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L'IMPERO ROMANO - DINASTIA GIULIO CLAUDIA - NERONE

LA DINASTIA GIULIO CLAUDIA FINO A NERONE

L'IMPERO ROMANO Ottaviano, riprendendo la politica di Cesare, accentrò su di sé tutte le principali cariche dello Stato, lasciando formalmente intatte le vecchie istituzioni repubblicane (senato ecc.). Dopo la battaglia di Azio, in cui sconfisse il rivale Antonio, egli ottenne il titolo di imperatore a vita (comandante supremo di tutte le forze militari), principe del senato (diritto di parlare per primo), augusto (protetto dagli dei), potestà tribunicia a vita (persona sacra e inviolabile, con diritto di veto sulle delibere del senato), console a vita (tutto il potere esecutivo), pontefice massimo (massima autorità religiosa) e altri titoli ancora. In alcune province orientali era anche considerato una sorta di divinità. Il cuore della vita politica divenne la corte imperiale (senatori, giuristi, letterati... scelti dall'imperatore). I senatori vennero ridotti di numero e si elevò il censo minimo per poterlo diventare. Ottaviano fece importanti riforme amministrative (ad es. divise le province in senatorie e imperiali), finanziarie (ad es. volle a fianco del tesoro statale un proprio tesoro o fisco), militari (esercito permanente per l'impero e coorti pretorie per l'imperatore), etico-religiose (restaurò antiche tradizioni). Quando morì si cercò di affermare la successione per ereditarietà (casa Giulio-Claudia): Tiberio (concilia principato-senato, politica di pace all'estero, muore Cristo), Caligola (supremazia del principato, culto dell'imperatore, culti/usanze orientali, favorisce schiavi/plebe per il consenso, muore ucciso), Claudio (concilia principato-senato, crea burocrazia di liberti imperiali, inizia persecuzioni anticristiane, amplia confini dell'impero, concede per la prima volta il diritto di cittadinanza a molti abitanti della Gallia, ammettendone alcuni al senato, al fine d'indebolirlo); Nerone (primato concesso al principato, è anticristiano, favorisce i ceti medio-piccoli imponendo che il denarius sia ridotto di titolo e di peso, ma con la stessa capacità di acquisto, fa uccidere il filosofo Seneca e il poeta Luciano congiurati contro di lui, si fa uccidere da uno schiavo dopo essere stato dichiarato nemico della patria dal senato). Poi andarono al potere gli imperatori della casa Flavia: Vespasiano (il primo di origini sociali modeste, concede il diritto di cittadinanza alla Spagna, esoso sul piano fiscale, mandò in rovina molti piccoli proprietari, pose fine alla guerra giudaica grazie all'opera del figlio Tito, che nel 70 distrusse Gerusalemme); Tito (attenuò le persecuzioni anticristiane, proseguì la politica paterna); Domiziano (supremazia concessa al principato, si fa chiamare "signore e dio", protegge i piccoli proprietari contro la concorrenza delle province, promuove una grande persecuzione anticristiana, viene ucciso in una congiura). Alla sua morte s'impone il sistema dell'adozione (la scelta del migliore operata dall'imperatore). Il primo però, Cocceio Nerva, venne eletto dal senato (diminuì le tasse, abolì le leggi di lesa maestà, richiamò gli esiliati politici, favorì classi meno abbienti, sfavorevole alle persecuzioni anticristiane, designò come successore il comandante Traiano); Ulpio Traiano (originario della Spagna, primo provinciale al trono, ammise in senato molti provinciali, anticristiano, l'impero con lui raggiunge la massima estensione); Elio Adriano (supremazia concessa al principato, favorì le province, distrusse nuovamente Gerusalemme nel 132, grande ammiratore della civiltà greca, inaugura la serie degli imperatori filosofi: Antonino Pio e Marco Aurelio); Antonino Pio (indifferente alla province, lasciò al senato ampia libertà di governo); Marco Aurelio (stoico, favorì emancipazione degli schiavi, tollera le persecuzioni, rispetta il senato, per la prima volta permette a talune tribù barbariche d'insediarsi nell'impero ottenendo in cambio uomini per l'esercito); Commodo (supremazia principato, tenta una monarchia teocratica servendosi della plebe, fissò un calmiere dei prezzi, favorì gli eserciti in tutti i modi, morì in una congiura). Siamo nel 193. Tende a prevalere l'elemento militare nell'attribuzione del potere imperiale (anarchia militare). Durerà fino a Diocleziano, determinando il passaggio dal principato a un vero e proprio dominato. Gli eserciti erano costituiti soprattutto da provinciali, poco interessati all'unità imperiale e molto legati al comandante che li pagava meglio. Settimio Severo (militare, ottiene il titolo dal senato, inaugura l'età dei Severi, crea una monarchia assoluta, si fa chiamare "dominus", cioè "signore", si servì di plebe-esercito-borghesia/cavalieri, equiparò per primo Italia e province, concedendo cittadinanza a intere città d'Africa e d'Oriente, morì contro i barbari); Caracalla (uccise il fratello che avrebbe dovuto governare con lui, concesse a tutti i sudditi liberi dell'impero la cittadinanza romana, ucciso dai suoi ufficiali); Macrino (a capo della congiura contro Caracalla, primo imperatore del rango equestre-borghesia e non senatorio, nonostante governo saggio e pacifico fu ucciso dai senatori e dai suoi soldati); Elagabalo (creò un senato femminile con a capo sua madre, concesse cariche statali rilevanti a liberti e schiavi, introdusse a Roma usi-costumi orientali, ucciso dai militari); Severo Alessandro (il primo a riconoscere un valore alla predicazione cristiana, ma siccome contro i germani dovette comprare la pace con l'oro, i suoi soldati lo uccisero). NeroneNuova anarchia militare (235-258). I soldati della Germania proclamano imperatore Massimino (primo barbaro sul trono romano, combatte contro i germani, aumenta la pressione fiscale, requisì molti latifondi, perseguitò i cristiani, ucciso dai suoi soldati). Dopo di lui gli imperatori si susseguono velocemente, quasi tutti proclamati dai militari e quasi tutti uccisi. I barbari militavano sempre più nelle file degli eserciti romani. Forti le persecuzioni anticristiane. Imperatori illirici: con loro l'autocrazia militare mise del tutto in ombra il senato. Molte guerre antibarbariche. Il più importante fu Diocleziano, che trasformò lo Stato in una monarchia assoluta teocratica, ruppe tutti i legami tradizionali col senato e col popolo, riservò per sé la difesa della parte orientale dell'impero e diede quella occidentale a Valerio Massimiano (entrambi coadiuvati da due luogotenenti, Galerio Massimiano e Costanzo Cloro: "tetrarchia", cioè "comando di 4". Le leggi erano emanate dalla tetrarchia, ma la figura centrale resta Diocleziano). Ridusse tutte le province alle dipendenze dell'imperatore, divise il potere civile da quello militare (entrambi affidati a persone di rango borghese), creò una vasta burocrazia (ai cui ruoli poteva accedere chiunque). Fece corrispondere, ai fini tributari, un lavoratore-colono a un'unità di superficie di terra da lui lavorata: l'imposta da pagare era fissata in base a un rilevamento del reddito del terreno fatto ogni 5 anni (poi ogni 15). La tassazione era maggiore quanto minore era la densità demografica. Non si teneva conto di carestie, pestilenze, guerre. Creò poi un'imposta sulla ricchezza mobile, colpendo i prodotti di commercio, industria e professioni. Promulgò un editto sui prezzi massimi delle merci, per frenare l'inflazione, ma fu un fallimento perché si sviluppò il mercato nero. Poi, vedendo che i coloni, per il duro fiscalismo, abbandonavano le terre, li obbligò a restare per tutta la vita (inclusi i figli) sul luogo di lavoro: chi perdeva i diritti civili diventava servo della gleba. Lo stesso per gli artigiani. Fortissime le persecuzioni anticristiane. Dopo 20 anni di governo Diocleziano abdicò insieme a Massimiano. Il sistema della tetrarchia continuò con altri imperatori fino alla guerra civile tra Costantino e Massenzio. La vittoria di Costantino portò all'Editto di Milano (313) con cui si concedeva anche ai cristiani piena libertà di culto. La tetrarchia era finita. Costantino conservò sia la divisione dell'impero in 4 parti (ma solo a livello amministrativo), sia la distinzione dei poteri civili e militari, incrementò la burocrazia, fece una disastrosa riforma finanziaria, trasferì la capitale a Bisanzio (che chiamò Costantinopoli). Si servì del cristianesimo per motivi politici: esentò dalle imposte le proprietà ecclesiastiche, stabilì tribunali speciali per il clero, convocò il concilio di Nicea contro l'arianesimo, permise alla chiesa di ricevere ambasciatori, riconobbe la domenica come giorno festivo... Tra i suoi successori va segnalato Giuliano l'apostata, che cercò, ma inutilmente, di ripristinare il paganesimo come unica religione di stato. Con Teodosio (Editto di Tessalonica, 380) il cristianesimo diventa l'unica religione di stato. Dopo di lui l'impero non fu più unito. In occidente i veri padroni erano i generali barbari. Uno di questi, Odoacre, preferì inviare le insegne imperiali al basileus, dichiarando di voler governare l'Italia come un suo luogotenente. L'imperatore conferì ad Odoacre il titolo di patrizio romano. IL PRINCIPATO DI AUGUSTO Introduzione Come già è accaduto a Giulio Cesare, anche Ottaviano si trova (una volta divenuto l'uomo più potente di Roma) nell'imbarazzante condizione di dover giustificare la propria posizione di preminenza nello Stato e nell'Impero. Rispetto a Cesare però, egli gode di un appoggio e di una fiducia molto maggiori da parte delle autorità repubblicane, con le quali ha precedentemente stretto un'alleanza - nata dalla necessità di sostenere una decisa politica anti-orientale - finalizzata alla restaurazione e al consolidamento delle antiche istituzioni patrie contro i venti di rinnovamento che percorrono l'Impero. Ottaviano tuttavia si trova in una posizione ancora più ambigua rispetto al suo predecessore: se da una parte infatti egli si pone formalmente come il restauratore dell'antica oligarchia senatoria e della tradizione repubblicana, dall'altra e nella sostanza egli inaugura invece una politica radicalmente nuova: una politica che si adatta alla realtà di un Impero divenuto oramai virtualmente universale. Quest'ultimo si è difatti col tempo trasformato in un'ecumene di popoli e di tradizioni diverse, che trovano in Roma e nell'Italia il proprio centro direttivo, e che comprendono praticamente tutto il mondo civile conosciuto (ad eccezione dei territori partici). E' appunto in questa mutata situazione che si radicano le ragioni fondamentali della politica esterna e interna di Ottaviano Augusto, politica consistente in: - azioni militari di mero consolidamento territoriale; - la rinuncia (o quasi) a qualsiasi velleità espansionistica; - e l'inaugurazione di un lungo periodo di pace interna (Pax augusta), dopo i molti decenni dominati da guerre civili e da lotte intestine. L'Impero - oramai virtualmente universale - non ha difatti più né l'interesse né le risorse (economiche e militari) necessarie e sufficienti per portare avanti un processo di estensione territoriale. Al contrario, diviene per esso una necessità primaria garantire al proprio interno la sicurezza degli spostamenti, e con essa la facilità degli scambi commerciali (oltre che culturali); e ciò appunto attraverso il mantenimento della pace e dell'ordine all'interno dei suoi confini. Ma Ottaviano si impegna anche in un'opera di trasformazione e di rinnovamento delle cariche statali. E' ammirevole come egli riesca - attraverso degli abili equilibrismi politici - a rivoluzionare il sistema delle cariche costituzionali, pur restando formalmente fedele (quantomeno il più possibile) alla vecchia organizzazione repubblicana. Se da un lato egli si pone come un 'princeps', ovvero come il primo nello Stato, dall'altra però rifiuta più volte il titolo di dittatore e di imperatore, ovvero di capo assoluto. Il termine 'princeps' sta difatti a significare 'primo tra individui di pari dignità' e sanziona contemporaneamente la sua posizione di privilegio rispetto agli altri senatori, ma anche la sua condizione d'eguaglianza rispetto a essi dal punto di vista costituzionale. Nelle proprie memorie (Res gestae) egli potrà così vantarsi di non aver rivestito mai alcuna magistratura contraria al costume degli avi. Tuttavia, oltre ai vantaggi che gli derivano dal titolo di Augusto (titolo conferitogli dal Senato stesso, e che ne decreta in buona sostanza l'autorità somma in Roma), Ottaviano riuscirà anche a istituire una serie di magistrature - dette 'imperiali' - attraverso le quali potrà controllare praticamente tutti i territori dell'Impero oltre a quello della stessa capitale. Anche se in modo non scoperto, cioè forzando il ruolo delle più antiche istituzioni repubblicane e cittadine, egli riuscirà così a detenere un dominio pressoché incontrastato su Roma fino alla propria morte. Tuttavia (lo si è già visto nei precedenti articoli) i poteri politici interni all'Impero si basano in gran parte sul fattore clientelare, data l'inadeguatezza strutturale delle istituzioni repubblicane (ancora essenzialmente legate a un contesto di potere di tipo cittadino) ad assolvere un compito vasto come quello di governare l'Impero. Tali poteri sono perciò di natura essenzialmente personalistica. E nonostante Ottaviano tenti - come ovvio - di far convergere questi due opposti poli (istituendo appunto nuove magistrature e nuove strutture politico-amministrative), un'ambiguità tanto radicata a livello storico non può certo essere estirpata in pochi anni. Ed è per questo che i poteri economici politici e militari del princeps tendono, ora più che mai, a confondersi con quelli stessi dello Stato. Ne è un esempio la nuova amministrazione finanziaria dell'Impero, il fisco, all'interno della quale rimane incerta la distinzione tra ricchezza di Augusto e ricchezza di Roma. Anche le tradizionali istituzioni cittadine inoltre, usciranno profondamente trasformate nei loro effettivi attributi: il Senato, riformato da Augusto, tenderà a divenire sempre di più un organo consultivo (laddove invece i singoli senatori diverranno spesso degli 'emissari' che agiscono per conto del princeps); i comizi centuriati invece - da sempre voce dei desideri della plebe urbana - perderanno gradualmente i propri poteri decisionali. Non può infatti, la plebe della sola città di Roma, interpretare e promuovere gli interessi di tutto il popolo romano, la cui estensione va ormai ben oltre l'Italia e la stessa Europa! La società romana sotto Augusto (27 a.C. - 14 d.C.) 1. La nuova organizzazione dello Stato Alla base della trasformazione di Roma operata da Augusto sta l'instaurazione di un nuovo assetto amministrativo, attraverso una più ampia distribuzione delle cariche statali. Proviamo brevemente a delineare questa nuova conformazione. Per comprenderla, bisogna innanzi tutto tenere presente il fatto che Roma, negli anni del principato di Ottaviano, si avvia a diventare il punto dell'Impero dal quale si irraggiano le decisioni concernenti tutte le province: sempre di meno quindi una città egemone e sempre più il centro amministrativo di una vastissima compagine politica e sociale. Conseguenza di un tale processo è che i vecchi istituti repubblicani e cittadini decadono gradualmente a organismi consultivi quando non, addirittura, meramente rappresentativi (ovvero privi di reali funzioni amministrative). Il potere amministrativo effettivo, invece, si concentra sempre di più nelle mani dello stesso Augusto, dal momento che le antiche cariche repubblicane - assieme alle nuove da lui stesso istituite - tendono a diventare fondamentalmente strumenti di dominio dell'imperatore. Nonostante ciò, Augusto rifiuta con decisione ogni attribuzione esplicita di predominio. Il suo potere si basa in sostanza sull'attribuzione da parte del Senato di alcune cariche permanenti (cioè a vita), ovvero su poteri di tipo straordinario (contemplati per altro già dai tempi della Respublica, come dimostrano ad esempio le vicende di Silla e Cesare) ritenuti giustificati in situazioni eccezionali. Oltre che di tali attribuzioni, egli gode poi delle enormi influenze politiche accumulate negli anni della guerra civile contro Antonio. Tra di esse spiccano sia la fedeltà degli eserciti (di cui inoltre egli detiene anche ufficialmente il comando) sia gli enormi capitali finanziari. Oltre a ciò, tra il 27 a.C. (anno dell'incoronazione ad Augusto) e il 14 d.C. (anno della morte) Ottaviano riceverà più volte magistrature di primissimo piano, tra cui: il consolato (che dal 19 a.C. diventerà carica a vita), la censura (con la quale potrà ricomporre il Senato), la carica di sovrintendente dei costumi, il Pontificato Massimo, e altre ancora. E tuttavia egli fonderà la propria auctoritas essenzialmente su due attribuzioni stabili: la potestà tribunizia e l'imperium proconsolare - cariche che, data la loro importanza, è necessario ora analizzare più in dettaglio. - La potestà tribunizia Tale prerogativa istituzionale - già conferita negli anni passati a Giulio Cesare - dà a colui che la detiene il controllo virtuale della vita politica della città di Roma. Non è un caso quindi che su di essa Ottaviano basi gran parte del proprio potere sulla capitale dell'Impero, e non solo su essa. (si ricordi che Roma è, tra le altre cose, anche il centro di irraggiamento delle decisioni politiche riguardanti tutto l'Impero.) Sicuro, attraverso una tale carica, delle proprie prerogative, egli potrà così lasciare ai senatori molte delle altre magistrature fondamentali (tra le quali il consolato) e salvare così le apparenze dello stato repubblicano. Tuttavia Ottaviano non si limiterà a occupare un posto istituzionale di prestigio: attraverso la propria opera difatti (e servendosi dei propri poteri 'eccezionali') egli amplierà notevolmente il raggio d'azione delle antiche cariche amministrative, sia di quelle urbane sia di quelle concernenti l'intera penisola, introducendone poi delle nuove, gravitanti ovviamente nell'orbita dei suoi poteri. Tra queste ultime vi sono principalmente le cariche prefettizie, con le quali il princeps può controllare i vari aspetti della vita politica dell'Urbe, a partire da quelli giudiziari per giungere sino a quelli amministrativi. Ad occuparle inoltre sono spesso non esponenti dell'antica oligarchia senatoria, bensì della classe equestre! (E infatti uno dei punti forti del programma augusteo è quello del rinnovamento della classe dirigente di Roma, attraverso l'inclusione di quelle classi commerciali e finanziarie che già in passato avevano avuto un ruolo di primo piano nel finanziamento degli appalti pubblici). Introduce inoltre il corpo dei vigili, una sorta di polizia di Stato, guidata da un apposito prefetto; e infine crea la guardia pretoriana, l'unico esercito presente sul suolo italico, a sua volta comandata da un prefetto (prefetto del pretorio). - L'Imperium proconsolare Al predominio istituzionale su Roma, Ottaviano assomma poi quello su gran parte delle province. Mentre difatti al Senato spetteranno quelle più tranquille e più facilmente governabili, chiamate appunto province senatorie, il suo imperium si estenderà invece sulle zone di più recente acquisizione o comunque più difficili da gestire. In tali zone vengono accampati stabilmente dei presidi militari, costituiti da truppe imperiali il cui compito è la difesa dei territori. Augusto delega il comando militare delle proprie province a uomini che godono della sua fiducia. Tali uomini rientrano essenzialmente in due categorie: da una parte i legati, esponenti dell'aristocrazia senatoria; dall'altra i procuratori, esponenti dell'ordine equestre. Questi ultimi, all'inizio solo una minoranza, aumenteranno molto con gli anni. Ciò perchè, non avendo alle spalle altra autorità che li sostenga (quale ad esempio quella del Senato) oltre a quella del princeps, sono da quest'ultimo ritenuti più affidabili e preferiti perciò ai legati senatori. All'Egitto infine, il paese che Cleopatra ha lasciato in eredità a Roma, verrà riconosciuta una particolare dignità, rientrando nel dominio romano come possesso personale di Augusto, ed essendo governato (seppure con notevoli difficoltà) da un apposito prefetto. Altre innovazioni nell'organizzazione dello Stato dovute a Ottaviano saranno la definitiva trasformazione dell'esercito da mercenario a professionale (cioè stabile), e la nascita del fisco. Questo secondo punto è di particolare rilevanza. Accanto all'erario difatti, che fino ad ora è rimasto l'unica base dell'amministrazione finanziaria della Res-publica, egli crea una nuova cassa, un tesoro statale parallelo. Mentre i proventi dell'erario derivano dalle province senatorie, quelli del fisco provengono da quelle imperiali. E' da notare come questi ultimi vengano gestiti direttamente da Ottaviano, e che come tali essi sono una via di mezzo tra una proprietà privata dell'imperatore e un possesso dello Stato romano. Ciò mostra chiaramente come lo Stato repubblicano sia oramai sorpassato, e come dietro la sua apparenza si celino in realtà gli interessi personalistici del principe, oltre che i suoi poteri clientelari e le sue enormi ricchezze. Prova ulteriore di ciò sarà il fatto che con la morte di Ottaviano - nel passaggio dei poteri politici a un altro individuo - tutto il patrimonio privato dell'Imperatore, che è poi una delle basi del governo, verrà trasferito nelle mani del suo successore, anche se questi non sarà nemmeno un suo parente diretto. La gestione della domus imperiale si confonde dunque con quella della stessa cosa pubblica, fatto molto eloquente sullo stato delle istituzioni romane. Ma l'ascesa politica di Ottaviano - pur impetuosa e inarrestabile - non è del tutto priva di ostacoli. Tra di essi troviamo l'opposizione di molti senatori, rimasti legati ancora a una vecchia visione di Stato, e con i quali spesso egli si dovrà scontrare. Nonostante ciò, il movimento di graduale dissoluzione delle istituzioni repubblicane è inarrestabile, come prova il fatto che lo stesso Senato diviene sempre di più un organo fondamentalmente consultivo, per quanto estremamente prestigioso, mentre i singoli senatori (in special misura quelli di nomina imperiale) tendono a trasformarsi in 'clientes' del principe, essendo da lui favoriti - o meno - nel proprio avanzamento politico. Anche il popolo infine perde i suoi poteri originari, con la trasformazione dei Comizi della plebe in istituti virtualmente insignificanti, divenendo così sempre di più una massa indistinta, definibile come 'plebe urbana', la quale dipende dal principe - cui deve viveri, spettacoli e danaro - in tutto e per tutto. E' chiaramente visibile dunque, come il potere di Ottaviano Augusto si ponga in sostanza al vertice di una vastissima piramide di poteri clientelari e di interessi privati, che su di esso si sostengono al tempo stesso sostenendolo. Le antiche istituzioni urbane, viceversa, affondando il proprio reale ambito di influenza poco oltre la città di Roma (divenuta ormai un piccolo frammento di un territorio molto più vasto) sono poste come tali di fronte a un'alternativa: o rinnovarsi entrando a fare parte di tale piramide di poteri, oppure rassegnarsi a occupare un ruolo di mera rappresentanza politica rimanendo, almeno in una prospettiva imperiale, prive di poteri effettivi. 2. La politica estera e le imprese belliche di Augusto L'idea guida della politica di Augusto è essenzialmente quella di consolidare l'Impero sia rispetto ai suoi nemici interni (in relazione ai focolai di rivolta che covano soprattutto nei territori assoggettati più di recente) sia rispetto a quelli esterni (i popoli barbari, cioè non romanizzati). Una tale politica viene da lui perseguita da una parte attraverso il vastissimo programma di riassetto istituzionale che abbiamo appena visto, dall'altra attraverso azioni militari finalizzate a rafforzare la compagine imperiale. Proprio per tale motivo la sua non sarà più - come lo era stata prima - una politica 'avventurosa', tesa ad estendere ancora di più i territori imperiali. Essendo difatti l'Impero ormai virtualmente completo dal punto di vista territoriale, la missione che esso dovrà assolvere non potrà che essere fondamentalmente di natura civilizzatrice, volta cioè alla 'romanizzazione' dei popoli testé sottomessi. In generale Ottaviano, alla cultura romana di questi anni, appare come l'erede delle aspirazioni universalistiche di Alessandro Magno nonchè del suo tentativo di costruire un Impero mondiale attraverso la pacificazione universale dei popoli sotto un unico dominio. Le campagne militari indette da Augusto, infatti, si muovono nel solco di un tale programma 'universalizzante', oltre che di quello - ben più pratico e concreto - di consolidamento e di difesa territoriale dei territori dell'Impero. Le azioni belliche di Augusto sono divisibili in tre diversi tipi: un primo finalizzato al ristabilimento dell'ordine interno, in special modo laddove siano presenti ormai da tempo semi di rivolta contro l'autorità centrale (è il caso ad esempio della Spagna); un secondo tipo finalizzato invece a rinsaldare la sicurezza dei territori imperiali con azioni di natura militare nei territori di confine, azioni che spesso si concludono inoltre con nuove acquisizioni (come ad esempio la conquista della Rezia e del Norico e, nei territori danubiani, della Pannonia); e infine un terzo tipo, che viene portato avanti più per motivi di prestigio e di propaganda che non di difesa (ne sono un esempio le guerre contro i Parti o contro le tribù germaniche). Queste ultime, conclusesi fondamentalmente con un fallimento (seppure dissimulato dalla propaganda augustea, che domina l'Impero e ne costituisce in più un notevole fattore di unificazione), sono in realtà quelle di minore importanza. Gli altri conflitti si concluderanno invece positivamente e contribuiranno quindi a rafforzare effettivamente la compagine imperiale. Le campagne militari di Augusto sono: - la campagna di Spagna, volta a estirpare i semi di rivolta che vi aleggiano fin dai tempi di Pompeo (Ottaviano combatte qui una guerra lunghissima e logorante, che durerà fino al 19 a.C.); - la campagna nel Nord Europa, combattuta nella zona alpina, per la sicurezza della penisola italiana, conclusa nel 15 d.C. con l'annessione di Rezia e Norico per mano di Druso e Tiberio; - la campagna nell'Oriente danubiano, terminata nel 9 a.C. con l'occupazione della Pannonia; - infine le campagne (decisamente più lunghe e impegnative, e i cui esiti sono essenzialmente negativi) contro Germani e Parti. Le guerre contro le tribù germaniche hanno inizio nel 10 a.C. e vengono combattute a più riprese. Ma i continui insuccessi e i rari e precari episodi positivi convinceranno la classe dirigente di Roma della necessità di frenare la spinta espansiva verso il nord: dal 9 d.C. circa, in concomitanza con una rivolta in Pannonia, diverrà chiaro infatti come tali guerre di logoramento costino troppo all'Impero (le cui risorse non sono per altro illimitate). Da tale data in poi, quindi, le guerre contro i popoli germanici saranno intese più che altro come guerre di contenimento, nonostante la propaganda imperiale si sforzi di farle apparire come atti di conquista. L'altro grande conflitto in atto riguarda poi i territori partici. L'Impero dei Parti è la sola realtà antagonistica che Roma conosca. Anche per questo è costante il motivo della lotta contro di essa. Come noto, Marco Antonio era arrivato nelle sue campagne a formare uno stato cuscinetto, l'Armenia, ma non ad attaccare direttamente la potenza nemica. La soluzione di Ottaviano e dei suoi generali non si distanzierà molto in realtà da quella del loro predecessore. Nonostante i ripetuti tentativi di assoggettare l'Armenia, essi riusciranno al massimo a insediarvi dei sovrani (come Filarete II e IV) di orientamento filoromano, e il cui dominio per altro non avrà mai vita né facile né lunga. Inoltre, nel 4 d. C. l'erede designato di Augusto, il figlio adottivo Gaio, morirà proprio in uno scontro con elementi filopartici. Anche in questo settore dunque, Roma si vedrà costretta a rinunciare alle proprie mire espansionistiche (e ciò, di nuovo, avverrà in modo non conclamato). I veri successi di Ottaviano riguardano dunque, fondamentalmente, le azioni di consolidamento territoriale (talvolta comprendenti anche l'annessione di nuovi territori, come Pannonia e Rezia) di quel vasto Impero da lui ricevuto in eredità dai suoi predecessori, ma non certamente le azioni espansive. 3. La questione della successione imperiale Un problema che percorre tutta la vicenda di Ottaviano, almeno da che egli diviene princeps e Augusto (e che si ripresenterà spesso nella storia a venire), è quello della successione. Non essendo infatti ufficialmente imperatore, egli non ha nemmeno diritto legalmente a designare un successore. Tuttavia, trasferendo i propri poteri nelle mani di qualcuno, può fare in modo che, alla propria morte, questi si trovi virtualmente in una situazione identica alla sua. Si è visto inoltre come, in Roma, la soluzione imperiale sia quella nettamente prevalente, nonostante si tenga a conservare una facciata repubblicana. Non dovrebbe perciò essere difficile per l'Imperatore predisporre la propria successione. Il vero ostacolo a tale impresa sarà costituito tuttavia dalle molte guerre, che causeranno la morte di tutti gli eredi putativi di Ottaviano, a partire da Gaio per arrivare a Lucio e ad Agrippa (quest'ultimo da sempre uno degli uomini di spicco del suo regime). La loro morte, assieme agli scandali che coinvolgeranno la figlia Giulia (e successivamente anche la nipote Giulia Minore) allontaneranno e renderanno sempre meno praticabile la soluzione familiare e dinastica, che egli ha progettato. Sarà infatti Tiberio alla fine - uno dei suoi più validi generali - a ricevere dallo stesso Augusto (anche se per motivi di mera necessità politica, non per scelta) i poteri imperiali, nel 13 d.C. In tal modo l'Impero passerà nelle mani di un'altra famiglia di nobili romani: la dinastia Claudia. L'instaurazione nel 14 (alla morte di Ottaviano) di un nuovo sovrano, sarà segnata subito dall'eliminazione dei molti rivali nella successione al trono; e prima di tutto a morire sarà Agrippa Postumo, il figlio (a sua volta candidato alla successione) del primo Agrippa. L'Imperatore e la sua corte sono realtà troppo ambite perché vi si rinunci facilmente. Inizia difatti una lotta spietata per la conquista delle cariche più prestigiose dell'Impero, lotta che è già di per sé il segno di quella nuova temperie - assolutistica, appunto - che cova sotto l'immagine illusoria dell'antica Repubblica. CONCLUSIONI Merito e abilità fondamentale di Ottaviano, subito dopo la proclamazione a Imperatore e Augusto, è l'aver avuto la capacità di comprendere lucidamente da una parte le reali esigenze (tanto quelle organizzative e istituzionali quanto quelle militari) della compagine romana, dall'altra quella di essere stato capace di rispettare le apparenze repubblicane, conservando così l'approvazione dei ceti più tradizionalisti e del Senato. In una tale ottica si giustificano la scelta di non estendere ulteriormente (e significativamente) i confini imperiali, come quella di cercare di creare un nuovo apparato istituzionale (pur il più possibile 'mascherato' sotto le vesti dell'antico ordine) che abbia un raggio d'azione molto più vasto di quello repubblicano e sanzioni a livello politico e burocratico l'esistenza consolidata dei poteri clientelari del princeps. Il consolato di Augusto, inoltre, prefigura chiaramente molti dei futuri problemi dell'Impero: primo tra tutti quello della successione e della corsa sfrenata al potere da parte dei generali e dei potentiores dell'Impero; ma anche i problemi di carattere finanziario e quelli inerenti la gestione degli apparati imperiali. LA LOTTA TRA OTTAVIANO ED ANTONIO GLI ULTIMI ANNI DELLA RES-PUBLICA ROMANA Premessa Come abbiamo già osservato, il potere nelle mani dei congiurati che hanno ucciso Cesare è in realtà inesistente: essi difatti non hanno agito alla luce di un programma organico di riforma politico-istituzionale, ma soltanto per un aleatorio desiderio di ritorno al passato. Non hanno compreso insomma come la soluzione imperiale non sia solo frutto dell'ambizione personale di alcuni individui isolati, bensì oramai una necessità imprescindibile per la perpetuazione stessa della potenza romana. Anche il Senato - in nome del quale essi hanno agito - ha infatti preso definitivamente atto degli avvenuti cambiamenti strutturali, e per tale ragione non riconosce alcuna legittimità alla loro azione. Piuttosto la morte violenta di Cesare pone in anticipo un problema che si sarebbe comunque dovuto affrontare negli anni successivi: ovvero quello della sua successione. Da tale questione scaturirà l'ultima guerra civile, che vedrà come contendenti gli eserciti di Ottaviano e quelli di Marco Antonio. Ma chi sono questi due personaggi? Il primo è un giovane ma già affermato politico d'orientamento cesariano, il principale candidato - almeno fino all'entrata in scena del suo rivale Gneo Ottavio - alla successione dell'anziano generale. Gneo Ottavio invece (il futuro Ottaviano), ancora più giovane del primo, è colui a cui Cesare ha affidato, con l'adozione, l'eredità dei suoi titoli e del suo ruolo istituzionale. Mentre Ottaviano fonderà il proprio potere sui domini occidentali dell'Impero, Marco Antonio porrà invece le basi del suo nelle regioni orientali. Tra le altre cose questa guerra, che verrà vinta - come tutti sanno - dall'Occidente di Ottaviano (colui al quale il Senato conferirà la carica di 'Augusto', carica con la quale d'ora in avanti saranno designati tutti gli imperatori), mostra chiaramente quale e quanta sia l'irrequietezza dei domini orientali (sia ellenici che asiatici) nei confronti della sovranità dei popoli europei occidentali. Gli Stati di tali zone infatti, già formati - a differenza delle regioni galliche o ispaniche - sotto tutti i profili anche prima dell'arrivo dei romani, in quanto portatori di tradizioni plurimillenarie [si ricordi a tale proposito come i primi imperi e le prime organizzazioni politiche nascano proprio in Oriente], mal sopportano la dominazione di una potenza estranea che impone concezioni e metodi di governo estremamente distanti dalle loro. A - L'ascesa di Marco Antonio e di Ottaviano Alla morte di Cesare (44), un politico d'orientamento cesariano di nome Marco Antonio, che in quell'anno riveste la carica consolare, cerca - non senza successo - di prendere in mano la situazione di disordine venutasi improvvisamente a creare, colmando il vuoto di potere lasciato dall'anziano generale. Impugnando il testamento dello stesso Cesare, che egli ha ottenuto dalla moglie di quest'ultimo, Calpurnia, propone ai congiurati (i quali si trovano isolati, privi anche dell'approvazione del Senato) un compromesso estremamente accettabile: la ratifica delle volontà dell'imperatore e la riabilitazione pubblica della sua figura. Perché accettabile? Perché, essendo i congiurati tutti molto vicini alla propria vittima, le volontà di quest'ultima sono - paradossalmente - ad essi largamente favorevoli. Sulla base di tale documento si assegnano a Bruto la Macedonia e la Gallia (cisalpina e transalpina), e a Cassio (l'altro grande congiurato) la Siria. Contemporaneamente Marco Antonio, approfittando della situazione di disorientamento politico, lavora per formare quella vasta rete di clientele politiche che lo porteranno alla ribalta della vita politica romana. Ma il testamento di Cesare chiama in causa anche un personaggio del tutto nuovo: suo nipote Gneo Ottavio (il futuro Ottaviano) allora diciottenne, il quale vi è designato come figlio adottivo, quindi come erede e successore. Il giovane Ottavio, che si trova in Oriente per ragioni di studio, tornando a Roma e prendendo il nome di "Gaio Giulio Cesare Ottaviano", dimostra di accettare l'incarico politico che il testamento gli assegna. Dei due protagonisti della politica dei prossimi anni, la cui rivalità determinerà - attraverso la guerra - la nascita dell'Impero vero e proprio, solo uno è quindi fin dall'inizio un personaggio di pubblico dominio. Entrambi 'cesariani' poi, se l'uno ha il vantaggio di essere un politico già affermato, l'altro ha invece il privilegio di essere l'erede designato di Cesare. Anche questo secondo scontro per il potere si svolgerà inoltre sullo sfondo della debolezza del Senato, il quale - impotente ad arginare l'ascesa dei due rivali - finirà per porsi sotto l'ala protettrice dell'uno, Ottaviano, contro l'altro. Con grande acutezza politica, Ottaviano ha infatti pensato da subito a formarsi una vasta e sicura base di consenso politico, presentandosi ai senatori come il paladino delle istituzioni e delle tradizioni romane (conquistando in questo modo per esempio, la fiducia di Cicerone), e al popolo invece come l'erede politico di suo zio, figura da questo venerata al pari di una divinità. Ma l'appoggio dei ceti popolari e senatori non basta più a governare l'impero: il vero mezzo di dominio è difatti costituito oramai dall'esercito. Ottaviano, che lo sa, se ne crea velocemente uno reclutandone i soldati tra i veterani di Cesare, estremamente preoccupati all'idea di non ricevere dallo Stato le terre che spettano loro per diritto. Ma anche Antonio sta lavorando per estendere la propria sfera d'influenza politica. Nel 43 egli tenta infatti di impadronirsi della Gallia cisalpina, regione che egli stesso ha precedentemente assegnato a Bruto. Riuscito nell'impresa, egli verrà tuttavia a propria volta sconfitto presso Modena da Ottaviano, agente peraltro su incarico del Senato. I due schieramenti si sono quindi ormai definitivamente costituiti: da una parte vi è Cesare Ottaviano, che con l'appoggio e il consenso della nobiltà comanda a Occidente; dall'altra vi è invece Marco Antonio, i cui domini e le cui aree di influenza finiscono inevitabilmente per situarsi a Oriente. La guerra civile potrebbe forse esplodere già in questi anni, se nell'immediato non ci fossero dei problemi estremamente urgenti, che si possono affrontare e risolvere solamente attraverso una 'collaborazione tra nemici'. B - Il periodo del secondo Triumvirato Alla base del secondo Triumvirato - un accordo analogo a quello stipulato nel 59 da Cesare Crasso e Pompeo, anche se contrariamente al primo riconosciuto anche ufficialmente come dittatura collegiale - vi sono due differenti ordini di problemi: - da una parte vi è il fatto che gli eserciti di Ottaviano, Lepido e Antonio, i tre nuovi Triumviri, stentino a combattersi tra loro (cosa che, pur potendo apparire paradossale, è dovuta a ragioni affettive: tutti e tre infatti sono eserciti cesariani, e come tali si sentono affratellati); - e dall'altra vi sono delle difficoltà di natura organizzativa, ovvero la necessità di combattere contro nemici comuni la cui presenza ostacola il predominio politico dei triumviri. Nel 43, l'anno in cui Marco Antonio, Ottaviano e Lepido (quest'ultimo personaggio di secondo piano, in una posizione simile a quella sostenuta da Crasso nel precedente Triumvirato) stringono il loro accordo, sono questi i motivi essenziali di preoccupazione: - la presenza di Bruto e Cassio, con i rispettivi eserciti, nei Balcani; - il fenomeno della pirateria mediterranea, guidata da Sesto Pompeo, figlio di Pompeo Magno; - infine, la presenza in Roma di figure politicamente ostili, che costituiscono un elemento di disturbo per l'ascesa politica dei triumviri. Quest'ultimo problema viene affrontato e risolto varando delle liste di proscrizione - simili peraltro a quelle formulate da Silla nel periodo della propria dittatura - che mieteranno moltissime vittime. (Tra le quali compare lo stesso Cicerone, nemico personale di Marco Antonio, in quanto strenuo difensore delle prerogative senatorie). Quanto a Cassio e a Bruto, essi verranno eliminati dall'esercito di Marco Antonio nel 42, nelle due celebri battaglie presso Filippi: una guerra, quella contro i congiurati, al termine della quale i Triumviri procederanno alla spartizione dei territori dell'Impero: a Marco Antonio andranno le zone asiatiche; a Ottaviano quelle occidentali (l'Italia e la Spagna); a Lepido infine quelle africane. Ma sarà la lotta contro Sesto Pompeo a costituire l'ostacolo più grande, richiedendo per essere portata a termine molto tempo e molti tentativi. E sarà proprio il persistere di un tale problema a determinare il rinnovo dell'accordo tra Antonio e Ottaviano, nel 37, sotto l'egida di Ottavia (sorella del secondo e moglie del primo). Sesto Pompeo uscirà infine sconfitto nella battaglia di Nauloco (in Sicilia) nel 36, ad opera delle truppe guidate da Ottaviano e da Agrippa. Dopo la sconfitta dei nemici comuni, si vanno dunque formando sempre più chiaramente due blocchi contrapposti, che presto o tardi finiranno per conflagrare: quello europeo e occidentale di Ottaviano, e quello orientale e asiatico di Marco Antonio. C - La guerra tra Oriente e Occidente Per comprendere meglio le fasi della vicenda storica descritta qui di seguito, è parso opportuno dividere quest'ultima in quattro differenti sottoparagrafi: uno riguardante le fasi precedenti il conflitto; un altro sul fenomeno della propaganda politica e culturale, largamente diffusa a Roma e nelle regioni occidentali, in favore di Ottaviano; uno sulla guerra vera e propria tra Ottaviano e Antonio; ed un ultimo infine sulla figura politica e umana di Cleopatra, regina d'Egitto. a) I problemi interni ai due blocchi Sia Ottaviano che Marco Antonio debbono affrontare proprio in questi anni - oltre a guerre e difficoltà comuni - anche problemi legati più specificamente ai propri domini e alle proprie aree di influenza. Se nella zone orientali è sempre vivo il problema dei Parti (il popolo contro il quale Cesare si accingeva a combattere, e contro cui sarebbe dovuto partire da Roma il giorno stesso del suo assassinio); in quelle occidentali Ottaviano si scontra invece col problema costituito dall'assegnazione delle terre ai veterani del suo esercito, un provvedimento che suscita l'opposizione di alcuni influenti personaggi politici romani. Il problema dei Parti, già costato precedentemente la vita a Licino Crasso nella battaglia di Carre del 53, occuperà Marco Antonio tra il 39 e il 38. L'azione militare di quest'ultimo si concluderà con l'annessione dell'Armenia, una regione-cuscinetto tra le aree ellenistiche e romane e quelle partiche. Poco dopo aver rinnovato il trattato triumvirale, nel 37, questi inizia inoltre un avvicinamento politico a Cleopatra, la regina d'Egitto, con la quale organizza una confederazione di stati asiatici, alla cui testa si pone appunto l'Egitto, che ha come scopo quello di rivendicare maggiori diritti all'interno della compagine imperiale romana per le zone orientali. Una delle ragioni - come si è già accennato e come si vedrà meglio avanti - di tale ribellione, è l'insofferenza degli stati asiatici nei confronti del giogo romano: tali stati difatti non possono facilmente essere assimilati, quanto a prassi di governo, a quelli occidentali (sia romani, sia più in generale europei), dal momento che troppo forte è la differenza tra le due aree politiche sul piano delle tradizioni, della mentalità e delle strutture istituzionali. All'incirca negli stessi anni poi, Ottaviano si trova in notevoli difficoltà nelle zone occidentali, a causa di un provvedimento da lui preso per l'assegnazione delle terre ai veterani del suo esercito. Come si è visto, una delle carte maggiormente sfruttate da parte sua al fine di reclutare i componenti delle proprie milizie, era stata la promessa delle terre a quei veterani cesariani che - temendo di essere privati, alla fine della carriera militare, dell'attribuzione dovuta dei propri lotti di terra - erano entrati a fare parte del suo esercito personale. Per tale ragione, egli non può ora certo tirarsi indietro. Tuttavia il suo provvedimento (al pari di tutte le distribuzioni di beni a categorie privilegiate) muove a Roma le ire e le proteste di molti, i quali lo accusano di parzialità e favoritismi. Tali critiche vengono poi strumentalizzate dagli esponenti del partito di Marco Antonio, guidato in Roma dal fratello di quest'ultimo, Lucio Antonio, e da sua moglie Fulvia. Dopo un periodo di guerra, i due verranno tuttavia assediati e sconfitti nella battaglia di Perugia, nel 40. b) Il 'mecenatismo' di Ottaviano Un altro fenomeno interessante di questi anni è la propaganda promossa da Ottaviano e dagli ambienti politici e culturali a lui vicini, in favore del predominio sull'Impero delle zone occidentali. A capo di essa si pone un certo Mecenate, il quale - riunita attorno a sé una vasta schiera di intellettuali e poeti, tra i quali compaiono anche Virgilio e Orazio - crea una solida base di consenso politico e ideologico alla lotta, sostenuta da Ottaviano e dal Senato, per la conquista del potere contro i propri rivali orientali. Motivi principali di una tale campagna etnico-culturale saranno tra l'altro: il ritorno alle tradizioni (agricole) degli avi, il rifiuto della cultura orientale (con i suoi inganni e le sue esotiche seduzioni, impersonate in questi anni da Cleopatra, ammaliatrice di Marco Antonio) e il rispetto e la venerazione per i valori e per le antiche tradizioni repubblicane di Roma. Proprio quest'ultimo punto inoltre, ci fa capire qualcosa: Ottaviano (che pure sarà innegabilmente il primo imperatore a tutti gli effetti della storia romana) non si pone come uno scardinatore delle antiche istituzioni romane e repubblicane, bensì al contrario come il difensore e il prosecutore di queste ultime - seppure in una nuova forma e in una mutata dimensione politica. E' in una tale ottica che si giustifica appunto la sua alleanza con il Senato, alleanza che è poi uno dei punti cardinali del suo stesso programma politico. c) Lo scontro decisivo Il vero e proprio scontro bellico tra le due parti dell'Impero avviene a causa delle richieste politiche fatte dalle regioni orientali a quelle occidentali. Tali richieste infatti, rivendicanti una maggiore autonomia e un maggior peso politico per l'Oriente, si scontrano con i presupposti stessi della dominazione imperialistica di Roma. Si noti che Roma, attraverso il proprio predominio militare, ha posto le basi di uno sfruttamento anche economico di queste regioni, già estremamente depauperate - anche prima di venire sottomesse - da continue guerre intestine e fratricide. Tuttavia una tale situazione di subalternità - risvegliandone l'orgoglio - induce queste ultime a cercare un riscatto da tale degrado. Proprio per questo, sotto la guida di Antonio e di Cleopatra si forma una Confederazione di stati orientali (i quali peraltro accettano pur sempre il legame con l'autorità centrale di Roma), i quali cercano di affermare la propria indipendenza, se non addirittura il proprio predominio, nei confronti delle zone occidentali. Sarà il tardo Impero - con la propria divisione in due zone indipendenti: una occidentale e l'altra orientale - a vedere effettivamente il trionfo di questa visione politica: una visione che tuttavia, per il momento, costituisce ancora una strada impraticabile. Troppo schiaccianti sono infatti la potenza e la superiorità dell'Occidente e delle sue regioni (più giovani, meglio organizzate e più ricche) rispetto a quelle orientali! La guerra tra i due eserciti non viene, difatti, praticamente nemmeno combattuta. Il conflitto si divide essenzialmente in due battaglie: la prima combattuta ad Azio sul mare nel 31, e segnata da una facile vittoria di Ottaviano; l'altra invece, decisiva, combattuta sulla terra ferma presso Alessandria nel 30, e vinta di nuovo da Ottaviano. Al termine della seconda battaglia Antonio, ormai privo di vie di salvezza, si toglierà la vita, seguito subito dopo da Cleopatra. In tal modo anche l'Egitto, unica regione asiatica rimasta fino ad allora formalmente indipendente - sebbene già orbitante attorno a Roma - diverrà ufficialmente una provincia romana, mentre, con tale acquisizione, l'Impero giungerà a ricomprendere al suo interno tutte le regioni civilizzate allora conosciute: sia in Europa, sia in Africa, sia in Asia (con l'eccezione delle lontane regioni dell'Impero dei Parti). d) Cleopatra: i problemi sollevati dalla sua vita e dalla sua morte Quella di Cleopatra è una figura storica quasi leggendaria, non solo perché dell'Egitto di questi anni ci rimangono pochissime notizie, ma anche per la difficoltà da sempre incontrata dagli storici nell'interpretarne la vita e le azioni. Se da un lato se ne può dare una interpretazione 'romantica' o sentimentale, che ruota attorno ai suoi amori e alla sua tragica fine, dall'altro si può però anche tentare di dare una spiegazione più realistica e meno poetica dei fatti. Il suo corteggiare i grandi condottieri romani potrebbe essere infatti interpretato come espressione di un'ansia legata, più che a un desiderio di potere personale, alla volontà di restituire prestigio e lustro alla sua nazione, l'Egitto (e in generale all'Oriente), con le sue millenarie tradizioni e con i suoi splendori. Anche se - per le ragioni di cui si è appena parlato - un tale tentativo fallisce miseramente (non producendo anzi come risultato che di accelerare il processo di sottomissione e di acquisizione, da parte di Roma, delle regioni orientali rimaste fino ad allora indipendenti) resta il fatto che la missione che la regina si è quasi sicuramente posta, consiste nel riguadagnare alla propria nazione il posto di preminenza che - a suo modo di vedere - le spetta per l'antichità e la nobiltà della sua storia e delle sue tradizioni. Persino la sua morte apre poi degli scottanti interrogativi: il suo stesso suicidio infatti è passibile di una precisa spiegazione politica e strategica. Qualora difatti ella si fosse arresa di fronte al nemico, avrebbe (secondo la tradizione egizia) reso lecito a questi dichiararsi l'erede a tutti gli effetti della sua regalità. Ma nel momento stesso invece in cui ella si toglie la vita sfuggendo alla cattura, preclude a Ottaviano ogni possibilità di decretare una propria successione dinastica. E in un paese come l'Egitto (la cui amministrazione è profondamente legata a presupposti dinastici di natura religiosa, avendo una tale monarchia un carattere divino) una dominazione iniziata sotto tali auspici di illegittimità non pone di certo le basi per un fruttuoso rapporto tra dominatori e dominati! 3.1. La nuova Roma di Augusto (guarda lo schema dei poteri di Augusto) Dopo la battaglia di Azio, Ottaviano può già considerarsi l'uomo più potente di tutto l'Impero: egli sa infatti di essere prossimo a ereditare tutti i domini e gli strumenti di potere (tra i quali vi sono, in primo luogo, gli eserciti) del proprio avversario, l'unico che possa competere con lui per ricchezza e per influenza politica. Anche Ottaviano - come già Cesare prima di lui - si trova quindi nella spiacevole situazione di dover giustificare i propri poteri reali agli occhi del Senato e nell'ottica delle tradizioni repubblicane. Enorme è difatti il divario tra i poteri che egli effettivamente assomma nella propria persona, e le cariche di cui attualmente è portatore: allo scadere del mandato triumvirale, egli ha infatti perduto anche quest'ultima prestigiosa carica costituzionale. Tuttavia, ciò non costituirà per lui un grave problema. Il Senato infatti, ormai in una posizione di volontaria sottomissione, gli faciliterà di molto il compito, conferendogli - tra le altre cose - anche il titolo di 'Augusto'. La prima azione politica di Ottaviano dopo il 30 sarà la distribuzione delle terre ai veterani del proprio esercito, compiuta tuttavia a spese dell'Egitto (regione ricchissima d'oro, e appena sottomessa) anzichè dei nobili romani, coi quali ha stretto una duratura alleanza, sia politica sia ideologica. Il passaggio all'Impero verrà poi portato avanti nel modo più 'indolore' possibile: ovvero attraverso il rispetto formale delle istituzioni repubblicane (soltanto con il tempo gli Imperatori si libereranno difatti dall'opprimente vincolo delle tradizioni patrie). Ufficialmente, a partire dal 23, Augusto riveste solo due cariche - cui se ne aggiungeranno successivamente altre -, ossia il comando proconsolare sulle province romane (e sui loro eserciti), e la potestà tribunizia sulla città di Roma (una carica che in passato era stata assegnata anche a Cesare, e che dà a chi la detiene la possibilità di convocare le Assemblee, proporre le leggi e esercitare il diritto di veto: in pratica il controllo stesso della vita politica della città). Inoltre, se in Occidente Ottaviano Augusto cercherà di evitare la diffusione del culto della propria persona (preferendogli quello dello Stato: si pensi all'Eneide di Virgilio, che celebra l'eterna gloria di Roma); nelle regioni orientali invece - nelle quali esso entra decisamente più in sintonia con la tradizione dell'assolutismo politico - egli farà in modo che un tale culto si diffonda e venga ampiamente praticato Ma per quale ragione è tanto sentita (e praticata) l'esigenza di un potere supremo, ovvero di un potere imperiale? Il motivo principale (oltre al fatto che Ottaviano possieda le leve ormai fondamentali del comando: vale a dire gli eserciti, l'approvazione e il sostegno politico dei ceti finanziari e mercantili - in realtà poco legati, nonostante le apparenze, alle tradizioni repubblicane - e quello delle masse popolari) sta nella vastità stessa dell'Impero. Tale caratteristica infatti - per la quale esso assomma al proprio interno una miriade di differenti culture, tradizioni politiche e religiose, disposizioni, eserciti e in generale interessi particolaristici (si pensi, soltanto nella città di Roma, al dissidio politico tra i cavalieri e la nobiltà fondiaria) - rende estremamente viva l'esigenza di un'autorità che si collochi 'super partes', e che sia quindi capace di operare una mediazione tra i diversi punti di vista, spesso davvero inconciliabili tra loro. In questo senso si crea, a partire da questi anni, una latente separazione tra la sfera più genericamente economica e quella più propriamente politica. Lo Stato infatti (e in primis l'Imperatore, ovvero il suo vertice) si pone su un piano differente rispetto alle parti sociali che lo compongono, un piano che solo gli permette di trovare l'equilibrio necessario a porre in atto tale opera di mediazione. Da questo punto di vista, l'Impero romano si avvicina dunque, facendola propria, alla tradizione politica degli assolutismi orientali. Come in Oriente - ad esempio in Egitto - vi è un Faraone (o chi per esso) che attraverso il proprio potere assoluto tiene a freno i vari particolarismi locali, nell'Impero romano vi è invece un Augusto capace di arbitrare, almeno in un certo grado, i conflitti ideologici e d'interesse che si instaurano tra le differenti classi sociali e le diverse aree geografiche e culturali. Non bisogna però ignorare neanche come, tra queste due diverse aree geo-politiche, sussistano delle differenze molto profonde: mentre infatti in Oriente un tale tipo di governo è dovuto alla notevole arretratezza di sviluppo delle forze produttive (arretratezza che ha impedito la formazione delle classi sociali, ovvero il superamento di uno Stato basato ancora sulle caste); in Occidente, al contrario, una tale soluzione -quella imperiale - è il risultato della tensione esasperata tra tali classi, e della conseguente esigenza di porre in atto a livello politico una conciliazione o una pacificazione tra esse. Alla morte di Ottaviano Augusto (nel 14 d.C.) non vi sarà bisogno di lotte o di rivoluzioni interne perché i poteri di quest'ultimo (in pratica la carica imperiale) vengano trasferiti ad un successore, nella persona di Tiberio. Ciò è segno del fatto che - nonostante il rispetto pubblicamente ostentato per l'antica Res-publica - quest'ultima è oramai definitivamente morta: e prima che nelle istituzioni, essa è morta nella mente stessa dei romani! CONCLUSIONI (77-30 a.C.) Se nel periodo di Mario e di Silla abbiamo assistito al diffondersi e all'affermarsi dei poteri personalistici e militari contro la supremazia di quelli (più antichi, ma ormai obsoleti) cittadini e repubblicani, in questo secondo periodo assistiamo invece alla definitiva affermazione dei primi sui secondi, secondo una parabola storica che culminerà - dopo la vittoria di Ottaviano su Marco Antonio, nel 30 - con il trionfo pressoché esplicito della soluzione monarchica su quella repubblicana. (E ciò nonostante una tale trasformazione avvenga ufficialmente con il 'beneplacito' del Senato, e nell'ottica di un prolungamento delle antiche tradizioni e istituzioni repubblicane occidentali!) Si è visto poi come la ragione di questa rivoluzione si trovi essenzialmente nell'incapacità di fatto dei vecchi istituti cittadini e nobiliari a governare la nuova realtà - sia territoriale sia sociale - dell'Impero. Per tale motivo, dovranno piegarsi alla necessità di un tale cambiamento anche quelle realtà che avevano precedentemente tentato di ostacolarne la realizzazione, ossia la nobiltà terriera romano-italica e la sua istituzione guida, il Senato - realtà che vedranno inoltre, nei prossimi decenni, un potente ridimensionamento dei loro antichi privilegi politici e amministrativi. Assistiamo infine, al termine questi anni, alle prime frizioni tra le regioni dominatrici d'Occidente e quelle dominate d'Oriente (portatrici di più antiche tradizioni, e come tali estremamente riottose a piegarsi al giogo di una potenza estranea). A capo di una tale volontà di riscatto si porranno l'Egitto di Cleopatra e la figura 'internazionale' di Marco Antonio, la sconfitta dei quali tuttavia non porrà certo fine alle spinte indipendentiste delle regioni asiatiche! LA CONGIURA DEL 22 a.C. A sorpresa, il 26 giugno del 23 a.C. Ottaviano depose la sua alta carica di console per tornare a vita privata, dopo otto anni di carriera prestigiosa in cui aveva distrutto l'astro nascente, Antonio, e si era impadronito dei poteri civili e militari diventando il principe. Al fine di dimostrare le sue buone intenzioni nei confronti del senato e della repubblica, scelse addirittura un sostituito ad hoc: Lucio Sestio, un entusiasta seguace del cesaricida Bruto. In realtà tutto questo era solo una messinscena ben studiata, il cui scopo era quello non di diminuire ma piuttosto di aumentare i propri poteri. E infatti per la seconda volta, dopo il 27 a.C., il senato gli conferì poteri tali da poter governare come un vero e proprio monarca: anzitutto, pur non essendo un tribuno della plebe (carica che un patrizio non poteva detenere) ne aveva ugualmente i medesimi poteri; in secondo luogo il senato gli consentiva di portare dinanzi alla curia qualsiasi mozione; in terzo luogo l'imperio pro-consolare, che aveva detenuto per dieci anni, fu trasformato in maius e a tempo indeterminato (il che in sostanza voleva dire che il principe poteva governare anche sulle province affidate ad altri proconsoli e poteva disporre di tutte le legioni dell'impero). Ma come poteva Ottaviano essere sicuro di questo incredibile successo? Il motivo è relativamente semplice: nel 28 a.C. egli aveva provveduto a epurare il senato di tutti gli elementi che avrebbero potuto ostacolarlo, sfruttando il pretesto del sovrannumero e soprattutto della immoralità di diversi senatori. Lo appoggiarono nettamente tutti i seguaci di Antonio, di Bruto e di Cassio volutamente risparmiati da lui; la consistente maggioranza dei cesariani; la classe dei cavalieri; i figli dei liberti, che già sotto Cesare avevano avuto la possibilità di migliorare il loro status sociale. Ottaviano aveva designato come suo successore il nipote e figlio adottivo Claudio Marcello, figlio di Ottavia, sorella dello stesso Ottaviano. Nel 24 a.C. lo aveva già nominato pontefice e gli aveva dato il diritto di sedere in senato tra i pretori, dopodiché sarebbe dovuto diventare edile e console dieci anni prima dell'età richiesta. Tale cumulo di onori era in contrasto con l'iter regolare di un cittadino non raccomandato, che poteva diventare questore a 25 anni, pretore a 30 e console a 35. Un nepotismo così smaccato sacrificava le libere elezioni dei magistrati che avvenivano nelle assemblee popolari. E' probabile che proprio a queste ragioni si colleghi l'improvvisa morte di Marcello alla fine del 23 a.C. Non a caso i nemici di Augusto pensarono che quello fosse il momento opportuno per eliminare anche lui e restaurare realmente la repubblica. La congiura del 22 a.C. però fu sventata da un delatore di nome Castricio, liberto di Augusto, che fece i nomi di Fannio Cepione e Lucio Terenzio Varrone Licinio Murena, entrambi con un albero genealogico di tutto rispetto. Essi erano i rappresentanti dell'aristocrazia, cioè di quella classe che Augusto stava sempre più allontanando dall'amministrazione statale. Il ruolo della nobiltà era irreversibilmente in declino perché non esistevano più continue guerre in cui si potevano accumulare grandi fortune in terre e schiavi. Diminuivano le occasioni di assumere comandi militari importanti, giacché questi venivano assegnati generalmente a parenti di Augusto o a persone di particolare fiducia. Gli uomini nuovi erano da tempo diventati i "cavalieri", cioè la classe imprenditoriale, commerciale, la borghesia di allora, nonché i liberti dotati di capacità intellettuali, organizzative, manageriali... Condannati in contumacia da un regolare processo alla pena capitale, Cepione e Murena furono trovati e giustiziati sul posto. Infatti dovere del magistrato e anche di un cittadino privato era quello di eseguire ovunque si trovasse la sentenza emessa, a eccezione dei casi in cui i condannati risiedessero già in un altro Stato e avessero preso un'altra cittadinanza: in questo caso il loro status era quello di esiliati e non potevano far ritorno in patria. L'accoglienza nelle città scelte per l'esilio (anticamente erano alcune città del Lazio) dava all'esule il diritto di prenderne la cittadinanza, rinunciando però a quella romana. Poiché in seguito alla guerra sociale del 90 a.C. la cittadinanza era stata estesa a tutte le città italiche e tutta l'Italia era diventata ager romanus, i condannati a morte non avevano altra possibilità che andare in Gallia, in Grecia o in Asia. Astutamente Ottaviano fece in modo di affrettare il più possibile il processo, in modo di assicurarsi che l'eliminazione dei congiurati avvenisse sul territorio italico. DINASTIA GIULIO CLAUDIA DA TIBERIO A NERONE - La difficile mediazione Già Augusto, il primo imperatore, aveva compreso come compito del princeps non fosse quello di sopraffare - attraverso i propri poteri straordinari - le forze politiche e gli interessi particolaristici interni all'impero, bensì al contrario di porre in atto un'opera di mediazione tra tali forze e tali interessi, al fine di rafforzare la coesione politica della compagine imperiale. La vicenda dei quattro imperatori successivi - appartenenti tutti alla dinastia Giulio Claudia - non farà che ribadire un tale principio. Sarà proprio a causa della mancata mediazione tra tali forze infatti, che i due più giovani imperatori, Caligola e Nerone, falliranno nella propria missione politica. E sarà sempre sul piano della mediazione che - al contrario - sia Tiberio che Claudio consolideranno il proprio principato, grazie alla capacità di tenere insieme e conciliare i differenti aspetti della vita politica e economica dell'Impero. Così, se le vicende di Nerone e Caligola (a tutti in qualche modo note, perché divenute - grazie alla tradizione storicistica senatoria - parte dell'immaginario collettivo) si concluderanno tragicamente con la morte dei protagonisti, il bilancio dei principati di Claudio e Tiberio sarà invece decisamente più positivo. Entrambi riusciranno infatti a conservare un certo equilibrio e una discreta stabilità politica all'interno della costruzione imperiale, e con essa anche l'appoggio dei ceti più influenti (ricorsi in altre situazioni all'arma della congiura anti-imperiale). Vediamo adesso quali sono le forze principali all'interno della società romana, con le quali la stessa autorità del princeps deve fare i conti, cercando di agire nei loro confronti da mediatore, escogitando spesso (per così dire) delle soluzioni che evitino l'insorgere di divergenze sia tra di esse che nei confronti dello Stato, o più semplicemente il prodursi di ragioni eccessive di scontento: a) in primo luogo vi sono le classi nobiliari, ovvero quell'aristocrazia agraria la cui ricchezza (di carattere fondiario) è alla base della ricchezza stessa dell'Impero. [Le stesse relazioni commerciali difatti, non potrebbero realmente sussistere se non vi fosse a monte una realtà produttiva che procura loro quelle merci che, attraverso le attività mercantili, vengono poi distribuite tra i territori della compagine imperiale, sia a ovest sia a est. Un tale soggetto produttore si identifica appunto in massima parte con i latifondi, realtà largamente fornite sia di schiavi sia dei mezzi necessari per la produzione e per la lavorazione dei prodotti su larga scala. Se a ciò si aggiunge il prestigio universale di cui la classe nobiliare e terriera gode all'interno della società romana, per il fatto di situarsi all'origine di tutti i suoi successivi sviluppi (e ciò soprattutto per le zone occidentali, essendo quelle orientali portatrici di una storia e di tradizioni fondamentalmente differenti e autonome rispetto alle prime) si capirà facilmente quanta considerazione tale classe possa reclamare anche dall'autorità del principe.] b) in secondo luogo troviamo il Senato, quell'istituzione cioè che - per consolidata tradizione - costituisce l'ossatura stessa dello Stato romano, oltre che l'elemento fondamentale alla base della sua stabilità e della sua continuità politica, e che inoltre è - come universalmente noto - il principale organo che rappresenta gli interessi e le idee della nobiltà fondiaria (in un primo tempo solo di quella romana, in seguito anche di quella italica e, infine, in generale di tutto l'impero). [Le manifestazioni di riguardo verso una tale istituzione avranno quindi molte e profonde implicazioni: attraverso esse infatti l'Imperatore dimostrerà anche di portare un profondo rispetto per le tradizioni patrie (e con esse, per la stessa potenza di Roma), verso la cultura dell'Occidente latino (in opposizione a quella orientale, che inizia oramai a diffondersi nelle stesse regioni occidentali), ed infine verso l'autorità - il cui fondamento non è solo di carattere politico e economico, ma anche ideologico - della classe nobiliare e fondiaria occidentale: una classe cioè che si sente ed è molto più antica dell'Imperatore, e che - per tale ragione - rivendica per sé una fetta di potere notevole, limitando così lo stesso predominio politico del primo.] c) in terzo luogo vi sono le province occidentali, essenzialmente Gallia e Spagna, divenute oramai potenze indipendenti e concorrenti rispetto all'Italia. [Quelle che infatti, ancora al tempo di Giulio Cesare, erano solo delle regioni semi-civilizzate, sono ormai divenute degli organismi politici e economici estremamente sviluppati, dotati di una propria amministrazione, di un proprio esercito e spesso anche di una propria identità culturale e politica. Come tali esse non possono più venire ignorate nelle loro peculiari esigenze, se non a prezzo di notevoli rischi (come vedremo meglio quando parleremo di Nerone).] d) infine, un ultimo elemento con cui l'Imperatore deve confrontarsi sono le regioni orientali dell'Impero. [Queste ultime, pur godendo di una forte autonomia rispetto alle zone occidentali, in ragione sia della propria autonoma tradizione storica che del successivo inserimento nell'Impero [si badi inoltre che una vera e propria integrazione tra le due parti non vi sarà mai!], possono mostrarsi più o meno docili di fronte al giogo della dominazione romana, a seconda di quanto le loro prerogative culturali e politiche vengano da essa rispettate e assecondate. Anch'esse perciò richiedono una gestione oculata, ben conscia della necessità di tener conto della loro peculiare sensibilità sociale e politica, scarsamente assimilabile a quella occidentale romana.] Compito arduo del princeps è dunque quello di 'addomesticare' tutti questi elementi, tra loro eterogenei e potenzialmente ostili, al fine di non creare o comunque di non alimentare ulteriormente pericolose situazioni di conflittualità interna. Situazioni simili infatti troppo facilmente si rivolterebbero contro di lui, portando alla sua eliminazione fisica e politica - oltre che alla fine stessa del suo principato - qualora a causa di esse egli fosse giudicato inadeguato dai suoi sudditi più influenti ad adempiere il proprio compito istituzionale. LA DINASTIA GIULIO-CLAUDIA: DA TIBERIO A NERONE Storia di Roma nel periodo della dinastia dei Claudii 1) Tiberio, il secondo imperatore (14-31) Tiberio sale al potere nel 14 d.C., l'anno stesso della morte di Augusto, del quale è stato uno dei migliori e più famosi generali (il primo, forse, dopo Agrippa). Al momento della sua incoronazione egli è già un uomo maturo, capace quindi di valutare la complessità del ruolo istituzionale che gli viene affidato. Forse anche a questo si deve imputare la politica prudente e (tutto sommato) saggia che seguirà. Fondamentalmente tale politica sarà una continuazione di quella di Augusto, essendo basata sui seguenti punti: - il consolidamento dei confini e della pace o sicurezza interna dell'Impero; - il rispetto formale (e non solo) del Senato e delle tradizioni politiche repubblicane; - una politica attenta a tutte le diverse identità - sia politiche che culturali - che compongono la stessa compagine romana. Anche se l'aristocrazia fondiaria non è più l'unica protagonista della vita sociale dell'Impero, essendo oramai inserita in un processo economico molto più ampio che la collega alle città (centri di commercio o di smistamento dei suoi prodotti) e attraverso esse alla realtà globale dell'Impero, tale classe continua a mantenere un ruolo di prestigio sociale incontrastato. Ciò si deve essenzialmente a tre fattori: a) al sentirsi e all'essere portatrice degli antichi valori agrari che stanno alla base stessa della cultura latina; b) all'esistenza di antiche forme di potere (quali ad esempio i rapporti clientelari) radicate da sempre sui territori romani e di molto precedenti a quelle del princeps; c) e infine, ovviamente, alla ricchezza economica dei 'latifundia'. Per tali ragioni le nuove strutture imperiali non sono riuscite a scalzare del tutto, né a inglobare, ricomprendendoli in se stesse, gli antichi poteri politici dei nobili latifondisti. E' inevitabile quindi che a questi ultimi esse debbano prestare molta attenzione. Questa tendenza si traduce principalmente, sul piano politico, in un atteggiamento 'morbido' del princeps nei confronti dell'istituzione senatoria, atteggiamento che costituirà un elemento non secondario di stabilità a livello politico. E non è un caso che Tiberio non soltanto si attenga scrupolosamente a tale principio di ossequio e di rispetto (in gran parte formale) verso il Senato, ma tenti inoltre - seppure con scarso successo - di risollevare tale istituzione (oramai troppo assuefatta a lasciarsi imporre decisioni 'dall'alto') anche da un punto di vista morale. L'ideale che egli cerca insomma di perseguire si basa essenzialmente sull'idea di una possibile 'concordia' tra il vecchio repubblicano e quello, appena nato, monarchico! Sul piano militare Tiberio porterà avanti un programma di consolidamento territoriale, sostenendo campagne militari in Germania e Armenia (regione cuscinetto tra Roma e l'Impero partico). Nel 19 poi si avrà l'annessione della Cappadocia (prima semplice stato vassallo di Roma, situato sul confine occidentale dell'Armenia) ai confini dell'Impero. Nei confronti delle zone orientali, Tiberio spingerà invece per una politica filellenica, facendo leva su alcuni elementi interni alla propria famiglia di ispirazione e orientamento antoniani (legati cioè ideologicamente a Marco Antonio, avversario di Ottaviano e promotore di un movimento di rinascita politica degli stati asiatici). Tuttavia una tale politica verrà perseguita solo in quelle zone, tenute ben distinte da quelle occidentali. Un altro problema con cui Tiberio dovrà confrontarsi negli ultimi anni del suo principato sarà una vasta crisi economica che coinvolgerà tutta la penisola italiana, crisi causata dal recente sviluppo sociale e produttivo delle province occidentali (in special modo della Gallia) e dalla conseguente fuga di capitali in tale direzione. Tra le altre misure prese al fine di contenere tale crisi, egli ridurrà le spese per le opere pubbliche. Celebre infine è il volontario esilio nel 27 di Tiberio nella città di Capri, finalizzato forse a un allontanamento dalla corte imperiale (e dai molteplici tentativi, da parte dei suoi componenti, di condizionare in varie direzioni le sue scelte politiche). Da lì egli governerà l'Impero per alcuni anni: tuttavia - dopo il ritorno a Roma - sarà costretto a giustiziare più di una persona del suo seguito per alto tradimento. Tra tutti, il caso più eclatante è senz'altro quello, nel 31, di Seiano: uomo d'origine equestre salito fino alla dignità di prefetto dell'esercito dei pretoriani (cioè l'esercito personale del princeps), colpevole di aver tentato l'ascesa al trono imperiale a sua insaputa. L'esperienza di governo di Tiberio può comunque essere valutata complessivamente in modo positivo. Egli ha gestito l'Impero in un modo attento alle sue diverse sfaccettature, basandosi su una politica oculata e prudente, capace di favorire la convivenza tra le sue più diverse componenti: a partire da quelle senatorie nobiliari, per giungere a quelle provinciali (tanto occidentali, quanto orientali). Con lui inoltre, il processo di consolidamento istituzionale e burocratico dell'Impero conosce un ulteriore sviluppo. LA DINASTIA GIULIO-CLAUDIA: DA TIBERIO A NERONE 2) Il dispotismo orientaleggiante di Caligola (37-41) Il principato di Caligola sarà estremamente breve: la sua durata infatti sarà di soli quattro anni, dal 37 al 41. Ciò perchè, come noto, egli cadrà vittima ancora molto giovane di una congiura di palazzo, una congiura guidata dal Senato e messa in atto dal capo stesso dei pretoriani, cioè della guardia imperiale. Ciò che tuttavia rende importante il suo principato, è il fatto che con esso si inauguri la tradizione dell'assolutismo imperiale, assieme a quella delle follie e dei capricci principeschi, che caratterizzeranno gran parte della successiva storia romana. Tutto ciò avverrà in sfregio alle tradizioni politico culturali latine e occidentali, nonché agli stessi interessi politico-economici delle classi occidentali più agiate. Se da un alto dunque Caligola dimostra di non aver affatto compreso quale sia il vero ruolo dell'Imperatore - e ciò forse è dovuto anche alla sua giovane età -, dall'altro intuisce però e prefigura una nuova forma (orientaleggiante) di dominio, basata essenzialmente sul consenso dei vastissimi strati parassitari della popolazione occidentale (proletariato e sottoproletariato), e su quello delle regioni orientali (le cui tradizioni di governo entrano particolarmente in sintonia con la sua concezione del potere). Ispirandosi a una visione 'antoniana' dell'Impero, egli tende a parificare politicamente le due zone che lo compongono, smantellando buona parte dei privilegi amministrativi e politici di cui gode l'Occidente nei confronti dell'Oriente, e tentando di instaurare un dominio personale e incontrastato su tutte le regioni imperiali. Tale progetto tuttavia, pur avveniristico, è per il momento totalmente inattuabile, vista l'influenza politica di cui ancora godono i ceti agrari nobiliari, contrari a vedersi abbassati allo stesso livello di quelle zone (orientali) che essi stessi precedentemente hanno conquistato e sottomesso, e che sono per di più abituati a sfruttare economicamente e politicamente. Ma un tale tipo di gestione sarebbe inattuabile anche per l'opposizione delle province occidentali (essenzialmente Gallia e Spagna), realtà attualmente in crescita e bisognose perciò di aiuti e di facilitazioni da parte dello stato romano. La figura ispiratrice di questa politica delirante e inopportuna è quella di Alessandro Magno, forse il più grande conquistatore e despota orientale di tutti i tempi. Il programma di Caligola si basa - come si è detto - sulla ricerca di approvazione delle masse popolari, cui egli elargisce continuamente donazioni e spettacoli. Ma anche su una notevole spinta verso l'ellenizzazione della cultura delle zone occidentali, e sull'instaurazione e diffusione anche in Occidente del culto della persona dell'Imperatore, equiparata alla stessa divinità solare. Tuttavia una tale linea di conduzione dell'Impero non può non costare molto in termini finanziari alle casse statali, costringendo così il princeps a impegnarsi in una inesausta ricerca di fondi, specialmente attraverso continue guerre di conquista (celebre è la spedizione di Caligola in Britannia, progettata ma mai realizzata: forse proprio per mancanza di fondi!) Tale politica, depauperando lo Stato senza - al tempo stesso - avvantaggiare nessuno dei suoi sudditi, provocherà un profondo un scontento tra i ceti dirigenti dell'Impero, i quali ordiranno una congiura contro Caligola. Questi verrà così ucciso infatti nel 41 per mano della stessa guardia imperiale. L'IMPERATORE CLAUDIO 3) Claudio, imperatore dimenticato (41-54) Alla morte del giovane Caligola, l'Impero passa a suo zio Claudio. Costui si distingue per un proprio stile di governo estremamente dimesso, essendo il suo un principato privo o quasi di eventi politici appariscenti. A ciò principalmente è dovuta la bassa stima che i suoi contemporanei tendono a riservargli, oltre che la scarsa risonanza del suo regno presso i posteri. Eppure, nonostante una tale 'invisibilità', la sua gestione dello stato sarà molto oculata, e perfino astuta. La politica che egli decide di seguire è fondata essenzialmente sui seguenti assunti: a) rafforzamento della centralità politica della parte occidentale dell'Impero, oltre che della sua identità culturale e politica; b) mantenimento di un atteggiamento di rispetto formale nei confronti dell'autorità senatoria (ciò anche attraverso la sua politica culturale, decisamente filo-occidentale); c) avvicinamento ai ceti possidenti occidentali, attraverso facilitazioni di carattere economico e fiscale. E' chiaro dunque, già da tali punti come la politica di Claudio si situi su una linea praticamente opposta rispetto a quella del suo predecessore, Caligola. Tuttavia, contemporaneamente, egli agisce anche al fine di aumentare i poteri politici e istituzionali imperiali, a spese di quelli senatori e nobiliari. Ciò avviene, tra l'altro, con l'accrescimento del numero delle milizie dell'esercito pretorio e con la riduzione dei poteri politici e giudiziari del Senato. La sua strategia consiste - anziché nell'umiliare e indebolire l'aristocrazia sul piano morale, politico e economico - nel favorirne lo sviluppo dal punto di vista economico, valorizzando al tempo stesso le sue radici culturali (mantenendo un atteggiamento fondamentalmente filo-occidentale), ma anche sottraendole impercettibilmente alcuni degli antichi poteri politici al fine di accrescere quelli del nascente apparato imperiale. E' un modo per cercare di risolvere, almeno in parte e a favore del princeps e dell'Impero, l'annoso conflitto tra gli antichi e radicati poteri nobiliari e quelli dell'apparato imperiale, molto più vasti ma di origine decisamente più recente. Altre azioni sostenute da Claudio sono una spedizione in Britannia nel 42 (compimento di quella progettata e mai realizzata da Caligola) e la creazione di alcune nuove province: Tracia, Giudea, Licia e Mauritania. NERONE La politica di Nerone ricorda molto quella di Caligola. Anche lui, come il suo predecessore, si ispira fortemente all'ideale orientalizzante di Alessandro Magno e del dispotismo assoluto. Anche lui tenta di ridimensionare il peso economico e politico delle zone occidentali in favore di quelle orientali. Anche lui basa il suo potere sul consenso delle masse popolari occidentali e su quello delle regioni orientali. Ultimo elemento di somiglianza, anche Nerone morirà vittima di una congiura, seppure dopo 14 anni di governo. Alla morte di Claudio, sale al potere un ragazzo di 17 anni, figlio di una delle mogli del defunto imperatore: Agrippina. Questi, di nome Nerone, non appartiene neanche alla stirpe dei Claudi, essendo stato adottato da Claudio per ragioni di successione. (Tale mancanza, quando in seguito i rapporti col Senato si incrineranno, costituirà un elemento di forza in favore di quest'ultimo, che non mancherà di rinfacciargli la sua presunta illegittimità). Circondato da intellettuali d'orientamento senatorio e nobiliare, come Seneca o Petronio, Nerone seguirà nei primi anni del suo regno una politica piana e senza scosse, coincidente con gli interessi del Senato. Sarà a partire dal 58 che la sua vera indole inizierà a emergere. In questi anni si consuma infatti la prima rottura col Senato, colpevole di non aver approvato la sua proposta di riforma tributaria. Tale proposta prevede l'eliminazione delle imposte indirette - ovvero dei dazi doganali -, cioè del protezionismo sui prodotti di produzione occidentale, e in seconda battuta un incremento delle tasse sui ceti più abbienti, al fine di compensare le inevitabili perdite finanziarie. Come si vede questa proposta, mai approvata, tende a un impoverimento dei privilegi economici dell'Occidente, e contemporaneamente a colpire l'economia dei latifondisti e dei ceti più ricchi occidentali. Essa è complementare alle larghe spese sostenute da Nerone per spettacoli pubblici e donazioni alla plebe. S'intuisce quindi la matrice populistica del suo governo. Dopo la definitiva rottura col Senato, Nerone si trasferisce in Oriente, dove combatte una guerra in Armenia, riuscendo anche a impadronirsene nel 58, ma perdendola poco dopo, nel 63, data in cui viene ceduta al re dei Parti (pur mantenendo Roma una specie di protettorato su di essa). Tornato a Roma inaugura una consistente attività di monetazione, al fine di rendere allo stato più facile, grazie al maggior numero di monete circolanti, il pagamento dei debiti, e migliorando, sempre secondo lo stesso principio, le condizioni di vita del popolo. Nel 64 scoppia in Roma un incendio, di cui Nerone è sospettato essere l'autore, che devasta gran parte della città e gli permette di iniziare una vasta attività di ricostruzione (si ricordi la creazione della 'Domus aurea'). Nel 66 Nerone è nuovamente in Oriente, precisamente in Grecia, dove si pone come continuatore della politica di Flaminino, concedendo (come l'antico condottiero aveva concesso la libertà dalle truppe romane) donazioni ed esenzioni fiscali. Sono di questi anni i primi tentativi di congiura contro Nerone, favoriti dalla sua lontananza da Roma, poi scoperti e repressi nel sangue (con la morte, tra gli altri, del poeta Petronio). Nerone inoltre impiega molti soldi per sostenere l'opera di diffusione della cultura ellenica e orientale in Occidente. E' ormai la fine: oltre che del Senato e dei nobili occidentali, Nerone ha ormai perduto la fiducia e l'appoggio anche delle province occidentali, che si vedono trascurate dalla direzione imperiale, espropriate quindi del posto di rilievo che spetta loro in qualità di regioni ricche ed economicamente emergenti. In Gallia scoppiano ribellioni contro il potere di Roma; mentre è dalla Spagna Terraconense e dal capo delle sue truppe, Sulpicio Galba, che inizia la vera congiura anti-neroniana. Essa coinvolgerà presto anche il Senato romano, costringendo il principe ribelle, oramai isolato, a togliersi la vita. Galba diventerà, anche se per pochissimo tempo, il nuovo imperatore, ponendo definitivamente termine alla dinastia imperiale dei Claudi. Ma il fatto che la rivolta sia iniziata fuori dei territori romani e italiani, la dice lunga anche sul ruolo che le province cominciano ad assumere nell'economia dell'Impero. CONCLUSIONI (14-68) Il problema fondamentale che i primi imperatori - Ottaviano Augusto compreso - debbono affrontare, è quello della mediazione: mediazione sia tra le nascenti istituzioni imperiali e quelle, molto più antiche, dell'aristocrazia fondiaria occidentale; sia tra le istanze di dominio dell'Occidente e gli influssi politico-culturali di segno opposto, provenienti dalle zone orientali. Mentre Caligola e Nerone attueranno una strategia scopertamente anti-senatoria e filo-orientale, determinando in tal modo la reazione violenta delle forze tradizionaliste occidentali - ma non solo, essendo comprese in tale reazione anche le nuove forze politiche occidentali, essenzialmente le province - che ne decreteranno la fine; Tiberio e Claudio al contrario, cercheranno di porre in atto con queste ultime una politica di compromesso (seppure - al fondo - maggiormente favorevole allo sviluppo degli apparati del nuovo Stato imperiale), né cercheranno mai di mettere in discussione la superiorità, politica e culturale, dell'Occidente rispetto all'Oriente. Ma la soluzione "orientale" e assolutistica di Caligola e di Nerone - nonostante resti per il momento inattuabile, data la forte radicatezza dei più antichi poteri senatori e la relativa 'fragilità' di quelli dell'Impero - sarà, sui tempi lunghi, quella che finirà per prevalere. Gli sviluppi dell'Impero, difatti, avverranno proprio in direzione del potenziamento dei suoi apparati, a spese chiaramente delle più antiche forze nobiliari e senatorie occidentali. L'infanzia di Nerone non è facile. Quando gli muore il padre, Domizio Enobarbo, la madre Agrippina Minore viene mandata in esilio dal fratello Caligola, imperatore, che non la vuole tra i piedi, e Nerone è affidato a una zia. I suoi primi maestri sono un barbiere e un ballerino. Nel 41 d.C. Agrippina, dopo essersi legata al cognato M. Emilio Lepido, marito di Drusilla, e dopo la fine di Caligola, torna a Roma decisa a rifarsi delle umiliazioni subite. Pretende che il precettore Seneca, uno dei filosofi più colti dell'impero, dia la formazione culturale adeguata al figlio. Seneca era stato un retore esiliato da Claudio in Corsica a causa dell'adulterio con Giulia Livilla. Ma l'occasione buona arriva quando muore Messalina, fatta assassinare dal marito Claudio, imperatore. Quest'ultimo, che ha già oltre 60 anni, è zio di Agrippina, che ne ha 34, e si lascia sedurre dalle sue grazie, sposandola. Appena raggiunto lo scopo, Agrippina costringe il marito ad adottare Nerone e a promettergli in moglie la figlia Ottavia. Da questo momento Nerone presenzia a tutte le manifestazioni pubbliche per farsi conoscere ed amare dalla plebe. Claudio vorrebbe rimangiarsi l'adozione, perché teme che Nerone possa scalzare Britannico, legittimo erede al trono. Ma ormai è troppo tardi: Agrippina lo fa avvelenare. Il prefetto del pretorio, Burro, con un colpo di stato, presenta Nerone come imperatore ai pretoriani, i quali ricevono generosi compensi. Il senato, che conta sempre meno, viene informato della scelta già fatta dai militari e la ratifica senza protestare. Iniziano così, nel 54 d.C. i 14 anni di regno di Nerone. Inizialmente la politica di Nerone viene gestita da Seneca e Afranio Burro, i quali riducono il potere dei liberti, che si era troppo ampliato sotto Claudio. Si stabiliscono alcune esenzioni a favore dei soldati, si toglie dalle mani dei senatori il controllo degli appalti pubblici, per evitare tangenti, e si decide che venga reso pubblico il testo dei contratti e dei bandi. Non passa invece la proposta di eliminare alcune imposte indirette (dazi doganali), sostituendole con altre dirette che avrebbero colpito gli interessi dei proprietari più ricchi e alleggerito il peso fiscale dei ceti meno abbienti. Il costo della vita saliva progressivamente perché i dieci distretti in cui era diviso l'impero imponevano continuamente nuove tasse. Latifondisti, aristocratici, senatori, proprietari di intere province, vogliono un forte protezionismo doganale per difendere i loro prodotti dalla concorrenza delle colonie dell'impero. Ma i problemi più grossi a Nerone vengono dalla vita privata. Agrippina infatti vuole governare insieme a lui e comincia a far fuori quanti le possono dar fastidio. Il matrimonio di Nerone con la nobile Ottavia naufraga dopo un anno, perché Nerone s'invaghisce di una liberta di nome Atte, una schiava di origine greca liberata da Claudio. L'adulterio tuttavia è noto solo a pochissime persone, poiché viene coperto dalla complicità di Seneca e Burro. Quando Agrippina lo viene a sapere, scoppia il finimondo e comincia a minacciarlo, poi, quando vede la risolutezza del figlio, lo asseconda. Ma Atte chiede e ottiene l'allontanamento di Pallante dalla corte, procuratore delle finanze imperiali, amante di Agrippina, la quale minaccia di schierarsi col legittimo erede Britannico. Seneca, Burro, Atte e altri intimi di Nerone decidono a questo punto di far fuori Britannico, tramite il veleno di Locusta, una maga di origine gallica, già protagonista in occasione della morte di Claudio. (1) Giulio Pollione, tribuno della quarta coorte dei pretoriani viene ricompensato, per questo delitto, con la nomima a governatore della Sardegna. La versione ufficiale della morte di Britannico fu l'epilessia. Nerone è intenzionato a sposare Atte e convince alcuni ex-consoli a certificare con un falso giuramento le origini regali della liberta, un'ipotetica discendenza dal re di Pergamo, Attalo, morto quasi due secoli prima. Con questa falsa adozione, Nerone vorrebbe ripudiare Ottavia e nel frattempo comincia a riempire di doni Atte, che riceve vasti latifondi della res privata imperiale nel Lazio (a Velletri), nella Campania (a Pozzuoli) e soprattutto in Sardegna (a Olbia). Agrippina non demorde e colma di favori Ottavia sperando di formare un partito avverso al figlio, forse per portare al trono C. Rubellio Plauto, discendente in quarto grado di Augusto, al quale pare avesse promesso di unirsi in matrimonio. Saputa la cosa, Nerone fa esiliare Rubellio in Asia nel 59 e lo farà uccidere nel 62. E decide anche di licenziare i pretoriani che proteggevano la madre, mentre questa la fa trasferire in un'altra residenza. Pallante e Burro intanto vengono prosciolti dall'accusa di voler portare sul trono Fausto Cornelio Silla, al posto di Nerone. Silla viene relegato a Marsiglia nel 58 e sarà anche lui eliminato nel 62. Proprio nel 58, dopo tre anni di convivenza con Atte, Nerone s'invaghisce di Poppea Sabina, nobile e intelligente, nemica acerrima di Agrippina, causa della rovina della sua famiglia. Poppea ha già alle spalle due matrimoni: la prima volta con Rufrio Crispino, un cavaliere romano da cui aveva avuto un figlio; la seconda volta con un certo Otone, che l'aveva convinta a sposarla con la promessa d'introdurla nella corte dell'imperatore. Dopo l'esilio di Atte in Sardegna, dove rimarrà per più di sette anni, Otone viene inviato come legato imperiale nella lontana Lusitania. Invece Rufrio Crispino sarebbe stato esiliato nel 65 in Sardegna e qui eliminato l'anno seguente. Poppea è praticamente diventata l'unica vera rivale di Agrippina, la quale, per evitare d'essere spodestata, è addirittura disposta a sedurre il figlio, che d'ora in poi eviterà di incontrarsi da solo con lei. Poppea infatti vuole assolutamente sposare Nerone, ma legalmente è ancora Ottavia la moglie ed è lei che, secondo la tradizione giulio-claudia, trasmette la legittimità del potere a Nerone. Ecco perché questi, follemente innamorato di Poppea, decide, con l'aiuto del ministro degli interni Tigellino, di costruire un castello di accuse contro di lei, la più grave delle quali era quella di essersi congiunta con un liberto di nome Aniceto, per poterla allontanare dalla corte e ripudiare. La si condanna all'esilio nell'isola di Ventotene in Campania. Poi con la complicità di Aniceto, prefetto della flotta di Miseno, che si autoaccusa dell'adulterio con Ottavia, la fa assassinare. Su consiglio di Seneca fa eliminare da Aniceto anche Agrippina, preparando l'opinione pubblica su un suo presunto tradimento politico. Aniceto verrà relegato in Sardegna con tutti gli onori, in quanto trascorrerà l'esilio nell'agiatezza e riuscirà a morire di vecchiaia. A questo punto Nerone può finalmente sposare Poppea senza problemi di sorta. Siamo nel 62 e l'anno dopo nasce Claudia, che però muore a soli quattro mesi. Intanto nel 62 muore anche Burro e tra il 62 e il 65 Poppea praticamente non ha avversari a corte. Due anni dopo Poppea è di nuovo incinta ma muore di parto, forse presa a calci da Nerone dopo un violento litigio. Nerone nel 66 sposa Statilia Messalina, ma il matrimonio si rivela un fallimento, e allora prende come amante il liberto Dariforo Pitagora e successivamente l'eunuco Sporo, perché somiglia molto alla scomparsa Poppea. Le leggi di Nerone continuano a scalfire i privilegi degli aristocratici (ha p.es. ripristinato i comizi del popolo e spesso apre i granai e fa distribuire cibo e vino). Tuttavia i senatori possono trarre beneficio dall'occupazione di tutte le coste del Mar Nero e dalle esplorazioni compiute in Etiopia, nonché dalla scoperta dei monsoni, con cui è possibile navigare verso l'oceano Indiano. Viene anche finanziato il progetto di un canale navigabile tra Ostia e il lago d'Averno. Il disastro accade il 13 luglio del 64, allorché Roma va in fiamme, in seguito a una rovente estate. L'incendio viene domato dopo sei giorni: 400.000 persone rimangono senza tetto e senza cibo. Nerone fa aprire i suoi giardini, il Campo Marzio e i monumenti di Agrippa; si chiedono aiuti alle città limitrofe; si dà il via alla ricostruzione (la Domus Aurea, riempita di opere d'arte, viene finita in soli sette mesi). Le casse dello Stato vengono letteralmente prosciugate. Perfino alle guardie del pretorio il salario viene pagato con notevoli ritardi. Nerone ricorre a festini, divertimenti, circhi, lotterie per rimpinguare l'erario. Lui stesso ne diventa protagonista esibendosi come artista. Il ministro della polizia Tigellino apre un'inchiesta per scovare se qualcuno aveva provocato l'incendio e, poiché l'ordine pubblico viene minacciato ogni giorno di più da tanti forestieri che giungono nella capitale dopo che alle province è stato concesso il diritto di cittadinanza, si comincia a ventilare l'ipotesi di accusare i cristiani, dando seguito ai sospetti avanzati dagli ebrei. Circa 300 persone finiscono sul rogo o dilaniate dalle fiere nel circo, secondo le pene previste dal codice per i piromani. Nel 65 Nerone deve sventare una congiura ai suoi danni. Era stata ordita da Gaio Calpurnio Pisone, con l'aiuto del prefetto del pretorio Fenio Rufo, già accusato di adulterio con Agrippina, e di Seneca e Vestino, marito di Statinia Messalina. A tradire i congiurati fu uno schiavo, Milico, che informò il liberto Epafrodito. Molti di loro sono costretti a uccidersi, tra cui Seneca. Non potendone più degli ambienti di corte, alla fine dell'estate del 66 Nerone fa un viaggio in Grecia, tornandovi solo dopo un anno e mezzo: nessun imperatore prima di lui si era allontanato dalla capitale per così tanto tempo. Con una corte di 5000 persone sbarca a Corfù, dove tiene un concerto presso l'altare di Giove: le tappe successive sono Nicopoli, Azio, Corinto, eletta a sua residenza durante la sua permanenza in Grecia. Nomina intanto Vespasiano governatore della Giudea col compito di domare una rivolta. Il generale e il figlio Tito, futuri imperatori, riconquistano Gerusalemme e pongono fine una volta per tutte allo Stato di Israele. Dopo aver svernato a Corinto, Nerone partecipa come sportivo a quattro giochi panellenici: Olimpici, Pitici, Istmici e Nemei. Dà il via alla realizzazione del canale di Corinto, cosa che incrementerà notevolmente i commerci, e rende libera la Grecia: una terra povera ma simbolica. Infatti in tutto l'oriente l'entusiasmo è enorme e Nerone viene paragonato a Giove e Apollo. Nerone è affascinato dalla cultura ellenistica e pensa addirittura di trasferire qui la sede della corte. Ma a Roma l'aristocrazia la pensa molto diversamente e comincia a essere stanca di dover fronteggiare il malcontento della plebe senza la presenza dell'imperatore. Tigellino con una scusa pianta in asso Nerone e si fa sostituire da Ninfidio Sabino, il quale comincia a far circolare voci false, secondo cui l'esercito si starebbe ammutinando e la lealtà delle province orientali, dopo la libertà concessa alla Grecia, non sarebbe più sicura. Nerone ci crede e si rifugia negli Orti Servilliani. D'accordo con alcuni senatori, Ninfidio annuncia ai pretoriani che l'imperatore è fuggito in Egitto e promette loro, a nome di Galba, che aveva già fatto un proclama contro Nerone, laute ricompense. Nerone sente la fine vicina e si fa uccidere dal liberto Epafrodito. Aveva 31 anni e sarà rimpiazzato proprio da Galba. Nel 68 è la liberta Atte che ricompone le spoglie di Nerone nel mausoleo dei Domizi. [1] Seneca, Burro e altri furono premiati per la loro fedeltà e complicità da Nerone con beni di ogni genere, dopo la sconfitta di Britannico. Seneca pare abbia accumulato in appena quattro anni un patrimonio valutato sui 300 milioni di sesterzi (circa 600 milioni di euro). A corte Seneca aveva cercato di rafforzarsi rapidamente, promuovendo la carriera di amici e parenti, quasi tutti spagnoli. Lui stesso ricoprì il consolato del 56 assieme all'amico M. Trebellio Massimo. Il filosofo storico predicava l'equità e la clemenza del governo imperiale, ma per raggiungere i fini della sua politica non si faceva scrupolo nell'uso dei mezzi.

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