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LE CROCIATE - ORTODOSSIA IN RUSSIA

DALLE CROCIATE, NASCITA DEL COMUNE, CELESTINO V - RELIGIONE ORTODOSSA IN RUSSIA


 

LE CROCIATE MEDIEVALI (1096-1270) I) Col termine "crociate" s'intendono le spedizioni militari e coloniali che i feudatari europei occidentali, appoggiati dal clero cattolico (sia romano che franco-germanico) e con l'appoggio economico dei ceti borghesi e militare di masse diseredate (prevalentemente di estrazione rurale), condussero nei paesi del Mediterraneo orientale, nell'area degli slavi occidentali e dei popoli baltici. Le crociate, che erano propagandate dal clero come iniziative religiose (ad es. "liberare i Luoghi santi" di Gerusalemme dai mussulmani), iniziarono alla fine dell'XI sec. e proseguirono sino alla fine del XIII sec. Sono la prima esperienza di colonialismo cristiano, da parte della chiesa cattolico-romana. II) Ad esse parteciparono: 1) i più grandi feudatari (re, duchi, conti, ecc.) che volevano ingrandire i propri possedimenti, aumentare le entrate e consolidare la propria influenza in Europa: questi nobili si sentivano minacciati dall'espandersi delle ricchezze degli emergenti ceti borghesi, che avevano dato vita alla rivoluzione comunale; 2) i piccoli feudatari (o cavalieri), che costituivano il nucleo meglio organizzato e preparato delle forze militari crociate. Il beneficio vitalizio, che l'imperatore concedeva ai vassalli maggiori, trasformandosi in fondo ereditario, cioè passando in proprietà dal padre al primogenito (maggiorasco), aveva determinato uno strato numeroso di cavalieri (cadetti) che non possedevano feudi e che finivano o con l'entrare nei monasteri facendo la carriera ecclesiastica o col darsi alla ventura, nel tentativo di procurarsi dei territori, asservendo i contadini ivi residenti; 3) i mercanti più ricchi di molte città (Venezia, Genova e Pisa soprattutto), che cercavano d'invadere i mercati del vicino Oriente, eliminando la concorrenza commerciale di Bisanzio e degli arabi; 4) la chiesa cattolica, che era la più grande proprietaria feudale, aveva come scopo quello di sottomettere la chiesa ortodossa, estendendo la propria giurisdizione nell'Europa orientale, e ovviamente quello di cacciare gli islamici dai territori mediorientali e africani: fu essa che si assunse il ruolo di promotrice ideologica delle crociate; 5) infine ingenti masse proletarie e affamate che cercavano di affrancarsi dalla servitù della gleba e dalla miseria. III) Fu la notizia della caduta di Gerusalemme in mano turca (1070) a fornire il pretesto necessario per scatenare la "guerra santa" contro gli "infedeli". Verso la fine del sec. XI la Siria e la Palestina e quasi tutta l'Asia Minore erano cadute sotto i turchi Selgiuchidi, una popolazione di origine mongolica e di religione islamica, che determinerà la decadenza politica sia del mondo arabo che del mondo bizantino. Nel 1095, il pontefice Urbano II, rispondendo alla richiesta di aiuto dell'imperatore bizantino, minacciato dall'invasione turca, invitò tutto l'Occidente a intervenire militarmente. In particolare egli sospinse gli strati sociali più poveri a cercare in Oriente il loro riscatto. Ai partecipanti la chiesa prometteva la dilazione dal pagamento dei debiti, la remissione dei peccati con le indulgenze plenarie e altre cose ancora. Gli europei si lanciarono subito nell'impresa, convinti che la conquista dei paesi mediterranei orientali sarebbe stata facile, in quanto si sapeva che gli emirati turchi erano tra loro ostili. Inoltre si sapeva che l'impero bizantino era molto ricco. IV) La prima crociata (1096) fu detta dei "pezzenti" perché composta da gente molto povera o contadina, proveniente soprattutto da Francia, Germania e Italia, che pensava di trovare in Oriente la liberazione dall'oppressione di feudatari e borghesi proprietari agricoli e nuove terre in cui insediarvisi. Vi erano anche donne e bambini. Essi erano disarmati, non avevano né provviste né denaro e lungo la via verso Costantinopoli si dedicavano al furto e all'elemosina, compiendo anche violenze a danno degli ebrei. La popolazione (ungara e magiara) dei paesi attraversati da questi crociati cercò di combatterli con ogni mezzo. Furono quasi tutti sterminati nel primo scontro con i turchi. V) La prima vera crociata (sempre del '96) fu condotta da cavalieri ben armati ed equipaggiati. Essi conquistarono Edessa (dove fondarono il loro primo stato), Tripoli, Antiochia e Gerusalemme. I massacri fatti in queste due ultime città furono spaventosi. I bizantini si dissociarono ben presto dalle imprese dei crociati: sia perché questi, durante il loro transito, avevano saccheggiato anche delle città cristiane; sia perché l'idea di una "guerra santa", con tanto di vescovi, abati e monaci armati di tutto punto, era estranea alla loro mentalità; sia perché pochi crociati avevano intenzione di restituire all'imperatore i territori conquistati (in tal senso particolarmente odiata dai bizantini era l'armata normanna, che si insediò ad Antiochia). VI) Nei territori conquistati, i crociati conservarono anzi accentuarono gli ordinamenti feudali esistenti: i contadini (arabi e siriani), già servi della gleba, dovevano pagare al proprietario delle loro terre una rendita che toccava il 50% del raccolto; quelli liberi vennero asserviti con la forza. Nelle città costiere dei loro stati il commercio era in mano ai mercanti genovesi, veneziani e marsigliesi, che avevano ottenuto il privilegio di poter costituire qui delle colonie. I crociati non furono in grado di apportare alcun elemento di novità nella vita economica dei paesi conquistati, semplicemente perché in quel periodo le forze produttive, la ricchezza materiale e culturale dell'Oriente era di molto superiore a quella occidentale. Essi si comportarono soltanto come ladri e oppressori: di qui la costante lotta con la popolazione locale, che all'oppressione feudale si era vista aggiungere quella straniera. VII) Sul piano politico il sovrano dello stato latino aveva un potere limitato dall'assemblea dei più grandi feudatari. Gli stati erano divisi tra loro e sostanzialmente senza rapporti con quello bizantino. Sul piano religioso i sovrani cercavano di sostituire coi loro prelati il clero bizantino e arabo locale. Per la conquista di nuovi territori e la cristianizzazione forzata delle loro popolazioni furono istituiti gli Ordini cavallereschi (quello dei Templari, di origine francese, quello Teutonico, di origine tedesca e quello dei Giovanniti, di origine italiana). Erano una specie di ordini religiosi i cui membri, oltre ai voti monastici di castità-povertà-obbedienza, giuravano anche di difendere i Luoghi Santi contro gli infedeli. Dipendevano direttamente dal papa. VIII) La seconda crociata fu causata dalla caduta di Edessa (1144). La chiesa cattolica riuscì a convincere il re di Francia e l'Imperatore germanico a muovere contro i turchi. Ma, logorati dall'ostilità dei bizantini, disgregati da discordie interne, decimati da privazioni ed epidemie, i crociati vengono sterminati dai turchi presso Damasco (1148). IX) La terza crociata fu causata dalla caduta di Gerusalemme (1187) per opera del grande condottiero turco Saladino, che aveva già esteso la sua signoria sull'Egitto e sull'Arabia occidentale. A differenza dei crociati, il Saladino non effettuava stragi nelle città vinte ai cristiani: questi anzi avevano la possibilità di andarsene pagando un riscatto in oro (un uomo 10 denari, 5 la donna); chi non pagava era fatto schiavo. Sebbene alla crociata partecipassero i re d'Inghilterra e di Francia, nonché l'imperatore germanico, i suoi risultati furono irrilevanti (l'imperatore Federico Barbarossa addirittura vi morì). Troppe erano le discordie interne: i francesi e gli inglesi, tornati in patria, si combatteranno a vicenda per il possesso di alcuni territori in Francia. Gerusalemme, in sostanza, restava in mano turca, anche se i cristiani vi avevano libertà di accesso. Bisanzio si alleò ripetutamente coi turchi perché si era accorta che la presenza latina le causava più danni che vantaggi. X) Alla fine del XII sec., papa Innocenzo III, grazie al quale la chiesa cattolica aveva raggiunto l'apice della sua potenza, bandì la quarta crociata (1202-1204), cercando di approfittare della morte del Saladino (1193). Alla crociata, diretta non solo verso l'oriente ortodosso e islamico, ma anche verso i paesi baltici, parteciparono i feudatari francesi, italiani e tedeschi (quest'ultimi furono i soli nel Baltico). Essi decisero di partire da Venezia per servirsi della sua flotta: l'intenzione era quella di conquistare Gerusalemme dopo aver occupato l'Egitto. Ma Venezia, che aveva buoni rapporti commerciali con l'Egitto, riuscì a dirigerli con l'inganno contro la rivale Bisanzio. I crociati, infatti, che non avevano denaro sufficiente per pagare il viaggio, accolsero la proposta di prestare aiuto ai veneziani per la conquista della città di Zama, appartenente al re cattolico d'Ungheria. Indignato, Innocenzo III scomunicò i crociati, ma subito dopo concesse il perdono nella speranza che muovessero contro i turchi. Ma durante l'assedio di Zara venne al campo crociato il figlio dell'imperatore di Costantinopoli per annunciare che il proprio padre era stato cacciato dal fratello e che se l'avessero aiutato a ritornare sul trono avrebbero ottenuto grandi somme e la riunione delle due chiese cristiane. I crociati così si diressero verso Costantinopoli, ma qui incontrarono la resistenza della cittadinanza, che non ne voleva sapere dei latini. L'imperatore deposto venne rimesso sul trono senza spargimento di sangue, poiché il fratello usurpatore era fuggito dalla città. Ma i crociati pretesero che accanto all'imperatore fosse nominato con lo stesso titolo anche il figlio, il quale naturalmente aveva intenzione di mantener fede agli impegni contratti a Zara. Tuttavia, il tesoro della capitale era vuoto, il patriarca e il popolo si rifiutavano di riconoscere il papa come capo della chiesa universale e non avevano alcuna intenzione di pagare i debiti dell'imperatore, né di concedere privilegi ai crociati e ai veneziani. Per queste ragioni la popolazione insorse uccidendo sia l'imperatore che il figlio. XI) Allora i crociati decisero di vendicarsi: irruppero nella città e per tre giorni la saccheggiarono orrendamente, proclamando l'Impero latino d'Oriente e dimenticandosi della spedizione contro Gerusalemme. A capo della chiesa bizantina fu posto un nuovo patriarca, che cercò di avvicinare la popolazione locale, greca e slava, al cattolicesimo. Il papato, ufficialmente, condannò il massacro, ma quando vide che l'imperatore eletto e il patriarca gli riconoscevano piena supremazia su tutta la chiesa cristiana d'Oriente e d'Occidente, decise di accettare il fatto compiuto. Tuttavia, più ancora che il papato o i feudatari, fu Venezia a trarre i maggiori profitti dalla conquista dell'impero bizantino, del cui territorio essa aveva occupato i 3/8: in particolare, i mercanti veneziani riuscirono ad ottenere per le loro merci l'esenzione dai dazi in tutti i paesi dell'Impero. XII) L'impero latino crollò nel 1261, sotto l'urto dei bulgari, albanesi e bizantini, aiutati dai genovesi, che temevano la presenza veneziana nei Balcani. Bisanzio sopravvivrà per altri 200 anni, ma non tornerà più al suo antico splendore. XIII) La quinta, la sesta, la settima e l'ottava crociata non ebbero molta importanza: i crociati subirono altre sconfitte o, nel migliore dei casi, scendevano a patti coi turchi prima ancora di dare battaglia; e questo nonostante che i mongoli si fossero alleati con loro contro turchi e arabi. Il fatto è che dopo la quarta crociata non v'era quasi più nessuno in Occidente disposto a partecipare a spedizioni lontane e pericolose, per cui quando i crociati si trovavano in difficoltà non ottenevano mai gli aiuti e i rinforzi richiesti. XIV) Nei secoli XII-XIII in Europa si ebbe un notevole aumento della produzione, la tecnica agricola si era perfezionata, le città si erano sviluppate: questo può spiegare perché vennero meno le cause che avevano indotto vari ceti della società occidentale a partecipare alle crociate. I mercanti, ad es., si accontentarono dei risultati delle prime quattro crociate, che avevano assicurato l'eliminazione della funzione mediatrice esercitata dall'impero bizantino tra est e ovest. Dal canto loro, i cavalieri ebbero la possibilità di entrare nelle truppe mercenarie dei re nazionali dell'Occidente, l'importanza dei quali andava crescendo. Molti altri cavalieri vennero utilizzati dalla chiesa cattolica per colonizzare nuovi territori nel Baltico, al fine di sottomettere gli slavi e tutta la Russia a Roma, ma l'impresa riuscirà solo in parte. Bilancio delle crociate 1) Il risultato di maggior rilievo fu la conquista delle vie commerciali mediterranee, che prima erano controllate da Bisanzio e dai paesi arabi, i quali entrarono in una profonda decadenza economica. 2) Le città dell'Italia settentrionale (Venezia, Genova e Pisa) assunsero un ruolo dominante nel commercio con l'Oriente. 3) Si introdussero in Europa occidentale nuove industrie e manifatture (seta, vetri, specchi...) e nuove colture agricole (riso, limoni, canna da zucchero...). Compaiono i mulini a vento, sul tipo di quelli siriani. 4) La classe dei feudatari vede aggravarsi la propria crisi, sia perché ha impiegato molte risorse ottenendo scarsi vantaggi, sia perché si è rafforzata una nuova classe, la borghesia, ad essa ostile. 5) Le classi popolari, sacrificatesi senza ottenere alcuna contropartita, si orienteranno verso forme di protesta socio-religiosa (le eresie), ispirate all'uguaglianza evangelica. 6) I crociati distrussero le ultime tracce di fratellanza tra cattolici e ortodossi; saccheggiando Costantinopoli, aprirono le porte agli invasori turchi. La mobilitazione ideologica nella guerra santa segnò il trionfo dello spirito d'intolleranza e di fanatismo. La chiesa infatti accentuerà sempre più i fattori autoritari e dogmatici, legati al suo ruolo di guida suprema della cristianità europea. IL COMUNE MEDIEVALE I) L'istituzione comunale sorge in Italia nell'XI sec., laddove gruppi di cittadini o di abitanti del contado si danno degli ordinamenti giuridico-politici autonomi, sottratti al controllo della feudalità laica e/o ecclesiastica. II) Nelle campagne vi possono essere Comuni signorili, nati dall'associazione di piccoli feudatari, e Comuni rurali, sorti dall'iniziativa solidale di agricoltori emancipatisi dai vincoli del servaggio. Tuttavia, i Comuni più importanti sono quelli urbani. Nelle città erano infatti confluiti molti feudatari piccoli proprietari e molti servi della gleba (a quest'ultimi si prometteva la possibilità di esercitare un mestiere liberamente scelto, di fare lasciti ereditari, ecc.): associandosi con la precedente popolazione cittadina (borghesi, artigiani, professionisti), essi crearono delle associazioni di popolo (Corporazioni o Arti) e di nobili (Consorterie), che costituirono la base economica per fare delle rivendicazioni di carattere politico. III) Origine del Comune. Il Comune è un organismo statale (città-stato) in cui si attuano forme di autogoverno politico: esso ha un ordinamento repubblicano, in quanto la fonte del potere risiede nell'assemblea popolare. L'esercizio dell'autogoverno è collegiale e soggetto a pubblici controlli. All'origine della formazione del Comune sta un atto associativo di natura privata, giurata e volontaria, costituito per tutelare, inizialmente, solo gli interessi e diritti di ciascuno dei singoli associati. Col tempo l'associazione, mirando a estendersi, forzatamente, a tutti gli abitanti della città o borgo, cominciò ad esercitare funzioni pubbliche. Il patto comune e giurato di solito veniva fissato in Carte o Statuti che avevano carattere obbligante per tutti i contraenti e costituivano il fondamento giuridico-politico (costituzionale) del Comune, che stabilivano cioè i limiti entro cui i poteri della sovranità potevano essere esercitati. Questo soprattutto nell'Italia centro-settentrionale, dove l'autorità dell'Impero germanico era più formale che reale. Nell'Italia meridionale (normanna) e nei paesi europei, ove le monarchie erano già abbastanza forti, la rinascita della vita cittadina non portò a forme di autogoverno politico, ma solo a forme di emancipazione economica, di sviluppo amministrativo e di affermazione di taluni diritti civili. IV) L'autogoverno comunale. Nella società feudale il governo signorile trovava la sua fonte nell'atto d'investitura da parte del sovrano: l'autorità si giustificava solo se veniva riconosciuta dall'alto. Viceversa, nella società comunale l'autorità procede per investitura popolare, in quanto il popolo è chiamato a raccolta in assemblee periodiche. Fino all'XI sec. tali assemblee erano convocate per compiti puramente amministrativi e consultivi dal vescovo-conte o dal signore del contado. Nel Comune invece l'assemblea esercita poteri legislativi, deliberativi, elettivi (elegge i supremi magistrati del potere esecutivo) e controlla l'esercizio dei poteri e l'amministrazione civile. Vi è quindi una sorta di democrazia politica, anche se col termine "popolo" va inteso solo il ceto dei notabili, cioè quei cittadini più in vista nella vita civile e politica, per censo o ruolo sociale: i nobili (magnati), cioè i piccoli feudatari che avevano contribuito a fondare il Comune; il popolo grasso (grande borghesia, industriale o commerciale, organizzata nelle Arti Maggiori), che a poco a poco si sostituirà ai nobili nel governo della città. Il popolo minuto (media e piccola borghesia, artigiani, organizzati nelle Arti Medie e Minori), insieme alla plebe-operai salariati, aspirava a partecipare al governo della città. V) L'assemblea popolare e l'evoluzione del potere esecutivo. Si tende a suddividere la formazione e sviluppo dell'assemblea popolare in due grandi periodi: a) Periodo Consolare (sec. XI-XII) in cui il governo è esercitato dai Consoli (da 2 a 20) che durano in carica un anno e hanno il potere esecutivo, cioè il comando delle forze di terra e di mare, per assicurare l'ordine pubblico e la sicurezza della città da minacce esterne: in questo periodo il gruppo dominante è di origine aristocratica; dal Consiglio Minore (detto Senato o Consiglio di Credenza), composto dai capi delle famiglie più importanti, preposto agli affari ordinari della vita pubblica: esso assiste i Consoli e ne controlla l'operato; dal Parlamento (Arengo), cioè l'Assemblea di tutti i notabili e borghesi, che elegge i magistrati e tratta gli affari di maggiore importanza. Poiché è troppo numeroso, il Parlamento si riunisce poche volte e in sua assenza funziona il Consiglio Maggiore, composto dai soli cittadini aventi i pieni diritti politici. Questo Consiglio esercita sia il potere costituente, in quanto emana lo Statuto cittadino, sia il potere legislativo, in quanto emana tutta la legislazione ordinaria. Delibera anche sui problemi più impegnativi e urgenti, decide della pace e della guerra, cura le relazioni con gli altri Stati, controlla l'amministrazione generale mediante apposite magistrature. Elegge i Consoli, i Podestà, i Dogi, i Capitani del popolo, tutti i supremi magistrati. b) Periodo Podestarile (sec. XIII). Intorno alla metà del sec. XII il governo collegiale dei Consoli è sostituito dal potere unico esercitato dal Podestà, che è in genere forestiero, incaricato per un anno. La sua istituzione riflette l'esigenza della borghesia di allargare i propri poteri nei confronti del ceto aristocratico. Sarà infatti dalle continue discordie tra i partiti (aristocratico e borghese) che emergerà la necessità di un governo imparziale. Quindi, anche se l'organo di governo non è più collegiale come quello dei Consoli, la base democratica della vita cittadina si è estesa. VI) Verso la metà del XIII sec. il potere esecutivo evolve verso l'istituzione del Capitano del popolo. L'alta e media borghesia, insieme al popolo minuto, organizza proprie compagnie di armati, in città e nel contado, e ne affida la direzione al Capitano del popolo, che esercita anche funzioni giudiziarie e di polizia in difesa degli interessi popolari. Il Consiglio delle Arti (Priori, Anziani), cioè gli esponenti delle corporazioni artigiane, e il Consiglio del popolo (composto sempre di elementi piccolo-borghesi) assiste il Capitano del popolo. In un primo momento coesistevano due Comuni, uno (popolare) nell'altro (aristocratico), ma col prevalere del popolo grasso i due Comuni si fonderanno nel nuovo Comune democratico-borghese. Non tutti i Comuni seguiranno questo schema (a Venezia p.es. l'unico ceto dirigente fu quello mercantile-marinaro, che non ebbe mai bisogno di lottare contro l'aristocrazia terriera. La lotta politica perciò si svolse qui tra potenti gruppi di famiglie all'interno di una classe omogenea. La struttura oligarchica della repubblica veneta si manterrà inalterata sino alla fine del '700). VII) Le Corporazioni (o Arti). Erano associazioni di mestiere di carattere padronale, sorte verso la metà del XII sec., che univano in un solo corpo gli artigiani di un medesimo ramo industriale, con esclusione dei salariati (solo in casi di grande attività venivano assunti operai salariati). Le più importanti Arti erano quelle Tessili, ma anche quelle dei mercanti, banchieri, professionisti (medici, avvocati...).. Esse tutelavano gli interessi di tutta l'Arte, regolando la produzione e il commercio in modo da adeguarli al consumo, fissando i prezzi, i salari, le ore di lavoro, la qualità dei prodotti, impedendo la concorrenza e cercando anche d'influire sulla vita politica. Chiunque voleva esercitare un'arte-mestiere doveva iscriversi alla relativa Corporazione, prima come apprendista-garzone, che lavorava gratis o con un minimo compenso, per imparare l'arte; poi diventava socio-compagno, e assisteva il padrone dell'azienda, partecipando agli utili; infine poteva anche diventare maestro, cioè padrone di un'azienda. * * * L'esperienza comunale dei secoli XI-XIII fallì in Italia non perché fu inaugurata dalla borghesia, ma perché, dopo esserlo stato, fu dalla borghesia ostacolata nel suo naturale sviluppo democratico. La borghesia creò le città, ma poi le ampliò e le fortificò pensando soprattutto a salvaguardare i propri interessi. Fu giusta la lotta contro il potere nobiliare ed ecclesiastico, viziato dal privilegio e dall'abuso costante del potere, ma fu ingiusta la repressione dei ceti medio-piccoli. Il passaggio dal Comune alla Signoria (o Principato) fu causato proprio dall'incapacità della borghesia di essere democratica. Non che non fosse necessario allargare i confini (nonché l'esperienza politica) del Comune, coinvolgendo i Comuni minori; è che tale ampliamento doveva avvenire nel rispetto dell'autonomia locale e non -come poi avvenne- fagocitando le realtà sociali ed economiche minori. Lo stesso rispetto dell'identità locale sarebbe dovuto avvenire durante il passaggio dagli Stati divisi tra loro all'unità nazionale, alla fine dell'Ottocento. Questo perché ogniqualvolta si afferma l'esigenza di un governo superiore, più vasto e complesso, occorre salvaguardare, in modo particolare, le necessità della sfera locale, gli interessi dei ceti più deboli, altrimenti l'accentramento si trasformerà in una dittatura dei ceti più forti. * * * Il Comune è stata una risposta borghese, e quindi sbagliata, alle contraddizioni antagonistiche del feudalesimo. Così come la Signoria è stata un'altra risposta borghese - questa volta dei ceti medio-alti - alle contraddizioni antagonistiche del Comune. Poi è venuto il Principato e infine lo Stato. Con lo Stato si è avuto il massimo dell'illusione borghese: l'equidistanza, la neutralità, l'interclassismo... La differenza tra il Comune e lo Stato sta unicamente nella diversa "forza" della borghesia, la quale forza, a sua volta, è dipesa dalla diversa struttura dei mezzi produttivi. Oggi è assurdo voler tornare al primato del Comune -quale ente locale-, in contrapposizione agli interessi dello Stato: la grande borghesia, che per commerciare ha bisogno di un territorio non solo nazionale ma internazionale, non permetterà mai a queste illusioni della piccola-borghesia di concretizzarsi. Il Comune potrà avere un primato in sede amministrativa, ma non l'avrà mai in sede politica, a meno che con una guerra di vaste proporzioni non venga distrutta la compagine statale. Oggi l'alternativa allo Stato capitalistico, che ha ingrandito a dismisura le contraddizioni antagonistiche che caratterizzavano, in piccolo, l'esperienza comunale, non può essere né un ritorno al Comune, né la realizzazione di un ente più grande dello stesso Stato (p.es. il comando imperiale di un dittatore, come si è verificato nel periodo nazi-fascista). Un ritorno al Comune farebbe della nazione una facile preda degli Stati limitrofi o degli Stati che, in questo momento, dominano la scena mondiale, a livello economico, politico e militare. Viceversa, la creazione di un ente superiore, di una struttura sovranazionale non farebbe che acutizzare le contraddizioni del capitalismo, anche se in un primo momento si avrebbe l'illusione di un loro superamento. Il problema, in realtà, è quello di uscire da questa spirale perversa. L'alternativa al capitalismo è il socialismo democratico. Come questo socialismo vada realizzato, soprattutto dopo il fallimento del socialismo amministrato, è cosa tutta da verificare. Alcuni princìpi si potrebbero però si potrebbero considerare irrinunciabili: 1. primato del valore d'uso sul valore di scambio; 2. primato dell'autoconsumo sul mercato; 3. primato dell'autogestione sulla separazione del produttore dai mezzi produttivi; 4. primato del lavoro agricolo su quello industriale e commerciale; 5. tutela assoluta dell'integrità della natura; 6. primato della democrazia diretta su quella delegata; 7. primato delle autonomie locali sugli organi centrali; 8. difesa militare e poliziesca affidata al popolo e non a reparti specializzati; 9. unità di lavoro intellettuale e manuale; 10. uguaglianza dei sessi nel rispetto delle diversità; 11. unità delle scienze nel rispetto delle specificità; 12. libertà di coscienza, di pensiero, di religione, di espressione artistica..., nel rispetto della libertà altrui. LA LOTTA DELL'IMPERO CONTRO I COMUNI FEDERICO BARBAROSSA (1152-1190) I) Dopo la lotta per le investiture, le posizioni della Chiesa si erano consolidate, ma il declino dell'Impero permise anche lo sviluppo, soprattutto in Italia, di nuovi organismi politici autonomi: i Comuni, dove veniva emergendo una nuova classe sociale: la borghesia. II) Con la morte dell'imperatore francone Enrico V (1125), che aveva firmato il Concordato di Worms, si aprì in Germania una lotta dinastica, durata circa 30 anni, fra i sostenitori della Casa di Baviera (guelfi) e quelli della Casa di Svevia (ghibellini): questo impedì agli imperatori d'intervenire efficacemente nelle vicende italiane. Il compromesso fu raggiunto quando le due grandi famiglie decisero di affidare a quella di Baviera il controllo di quasi tutta la Germania settentrionale, mentre quella sveva avrebbe ottenuto, con Federico Barbarossa, la corona imperiale. III) L'imperatore, attraverso una serie di legami feudali, poteva esercitare il suo dominio in Germania, Italia, Borgogna, Boemia e altre regioni minori. A tale scopo però aveva prima bisogno d'essere incoronato "sovrano dell'Occidente cristiano" a Roma. La "riconquista" dell'Italia diventava così inevitabile. E l'occasione si presentò quando il suo intervento venne richiesto da più parti: 1) dal papato, contro il Comune di Roma, che rivendicava una maggiore democrazia politica, e contro i Normanni, che gli negavano la possibilità di influenzare politicamente il Sud; 2) dalle piccole città lombarde (Como, Lodi,,,), in lotta contro Milano, la quale mirava a estendersi sempre di più, come molte altre grosse città (Firenze, Pisa...). IV) Il programma politico di Federico I era il seguente: 1) ristabilire la sua autorità sulle città italiane, annullando la loro autonomia politica e quelle prerogative del potere sovrano (regalìe) di cui esse si erano arbitrariamente impossessate (ad es. amministrare la giustizia, stipulare trattati politici, esigere imposte e dazi, battere moneta, tenere degli eserciti, ecc.); 2) estendere il suo dominio nell'Italia meridionale, cacciando i Normanni; 3) riaffermare la supremazia dell'Impero sulla Chiesa. V) Le discese del Barbarossa in Italia furono sei: 1) Durante la prima distrusse varie piccole città, mentre a Roma dovette affrontare una rivoluzione democratica capeggiata dal monaco Arnaldo da Brescia (Repubblica Romana). La Chiesa pretese, in cambio dell'incoronazione imperiale, la cattura e l'esecuzione capitale del monaco. Cosa che, quando avvenne, scatenò nella città dei tumulti antimperiali così forti che costrinsero l'imperatore a tornare in Germania. Intanto tra il papato e i Normanni si stipulò un accordo a Benevento, in base al quale il papa otteneva il riconoscimento della sua sovranità feudale sul regno e ne dava l'investitura al sovrano normanno. 2) Nella seconda discesa, l'imperatore, in una Dieta a Roncaglia, impose a tutti i Comuni di accogliere tra le loro mura i suoi rappresentanti (messi o podestà) per l'esercizio dei diritti imperiali, nel senso che i più importanti poteri comunali potevano essere esercitati solo col consenso del delegato imperiale (Costitutio de regalibus). La rivolta dei Comuni fu generale. Per tutta risposta Crema e Milano vennero distrutte. Tuttavia, quando il Barbarossa cercò di estendere anche al campo ecclesiastico il tentativo di riprendersi tutti i suoi poteri, il papato reagì scomunicandolo. Nel frattempo molti Comuni dell'Italia settentrionale si erano organizzati in due Leghe antimperiali (veronese e lombarda), ottenendo l'appoggio del papato. Visto ciò, l'imperatore preferì ritirarsi in Germania. 3-4) La terza discesa si risolse in un nulla di fatto. Nella quarta, l'imperatore decise di evitare le città lombarde e di muovere direttamente verso Roma, al fine d'insediarvi un antipapa. Una grave pestilenza scoppiata nel suo esercito lo obbligò a tornare in Germania. 5-6) Le ultime due discese furono caratterizzate da vari trattati di pace. A ciò l'imperatore fu costretto dopo la totale sconfitta militare subìta a Legnano (1176). Con la Pace di Costanza (1183), i Comuni ottennero il riconoscimento dei loro diritti di giurisdizione, autogoverno, difesa e coalizione, accettando, a loro volta, di dichiararsi formalmente dipendenti dall'Impero e di vincolarsi ad alcuni obblighi fiscali. Nella sesta discesa, che fu la più importante, il Barbarossa, malgrado l'opposizione del papato, riuscì a far sposare il figlio Enrico VI con Costanza d'Altavilla, ultima erede legittima del regno Normanno di Napoli e Sicilia. Alla morte del Barbarossa (avvenuta durante la terza crociata), Enrico VI riunirà sotto la sua corona anche l'Italia meridionale. Egli tuttavia morirà a soli 32 anni, lasciando il trono di Germania e Sicilia al figlio di 3 anni, il futuro Federico II. VI) Conclusione 1) L'unico successo dell'Impero fu la conquista pacifica del regno Normanno, anche se nei confronti del pur breve dominio di Enrico VI, le popolazioni meridionali furono piuttosto ostili, a causa del suo autoritarismo e fiscalismo. 2) Il papato eliminò completamente il diritto di conferma imperiale all'elezione del pontefice e si riconciliò col Comune di Roma, fissando in 2/3 il numero di voti necessari per eleggere il papa. Dovette tuttavia rassegnarsi, almeno per un certo periodo di tempo, al fatto di non poter contrastare l'Impero nell'Italia meridionale. 3) Indubbiamente, con la Pace di Costanza i veri trionfatori furono i Comuni dell'Italia settentrionale. Il periodo successivo a questa pace fu decisivo allo sviluppo della civiltà comunale italiana. I maggiori centri urbani divennero Milano, Firenze, Genova e Venezia. L'Italia si avviava a diventare un Paese molto forte economicamente. Tuttavia, la forza politica dimostrata nella lotta contro l'Impero rischiava d'indebolirsi notevolmente se le città più grosse, invece di competere fra loro in guerre commerciali per il dominio dei mercati esteri, non si fossero coalizzate per determinare la formazione di una monarchia nazionale, come già stava avvenendo in Francia e Inghilterra. CELESTINO V FU DAVVERO UN VILE? Perché Dante considerò papa Celestino V un "vile" (Inferno, III, 60)? Dopo aver accettato il pontificato nel 1294, all'età di 79 anni, Celestino V -pressato dalle forze integraliste della curia romana- abdicò dopo solo cinque mesi e morì assassinato nel 1296. Era un benedettino, ma di tipo eremitico. Le sue origini sociali erano contadine. Perché dunque accettò l'incarico? Probabilmente per "spirito di obbedienza", o forse perché s'illudeva di poter dare un contributo alla risoluzione della crisi generale della chiesa, o forse perché non aveva capito le strumentalizzazioni che si stavano operando dietro la sua nomina. Fatto sta che anche il Petrarca lo considerò un "vile" (De vita solitaria, III, 27). Tuttavia -a differenza di Dante, che vedeva le cose in maniera alquanto idealistica-, il Petrarca ritenne che quella rinuncia fosse stata "utile a lui e al mondo per l'inesperienza degli affari, perché era uomo di assidua contemplazione, per l'amore alla solitudine". Il Petrarca, in un certo senso, mostrava più pragmatismo di Dante, per quanto nessuno dei due mise mai in discussione il fatto che il papato dovesse avere un ruolo politico. Dante infatti voleva un pontefice disposto a collaborare, alla pari, coll'imperatore: quale delusione dovette subire quando vide che dopo Celestino salì al soglio Bonifacio VIII, la quintessenza del conservatorismo! Proprio Bonifacio VIII sarà causa del suo esilio da Firenze e -a suo giudizio- causa ultima della rovina della stessa città. Viceversa, il Petrarca voleva soltanto un pontefice "capace", "affidabile", come avrebbe dovuto essere nella migliore tradizione della chiesa cattolica. Nessuno dei due seppe mai valorizzare, sul piano umano e politico, il rifiuto di Celestino V. Va però detto che Dante non nomina mai il pontefice, pur essendo l'unico ch'egli riconosca nel girone degli ignavi. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che, pur dovendolo condannare, come politico, alle pene eterne dell'inferno, come uomo invece non se la sente d'infierire su un personaggio la cui unica colpa fu la debolezza di non saper regnare. Ecco perché lo riconosce soltanto, senza incontrarlo. Dante non può mettersi a parlare sul piano umano con una persona cui non riconosce neppure il titolo di "avversario politico". Dante sta a Machiavelli come Petrarca sta a Guicciardini. Celestino V, al secolo Pietro Angelerio da Morrone, nasce nel 1215 da contadini poveri. A 16 anni viene accolto dai Benedettini di Santa Maria dei Fafoli, a Benevento. Nel 1231 veste l'abito benedettino: tende a isolarsi nell'ascetismo della vita eremitica. Per tre anni vive con un confratello in una grotta da lui stesso scavata nella roccia, sperduta tra i boschi, in totale isolamento, presso il monte Palleno (oggi Porrara), dove poi sorgerà il santuario di S. Maria dell'Altare. Inizia a predicare sul monte Palleno alla Maiella. Sospinto dalla gente dei luoghi vicini a farsi consacrare sacerdote, ma anche per sottrarsi all'indesiderata frequentazione dei pellegrini, si reca a Roma. Dopo gli studi presso il Laterano, viene ordinato sacerdote da papa Gregorio IX, che gli permette di proseguire la vita eremitica. Nel 1241 lascia Roma, ma invece di tornare sul Palleno, si ferma presso Sulmona, in località Segezzano, probabilmente dopo aver appreso che in quei luoghi aveva dimorato il famoso eremita Flaviano da Fossanova. Anche qui, alle pendici del Morrone, trova riparo in una grotta presso la chiesetta di S. Maria di Segezzano, sulla quale sarà poi edificato il monastero di S. Spirito. In questa spelonca, Pietro comincia ad essere avvicinato da quelli che saranno i futuri discepoli. Si tratta di centinaia di giovani provenienti dalle vicine casupole di Bucchianico, Caramanico, Salle, Roccamorice, Pratola, attratti dalla sua vita eremitica. Lui, che è uomo taciturno, silenzioso e riservato, li accoglie suo malgrado, perché non intende condividere con alcuno la sua solitudine. Infatti nel 1246, insofferente alla frequentazione dei fedeli, che diventano sempre più numerosi, abbandona l'eremo di Segezzano per rifugiarsi nella vicina Maiella dove, sulla parete dell'Orso, alla Ripa Rossa, trova un primo, inaccessibile rifugio. Successivamente si sposterà in uno fra i più impervi dirupi di quelle montagne, chiamato S. Spirito di Maiella, dove poi sarà edificato il famoso monastero che fino al giugno del 1293 sarà Caput Congregationis. Resterà per lunghi anni sulla Maiella, sempre in fuga dalle turbe di fedeli che insidiavano la sua solitudine e sempre alla ricerca di nuove e più irraggiungibili caverne, perché masse di pellegrini poveri, infermi e disperati, per trovare conforto alle loro sofferenze, lo raggiungevano ovunque, persino nei proibitivi antri di S. Bartolomeo di Legio e di S. Giovanni sull'Orfento. Qui, sui monti della Maiella, negli anni che vanno dal 1246 al 1293, si consolida definitivamente la sua fama di taumaturgo. Nel 1264, ispirandosi al movimento di Gioachino da Fiore, decide di fondare la Congregazione dei Fratelli penitenti dello Spirito Santo o Celestini. La regola fu approvata da papa Urbano IV. L'ordine sfugge, dopo il Concilio Lateranense del 1215, alla soppressione voluta da papa Gregorio X: Celestino infatti andò a piedi sino a Lione, dove stava per svolgersi il Concilio Lionese II, per chiedere al pontefice la tutela del proprio ordine e la ottenne, poiché il suo movimento non veniva considerato politicamente ostile alla chiesa. D'altra parte Celestino aveva sempre condotto una vita di penitenza, preghiera, silenzio, rigorosa astinenza, durissimi e prolungati digiuni, autofustigazione e mortificazione della carne, in contrapposizione a quella cenobitica. Nel 1287 i celestini avviano le pratiche per la costruzione sul Colle di Maio (oggi Collemaggio) di un'abbazia: l'anno successivo viene consacrata la basilica. Nel giugno del 1293, sempre sospinto dalla sua insopprimibile brama di solitudine, Celestino convoca il quarto (e ultimo) Capitolo Generale e, tra la costernazione dei discepoli, comunica la sua irrevocabile decisione di volersi ritirare per sempre sul Morrone e qui morirvi. A tale scopo farà scavare il famoso eremo di S. Onofrio, dove vivrà per tredici mesi in assoluta segregazione, recidendo tutti i contatti col mondo esterno, salvo quelli strettamente connessi alla sopravvivenza. Intanto a Perugia, undici cardinali, dopo la scomparsa di papa Niccolò IV, si contendevano nel conclave, da 27 mesi, il soglio pontificio, incapaci di comporre un conflitto fondato esclusivamente sulle bramosie di potere delle potenti famiglie degli Orsini e dei Colonna. Nella mischia (e quindi negli affari del conclave) si era gettato anche Carlo II d'Angiò, il quale aveva urgente bisogno di un papa che ratificasse l'accordo raggiunto con gli aragonesi per la restituzione della Sicilia. E fu proprio in quella occasione che il francese misurò la grinta del Cardinale Benedetto Caetani, il futuro Bonifacio VIII, il quale lo invitò a starsene fuori. Il re, indignato per l'onta subita, ma anche disperato perché rischiava di veder vanificati gli effetti dell'intesa raggiunta, lasciò Perugia, ma invece di procedere per Napoli si reca a Sulmona, dove, agendo sull'ingenuità di Celestino, lo induce a scrivere una strana lettera ai cardinali riuniti in conclave. In quella missiva Celestino sollecitava l'elezione del nuovo Papa, minacciando la collera di Dio se avessero ulteriormente protratto la vedovanza della "Sposa di Cristo". E quelli, per uscire dallo stallo, individuano proprio nell'eremita morronese, l'agnello sacrificale al quale affidare, in uno dei momenti più drammatici dello scontro con il potere temporale, le sorti di una chiesa decadente. Era l'anno 1294. Celestino viene incoronato papa all'Aquila. Emana subito dopo la Bolla del Perdono, con cui anticipa il Giubileo cristiano. Fin da subito, però, la vittima sfugge dalle mani dei cardinali elettori, perché il nuovo pontefice viene, di fatto, sequestrato dal re angioino, che ne fa un inconsapevole strumento dei suoi maneggi politici. Intorno a Celestino V, dal 29 agosto al 13 dicembre del 1294, pascolano faccendieri, maneggioni, affaristi, questuanti, trafficanti e "barattieri" d'ogni risma, che utilizzano il suo nome e le pergamene papali bollate in bianco, per concludere i loro affari. Costretto a lasciare l'Aquila per seguire il re a Napoli, Celestino comincia a meditare, nell'angusta cella che si era fatta costruire in Castel Nuovo, di deporre le insegne papali. E' ormai vecchio e stanco, consumato dagli acciacchi e da una vita fatta di stenti e di privazioni indicibili; trova il coraggio d'imporre agli allibiti cardinali la sua rinuncia, incurante delle minacce del popolino napoletano che, sobillato dal re e forse anche da alcuni suoi discepoli, lo aggredisce devastando e saccheggiando la sua dimora. Dopo 107 giorni rinuncia al papato: il fatto non ha precedenti. Tra le motivazioni afferma di non voler offendere la propria coscienza, di desiderare una vita migliore e di non aver sufficiente sapere. Il 24 dicembre del 1294, a soli dodici giorni dalla sua rinunzia, con il prezioso apporto dei voti francesi pilotati da Carlo d'Angiò, viene eletto papa Benedetto Caetani che assume il nome di Bonifacio VIII. Nasce fra il nuovo pontefice e il re di Napoli l'intesa che cancellerà d'un colpo la ruggine perugina e getterà lo scompiglio fra le file dei seguaci di Celestino, degli "spirituali", dei "fraticelli". Le polizie congiunte di Carlo d'Angiò e di Bonifacio VIII ora vogliono catturare Celestino, il quale fugge da S. Germano per raggiungere la sua cella sul Morrone e successivamente Vieste, sul Gargano, da dove tenterà l'imbarco per la Grecia. Qui viene raggiunto dai soldati, che lo rinchiudono nel castello di Fumone, presso Anagni. La detenzione, nonostante le numerose falsificazioni addotte dai partigiani di Bonifacio, fu durissima; il rigore estremo di quella cattività è stato ampiamente documentato da tutti i cronisti dell'epoca. Nel 1296 viene assassinato. Quattrocento anni dopo, Lelio Marini, Abate Generale della Congregazione dei Celestini, il più informato biografo del Santo (Pietro fu canonizzato il 5 maggio del 1313 da Clemente V) proverà a dimostrare, con un'accurata e puntigliosa disamina di numerosi reperti storici, che Pietro fu barbaramente ucciso per ordine di Bonifacio VIII. Le spoglie di Celestino si trovano nella basilica di Collemaggio a L'Aquila. IL CRISTIANESIMO TRA ORIENTE E OCCIDENTE Bisanzio è esistita per circa mille anni: dalla sua fondazione nei secoli V-VI d.C. alla violenta distruzione per opera dei turchi ottomani il 29 maggio 1453. Anche la tradizione cristiana della Russia ha festeggiato nell'88 il suo millennio. Ben diverse però sono state le tradizioni, le forme di spiritualità e le esperienze religiose. Quando i vescovi greci consigliarono al principe Vladimir di introdurre, nella neobattezzata Russia, il modello romano-bizantino delle sanzioni penali, specie per quanto riguardava la pena capitale, il principe non nascose la sua disapprovazione. In effetti, secondo le leggi barbariche delle tribù protorusse (e di altre nazioni allo stesso livello di sviluppo), i crimini dovevano essere puniti o con sanzioni pecuniarie, oppure col "guidrigildo"(1). In tal modo, armi e cavalli -di cui allora si aveva gran bisogno, a causa delle interminabili guerre- risultavano più facilmente reperibili. L'umanità di Vladimir non la si riscontra neppure in Clodoveo, il re che battezzò i franchi cinquecento anni prima. Nessuno ha mai pensato di canonizzare Clodoveo o altri re del mondo barbarico che avevano accettato il cristianesimo. Vladimir invece venne considerato un santo. Le cronache del tempo lo descrivono come un sovrano giusto, generoso, gioviale. I suoi due figli minori, Boris e Gleb, furono canonizzati nel 1015 per aver compiuto un gesto senza precedenti nella storia del cristianesimo. Alla morte di Vladimir, il fratello maggiore di Boris, Sviatopolk, aveva intenzione di espropriare quest'ultimo di tutti i suoi domini. Boris rifiutò di condurre i suoi uomini contro il fratello, non ritenendo giusto coinvolgerli in una rivalità intrafamiliare. E così, sia lui sia l'altro fratello, Gleb, che condivideva la sua decisione, furono uccisi da Sviatopolk, anche se poi la reazione popolare lo portò a morire in esilio. Boris e Gleb, per la chiesa russa, diventeranno l'immagine ideale dei "sofferenti innocenti", a imitazione del Cristo. Praticamente nello stesso periodo in cui accadevano questi fatti, Bisanzio, quale massimo centro culturale e commerciale dell'intero mondo cristiano, in perfetta continuità con la tradizione culturale ellenistica, era al vertice del suo splendore. Viceversa, l'ellenismo in occidente, a partire dal VI sec., iniziò a subire un'eclissi che durerà fino a Scoto Eriugena nel IX sec., fino alla traduzione delle opere del Damasceno nel XII sec., fino alle scuole di Chartres, di Laon e di Parigi, sempre nel XII sec., fino alla mistica tedesca del XIV sec. e al Rinascimento italiano. In occidente sarà il pensiero agostiniano (mai ben conosciuto in oriente) a permeare profondamente di sé la cultura, il diritto, la religione. Sino a quando in quest'area dell'Europa non sorgeranno dei centri in grado di competere con Bisanzio, sarà solo nelle sale degli amanuensi benedettini che si cercherà, con molta fatica, di preservare il sapere degli antichi. Benché dunque l'impero d'oriente fosse stato ridotto dalle conquiste arabe dei secoli VII e VIII, il suo potere costituiva ancora il modello più significativo per ogni Stato feudale europeo. Il successo dell'impero bizantino è dipeso -come vuole la migliore storiografia confessionale- da tre fondamentali fattori: 1) la convinzione di professare la verità (ovvero la fede cristiana ortodossa); 2) la capacità di amministrare gli affari e di gestire le relazioni diplomatiche in un modo altamente civilizzato (quanto in ciò abbia influito la cultura filosofica dell'antichità classica è facile intuirlo); 3) la certezza di rappresentare la successione legale della Roma cristiano-imperiale di Costantino il Grande. Il primo di questi fattori surclassava i rivali orientali. I poteri asiatici del mondo arabo e cinese erano paragonabili, per livello di urbanizzazione e organizzazione statale, a quello del Bosforo, ma non potevano aspirare a diventare dei modelli da imitare, in quanto non erano cristiani. Anche i rivali occidentali non godevano di molta credibilità. E' vero che la rottura finale fra le chiese orientale e occidentale divenne un fatto di vita ecclesiastica nel 1054 e di coscienza popolare con il XIII sec., soprattutto dopo il sacco di Costantinopoli che i cavalieri della quarta crociata fecero nel 1204; ma i sospetti sulla "ortodossia" della cristianità occidentale erano già stati avanzati nel IX sec., con lo scisma del patriarca Fozio. Il secondo fattore eliminava completamente i rivali occidentali. L'impero di Carlo Magno, in effetti, non fu che un tentativo mal riuscito di riprodurre il modello romano-bizantino. Il terzo fattore veniva usato per escludere dalla competizione un qualunque altro candidato. L'interpretazione cristiana della storia ha creato uno speciale legame fra Roma e la cristianità. Agli scrittori bizantini piaceva sottolineare che la nascita di Cristo coincise con il regno dell'imperatore Augusto. Il nome del procuratore Ponzio Pilato si decise d'introdurlo nel Credo, e certo non per fargli un piacere. L'ironia tragica del tema della "passione di Cristo" sta nel fatto ch'essa manifesta un atteggiamento molto serio e rispettoso nei confronti dell'autorità: in primo luogo dell'autorità mondiale della legge romana (cui l'apostolo Paolo, in seguito, si rifarà continuamente) e, in secondo luogo, della stessa autorità sacerdotale ebraica, che condannò il messia. Gli Atti degli apostoli documentano questo rispetto della legge ebraica e romana più che ampiamente. La partecipazione dei soldati e ufficiali romani all'esecuzione del Cristo non venne utilizzata dai cristiani come argomento contro la "missione" di Roma nella storia mondiale. Anche perché, duemila anni fa, dopo quella esecuzione e soprattutto dopo la distruzione di Gerusalemme, i cristiani non chiedevano altro che convivere pacificamente con le leggi e le istituzioni romane. Quanto ai giudei, essi restavano per i cristiani il popolo scelto da dio per la storia sacra degli uomini. In Giovanni 11,51 Caifa viene addirittura paragonato a un profeta. Per i cristiani di allora, Roma era sotto il dominio del "principe di questo mondo", Satana, ma essa andava salvata e santificata. Pur perseguitati, i cristiani continuavano a credere che la Pax romana avrebbe ritardato la venuta dell'Anticristo. Quando l'imperatore Costantino iniziò a mutare strategia, passando dalle persecuzioni alle strumentalizzazioni, i cristiani erano persuasi di aver vinto una grande battaglia. La perfetta sinergia dell'impero romano-bizantino e della chiesa cristiana determinerà la convinzione che tutto quanto non rientrava nei canoni morali e religiosi della teologia cristiana, del diritto romano e della filosofia greca, andava considerato come "barbaro". Il medioevo fu appunto la realizzazione di questa pretesa ideologica. Naturalmente non mancarono le differenze tra oriente e occidente. Circa un secolo dopo il crollo dell'impero romano (476), gli intellettuali euroccidentali presero a denominare, con malcelato disprezzo, l'area orientale col termine di "impero bizantino" (ancora oggi in occidente si tende a equiparare "bizantino" a cavillosità, pedanteria). Il motivo era forse dovuto al fatto che il trasferimento della capitale sul Bosforo non era stato visto di buon occhio. In realtà, il titolo di "impero bizantino" era del tutto estraneo agli abitanti dell'area orientale, i quali, per sottolineare la netta separazione dalla pagana epoca precedente, avevano ribattezzato Bisanzio col termine di Costantinopoli o Nuova Roma. I "bizantini" non si autodefinirono mai con questo termine, né con quello di "greci": al massimo con quello di "elleni". Ma in occidente la parola "ellenico" stava per "pagano", contrapposto a "cristiano". Meno che mai i cristiani occidentali accettavano che i bizantini si considerassero dei "romani". Paradossalmente, l'impero bizantino veniva riconosciuto come legittimo erede del millenario impero romano più dai giovani popoli barbarici penetrati in Europa che non dai cattolici di Roma. Quando ad es. Vitige, re degli ostrogoti, s'impegnò contro Giustiniano I nel VI sec. per il controllo dell'Italia, egli ordinò che si coniassero le monete con l'effigie dell'imperatore. Solo col tempo, spinti in questo anche dalle pretese del papato, i sovrani barbarici cercarono di attribuire a loro stessi la legittima successione. Ciò che, per la prima volta, avvenne nell'800, allorquando Carlo Magno re dei franchi venne incoronato "imperatore romano" dal vescovo di Roma, suscitando le ire di Costantinopoli, che per molto tempo considerò la scelta di questo titolo un arbitrio oltraggioso, per quanto ciò non abbia determinato delle conseguenze sul piano militare. L'area bizantina infatti non ha cercato quasi mai di far valere i suoi diritti al cospetto dell'area occidentale usando la forza delle armi. Ciò naturalmente non significa che nel proprio impero il basileus non usasse la spada contro tutti quei popoli (si pensi ad es. ai bulgari e ai serbi) che rivendicavano autonomia politica e amministrativa. D'altra parte sulla legittimità di questo uso nessun cattolico occidentale sarebbe mai stato, in via di principio, contrario. Dante, nel suo De Monarchia, non mette assolutamente in discussione l'idea che debba esistere un unico Stato centralizzato, a livello universale, e che questo Stato debba coincidere con quello romano (2). I problemi semmai sorgevano a livello pratico-politico, quando gli interessi di dominio delle due Rome venivano a scontrarsi in determinate zone geografiche (si pensi ad es. a quale misera fine ha fatto la cultura bizantina nell'Italia meridionale e nell'esarcato di Ravenna). L'idea occidentale di poter creare uno Stato cristiano prescindendo dal riferimento all'impero bizantino, che si riteneva l'unico autorizzato a definirsi come tale, troverà un riflesso anche nelle epoche successive. Fino al secolo scorso (si pensi alla Santa Alleanza del 1815) gli Stati europei si sono reputati, di nome e/o di fatto, "cristiani". Nessuno in occidente si è mai posto il problema di come conciliare questa pluralità di Stati con l'idea teologica tradizionale secondo cui deve esistere un unico sacro impero, con un sovrano da tutti riconosciuto. Molti di questi Stati occidentali hanno persino combattuto tra di loro, a volte prendendo a pretesto proprio la religione cristiana (si pensi ad es. alle molte guerre di religione fra cattolici e protestanti). In teoria, qualunque monarchia cristiana poteva autoproclamarsi "impero". La regina Vittoria non accettò forse il titolo di imperatrice che il primo ministro Disraeli le propose? E Napoleone III non si autoproclamò imperatore di Francia (seguendo l'esempio di suo zio) e non diede forse al suo protetto Massimiliano il titolo di imperatore del Messico? E dopo la vittoria della Prussia sulla Francia nel 1871, il re Guglielmo I non si dichiarò forse imperatore di Germania? Come dunque si può notare, l'esigenza di sacralizzare l'istituzione del potere è stata legata, in occidente, molto più che nell'area bizantina, a una questione di prestigio. Non era in gioco né il riferimento a una tradizione secolare, né la convinzione di affermare una verità ideale. Anzi, l'idea teocratica, a quel tempo, aveva già smesso di essere una realtà politica e la religione stava diventando un affare sempre più privato, individuale, soprattutto nell'area protestante. L'ideologia dell'alleanza fra trono e altare non era la stessa ideologia del sacro romano impero, così come si espresse a Bisanzio e, a un livello mimetico-imitativo, con i franchi e i sassoni. Durante i primi due-tre secoli della nostra èra, il linguaggio dei cristiani europei era comune: le tradizioni, soprattutto negli aspetti sostanziali della teologia, piuttosto simili. I cattolici dell'orbe si sentivano come il popolo eletto dell'Antico testamento. Gli antagonismi etno-culturali venivano qualificati col termine di "eresia": il donatismo africano, il nestorianesimo est-siriaco e malabarico, il monofisismo armeno, copto-etiopico e ovest-siriaco. La dissidenza poteva tranquillamente non essere compresa nelle sue motivazioni di fondo, che erano le condizioni sociali disagiate degli strati più poveri, appunto perché si credeva e si voleva far credere nell'idea dell'universalismo cristiano, con il quale presto o tardi -si diceva- ogni ingiustizia sarebbe stata superata. E tuttavia, proprio il permanere di queste ingiustizie porterà al divorzio della pratica politica dai principi teorici: tanto all'est quanto all'ovest, tanto nella fede cristiana quanto nella confessione islamica. In Dante troviamo ancora la condanna del particolarismo locale e nazionale in nome dell'universalismo dottrinale (nel VI canto del Paradiso egli colloca in un posto onorifico l'imperatore Giustiniano); ma il suo è un caso isolato e assai anacronistico rispetto ai suoi tempi. Costantinopoli, almeno sino a quando i turchi non la trasformeranno in Istanbul, rimase una capitale eurasiatica. Se si vuole, esiste solo un luogo in cui l'Europa e l'Asia nel Mediterraneo sono in stretto contatto: l'area del Bosforo, il mar di Marmara e lo stretto dei Dardanelli. Sotto le mura di Troia il mito inaugurò la storia greca e grazie all'esilio di Enea i romani credettero di poter risalire alle loro origini. Poi furono gli europei che attraverso i romani delinearono la loro storia (inclusi i russi, che a partire dal XVI sec., con Ivan il Terribile, si credevano discendenti di Cesare Augusto). Per non parlare del fatto che in taluni racconti bizantini si fanno discendere gli ottomani dagli stessi troiani. Erodoto fu forse il primo a sostenere che la guerra troiana era stata un confronto fra Europa ed Asia. E come Xerxe, re dell'est, giunse in Europa, così Alessandro Magno, re dell'ovest, giunse in Asia. Dal medioevo in poi un importante concetto trovò espressione lessicale nei linguaggi euroccidentali, anche se non ne trovò in quelli bizantini e della Russia premoderna. Nel latino medievale apparve la parola "christianitas" ("chrétienté" in francese, "christenheit" in tedesco, "cristendom" in inglese, e così via). In russo si usava soltanto il termine "mondo cristiano". Tuttavia, quando queste parole apparvero la situazione non era più quella di un tempo. Esse denotavano semplicemente la totalità delle nazioni cristiane in relazione a cui ognuna di esse, individualmente, non era che una parte in lotta con un'altra. La rivalità politica ed economica delle nazioni cristiane euroccidentali fu all'origine di sanguinose guerre di religione e coloniali. Le frontiere erano determinate dalla competizione e dal reciproco odio. A garanzia della loro più alta unità, la concezione medievale -estremamente formalista e retorica, in questo senso- poneva due figure che solo apparentemente sembravano al disopra delle parti: il papa e l'imperatore. Viceversa l'ortodossia non ha mai conosciuto profonde rotture e lacerazioni come la Riforma e la Controriforma. Nel russo paleoslavo (o slavonico) è esistito un termine equivalente, sul piano funzionale non logico, a quelli citati sopra: il concetto di "Santa Russia", che non va interpretato secondo criteri etnici, geografici o nazionalistici. "Santa Russia" infatti è una categoria cosmica, che include sia l'Eden del Vecchio Testamento, sia la Palestina dei vangeli. Il suo scopo era quello di dare espressione terrena al concetto teologico della chiesa universale, collocandolo in una prospettiva insieme più prosaica e più epica. Non era una mania di grandezza, ma una manifestazione della spiritualità o dell'ideologia cristiana della Russia antica. Spiritualità per certi aspetti assai diversa da quella cattolico-occidentale. Il credente russo, generalmente, riteneva blasfemo un contatto troppo intimo con il sacro e preferiva il senso della lontananza, dell'alterità fra uomo e dio. Nessun santo russo avrebbe mai collocato il Cristo in una mangiatoia, come fece Francesco d'Assisi. In alcune sue poesie, per fare un altro esempio, W. Blake espresse il desiderio di ricostruire Gerusalemme nella verde Inghilterra. Addirittura nel corso del medioevo cattolico si cercò di edificare molte chiese sulla base della disposizione dei sacri luoghi di Gerusalemme (vedi ad es. l'abbazia di Santo Stefano a Bologna). Viceversa, quando il patriarca Nikon propose di costruire una Nuova Gerusalemme nella Russia del XVII sec., subito gli si rimproverò di voler profanare la Città Santa. Gli si permise soltanto di ribattezzare il fiume Istra col nome di Giordano. Ma a nessun russo è mai venuto in mente di sostituire il Giordano con i fiumi della sua patria, allo scopo di attualizzare il messaggio di Cristo: al cattolico Francis Thompson sembrò invece del tutto naturale sostituire il lago di Gennesaret con il Tamigi. Per i teologi russi non era decisiva, come per i cattolici, la sopravvivenza delle strutture ecclesiastiche quando contemporaneamente quelle statali o non esistevano o erano in via di dissoluzione. Come per i bizantini ortodossi, così per i russi chiesa e impero apparivano del tutto inseparabili: l'impero non era altro che il luogo della chiesa. Significativo, in questo senso, il monito rivolto nel 1390 dal patriarca Antonio IV di Costantinopoli al principe di Mosca Vassili I. Quest'ultimo aveva osato proclamare che i russi condividevano con i bizantini una medesima chiesa senza avere però un imperatore, in quanto non riuscivano a riconoscersi in quello bizantino. "E' impossibile per i cristiani avere una chiesa e non avere un impero", rispose il patriarca. Parole profetiche, poiché subito dopo il crollo di Bisanzio saranno proprio i discendenti di quel principe moscovita a porre le basi dell'impero russo-ortodosso. Il titolo di zar, adottato dal principe di Mosca alla fine del XV sec., costituì appunto una versione russificata del titolo di Cesare. Nel 1461 i turchi occuparono Trebizond, l'ultimo frammento dell'impero romano. Nel 1478 Mosca si annetteva il territorio di Novgorod la Grande e nel 1480 si liberava finalmente del giogo tartaro-mongolo. L'idea di una "terza Roma" (di tipo slavo), in alternativa a Costantinopoli, la si può già rintracciare in una lettera scritta da Filofei di Pskov nel XVI sec.: "due Rome sono cadute, la terza resta e una quarta non ci sarà..."(in quanto si riteneva il numero tre simbolo di perfezione). Formula, questa, che trova un precedente nell'affermazione di un cronista bizantino, il quale, l'indomani del crollo dell'impero occidentale, scrisse: "la vecchia Roma è caduta ma la nuova Roma cresce e si sviluppa". Una versione bulgara del XIV sec. traduce questa frase alterando, significativamente, le parole "nuova Roma" con "città imperiale" (tsargrad). Il riferimento, peraltro ovvio, andava a Tyrnovo, la capitale dell'impero bulgaro. Là dove il cronista bizantino intendeva riferirsi al basileus di Costantinopoli, fu inserito il nome dello zar bulgaro Ioann Alessandro, che fino a quel momento non era stato sconfitto da nessuno. L'esigenza di affermare una legittima eredità spirituale è un motivo ricorrente nella storia sacra cristiana. Ve ne sono abbondanti tracce già nel rapporto neotestamentario fra cristiani ed ebrei. Persino nell'Eneide si ritiene Roma la legittima erede di Troia. Quando Costantino trasferì la capitale nel Bosforo, i primi intellettuali bizantini erano convinti ch'egli volesse fondare una "terza Troia". Tuttavia i regni slavici meridionali, che pur rivendicavano il diritto ad essere gli unici veri depositari del potere ortodosso nell'area slavica, caddero in mano turca ancor prima che Bisanzio morisse. Viceversa, il principato di Mosca poneva la questione dell'unico vero Stato ortodosso a un livello più internazionale, nella ormai acquisita consapevolezza che la tradizione bizantina era al tramonto e che la forza dello Stato russo non poteva essere paragonata, in quel momento, a quella di nessun altro Stato cristiano, orientale e occidentale. In effetti, dopo i successi di Ivan III e Ivan IV contro i tartari, dopo la sconfitta dei khanati di Kazan e di Astrakhan, Mosca era diventata un grande centro eurasiatico. Essa si sentiva parte della christianitas europea, ma la consapevolezza d'essere l'unica legittima erede di Costantinopoli la portava a estraniarsi dallo stile di vita e dalla religiosità del cattolicesimo latino. L'enorme estensione del suo territorio non faceva che favorire questo processo. E così, nel XIII sec. Alexander Nevsky rifiutò l'ambasciata inviata dal papa per convincerlo a muovere guerra contro i mongoli; nel XV sec. il principe Vassili II tolse ogni potere al metropolita di Mosca, Isidoro, che aveva parteggiato per l'unione cattolico-ortodossa al Concilio di Firenze del 1439; al tempo della sconfitta di Ivan il Terribile ad opera del re polacco Bathory, la missione del gesuita Antonio Possevino, mandato da Roma in qualità di paciere, fallì miseramente, poiché il papato voleva in cambio della mediazione una crociata antiturca dei russi e soprattutto la subordinazione degli ortodossi ai cattolici. Più tardi vi saranno le grandi rivalità geo-politiche fra Mosca e la Lituania, e Pietroburgo parteciperà alla spartizione della Polonia. I russi erano addirittura convinti che Costantinopoli fosse crollata proprio a causa dei suoi compromessi coi latini; quei compromessi ch'essa aveva cercato per difendersi dai turchi e che non solo non le servirono a nulla (perché i cattolici non mantennero mai le loro promesse), ma favorirono anche la penetrazione dei latini nel suo impero. Durante il regno di Ivan IV, il territorio russo si espanse verso est notevolmente. Uno Stato euroccidentale non avrebbe certo potuto avere analoghe ambizioni, non foss'altro che per le forti resistenze dei paesi limitrofi, di diritto non meno "cristiani" e di fatto non meno evoluti, che avrebbe incontrato. Tuttavia, per la mentalità dei sovrani russi non si trattava semplicemente di annettersi dei territori molto lontani dall'Europa: il problema era anche quello di creare una sorta di configurazione geo-politica ed eurasiatica del cristianesimo che fosse molto compatta, a livello organizzativo (per il popolo russo) e a livello ideologico (per la fede ortodossa mondiale). Questa preoccupazione politico-religiosa era forse più sviluppata nell'impero russo che in quello bizantino, benché fu proprio questo a riconoscere in quello il suo miglior successore nella fede. Cosa, questa della successione, che non va affatto considerata come inevitabile. In effetti, stando alle tradizioni culturali, l'occidente europeo era senz'altro molto più vicino a Bisanzio di quanto non lo fosse la Russia. Il sistema monarchico bizantino proveniva direttamente da quello romano, il quale, a sua volta, era frutto del governo personale di quei comandanti vittoriosi sul piano militare: governo inaugurato da Silla e Cesare. Non emergeva certo dall'arcaico ordinamento patriarcale. Il principio dinastico era già andato irrimediabilmente perduto. Neppure aveva molta consistenza l'idea del dovere personale di lealtà verso l'imperatore: sia a Roma che a Bisanzio i sovrani venivano facilmente deposti o uccisi, talvolta anche pubblicamente e con esultanza popolare. Per i bizantini "sacro" era l'impero non l'imperatore o, nel migliore dei casi, era la sua "carica", il suo "ufficio". Ecco perché gli impostori, che furono così caratteristici dell'autocrazia russa, medievale e moderna, non furono mai tipici della storia dell'autocrazia bizantina. Il successo di un leader (comandante militare o politico) non era percepito dai bizantini come il risultato di circostanze favorevoli, ma piuttosto come il riflesso di una qualità intrinseca alla sua persona, di un carisma di tipo "terreno". Cicerone aveva già discusso seriamente di questo argomento. Ad es. una figura come quella del principe russo Kurbsky, che riparò in Lituania, subito dopo aver visto che alcuni nobili di sua conoscenza erano stati giustiziati da Ivan il Terribile, sarebbe stata quasi impensabile a Bisanzio. Qualunque fosse stata la spiritualità richiesta a livello di reputazione personale, il bizantino pensava che in politica dio stesse dalla parte del vincitore, a meno che, naturalmente, questi non fosse un eretico. Un bizantino non avrebbe mai tollerato che Alessandro I potesse tranquillamente morire sul trono mentre tutti conoscevano la sua complicità nell'omicidio di suo padre Paolo I. Né avrebbe potuto comprendere il motivo per cui Boris e Gleb furono annoverati tra i santi: dopo tutto essi non morirono per la loro fede, ma per cose piuttosto prosaiche. Viceversa, i cristiani russi, oggi come allora, li preferiscono ricordare con particolare orgoglio, convinti come sono che soltanto in una lunga e sofferente sopportazione delle avversità si esprime veramente la santità dell'uomo, a prescindere da qualunque vero atto di fede. Questo culto della sofferenza, percepita come valore universale dominante, era quanto mai estraneo al realismo, all'equilibrio e al senso dell'oggettività del mondo bizantino. Difficilmente insomma i bizantini avrebbero pensato che i russi potevano diventare i loro legittimi successori (nella fede ortodossa). Ma gli schemi degli uomini non sempre soddisfano le esigenze della storia. (1) Era il prezzo che l'uccisore di un uomo libero doveva versare ai familiari della vittima per evitarne la vendetta: in genere era proporzionale alla condizione sociale della vittima. (2) Non a caso il legato pontificio card. Bertrando del Poggetto, comandante in capo dell'esercito guelfo nella crociata contro i Visconti, fece bruciare dal boia, nel 1329, questo testo di Dante. LA CRISTIANIZZAZIONE DELL'EUROPA CENTRALE, DEI BALCANI E DELLA RUSSIA MEDIEVALE La formazione degli Stati feudali marciò di pari passo con la necessità di modificare la sovrastruttura ideologica (compresa quindi la religione) sulla base dei nuovi rapporti sociali. Le mancanze di prospettive del paganesimo, già chiaramente evidenti nei paesi euroccidentali e nell'area bizantina, lo erano anche nei paesi centroeuropei e nei Balcani. Benché dei predicatori musulmani avessero cercato di fare dei seguaci in Bulgaria, non si poneva neppure il problema di una scelta fra cristianesimo e islam. Anzi, proprio il cristianesimo poteva permettere alla Bulgaria di assimilare l'esperienza sociale dei paesi vicini più evoluti e, in definitiva, di "rompere", in maniera radicale, con l'universo concettuale geneticamente legato al sistema pre-feudale in declino, del tutto incompatibile con i fondamenti d'uno Stato feudale unificato in fieri. Inoltre l'introduzione della nuova religione permetteva di stabilire relazioni d'uguaglianza reciprocamente vantaggiose con le potenze cristiane. Da questo punto di vista il problema non era quello di scegliere uno dei due principali centri della cristianità: Roma e Costantinopoli. Peraltro, di vera possibilità di "scelta" si può parlare in riferimento sia alla nobiltà croata e serba che, soprattutto, agli ambienti governativi della Bulgaria e dei principati magiari, non certo in riferimento alla Carinzia, alla Boemia o alla Polonia, che adottarono il cristianesimo latino perché pressate dall'impero carolingio, prima, e dal sacro romano impero, dopo. La nobiltà serbo-croata e i governanti della Bulgaria sapevano che la sottomissione della chiesa allo Stato era spesso un mezzo di espansione politica di quest'ultimo. Boris I, assiduo rivale di Bisanzio nei Balcani, comprendeva perfettamente che la chiesa ortodossa offriva maggiori garanzie di affidabilità politica rispetto alla chiesa romana, la quale, con il principio del "primato papale", non riconosceva allo Stato una vera e propria sovranità. Forse solo nel caso dei sovrani russi si può parlare di possibilità di scelta "ideologica" fra le due religioni allora più importanti, la cristiana e l'islamica. Le esitazioni permasero sino alla fine del X sec. L'islam venne rifiutato non tanto perché i suoi usi e costumi parevano troppo estranei al principe Vladimir, quanto perché le posizioni politiche dei paesi musulmani (specie del califfato arabo) erano allora seriamente compromesse a livello internazionale. Non solo, ma si può aggiungere che quelle del cristianesimo erano a quel tempo già consolidate nella Russia kieviana. Ciò naturalmente non significa che la scelta fra Roma e Costantinopoli fosse per la Russia cosa facile. Olga, la sovrana di questo Stato, pur già battezzata a Bisanzio, mandò nel 959 degli ambasciatori in Germania, chiedendo a Ottone I di inviarle un vescovo e dei preti. La decisione di accordare la preferenza a Bisanzio non dipese dal fallimento di questa missione, anche se essa senza dubbio vi contribuì, ma dal fatto che la Russia aveva già ottime relazioni culturali e commerciali con l'area bizantina e con gli Stati cristiani balcanici, oltre al fatto che i cristiani russi avevano ricevuto il battesimo dalla chiesa orientale (si veda l'opera missionaria di Cirillo e Metodio). La decisione di adottare il cristianesimo rifletteva gli interessi della classe dominante (in primo luogo i boiardi). Lo dimostra il fatto che scoppiarono non poche rivolte popolari contro l'imposizione di questa nuova religione. In Boemia, ad es., reagirono immediatamente al battesimo del principe Borivoj. Rivolte analoghe scoppiarono in Carinzia e i principi magiari Gèza e suo figlio Stefano I combatterono il loro popolo, appoggiato da alcuni principi pagani, per imporre il cristianesimo. I sovrani battezzati erano ricorsi all'aiuto di forze esterne (i boemi alla Grande Moravia, i carinzi e i magiari alla Baviera) perché ancora non avevano l'autorità sufficiente per pretendere l'assoluta obbedienza del popolo al potere centrale. L'adozione del cristianesimo veniva proprio a coincidere con il processo di formazione dello Stato feudale. In Bulgaria, addirittura, le insurrezioni anticristiane caratterizzarono non solo le masse popolari ma anche vasti settori della nobiltà, benché il livello di sviluppo di tale paese fosse maggiore degli altri già citati. Questa nobiltà temeva di perdere i suoi privilegi, il ruolo di comando che aveva nello Stato pre-feudale, frammentato in comunità più o meno isolate. Viceversa, negli Stati feudali già formati, come la Polonia, la Russia antica e la Grande Moravia, la popolazione non oppose quasi alcuna resistenza. Qui semmai si verificarono, molti decenni dopo il battesimo della nazione, alcune sommosse popolari contro il clero cristiano, ritenuto corrotto e servo del potere costituito. Ecco perché, al momento dell'adozione del cristianesimo, i maggiori problemi, per questi paesi, furono di altro genere (ad es. il rischio di essere fagocitati dalla politica estera dei due centri cristiani dominanti a livello europeo). La difesa della sovranità politica, nazionale e territoriale si esprimeva nella necessità di avere una propria chiesa indipendente: ciò che, in effetti, sin dai secoli X e XI riuscirono ad ottenere gli Stati politicamente più forti, come Bulgaria, Polonia e Ungheria. Per quanto riguarda la Russia antica, occorre dire che l'istituzione subitanea di una metropoli a Kiev permise a questo Stato di disporre di un'organizzazione ecclesiastica relativamente autonoma, in grado di ordinare propri vescovi. Soltanto il metropolita veniva ordinato dal patriarca di Costantinopoli e scelto fra candidati greci soggetti all'imperatore. Ma non per questo Bisanzio riusciva a influenzare in modo decisivo la politica della Rus'. Tale situazione, che grosso modo rimarrà immutata fino al XIII sec., dipendeva da una serie di fattori. Anzitutto le nomine ai principali posti della gerarchia clericale russa avvenivano secondo la volontà del sovrano; in secondo luogo gli edifici del culto venivano costruiti su richiesta e a spese del potere laico; in terzo luogo la proprietà fondiaria della chiesa allora era appena in gestazione, e quindi la vita materiale del clero era sostanzialmente assicurata da una parte dei redditi del principe; in quarto luogo il potere laico fruiva di ampi diritti di controllo sui redditi del clero; in quinto luogo, la chiesa non riconosceva il diritto di asilo e per molte questioni giuridiche e civili sottostava ai tribunali laici. Come noto, la dipendenza della chiesa ortodossa nei confronti dello Stato diventerà, in seguito, più forte di quella del clero latino, ma agli inizi questa differenza era meno marcata: sia nei paesi balcanici che nell'Europa centrale la neonata chiesa aveva un gran bisogno della tutela del potere laico. Proprio questo potere, nel mentre costringeva i neofiti a partecipare al culto e a rispettare norme e riti, permetteva alla chiesa di funzionare attivamente. Questo appunto accadeva sia in Russia che in tutti i paesi dell'Europa centrale. Non a caso i forti movimenti popolari dell 'XI sec. in Polonia e Ungheria contro le autorità politiche e il fardello fiscale, erano accompagnati dalle distruzioni delle chiese cristiane e da violenze anticlericali. In Ungheria ci fu addirittura un ritorno in massa al paganesimo, mentre in Bulgaria il movimento bogomila si volse non verso il paganesimo, ma verso una corrente eretica (dualista) dello stesso cristianesimo: la cosiddetta "dottrina pauliciana", che costituiva a Bisanzio la base ideologica degli oppressi contro Chiesa e Stato. D'altro canto, nella stessa Bulgaria, una buona parte della popolazione era rimasta fedele al rito funerario pagano. In Russia, all'inizio del XII sec., talune istituzioni clericali possedevano già vasti domini fondiari (donati dai principi) e disponevano di varie immunità fiscali e giudiziarie. Le decime venivano tratte dai tributi e dalle tasse giudiziarie e commerciali imposte dai principi. La chiesa stava cominciando ad acquisire proprie fonti di sussistenza, pur continuando a dipendere, specie sul piano gius-politico, dal potere laico. Qui addirittura le misure coercitive, legate all'introduzione del cristianesimo, vennero estese dal principe Vladimir anche all'élite sociale, ai figli della nobiltà, che dovevano studiare la letteratura cristiana. Una differenza però c'era. Contrariamente ai sovrani di Boemia e di Ungheria, che incaricavano le autorità laiche a far rispettare le norme cristiane, i principi russi si affidavano volentieri alla stessa chiesa. che comminava penitenze d'ogni tipo. La Russia non ha conosciuto dei movimenti anticristiani così potenti come quelli polacchi e ungheresi dell'XI sec.: l'unico di un certo rilievo fu quello dei volkhvy, una sorta di sacerdoti pagani dediti alla magia. La loro rivolta venne repressa da un boiardo di Kiev. Gli studi hanno dimostrato che questa e altre rivolte pagane erano più vicine ai movimenti popolari dell'Europa centrale che non a quelli dei Balcani: a motivo del fatto che gli interessi dei laici e dell'élite ecclesiastica erano più strettamente intrecciati (i primi santi cristiani, patroni del paese e del popolo, appartenevano tutti alla dinastia principesca). Nelle prime tappe della cristianizzazione, ovvero durante i primi decenni che seguirono il battesimo, l'attività della chiesa si estendeva soprattutto alle città e ai centri amministrativi dello Stato, quasi senza toccare le campagne, ove il rituale funerario, tanto per fare un es., restava rigorosamente pagano (ad eccezione della cremazione, abolita quasi subito dal cristianesimo). Le maggiori difficoltà che il clero doveva affrontare erano dovute all'atteggiamento della nobiltà locale, la quale, pur avendo accettato il battesimo, restava indifferente alla nuova religione e non mutava il proprio stile di vita. Questo comportava forti attriti, specie nei paesi soggetti all'influenza culturale e politica dell'occidente latino. In oriente i rapporti fra clero e nobiltà erano generalmente migliori, ma la dipendenza completa della chiesa dallo Stato non facilitava affatto i mutamenti nel costume di vita della nobiltà. Nella seconda tappa il cristianesimo cominciò a espandersi anche verso la campagna. Apparvero i primi atti legislativi miranti a stabilire norme di vita cristiana per tutta la nazione. Si generalizzava la pratica di seppellire i morti presso la chiesa. Si formavano le prime organizzazioni parrocchiali. Si consolidavano l'autonomia e il prestigio sociale della chiesa, anche perché principi e feudatari continuavano a offrire vaste porzioni di territorio al clero, il quale praticamente era diventato una sorta di trait d'union fra la società locale e il mondo colto europeo. Rimarchevoli tracce pagane sopravvivevano nei secoli XI e XII presso tribù finnico-ugriche e alcune tribù slave orientali. Probabilmente in Russia fu la politica flessibile del clero, che cercava di far convivere pacificamente pagani e cristiani, ad evitare quegli aspri conflitti fra chiesa e nobiltà scoppiati in taluni paesi centroeuropei nei secoli IX e X (ad es. nella Polonia dell'XI sec. le autorità facevano ancora rompere i denti a chi rifiutava i digiuni ecclesiastici). E' vero, anche in Russia, come già nella Grande Moravia e più tardi in Boemia, si usava il penitenziale di origine greca, ma non sempre veniva applicato. Dati archeologici hanno confermato che in questo paese diversi centri di culto pagano funzionavano ancora in alcune regioni rurali nei secoli XI e XII (taluni riti funebri scomparvero, nelle regioni più a nord, solo verso la fine del XIII sec.). Questo d'altra parte ha permesso che il cristianesimo in Russia si diffondesse in profondità, cioè in maniera non superficiale (cosa che ad es. non è avvenuta in Polonia, dove il cristianesimo non ha mai raggiunto livelli significativi di spiritualità). Sarebbe tuttavia assurdo sostenere che la chiesa ortodossa fosse completamente assoggettata allo Stato. Essa in realtà ha sempre cercato di giocare un ruolo autonomo, perseguendo e a volte raggiungendo obiettivi non del tutto coincidenti con quelli della nobiltà laica. E questo mediante il solo insegnamento sui castighi dell'aldilà, oppure con i racconti agiografici e le descrizioni dei miracoli postumi, che incarnavano gli ideali da essa propagandati. I santi erano proclamati difensori dei poveri, dei malati, dei sofferenti (la liberazione miracolosa dei prigionieri dalle catene delle autorità è un motivo ricorrente). I racconti di Boris e Gleb sono solo un piccolo esempio. E' impossibile trovare una così vasta documentazione sull'attività ideologica delle chiese anche nei paesi centroeuropei dei secoli XI e XII. La chiesa russa imponeva penitenze a quanti malmenavano orfani innocenti o rifiutavano loro un lavoro, condannava le forme estreme della vendita degli schiavi (come ad es. la tratta dei bambini) ed esigeva un esplicito pentimento da parte degli usurai. Inoltre tendeva a presentarsi come protettrice degli strati sociali più poveri, contro le forme più vergognose di oppressione e sfruttamento. Stigmatizzava altresì la ricchezza acquisita con la violenza, il furto, il brigantaggio, la corruzione, la frode: essa diceva che fino a quando non la si fosse restituita e distribuita ai poveri, il perdono dei peccati non poteva essere concesso. L'attività della chiesa in Russia andava oltre il mero rapporto "prete-fedeli", in quanto ambiva a criticare le ingiustizie compiute dai principi: prassi, questa, senza precedenti nella regione centroeuropea. Il Trattato contro i bogomili del prete Cosmas criticava sì l'oppressione e l'arbitrio, ma avendo di mira i funzionari della chiesa (secolari e regolari), non certo il principe. Tuttavia la chiesa russa non chiedeva di modificare sostanzialmente i rapporti feudali esistenti. Tanto è vero che predicava al popolo l'obbedienza come norma fondamentale della dottrina cristiana. E di fronte a quanti cercavano di contestare il sistema si comportava, né più e né meno, come il governo in carica. Essa voleva sì la pace sociale, ma a vantaggio soprattutto della classe dominante, cui apparteneva anche il clero medio-alto. Poteva rimproverare il principe sul piano morale, senza subire particolari ritorsioni, ma continuava a frenare sul piano politico le rivendicazioni popolari. Diversamente dalla chiesa cattolica, la chiesa ortodossa era meno lontana dalle masse popolari, meno legata alla gerarchia ecclesiastica straniera (la chiesa latina, infatti, con l'idea del papato, pretendeva una totale sottomissione a Roma da parte di tutte le chiese cattoliche del mondo). A conferma di ciò, basta osservare il diverso modo di considerare le lingue nazionali. Nei paesi cristiani orientali gli uffici venivano celebrati nella lingua dei fedeli; in quelli cattolici invece era d'obbligo il latino. Come noto, la scrittura slava venne creata verso la metà del IX sec. proprio per diffondere il cristianesimo. In certi paesi (ad es. la Carinzia) la scrittura slava era del tutto sconosciuta al momento della cristianizzazione. Nell'occidente latino la scrittura in lingua locale veniva ammessa solo per un numero assai ristretto di testi sacri. La scrittura in lingua magiara era praticamente inesistente. In Polonia si conosceva l'alfabeto slavo ma il suo uso era minimo. Nella Grande Moravia e più tardi in Boemia la sua importanza fu grande all'inizio, ma poi divenne oggetto di persecuzioni. Così pure in Croazia. Dopo lo scisma del 1054 la situazione invece di migliorare peggiorò: la chiesa latina cominciò a considerare la scrittura slava come un segno di appartenenza alla confessione ortodossa. Di tutti i paesi cristianizzati a partire dal IX sec. la Bulgaria (e parzialmente i principati serbi) fu la sola in cui questa scrittura si sviluppò liberamente. Naturalmente i contatti culturali erano più intensi fra quei paesi che utilizzavano una medesima scrittura. L'ORTODOSSIA ORIENTALE NELLA RUSSIA MEDIEVALE Ancora oggi esistono due punti di vista diametralmente opposti nella storiografia che studia l'influenza bizantina sulla cultura dell'antica Rus'. Alcuni storici considerano la civiltà del Levante come l'unica vera fonte della cultura russa antica e la creazione artistica di quest'ultima come un'espressione provinciale della raffinatezza di Costantinopoli. Altri invece difendono l'autonomia totale della cultura russa, escludendo un'influenza esterna dominante. Sia come sia, è solo di recente che si è cominciato ad apprezzare la civiltà di questa parte dell'oriente come una delle tappe fondamentali della cultura mondiale. Pare che sia stata definitivamente abbandonata dalla storiografia più progressista la teoria della "stagnazione" o dell'"immobilismo" della cultura bizantina, nonché quella del suo preteso ritardo rispetto alla civiltà classica. Così come si è rifiutata l'idea che tale cultura sia stata solo capace di trasmettere in Russia e in tutta l'area ortodossa un clericalismo canonizzato, ovvero un rigido conservatorismo ecclesiale. All'origine di questi schematici giudizi vi sono naturalmente diversi fattori, non ultimo dei quali l'aprioristica e malcelata propensione degli storici occidentali, che si sono interessati alla più che millenaria lotta fra ortodossi e cattolici, ad assumere le difese di quest'ultimi. Mentre da parte degli studiosi marxisti sovietici il giudizio nei confronti della confessione ortodossa è stato fino a ieri, in genere, piuttosto severo, poiché nella critica del fenomeno religioso l'ex-Urss ha avuto di fronte, prevalentemente, l'esempio della chiesa ortodossa, per cui non si aveva molto interesse a fare i paralleli con altre confessioni. E' solo da poco che ci si è accorti come, rispetto alle correnti rivali: cattolica e protestante, quella ortodossa risulti essere nel complesso molto più tollerante e democratica e come quindi la sua influenza sulle coscienze dei cittadini appaia molto più consistente delle altre due. Tuttavia, a parte le valutazioni positive che, contestualmente, si possono fare sulla realtà della chiesa ortodossa (bizantina o russa), resta il fatto, in sé molto oggettivo, che sul piano storico tale confessione, non meno delle altre, svolse un ruolo del tutto conforme agli interessi delle classi dominanti. Una breve rievocazione degli avvenimenti legati al "battesimo" della Russia lo confermerà. Quando la Russia accettò di convertirsi (naturalmente qui si prescinde dalla tradizione leggendaria della chiesa che vede nell'apostolo Andrea il primo evangelizzatore delle terre slave), il processo di unificazione nazionale per buona parte era già stato realizzato. I principi Oleg, Igor, Svjatoslav e Vladimiro con le loro campagne militari avevano eliminato per sempre, nel sec. X, le antiche divisioni tribali, portando alla formazione del territorio dello stato russo antico. I legami economici e culturali esistenti dai tempi più remoti fra alcune tribù di slavi orientali - componente principale della nazionalità russa antica - formarono la base di una comunità di lingua, di economia e di cultura. I rapporti degli slavi con Bisanzio furono sempre molto tesi, sin dai secoli VI e VII. Dopo la formazione della Rus' gli slavi intrapresero diverse spedizioni militari, sia per porre un argine all'espansione imperialistica di Bisanzio, sia per affermare sulla scena internazionale un nuovo Stato feudale: quello appunto della Rus'. Ma, nonostante le guerre, le relazioni commerciali fra i due Stati non vennero mai meno, anzi, grazie alle guerre si approfondirono (si pensi ad esempio al trattato di pace del 911 col quale la Rus' acquisì il diritto di commerciare con Bisanzio senza pagare dazi). Non dimentichiamo, in questo senso, che la possibilità che Kiev aveva di controllare la via fluviale "dai varjaghi [mercanti normanni] ai greci" per i rapporti commerciali con Bisanzio, risulterà un elemento abbastanza importante allorché si dovrà scegliere fra ortodossia e cattolicesimo. Fu proprio in seguito a vicende militari, coronate da un matrimonio principesco, che la Rus' e Bisanzio riuscirono a stabilire solide relazioni di pace. Uno degli effetti più importanti dì queste relazioni fu appunto l'adozione da parte di Vladimiro del cristianesimo come religione di stato (verso il 988). Il paganesimo slavo, che rifletteva l'ideologia del sistema comunitario primitivo, non poteva più adempiere, con la comparsa delle classi e dello Stato feudale, la funzione principale della religione: quella di consacrare e consolidare l'ordine esistente. All'inizio del suo regno Vladimiro aveva tentato di riformare la religione pagana, ma senza successo: questa religione, che affondava le sue radici nel lontano passato dei popoli slavi, continuava a dividere lo Stato in tante regioni e comunità locali; inoltre conteneva in sé talune idee di uguaglianza e di democrazia che mal si addicevano ai nuovi rapporti di produzione basati sul servaggio. Era la classe dominante ad avere bisogno di una nuova religione. Dal popolo infatti la cristianizzazione non venne accettata molto benevolmente, se è vero, come è vero, che essa si protrasse fin verso il XVIII secolo. Questo significa che per molto tempo la vita spirituale dei russi fu basata su un'associazione di elementi pagani e cristiani. La domanda che a questo punto spesso ci si pone è la seguente: perché il principe Vladimiro scelse la confessione greco-bizantina e non quella cattolico-romana? La pubblicistica religiosa, specie quella ortodossa, è solita rispondere avvalorando le cronache leggendarie di quei tempi, una delle quali narra che il principe inviò emissari in tutti i paesi limitrofi perché studiassero le pratiche islamiche, giudaiche e latine, ma nessuna di queste ottenne il suo consenso. Gli inviati invece andarono in estasi quando visitarono S. Sofia, a Costantinopoli, e videro lo splendore della liturgia bizantina. Questo peraltro spiegherebbe - stando alla suddetta storiografia - il motivo per cui una delle caratteristiche principali dei russi sia il culto della bellezza. In effetti, osservando i dipinti dell'iconografo Rublev o le cattedrali del Cremlino viene da pensare che le leggende possono avere anche qualche fondamento di verità. Purtroppo però, come spesso succede quando si devono interpretare gli avvenimento storici, la verità è molto più complessa. Già faremmo un torto alla storiografia ortodossa se limitassimo le sue spiegazioni dell'avvenimento in questione alla riproposizione semplicistica delle cronache leggendarie. Essa in realtà si appella anche ad altre cause, senz'altro più attendibili di questa. La prima si riferisce all'opera missionaria e civilizzatrice dei due monaci di Salonicco, Cirillo e Metodio, che negli anni '60 del IX secolo elaborarono un alfabeto adattandolo alle esigenze degli slavi (si pensi che a quell'epoca il papato imponeva ovunque l'uso del latino nella celebrazione dei riti). La seconda causa stava nel fatto che Vladimiro desiderava una chiesa indipendente, sul piano dell'amministrazione del culto e dell'organizzazione interna, e questo con una chiesa che considerava il papa un capo universale non era certo possibile. Queste due tesi, volendo, si potrebbero ulteriormente approfondire. Qual era, in quel periodo, la situazione politico-religiosa a livello europeo? A oriente la chiesa ortodossa esisteva nell'ambito di un forte Stato centralizzato, quello appunto bizantino; essa non aveva mire universalistiche e tendeva all'unità di chiesa e Stato. Viceversa, il papato della sede romana, non avendo in Italia o nella parte occidentale dell'Europa un potente Stato in grado di ridimensionare le sue pretese, si sentiva sempre più autorizzato a svolgere funzioni di "supplenza", cioè funzioni squisitamente politiche, economiche, culturali e anche militari, a livello nazionale e internazionale. L'unità formale della chiesa cristiana universale era riconosciuta da entrambi i centri religiosi: cattolico-romano e greco-bizantino; di fatto però prevaleva una furibonda lotta (occulta e palese) per la supremazia politico-territoriale. Una lotta che si esprimeva a tutti i livelli: dalle polemiche dogmatiche (si pensi p.es. al Filioque) alle divergenze rituali, per concludersi drammaticamente con le crociate. Roma in sostanza considerava l'occidente come una propria sfera d'influenza e tendeva a occupare anche la parte orientale, dove però si scontrava con l'accanita resistenza degli eserciti bizantini e della chiesa ortodossa. I principi di Kiev seppero destreggiarsi abilmente fra i due contendenti, cercando di salvaguardare la propria autonomia. Il cristianesimo, sia nella forma latina che nella forma greca, aveva cominciato a espandersi nel paese molto tempo prima della conversione ufficiale. Gli slavi delle rive dell'Elba e quelli occidentali avevano praticamente già accettato il cattolicesimo romano: le lance dei cavalieri teutonici l'avevano imposto di forza, sotto il vessillo del Drang nach Osten ("premere verso est"). Fu proprio l'aggressività dell'occidente cattolico e l'energica attività politico-diplomatica della S. Sede per la cristianizzazione della Rus' a suscitare sospetti e malcontenti nel paese. Anche la corte di Bisanzio, in verità, pensava di trasformare la Rus' cristianizzata in uno Stato vassallo, ma dopo i primi tentativi essa rinunciò definitivamente alle sue velleità. Il giovane Stato russo sarebbe stato disposto a stringere una stabile alleanza con lo Stato del basileus (1), che per struttura sociale e regime politico più gli assomigliava, a condizione di non perdere assolutamente la propria indipendenza. E così sarà. La cristianizzazione consolidò ideologicamente l'unità dello Stato. La chiesa ortodossa - come d'altra parte quella cattolica - costituiva per le classi al potere un'organizzazione politica ramificata che aveva il compito di consacrare il regime esistente. Insieme al cristianesimo si diffuse nella Rus' la scrittura e con essa la possibilità di appropriarsi della cultura, più avanzata, di Bisanzio, erede della civiltà classica. Si pose fine ai culti pagani di numerose tribù che prevedevano i sacrifici umani. Il principe Vladimiro, con molta accortezza, più che imporre a tutti i costi la nuova religione cercò di creare uno Stato feudale centralizzato. L'influenza bizantina sulle diverse sfere della vita materiale e culturale della Russia antica si manifestò con un'intensità assai diversa. Laddove, ad esempio, le tradizioni della creazione pagana erano solidamente ancorate alla cultura popolare, gli influssi furono assai limitati. E comunque tutto quanto venne creato a Bisanzio e trasferito in Russia, qui subì una profonda modificazione. Questo è oltremodo evidente nelle arti plastiche (specie nell'architettura). Per quanto riguarda l'introduzione del cristianesimo si può tranquillamente affermare che esso fu sì un potente fattore ideologico di unificazione, ma non tanto da impedire nei secoli XI e XII la disgregazione dello Stato russo in molteplici Stati feudali autonomi volti a ridurre l'importanza di Kiev. Né esso riuscì a contenere le aperte ribellioni che nello stesso periodo cominciarono a scoppiare fra le classi oppresse e i signori feudali (si pensi alle grandi rivolte di Suzdal nel 1024, di Kiev nel 1068, di Beloozero e di Novgorod nel 1071). Il cristianesimo non fu neppure capace di tenere uniti due paesi entrambi "ortodossi": infatti nel 1448 un concilio di vescovi russi, rifiutando l'unione della chiesa bizantina col papato sancita al concilio di Firenze nel 1439, affermò la completa autocefalia della chiesa russa ed elesse un proprio vescovo. (1) Monarca nella società greca. Nei secoli IV-I a.C. l'attributo venne assunto dai sovrani dei regni ellenistici in un'accezione di monarchia assoluta e teocratica. Lo stesso significato ebbe il basileus nella parte dell'impero romano di lingua greca.

 
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