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NASCITA E VITA
DEL CRISTIANESIMO E LE SUE EVOLUZIONI
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IL CRISTIANESIMO, GLI
APOSTOLI |
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Il tema della nascita del cristianesimo non è facile.[1] Infatti, lo
sviluppo storico e dottrinario di questa religione può assimilarsi per certi
versi allo stalinismo, essendo l'ideologia di una formazione rivoluzionaria
sconfitta dalla reazione che, nel tempo, venne snaturata, fino a fondersi
con la reazione stessa. La storia del cristianesimo è la storia della
corruzione del suo messaggio originale e poiché i testi originali sono quasi
totalmente persi, non possiamo che cercare di ricostruirne il senso
attraverso quello che abbiamo, ben consapevoli che la dottrina cristiana
giunta fino a noi è in totale contraddizione con quella originale, come
vedremo.
Nell'analizzare il cristianesimo, occorre partire dal presupposto che
sebbene per il marxismo le ideologie siano il riflesso distorto, fantastico,
delle condizioni in cui l'uomo vive e dunque, nell'epoca moderna, della
lotta di classe, la loro evoluzione ha una dinamica autonoma. Nell'analisi
della religione bisogna tener presente sia le sue radici materiali, sia il
suo sviluppo autonomo.
Come nota Donini: "Nella coscienza dell'uomo, nessuna ideologia si presenta
direttamente legata ai dati materiali dello sviluppo storico e sociale che
la condizionano; ma resta il fatto che senza un esame accurato, e ben
documentato, di quelle basi obiettive, nessuna ideologia, e tanto meno
quella religiosa, potrebbe trovare una sua spiegazione."[2]
Le idee religiose sono connesse non solo alla società che le produce
direttamente, ma a tutte le epoche attraversate dall'uomo. In particolare,
la nascita dello Stato e delle classi, lo sviluppo del lavoro schiavile e
dell'oppressione nazionale lasciano in ogni popolo la coscienza della
perdita dell'uguaglianza sociale originaria. Ecco perché ogni civiltà
passata per queste fasi storiche possiede un racconto di un'età dell'oro in
cui la terra era un paradiso[3]. Che siano le famose epoche esiodee, riprese
da Virgilio, che sia la cacciata dall'eden, mito che gli ebrei acquisirono
dalle popolazioni mesopotamiche, ogni popolo conserva il ricordo di una
perdita incolmabile, quella della libertà, dell'uguaglianza.
Ovviamente queste leggende non sanno spiegarsi la radice materiale di tale
perdita e devono ricorrere a cause mistiche: l'ira divina. Non a caso, al
mito del paradiso terrestre si accompagna sempre quello della distruzione
del mondo, riflesso della ripulsa verso il dominio di classe ormai
instaurato. Sotto il profilo storico, la parte sconfitta si attribuisce la
colpa della sconfitta stessa, nel rielaborarne culturalmente e
ideologicamente le cause, secondo un processo psicologico di rovesciamento
che è tuttora operante nella mente umana.
La razionalizzazione intellettuale del processo è poi opera di élite
culturali alle quali risulta conveniente addossare la colpa della sconfitta
al popolo o alla classe perdenti, schierandosi dalla parte del vincitore. Lo
fecero gli intellettuali ai tempi di Paolo di Tarso, come vedremo, lo fanno
gli intellettuali "di sinistra" dopo ogni sconfitta della classe operaia,
dalla quale prendono le distanze accusandola di ogni nefandezza.
Non solo al fondo di ogni idea religiosa c'è il rimpianto di una società
senza classi, di un'età dell'oro, proiettata in modo alienato in una vita
ultraterrena, ma non appena sorge una setta religiosa radicale, essa si pone
per così dire in contatto con le origini storiche dell'umanità, il comunismo
primitivo. La comunione dei beni, l'uguaglianza sociale e spesso di genere,
la democrazia assembleare, sono tratti comuni di questi movimenti religiosi,
dai tempi dell'impero romano fino alle eresie cristiane del Medioevo e, per
certi versi, fino ad alcune delle sette cristiane che colonizzarono il Nord
America.
In questo contesto, dove la leggenda dell'eden è come il rumore di fondo che
pervade ogni cultura storica, si pone il messaggio del cristianesimo, un
messaggio che attraversa diverse fasi storiche e diverse intonazioni
ideologiche. La religione cristiana, in quanto frutto di un movimento
rivoluzionario sconfitto, ha due componenti ineliminabili:
una condanna morale dell'oppressione sociale, con una descrizione più o meno
incisiva della realtà dello sfruttamento;
una politica di rassegnazione, di spostamento della lotta per la felicità e
la giustizia in una dimensione extra-storica[4]. Essa affonda le sue radici
nella storia del popolo ebraico.
[1] Su questo argomento non sono molti i testi validi, ma vi è un'eccezione,
il libro di Kautsky L'origine del cristianesimo. Si tratta di un testo
eccellente da cui abbiamo attinto diffusamente per questo breve saggio. La
dimostrazione migliore del fatto che Kautsky avesse ben compreso la natura
della situazione della Palestina dell'epoca sta nel fatto che il libro
precede di decenni la scoperta dei manoscritti della setta essena (i
manoscritti di Qumran nel Mar Morto), eppure ne incorpora il significato
storico. Kautsky suggerisce addirittura dove cercare i resti della setta,
sottolineando come Plinio, nella sua Storia Naturale, parlasse del loro
monastero vicino al Mar Morto.
[2] A. Donini, Breve storia delle religioni, p. 13.
[3] Questo sviluppo non riguarda solo le popolazioni indoeuropee. Ad es.:
"tra gli australiani esiste... l'idea di un antico passato mitologico
durante il quale si sarebbero potute compiere cose straordinarie e gli
uomini sarebbero potuti arrivare al cielo, trasformarsi in animali e
viaggiare nel sottosuolo." (S. Tokarev, Le religioni del mondo antico, p.
67).
Come osserva Marx: "la miseria religiosa esprime la miseria reale quanto la
protesta contro questa miseria reale" (Per la critica della filosofia del
diritto di Hegel).
LA PALESTINA PRIMA DI GESU' CRISTO
Le tribù semitiche che hanno generato Israele vivevano circondate da potenti
società asiatiche cui sono sempre state sottomesse. Da questi ingombranti
vicini hanno ripreso il quadro concettuale delle proprie leggende nazionali
(non a caso Abramo è Caldeo, Mosè è egiziano, così come i miti della Genesi
vengono dalla Mesopotamia, il monoteismo viene dall'Egitto e così via). In
una situazione di disperante subordinazione, la cultura ebraica si viene
forgiando come una cultura chiusa, in cui giocano un ruolo centrale il
riscatto nazionale e l'unità di fronte all'oppressore.
Sebbene la nascita dello Stato porti a una violenta guerra civile, descritta
con crudezza nell'Esodo, questo conflitto sociale perde presto il suo
significato di fronte alle nuove invasioni della Palestina. Come di fronte
alle precedenti invasioni o deportazioni, si sviluppano correnti messianiche
che legano la possibilità di riscatto nazionale alla venuta di un salvatore
attorno cui tutto il popolo ebraico si sarebbe raccolto in battaglia.
Queste dottrine escatologiche si strutturavano in formazioni combattenti che
si scontravano con gli eserciti invasori seguendo le indicazioni di un
leader, di solito capo religioso e profeta. Così, già molto prima
dell'arrivo dei romani, gli ebrei avevano prodotto sette
messianico-guerrigliere. Verso la fine del regno dei Seleucidi (nel II sec.
a.C.), di cui Israele era vassallo, si sviluppò una setta
messianico-guerrigliera (gli Assidei), il cui testo sacro (il libro del
profeta Daniele, scritto attorno al 165 a.C.) profetizzava la venuta del
Messia e incitava alla lotta per la liberazione di Israele.
Le condizioni di oppressione e il fatto che questo movimento fosse legato
alle fasce più povere del popolo ebraico conferivano un carattere
democratico e rivoluzionario alle loro credenze, come si evince dal loro
libro sacro. La setta incontrò un successo crescente, finché, guidata da
Giuda Maccabeo, fu in grado di affrontare in campo aperto le truppe siriane,
sconfiggerle e liberare Gerusalemme e tutta la Giudea. Ma la libertà si
dimostrò di breve durata. Ben presto giunse un nemico assai più temibile:
Roma.
Le lotte che insanguinavano la Palestina produssero una differenziazione
politica nella società ebraica. Giuseppe Flavio ci descrive bene questo
processo parlando di tre correnti in cui si divideva all'epoca il popolo
ebraico: farisei, sadducei ed esseni, a cui, come vedremo, si aggiunsero poi
gli zeloti.
I sadducei rappresentavano la nobiltà terriera e clericale. I farisei
rappresentavano il "terzo stato", ovvero il popolo non ancora distinto nella
sua struttura sociale e ideologica. In tempi normali, i sadducei dirigevano
la società e i farisei costituivano la naturale opposizione popolare al
potere. Ma di tempi normali in quei secoli ce ne furono pochi.
Gli esseni nacquero come setta separata attorno al 150 a.C. e proseguirono
il loro insegnamento fino alla distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. Dopo,
non se ne seppe più nulla, segno che i monaci avevano lasciato il posto ai
guerrieri. La comunità essena era un elemento di completa rottura
nell'atmosfera di continui e sanguinosi conflitti che agitavano la Palestina
dell'epoca. La loro ideologia di rifiuto dell'oppressione, ma anche della
battaglia aperta, può considerarsi come un riflesso delle sconfitte subìte
dai movimenti anti-romani.
Di fronte all'oppressione dei legionari, gli esseni si ritirarono dalle
città e crearono una o più comunità con tratti che ricordano il villaggio
rurale tipico del modo di produzione asiatico, basato su una struttura
sociale gentilizia. Le testimonianze che abbiamo sulla loro vita sono di un
rigoroso comunismo basato sulla proprietà comune dei mezzi di produzione e
di consumo.
Filone racconta che non solo il cibo ma anche i vestiti erano in comune e
usa un'espressione felicissima: "quello che uno possiede tutti lo
considerano loro, quello che tutti possiedono ognuno lo considera proprio".
Gli esseni rifiutavano la schiavitù e vivevano della terra e di artigianato.
Gli era vietata la produzione di oggetti di lusso e di armi, così come il
commercio. Filone ci descrive la loro comunità in questi termini:
"Prima di tutto non v'è alcuna casa che sia di proprietà di una persona:
ogni casa è di tutti. Giacché oltre al fatto che abitano insieme in
confraternite, la loro casa è aperta a tutti i visitatori, da qualsiasi
parte giungano, che condividono le loro convinzioni. In secondo luogo, hanno
un'unica cassa per tutti e le spese sono comuni: in comune sono i vestiti,
in comune è preso il vitto, avendo essi adottato l'uso dei pasti in comune.
Una maggiore realizzazione dello stesso tetto, dello stesso genere di vita e
della stessa mensa invano la si cercherebbe altrove. Giacché tutto ciò che
ricevono come salario giornaliero del lavoro non lo conservano in proprio,
ma lo depongono nel fondo comune, affinché sia impiegato a beneficio di
tutti quanti desiderano servirsene. Non sono trascurati i malati per il
fatto che non possono produrre nulla. Infatti, quanto occorre per curarli è
a loro disposizione grazie ai fondi comuni e non temono di fare larghe spese
attingendo a ricchezze sicure. I vecchi sono circondati di rispetto e cure
come genitori assistiti nella loro vecchiaia da veri figli con larghezza
generosa, aiutandoli con innumerevoli mani e circondandoli di premurosa
attenzione..."[5].
Questa descrizione può essere paragonata solo ad una società socialista
realizzata, e lega idealmente il passato dell'uomo, nel comunismo tribale,
al suo futuro, basato sul socialismo scientifico. Ovviamente, mancando il
livello di sviluppo economico e sociale sufficiente, il comunismo esseno
presentava diversi punti deboli e, in ultima analisi, non superava le
comunità rurali di stampo asiatico. Allo stesso modo, faceva parte
dell'ideologia essena l'odio per la famiglia patriarcale e per il
matrimonio, visti come pratiche corrompitrici dell'ordine gentilizio.
Ritroviamo in parte questa avversione anche nei Vangeli, come quando Gesù
spiega "chi ama suo padre e sua madre più di me non è degno di me"[6].
Le masse oppresse della Palestina non trovavano risposte ai loro problemi
nella passività dei notabili farisei, e il processo di concentrazione
fondiaria andava nel senso di aumentare l'inurbazione dei contadini poveri,
a cui l'appello esseno di ritirarsi in montagna doveva suonare quanto meno
inefficace. Il processo di differenziazione ideologica tra gli ebrei andò
avanti soprattutto in Galilea, dove i contadini poveri cominciarono ad
appoggiare idee sempre più radicali.
Il centro del conflitto risiedeva nel rifiuto di pagare le tasse e i debiti,
strumenti di concentrazione della ricchezza nelle mani dei proprietari
terrieri. Molti contadini rovinati dai grandi proprietari, piuttosto che
finire schiavi per debiti si davano al banditismo e alla guerriglia. Aiutava
anche la vicinanza del deserto, tradizionale luogo di rifugio dei ribelli
anche per la presenza di tribù beduine ostili a ogni potere urbano.
Da questo processo turbolento nacque una corrente organizzata, quella degli
zeloti, che cominciò un'opera di propaganda e di azioni di guerriglia contro
i re vassalli dei Romani. La storia di questo gruppo inizia con un certo
Giuda, figlio di Ezechiele, capo guerrigliero fatto uccidere nel 47 a.C.
quale bandito. Egli era un intransigente difensore della ortodossia
religiosa ebraica, che non tollerava la presenza dei dominatori romani e
nemmeno l'atteggiamento di connivenza opportunistica con gli stranieri,
mostrato da alcune componenti della società giudaica.
Ovviamente, Giuda si era proclamato re dei giudei e veniva considerato un
messia dai suoi seguaci. Sebbene la setta fosse originaria di Gamala nel
Golan, i suoi seguaci venivano definiti i "galilei", in quanto il loro
teatro di operazioni era appunto la Galilea. Oggi sappiamo che i termini
romani galilaei, latrones, sicarii, sono sinonimi dei termini greci zelotes,
lestes, e dei termini ebraici qannaim, barjonim, tutti riferiti ai
rivoluzionari messianisti. Nei decenni precedenti alla tradizionale data di
nascita di Gesù, gli zeloti erano penetrati in città e vi avevano riscosso
un certo successo, tanto da tentare una rivolta contro Erode, repressa nel
sangue nel 4 a.C.
Alla morte di Erode la rivolta scoppia di nuovo e la repressione è ancora
più brutale. Alla fine i romani ritennero che il loro alleato Archelao,
figlio di Erode, non fosse più in grado di controllare la situazione e
decisero di intervenire direttamente. La brutalità dell'oppressione romana
suscitò la reazione del popolo di Gerusalemme.
La nuova insurrezione ebbe una tale forza da tenere in scacco prima e in
ostaggio dopo la guarnigione romana. Mentre i legionari vivevano assediati
in Gerusalemme, buona parte delle truppe locali erano passate con i
rivoltosi. La Galilea era fuori controllo e i ribelli vi stavano formando un
esercito. Sebbene le legioni romane ebbero ragione della rivolta con enormi
difficoltà, quel che accadde dopo è facilmente prevedibile: migliaia di
ebrei crocifissi, saccheggi, devastazioni, interi villaggi venduti come
schiavi.
Tutto questo successe attorno all'anno 0 dell'era cristiana. Da allora, con
alti e bassi la rivolta non cessò mai fino alla presa di Gerusalemme nel 70
d.C. Sempre appartenente a questa setta era Eleazar ben Jair (il "Lazzaro"
dei Vangeli), capo della fortezza di Masada, che resistette tre anni
all'assedio dei romani prima di decidere per il suicidio di massa, preferito
alla resa, nel 73 d.C. L'ultimo atto della setta si ebbe fra il 132 e il 135
d.C., quando i suoi ultimi militanti, sotto la guida di Simon bar Kokba,
utilizzarono il sito di Qumran come base da cui compiere azioni di
guerriglia, prima di essere definitivamente sconfitti dalle legioni.
La differenziazione ideologica della società ebraica si era prodotta anche
per la classica strategia romana di integrazione delle élite locali
all'interno della struttura dominante, sicché il Sinedrio e i capi sia
sadducei che farisei erano ormai ostili a ogni forma di rivolta contro
l'oppressore, e non vi partecipavano, lasciando agli elementi più poveri e
radicali la conduzione della lotta antiromana.
La nascita della o delle sette messianiche da cui si originò il
cristianesimo è frutto di questo ambiente. In base alle fonti storiche è
difficile sapere con certezza come andarono le cose. Può darsi che una parte
della setta essena decise di iniziare a radicarsi nelle città, come potrebbe
far pensare la predicazione di Giovanni Battista, proveniente chiaramente da
un ambiente esseno.
Alcuni indizi portano a ritenere che la comune militanza antiromana fece
nascere la necessità di un movimento che combinasse la combattività degli
zeloti e la dottrina rigorosa degli esseni. Infatti, i tratti ideologici
fondamentali delle comunità messianiche tra cui quella apostolica sono di
provenienza essena, come i riti di purificazione e la rigorosa assenza di
benestanti.
D'altra parte, chiunque entrasse nella setta metteva in comune tutti i suoi
beni e questo dissuadeva i ricchi dal mischiarsi a questa gente[7]. Allo
stesso tempo, troviamo indizi di "comportamenti zeloti" tra gli apostoli. Ad
esempio, il responsabile dell'organizzazione apostolica, Simone,
soprannominato significativamente "Cefa" (ovvero "roccia", "pietra" da cui
il nome tradizionale "Pietro"), ha delle usanze chiaramente guerriere, come
vediamo quando i romani vengono ad arrestarli nel Getsemani e lui reagisce
con la spada. Altri apostoli hanno nomi legati al movimento zelota (nel
Vangelo di Luca, l'altro Simone è definito lo zelota).
Allo stesso tempo, dall'ideologia nazionalista zelota, questa setta
riprendeva l'idea che il futuro messia sarebbe anche stato il capo del
futuro Stato libero d'Israele, appunto il "re dei giudei", come nella
tradizione i romani avrebbero scritto sulla croce di Gesù per prendersi
gioco dell'ennesimo ribelle agonizzante. Nonostante la manipolazione, i
Vangeli descrivono ogni tanto la preparazione di azioni militari. Non solo
Simon Pietro gira armato ma lo stesso Gesù, poco prima di essere arrestato,
invita i suoi seguaci ad armarsi:
"Quando vi ho mandato senza borsa, né bisaccia né sandali, vi è forse
mancato qualcosa? Risposero: - Nulla - Ed egli soggiunse: - Ma ora chi ha
una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il
mantello e ne compri una. Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola
della scrittura. E fu annoverato fra i malfattori: Infatti tutto quello che
mi riguarda volge al suo termine - Ed essi dissero: - Signore ecco qui due
spade"[8]
Non solo questa setta era pronta a prendere le armi contro Roma, ma faceva
rispettare la disciplina tra i suoi seguaci in maniera spietata. Negli Atti
degli apostoli Pietro in persona effettua l'esecuzione sommaria di due
seguaci che hanno trasgredito le rigide regole della setta messianica circa
la proprietà collettiva:
"Un uomo di nome Ananìa con la moglie Saffìra vendette un suo podere e,
tenuta per sé una parte dell'importo d'accordo con la moglie, consegnò
l'altra parte deponendola ai piedi degli apostoli. Ma Pietro gli disse:
"Ananìa, perché mai Satana si è così impossessato del tuo cuore che tu hai
mentito allo Spirito Santo e ti sei trattenuto parte del prezzo del terreno?
Prima di venderlo, non era forse tua proprietà e, anche venduto, il ricavato
non era sempre a tua disposizione? Perché hai pensato in cuor tuo a
quest'azione? Tu non hai mentito agli uomini, ma a Dio". All'udire queste
parole, Ananìa cadde a terra e spirò.
E un timore grande prese tutti quelli che ascoltavano. Si alzarono allora i
più giovani e, avvoltolo in un lenzuolo, lo portarono fuori e lo
seppellirono. Avvenne poi che, circa tre ore più tardi, entrò anche sua
moglie, ignara dell'accaduto. Pietro le chiese: "Dimmi: avete venduto il
campo a tal prezzo?". Ed essa: "Sì, a tanto". Allora Pietro le disse:
"Perché vi siete accordati per tentare lo Spirito del Signore? Ecco qui alla
porta i passi di coloro che hanno seppellito tuo marito e porteranno via
anche te". D'improvviso cadde ai piedi di Pietro e spirò. Quando i giovani
entrarono, la trovarono morta e, portatala fuori, la seppellirono accanto a
suo marito"[9].
Questo movimento insurrezionale, chiaramente urbano, raccoglieva le parti
più povere della popolazione, e guardava ai ricchi come alleati dei romani.
Tuttavia, l'oppressione nazionale e la crisi della società ebraica
condussero il messaggio della setta ad estendersi oltre e molti farisei
dovevano guardare alla loro attività con attenzione, come si evince
dall'interesse, seppure ostile, che nei Vangeli essi dimostrano sempre per
l'insegnamento di Gesù. Mentre i sadducei erano irrimediabilmente
filo-romani, il rapporto tra farisei e cristiani delle origini è più
complesso, e si può paragonare a quello tra girondini e giacobini durante la
rivoluzione francese. Ogni movimento rivoluzionario attira a sé elementi del
vecchio regime. Così, negli Atti degli apostoli troviamo testimonianza di un
sinedrita che si schiera a difesa di Pietro e di altri apostoli che erano
stati arrestati:
"Si alzò allora nel sinedrio un fariseo, di nome Gamaliele, dottore della
legge, stimato presso tutto il popolo. Dato ordine di far uscire per un
momento gli accusati, disse: Uomini di Israele, badate bene a ciò che state
per fare contro questi uomini. . . ecco ciò che vi dico: non occupatevi di
questi uomini e lasciateli andare. Se infatti questa teoria o questa
attività è di origine umana, verrà distrutta; ma se essa viene da Dio, non
riuscirete a sconfiggerli; non vi accada di trovarvi a combattere contro
Dio"[10].
Come del resto aveva fatto l'altro sinedrita, Giuseppe di Arimatea, con
Gesù. Tuttavia, il Sinedrio come istituzione fece causa comune con i romani
contro l'insurrezione.
Nel complesso è dunque probabile che i Vangeli originariamente raccontassero
la storia di questa alleanza tra la setta guerriera zelota e quella
filosofica essena e del loro tentativo di sollevare il popolo ebreo contro
il dominio romano. D'altronde, la storia di quel periodo è piena di
sollevazioni antiromane - basate su un'ideologia di nazionalismo religioso -
che finivano invariabilmente in una disfatta.
La più grave di queste sconfitte avvenne nel periodo 66-73 d.C., quando i
romani condussero una guerra di sterminio contro gli ebrei, che finì nella
presa di Gerusalemme con l'uccisione o la riduzione in schiavitù dei suoi
abitanti, la presa della fortezza di Masada e la diaspora degli ebrei, che
vennero dispersi nei territori imperiali. I superstiti di quel movimento
misero per iscritto la loro storia e le loro credenze, ma di queste opere
conserviamo scarsissime tracce. Il cristianesimo giunto a noi non è infatti
quello dell'insurrezione, ma quello dell'epoca successiva, di reazione
politica ed ideologica.
[5] Filone Alessandrino, Quod omnis probus sit liber. In modo del tutto
analogo viveva la setta "cristiana" originale secondo gli stessi Atti degli
apostoli (ad. es. IV, 32-35) in cui leggiamo della proprietà comune e della
distribuzione dei beni secondo il bisogno del singolo, in base a un
principio che ricorda il noto detto socialista citato più volte da Marx: "da
ciascuno secondo le sue capacità a ciascuno secondo i suoi bisogni".
[6] Matteo, X, 37
[7] Riflessi di questo atteggiamento lo vediamo nel famoso discorso della
montagna in cui Gesù dice chiaramente che i ricchi soffriranno nella nuova
vita in quanto ricchi, non per le loro azioni nella vita precedente. In
sintesi il movimento messianico non rimproverava ai ricchi i loro peccati ma
semplicemente la loro ricchezza. (torna su)
[8] Luca, XXII, 35-38.
[9] Atti degli apostoli, V, 1-10.
[10] Atti degli apostoli, V, 34-39.
I VANGELI
La riscrittura del messaggio evangelico
Gli scrittori cristiani si ostinano a sottolineare i passaggi degli
scrittori contemporanei ai fatti narrati dai Vangeli che parlano della vita
di Gesù (il cui stesso nome ha significativamente un connotato messianico
"Dio salva"). Si scordano sempre di dire che non possiamo leggere le
"edizioni originali" di questi autori ma solo le copie giunte fino a noi
dopo decine di secoli di ricopiature da parte di amanuensi cristiani. Quanto
più la fonte cristiana è antica, tanto più è povera in essa la biografia
terrena di Cristo. La censura operata dalla chiesa ha colpito ovunque e le
interpolazioni sono frequenti. La censura ha operato nel senso che la chiesa
cristiana ha eliminato testimonianze non in linea con il mito che si andava
creando attorno alle origini del cristianesimo[11].
Le falsificazioni furono opera dei monaci, i quali, in relazione alle
testimonianze pagane sul Cristo, hanno praticamente "riscritto la storia",
soprattutto per togliere alle eresie sorte in ambito cristiano le basi
dottrinali per opporsi alla nuova religione di Stato. Ad ogni modo, pur
tenendo a mente questo problema, non abbiamo alcuna prova storica di una
singola persona chiamata Gesù, leader spirituale di una setta ebrea. Questa
critica alla letteralità dei Vangeli fu fatta per la prima volta dalla
sinistra hegeliana e particolarmente da Bauer, che formulò la famosa tesi
della non-storicità del Cristo e del cristianesimo come prodotto derivato
della cultura ellenistica, anche se questa semplice constatazione era già
stata fatta alla fine del Settecento da Gibbon, nel Declino e crollo
dell'impero romano[12].
Engels accettò la tesi di Bauer, ribadendo la non storicità del racconto
evangelico. Kautsky, anche su suggerimento di Engels, approfondì la materia
nel libro che abbiamo citato e giunse ad una conclusione leggermente
diversa. Le falsificazioni presenti nei Vangeli ci conducono a pensare
all'esistenza di un movimento religioso di carattere rivoluzionario la cui
storia è stata rivista più e più volte per mascherarne il reale contenuto
politico. Ovviamente, da ciò non è possibile concludere che questo movimento
sia stato guidato da una persona chiamata Gesù, né è decisivo.
Dai racconti su quell'epoca abbiamo diverse testimonianze di "cristi"
(termine greco che traduce l'ebraico "messia", ovvero l'unto, l'eletto, il
salvatore, definizione tradizionale di ogni re di Israele) che, messisi a
capo di una rivolta, sono finiti uccisi dalle spade romane. Così scrive
Svetonio, riferendosi ad un fatto che risale al 49 d.C.: "egli [l'imperatore
Claudio] scacciò da Roma i Giudei che, istigati da Cristo, erano
continuamente in lotta"[13].
E Tacito, riferendosi all'epoca neroniana: "furono puniti i cristiani, un
gruppo di persone dedite ad una superstizione nuova e malefica. Quel nome
essi derivarono da Cristo, che sotto il regno di Tiberio fu mandato a morte
dal procuratore Ponzio Pilato. Quella funesta superstizione, soffocata per
breve tempo, riprendeva ora vigore diffondendosi non solo in Giudea, luogo
d'origine di quel male, ma anche a Roma, dove da ogni parte confluiscono
tutte le atrocità e le vergogne, trovandovi grande seguito"[14].
A ciò si aggiunga che per una setta religiosa la narrazione delle proprie
gesta non è un documento storico ma dottrinario. Sarebbe irrazionale
ricercare nei testi religiosi un coerente filo storico. Non sono pensati ab
origine per questo. Nessuno si chiede in quale secolo si svolgano le
battaglie tra gli dei descritte da Esiodo o spera di trovare tracce di Zeus
in cima all'Olimpo; allo stesso modo non ha senso domandare agli evangelisti
precisione e coerenza. O meglio, non avrebbe senso domandarla a chi ha
scritto i testi evangelici originali, che non abbiamo. Da quelli, attraverso
una serie di revisioni ideologiche e culturali, è emerso il nuovo testamento
come lo conosciamo in epoca storica.
La rottura storica decisiva, nell'evoluzione del cristianesimo, avvenne tra
Shaul, l'intellettuale noto come San Paolo, e i dirigenti scampati al
massacro del movimento apostolico. Negli Atti degli apostoli questa lotta è
ben delineata[15]. La fazione di Shaul sta ormai prevalendo e i vecchi
dirigenti, molti dei quali probabilmente parenti del fondatore della setta,
tra essi Giacomo, secondo la tradizione fratello di Gesù, sono catturati e
uccisi dai romani. Paolo compie una revisione profonda dell'idea originaria.
La base storica della revisione è ovvia: lo scontro frontale con i romani
aveva condotto gli ebrei alla rovina. Ma per mettersi dalla parte del più
forte occorreva rinunciare al nazionalismo e all'odio verso la superiore
cultura ellenica. Al contrario era decisivo abbracciarla. Questo veniva
favorito dalla convergenza tra la sorte toccata alla Palestina e il più
generale sviluppo della società schiavile.
Nella sua fase finale, la repubblica romana combatté contro continue rivolte
di schiavi, alcune delle quali prolungate nel tempo e in grado di occupare
intere regioni dell'Italia e di altri paesi. Queste rivolte, proprio come
quella degli ebrei, finirono in uno spaventoso bagno di sangue, il più
famoso dei quali, in seguito alla rivolta di Spartaco, vide una fila
ininterrotta di ribelli crocifissi che si estendeva per buona parte del
meridione d'Italia. Le condizioni degli schiavi peggiorarono sotto l'impero,
la loro liberazione divenne più rara.
Questa sconfitta storica della classe oppressa diede impulso a una serie di
culti misterici, in cui la perduta liberazione materiale veniva compensata,
in modo alienato, nella vita ultraterrena. Tutte le leggende mediterranee
che si prestavano a questi culti si diffusero a macchia d'olio nella
popolazione. In Israele esse si fusero con le dottrine
nazionalistico-religiose preesistenti.
Il personaggio chiave di questa reinterpretazione non avrebbe potuto essere
un ebreo palestinese, nato e cresciuto nell'atmosfera di lotta antiromana,
doveva necessariamente essere un ebreo della diaspora, un civis romanus,
benestante, con un orizzonte culturale che lo collocasse a cavallo fra
l'universo ebraico e quello ellenistico. Esattamente come il fariseo
tarsiota Shaul.
Fu così che alcune idee profetiche del nazionalismo ebraico fecero da culla
per l'ideologia di riscatto prima e di sublimazione poi della classe
schiavile di tutto l'impero. Ovviamente, le tesi di Paolo si prestavano
politicamente ad un compromesso politico con il potere romano, mentre le
tradizioni ebraiche lo escludevano. Così, sin dalla predicazione di Paolo,
la storia originale della setta viene riscritta in senso escatologico.
Nel tempo, le interpretazioni dissonanti vennero cassate, così che la
stragrande maggioranza delle lettere neotestamentarie conservate sono quelle
di Paolo o della sua corrente. Ideologicamente, la dottrina paolina prevede
una totale accettazione dello status quo, giustificata da una concezione
pessimista circa l'uomo. Riprendendo alcune dottrine orfiche circa la
naturale inclinazione al male dell'uomo, Paolo propose una versione del mito
del peccato originale come dimostrazione che ogni azione dell'uomo è
condannata alla sconfitta e che l'unica speranza di liberazione e di
felicità appartiene ad un altro mondo. Questa sistemazione ideologica
(contenuta con particolare chiarezza nella Lettera ai romani), non è che un
riflesso del reale stato di cose presenti all'epoca: chi aveva tentato di
realizzare la liberazione e la felicità in Palestina era stato fatto a
pezzi.
Quando guardiamo al testo evangelico dobbiamo tenere in considerazione tutti
questi aspetti. Non solo i Vangeli sono una fusione di diverse correnti
culturali e ideologiche tra cui il profetismo e il messianismo ebraico, i
culti messianici di varia origine, le diverse filosofie diffuse all'epoca
nell'impero romano (in primo luogo, il neoplatonismo e lo stoicismo); ma
questa fusione si realizzò in un contesto di reazione politica e ideologica,
in cui gli obiettivi di liberazione concreta delle masse oppresse erano
stati duramente sconfitti.
Per questo, non deve sorprendere se nei Vangeli troviamo che non vi è una
sola caratteristica della vita di Gesù che non sia stata ripresa da altre
tradizioni. Allo stesso tempo non deve stupire il fatto di trovare palesi
contraddizioni tra questi racconti e la tradizione ebraica o addirittura
alcuni aspetti antiebraici, come la famosa invocazione del Vangelo di
Matteo[16]. Al contrario, si trattava di un passo necessario da parte di chi
cercava di marcare nettamente le distanze con i movimenti rivoluzionari che
avevano condotto Israele alla disfatta.
Le frequenti contraddizioni nel racconto evangelico derivano proprio
dall'opera di innesto di elementi extra-giudaici nella struttura originaria.
Si pensi al fatto che Gesù, con alcune esplicite e inequivocabili
esortazioni, invita a non diffondere il suo insegnamento presso i gentili, e
dichiara che la sua funzione è strettamente riservata ai figli di Israele;
mentre altrove invita a trasmettere il suo insegnamento a tutti gli uomini.
In secondo luogo, possiamo ricordare i numerosi inviti di Gesù alla pace,
alla non violenza e al perdono incondizionato, contraddetti in altra sede da
invettive rabbiose, minacce violente, rimanenze dell'originale posizione del
movimento[17].
Quando si discute della "storicità" dei Vangeli occorre sempre ricordare che
i quattro Vangeli canonici sono stati scritti in lingua greca, da persone
che non hanno assistito ai fatti narrati, da gentili, o comunque conoscitori
approssimativi delle usanze ebraiche, e, soprattutto, per un pubblico non
ebreo. Questi aspetti sono testimoniati dalle innumerevoli e grossolane
incongruenze fra le diverse narrazioni o all'interno della medesima
narrazione, il che mostra come l'autore, ogni tanto, avesse solo una vaga
conoscenza dei fatti e delle circostanze su cui stava scrivendo.
Peraltro, queste contraddizioni non sono casuali. Lo scopo della revisione è
sempre lo stesso: "spoliticizzare" la storia, modificando fatti e personaggi
in modo da eliminare dai protagonisti ogni caratteristica che possa farli
riconoscere come individui coinvolti nella lotta rivoluzionaria antiromana e
in quello che doveva essere il nucleo della narrazione originale: la
preparazione di un'insurrezione che venne tradita. Lo possiamo notare nelle
interpretazioni scorrette che sono state fornite a certi attributi associati
ai personaggi; per esempio "cananaios" inteso come cananeo, quando invece
deriva dall'ebraico "qan'ana" che significa zelota, patriota; oppure "bar
Jona", proditoriamente sdoppiato in due parole, per farlo significare figlio
di Giona, mentre i manoscritti originali recitano "barjona" che è un altro
termine ebraico che indica gli zeloti.
O per fare un ultimo esempio, Giuda il traditore, che è definito iscariota,
a cui viene attribuito un significato geografico per stornare l'attenzione
dal vero significato, sicario, termine con cui i romani usavano indicare gli
zeloti.
Quanto ai fatti, da quello che deduciamo dagli storici e dai testi sacri,
l'insurrezione venne preparata dall'opera di propaganda della setta che
culminò nell'attacco al tempio da cui vennero cacciati i cambiavalute e i
mercanti. Questo episodio deve aver avuto un enorme impatto e attesta la
notevole popolarità di Gesù (nessuno infatti intervenne per ostacolarlo: né
la polizia giudaica né le truppe romane), nonché la definitiva rottura di
quella corrente con i farisei. Al momento decisivo il gruppo si radunò sul
monte degli Ulivi, il miglior posto da cui tentare una sortita su
Gerusalemme. Ma prima che potessero lanciare l'assalto, l'insurrezione venne
scoperta per un tradimento e finì come sappiamo.
E' difficile stabilire se il piano prevedesse un'insurrezione preparata
apertamente o un colpo di mano. La contraddizione sta nel fatto che i
Vangeli ci parlano di Gesù come persona nota a tutti in Gerusalemme,
tuttavia Giuda deve baciarlo per farlo riconoscere. E' dunque probabile che
l'azione fosse stata tenuta segreta, ma con poco successo. La sconfitta
dell'insurrezione deve aver lasciato una tale scia di sangue, dolore e
risentimento che tutti gli stravolgimenti operati sui Vangeli non hanno
potuto eliminarla.
Dal canto loro, i romani non devono averla presa sotto gamba, se risponde al
vero la circostanza riportata dai testi che l'intera coorte stanziata a
Gerusalemme venne adoperata per reprimere la rivolta. Allo stesso tempo, il
racconto si è arricchito di contraddizioni, come quando ci narra di Pietro
che, dopo aver aggredito spada in mano una guardia, si siede a parlare
tranquillamente con i sacerdoti.
Possiamo immaginare quest'uomo, capo dell'organizzazione militare della
setta, soprannominato la "roccia" per i suoi modi, che quando vengono ad
arrestare il leader principale del movimento, pur di fronte a centinaia di
soldati romani, risponde difendendolo con la spada, salvo poi farsi due
chiacchiere con i suoi aguzzini. D'altra parte, secondo la chiesa, questa
stessa persona avrebbe terminato i suoi giorni a Roma sotto l'autorità
imperiale...
Queste contraddizioni vanno contro la logica e la storia. Persino gli
esseni, pacifici e passivi alle origini, furono travolti dall'impeto della
ribellione, tanto che troviamo esseni tra i generali che combatterono
l'ultima disperata battaglia contro i romani. Laddove il rovesciamento della
realtà storica dovette essere massima fu nel rapporto tra le masse di
Gerusalemme e i romani.
I Vangeli ci raccontano di questo simpatico ufficiale romano, Pilato, che di
fronte all'isteria degli ebrei si stufa e si disinteressa della faccenda,
lavandosi proverbialmente le mani, mentre gli ebrei reclamano a gran voce
che Gesù venga crocifisso. Innanzitutto, l'idea che uno come Pilato faccia
decidere al popolo chi condannare a morte è ridicola, così come l'idea che
per una festività ebraica il legato romano avrebbe liberato un ribelle[18].
In secondo luogo Pilato viene descritto come un brav'uomo, appena irritato
dall'insistente ferocia ebraica. In realtà, Pilato fu uno dei più brutali
comandanti romani. Era eccessivamente duro persino per il metro dell'impero,
tanto che nel 36 d.C. venne richiamato a Roma. In una lettera a Filone,
Agrippa lo definisce "inflessibile e spietato" e ricorda le sue usanze di
saccheggio, esecuzioni sommarie, brutalità di ogni sorta. Questo personaggio
sarebbe improvvisamente diventato un tale esempio di democrazia da chiedere
al popolo sottomesso di salvare la vita a Gesù. Infine, che dire del
comportamento della folla che partecipa alla discussione, che secondo i
Vangeli aveva accolto pochi giorni prima Gesù tra gli osanna, come un re, e
che ne chiede l'uccisione all'unanimità?
Gesù doveva essere popolare, se si decise di arrestarlo nel cuore della
notte anziché di giorno. Eppure la folla lo vorrebbe far giustiziare per gli
stessi motivi per cui ne aveva decretato il successo. Infine, attribuire la
colpa al Sinedrio è davvero ipocrita, considerando che il sommo sacerdote
veniva nominato dalle autorità romane, per cui le decisioni del Sinedrio
erano solo un riflesso della volontà dell'occupante[19]. Ovviamente c'è
qualcosa che non quadra. Possiamo facilmente immaginare come Pilato
trattasse i messia, ovvero i leader delle rivolte, quando cadevano nelle sue
mani e forse venivano anche mostrati alla folla, certo non per far scegliere
a questa chi liberare, ma solo per far capire quali conseguenze comportava
ribellarsi a Roma.
[11] Si ricordi anche che la chiesa cristiana (sotto la guida del vescovo
Teofilo) è all'origine dell'incendio che devastò la biblioteca del Museo
d'Alessandria d'Egitto nel 391.
[12] Lo storico notò ironicamente che nessun contemporaneo aveva sentito
parlare di Gesù, peraltro un nome ebraico abbastanza comune.
[13] Svetonio, Claudius, XXV, 4, citato in K. Kautsky, L'origine del
cristianesimo.
[14] Tacito, Annales, XV, 44 citato in K. Kautsky, L'origine del
cristianesimo.
[15] Così come nei furibondi scambi di accuse delle lettere conservate. Ad
es., Paolo dice "orbene se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi
predicasse un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato sia
anatema." (Lettera ai Galati 1,8).
[16] "Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva
sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: 'Non sono
responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!'. E tutto il popolo
rispose: 'Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli.'"
(Matteo, XXVII, 24-25).
[17] Come possiamo vedere in questi passi: "sono venuto a portare il fuoco
sulla terra; e come vorrei che fosse gia acceso!... Pensate che io sia
venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D'ora
innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due
contro tre" (Luca, XII, 49-53) e anche: "non crediate che io sia venuto a
portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada"
(Matteo X, 34).
[18] L'identità del ladro liberato desta poi qualche perplessità. Si
tratterebbe di Barabba, ovvero Bar Abba, cioè "figlio del padre" in
aramaico, un appellativo di ogni messia e in particolare di Gesù. Per una
curiosa coincidenza Pilato avrebbe liberato un messia e ne avrebbe fatto
uccidere un altro. Secondo altre fonti Barabba sarebbe stato un capo zelota.
Ma non si capisce perché mai i romani avrebbero ucciso un ribelle
liberandone un altro.
[19] Non a caso gli zeloti, quando presero il controllo della città nel 66
d.C. sostituirono il sommo sacerdote in carica con uno scelto secondo la
legge mosaica.
GLI APOSTOLI
Ingredienti della riscrittura
Tra i supersiti della setta degli apostoli, chiamata con vari nomi:
ebioniti, nazorei (o nazareni), cominciò un processo di differenziazione che
condusse al prevalere della corrente guidata da Paolo, che operò una
revisione complessiva delle tradizioni messianiche attingendo a diverse
fonti intellettuali. Per comprendere il risultato di questa sintesi occorre
partire dalla situazione storica dell'epoca.
Quando nel 70 d.C. la Palestina fu rasa al suolo dalle truppe imperiali,
qualunque fede nella possibilità di sconfiggere Roma si tramutò in
disperazione. Per gli schiavi di tutto l'impero la presa di Gerusalemme fu
il segnale della controrivoluzione trionfante. Infatti, le masse oppresse
della Palestina erano state per decenni alla testa della ribellione contro
Roma.
Il loro annientamento segnò la fine delle speranze per tutti gli schiavi e i
proletari dell'impero romano. Ogni ribellione divenne ad un tratto inutile,
controproducente e la religione riflesse questo mutamento. Il periodo di
reazione sociale e politica prese ideologicamente la forma di un nuovo tipo
di religione messianica. Lo vediamo già nella Apocalisse di Giovanni scritta
poco dopo quegli eventi, da un personaggio che aveva senza dubbio
partecipato alla rivolta e che probabilmente aveva visto il sacco di
Gerusalemme. Qui si riversa la rabbia, l'amarezza, la vera e propria follia
disperata che attanaglia le comunità ebraiche in esilio in un insieme di
racconti confusi, onirici, in cui, con una complessa simbologia, si
scagliano anatemi contro Roma (e non contro il "diavolo", come poi deciderà
la chiesa). E' in questo ambiente che il messaggio originale
zelota-essenico, connesso al profetismo tradizionale ebraico, viene fuso con
le correnti soteriologiche orientali e le filosofie dell'impero.
a) Il messianismo ebraico
Gli ebrei svilupparono una dottrina monoteista a contatto con gli Stati
asiatici. In generale le religioni monoteistiche furono una creazione delle
popolazioni nomadi, come gli ebrei e poi gli arabi, nei loro contatti con
una superiore civiltà urbana, in cui l'unico padrone del cielo era un
riflesso del dominio acquisito da un unico padrone in terra. Tuttavia per
gli ebrei il monoteismo asiatico acquisì subito un ruolo differente. Il dio
"geloso" del Vecchio Testamento è un dio spietato che protegge, dovrebbe
proteggere, il suo popolo eletto dalle angherie dei vicini.
Di fronte all'oppressione, la cultura ebraica sviluppò il profetismo
messianico, che si basava sulla condanna dei popoli che opprimevano Israele,
ma anche su una certa denuncia sociale della ricchezza e del lusso, visti
come qualcosa di estraneo al popolo ebraico, quasi un segno di connivenza
con gli oppressori. Per esempio, al profeta più noto, Isaia, sono attribuite
queste riflessioni: "asserviranno così chi li aveva asserviti, domineranno i
loro oppressori", che è poi quello che effettivamente accadeva quando gli
schiavi liberavano un territorio. E in una delle definizioni più incisive di
plusvalore: "gli stranieri non berranno mai più il vino / per il quale tu
hai faticato / bensì coloro che avranno raccolto il grano / lo mangeranno e
inneggeranno a Jhwh".
E ancora: "guai a coloro che emettono decreti iniqui / che si affrettano a
scrivere sentenze malvagie / per negare la giustizia ai miseri / e per
derubare del diritto i poveri del mio popolo". Nel Salmo 9 del vecchio
testamento si può leggere analogamente: "non per sempre sarà obliato il
povero né la speranza dei miseri sarà delusa in perpetuo". Questi profeti
predicavano la venuta di un messia dall'inaudita potenza, le cui origini
divine potevano portare alla liberazione nazionale. In mancanza di meglio,
anche il re persiano Ciro, in quanto pose fine alla cattività babilonese,
venne identificato quale messia.
Quando Roma occupò la Palestina, i testi profetici cominciarono a inveire
anche contro di essa, come vediamo in un passo dei libri sibillini ebraici:
"e la terra sarà comune a tutti e non ci saranno più né mura né frontiere,
né poveri né ricchi, né tiranni né schiavi, né grandi né piccoli, né re né
signori ma tutti saranno uguali... Quante ricchezze Roma ha ricevuto
dall'Asia, tre volte tanto l'Asia ne riceverà da Roma, facendole pagare il
fio dei soprusi sofferti"[20]. Ai tempi di cui ci narrano i Vangeli, la
Palestina non mancava di messia. Celso, ad esempio, ci racconta di quanti
profeti si dichiaravano "figli di dio". Ovviamente, il messia doveva sempre
provenire dalla stirpe più nobile del popolo ebraico, ovvero essere
discendente del re Davide in persona.
Questo si riflesse nella genealogia di Giuseppe, che nei Vangeli viene fatto
discendere appunto da Davide, mentre Gesù viene fatto nascere a
Betlemme[21], la città del messia. Inoltre, diversi passi dei Vangeli sono
ricalcati sulle profezie del popolo ebraico e descrivono Gesù intento a
leggerle e citarle e a loro volta molte caratteristiche della vita di Gesù
sono ricalcate sulla storia di personaggi della mitologia ebraica, ad
esempio la nascita in base a fecondazione divina (si pensi a Sansone e
Samuele). Lo stesso numero degli apostoli, 12, è un chiaro riferimento alle
tradizionali 12 tribù di Israele[22].
Ma quando il cristianesimo divenne una religione non esclusivamente ebrea o
anzi anti-ebrea, questi legami divennero imbarazzanti. Così, la discendenza
dalla progenie di Davide venne accantonata, riflettendosi in un ruolo sempre
più marginale, nella dottrina cristiana, del genitore terreno del messia,
mentre il messia divenne letteralmente "figlio di dio", quando per il mondo
ebraico, il "figlio di dio" era semplicemente l'erede al trono. Questo
sviluppo segnala di per sé l'ormai avvenuto distacco della dottrina
cristiana dal mondo ebraico.
Un messia che si fosse proclamato letteralmente "figlio di Jahvè" sarebbe
stato allontanato dalla comunità, ma nel mondo ellenistico era normale che i
grandi uomini si considerassero figli di Apollo o di altre divinità. Un
messia divino non era un problema per il mondo ellenistico: un dio in più o
in meno non faceva differenza. Ma non è possibile riconciliare questa
prodigalità di entità celesti con il monoteismo. Con il passare del tempo,
anche un altro aspetto della letteratura profetica venne abbandonato: l'idea
che il riscatto nazionale fosse vicino. I cristiani delle origini vivevano
appartati dalla società, giudicando la fine del mondo ormai prossima.
Ma la fine non veniva e la "Bestia", ovvero l'impero romano, prosperava. Con
il tempo, la venuta del messia venne allontanata fino all'anno Mille, e in
seguito venne rimandata a tempo indeterminato. Ben pochi cristiani sono oggi
consapevoli che la loro dottrina nacque nella convinzione che il messia
sarebbe tornato quando i testimoni oculari dei suoi insegnamenti erano
ancora in vita.
[20] Donini, cit., p. 217. Si noti come la società perfetta del futuro, il
"regno di Dio", sia un ritorno su altre basi al comunismo primitivo, alla
proprietà collettiva dei mezzi di produzione, all'uguaglianza e alla
giustizia sociale.
[21] Gesù stesso è chiamato discendente di Davide fin dalla genealogia
iniziale del racconto evangelico ed era noto con tale appellativo: "costui,
al sentire che c'era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: 'Figlio di
Davide, Gesù, abbi pietà di me!'." (Marco, X, 47).
[22] Anche se non è da escludere che questo riferimento non sia
un'invenzione successiva ma fosse proprio della setta, che voleva mostrarsi
con questa scelta guida di tutta Israele.
CULTI E POTERI
b) I culti misterici e il potere imperiale
Le sette nazionaliste giudaico-cristiane non potevano sviluppare una
religione universalistica perché erano il prodotto della lotta di un solo
popolo. Allo stesso tempo, sebbene gli ebrei non fossero l'unica popolazione
oppressa sotto l'impero, la dominazione che subivano aveva un carattere
particolarmente brutale e la loro storia millenaria di sottomissione li
aiutava, anche nella diaspora, a restare più legati e omogenei di altri
popoli.
In fondo, la diaspora "romana" fu solo l'ultima di una serie. Inoltre, la
consistenza numerica e la diffusione degli ebrei era notevole[23]. Tutto
questo spiega perché la radice del cristianesimo sia ebraica.
Tuttavia, questa radice crebbe in un mondo del tutto diverso. Non solo il
dominio romano aveva unificato le condizioni sociali e politiche del
Mediterraneo, ma aveva facilitato enormemente gli scambi culturali tra i
popoli. Così, se la crisi della civiltà schiavile spiega il diffondersi di
culti misterici, il fatto che l'oriente in genere fosse più sviluppato
spiega perché il flusso delle idee soteriologiche andasse da est a ovest,
dalla civiltà ellenica ma anche persiana e indiana fino a Roma[24]. Già
prima che la presa di Gerusalemme ponesse le basi per una rivisitazione del
messianismo ebraico, i culti di salvezza avevano conosciuto una diffusione
notevole tra i popoli soggetti a Roma, tanto che verso il 50 a.C. il senato
romano aveva deciso una loro decisa repressione.
Particolarmente brutale fu la repressione dei culti dionisiaci. Liberato
delle sue componenti guerriere ed isolazioniste, il messaggio messianico era
pronto per fondersi con le religioni a sfondo salvifico ormai diffuse.
Spesso si trattava di culti già sincretici, ovvero religioni che univano
culti orientali a elementi giudaici e di popoli anche al di fuori
dell'orbita romana. Quello che tutte queste forme avevano in comune era il
ruolo centrale dello schiavo. Il fedele era lo schiavo e dio il padrone che
lo liberava. Dalla fusione tra questi culti e il messianismo ebraico,
avvenuta nel corso dei primi secoli dell'impero, emerse la religione
cristiana, una dottrina che si rivolgeva a tutti, non più legata alle
condizioni e agli usi di specifiche etnie. Il suo richiamo universale
rifletteva un dato oggettivo: l'unificazione politica e sociale del bacino
mediterraneo.
La crisi strutturale di una società in principio non si riflette alla sua
base, ma ai suoi vertici. Così, mentre la disperazione degli schiavi
sconfitti stava producendo la sintesi dei diversi culti di salvezza, la
superstizione e il mistero prendevano il sopravvento su tutta la società. Si
assistette ad una esplosione di fenomeni inspiegabili, misteri, miracoli.
Persino Tacito, solitamente assai sobrio, racconta dei numerosi miracoli
compiuti da Vespasiano[25], quali ridare la vista a un cieco, che saranno
poi ripresi nel cristianesimo[26].
L'imperatore, come potenza suprema dello Stato, si prestava inevitabilmente
alla divinizzazione. L'accentramento del potere nelle mani dell'imperatore
forniva una base ulteriore alla diffusione di culti monoteisti in cui
all'imperatore romano si contrapponeva un messia ancor più divino e potente.
Finché il messianismo restò l'ideologia delle fasce oppresse, l'imperatore
era l'emblema stesso del male, divino sì ma nella sua mostruosa malvagità
(si pensi all'immagine che ancora oggi i cristiani danno di Nerone). Quando
la chiesa si fuse con lo Stato imperiale, queste tradizioni vennero pian
piano dimenticate[27].
I cristiani non amano sottolineare la stretta parentela del Cristo dei
Vangeli canonici con ogni altra figura di salvatore noto alle religioni
soteriologiche. Anzi, spesso rovesciano il nesso causale e interpretano
l'ambiente pieno di religioni a sfondo liberatorio (il culto di Dioniso, i
misteri orfici, i misteri eleusini, i misteri di Adone, Osiride e Iside,
ecc.) come una sorta di "preparazione" all'avvento del messia vero, una
sorta di convergenza spirituale verso il figlio di dio.
Naturalmente, chiedendo l'aiuto divino, è possibile interpretare la causa
spiegandola con l'effetto, e non sono mancate scoperte di autori cristiani
precedenti a Gesù stesso, come nel caso di Virgilio. E' inutile, in un
simile contesto, chiedersi perché il messaggio messianico dovesse passare
per l'attribuzione delle qualità del salvatore a una serie di personaggi
disparati, provenienti da ogni cultura dell'epoca.
Elementi quali la nascita virginale, in una grotta, l'attribuzione della
paternità del messia a dio, la resurrezione, s'incontrano infatti in decine
di altre fedi. Si consideri questo passo: "la volontà dei Deva fu compiuta;
tu concepisti nella purezza del cuore e dell'amore divino. Vergine e madre,
salve! Nascerà da te un figlio e sarà il Salvatore del mondo. Ma fuggi,
poiché il re Kansa ti cerca per farti morire col tenero frutto che rechi nel
seno. I nostri fratelli ti guideranno dai pastori, che stanno alle falde del
monte Meru... ivi darai al mondo il figlio divino."[28]
Come si vede, la religione Indù contempla l'incarnazione del dio Vishnu, che
decide di farsi carne sulla terra, sotto le spoglie umane di Krishna, e
costui nasce da una madre vergine, Devaki, la quale è costretta a
nascondersi perché il re Kansa teme la venuta, evidentemente profetizzata,
del salvatore, e vuole ucciderlo; la nascita del fanciullo divino avviene
fra i pastori.
Ciò dimostra che la natività di Gesù, in realtà, ha radici molto antiche in
una numerosa serie di tradizioni del tutto analoghe o quasi coincidenti. Tra
le madri vergini che partorirono un dio abbiamo anche la madre di Api,
Osiride, Sakia, Quexalcote, Dioniso, Attis, Ercole e molte altre. Quanto
alla resurrezione si pensi ad Osiride, che condivide con Gesù anche la
nascita verginale. Il caso di Api mostra anche un'origine ancora più antica.
Api infatti era rappresentato da un toro, Gesù da un agnello.
Qui riscontriamo un residuo di origine totemica, ovviamente cancellato nei
secoli con un'interpretazione intellettuale dell'agnello "che toglie i
peccati del mondo", che avrebbe lasciato assai freddi i cristiani originali.
Un'altra figura che ha palesemente ispirato diversi passi evangelici è
Buddha, che nasce miracolosamente dalla regina vergine Maya. Alla sua
nascita compaiono spiriti che cantano una preghiera ("è nato un eroe
meraviglioso" ecc) assai vicina alle parole dei magi. Molti altri aspetti
anche di dettaglio della vita di Buddha li ritroviamo nei Vangeli, come
l'episodio in cui il bambino si perde e viene ritrovato a discettare di
dottrina con un gruppo di sapienti.
Le stesse feste cristiane sono chiaramente di derivazione "pagana". In
Grecia e in diverse località dell'Asia occidentale, specialmente in Siria,
si celebrava in primavera, all'incirca nel periodo che poi fu caratteristico
della Pasqua cristiana, la morte e la resurrezione di Attis: "nel giorno del
sangue, si piangeva per Attis, sulla sua effigie che veniva poi sepolta, ma,
al cader della notte, la mestizia dei fedeli si mutava in allegrezza. Una
luce brillava subitamente nelle tenebre, si apriva il sepolcro, il dio era
risorto dai morti. Il mattino seguente, 25 marzo, considerato l'equinozio di
primavera, la divina resurrezione veniva celebrata con esplosioni di
gioia"[29].
Lo stesso si può dire di Mitra, divinità persiana il cui rituale aveva avuto
una straordinaria diffusione nell'impero romano, tanto da annoverare tra i
suoi fedeli lo stesso imperatore Costantino. Anche Mitra moriva e
risuscitava e la sua nascita era omologata a quella di numerosi altri dei
solari siriani ed egiziani, che venivano partoriti dalla madre vergine nella
notte del 25 dicembre: "sia per dottrina che per rituali, il culto di Mitra
sembra presentasse molti punti di contatto non solo con la religione della
madre degli dei, ma anche con quella cristiana. Punti di contatti rilevati
anche dai padri della chiesa, che li definirono opera del demonio intesa ad
allontanare l'animo umano dalla vera fede, mediante una falsa imitazione di
essa"[30].
Un altro caso di evidente somiglianza teologica con Gesù è quello che
riguarda il greco Dioniso, che moriva e scendeva negli inferi, per poi
risuscitare. Qui troviamo un altro sorprendente elemento di parallelismo col
cristianesimo, il rito della teofagia (il fedele che si ciba della carne e
del sangue del dio): "durante la festa, i suoi fedeli ritenevano senza
dubbio di fare a pezzi il dio stesso, cibandosi della sua carne e bevendone
il sangue"[31].
L'opera di Frazer, Il ramo d'oro, è decisiva nel dimostrare che pressoché
ogni elemento dottrinario della figura di Gesù è stato mutuato da questi
culti, spesso contro l'impostazione classica della religione degli ebrei. Si
pensi a Gesù che annuncia ad una assemblea pasquale di giudei che il pane è
la sua carne e il vino il suo sangue, e che i discepoli devono cibarsi della
carne e del sangue del loro maestro sacrificato, visto come incarnazione
divina. Questo sarebbe suonato non solo insolito, ma orrendamente sacrilego.
Per gli ebrei il sangue costituisce un forte elemento di impurità, che non è
permesso toccare senza poi eseguire pratiche purificatorie, figuriamoci
berne: una delle prescrizioni più rigorose del cibo kosher consiste proprio
nell'assicurarsi che l'animale ucciso sia stato ben dissanguato.
Storicamente parlando, non possiamo considerare credibile che un ebreo
avrebbe esposto dottrine, come la teofagia, considerate offensive e
sacrileghe tra i suoi discepoli. Al contrario, varie discipline iniziatiche
del mondo ellenistico e poi romano contemplavano riti teofagici, e non
avevano alcun genere di pregiudiziale nei suoi confronti.
[23] Essi costituivano oltre il dieci per cento della popolazione non libera
dell'impero. A Roma erano particolarmente numerosi, tanto che nel 3 a.C. si
presentarono in delegazione da Augusto in oltre 8.000. All'epoca, essi erano
anche abbastanza vicini al potere imperiale.
[24] Così lo stesso Plotino andò in Persia per studiare la cultura indiana e
gli influssi di tale cultura sul cristianesimo sono innegabili.
[25] Histories, IV, cap. 81.
[26] Successivamente questa qualità passò ai sovrani cattolici fino a Carlo
X, che durante l'incoronazione del 1825 come ultimo re di Francia, compì i
suoi bravi miracoli.
[27] Occorre infine osservare che un certo monoteismo inizia a farsi largo
in forma autonoma anche in Grecia e a Roma. La figura di Zeus-Giove diviene
infatti il padre degli dei, una figura unica chiaramente distinta dal resto
del pantheon. Ma la struttura sociale della Grecia classica non permise lo
sviluppo necessario al monoteismo. Anche la letteratura greco-romana
registra alcuni spunti in questo senso. Kautsky nota: "Il monoteismo inizia
a farsi strada. Possiamo trovarne echi anche precedenti come una scena di
Plauto in cui uno schiavo, chiedendo un favore, dice: 'C'è un Dio, come sai,
che ascolta e vede quello che facciamo; e a seconda di come mi tratti,
tratterà tuo figlio lì. se ti comporti bene tornerà a tuo vantaggio'.
(Captivi, atto II, scena II)". (L'origine del cristianesimo).
[28] E. Shurè, I grandi iniziati.
[29] J. G. Frazer, Il ramo d'oro.
[30] J. G. Frazer, cit.
[31] J. G. Frazer, cit.
FILOSOFIE DIFFUSE DELL'EPOCA PRIMA DELL'AVVENTO DI GESU' CRISTO
c) Filosofie dell'epoca
Quanto alle filosofie diffuse nell'epoca, un chiaro influsso lo ebbero lo
stoicismo di Seneca e il platonismo mistico di Plotino. L'interpretazione
dello stoicismo data da Seneca vedeva già il dualismo anima-corpo e la
subordinazione del secondo alla prima. Seneca scrive ad esempio: "il corpo è
il fardello dell'anima e la sua punizione. Grava sull'anima e la tiene in
catene". Vi sono molte altre espressioni di Seneca riprese nel Nuovo
Testamento. Ovviamente, annoverare Seneca, precettore di Nerone persecutore
dei cristiani, tra le basi dottrinali del cristianesimo non era opportuno.
Ma c'è anche un'altra ragione sociale e politica della distanza.
Ben pochi filosofi stoici o neoplatonici sono diventati cristiani.
Difficilmente un filosofo si sarebbe lasciato martirizzare per le proprie
idee, tanto meno per delle idee religiose. Seneca parlò sempre in modo
ammirevole dei suoi schiavi, ma non ne liberò neanche uno e si guardò bene
dall'invitarli a condividere il suo regime di vita; inoltre non fece mai
nulla per sbarazzarsi delle sue immense ricchezze.
I filosofi interpretavano l'atmosfera decadente dell'impero, ma si
guardavano bene dall'intervenire per un suo cambiamento. Al contrario i
primi cristiani volevano cambiare radicalmente lo stato di cose. E' solo con
l'assimilazione del culto elaborato dalla corrente paolina che queste
filosofie cominciarono a giocare un ruolo nel dare forma al pensiero
cristiano.
In questo senso, l'influsso di Plotino, vissuto nel III sec. d.C., colse il
cristianesimo ormai strutturato come culto soteriologico metafisico. Per
anni ardente discepolo di Ammonio e di altre sette greco-egiziane, Plotino
arrivò a Roma dove visse per vent'anni facendo il profeta e compiendo magie
circensi come l'ultimo dei ciarlatani di paese. Che un simile personaggio,
simile a un Rasputin, potesse facilmente introdursi a corte e nelle migliori
famiglie romane dimostra quanto degenerato fosse il regime imperiale.
Questo declino si riflette nei suoi scritti, dove la vita è sempre perversa
e peccaminosa e solo rinunciando a ogni cosa terrena si è felici. Si
riflette anche nella rinuncia a ogni azione sul mondo, all'idea stessa della
conoscenza come fondamento dell'azione. Laddove Aristotele aveva basato le
sue idee su attente e prolungate osservazioni, Plotino si accontenta
dell'ispirazione celeste. Non è necessario capire, basta la fede. Questo era
il messaggio plotiniano che ovviamente non aveva nulla in comune con le
colossali vette toccate dalla filosofia greca classica anche nelle sue punte
più misteriosofiche, come il pitagorismo.
Da questi influssi nacque dunque una religione del tutto diversa dal
messianismo originale ebraico. Il figlio di dio che risorge non è più il
messia degli ebrei, ma il salvatore celeste degli schiavi che parla a tutti
i popoli oppressi dell'impero. Allo stesso tempo, non parla più di guerra ma
di sottomissione, come vuole Paolo di Tarso che sottolinea "indifferenza di
fronte alla schiavitù, ubbidienza alle autorità costituite, inferiorità
della donna rispetto all'uomo". Questo nuovo messianismo mistico e non più
politico fa quindi pendere la bilancia verso l'acquiescenza e la passività.
I cristiani sono pronti per essere integrati nella società romana.
Da qui in poi la loro storia si fonde con quella dell'impero, le vecchie
correnti avventiste e guerriere vengono definitivamente eliminate e
l'avvento del regno di dio, da concreto programma politico, si trasforma in
una vaga promessa sull'oltretomba. Il cattolicesimo storico deve "darsi da
fare in tutti i modi e con tutte le forze, affinché a nessuno venga
consentita né oggi, né in futuro, la lettura, anche solo frammentaria del
Vangelo" (Regolamento ecclesiastico di Papa Giulio III, 1553 ca).
Come abbiamo visto, le tradizioni risalenti al messianismo ebraico sono
passate per diverse fasi prima di condensarsi in una serie di testi
dottrinari da cui è stato poi estratto il "canone". Non solo Paolo e i suoi
seguaci avevano già completamente stravolto l'originale messianismo
giudaico, ma la chiesa ha effettuato, concilio dopo concilio, correzioni e
aggiunte per ragioni politiche ed ideologiche. Sebbene la chiesa affermi che
i Vangeli siano parola di dio, ciò non le ha impedito di produrre teorie del
tutto assenti dai testi sacri, o di continuare a modificare la traduzione di
questi testi per venire incontro alle proprie esigenze ideologiche. E non
bisogna credere che questo processo si sia fermato con il Concilio di Nicea
o nel Medioevo. Va avanti ancora oggi[32].
Questa perenne opera di modifica, che ricorda pratiche orwelliane, viene
aiutata dal progressivo allontanamento dei fedeli dalle scritture. Anche in
questa opera mistificatoria il cristianesimo assomiglia allo stalinismo,
sotto la cui censura venivano "riviste" le opere dei classici del marxismo.
Il cattolicesimo-romano è il culto in cui la distinzione tra apparato e
fedeli è più forte e profonda. Novantanove dogmi su cento difesi oggi dalla
chiesa non hanno alcun riscontro nei Vangeli o in altri testi sacri. Spesso
anzi vi sono dirette prove contrarie. Molti dogmi sono stati "scoperti"
diversi secoli dopo la scrittura dei Vangeli, e ne è seguita un'opera di
ritocco dei testi stessi per renderli coerenti con le "scoperte".
Rimane il fatto che la chiesa scoraggia la lettura della Bibbia e del
Vangelo, dove non è possibile trovare alcuna giustificazione delle posizioni
ch'essa professa e impone. Il caso più eclatante è forse quello dell'inferno
e del purgatorio, di cui non c'è traccia nelle sacre scritture. La chiesa ha
inventato l'inferno nel Concilio Laterano I (1123) e il purgatorio nel XIII
secolo con lo stesso scopo: raccogliere denaro. Senza dubbio, questa opera
di revisione permanente rende il cristianesimo sufficientemente flessibile
ma lo fa anche incappare in incoerenze storiche.
Per questa ragione, a differenza di altre religioni, la chiesa non si basa
sulle scritture ma sulla "natura" per difendere le proprie posizioni.
Pensiamo al caso della proprietà privata, che è condannata da tutte le sette
messianiche e che, come abbiamo visto, conduce l'apostolo Pietro a uccidere,
con l'aiuto di dio, dunque anche lui favorevole al socialismo, due fedeli
che si erano tenuti parte delle proprie ricchezze per loro. Se si legge il
Vangelo non si trova nulla a difesa della proprietà privata, nonostante
secoli di "correzioni". Per questo, nella sua lotta al socialismo, la chiesa
non cita mai le scritture, come invece hanno sempre fatto le sette
cristiano-collettiviste, dai dolciniani agli anabattisti, ma la "natura":
"nella umana Società, è secondo la ordinazione di Dio che vi siano principi
e sudditi, padroni e proletari, ricchi e poveri"[33]. Che cosa c'entri
questo con il "messaggio evangelico" non è dato saperlo.
[32] Ne diamo qui un piccolo esempio. Nei Vangeli appare pacifica
l'esistenza di fratelli di Gesù il quale infatti viene definito
"primogenito". Ma al giorno d'oggi, non ci è dato di poter leggere questo
termine, perché i traduttori l'hanno eliminato. Ad esempio, i testi antichi
del Vangelo di Matteo così recitano: "Et non cognoscebat eam donec peperit
filium suum primogenitum: et vocavit nomen eius Iesum" (e non la conobbe
[nel senso biblico di non avere rapporti carnali] finché ella non ebbe
partorito il suo figlio primogenito, e gli dette nome Gesù)" (Ist. Bibl.
Pont., Novum Testamentum Graece et Latine, Roma 1933, Secundum Matthaeum 1,
25). Ciò che leggiamo oggi, invece, appare così: "la quale, senza che egli
la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù" (Vangelo e Atti
degli Apostoli, versione ufficiale della CEI, Ed. Paoline, Roma, 1982).
Questo è lo scrupolo filologico della chiesa...
[33] Dice papa Pio IX (cit. in E. Rossi, Il Sillabo e dopo, p. 64).
CONCLUSIONI
Il cristianesimo ha attraversato tre fasi: è nato come messianismo
antiromano di alcune sette ebree, è stato trasformato da Paolo in culto
soteriologico per gli schiavi sconfitti di tutto il Mediterraneo, è infine
diventato il culto ufficiale dello stesso impero, che cominciò ad inglobare
i vertici del nuovo culto finché, sotto Costantino, la chiesa divenne
organicamente parte dell'apparato statale romano.
Se i primi cristiani erano ribelli sopravvissuti al massacro, a partire da
San Paolo i cristiani sono non solo schiavi sottomessi, ma anche membri
della casta dominante in cerca di conforto dalla crisi della propria civiltà
giunta all'apogeo.
Ovviamente questo comportò non solo modifiche dottrinarie rilevanti, di cui
si è detto, ma anche cambiamenti strutturali all'organizzazione dei
credenti. Se in origine la chiesa era l'ecclesia, ovvero l'assemblea dei
credenti, che gestiva collettivamente le risorse dei fedeli e nominava
democraticamente i suoi dirigenti (tanto che ancora Leone Magno disse:
"colui che dovrà presiedere su tutti, dovrà anche essere eletto da tutti"),
la nuova chiesa era invece un apparato burocratico calcato sulla struttura
imperiale. Il processo che condusse alla totale esclusione del ruolo dei
fedeli nelle decisioni durò secoli, ma già sotto Costantino era l'imperatore
a dare direttive al corpo episcopale su questo o quel dogma.
In questa atmosfera, la proprietà comune stava già rapidamente declinando.
Con la crescita numerica della comunità, soprattutto nelle grandi città
dell'impero, nasceva il bisogno di una struttura permanente (la venuta del
messia si allontanava nel tempo). I primi funzionari erano eletti e
revocabili e non ricevevano alcun beneficio materiale dalla loro carica. Con
la crescita della comunità alla carica corrispose una remunerazione, per
quanto i vescovi rimanessero eleggibili e revocabili.
Tuttavia, occorre ricordare che il successo del cristianesimo era il
successo di un movimento ormai sottomesso sotto il piano politico, del tutto
innocuo per l'impero. La crisi morale della classe dominante poteva dunque
dare nuovi adepti alla chiesa. A questi non veniva più chiesto di mettere in
comune i propri beni ma al massimo di darne una certa parte. La comunità non
era più un'unità produttiva indipendente, come era nel caso degli esseni, né
avrebbe potuto in un ambiente urbano.
La comunione dei beni diveniva così solo un ricordo, simboleggiato dalle
funzioni religiose comuni. I funzionari della chiesa non erano dunque più
controllati dai fedeli, che non vivevano più collettivamente, e potevano
disporre di ricchezze crescenti svincolati da ogni controllo. Nel tempo, le
risorse della comunità cominciarono a divenire possesso di fatto dei
vescovi, eletti ormai solo formalmente da fedeli che erano ormai troppo
numerosi per conoscerli di persona e controllarli.
Quando la chiesa venne incorporata nello Stato, ogni residuo di struttura
collettiva venne spazzato via. Le proprietà dell'ecclesia, la comunità dei
credenti, divennero patrimonio della chiesa struttura burocratica, i vescovi
non furono più eletti dai fedeli ma dall'imperatore, scomparve ogni altra
usanza collettiva, come la confessione in pubblico. Comparve la decima,
fonte di arricchimento favoloso per la chiesa, il lavoro coatto dei "fedeli"
e, a partire dal XII-XIII secolo, il celibato dei preti come mezzo per
evitare la dispersione di questa ricchezza. Per quel tempo, la dottrina
cattolica aveva già stabilito, "sulla base dei testi sacri", la proprietà
individuale del clero sulle terre di rispettiva competenza.
A partire dal III sec. d.C., nella chiesa "cristiana", delle convinzioni dei
cristiani, ovvero degli aderenti alle sette guidate da un "cristo", un
liberatore, non rimaneva pietra su pietra[34]. Il completo rovesciamento dei
principi su cui si reggeva la chiesa originale non avvenne senza conflitti.
Ce ne furono e sanguinosi. Sin dai tempi di Costantino "eresie" si diffusero
nelle zone orientali e nordafricane, ottenendo successi notevoli. Ma la
chiesa aveva dalla sua l'esercito imperiale e ogni eresia venne repressa nel
sangue.
Un fenomeno peculiare fu quello dei monasteri, dove seppure in forma
distorta si ebbe un certo ritorno al primitivo comunismo cristiano. Come
unità di produzione e consumo collettivo, i monasteri erano di gran lunga
superiori a ogni altra parte dell'economia. Non solo infatti la forza-lavoro
era libera proprietaria dei mezzi di produzione (la terra) e ne godeva i
frutti, ma la divisione del lavoro era assai più sviluppata, come la
tecnologia, grazie all'accumularsi delle conoscenze. Questa superiore
produttività permise ai monasteri di prendere il controllo delle zone
circostanti. Ben presto i monasteri divennero importanti proprietari
fondiari, sfruttando il lavoro dei contadini che risiedevano sulle terre di
proprietà collettiva del monastero, in una struttura che ricorda per certi
versi il rapporto tra spartiati e iloti. Sotto il profilo ideologico, i
monasteri non costituirono mai, nel loro complesso, un'opposizione alla
burocrazia ecclesiastica, ma un suo complemento.
Al contrario, il messaggio del cristianesimo originale è rimasto nelle sette
di eretici, dagli albigesi ai catari, dai dolciniani agli anabattisti, che
ripresero il collettivismo originario combattendo lo Stato con le armi
classiche delle sette messianiche: l'insurrezione e la guerriglia.
Ogniqualvolta ci si opponeva alla chiesa ufficiale lo si faceva sotto forma
di istanze comuniste di base, dai carpocraziani agli anabattisti. Sebbene le
condizioni sociali fossero mutate, il fatto di ricorrere a un'ideologia
religiosa come strumento di lotta dimostra che i tempi non erano ancora
maturi per una trasformazione sociale.
Se Müntzer avesse vinto i principi protestanti, avrebbe potuto costruire una
società socialista[35]? Proprio come gli schiavi di Spartaco o esseni e
zeloti in Palestina, questi eroici combattenti vennero in un certo senso
"troppo presto" nell'arena della storia. Le loro convinzioni socialiste,
profonde e coraggiose, non potevano essere che aspirazioni religiose,
morali, finché le condizioni materiali per una società socialista non si
presentarono nel corso dello sviluppo storico. Marx notò che l'uomo non si
pone se non quei problemi che può risolvere. Prima della rivoluzione
industriale, l'eliminazione della proprietà privata non era un problema
risolvibile, ma ciò non impediva agli uomini di porselo. Solo ne impediva
una impostazione razionale, scientifica.
Con lo sviluppo delle condizioni materiali per l'eliminazione della
proprietà privata, l'aspirazione al socialismo - che attraversa tutta la
storia umana, come coscienza di una perdita irreparabile, e come volontà di
tornare su nuove basi alla libertà e alla giustizia che hanno caratterizzato
gran parte della vita dell'uomo - è diventata un movimento politico, il
movimento operaio. E' compito della classe lavoratrice, armata delle idee
del marxismo, porre fine alla barbarie della società basata sulle classi, lo
Stato e la proprietà privata, per dare vita alla società che sotto forma di
ideale ha accomunato tutta l'umanità, che le sette cristiane concepivano
come "società perfetta", "il regno di Dio", e che oggi possiamo invece
realizzare come il regno dell'uomo.
[34] Tra i santi "socialisti" possiamo ricordare San Clemente, Lattanzio,
San Basilio, San Gregorio di Nissa, Agostino ecc., molti di questi erano
attivi quando il cristianesimo era già la religione ufficiale dell'impero. I
loro discorsi paragonano spesso i ricchi ai ladri. Ad esempio, nel famoso
sermone di San Basilio, del quarto secolo, in cui egli contesta la
legittimità della ricchezza: "Miserabili, come vi giustificherete di fronte
al tribunale di Dio? Dite 'che colpa abbiamo quando ci teniamo quello che è
nostro' e io vi chiedo come avete ottenuto quello che chiamate vostra
proprietà? Come i possidenti sono divenuti ricchi se non prendendo possesso
di cose che appartenevano a tutti?" (cit. in R. Luxemburg, Il socialismo e
la Chiesa). Lo stesso si può dire per Giovanni Crisostomo, autore del noto
aforisma "la proprietà è un furto" o per Sant'Ambrogio che scrisse: "la
natura ha creato il diritto alla comunanza dei beni, solo il furto ha fatto
nascere la proprietà privata" (in Doveri del ministero sacerdotale).
Tertulliano nel suo Apologo racconta la vita dei cristiani del suo tempo
osservando: "ogni cosa è in comune tra noi, tranne le donne; perché la
comunanza da noi si ferma dove inizia presso gli altri".
[35] Questo tema è affrontato da Engels nel suo scritto La guerra dei
contadini, da cui emerge che le idee di Muntzer andavano già ben oltre il
messaggio religioso, che usava come rivestimento di una ideologia
eminentemente politica.
FONTI:
La bibliografia sulla storia della religione cristiana è ovviamente
sterminata. La quasi totalità di questa letteratura è apologetica e, a sua
volta, la quasi totalità della letteratura apologetica è inutile ai fini
dell'analisi storico-scientifica del cristianesimo. Allo stesso tempo, non
tutti i testi di analisi critica sono di buon livello.
Spesso si soffermano su critiche di dettaglio, o puramente testuali, senza
analizzare il contesto di fondo in cui si muove lo sviluppo della religione.
Di seguito riportiamo alcuni testi che possono aiutare la formazione di una
coscienza critica su questi argomenti.
Naturalmente, lo studio della religione non può esimersi dall'analisi
diretta del testo, in questo caso, il Vecchio e Nuovo Testamento. Il
problema è che per le ragioni spiegate in precedenza, è difficile trovare
un'edizione di questi testi che sia sufficientemente fedele sotto il piano
storico. Occorre dunque confrontare versione diverse, possibilmente di
diverse chiese cristiane, sperando che le distorsioni dell'una elidano e non
si aggiungano alle distorsioni dell'altra. L'ideale sarebbe poter leggere
una traduzione diretta dei manoscritti più antichi che abbiamo. Ma rimane il
fatto che, a meno che non si leggano l'aramaico o le altre lingue in cui i
manoscritti furono composti, occorre comunque fidarsi della traduzione.
Anche qui, comparare diverse traduzioni può aiutare a capire che cosa ci
fosse effettivamente scritto nel testo. Fermo restando che l'interpretazione
di un testo sacro non è un problema filologico o religioso, ma in ultima
analisi storico e politico. Lo stesso testo, in diverse condizioni storiche
può produrre effetti diversissimi. Non muta lo scrupolo esegetico, mutano le
circostanze materiali in cui gli uomini si avvicinano alla lettura.
Donini A., Breve storia delle religioni, Ed. Riuniti o Newton
Donini A., Storia del cristianesimo, Teti
Donini A., Enciclopedia delle religioni, Teti
Engels F., La guerra dei contadini, Ed. Riuniti
Frazer J., Il ramo d'oro, Newton
Kautsky K., L'origine del cristianesimo, Samonà e Savelli
Luxemburg R., Il socialismo e la Chiesa
Manacorda G., Lettura laica della Bibbia, Editori Riuniti
Marx K., Engels F., L'ideologia tedesca, Editori Riuniti
Marx K., Engels F., Scritti sulla religione, Garzanti
Rossi E., Il Sillabo e dopo
Tokarev S., Le religioni del mondo antico, Teti
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