale egli e stato eletto; ed egli non dovrà percepire durante tale periodo alcun altro emolumento dagli Stati Uniti o da uno qualsiasi degli Stati.Prima di entrare in carica, il Presidente dovrà fare la seguente dichiarazione, con giuramento o impegnando la sua parola d'onore: "Giuro, (o affermo) solennemente che adempirò con fedeltà all'ufficio di Presidente degli Stati Uniti e che con tutte le mie forze preserverò, proteggerò e difenderò la Costituzione degli Stati Uniti". Sezione 2. - Il Presidente sarà Comandante in Capo dell'Esercito, della Marina degli Stati Uniti e della Milizia dei diversi Stati, quando questa sia chiamata al servizio attivo degli Stati Uniti; egli potrà richiedere il parere per iscritto del principale funzionario di ciascuno dei dicasteri esecutivi su ogni argomento relativo ai doveri dei loro rispettivi uffici, e avrà anche l'autorità di concedere diminuzioni di pena e grazia per tutti i crimini compiuti contro gli Stati Uniti, salvo nel caso dei procedimenti di incriminazione da parte della Camera (impeachment). Egli avrà il potere, su parere e con il consenso del Senato, di concludere trattati, purché vi sia l'approvazione di due terzi dei Senatori presenti; designerà e, su parere e con il consenso dei Senato, nominerà gli ambasciatori, gli altri diplomatici e i consoli, i giudici della Corte Suprema e tutti gli altri pubblici funzionari degli Stati Uniti la cui nomina non sia altrimenti disposta con la presente Costituzione, e che debba essere stabilita con apposita legge; ma il Congresso può, mediante legge, devolvere quelle nomine di funzionari di grado inferiore che riterrà opportuno al solo Presidente, alle Corti giudiziarie, ovvero ai capi dei singoli dicasteri. Il Presidente avrà il potere di assegnare le cariche che si rendessero vacanti nell'intervallo tra una sessione e l'altra del Senato, mediante nomine provvisorie, le quali avranno validità fino alla fine della sessione successiva. Sezione 3. - Il Presidente informerà di tanto in tanto il Congresso sulle condizioni dell'Unione e raccomanderà all'esame del Congresso quei provvedimenti che riterrà necessari e convenienti; potrà, in contingenze straordinarie, convocare entrambe le Camere, oppure una di esse, e, in caso di dissenso tra le Camere circa la durata dell'aggiornamento, potrà fissare quella che gli parrà conveniente; riceverà gli ambasciatori e gli altri diplomatici; avrà cura della piena osservanza delle leggi e sanzionerà la nomina di tutti i funzionari degli Stati Uniti. Sezione 4. - Il Presidente, il Vicepresidente e ogni altro funzionario civile degli Stati Uniti saranno rimossi dall'ufficio ove. in seguito ad accusa mossa dalla Camera, risultino colpevoli di tradimento. di concussione o di altri gravi reati. ARTICOLO III Sezione 1. - II potere giudiziario degli Stati Uniti sarà affidato ad una Corte Suprema e a quelle Corti di grado inferiore che il Congresso potrà di volta in volta creare e costituire. I giudici della Corte Suprema e quelli delle Corti di grado inferiore conserveranno il loro ufficio finché non se ne renderanno indegni con la loro condotta (during good behavior), e ad epoche fisse riceveranno per i loro servizi un'indennità che non potrà essere diminuita finche essi rimarranno in carica. Sezione 2. - Il potere giudiziario si estenderà a tutti i casi, di diritto e di equità, che si presenteranno nell'ambito della presente Costituzione, delle leggi degli Stati Uniti e dei trattati stipulati o da stipulare, sotto la loro autorità; a tutti i casi concernenti gli ambasciatori, gli altri rappresentanti diplomatici ed i consoli; a tutti i casi che riguardino l'ammiragliato e la giurisdizione marittima; alle controversie tra due a più Stati, tra uno Stato e i cittadini di un altro Stato, tra cittadini di Stati diversi, tra cittadini di uno stesso Stato che reclamino terre in base a concessioni di altri Stati, e tra uno Stato o i suoi cittadini e Stati, cittadini o sudditi stranieri. In tutti i casi che riguardino ambasciatori, altri rappresentanti diplomatici, o consoli e in quelli in cui uno Stato sia parte in causa, la Corte Suprema avrà giurisdizione esclusiva. In tutti gli altri casi sopra menzionati la Corte Suprema avrà giurisdizione d'appello, sia in diritto che in fatto, con le eccezioni e norme che verranno fissate dal Congresso.Il giudizio per tutti i crimini, salvo nei casi di accusa mossa dalla Camera dei Rappresentanti, dovrà avvenire mediante giuria; e tale giudizio sarà tenuto nello Stato dove detti crimini siano stati commessi; quando il crimine non sia stato commesso in alcuno degli Stati, il giudizio si terra nel luogo o nei luoghi che saranno stati designati per legge dal Congresso. Sezione 3. - Sarà considerato tradimento contro gli Stati Uniti soltanto l'aver impugnato le armi contro di essi, o l'aver fatto causa comune con nemici degli Stati Uniti, fornendo loro aiuto e soccorsi. Nessuno sarà dichiarato colpevole di alto tradimento, se non su testimonianza di due persone che siano state presenti a uno stesso atto flagrante, ovvero quando egli confessi la sua colpa in pubblico processo. II potere di emettere una condanna per alto tradimento spetta al Congresso; ma nessuna sentenza di tradimento potrà comportare perdita di diritti per i discendenti, o confisca di beni se non durante la vita del colpevole. ARTICOLO IV Sezione 1. - In ogni Stato saranno attribuiti piena fiducia e pieno credito agli atti, ai documenti pubblici e ai procedimenti giudiziari degli altri Stati; e il Congresso potrà, mediante leggi generali, prescrivere il modo in cui la validità di tali atti, documenti e procedimenti debba essere determinata, nonché gli effetti della validità stessa Sezione 2. - I cittadini di ogni Stato hanno diritto, in ogni altro Stato, a tutti i privilegi e a tutte le immunità inerenti alla condizione di cittadini. Qualsiasi persona accusata in uno Stato di alto tradimento, di fellonia o di altro crimine e che si sia sottratta alla giustizia e sia trovata in un altro Stato, sarà - su richiesta degli organi esecutivi dello Stato da cui è fuggita - consegnata e condotta allo Stato che abbia giurisdizione per il reato ad essa imputato. Nessuna persona sottoposta a prestazioni di servizio o di lavoro in uno degli Stati, secondo le leggi ivi vigenti, e che si sia rifugiata in un altro Stato potrà, in virtù di qualsiasi legge o regolamento quivi in vigore, essere esentata da tali prestazioni di servizio o di lavoro; ma, su richiesta dell'interessato, verrà riconsegnata alla parte cui tali prestazioni sono dovute. Sezione 3. - Nuovi Stati potranno essere ammessi nell'Unione per decisione del Congresso; ma nessuno Stato nuovo potrà essere costituito entro la giurisdizione di qualsiasi Stato già esistente; e nessuno Stato potrà essere formato dalla riunione di due o più Stati già esistenti, o di parte di essi, senza il consenso delle Legislature degli Stati interessati, oltre che del Congresso. Il Congresso avrà l'autorità di disporre del territorio e delle altre proprietà appartenenti agli Stati Uniti e di stabilire tutte le norme e le misure che in detto territorio si ritenessero necessarie. Nessuna disposizione della presente Costituzione potrà essere interpretata in modo pregiudizievole a qualsiasi diritto che possa essere accampato dagli Stati Uniti o da uno dei singoli Stati. Sezione 4. - Gli Stati Uniti garantiranno ad ogni Stato dell'Unione la forma di governo repubblicana, e proteggeranno ogni Stato contro qualsiasi invasione e - su richiesta degli organi legislativi o del Potere esecutivo (quando il Legislativo non possa essere convocato) - contro violenze interne. ARTICOLO V Il Congresso, ogniqualvolta i due terzi delle Camere lo riterranno necessario, proporrà emendamenti alla presente Costituzione, oppure, su richiesta dei due terzi delle Legislature dei vari Stati, convocherà una Convenzione per proporre gli emendamenti. In entrambi i casi, gli emendamenti saranno validi a ogni effetto, come parte di questa Costituzione, allorché saranno stati ratificati dalle Legislature di tre quarti degli Stati, o dai tre quarti delle Convenzioni riunite a tale scopo in ciascuno degli Stati, a seconda che l'uno o l'altro modo di ratifica sia stato prescritto dal Congresso; tuttavia resta stabilito che nessun emendamento, prima dell'anno 1808, potrà modificare in alcun modo i capoversi primo e quarto della Sezione 9 dell'Articolo I, e che nessuno Stato, senza il suo proprio consenso, potrà essere privato della parità di rappresentanza nel Senato. ARTICOLO VI Tutti i debiti contratti e le obbligazioni assunte prima della presente Costituzione saranno validi per gli Stati Uniti sotto la presente Costituzione, come lo erano sotto la Confederazione.La presente Costituzione e le leggi degli Stati Uniti che verranno fatte in conseguenza di essa, e tutti i trattati conclusi, o che si concluderanno, sotto l'autorità degli Stati Uniti, costituiranno la legge suprema del Paese (the supreme Law of the Land); e i giudici di ogni Stato saranno tenuti a conformarsi ad essi, quali che possano essere le disposizioni in contrario nella Costituzione o nella legislazione di qualsiasi singolo Stato. I Senatori e i Rappresentanti sopra menzionati, i membri delle Legislature dei singoli Stati e tutti i rappresentanti del Potere esecutivo e di quello giudiziario, sia degli Stati Uniti, che di ogni singolo Stato, saranno tenuti, con giuramento e con dichiarazione sul loro onore, a difendere la presente Costituzione; ma nessuna professione di fede religiosa sarà mai imposta come necessaria per coprire un ufficio od una carica pubblica degli Stati Uniti. ARTICOLO VII La ratifica da parte delle Assemblee di nove Stati sarà sufficiente a far entrare in vigore la presente Costituzione negli Stati che l'abbiano in tal modo ratificata. Redatto in Assemblea per unanime consenso degli Stati presenti, il giorno diciassettesimo del settembre dell'anno del Signore 1787, e dodicesimo dell'indipendenza degli Stati Uniti d'America.

 
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