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STORIA ANTICA 2
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STORIA
ANTICA - RICERCHE |
SCOPERTA DELLA SAGA 1842: Paul-Emile Botta In questa sezione si parlerà di
Paul-Emile Botta, passato alla storia per la scoperta del palazzo di Sargon
II, evento che segnò la nascita dell'archeologia orientale, ma anche per
essere stato il primo a scavare a Tell Kouyunjik - sito dove era sepolta la
biblioteca di Assurbanipal.
Archeologo per diletto Paul-Emile Botta
(fotogr. p. 64, Bot 1994, 1) nel 1840 aveva ricevuto il mandato di console di
Francia a Mossul, città situata sul Tigri superiore. Intorno alla città vi
era solo il deserto popolato da nomadi e pastori ma ricco di colline
artificiali - chiamate tell - presso le quali sostavano carovane, e che
venivano utilizzate come cave oppure come cimiteri (p. 43 Mat 1995). Botta
intuì che queste erano le tracce di antiche civiltà le cui gesta si erano
ormai dimenticate, forse proprio quelle civiltà della cui storia solo la
Bibbia parlava. Il console francese cominciò allora a comprare tutto quello
che poteva. Ceram racconta che quando Botta chiedeva ai locali di mostrargli
da dove provenissero quei cocci riceveva sempre la stessa
risposta
"Allah è grande e ne ha sparso un poco dappertutto" (p. 218, Cer
1995).
Il console, vedendo che non riusciva a farsi dire una
località di scavo particolarmente ricca, decise d'iniziare gli scavi sulla
prima collina che gli era capitata sotto mano, Tell Kouyunjik (o Kujundshik o
Quyunjik come vi pare). Il risultato della sua prima indagine fu deludente:
non più di alcuni frammenti di tavolette. Questo fu in larga parte dovuto
alla mancanza di mezzi e alla sua inesperienza. Se avesse proseguito a
scavare si sarebbe infatti imbattuto nella reggia di Assurbanipal. Altri
archeologi, come vedremo, avranno il merito di questa scoperta.
Uno
strano incontro Vuole la leggenda che Botta venisse avvicinato da un arabo,
il cui nome non si seppe mai, che aveva saputo della mania di antichità del
diplomatico francese. Costui vedendo gli sforzi di Botta, a suo giudizio
insensati, provò a dissuadere il console dal continuare gli scavi a Kouyunjik
e convincerlo spostare i lavori in un'altra località dove avrebbe
potuto trovare tutte le meraviglie che cercava.
Il console francese,
pur diffidando dell'individuo che diceva di volerlo aiutare perché amava i
francesi, decise di metterlo alla prova. Il 20 marzo 1843 spedì con lui
alcuni dei suoi operai arabi per una prima perlustrazione in una località di
nome Khorsabad, 16 km a nord-est di Mossul.
Dopo una settimana che Botta
aveva mandato i suoi uomini in ricognizione egli ricevette un messaggio tutto
eccitato che riferiva che appena affondata la vanga a Khorsabad erano venute
fuori delle mura. E appena queste erano state ripulite dai detriti, erano
apparse iscrizioni e figure. Accorso sul luogo Botta si rese conto subito
dell'eccezionalità della scoperta e richiamò presto tutti i suoi operai da
Kouyunjik.
La reggia di Sargon emerge dalle sabbie Il 5 aprile gli
scavi di Khorsabad portarono alla luce un intero palazzo ricco di tesori e
quindi la prova inconfutabile dell'esistenza di una progredita e antica
civiltà. La notizia fece il giro del mondo, infatti finora si era ritenuto
che l'Egitto fosse la culla della civiltà perché in nessun altro luogo si
poteva risalire così indietro come nella terra delle piramidi.
La
Francia si entusiasmò alla notizia della scoperta di una civiltà potente e
ricca, forse più antica di quella egiziana, e probabilmente consumata più che
dal tempo, dal ferro e dal fuoco. Botta ricevette, così, larghi mezzi per
continuare i lavori. Egli scavò per tre anni, dal 1843 al 1846 portando alla
luce un nuovo palazzo costruito su vaste terrazze. Gli studiosi
vi riconobbero la dimora del re assiro che conquistò Samaria e deportò
gli ebrei in esilio, Sargon II. Sotto le sabbie di Khorsabad si celava
dunque l'antica Dur-Sharrukin, che in assiro significa appunto «reggia di
Sargon».
Per la prima volta ci si trovava di fronte a un personaggio
menzionato nell' Antico Testamento. Era il primo riscontro storico di
narrazioni bibliche considerate dalla scienza fino a quel momento come una
"raccolta di leggende" (2).
Si capì che il palazzo era la residenza
estiva, una specie di Versailles, sul limitare della capitale assira, Ninive
(che verrà scoperta due anni dopo) e risalente al 709 a.C. Il palazzo era
ricco di stanze vivacemente decorate da affreschi e bassorilievi riproducenti
scene di vita domestica, di guerra e di caccia. Vi erano inoltre portali
riccamente decorati, una torre a terrazze e persino un harem
tripartito.
Terminati gli scavi, Botta tornò acclamato in Francia carico
di tesori destinati il museo del Louvre. L'impresa di Botta segnò l'inizio
ufficiale dell'archeologia mediorientale come riconobbe, pur con modestia, lo
stesso protagonista:
«Senza dubbio ho fatto una scoperta, ho aperto
una nuova via all'archeologia, ma senza gli indizi fortuiti del caso le mie
ricerche e la mia perseveranza sarebbero state inutili». (riportato in Dag
1997, p. 12)
L'interim consolare fu affidato a Rouet, deciso a difendere
i diritti francesi sia su Khorsabad che su Kouyunjik. Il luogo dove Botta
aveva scavato per la prima volta aveva attirato l'attenzione di altri
europei...
1847: Henry Layard Le recenti scoperte di Botta presso
Khorsabad, avevano riacceso l'entusiasmo di un altro diplomatico europeo di
stanza in Medio Oriente: Henry Austen Layard. Costui, impegnato presso
l'ambasciata inglese di Costantinopoli, aveva compiuto nel 1839 un pericoloso
viaggio nella terra tra i due fiumi - all'epoca in rivolta - guidato dalle
sole letture bibliche e classiche (3). Convincendosi che sotto il Tell di
Nimrod fosse sepolta l'antica Ninive, e affascinato da Botta conosciuto a
Mossul nel 1840, tornò a Costantinopoli dove persuase l'ambasciatore inglese
Sir Stratford Canning dell'opportunità di finanziare gli scavi.
I
tempi erano ormai maturi e l'oscurità in cui era avvolta la Mesopotamia agli
occhi del mondo europeo si era dissipata di colpo: nell'anno in cui Botta
scavava presso Kouyunjik e Khorsabad, Sir Henry Rawlinson - pioniere della
decifrazione del cuneiforme e tutore di George Smith - si trovava a Bagdad
intento nella decifrazione dell'iscrizione di Behistun. Nel 1845 Layard torna
al tell di Nimrod iniziando così la sua grande avventura.
La scoperta di
Calah I primi risultati furono strepitosi: in pochi mesi egli rinvenne le
prime sale di un gigantesco palazzo. Ma era proprio Ninive quella città?
Alcuni anni dopo si accorse dell'errore: quella che lui stava scavando non
era Ninive, ma Calah, la città concepita e realizzata da Assurnasirpal
II.
A Calah Layard portò alla luce favolosi tesori: ortostati in
marmo inscritti, una splendida serie di bassorilievi, mostri in calcare
e alabastro. Fra essi immensi leoni e tori alati di grande statura che,
oggi sappiamo, rappresentavano dei astrali assiri stanziati ai quattro angoli
del mondo: Marduk come toro alato, Nebo come uomo, Nergal come leone alato,
e Ninurta come aquila.
Parte dei meravigliosi reperti furono mandati
in Europa ad abbellire le sale del British Museum. Tuttavia lo scavo di
Layard ebbe dubbia legalità. Nessuna autorizzazione era stata data dal
Governo ottomano o, più esattamente non fu mai richiesta dall'ambasciatore
Canning, il quale non riteneva opportuno farlo in quel momento, avendo egli
richiesto altri permessi e confidando nella capacità diplomatica di
Layard.
La lettera del Visir Un anno dopo, il 5 maggio 1846, poco
prima del rientro a Londra di Canning, Layard ottenne non un permesso
ufficiale vero e proprio, ma una lettera del Gran Visir di Istanbul
indirizzata al pasha di Mossul. Il documento, scritto originariamente in
turco fu tradotto da Christian Rassam, viceconsole d' Inghilterra a Mossul e
fratello di quel Rassam che sarà protagonista della scoperta della biblioteca
di Ninive. Ecco il testo:
Lettera del Gran Visir al Pasha di Mossul. 5
maggio 1846.
Ci sono, come Vostra Eccellenza sa, nelle vicinanze di
Mossul grandi quantità di pietre e di resti antichi. C'è un Gentleman inglese
che è giunto da queste parti per cercare pietre di questo genere e ha trovato
sulla riva del Tigri, in certi luoghi disabitati, pietre antiche sulle quali
ci sono disegni e iscrizioni. [...] Nessun ostacolo deve essere posto
quando prenderà le pietre che, in base al resoconto che è stato fatto, si
trovano in luoghi deserti e non sono utilizzate; o al suo intraprendere scavi
in luoghi disabitati dove questo può essere fatto senza inconvenienza
per alcuno [...]. La sincera amicizia che fermamente esiste tra i due
governi rende desiderabile che tali richieste siano accettate. (lettera
citata in Pet 1992 p. 92 e Dag 1997 p. 28)
Questa lettera del visir
lasciava totale libertà al "gentleman" inglese di scavare in qualsiasi luogo
disabitato ritenesse opportuno farlo, a patto che questo non provocasse
"inconvenienza per alcuno". In pratica autorizzava la sottrazione di reperti
dal territorio di origine per spedirli in patria. Questa pratica dei
gentlemen occidentali (italiani compresi) rimase attiva per tutto l'800. La
prima legge di protezione archeologica del territorio in Medio Oriente
arriverà solo nel 1929 (p. 29 Dag 1997).
L'ambasciatore Canning comprese
subito l'importanza di questo spregiudicato permesso che non limitava
l'attività di Layard a un sito particolare e gli fece notare che ciò
poteva
...essere opportuno per assicurare un diritto prioritario su ogni
posto che avrebbe potuto dare delle scoperte, ma di comportarsi cautamente, e
con il dovuto rispetto non solo per i diritti di altri, ma soprattutto
tenendo conto della loro gelosia.
Gli altri erano ovviamente i
francesi, gli unici a scavare in quel periodo in Medio Oriente oltre agli
Inglesi, i quali avevano cercato di far bloccare gli scavi inglesi non
autorizzati a Nimrod, mentre nel contempo cercavano di ottenere per loro i
permessi proprio per quel sito.
Era il 1846 e Layard, forte di quel
permesso, oltre a continuare gli scavi a Nimrod iniziò sondaggi in altri
siti, tra i quali il Tell Kouyunjik. Il suo lavoro fu finanziato dal British
Museum ed fu la prima volta che un'istituzione accademica finanziava una
missione in Mesopotamia.
Il console francese, venuto intanto a sapere
della lettera, si innervosì e insistette a vederla, rivendicando nel contempo
i diritti su Tell Kouyunjik. Per tutta risposta Layard gli fece osservare
l'enorme vastità del Tell, la cui circonferenza misurava circa un miglio, e
gli propose di unire i loro sforzi. Così francese e inglesi scavavano a
Kouyunjik ma fu Layard ad ottenere i primi risultati portando alla luce il
palazzo di Sennacherib (1847).
Una seconda campagna di scavi fu
condotta da Layard fra il 1849 e il 1851 sia a Kouyunjik che a Nimrod,
stavolta aiutato da un nuovo braccio destro, Hormuzd Rassam...
1852:
Hormutz Rassam L'accordo di Samsun Layard rientrò carico di tesori a
Londra nel 1851, pronto a essere investito di titoli accademici e incarichi
politici. Nello stesso anno avvenne un incontro a Samsun sul Mar Nero di
grande importanza per la storia che segue. Quella che stava per diventare (e
divenne!) una corsa all'accaparramento archeologico degli occidentali in
Mesopotamia subì una pausa di riflessione quando il nuovo console francese di
Mossul, Victor Place incontrò l'inglese console generale di Bagdad,
Rawlinson.
I due diplomatici convennero che era inutile farsi concorrenza
e nuocersi a vicenda. Di ortostati, portali, tori alati, tavolette e altri
tesori era pieno l'Iraq a sufficienza per riempire i magazzini sia del Louvre
che del British Museum.
Rawlinson aprì al collega francese il cantiere
inglese a Kouyunjik e propose, data la vastità del Tell, di operare insieme,
ognuno nel proprio sito: a nord della collina i francesi (dove Botta anni
prima aveva cominciato a scavare), a sud gli Inglesi. Place, previa
approvazione di Parigi, accettò l'accordo.
Veniamo ora all'episodio
che per gli studiosi
... rappresenta senza dubbio un punto oscuro nella
storia dell'archeologia orientale (Franco D'Agostino, p. 28 Dag
1997)
I termini dell'accordo di Samsun infatti non furono mai rispettati,
per demerito non dei due artefici, ma del successore di Layard in Medio
Oriente, Rassam, l'ex suo aiutante, che nel 1852 era stato incaricato dal
British Museum di riprendere gli scavi in Mesopotamia.
La notizia
dell'accordo Place-Rawlinson su Kouyunjik non fu accolta con gradimento da
Rassam, come egli stesso scrisse:
«Seppi, con mia grande irritazione, che
Monsieur Place, il console francese a Mossul, il quale a quel tempo era
impegnato a fare esplorazioni a Khorsabad per il museo Nazionale Francese,
aveva chiesto e ottenuto il permesso di scavare in quel posto dal maggiore
Rawlinson, prima del mio arrivo a Mossul» (H. Rassam, Excavations and
Discoveries in Assyria 1882, p. 38).
Disegni audaci di un
archeologo Forte della sua competenza acquisita sul campo, Rassam si era
convinto che l 'angolo nord della collina di Kouyunjik celasse altri tesori
di Sennacherib ed era sua intenzione metterci le mani ad ogni
costo:
«Il mio obiettivo era sempre l'angolo nord di Kouyunjik, che
fortunatamente Mr. Place non aveva mai toccato, e che io ero determinato a
esplorare prima del mio ritorno in Inghilterra, qualunque fossero le
conseguenze» (ibid. 39).
In realtà, André Parrot (scopritore della
città di Mari) ricorda Place non fosse affatto assente e che anzi stesse già
scavando in quel sito. L'imprecisione e la parzialità del resoconto di Rassam
è corroborata dal passo seguente:
«Debbo sottolineare che la collina
di Kouyunjik è proprietà privata e che noi eravamo in possesso di un decreto
del sultano di Turchia che ci permetteva di scavare dove ci pareva e ci
piaceva, una volta che avessimo ottenuto il permesso dal proprietario del
terreno. Ciò nonostante vi era una regola di comportamento riconosciuta tra
gli esploratori: quando un rappresentante di una nazione stava scavando in un
certo Tell, gli altri dovevano astenersi dallo scavare nello stesso luogo.
Perciò ero geloso dell' intenzione del rappresentante del governo di Francia
di immischiarsi nel nostro campo di operazioni» (ibid. p. 39).
E'
stupefacente il candore con cui Rassam ricorda regole di bon-ton ignorando
che fu Botta il primi ad affondare la vanga sulla collina più di dieci anni
prima. Inoltre fu Rawlinson ad offrire a Place la possibilità di scavare
nella parte settentrionale del Tell e non quest'ultimo a chiederlo.
Scavi
al chiaro di luna Rassam sapeva di dover agire alla svelta e con l'aiuto
delle tenebre:
«Quando il tempo della partenza si avvicinò, ordinai che
le mie tende fossero montate sulla collina di Kouyunjik, mostrando in tal
modo che ero pronto per partire per l'Europa, ma la ragione di ciò era di
essere in grado di scavare con grande semplicità, di notte, nell'angolo nord
della collina senza essere scoperto. dopo aver atteso per alcuni giorni una
notte di luna piena, scelsi alcuni vecchi e fedeli operai arabi capaci si
mantenere il segreto, con un guardiano fedelissimo, e diedi loro appuntamento
in un certo punto sulla collina due ore dopo il tramonto. Quando tutto fu
pronto, assegnai loro tre differenti punti in cui scavare. Vi erano già
alcune trincee scavate in precedenza, e ordinai agli operai di scavare dentro
di esse scendendo in profondità. Dopo aver controllato il lavoro
personalmente fino alla mezzanotte, li lasciai al lavoro (dopo aver detto
loro di interromperlo all'alba) e andai a dormire» (ibid. p. 39).
E'
evidente che Rassam cade in contraddizione accennando alle trincee
già scavate perché, nelle sue memorie, poco prima affermava:
«per
qualche ragione Monsieur Place non aveva cominciato lo scavo né prima né dopo
il mio ritorno a Mossul» (ibid. p. 38).
Ispezionando le trincee il
mattino seguente, Rassam accertò la presenza di numerosi resti assiri. I
lavori, sospesi durante il giorno per non destare attenzione, ripresero la
sera appresso e con un numero doppio di operai:
«Li feci lavorare duro
per tutta la seconda notte. Al solito, controllai il lavoro fino a mezzanotte
e me ne andai a dormire. Ma dopo meno di due ore, il mio fedele guardiano
albanese corse con la notizia della scoperta di alcune sculture rotte. Mi
precipitai immediatamente al luogo dello scavo e scendendo in una delle
trincee potei vedere alla luce lunare la parte inferiore di due bassorilievi,
la cui parte superiore era stata distrutta dai Sassanidi o da un'altra
barbara nazione che aveva occupato il Tell dopo la distruzione dell'impero
Assiro. Potei accertarlo grazie alla mia esperienza, esaminando le fondamenta
e il muro di mattoni che faceva da base ai bassorilievi» (ibid. p.
39).
Il guardiano albanese era in realtà un capo-operaio dei francesi
corrotto per tenere informato Rassam in tempo reale degli sviluppi degli
scavi di Place. Inoltre, l'esperienza di Rassam è stata spesso messa in
dubbio. Parrot per esempio, nel libro Archéologie Mésopotamienne, così lo
presenta:
«Né disegnatore né architetto. Così nessuna pianta veramente
seria fu mai rilevata, ma numerosi furono i rilievi che, trovati in cattivo
stato durante la scoperta, scomparvero totalmente senza che ne sia rimasta la
minima traccia raffigurata. Vi era in realtà quella caccia all'oggetto che
non sarà mai troppo deplorata. Hormuzd Rassam doveva d'altronde
distinguersi lungamente in quello che Hilprecht ha potuto chiamare un
"sistema di saccheggio non scientifico", in aggiunta a una totale mancanza di
scrupolo che caratterizza molto bene un personaggio che noi ritroveremo ormai
sovente e dappertutto» (A. Parrot, Archèologie Mèsopotamienne, Paris 1946 p.
52).
I primi veri scopritori del palazzo di Assurbanipal Invero Rassam
commise numerose scorrettezze a danno dei francesi. Per esempio,
approfittando di una momentanea assenza di Place, aveva in precedenza
occupato, aiutato dai suoi operai arabi, il sito di Assur piantandovi la
bandiera inglese. Ma quanto avvenne a Tell Kouyunjik ebbe dell'incredibile. I
veri scopritori del palazzo furono due assistenti di Place: Loftus e Boutcher
che avevano sospeso i lavori solo perché la loro squadra aveva compiuto la
scoperta il giovedì e il giorno successivo era giorno di festa per i
mussulmani.
Nonostante la riservatezza dei francesi, la notizia era
giunta alle orecchie di Rassam. Egli pensò di mettere tutti di fronte al
fatto compiuto scavando un tunnel dal settore inglese a quello francese e
facendo man bassa dei tesori scoperti faticosamente dalla squadra di
Place:
«Non soltanto temetti che il console francese lo venisse a sapere
e arrivasse per impedirmi di scavare in quello che egli riteneva essere il
suo territorio, ma ancor peggio che si potesse pensare da parte delle
autorità turche e della gente di Mossul che io fossi alla ricerca di un
tesoro, dato che costoro immaginavano da sempre che noi ci stessimo
arricchendo con la scoperta di favolosi tesori: perciò la terza notte
aumentai il numero degli operai e decisi di restare nelle trincee fino al
mattino. Dopo meno di tre ore di scavo un banco cadde e rivelò un
bassorilievo quasi perfetto in cui era rappresentato un re assiro...» (H.
Rassam, Excavations and Discoveries in Assyria 1882, p. 40)
Il
bassorilievo ritraeva la celeberrima caccia al leone di Assurbanipal
e pertanto il palazzo non era di Sennacherib ma di Assurbanipal. Ma la
stanza del bassorilievo comprendeva un altro tesoro di valore più alto:
migliaia di tavolette inscritte in cuneiforme. Rassam era dunque penetrato
nella biblioteca di Assurbanipal. La notizia della scoperta di un nuovo
palazzo a Kouyunjik si sparse in poche ore nella città di Mossul attirando
centinaia di spettatori tra cui ovviamente il console Place, accorso da
Khorsabad.
Place protestò duramente contro l'intrusione di Rassam con
Rawlinson che, tuttavia, rivendicò il diritto di possesso inglese in base
alla lettera del Visir (il proprietario della collina era stato indennizzato
dai britannici). Rawlinson indirettamente ammise che l'operazione di Rassam
era stata fatta in barba a qualunque codice deontologico offrendo al suo
indignato collega la possibilità di scegliere alcuni, e non pochi, ortostati
fra quelli lasciati nelle trincee. Una piccola compensazione che Place non
rifiutò.
1852 - epilogo In Francia intanto Place si riprendeva una
piccola rivincita, come osserva Rassam in una nota del suo libro:
«La
perdita di questo bottino ebbe un cattivo effetto sulla mente di Monsieur
Place che nel libro sulle ricerche pubblicato nel 1866-69, col titolo di
Nineve et l'Assyre egli ignorò completamente le mie scoperte, ma diede
l'impressione che Mr. Loftus, e persino il suo disegnatore, Mr. Boutcher,
fossero i fortunati esploratori» (H. Rassam, Asshur and the land of Nimrud,
New York 1987, p.27 nota).
Che cosa ne fu delle tavolette "scoperte" da
Rassam che già due mesi dopo la scoperta finirono ammonticchiate nei
magazzini del British Museum?
Non si sa se, per cattiva organizzazione, o
per nascondere la reale portata del furto della Biblioteca di Assurbanipal,
queste tavolette furono mischiate a quelle trovate precedentemente da Layard
non nel palazzo di Assurbanipal, ma in quello di Sennacherib, cosicché oggi è
difficile sapere quali appartenevano ad un edificio e quali
all'altro.
Certamente non rende onore alla direzione del British Museum
il non volere a tutt'oggi divulgare la documentazione che potrebbe chiarire i
punti più oscuri di questa penosa vicenda! (p. 34 Dag 1997).
Non è
noto neppure dove Smith trovò, vent'anni dopo il furto di Rassam,
il frammento contenente le 17 righe mancanti della tavola del diluvio.
Nel palazzo di Sennacherib scoperto da Layard o in quello di
Assurbanipal scoperto da Place? è certo che esso fu rinvenuto nel palazzo
di Assurbanipal, dove Smith trovò anche due frammenti della VI
tavola dell'epopea di Gilgamesh e un sillabario. Ma allora quante
biblioteche c'erano a Ninive? Una vera e propria, del palazzo di
Assurbanipal, e una specie di Archivio, in quello di suo nonno Sennacherib,
di circa 80 anni più antico.
Comunque sia non vi è dubbio che l'Epopea
di Gilgamesh parzialmente ritrovata da Smith provenga dalla Biblioteca del re
Assurbanipal poiché proprio questo è meticolosamente ricordato nei colofoni
in calce a tutte le tavolette.
Il successo degli scavi francesi attirò
altri occidentali in Mesopotamia. Nel 1888 una missione americana diretta da
John Punnet Peters avviò gli scavi di Nippur (oggi Nuffar) proseguiti dieci
anni dopo sotto la direzione di Hermann Hilprecht. Nel 1899 il tedesco Robert
Koldewey avviò gli scavi sul sito di Babilonia e più tardi su quello di Uruk
(oggi Warka).
Infine poche parole ancora su cui meditare dall'autore di
Babel und Bibel:
«Perché questa lotta tra le nazioni per assicurarsi con
sempre maggiore vigore gli scavi su queste desolate colline?» (Friedrich
Delitszch, citato in Dag 1997 p.
42)
---------------------------------------------------------------------------- ---- All'assemblea
assisteva William Ewart Gladstone (Liverpool 1809, Hawarden 1898), per ben
quattro volte eletto primo ministro dell'impero britannico (1868-74, 1880-85,
1886,1892-94). Gladstone accanto alla politica coltivò vivi interessi
letterari: scrisse saggi sui poemi omerici (che ancora non sono riuscito a
trovare su Internet!), tradusse in inglese le Odi di Orazio e fu lettore
appassionato di Dante e dei classici greci. Da notare che questi tipi di
convegni erano spesso frequentati dalle massime autorità. Per esempio nel
1902, durante la storica relazione di Friedrich Delitzsch alla Società
Orientale Tedesca, era presente il Kaiser Guglielmo II in persona. (torna
su)
Una mappa dettagliata della Mesopotamia è disponibile
nell'introduzione a Gilgamesh. (torna su)
Per un approfondimento sui
parallelismi tra l'antico testamento e gli annali assiri vedi la sezione
dedicata. (torna su)
Il sovrano assiro Salmanassar III (858-824 a.C.) che
risiedeva nel palazzo di Calah (oggi Nimrod), aveva fatto incidere il
resoconto delle proprie vittorie su un obelisco. Tagliato a scala come una
ziggurat, l'obelisco è in alabastro nero ed è alto due metri con una sezione
di 60 cm alla base e 40 alla sommità. Incisi su cinque registri sono i
rappresentanti dei popoli sottomessi che tributano "doni" al monarca
assiro. Il pezzo, quasi intatto e di una bellezza fredda e geometrica, è
conservato al British Museum di Londra. Lo recuperò Layard nel 1846, nel
corso della sua esplorazione di Nimrod, pubblicandone il testo nel 1851 nelle
tavole conclusive delle sue Inscriptions in the Cuneiform Character from
Assyrian Monuments. Si capì subito sia dallo stile moderno del cuneiforme
(una "terza scrittura" persepolitana facilmente riconoscibile) sia dal
carattere dei bassorilievi, che il monumento non poteva essere antecedente
all'epoca assira (prima metà del I millennio a.C.). Il testo inciso
sull'obelisco nero (per una lunghezza di circa 200 righe) contiene un breve
richiamo alle campagne trionfali di Salmanassar III, che sono in parte
illustrate da venti lastre trattate a bassorilievo poste a gruppi di cinque
lungo le quattro facce del monumento. Vi sono raffigurati i diversi popoli
vinti dal re intenti a offrire il loro tributo in segno
di sottomissione. I primi due registri sono pressoché identici e mostrano
sovrani in atto di sottomissione davanti al re assiro. Altre figure in piedi
dietro a Salmanassar sono i dignitari assiri, mentre il sovrano sottomesso è
seguito da processione di tributi che si svolge sulle altre facce
dell'obelisco. Nel secondo registro - come spiega l'iscrizione - è
raffigurato il re di Israele Jehu (842-815 a.C.) che si prostra dinanzi a
Salmanassar. (torna su)
«Queste leggende narrano le avventure di un
famoso sovrano di Babilonia, da me identificato con l'eroe biblico Nimrod,
che chiamo provvisoriamente Izdubar, ma il cui vero nome non è ancora
possibile tradurre foneticamente» (Smi 1876 p. 167-168, traduzione T.
Porzano). Per una discussione sulla pronuncia vedi la mia monografia su
Gilgamesh.
Il nome del console vi suggerisce ascendenze italiane? Avete
ragione. Paul-Emile, nato a Torino il 6 dicembre 1802, era figlio dello
storico e patriota piemontese Carlo Botta, emigrato poi in Francia [Pro 1986,
p. 290]. (torna su)
Il rapporto tra fonti bibliche e mesopotamiche è
approfondito nella relativa monografia. (torna su)
Nel 1839 Henry
Layard è a Mossul e visita le grandi montagne di pietra sulla costa orientale
del Tigri, all'epoca ritenute le rovine di Ninive. Qui cavalcando per il
deserto incontrò nuove colline, in particolare quella di Calah Shergat, sul
Tigri a 50 miglia a sud dalla sua congiunzione col piccolo Zab. Fra queste
egli identificò la ziggurat descritta da Senofonte, presso la quale si erano
attendati i 10000. Erano le stesse rovine che il generale greco aveva visto
22 secoli prima che erano già allora le rovine di una città antica.
"I
Greci continuano ad avanzare indisturbati per tutto il giorno, fino
a raggiungere le sponde del Tigri. Qui incontrano i resti di una grande
città abbandonata, abitata anticamente dai Medi: Larissa. Le sue mura hanno
una larghezza di venticinque piedi e un'altezza di cento; la cerchia
sviluppa due parasanghe: sono costruite di mattoni cotti ed hanno le
fondamenta in pietra, alte venti piedi. Alle porte della città si eleva una
piramide di pietra [...]" Senofonte, Anabasi libro III, IV 7-9 (ed. 1999
Mondadori, p. 155)
Senofonte aveva scambiato il nome pronunciato da una
gente straniera con quello a lui familiare di Larissa. Ma la tradizione
accenna all'origine della città, e attribuendone la fondazione allo stesso
Nimrod di cui queste rovine portano ancora il nome, la ricollega ai primi
stanziamenti del genere umano. Nel capitolo X del libro I di Mosè (ossia la
Genesi) si racconta, infatti, che Kush, figlio di Cam, generò Nimrod. Il
padre di Cam era Noè, che coi suoi tre figli, le loro mogli e ogni specie di
bestiame, cominciò a riprodurre, dopo il Diluvio Universale, la stirpe degli
uomini.
Ma Kush generò Nimrod, che cominciò a essere potente sopra la
Terra. Egli fu gran cacciatore nel cospetto del Signore; donde il proverbio:
"Come Nimrod, potente cacciatore nel cospetto del Signore". Il principio del
suo regno fu Babele, Erech, Accad e Calne nel paese di Senaar. Da quel paese
andò in Assur ed edificò Ninive, Rehoboth-Ir e Calah; e, fra Ninive e Calah,
Resen, la gran città ". (GEN 2000, p.23 - Genesi X, 8-10)
Il viaggio
di Layard non fu tranquillo. Infatti (p. 245 Cer 1995) il paese si trovava in
rivolta contro il dispotico governatore turco di Mossul e gli stranieri
potevano farne le spese se si trovavano al momento sbagliato nel posto
sbagliato. Per esempio nel 1840 un carico di reperti assiri scoperti da Botta
trasportati da zattere lungo il Tigri venne preso di mira dai ribelli e fatto
affondare. Solo nel 1845 dopo la caduta del despota di Mossul, Layard potrà
avviare gli scavi a Nimrod.
PERSONAGGI E LUOGHI
acque della
morte acque dei morti (versione ittita). Segna il confine dell'Oceano che
separa il giardino di Shamash dalla dimora di Utnapishtim.
X
Adad dio degli elementi atmosferici, noto come Ishkur presso i
sumeri e Baal presso i cananei. XI
Aia l'aurora; divinità sposa di
Shamash. III
Alallu (allallu; in sumerico sipatur = "pastorello")
uccello variopinto, amato e poi abbandonato da Ishtar. Bottero traduce il
termine con "ghiandaia policroma" (Bot 1992, p. 283-285). VI
An il
cielo ovvero il dio del firmamento. Con sua moglie Antu è progenitore della
maggior parte degli dei, anche se nei miti più arcaici sua moglie è
la dea-madre Mammitum. Figli di An e di Antu sono i cosiddetti
Anunnaki. Condivide con Ishtar la benedizione sul santuario Eanna (= casa del
cielo) a Uruk. A lui si rivolge Ishtar dopo l'oltraggio di Gilgamesh (VI)
per scagliare il Toro Celeste contro Uruk. I
Anunnaki letteralmente
"figli di An". Sono giudici dell'aldilà oppure assemblea degli dei a seconda
del contesto. Per approfondimenti vedi la relativa
monografia. VIII
Antu la terra, moglie di An e nota anche come Ki.
L'intero universo (anki) è infatti dato dall'unione fra il cielo (an) e la
terra (ki). Poiché tutti i popoli mesopotamici avevano una loro divinità
della terra, le assimilazioni tra i vari culti produssero numerose varianti
mitiche di Antu: Ninhursag (regina delle montagne), Ninmah (la nobile
signora), Nintu (la signora che genera). Attenzione: non confondetela con la
remotissima dea-madre di cui Antu è figlia. VI
Anziani di Uruk sono
i "Grandi Consiglieri" di Gilgamesh e non è escluso che costituiscano la
classe sacerdotale di Uruk. Sono la prima assemblea consultiva di Uruk presso
la quale si rivolge Enkidu per dissuadere Gilgamesh dall'affrontare la
missione alla Foresta dei Cedri. La seconda assemblea è invece quella
dei giovani di Uruk. II
Anzu demone a forma di aquila e testa
leonina. In origine araldo di Ningirsu, dio-protettore di Lagash, diviene
figura autonoma che godrà immensa fortuna in tutta l'epica babilonese (e
anche oltre, come Lilith, versione femminile di di echi biblici). Nel
Gilgamesh compare nella sua veste più maligna essendo la creatura onirica che
trascina Enkidu agli Inferi. Questo demone ha quindi funzione simile al
Thanatos dei greci (che trascina Alcesti nell'Ade). La potenza di Anzu era
tale che, agitando le sue ali, poteva provocare tempeste.
VII
Apsu l'abisso marino dimora del dio Enki. Secondo i babilonesi le
acque primordiali sotterranee dell'Apsu alimentavano i pozzi e i fiumi
della terra. VIII
Arallu terra dove è conficcata la montagna (o
meglio le montagne) Mashu. In accadico indica precisamente gli Inferi.
IX
Artigiani di Uruk forgiano le armi degli eroi diretti alla Foresta
dei Cedri (II). Più tardi forgiano la statua d'oro ad altezza naturale di
Enkidu e realizzano il ricchissimo tesoro che accompagna Enkidu nell'aldilà
(VIII).
Aruru la dea madre secondo il mito della creazione. E' lei a
creare Enkidu modellando l'argilla. Con la qualifica di "Signora degli dei"
era chiamata anche Belet-Ili. I
Asakku il vento degli Inferi, il
più potente fra i tredici venti di Shamash. In origine era kur (la montagna)
che combatte contro Ninurta in un celebre mito (pp. 41-47 Pon 2000).
V
Atramkhasis altro nome di Utnapishtim. Nome dell'eroe del diluvio
nel mito babilonese del Grande Saggio. XI
Belet-Ili altro nome
della dea madre. Significa "Signora degli dei". XI
Belet-Seri scriba
degli Inferi. VII
Bibbi divinità degli Inferi, definito "macellaio"
forse perché teneva una falce come nelle nostra rappresentazioni allegoriche
della morte. VIII
il Cacciatore primo uomo civile ad incontrare
Enkidu. Riferirà il suo incontro direttamente a Gilgamesh che gli affiderà la
missione con Shamkhat. Su di lui cadrà la maledizione di Enkidu in agonia.
Dalle versioni mediobabilonesi dell'epopea apprendiamo il suo nome:
Shangashu. I, VII
Canish divinità atmosferica e ministro di Adad.
XI
Casa della Polvere locuzione usata per indicare il regno degli
Inferi. Vedi anche Arallu e "Grande Terra". VII
Demone della
Sabbia creatura di Shamash che trasmette a Enkidu la capacità divinatoria
di interpretare i sogni premonitori di Gilgamesh. IV
Demoni
Umu cocchieri del carro promesso da Ishtar a Gilgamesh.
VI
Dumuzi Secondo la lista reale fu uno dei primi re di Uruk ma, dagli
studiosi è cautamente classificato come figura mitologica. Su questo re ci è
pervenuto da Ebla un ciclo epico, parallelo a quelli di Lugalbanda, Enmerkar
e Gilgamesh (pp. 290-291 Mat 1995). Come divinità è celebrato come
il "pastore" perché a lui è connessa la procreazione degli animali
da allevamento. Questa, come il rigoglio della vegetazione, si verifica solo
in una parte dell'anno (p. 140 Sap 1996). La spiegazione di questo
fenomeno viene data dai sumeri nel poema della discesa di Ishtar agli Inferi
alla quale il Gilgamesh fa un brevissimo accenno. In questo mito Dumuzi,
primo di una lunga serie di amanti di Ishtar, è preso in ostaggio dagli
Inferi per consentire alla dea di tornare sulla terra. La prigionia di Dumuzi
dura solo sei mesi l'anno, negli altri sei l'interim viene preso dalla
sorella Geshtinanna affinché Dumuzi riporti la primavera.
VI
Eanna letteralmente "casa del cielo", a volte indicata come la
"pura casa". E' il nucleo templare di Uruk dedicato agli dei An e Ishtar. In
traduzioni spurie è chiamato anche Etanna. I
Egalmah detto anche
"palazzo eccelso" o "formidabile". E la sede di Ninsun, dea-sacerdotessa e
madre di Gilgamesh. III
Ekur letteralmente "casa della montagna".
Tempio di Enlil a Nippur. XII
Enki signore dell'abisso, dio
dell'astuzia e delle arti. Protagonista assoluto di molti miti ha un ruolo
marginale nell'epopea, come mostra, per esempio, il suo silenzio durante il
consiglio degli Anunnaki. Per approfondimenti vedi la relativa monografia. I,
VII
Enkidu compagno d'avventure di Gilgamesh. Nato come uomo
primordiale, viene educato alla civiltà da Shamkat. Dopo un primo scontro con
Gilgamesh ne diviene amico (e secondo alcune interpretazioni pure amante).
Insieme a Gilgamesh sconfigge il guardiano della foresta dei cedri per
impossessarsi del prezioso legno con cui intende costruire una porta sacra ad
Enlil. I due eroi sconfiggono anche il Toro Celeste. Durante un'assemblea
degli dei è deciso che egli muoia. Il lamento di Gilgamesh per la morte di
Enkidu è il passo lirico di massima intensità dell'epopea. Bellissima è anche
la rappresentazione dell'aldilà nel sogno di Enkidu e nel finale
dell'opera. Incredibile la successione di taboo che Enkidu infrange nella sua
discesa agli Inferi. I
Enlil sovrano degli dei. Letteralmente:
signore (en) dell'aria (lil) ma è spesso osannato come "padre di tutti gli
dei" e "signore del cielo e della terra". E' figlio di An e Antu e, dal 2500
a.C., sostituisce An alla guida della comunità degli Anunnaki. Suo santuario
è l'Ekur ("casa della montagna") nella città sacra di Nippur. La sua funzione
è sia di creatore, sia di legislatore (sua è la DUB-NAM, tavoletta dei
destini) e sia di giudice (punisce l'umanità col diluvio, rifiuta di
resuscitare Enkidu). Sua moglie è Ninlil. Per approfondimenti vedi la
relativa monografia. I
Ennugi divinità dei canali di irrigazione.
Partecipa all'assemblea degli Anunnaki che decide di punire gli uomini col
diluvio. XI
Ereshkigal signora degli Inferi e madre di Ninasu.
VII
Erragal altro nome per il dio Nergal, signore dell'oltretomba e
della guerra. XI
Etana sovrano mitico di Kish, celebrato nel mito di
Etana e l'aquila. Incontra fugacemente Enkidu nella Casa della Polvere.
VII
Eufrate fiume sacro che bagna il Paese di Sumer e attraversa la
città di Uruk. Nell'Eufrate si getta il Toro Celeste durante il combattimento
con Gilgamesh. V
il falegname o carpentiere. E' l'artefice del
pukku e il mekku (il tamburo e la bacchetta del potere a Uruk). E'
verosimilmente un'entità astrale e la "casa del carpentiere" indicherebbe,
secondo molti studiosi, una costellazione. XII
Foresta dei
Cedri Giardino sacro di Enlil sotto la custodia del mostro Khubaba. E' detta
anche "santuario di Irnini". II
Geograficamente era situata nell'alta
Siria vicino a Ebla, città nota nel III millennio a.C. per il commercio di
legname con la regione mesopotamica e l'Egitto. Nel mito di Nanna a Nippur si
parla espressamente della "Foresta di Ebla" e, in un'iscrizione attribuita a
Sargon di Akkad di "Ebla vicina alla Foresta dei Cedri e ai Monti
d'Argento".
>>> dettagli sulla Foresta dei
Cedri
Gilgamesh re di Uruk e protagonista dell'opera. Vedi la sezione
dedicata
Giovane Uomo di Uruk cuoco diretto a Uruk che racconta a
Enkidu dello ius prima noctis di Gilgamesh. II
Giovani uomini di
Uruk assemblea di giovani ai quali Gilgamesh chiede l'approvazione per
la missione alla foresta dei cedri. II
Grande Terra locuzione usata
per indicare gli Inferi. Vedi anche Casa della Polvere e Arallu.
VIII
Igigi in senso lato indica la comunità di tutti gli dei. Nello
specifico è il nome delle divinità astrali, contrapposte agli Anunnaki,
divinità sotterranee. II, XI
Irnini appellativo di divinità
femminili, soprattutto di Ishtar. La foresta dei cedri è chiamata anche
"santuario di Irnini". V
Ishkhara sposa vergine al cui capezzale
giunge Gilgamesh con la pretesa dello ius primae noctis. Il suo nome è lo
stesso di una dea, talvolta associata (forse come moglie) al dio Dagan e alla
dea Ishtar nel suo aspetto di dea dell'amore. Altro aspetto di Ishkara è
quello di dea-madre, procreatrice dei Sibittu (i Sette dei), il cui simbolo
era uno scorpione (p. 63 Sap 2001).
II
Ishullanu frutticoltore/giardiniere di An. VI Amato da Ishtar la
respinge; per punizione è trasformato in talpa (= dallalu, assonante con
Allalu) o, se leggiamo nel nome il destino, è trasformato in rospo (=
shullanu, ossia il verrucoso!). Il mito è ampiamente sviluppato nella vicenda
di Ishtar e Shukaletuda (variante sumerica di Shullanu) dove è narrata la
nascita del giardiniere. In origine Shukaletuda era un corvo che su ordini di
Enki creò la palma; a sua volta il corvo fu trasformato in custode
antropomorfo dell'albero sacro. Per un interessante approfondimento vedi Bot
1992, pp. 266-285. Sull'esaltazione mitica della palma da datteri vedi invece
la tenzone Palma vs. Tamarisco in Pon 1996.
Ishtar dea dell'amore
venerata a Uruk nel tempio dell'Eanna. Invaghitasi di Gilgamesh, viene da lui
rifiutata. Per vendicarsi manda sul Paese di Sumer la calamità del Toro
Celeste. Per approfondimenti vedi la relativa monografia.
I
Khubaba in sumerico Huwawa. E' il custode della Foresta dei Cedri, a
lui ci si riferisce come "guardiano della Foresta". La sua imbattibilità
deriva dai sette veli sacri che indossa. Nelle rappresentazioni ha denti di
drago, una faccia raccapricciante fatta di viscere, un urlo assordante come
un diluvio. II
Libano complesso di monti dove si dirigono Gilgamesh
e Enkidu per raggiungere la Foresta dei Cedri. Nel testo originale è
kur.lab-na-nu (kur = montagna). IV
Lugalbanda padre di Gilgamesh,
onorato come un dio al termine dello scontro col Toro Celeste. Lugalbanda è
protagonista di un autonomo ciclo epico del quale sono sopravvissuti due
miti. I, VI
Mammitum nome della dea madre. Da sola, o insieme ad An a
seconda dei miti, genera i primi dei fra cui la dea-terra (ki) che insieme al
dio-cielo (an) costituirà l'intero universo (anki). Ma soprattutto è colei
che materialmente crea l'uomo dall'argilla e il sangue (di un dio ribelle...)
su progetto di Enki come narrano l'Enuma Elish e l'Atramkhasis. Varianti del
nome: Mammu, Nammu, Aruru. X
Marduk figlio di Enki e signore della
terza generazione degli dei. E' patrono di Babilonia. Per approfondimenti
vedi la relativa monografia. III
Mashu letteralmente "doppio", nome
assegnato alla coppia di monti gemelli dove il Sole sorge (picco a Oriente) e
tramonta (picco a Occidente). IX
moglie
dell'uomo-scorpione personaggio anonimo nell'epopea ninivita, si chiama
Nakhmizuli in quella khurrita. Vedi anche uomini-scorpione. IX
moglie
di Utnapishtim vive il diluvio in prima persona; commossa da Gilgamesh
propone al marito di fargli un regalo di commiato. XI
Namtar il
fato, potente divinità responsabile della morte, dell'epidemia omicida
e visir di Ereshkigal. Secondo una terrificante rappresentazione egli non
ha mani, non ha piedi, non beve e non si nutre.
XII
Nergal Co-reggente agli Inferi e marito di Ereshkigal. Tiene
prigioniero Enkidu dopo che questo ha infranto numerosi tabù scendendo
sottoterra per recuperare il pukku e il mekku, scettri del potere regale a
Uruk. E' protagonista di un miti e cicli epici autonomi di immensa importanza
(le due versioni di Nergal & Ereshkigal; l'Epopea di Erra). Per
approfondimenti vedi la relativa monografia. XII
Ninasu figlia di
Ereshkigal, signora degli Inferi. XII
Ninsun madre di Gilgamesh e
dea-sacerdotessa che dimora nell'Egalmah. I
Ninshiku-Ea altro
appellativo di Enki, richiamato nell'assemblea degli Anunnaki che decreta di
terminare l'umanità tramite il diluvio. XI
Ninurta dio guerriero
figlio di Enlil. E' anche divinità del vento del sud. Partecipa all'assemblea
degli Anunnaki che decreta la punizione per l'umanità. Il ciclo di Ninurta
(in origine Ningirsu) è tra i più apprezzati dell'antichità. Ricordo i bei
miti Ninurta vs. Asakku (il signore delle pietre) e Ninurta vs. Anzu. I,
XI
Nippur antichissima città sumerica consacrata a Enlil.
V
Nisir o Nimush; è il monte dove si ferma l'arca di Utnapishtim al
termine del diluvio; equivalente al biblico Ararat. XI
il
Paese altro riferimento alla Terra di Sumer. VI
i Pastori primi
uomini civili ad accogliere Enkidu. Un pastore compare anche nell'elenco
degli amanti di Ishtar. II, VI
pukku simbolo regale di Gilgamesh. I,
XII La maggior parte degli interpreti traduce come "tamburo". In questo senso
è percosso da Gilgamesh col mekku ("bacchetta") per radunare i giovani
di Uruk. Secondo altri studiosi andrebbe tradotto come "cerchio" o
"palla" ("ball" in Geo 1999). In realtà non si è ancora capito bene di cosa
si tratti (per uno studio comparato vedi San 2003 Appendice
11).
Puzur-Amurri timoniere e forse capo-costruttore dell'arca di
Utnapishtim. XI
quelli-di-pietra cippi con funzione apotropaica (in
originale shut abne). Prima di venire distrutte da Gilgamesh, servivano a
proteggere l'imbarcazione di Urshanabi dalle acque della morte.
X
shar unità di misura della superficie con la quale si esprimono le
dimensioni di Uruk e dell'Eanna. Equivale a un miglio quadrato secondo
George, o centinaia di ettari (3.900.000 mq) secondo Saporetti.
I
Sette Saggi noti anche come apkallu (uomini-pesce). Emissari di Enki
usciti dal mare (o meglio dall'Apsu) per portare la sapienza fra gli uomini
in età remota. Secondo i babilonesi il primo di essi fu il saggio Adapa
(ricordato da Assurbanipal in una celebre iscrizione).
I
Shamash dio del sole, degli oracoli, della giustizia e protettore di
Gilgamesh in tutte le sue avventure. Nel suo giardino, custodito dalla
vivandiera Siduri, si rifocilla prima di sorgere ogni mattina ed attraversare
il firmamento a bordo del suo cocchio. Per approfondimenti vedi la relativa
monografia. I
Shamkat la prostituta sacra che introduce Enkidu alla
civiltà. Si chiama Shamkatum nel poema paleobabilonese. I,
VII
Shullat divinità atmosferica e ministro di Adad.
XI
Shuruppak antichissima città pre-esistente al diluvio e governata
da Utnapishtim. E' l'odierna Fara. XI
Siduri (o Shiduri) la
vivandiera che presiede il giardino di Shamash presso la riva del mare della
morte. IX E' un personaggio straordinariamente carico di significati
allegorici (presiede un luogo di passaggio tra la vita e la morte) e
filosofici (si pensi alla sua esortazione nella versione paleobabilonese del
poema). Figure mitiche che spesso le vengono affiancate per analogia
concettuale sono: l'omerica Calipso ed il suo giardino incantato, la
dea-scorpione egizia Selkis (che accoglie le anime dei defunti in transito),
Ran moglie di Ægir nel ciclo dell'Edda (che ristorava gli annegati
nell'anticamera della morte). Per uno studio comparato vedi San 2003 cap.
22.
Silili divinità madre dei cavalli. VI
Simurru uno dei
tredici venti di Shamash. V
Sin la luna. Nonstante Gilgamesh lo
ritenga il più potente tra gli dei, egli rifiuta di aiutarlo a riportare
Enkidu sulla terra (XI). E' figlio di Enlil e Ninlil e divinità tutelare di
Ur. Insieme a sua moglie Ningal genera Utu (Shamash) e Inanna (Ishtar).
IX
Sippar città sumerica consacrata a Shamash.
V
Sirara montagna che fronteggia la valle della Bekaa oltre la quale
sorgono le alture del Libano. Secondo il mito, il monte Sirara e il monte
Libano, in origine uniti, si sono separati a causa degli urti provocati dallo
scontro con Gilgamesh-Khubaba. V
lo Straniero avvenente Misteriosa
presenza del secondo sogno premonitore di Gilgalmesh. Aiuta Gilgamesh che è
stato travolto da una montagna, lo cura, gli da da bere e lo rincuora.
Probabilmente è una trasfigurazione di Shamash. IV
Sumuqan dio della
steppa, delle piante e degli animali che vi vivono. Le sue fattezze sono
prese a modello da Aruru per creare Enkidu. I
Toro Celeste creatura
astrale portatrice di morte e disgrazie a Uruk che combatte contro Gilgamesh
e Enkidu. Secondo la Discesa di Ishtar agli Inferi sarebbe marito di
Ereshkigal e si chiamerebbe Gugalanna (in sumerico Gud-gal-ana = toro grande
del cielo). Nella fattispecie è una costellazione. VI
i Tredici
Venti tempeste mandate da Shamash in aiuto a Gilgamesh nel corso dello
scontro con Khubaba. V
Ubartutu signore di Shuruppak e padre di
Utnapishtim. IX
Ulaia (o Ulai) fiume forse localizzabile in Elam, sede
di un'impresa della coppia Gilgamesh-Enkidu di cui nulla è rimasto a parte i
pochi versi dell'Epopea. L'idronimo è citato anche nella Bibbia nel quarto
sogno di Daniele. VIII
Uomini-Scorpione creature degli Inferi poste a
guardia delle montagne Mashu. IX
Uruk Città-stato del Paese di Sumer,
spesso definita "l'ovile" per la sua prosperità economica. Proverbiale è la
maestosità delle sue mura e la sua "grande porta". Ogni anno vi si celebra la
festa del Nuovo Anno. I
Urshanabi procacciatore di legname e
traghettatore di Utnapishtim. Accompagna Gilgamesh a Uruk nel viaggio di
ritorno. X
Utnapishtim letteralmente "colui che vide la vita" perché
dopo essere sopravvissuto al diluvio ottiene la vita eterna. La sua dimora è
infatti detta "paese del vivente" e corrisponde alla foce dei fiumi oppure al
sumerico paese del sole (Dilmun). Prima del diluvio era sovrano di Shuruppak
devoto al dio Enki. E' anche antenato di Gilgamesh.
DIVINITA' Le
divinità protagoniste della saga di Gilgamesh sono l'argomento che più
mi sento chiedere dai navigatori Web. Le mie risposte, andando pian pianino
ad arricchire le note al testo, sono però diventate così numerose da
superare in estensione il testo stesso! La decisione di raccogliere il
materiale sparso in una pagina dedicata si è imposta con somma priorità.
Laddove incontrerete riferimenti a questa o quella tavola è sottinteso che si
allude alle tavole dell'Epopea di Gilgamesh.
Va da sé che per
affrontare questa sezione è utile aver prima letto l'epopea. Inoltre, una
solida base sugli avvenimenti storici in Mesopotamia non potrà che agevolare
la lettura.
Anunnaki Secondo i miti più arcaici gli Anunnaki
sono dei della fertilità e degli inferi, mentre gli Igigi sono gli dei del
cielo capeggiati da Enlil. Secondo il mito di Atramkhasis invece gli Anunnaki
rappresentano la classe aristocratica divina, contrapposta alla plebe degli
Igigi. E' proprio dallo scontro Anunnaki-Igigi che avrà origine l'uomo.
Secondo infine l'Epopea di Gilgamesh, Anunnaki e Igigi sono sinonimi anche se
i giudici dell'aldilà sono solo detti Anunnaki.
I principali Anunnaki
sono:
An (in accadico Anu), il cielo, padre degli dei: anunnaki
significa letteralmente "figli di An" Ki (o Urash), la terra e moglie di
An Enlil (in accadico Ellil), capo della seconda generazione divina Enki
(in accadico Ea), dio della sapienza Sin (Nanna in sumerico), la luna,
figlio di Enlil, padre di Shamash Shamash (Utu in sumerico, Baal), il sole,
protettore di Gilgamesh Ishtar (Inanna in sumerico), dea
dell'amore Marduk (Bel, Zeus-Belo) signore della terza generazione
divina. Altre importanti divinità sono Ishkur (in accadico Adad, dio delle
tempeste assimilato poi a Baal), Dumuzi (in accadico Tammuz, dio dei
pastori), Ninurta (dio della guerra), Nabu (dio degli scribi e delle arti) e
la triade infernale Ereshkigal (la notte), Namtar (il destino), Nergal (in
accadico Erra, la pestilenza). [Divinità ittite: Shaushga (Ishtar), dea
Khepat della città di Uda, dio Gurwasu, dea Ningal, dee Damnassara nel
racconto di Kesh-shi p. 162 Sap 1996]
Divinità minori sono: Ashnan
(dea del grano), Lahar (dea del bestiame), Emesh (dio dell'agricoltura),
Enten (dio agricoltore), Uttu (dio dei costumi domestici), Enbililu
(protettore del Tigri e dell'Eufrate), Ennugi (o Enkimdu, custode dei canali
d'irrigazione), Kabta (custode degli strumenti agricoli), Mushdamma (custode
delle fondamenta delle case), Sumuqan (dio della steppa), Ghibil (dio del
fuoco), Ziqiqu (o Anzaqar dio dei sogni), Geshtinanna (sorella di Dumuzi e
dea della vite e del vino), Baba (patrona delle nascite), Nusku (visir di
Enlil).
Naturalmente non serve imparare a memoria i suddetti nomi!
Per familiarizzare con essi dovete leggere molti miti. Inoltre è
fondamentale, per la vs. preparazione, non trascurare mai divinità greche,
egizie, indu, romane, ecc.
Ningirsu e Anzu Certe divinità erano
appannaggio esclusivo di una città-stato. E' il caso di Ningirsu, patrono di
Lagash o di Dagan, patrono di Mari. Nella celebre Stele degli Avvoltoi (XXV
sec. a.C., oggi al Louvre) Ningirsu predice in sogno al re Eannatum la
sconfitta dell'odiata Umma e l'alleanza con Kish. Il tempio di Ningirsu era
l'Eninnu fatto costruire dal più celebre sovrano di Lagash (Gudea, XXII sec.
a.C.). Araldo di Ningirsu, a volte identificato con la medesima divinità, era
il demone Anzu (o Imdugud) che avrà immensa fortuna nell'epica babilonese (lo
ritroviamo, per esempio, nel Gilgamesh, nel ciclo di Lugalbanda e nella saga
della tavoletta dei destini). Ningirsu invece, col declino politico di
Lagash, verrà assorbito per sincretismo dalla figura di Enlil. [Casa dei
cinquanta=Enlil, sorelle di Ningirsu sono Nidaba e Nanshe (interprete dei
sogni di Gudea)]
I consigli divini I consigli divini sono una prassi
nel mondo mesopotamico (come in quello greco) ogni volta che una minaccia
perturba l'ordine del cosmo. Come nelle minacce di Apsu o Tiamat o Asakku o
Anzu, il consiglio divino è convocato per deliberare il da farsi (solitamente
eleggere un campione che combatta la minaccia riportando ordine). E' curioso
come nei consigli Enlil si comporti da primus inter pares, coinvolgendo i
colleghi celestiali nelle decisioni più infauste:
Bramò il cuore dei
grandi dei di mandare il diluvio. Prestarono il giuramento il loro padre
An, Enlil, l'eroe, che li consiglia, Ninurta il loro
maggiordomo, Ennugi, il loro controllore di canali; Ninshiku-Ea aveva
giurato con loro. (da tav. XI, vv.14-19)
o come in una redazione più
recente (500 a.C.) dell'Atramkhasis:
Enlil si rivolse all'assemblea degli
dei al completo: «Venite tutti a prestare giuramento a proposito del
Diluvio!» Dapprima si fece giurare An; quindi giurò Enlil e con lui i suoi
figli (frammento 39099 British Musem, ca. 500 a.C. in p. 597 Bot
1992)
Gli dei emettono quindi verdetti sui vivi ma anche sui morti.
Infatti nella tav. VIII del Gilgamesh gli Anunnaki sono definiti giudici
dell'anima (v. 201) da propiziarsi con regali offerte nel corso dei riti
funebri di Enkidu.
Ogni volta che il gran consiglio divino decide un
flagello per gli uomini, gli dei sono tratteggiati come figure capricciose,
patetiche, vendicative, ingegnose ed ingenue. La vitalità del pantheon
mesopotamico va oltre la teatralità così come possiamo ammirare
nell'Atramkhasis:
Il fragore del Diluvio atterriva gli Dei. Enki
era fuori di sé e Nintu tradiva il proprio orrore dalle labbra, mentre gli
Anunnaki, i grandi dei, stavano là prostrati da fame e da sete [...]. E
gli dei con lei piangevano la terra. Sollevata dal dolore, la dea aveva
sete di birra: là dove lei si trovava, in lacrime, essi anche ne avevano,
come montoni stretti intorno all'abbeveratoio, le labbra secche per
l'angoscia, e stremati dall'inedia...» (Atramkhasis, p. 585-587, Bot
1992)
o come leggiamo in un celeberrimo passo del Gilgamesh:
Gli
dei ebbero paura del diluvio, indietreggiarono, si rifugiarono nel cielo di
An. Gli dei accucciati come cani si sdraiarono la fuori! Ishtar grida
allora come una partoriente, si lamentò Beletili, colei dalla bella
voce: "Perché quel giorno non si tramutò in argilla, quando io
nell'assemblea degli dei ho deciso il male? Perché nell'assemblea degli dei
ho deciso il male, dando, come in guerra, l'ordine di distruggere le mie
genti? Io proprio io ho partorito le mie genti ed ora i miei figli
riempiono il mare come larve di pesci". Allora tutti gli dei Anunnaki
piansero con lei. Secche sono le loro labbra; non prendono cibo! (da tav.
XI, vv.113-126)
Nergal Nergal è signore dell'oltretomba (la «terra di
non-ritorno»), della guerra e della pestilenza. E' secondo figlio di Enlil.
Sua consorte e co-reggente agli Inferi è Ereshkigal, sorella di Ishtar. Nella
teologia assira Ereshkigal è sostituita da Las. Secondo altri miti sua sposa
sarebbe Aruru (nota anche come Mammi) la creatrice di Enkidu. A volte la sua
figura si confonde con altre divinità come Namtar, visir dell'oltretomba che
provoca le sessanta malattie ed è sempre marito di Ereshkigal (ma nell'Epopea
di Gilgamesh, Namtar e Nergal sono entità distinte). Oppure come Ninurta,
dio della guerra nei miti arcaici.
In epoca assira era noto come
Erragal, da cui derivò Erra, dio della guerra protagonista dell'ultima grande
composizione babilonese dell'antichità (l'epopea di Erra). Si suppone che il
nome greco Herakles derivi direttamente da Erragal (p. 155, Pon 2000).
Epigono di Nergal nell'alta Siria era Reshef, dio dell'oltretomba, della
guerra, della peste e in generale della morte (celebre il tempio di Reshef a
Ebla, p. 160 Mat 1995)
La Casa della polvere L'oltretomba mesopotamico
(kurnugi) è quanto di più opprimente e disperato si possa immaginare. Il
povero Enkidu, durante l'agonia che porterà alla morte (tav. VII), ha una
visione della dimora di Nergal e Ereshkigal dove egli è destinato. La
rappresentazione è drammatica ma di enorme suggestione:
... venni
condotto nella casa buia, l'abitazione della Dea degli inferi, nella casa
della quale chi entra non può più uscire, per una via che non si può
percorrere indietro, nella Casa in cui gli abitanti sono privati della
luce; dove il cibo è polvere, il pane è argilla; essi sono vestiti come
gli uccelli, ricoperti di piume; essi non vedono la luce, essi siedono nelle
tenebre.
Nella Casa della polvere, dove io entrai, sollevai il mio
sguardo e vidi le corone che vi erano ammucchiate; osservai le corone di
coloro che avevano governato la terra da tempi immemorabili;
Nella
Casa della polvere dove io entrai abitano i Sommi Sacerdoti e i loro
accoliti, abitano i Sacerdoti purificatori e gli indovini, abitano gli
unti dei grandi dei; lì abita pure Etana e vi risiede il dio Sumuqan. Vi
abita la regina degli Inferi, la divina Ereshkigal... (vv. 184-200, tav.
VII)
Curiosamente, nonostante quanto affermato nel Libro dei Sogni
assiro
Se un uomo sogna di salire al cielo, i suoi giorni saranno
tagliati. Se un uomo sogna di discendere nel paese di non ritorno, i suoi
giorni saranno lunghi (citato in Sap 1996 p. 201)
Enkidu finisce
immediatamente agli inferi! Nella tav. XII Gilgamesh farà di tutto per
riabbracciare il compagno di tante avventure. Solo grazie all'intervento di
Enki Gilgamesh ottiene la liberazione di Enkidu:
Il padre Ea lo ascoltò,
si rivolse allora a Nergal, l'eroe forte: "Nergal eroe eccelso, vorresti tu
aprire una fessura negli Inferi, affinché lo spirito di Enkidu possa uscire
dagli Inferi?". Nergal l'eroe eccelso, ubbidì, e non appena egli ebbe
aperto una fessura negli Inferi, lo spirito di Enkidu, come una folata di
vento, uscì fuori dagli Inferi. (vv. 76-84, tav. XII)
Gilgamesh verrà
accontentato ma dovrà pagare a Nergal uno scotto terribile, come si apprende
dal resto della storia (che non vi anticipo!).
L'epopea di Erra In
questo lungo poema, redatto in epoca neoassira, Nergal è celebrato
come "guerriero degli dei, che si agita nella sua dimora perché ha bisogno
di combattere" (una figura capricciosa molto vicina all'Ares greco o
all'Onuris egizio). Approfittando dell'assenza di Marduk ne devasta la
città, Babilonia, seminando discordia tra le famiglie. Erra non guarda in
faccia nessuno: il giusto come l'empio cadono trappola del caos (metafora
della profonda crisi politica di Babilonia all'epoca della
composizione dell'opera):
O guerriero Erra, tu hai messo a morte il
giusto, hai messo a morte l'ingiusto. Hai messo a morte l'uomo che ha
peccato contro di te, hai messo a morte l'uomo che non ha peccato contro di
te. Eppure non ti sei placato... (riportato in McCall 95, p.
96)
Erra verrà riportato all'ordine e al dovere solo dopo
un'assemblea straordinaria degli Anunnaki. Al termine del poema l'acquietato
Erra si ritirerà nel suo tempio di Kutha.
Tale era la reputazione di
Nergal che brani del poema di Erra, venivano incisi su tavolette a forma di
amuleti che poi erano appesi alle mura delle case per tener lontane le
malattie e proteggerne i proprietari (McCall 95).
La scalata al trono
dell'ade mesopotamico è narrata nel mito di Nergal e Ereshkigal, scoperto per
la prima volta da George Smith, che potete trovare su varie antologie (le
migliori sono elencate in bibliografia). In questo mito si narra come Nergal,
sceso negli inferi, conquistò con l'ingegno la mano della regina degli inferi
ed il suo regno. Il tema della discesa agli inferi è comune al più celebre
mito di Ishtar agli inferi, bello quanto la saga di Gilgamesh.
Nergal
compare anche nell'Antico Testamento (II libro dei Re, 17,30). Da
non dimenticare infine che il carattere cupo e capriccioso di Nergal ne ha
fatto toponimo maligno saccheggiato dalla letteratura popolare
(1).
Assur Dio patrono dell'omonima capitale assira che sorgeva sulla
riva del Tigri (2).
Le divinità assire sono un'assimilazione dalla
religione dei popoli assoggettati dagli assiri con poche varianti se non sui
nomi. La pratica del sincretismo era comunissima. In pratica Assur nasce come
divinità locale ma, con l'aumento del prestigio politico-militare durante
l'impero neoassiro, assurge a titolare del trono divino.
E'
celeberrima l'ode di Sargon II al dio Assur (714 a.C.) dove il
sovrano traccia un glorioso rapporto della sua campagna contro l'Urartu. Il
testo era probabilmente da leggersi nel tempio della divinità e di fronte
alla cittadinanza. E' una cronaca romanzata ma fortemente suggestiva (non
quanto la shilouette di Barbara al tramonto...) come nel passo che vi
propongo:
«Le truppe del nemico si erano assiepate sul monte Ua-ush, la
cui cima arriva alla regione delle nuvole. Fin da tempi immemorabili nessun
essere vivente ha attraversato quel luogo, nessun viandante ha mai visto la
parte più interna. Nemmeno gli uccelli del cielo lo sorvolano, né vi
costruiscono il nido per insegnare ai loro piccoli a distendere le ali. La
vetta è sguainata come la lama di un pugnale sugli altri monti e vi rilucono
sopra le stelle di Arco e Sirio. Il volto della montagna è di ghiaccio e chi
tenta di attraversarla è colto dalla tempesta, la sua carne è bruciata dal
gelo. Su quella montagna il nemico aveva progettato di tendermi una
trappola...» (p. 133, Pon 2000; adattamento T. Porzano)
In questa
cronaca Sargon II si rivolge ad Assur nel modo seguente:
«Salute a te
Assur, padre degli dei, salute a tutti gli dei e le dee che abitano i templi
della città di Assur, salute alla città e alla sua gente...» (p. 130, Pon
2000)
In effetti, nei testi assiri Assur è definito «re degli dei » e
spesso la «grande montagna». Frequente è il titolo di «Enlil degli dei» o a
volte lo si identifica con questo dio (p. 170 Fal 1992). Nella teologia più
antica Assur è sposo della dea Sherua, poi sostituita da Mullissu.
E'
noto che nella versione assira dell'Enuma Elish il protagonista cambia nome e
non è più Marduk ma Assur! In effetti Marduk godette in Assiria di alterne
fortune: fu generalmente affiancato ad Assur al vertice del pantheon, ma
durante il regno di Sennacherib, distruttore di Babilonia, fu definitivamente
declassato. Un testo assiro, intitolato il processo di Marduk, rappresenta la
divinità babilonese come imputato in un processo condotto da una corte divina
assira! (p. 171 Fal 1992)
Tuttavia un'analoga sorte subirà Assur con la
caduta dell'impero assiro. Dopo una brevissima parentesi neobabilonese con
ritorni di fiamma di Marduk (con Nabucodonosor) e di Sin (con Nabonedo) ai
vertici del pantheon, con l'avvento dell'impero persiano le divinità
assiro-babilonesi verranno spazzate a favore della new entry Ahura
Mazda.
Ishtar Ishtar, in sumerico Inanna, è probabilmente la divinità
più ammaliante e controversa. Ella visse nel corso dei secoli una profonda
metamorfosi. Da dea protettrice degli antichi centri rurali protourbani
sumerici (come Eridu e Uruk) passò a crudele emblema dello sviluppo cittadino
imperiale, divenendo la dea più popolare dell'intera Asia occidentale. Presso
gli assiri, in veste di dea della guerra, era popolarissima e godeva di
numerosi appellativi: a Ninive era venerata col nome di Mullissu, ad Arbela
col nome di Shatru, a Kalhu con l'appellativo di Bid-Kidmuri (p. 171 Fal
1992).
Il nome Ishtar deriva dal semitico Attar/Attart (divinità
androgina associata al pianeta Venere). Fu nota come Shaushga tra gli
ittiti, Ashtoreth fra gli ebrei, Atar-Ata fra i fenici (moglie di Baal,
signore dell'olimpo fenicio) e Astarte tra i greci (3). Erodoto riferisce
che Militta era il nome assiro di Afrodite (Storie, vol. I § 199).
E'
figlia di An e Ki, ma in epoca babilonese Isthar è figlia di Sin, dio lunare,
sorella gemella di Shamash, il Sole, e sorella della temutissima Ereshkigal,
matrona dell'oltretomba.
Già nei miti più arcaici si riflettono le sue
qualità ed attitudini. Per esempio Ishtar ha l'hobby di andare in visita
presso altre divinità, cacciandosi spesso nei guai ma uscendone sempre
vincitrice (visita a Enki, visita a Ereshkigal).
Nell'antichissimo
mito di Inanna ed Enki (che trovate in Bot 1992, pp. 236-266) si trasfigura
il passaggio del patrimonio culturale dei primi nuclei urbani alle nuove
città-stato sumeriche. La dea, non paga della rozza vita della steppa si
converte alla vita cittadina ottenendo da Enki - protettore di Eridu, città
primordiale del 4000 a.C. - i "poteri" (me). Questi poteri altro non sono che
le basi della vita culturale cittadina: la pastorizia, la scienza scribale,
l'artigianato, le regole di comportamento.
L'Eanna I "doni" di Enki a
Inanna saranno portati nella città Uruk, e qui custoditi nel santuario della
dea: l'E-anna ("casa del cielo", da non confondere con Eannatum della Stele
degli Avvoltoi). Questo tempio darà lustro alla città di Uruk al pari di
altre città santuario (come Sippar o Nippur). Secondo il mito, fu Gilgamesh a
circondare l'Eanna di mura e a riempirlo di tesori:
Fu Gilgamesh a
costruire le mura di Uruk e del santo Eanna, luogo splendente e sede di
tesori. Avvicinati all'Eanna, l'abitazione della dea Ishtar mai nessuno,
forse anche un re, potrà costruire un monumento che lo eguagli! (tav. I,
vv. 10-16)
Si ritiene che la sua città sacra Uruk corrisponda alla
biblica Erech. Ma molti altri furono i suoi centri di culto: Kish, Agade,
Arbela. Il più celebre tempio amorreo dedicato a Ishtar era quello di Ebla
(che aveva strettissimi legami culturali con Kish), ancora noto in
Mesopotamia secoli dopo la scomparsa della città avvenuta nell'età del Bronzo
(p. 188 Mat 1995). «Dea di Ebla» era appunto il titolo di Ishtar
nell'accezione di divinità protettrice della regalità, ricordata nelle liste
divine assire intorno al XIII secolo (p. 64 Mat 1995).
Dumuzi Già
nella visita a Enki Inanna mostra le attitudini capricciose che vedremo nel
Gilgamesh. Nel Libro dei Sogni assiro infatti «la mano di Ishtar»
era sinonimo di sventura (p. 197 Sap 1996) e, alla lettera, indicava
una malattia venerea. La dea, in viaggio per raggiungere l'amante Dumuzi
(dio protettore dei pastori) compie un'interessata deviazione a Eridu. In
pratica Dumuzi è destinato a essere tradito perché Inanna giudica la vita
nella steppa rozza e indegna della propria bellezza. Epiteto di Dumuzi
era Amaushumgalanna ("il dio la cui madre è un drago nel cielo").
La
visita agli Inferi Dumuzi non è il solo giocattolo nelle mani di Inanna.
Anche Enki, stordito dalla birra, cede al fascino della dea offrendole
numerosi poteri divini. Vediamone alcuni:
Alla santa Inanna, mia
figlia, offro, senza che nulla mi trattenga, la Veridicità, la Discesa
agli Inferi, il Ritorno dagli Inferi, il Travestitismo, l'abito policromo,
la capigliatura annodata sulla nuca, l'erotismo, il baciare
amoroso, l'arte del canto e l'ufficio degli Antichi. (mito di Inanna e
Enki, ibid. pp.238-239)
Notate che Inanna apprende da Enki l'arte del
ritorno dagli Inferi. E' forse da qui che Jan Kott ha pensato di associare
alla dea la figura di Persefone. Ma secondo me l'abbinamento è errato come
poi spiegherò.
Insieme alla tavoletta del diluvio, la visita agli Inferi
di Ishtar è uno dei primi miti scoperti dagli assiriologi nell'800. Della sua
importanza se ne accorse nel 1872 George Smith che lo usò per colmare una
lacuna dell'epopea di Gilgamesh. Infatti egli disponeva della tav. VI ma non
della VII tavola. L'argomento della VI è l'incontro di Gilgamesh e Ishtar
dove l'eroe oltraggia la dea ricordandole tutti i suoi amanti finiti
in disgrazia. Un pretesto per accennare ad altri miti che vedono protagonista
I shtar.
Visto che la saga era già ricca di interpolazioni, Smith
ipotizzò che la VII tavola contenesse anche la "discesa agli inferi". Oggi
sappiamo che la tav. VII parla d'altro. Ma possiamo perdonare tranquillamente
a Smith questa sbavatura nella sua geniale ricostruzione dell'epopea. Del
resto la "discesa" rimane una delle più creazioni di maggior successo
della letteratura mesopotamica. La prima versione sumerica (con
Inanna protagonista, ca. 2000 a.C.) subì un rifacimento in epoca babilonese
(con Ishtar protagonista) che la arricchì drammaturgicamente con
l'introduzione della figura di Geshtinanna.
La storia rivela
somiglianze col mito di Nergal e Ereshkigal, con la tav. XII e con il
poemetto sumerico Enkidu agli Inferi. In più è ripresa nella mitologia greca
nella vicenda di Adone e Persefone e quella di Alcesti e Admeto.
Ecco
la storia: Ereshkigal, signora dell'oltretomba, ha appena perduto il marito
Gugalanna (il Toro Celeste) e Ishtar si reca a portarle condoglianze. Nella
discesa agli Inferi Ereshkigal deve liberarsi di tutte le sue armi d'offesa e
di difesa. Resasi inerme viene imprigionata da Ereshkigal che evidentemente
non aveva gradito la visita (in fondo, se interpretiamo il Gilgamesh, è a
causa di Ishtar che il Toro Celeste è trascinato in uno scontro
mortale).
L'assenza della dea della procreazione provoca il blocco delle
nascite sulla Terra. Gli Annunaki intervengono ma neppure loro possono
violare una regola ferrea degli Inferi: ogni anima che torna in vita deve
essere sostituita agli Inferi.
Così Ishtar offre in cambio del proprio
rilascio il povero Dumuzi. Non senza ironia apprendiamo che la dea preferisce
disfarsi dell'amante piuttosto che sacrificare l'ancella personale, il
menestrello e il capitano delle guardie. Pare però perché Dumuzi venisse
scoperto felice e beato fra le donne, per nulla preoccupato della sorte della
sua amata (p. 141 Sap 1996). Naturalmente Dumuzi non ne vuole sapere di
finire sottoterra e si nasconde. Vengono dunque a cercarlo demoni, spietati
come la loro padrona Ereshkigal:
... demoni piccoli, come giunchi appena
spuntati, demoni grossi come canne mature, un demone davanti con in mano un
bastone, un demone dietro con la mazza frantuma-cranio alla cintura. Quelli
di questa razza disdegnano le offerte di cibo, disdegnano le bevande degli
uomini, nessuna cosa lieta li attrae, nessuna pietà li commuove, senza gioia
e senza dolore strappano la sposa dalle braccia dello sposo, il neonato dal
seno della madre. (p. 30, Pon 2000)
Dumuzi non può sfuggire a simili
predatori ma, colpo di scena, emerge la commovente figura della sorella
Geshtinanna. Costei intercede per il fratello ottenendo che venga trattenuto
nel "mondo di sotto" solo sei mesi l'anno ed offrendosi di sostituirlo agli
inferi per gli altri sei. Poiché Dumuzi è dio della vegetazione degli animali
d'allevamento, col suo ritorno le piante possono rifiorire e gli animali
tornare a procreare.
Possiamo ora spendere qualche parola sulle
similitudini di questo bellissimo mito con la tradizione greca. Ishtar può
essere assimilata a Admeto, re di Fere, che grazie all'intervento sia divino
(il dio Apollo) sia umano (la moglie Alcesti) riesce a salvare la pelle dagli
Inferi. Dumuzi (ma anche Geshtinanna) ispirano Alcesti, potente figura
femminile che si sacrifica nel nome dell'amor coniugale. Vedremo che anche
Ninlil, moglie di Enlil scende agli inferi per amore del marito.
Il
saliscendi a cui Dumuzi deve sottostare nel corso dell'anno lo
avvicina certamente ad Adone (il cui ritorno segna l'inizio della
primavera). Geshtinanna inoltre è vicina a molte figure tragiche femminili
sacrificate forse, più che per giuste cause, per il meschino attaccamento
alla vita dei loro uomini: Ifigenia, Polissena (Ecuba), Ctonia (Eretteo),
Macaria (Eraclidi).
Se ci pensate un attimo questo mito
sostanzialmente si occupa della fedeltà come virtù, tema comune al Simposio
di Platone al quale idealmente conduce.
Ma anche i demoni che acciuffano
Dumuzi hanno un loro epigono greco. Thanatos, figlio della Notte, è infatti
il demone alato che viene a prendere Alcesti per portarla nell'Ade. Il modus
operandi di Thanatos è molto vicino a quello del demone-aquila Anzu che
incastra Enkidu nella Casa della Polvere (tav. VII).
Un ultima nota su
questo straordinario mito è il corto circuito crono-logico che nemmeno Gödel
potrebbe risolvere:
Inanna si innamora di Gilgamesh Gilgamesh la
rifiuta rinfacciandole la sorte di Dumuzi agli Inferi Inanna vuole
vendicarsi dell'oltraggio scatenando il Toro Celeste Il Toro Celeste ha la
peggio nello scontro con Gilgamesh Inanna porta le condoglianze alla moglie
del Toro Celeste Ereshkigal imprigiona Inanna per vendicarsi della morte del
marito Inanna viene riscattata con Dumuzi agli Inferi Tornata sulla
Terra, Inanna si innamora di Gilgamesh... L'albero di Inanna Abbiamo
accennato al poemetto Enkidu agli Inferi, certamente uno dei migliori della
letteratura sumerica. La prima parte di questo mito ha per protagonista la
dea (Inanna in sumerico). Nel suo giardino infatti, cresce l'albero khalub.
Purtroppo la pianta viene infestata dall'aquila Anzu che vi costruisce il
nido. Non solo, un serpente comincia ad annidarsi tra le sue radici. Inanna
chiede aiuto a Shamash ma egli rifiuta, allora si rivolge a Gilgamesh, che in
questo mito è suo fratello. L'eroe abbatte l'albero e scaccia i demoni che lo
infestavano. Improvvisatosi falegname Gilgamesh costruisce un trono e un
letto per la sorella. Per sè un tamburo e la bacchetta del potere (pukku e
mekku). Tuttavia il pianto delle vedove dei mortali, tali per la forza
distruttiva del tamburo, fa precipitare il pukku e il mekku sottoterra.
Enkidu sarà mandato a recuperarli ma la missione, come vuole la tradizione,
finirà molto male.
La stella del mattino Il pianeta Venere era noto
fin dall'antichità. I sumeri lo chiamavano Ninanna, la signora del cielo. Più
tardi venne chiamata Dilbat, la «più brillante tra le stelle». Ma in pratica
Inanna, tra le sue molte funzioni, era già identificata con il pianeta
Venere, sia come la stella del mattino che annuncia la guerra che come la
stella della sera che annuncia l'amore.
La fortuna di Ishtar fu
inarrestabile in antichità nonostante l'alternarsi delle dominazioni assire e
babilonesi. Per esempio in epoca assira Ishtar assunse veste di divinità
guerriera. Negli Annali di Assurbanipal, conservati un tempo nella biblioteca
di Ninive insieme al Gilgamesh, troviamo l'episodio del sogno di un shabrû
(un sognatore di professione) che descrive l'apparizione della dea invocata
per propiziarsi la guerra contro l'Elam:
La dea Ishtar che abita nella
città di Arbela è entrata. A destra e a sinistra pendevano faretre, teneva
l'arco nella sua mano e una spada aguzza sguainata per fare
battaglia... (citato in Sap 1996 pp. 69-71)
Sotto il regno di
Nabucodonosor (604-562 a.C.) venne costruita a Babilonia la porta di Ishtar
per celebrare la liberazione dal dominio assiro. La porta è stata ricostruita
a Berlino diventando la massima attrazione del Vorderasiatisches Museum di
Berlino (senza nulla togliere alla ricostruzione dell'altare di Pergamo che
occupa un'altra sezione del museo berlinese). Attraverso essa passava la
processione annuale di Marduk. Secondo le iscrizioni della porta, attorniate
da meravigliosi bassorilievi smaltati, le fondazioni della porta
sprofondavano fino all'Apsu!
Enki Enki, in accadico Ea, è il dio della
sapienza e delle arti. E' figlio di Tiamat, il mare primordiale di
superficie, come narra l'Enuma Elish. Sua consorte è Damkina, madre di
Marduk. Enki propone a Enlil la creazione dell'uomo per alleviare la fatica
degli dei, come narra l'Atramkhasis. Nella sfida tra Enki e Ninmah (in Bot
1992, pp. 191-202) realizza lo stampo per creare l'uomo. La dea Ninmah,
provando a eguagliarne la potenza, gioca con lo stampo di Enki ottenendo però
solo creature imperfette (il cieco, lo storpio, la donna sterile, ecc.). Ma
il saggio Enki, che è custode della tavola dei destini, sa assegnare un ruolo
anche ad esse come, per esempio, al cieco destinato ad essere cantore (un po'
come nell'epica greca).
Molti miti celebrano la sua sapienza, come pure
la capacità nell'inganno - spesso a spese di Enlil (Enki e Eridu, Enki e
l'ordine del mondo, Enki e Ninhursag, tutti in Bot 92). A volte però anche
Enki è ingannato come nel mito di Inanna ed Enki (Bot 1992, pp. 236-266) dove
il dio, inebriato dagli effetti della birra, cede tutti i suoi poteri (me) a
Ishtar.
Altre volte Enki sceglie male i collaboratori come nel mito di
Anzu (in Bot 1992, pp. 412-443). Enki raccomanda il mostro Anzu al servizio
di Enlil. Ma Anzu tradendo la fiducia ruba la tavola dei destini gettando
l'universo nel caos. Interviene Ninurta, altro araldo di Enki, per
sconfiggere Anzu. Ma Ninurta, deluso dalla magra ricompensa, cospirerà contro
Enki.
Il santuario più importante di Enki si trovava a Eridu (4), ed era
chiamato E-Abzu (casa dell'abisso). Infatti secondo la concezione
cosmologica sumerica Enki era dio delle acque sotterranee vivificatrici
(abzu, apsu in accadico). Si ritiene che il suo nome originario fosse En-kur
(signore del sottosuolo) da cui sarebbe derivato En-ki. Nell'Enuma Elish si
narra come Enki diviene signore dell'abisso Apsu. Dall'Apsu uscirono gli
apkallu (uomini-pesce) per portare la civiltà tra gli uomini ancora selvaggi
secondo il mito dei Sette Saggi (p. 205 Bot 92). La tradizione attribuiva
proprio ai sette saggi la posa delle fondamenta di Uruk (v. 19, tav. I). Il
più noto dei sette saggi è un altro eroe mitico: il saggio Adapa. Altro noto
apkallu è Sin-leqi-unnini che la tradizione vuole come autore del canone
di Gilgamesh.
Proprio nell'Apsu, dimora di Enki, si getta Gilgamesh,
istruito da Utnapishtim, per recuperare la pianta dell'irrequietezza (vv.
272-274, tav. XI). Tuttavia il ruolo di Enki è davvero marginale nell'epopea
ninivita (per esempio nel consiglio degli Anunnaki non apre mai bocca), forse
a testimonianza di un declassamento della divinità in epoca
neoassira.
Enlil Enlil, in accadico Ellil, è figlio di An, ed è
l'arcaico dio dell'aria (in sumerico lil). Una volta preso il posto di An
alla guida degli Anunnaki, diventa signore di tutto l'universo. Sua sposa è
Ninlil (o Mulliltu) e con lei genera numerose divinità.
Un bel mito
celebra la storia di Enlil e Ninlil. Enlil, accusato di empietà, è rinchiuso
agli inferi. Ninlil allora lo segue sottoterra. Lì danno alla luce Sin (dio
lunare), Nergal e Ninazu. Ninazu non è obbligato a restare ma grazie al suo
sacrificio Sin abbandonare gli Inferi e levarsi nel
cielo notturno.
Sua è la tavoletta dei destini a cui non potevano
sottrarsi ne uomini né dei. Egli è dio della tempesta e l'artefice del grande
Diluvio che si abbatte sugli uomini (tav. XI). E' lui a porre il mostro
Khubaba a guardia della foresta dei cedri.
Era venerato nell'Ekur,
santuario di Nippur (come ricordato nella tav. VI). Suo corrispettivo
nell'alta Siria (Mari/Ebla) era Dagan il cui santuario era a Tuttul.
Curiosamente l'impero fondato da Sargon, per non offendere nessuno, venne
consacrato a entrambi: la Bassa Mesopotamia a Enlil, la regione di Mari ed
Ebla a Dagan.
Il suo centro di culto era considerato punto di unione tra
il cielo e il mondo sotterraneo. Enlil è infatti signore della terra e
simbolo del potere reale. Per questo il suo santuario era tenuto in
grandissima considerazione sia presso i sumeri che presso gli accadi. Sul
libro dei Sogni assiro leggiamo che
«Se un uomo nel suo sogno vede il
dio Enlil avrà lunga vecchiaia » (citato in Sap 1996 p. 197)
La
citta-sacra di Nippur, fondata prima del 4000 a.C., non ebbe mai reale peso
politico-militare, ma fu importante centro religioso e sede di
scuole scribali. Infatti gli scavi di Nippur hanno portato alla luce migliaia
di documenti tra cui molte copie di testi letterari (p. 160 Pon 2000).
Nippur vide crescere il proprio prestigio religioso e culturale costantemente
fino al 1700 a.C., quando fu soppiantata in tale ruolo da Babilonia,
città santuario di Marduk.
Assistiamo quindi a un'evoluzione del
sistema mitologico che non è più dominato da Enlil ma da Marduk (5). Nel
nuovo sistema babilonese Enlil riceve un trattamento non certo di favore ed
appare severo, a volte stolto.
La severità di Enlil era proverbiale.
Assistiamo ad esempi nella tav. XI, o nel poemetto sumerico Enkidu agli
Inferi, quando nega qualsiasi aiuto al supplice Gilgamesh. Inoltre, se nelle
versioni sumeriche del diluvio Enlil divideva con An la responsabilità del
cataclisma, nell'Atramkhasis egli è il solo ad infliggere al genere umano il
tormento delle piaghe e del Diluvio (p. XIV Bot 92).
Enlil
nell'Atramkhasis è incurante delle conseguenza dell'estinzione degli uomini,
da cui alla fine dipendeva il sostentamento degli stessi dei.
Alcune interpretazioni (p. XV Bot 92) vedono però nel "brusio" degli uomini -
che tanto affligge Enlil - una metafora del'intrapendenza umana e del
suo bisogno di indipendenza dal divino.
Inevitabile che Enlil esca di
scena nelle elaborazioni teologiche babilonesi che fanno di Babilonia la
nuova città primordiale, sacra a Marduk. Marduk è proclamato figlio di Enki,
l'ingegnere del mondo, e suo figlio Nabu (6) eredita le prerogative culturali
del nonno.
Nell'epopea di Erra (VII secolo a.C.) Enlil fa una fugace
apparizione come padre dello scalmanato portatore di flagelli e inondazioni
(ma nemmeno Marduk riceve un bel trattamento, essendo l'epoca composta in un
periodo di profonda crisi politica e incertezza religiosa).
Tutti i
miti di epoca pre-babilonese celebrano invece la gloria di Enlil. Già
nell'epopea di Gilgamesh vediamo con quanta disinvoltura
trasformi Utnapishtim e sua moglie in immortali. Analogamente si comporta
nella versione sumerica del diluvio (mito di Ziusudra) destinando
l'immortale Ziusudra a vivere nel reame di Dilmun. Egli è quindi creatore ma
anche legislatore. Tutto l'universo (il ciclo delle stagioni, il moto degli
astri, le regole di comportamente, ecc.) è regolato dalle sue leggi. In
particolare egli è il signore della tavoletta dei destini con la quale decide
la fortuna o la disgrazia di uomini e dei. Spesso affida questa tavoletta a
celesti custodi (Enki, Anzu, Ninurta, ecc.) che inevitabilmente la
smarriscono dando pretesto a nuove trame mitiche.
Shamash Shamash,
in sumerico Utu, è dio del sole e della giustizia. Non è un caso che
Hammurabi (re di Babilonia, 1792-1750 a.C.) gli dedichi il suo codice delle
leggi. La stele di Hammurabi è famosa per il bassorilievo che ritrae il
sovrano in piedi di fronte alla divinità benedicente. La stele, una
volta conservata nel tempio di Shamash a Sippar (menzionato nella tav.
VI), trafugata durante un saccheggio, ritrovata nella capitale persiana di
Susa (p. 164 Pon 2000), recuperata da Layard nell'800, è oggi ammirabile
al British Museum di Londra.
Shamash era venerato anche a Larsa. In
alta Siria venne assimilato al culto di Baal, figlio di Dagan, venerato nella
città sacra di Baalbek nota in età ellenistica come Heliopolis ("città del
sole") dove ovviamente la divinità si assimilò ad Apollo. Per completezza
ricordo che la regione subì a più riprese la dominazione degli egizi, presso
i quali la divinità solare era nota come Ra. I legami culturali tra la Siria
e l'Egitto sono testimoniati dai ritrovamenti di manufatti egizi nella
necropoli reale di Ebla (p. 184 Mat 1995).
Padre di Shamash era Sin,
in sumerico Nanna, dio della luna e governatore dei passi di montagna,
venerato a Ur e Harran.
Nell'Epopea di Gilgamesh Shamash compare
ripetutamente in numerose situazioni poiché è dio protettore di Gilgamesh.
Come dio della giustizia risolve la disputa tra l'assemblea degli anziani,
capeggiata da Enkidu, e l'assemblea dei giovani, guidata da Gilgamesh al
termine della tav. II. Durante la supplica di Ninsun a Shamash della tav. III
apprendiamo il nome della moglie del dio sole: Aia ovvero
l'aurora.
Nella tav. IV, i due eroi eseguono nel corso del loro viaggio
alla Foresta dei Cedri, numerosi sacrifici per propiziarsi i favori del dio
prima dello scontro con Khubaba. Shamash si accerta che i due non si perdano
d'animo inviando ogni sera un demone della sabbia (forse Ziqiqu, dio dei
sogni). La creatura trasmette ad Enkidu il potere di interpretare i sogni di
Gilgamesh. Il significato dei sogni è sempre il medesimo: Shamash guarda con
ottimo auspicio al successo dell'impresa.
Shamash è avvocato difensore
di Enkidu durante il consiglio degli Anunnaki all'inizio della tav. VII
(mutila) che l'aveva condannato. Nella tav. VII lo ritroviamo trasfigurato in
angelo del trapasso in un drammatico dialogo con Enkidu. Successivamente è
oggetto di venerazione nei riti funebri della tav. VIII.
Nella tav. IX
è la luce di Shamash a indicare la via attraverso l'oscurità quando Gilgamesh
inizia la sua ricerca di Utnapishtim. Al termine della stessa tavola
Gilgamesh giunge nel paradiso terrestre babilonese che altri non è che il
giardino del dio Shamash (il passo è famoso per la fantasia descrittiva, p.
es. grappoli di diamanti che nascono sugli alberi come i frutti). Nella
straordinaria tav. X Utnapishtim è sorpreso dall'arrivo di Gilgamesh perché
solo Shamash, "il guerriero", è capace di attraversare il mare (come Apollo,
nella mitologia greca, 7).
Secondo i babilonesi, ai limiti estremi della
volta celeste il cielo appoggiava sulla Terra. Qui si aprivano due porte
incastrate in montagne gemelle (Mashu) ma poste agli antipodi terrestri.
Shamash superava al mattino la prima per viaggiare durante il giorno lungo la
volta celeste. La seconda era oltrepassata la sera quando Shamash scendeva
agli Inferi. Durante la notte il dio navigava sull'Apsu a bordo di una barca
sacra (frequentemente rappresentata nei sigilli) che lo riportava alla prima
porta per riemergere all'alba in superficie.
Anche Sin percorreva la
propria strada nel cielo circondato dalle stelle che erano considerate un
gregge che An conduceva al pascolo ogni notte nella volta. In tale gregge
saltellano cinque arieti, i primi cinque pianeti già conosciuti agli
astronomi babilonesi.
Marduk e l'Enuma Elish Il mito babilonese della
creazione Il mito è noto col titolo "Enuma Elish", equivalente alle prime
parole del poema "Quando lassù...". Come per il Gilgamesh e l'Atramkhasis, si
contano moltissime pubblicazioni moderne di quest'opera (studi, traduzioni
e commenti) a causa del forte interesse riscosso, oltre al circolo
degli specialisti, presso orientalisti, biblisti e storici delle
religioni.
Visto che mi viene ripetutamente chiesto dai navigatori Web,
vi elencherò alcune edizioni in italiano del mito. L'edizione integrale può
essere letta in Uomini e dèi della Mesopotamia: alle origini della mitologia,
cap. XIV, di J. Bottero e S. N. Kramer, Einaudi ed. 1992. Una ottima versione
non integrale è nel testo Miti Mesopotamici, pp. 81-91, di H. McCall per i
tipi Mondadori, accessibile in molte biblioteche. La selezione è di per
se pregevole poiché evita al lettore le frequenti ripetizioni dovute
alla liturgia religiosa dove il poema trovava ideale condizione di
lettura. Faccio osservare che, per una svista dell'autrice, il poema non
viene mai nominato col titolo originale Enuma Elish.
Una bella ed
illustrata edizione in prosa del mito della creazione è nel testo di
Simonetta Ponchia, Gilgamesh: il primo eroe, antiche storie
della Mesopotamia, pp. 15-22, per i tipi Nuove Edizioni
Romane.
L'Enuma Elish godette di larga fama già in epoca antica, come
dimostrano i manoscritti portati alla luce in numerosi siti archeologici. Le
tavolette più antiche (1000 a.C.) sono state trovate ad Assur; redazioni più
recenti (ca. 650 a.C.) provengono dalle biblioteche di Ninive, Kish e Sippar.
Anche dopo la caduta dell'impero neobabilonese (539 a.C.) si continuò nel
paese a ricopiare quest'opera, così celebre da essere ricordata da
Damascio, filosofo neoplatonico vissuto ad Atene nel V secolo d.C. (p. 641,
Bot 1992).
Altra prova della fama e dell'importanza dell'opera è data dal
fatto che tutti i manoscritti e frammenti a noi giunti riproducono
esattamente lo stesso testo. Esiste quindi un'unica versione
canonica. L'unica "variante", se così possiamo dire, consiste nell'edizione
assira sotto il regno di Sennacherib (VII secolo a.C.). L'investitura del
potere temporale assiro avvenne tramite la revisione del mito che condensava
la tradizione teologica dei popoli sottomessi. Ma l'audacia degli scribi
di Sennacherib non si spinse oltre la sostituzione del nome dell'eroe Marduk
e dei suoi consanguinei con quelli del loro dio nazionale Assur, e di
quelli della sua cerchia divina (p. 642, Bot 1992).
L'opera è dalla
critica unanime ritenuta un capolavoro. Per un'analisi delle contaminazioni
dell'Enuma Elish sull'epica successiva si vedano pp. 42-46 di San 94. I primi
versi del poema sono a mio parere strepitosi. Accennano a divinità di origine
antichissima: Apsu, il mare sotterraneo su cui poggiava la terra secondo i
Mesopotamici, e Tiamat il mare di superficie (il tehom dei primissimi versi
della Genesi):
Quando Lassù il cielo non aveva ancora un nome, e
Quaggiù la terra ferma non era ancora chiamata con un nome, soli,
Apsu-il-primo, loro progenitore, e Madre-Tiamat, genitrice per tutti
loro, mescolavano insieme le loro acque: né banchi di canne vi erano
ancora raggruppati né canneti vi erano distinguibili. (vv. 1-6, traduzione
di Samuel Noah Kramer, da Bot 1992, p. 642)
Sia l'abisso Apsu, che
l'oceano Tiamat sono destinati a soccombere per far posto alle nuove
generazioni divine. Apsu, ucciso da Enki, diviene dimora sotterranea del dio
della sapienza. Tiamat, fatta a pezzi da Marduk, verrà usata come materiale
da costruzione per il nuovo universo (8). Per esempio con la saliva di Tiamat
verranno fabbricati gli elementi atmosferici, e dagli occhi di Tiamat i due
fiumi della Mesopotamia: il Tigri e l'Eufrate.
Non si possono non notare
affinità con altre tradizioni, come quella fenicia dove Baal uccide il padre
El e quella greca, raccontata da Esiodo, dove Zeus uccide il padre
Crono.
Marduk protagonista dell'Enuma Elish Il mito babilonese della
creazione venne scritto per uno scopo principale: celebrare la gloria di
Marduk. Siccome Marduk è patrono di Babilonia il poema difficilmente può
essere stato composto prima di Hammurabi (XVIII sec. a.C.).
Celebre è
la rappresentazione di Marduk nell'Enuma Elish: ha quattro occhi, quattro
orecchie, sputa fuoco dalla bocca ed è di altezza imponente così che nessuno
possa sfuggire alla sua volontà.
Erodoto, visitando Babilonia nel V sec.
a.C., descrisse la magnificenza del tempio di Marduk (chiamato Zeus Belo
dallo storico greco). Il tempio, detto Esagil («casa che solleva la testa al
cielo») era una ziggurat d'altezza formidabile. Praticamente una vera "torre
di Babele":
«In mezzo al tempio si erge una torre massiccia, che misura
uno stadio sia di lunghezza sia di larghezza, e su questa è posta un'altra
torre, e su questa un'altra, sino a otto torri. La strada che vi sale è
costruita all'esterno a spirale, e circonda tutte le torri» (Erodoto,
riportato in Dag 1997, p.14)
Racconta Strabone che Alessandro, che diede
alle fiamme Persepoli, risparmiò invece Babilonia al punto da volerla
capitale del nuovo impero ellenistico. Progetto mai realizzato a causa della
prematura morte del macedone (p. 225 Dag 1997).
La fine di
Marduk Se un mito celebra Marduk, un altro lo butta nella polvere. In
epoca neoassira Babilonia è preda di eserciti stranieri ed in balia di una
forte crisi economica e sociale. Gli assiri si prendono gioco di Marduk
nel processo di Marduk, mito dove l'impianto accusatorio contro Marduk è
nelle mani della maggiore divinità Assur. La stessa popolazione babilonese
si sente abbandonata del proprio nume tutelare e l'Epopea di Erra immagina
i motivi mitici dell'abbandono. E' una rappresentazione polemica
della divinita, un vecchio impotente che cammina strascicando i piedi. La
sua corona è appannata e i suoi ornamenti sono sporchi. Un dio che
lascia Babilonia, ingannato da Erra (Nergal) alla ricerca di
inesistenti artigiani-demoni che possano lustrare la sua
argenteria!
Paredra di Marduk era Zarpanit, dea che garantiva la gloria
del nome e l'abbondanza della discendenza. Presso i fenici e gli ugaritici
Marduk e Shamash si fondono nella figura del preesistente Bel (Baal). Nella
Bibbia ritroviamo Marduk trasformato in Mardocheo, che vive con la nipote
Ishtar (Ester). Fra le tante suggestioni bibliche di Alfred Döblin in
Berlin Alexanderplatz non poteva mancare il riferimento a
Mardocheo:
Nella città di Susa viveva un vecchio di nome Mardocheo che
aveva allevata Ester, la figlia di suo zio e la ragazza era formosa e di
bell'aspetto... (da Berlin Alexanderplatz, ed. Rizzoli 1995, p.
24)
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Per
un breve excursus sul fascino esercitato da Nergal sulla letteratura,
il cinema, i fumetti e quant'altro rimando alla pagina delle
contaminazioni. (torna su) Nel corso dell'antichità si ebbero ben quattro
capitali assire: Assur, Ninive, Kalkhu, Dur-Sharrukin. Assur era abitata sin
dal 2400 a.C. Verso il 1700 a.C. i suoi mercanti si spingevano fino in
Anatolia per esportarvi tessuti e acquistare rame. La città non ebbe mai
predominio politico bensì un rilevante prestigio religioso in quanto città
santuario della divinità nazionale assira. Assur fu distrutta come Ninive nel
612 a.C. dall'esercito dei Medi e dei Babilonesi. (torna su) Simbolo più
comune di Ishtar era la stella a otto punte. Si ritiene (Baigent, p. 143) che
le chiese a otto lati costruite dai cavalieri templari, e dedicate alla
Vergine Nera guerriera, rappresentassero una continuità col simbolismo
esoterico orientale. Se volete abbandonarvi a una digressione pulp su Ishtar
andate subito alla pagina delle contaminazioni. (torna su) Eridu è la
città più a sud nella terra di Sumer. Nella memoria storica della Mesopotamia
era considerata la «città primordiale». La prima costruzione del tempio di
Enki risale al IV millennio a.C. - praticamente in epoca preistorica! - e
rappresenta uno degli edifici sacri più antichi conosciuti. Il tempio di Enki
fu ricostruito molte volte in antichità, al punto che gli scavi hanno portato
alla luce ben 16 strati nel corso della campagna di Lloyd e Safar nel
1946-1949 (Bot 92). (torna su) Val la pena accennare che, più tardi, con lo
spostamento del baricentro del potere da Babilonia a Ninive (capitale
dell'impero assiro) e successivamente a Persepoli (capitale dell'impero
persiano), Marduk verrà soppiantato prima da Assur e dopo da Ahura Mazda.
(torna su) Nabu, patrono di Borsippa, era dio degli scribi e della scienza.
Sua paredra era la dea Tashmetum. Nabu fu venerato in Babilonia e in Assiria
(celebri i santuari di Nimrod e Ninive) sopravvivendo fino all'avvento
del cristianesimo (il tempio di Nabu a Palmira, in Siria, è del I sec.
d.C.). Nella Bibbia (vedi Isaia) è noto come Nebo e molti sovrani rivelano
nella grafia originaria la devozione al dio:
Nabû-kudur-utsur/Nabucodonosor, Nabû-na'id/Nabonedo. (torna su) Gli
antichi greci immaginavano che Apollo sorgesse a est dal seno di
Oceano, percorresse la volta celeste su un carro trainato da cavalli alati
(Eòo, Pirro, Etòne e Flegonte) che lanciavano fuoco e fiamme dalla bocca e
dagli occhi, e la sera si tuffasse nell'Oceano a ovest. La figura di Shamash,
in quanto divinità oracolare è vicina oltre che ad Apollo (Grecia), anche
a quella di Serapide (Egitto). (torna su) Secondo la concezione prima
sumerica e poi babilonese, la Terra era un enorme disco circondato dall'acqua
sopra il quale si leva la volta celeste che appoggia sulle estremità
terrestri mediante massicci pilastri. Il cielo era il regno di An, la terra
quello di Enlil, e l'acqua sotterranea quello di Enki. Una triplice divisione
dell'universo si configura anche presso i greci (Zeus, Poseidone e Ade) e nei
Veda indiani (Brahma, Shiva Vishnu).
ASSURBANIPAL Come nacque la
biblioteca La famosa XI tavola dell'epopea di Gilgamesh fu scoperta da George
Smith analizzando l'immensa collezione di documenti recuperati a Ninive
nella cosiddetta biblioteca di Assurbanipal. Questa immensa biblioteca era
stata voluta dal gran re assiro Assurbanipal (il Sardanapalo dei greci). Un
sovrano che eccelse non solo per la bravura militare, ma anche per le arti e
la cultura. E' suo infatti l'editto con cui fu ordinato agli scribi di
raccogliere tutto il materiale scritto, anche quello dei tempi prima del
Diluvio, affinché fosse conservato nel suo palazzo. Ecco cosa scrive ad un
suo emissario, il governatore di Borsippa:
«Ordine del re a
Shadânu. Il giorno stesso in cui tu vedrai questa mia tavoletta, prendi con
te Shuma..., Beletir. Aplâ. e gli altri eruditi di Borsippa che tu conosci.
Raccogli tutte le tavolette che si trovano nella loro casa o che sono
depositate nell'Ezida [=tempio di Borsippa, «tempio fedele in eterno»], per
quanto numerose siano, nonché le tavolette rare che si trovano nei tuoi
archivi e non esistono in Assiria, cerca anche queste e spediscimele.
Inoltre, se trovi qualche tavoletta che non ti ho menzionato nella mia
lettera e che tu ritieni buona per il mio palazzo
spediscimela!». (Lebory-Waterman, Royal Correspondence of the Assyrian
Empire, Ann Arbor, 1930-31, vol. IV, p. 213, n. 6, ripresa da R. Labat in
Storia Universale Feltrinelli 4, p. 94).
Egli inoltre si vanta di
saper leggere e scrivere l'accadico e il sumerico e di avere un bagaglio di
conoscenze pari a quello del saggio Adapa (1):
«Ho appreso ciò che il
saggio Adapa ha portato agli uomini, il senso nascosto di tutta la conoscenza
scritta. Sono iniziato nella scienza dei presagi del cielo e della terra.
Sono in grado di partecipare a una discussione in un consesso di sapienti, di
discutere la serie epatoscopica con gli indovini più esperti. So risolvere i
'reciproci' e i 'prodotti' che non hanno soluzione data. Sono esperto nella
lettura dei testi eruditi, il cui sumerico è oscuro e il cui accadico è
difficile da portare alla luce. Penetro il senso delle iscrizioni su pietra
anteriori al Diluvio, che sono ermetiche, sorde e ingarbugliate». (Iscrizione
"L" righe 13-18. Traduzione di R. Labat, in Storia Universale Feltrinelli 4,
p. 93).
La realizzazione di una grande biblioteca o il mecenatismo verso
le arti erano segni distintivi di potere, ma anche gesti in linea con la
tradizione mesopotamica. Molti sovrani, prima del re assiro, realizzarono
biblioteche in tal numero che ancor oggi si continuano a scoprire siti zeppi
di tavolette.
Tra i sovrani che precedettero i lustri di Assurbanipal
ricordo Shulgi (2094-2047 a.C.) della III dinastia di Ur (epoca del
cosiddetto «rinascimento sumerico»). Egli fondò biblioteche nelle città di Ur
e Nippur e molto celebre è il suo inno:
In eterno la Casa delle
tavolette andrà preservata, In eterno la Casa del Sapere dovrà rimanere
aperta. (Inno di Shulgi, riportato in Geo 1999, p. xvii, adattamento T.
Porzano)
Pensate ancora che il titolo «culla della civiltà» dato alla
Terra tra i Fiumi sia un semplice eufemismo?
I "tesori" della
biblioteca All'epoca della scoperta la raccolta di Assurbanipal superava le
20.000 tavolette. Fra queste 35 erano relative all'epopea di
Gilgamesh.
Le biblioteche mesopotamiche si distinguevano in raccolte di
esercizi scolastici (es. biblioteca di Sultantepe), archivi amministrativi
(es. biblioteche di Ebla e di Mari) e vere e proprie biblioteche
letterarie spesso localizzate all'interno del tempio (Nippur, Ur, Isin,
Me-Turan).
Le biblioteche più ricche erano quelle reali, dove le opere
venivano meticolosamente catalogate per titolo, per genere, per lunghezza e
per supporto (tavoletta d'argilla o assicella ricoperta di cera). Ma a
Ninive sono state rinvenute anche biblioteche private, le sole ad
essere sopravvissute alla caduta di Babilonia (618 a.C.). Proveniva da
queste collezioni private la maggior parte dei documenti fatta confiscare
da Assurbanipal per dar lustro alla sua biblioteca (p. 33 McCall
95).
Basta scorrere i cataloghi del tesoro epigrafico rinvenuto nel
palazzo di Ninive per capire che il sovrano aveva fatto raccogliere un
immenso materiale, appartenente ai vari campi della letteratura. Va
tuttavia chiarito che l'impero assiro ebbe parte marginale nella formazione
del cosiddetto patrimonio culturale "assiro-babilonese" (Bot 1992, p.
VII). Nessuna città assira assunse mai un ruolo paragonabile a quello dei
maggiori centri di cultura che furono le metropoli di Eridu, Nippur e
Babilonia. Tutt avia, mai prima degli assiri si era avuto nella Terra di
Sumer e di Accad impero più compatto e incontrastato. Fu proprio l'Assiria,
da sempre tributaria della cultura "babilonese", a riconoscersene la più
fedele erede (si pensi alla cerimonia dell'akitu del dio Assur, ereditata
pari pari da quelle celebrate a Marduk in Babilonia). Ed è così che nella
biblioteca voluta da Assurbanipal venne raccolta la summa dello scibile
mesopotamico.
Ma il valore della biblioteca va oltre l'avere saputo
conservare testi «tradizionali» (religiosi, epici, cronachistici, scolastici
e divinatori). Ad essi si aggiungono i numerosissimi documenti attinenti la
vita stessa della comunità come
copie di cancelleria di atti
amministrativi (abat sharri = parola/ordine del re) contratti
matrimoniali testamenti lettere di corte che trattano argomenti politici
o affari personali (raccomandazioni, denunce, nomine militari, lettere
d'assunzione, promemoria per il culto, divinazioni per il sovrano,
ecc.) Bellissimi esempi di lettere indirizzate al sovrano assiro
dagli intellettuali di corte (il capo-scriba, il capo-aruspice, il
capo-esorcista, il capo-medico, ecc.) si possono leggere in Fal 1992. Sono
sicuramente questi ultimi il materiale documentario più importante per il
lavoro dell'assiriologo nella ricostruzione del passato della Mesopotamia.
Dalla suddetta antologia mi piace riportare due esempi. Il primo è la
direttiva sul rito dell'akitu puntigliosa ai limiti della
comicità:
«Domani è la festa di Shatru. La dea Ishtar arriverà dalla
città di Milqia e farà il suo ingresso dinanzi al re; e il re entrerà
successivamente. Oppure il re entrerà (per primo) e successivamente farà il
suo ingresso la dea Ishtar. Il mio signore scriva come è più gradito e si
opererà di conseguenza. Ma forse la dea Ishtar potrebbe entrare da una parte,
e il re dall'altra...» (lettera n. 40 da Fal 1992, p. 117)
Il
secondo esempio è la commovente supplica di un esorcista caduto in disgrazia
presso il sovrano:
"Che il mio re voglia prestare attenzione al caso del
suo servo, che il re voglia esaminare la vicenda per intero. All'inizio, al
tempo del padre del re mio signore, io ero un miserabile, figlio di un
miserabile. Egli mi tirò fuori dal letamaio; ricevevo da lui doni
cerimoniali; tra gente rispettabile il mio nome veniva pronunciato. Quando il
mio signore divenne principe ereditario, ricevetti avanzi insieme agli altri
esorcisti. Stavo costantemente alla finestra compiendo l'osservazione degli
astri. Per tutti i giorni in cui fui al suo servizio, rispettati i divieti;
non entrai nella casa né di un eunuco né di un cortigiano senza il suo
permesso. Ora però io non sono stato trattato conformemente a queste azioni.
Se è costume che gli studiosi di maggior prestigio e i loro assistenti
ricevano muli, di certo a me dovrebbero dare un asino, ma io che compenso ho
e per quale ragione lavoro? [...] Che si ricordi il mio signore del suo servo
e dica «Che riceva la mia collana sotto il mio stesso sguardo». E c'è un
altro detto «Chi è stato colpito da dietro, può parlare con la bocca, ma chi
è stato colpito in bocca, come parlerà?» ..." (lettera n. 31 da Fal 1992,
p. 97-103; adattamento T. Porzano)
Nella tradizione scolastica la
creazione della biblioteca, appare come il realizzarsi del desiderio di un
sovrano pio e dottissimo. Questo è solo in parte vero. Ricordo che, con
Assurbanipal, l'impero assiro raggiunge la massima potenza militare ed
espansione territoriale (669-631 a.C.). Ma ai paesi assoggettati (come
l'Egitto o Susa) non sono concesse autonomie e il governo assiro si mantiene
più che su regolari tributi, su una vera economia di rapina. Le popolazioni
che tentavano resistenza erano sterminate e deportate ed ogni campagna di
guerra veniva condotta con programmata spietatezza [Pro 1986, p. 84]. Tutto
ciò è meticolosamente registrato negli annali, dettati dallo stesso
Assurbanipal, conservati per secoli nella biblioteca. Con la biblioteca
insomma il sovrano intende celebrare soprattutto la sua potenza, la potenza
effimera di un impero che collasserà poco tempo dopo la morte di questo
dispotico e geniale sovrano (2).
"Assur in un sogno nominò Saggio il
padre del padre del re mio signore. Il re, signore dei re, è progenie di un
saggio - anzi è Adapa medesimo. Tu hai superato la sapienza dell'Abisso e di
tutti gli studiosi. Quando il padre del re mio signore andava verso l'Egitto,
c'era un tempio di cedro nei pressi della città di Harran. Il dio Sin era
seduto sul suo scettro, e due corone erano poste dul suo capo, e il dio Nusku
gli stava di fronte. Il padre del re mio signore entrò e si mise una corona
sul capo. Allora gli fu detto: «Tu andrai e con essa conquisterai il mondo»
..." (dalla lettera del capo-aruspice ad Assurbanipal, da Fal 1992, p.
107)
La Collezione Kouyunjik La scoperta archeologica della biblioteca
di Assurbanipal avvenne nel 1852 ma rimase senza paternità per due motivi. Il
primo è che Hormuzd Rassam, il probabile scopritore di una parte o forse di
tutta la Biblioteca, commise un furto ai danni degli archeologi francesi
Loftus e Boutcher che avevano trovato il palazzo di Assurbanipal. Il secondo
è che non si sa quali reperti Rassam sottrasse, poiché al British Museum le
tavolette "trovate" da Rassam non furono separate da quelle recuperate in
precedenza dall'archeologo Henry Layard. Naturalmente Rassam continuò a
rivendicare nelle sue memorie che la famosa tavoletta del Diluvio faceva
parte della sua raccolta (p. 86 Pet 1992).
Comunque sia la raccolta
Rassam-Layard assunse il nome dal tell, o collina artificiale, in cui fu
ritrovata l'antica Ninive: Kouyunjik (o Kujundshik) ed includeva sia le
tavolette provenienti dal palazzo di Assurbanipal sia quelle dal palazzo di
Sennacherib. Le tavolette vennero marchiate con la lettera K.
Celebri
rimangono le K63 (racconto della creazione), la K231 (frammento dalla tav.
VI) e la tavoletta del diluvio, tutte tradotte per la prima volta da George
Smith.
Nel 1867 George Smith venne associato a Henry Rawlinson,
responsabile della collezione, per preparare le raccolte di copie delle
iscrizioni. Il compito non era dei più facili a causa del pessimo stato dei
reperti. Scrisse Smith nelle sue memorie:
Queste tavole erano composte
di creta fine e furono incise con caratteri cuneiformi quando erano ancora
molli; furono poi cotte in una fornace e successivamente trasferite alla
Biblioteca. Credo che questi testi vennero danneggiati durante l'assedio di
Ninive, e molti di loro subirono crepe e bruciature a causa del calore
sviluppatosi dall'incendio del palazzo (Smi 1876 p. 9, traduzione T.
Porzano)
Questo deliberato atto vandalico viene così spiegato da Deller,
un noto studioso tedesco: quando Ciassare, re dei Medi, e Nabopalassar, re
di Babilonia, riuscirono nel 612 a.C. a piegare l'ostinata resistenza
degli assiri asserragliati nella loro capitale, ed entrarono trionfalmente
nella città, rimasero sorpresi dall'alto valore artistico delle
raffigurazioni con cui erano ordinate le sale del palazzo reale: non era
infatti possibile che i barbari soldati assiri potessero avere un così
spiccato senso dell'arte. Quando poi, soprattutto i Babilonesi, penetrarono
nella fuga di stanze dove erano raccolte, come in una biblioteca, le
tavolette, cominciarono a buttarle a terra e a frantumarle, distruggendo così
quello che forse costituiva il patrimoni più prezioso di tutto il mondo
mesopotamico. Ma la distruzione della Biblioteca continuò anche dopo la
distruzione di Ninive:
In seguito le rovine furono rovistate a caccia di
tesori recando ulteriore danno alle tavolette. A completare la distruzione,
durante i cicli primaverili, la pioggia filtrata attraverso il terreno
impregnò le tavole di minerali che, crescendo, spezzarono ulteriormente le
tavolette, al punto da ridurne parte in briciole (Smi 1876 p. 9, traduzione
T. Porzano)
Fu in queste condizioni che Smith portò avanti pazientemente
l'opera di catalogazione e di classificazione che lo condusse alla scoperta
della saga di
Gilgamesh.
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Il
saggio Adapa è una delle figure più importanti della mitologia babilonese.
Egli è il primo dei Sette Saggi (chiamati apkallu nella tradizione sumerica),
emissari del dio della saggezza Enki e latori di civiltà all'uomo primitivo.
Nella tav. I (vv. 19-20) si attribuisce proprio ai Sette Saggi la posa delle
fondamenta di Uruk. Su Adapa fioccarono le leggende. Una in particolare lo
vede come sommo sacerdote nel santuario di Enki nella città primordiale di
Eridu. In questo mito Adapa, come Gilgamesh, arriva vicinissimo a conseguire
l'immortalità, senza tuttavia ottenerla. Dopo aver superato con
l'intelligenza numerose avversità egli è infatti condotto di fronte ad An,
dio del empireo. Il signore degli dei offre al mortale il pane e l'acqua
dell'immortalità ma Adapa, su consiglio (o inganno?) di Enki, li rifiuta.
(torna su) Fin dalla sua scoperta nell'800, l'arte e la cultura assira
esercitarono un fascino irresistibile sull'Occidente. Per un breve excursus
su Assurbanipal e gli assiri nella moda, la letteratura, il cinema, i fumetti
e quant'altro rimando alla pagina delle
contaminazioni.
MONOGRAFIA Chi fu veramente Gilgamesh? I documenti che
ne parlano sono quasi tutti posteriori all'epoca in cui ipoteticamente si
potrebbe collocare il suo regno (ca. 2700 a.C.). Per alcuni studiosi è
un'invenzione mitica, per altri è una figura semi-leggendaria. Il dibattito è
aperto!Ecco come esordisce la McCall: "sappiamo con certezza che Gilgamesh fu
un giovane re di Uruk, appartenente alla prima dinastia intorno al 2600 a.C."
(p. 58 McCall 95). Ahimè, la certezza della McCall non basta a trasformare le
sue ipotesi in verità di fede condivise dagli studiosi. Le mie perplessità
sono rafforzate dalle approssimazioni - chissà quanto volute - dei suoi testi
(come l'inesistente implorazione dei cittadini di Uruk ad Aruru o il
viaggio alla - orrore! - foresta dei pini). Sarà meglio pertanto esporre poco
alla volta tutti gli elementi a nostra disposizione prima di trasformare
le ipotesi in assiomi.
La lista reale di Fara Gilgamesh è
il più noto e celebrato eroe di tutta la Mesopotamia un po' come lo era
Odisseo nel Mediterraneo all'epoca della colonizzazione greca. Dalla lista
reale sumerica, redatta attorno al 2000 a.C. e proveniente da Fara, leggiamo
un passo relativo al quinto re della prima dinastia di Uruk, che regnò verso
il 2700 a.C.:
Il divino Gilgamesh - suo padre è uno sconosciuto
- signore di Kullab, regnò 126 anni; Urlugal, figlio di
Gilgamesh, regnò 30 anni (da The Sumerian King List, dal sito ETCSL, vedi
inoltre p. 74 Pet 1992)
queste poche righe ci informano
che
Gilgamesh è un essere divino
suo padre è uno sconosciuto
(forse un sacerdote di Kullab, distretto templare di Uruk)
egli ha un
figlio Urlugal che regna dopo di lui.
Il terzo punto è sovente confermato
da altri documenti dove Gilgamesh e Urlugal appaiono assieme come padre e
figlio. Gilgamesh doveva essere un re molto importante e influente se, come
racconta la stessa epopea (tav. I), poteva permettersi di
allargare
la cerchia delle mura di Uruk
abbellire l'Eanna (tempio di Ishtar) di
tesori
ricostruire i santuari distrutti nel corso del diluvio.
Il
primo punto è confermato da un'iscrizione attribuita ad Anam, altro sovrano
di Uruk, che, parlando delle mura di Uruk, le definisce «un'antica opera di
Gilgamesh».
Un altro documento, la cosiddetta Storia di Tummal (per la
trascrizione completa vedi il sito ETCSL), conferma lo zelo costruttore di
Gilgamesh. In base a questo mito sia sotto il suo regno, sia sotto quello di
Urlugal, fu restaurato il santuario di Tummal consacrato alla dea Ninlil
(paredra di Enlil), nella città di Nippur.
Delle mura di Uruk, vanto
edilizio di Gilgamesh, non rimane oggi nulla. Si pensi che già Sargon di
Akkad, in una celebre iscrizione, annoverava tra le sue maggiori imprese la
distruzione delle mura di Uruk.
Altri miti descrivono l'eroe Lugalbanda,
come marito della dea Ninsun. Questo dato si accorda con quanto si afferma
nell'epopea che definisce Lugalbanda «padre» (o dio) di Gilgamesh. Tuttavia
la lista reale sumerica non pone in relazione diretta Lugalbanda (terzo re di
Uruk) con Gilgamesh (quinto re e «figlio di sconosciuto»). Quindi un'ipotesi
plausibile anche sul piano mitico è che Lugalbanda sia semplicemente antenato
di Gilgamesh.
Frammenti ritrovati a Me-Turan (l'odierna Tell Haddad)
danno notizia che Gilgamesh fu sepolto nelle acque di un fiume (p. 22 Sap
2001). Questi frammenti sono oggi considerati come facenti parte del poemetto
sumerico La morte di Gilgamesh (p. 207 Geo 1999). Il poemetto narra che i
sudditi deviarono il corso dell'Eufrate per seppellire nel suo letto il
defunto sovrano.
Un sovrano mitizzato? Secondo Pettinato è
azzardato ritenere che questi pochi riferimenti bastino a provare l'esistenza
storica di Gilgamesh. L'affermazione è forse eccessiva. Gilgamesh è un
personaggio mitizzato, stravolto fin che si vuole ma con agganci a fatti
realmente accaduti. Saporetti (Sap 2001, p. 21) elenca molti personaggi che
lasciarono un segno talmente forte nella storia da essere divinizzati dai
posteri: Sargon, Mosè, i re di Roma, Minosse re di Creta, Alessandro Magno
(il cui ciclo epico ha forti agganci con le avventure di
Gilgamesh).
La lista potrebbe proseguire con personaggi meno noti come
Shamshi-Adad e Labarnas. Questi due sovrani semi-leggendari diedero lustro
rispettivamente all'impero assiro e a quello ittita (p. 81 Pro
1986).
Il dio Gilgamesh Ma se la lista di Fara, annovera Gilgamesh tra
gli dei sumerici, quali doti aveva questo dio? Il "dio Gilgamesh" era spesso
invocato nelle iscrizioni reali in qualità di protettore in battaglia. Più
spesso era invocato come dio degli inferi o giudice dell'aldilà. Nel poemetto
sumerico Enkidu agli Inferi, Gilgamesh compare come fratello della dea
Ishtar. In questo ha assonanze con Dumuzi, amante di Ishtar e dio dei pastori
che, secondo la lista reale, fu successore di Lugalbanda. Naturalmente questo
non smentisce l'esistenza storica di Gilgamesh poiché in antichità era molto
diffusa la pratica di venerare come divinità i sovrani, o divinizzarne la
discendenza.
I poemetti sumerici Molti documenti parlano delle
tribolazioni politiche del sovrano Gilgamesh in contesti mitici ma
verosimili. Per esempio il poemetto di Gilgamesh e Agga narra il conflitto
tra Uruk, città di pianura, e Kish, città collinare (p. 62 Pro 1986). Il
poemetto è in gran parte ambientato a Uruk, dove Gilgamesh discute le
condizioni di Agga prima col consiglio dei sacerdoti e poi in un'assemblea
cittadina più ampia. Le somiglianze con la tav. II dell'epopea sono enormi;
anche qui l'approvazione dei piani di Gilgamesh deve passare al vaglio di due
assemblee.
Di questo poemetto, insieme a molti altri aventi Gilgamesh
protagonista (come la già citata Morte di Gilgamesh) risalgono tutti alla
terza dinastia di Ur (Ur III) dove fortissimo era sentito il legame con
illustri leggendari antenati. Un periodo storico detto «rinascimento
sumerico» per l'esplosione artistico-letteraria tesa al recupero delle
tradizioni e la cultura sumerica, unico segno di prestigio rimasto in un
epoca dove il peso politico dei sumeri andava definitivamente
svanendo.
Il ciclo epico di Gilgamesh non è infatti il solo avente
protagonista un remoto sovrano di Uruk. Sia Enmerkar (II re di Uruk secondo
la lista reale), sia Lugalbanda (III re), sia Dumuzi (IV re) godettero il
privilegio di un ciclo epico ad personam teso a celebrarne gli antichi fasti.
Celeberrimo è l'episodio dell'invenzione della scrittura nel ciclo
Enmerkar.
L'iconografia di Gilgamesh Numerosi sono i documenti
iconografici riconducibili a Gilgamesh. Per esempio, in molti sigilli o
bassorilievi si incontra un personaggio con un'imponente barba squadrata che
tiene per la gola un leoncino come fosse un cucciolotto.
In altre
rappresentazioni (come i fregi della glittica da Ebla, p. 103 Mat 1995)
questo personaggio doma due leoni afferrandoli per la coda. E' evidente che
il soggetto, chiunque egli sia, rappresenta simbolicamente il controllo della
natura selvaggia.
Molti studiosi lo identificano con Gilgamesh. Ma in
quale mito l'eroe combatte i leoni? Nella tav. IX Gilgamesh incontra i leoni
ma ne prova paura e tocca a Sin, dio lunare, scacciare le belve. Nella tav. X
Gilgamesh si attribuisce poi il merito della vittoria sui leoni parlando con
Siduri la taverniera.
Giusta o sbagliata che sia, l'identificazione
del guerriero affiancato da due leoni rampanti con Gilgamesh è ormai
consolidata. Tale motivo, entrato nell'iconografia tradizionale, è chiamato
ancora oggi "motivo di Gilgamesh" (p. 51 San 1994).
Ma ammettiamo pure
che il "domatore" di leoni sia Gilgamesh. Il confronto del soggetto con altri
bassorilievi monumentali fa propendere per una figura storicamente esistita,
come lo stesso Pettinato ammette. Ma dato che lo studioso si è convinto che
Gilgamesh non è mai esistito allora questa figura non può essere
Gilgamesh.
Anche Bottero (p. 121 Bot 1996) è perplesso
sull'identificazione del soggetto con Gilgamesh. Si tratterebbe di un
personaggio regale che doma dei leoni, non ben identificato. Viceversa
Saporetti non ha dubbi, per lui il bassorilievo ritrae "Gilgamesh e il leone
ruggente". Strano è come Pettinato riconosca Gilgamesh in altri sigilli che
ritraggono un altro soggetto, somigliantissimo al precedente, con l'hobby di
strangolare uno o due tori. Sembrerebbe che l'evidenza del Toro Celeste non
possa essere negata ma ci si mette anche D'Agostino (Dag 1997 iconografia)
secondo il quale "è un errore interpretare la figura che doma i due tori
androcefali con Gilgamesh".
Per concludere vorrei ricordare una tesi
sostenuta dai primi assiriologi ma presto abbandonata. Secondo essa Gilgamesh
altri non era che l'eroe biblico Nimrod, della stirpe di Kush risalente fino
a Noè (GEN 2000, p.23 - Genesi X, 8-10). Forse la discendenza mitica di
Gilgamesh dal Noè babilonese aveva condotto su una falsa pista. Al punto che
lo stesso George Smith sostenne la tesi, che Izdubar, nome
sillabico-provvisorio assegnato al protagonista dell'epopea, dovesse in
realtà leggersi Nimrod (Smi 1876, p.182-183). E' consolante che anche ai
migliori capitino errori d'interpretazione!
Come si
pronuncia L'incertezza legata alla pronuncia del nome è una caratteristica
saliente del personaggio. La provvisorietà della prima pronuncia, come detto,
fu riconosciuta dallo stesso Smith (p. 90, 116 Pet 1992). Smith non fece
altro che attribuire ai tre segni cuneiformi che componevano il nome
dell'eroe i loro i valori sillabici più comuni: IZ-DU-BAR. I valori assiri in
base ai quali bisognava leggere gli ideogrammi erano infatti sconosciuti
all'epoca di Smith.
Come accennato, fu del tutto inutile l'energia
spesa per dimostrare che la lettura fonetica di Iz-du-bar fosse Nimrod (Smi
1876, p.182-183). L'esatta lettura del nome dell'eroe dell'Epopea, Gilgamesh,
fu riconosciuta solo dopo molte discussioni alcuni anni dopo. Il primo a
leggere correttamente il nome fu Pinches in Babylonian and Oriental Records,
IV, 1890, 264.
Secondo Andrew George la pronuncia va distinta a seconda
della lingua, ovvero del periodo storico. Il nome antico sumerico (usato nei
poemetti di Ur III) andrebbe pronunciato Bilgames, mentre Gilgamesh è da
usare solo nei recenti documenti in accadico (Geo 1999 p. xix). Nei documenti
intermedi a volte si trova Gibilgames...
La fonetica esatta del nome è
"Ghilgamesh", cioè il suono della /g/ è sempre duro; /sh/ è un suono che si
avvicina all'italiano /sc/ (come in "scena"). Inoltre l'accento lungo cade
sulla /a/ e non sulla /i/ (Ghil-gaa-mesc per intenderci).
Non è ancora
risolto invece il problema del significato di questo nome, anche se molti
studiosi sono propensi a credere che l'esatta interpretazione sia quella
proposta da Falkenstein e cioè: "il vecchio diventa giovane". Una spiegazione
suggestiva che si adatta bene al contenuto dell'Epopea, la ricerca cioè
affannosa della vita eterna da parte di Gilgamesh.
Incredibilmente in un
recente testo (2001) Saporetti ha rimesso in discussione la pronuncia e il
significato. Questo autore enumera altri due altri modi di lettura del nome
del re di Uruk in base alla molteplicità di significato dei segni cuneiformi:
Gish-gin-mash oppure Gish-tun-bar, trasformando il senso originale "colui che
diventa giovane" in "colui che taglia gli alberi" (p. 18, Sap 2001). C'è solo
l'imbarazzo della scelta!
Questo è nulla, gente, rispetto alla bizzarria
sentita pronunciare da una commessa, una volta prenotando un libro
sull'argomento: Jilgheims ("colui che gioca con Gillian"?). Ma si sa che
all'avvenenza si perdona qualunque corbelleria.
Come si scrive Se
la pronuncia è molteplice, la scrittura non è da meno. Gilgamesh è il modo
anglofono di scrittura che in italiano suonerebbe Jilgamesh. L'unico modo
corretto di scrivere il nome in italiano è pertanto Ghilgames ma purtroppo è
usato solo in Sap 2001. Ahimé, sono consapevole che se io usassi Ghilgames in
queste pagine, nessun motore di ricerca troverebbe più il
mio sito!
Interessante la scrittura tedesca: Gilgamesch. Modi superati
di scrivere il nome sono Gilgamosh e Gilgamish diffusi presso gli studiosi
americani (come Robert Campbell Thompson e Stephen
Langdon).
Conclusioni Non sappiamo se Gilgamesh sia davvero esistito
ma la sua sete di gloria e la disperata voglia di non morire sono elementi
spiccatamente umani. Difficile pensare a una invenzione mitica quando
un'ipotesi semplice, acutamente proposta da Saporetti, si fa avanti. Può
darsi che visse davvero un sumero in epoca remota con queste attitudini così
marcate da impressionare la memoria degli altri. E la memoria a quei tempi si
trasformava presto in mito.
Nell'epopea il concetto è spesso ribadito.
Per esempio, durante il concitato dialogo che precede la battaglia nella
Foresta dei Cedri, Gilgamesh esclama al compagno Enkidu:
«L'uomo
forte, preparato per il combattimento, responsabile, che va davanti, vigila
sul suo corpo e salverà l'amico ed entrambi si sono assicurati la fama per i
tempi a venire» (vv. 248-250, tav. IV).
Impossibile non pensare ad un
altro celebre eroe dell'epica classica che, con altrettanta veemenza,
incitava i compagni timorosi di fronte al pericolo e all'ignoto: Odisseo.
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