STORIA D'ITALIA
IL QUARANTOTTO IN ITALIA ED IN EUROPA
L'ondata rivoluzionaria della seconda metà del diaciannovesimo secolo ebbe
tutte le caratteristiche di una vera e propria rivoluzione europea. Nella
primavera del 1848 la sollevazione diffusa dei popoli oppressi manifestò una
carica collettiva di lotta e una volontà di emancipazione politica dallo
straniero e dai regimi autoritari tanto matura e consapevole che i primi
incerti e timidi tentativi insurrezionali degli anni Venti sembrano,
rispetto ad essa, appartenere ad un'altra età della storia. Nelle
rivoluzioni del 1848 si intrecciarono elementi vecchi e nuovi. Nei Paesi più
progrediti economicamente ebbero certamente un peso di rilievo le nuove
contraddizioni sociali legate all'affermazione della società industriale
borghese; è il caso della Francia dove un prematuro scontro tra borghesia e
proletariato sarà l'epilogo degli avvenimenti del '48. Nel resto d'Europa, a
determinare quella che fu chiamata la primavera dei popoli, fu la lotta per
abbattere le sopravvivenza delle strutture del vecchio mondo dominante,
aristocratico e oppressivo (come nell'Impero austriaco) il cui prestigio
venne irrimediabilmente leso.
IL CONGRESSO DI VIENNA
IL CONGRESSO DI VIENNA E LA SANTA ALLEANZA (1814-15)
I) Dopo la caduta dell'Impero napoleonico, le potenze vincitrici (Austria,
Russia, Inghilterra e Prussia) convocano un Congresso a Vienna per tre
scopi: 1) reprimere le spinte di rinnovamento politico-sociale e le esigenze
delle nazionalità che il rivolgimento napoleonico aveva sollevato in tanta
parte d'Europa; 2) restaurare le legittime dinastie e le autorità
tradizionali; 3) delimitare le nuove frontiere fra gli Stati, assicurando il
contenimento della Francia e l'equilibrio europeo. La Francia inviò come
osservatore il ministro Talleyrand, il quale però seppe impedire che il
Congresso si trasformasse in una coalizione antifrancese.
II) Talleyrand, infatti, approfittando del contrasto che divideva Russia e
Prussia da Austria e Inghilterra (la Russia voleva la Polonia, mentre
l'Inghilterra voleva impedirglielo; la Prussia voleva la Sassonia, ma
l'Austria era contraria), affermò il principio di legittimità, secondo cui i
territori europei dovevano ritornare a quei sovrani che per eredità vi
avevano regnato prima del 1789. Questo principio ignorava volutamente quello
della sovranità popolare, affermato dalla Rivoluzione francese.
III) I risultati del Congresso furono i seguenti:
1) la Francia perse tutte le conquiste della Rivoluzione e di Napoleone e
dovette accontentarsi dei confini anteriori al 1790. Ritorna al trono la
dinastia dei Borbone con Luigi XVIII (1814-1824).
2) L'Impero d'Austria, sotto Francesco I d'Asburgo (1806-1835), già
imperatore del Sacro Romano Impero col nome di Francesco II (1792-1806),
rinuncia ai Paesi Bassi in favore dell'Olanda, ma riottiene tutti i
territori perduti nel conflitto con la Francia. L'Impero è molto vasto:
oltre all'Austria vi è il Trentino e l'Istria, il Lombardo-Veneto e la
Dalmazia, regioni polacche della Galizia e Bucovina, poi la Boemia,
l'Ungheria e la Croazia. L'Austria era anche a capo della Confederazione
germanica costituitasi sulle rovine dei 360 organismi politici che fino al
1806 avevano formato il Sacro Romano Impero. La nuova Confederazione
comprende ora 39 Stati, tutti indipendenti e sovrani, rappresentati da una
Dieta centrale a Francoforte (vi erano i regni di Hannover, Sassonia,
Baviera, Württemberg, città come Amburgo, Francoforte, Lubecca, Brema, e
altri principati).
3) La Prussia, sotto la sovranità di Federico Guglielmo III di Hohenzollern
(1797-1840), cede alla Russia quasi tutte le terre polacche acquistate dopo
il 1793, ma acquista vari territori a ovest (Pomerania, Brandeburgo, Slesia,
che fanno parte della Confederazione germanica).
4) La Russia, sotto lo zar Alessandro I Romanov (1801-1825), acquista dalla
Slesia la Finlandia e dalla Turchia la Bessarabia, ottiene buona parte della
Polonia.
5) L'Inghilterra non ebbe in Europa vantaggi rilevanti, ma entrò in possesso
di molte colonie francesi e olandesi (Guiana, Ceylon...).
6) In Italia scompaiono le repubbliche di Venezia, Genova e Lucca. Il regno
di Sardegna è restituito a Vittorio Emanuele I di Savoia (1802-21) che si
annette la Liguria. Il regno Lombardo-Veneto passa all'Austria. Molti altri
ducati vengono assegnati a dinastie imparentate con la Casa d'Asburgo
(Parma, Piacenza, Modena, Reggio, Toscana, Lucca...). I regni di
Napoli-Sicilia passano a Ferdinando I di Borbone, che diventa re delle Due
Sicilie (1815-25), legato all'Austria da un trattato di alleanza militare.
Lo Stato Pontificio venne restituito a Pio VII (1800-23).
IV) Nel settembre 1815, lo zar di Russia, deluso dai modesti risultati
ottenuti dal Congresso, riprende l'iniziativa politico-diplomatica stilando
un documento che auspicava forme di collaborazione internazionale (a livello
dei sovrani) sulla base della comune matrice cristiana della civiltà
europea. Nasce così la Santa Alleanza, cui aderiscono la maggior parte delle
potenze europee. Rifiutarono di firmare il documento sia l'Inghilterra,
perché era contraria a un'eccessiva influenza della Russia nella politica
europea, sia lo Stato Pontificio, che non poteva vedere con simpatia il
legame tra un sovrano ortodosso (lo zar), un imperatore cattolico
(austriaco) e un sovrano protestante (prussiano). L'Austria invece si servì
dell'Alleanza per far accettare ai paesi che l'avevano sottoscritta la
politica dell'intervento, secondo cui ogni Stato doveva sentirsi autorizzato
a intervenire ovunque scoppiassero moti rivoluzionari e spinte
all'indipendenza delle nazionalità oppresse.
V) Il periodo che va dal Congresso di Vienna alla Rivoluzione parigina del
1830 (che rilancia l'esperienza liberale su scala europea), venne chiamato
col termine di "restaurazione" (di autorità presunte legittime ma, più in
generale, di aspetti conservatori della vita pubblica). Si afferma così
l'Europa legittimista. In Italia la restaurazione è portata avanti non solo
dall'Austria, ma anche dai Savoia, Borbone e Stato pontificio. Quest'ultimo
ristabilì l'ordine dei gesuiti, chiese ai governi che l'istruzione pubblica
fosse restituita al monopolio delle scuole confessionali, ottenne che ogni
attività culturale fosse sottoposta a preventiva censura ecclesiastica, che
la stampa e la diffusione di opere proibite dalla Congregazione dell'Indice
venissero perseguite dal potere giudiziario come reati civili, soppresse il
codice napoleonico e ricostituì il tribunale dell'Inquisizione.
L'ETA' DELLA RESTAURAZIONE
I) Nonostante questi tentativi di capovolgere il movimento della storia,
nessuna forza reazionaria, monarchica e aristocratica, era in grado di
distruggere il nuovo sistema capitalistico più progredito, affermatosi prima
in Inghilterra, in Francia, in diversi paesi europei e anche negli USA. Il
capitalismo si sviluppava con successo sostituendo il lavoro manuale con
quello delle macchine, l'artigianato e la manifattura con le fabbriche:
nelle campagne liquidava i rapporti feudali e la servitù della gleba. Tutto
ciò, entrando in palese contraddizione col dominio della nobiltà, dei
principi, degli imperatori e del clero, determinò la nuova ripresa del
movimento rivoluzionario borghese negli anni '20 del sec. XIX.
II) In Italia la borghesia, frantumata nei vari piccoli Stati, non aveva
campo d'azione. La vita interna degli Stati italiani era caratterizzata da
strutture proprie di una società preindustriale. L'intensificazione dei
traffici coi mercati d'oltralpe (era aumentata la richiesta di seta e cotone
nonché di generi alimentari pregiati) rendeva ancor più evidenti le nostre
condizioni di arretratezza. L'Italia rischiava d'essere tagliata fuori dagli
sviluppi del capitalismo industriale dell'occidente europeo. Produttori e
commercianti chiedevano: unificazione doganale e creazione di un organico e
moderno sistema di comunicazioni interne. (Nei primi anni della
Restaurazione furono soprattutto gli scrittori romantici a intraprendere
un'opera di sprovincializzazione della cultura italiana, inserendola nel più
vasto moto del Romanticismo europeo).
LA RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO IN FRANCIA
Nel corso degli anni la monarchia di Filippo d'Orleans, che aveva
conquistato il potere nel 1830, aveva sempre più acuito il suo carattere
antioperaio e antidemocratico; ciò era avvenuto malgrado la politica di
compromesso (detta del "giusto mezzo") attuata dal ministro Guizot, che finì
per scontentare sia l'alta borghesia finanziaria, corrotta e sfrenatamente
affarista, sia la media e piccola borghesia e, principalmente, i ceti
operai. Questi ultimi vennero di fatto esclusi politicamente e costretti
alla disoccupazione e alla fame; infatti la politica inflazionistica e
corrotta dei gruppi al potere aveva provocato una profonda crisi economica
che investiva la produzione industriale. L'opposizione delle masse piccolo -
borghesi e operaie si muoveva rivendicando una riforma elettorale a
suffragio universale e non più ristretta ai possidenti e ai ricchi borghesi.
La rivoluzione scoppiò il 22 febbraio 1848 proprio a seguito di un divieto,
da parte delle forze dell'ordine, di una manifestazione per la riforma
elettorale. Come nelle tradizioni della storia francese dalla grande
rivoluzione in poi, in pochi giorni Parigi fu in mano al popolo; in testa
all'insurrezione questa volta erano le forze repubblicano - radicali e
socialiste.
Il vero protagonista della rivoluzione che combatté nelle piazze fu il
proletariato cittadino, che aveva già una sua espressione politica nel
partito socialista. Si formò un governo provvisorio con socialisti,
radicali, repubblicani moderati che proclamò la "Repubblica Sociale". Al
centro dei problemi si pose quello del lavoro; i primi decreti ufficiali
riguardarono infatti la riduzione della giornata lavorativa a 10 ore,
l'allargamento del diritto di voto a tutta la popolazione maschile,
l'abolizione della pena di morte per i reati politici.
Il governo provvisorio fece il primo esperimento di collaborazione
governativa tra borghesia e proletariato, il quale era rappresentato al
governo dal deputato socialista Louis Blanc e dall'operaio Alexandre Martin
detto Albert. Ben presto però questa possibilità di programma e di azione
comune si rivelò impraticabile. Per i problemi del lavoro si formò una
commissione specifica, la Commissione del Lussemburgo, presieduta da Blanc e
Albert, che così vennero allontanati dal governo di cui facevano parte; gli
"ateliers nationaux" (fabbriche nazionali), speciali organismi che avrebbero
dovuto occuparsi del problema dell'occupazione, si ridussero a degli uffici
di collocamento in grado soltanto di dare assistenza o lavori precari ai
disoccupati.
In realtà l'apparato dello Stato e le leve del potere economico restavano
interamente nelle mani dei borghesi moderati, ed in questa situazione le
rivendicazioni operaie e la Commissione del Lussemburgo apparvero presto
come elementi di turbamento rispetto ai compiti, non certo facili, della
creazione di una repubblica borghese. La paura del comunismo si fece viva
anche tra le forze democratiche creando un clima politico che portò
all'Assemblea Costituente, eletta a suffragio universale, una maggioranza di
repubblicani di destra. Questi ultimi furono eletti soprattutto con i voti
dei contadini piccolo - proprietari, cui un'abile propaganda borghese e
clericale aveva prospettato il pericolo della perdita della loro proprietà
sulla terra.
Per questi motivi la Repubblica Sociale venne liquidata dalla Seconda
Repubblica, costituita nel novembre 1848. I socialisti furono, in seguito ad
una legge speciale, esclusi dal governo e gli "ateliers nationaux" chiusi.
Le condizioni politiche resero inoltre possibile quella sanguinosissima
repressione militare che, diretta dal generale Eugène Cavaignac, soffocò nel
sangue l'insurrezione operaia del giugno 1848, lasciando sulle piazze
migliaia di morti. Tremila operai furono fucilati senza processo, i centri
organizzativi del movimento furono dispersi.
La Repubblica francese imboccava così la strada della involuzione
autoritaria che avrebbe portato per la seconda volta in Francia
all'affermazione del potere personale di un capo.
DALLA REPUBBLICA ALL'IMPERO
Luigi Napoleone, nipote del grande Bonaparte, fu eletto presidente della
Repubblica nel dicembre del 1848. Portato a rappresentare la Repubblica
dalla borghesia moderata e conservatrice, dai contadini e dagli ambienti
militari, che vedevano in lui l'uomo capace di riportare l'ordine e la
tranquillità sociale, in pochissimi anni egli trasformò la repubblica
borghese in un regime dittatoriale basato fino all'ultimo su un largo
consenso sociale.
Le tappe di questa ascesa al potere di Bonaparte furono:
- l'intervento militare del 1848 contro la Repubblica Romana sorta, come
vedremo, durante la prima guerra per l'indipendenza italiana, intervento
deciso autonomamente da lui contro la volontà del Parlamento.
- la promulgazione di una nuova Costituzione, in seguito ad un plebiscito
del dicembre 1851, secondo la quale i poteri del presidente diventavano
decennali e tali da controllare tutti gli altri organi statali; si trattava
di un colpo di stato, simile a quello compiuto il 18 brumaio da Napoleone i
con il quale questi aveva distrutto la Repubblica del 1793;
- l'istituzione dell'Impero ereditario, con una deliberazione del Senato e
un nuovo plebiscito del 2 dicembre del 1852 con cui assumeva il titolo di
Napoleone III, "imperatore dei Francesi per grazia di Dio e volontà della
nazione".
LE RIVOLUZIONI IN EUROPA
I moti insurrezionali del 1848 non ebbero le stesse motivazioni e gli stessi
obiettivi nei vari stati europei.
In Francia, dove l'ordinamento dello Stato era monarchico - costituzionale,
prevalsero idee repubblicane e socialiste; dove invece le condizioni
politiche ed economiche erano più arretrate, come in Germania, Austria,
Italia, Ungheria, si mirò a strappare ai governi assoluti la costituzione o
a realizzare l'unificazione e l'indipendenza nazionale.
In Germania, allo scoppio dei moti in diverse città, i principi si
affrettarono a concedere la costituzione e la libertà di stampa. I liberali
tedeschi convocarono un'assemblea di rappresentanti eletti da tutti gli
Stati della Confederazione che si riunirono nel Parlamento di Francoforte.
Nel regno di Prussia intanto, da dove era già partito con la costituzione
della lega doganale nel 1834 un processo di unificazione economica degli
Stati tedeschi, i liberali esercitarono pressioni sul sovrano Federico
Guglielmo IV affinché abbandonasse il suo regime autoritario tradizionale e
facesse assumere allo Stato prussiano il ruolo di Stato guida per
l'unificazione nazionale delle popolazioni tedesche. Il sovrano, che era
stato costretto a concedere alcune riforme costituzionali, rifiutò
energicamente l'offerta del trono della Germania unita che gli fece il
Parlamento di Francoforte, nel momento in cui trionfava la rivoluzione a
Berlino e gli Austriaci erano in ritirata. La concezione del potere
autoritaria e illiberale del re prussiano fece fallire questa possibilità di
unificazione della Germania.
Federico Guglielmo non avrebbe infatti mai potuto accettare una corona
offertagli da un parlamento eletto dal popolo come quello di Francoforte ed
era inoltre troppo nazional -prussiano per potere concepire uno Stato
germanico. Al rifiutò del sovrano il Parlamento di Francoforte non riuscì a
continuare la sua attività mancando al proprio interno di una unanimità di
programma; venne così sciolto un anno dopo mentre l'egemonia austriaca
riprendeva il sopravvento.
Anche l'Impero austriaco venne profondamente scosso dai moti rivoluzionari
del 1848. L'opera del Metternich crollò sotto i colpi delle insurrezioni
scoppiate nelle più importanti città dell'Impero. Vienna, Praga, Budapest,
Milano insorsero coinvolgendo le popolazioni limitrofe delle campagne.
All'imperatore Ferdinando I, costretto a licenziare il suo braccio destro
Metternich, venne imposta la costituzione liberale.
Ma i colpi più duri all'Impero asburgico vennero dai popoli che
rivendicavano l'autonomia nazionale, come gli Stati tedeschi e il Lombardo -
Veneto.
LA PRIMA GUERRA PER L'INDIPENDENZA ITALIANA
Tra le città europee insorte nella primavera del 1848, un posto di rilievo
spetta a Milano e Venezia, le due grandi città del Lombardo - Veneto,
dominio diretto degli Austriaci in Italia. Durante le gloriose Cinque
Giornate di Milano (18-22 marzo) la popolazione aveva cacciato le forze
militari austriache. Lo stesso era avvenuto a Venezia il 17 marzo, e
l'esercito imperiale, comandato dal maresciallo Radetzky, era stato
costretto a ritirarsi nella zona tra Peschiera, Mantova, Verona e Legnago,
il cosiddetto "Quadrilatero". L'insurrezione antiaustriaca nel Lombardo -
Veneto mise in moto un vasto movimento liberale in tutto il territorio
italiano che puntò concretamente, per la prima volta, all'unificazione e
all'indipendenza.
Al '48 l'Italia era arrivata dopo un biennio caratterizzato dalla
rivendicazione nei vari Stati, da parte dei liberali, della riforma
costituzionale.
A dare l'avvio al processo riformista era stata l'elezione a pontefice del
cardinale Giovanni Mastai Ferretti, che assunse il nome di Pio IX, nel 1846;
egli infatti, appena eletto, sotto la pressione dei liberali romani aveva
concesso una serie di riforme ad indirizzo liberale.
L'esempio del pontefice ed il risveglio delle forze democratiche, che erano
intanto cresciute grazie alla propaganda di Giuseppe Mazzini e dei suoi
seguaci, indussero il re Carlo Alberto di Savoia (in Piemonte) e il granduca
Leopoldo Il (in Toscana) a cedere sul problema costituzionale.
Del tutto alieno dal concedere riforme restò Ferdinando II re delle Due
Sicilie. E fu proprio a Palermo, nel suo regno, che scoppiò il primo moto
rivoluzionario del '48 europeo. Il 9 gennaio la città insorse sotto la
direzione di Giuseppe La Masa e Rosolino Pilo. L'insurrezione aveva
carattere liberale, antiborbonico e separatista (nei confronti del rimanente
territorio del Regno). Il 2 febbraio si formò infatti un governo provvisorio
siciliano che dichiarava l'autonomia della Sicilia. Il fermento
rivoluzionario si propagò fino a Napoli costringendo anche Ferdinando Il a
concedere la Costituzione.
Era questa la situazione in Italia quando giunsero le notizie delle
insurrezioni nelle città dell'Impero austriaco. Nei ducati di Modena e di
Parma i rispettivi sovrani furono costretti alla fuga. L'Italia
settentrionale era così di fatto già in guerra contro l'Austria, una guerra
popolare promossa dall'azione dei democratici. A questo punto, la necessità
di condurre a fondo l'azione militare antiaustriaca, la preoccupazione dei
liberali aristocratici e moderati nei confronti di questo moto popolare,
l'esigenza sentita da tutti (anche dal repubblicano Mazzini) di un esercito
regolare capace di fronteggiare quello austriaco e infine l'esigenza di dare
un volto unitario alle lotte, fecero convergere l'attenzione di tutti i
patrioti italiani verso il re di Sardegna Carlo Alberto.
Appelli e pressioni furono rivolti da tutte le parti al sovrano sabaudo
affinché si ponesse alla testa del moto d'indipendenza nazionale e
dichiarasse guerra all'Austria. Il 23 marzo Carlo Alberto dichiarava la
guerra e faceva muovere il suo esercito su Milano, quando la città era già
stata liberata dai suoi cittadini. Eserciti regolari mandati dai sovrani
giunsero da altri Stati italiani. Il moto popolare diventò cosi guerra
regolare degli Stati federati italiani decisi a non lasciare il Piemonte
solo contro l'Austria.
Inoltre giunsero da ogni parte d'Italia combattenti volontari, studenti e
intellettuali che accorsero numerosissimi fuori dalle file degli eserciti
regolari. Le vittorie piemontesi a Goito e Pastrengo (9 e 30 aprile)
coronarono questa prima fase della guerra caratterizzata da un grande
entusiasmo e da una partecipazione unitaria dei sovrani e del popolo
italiano.
Ma le difficoltà non tardarono a venire. Interessi ancora troppo
contrastanti si celavano dietro questo consenso unitario alla guerra. I
principi italiani, che in fondo erano stati costretti dalle pressioni
liberali a partecipare alla guerra, oltre che dalla loro volontà di non
lasciare al Piemonte il possibile esito vittorioso della guerra, preoccupati
dal carattere popolare che l'iniziativa continuava ad assumere e dal timore
di fare in fondo il gioco degli interessi sabaudi, ritirarono le loro truppe
regolari.
Il primo fu il papa Pio IX che con l'allocuzione del 29 aprile dichiarava
che al "padre di tutti i fedeli" non era lecito far guerra a uno Stato
cattolico, qual era l'Austria. Leopoldo Il e Ferdinando Il seguirono il suo
esempio e ritirarono le loro truppe. Il re delle Due Sicilie addirittura
sciolse il Parlamento provocando sanguinose repressioni.
Rimasto solo a fronteggiare la situazione, Carlo Alberto ritenne giunto il
momento di rendere più decisa la sua linea politica dando il via alle
annessioni al Regno di Sardegna dei territori sottratti all'Austria. La
politica annessionistica piemontese creò profondi contrasti interni al
fronte impegnato nella guerra. Le forze democratiche non potevano infatti
più insistere sulla linea (adottata all'inizio delle operazioni militari) di
rimandare a dopo la fine della guerra il problema dell'assetto politico da
dare all'Italia. Il Piemonte spinse agli estremi la sua linea (volta
all'ingrandimento territoriale del proprio Stato) rifiutando l'intervento
dei volontari di Garibaldi e proseguendo le operazioni di guerra con grande
incertezza e prudenza, preoccupato oltre misura di non dare spazio
all'iniziativa popolare.
Malgrado questa difficile situazione, a Curtatone e Montanara i volontari
toscani bloccarono gli Austriaci, che venivano ancora battuti dall'esercito
piemontese a Goito e dovevano abbandonare Peschiera.
Fu però la sconfitta di Custoza (26 luglio) a segnare la fine della prima
fase della guerra. Non volendo tentare un'immediata riscossa che solo
l'intervento dei volontari ed una politica più aperta avrebbero potuto
assicurare, Carlo Alberto si affrettò a chiedere l'armistizio all'Austria.
Questo fu firmato il 9 agosto a Milano dal generale Salasco, per la parte
piemontese, e dal maresciallo Radetzky, per la parte austriaca.
RIPRESA, FINE E CONSEGUENZE DELLA GUERRA
La ripresa della guerra nell'anno successivo avvenne in un momento
sfavorevole alle forze democratiche di tutta Europa che cadevano sotto i
colpi della reazione.
La Repubblica francese abbandonava in quel momento le sue originarie istanze
sociali dandosi un rigido volto autoritario con l'elezione di Luigi
Napoleone. In Germania, a Vienna e a Praga gli eserciti austriaci avevano la
meglio sulle ultime resistenze popolari, mentre l'Ungheria veniva piegata
soltanto un anno dopo, con l'appoggio delle truppe russe venute in aiuto
degli Austriaci. A Napoli Ferdinando aveva già imboccato la via della
repressione.
Nell'Italia settentrionale i democratici, fatti più sicuri dal fallimento
della linea liberale moderata seguita dal Piemonte, riproposero con forza il
problema della guerra, obbligando Carlo Alberto a riprendere le ostilità
contro l'Austria.
Ma in questa situazione internazionale, l'esito negativo era già segnato in
partenza. Infatti alla sconfitta piemontese di Novara (21-23 marzo 1849)
fecero seguito l'abdicazione del sovrano a favore del figlio Vittorio
Emanuele Il e l'armistizio del 26 marzo. La Pace di Milano fu firmata, dopo
difficili trattative, il 6 agosto.
Tranne che in Toscana, dove gli Austriaci riportarono l'ordine e il granduca
al potere, le roccaforti del movimento democratico, a Roma e a Venezia,
continuarono a resistere. Saranno le truppe del generale Oudinot a piegare
la Repubblica Romana definitivamente il 3 luglio 1849, dopo un mese
d'assedio: in questo periodo la propaganda mazziniana e la presenza attiva
di Mazzini e di Garibaldi avevano rafforzato il consenso del popolo, che
diede splendidi esempi di eroismo nella difesa della città. I bombardamenti
austriaci, la mancanza di generi alimentari e soprattutto un'epidemia di
colera costrinsero poi anche Venezia alla resa, il 26 agosto.
E così in tutta Italia si ritornò alla situazione politica precedente. Le
libertà costituzionali vennero soppresse, tranne che nel Piemonte dove lo
Statuto Albertino restò in vigore. Il dominio straniero tornò a gravare su
buona parte della popolazione italiana.
Il Quarantotto tuttavia portò ad una definitiva affermazione della causa
unitaria e indipendentista, formò una coscienza nazionale e creò tutte le
premesse per la continuazione in Italia della lotta risorgimentale.
DAL 1848 AL 1859: PANORAMA EUROPEO
I dieci anni che separano la prima dalla seconda guerra per l'indipendenza
italiana furono anni d'intensa attività per tutte le forze politiche
impegnate nella causa dell'unificazione nazionale. L'azione dei mazziniani
che si continuavano a muovere secondo un'ipotesi democratico -
insurrezionale, l'attività politico - diplomatica dello statista piemontese
Camillo Benso di Cavour, i fermenti e le battaglie culturali, offrono un
quadro della vita intellettuale e politica degli Italiani caratterizzata
principalmente dalla crescita di uno spirito collettivo unitario.
La situazione europea in cui si inserivano le vicende italiane era anch'essa
in una fase di mutamento e progresso economico. Il sistema produttivo
capitalistico, in piena fase espansiva, compì un ulteriore salto in avanti
con la costruzione delle ferrovie e con lo sviluppo delle industrie
metallurgiche. Le ferrovie, nel periodo che va dal 1850 al 1870, passarono
da 38.568 chilometri a 190.000 chilometri, la produzione di carbone e ferro
risultò triplicata.
Nel clima politico di generale restaurazione seguito alle rivoluzioni del
1848, lo sviluppo degli avvenimenti francesi mutò gli equilibri tra gli
Stati provocando nuovi conflitti. All'interno di questa fase di instabilità
del quadro politico europeo, si inserivano le esigenze di indipendenza di
Tedeschi e Italiani. Questi popoli riuscirono a portare a compimento il
processo di unificazione nazionale grazie anche ad un'accorta politica di
alleanze con altri Stati interessati a mettere fine all'egemonia austriaca.
Come l'Italia, la Germania si trovava ancora frazionata in una serie di
piccoli Stati indipendenti sotto la soggezione politica dell'Impero
austriaco. Il regno di Prussia, il più forte militarmente ed economicamente
tra gli Stati tedeschi, aveva assunto una posizione di rilievo già nel 1848.
I liberali tedeschi videro nel sovrano di Prussia il possibile artefice
dell'unità nazionale, così come i liberali italiani avevano fatto con il re
di Sardegna.
Ma, più autoritario e legato alla carica di sovrano che portava, Federico
Guglielmo non accettò le pressioni liberali e non volle correre i rischi di
una rivoluzione popolare che invece Carlo Alberto aveva corso. Il fallimento
dell'ondata rivoluzionaria democratica del 1848 ridiede spazio sia in
Germania che in Italia ad una possibilità di rivoluzione dall'alto che
doveva riuscire, come vedremo, vincente.
L'Italia e la Germania finirono per costituirsi in nazione rispettivamente
intorno al Piemonte ed alla Prussia: l'impronta antidemocratica di questo
processo di unificazione non fu priva di conseguenze e contraddizioni sia
durante la fase politica di attuazione sia, soprattutto, nella fase
successiva di sviluppo dei due nuovi Stati. Cavour e Bismarck, due statisti
di notevole capacità politica, furono gli artefici dell'unificazione
italiana e tedesca.
MOVIMENTI INSURREZIONALI IN ITALIA
In Italia, durante il decennio che stiamo esaminando, il trionfo della linea
politica moderata di Cavour non avvenne senza contraddizioni e senza scontri
interni al movimento per l'indipendenza. Fu questo il periodo in cui si fece
più intensa l'attività dei democratici mazziniani.
Mazzini aveva costituito nel 1850 un Comitato Nazionale Italiano che
programmò e diresse una serie di iniziative insurrezionali. Caddero sotto la
repressione austriaca numerosi patrioti mazziniani, impiccati a Belfiore tra
il 1852 e il 1853. Gli insuccessi di questi anni non scoraggiarono i
mazziniani i quali, al contrario, resero la loro azione più intensa. Sciolto
il Comitato, nacque il Partito d'Azione (1853) col proposito di rendere più
efficace l'azione insurrezionale. Ancora legate ad una visione della lotta
politica tipicamente romantica (fatta di azioni esemplari e sacrifici
individuali attraverso cui svegliare le coscienze popolari), queste
iniziative continuarono a restare fatti isolati e quindi facilmente
stroncate dalle forze al potere.
In questo quadro si colloca la spedizione di Sapri. Il napoletano Carlo
Pisacane, ex ufficiale dell'esercito borbonico, mazziniano fervente fino al
1849 si era staccato da Mazzini e si era via via convinto che non di ideali
avesse bisogno il popolo, ma di lavoro, di pane, e che specialmente le masse
contadine avessero bisogno di possedere quella terra che lavoravano per
altri: "Il popolo - scriveva - sente i suoi mali e mormora nello scorgere il
proprietario e il capitalista, oziando, godersi i frutti del lavoro del
contadino e dell'operaio, mentre questi guadagnano frusto a frusto la vita.
Il popolo più non accetta il suo stato. Il primo sentimento di disgusto per
lo stato presente, che già comincia a palesarsi nel popolo, è il germe della
futura rivoluzione italiana". Convinto che le masse contadine non avrebbero
potuto non battersi per l'indipendenza e l'unità d'Italia in vista di una
trasformazione sociale fondata su queste idee, nel 57 organizzò con pochi
compagni una insurrezione a Sapri che fallì tragicamente per
l'impreparazione di quelle popolazioni a comprendere le sue idee; i
contadini, addirittura convinti che fossero sbarcati dei briganti, si
unirono alla polizia per dare la caccia a Pisacane che, ferito e preso, si
uccise, ed ai suoi compagni che finirono nelle carceri borboniche.
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