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L'IMPERO ROMANO -
DINASTIA GIULIO CLAUDIA - NERONE
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LA DINASTIA GIULIO
CLAUDIA FINO A NERONE |
L'IMPERO ROMANO
Ottaviano, riprendendo la politica di Cesare, accentrò su di sé tutte le
principali cariche dello Stato, lasciando formalmente intatte le vecchie
istituzioni repubblicane (senato ecc.). Dopo la battaglia di Azio, in cui
sconfisse il rivale Antonio, egli ottenne il titolo di imperatore a vita
(comandante supremo di tutte le forze militari), principe del senato
(diritto di parlare per primo), augusto (protetto dagli dei), potestà
tribunicia a vita (persona sacra e inviolabile, con diritto di veto sulle
delibere del senato), console a vita (tutto il potere esecutivo), pontefice
massimo (massima autorità religiosa) e altri titoli ancora. In alcune
province orientali era anche considerato una sorta di divinità. Il cuore
della vita politica divenne la corte imperiale (senatori, giuristi,
letterati... scelti dall'imperatore). I senatori vennero ridotti di numero e
si elevò il censo minimo per poterlo diventare.
Ottaviano fece importanti riforme amministrative (ad es. divise le province
in senatorie e imperiali), finanziarie (ad es. volle a fianco del tesoro
statale un proprio tesoro o fisco), militari (esercito permanente per
l'impero e coorti pretorie per l'imperatore), etico-religiose (restaurò
antiche tradizioni).
Quando morì si cercò di affermare la successione per ereditarietà (casa
Giulio-Claudia): Tiberio (concilia principato-senato, politica di pace
all'estero, muore Cristo), Caligola (supremazia del principato, culto
dell'imperatore, culti/usanze orientali, favorisce schiavi/plebe per il
consenso, muore ucciso), Claudio (concilia principato-senato, crea
burocrazia di liberti imperiali, inizia persecuzioni anticristiane, amplia
confini dell'impero, concede per la prima volta il diritto di cittadinanza a
molti abitanti della Gallia, ammettendone alcuni al senato, al fine
d'indebolirlo); Nerone (primato concesso al principato, è anticristiano,
favorisce i ceti medio-piccoli imponendo che il denarius sia ridotto di
titolo e di peso, ma con la stessa capacità di acquisto, fa uccidere il
filosofo Seneca e il poeta Luciano congiurati contro di lui, si fa uccidere
da uno schiavo dopo essere stato dichiarato nemico della patria dal senato).
Poi andarono al potere gli imperatori della casa Flavia: Vespasiano (il
primo di origini sociali modeste, concede il diritto di cittadinanza alla
Spagna, esoso sul piano fiscale, mandò in rovina molti piccoli proprietari,
pose fine alla guerra giudaica grazie all'opera del figlio Tito, che nel 70
distrusse Gerusalemme); Tito (attenuò le persecuzioni anticristiane,
proseguì la politica paterna); Domiziano (supremazia concessa al principato,
si fa chiamare "signore e dio", protegge i piccoli proprietari contro la
concorrenza delle province, promuove una grande persecuzione anticristiana,
viene ucciso in una congiura). Alla sua morte s'impone il sistema
dell'adozione (la scelta del migliore operata dall'imperatore).
Il primo però, Cocceio Nerva, venne eletto dal senato (diminuì le tasse,
abolì le leggi di lesa maestà, richiamò gli esiliati politici, favorì classi
meno abbienti, sfavorevole alle persecuzioni anticristiane, designò come
successore il comandante Traiano); Ulpio Traiano (originario della Spagna,
primo provinciale al trono, ammise in senato molti provinciali,
anticristiano, l'impero con lui raggiunge la massima estensione); Elio
Adriano (supremazia concessa al principato, favorì le province, distrusse
nuovamente Gerusalemme nel 132, grande ammiratore della civiltà greca,
inaugura la serie degli imperatori filosofi: Antonino Pio e Marco Aurelio);
Antonino Pio (indifferente alla province, lasciò al senato ampia libertà di
governo); Marco Aurelio (stoico, favorì emancipazione degli schiavi, tollera
le persecuzioni, rispetta il senato, per la prima volta permette a talune
tribù barbariche d'insediarsi nell'impero ottenendo in cambio uomini per
l'esercito); Commodo (supremazia principato, tenta una monarchia teocratica
servendosi della plebe, fissò un calmiere dei prezzi, favorì gli eserciti in
tutti i modi, morì in una congiura). Siamo nel 193.
Tende a prevalere l'elemento militare nell'attribuzione del potere imperiale
(anarchia militare). Durerà fino a Diocleziano, determinando il passaggio
dal principato a un vero e proprio dominato. Gli eserciti erano costituiti
soprattutto da provinciali, poco interessati all'unità imperiale e molto
legati al comandante che li pagava meglio.
Settimio Severo (militare, ottiene il titolo dal senato, inaugura l'età dei
Severi, crea una monarchia assoluta, si fa chiamare "dominus", cioè
"signore", si servì di plebe-esercito-borghesia/cavalieri, equiparò per
primo Italia e province, concedendo cittadinanza a intere città d'Africa e
d'Oriente, morì contro i barbari); Caracalla (uccise il fratello che avrebbe
dovuto governare con lui, concesse a tutti i sudditi liberi dell'impero la
cittadinanza romana, ucciso dai suoi ufficiali); Macrino (a capo della
congiura contro Caracalla, primo imperatore del rango equestre-borghesia e
non senatorio, nonostante governo saggio e pacifico fu ucciso dai senatori e
dai suoi soldati); Elagabalo (creò un senato femminile con a capo sua madre,
concesse cariche statali rilevanti a liberti e schiavi, introdusse a Roma
usi-costumi orientali, ucciso dai militari); Severo Alessandro (il primo a
riconoscere un valore alla predicazione cristiana, ma siccome contro i
germani dovette comprare la pace con l'oro, i suoi soldati lo uccisero).
Nuova anarchia militare (235-258). I soldati della Germania proclamano
imperatore Massimino (primo barbaro sul trono romano, combatte contro i
germani, aumenta la pressione fiscale, requisì molti latifondi, perseguitò i
cristiani, ucciso dai suoi soldati). Dopo di lui gli imperatori si
susseguono velocemente, quasi tutti proclamati dai militari e quasi tutti
uccisi. I barbari militavano sempre più nelle file degli eserciti romani.
Forti le persecuzioni anticristiane.
Imperatori illirici: con loro l'autocrazia militare mise del tutto in ombra
il senato. Molte guerre antibarbariche. Il più importante fu Diocleziano,
che trasformò lo Stato in una monarchia assoluta teocratica, ruppe tutti i
legami tradizionali col senato e col popolo, riservò per sé la difesa della
parte orientale dell'impero e diede quella occidentale a Valerio Massimiano
(entrambi coadiuvati da due luogotenenti, Galerio Massimiano e Costanzo
Cloro: "tetrarchia", cioè "comando di 4". Le leggi erano emanate dalla
tetrarchia, ma la figura centrale resta Diocleziano). Ridusse tutte le
province alle dipendenze dell'imperatore, divise il potere civile da quello
militare (entrambi affidati a persone di rango borghese), creò una vasta
burocrazia (ai cui ruoli poteva accedere chiunque). Fece corrispondere, ai
fini tributari, un lavoratore-colono a un'unità di superficie di terra da
lui lavorata: l'imposta da pagare era fissata in base a un rilevamento del
reddito del terreno fatto ogni 5 anni (poi ogni 15). La tassazione era
maggiore quanto minore era la densità demografica. Non si teneva conto di
carestie, pestilenze, guerre. Creò poi un'imposta sulla ricchezza mobile,
colpendo i prodotti di commercio, industria e professioni. Promulgò un
editto sui prezzi massimi delle merci, per frenare l'inflazione, ma fu un
fallimento perché si sviluppò il mercato nero.
Poi, vedendo che i coloni, per il duro fiscalismo, abbandonavano le terre,
li obbligò a restare per tutta la vita (inclusi i figli) sul luogo di
lavoro: chi perdeva i diritti civili diventava servo della gleba. Lo stesso
per gli artigiani. Fortissime le persecuzioni anticristiane. Dopo 20 anni di
governo Diocleziano abdicò insieme a Massimiano. Il sistema della tetrarchia
continuò con altri imperatori fino alla guerra civile tra Costantino e
Massenzio. La vittoria di Costantino portò all'Editto di Milano (313) con
cui si concedeva anche ai cristiani piena libertà di culto. La tetrarchia
era finita. Costantino conservò sia la divisione dell'impero in 4 parti (ma
solo a livello amministrativo), sia la distinzione dei poteri civili e
militari, incrementò la burocrazia, fece una disastrosa riforma finanziaria,
trasferì la capitale a Bisanzio (che chiamò Costantinopoli). Si servì del
cristianesimo per motivi politici: esentò dalle imposte le proprietà
ecclesiastiche, stabilì tribunali speciali per il clero, convocò il concilio
di Nicea contro l'arianesimo, permise alla chiesa di ricevere ambasciatori,
riconobbe la domenica come giorno festivo... Tra i suoi successori va
segnalato Giuliano l'apostata, che cercò, ma inutilmente, di ripristinare il
paganesimo come unica religione di stato.
Con Teodosio (Editto di Tessalonica, 380) il cristianesimo diventa l'unica
religione di stato. Dopo di lui l'impero non fu più unito. In occidente i
veri padroni erano i generali barbari. Uno di questi, Odoacre, preferì
inviare le insegne imperiali al basileus, dichiarando di voler governare
l'Italia come un suo luogotenente. L'imperatore conferì ad Odoacre il titolo
di patrizio romano.
IL PRINCIPATO DI AUGUSTO
Introduzione
Come già è accaduto a Giulio Cesare, anche Ottaviano si trova (una volta
divenuto l'uomo più potente di Roma) nell'imbarazzante condizione di dover
giustificare la propria posizione di preminenza nello Stato e nell'Impero.
Rispetto a Cesare però, egli gode di un appoggio e di una fiducia molto
maggiori da parte delle autorità repubblicane, con le quali ha
precedentemente stretto un'alleanza - nata dalla necessità di sostenere una
decisa politica anti-orientale - finalizzata alla restaurazione e al
consolidamento delle antiche istituzioni patrie contro i venti di
rinnovamento che percorrono l'Impero.
Ottaviano tuttavia si trova in una posizione ancora più ambigua rispetto al
suo predecessore: se da una parte infatti egli si pone formalmente come il
restauratore dell'antica oligarchia senatoria e della tradizione
repubblicana, dall'altra e nella sostanza egli inaugura invece una politica
radicalmente nuova: una politica che si adatta alla realtà di un Impero
divenuto oramai virtualmente universale.
Quest'ultimo si è difatti col tempo trasformato in un'ecumene di popoli e di
tradizioni diverse, che trovano in Roma e nell'Italia il proprio centro
direttivo, e che comprendono praticamente tutto il mondo civile conosciuto
(ad eccezione dei territori partici).
E' appunto in questa mutata situazione che si radicano le ragioni
fondamentali della politica esterna e interna di Ottaviano Augusto, politica
consistente in:
- azioni militari di mero consolidamento territoriale;
- la rinuncia (o quasi) a qualsiasi velleità espansionistica;
- e l'inaugurazione di un lungo periodo di pace interna (Pax augusta), dopo
i molti decenni dominati da guerre civili e da lotte intestine.
L'Impero - oramai virtualmente universale - non ha difatti più né
l'interesse né le risorse (economiche e militari) necessarie e sufficienti
per portare avanti un processo di estensione territoriale.
Al contrario, diviene per esso una necessità primaria garantire al proprio
interno la sicurezza degli spostamenti, e con essa la facilità degli scambi
commerciali (oltre che culturali); e ciò appunto attraverso il mantenimento
della pace e dell'ordine all'interno dei suoi confini.
Ma Ottaviano si impegna anche in un'opera di trasformazione e di
rinnovamento delle cariche statali.
E' ammirevole come egli riesca - attraverso degli abili equilibrismi
politici - a rivoluzionare il sistema delle cariche costituzionali, pur
restando formalmente fedele (quantomeno il più possibile) alla vecchia
organizzazione repubblicana.
Se da un lato egli si pone come un 'princeps', ovvero come il primo nello
Stato, dall'altra però rifiuta più volte il titolo di dittatore e di
imperatore, ovvero di capo assoluto.
Il termine 'princeps' sta difatti a significare 'primo tra individui di pari
dignità' e sanziona contemporaneamente la sua posizione di privilegio
rispetto agli altri senatori, ma anche la sua condizione d'eguaglianza
rispetto a essi dal punto di vista costituzionale. Nelle proprie memorie
(Res gestae) egli potrà così vantarsi di non aver rivestito mai alcuna
magistratura contraria al costume degli avi.
Tuttavia, oltre ai vantaggi che gli derivano dal titolo di Augusto (titolo
conferitogli dal Senato stesso, e che ne decreta in buona sostanza
l'autorità somma in Roma), Ottaviano riuscirà anche a istituire una serie di
magistrature - dette 'imperiali' - attraverso le quali potrà controllare
praticamente tutti i territori dell'Impero oltre a quello della stessa
capitale.
Anche se in modo non scoperto, cioè forzando il ruolo delle più antiche
istituzioni repubblicane e cittadine, egli riuscirà così a detenere un
dominio pressoché incontrastato su Roma fino alla propria morte.
Tuttavia (lo si è già visto nei precedenti articoli) i poteri politici
interni all'Impero si basano in gran parte sul fattore clientelare, data
l'inadeguatezza strutturale delle istituzioni repubblicane (ancora
essenzialmente legate a un contesto di potere di tipo cittadino) ad
assolvere un compito vasto come quello di governare l'Impero. Tali poteri
sono perciò di natura essenzialmente personalistica.
E nonostante Ottaviano tenti - come ovvio - di far convergere questi due
opposti poli (istituendo appunto nuove magistrature e nuove strutture
politico-amministrative), un'ambiguità tanto radicata a livello storico non
può certo essere estirpata in pochi anni. Ed è per questo che i poteri
economici politici e militari del princeps tendono, ora più che mai, a
confondersi con quelli stessi dello Stato.
Ne è un esempio la nuova amministrazione finanziaria dell'Impero, il fisco,
all'interno della quale rimane incerta la distinzione tra ricchezza di
Augusto e ricchezza di Roma.
Anche le tradizionali istituzioni cittadine inoltre, usciranno profondamente
trasformate nei loro effettivi attributi: il Senato, riformato da Augusto,
tenderà a divenire sempre di più un organo consultivo (laddove invece i
singoli senatori diverranno spesso degli 'emissari' che agiscono per conto
del princeps); i comizi centuriati invece - da sempre voce dei desideri
della plebe urbana - perderanno gradualmente i propri poteri decisionali.
Non può infatti, la plebe della sola città di Roma, interpretare e
promuovere gli interessi di tutto il popolo romano, la cui estensione va
ormai ben oltre l'Italia e la stessa Europa!
La società romana sotto Augusto (27 a.C. - 14 d.C.)
1. La nuova organizzazione dello Stato
Alla base della trasformazione di Roma operata da Augusto sta
l'instaurazione di un nuovo assetto amministrativo, attraverso una più ampia
distribuzione delle cariche statali. Proviamo brevemente a delineare questa
nuova conformazione.
Per comprenderla, bisogna innanzi tutto tenere presente il fatto che Roma,
negli anni del principato di Ottaviano, si avvia a diventare il punto
dell'Impero dal quale si irraggiano le decisioni concernenti tutte le
province: sempre di meno quindi una città egemone e sempre più il centro
amministrativo di una vastissima compagine politica e sociale.
Conseguenza di un tale processo è che i vecchi istituti repubblicani e
cittadini decadono gradualmente a organismi consultivi quando non,
addirittura, meramente rappresentativi (ovvero privi di reali funzioni
amministrative).
Il potere amministrativo effettivo, invece, si concentra sempre di più nelle
mani dello stesso Augusto, dal momento che le antiche cariche repubblicane -
assieme alle nuove da lui stesso istituite - tendono a diventare
fondamentalmente strumenti di dominio dell'imperatore.
Nonostante ciò, Augusto rifiuta con decisione ogni attribuzione esplicita di
predominio. Il suo potere si basa in sostanza sull'attribuzione da parte del
Senato di alcune cariche permanenti (cioè a vita), ovvero su poteri di tipo
straordinario (contemplati per altro già dai tempi della Respublica, come
dimostrano ad esempio le vicende di Silla e Cesare) ritenuti giustificati in
situazioni eccezionali.
Oltre che di tali attribuzioni, egli gode poi delle enormi influenze
politiche accumulate negli anni della guerra civile contro Antonio. Tra di
esse spiccano sia la fedeltà degli eserciti (di cui inoltre egli detiene
anche ufficialmente il comando) sia gli enormi capitali finanziari.
Oltre a ciò, tra il 27 a.C. (anno dell'incoronazione ad Augusto) e il 14
d.C. (anno della morte) Ottaviano riceverà più volte magistrature di
primissimo piano, tra cui: il consolato (che dal 19 a.C. diventerà carica a
vita), la censura (con la quale potrà ricomporre il Senato), la carica di
sovrintendente dei costumi, il Pontificato Massimo, e altre ancora.
E tuttavia egli fonderà la propria auctoritas essenzialmente su due
attribuzioni stabili: la potestà tribunizia e l'imperium proconsolare -
cariche che, data la loro importanza, è necessario ora analizzare più in
dettaglio.
- La potestà tribunizia
Tale prerogativa istituzionale - già conferita negli anni passati a Giulio
Cesare - dà a colui che la detiene il controllo virtuale della vita politica
della città di Roma.
Non è un caso quindi che su di essa Ottaviano basi gran parte del proprio
potere sulla capitale dell'Impero, e non solo su essa. (si ricordi che Roma
è, tra le altre cose, anche il centro di irraggiamento delle decisioni
politiche riguardanti tutto l'Impero.)
Sicuro, attraverso una tale carica, delle proprie prerogative, egli potrà
così lasciare ai senatori molte delle altre magistrature fondamentali (tra
le quali il consolato) e salvare così le apparenze dello stato repubblicano.
Tuttavia Ottaviano non si limiterà a occupare un posto istituzionale di
prestigio: attraverso la propria opera difatti (e servendosi dei propri
poteri 'eccezionali') egli amplierà notevolmente il raggio d'azione delle
antiche cariche amministrative, sia di quelle urbane sia di quelle
concernenti l'intera penisola, introducendone poi delle nuove, gravitanti
ovviamente nell'orbita dei suoi poteri.
Tra queste ultime vi sono principalmente le cariche prefettizie, con le
quali il princeps può controllare i vari aspetti della vita politica
dell'Urbe, a partire da quelli giudiziari per giungere sino a quelli
amministrativi.
Ad occuparle inoltre sono spesso non esponenti dell'antica oligarchia
senatoria, bensì della classe equestre! (E infatti uno dei punti forti del
programma augusteo è quello del rinnovamento della classe dirigente di Roma,
attraverso l'inclusione di quelle classi commerciali e finanziarie che già
in passato avevano avuto un ruolo di primo piano nel finanziamento degli
appalti pubblici).
Introduce inoltre il corpo dei vigili, una sorta di polizia di Stato,
guidata da un apposito prefetto; e infine crea la guardia pretoriana,
l'unico esercito presente sul suolo italico, a sua volta comandata da un
prefetto (prefetto del pretorio).
- L'Imperium proconsolare
Al predominio istituzionale su Roma, Ottaviano assomma poi quello su gran
parte delle province.
Mentre difatti al Senato spetteranno quelle più tranquille e più facilmente
governabili, chiamate appunto province senatorie, il suo imperium si
estenderà invece sulle zone di più recente acquisizione o comunque più
difficili da gestire. In tali zone vengono accampati stabilmente dei presidi
militari, costituiti da truppe imperiali il cui compito è la difesa dei
territori.
Augusto delega il comando militare delle proprie province a uomini che
godono della sua fiducia. Tali uomini rientrano essenzialmente in due
categorie: da una parte i legati, esponenti dell'aristocrazia senatoria;
dall'altra i procuratori, esponenti dell'ordine equestre.
Questi ultimi, all'inizio solo una minoranza, aumenteranno molto con gli
anni. Ciò perchè, non avendo alle spalle altra autorità che li sostenga
(quale ad esempio quella del Senato) oltre a quella del princeps, sono da
quest'ultimo ritenuti più affidabili e preferiti perciò ai legati senatori.
All'Egitto infine, il paese che Cleopatra ha lasciato in eredità a Roma,
verrà riconosciuta una particolare dignità, rientrando nel dominio romano
come possesso personale di Augusto, ed essendo governato (seppure con
notevoli difficoltà) da un apposito prefetto.
Altre innovazioni nell'organizzazione dello Stato dovute a Ottaviano saranno
la definitiva trasformazione dell'esercito da mercenario a professionale
(cioè stabile), e la nascita del fisco.
Questo secondo punto è di particolare rilevanza. Accanto all'erario difatti,
che fino ad ora è rimasto l'unica base dell'amministrazione finanziaria
della Res-publica, egli crea una nuova cassa, un tesoro statale parallelo.
Mentre i proventi dell'erario derivano dalle province senatorie, quelli del
fisco provengono da quelle imperiali.
E' da notare come questi ultimi vengano gestiti direttamente da Ottaviano, e
che come tali essi sono una via di mezzo tra una proprietà privata
dell'imperatore e un possesso dello Stato romano. Ciò mostra chiaramente
come lo Stato repubblicano sia oramai sorpassato, e come dietro la sua
apparenza si celino in realtà gli interessi personalistici del principe,
oltre che i suoi poteri clientelari e le sue enormi ricchezze.
Prova ulteriore di ciò sarà il fatto che con la morte di Ottaviano - nel
passaggio dei poteri politici a un altro individuo - tutto il patrimonio
privato dell'Imperatore, che è poi una delle basi del governo, verrà
trasferito nelle mani del suo successore, anche se questi non sarà nemmeno
un suo parente diretto.
La gestione della domus imperiale si confonde dunque con quella della stessa
cosa pubblica, fatto molto eloquente sullo stato delle istituzioni romane.
Ma l'ascesa politica di Ottaviano - pur impetuosa e inarrestabile - non è
del tutto priva di ostacoli. Tra di essi troviamo l'opposizione di molti
senatori, rimasti legati ancora a una vecchia visione di Stato, e con i
quali spesso egli si dovrà scontrare.
Nonostante ciò, il movimento di graduale dissoluzione delle istituzioni
repubblicane è inarrestabile, come prova il fatto che lo stesso Senato
diviene sempre di più un organo fondamentalmente consultivo, per quanto
estremamente prestigioso, mentre i singoli senatori (in special misura
quelli di nomina imperiale) tendono a trasformarsi in 'clientes' del
principe, essendo da lui favoriti - o meno - nel proprio avanzamento
politico.
Anche il popolo infine perde i suoi poteri originari, con la trasformazione
dei Comizi della plebe in istituti virtualmente insignificanti, divenendo
così sempre di più una massa indistinta, definibile come 'plebe urbana', la
quale dipende dal principe - cui deve viveri, spettacoli e danaro - in tutto
e per tutto.
E' chiaramente visibile dunque, come il potere di Ottaviano Augusto si ponga
in sostanza al vertice di una vastissima piramide di poteri clientelari e di
interessi privati, che su di esso si sostengono al tempo stesso
sostenendolo.
Le antiche istituzioni urbane, viceversa, affondando il proprio reale ambito
di influenza poco oltre la città di Roma (divenuta ormai un piccolo
frammento di un territorio molto più vasto) sono poste come tali di fronte a
un'alternativa: o rinnovarsi entrando a fare parte di tale piramide di
poteri, oppure rassegnarsi a occupare un ruolo di mera rappresentanza
politica rimanendo, almeno in una prospettiva imperiale, prive di poteri
effettivi.
2. La politica estera e le imprese belliche di Augusto
L'idea guida della politica di Augusto è essenzialmente quella di
consolidare l'Impero sia rispetto ai suoi nemici interni (in relazione ai
focolai di rivolta che covano soprattutto nei territori assoggettati più di
recente) sia rispetto a quelli esterni (i popoli barbari, cioè non
romanizzati).
Una tale politica viene da lui perseguita da una parte attraverso il
vastissimo programma di riassetto istituzionale che abbiamo appena visto,
dall'altra attraverso azioni militari finalizzate a rafforzare la compagine
imperiale.
Proprio per tale motivo la sua non sarà più - come lo era stata prima - una
politica 'avventurosa', tesa ad estendere ancora di più i territori
imperiali. Essendo difatti l'Impero ormai virtualmente completo dal punto di
vista territoriale, la missione che esso dovrà assolvere non potrà che
essere fondamentalmente di natura civilizzatrice, volta cioè alla
'romanizzazione' dei popoli testé sottomessi.
In generale Ottaviano, alla cultura romana di questi anni, appare come
l'erede delle aspirazioni universalistiche di Alessandro Magno nonchè del
suo tentativo di costruire un Impero mondiale attraverso la pacificazione
universale dei popoli sotto un unico dominio.
Le campagne militari indette da Augusto, infatti, si muovono nel solco di un
tale programma 'universalizzante', oltre che di quello - ben più pratico e
concreto - di consolidamento e di difesa territoriale dei territori
dell'Impero.
Le azioni belliche di Augusto sono divisibili in tre diversi tipi: un primo
finalizzato al ristabilimento dell'ordine interno, in special modo laddove
siano presenti ormai da tempo semi di rivolta contro l'autorità centrale (è
il caso ad esempio della Spagna); un secondo tipo finalizzato invece a
rinsaldare la sicurezza dei territori imperiali con azioni di natura
militare nei territori di confine, azioni che spesso si concludono inoltre
con nuove acquisizioni (come ad esempio la conquista della Rezia e del
Norico e, nei territori danubiani, della Pannonia); e infine un terzo tipo,
che viene portato avanti più per motivi di prestigio e di propaganda che non
di difesa (ne sono un esempio le guerre contro i Parti o contro le tribù
germaniche).
Queste ultime, conclusesi fondamentalmente con un fallimento (seppure
dissimulato dalla propaganda augustea, che domina l'Impero e ne costituisce
in più un notevole fattore di unificazione), sono in realtà quelle di minore
importanza.
Gli altri conflitti si concluderanno invece positivamente e contribuiranno
quindi a rafforzare effettivamente la compagine imperiale.
Le campagne militari di Augusto sono:
- la campagna di Spagna, volta a estirpare i semi di rivolta che vi
aleggiano fin dai tempi di Pompeo (Ottaviano combatte qui una guerra
lunghissima e logorante, che durerà fino al 19 a.C.);
- la campagna nel Nord Europa, combattuta nella zona alpina, per la
sicurezza della penisola italiana, conclusa nel 15 d.C. con l'annessione di
Rezia e Norico per mano di Druso e Tiberio;
- la campagna nell'Oriente danubiano, terminata nel 9 a.C. con l'occupazione
della Pannonia;
- infine le campagne (decisamente più lunghe e impegnative, e i cui esiti
sono essenzialmente negativi) contro Germani e Parti.
Le guerre contro le tribù germaniche hanno inizio nel 10 a.C. e vengono
combattute a più riprese. Ma i continui insuccessi e i rari e precari
episodi positivi convinceranno la classe dirigente di Roma della necessità
di frenare la spinta espansiva verso il nord: dal 9 d.C. circa, in
concomitanza con una rivolta in Pannonia, diverrà chiaro infatti come tali
guerre di logoramento costino troppo all'Impero (le cui risorse non sono per
altro illimitate).
Da tale data in poi, quindi, le guerre contro i popoli germanici saranno
intese più che altro come guerre di contenimento, nonostante la propaganda
imperiale si sforzi di farle apparire come atti di conquista.
L'altro grande conflitto in atto riguarda poi i territori partici. L'Impero
dei Parti è la sola realtà antagonistica che Roma conosca. Anche per questo
è costante il motivo della lotta contro di essa. Come noto, Marco Antonio
era arrivato nelle sue campagne a formare uno stato cuscinetto, l'Armenia,
ma non ad attaccare direttamente la potenza nemica.
La soluzione di Ottaviano e dei suoi generali non si distanzierà molto in
realtà da quella del loro predecessore. Nonostante i ripetuti tentativi di
assoggettare l'Armenia, essi riusciranno al massimo a insediarvi dei sovrani
(come Filarete II e IV) di orientamento filoromano, e il cui dominio per
altro non avrà mai vita né facile né lunga.
Inoltre, nel 4 d. C. l'erede designato di Augusto, il figlio adottivo Gaio,
morirà proprio in uno scontro con elementi filopartici.
Anche in questo settore dunque, Roma si vedrà costretta a rinunciare alle
proprie mire espansionistiche (e ciò, di nuovo, avverrà in modo non
conclamato).
I veri successi di Ottaviano riguardano dunque, fondamentalmente, le azioni
di consolidamento territoriale (talvolta comprendenti anche l'annessione di
nuovi territori, come Pannonia e Rezia) di quel vasto Impero da lui ricevuto
in eredità dai suoi predecessori, ma non certamente le azioni espansive.
3. La questione della successione imperiale
Un problema che percorre tutta la vicenda di Ottaviano, almeno da che egli
diviene princeps e Augusto (e che si ripresenterà spesso nella storia a
venire), è quello della successione.
Non essendo infatti ufficialmente imperatore, egli non ha nemmeno diritto
legalmente a designare un successore. Tuttavia, trasferendo i propri poteri
nelle mani di qualcuno, può fare in modo che, alla propria morte, questi si
trovi virtualmente in una situazione identica alla sua.
Si è visto inoltre come, in Roma, la soluzione imperiale sia quella
nettamente prevalente, nonostante si tenga a conservare una facciata
repubblicana. Non dovrebbe perciò essere difficile per l'Imperatore
predisporre la propria successione.
Il vero ostacolo a tale impresa sarà costituito tuttavia dalle molte guerre,
che causeranno la morte di tutti gli eredi putativi di Ottaviano, a partire
da Gaio per arrivare a Lucio e ad Agrippa (quest'ultimo da sempre uno degli
uomini di spicco del suo regime).
La loro morte, assieme agli scandali che coinvolgeranno la figlia Giulia (e
successivamente anche la nipote Giulia Minore) allontaneranno e renderanno
sempre meno praticabile la soluzione familiare e dinastica, che egli ha
progettato.
Sarà infatti Tiberio alla fine - uno dei suoi più validi generali - a
ricevere dallo stesso Augusto (anche se per motivi di mera necessità
politica, non per scelta) i poteri imperiali, nel 13 d.C.
In tal modo l'Impero passerà nelle mani di un'altra famiglia di nobili
romani: la dinastia Claudia.
L'instaurazione nel 14 (alla morte di Ottaviano) di un nuovo sovrano, sarà
segnata subito dall'eliminazione dei molti rivali nella successione al
trono; e prima di tutto a morire sarà Agrippa Postumo, il figlio (a sua
volta candidato alla successione) del primo Agrippa.
L'Imperatore e la sua corte sono realtà troppo ambite perché vi si rinunci
facilmente. Inizia difatti una lotta spietata per la conquista delle cariche
più prestigiose dell'Impero, lotta che è già di per sé il segno di quella
nuova temperie - assolutistica, appunto - che cova sotto l'immagine
illusoria dell'antica Repubblica.
CONCLUSIONI
Merito e abilità fondamentale di Ottaviano, subito dopo la proclamazione a
Imperatore e Augusto, è l'aver avuto la capacità di comprendere lucidamente
da una parte le reali esigenze (tanto quelle organizzative e istituzionali
quanto quelle militari) della compagine romana, dall'altra quella di essere
stato capace di rispettare le apparenze repubblicane, conservando così
l'approvazione dei ceti più tradizionalisti e del Senato.
In una tale ottica si giustificano la scelta di non estendere ulteriormente
(e significativamente) i confini imperiali, come quella di cercare di creare
un nuovo apparato istituzionale (pur il più possibile 'mascherato' sotto le
vesti dell'antico ordine) che abbia un raggio d'azione molto più vasto di
quello repubblicano e sanzioni a livello politico e burocratico l'esistenza
consolidata dei poteri clientelari del princeps.
Il consolato di Augusto, inoltre, prefigura chiaramente molti dei futuri
problemi dell'Impero: primo tra tutti quello della successione e della corsa
sfrenata al potere da parte dei generali e dei potentiores dell'Impero; ma
anche i problemi di carattere finanziario e quelli inerenti la gestione
degli apparati imperiali.
LA LOTTA TRA OTTAVIANO ED ANTONIO
GLI ULTIMI ANNI DELLA RES-PUBLICA ROMANA
Premessa
Come abbiamo già osservato, il potere nelle mani dei congiurati che hanno
ucciso Cesare è in realtà inesistente: essi difatti non hanno agito alla
luce di un programma organico di riforma politico-istituzionale, ma soltanto
per un aleatorio desiderio di ritorno al passato.
Non hanno compreso insomma come la soluzione imperiale non sia solo frutto
dell'ambizione personale di alcuni individui isolati, bensì oramai una
necessità imprescindibile per la perpetuazione stessa della potenza romana.
Anche il Senato - in nome del quale essi hanno agito - ha infatti preso
definitivamente atto degli avvenuti cambiamenti strutturali, e per tale
ragione non riconosce alcuna legittimità alla loro azione.
Piuttosto la morte violenta di Cesare pone in anticipo un problema che si
sarebbe comunque dovuto affrontare negli anni successivi: ovvero quello
della sua successione.
Da tale questione scaturirà l'ultima guerra civile, che vedrà come
contendenti gli eserciti di Ottaviano e quelli di Marco Antonio.
Ma chi sono questi due personaggi?
Il primo è un giovane ma già affermato politico d'orientamento cesariano, il
principale candidato - almeno fino all'entrata in scena del suo rivale Gneo
Ottavio - alla successione dell'anziano generale.
Gneo Ottavio invece (il futuro Ottaviano), ancora più giovane del primo, è
colui a cui Cesare ha affidato, con l'adozione, l'eredità dei suoi titoli e
del suo ruolo istituzionale.
Mentre Ottaviano fonderà il proprio potere sui domini occidentali dell'Impero,
Marco Antonio porrà invece le basi del suo nelle regioni orientali.
Tra le altre cose questa guerra, che verrà vinta - come tutti sanno - dall'Occidente
di Ottaviano (colui al quale il Senato conferirà la carica di 'Augusto',
carica con la quale d'ora in avanti saranno designati tutti gli imperatori),
mostra chiaramente quale e quanta sia l'irrequietezza dei domini orientali
(sia ellenici che asiatici) nei confronti della sovranità dei popoli europei
occidentali.
Gli Stati di tali zone infatti, già formati - a differenza delle regioni
galliche o ispaniche - sotto tutti i profili anche prima dell'arrivo dei
romani, in quanto portatori di tradizioni plurimillenarie [si ricordi a tale
proposito come i primi imperi e le prime organizzazioni politiche nascano
proprio in Oriente], mal sopportano la dominazione di una potenza estranea
che impone concezioni e metodi di governo estremamente distanti dalle loro.
A - L'ascesa di Marco Antonio e di Ottaviano
Alla morte di Cesare (44), un politico d'orientamento cesariano di nome
Marco Antonio, che in quell'anno riveste la carica consolare, cerca - non
senza successo - di prendere in mano la situazione di disordine venutasi
improvvisamente a creare, colmando il vuoto di potere lasciato dall'anziano
generale.
Impugnando il testamento dello stesso Cesare, che egli ha ottenuto dalla
moglie di quest'ultimo, Calpurnia, propone ai congiurati (i quali si trovano
isolati, privi anche dell'approvazione del Senato) un compromesso
estremamente accettabile: la ratifica delle volontà dell'imperatore e la
riabilitazione pubblica della sua figura.
Perché accettabile? Perché, essendo i congiurati tutti molto vicini alla
propria vittima, le volontà di quest'ultima sono - paradossalmente - ad essi
largamente favorevoli.
Sulla base di tale documento si assegnano a Bruto la Macedonia e la Gallia
(cisalpina e transalpina), e a Cassio (l'altro grande congiurato) la Siria.
Contemporaneamente Marco Antonio, approfittando della situazione di
disorientamento politico, lavora per formare quella vasta rete di clientele
politiche che lo porteranno alla ribalta della vita politica romana.
Ma il testamento di Cesare chiama in causa anche un personaggio del tutto
nuovo: suo nipote Gneo Ottavio (il futuro Ottaviano) allora diciottenne, il
quale vi è designato come figlio adottivo, quindi come erede e successore.
Il giovane Ottavio, che si trova in Oriente per ragioni di studio, tornando
a Roma e prendendo il nome di "Gaio Giulio Cesare Ottaviano", dimostra di
accettare l'incarico politico che il testamento gli assegna.
Dei due protagonisti della politica dei prossimi anni, la cui rivalità
determinerà - attraverso la guerra - la nascita dell'Impero vero e proprio,
solo uno è quindi fin dall'inizio un personaggio di pubblico dominio.
Entrambi 'cesariani' poi, se l'uno ha il vantaggio di essere un politico già
affermato, l'altro ha invece il privilegio di essere l'erede designato di
Cesare.
Anche questo secondo scontro per il potere si svolgerà inoltre sullo sfondo
della debolezza del Senato, il quale - impotente ad arginare l'ascesa dei
due rivali - finirà per porsi sotto l'ala protettrice dell'uno, Ottaviano,
contro l'altro.
Con grande acutezza politica, Ottaviano ha infatti pensato da subito a
formarsi una vasta e sicura base di consenso politico, presentandosi ai
senatori come il paladino delle istituzioni e delle tradizioni romane
(conquistando in questo modo per esempio, la fiducia di Cicerone), e al
popolo invece come l'erede politico di suo zio, figura da questo venerata al
pari di una divinità.
Ma l'appoggio dei ceti popolari e senatori non basta più a governare l'impero:
il vero mezzo di dominio è difatti costituito oramai dall'esercito.
Ottaviano, che lo sa, se ne crea velocemente uno reclutandone i soldati tra
i veterani di Cesare, estremamente preoccupati all'idea di non ricevere
dallo Stato le terre che spettano loro per diritto.
Ma anche Antonio sta lavorando per estendere la propria sfera d'influenza
politica.
Nel 43 egli tenta infatti di impadronirsi della Gallia cisalpina, regione
che egli stesso ha precedentemente assegnato a Bruto. Riuscito nell'impresa,
egli verrà tuttavia a propria volta sconfitto presso Modena da Ottaviano,
agente peraltro su incarico del Senato.
I due schieramenti si sono quindi ormai definitivamente costituiti: da una
parte vi è Cesare Ottaviano, che con l'appoggio e il consenso della nobiltà
comanda a Occidente; dall'altra vi è invece Marco Antonio, i cui domini e le
cui aree di influenza finiscono inevitabilmente per situarsi a Oriente.
La guerra civile potrebbe forse esplodere già in questi anni, se nell'immediato
non ci fossero dei problemi estremamente urgenti, che si possono affrontare
e risolvere solamente attraverso una 'collaborazione tra nemici'.
B - Il periodo del secondo Triumvirato
Alla base del secondo Triumvirato - un accordo analogo a quello stipulato
nel 59 da Cesare Crasso e Pompeo, anche se contrariamente al primo
riconosciuto anche ufficialmente come dittatura collegiale - vi sono due
differenti ordini di problemi:
- da una parte vi è il fatto che gli eserciti di Ottaviano, Lepido e
Antonio, i tre nuovi Triumviri, stentino a combattersi tra loro (cosa che,
pur potendo apparire paradossale, è dovuta a ragioni affettive: tutti e tre
infatti sono eserciti cesariani, e come tali si sentono affratellati);
- e dall'altra vi sono delle difficoltà di natura organizzativa, ovvero la
necessità di combattere contro nemici comuni la cui presenza ostacola il
predominio politico dei triumviri.
Nel 43, l'anno in cui Marco Antonio, Ottaviano e Lepido (quest'ultimo
personaggio di secondo piano, in una posizione simile a quella sostenuta da
Crasso nel precedente Triumvirato) stringono il loro accordo, sono questi i
motivi essenziali di preoccupazione:
- la presenza di Bruto e Cassio, con i rispettivi eserciti, nei Balcani;
- il fenomeno della pirateria mediterranea, guidata da Sesto Pompeo, figlio
di Pompeo Magno;
- infine, la presenza in Roma di figure politicamente ostili, che
costituiscono un elemento di disturbo per l'ascesa politica dei triumviri.
Quest'ultimo problema viene affrontato e risolto varando delle liste di
proscrizione - simili peraltro a quelle formulate da Silla nel periodo della
propria dittatura - che mieteranno moltissime vittime. (Tra le quali compare
lo stesso Cicerone, nemico personale di Marco Antonio, in quanto strenuo
difensore delle prerogative senatorie).
Quanto a Cassio e a Bruto, essi verranno eliminati dall'esercito di Marco
Antonio nel 42, nelle due celebri battaglie presso Filippi: una guerra,
quella contro i congiurati, al termine della quale i Triumviri procederanno
alla spartizione dei territori dell'Impero: a Marco Antonio andranno le zone
asiatiche; a Ottaviano quelle occidentali (l'Italia e la Spagna); a Lepido
infine quelle africane.
Ma sarà la lotta contro Sesto Pompeo a costituire l'ostacolo più grande,
richiedendo per essere portata a termine molto tempo e molti tentativi. E
sarà proprio il persistere di un tale problema a determinare il rinnovo dell'accordo
tra Antonio e Ottaviano, nel 37, sotto l'egida di Ottavia (sorella del
secondo e moglie del primo).
Sesto Pompeo uscirà infine sconfitto nella battaglia di Nauloco (in Sicilia)
nel 36, ad opera delle truppe guidate da Ottaviano e da Agrippa.
Dopo la sconfitta dei nemici comuni, si vanno dunque formando sempre più
chiaramente due blocchi contrapposti, che presto o tardi finiranno per
conflagrare: quello europeo e occidentale di Ottaviano, e quello orientale e
asiatico di Marco Antonio.
C - La guerra tra Oriente e Occidente
Per comprendere meglio le fasi della vicenda storica descritta qui di
seguito, è parso opportuno dividere quest'ultima in quattro differenti
sottoparagrafi: uno riguardante le fasi precedenti il conflitto; un altro
sul fenomeno della propaganda politica e culturale, largamente diffusa a
Roma e nelle regioni occidentali, in favore di Ottaviano; uno sulla guerra
vera e propria tra Ottaviano e Antonio; ed un ultimo infine sulla figura
politica e umana di Cleopatra, regina d'Egitto.
a) I problemi interni ai due blocchi
Sia Ottaviano che Marco Antonio debbono affrontare proprio in questi anni -
oltre a guerre e difficoltà comuni - anche problemi legati più
specificamente ai propri domini e alle proprie aree di influenza.
Se nella zone orientali è sempre vivo il problema dei Parti (il popolo
contro il quale Cesare si accingeva a combattere, e contro cui sarebbe
dovuto partire da Roma il giorno stesso del suo assassinio); in quelle
occidentali Ottaviano si scontra invece col problema costituito
dall'assegnazione delle terre ai veterani del suo esercito, un provvedimento
che suscita l'opposizione di alcuni influenti personaggi politici romani.
Il problema dei Parti, già costato precedentemente la vita a Licino Crasso
nella battaglia di Carre del 53, occuperà Marco Antonio tra il 39 e il 38.
L'azione militare di quest'ultimo si concluderà con l'annessione
dell'Armenia, una regione-cuscinetto tra le aree ellenistiche e romane e
quelle partiche.
Poco dopo aver rinnovato il trattato triumvirale, nel 37, questi inizia
inoltre un avvicinamento politico a Cleopatra, la regina d'Egitto, con la
quale organizza una confederazione di stati asiatici, alla cui testa si pone
appunto l'Egitto, che ha come scopo quello di rivendicare maggiori diritti
all'interno della compagine imperiale romana per le zone orientali.
Una delle ragioni - come si è già accennato e come si vedrà meglio avanti -
di tale ribellione, è l'insofferenza degli stati asiatici nei confronti del
giogo romano: tali stati difatti non possono facilmente essere assimilati,
quanto a prassi di governo, a quelli occidentali (sia romani, sia più in
generale europei), dal momento che troppo forte è la differenza tra le due
aree politiche sul piano delle tradizioni, della mentalità e delle strutture
istituzionali.
All'incirca negli stessi anni poi, Ottaviano si trova in notevoli difficoltà
nelle zone occidentali, a causa di un provvedimento da lui preso per
l'assegnazione delle terre ai veterani del suo esercito.
Come si è visto, una delle carte maggiormente sfruttate da parte sua al fine
di reclutare i componenti delle proprie milizie, era stata la promessa delle
terre a quei veterani cesariani che - temendo di essere privati, alla fine
della carriera militare, dell'attribuzione dovuta dei propri lotti di
terra - erano entrati a fare parte del suo esercito personale. Per tale
ragione, egli non può ora certo tirarsi indietro.
Tuttavia il suo provvedimento (al pari di tutte le distribuzioni di beni a
categorie privilegiate) muove a Roma le ire e le proteste di molti, i quali
lo accusano di parzialità e favoritismi.
Tali critiche vengono poi strumentalizzate dagli esponenti del partito di
Marco Antonio, guidato in Roma dal fratello di quest'ultimo, Lucio Antonio,
e da sua moglie Fulvia. Dopo un periodo di guerra, i due verranno tuttavia
assediati e sconfitti nella battaglia di Perugia, nel 40.
b) Il 'mecenatismo' di Ottaviano
Un altro fenomeno interessante di questi anni è la propaganda promossa da
Ottaviano e dagli ambienti politici e culturali a lui vicini, in favore del
predominio sull'Impero delle zone occidentali.
A capo di essa si pone un certo Mecenate, il quale - riunita attorno a sé
una vasta schiera di intellettuali e poeti, tra i quali compaiono anche
Virgilio e Orazio - crea una solida base di consenso politico e ideologico
alla lotta, sostenuta da Ottaviano e dal Senato, per la conquista del potere
contro i propri rivali orientali.
Motivi principali di una tale campagna etnico-culturale saranno tra l'altro:
il ritorno alle tradizioni (agricole) degli avi, il rifiuto della cultura
orientale (con i suoi inganni e le sue esotiche seduzioni, impersonate in
questi anni da Cleopatra, ammaliatrice di Marco Antonio) e il rispetto e la
venerazione per i valori e per le antiche tradizioni repubblicane di Roma.
Proprio quest'ultimo punto inoltre, ci fa capire qualcosa: Ottaviano (che
pure sarà innegabilmente il primo imperatore a tutti gli effetti della
storia romana) non si pone come uno scardinatore delle antiche istituzioni
romane e repubblicane, bensì al contrario come il difensore e il prosecutore
di queste ultime - seppure in una nuova forma e in una mutata dimensione
politica.
E' in una tale ottica che si giustifica appunto la sua alleanza con il
Senato, alleanza che è poi uno dei punti cardinali del suo stesso programma
politico.
c) Lo scontro decisivo
Il vero e proprio scontro bellico tra le due parti dell'Impero avviene a
causa delle richieste politiche fatte dalle regioni orientali a quelle
occidentali.
Tali richieste infatti, rivendicanti una maggiore autonomia e un maggior
peso politico per l'Oriente, si scontrano con i presupposti stessi della
dominazione imperialistica di Roma.
Si noti che Roma, attraverso il proprio predominio militare, ha posto le
basi di uno sfruttamento anche economico di queste regioni, già estremamente
depauperate - anche prima di venire sottomesse - da continue guerre
intestine e fratricide. Tuttavia una tale situazione di subalternità -
risvegliandone l'orgoglio - induce queste ultime a cercare un riscatto da
tale degrado.
Proprio per questo, sotto la guida di Antonio e di Cleopatra si forma una
Confederazione di stati orientali (i quali peraltro accettano pur sempre il
legame con l'autorità centrale di Roma), i quali cercano di affermare la
propria indipendenza, se non addirittura il proprio predominio, nei
confronti delle zone occidentali.
Sarà il tardo Impero - con la propria divisione in due zone indipendenti:
una occidentale e l'altra orientale - a vedere effettivamente il trionfo di
questa visione politica: una visione che tuttavia, per il momento,
costituisce ancora una strada impraticabile. Troppo schiaccianti sono
infatti la potenza e la superiorità dell'Occidente e delle sue regioni (più
giovani, meglio organizzate e più ricche) rispetto a quelle orientali!
La guerra tra i due eserciti non viene, difatti, praticamente nemmeno
combattuta.
Il conflitto si divide essenzialmente in due battaglie: la prima combattuta
ad Azio sul mare nel 31, e segnata da una facile vittoria di Ottaviano;
l'altra invece, decisiva, combattuta sulla terra ferma presso Alessandria
nel 30, e vinta di nuovo da Ottaviano.
Al termine della seconda battaglia Antonio, ormai privo di vie di salvezza,
si toglierà la vita, seguito subito dopo da Cleopatra.
In tal modo anche l'Egitto, unica regione asiatica rimasta fino ad allora
formalmente indipendente - sebbene già orbitante attorno a Roma - diverrà
ufficialmente una provincia romana, mentre, con tale acquisizione, l'Impero
giungerà a ricomprendere al suo interno tutte le regioni civilizzate allora
conosciute: sia in Europa, sia in Africa, sia in Asia (con l'eccezione delle
lontane regioni dell'Impero dei Parti).
d) Cleopatra: i problemi sollevati dalla sua vita e dalla sua morte
Quella di Cleopatra è una figura storica quasi leggendaria, non solo perché
dell'Egitto di questi anni ci rimangono pochissime notizie, ma anche per la
difficoltà da sempre incontrata dagli storici nell'interpretarne la vita e
le azioni.
Se da un lato se ne può dare una interpretazione 'romantica' o sentimentale,
che ruota attorno ai suoi amori e alla sua tragica fine, dall'altro si può
però anche tentare di dare una spiegazione più realistica e meno poetica dei
fatti.
Il suo corteggiare i grandi condottieri romani potrebbe essere infatti
interpretato come espressione di un'ansia legata, più che a un desiderio di
potere personale, alla volontà di restituire prestigio e lustro alla sua
nazione, l'Egitto (e in generale all'Oriente), con le sue millenarie
tradizioni e con i suoi splendori.
Anche se - per le ragioni di cui si è appena parlato - un tale tentativo
fallisce miseramente (non producendo anzi come risultato che di accelerare
il processo di sottomissione e di acquisizione, da parte di Roma, delle
regioni orientali rimaste fino ad allora indipendenti) resta il fatto che la
missione che la regina si è quasi sicuramente posta, consiste nel
riguadagnare alla propria nazione il posto di preminenza che - a suo modo di
vedere - le spetta per l'antichità e la nobiltà della sua storia e delle sue
tradizioni.
Persino la sua morte apre poi degli scottanti interrogativi: il suo stesso
suicidio infatti è passibile di una precisa spiegazione politica e
strategica.
Qualora difatti ella si fosse arresa di fronte al nemico, avrebbe (secondo
la tradizione egizia) reso lecito a questi dichiararsi l'erede a tutti gli
effetti della sua regalità.
Ma nel momento stesso invece in cui ella si toglie la vita sfuggendo alla
cattura, preclude a Ottaviano ogni possibilità di decretare una propria
successione dinastica.
E in un paese come l'Egitto (la cui amministrazione è profondamente legata a
presupposti dinastici di natura religiosa, avendo una tale monarchia un
carattere divino) una dominazione iniziata sotto tali auspici di
illegittimità non pone di certo le basi per un fruttuoso rapporto tra
dominatori e dominati!
3.1. La nuova Roma di Augusto (guarda lo schema dei poteri di Augusto)
Dopo la battaglia di Azio, Ottaviano può già considerarsi l'uomo più potente
di tutto l'Impero: egli sa infatti di essere prossimo a ereditare tutti i
domini e gli strumenti di potere (tra i quali vi sono, in primo luogo, gli
eserciti) del proprio avversario, l'unico che possa competere con lui per
ricchezza e per influenza politica.
Anche Ottaviano - come già Cesare prima di lui - si trova quindi nella
spiacevole situazione di dover giustificare i propri poteri reali agli occhi
del Senato e nell'ottica delle tradizioni repubblicane.
Enorme è difatti il divario tra i poteri che egli effettivamente assomma
nella propria persona, e le cariche di cui attualmente è portatore: allo
scadere del mandato triumvirale, egli ha infatti perduto anche quest'ultima
prestigiosa carica costituzionale.
Tuttavia, ciò non costituirà per lui un grave problema. Il Senato infatti,
ormai in una posizione di volontaria sottomissione, gli faciliterà di molto
il compito, conferendogli - tra le altre cose - anche il titolo di
'Augusto'.
La prima azione politica di Ottaviano dopo il 30 sarà la distribuzione delle
terre ai veterani del proprio esercito, compiuta tuttavia a spese
dell'Egitto (regione ricchissima d'oro, e appena sottomessa) anzichè dei
nobili romani, coi quali ha stretto una duratura alleanza, sia politica sia
ideologica.
Il passaggio all'Impero verrà poi portato avanti nel modo più 'indolore'
possibile: ovvero attraverso il rispetto formale delle istituzioni
repubblicane (soltanto con il tempo gli Imperatori si libereranno difatti
dall'opprimente vincolo delle tradizioni patrie).
Ufficialmente, a partire dal 23, Augusto riveste solo due cariche - cui se
ne aggiungeranno successivamente altre -, ossia il comando proconsolare
sulle province romane (e sui loro eserciti), e la potestà tribunizia sulla
città di Roma (una carica che in passato era stata assegnata anche a Cesare,
e che dà a chi la detiene la possibilità di convocare le Assemblee, proporre
le leggi e esercitare il diritto di veto: in pratica il controllo stesso
della vita politica della città).
Inoltre, se in Occidente Ottaviano Augusto cercherà di evitare la diffusione
del culto della propria persona (preferendogli quello dello Stato: si pensi
all'Eneide di Virgilio, che celebra l'eterna gloria di Roma); nelle regioni
orientali invece - nelle quali esso entra decisamente più in sintonia con la
tradizione dell'assolutismo politico - egli farà in modo che un tale culto
si diffonda e venga ampiamente praticato
Ma per quale ragione è tanto sentita (e praticata) l'esigenza di un potere
supremo, ovvero di un potere imperiale?
Il motivo principale (oltre al fatto che Ottaviano possieda le leve ormai
fondamentali del comando: vale a dire gli eserciti, l'approvazione e il
sostegno politico dei ceti finanziari e mercantili - in realtà poco legati,
nonostante le apparenze, alle tradizioni repubblicane - e quello delle masse
popolari) sta nella vastità stessa dell'Impero.
Tale caratteristica infatti - per la quale esso assomma al proprio interno
una miriade di differenti culture, tradizioni politiche e religiose,
disposizioni, eserciti e in generale interessi particolaristici (si pensi,
soltanto nella città di Roma, al dissidio politico tra i cavalieri e la
nobiltà fondiaria) - rende estremamente viva l'esigenza di un'autorità che
si collochi 'super partes', e che sia quindi capace di operare una
mediazione tra i diversi punti di vista, spesso davvero inconciliabili tra
loro.
In questo senso si crea, a partire da questi anni, una latente separazione
tra la sfera più genericamente economica e quella più propriamente politica.
Lo Stato infatti (e in primis l'Imperatore, ovvero il suo vertice) si pone
su un piano differente rispetto alle parti sociali che lo compongono, un
piano che solo gli permette di trovare l'equilibrio necessario a porre in
atto tale opera di mediazione.
Da questo punto di vista, l'Impero romano si avvicina dunque, facendola
propria, alla tradizione politica degli assolutismi orientali.
Come in Oriente - ad esempio in Egitto - vi è un Faraone (o chi per esso)
che attraverso il proprio potere assoluto tiene a freno i vari
particolarismi locali, nell'Impero romano vi è invece un Augusto capace di
arbitrare, almeno in un certo grado, i conflitti ideologici e d'interesse
che si instaurano tra le differenti classi sociali e le diverse aree
geografiche e culturali.
Non bisogna però ignorare neanche come, tra queste due diverse aree
geo-politiche, sussistano delle differenze molto profonde: mentre infatti in
Oriente un tale tipo di governo è dovuto alla notevole arretratezza di
sviluppo delle forze produttive (arretratezza che ha impedito la formazione
delle classi sociali, ovvero il superamento di uno Stato basato ancora sulle
caste); in Occidente, al contrario, una tale soluzione -quella imperiale - è
il risultato della tensione esasperata tra tali classi, e della conseguente
esigenza di porre in atto a livello politico una conciliazione o una
pacificazione tra esse.
Alla morte di Ottaviano Augusto (nel 14 d.C.) non vi sarà bisogno di lotte o
di rivoluzioni interne perché i poteri di quest'ultimo (in pratica la carica
imperiale) vengano trasferiti ad un successore, nella persona di Tiberio.
Ciò è segno del fatto che - nonostante il rispetto pubblicamente ostentato
per l'antica Res-publica - quest'ultima è oramai definitivamente morta: e
prima che nelle istituzioni, essa è morta nella mente stessa dei romani!
CONCLUSIONI (77-30 a.C.)
Se nel periodo di Mario e di Silla abbiamo assistito al diffondersi e
all'affermarsi dei poteri personalistici e militari contro la supremazia di
quelli (più antichi, ma ormai obsoleti) cittadini e repubblicani, in questo
secondo periodo assistiamo invece alla definitiva affermazione dei primi sui
secondi, secondo una parabola storica che culminerà - dopo la vittoria di
Ottaviano su Marco Antonio, nel 30 - con il trionfo pressoché esplicito
della soluzione monarchica su quella repubblicana. (E ciò nonostante una
tale trasformazione avvenga ufficialmente con il 'beneplacito' del Senato, e
nell'ottica di un prolungamento delle antiche tradizioni e istituzioni
repubblicane occidentali!)
Si è visto poi come la ragione di questa rivoluzione si trovi essenzialmente
nell'incapacità di fatto dei vecchi istituti cittadini e nobiliari a
governare la nuova realtà - sia territoriale sia sociale - dell'Impero.
Per tale motivo, dovranno piegarsi alla necessità di un tale cambiamento
anche quelle realtà che avevano precedentemente tentato di ostacolarne la
realizzazione, ossia la nobiltà terriera romano-italica e la sua istituzione
guida, il Senato - realtà che vedranno inoltre, nei prossimi decenni, un
potente ridimensionamento dei loro antichi privilegi politici e
amministrativi.
Assistiamo infine, al termine questi anni, alle prime frizioni tra le
regioni dominatrici d'Occidente e quelle dominate d'Oriente (portatrici di
più antiche tradizioni, e come tali estremamente riottose a piegarsi al
giogo di una potenza estranea).
A capo di una tale volontà di riscatto si porranno l'Egitto di Cleopatra e
la figura 'internazionale' di Marco Antonio, la sconfitta dei quali tuttavia
non porrà certo fine alle spinte indipendentiste delle regioni asiatiche!
LA CONGIURA DEL 22 a.C.
A sorpresa, il 26 giugno del 23 a.C. Ottaviano depose la sua alta carica di
console per tornare a vita privata, dopo otto anni di carriera prestigiosa
in cui aveva distrutto l'astro nascente, Antonio, e si era impadronito dei
poteri civili e militari diventando il principe.
Al fine di dimostrare le sue buone intenzioni nei confronti del senato e
della repubblica, scelse addirittura un sostituito ad hoc: Lucio Sestio, un
entusiasta seguace del cesaricida Bruto.
In realtà tutto questo era solo una messinscena ben studiata, il cui scopo
era quello non di diminuire ma piuttosto di aumentare i propri poteri.
E infatti per la seconda volta, dopo il 27 a.C., il senato gli conferì
poteri tali da poter governare come un vero e proprio monarca: anzitutto,
pur non essendo un tribuno della plebe (carica che un patrizio non poteva
detenere) ne aveva ugualmente i medesimi poteri; in secondo luogo il senato
gli consentiva di portare dinanzi alla curia qualsiasi mozione; in terzo
luogo l'imperio pro-consolare, che aveva detenuto per dieci anni, fu
trasformato in maius e a tempo indeterminato (il che in sostanza voleva dire
che il principe poteva governare anche sulle province affidate ad altri
proconsoli e poteva disporre di tutte le legioni dell'impero).
Ma come poteva Ottaviano essere sicuro di questo incredibile successo? Il
motivo è relativamente semplice: nel 28 a.C. egli aveva provveduto a epurare
il senato di tutti gli elementi che avrebbero potuto ostacolarlo, sfruttando
il pretesto del sovrannumero e soprattutto della immoralità di diversi
senatori.
Lo appoggiarono nettamente tutti i seguaci di Antonio, di Bruto e di Cassio
volutamente risparmiati da lui; la consistente maggioranza dei cesariani; la
classe dei cavalieri; i figli dei liberti, che già sotto Cesare avevano
avuto la possibilità di migliorare il loro status sociale.
Ottaviano aveva designato come suo successore il nipote e figlio adottivo
Claudio Marcello, figlio di Ottavia, sorella dello stesso Ottaviano. Nel 24
a.C. lo aveva già nominato pontefice e gli aveva dato il diritto di sedere
in senato tra i pretori, dopodiché sarebbe dovuto diventare edile e console
dieci anni prima dell'età richiesta.
Tale cumulo di onori era in contrasto con l'iter regolare di un cittadino
non raccomandato, che poteva diventare questore a 25 anni, pretore a 30 e
console a 35. Un nepotismo così smaccato sacrificava le libere elezioni dei
magistrati che avvenivano nelle assemblee popolari. E' probabile che proprio
a queste ragioni si colleghi l'improvvisa morte di Marcello alla fine del 23
a.C.
Non a caso i nemici di Augusto pensarono che quello fosse il momento
opportuno per eliminare anche lui e restaurare realmente la repubblica.
La congiura del 22 a.C. però fu sventata da un delatore di nome Castricio,
liberto di Augusto, che fece i nomi di Fannio Cepione e Lucio Terenzio
Varrone Licinio Murena, entrambi con un albero genealogico di tutto
rispetto.
Essi erano i rappresentanti dell'aristocrazia, cioè di quella classe che
Augusto stava sempre più allontanando dall'amministrazione statale.
Il ruolo della nobiltà era irreversibilmente in declino perché non
esistevano più continue guerre in cui si potevano accumulare grandi fortune
in terre e schiavi. Diminuivano le occasioni di assumere comandi militari
importanti, giacché questi venivano assegnati generalmente a parenti di
Augusto o a persone di particolare fiducia.
Gli uomini nuovi erano da tempo diventati i "cavalieri", cioè la classe
imprenditoriale, commerciale, la borghesia di allora, nonché i liberti
dotati di capacità intellettuali, organizzative, manageriali...
Condannati in contumacia da un regolare processo alla pena capitale, Cepione
e Murena furono trovati e giustiziati sul posto. Infatti dovere del
magistrato e anche di un cittadino privato era quello di eseguire ovunque si
trovasse la sentenza emessa, a eccezione dei casi in cui i condannati
risiedessero già in un altro Stato e avessero preso un'altra cittadinanza:
in questo caso il loro status era quello di esiliati e non potevano far
ritorno in patria.
L'accoglienza nelle città scelte per l'esilio (anticamente erano alcune
città del Lazio) dava all'esule il diritto di prenderne la cittadinanza,
rinunciando però a quella romana. Poiché in seguito alla guerra sociale del
90 a.C. la cittadinanza era stata estesa a tutte le città italiche e tutta
l'Italia era diventata ager romanus, i condannati a morte non avevano altra
possibilità che andare in Gallia, in Grecia o in Asia.
Astutamente Ottaviano fece in modo di affrettare il più possibile il
processo, in modo di assicurarsi che l'eliminazione dei congiurati avvenisse
sul territorio italico.
DINASTIA GIULIO CLAUDIA
DA TIBERIO A NERONE
- La difficile mediazione
Già Augusto, il primo imperatore, aveva compreso come compito del princeps
non fosse quello di sopraffare - attraverso i propri poteri straordinari -
le forze politiche e gli interessi particolaristici interni all'impero,
bensì al contrario di porre in atto un'opera di mediazione tra tali forze e
tali interessi, al fine di rafforzare la coesione politica della compagine
imperiale.
La vicenda dei quattro imperatori successivi - appartenenti tutti alla
dinastia Giulio Claudia - non farà che ribadire un tale principio.
Sarà proprio a causa della mancata mediazione tra tali forze infatti, che i
due più giovani imperatori, Caligola e Nerone, falliranno nella propria
missione politica. E sarà sempre sul piano della mediazione che - al
contrario - sia Tiberio che Claudio consolideranno il proprio principato,
grazie alla capacità di tenere insieme e conciliare i differenti aspetti
della vita politica e economica dell'Impero.
Così, se le vicende di Nerone e Caligola (a tutti in qualche modo note,
perché divenute - grazie alla tradizione storicistica senatoria - parte
dell'immaginario collettivo) si concluderanno tragicamente con la morte dei
protagonisti, il bilancio dei principati di Claudio e Tiberio sarà invece
decisamente più positivo.
Entrambi riusciranno infatti a conservare un certo equilibrio e una discreta
stabilità politica all'interno della costruzione imperiale, e con essa anche
l'appoggio dei ceti più influenti (ricorsi in altre situazioni all'arma
della congiura anti-imperiale).
Vediamo adesso quali sono le forze principali all'interno della società
romana, con le quali la stessa autorità del princeps deve fare i conti,
cercando di agire nei loro confronti da mediatore, escogitando spesso (per
così dire) delle soluzioni che evitino l'insorgere di divergenze sia tra di
esse che nei confronti dello Stato, o più semplicemente il prodursi di
ragioni eccessive di scontento:
a) in primo luogo vi sono le classi nobiliari, ovvero quell'aristocrazia
agraria la cui ricchezza (di carattere fondiario) è alla base della
ricchezza stessa dell'Impero.
[Le stesse relazioni commerciali difatti, non potrebbero realmente
sussistere se non vi fosse a monte una realtà produttiva che procura loro
quelle merci che, attraverso le attività mercantili, vengono poi distribuite
tra i territori della compagine imperiale, sia a ovest sia a est. Un tale
soggetto produttore si identifica appunto in massima parte con i latifondi,
realtà largamente fornite sia di schiavi sia dei mezzi necessari per la
produzione e per la lavorazione dei prodotti su larga scala.
Se a ciò si aggiunge il prestigio universale di cui la classe nobiliare e
terriera gode all'interno della società romana, per il fatto di situarsi
all'origine di tutti i suoi successivi sviluppi (e ciò soprattutto per le
zone occidentali, essendo quelle orientali portatrici di una storia e di
tradizioni fondamentalmente differenti e autonome rispetto alle prime) si
capirà facilmente quanta considerazione tale classe possa reclamare anche
dall'autorità del principe.]
b) in secondo luogo troviamo il Senato, quell'istituzione cioè che - per
consolidata tradizione - costituisce l'ossatura stessa dello Stato romano,
oltre che l'elemento fondamentale alla base della sua stabilità e della sua
continuità politica, e che inoltre è - come universalmente noto - il
principale organo che rappresenta gli interessi e le idee della nobiltà
fondiaria (in un primo tempo solo di quella romana, in seguito anche di
quella italica e, infine, in generale di tutto l'impero).
[Le manifestazioni di riguardo verso una tale istituzione avranno quindi
molte e profonde implicazioni: attraverso esse infatti l'Imperatore
dimostrerà anche di portare un profondo rispetto per le tradizioni patrie (e
con esse, per la stessa potenza di Roma), verso la cultura dell'Occidente
latino (in opposizione a quella orientale, che inizia oramai a diffondersi
nelle stesse regioni occidentali), ed infine verso l'autorità - il cui
fondamento non è solo di carattere politico e economico, ma anche
ideologico - della classe nobiliare e fondiaria occidentale: una classe cioè
che si sente ed è molto più antica dell'Imperatore, e che - per tale
ragione - rivendica per sé una fetta di potere notevole, limitando così lo
stesso predominio politico del primo.]
c) in terzo luogo vi sono le province occidentali, essenzialmente Gallia e
Spagna, divenute oramai potenze indipendenti e concorrenti rispetto
all'Italia.
[Quelle che infatti, ancora al tempo di Giulio Cesare, erano solo delle
regioni semi-civilizzate, sono ormai divenute degli organismi politici e
economici estremamente sviluppati, dotati di una propria amministrazione, di
un proprio esercito e spesso anche di una propria identità culturale e
politica. Come tali esse non possono più venire ignorate nelle loro
peculiari esigenze, se non a prezzo di notevoli rischi (come vedremo meglio
quando parleremo di Nerone).]
d) infine, un ultimo elemento con cui l'Imperatore deve confrontarsi sono le
regioni orientali dell'Impero.
[Queste ultime, pur godendo di una forte autonomia rispetto alle zone
occidentali, in ragione sia della propria autonoma tradizione storica che
del successivo inserimento nell'Impero [si badi inoltre che una vera e
propria integrazione tra le due parti non vi sarà mai!], possono mostrarsi
più o meno docili di fronte al giogo della dominazione romana, a seconda di
quanto le loro prerogative culturali e politiche vengano da essa rispettate
e assecondate.
Anch'esse perciò richiedono una gestione oculata, ben conscia della
necessità di tener conto della loro peculiare sensibilità sociale e
politica, scarsamente assimilabile a quella occidentale romana.]
Compito arduo del princeps è dunque quello di 'addomesticare' tutti questi
elementi, tra loro eterogenei e potenzialmente ostili, al fine di non creare
o comunque di non alimentare ulteriormente pericolose situazioni di
conflittualità interna.
Situazioni simili infatti troppo facilmente si rivolterebbero contro di lui,
portando alla sua eliminazione fisica e politica - oltre che alla fine
stessa del suo principato - qualora a causa di esse egli fosse giudicato
inadeguato dai suoi sudditi più influenti ad adempiere il proprio compito
istituzionale.
LA DINASTIA GIULIO-CLAUDIA: DA TIBERIO A NERONE
Storia di Roma nel periodo della dinastia dei Claudii
1) Tiberio, il secondo imperatore (14-31)
Tiberio sale al potere nel 14 d.C., l'anno stesso della morte di Augusto,
del quale è stato uno dei migliori e più famosi generali (il primo, forse,
dopo Agrippa).
Al momento della sua incoronazione egli è già un uomo maturo, capace quindi
di valutare la complessità del ruolo istituzionale che gli viene affidato.
Forse anche a questo si deve imputare la politica prudente e (tutto sommato)
saggia che seguirà.
Fondamentalmente tale politica sarà una continuazione di quella di Augusto,
essendo basata sui seguenti punti:
- il consolidamento dei confini e della pace o sicurezza interna
dell'Impero;
- il rispetto formale (e non solo) del Senato e delle tradizioni politiche
repubblicane;
- una politica attenta a tutte le diverse identità - sia politiche che
culturali - che compongono la stessa compagine romana.
Anche se l'aristocrazia fondiaria non è più l'unica protagonista della vita
sociale dell'Impero, essendo oramai inserita in un processo economico molto
più ampio che la collega alle città (centri di commercio o di smistamento
dei suoi prodotti) e attraverso esse alla realtà globale dell'Impero, tale
classe continua a mantenere un ruolo di prestigio sociale incontrastato.
Ciò si deve essenzialmente a tre fattori:
a) al sentirsi e all'essere portatrice degli antichi valori agrari che
stanno alla base stessa della cultura latina;
b) all'esistenza di antiche forme di potere (quali ad esempio i rapporti
clientelari) radicate da sempre sui territori romani e di molto precedenti a
quelle del princeps;
c) e infine, ovviamente, alla ricchezza economica dei 'latifundia'.
Per tali ragioni le nuove strutture imperiali non sono riuscite a scalzare
del tutto, né a inglobare, ricomprendendoli in se stesse, gli antichi poteri
politici dei nobili latifondisti. E' inevitabile quindi che a questi ultimi
esse debbano prestare molta attenzione.
Questa tendenza si traduce principalmente, sul piano politico, in un
atteggiamento 'morbido' del princeps nei confronti dell'istituzione
senatoria, atteggiamento che costituirà un elemento non secondario di
stabilità a livello politico.
E non è un caso che Tiberio non soltanto si attenga scrupolosamente a tale
principio di ossequio e di rispetto (in gran parte formale) verso il Senato,
ma tenti inoltre - seppure con scarso successo - di risollevare tale
istituzione (oramai troppo assuefatta a lasciarsi imporre decisioni
'dall'alto') anche da un punto di vista morale.
L'ideale che egli cerca insomma di perseguire si basa essenzialmente
sull'idea di una possibile 'concordia' tra il vecchio repubblicano e quello,
appena nato, monarchico!
Sul piano militare Tiberio porterà avanti un programma di consolidamento
territoriale, sostenendo campagne militari in Germania e Armenia (regione
cuscinetto tra Roma e l'Impero partico).
Nel 19 poi si avrà l'annessione della Cappadocia (prima semplice stato
vassallo di Roma, situato sul confine occidentale dell'Armenia) ai confini
dell'Impero.
Nei confronti delle zone orientali, Tiberio spingerà invece per una politica
filellenica, facendo leva su alcuni elementi interni alla propria famiglia
di ispirazione e orientamento antoniani (legati cioè ideologicamente a Marco
Antonio, avversario di Ottaviano e promotore di un movimento di rinascita
politica degli stati asiatici).
Tuttavia una tale politica verrà perseguita solo in quelle zone, tenute ben
distinte da quelle occidentali.
Un altro problema con cui Tiberio dovrà confrontarsi negli ultimi anni del
suo principato sarà una vasta crisi economica che coinvolgerà tutta la
penisola italiana, crisi causata dal recente sviluppo sociale e produttivo
delle province occidentali (in special modo della Gallia) e dalla
conseguente fuga di capitali in tale direzione.
Tra le altre misure prese al fine di contenere tale crisi, egli ridurrà le
spese per le opere pubbliche.
Celebre infine è il volontario esilio nel 27 di Tiberio nella città di
Capri, finalizzato forse a un allontanamento dalla corte imperiale (e dai
molteplici tentativi, da parte dei suoi componenti, di condizionare in varie
direzioni le sue scelte politiche).
Da lì egli governerà l'Impero per alcuni anni: tuttavia - dopo il ritorno a
Roma - sarà costretto a giustiziare più di una persona del suo seguito per
alto tradimento.
Tra tutti, il caso più eclatante è senz'altro quello, nel 31, di Seiano:
uomo d'origine equestre salito fino alla dignità di prefetto dell'esercito
dei pretoriani (cioè l'esercito personale del princeps), colpevole di aver
tentato l'ascesa al trono imperiale a sua insaputa.
L'esperienza di governo di Tiberio può comunque essere valutata
complessivamente in modo positivo.
Egli ha gestito l'Impero in un modo attento alle sue diverse sfaccettature,
basandosi su una politica oculata e prudente, capace di favorire la
convivenza tra le sue più diverse componenti: a partire da quelle senatorie
nobiliari, per giungere a quelle provinciali (tanto occidentali, quanto
orientali).
Con lui inoltre, il processo di consolidamento istituzionale e burocratico
dell'Impero conosce un ulteriore sviluppo.
LA DINASTIA GIULIO-CLAUDIA: DA TIBERIO A NERONE
2) Il dispotismo orientaleggiante di Caligola (37-41)
Il principato di Caligola sarà estremamente breve: la sua durata infatti
sarà di soli quattro anni, dal 37 al 41.
Ciò perchè, come noto, egli cadrà vittima ancora molto giovane di una
congiura di palazzo, una congiura guidata dal Senato e messa in atto dal
capo stesso dei pretoriani, cioè della guardia imperiale.
Ciò che tuttavia rende importante il suo principato, è il fatto che con esso
si inauguri la tradizione dell'assolutismo imperiale, assieme a quella delle
follie e dei capricci principeschi, che caratterizzeranno gran parte della
successiva storia romana.
Tutto ciò avverrà in sfregio alle tradizioni politico culturali latine e
occidentali, nonché agli stessi interessi politico-economici delle classi
occidentali più agiate.
Se da un alto dunque Caligola dimostra di non aver affatto compreso quale
sia il vero ruolo dell'Imperatore - e ciò forse è dovuto anche alla sua
giovane età -, dall'altro intuisce però e prefigura una nuova forma
(orientaleggiante) di dominio, basata essenzialmente sul consenso dei
vastissimi strati parassitari della popolazione occidentale (proletariato e
sottoproletariato), e su quello delle regioni orientali (le cui tradizioni
di governo entrano particolarmente in sintonia con la sua concezione del
potere).
Ispirandosi a una visione 'antoniana' dell'Impero, egli tende a parificare
politicamente le due zone che lo compongono, smantellando buona parte dei
privilegi amministrativi e politici di cui gode l'Occidente nei confronti
dell'Oriente, e tentando di instaurare un dominio personale e incontrastato
su tutte le regioni imperiali.
Tale progetto tuttavia, pur avveniristico, è per il momento totalmente
inattuabile, vista l'influenza politica di cui ancora godono i ceti agrari
nobiliari, contrari a vedersi abbassati allo stesso livello di quelle zone
(orientali) che essi stessi precedentemente hanno conquistato e sottomesso,
e che sono per di più abituati a sfruttare economicamente e politicamente.
Ma un tale tipo di gestione sarebbe inattuabile anche per l'opposizione
delle province occidentali (essenzialmente Gallia e Spagna), realtà
attualmente in crescita e bisognose perciò di aiuti e di facilitazioni da
parte dello stato romano.
La figura ispiratrice di questa politica delirante e inopportuna è quella di
Alessandro Magno, forse il più grande conquistatore e despota orientale di
tutti i tempi.
Il programma di Caligola si basa - come si è detto - sulla ricerca di
approvazione delle masse popolari, cui egli elargisce continuamente
donazioni e spettacoli.
Ma anche su una notevole spinta verso l'ellenizzazione della cultura delle
zone occidentali, e sull'instaurazione e diffusione anche in Occidente del
culto della persona dell'Imperatore, equiparata alla stessa divinità solare.
Tuttavia una tale linea di conduzione dell'Impero non può non costare molto
in termini finanziari alle casse statali, costringendo così il princeps a
impegnarsi in una inesausta ricerca di fondi, specialmente attraverso
continue guerre di conquista (celebre è la spedizione di Caligola in
Britannia, progettata ma mai realizzata: forse proprio per mancanza di
fondi!)
Tale politica, depauperando lo Stato senza - al tempo stesso - avvantaggiare
nessuno dei suoi sudditi, provocherà un profondo un scontento tra i ceti
dirigenti dell'Impero, i quali ordiranno una congiura contro Caligola.
Questi verrà così ucciso infatti nel 41 per mano della stessa guardia
imperiale.
L'IMPERATORE CLAUDIO
3) Claudio, imperatore dimenticato (41-54)
Alla morte del giovane Caligola, l'Impero passa a suo zio Claudio.
Costui si distingue per un proprio stile di governo estremamente dimesso,
essendo il suo un principato privo o quasi di eventi politici appariscenti.
A ciò principalmente è dovuta la bassa stima che i suoi contemporanei
tendono a riservargli, oltre che la scarsa risonanza del suo regno presso i
posteri.
Eppure, nonostante una tale 'invisibilità', la sua gestione dello stato sarà
molto oculata, e perfino astuta.
La politica che egli decide di seguire è fondata essenzialmente sui seguenti
assunti:
a) rafforzamento della centralità politica della parte occidentale
dell'Impero, oltre che della sua identità culturale e politica;
b) mantenimento di un atteggiamento di rispetto formale nei confronti
dell'autorità senatoria (ciò anche attraverso la sua politica culturale,
decisamente filo-occidentale);
c) avvicinamento ai ceti possidenti occidentali, attraverso facilitazioni di
carattere economico e fiscale.
E' chiaro dunque, già da tali punti come la politica di Claudio si situi su
una linea praticamente opposta rispetto a quella del suo predecessore,
Caligola.
Tuttavia, contemporaneamente, egli agisce anche al fine di aumentare i
poteri politici e istituzionali imperiali, a spese di quelli senatori e
nobiliari.
Ciò avviene, tra l'altro, con l'accrescimento del numero delle milizie
dell'esercito pretorio e con la riduzione dei poteri politici e giudiziari
del Senato.
La sua strategia consiste - anziché nell'umiliare e indebolire
l'aristocrazia sul piano morale, politico e economico - nel favorirne lo
sviluppo dal punto di vista economico, valorizzando al tempo stesso le sue
radici culturali (mantenendo un atteggiamento fondamentalmente
filo-occidentale), ma anche sottraendole impercettibilmente alcuni degli
antichi poteri politici al fine di accrescere quelli del nascente apparato
imperiale.
E' un modo per cercare di risolvere, almeno in parte e a favore del princeps
e dell'Impero, l'annoso conflitto tra gli antichi e radicati poteri
nobiliari e quelli dell'apparato imperiale, molto più vasti ma di origine
decisamente più recente.
Altre azioni sostenute da Claudio sono una spedizione in Britannia nel 42
(compimento di quella progettata e mai realizzata da Caligola) e la
creazione di alcune nuove province: Tracia, Giudea, Licia e Mauritania.
NERONE
La politica di Nerone ricorda molto quella di Caligola. Anche lui, come il
suo predecessore, si ispira fortemente all'ideale orientalizzante di
Alessandro Magno e del dispotismo assoluto. Anche lui tenta di
ridimensionare il peso economico e politico delle zone occidentali in favore
di quelle orientali. Anche lui basa il suo potere sul consenso delle masse
popolari occidentali e su quello delle regioni orientali.
Ultimo elemento di somiglianza, anche Nerone morirà vittima di una congiura,
seppure dopo 14 anni di governo.
Alla morte di Claudio, sale al potere un ragazzo di 17 anni, figlio di una
delle mogli del defunto imperatore: Agrippina. Questi, di nome Nerone, non
appartiene neanche alla stirpe dei Claudi, essendo stato adottato da Claudio
per ragioni di successione. (Tale mancanza, quando in seguito i rapporti col
Senato si incrineranno, costituirà un elemento di forza in favore di
quest'ultimo, che non mancherà di rinfacciargli la sua presunta
illegittimità).
Circondato da intellettuali d'orientamento senatorio e nobiliare, come
Seneca o Petronio, Nerone seguirà nei primi anni del suo regno una politica
piana e senza scosse, coincidente con gli interessi del Senato.
Sarà a partire dal 58 che la sua vera indole inizierà a emergere. In questi
anni si consuma infatti la prima rottura col Senato, colpevole di non aver
approvato la sua proposta di riforma tributaria.
Tale proposta prevede l'eliminazione delle imposte indirette - ovvero dei
dazi doganali -, cioè del protezionismo sui prodotti di produzione
occidentale, e in seconda battuta un incremento delle tasse sui ceti più
abbienti, al fine di compensare le inevitabili perdite finanziarie.
Come si vede questa proposta, mai approvata, tende a un impoverimento dei
privilegi economici dell'Occidente, e contemporaneamente a colpire
l'economia dei latifondisti e dei ceti più ricchi occidentali.
Essa è complementare alle larghe spese sostenute da Nerone per spettacoli
pubblici e donazioni alla plebe. S'intuisce quindi la matrice populistica
del suo governo.
Dopo la definitiva rottura col Senato, Nerone si trasferisce in Oriente,
dove combatte una guerra in Armenia, riuscendo anche a impadronirsene nel
58, ma perdendola poco dopo, nel 63, data in cui viene ceduta al re dei
Parti (pur mantenendo Roma una specie di protettorato su di essa).
Tornato a Roma inaugura una consistente attività di monetazione, al fine di
rendere allo stato più facile, grazie al maggior numero di monete
circolanti, il pagamento dei debiti, e migliorando, sempre secondo lo stesso
principio, le condizioni di vita del popolo.
Nel 64 scoppia in Roma un incendio, di cui Nerone è sospettato essere
l'autore, che devasta gran parte della città e gli permette di iniziare una
vasta attività di ricostruzione (si ricordi la creazione della 'Domus
aurea').
Nel 66 Nerone è nuovamente in Oriente, precisamente in Grecia, dove si pone
come continuatore della politica di Flaminino, concedendo (come l'antico
condottiero aveva concesso la libertà dalle truppe romane) donazioni ed
esenzioni fiscali.
Sono di questi anni i primi tentativi di congiura contro Nerone, favoriti
dalla sua lontananza da Roma, poi scoperti e repressi nel sangue (con la
morte, tra gli altri, del poeta Petronio).
Nerone inoltre impiega molti soldi per sostenere l'opera di diffusione della
cultura ellenica e orientale in Occidente.
E' ormai la fine: oltre che del Senato e dei nobili occidentali, Nerone ha
ormai perduto la fiducia e l'appoggio anche delle province occidentali, che
si vedono trascurate dalla direzione imperiale, espropriate quindi del posto
di rilievo che spetta loro in qualità di regioni ricche ed economicamente
emergenti.
In Gallia scoppiano ribellioni contro il potere di Roma; mentre è dalla
Spagna Terraconense e dal capo delle sue truppe, Sulpicio Galba, che inizia
la vera congiura anti-neroniana.
Essa coinvolgerà presto anche il Senato romano, costringendo il principe
ribelle, oramai isolato, a togliersi la vita.
Galba diventerà, anche se per pochissimo tempo, il nuovo imperatore, ponendo
definitivamente termine alla dinastia imperiale dei Claudi.
Ma il fatto che la rivolta sia iniziata fuori dei territori romani e
italiani, la dice lunga anche sul ruolo che le province cominciano ad
assumere nell'economia dell'Impero.
CONCLUSIONI (14-68)
Il problema fondamentale che i primi imperatori - Ottaviano Augusto
compreso - debbono affrontare, è quello della mediazione: mediazione sia tra
le nascenti istituzioni imperiali e quelle, molto più antiche,
dell'aristocrazia fondiaria occidentale; sia tra le istanze di dominio
dell'Occidente e gli influssi politico-culturali di segno opposto,
provenienti dalle zone orientali.
Mentre Caligola e Nerone attueranno una strategia scopertamente
anti-senatoria e filo-orientale, determinando in tal modo la reazione
violenta delle forze tradizionaliste occidentali - ma non solo, essendo
comprese in tale reazione anche le nuove forze politiche occidentali,
essenzialmente le province - che ne decreteranno la fine; Tiberio e Claudio
al contrario, cercheranno di porre in atto con queste ultime una politica di
compromesso (seppure - al fondo - maggiormente favorevole allo sviluppo
degli apparati del nuovo Stato imperiale), né cercheranno mai di mettere in
discussione la superiorità, politica e culturale, dell'Occidente rispetto
all'Oriente.
Ma la soluzione "orientale" e assolutistica di Caligola e di Nerone -
nonostante resti per il momento inattuabile, data la forte radicatezza dei
più antichi poteri senatori e la relativa 'fragilità' di quelli
dell'Impero - sarà, sui tempi lunghi, quella che finirà per prevalere.
Gli sviluppi dell'Impero, difatti, avverranno proprio in direzione del
potenziamento dei suoi apparati, a spese chiaramente delle più antiche forze
nobiliari e senatorie occidentali.
L'infanzia di Nerone non è facile. Quando gli muore il padre, Domizio
Enobarbo, la madre Agrippina Minore viene mandata in esilio dal fratello
Caligola, imperatore, che non la vuole tra i piedi, e Nerone è affidato a
una zia. I suoi primi maestri sono un barbiere e un ballerino.
Nel 41 d.C. Agrippina, dopo essersi legata al cognato M. Emilio Lepido,
marito di Drusilla, e dopo la fine di Caligola, torna a Roma decisa a
rifarsi delle umiliazioni subite. Pretende che il precettore Seneca, uno dei
filosofi più colti dell'impero, dia la formazione culturale adeguata al
figlio. Seneca era stato un retore esiliato da Claudio in Corsica a causa
dell'adulterio con Giulia Livilla.
Ma l'occasione buona arriva quando muore Messalina, fatta assassinare dal
marito Claudio, imperatore. Quest'ultimo, che ha già oltre 60 anni, è zio di
Agrippina, che ne ha 34, e si lascia sedurre dalle sue grazie, sposandola.
Appena raggiunto lo scopo, Agrippina costringe il marito ad adottare Nerone
e a promettergli in moglie la figlia Ottavia. Da questo momento Nerone
presenzia a tutte le manifestazioni pubbliche per farsi conoscere ed amare
dalla plebe.
Claudio vorrebbe rimangiarsi l'adozione, perché teme che Nerone possa
scalzare Britannico, legittimo erede al trono. Ma ormai è troppo tardi:
Agrippina lo fa avvelenare.
Il prefetto del pretorio, Burro, con un colpo di stato, presenta Nerone come
imperatore ai pretoriani, i quali ricevono generosi compensi. Il senato, che
conta sempre meno, viene informato della scelta già fatta dai militari e la
ratifica senza protestare. Iniziano così, nel 54 d.C. i 14 anni di regno di
Nerone.
Inizialmente la politica di Nerone viene gestita da Seneca e Afranio Burro,
i quali riducono il potere dei liberti, che si era troppo ampliato sotto
Claudio. Si stabiliscono alcune esenzioni a favore dei soldati, si toglie
dalle mani dei senatori il controllo degli appalti pubblici, per evitare
tangenti, e si decide che venga reso pubblico il testo dei contratti e dei
bandi.
Non passa invece la proposta di eliminare alcune imposte indirette (dazi
doganali), sostituendole con altre dirette che avrebbero colpito gli
interessi dei proprietari più ricchi e alleggerito il peso fiscale dei ceti
meno abbienti.
Il costo della vita saliva progressivamente perché i dieci distretti in cui
era diviso l'impero imponevano continuamente nuove tasse. Latifondisti,
aristocratici, senatori, proprietari di intere province, vogliono un forte
protezionismo doganale per difendere i loro prodotti dalla concorrenza delle
colonie dell'impero.
Ma i problemi più grossi a Nerone vengono dalla vita privata. Agrippina
infatti vuole governare insieme a lui e comincia a far fuori quanti le
possono dar fastidio.
Il matrimonio di Nerone con la nobile Ottavia naufraga dopo un anno, perché
Nerone s'invaghisce di una liberta di nome Atte, una schiava di origine
greca liberata da Claudio. L'adulterio tuttavia è noto solo a pochissime
persone, poiché viene coperto dalla complicità di Seneca e Burro.
Quando Agrippina lo viene a sapere, scoppia il finimondo e comincia a
minacciarlo, poi, quando vede la risolutezza del figlio, lo asseconda.
Ma Atte chiede e ottiene l'allontanamento di Pallante dalla corte,
procuratore delle finanze imperiali, amante di Agrippina, la quale minaccia
di schierarsi col legittimo erede Britannico.
Seneca, Burro, Atte e altri intimi di Nerone decidono a questo punto di far
fuori Britannico, tramite il veleno di Locusta, una maga di origine gallica,
già protagonista in occasione della morte di Claudio. (1) Giulio Pollione,
tribuno della quarta coorte dei pretoriani viene ricompensato, per questo
delitto, con la nomima a governatore della Sardegna. La versione ufficiale
della morte di Britannico fu l'epilessia.
Nerone è intenzionato a sposare Atte e convince alcuni ex-consoli a
certificare con un falso giuramento le origini regali della liberta,
un'ipotetica discendenza dal re di Pergamo, Attalo, morto quasi due secoli
prima. Con questa falsa adozione, Nerone vorrebbe ripudiare Ottavia e nel
frattempo comincia a riempire di doni Atte, che riceve vasti latifondi della
res privata imperiale nel Lazio (a Velletri), nella Campania (a Pozzuoli) e
soprattutto in Sardegna (a Olbia).
Agrippina non demorde e colma di favori Ottavia sperando di formare un
partito avverso al figlio, forse per portare al trono C. Rubellio Plauto,
discendente in quarto grado di Augusto, al quale pare avesse promesso di
unirsi in matrimonio. Saputa la cosa, Nerone fa esiliare Rubellio in Asia
nel 59 e lo farà uccidere nel 62.
E decide anche di licenziare i pretoriani che proteggevano la madre, mentre
questa la fa trasferire in un'altra residenza. Pallante e Burro intanto
vengono prosciolti dall'accusa di voler portare sul trono Fausto Cornelio
Silla, al posto di Nerone. Silla viene relegato a Marsiglia nel 58 e sarà
anche lui eliminato nel 62.
Proprio nel 58, dopo tre anni di convivenza con Atte, Nerone s'invaghisce di
Poppea Sabina, nobile e intelligente, nemica acerrima di Agrippina, causa
della rovina della sua famiglia.
Poppea ha già alle spalle due matrimoni: la prima volta con Rufrio Crispino,
un cavaliere romano da cui aveva avuto un figlio; la seconda volta con un
certo Otone, che l'aveva convinta a sposarla con la promessa d'introdurla
nella corte dell'imperatore.
Dopo l'esilio di Atte in Sardegna, dove rimarrà per più di sette anni, Otone
viene inviato come legato imperiale nella lontana Lusitania. Invece Rufrio
Crispino sarebbe stato esiliato nel 65 in Sardegna e qui eliminato l'anno
seguente.
Poppea è praticamente diventata l'unica vera rivale di Agrippina, la quale,
per evitare d'essere spodestata, è addirittura disposta a sedurre il figlio,
che d'ora in poi eviterà di incontrarsi da solo con lei. Poppea infatti
vuole assolutamente sposare Nerone, ma legalmente è ancora Ottavia la moglie
ed è lei che, secondo la tradizione giulio-claudia, trasmette la legittimità
del potere a Nerone.
Ecco perché questi, follemente innamorato di Poppea, decide, con l'aiuto del
ministro degli interni Tigellino, di costruire un castello di accuse contro
di lei, la più grave delle quali era quella di essersi congiunta con un
liberto di nome Aniceto, per poterla allontanare dalla corte e ripudiare. La
si condanna all'esilio nell'isola di Ventotene in Campania. Poi con la
complicità di Aniceto, prefetto della flotta di Miseno, che si autoaccusa
dell'adulterio con Ottavia, la fa assassinare.
Su consiglio di Seneca fa eliminare da Aniceto anche Agrippina, preparando
l'opinione pubblica su un suo presunto tradimento politico. Aniceto verrà
relegato in Sardegna con tutti gli onori, in quanto trascorrerà l'esilio
nell'agiatezza e riuscirà a morire di vecchiaia.
A questo punto Nerone può finalmente sposare Poppea senza problemi di sorta.
Siamo nel 62 e l'anno dopo nasce Claudia, che però muore a soli quattro
mesi. Intanto nel 62 muore anche Burro e tra il 62 e il 65 Poppea
praticamente non ha avversari a corte. Due anni dopo Poppea è di nuovo
incinta ma muore di parto, forse presa a calci da Nerone dopo un violento
litigio.
Nerone nel 66 sposa Statilia Messalina, ma il matrimonio si rivela un
fallimento, e allora prende come amante il liberto Dariforo Pitagora e
successivamente l'eunuco Sporo, perché somiglia molto alla scomparsa Poppea.
Le leggi di Nerone continuano a scalfire i privilegi degli aristocratici (ha
p.es. ripristinato i comizi del popolo e spesso apre i granai e fa
distribuire cibo e vino). Tuttavia i senatori possono trarre beneficio
dall'occupazione di tutte le coste del Mar Nero e dalle esplorazioni
compiute in Etiopia, nonché dalla scoperta dei monsoni, con cui è possibile
navigare verso l'oceano Indiano. Viene anche finanziato il progetto di un
canale navigabile tra Ostia e il lago d'Averno.
Il disastro accade il 13 luglio del 64, allorché Roma va in fiamme, in
seguito a una rovente estate. L'incendio viene domato dopo sei giorni:
400.000 persone rimangono senza tetto e senza cibo.
Nerone fa aprire i suoi giardini, il Campo Marzio e i monumenti di Agrippa;
si chiedono aiuti alle città limitrofe; si dà il via alla ricostruzione (la
Domus Aurea, riempita di opere d'arte, viene finita in soli sette mesi).
Le casse dello Stato vengono letteralmente prosciugate. Perfino alle guardie
del pretorio il salario viene pagato con notevoli ritardi. Nerone ricorre a
festini, divertimenti, circhi, lotterie per rimpinguare l'erario. Lui stesso
ne diventa protagonista esibendosi come artista.
Il ministro della polizia Tigellino apre un'inchiesta per scovare se
qualcuno aveva provocato l'incendio e, poiché l'ordine pubblico viene
minacciato ogni giorno di più da tanti forestieri che giungono nella
capitale dopo che alle province è stato concesso il diritto di cittadinanza,
si comincia a ventilare l'ipotesi di accusare i cristiani, dando seguito ai
sospetti avanzati dagli ebrei.
Circa 300 persone finiscono sul rogo o dilaniate dalle fiere nel circo,
secondo le pene previste dal codice per i piromani.
Nel 65 Nerone deve sventare una congiura ai suoi danni. Era stata ordita da
Gaio Calpurnio Pisone, con l'aiuto del prefetto del pretorio Fenio Rufo, già
accusato di adulterio con Agrippina, e di Seneca e Vestino, marito di
Statinia Messalina. A tradire i congiurati fu uno schiavo, Milico, che
informò il liberto Epafrodito. Molti di loro sono costretti a uccidersi, tra
cui Seneca.
Non potendone più degli ambienti di corte, alla fine dell'estate del 66
Nerone fa un viaggio in Grecia, tornandovi solo dopo un anno e mezzo: nessun
imperatore prima di lui si era allontanato dalla capitale per così tanto
tempo.
Con una corte di 5000 persone sbarca a Corfù, dove tiene un concerto presso
l'altare di Giove: le tappe successive sono Nicopoli, Azio, Corinto, eletta
a sua residenza durante la sua permanenza in Grecia.
Nomina intanto Vespasiano governatore della Giudea col compito di domare una
rivolta. Il generale e il figlio Tito, futuri imperatori, riconquistano
Gerusalemme e pongono fine una volta per tutte allo Stato di Israele.
Dopo aver svernato a Corinto, Nerone partecipa come sportivo a quattro
giochi panellenici: Olimpici, Pitici, Istmici e Nemei.
Dà il via alla realizzazione del canale di Corinto, cosa che incrementerà
notevolmente i commerci, e rende libera la Grecia: una terra povera ma
simbolica. Infatti in tutto l'oriente l'entusiasmo è enorme e Nerone viene
paragonato a Giove e Apollo.
Nerone è affascinato dalla cultura ellenistica e pensa addirittura di
trasferire qui la sede della corte. Ma a Roma l'aristocrazia la pensa molto
diversamente e comincia a essere stanca di dover fronteggiare il malcontento
della plebe senza la presenza dell'imperatore.
Tigellino con una scusa pianta in asso Nerone e si fa sostituire da Ninfidio
Sabino, il quale comincia a far circolare voci false, secondo cui l'esercito
si starebbe ammutinando e la lealtà delle province orientali, dopo la
libertà concessa alla Grecia, non sarebbe più sicura.
Nerone ci crede e si rifugia negli Orti Servilliani. D'accordo con alcuni
senatori, Ninfidio annuncia ai pretoriani che l'imperatore è fuggito in
Egitto e promette loro, a nome di Galba, che aveva già fatto un proclama
contro Nerone, laute ricompense.
Nerone sente la fine vicina e si fa uccidere dal liberto Epafrodito. Aveva
31 anni e sarà rimpiazzato proprio da Galba. Nel 68 è la liberta Atte che
ricompone le spoglie di Nerone nel mausoleo dei Domizi.
[1] Seneca, Burro e altri furono premiati per la loro fedeltà e complicità
da Nerone con beni di ogni genere, dopo la sconfitta di Britannico. Seneca
pare abbia accumulato in appena quattro anni un patrimonio valutato sui 300
milioni di sesterzi (circa 600 milioni di euro). A corte Seneca aveva
cercato di rafforzarsi rapidamente, promuovendo la carriera di amici e
parenti, quasi tutti spagnoli. Lui stesso ricoprì il consolato del 56
assieme all'amico M. Trebellio Massimo. Il filosofo storico predicava
l'equità e la clemenza del governo imperiale, ma per raggiungere i fini
della sua politica non si faceva scrupolo nell'uso dei mezzi.
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