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LA STORIA DI ROMA
DA POMPEO AD AUGUSTO - GIULIO CESARE
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STORIA DELL'ANTICA ROMA,
DA POMPEO AD AUGUSTO E GIULIO CESARE |
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L'ULTIMO PERIODO DELLA RES-PUBLICA ROMANA
Introduzione
Gli anni qui in esame sono quelli del passaggio dalla Res-publica
all'Impero. Rispetto a quelli precedenti, e in particolare al periodo dei
consolati (e delle dittature) di Mario e Silla, il ruolo subalterno del
Senato diviene ancora più esplicito e scoperto.
Il suo compito consiste difatti sempre di meno in un effettivo comando, e
sempre di più nel fornire un sostegno di natura giuridica - e in un certo
senso anche morale - ai vari autocrati che in Roma detengono poteri sempre
più straordinari (poteri che spesso, inoltre, proprio il Senato ha concesso
loro).
Un altro compito assolto da tale istituzione è quello di contribuire a dare,
con la propria presenza, un senso di continuità tra il precedente e il nuovo
ordine: per tale ragione essa costituirà, nel corso di tutta la storia di
Roma, un elemento insostituibile sia da un punto di vista "simbolico" che
istituzionale, rimanendo (nonostante il forte ridimensionato che, nel corso
degli anni, subiranno i suoi effettivi poteri politici) uno dei pilastri
dello Stato romano.
Tuttavia, in un'ottica meramente politica, questi anni vedono radicalizzarsi
le tendenze personalistiche di potere che hanno caratterizzato i decenni
precedenti.
E' ormai proprio il Senato, difatti, ad appoggiarsi ad alcuni generali
(quali Pompeo e Ottaviano) nel tentativo di arginare l'avanzamento politico
di altri, ritenuti più pericolosi per se stesso, per le proprie tradizioni e
per le proprie prerogative istituzionali.
Così nel 30, al termine dell'ultima guerra civile del periodo repubblicano,
quella tra Ottaviano e Marco Antonio, e con la sconfitta di quest'ultimo,
sarà proprio il Senato a concedere al vincitore, assieme al titolo di
'Augusto', anche quei poteri straordinari che ne faranno in sostanza il
primo imperatore della storia romana.
Un altro elemento di novità, rispetto agli anni precedenti, sarà il ruolo di
primo piano assunto dalle province nello scacchiere politico dell'impero.
Ancora al tempo di Silla infatti, le province rimanevano ai margini della
vita politica della Repubblica, all'interno della quale un ruolo essenziale
svolgevano invece i romani e gli italici.
Ora, al contrario, esse divengono il centro e la base dei poteri
personalistici di quei grandi condottieri che aspirano a un dominio assoluto
su Roma (si pensi ad esempio alla Gallia di Cesare, o all'Egitto di Marco
Antonio), nonché chiaramente entità economico-politiche autonome della cui
particolarità e delle cui esigenze bisogna tenere sempre più conto.
Il tutto nel quadro della debolezza delle istituzioni cittadine (e in primis
del Senato), della formazione e diffusione - conseguente a tale debolezza -
di poteri personalistici e clientelari un po' in tutte le regioni del
dominio sia diretto che indiretto di Roma, e dell'ulteriore estensione
quantitativa degli eserciti professionali, oltre che della crescita della
loro importanza sia come strumenti di affermazione politica, sia come
protagonisti effettivi della politica interna.
Storia di Roma da Pompeo ad Augusto
1. Il dopo-Silla: Pompeo al potere
Gli anni successivi alla fine della dittatura sillana saranno caratterizzati
dalla centralità istituzionale del Senato e, parallelamente, dall'emergere
dopo Silla e Mario di nuovi protagonisti della vita politica. Il primo tra
essi è senza dubbio Pompeo Magno.
Figlio di Pompeo Strabone, il generale che nel 90 aveva concluso la guerra
sociale sconfiggendo la Federazione italica, Pompeo Magno ha ereditato da
suo padre tanto un esercito personale quanto delle forti ambizioni di
carattere politico.
Iniziata la carriera pubblica come alleato di Silla, dopo la morte di
quest'ultimo egli si allontana presto dalle sue posizioni, avvicinandosi
agli ambienti politici democratici moderati (quelli, per intendersi, ostili
all'orientamento rivoluzionario delle fazioni mariane).
Il suo indirizzo politico oscilla infatti tra le posizioni oligarchiche più
temperate e quelle dei plebei ricchi, ovvero degli equestri, oscillanti a
loro volta - soprattutto, come si è visto, a partire dai Gracchi - tra
l'alleanza con la plebe e quella con il Senato. Ed è appunto un tale
indirizzo a rendere Pompeo l'uomo più adatto da porre come baluardo contro i
movimenti anti-oligarchici (di stampo mariano) che ancora infuriano
nell'Impero.
Per tale ragione egli riceve dal Senato (tra il 77 e il 72) un primo
incarico ufficiale, il compito cioè di sedare alcune rivolte e disordini in
Spagna, a capo dei quali si è posto un certo Sertorio, e che costituiscono
un grave motivo di preoccupazione per la classe dirigente romana.
Oltre a tali disordini, vi sono poi altri elementi di instabilità
all'interno dell'Impero, essenzialmente:
· una nuova guerra contro Mitridate, re del Ponto, iniziata nel 74;
· alcune rivolte di schiavi (tra cui la più celebre è quella guidata da
Spartaco nel 73, una rivolta che, partendo dalla Sicilia, finisce per
coinvolgere tutta la penisola italiana);
· e infine il fenomeno della pirateria che infesta il Mediterraneo, con
grande disappunto soprattutto delle classi commerciali, le quali rischiano
di vedere minati i propri traffici.
Al termine delle campagne iberiche, Pompeo affronterà infatti prima un
guerra contro i pirati illirici (per la quale gli verranno concessi poteri
straordinari, come ad esempio la possibilità di esercitare un libero comando
militare su tutte le province romane) e successivamente il conflitto, che si
trascina peraltro già da alcuni anni, contro Mitridate.
Entrambe queste guerre inoltre, saranno sostenute con particolare vigore dai
ceti equestri e da quelli popolari, interessati a una rapida soluzione dei
problemi ad esse sottesi (essendo i loro proventi legati - più o meno
direttamente - alle attività commerciali, disturbate tanto dalla pirateria
quanto dalle mire espansionistiche di Mitridate).
Come possiamo capire da quest'ultimo punto, Pompeo si appoggia, al fine di
dare una base di consenso alla propria ascesa politica, a quelle classi le
cui esigenze e aspirazioni trovano una scarsa risonanza nella politica e
nelle istituzioni cittadine e nobiliari, e che sono perciò alla ricerca di
una base politica che favorisca la loro affermazione. Appartiene dunque a
quella schiera di uomini politici estremamente ambiziosi, che tentano di
soddisfare le proprie personali aspirazioni di dominio attraverso i
conflitti generati da una tale situazione.
Ciò tuttavia non pregiudica in modo irreparabile i suoi rapporti con il
Senato, dato il suo orientamento fondamentalmente moderato. Vedremo più
avanti inoltre, come gli sviluppi della vicenda politica interna porteranno
a una vera e propria riconciliazione e alleanza tra i due.
A - Il primo triumvirato
Al termine della guerra in Oriente, durata dal 66 al 62, nel corso della
quale Pompeo ha sconfitto definitivamente Mitridate e ha dato un nuovo
assetto alle zone orientali, il condottiero romano ha oramai sviluppato a
livello generale una vasta rete di consenso popolare, e detiene inoltre
degli enormi poteri a livello sia economico che politico, poteri derivanti
dai successi delle proprie campagne militari e dalla fedeltà degli eserciti.
Per tali ragioni, i tempi sarebbero ormai già maturi per la costituzione di
uno stato tipo militare e imperiale, una soluzione che Pompeo potrebbe
facilmente imporre al Senato, presentandola in pratica come un dato di
fatto. Eppure questi, per ragioni peraltro in gran parte ancora oscure (si
badi però che, oltre che un fatto storico, una tale decisione è anche una
libera - e come tale forse non del tutto giustificabile - deliberazione
umana), non lo fa.
E' probabile comunque che Pompeo non voglia sovvertire tradizioni tanto
radicate come quelle repubblicane, e assieme a esse la centralità stessa del
Senato, anche per le conseguenze che un tale atto potrebbe avere in termini
di 'governabilità'. In ogni caso, prescindendo dalle ragioni di tale
comportamento, egli preferirà muoversi in un modo che sia, almeno
formalmente, rispettoso delle prerogative del Senato.
(E' opportuno notare poi come un tale atteggiamento di rispetto formale per
l'istituzione senatoria rimarrà a lungo una costante anche nella condotta
dei futuri condottieri romani, da Cesare a Ottaviano, con l'unica eccezione
di Marco Antonio).
La nascita del primo Triumvirato (60) è dovuta infatti al rifiuto del Senato
di avallare le proposte fatte da Pompeo per un nuovo assetto delle zone
orientali (proposte che riguardano essenzialmente la fondazione di tre nuove
province: Bitinia, Ponto, Siria), oltre che alla mancata concessione delle
terre ai veterani del suo esercito.
Deciso quindi a non agire apertamente contro le istituzioni repubblicane, ma
anche a non subire passivamente le decisioni del Senato, Pompeo escogiterà
una terza via, chiamata 'Triumvirato', basata su un'alleanza privata con
altri due potentissimi esponenti politici di quegli anni, i soli forse che
possano competere con lui per influenza e notorietà: ovvero Giulio Cesare e
Mario Licino Crasso.
Mentre il primo è un giovane politico emergente di area popolare,
imparentato alla lontana con Mario, l'altro è invece un ricchissimo
finanziere, un uomo legato agli ambienti romani dei publicani (equestri) di
cui è anche uno degli esponenti più in vista e più potenti.
Alleandosi, i tre cercheranno di ottenere - attraverso tale patto, di natura
non ufficiale e privata, basato cioè sull'idea di un aiuto reciproco tra i
soci - ciò che il Senato non vuole concedere loro singolarmente.
Una tale soluzione decreterà quindi il trionfo stesso della politica
personalistica e clientelare dei generali e dei potentiores romani contro
quella delle ormai obsolete istituzioni cittadine, e sarà inoltre la
manifestazione più lampante della debolezza di queste ultime, della loro
impotenza a gestire in modo efficiente e reale il nuovo Stato.
Tralasciando la figura di Crasso, che avrà in realtà un ruolo abbastanza
marginale nelle vicende di questi anni, e che morirà durante una campagna
militare in Siria presso Carre già nel 53, sono questi a grandi linee gli
eventi più significativi tra il 60 e il 56:
a) Nell'anno del suo consolato, il 59, Giulio Cesare:
· fa approvare i progetti di Pompeo per la modifica dell'assetto orientale;
· promuove due leggi agrarie in favore dei veterani di Pompeo (includendo
nelle terre distribuite anche l'agro campano: una zona tradizionalmente del
patriziato romano, che nemmeno i Gracchi avevano osato toccare);
· favorisce attraverso vari sgravi fiscali i ceti finanziari più vicini a
Crasso;
· assegna infine a se stesso il proconsolato dell'Illirico e della Gallia
(Cisalpina e Narbonense), territori su cui costruirà negli anni futuri il
suo potere privato.
b) Tra il 58 e il 56 (l'anno in cui viene rinnovato il patto triumvirale),
Cesare estende (con il pretesto di difendere e consolidare i confini dei
territori già acquisiti) il dominio romano in Gallia a tutta la regione,
giungendo perfino a esplorare l'odierna Inghilterra e la Germania. Egli
accumula in tal modo un enorme potere personale, data anche la straordinaria
ricchezza naturale della zona su cui è ora impegnato.
La potenza di Cesare comincia perciò a far paura tanto a Pompeo quanto al
Senato, ciò che finirà col tempo per determinare un loro avvicinamento, a
seguito del quale Pompeo si troverà in una condizione molto simile a quella
che era stata in precedenza di Silla, a essere cioè il difensore (pur nella
propria veste di generale e di uomo di poteri eccezionali) dell'ortodossia
romana contro i nuovi venti rivoluzionari e anti-oligarchici.
E' oramai chiaro come il dissidio tra i due potentati, quello di Pompeo e
quello di Cesare, non possa negli anni futuri che sfociare in un nuovo
conflitto civile. Tuttavia, per il momento, un tale conflitto viene
scongiurato attraverso il rinnovo del patto triumvirale, nel 56.
Attraverso tale contratto si decide di ripartire i possedimenti romani in
modo equo tra i triumviri: a Pompeo spetta infatti la Spagna (in aggiunta ai
domini orientali, su cui ha già esteso le sue influenze); a Cesare spetta
per altri cinque anni la Gallia; mentre a Crasso viene assegnata la Siria
(regione nella quale morirà nel 53, combattendo contro i Parti).
Tuttavia, mentre Giulio Cesare si trova in Gallia, a Roma il Senato e Pompeo
si coalizzano contro di lui, al fine di togliergli il proconsolato della
Gallia.
Questi, che nel frattempo è impegnato a sedare la sollevazione di alcune
tribù indigene (guidate da un capo gallico, Vercingetorige) su cui riuscirà
a trionfare ad Alesia nel 51, tenta contemporaneamente di smorzare la
tensione politica col Senato e Pompeo, onde evitare l'inizio di un ennesimo
conflitto civile.
Ma nel momento in cui il suo avversario ha scelto di allearsi con i
repubblicani più intransigenti, ha decretato purtroppo anche l'inevitabilità
della guerra.
Di fronte alla minaccia di venire spodestato dalla propria carica e
allontanato dai propri domini, estromesso quindi per sempre dalla vita
politica, Cesare è costretto infatti a scegliere la strada del ritorno in
Italia. Il dieci gennaio del 49 varca così il Rubicone (il limite estremo
del pomerium, cioè l'inizio dei territori italici, e il confine della
provincia gallica), per difendere - egli dice - la propria dignità e quella
dei tribuni della plebe.
Ha così inizio la terza guerra civile.
B - La guerra tra Cesare e Pompeo
Se la prima guerra civile si combatte esclusivamente sul territorio urbano
di Roma, e la seconda coinvolge invece l'intera penisola italica, la terza e
ancor più la quarta si svolgeranno su tutto il territorio dell'Impero,
giungendo perfino nelle province più orientali: è l'ennesima dimostrazione
di come Roma sia oramai andata oltre un orizzonte meramente peninsulare e
cittadino, e sia divenuta una realtà globale e mondiale.
Subito dopo la discesa di Cesare in Italia infatti, Pompeo risponde
riparando nei territori orientali, laddove sa di avere le influenze
politiche e le alleanze più salde, nonché quindi maggiori probabilità di
vincere il conflitto.
Tale mossa apparentemente saggia, osteggiata tuttavia da gran parte del
Senato (legato tradizionalmente alle regioni occidentali), si rivelerà un
errore fatale. Essa darà difatti a Cesare tempo e modo di sistemare le zone
occidentali dell'Impero procurandosi la loro fedeltà o comunque la loro
neutralità, e d'approntarsi così una discesa sicura verso l'oriente, fattore
che gli preparerà la vittoria.
Appena giunto a Roma, Cesare tenta infatti un riavvicinamento col Senato,
cercando di giustificare il proprio precedente operato e garantendo la
revoca di molti dei passati provvedimenti dei popolari (dei quali Cesare è
il principale esponente politico), provvedimenti che decretano tra l'altro
la cancellazione sommaria dei debiti: veri e propri 'attentati' contro la
proprietà fondiaria.
Nonostante tali disposizioni, i suoi rapporti col Senato rimarranno, anche
negli anni futuri, sempre estremamente tesi e difficili (come dimostra anche
l'esito della sua vicenda personale). E tuttavia, nell'immediato, egli
riesce attraverso esse a diminuire la tensione politica con la nobiltà,
ingraziandosi almeno una parte della classe senatoria.
La seconda mossa di Cesare consiste poi nel coprirsi la spalle a Occidente,
bloccando i possibili focolai di rivolta in Spagna (un territorio sul quale
il suo avversario aveva esteso negli anni precedenti la sua influenza
politica). Nel 49 egli guida infatti una campagna che partendo da Marsiglia
arriva fino nella Spagna vera e propria, e che si conclude lo stesso anno.
Per conquistare la fiducia delle popolazioni locali egli adopererà, pur
nell'azione bellica, molta cautela, limitando il più possibile gli atti di
saccheggio e di vandalismo dei propri uomini e moderando le pene inflitte ai
vinti.
Infine, nel 48, Cesare raggiunge Pompeo nelle regioni orientali, dove questi
lo attende assieme a parte del Senato (quella che, fuggita con lui da Roma,
lo ha aiutato a prepararsi ad affrontare la guerra).
Le ostilità si svolgeranno principalmente in Epiro. In una prima battaglia,
quella di Durazzo, Cesare uscirà sconfitto, rischiando quasi di perdere la
guerra; ma nella seconda e decisiva battaglia di Farsalo, egli riuscirà a
piegare definitivamente il nemico e a chiudere lo scontro in proprio favore.
A questo punto egli si trova ad essere in buona sostanza il padrone assoluto
dei territori romani, tanto che anche il Senato - seppur controvoglia - si
vede costretto a riconoscere la sua autorità.
Nello stesso anno Pompeo fugge in Egitto, chiedendo asilo e rifugio a
Tolomeo XIII, sovrano di tale stato assieme alla sorella Cleopatra, nonchè
suo alleato politico (quantomeno fino a prima della sconfitta). Ma, anziché
ricevere aiuto e solidarietà, egli viene assassinato a tradimento per ordine
dello stesso Tolomeo.
Saputa la cosa Cesare, divenuto oramai 'padrone' anche delle zone orientali,
fa destituire Tolomeo dal trono, dimostrando di non gradire un atto tanto
scopertamente opportunistico, e celebra la memoria del rivale appena
scomparso.
Subito dopo egli si lega a Cleopatra, divenuta sovrana unica dell'Egitto,
annettendo all'Impero come zona a protettorato romano anche quest'ultima
regione orientale, fino ad allora rimasta indipendente. (Vedremo più avanti
il ruolo assunto da questa provincia, di antichissime tradizioni,
all'interno dell'economia imperiale, soprattutto nel fomentare e guidare la
rivolta dell'Oriente nei confronti del predominio delle zone occidentali.)
Nel 47, inoltre, Cesare affronta e sconfigge il re del Ponto Farnace (figlio
di Mitridate) e si prepara alla campagna - che tuttavia non farà a tempo a
combattere - contro l'agguerritissimo Impero partico, un nemico contro il
quale già altri condottieri romani (uno tra tutti, Crasso) hanno combattuto
senza successo.
Nel 45 infine, egli affronta e sconfigge in Spagna gli ultimi residui del
partito di Pompeo, guidati dai figli di questi, Gneo e Sesto.
Dopo aver annientato tutti i propri nemici sul piano militare, gli rimane
però un'ultima (e forse più difficile) impresa: quella di giustificare, alla
luce delle tradizioni e della costituzione romane, il proprio pressoché
assoluto predominio politico, e ciò sia agli occhi del Senato che del
popolo. Egli deve affrontare insomma uno scottante problema, che è stato già
dei condottieri-politici (da Mario a Silla a Pompeo) che l'hanno preceduto.
2.1. Cesare e il Senato
A - Roma dopo la battaglia di Farsalo
Dopo aver sconfitto militarmente (con la battaglia di Farsalo del 48) il suo
unico avversario, Pompeo, Cesare è divenuto virtualmente il 'padrone' o capo
supremo tanto della città di Roma che dei territori a essa annessi.
Abbiamo visto infatti come la smisurata crescita territoriale di Roma (che
dura ormai da almeno tre secoli), assieme al fatto che in questo arco di
tempo le istituzioni romane, anziché essere progredite, si siano
fossilizzate e a ripiegate su se stesse (prova ne è il fatto che il Senato,
un'istituzione di origine arcaica e nobiliare, basata essenzialmente sul
possesso fondiario - prima dei soli patrizi romani e, in seguito, anche di
quelli italici - rimanga ancora l'istituzione che detiene un primato
politico quasi assoluto) abbiano determinato un enorme vuoto di potere: è
chiaro perciò come alla nuova realtà globale e internazionale dell'Impero
non corrispondano affatto delle strutture istituzionali adeguate, bensì
piuttosto delle strutture ancora arcaiche, legate a una dimensione cittadina
e peninsulare, ormai superata da almeno due secoli!
Abbiamo visto anche come un tale vuoto sia stato colmato dalla nascita di
poteri personalistici e clientelari, accumulati dai grandi condottieri
romani durante le loro campagne militari, oltre che attraverso un'azione di
sostegno politico dei ceti emergenti (la plebe urbana, le classi commerciali
mercantili, le masse contadine impiegate negli eserciti professionali).
Sono questi nuovi soggetti politici infatti, i condottieri, a contendersi
realmente il controllo dell'Impero, non certo le più antiche istituzioni
cittadine, in testa alle quali si pone il Senato.
Quando poi (come nel caso di Cesare) uno di questi condottieri elimina il
proprio rivale ereditandone automaticamente i diversi rapporti clientelari
(riguardanti essenzialmente, nel suo caso, le regioni orientali e la
Spagna), il suo potere diviene pressoché illimitato.
Ed è appunto in una tale situazione che si trova Giulio Cesare nel 48, dopo
aver vinto la battaglia conclusiva contro Pompeo.
B - Il rapporto tra Cesare e il Senato
Nonostante il suo strapotere Cesare è tuttavia ben cosciente di come,
essendo gli antichi ordinamenti l'unico elemento di stabilità politica per
Roma, l'ostentazione di rispetto - seppure in gran parte formale - verso
essi sia un fattore indispensabile per riuscire a governare l'Impero
ordinatamente e senza troppe scosse.
Questa considerazione è di certo all'origine dell'atteggiamento di ossequio
tenuto da Cesare (e non soltanto da lui) nei confronti del Senato, nonché
delle antiche tradizioni repubblicane.
A questo atteggiamento ne corrisponde poi un altro, opposto e complementare,
tenuto dal quest'ultimo nei confronti di queste nuove figure politiche.
Esso, infatti, non potendo più sottrarsi all'evidenza della situazione,
sceglie in sostanza la strada della sottomissione, rassegnandosi a giocare
(come già si è detto) un ruolo politico subalterno, ovvero di sostegno -
anche morale - nei confronti di queste nuove forze: nel Senato dunque, oltre
che nell'adorazione e nella fedeltà popolare, questi condottieri-politici
trovano un appoggio assolutamente fondamentale per mantenere salda la
propria autorità.
Un tale risvolto politico - che abbiamo già visto chiaramente in atto,
seppure in modi diversi, nella vicenda di Silla e in quella di Pompeo - vale
ora anche per Cesare.
(Lo stesso Cicerone, il maggiore oratore e filosofo romano di questo
periodo, pur facendosi portavoce dei valori e delle antiche tradizioni dei
'patres', sosterrà pubblicamente prima la figura di Pompeo e - dopo la sua
morte - quella dello stesso Giulio Cesare: egli ha difatti compreso come non
si possa più governare Roma senza l'appoggio di questi nuovi soggetti
politici).
Nel 48 Giulio Cesare, d'accordo con il Senato, instaura così una dittatura,
finalizzata al consolidamento dell'alquanto precario ordine interno.
Le sue successive campagne militari - nel corso delle quali egli (come si è
già accennato) eliminerà i residui ancora vivi di 'pompeianesimo' in Spagna
e in Africa; ricomprenderà l'Egitto, e assieme a esso la regione numidica,
all'interno dei territori imperiali; e sconfiggerà infine il sovrano del
Ponto (questa volta non Mitridate, ma suo figlio Farnace) - non possono che
consolidare il suo predominio sia politico che istituzionale su Roma.
Sarebbe difficile elencare tutte le cariche politiche che Cesare assomma in
questi anni nella propria persona (console per dieci anni; dittatore a vita
col diritto di trasmissione delle cariche al proprio figlio; pontefice
massimo; la carica di supervisore dei costumi; il diritto tribunizio - ossia
il diritto di veto proprio dei tribuni - a vita.), ma deve comunque essere
chiaro che tali cariche gli vengono assegnate - o quantomeno vengono
approvate - dall'istituzione senatoria.
Cesare poi, dal canto suo, continua a esibire un profondo rispetto nei
confronti di quest'ultima, come dimostra chiaramente l'episodio - avvenuto
nel febbraio del 44 - del pubblico rifiuto del diadema imperiale che Marco
Antonio (un personaggio del suo seguito politico, che avrà un grande ruolo
negli anni a venire) tenta di porre sul suo capo. Egli vuole insomma render
chiaro e manifesto a tutti di non avere nessuna intenzione di attentare alle
prerogative costituzionali dell'antica Res-publica.
Oltre a tale episodio, sono una chiara manifestazione di questa intenzione
anche molte deliberazioni politiche, volte essenzialmente a una
rappacificazione con la nobiltà terriera: tra esse vi sono, ad esempio, le
molte assicurazioni di tutela date alla proprietà fondiaria, e il perdono
elargito ai pompeiani pentiti.
Il suo scopo quindi - quantomeno in apparenza - non è di andare contro le
antiche istituzioni cittadine, ma al contrario di rispettarle e di governare
al loro fianco.
Il fatto allora che la sua vicenda personale si concluda tragicamente
(Cesare - come tutti sanno - verrà brutalmente assassinato da una congiura
di senatori, tra i quali compare il suo stesso figliastro Bruto, il giorno
delle Idi di marzo del 44), non deve indurre a credere all'esistenza di un
organico programma politico anti-cesariano, bensì piuttosto al desiderio -
decisamente anacronistico - di alcuni nostalgici di restaurare le antiche
prerogative senatorie.
Questa azione, che di certo non raccoglie il consenso di tutti i senatori (e
nemmeno molto probabilmente della maggior parte di essi), è da interpretare
quindi come un gesto isolato, espressione forse di un malessere e di un
risentimento serpeggianti, ma certo non di un programma politico
alternativo.
L'assassinio di Giulio Cesare inoltre, aprirà il problema della sua
successione e, con esso, darà l'avvio all'ultima guerra civile del periodo
repubblicano: quella tra Ottaviano e Marco Antonio.
Giulio Cesare, un mito letterario
La fortuna riservata al personaggio di Giulio Cesare in ambito letterario,
oltre che artistico e storico, ha origine a partire dagli stessi
contemporanei di questo straordinario uomo d'armi e all'unisono
intellettuale d'eccellente valentia."Ha una maniera splendida e impeccabile
di parlare, solenne e nobile nella voce, nella gestualità e nel contegno",
non può fare a meno di ammettere il suo rivale Cicerone. Mentre l'amico
Sallustio ne descrive l'enorme generosità nei confronti dei deboli e degli
alleati; una generosità che comporta il dispendio di un ingente patrimonio e
una significativa conferma del valore attribuito all'amicizia, sul quale si
basa uno dei punti di forza della società romana repubblicana.
Anche quando su Cesare pesa il giudizio morale legato alla responsabilità di
aver trascinato i concittadini in una sciagurata guerra civile, il suo
ritratto emerge con valenze di spicco, volte a sottolineare il coraggio, la
fierezza e la determinazione del temperamento. Una conferma è reperibile nei
versi della tragedia di Lucano, Farsaglia; si tratta di versi terribili che
ruotano attorno ad un uomo accusato addirittura di criminalità: "fuggi,
fantasia, tale momento della guerra, affinché nessun discendente apprenda da
me, poeta di così enormi sciagure, a quali atrocità possano giungere le
lotte civili".
A un secolo di distanza dalla morte di Cesare, Quintiliano decretò che, se
egli si fosse dedicato esclusivamente all'oratoria, sarebbe stato l'unico
antagonista dell'arpinate. La critica molto insiste sull'abilità dialettica
di Cesare, al punto che si ravvisa una sorta di rammarico nei riguardi di
una vocazione subordinata, invece, a più feroci passioni: il ruolo di
letterato rappresenta virtualmente l'aspetto rassicurante e umano di un
ambizioso conquistatore votato all'arte bellica.
"Non si può dire se è positivo per la repubblica che lui sia nato o invece
se sarebbe stato meglio che non fosse nato", commenta Seneca, riprendendo
un'affermazione di Livio, e vi aggiunge un suggestivo paragone con i venti,
la cui forza distruttiva fa scordare che anch'essi sono prodotto di una
provvidenza, attenta a reggere il mondo secondo imperscrutabili piani. Ed è
proprio il tema conduttore della provvidenza ad ispirare a Dante Alighieri
la decifrazione di un ruolo predestinato assegnato a Cesare, in quanto, in
modo decisivo, egli ha concorso al rafforzamento della potenza di Roma che,
per volere divino, è divenuta strumento per l'affermazione del
cristianesimo.
Gli autori classici costituiscono in ogni caso le fonti di riferimento
interpretate dagli artisti nel momento in cui si accingono a rielaborare in
forma di intreccio narrativo le vicende di uno dei più sorprendenti
protagonisti della storia romana. Ogni notazione costituisce un possibile
indizio per scoprire l'identità dell'uomo, pertanto il personaggio è
caratterizzato sul piano fisiognomico, quantunque penalizzato dalla bassa
statura e dalla calvizie, è studiato sotto il profilo antropologico, negli
aneddoti riguardanti persino i gusti alimentari, così sobri da rifiutare il
consumo di asparagi conditi con burro anziché olio, ma specialmente è
indagato dal punto di vista psicologico, perché su tale versante emerge il
coacervo di arroganza, di anticonformismo e di autoreferenzialità elevata al
massimo grado che fa di Cesare una personalità identica solo a se stessa.
William Shakespeare, che per la tragedia omonima si valse con molta libertà
delle notazioni delle Vite parallele di Plutarco, fa pronunciare al suo
Cesare alcune parole d'assoluta pertinenza nei confronti dell'indole del
personaggio storico: "I codardi muoiono molte volte prima della loro morte;
i valorosi assaggiano la morte soltanto una volta. Di tutte le cose strane
che ho udito finora la più strana sembra che gli uomini debbano temerla, la
morte, vedendo che, fine necessaria, verrà quando verrà" (Atto II, scena
II).
Peraltro il modo migliore per accostarsi al mito letterario di Cesare è
quello di basarsi su ciò che egli stesso, in quanto autore, dice di sé, in
riferimento all'agente delle vicende narrate, valendosi perciò direttamente,
senza altre mediazioni letterarie, della documentazione fornita nei
Commentari.
Un tratto peculiare consiste nella consapevolezza d'essere un uomo d'azione
dotato dell'eccezionale capacità di comprendere a colpo d'occhio le
situazioni.
E' allora pensabile supporre che un temperamento siffatto non sia riuscito a
preventivare i rischi esiziali di una congiura rivelata da numerosi e
inconfutabili segnali? Svetonio sostiene che a molti amici Cesare lasciò il
sospetto di non voler vivere più a lungo, tenuto conto del declinare delle
proprie condizioni fisiche.
Questo dato può forse spiegare il ruolo di attore gestito da Cesare anche
nell'ultima scena di una morte oramai annunciata:
"...si avvolse la toga attorno al capo e con la sinistra ne fece scivolare
l'orlo fino alle ginocchia, per morire più decorosamente, coperta anche la
parte inferiore del corpo". (Svetonio, Vita Caesaris, 82)
Non è un caso se nella tragedia shakespeariana tutti i personaggi chiamati
in causa possiedono una sorta di ambiguità comportamentale, a cominciare da
Antonio, che pur tesse l'apologia del defunto: tutti, ad eccezione di
Cesare, nella sua ineguagliabile autenticità rispetto alle buone e alle
cattive intenzioni.
GLI ULTIMI ANNI DELLA RES-PUBLICA ROMANA
Premessa
Come abbiamo già osservato, il potere nelle mani dei congiurati che hanno
ucciso Cesare è in realtà inesistente: essi difatti non hanno agito alla
luce di un programma organico di riforma politico-istituzionale, ma soltanto
per un aleatorio desiderio di ritorno al passato.
Non hanno compreso insomma come la soluzione imperiale non sia solo frutto
dell'ambizione personale di alcuni individui isolati, bensì oramai una
necessità imprescindibile per la perpetuazione stessa della potenza romana.
Anche il Senato - in nome del quale essi hanno agito - ha infatti preso
definitivamente atto degli avvenuti cambiamenti strutturali, e per tale
ragione non riconosce alcuna legittimità alla loro azione.
Piuttosto la morte violenta di Cesare pone in anticipo un problema che si
sarebbe comunque dovuto affrontare negli anni successivi: ovvero quello
della sua successione.
Da tale questione scaturirà l'ultima guerra civile, che vedrà come
contendenti gli eserciti di Ottaviano e quelli di Marco Antonio.
Ma chi sono questi due personaggi?
Il primo è un giovane ma già affermato politico d'orientamento cesariano, il
principale candidato - almeno fino all'entrata in scena del suo rivale Gneo
Ottavio - alla successione dell'anziano generale.
Gneo Ottavio invece (il futuro Ottaviano), ancora più giovane del primo, è
colui a cui Cesare ha affidato, con l'adozione, l'eredità dei suoi titoli e
del suo ruolo istituzionale.
Mentre Ottaviano fonderà il proprio potere sui domini occidentali
dell'Impero,
Marco Antonio porrà invece le basi del suo nelle regioni orientali.
Tra le altre cose questa guerra, che verrà vinta - come tutti sanno -
dall'Occidente
di Ottaviano (colui al quale il Senato conferirà la carica di 'Augusto',
carica con la quale d'ora in avanti saranno designati tutti gli imperatori),
mostra chiaramente quale e quanta sia l'irrequietezza dei domini orientali
(sia ellenici che asiatici) nei confronti della sovranità dei popoli europei
occidentali.
Gli Stati di tali zone infatti, già formati - a differenza delle regioni
galliche o ispaniche - sotto tutti i profili anche prima dell'arrivo dei
romani, in quanto portatori di tradizioni plurimillenarie [si ricordi a tale
proposito come i primi imperi e le prime organizzazioni politiche nascano
proprio in Oriente], mal sopportano la dominazione di una potenza estranea
che impone concezioni e metodi di governo estremamente distanti dalle loro.
A - L'ascesa di Marco Antonio e di Ottaviano
Alla morte di Cesare (44), un politico d'orientamento cesariano di nome
Marco Antonio, che in quell'anno riveste la carica consolare, cerca - non
senza successo - di prendere in mano la situazione di disordine venutasi
improvvisamente a creare, colmando il vuoto di potere lasciato dall'anziano
generale.
Impugnando il testamento dello stesso Cesare, che egli ha ottenuto dalla
moglie di quest'ultimo, Calpurnia, propone ai congiurati (i quali si trovano
isolati, privi anche dell'approvazione del Senato) un compromesso
estremamente accettabile: la ratifica delle volontà dell'imperatore e la
riabilitazione pubblica della sua figura.
Perché accettabile? Perché, essendo i congiurati tutti molto vicini alla
propria vittima, le volontà di quest'ultima sono - paradossalmente - ad essi
largamente favorevoli.
Sulla base di tale documento si assegnano a Bruto la Macedonia e la Gallia
(cisalpina e transalpina), e a Cassio (l'altro grande congiurato) la Siria.
Contemporaneamente Marco Antonio, approfittando della situazione di
disorientamento politico, lavora per formare quella vasta rete di clientele
politiche che lo porteranno alla ribalta della vita politica romana.
Ma il testamento di Cesare chiama in causa anche un personaggio del tutto
nuovo: suo nipote Gneo Ottavio (il futuro Ottaviano) allora diciottenne, il
quale vi è designato come figlio adottivo, quindi come erede e successore.
Il giovane Ottavio, che si trova in Oriente per ragioni di studio, tornando
a Roma e prendendo il nome di "Gaio Giulio Cesare Ottaviano", dimostra di
accettare l'incarico politico che il testamento gli assegna.
Dei due protagonisti della politica dei prossimi anni, la cui rivalità
determinerà - attraverso la guerra - la nascita dell'Impero vero e proprio,
solo uno è quindi fin dall'inizio un personaggio di pubblico dominio.
Entrambi 'cesariani' poi, se l'uno ha il vantaggio di essere un politico già
affermato, l'altro ha invece il privilegio di essere l'erede designato di
Cesare.
Anche questo secondo scontro per il potere si svolgerà inoltre sullo sfondo
della debolezza del Senato, il quale - impotente ad arginare l'ascesa dei
due rivali - finirà per porsi sotto l'ala protettrice dell'uno, Ottaviano,
contro l'altro.
Con grande acutezza politica, Ottaviano ha infatti pensato da subito a
formarsi una vasta e sicura base di consenso politico, presentandosi ai
senatori come il paladino delle istituzioni e delle tradizioni romane
(conquistando in questo modo per esempio, la fiducia di Cicerone), e al
popolo invece come l'erede politico di suo zio, figura da questo venerata al
pari di una divinità.
Ma l'appoggio dei ceti popolari e senatori non basta più a governare
l'impero:
il vero mezzo di dominio è difatti costituito oramai dall'esercito.
Ottaviano, che lo sa, se ne crea velocemente uno reclutandone i soldati tra
i veterani di Cesare, estremamente preoccupati all'idea di non ricevere
dallo Stato le terre che spettano loro per diritto.
Ma anche Antonio sta lavorando per estendere la propria sfera d'influenza
politica.
Nel 43 egli tenta infatti di impadronirsi della Gallia cisalpina, regione
che egli stesso ha precedentemente assegnato a Bruto. Riuscito nell'impresa,
egli verrà tuttavia a propria volta sconfitto presso Modena da Ottaviano,
agente peraltro su incarico del Senato.
I due schieramenti si sono quindi ormai definitivamente costituiti: da una
parte vi è Cesare Ottaviano, che con l'appoggio e il consenso della nobiltà
comanda a Occidente; dall'altra vi è invece Marco Antonio, i cui domini e le
cui aree di influenza finiscono inevitabilmente per situarsi a Oriente.
La guerra civile potrebbe forse esplodere già in questi anni, se
nell'immediato
non ci fossero dei problemi estremamente urgenti, che si possono affrontare
e risolvere solamente attraverso una 'collaborazione tra nemici'.
B - Il periodo del secondo Triumvirato
Alla base del secondo Triumvirato - un accordo analogo a quello stipulato
nel 59 da Cesare Crasso e Pompeo, anche se contrariamente al primo
riconosciuto anche ufficialmente come dittatura collegiale - vi sono due
differenti ordini di problemi:
- da una parte vi è il fatto che gli eserciti di Ottaviano, Lepido e
Antonio, i tre nuovi Triumviri, stentino a combattersi tra loro (cosa che,
pur potendo apparire paradossale, è dovuta a ragioni affettive: tutti e tre
infatti sono eserciti cesariani, e come tali si sentono affratellati);
- e dall'altra vi sono delle difficoltà di natura organizzativa, ovvero la
necessità di combattere contro nemici comuni la cui presenza ostacola il
predominio politico dei triumviri.
Nel 43, l'anno in cui Marco Antonio, Ottaviano e Lepido (quest'ultimo
personaggio di secondo piano, in una posizione simile a quella sostenuta da
Crasso nel precedente Triumvirato) stringono il loro accordo, sono questi i
motivi essenziali di preoccupazione:
- la presenza di Bruto e Cassio, con i rispettivi eserciti, nei Balcani;
- il fenomeno della pirateria mediterranea, guidata da Sesto Pompeo, figlio
di Pompeo Magno;
- infine, la presenza in Roma di figure politicamente ostili, che
costituiscono un elemento di disturbo per l'ascesa politica dei triumviri.
Quest'ultimo problema viene affrontato e risolto varando delle liste di
proscrizione - simili peraltro a quelle formulate da Silla nel periodo della
propria dittatura - che mieteranno moltissime vittime. (Tra le quali compare
lo stesso Cicerone, nemico personale di Marco Antonio, in quanto strenuo
difensore delle prerogative senatorie).
Quanto a Cassio e a Bruto, essi verranno eliminati dall'esercito di Marco
Antonio nel 42, nelle due celebri battaglie presso Filippi: una guerra,
quella contro i congiurati, al termine della quale i Triumviri procederanno
alla spartizione dei territori dell'Impero: a Marco Antonio andranno le zone
asiatiche; a Ottaviano quelle occidentali (l'Italia e la Spagna); a Lepido
infine quelle africane.
Ma sarà la lotta contro Sesto Pompeo a costituire l'ostacolo più grande,
richiedendo per essere portata a termine molto tempo e molti tentativi. E
sarà proprio il persistere di un tale problema a determinare il rinnovo
dell'accordo
tra Antonio e Ottaviano, nel 37, sotto l'egida di Ottavia (sorella del
secondo e moglie del primo).
Sesto Pompeo uscirà infine sconfitto nella battaglia di Nauloco (in Sicilia)
nel 36, ad opera delle truppe guidate da Ottaviano e da Agrippa.
Dopo la sconfitta dei nemici comuni, si vanno dunque formando sempre più
chiaramente due blocchi contrapposti, che presto o tardi finiranno per
conflagrare: quello europeo e occidentale di Ottaviano, e quello orientale e
asiatico di Marco Antonio.
C - La guerra tra Oriente e Occidente
Per comprendere meglio le fasi della vicenda storica descritta qui di
seguito, è parso opportuno dividere quest'ultima in quattro differenti
sottoparagrafi: uno riguardante le fasi precedenti il conflitto; un altro
sul fenomeno della propaganda politica e culturale, largamente diffusa a
Roma e nelle regioni occidentali, in favore di Ottaviano; uno sulla guerra
vera e propria tra Ottaviano e Antonio; ed un ultimo infine sulla figura
politica e umana di Cleopatra, regina d'Egitto.
a) I problemi interni ai due blocchi
Sia Ottaviano che Marco Antonio debbono affrontare proprio in questi anni -
oltre a guerre e difficoltà comuni - anche problemi legati più
specificamente ai propri domini e alle proprie aree di influenza.
Se nella zone orientali è sempre vivo il problema dei Parti (il popolo
contro il quale Cesare si accingeva a combattere, e contro cui sarebbe
dovuto partire da Roma il giorno stesso del suo assassinio); in quelle
occidentali Ottaviano si scontra invece col problema costituito
dall'assegnazione delle terre ai veterani del suo esercito, un provvedimento
che suscita l'opposizione di alcuni influenti personaggi politici romani.
Il problema dei Parti, già costato precedentemente la vita a Licino Crasso
nella battaglia di Carre del 53, occuperà Marco Antonio tra il 39 e il 38.
L'azione militare di quest'ultimo si concluderà con l'annessione
dell'Armenia, una regione-cuscinetto tra le aree ellenistiche e romane e
quelle partiche.
Poco dopo aver rinnovato il trattato triumvirale, nel 37, questi inizia
inoltre un avvicinamento politico a Cleopatra, la regina d'Egitto, con la
quale organizza una confederazione di stati asiatici, alla cui testa si pone
appunto l'Egitto, che ha come scopo quello di rivendicare maggiori diritti
all'interno della compagine imperiale romana per le zone orientali.
Una delle ragioni - come si è già accennato e come si vedrà meglio avanti -
di tale ribellione, è l'insofferenza degli stati asiatici nei confronti del
giogo romano: tali stati difatti non possono facilmente essere assimilati,
quanto a prassi di governo, a quelli occidentali (sia romani, sia più in
generale europei), dal momento che troppo forte è la differenza tra le due
aree politiche sul piano delle tradizioni, della mentalità e delle strutture
istituzionali.
All'incirca negli stessi anni poi, Ottaviano si trova in notevoli difficoltà
nelle zone occidentali, a causa di un provvedimento da lui preso per
l'assegnazione delle terre ai veterani del suo esercito.
Come si è visto, una delle carte maggiormente sfruttate da parte sua al fine
di reclutare i componenti delle proprie milizie, era stata la promessa delle
terre a quei veterani cesariani che - temendo di essere privati, alla fine
della carriera militare, dell'attribuzione dovuta dei propri lotti di
terra - erano entrati a fare parte del suo esercito personale. Per tale
ragione, egli non può ora certo tirarsi indietro.
Tuttavia il suo provvedimento (al pari di tutte le distribuzioni di beni a
categorie privilegiate) muove a Roma le ire e le proteste di molti, i quali
lo accusano di parzialità e favoritismi.
Tali critiche vengono poi strumentalizzate dagli esponenti del partito di
Marco Antonio, guidato in Roma dal fratello di quest'ultimo, Lucio Antonio,
e da sua moglie Fulvia. Dopo un periodo di guerra, i due verranno tuttavia
assediati e sconfitti nella battaglia di Perugia, nel 40.
b) Il 'mecenatismo' di Ottaviano
Un altro fenomeno interessante di questi anni è la propaganda promossa da
Ottaviano e dagli ambienti politici e culturali a lui vicini, in favore del
predominio sull'Impero delle zone occidentali.
A capo di essa si pone un certo Mecenate, il quale - riunita attorno a sé
una vasta schiera di intellettuali e poeti, tra i quali compaiono anche
Virgilio e Orazio - crea una solida base di consenso politico e ideologico
alla lotta, sostenuta da Ottaviano e dal Senato, per la conquista del potere
contro i propri rivali orientali.
Motivi principali di una tale campagna etnico-culturale saranno tra l'altro:
il ritorno alle tradizioni (agricole) degli avi, il rifiuto della cultura
orientale (con i suoi inganni e le sue esotiche seduzioni, impersonate in
questi anni da Cleopatra, ammaliatrice di Marco Antonio) e il rispetto e la
venerazione per i valori e per le antiche tradizioni repubblicane di Roma.
Proprio quest'ultimo punto inoltre, ci fa capire qualcosa: Ottaviano (che
pure sarà innegabilmente il primo imperatore a tutti gli effetti della
storia romana) non si pone come uno scardinatore delle antiche istituzioni
romane e repubblicane, bensì al contrario come il difensore e il prosecutore
di queste ultime - seppure in una nuova forma e in una mutata dimensione
politica.
E' in una tale ottica che si giustifica appunto la sua alleanza con il
Senato, alleanza che è poi uno dei punti cardinali del suo stesso programma
politico.
c) Lo scontro decisivo
Il vero e proprio scontro bellico tra le due parti dell'Impero avviene a
causa delle richieste politiche fatte dalle regioni orientali a quelle
occidentali.
Tali richieste infatti, rivendicanti una maggiore autonomia e un maggior
peso politico per l'Oriente, si scontrano con i presupposti stessi della
dominazione imperialistica di Roma.
Si noti che Roma, attraverso il proprio predominio militare, ha posto le
basi di uno sfruttamento anche economico di queste regioni, già estremamente
depauperate - anche prima di venire sottomesse - da continue guerre
intestine e fratricide. Tuttavia una tale situazione di subalternità -
risvegliandone l'orgoglio - induce queste ultime a cercare un riscatto da
tale degrado.
Proprio per questo, sotto la guida di Antonio e di Cleopatra si forma una
Confederazione di stati orientali (i quali peraltro accettano pur sempre il
legame con l'autorità centrale di Roma), i quali cercano di affermare la
propria indipendenza, se non addirittura il proprio predominio, nei
confronti delle zone occidentali.
Sarà il tardo Impero - con la propria divisione in due zone indipendenti:
una occidentale e l'altra orientale - a vedere effettivamente il trionfo di
questa visione politica: una visione che tuttavia, per il momento,
costituisce ancora una strada impraticabile. Troppo schiaccianti sono
infatti la potenza e la superiorità dell'Occidente e delle sue regioni (più
giovani, meglio organizzate e più ricche) rispetto a quelle orientali!
La guerra tra i due eserciti non viene, difatti, praticamente nemmeno
combattuta.
Il conflitto si divide essenzialmente in due battaglie: la prima combattuta
ad Azio sul mare nel 31, e segnata da una facile vittoria di Ottaviano;
l'altra invece, decisiva, combattuta sulla terra ferma presso Alessandria
nel 30, e vinta di nuovo da Ottaviano.
Al termine della seconda battaglia Antonio, ormai privo di vie di salvezza,
si toglierà la vita, seguito subito dopo da Cleopatra.
In tal modo anche l'Egitto, unica regione asiatica rimasta fino ad allora
formalmente indipendente - sebbene già orbitante attorno a Roma - diverrà
ufficialmente una provincia romana, mentre, con tale acquisizione, l'Impero
giungerà a ricomprendere al suo interno tutte le regioni civilizzate allora
conosciute: sia in Europa, sia in Africa, sia in Asia (con l'eccezione delle
lontane regioni dell'Impero dei Parti).
d) Cleopatra: i problemi sollevati dalla sua vita e dalla sua morte
Quella di Cleopatra è una figura storica quasi leggendaria, non solo perché
dell'Egitto di questi anni ci rimangono pochissime notizie, ma anche per la
difficoltà da sempre incontrata dagli storici nell'interpretarne la vita e
le azioni.
Se da un lato se ne può dare una interpretazione 'romantica' o sentimentale,
che ruota attorno ai suoi amori e alla sua tragica fine, dall'altro si può
però anche tentare di dare una spiegazione più realistica e meno poetica dei
fatti.
Il suo corteggiare i grandi condottieri romani potrebbe essere infatti
interpretato come espressione di un'ansia legata, più che a un desiderio di
potere personale, alla volontà di restituire prestigio e lustro alla sua
nazione, l'Egitto (e in generale all'Oriente), con le sue millenarie
tradizioni e con i suoi splendori.
Anche se - per le ragioni di cui si è appena parlato - un tale tentativo
fallisce miseramente (non producendo anzi come risultato che di accelerare
il processo di sottomissione e di acquisizione, da parte di Roma, delle
regioni orientali rimaste fino ad allora indipendenti) resta il fatto che la
missione che la regina si è quasi sicuramente posta, consiste nel
riguadagnare alla propria nazione il posto di preminenza che - a suo modo di
vedere - le spetta per l'antichità e la nobiltà della sua storia e delle sue
tradizioni.
Persino la sua morte apre poi degli scottanti interrogativi: il suo stesso
suicidio infatti è passibile di una precisa spiegazione politica e
strategica.
Qualora difatti ella si fosse arresa di fronte al nemico, avrebbe (secondo
la tradizione egizia) reso lecito a questi dichiararsi l'erede a tutti gli
effetti della sua regalità.
Ma nel momento stesso invece in cui ella si toglie la vita sfuggendo alla
cattura, preclude a Ottaviano ogni possibilità di decretare una propria
successione dinastica.
E in un paese come l'Egitto (la cui amministrazione è profondamente legata a
presupposti dinastici di natura religiosa, avendo una tale monarchia un
carattere divino) una dominazione iniziata sotto tali auspici di
illegittimità non pone di certo le basi per un fruttuoso rapporto tra
dominatori e dominati!
3.1. La nuova Roma di Augusto (guarda lo schema dei poteri di Augusto)
Dopo la battaglia di Azio, Ottaviano può già considerarsi l'uomo più potente
di tutto l'Impero: egli sa infatti di essere prossimo a ereditare tutti i
domini e gli strumenti di potere (tra i quali vi sono, in primo luogo, gli
eserciti) del proprio avversario, l'unico che possa competere con lui per
ricchezza e per influenza politica.
Anche Ottaviano - come già Cesare prima di lui - si trova quindi nella
spiacevole situazione di dover giustificare i propri poteri reali agli occhi
del Senato e nell'ottica delle tradizioni repubblicane.
Enorme è difatti il divario tra i poteri che egli effettivamente assomma
nella propria persona, e le cariche di cui attualmente è portatore: allo
scadere del mandato triumvirale, egli ha infatti perduto anche quest'ultima
prestigiosa carica costituzionale.
Tuttavia, ciò non costituirà per lui un grave problema. Il Senato infatti,
ormai in una posizione di volontaria sottomissione, gli faciliterà di molto
il compito, conferendogli - tra le altre cose - anche il titolo di
'Augusto'.
La prima azione politica di Ottaviano dopo il 30 sarà la distribuzione delle
terre ai veterani del proprio esercito, compiuta tuttavia a spese
dell'Egitto (regione ricchissima d'oro, e appena sottomessa) anzichè dei
nobili romani, coi quali ha stretto una duratura alleanza, sia politica sia
ideologica.
Il passaggio all'Impero verrà poi portato avanti nel modo più 'indolore'
possibile: ovvero attraverso il rispetto formale delle istituzioni
repubblicane (soltanto con il tempo gli Imperatori si libereranno difatti
dall'opprimente vincolo delle tradizioni patrie).
Ufficialmente, a partire dal 23, Augusto riveste solo due cariche - cui se
ne aggiungeranno successivamente altre -, ossia il comando proconsolare
sulle province romane (e sui loro eserciti), e la potestà tribunizia sulla
città di Roma (una carica che in passato era stata assegnata anche a Cesare,
e che dà a chi la detiene la possibilità di convocare le Assemblee, proporre
le leggi e esercitare il diritto di veto: in pratica il controllo stesso
della vita politica della città).
Inoltre, se in Occidente Ottaviano Augusto cercherà di evitare la diffusione
del culto della propria persona (preferendogli quello dello Stato: si pensi
all'Eneide di Virgilio, che celebra l'eterna gloria di Roma); nelle regioni
orientali invece - nelle quali esso entra decisamente più in sintonia con la
tradizione dell'assolutismo politico - egli farà in modo che un tale culto
si diffonda e venga ampiamente praticato
Ma per quale ragione è tanto sentita (e praticata) l'esigenza di un potere
supremo, ovvero di un potere imperiale?
Il motivo principale (oltre al fatto che Ottaviano possieda le leve ormai
fondamentali del comando: vale a dire gli eserciti, l'approvazione e il
sostegno politico dei ceti finanziari e mercantili - in realtà poco legati,
nonostante le apparenze, alle tradizioni repubblicane - e quello delle masse
popolari) sta nella vastità stessa dell'Impero.
Tale caratteristica infatti - per la quale esso assomma al proprio interno
una miriade di differenti culture, tradizioni politiche e religiose,
disposizioni, eserciti e in generale interessi particolaristici (si pensi,
soltanto nella città di Roma, al dissidio politico tra i cavalieri e la
nobiltà fondiaria) - rende estremamente viva l'esigenza di un'autorità che
si collochi 'super partes', e che sia quindi capace di operare una
mediazione tra i diversi punti di vista, spesso davvero inconciliabili tra
loro.
In questo senso si crea, a partire da questi anni, una latente separazione
tra la sfera più genericamente economica e quella più propriamente politica.
Lo Stato infatti (e in primis l'Imperatore, ovvero il suo vertice) si pone
su un piano differente rispetto alle parti sociali che lo compongono, un
piano che solo gli permette di trovare l'equilibrio necessario a porre in
atto tale opera di mediazione.
Da questo punto di vista, l'Impero romano si avvicina dunque, facendola
propria, alla tradizione politica degli assolutismi orientali.
Come in Oriente - ad esempio in Egitto - vi è un Faraone (o chi per esso)
che attraverso il proprio potere assoluto tiene a freno i vari
particolarismi locali, nell'Impero romano vi è invece un Augusto capace di
arbitrare, almeno in un certo grado, i conflitti ideologici e d'interesse
che si instaurano tra le differenti classi sociali e le diverse aree
geografiche e culturali.
Non bisogna però ignorare neanche come, tra queste due diverse aree
geo-politiche, sussistano delle differenze molto profonde: mentre infatti in
Oriente un tale tipo di governo è dovuto alla notevole arretratezza di
sviluppo delle forze produttive (arretratezza che ha impedito la formazione
delle classi sociali, ovvero il superamento di uno Stato basato ancora sulle
caste); in Occidente, al contrario, una tale soluzione -quella imperiale - è
il risultato della tensione esasperata tra tali classi, e della conseguente
esigenza di porre in atto a livello politico una conciliazione o una
pacificazione tra esse.
Alla morte di Ottaviano Augusto (nel 14 d.C.) non vi sarà bisogno di lotte o
di rivoluzioni interne perché i poteri di quest'ultimo (in pratica la carica
imperiale) vengano trasferiti ad un successore, nella persona di Tiberio.
Ciò è segno del fatto che - nonostante il rispetto pubblicamente ostentato
per l'antica Res-publica - quest'ultima è oramai definitivamente morta: e
prima che nelle istituzioni, essa è morta nella mente stessa dei romani!
CONCLUSIONI (77-30 a.C.)
Se nel periodo di Mario e di Silla abbiamo assistito al diffondersi e
all'affermarsi dei poteri personalistici e militari contro la supremazia di
quelli (più antichi, ma ormai obsoleti) cittadini e repubblicani, in questo
secondo periodo assistiamo invece alla definitiva affermazione dei primi sui
secondi, secondo una parabola storica che culminerà - dopo la vittoria di
Ottaviano su Marco Antonio, nel 30 - con il trionfo pressoché esplicito
della soluzione monarchica su quella repubblicana. (E ciò nonostante una
tale trasformazione avvenga ufficialmente con il 'beneplacito' del Senato, e
nell'ottica di un prolungamento delle antiche tradizioni e istituzioni
repubblicane occidentali!)
Si è visto poi come la ragione di questa rivoluzione si trovi essenzialmente
nell'incapacità di fatto dei vecchi istituti cittadini e nobiliari a
governare la nuova realtà - sia territoriale sia sociale - dell'Impero.
Per tale motivo, dovranno piegarsi alla necessità di un tale cambiamento
anche quelle realtà che avevano precedentemente tentato di ostacolarne la
realizzazione, ossia la nobiltà terriera romano-italica e la sua istituzione
guida, il Senato - realtà che vedranno inoltre, nei prossimi decenni, un
potente ridimensionamento dei loro antichi privilegi politici e
amministrativi.
Assistiamo infine, al termine questi anni, alle prime frizioni tra le
regioni dominatrici d'Occidente e quelle dominate d'Oriente (portatrici di
più antiche tradizioni, e come tali estremamente riottose a piegarsi al
giogo di una potenza estranea).
A capo di una tale volontà di riscatto si porranno l'Egitto di Cleopatra e
la figura 'internazionale' di Marco Antonio, la sconfitta dei quali tuttavia
non porrà certo fine alle spinte indipendentiste delle regioni asiatiche!
LA CONGIURA DEL 22 a.C.
A sorpresa, il 26 giugno del 23 a.C. Ottaviano depose la sua alta carica di
console per tornare a vita privata, dopo otto anni di carriera prestigiosa
in cui aveva distrutto l'astro nascente, Antonio, e si era impadronito dei
poteri civili e militari diventando il principe.
Al fine di dimostrare le sue buone intenzioni nei confronti del senato e
della repubblica, scelse addirittura un sostituito ad hoc: Lucio Sestio, un
entusiasta seguace del cesaricida Bruto.
In realtà tutto questo era solo una messinscena ben studiata, il cui scopo
era quello non di diminuire ma piuttosto di aumentare i propri poteri.
E infatti per la seconda volta, dopo il 27 a.C., il senato gli conferì
poteri tali da poter governare come un vero e proprio monarca: anzitutto,
pur non essendo un tribuno della plebe (carica che un patrizio non poteva
detenere) ne aveva ugualmente i medesimi poteri; in secondo luogo il senato
gli consentiva di portare dinanzi alla curia qualsiasi mozione; in terzo
luogo l'imperio pro-consolare, che aveva detenuto per dieci anni, fu
trasformato in maius e a tempo indeterminato (il che in sostanza voleva dire
che il principe poteva governare anche sulle province affidate ad altri
proconsoli e poteva disporre di tutte le legioni dell'impero).
Ma come poteva Ottaviano essere sicuro di questo incredibile successo? Il
motivo è relativamente semplice: nel 28 a.C. egli aveva provveduto a epurare
il senato di tutti gli elementi che avrebbero potuto ostacolarlo, sfruttando
il pretesto del sovrannumero e soprattutto della immoralità di diversi
senatori.
Lo appoggiarono nettamente tutti i seguaci di Antonio, di Bruto e di Cassio
volutamente risparmiati da lui; la consistente maggioranza dei cesariani; la
classe dei cavalieri; i figli dei liberti, che già sotto Cesare avevano
avuto la possibilità di migliorare il loro status sociale.
Ottaviano aveva designato come suo successore il nipote e figlio adottivo
Claudio Marcello, figlio di Ottavia, sorella dello stesso Ottaviano. Nel 24
a.C. lo aveva già nominato pontefice e gli aveva dato il diritto di sedere
in senato tra i pretori, dopodiché sarebbe dovuto diventare edile e console
dieci anni prima dell'età richiesta.
Tale cumulo di onori era in contrasto con l'iter regolare di un cittadino
non raccomandato, che poteva diventare questore a 25 anni, pretore a 30 e
console a 35. Un nepotismo così smaccato sacrificava le libere elezioni dei
magistrati che avvenivano nelle assemblee popolari. E' probabile che proprio
a queste ragioni si colleghi l'improvvisa morte di Marcello alla fine del 23
a.C.
Non a caso i nemici di Augusto pensarono che quello fosse il momento
opportuno per eliminare anche lui e restaurare realmente la repubblica.
La congiura del 22 a.C. però fu sventata da un delatore di nome Castricio,
liberto di Augusto, che fece i nomi di Fannio Cepione e Lucio Terenzio
Varrone Licinio Murena, entrambi con un albero genealogico di tutto
rispetto.
Essi erano i rappresentanti dell'aristocrazia, cioè di quella classe che
Augusto stava sempre più allontanando dall'amministrazione statale.
Il ruolo della nobiltà era irreversibilmente in declino perché non
esistevano più continue guerre in cui si potevano accumulare grandi fortune
in terre e schiavi. Diminuivano le occasioni di assumere comandi militari
importanti, giacché questi venivano assegnati generalmente a parenti di
Augusto o a persone di particolare fiducia.
Gli uomini nuovi erano da tempo diventati i "cavalieri", cioè la classe
imprenditoriale, commerciale, la borghesia di allora, nonché i liberti
dotati di capacità intellettuali, organizzative, manageriali...
Condannati in contumacia da un regolare processo alla pena capitale, Cepione
e Murena furono trovati e giustiziati sul posto. Infatti dovere del
magistrato e anche di un cittadino privato era quello di eseguire ovunque si
trovasse la sentenza emessa, a eccezione dei casi in cui i condannati
risiedessero già in un altro Stato e avessero preso un'altra cittadinanza:
in questo caso il loro status era quello di esiliati e non potevano far
ritorno in patria.
L'accoglienza nelle città scelte per l'esilio (anticamente erano alcune
città del Lazio) dava all'esule il diritto di prenderne la cittadinanza,
rinunciando però a quella romana. Poiché in seguito alla guerra sociale del
90 a.C. la cittadinanza era stata estesa a tutte le città italiche e tutta
l'Italia era diventata ager romanus, i condannati a morte non avevano altra
possibilità che andare in Gallia, in Grecia o in Asia.
Astutamente Ottaviano fece in modo di affrettare il più possibile il
processo, in modo di assicurarsi che l'eliminazione dei congiurati avvenisse
sul territorio italico.
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