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LA STORIA DI ROMA DA POMPEO AD AUGUSTO - GIULIO CESARE

STORIA DELL'ANTICA ROMA, DA POMPEO AD AUGUSTO E GIULIO CESARE

Giulio CesarePompeoAugusto

L'ULTIMO PERIODO DELLA RES-PUBLICA ROMANA Introduzione Gli anni qui in esame sono quelli del passaggio dalla Res-publica all'Impero. Rispetto a quelli precedenti, e in particolare al periodo dei consolati (e delle dittature) di Mario e Silla, il ruolo subalterno del Senato diviene ancora più esplicito e scoperto. Il suo compito consiste difatti sempre di meno in un effettivo comando, e sempre di più nel fornire un sostegno di natura giuridica - e in un certo senso anche morale - ai vari autocrati che in Roma detengono poteri sempre più straordinari (poteri che spesso, inoltre, proprio il Senato ha concesso loro). Un altro compito assolto da tale istituzione è quello di contribuire a dare, con la propria presenza, un senso di continuità tra il precedente e il nuovo ordine: per tale ragione essa costituirà, nel corso di tutta la storia di Roma, un elemento insostituibile sia da un punto di vista "simbolico" che istituzionale, rimanendo (nonostante il forte ridimensionato che, nel corso degli anni, subiranno i suoi effettivi poteri politici) uno dei pilastri dello Stato romano. Tuttavia, in un'ottica meramente politica, questi anni vedono radicalizzarsi le tendenze personalistiche di potere che hanno caratterizzato i decenni precedenti. E' ormai proprio il Senato, difatti, ad appoggiarsi ad alcuni generali (quali Pompeo e Ottaviano) nel tentativo di arginare l'avanzamento politico di altri, ritenuti più pericolosi per se stesso, per le proprie tradizioni e per le proprie prerogative istituzionali. Così nel 30, al termine dell'ultima guerra civile del periodo repubblicano, quella tra Ottaviano e Marco Antonio, e con la sconfitta di quest'ultimo, sarà proprio il Senato a concedere al vincitore, assieme al titolo di 'Augusto', anche quei poteri straordinari che ne faranno in sostanza il primo imperatore della storia romana. Un altro elemento di novità, rispetto agli anni precedenti, sarà il ruolo di primo piano assunto dalle province nello scacchiere politico dell'impero. Ancora al tempo di Silla infatti, le province rimanevano ai margini della vita politica della Repubblica, all'interno della quale un ruolo essenziale svolgevano invece i romani e gli italici. Ora, al contrario, esse divengono il centro e la base dei poteri personalistici di quei grandi condottieri che aspirano a un dominio assoluto su Roma (si pensi ad esempio alla Gallia di Cesare, o all'Egitto di Marco Antonio), nonché chiaramente entità economico-politiche autonome della cui particolarità e delle cui esigenze bisogna tenere sempre più conto. Il tutto nel quadro della debolezza delle istituzioni cittadine (e in primis del Senato), della formazione e diffusione - conseguente a tale debolezza - di poteri personalistici e clientelari un po' in tutte le regioni del dominio sia diretto che indiretto di Roma, e dell'ulteriore estensione quantitativa degli eserciti professionali, oltre che della crescita della loro importanza sia come strumenti di affermazione politica, sia come protagonisti effettivi della politica interna. Storia di Roma da Pompeo ad Augusto 1. Il dopo-Silla: Pompeo al potere Gli anni successivi alla fine della dittatura sillana saranno caratterizzati dalla centralità istituzionale del Senato e, parallelamente, dall'emergere dopo Silla e Mario di nuovi protagonisti della vita politica. Il primo tra essi è senza dubbio Pompeo Magno. Figlio di Pompeo Strabone, il generale che nel 90 aveva concluso la guerra sociale sconfiggendo la Federazione italica, Pompeo Magno ha ereditato da suo padre tanto un esercito personale quanto delle forti ambizioni di carattere politico. Iniziata la carriera pubblica come alleato di Silla, dopo la morte di quest'ultimo egli si allontana presto dalle sue posizioni, avvicinandosi agli ambienti politici democratici moderati (quelli, per intendersi, ostili all'orientamento rivoluzionario delle fazioni mariane). Il suo indirizzo politico oscilla infatti tra le posizioni oligarchiche più temperate e quelle dei plebei ricchi, ovvero degli equestri, oscillanti a loro volta - soprattutto, come si è visto, a partire dai Gracchi - tra l'alleanza con la plebe e quella con il Senato. Ed è appunto un tale indirizzo a rendere Pompeo l'uomo più adatto da porre come baluardo contro i movimenti anti-oligarchici (di stampo mariano) che ancora infuriano nell'Impero. Per tale ragione egli riceve dal Senato (tra il 77 e il 72) un primo incarico ufficiale, il compito cioè di sedare alcune rivolte e disordini in Spagna, a capo dei quali si è posto un certo Sertorio, e che costituiscono un grave motivo di preoccupazione per la classe dirigente romana. Oltre a tali disordini, vi sono poi altri elementi di instabilità all'interno dell'Impero, essenzialmente: · una nuova guerra contro Mitridate, re del Ponto, iniziata nel 74; · alcune rivolte di schiavi (tra cui la più celebre è quella guidata da Spartaco nel 73, una rivolta che, partendo dalla Sicilia, finisce per coinvolgere tutta la penisola italiana); · e infine il fenomeno della pirateria che infesta il Mediterraneo, con grande disappunto soprattutto delle classi commerciali, le quali rischiano di vedere minati i propri traffici. Al termine delle campagne iberiche, Pompeo affronterà infatti prima un guerra contro i pirati illirici (per la quale gli verranno concessi poteri straordinari, come ad esempio la possibilità di esercitare un libero comando militare su tutte le province romane) e successivamente il conflitto, che si trascina peraltro già da alcuni anni, contro Mitridate. Entrambe queste guerre inoltre, saranno sostenute con particolare vigore dai ceti equestri e da quelli popolari, interessati a una rapida soluzione dei problemi ad esse sottesi (essendo i loro proventi legati - più o meno direttamente - alle attività commerciali, disturbate tanto dalla pirateria quanto dalle mire espansionistiche di Mitridate). Come possiamo capire da quest'ultimo punto, Pompeo si appoggia, al fine di dare una base di consenso alla propria ascesa politica, a quelle classi le cui esigenze e aspirazioni trovano una scarsa risonanza nella politica e nelle istituzioni cittadine e nobiliari, e che sono perciò alla ricerca di una base politica che favorisca la loro affermazione. Appartiene dunque a quella schiera di uomini politici estremamente ambiziosi, che tentano di soddisfare le proprie personali aspirazioni di dominio attraverso i conflitti generati da una tale situazione. Ciò tuttavia non pregiudica in modo irreparabile i suoi rapporti con il Senato, dato il suo orientamento fondamentalmente moderato. Vedremo più avanti inoltre, come gli sviluppi della vicenda politica interna porteranno a una vera e propria riconciliazione e alleanza tra i due. A - Il primo triumvirato Al termine della guerra in Oriente, durata dal 66 al 62, nel corso della quale Pompeo ha sconfitto definitivamente Mitridate e ha dato un nuovo assetto alle zone orientali, il condottiero romano ha oramai sviluppato a livello generale una vasta rete di consenso popolare, e detiene inoltre degli enormi poteri a livello sia economico che politico, poteri derivanti dai successi delle proprie campagne militari e dalla fedeltà degli eserciti. Per tali ragioni, i tempi sarebbero ormai già maturi per la costituzione di uno stato tipo militare e imperiale, una soluzione che Pompeo potrebbe facilmente imporre al Senato, presentandola in pratica come un dato di fatto. Eppure questi, per ragioni peraltro in gran parte ancora oscure (si badi però che, oltre che un fatto storico, una tale decisione è anche una libera - e come tale forse non del tutto giustificabile - deliberazione umana), non lo fa. E' probabile comunque che Pompeo non voglia sovvertire tradizioni tanto radicate come quelle repubblicane, e assieme a esse la centralità stessa del Senato, anche per le conseguenze che un tale atto potrebbe avere in termini di 'governabilità'. In ogni caso, prescindendo dalle ragioni di tale comportamento, egli preferirà muoversi in un modo che sia, almeno formalmente, rispettoso delle prerogative del Senato. (E' opportuno notare poi come un tale atteggiamento di rispetto formale per l'istituzione senatoria rimarrà a lungo una costante anche nella condotta dei futuri condottieri romani, da Cesare a Ottaviano, con l'unica eccezione di Marco Antonio). La nascita del primo Triumvirato (60) è dovuta infatti al rifiuto del Senato di avallare le proposte fatte da Pompeo per un nuovo assetto delle zone orientali (proposte che riguardano essenzialmente la fondazione di tre nuove province: Bitinia, Ponto, Siria), oltre che alla mancata concessione delle terre ai veterani del suo esercito. Deciso quindi a non agire apertamente contro le istituzioni repubblicane, ma anche a non subire passivamente le decisioni del Senato, Pompeo escogiterà una terza via, chiamata 'Triumvirato', basata su un'alleanza privata con altri due potentissimi esponenti politici di quegli anni, i soli forse che possano competere con lui per influenza e notorietà: ovvero Giulio Cesare e Mario Licino Crasso. Mentre il primo è un giovane politico emergente di area popolare, imparentato alla lontana con Mario, l'altro è invece un ricchissimo finanziere, un uomo legato agli ambienti romani dei publicani (equestri) di cui è anche uno degli esponenti più in vista e più potenti. Alleandosi, i tre cercheranno di ottenere - attraverso tale patto, di natura non ufficiale e privata, basato cioè sull'idea di un aiuto reciproco tra i soci - ciò che il Senato non vuole concedere loro singolarmente. Una tale soluzione decreterà quindi il trionfo stesso della politica personalistica e clientelare dei generali e dei potentiores romani contro quella delle ormai obsolete istituzioni cittadine, e sarà inoltre la manifestazione più lampante della debolezza di queste ultime, della loro impotenza a gestire in modo efficiente e reale il nuovo Stato. Tralasciando la figura di Crasso, che avrà in realtà un ruolo abbastanza marginale nelle vicende di questi anni, e che morirà durante una campagna militare in Siria presso Carre già nel 53, sono questi a grandi linee gli eventi più significativi tra il 60 e il 56: a) Nell'anno del suo consolato, il 59, Giulio Cesare: · fa approvare i progetti di Pompeo per la modifica dell'assetto orientale; · promuove due leggi agrarie in favore dei veterani di Pompeo (includendo nelle terre distribuite anche l'agro campano: una zona tradizionalmente del patriziato romano, che nemmeno i Gracchi avevano osato toccare); · favorisce attraverso vari sgravi fiscali i ceti finanziari più vicini a Crasso; · assegna infine a se stesso il proconsolato dell'Illirico e della Gallia (Cisalpina e Narbonense), territori su cui costruirà negli anni futuri il suo potere privato. b) Tra il 58 e il 56 (l'anno in cui viene rinnovato il patto triumvirale), Cesare estende (con il pretesto di difendere e consolidare i confini dei territori già acquisiti) il dominio romano in Gallia a tutta la regione, giungendo perfino a esplorare l'odierna Inghilterra e la Germania. Egli accumula in tal modo un enorme potere personale, data anche la straordinaria ricchezza naturale della zona su cui è ora impegnato. La potenza di Cesare comincia perciò a far paura tanto a Pompeo quanto al Senato, ciò che finirà col tempo per determinare un loro avvicinamento, a seguito del quale Pompeo si troverà in una condizione molto simile a quella che era stata in precedenza di Silla, a essere cioè il difensore (pur nella propria veste di generale e di uomo di poteri eccezionali) dell'ortodossia romana contro i nuovi venti rivoluzionari e anti-oligarchici. E' oramai chiaro come il dissidio tra i due potentati, quello di Pompeo e quello di Cesare, non possa negli anni futuri che sfociare in un nuovo conflitto civile. Tuttavia, per il momento, un tale conflitto viene scongiurato attraverso il rinnovo del patto triumvirale, nel 56. Attraverso tale contratto si decide di ripartire i possedimenti romani in modo equo tra i triumviri: a Pompeo spetta infatti la Spagna (in aggiunta ai domini orientali, su cui ha già esteso le sue influenze); a Cesare spetta per altri cinque anni la Gallia; mentre a Crasso viene assegnata la Siria (regione nella quale morirà nel 53, combattendo contro i Parti). Tuttavia, mentre Giulio Cesare si trova in Gallia, a Roma il Senato e Pompeo si coalizzano contro di lui, al fine di togliergli il proconsolato della Gallia. Questi, che nel frattempo è impegnato a sedare la sollevazione di alcune tribù indigene (guidate da un capo gallico, Vercingetorige) su cui riuscirà a trionfare ad Alesia nel 51, tenta contemporaneamente di smorzare la tensione politica col Senato e Pompeo, onde evitare l'inizio di un ennesimo conflitto civile. Ma nel momento in cui il suo avversario ha scelto di allearsi con i repubblicani più intransigenti, ha decretato purtroppo anche l'inevitabilità della guerra. Di fronte alla minaccia di venire spodestato dalla propria carica e allontanato dai propri domini, estromesso quindi per sempre dalla vita politica, Cesare è costretto infatti a scegliere la strada del ritorno in Italia. Il dieci gennaio del 49 varca così il Rubicone (il limite estremo del pomerium, cioè l'inizio dei territori italici, e il confine della provincia gallica), per difendere - egli dice - la propria dignità e quella dei tribuni della plebe. Ha così inizio la terza guerra civile. B - La guerra tra Cesare e Pompeo Se la prima guerra civile si combatte esclusivamente sul territorio urbano di Roma, e la seconda coinvolge invece l'intera penisola italica, la terza e ancor più la quarta si svolgeranno su tutto il territorio dell'Impero, giungendo perfino nelle province più orientali: è l'ennesima dimostrazione di come Roma sia oramai andata oltre un orizzonte meramente peninsulare e cittadino, e sia divenuta una realtà globale e mondiale. Subito dopo la discesa di Cesare in Italia infatti, Pompeo risponde riparando nei territori orientali, laddove sa di avere le influenze politiche e le alleanze più salde, nonché quindi maggiori probabilità di vincere il conflitto. Tale mossa apparentemente saggia, osteggiata tuttavia da gran parte del Senato (legato tradizionalmente alle regioni occidentali), si rivelerà un errore fatale. Essa darà difatti a Cesare tempo e modo di sistemare le zone occidentali dell'Impero procurandosi la loro fedeltà o comunque la loro neutralità, e d'approntarsi così una discesa sicura verso l'oriente, fattore che gli preparerà la vittoria. Appena giunto a Roma, Cesare tenta infatti un riavvicinamento col Senato, cercando di giustificare il proprio precedente operato e garantendo la revoca di molti dei passati provvedimenti dei popolari (dei quali Cesare è il principale esponente politico), provvedimenti che decretano tra l'altro la cancellazione sommaria dei debiti: veri e propri 'attentati' contro la proprietà fondiaria. Nonostante tali disposizioni, i suoi rapporti col Senato rimarranno, anche negli anni futuri, sempre estremamente tesi e difficili (come dimostra anche l'esito della sua vicenda personale). E tuttavia, nell'immediato, egli riesce attraverso esse a diminuire la tensione politica con la nobiltà, ingraziandosi almeno una parte della classe senatoria. La seconda mossa di Cesare consiste poi nel coprirsi la spalle a Occidente, bloccando i possibili focolai di rivolta in Spagna (un territorio sul quale il suo avversario aveva esteso negli anni precedenti la sua influenza politica). Nel 49 egli guida infatti una campagna che partendo da Marsiglia arriva fino nella Spagna vera e propria, e che si conclude lo stesso anno. Per conquistare la fiducia delle popolazioni locali egli adopererà, pur nell'azione bellica, molta cautela, limitando il più possibile gli atti di saccheggio e di vandalismo dei propri uomini e moderando le pene inflitte ai vinti. Infine, nel 48, Cesare raggiunge Pompeo nelle regioni orientali, dove questi lo attende assieme a parte del Senato (quella che, fuggita con lui da Roma, lo ha aiutato a prepararsi ad affrontare la guerra). Le ostilità si svolgeranno principalmente in Epiro. In una prima battaglia, quella di Durazzo, Cesare uscirà sconfitto, rischiando quasi di perdere la guerra; ma nella seconda e decisiva battaglia di Farsalo, egli riuscirà a piegare definitivamente il nemico e a chiudere lo scontro in proprio favore. A questo punto egli si trova ad essere in buona sostanza il padrone assoluto dei territori romani, tanto che anche il Senato - seppur controvoglia - si vede costretto a riconoscere la sua autorità. Nello stesso anno Pompeo fugge in Egitto, chiedendo asilo e rifugio a Tolomeo XIII, sovrano di tale stato assieme alla sorella Cleopatra, nonchè suo alleato politico (quantomeno fino a prima della sconfitta). Ma, anziché ricevere aiuto e solidarietà, egli viene assassinato a tradimento per ordine dello stesso Tolomeo. Saputa la cosa Cesare, divenuto oramai 'padrone' anche delle zone orientali, fa destituire Tolomeo dal trono, dimostrando di non gradire un atto tanto scopertamente opportunistico, e celebra la memoria del rivale appena scomparso. Subito dopo egli si lega a Cleopatra, divenuta sovrana unica dell'Egitto, annettendo all'Impero come zona a protettorato romano anche quest'ultima regione orientale, fino ad allora rimasta indipendente. (Vedremo più avanti il ruolo assunto da questa provincia, di antichissime tradizioni, all'interno dell'economia imperiale, soprattutto nel fomentare e guidare la rivolta dell'Oriente nei confronti del predominio delle zone occidentali.) Nel 47, inoltre, Cesare affronta e sconfigge il re del Ponto Farnace (figlio di Mitridate) e si prepara alla campagna - che tuttavia non farà a tempo a combattere - contro l'agguerritissimo Impero partico, un nemico contro il quale già altri condottieri romani (uno tra tutti, Crasso) hanno combattuto senza successo. Nel 45 infine, egli affronta e sconfigge in Spagna gli ultimi residui del partito di Pompeo, guidati dai figli di questi, Gneo e Sesto. Dopo aver annientato tutti i propri nemici sul piano militare, gli rimane però un'ultima (e forse più difficile) impresa: quella di giustificare, alla luce delle tradizioni e della costituzione romane, il proprio pressoché assoluto predominio politico, e ciò sia agli occhi del Senato che del popolo. Egli deve affrontare insomma uno scottante problema, che è stato già dei condottieri-politici (da Mario a Silla a Pompeo) che l'hanno preceduto. 2.1. Cesare e il Senato A - Roma dopo la battaglia di Farsalo Dopo aver sconfitto militarmente (con la battaglia di Farsalo del 48) il suo unico avversario, Pompeo, Cesare è divenuto virtualmente il 'padrone' o capo supremo tanto della città di Roma che dei territori a essa annessi. Abbiamo visto infatti come la smisurata crescita territoriale di Roma (che dura ormai da almeno tre secoli), assieme al fatto che in questo arco di tempo le istituzioni romane, anziché essere progredite, si siano fossilizzate e a ripiegate su se stesse (prova ne è il fatto che il Senato, un'istituzione di origine arcaica e nobiliare, basata essenzialmente sul possesso fondiario - prima dei soli patrizi romani e, in seguito, anche di quelli italici - rimanga ancora l'istituzione che detiene un primato politico quasi assoluto) abbiano determinato un enorme vuoto di potere: è chiaro perciò come alla nuova realtà globale e internazionale dell'Impero non corrispondano affatto delle strutture istituzionali adeguate, bensì piuttosto delle strutture ancora arcaiche, legate a una dimensione cittadina e peninsulare, ormai superata da almeno due secoli! Abbiamo visto anche come un tale vuoto sia stato colmato dalla nascita di poteri personalistici e clientelari, accumulati dai grandi condottieri romani durante le loro campagne militari, oltre che attraverso un'azione di sostegno politico dei ceti emergenti (la plebe urbana, le classi commerciali mercantili, le masse contadine impiegate negli eserciti professionali). Sono questi nuovi soggetti politici infatti, i condottieri, a contendersi realmente il controllo dell'Impero, non certo le più antiche istituzioni cittadine, in testa alle quali si pone il Senato. Quando poi (come nel caso di Cesare) uno di questi condottieri elimina il proprio rivale ereditandone automaticamente i diversi rapporti clientelari (riguardanti essenzialmente, nel suo caso, le regioni orientali e la Spagna), il suo potere diviene pressoché illimitato. Ed è appunto in una tale situazione che si trova Giulio Cesare nel 48, dopo aver vinto la battaglia conclusiva contro Pompeo. B - Il rapporto tra Cesare e il Senato Nonostante il suo strapotere Cesare è tuttavia ben cosciente di come, essendo gli antichi ordinamenti l'unico elemento di stabilità politica per Roma, l'ostentazione di rispetto - seppure in gran parte formale - verso essi sia un fattore indispensabile per riuscire a governare l'Impero ordinatamente e senza troppe scosse. Questa considerazione è di certo all'origine dell'atteggiamento di ossequio tenuto da Cesare (e non soltanto da lui) nei confronti del Senato, nonché delle antiche tradizioni repubblicane. A questo atteggiamento ne corrisponde poi un altro, opposto e complementare, tenuto dal quest'ultimo nei confronti di queste nuove figure politiche. Esso, infatti, non potendo più sottrarsi all'evidenza della situazione, sceglie in sostanza la strada della sottomissione, rassegnandosi a giocare (come già si è detto) un ruolo politico subalterno, ovvero di sostegno - anche morale - nei confronti di queste nuove forze: nel Senato dunque, oltre che nell'adorazione e nella fedeltà popolare, questi condottieri-politici trovano un appoggio assolutamente fondamentale per mantenere salda la propria autorità. Un tale risvolto politico - che abbiamo già visto chiaramente in atto, seppure in modi diversi, nella vicenda di Silla e in quella di Pompeo - vale ora anche per Cesare. (Lo stesso Cicerone, il maggiore oratore e filosofo romano di questo periodo, pur facendosi portavoce dei valori e delle antiche tradizioni dei 'patres', sosterrà pubblicamente prima la figura di Pompeo e - dopo la sua morte - quella dello stesso Giulio Cesare: egli ha difatti compreso come non si possa più governare Roma senza l'appoggio di questi nuovi soggetti politici). Nel 48 Giulio Cesare, d'accordo con il Senato, instaura così una dittatura, finalizzata al consolidamento dell'alquanto precario ordine interno. Le sue successive campagne militari - nel corso delle quali egli (come si è già accennato) eliminerà i residui ancora vivi di 'pompeianesimo' in Spagna e in Africa; ricomprenderà l'Egitto, e assieme a esso la regione numidica, all'interno dei territori imperiali; e sconfiggerà infine il sovrano del Ponto (questa volta non Mitridate, ma suo figlio Farnace) - non possono che consolidare il suo predominio sia politico che istituzionale su Roma. Sarebbe difficile elencare tutte le cariche politiche che Cesare assomma in questi anni nella propria persona (console per dieci anni; dittatore a vita col diritto di trasmissione delle cariche al proprio figlio; pontefice massimo; la carica di supervisore dei costumi; il diritto tribunizio - ossia il diritto di veto proprio dei tribuni - a vita.), ma deve comunque essere chiaro che tali cariche gli vengono assegnate - o quantomeno vengono approvate - dall'istituzione senatoria. Cesare poi, dal canto suo, continua a esibire un profondo rispetto nei confronti di quest'ultima, come dimostra chiaramente l'episodio - avvenuto nel febbraio del 44 - del pubblico rifiuto del diadema imperiale che Marco Antonio (un personaggio del suo seguito politico, che avrà un grande ruolo negli anni a venire) tenta di porre sul suo capo. Egli vuole insomma render chiaro e manifesto a tutti di non avere nessuna intenzione di attentare alle prerogative costituzionali dell'antica Res-publica. Oltre a tale episodio, sono una chiara manifestazione di questa intenzione anche molte deliberazioni politiche, volte essenzialmente a una rappacificazione con la nobiltà terriera: tra esse vi sono, ad esempio, le molte assicurazioni di tutela date alla proprietà fondiaria, e il perdono elargito ai pompeiani pentiti. Il suo scopo quindi - quantomeno in apparenza - non è di andare contro le antiche istituzioni cittadine, ma al contrario di rispettarle e di governare al loro fianco. Il fatto allora che la sua vicenda personale si concluda tragicamente (Cesare - come tutti sanno - verrà brutalmente assassinato da una congiura di senatori, tra i quali compare il suo stesso figliastro Bruto, il giorno delle Idi di marzo del 44), non deve indurre a credere all'esistenza di un organico programma politico anti-cesariano, bensì piuttosto al desiderio - decisamente anacronistico - di alcuni nostalgici di restaurare le antiche prerogative senatorie. Questa azione, che di certo non raccoglie il consenso di tutti i senatori (e nemmeno molto probabilmente della maggior parte di essi), è da interpretare quindi come un gesto isolato, espressione forse di un malessere e di un risentimento serpeggianti, ma certo non di un programma politico alternativo. L'assassinio di Giulio Cesare inoltre, aprirà il problema della sua successione e, con esso, darà l'avvio all'ultima guerra civile del periodo repubblicano: quella tra Ottaviano e Marco Antonio. Giulio Cesare, un mito letterario La fortuna riservata al personaggio di Giulio Cesare in ambito letterario, oltre che artistico e storico, ha origine a partire dagli stessi contemporanei di questo straordinario uomo d'armi e all'unisono intellettuale d'eccellente valentia."Ha una maniera splendida e impeccabile di parlare, solenne e nobile nella voce, nella gestualità e nel contegno", non può fare a meno di ammettere il suo rivale Cicerone. Mentre l'amico Sallustio ne descrive l'enorme generosità nei confronti dei deboli e degli alleati; una generosità che comporta il dispendio di un ingente patrimonio e una significativa conferma del valore attribuito all'amicizia, sul quale si basa uno dei punti di forza della società romana repubblicana. Anche quando su Cesare pesa il giudizio morale legato alla responsabilità di aver trascinato i concittadini in una sciagurata guerra civile, il suo ritratto emerge con valenze di spicco, volte a sottolineare il coraggio, la fierezza e la determinazione del temperamento. Una conferma è reperibile nei versi della tragedia di Lucano, Farsaglia; si tratta di versi terribili che ruotano attorno ad un uomo accusato addirittura di criminalità: "fuggi, fantasia, tale momento della guerra, affinché nessun discendente apprenda da me, poeta di così enormi sciagure, a quali atrocità possano giungere le lotte civili". A un secolo di distanza dalla morte di Cesare, Quintiliano decretò che, se egli si fosse dedicato esclusivamente all'oratoria, sarebbe stato l'unico antagonista dell'arpinate. La critica molto insiste sull'abilità dialettica di Cesare, al punto che si ravvisa una sorta di rammarico nei riguardi di una vocazione subordinata, invece, a più feroci passioni: il ruolo di letterato rappresenta virtualmente l'aspetto rassicurante e umano di un ambizioso conquistatore votato all'arte bellica. "Non si può dire se è positivo per la repubblica che lui sia nato o invece se sarebbe stato meglio che non fosse nato", commenta Seneca, riprendendo un'affermazione di Livio, e vi aggiunge un suggestivo paragone con i venti, la cui forza distruttiva fa scordare che anch'essi sono prodotto di una provvidenza, attenta a reggere il mondo secondo imperscrutabili piani. Ed è proprio il tema conduttore della provvidenza ad ispirare a Dante Alighieri la decifrazione di un ruolo predestinato assegnato a Cesare, in quanto, in modo decisivo, egli ha concorso al rafforzamento della potenza di Roma che, per volere divino, è divenuta strumento per l'affermazione del cristianesimo. Gli autori classici costituiscono in ogni caso le fonti di riferimento interpretate dagli artisti nel momento in cui si accingono a rielaborare in forma di intreccio narrativo le vicende di uno dei più sorprendenti protagonisti della storia romana. Ogni notazione costituisce un possibile indizio per scoprire l'identità dell'uomo, pertanto il personaggio è caratterizzato sul piano fisiognomico, quantunque penalizzato dalla bassa statura e dalla calvizie, è studiato sotto il profilo antropologico, negli aneddoti riguardanti persino i gusti alimentari, così sobri da rifiutare il consumo di asparagi conditi con burro anziché olio, ma specialmente è indagato dal punto di vista psicologico, perché su tale versante emerge il coacervo di arroganza, di anticonformismo e di autoreferenzialità elevata al massimo grado che fa di Cesare una personalità identica solo a se stessa. William Shakespeare, che per la tragedia omonima si valse con molta libertà delle notazioni delle Vite parallele di Plutarco, fa pronunciare al suo Cesare alcune parole d'assoluta pertinenza nei confronti dell'indole del personaggio storico: "I codardi muoiono molte volte prima della loro morte; i valorosi assaggiano la morte soltanto una volta. Di tutte le cose strane che ho udito finora la più strana sembra che gli uomini debbano temerla, la morte, vedendo che, fine necessaria, verrà quando verrà" (Atto II, scena II). Peraltro il modo migliore per accostarsi al mito letterario di Cesare è quello di basarsi su ciò che egli stesso, in quanto autore, dice di sé, in riferimento all'agente delle vicende narrate, valendosi perciò direttamente, senza altre mediazioni letterarie, della documentazione fornita nei Commentari. Un tratto peculiare consiste nella consapevolezza d'essere un uomo d'azione dotato dell'eccezionale capacità di comprendere a colpo d'occhio le situazioni. E' allora pensabile supporre che un temperamento siffatto non sia riuscito a preventivare i rischi esiziali di una congiura rivelata da numerosi e inconfutabili segnali? Svetonio sostiene che a molti amici Cesare lasciò il sospetto di non voler vivere più a lungo, tenuto conto del declinare delle proprie condizioni fisiche. Questo dato può forse spiegare il ruolo di attore gestito da Cesare anche nell'ultima scena di una morte oramai annunciata: "...si avvolse la toga attorno al capo e con la sinistra ne fece scivolare l'orlo fino alle ginocchia, per morire più decorosamente, coperta anche la parte inferiore del corpo". (Svetonio, Vita Caesaris, 82) Non è un caso se nella tragedia shakespeariana tutti i personaggi chiamati in causa possiedono una sorta di ambiguità comportamentale, a cominciare da Antonio, che pur tesse l'apologia del defunto: tutti, ad eccezione di Cesare, nella sua ineguagliabile autenticità rispetto alle buone e alle cattive intenzioni. GLI ULTIMI ANNI DELLA RES-PUBLICA ROMANA Premessa Come abbiamo già osservato, il potere nelle mani dei congiurati che hanno ucciso Cesare è in realtà inesistente: essi difatti non hanno agito alla luce di un programma organico di riforma politico-istituzionale, ma soltanto per un aleatorio desiderio di ritorno al passato. Non hanno compreso insomma come la soluzione imperiale non sia solo frutto dell'ambizione personale di alcuni individui isolati, bensì oramai una necessità imprescindibile per la perpetuazione stessa della potenza romana. Anche il Senato - in nome del quale essi hanno agito - ha infatti preso definitivamente atto degli avvenuti cambiamenti strutturali, e per tale ragione non riconosce alcuna legittimità alla loro azione. Piuttosto la morte violenta di Cesare pone in anticipo un problema che si sarebbe comunque dovuto affrontare negli anni successivi: ovvero quello della sua successione. Da tale questione scaturirà l'ultima guerra civile, che vedrà come contendenti gli eserciti di Ottaviano e quelli di Marco Antonio. Ma chi sono questi due personaggi? Il primo è un giovane ma già affermato politico d'orientamento cesariano, il principale candidato - almeno fino all'entrata in scena del suo rivale Gneo Ottavio - alla successione dell'anziano generale. Gneo Ottavio invece (il futuro Ottaviano), ancora più giovane del primo, è colui a cui Cesare ha affidato, con l'adozione, l'eredità dei suoi titoli e del suo ruolo istituzionale. Mentre Ottaviano fonderà il proprio potere sui domini occidentali dell'Impero, Marco Antonio porrà invece le basi del suo nelle regioni orientali. Tra le altre cose questa guerra, che verrà vinta - come tutti sanno - dall'Occidente di Ottaviano (colui al quale il Senato conferirà la carica di 'Augusto', carica con la quale d'ora in avanti saranno designati tutti gli imperatori), mostra chiaramente quale e quanta sia l'irrequietezza dei domini orientali (sia ellenici che asiatici) nei confronti della sovranità dei popoli europei occidentali. Gli Stati di tali zone infatti, già formati - a differenza delle regioni galliche o ispaniche - sotto tutti i profili anche prima dell'arrivo dei romani, in quanto portatori di tradizioni plurimillenarie [si ricordi a tale proposito come i primi imperi e le prime organizzazioni politiche nascano proprio in Oriente], mal sopportano la dominazione di una potenza estranea che impone concezioni e metodi di governo estremamente distanti dalle loro. A - L'ascesa di Marco Antonio e di Ottaviano Alla morte di Cesare (44), un politico d'orientamento cesariano di nome Marco Antonio, che in quell'anno riveste la carica consolare, cerca - non senza successo - di prendere in mano la situazione di disordine venutasi improvvisamente a creare, colmando il vuoto di potere lasciato dall'anziano generale. Impugnando il testamento dello stesso Cesare, che egli ha ottenuto dalla moglie di quest'ultimo, Calpurnia, propone ai congiurati (i quali si trovano isolati, privi anche dell'approvazione del Senato) un compromesso estremamente accettabile: la ratifica delle volontà dell'imperatore e la riabilitazione pubblica della sua figura. Perché accettabile? Perché, essendo i congiurati tutti molto vicini alla propria vittima, le volontà di quest'ultima sono - paradossalmente - ad essi largamente favorevoli. Sulla base di tale documento si assegnano a Bruto la Macedonia e la Gallia (cisalpina e transalpina), e a Cassio (l'altro grande congiurato) la Siria. Contemporaneamente Marco Antonio, approfittando della situazione di disorientamento politico, lavora per formare quella vasta rete di clientele politiche che lo porteranno alla ribalta della vita politica romana. Ma il testamento di Cesare chiama in causa anche un personaggio del tutto nuovo: suo nipote Gneo Ottavio (il futuro Ottaviano) allora diciottenne, il quale vi è designato come figlio adottivo, quindi come erede e successore. Il giovane Ottavio, che si trova in Oriente per ragioni di studio, tornando a Roma e prendendo il nome di "Gaio Giulio Cesare Ottaviano", dimostra di accettare l'incarico politico che il testamento gli assegna. Dei due protagonisti della politica dei prossimi anni, la cui rivalità determinerà - attraverso la guerra - la nascita dell'Impero vero e proprio, solo uno è quindi fin dall'inizio un personaggio di pubblico dominio. Entrambi 'cesariani' poi, se l'uno ha il vantaggio di essere un politico già affermato, l'altro ha invece il privilegio di essere l'erede designato di Cesare. Anche questo secondo scontro per il potere si svolgerà inoltre sullo sfondo della debolezza del Senato, il quale - impotente ad arginare l'ascesa dei due rivali - finirà per porsi sotto l'ala protettrice dell'uno, Ottaviano, contro l'altro. Con grande acutezza politica, Ottaviano ha infatti pensato da subito a formarsi una vasta e sicura base di consenso politico, presentandosi ai senatori come il paladino delle istituzioni e delle tradizioni romane (conquistando in questo modo per esempio, la fiducia di Cicerone), e al popolo invece come l'erede politico di suo zio, figura da questo venerata al pari di una divinità. Ma l'appoggio dei ceti popolari e senatori non basta più a governare l'impero: il vero mezzo di dominio è difatti costituito oramai dall'esercito. Ottaviano, che lo sa, se ne crea velocemente uno reclutandone i soldati tra i veterani di Cesare, estremamente preoccupati all'idea di non ricevere dallo Stato le terre che spettano loro per diritto. Ma anche Antonio sta lavorando per estendere la propria sfera d'influenza politica. Nel 43 egli tenta infatti di impadronirsi della Gallia cisalpina, regione che egli stesso ha precedentemente assegnato a Bruto. Riuscito nell'impresa, egli verrà tuttavia a propria volta sconfitto presso Modena da Ottaviano, agente peraltro su incarico del Senato. I due schieramenti si sono quindi ormai definitivamente costituiti: da una parte vi è Cesare Ottaviano, che con l'appoggio e il consenso della nobiltà comanda a Occidente; dall'altra vi è invece Marco Antonio, i cui domini e le cui aree di influenza finiscono inevitabilmente per situarsi a Oriente. La guerra civile potrebbe forse esplodere già in questi anni, se nell'immediato non ci fossero dei problemi estremamente urgenti, che si possono affrontare e risolvere solamente attraverso una 'collaborazione tra nemici'. B - Il periodo del secondo Triumvirato Alla base del secondo Triumvirato - un accordo analogo a quello stipulato nel 59 da Cesare Crasso e Pompeo, anche se contrariamente al primo riconosciuto anche ufficialmente come dittatura collegiale - vi sono due differenti ordini di problemi: - da una parte vi è il fatto che gli eserciti di Ottaviano, Lepido e Antonio, i tre nuovi Triumviri, stentino a combattersi tra loro (cosa che, pur potendo apparire paradossale, è dovuta a ragioni affettive: tutti e tre infatti sono eserciti cesariani, e come tali si sentono affratellati); - e dall'altra vi sono delle difficoltà di natura organizzativa, ovvero la necessità di combattere contro nemici comuni la cui presenza ostacola il predominio politico dei triumviri. Nel 43, l'anno in cui Marco Antonio, Ottaviano e Lepido (quest'ultimo personaggio di secondo piano, in una posizione simile a quella sostenuta da Crasso nel precedente Triumvirato) stringono il loro accordo, sono questi i motivi essenziali di preoccupazione: - la presenza di Bruto e Cassio, con i rispettivi eserciti, nei Balcani; - il fenomeno della pirateria mediterranea, guidata da Sesto Pompeo, figlio di Pompeo Magno; - infine, la presenza in Roma di figure politicamente ostili, che costituiscono un elemento di disturbo per l'ascesa politica dei triumviri. Quest'ultimo problema viene affrontato e risolto varando delle liste di proscrizione - simili peraltro a quelle formulate da Silla nel periodo della propria dittatura - che mieteranno moltissime vittime. (Tra le quali compare lo stesso Cicerone, nemico personale di Marco Antonio, in quanto strenuo difensore delle prerogative senatorie). Quanto a Cassio e a Bruto, essi verranno eliminati dall'esercito di Marco Antonio nel 42, nelle due celebri battaglie presso Filippi: una guerra, quella contro i congiurati, al termine della quale i Triumviri procederanno alla spartizione dei territori dell'Impero: a Marco Antonio andranno le zone asiatiche; a Ottaviano quelle occidentali (l'Italia e la Spagna); a Lepido infine quelle africane. Ma sarà la lotta contro Sesto Pompeo a costituire l'ostacolo più grande, richiedendo per essere portata a termine molto tempo e molti tentativi. E sarà proprio il persistere di un tale problema a determinare il rinnovo dell'accordo tra Antonio e Ottaviano, nel 37, sotto l'egida di Ottavia (sorella del secondo e moglie del primo). Sesto Pompeo uscirà infine sconfitto nella battaglia di Nauloco (in Sicilia) nel 36, ad opera delle truppe guidate da Ottaviano e da Agrippa. Dopo la sconfitta dei nemici comuni, si vanno dunque formando sempre più chiaramente due blocchi contrapposti, che presto o tardi finiranno per conflagrare: quello europeo e occidentale di Ottaviano, e quello orientale e asiatico di Marco Antonio. C - La guerra tra Oriente e Occidente Per comprendere meglio le fasi della vicenda storica descritta qui di seguito, è parso opportuno dividere quest'ultima in quattro differenti sottoparagrafi: uno riguardante le fasi precedenti il conflitto; un altro sul fenomeno della propaganda politica e culturale, largamente diffusa a Roma e nelle regioni occidentali, in favore di Ottaviano; uno sulla guerra vera e propria tra Ottaviano e Antonio; ed un ultimo infine sulla figura politica e umana di Cleopatra, regina d'Egitto. a) I problemi interni ai due blocchi Sia Ottaviano che Marco Antonio debbono affrontare proprio in questi anni - oltre a guerre e difficoltà comuni - anche problemi legati più specificamente ai propri domini e alle proprie aree di influenza. Se nella zone orientali è sempre vivo il problema dei Parti (il popolo contro il quale Cesare si accingeva a combattere, e contro cui sarebbe dovuto partire da Roma il giorno stesso del suo assassinio); in quelle occidentali Ottaviano si scontra invece col problema costituito dall'assegnazione delle terre ai veterani del suo esercito, un provvedimento che suscita l'opposizione di alcuni influenti personaggi politici romani. Il problema dei Parti, già costato precedentemente la vita a Licino Crasso nella battaglia di Carre del 53, occuperà Marco Antonio tra il 39 e il 38. L'azione militare di quest'ultimo si concluderà con l'annessione dell'Armenia, una regione-cuscinetto tra le aree ellenistiche e romane e quelle partiche. Poco dopo aver rinnovato il trattato triumvirale, nel 37, questi inizia inoltre un avvicinamento politico a Cleopatra, la regina d'Egitto, con la quale organizza una confederazione di stati asiatici, alla cui testa si pone appunto l'Egitto, che ha come scopo quello di rivendicare maggiori diritti all'interno della compagine imperiale romana per le zone orientali. Una delle ragioni - come si è già accennato e come si vedrà meglio avanti - di tale ribellione, è l'insofferenza degli stati asiatici nei confronti del giogo romano: tali stati difatti non possono facilmente essere assimilati, quanto a prassi di governo, a quelli occidentali (sia romani, sia più in generale europei), dal momento che troppo forte è la differenza tra le due aree politiche sul piano delle tradizioni, della mentalità e delle strutture istituzionali. All'incirca negli stessi anni poi, Ottaviano si trova in notevoli difficoltà nelle zone occidentali, a causa di un provvedimento da lui preso per l'assegnazione delle terre ai veterani del suo esercito. Come si è visto, una delle carte maggiormente sfruttate da parte sua al fine di reclutare i componenti delle proprie milizie, era stata la promessa delle terre a quei veterani cesariani che - temendo di essere privati, alla fine della carriera militare, dell'attribuzione dovuta dei propri lotti di terra - erano entrati a fare parte del suo esercito personale. Per tale ragione, egli non può ora certo tirarsi indietro. Tuttavia il suo provvedimento (al pari di tutte le distribuzioni di beni a categorie privilegiate) muove a Roma le ire e le proteste di molti, i quali lo accusano di parzialità e favoritismi. Tali critiche vengono poi strumentalizzate dagli esponenti del partito di Marco Antonio, guidato in Roma dal fratello di quest'ultimo, Lucio Antonio, e da sua moglie Fulvia. Dopo un periodo di guerra, i due verranno tuttavia assediati e sconfitti nella battaglia di Perugia, nel 40. b) Il 'mecenatismo' di Ottaviano Un altro fenomeno interessante di questi anni è la propaganda promossa da Ottaviano e dagli ambienti politici e culturali a lui vicini, in favore del predominio sull'Impero delle zone occidentali. A capo di essa si pone un certo Mecenate, il quale - riunita attorno a sé una vasta schiera di intellettuali e poeti, tra i quali compaiono anche Virgilio e Orazio - crea una solida base di consenso politico e ideologico alla lotta, sostenuta da Ottaviano e dal Senato, per la conquista del potere contro i propri rivali orientali. Motivi principali di una tale campagna etnico-culturale saranno tra l'altro: il ritorno alle tradizioni (agricole) degli avi, il rifiuto della cultura orientale (con i suoi inganni e le sue esotiche seduzioni, impersonate in questi anni da Cleopatra, ammaliatrice di Marco Antonio) e il rispetto e la venerazione per i valori e per le antiche tradizioni repubblicane di Roma. Proprio quest'ultimo punto inoltre, ci fa capire qualcosa: Ottaviano (che pure sarà innegabilmente il primo imperatore a tutti gli effetti della storia romana) non si pone come uno scardinatore delle antiche istituzioni romane e repubblicane, bensì al contrario come il difensore e il prosecutore di queste ultime - seppure in una nuova forma e in una mutata dimensione politica. E' in una tale ottica che si giustifica appunto la sua alleanza con il Senato, alleanza che è poi uno dei punti cardinali del suo stesso programma politico. c) Lo scontro decisivo Il vero e proprio scontro bellico tra le due parti dell'Impero avviene a causa delle richieste politiche fatte dalle regioni orientali a quelle occidentali. Tali richieste infatti, rivendicanti una maggiore autonomia e un maggior peso politico per l'Oriente, si scontrano con i presupposti stessi della dominazione imperialistica di Roma. Si noti che Roma, attraverso il proprio predominio militare, ha posto le basi di uno sfruttamento anche economico di queste regioni, già estremamente depauperate - anche prima di venire sottomesse - da continue guerre intestine e fratricide. Tuttavia una tale situazione di subalternità - risvegliandone l'orgoglio - induce queste ultime a cercare un riscatto da tale degrado. Proprio per questo, sotto la guida di Antonio e di Cleopatra si forma una Confederazione di stati orientali (i quali peraltro accettano pur sempre il legame con l'autorità centrale di Roma), i quali cercano di affermare la propria indipendenza, se non addirittura il proprio predominio, nei confronti delle zone occidentali. Sarà il tardo Impero - con la propria divisione in due zone indipendenti: una occidentale e l'altra orientale - a vedere effettivamente il trionfo di questa visione politica: una visione che tuttavia, per il momento, costituisce ancora una strada impraticabile. Troppo schiaccianti sono infatti la potenza e la superiorità dell'Occidente e delle sue regioni (più giovani, meglio organizzate e più ricche) rispetto a quelle orientali! La guerra tra i due eserciti non viene, difatti, praticamente nemmeno combattuta. Il conflitto si divide essenzialmente in due battaglie: la prima combattuta ad Azio sul mare nel 31, e segnata da una facile vittoria di Ottaviano; l'altra invece, decisiva, combattuta sulla terra ferma presso Alessandria nel 30, e vinta di nuovo da Ottaviano. Al termine della seconda battaglia Antonio, ormai privo di vie di salvezza, si toglierà la vita, seguito subito dopo da Cleopatra. In tal modo anche l'Egitto, unica regione asiatica rimasta fino ad allora formalmente indipendente - sebbene già orbitante attorno a Roma - diverrà ufficialmente una provincia romana, mentre, con tale acquisizione, l'Impero giungerà a ricomprendere al suo interno tutte le regioni civilizzate allora conosciute: sia in Europa, sia in Africa, sia in Asia (con l'eccezione delle lontane regioni dell'Impero dei Parti). d) Cleopatra: i problemi sollevati dalla sua vita e dalla sua morte Quella di Cleopatra è una figura storica quasi leggendaria, non solo perché dell'Egitto di questi anni ci rimangono pochissime notizie, ma anche per la difficoltà da sempre incontrata dagli storici nell'interpretarne la vita e le azioni. Se da un lato se ne può dare una interpretazione 'romantica' o sentimentale, che ruota attorno ai suoi amori e alla sua tragica fine, dall'altro si può però anche tentare di dare una spiegazione più realistica e meno poetica dei fatti. Il suo corteggiare i grandi condottieri romani potrebbe essere infatti interpretato come espressione di un'ansia legata, più che a un desiderio di potere personale, alla volontà di restituire prestigio e lustro alla sua nazione, l'Egitto (e in generale all'Oriente), con le sue millenarie tradizioni e con i suoi splendori. Anche se - per le ragioni di cui si è appena parlato - un tale tentativo fallisce miseramente (non producendo anzi come risultato che di accelerare il processo di sottomissione e di acquisizione, da parte di Roma, delle regioni orientali rimaste fino ad allora indipendenti) resta il fatto che la missione che la regina si è quasi sicuramente posta, consiste nel riguadagnare alla propria nazione il posto di preminenza che - a suo modo di vedere - le spetta per l'antichità e la nobiltà della sua storia e delle sue tradizioni. Persino la sua morte apre poi degli scottanti interrogativi: il suo stesso suicidio infatti è passibile di una precisa spiegazione politica e strategica. Qualora difatti ella si fosse arresa di fronte al nemico, avrebbe (secondo la tradizione egizia) reso lecito a questi dichiararsi l'erede a tutti gli effetti della sua regalità. Ma nel momento stesso invece in cui ella si toglie la vita sfuggendo alla cattura, preclude a Ottaviano ogni possibilità di decretare una propria successione dinastica. E in un paese come l'Egitto (la cui amministrazione è profondamente legata a presupposti dinastici di natura religiosa, avendo una tale monarchia un carattere divino) una dominazione iniziata sotto tali auspici di illegittimità non pone di certo le basi per un fruttuoso rapporto tra dominatori e dominati! 3.1. La nuova Roma di Augusto (guarda lo schema dei poteri di Augusto) Dopo la battaglia di Azio, Ottaviano può già considerarsi l'uomo più potente di tutto l'Impero: egli sa infatti di essere prossimo a ereditare tutti i domini e gli strumenti di potere (tra i quali vi sono, in primo luogo, gli eserciti) del proprio avversario, l'unico che possa competere con lui per ricchezza e per influenza politica. Anche Ottaviano - come già Cesare prima di lui - si trova quindi nella spiacevole situazione di dover giustificare i propri poteri reali agli occhi del Senato e nell'ottica delle tradizioni repubblicane. Enorme è difatti il divario tra i poteri che egli effettivamente assomma nella propria persona, e le cariche di cui attualmente è portatore: allo scadere del mandato triumvirale, egli ha infatti perduto anche quest'ultima prestigiosa carica costituzionale. Tuttavia, ciò non costituirà per lui un grave problema. Il Senato infatti, ormai in una posizione di volontaria sottomissione, gli faciliterà di molto il compito, conferendogli - tra le altre cose - anche il titolo di 'Augusto'. La prima azione politica di Ottaviano dopo il 30 sarà la distribuzione delle terre ai veterani del proprio esercito, compiuta tuttavia a spese dell'Egitto (regione ricchissima d'oro, e appena sottomessa) anzichè dei nobili romani, coi quali ha stretto una duratura alleanza, sia politica sia ideologica. Il passaggio all'Impero verrà poi portato avanti nel modo più 'indolore' possibile: ovvero attraverso il rispetto formale delle istituzioni repubblicane (soltanto con il tempo gli Imperatori si libereranno difatti dall'opprimente vincolo delle tradizioni patrie). Ufficialmente, a partire dal 23, Augusto riveste solo due cariche - cui se ne aggiungeranno successivamente altre -, ossia il comando proconsolare sulle province romane (e sui loro eserciti), e la potestà tribunizia sulla città di Roma (una carica che in passato era stata assegnata anche a Cesare, e che dà a chi la detiene la possibilità di convocare le Assemblee, proporre le leggi e esercitare il diritto di veto: in pratica il controllo stesso della vita politica della città). Inoltre, se in Occidente Ottaviano Augusto cercherà di evitare la diffusione del culto della propria persona (preferendogli quello dello Stato: si pensi all'Eneide di Virgilio, che celebra l'eterna gloria di Roma); nelle regioni orientali invece - nelle quali esso entra decisamente più in sintonia con la tradizione dell'assolutismo politico - egli farà in modo che un tale culto si diffonda e venga ampiamente praticato Ma per quale ragione è tanto sentita (e praticata) l'esigenza di un potere supremo, ovvero di un potere imperiale? Il motivo principale (oltre al fatto che Ottaviano possieda le leve ormai fondamentali del comando: vale a dire gli eserciti, l'approvazione e il sostegno politico dei ceti finanziari e mercantili - in realtà poco legati, nonostante le apparenze, alle tradizioni repubblicane - e quello delle masse popolari) sta nella vastità stessa dell'Impero. Tale caratteristica infatti - per la quale esso assomma al proprio interno una miriade di differenti culture, tradizioni politiche e religiose, disposizioni, eserciti e in generale interessi particolaristici (si pensi, soltanto nella città di Roma, al dissidio politico tra i cavalieri e la nobiltà fondiaria) - rende estremamente viva l'esigenza di un'autorità che si collochi 'super partes', e che sia quindi capace di operare una mediazione tra i diversi punti di vista, spesso davvero inconciliabili tra loro. In questo senso si crea, a partire da questi anni, una latente separazione tra la sfera più genericamente economica e quella più propriamente politica. Lo Stato infatti (e in primis l'Imperatore, ovvero il suo vertice) si pone su un piano differente rispetto alle parti sociali che lo compongono, un piano che solo gli permette di trovare l'equilibrio necessario a porre in atto tale opera di mediazione. Da questo punto di vista, l'Impero romano si avvicina dunque, facendola propria, alla tradizione politica degli assolutismi orientali. Come in Oriente - ad esempio in Egitto - vi è un Faraone (o chi per esso) che attraverso il proprio potere assoluto tiene a freno i vari particolarismi locali, nell'Impero romano vi è invece un Augusto capace di arbitrare, almeno in un certo grado, i conflitti ideologici e d'interesse che si instaurano tra le differenti classi sociali e le diverse aree geografiche e culturali. Non bisogna però ignorare neanche come, tra queste due diverse aree geo-politiche, sussistano delle differenze molto profonde: mentre infatti in Oriente un tale tipo di governo è dovuto alla notevole arretratezza di sviluppo delle forze produttive (arretratezza che ha impedito la formazione delle classi sociali, ovvero il superamento di uno Stato basato ancora sulle caste); in Occidente, al contrario, una tale soluzione -quella imperiale - è il risultato della tensione esasperata tra tali classi, e della conseguente esigenza di porre in atto a livello politico una conciliazione o una pacificazione tra esse. Alla morte di Ottaviano Augusto (nel 14 d.C.) non vi sarà bisogno di lotte o di rivoluzioni interne perché i poteri di quest'ultimo (in pratica la carica imperiale) vengano trasferiti ad un successore, nella persona di Tiberio. Ciò è segno del fatto che - nonostante il rispetto pubblicamente ostentato per l'antica Res-publica - quest'ultima è oramai definitivamente morta: e prima che nelle istituzioni, essa è morta nella mente stessa dei romani! CONCLUSIONI (77-30 a.C.) Se nel periodo di Mario e di Silla abbiamo assistito al diffondersi e all'affermarsi dei poteri personalistici e militari contro la supremazia di quelli (più antichi, ma ormai obsoleti) cittadini e repubblicani, in questo secondo periodo assistiamo invece alla definitiva affermazione dei primi sui secondi, secondo una parabola storica che culminerà - dopo la vittoria di Ottaviano su Marco Antonio, nel 30 - con il trionfo pressoché esplicito della soluzione monarchica su quella repubblicana. (E ciò nonostante una tale trasformazione avvenga ufficialmente con il 'beneplacito' del Senato, e nell'ottica di un prolungamento delle antiche tradizioni e istituzioni repubblicane occidentali!) Si è visto poi come la ragione di questa rivoluzione si trovi essenzialmente nell'incapacità di fatto dei vecchi istituti cittadini e nobiliari a governare la nuova realtà - sia territoriale sia sociale - dell'Impero. Per tale motivo, dovranno piegarsi alla necessità di un tale cambiamento anche quelle realtà che avevano precedentemente tentato di ostacolarne la realizzazione, ossia la nobiltà terriera romano-italica e la sua istituzione guida, il Senato - realtà che vedranno inoltre, nei prossimi decenni, un potente ridimensionamento dei loro antichi privilegi politici e amministrativi. Assistiamo infine, al termine questi anni, alle prime frizioni tra le regioni dominatrici d'Occidente e quelle dominate d'Oriente (portatrici di più antiche tradizioni, e come tali estremamente riottose a piegarsi al giogo di una potenza estranea). A capo di una tale volontà di riscatto si porranno l'Egitto di Cleopatra e la figura 'internazionale' di Marco Antonio, la sconfitta dei quali tuttavia non porrà certo fine alle spinte indipendentiste delle regioni asiatiche! LA CONGIURA DEL 22 a.C. A sorpresa, il 26 giugno del 23 a.C. Ottaviano depose la sua alta carica di console per tornare a vita privata, dopo otto anni di carriera prestigiosa in cui aveva distrutto l'astro nascente, Antonio, e si era impadronito dei poteri civili e militari diventando il principe. Al fine di dimostrare le sue buone intenzioni nei confronti del senato e della repubblica, scelse addirittura un sostituito ad hoc: Lucio Sestio, un entusiasta seguace del cesaricida Bruto. In realtà tutto questo era solo una messinscena ben studiata, il cui scopo era quello non di diminuire ma piuttosto di aumentare i propri poteri. E infatti per la seconda volta, dopo il 27 a.C., il senato gli conferì poteri tali da poter governare come un vero e proprio monarca: anzitutto, pur non essendo un tribuno della plebe (carica che un patrizio non poteva detenere) ne aveva ugualmente i medesimi poteri; in secondo luogo il senato gli consentiva di portare dinanzi alla curia qualsiasi mozione; in terzo luogo l'imperio pro-consolare, che aveva detenuto per dieci anni, fu trasformato in maius e a tempo indeterminato (il che in sostanza voleva dire che il principe poteva governare anche sulle province affidate ad altri proconsoli e poteva disporre di tutte le legioni dell'impero). Ma come poteva Ottaviano essere sicuro di questo incredibile successo? Il motivo è relativamente semplice: nel 28 a.C. egli aveva provveduto a epurare il senato di tutti gli elementi che avrebbero potuto ostacolarlo, sfruttando il pretesto del sovrannumero e soprattutto della immoralità di diversi senatori. Lo appoggiarono nettamente tutti i seguaci di Antonio, di Bruto e di Cassio volutamente risparmiati da lui; la consistente maggioranza dei cesariani; la classe dei cavalieri; i figli dei liberti, che già sotto Cesare avevano avuto la possibilità di migliorare il loro status sociale. Ottaviano aveva designato come suo successore il nipote e figlio adottivo Claudio Marcello, figlio di Ottavia, sorella dello stesso Ottaviano. Nel 24 a.C. lo aveva già nominato pontefice e gli aveva dato il diritto di sedere in senato tra i pretori, dopodiché sarebbe dovuto diventare edile e console dieci anni prima dell'età richiesta. Tale cumulo di onori era in contrasto con l'iter regolare di un cittadino non raccomandato, che poteva diventare questore a 25 anni, pretore a 30 e console a 35. Un nepotismo così smaccato sacrificava le libere elezioni dei magistrati che avvenivano nelle assemblee popolari. E' probabile che proprio a queste ragioni si colleghi l'improvvisa morte di Marcello alla fine del 23 a.C. Non a caso i nemici di Augusto pensarono che quello fosse il momento opportuno per eliminare anche lui e restaurare realmente la repubblica. La congiura del 22 a.C. però fu sventata da un delatore di nome Castricio, liberto di Augusto, che fece i nomi di Fannio Cepione e Lucio Terenzio Varrone Licinio Murena, entrambi con un albero genealogico di tutto rispetto. Essi erano i rappresentanti dell'aristocrazia, cioè di quella classe che Augusto stava sempre più allontanando dall'amministrazione statale. Il ruolo della nobiltà era irreversibilmente in declino perché non esistevano più continue guerre in cui si potevano accumulare grandi fortune in terre e schiavi. Diminuivano le occasioni di assumere comandi militari importanti, giacché questi venivano assegnati generalmente a parenti di Augusto o a persone di particolare fiducia. Gli uomini nuovi erano da tempo diventati i "cavalieri", cioè la classe imprenditoriale, commerciale, la borghesia di allora, nonché i liberti dotati di capacità intellettuali, organizzative, manageriali... Condannati in contumacia da un regolare processo alla pena capitale, Cepione e Murena furono trovati e giustiziati sul posto. Infatti dovere del magistrato e anche di un cittadino privato era quello di eseguire ovunque si trovasse la sentenza emessa, a eccezione dei casi in cui i condannati risiedessero già in un altro Stato e avessero preso un'altra cittadinanza: in questo caso il loro status era quello di esiliati e non potevano far ritorno in patria. L'accoglienza nelle città scelte per l'esilio (anticamente erano alcune città del Lazio) dava all'esule il diritto di prenderne la cittadinanza, rinunciando però a quella romana. Poiché in seguito alla guerra sociale del 90 a.C. la cittadinanza era stata estesa a tutte le città italiche e tutta l'Italia era diventata ager romanus, i condannati a morte non avevano altra possibilità che andare in Gallia, in Grecia o in Asia. Astutamente Ottaviano fece in modo di affrettare il più possibile il processo, in modo di assicurarsi che l'eliminazione dei congiurati avvenisse sul territorio italico.

 
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