Era un giovane nobile di povera famiglia, che per evitare la miseria e le
persecuzioni, erasi messo al servigio di Sua Eminenza.
Tutto era al servigio dell'Inquisizione!
-Don Filippo,-disse l'inquisitore, -è stato arrestato questa notte il
governatore di Siviglia? è stato condotto nelle prigioni del Santo Uffizio?-
Don Filippo s'inchinò.
-Monsignore, gli ordini di Vostra Eminenza sono stati eseguiti.-
Un lampo di gioia brillò negli occhi dell'inquisitore.
-Dite, vi prego, che si mandi Josè,- proseguì Arbues. Il segretario uscì.
L'inquisitore si mise a camminare a gran passi nella camera. -Almeno,-
disse, -io mi vendicherò di lei e poi,- continuò Pietro Arbues, sempre
parlando fra sé medesimo, -spero che quei maledettissimi gitani, che io
proteggo, avranno compiuto la loro missione meglio dei miei famigliari:
d'ordinario
i figli della Garduna non falliscono i loro colpi. Questo Estevan, ch'io
odio, non esiste già più; avrò almeno privato Dolores di questo odiato
rivale.-
Mentre parlava così, la figure pallida di Josè si mostrò alla porta della
camera. A questa vista la fisionomia dell'inquisitore s'i addolcì d'una
maniera singolare.
-Entra, Josè; la tua presenza mi è sempre cara.-
Il novizio era infatti uno di quegli esseri indispensabili ai potenti
disoccupati del mondo, che sono sempre stati designati sotto il nome di
favoriti: strumenti di bene o di male secondo la perversità della loro
anima: esseri deboli, che regnano per la dolcezza e per la compiacenza, ed a
cui pertanto nulla resiste: influenze misteriose, fatali come il destino,
genii famigliari del padrone, e sembrano agire in virtù di un talismano
incantato; poiché il giorno in cui questo talismano fugge loro, cadono
trascinati da quell'irresistibile potere che li abbatte così come li ha
elevati, senza causa e senza scopo.
-Monsignore ha dormito male questa notte?-domandò il favorito con voce
carezzevole.
-Sì, ho dormito male, Josè; ho passato una notte penosa e crudele.-
-Monsignore, vi è pure nel palazzo un pover uomo che ha dormito male,
essendo stato colpito nel suo corpo e nella sua anima per il servigio di
Vostra Eminenza.-
Gli occhi di Pietro Arbues scintillarono di corruccio. Josè proseguì senza
sconcertarsi:
-Quest'uomo, monsignore, per poco non ha perduto la vita al servigio di
Vostra Eminenza, e quando è tornato presso di voi coperto di percosse e di
sangue, Vostra Eminenza l'ha cacciato come una bestia immonda, e poscia ha
ricusato di ascoltare la sua giustificazione.-
-Josè,- gridò l'inquisitore con collera, - sai tu che se un altro osasse
intercedere per Enrico...- -Vostra Eminenza l'ascolterebbe come si degna
ascoltarmi,- proseguì il favorito con accento tranquillo; - poiché Vostra
Eminenza è giusta avanti a tutto, e si rimprovera nell'anima la sua crudeltà
verso questo povero Enrico.-
-Un traditore!- mormorò Arbues.
-Un vostro servitore fino alla morte, monsignore; un servitore bravo, fedele
e di cui avete bisogno. Chi farete ora governatore di Siviglia?-
-Per la pantofola del papa! voi scherzate, maestro Josè; io non so quale di
noi due sia più pazzo: voi, giovane, senza cervello che m'intrattenete in
simili ciance od io, grande inquisitor di Siviglia, che vi ascolto.-
-Monsignore,-disse Josè, - io vi proverò subito che siamo savissimi tutti e
due.-
-Io sono curioso di vedere come tu mi proverai questo.-
-Niente di più facile, monsignore. Voi avete tolto alla nobile città di
Siviglia il suo onoratissimo e onorevolissimo governatore, il conte Emanuel
Argoso: ecco la città senza Mentore, e Vostra Eminenza senza ausiliare. In
questi tempi d'eresia, monsignore, un aiuto è cosa di cui Vostra Eminenza
non può fare senza.-
-Che vuoi conchiudere?- disse l'inquisitore, che cominciava ad ascoltare con
compiacenza.
-Io voglio provarvi, monsignore, che il migliore aiuto dell'inquisitore è il
governatore della città, e che è urgente che questo governatore sia una
creatura della Eminenza Vostra. ora dove troverete un uomo più affezionato
di questo povero Enrico, che nel semplice ratto di questa ragazza ha
sofferto due o tre battesimi, come dicono quei dannati boemi della Garduna,
ed il bagno più completo che si possa immaginare?-
Pietro Arbues sorrise leggermente; l'influenza del favorito aveva calmato la
febbre che ardeva il suo sangue.
-Enrico, governatore di Siviglia!- esclamò ad un tratto in un accesso di
spontanea gaietà; -ma sai tu, Josè, che esso è uomo da nulla!-
-Più grande sarà il potere di Vostra Eminenza, ne farà quello che vuole,-
rispose Josè senza sconcertarsi.
Una risata, ma senza trasporto né simpatia, una risata da inquisitore
rispose solamente a questa arguzia. Josè soggiunse colla persistenza di un
figlio prediletto: -Monsignore, è d'uopo ch'io chiami questo povero Enrico;
affinché si giustifichi ed implori il ritorno delle vostre buone grazie.-
-E' dunque pentito dell'insuccesso della sua spedizione?-
-Egli ha la contrizione perfetta, monsignore.-
-Invero,- disse Arbues, -un uomo che ha ricevuto tre battesimi, e che
possiede la contrizione perfetta, merita certamente l'assoluzione. Va dunque
a cercarmi Enrico, mio buon Josè.-
Il novizio baciò la mano dell'inquisitore con un ardore febbrile; qualcuno
che avesse potuto vedere la sua testa inchinata sulla mano di Petro Arbues
avrebbe giudicato, dalla espressione odiosa e feroce della sua fisionomia,
che il favorito avrebbe volentieri lacerato co' suoi denti la mano del
padrone invece di imprimervi un bacio ipocrita. Josè uscì.
-Alfin de' conti,- disse a sé medesimo l'inquisitore, -l'idea di questo
fanciullo non è forse sì cattiva. Enrico, governatore di Siviglia innalzato
da me e da me solo sostenuto, diverrà l'istrumento docile dei miei voleri,
il littore a cui io dirò. batti, e che batterà. Sì, Josè ha ragione, e la
sapienza risiede in lui.-
Mentre terminava queste parole, il favorito accorreva, seguito da Enrico.
Il famigliare era ancor pallido; la sua testa confusa, il suo braccio ferito
era inviluppato di fasce, il suo andamento ipocrita dava a quel viso magro e
affaticato l'aspetto ancor più malaticcio e più sofferente. Alla sua vista
la fronte dell'inquisitore si acciglò nuovamente. Il disgraziato mise un
ginocchio a terra, e con un gesto sollecitò il favore di baciar la mano a
Sua Eminenza.
Pietro Arbues guardò il suo favorito. -Orsù, un po' d'indulgenza,- disse lo
sguardo di Josè.
-Io vi perdono, Enrico,- disse il grande inquisitore: -ringraziate don Josè,
che ha perorato per voi meglio che non avrebbe fatto un avvocato, e
raccontatemi minutamente la spedizione notturna che vi è stata cagione di
quelle ferite.-
Enrico non si fece pregare due volte; raccontò nuovamente a Sua Eminenza
tutto ciò che noi già sappiamo sul ratto di Dolores, senza mancare di
attribuirsi tutto l'onore dei colpi dati e ricevuti; infatti ei non prendeva
che il bene dei morti, era una eredità e non un furto. Quando ebbe finito,
l'inquisitore,
un poco acquetato, o per meglio, interamente addolcito in suo favore, gli
disse con accento in cui spiccavano la benevolenza e la protezione:
-Enrico, io ti credo fedele, e benché tu non sia riuscito in questa
intrapresa, spero che in avvenire i tuoi sforzi e le tue cure per il
servizio di Dio faranno dimenticare questo fallo, e per provarti che non
serbo contro te alcun risentimento, e che ti considero, al contrario, come
servitore più affezionato, io scrivo al sovrano e gli domando per te il
titolo di governatore di Siviglia.-
-Il conte Argoso è egli morto?-domandò Enrico fra la sorpresa e la gioia.
-Fa lo stesso,-mormorò Josè fra' denti; -egli è nelle prigioni del
Sant'ufficio.-
-Monsignore,-disse un famigliare, sollevando un lembo della portiera di
seta, -maestro Mandamiento domanda di parlare a Vostra Eminenza.-
-Estevan è morto,- pensò l'inquisitore.
-Fate entrare il maestro della Garduna,- disse appoggiando con ironia su
queste ultime parole. Mandamiento fu introdotto. Questi restò in piedi con
la testa coperta in presenza dell'inquisitore.
Quell'uomo selvaggio aveva un'idea talmente bizzarra e fanatica delle
prerogative della sua carica, che credeva trattare fra potenza e potenza.
Enrico fece cenno a Mandamiento di scuoprirsi, il maestro rispose con uno
sguardo di disprezzo.
L'inquisitore sorrise, e volgendosi verso il Garduno:
-Ebbene,- disse, -è tutto finito non è vero?-
-Non è fatto nulla,- replicò Mandamiento con aria cupa.
-Che! Estevan de Vargas?...-
-Estevan de Vargas corre i campi. e neppure un capello è caduto dalla sua
testa. Per la prima volta dopo la sua esistenza la Garduna ha contato un
traditore nel suo seno, e questo traditore si è trovato fra i suoi figli più
bravi,- proseguì Mandamiento con dolore comico. Egli si doleva della
diserzione di Manofina come un padre di famiglia dei traviamenti d'un figlio
unico e diletto.
-Per Satana!- gridò l'inquisitore, battendo il piede con rabbia, -tutti mi
tradiscono dunque in questa circostanza? come si chiama il traditore?- disse
con accento breve.
-Ho giurato che niuno lo saprebbe, monsignore, e questo nome importa poco a
Vostra Beatitudine. Io son venuto presso di lei solamente per restituirla la
somma avanzata a... colui che era stato incaricato della spedizione.-E con
la più scrupolosa probità, il bandito pose sulla tavola le monete d'oro
ricevute per assassinare don Estevan.
-Non v'ha dunque nessuno fra' tuoi gitani che voglia incaricarsi di questo?-
domandò l'inquisitore.
-Oh! i bravi ed i fidi non mancano presso di noi, e ardisco promettervi per
l'avvenire...ma abbiamo perduto le traccie del nostro uomo, e mi
abbisognerebbe una proroga.-
-A ciò non si badi,- rispose l'inquisitore, -se mi prometti che don Estevan
non ti sfuggirà. Riprendi dunque il tuo oro, Mandamiento, esso non è che un
acconto; più la bisogna sarà difficile, più grossa ne sarà la ricompensa,
mio brav'uomo.-
-Sia;- disse il bandito, riprendendo le monete d'oro; -da qui a otto giorni,
monsignore, io posso promettere a Vostra Reverenza che il giovane avrà
ricevuto il battesimo da mano maestra.-
-Amen,- disse Josè, ed uscì con aria indifferente. -Non sapreste dirmi,
Mandamiento, -domandò Arbues, -in qual luogo si è rifugiata la figlia del
governatore di Siviglia?-
-Monsignore non mi avea incaricato della cura di custodirla,- replicò il
garduno.
-Proprio la risposta di Caino al Signore,- azzardò dire Enrico.
Si tollerava da Josè ciò che non soffriva dal famigliare; Arbues aggrottò il
sopraciglio; aveva l'anima troppo preoccupata per fermarsi su simili
spiritosaggini.
-Mandamiento,- continuò, -ecco una cattura per la quale l'oro de' miei
scrigni sarà prodigato; procura di scoprire questa giovane, e di
condurmela.-
-Sana e salva?- domandò freddamente il bandito.
-Per Cristo!- gridò l'inquisitore, che giurava indifferentemente per le cose
sante e per quelle riprovate; -per Cristo; senza che le cada un capello
della testa, intendi tu? senza che le si cagioni il minimo spavento. Non
avete donne voi altri che fanno questo mestiere? Si scuopra dov'è questa
giovane, essa non diffiderà di un individuo del suo sesso; s'impieghi
l'astuzia;
finalmente tu devi sapere come bisogna agire.-
-Oh! la sirena!- pensò Mandamiento, -quella era diritta e furba.-
-Monsignore,- continuò ad alta voce, -si farà il possibile, ma io non
prometto nulla; ciò è più difficile di quello che lo si pensi.-
-Monsignore,-disse Enrico a voce bassa, -la scuoprirò io: non sarò presto
governatore di Siviglia?-
Arbues congedò il maestro garduno.
Quel personaggio strano uscì con la testa alta e con lo sguardo sicuro; egli
aveva un'alta idea della sua importanza, e questa follia esaltata eziandio
da una esistenza affatto eccentrica, e dalla tendenza naturalmente
orgogliosa e poetica dello spirito spagnuolo, imprimeva a tutti i suoi
gesti, a tutti i moti di Mandamiento qualche cosa di solennemente selvaggio
che la parola è impotente a tradurre.
Quando fu fuori, Arbues alzò le spalle.
-Essere in contatto con questa gente!- mormorò: -e tutto ciò per colpa della
milizia di Cristo! Se i famigliari avessero abbastanza di zelo, avremmo noi
bisogno di questi zingari?-
-Monsignore,- disse Enrico, -se questi zingari non ci servissero, ci
farebbero la guerra.-
-Forse è vero,- rispose Arbues.
Il famigliare, rientrato in grazia, continuò a ciarlare con l'inquisitore.
Ciò che essi dissero non lo sappiamo; ma sicurissimamente l'inferno dovette
sorridere a quella intima conversazione, a quelle confidenze ciniche od
empie scambiate fra quei due orribili personaggi, e se Dio non si sdegnò di
vedersi mescolato a tutto questo, fu perché la sua bontà è infinita, fu
perché soffre i cattivi sulla terra, non a fine di purificare i buoni, come
è stato detto, ma perché è padre, e il padre è sempre indulgente anco verso
i suoi figli più perversi.
Appena il signor Mandamiento avea fatto alcuni passi nella strada, che si
sentì arrestato per la manica della veste. Il maestro si rivolse, e non fu
poco sorpreso di riconoscere il favorito di monsignore in colui che lo aveva
così fermato.
-Sua Beatitudine avrebbe forse dimenticato qualcosa?-domandò lo zingaro.
-Sua Beatitudine si è dimenticata di dirti che io non voglio che don Estevan
de Vargas muoia,- rispose Josè.
-Bisognava rammentarsene,- replicò Mandamiento sul medesimo tuono.
-Purché tu lo sappia, non è tutto ciò che ci bisogna?- disse il novizio.
-Monsignore mi ha dato delle caparre per oscurare don Estevan,- continuò il
bandito, -ed io nulla conosco che m'impedisca di fare la volontà di
monsignore.-
-Fuor che la mia,- disse Josè con autorità. -Io non voglio che don Estevan
muoia, intendi bene,Mandamiento! ed io renderò la caparra a monsignore; sii
tranquillo su questo punto e vattene.-
Il maestro conosceva la onnipotenza di Josè sull'inquisitore; il tuono
risoluto del novizio lo gettava nell'indecisione: bisognava dispiacere al
padrone? bisognava dispiacere al favorito?
Mandamiento rifletté un istante; poscia rivolgendosi verso il fraticello,
che lo interrogava con lo sguardo acuto: -Reverenza,- disse, -checché debba
accadermi sarete obbedito.-
Un cortigiano non avrebbe fatto di meglio.
-Bene,- disse Josè, -checché ti accada reclama contro di me;- e, facendo
passare una borsa piena d'oro nelle mani del garduno, il favorito disparve
al voltare di una strada.
-Questo è un dono,- pensò Mandamiento, considerando il ricco presente del
giovane monaco; -nulla è meglio acquistato di quello che viene regalato; io
posso dunque tenerlo.- Il maestro della Garduna si allontanò, cantando a
mezza voce una di quelle vecchie ariette spagnuole che i gitani cantano
ancora nell'Andalusia.
X. La professione.
A poca distanza di Siviglia, sopra ridente collina cui bagna il piede il
Guadalquivir, s'innalzava un convento di Domenicani, vasto e sontuoso
edifizio, fabbricato nel mezzo di un'oasi, abbellito al di dentro di tutte
le ricercatezze del vago e del comodo, per rendere senza dubbio più facile
ai figli di Domenico di Guzman la rinunzia e l'abnegazione. Quel convento o,
per meglio dire, quel palazzo,antica stanza di un principe moro, serviva di
asilo ad una trentina di monaci destinati ad alimentare i tribunali
dell'Inquisizione.
Parecchi fra loro avevano figurato molto nell'alto grado di inquisitor
provinciale; tutti facevansi distinguere per il loro zelo senza pietà per
l'estirpazione
dell'eresia, e monsignor Arbues amava particolarmente quel santo asilo, ove
talora veniva a riposarsi delle sue penose funzioni.
In quel giorno un affare importante lo chiamava in quel soggiorno di
beatitudine; una splendida cerimonia si preparava, alla quale la presenza
dell'inquisitore compartire doveva maggior solennità.
Erano trascorsi due mesi dopo la sparizione della figlia del governatore. La
passione di Pietro Arbues, benché non estinta, lasciava alcuni istanti di
tregua a quell'anima ardentemente dispotica, ed i piaceri pungenti del
dominio intiepidivano per istanti i disinganni del suo amore sfrenato. Del
resto Dolores non formava il solo pensiero della vita dell'inquisitore. In
quel giorno Josè, suo favorito, doveva fare la sua professione al convento
dei Domenicani, e l'amicizia di Pietro Arbues per quel giovane, dotato di
bellezza femminina, era viva abbastanza per far diversione ad una passione
più ardente.
Fino dal mattino di quella giornata solenne era un gran moto nel convento,
la cappella vasta, rotonda, che avea conservato sotto i suoi ornamenti
cristiani una fisionomia moresca, era stata parata di ghirlande e fiori.
La Madonna del Rosario, protettrice speciale dei Domenicani, aveva vestito i
suoi abiti da festa, la seta ed il velluto avevano velato la casta immagine
dell'umile madre del più umile fra gli uomini, e questa modesta regina degli
angelo andava splendida di diamanti e di perle come una regina della terra.
Il marmo bianco delle colonne disparve sotto un tessuto di rose: ceri
innumerevoli splendevano sull'altare, ed all'olezzo inebriante dei profumi,
allo splendore mondano delle drapperie, all'eleganza mitologica del
colonnato, alla profusione dei fiori che riempivano il recinto, si sarebbe
detto il tempio di una Venere antica, trasformato ad un tratto in cappella
cristiana: solamente nel posto dell'idolo pagano erasi messa l'immagine
della Vergine del cielo, e in uno dei lati della navata la statua in piedi
del cupo protettore dei Dominicani richiamava con la sua severa fisionomia a
gravi pensieri che l'aspetto di quel luogo ridente avrebbe, senza di ciò,
difficilmente inspirati.
A destre, nella volta un seggio ricoperto di velluto, e sormontato di un
baldacchino elegante era stato preparato per monsignore il grande
inquisitore; alla sua dritta, sopra una poltrona alquanto più bassa, doveva
assidersi il priore del convento, che per ordinario occupava il primo posto.
Quel giorno bisognava conformarsi alle leggi della gerarchia.
Verso nove ore un canto solenne rimbombò sotto le vòlte della cappella, già
piena di numerosi invitati, dame e signori per la maggior parte.
I monaci preceduti da uno stendardo si avanzarono lentamente in due file,
cantando Gloria in excelsis. Ciascuno di essi aveva un cero acceso in mano.
Quelle cupe figure male nascondevano, sotto un ascetismo selvaggio, le
passioni affatto terrestri; tuttavia quella lunga processione d'uomini
vestiti delle insegna della morte (il bianco ed il nero) aveva qualche cosa
di lugubre che ghiacciava di spavento.; il priore, vestito degli ornamenti
episcopali, chiudeva la marcia.
Terminati i canti, i monaci si fermarono facendo ala, il priore passò in
mezzo ad essi, due monaci, che compivano l'ufficio di diaconi, lo seguivano:
essi accompagnavano il novizio, vestito del ricco e grazioso vestimento dei
cavalieri spagnuoli. Tutti e quattro andarono ad inginocchiarsi nel mezzo
dell'absidia, su cuscini di velluto che erano stati preparati per riceverli.
Un signore spagnuolo serviva di padrino a don Josè.
Monsignor Arbues occupava già il posto che gli era riserbato.
Dopo il Vangelo ebbe luogo il sermone d'uso, discorso ampolloso e mistico
sulle beatitudini della vita claustrale; frasi senza ordine, oscure e
lambiccate, piene di profondo ed incomprensibile ascetismo, che nulla diceva
al cuore, nulla all'immaginazione, ma che attendeva sempre all'unico scopo
di Roma: Estinguere per dominare.
L'uditorio ne fu soddisfatissimo; tuttavia l'eloquenza del predicatore non
impedì alle belle dame presenti alla cerimonia di adocchiare santissimamente
il giovane novizio, e di ammirarne il bel volto e il bell'aspetto.
Ma Josè era pallidissimo, e il suo occhi nero aveva una strana espressione,
e lampi di cupa gioia passavano sul suo viso.
Dopo la messa il priore si avanzò verso il novizio.
-Che siete venuto a fare così vestito nella casa di Dio?- gli domandò esso.
-Io cerco la salute dell'anima mia,- rispose Josè.
-Pensi tu ritrovarla nel mezzo delle pompe del mondo?-
-Ebbene, io rinunzio alle pompe del mondo.-
-Ciò non basta, bisogna rinunziare alla carne e alla tua volontà.-
-Io farò voto di castità, e sarò umile e sottomesso verso colui che vorrà
condurmi nella via della salute.-
-Va dunque,- disse il priore.
Due monaci s'impossessarono del novizio, e lo condussero dietro l'altare nel
luogo preparato per riceverlo. Era un luogo oscuro, rischiarato solamente da
una lampada sepolcrale appesa alla volta; nel mezzo, sul terreno coperto di
un drappo nero, una bara coperta da uno strato, attorno alla quale ardevano
quattro ceri bianchi, sembrava aspettare che la si facesse discendere sotto
terra. Sul coperchio della bara un teschio da morto collocato su due ossi in
croce, mostrava due file di denti d'una bianchezza eburnea.
Al di sopra, fissati in terra dall'asta, s'innalzavano come due stendardi
sinistri, la gran croce d'argento e la manga[78] ,che si portava nei
funerali. Verso l'estremità superiore della tomba allato di un
inginocchiatoio, sormontato da un crocifisso di piombo, vedevasi una tavola
coperta di nero, ove erano posti i nuovi abiti destinati al novizio. Infine,
all'altra estremità dirimpetto all'inginocchiatoio, una gran lastra di
lucido metallo attaccata al muro, rifletteva e moltiplicava tutti questi
oggetti lugubri.
Quel luogo si chiamava la tomba della salute[79]. Là il novizio fu lasciato
solo. Ei si spogliò delle sue vesti profane, rivestì l'abito dei Domenicani,
una tunica bianca ed uno scapolare nero: severo abito, che sembra essere
l'assisa
della morte; poscia depose il berretto. ornato di piume, per non aver mai
altra acconciatura fuorché i suoi capelli rasi, e invece della dorata
cintura cui era appesa la spada, si cinse i lombi di corda, insegna della
povertà: poi finalmente lasciò i ricchi stivaletti e calzò i sandali, che
non doveva più lasciare. Tutto questo durò circa mezz'ora. La mano del
novizio tremava come se avesse avuto la febbre; il cuore gli batteva colpi
ineguali e precipitati, un sudore freddo scorrevagli sul viso bianco e
levigato, s'inginocchiò davanti al crocifisso, e con voce amara e
lamentevole si mise a pregare. Dei singulti laceranti uscivano dal suo
petto; mormorava parole incomprensibili, ed un nome ch'egli solo poteva
comprendere, tornava costantemente sulle sue labbra.
Frattanto l'organo riempiva la cappella della sua grandiosa armonia; il
canto dei monaci, rimbombante e forte, si elevava in note vibranti e
metalliche; i nervi del giovane novizio già eccitati da lungo digiuno, si
esaltarono smoderatamente; quei canti umani, quel suono dell'organo, che
somiglia a voce gigantesca di un altro mondo, presero per caso un carattere
strano e fantastico; in luogo di pensieri religiosi e santi, idee infernali
si impadronirono del suo cervello...quei canti sacri si cangiarono per lui
in spaventevole ironia; invece di fiori, d'incensi e di lumi non vide altro
che sangue e patiboli...la voce dei monaci gli parve il riso spaventevole
d'altrettanti
demoni, assistenti freddamente all'agonia del genere umano; e nel suo
pensiero mormorò queste oscure parole del Vangelo: -Essi andranno tutti
nella geenna, laddove sono pianti e stridor di denti.- Il novizio sentì
allora una mano di fuoco posarsi sulla sua mano nuda e fredda; una voce
derisoria, aspra, infernale mormorò ai suoi orecchi nel mezzo d'un terribile
rumore:
-Vieni!...-
Nel medesimo tempo, cedendo quasi contro la sua volontà all'ascendente del
conduttore invisibile, senza neppur avere la pena di rialzarsi per
camminare, Josè si sentì ruvidamente trascinar d'abisso in abisso attraverso
un'atmosfera calda e soffocante fino ad una incommensurabile profondità. Là
si fermò; era nelle viscere della terra. Una densa nube l'inviluppava come
in un grave manto di tenebre. La sua respirazione divenne rapida, penosa ed
ininterrotta; credette d'essere rinchiuso vivo in una tomba. Ma in quel
momento una porta s'aprì a lui dinanzi, e gli lasciò vedere il più strano
spettacolo. Era un luogo immenso, spaventevole, ardente, da cui usciva una
fiamma infetta.
Mostri bizzarri e schifosi volavano nello spazio al di sopra del cupo vapore
di fuoco, portati su larghe ali membranose, simili a pergamena nera ed
indurita. Quei mostri mandavano urli di gioia sinistri e feroci; ridevano in
coro con voce lugubre e aspra come il rumore di una tabella:
-Eccoli, eccoli!..-
Josè si pose a guardare. Innumerevoli legioni di monaci si affollavano
all'ingresso
di quel vasto pandemonio. Egli li vide tutti sfilare l'uno dopo l'altro; -
ed a misura che arrivavano in quel luogo, spogliavano la loro forma
primiera; -ed al chiarore rosso dell'incendio eterno li vedeva prendere
forme oscene e bizzarre, e, malgrado quella trasformazione, conservare i
desiderii, le tendenze e le intelligenze dell'uomo, ed essere ridotti a
seguire gli istinti dell'essere immondo di cui avevano rivestite le
spoglie!- ovvero prendevano insieme la forma di due animali d'istinti
contrari, e, soggetti ai bisogni di quelle due opposte nature, trovavano in
quella eterna contraddizione spaventevoli sofferenze e desiderii impossibili
a soddisfare. Quel supplizio atroce, inconcepibile, inventato da una
immaginazione in delirio, fece trasalire il novizio; un riso stridulo ed
interrotto uscì dalla sua gola...aveva veduto l'inquisitore Arbues, sotto la
forma d'una tigre, col becco e zanne d'un'oca.
A quella faticante allucinazione tenne dietro una prostrazione quasi
completa; quando vennero a cercare Josè per condurlo alla chiesa, poteva
appena sostenersi; il suo passo era lento e mal sicuro, il suo volto pallido
si piegava sul petto, ed un alito faticoso usciva dal suo seno.
Ma avvicinatosi all'altare, ei vide Pietro Arbues assiso sul suo seggio
episcopale; quella vista sembrò rianimarlo; un lampo d'odio brillò sul cupo
suo occhio; il sangue gli tornò al cuore; era rientrato nella realtà della
vita. Allora s'inginocchiò umilmente sulla nuda pietra, non più scortato dal
suo padre adottivo, com'era al cominciamento della cerimonia, ma solo; non
aveva altro padre fuorché Dio. Pronunziò i suoi voti con voce ferma. Il
priore li ricevette, e dopo l'ultima formola l'organo ricominciò il suo
canto sublime, ed i monaci intuonarono il Te Deum.
Questo era il rendimento di grazie a Dio per aver tolta un'anima al demoni.
Finito il canto, si distese il professo in una bara, e si incominciò
l'uffizio
dei morti. In quel tempo Josè, stanco per le emozioni e la fatica si
addormentò di un sonno profondo. Sembrava che la tomba fosse il solo luogo
in cui trovasse pace e riposo: il panno mortuario che lo cuopriva lo aveva
disgiunto dalla vita e dai dolori che porta seco. Il moto che fecero i
monaci levando il feretro per trasportarlo nelle catacombe, non poté
risvegliare il monachello; quando uscì da quel sonno letargico era solo
nelle fosse sotterranee dell'abbazia, circondato di tombe e di ossa.
Tali erano le cerimonie che accompagnavano la professione di un monaco
Domenicano, un volta adottato, era bentosto iniziato nei piaceri egoistici
della vita monastica, ammenoché non avesse presa sul serio tutta codesta
fantasmagoria.
Quando Josè si svegliò, un sospiro profondo sollevò il suo petto, e gettò
attorno a sé uno sguardo sinistro.
-LA morte!- mormorò egli, -sì, la morte è dolce, essa riunisce...ma io, non
posso morire ancora...oh, oh!- gridò con energia; -avanti di morire è d'uopo
ch'io mi vendichi!...Fernando!- proseguì con voce sorda, come se,
allontanadosi da quel luogo funebre, avesse favellato ad un essere
invisibile: -Fernando! attendi ancora, fra poco!...-
XI. Una passione d'inquisitore.
Da due mesi Dolores, miracolosamente liberata dalle persecuzioni di Petro
Arbues, viveva placidamente sotto la protezione dell'Apostolo nell'asilo che
aveva scelto. Da due mesi pure l'infelice Manuel Argoso, l'antico
governatore di Siviglia, languiva segretamente[80] nelle carceri
dell'Inquisizione,
vasti sepolcri, da cui fa meraviglia che abbiano potuto uscire esseri
viventi.
Malgrado le sue ricerche e lo zelo d'Enrico, nominato per sua influenza
governatore di Siviglia, l'inquisitore non aveva potuto scoprire il ritiro
di Dolores Argoso, nascosta nell'abbazia delle Carmelitane sotto un nome che
non era il suo. La sua impura passione era cresciuta, e nell'impotenza in
cui era di soddisfarla, un disgusto profondo, una rabbia interna e
divoratrice rodeva il cuore di quel prete immondo, che ogni giorno cercava
di soddisfare il suo bisogno di vendetta sugli infelici che era chiamato a
giudicare. Spronato dalle insinuazioni di Josè, eccitato negli istinti
perversi della sua feroce natura da quel fraticello, che sembrava esser
divenuto il suo cattivo genio, Pietro Arbues accumulava sulla sua testa le
maledizioni della Spagna, ma né l'aspetto dei supplizii, né le lugubri
solennità del patibolo potevano assopire quel bisogno di brutali emozioni,
quei desiderii ardenti e carnali che la memoria della bella Andalusiana
sollevava nell'animo dell'impudico Arbues.
Facendo gravare sul governatore il suo sdegno e la sua collera,
l'inquisitore
non aveva avuto altro scopo che quello di costringere col terrore l'infelice
fanciulla ad abbandonarsi a lui; aveva agito da uomo astuto, da uomo che
conosce il cuore delle donne. Arrestar lei medesima, gettarla nelle carceri
dell'Inquisizione, abbandonarla alla tortura, alla morte che cos'era tutto
ciò? L'eroica giovinetta poteva soffrire e morie: essa amava!... ma
arrestare suo padre, abbandonarlo ai tormentatori dell'Inquisizione,
destinarlo all'ignominia ed alla morte, era questo un supplizio atrocissimo
per la figlia del governatore. veder consegnare ai carnefici del terribile
tribunale quel padre vecchio e onorato, quel padre che l'aveva amata
dell'amore
più tenero che le aveva resa la vita sì felice e sì dolce, da non essersi
avveduta che le mancava la madre, quella sventura era lo scoglio a cui
doveva frangersi il coraggio della giovinetta; perciò Pietro Arbues non si
sdegnava che di una cosa, cioè di non trovarla.
Invano la milizia di Cristo era stata posta alla ricerca di lei, invano la
tenebrosa confraternita che aveva per capo il vigilante e furbo Mandamiento
aveva ricevute le più magnifiche promesse di danaro e di protezione; un
potere provvidenziale sembrava estendersi sulla giovinetta che il più santo
degli uomini aveva presa sotto la sua custodia; ovvero nei celesti decreti
il momento della persecuzione non era ancora arrivato per essa. Quel momento
non doveva tardare a venire. Il disordine di Pietro Arbues era sì profondo e
sì amaro che le stesse abitudini della sua lussuriosa vita avevano perduto
per esso la loro piccante attrattiva. L'orgia gli sembrava insipida; le
donne che il vizio o la paura abbandonava ai suoi impudici desiderii, lo
lasciavano freddo od irritato al finire di quelle passeggiere ebbrezze, il
cui facile ritorno gli diveniva insopportabile. La memoria solo di Dolores
aveva per lui un incanto celeste; ei si immergeva a suo talento in una
solitudine assoluta popolata di quella immagine che lo rapiva; non che
quell'anima
depravata fosse suscettibile di vera passione, ma in conseguenza di quella
legge misteriosa, la quale vuole che l'essere più perverso subisca talvolta
la influenza di un essere bello e puro, e senza poter comprendere la sua
essenza divina, né elevarsi alla sua altezza per il pentimento che rigenera
l'uomo, si faccia volontariamente e con delizia lo schiavo di quell'essere
adorato. Disgraziatamente nella passioni di tal natura, lo spirito resta
così soggetto ai sensi, che, questi soddisfatti, la scintilla dell'amore che
aveva ammolito la rupe si estingue, e non resta più altro che un essere
brutale e feroce, laddove per alcuni istanti si era creduto di vedere un
uomo.
Immerso nelle incredibili allucinazioni di una passione non soddisfatta,
giunta al suo ultimo periodo, l'inquisitore di Siviglia aveva cercato sotto
la cupa verdura dei suoi giardini un rifugio contro i fantasmi che lo
perseguitavano. Egli provava di fuggire a se stesso. ma lungi dal calmare
l'azione
del suo sangue le emanazioni balsamiche degli aranci fioriti, filtro
potente, capace di turbare la ragione del più savio, esaltavano
smoderatamente le fibre del suo cervello. Torrenti di voluttà parevano
circolare attorno a lui con quegli odori inebrianti. L'aria era già tiepida
come lo è in estate nelle regioni del nord, benché non fosse ancora che la
fine di aprile. Nel cielo azzurro scintillavano migliaia di stelle, che
sembravano tanti sguardi fascinatori.
La notte non era serena, e vapori biancastri e diafani passavano come rapide
ombre sugli oggetti; sarebbesi detto una danza di spiriti impalpabili, e
leggiere creazioni di un altro mondo, venute un istante in questo per
assistere allo svegliarsi della natura, al giocondo fiorire della primavera.
nessun rumore distinto turbava il silenzio di quella fantasmagoria; ma il
mormorio delle foglie somigliava a misteriosa armonia di baci furtivi, e
forse anco in quell'immensa fecondazione della natura intiera nel momento
del suo ridestarsi, la mano invisibile e potente che la rimuove fino nelle
sue viscere produce quel rumore vago ed ineffabile, quel mormorio strano ed
armonioso che sfugge sovente alla percezione dell'udito materiale, ma che si
fa sentire nell'anima nelle sue ore di raccoglimento e meditazione.
Bentosto, stanco e spossato per i combattimenti incessanti della natura, per
quella irritazione senza oggetto, che snerva ad un tratto lo spirito ed il
corpo, Pietro Arbues si lasciò cadere sopra una delle panche di marmo poste
qua e là in quella voluttuosa oasi. Ivi appoggiò fra le sue mani la fronte,
che bruciava, e lagrime di rabbia e di dispetto caddero da quegli occhi
feroci, il cui sguardo tremar faceva tutta una provincia.
Una lassezza estrema s'impadronì di lui; rimase così alcuni istanti senza
parlare, senza che i sospiri del suo vasto petto tradissero il dolore che lo
divorava. vinta come un timido fanciullo, la tigre inquisitoriale dormiva
quel sonno terribile che spaventa. Tutto ad un tratto un passo leggiero si
fece sentire sulla sabbia, i rami degli aranci si separarono con un fremito
sordo, e il rumore di una respirazione interrotta turbò il silenzio che
regnava in quel luogo. Nel mezzo del sonno fittizio, Pietro Arbues udì quel
rumore, ma al momento, sotto l'influenza di una specie di letargo cagionato
dalla violenza delle sue sensazioni anteriori, ei non aprì gli occhi, non
avendo né la forza né il desiderio di sapere chi veniva a turbarlo così. Era
sotto l'incanto di un sogno e l'immagine di Dolores, la sola che, durante il
suo sonno si riproducesse agli occhi dell'anima sua, la immagine di Dolores,
mescolandosi al rumore reale che facevasi sentire, la visione
dell'inquisitore
acquistò tale lucidità, che gli sembrò di vedere la donna da lui desiderata.
Qualcuno camminava effettivamente a quella volta, e l'inquisitore credette
pure di vedere Dolores avanzarsi fino a lui; quando essa fu vicina ei
distese le braccia verso di lei, e prese con una stretta appassionata il suo
favorito Josè, che mandò un grido acuto, trovandosi così fra le braccia di
Pietro Arbues.
Pietro Arbues aprì gli occhi, ed all'aspetto della figura che gli era
davanti la respinse con violenza. Josè andò a cadere ad alcuni passi sulle
zolle. Era pallido come uno spettro, ed il suo cuore batteva appena.
-Maledetto questo sogno!- gridò l'inquisitore con voce sorda; -io ho creduto
abbracciare il corpo sottile di una donna.-
Josè non rispose, non aveva la forza di parlare. Una memoria terribile era
surta nel suo pensiero, e nel momento in cui Pietro Arbues l'aveva preso per
le braccia, si era sentito freddo per un terrore spaventevole.
Questo terrore si dileguò ben presto. L'inquisitore passò la mano sulla
fronte come uomo che cerca di richiamare le proprie idee; poscia, guardando
il suo favorito, che era restato in terra immobile ed esterrefatto, scoppiò
in una gran risata.
-Povero fanciullo!- disse, -ti avevo preso per una donna.-Un sudore freddo
coprì la fronte del giovane Domenicano.
-Andiamo, alzati,- proseguì l'inquisitore, -e fa con me il giro di questi
boschetti, aiutami a scacciare i folletti di cui l'aria è piena questa sera.
I genii della Giralda[81] si sono dati appuntamento presso di me. Io sogno e
non vivo più della mia vita reale; andiamo Josè, aiutami dunque a
rientrarvi, te ne prego.-
Josè aveva avuto il tempo di rimettersi durante quella spiritosa
scappatella; s'alzò, e, salutando sua Eminenza, le domandò notizia della sua
salute.
-Sto bene, benissimo, mio Josè,-disse l'inquisitore con aria di giubilo. I
sogni penosi della sera non avevano lasciato alcuna traccia. Pietro Arbues
era così fatto, passava rapidamente da una sensazione ad un'altra; tale è lo
stato delle persone che hanno nell'animo molta e poca profondità. Tuttavia
l'immagine
di Dolores non era talmente cancellata, che non tornasse bentosto ad
assediare la mente dell'inquisitore, il quale, continuando a passeggiare nei
giardini a lato del suo favorito, diede alla conversazione il giro naturale
che doveva imprimerle l'occupazione della sua mente.
-Josè,- domandò egli, -neppur tu dunque sai nulla?-
-Niente, monsignore, non ho potuto scoprire niente.-
Quella domanda e questa risposta erano molto oscure; ma quei due uomini si
comprendevano con una parola: Josè conosceva a fondo l'anima
dell'inquisitore.
-Che posso fare?- mormorò Arbues con rabbia; -ho messo in moto tutta la
milizia di Cristo; ho sollevato con un po' d'oro tutta questa miserabile
razza di gitani, che fan professione di spionaggi e di omicidi!...nulla!
Dolores avrebbe lasciato il regno? questa figlia tenera e pia avrebbe, per
salvare il suo capo, abbandonato il padre alla mia vendetta?-
Pietro Arbues diceva il vero quando assicurava aver cercato in tutti i
conventi di Siviglia. Quello delle Carmelitane non era stato eccettuato, ma
una circostanza semplicissima aveva salvato Dolores. Siccome non aveva
manifestata l'intenzione di farsi monaca ed era vivamente raccomandata
dall'Apostolo,
le si lasciava una libertà quasi assoluta: essa non seguiva degli esercizi
del convento che quelli necessari per una donna del mondo buona cattolica.
Dolores amava molto i fiori, e nell'immenso giardino dell'abbazia aveva
scelto un luogo solitario, in cui coltivava di propria mano le piante da lei
maggiormente amate. Nel tempo della visita dell'inquisitore si trovava in
quel luogo lontano dall'abitato. Pietro Arbues aveva pertanto domandato alla
badessa se aveva notizie o nuove professe oltre quelle che conosceva; ma
Dolores non era né l'una né l'altra, e la badessa considerandola come una
libera pensionaria, il cui soggiorno sarebbe di poca durata, nulla aveva
detto della sua presenza a monsignore inquisitore. Non fu dunque né per
prudenza, né per precauzione, fu semplicemente per oblio. Ecco perché
l'inquisitore
restò persuaso che la figlia del governatore aveva lasciato Siviglia.
-Monsignore,- disse Josè, -se realmente questa giovane ha voluto fuggire
alle persecuzioni della Inquisizione, non potete dunque scrivere ai
tribunali d'Aragona e di Castiglia, a quelli di Malaga e di Cuenca, a tutti
quelli della Spagna, e finalmente al re, perché si mettano per ogni dove i
birri del Sant'Uffizio sulle tracce della fuggitiva?-
-No, no!-replicò vivamente Arbues: -non è la sua morte che mi abbisogna, e
essa, essa sola.-
-Il governatore di Siviglia non è nelle prigioni dell'Inquisizione?-
-Senza dubbio, ed è perciò che non posso comprendere la fuga della sua
figlia; essa è tanto forte e coraggiosa! ama tanto il suo vecchi padre!- Oh
venga, venga!- proseguì l'inquisitore con una specie di delirio: -con qual
felicità io le dirò:- Tuo padre sarà libero, ma sii mia.- Ed ella si
abbandonerà a me per salvare suo padre.-
-E suo padre non sarà salvato!- mormorò sordamente il favorito, gettando uno
sguardo di iena sull'inquisitore.
-Che dici sì piano, Josè!- disse Pietro Arbues.
-Io calcolava, monsignore, quai nuovi tormenti si potrebbero inventare per
ispaventare quella giovinetta nel caso in cui la si trovasse.-
-Chi è là?- disse ad un tratto Pietro Arbues, inditreggiando di un passo.
-Il vostro fedele Enrico, che vi cerca, monsignore,- rispose il nuovo
venuto, che non era altri che il governatore di Siviglia, Enrico, antico
famigliare del Sant'Uffizio.
-Porto buone nuove a Vostra Eminenza,- rispose umilmente il governatore, -ed
ho creduto...-
-Parla, vediamo, che c'è?-
-Dolores Argoso...-
-Ebbene?-
-E' al convento delle Carmelitane dall'altra parte del Guadalquivir.-
-Dolores! E da quando?-
-Da due mesi.-
-Tu mentisci,- gridò l'inquisitore, -ho visitato io stesso il convento, e
Dolores non vi era.-
-Vi è, monsignore, io ve lo giuro per l'ostia santa, ne ho la certezza e ve
lo proverò.-
-Bravo Enrico,- gridò l'inquisitore con una esplosione di gioia, -bravo
Enrico! come hai scoperto ciò?-
-Monsignore,- rispose il famigliare, inchinandosi in una maniera
grottesca, -Vostra Eminenza mi accordi l'assoluzione di questo peccato; mi
sono travestito da monaco ed ho confessato la badessa.-
-Per Dio!- disse Pietro Arbues, -ecco un'idea non venuta a me che son
prete.-
-Vostra Eminenza mi da l'assoluzione?- proseguì Enrico con sguardo ironico.
L'inquisitore fece nell'aria un gran segno di croce, ed il nuovo governatore
di Siviglia, rialzando fieramente la testa, si pose in attitudine di uomo
che comprende tutta la importanza dei suoi servigi.
-Va bene,- esclamò l'inquisitore fregandosi le mani, -a noi due, ora, fiera
Lucrezia.-
-Rientriamo,- proseguì; -Enrico deve intrattenermi coi particolari del suo
governo.-
-Come va l'eresia?- continuò Pietro Arbues, camminando.
-Monsignore, essa guadagna passo per passo e di una maniera spaventevole, i
conventi stessi non sono esenti da questa lebbra[82].-
-Diavolo,- disse l'inquisitore, -bisognerà metterci buon ordine, e
riscaldare lo zelo cattolico, trattando come eretici tutti color che non
denunzieranno l'eresia.-
-Chi è stato arrestato questa settimana?-
-Quindici o venti persone solamente, monsignore.-
-Di riguardo?-
-Ma sì, per la maggior parte; due o tre dottori in teologia, che si avvisano
di trovare degli sbagli nel testo latino della Volgata, ed alcuni altri
della medesima tempra, i quali, mentre si dicono cattolici, sono zelanti
ammiratori di Martin Lutero.-
-Fra costoro,- disse Pietro Arbues, -ve ne sono alcuni che odio in una
maniera tutta particolare; sono orgogliosi che impegnano tutto il loro
sapere, tutta la loro eloquenza a distruggere il potere dell'Inquisizione.
Giovanni d'Avila, Luigi di Granata, Giovanni soprannominato Giovanni di Dio,
ed alcuni altri illuminati, che fanno da apostoli ed al bisogno da martiri
per gettare fino nel cuore dei popoli profonde radici di rivolta e
d'indipendenza...ma,
per Cristo! essi si romperanno come vetro contro l'inquisizione.-
Monsignore,-disse Josè, - non avete dunque il potere di rendere mute queste
bocche?-
-Sì,-esclamò Arbues, - io sono stanco di tali prediche senza fine, le quali
non tendono nientemeno che ad ispirare al popolo il desiderio ed il coraggio
della libertà. Queste persone si fanno semplici ed umili per essere forti,
ed il popolo crede in esse perché si fanno popolo per parlargli; ma, per
Dio! ciascuna delle loro parole è un colpo d'ascia nella cattedra di San
Pietro, e se il vicario di Cristo intende i veri interessi della Chiesa, mi
lascerà incrudelire contro di essi, e bruciarli come semplici laici, poiché
essi sono eretici di fatto, e ad onta del loro carattere ecclesiastico, si
separano dalla Chiesa romana col cuore e con la volontà.-
-Monsignore,-disse freddamente Josè. -per far perire l'albero è necessario
svellere le radici; finché resterà un solo eretico in Spagna l'eresia si
riprodurrà come quelle cattive piante di cui non bisogna lasciare il minimo
residuo in terra.-
-Ci metteremo buon ordine,- replicò l'inquisitore, -e, per la Santa Vergine!
noi svelleremo perfino la terra che li porta per distruggerli.-
-Non si può far troppo per Iddio,- disse Enrico con accento ipocrita. -Io ho
già pensato a questo,-proseguì con aria d'importanza.
Mentre parlavano così erano arrivati alla porta dell'appartamento
dell'inquisitore.
-Vieni Josè,- disse Pietro Arbues.
-Monsignore m'abbia per iscusato, ma ho da preparare un sermone per domani.-
-E dopo il tuo sermone tu ci accompagnerai al convento delle Carmelitane.-
-Sono gli ordini di Vostra Eminenza,- rispose il favorito prendendo commiato
dall'inquisitore. Arbues e il nuovo governatore di Siviglia entrarono soli.
Josè uscì. Mentre passava la soglia del palazzo inquisitoriale, una donna
vestita di nero dal capo ai piedi, gli si fece incontro, e pensando dal suo
abito di Domenicano che appartenere dovesse al Sant'Uffizio, si avanzò verso
di lui con le mani giunte e con l'accento di incredibile dolore.
-Reverendo,- sclamò essa, -fatemi parlare a monsignor Arbues,-
-Chi siete?- domandò Josè sorpreso; -che venite a fare presso
l'inquisitore?-
-Voglio domandargli al vita di mio padre,- rispose la giovane con
esaltazione; -di mio padre, che è innocente, e che si accusa d'eresia; di
mio padre che era governatore di Siviglia, e che oggi...-
-Dolores!- sclamò Josè, considerando con ardente curiosità la nobile figura
della giovane, mezzo nascosta sotto i suoi merletti neri.
-D'onde sapete voi il mio nome?- disse ella tremando.
-Dolores Argoso,- proseguì il Domenicano con voce dolce e piena di
tenerezza; -Dolores Argoso, non t'avvicinare a questa casa, poiché qua è per
te il disonore e la morte.-
-Come sapete questo?- domandò essa spaventata.
Il Domenicano trascinò Dolores, che si lasciò guidare senza resistenza.
-Vieni, mia povera fanciulla,- proseguì il monaco, affrettandosi ad
allontanare Dolores dal palazzo dell'inquisitore; -vieni, e se ami restar
pura, se vuoi che tuo padre sia salvo, nasconditi, oh! nasconditi
soprattutto agli sguardi di Petro Arbues!-
-Ebbene,- ella disse, prendendo confidenza, perché, malgrado il suo abito
terribile, il Domenicano aveva nella voce un accento irresistibile
d'affettuosa
tristezza; -ebbene, che bisogna fare per salvare mio padre?-
-Nasconderti e lasciarmi agire,- rispose Josè. -Confidami la tua causa, o
giovinetta:-
-A voi?- ella disse guardandolo con occhio alquanto dubitativo, perché si
rammentava appartenere egli all'Inquisizione.
-Sì, a me,- rispose con amarezza; -a me, che sotto quest'abito sinistro
porto un cuore caldo ed ardente.-
-Egli è sì giovane!- pensò Dolores, considerando alla pallida luce della
notte la nobile figura e le piccole e bianche mani di Josè.
-Oh mio Dio! perché siete Domenicano?-
-Forse per salvarti,- disse Josè intenerito: -credimi, fanciulla, e non
credere di penetrare i misteri della mia vita: l'abito non è talvolta che un
maschera la quale nasconde le ferite del cuore.-
-E voi pure?...-esclamò Dolores, che sentivasi trascinata verso quel
fraticello da una irresistibile simpatia.
-Non prenderti cura di me, occupiamoci di te sola. Che sarà ora di
te?- -Quello che piacerà a Dio,- ella disse. -Dove ti nasconderai?- -Io
ritornerò al convento delle Carmelitane.-
-Guardatene bene!- disse Josè; -l'inquisitore ha scoperto il tuo ritiro, e
domani deve assicurarsi da sé medesimo della verità di un rapporto che gli è
stato fatto questa sera a tale oggetto.-
-Come ha potuto saperlo?- domandò Dolores, -l'Apostolo non ha detto il mio
nome a nessuno, neppure alla badessa.-
-Povera fanciulla! tu domandi come l'Inquisizione violi tutti i segreti e
tutte le coscienze? essa conosce tutto, ti dico, e nulla v'ha per essa
d'inviolabile,
nemmeno la tomba![83]-
-Oh mio Dio! mio Dio!-gridò Dolores, nascondendosi la testa fra le mani.
Essa diede un libero corso alle lacrime che la soffocavano.
-Calmati, calmati, sorella mia,- disse Josè, servendosi di quel nome per
inspirare maggior confidenza alla fanciulla, ed anche perché sentivasi
trascinato verso di lei da una comunanza di pene.
-E' vero, Padre mio, non è permesso neppur di piangere.-
-No,- disse Josè, -il rumore dei singulti irrita la tigre, e la sua sete di
sangue diviene più ardente.-
-Piano, padre mio, piano; potremmo essere ascoltati.-
-Sì, hai ragione, v'ha intorno di noi un'eco delatore in ciascuna pietra.
Silenzio! silenzio dunque! ma avanti di lasciarmi,povera fanciulla! dimmi,
che sarà di te?-
-Rassicuratevi,- ella disse, -io ho un asilo: e voi mi promettete di salvare
mio padre?-
-Per quello che io ho maggiormente amato! Se tuo padre morrà,- disse
Josè, -vorrà dire che non avresti potuto salvarlo sagrificandoti; intendi,
Dolores?-
-Vi credo,- disse serrandogli le mani, che cuopriva di lagrime; -vi credo;
ma dove potrò rivedervi, Padre mio?-
-Ascolta,- disse Josè: -all'estremità della via degli Zingari nel sobborgo
di Triana, esiste un luogo orribile, immondo, che si chiama la Taverna della
buona ventura. -Vero nido d'avvoltoi, dove il furto, l'omicidio e il
brigantaggio si danno appuntamento ogni sera. - L'aspetto di quel luogo è
ributtante e lugubre: là non sentirai che risate ciniche o spaventevoli
maledizioni. - Quel luogo è frequentato da tutto ciò che la Spagna racchiude
d'impuro, dai banditi, dalle meretrici, dagli zingari e dai monaci. - E là
dalla bocca dei monaci escono pure bestemmie e parole oscene; l'ebbrezza
confonde in un comune abbrutimento coloro che la società rigetta dal suo
seno, e coloro che si arrogano il diritto di governarla. - Là si elaborano i
vergognosi delitti, gli assassinii giuridici, le ingiuste persecuzioni, le
false delazioni, pugnale a due fendenti che uccide a colpo sicuro, i ratti
notturni, le uccisioni ed il furto; perché in quel lupanare immondo si
trovano strumenti per tutti i delitti.
-Che dite, Padre mio?- disse Dolores spaventata.
-Ebbene!- proseguì il monaco, -bisogna venire in quel luogo a trovarmi.-
-Sogno io forse?- gridò la povera fanciulla: -che domandate, padre mio?-
-Tu venivi presso l'inquisitore questa sera; ebbene credimi, fanciulla, il
luogo di cui ti ho fatto l'orribile quadro è mille volte meno pericoloso del
palazzo di Pietro Arbues.-
Gli occhi di Josè scintillavano di cupa fiamma; le sue guancie,
ordinariamente pallide, erano divenute di un rosso ardente; sembrava
divorato da un febbre interna.
Dolores lo credette pazzo. Ma ad un tratto rendendo dolce la sua voce,
ordinariamente gravissima, ed a cui l'esaltazione dava una vibrazione
sonora, Josè guardò Dolores con tenerezza.
-Va, povera fanciulla,- disse, -non temere di venir dove Josè ti dirò
d'andare;
vorrei salvarti a costo della mia vita! La taverna della buona
ventura,-proseguì, -appartiene ad una guardia che ha nome Gioachino, bravo
ed onesto giovane che mi è affezionato, ed alla sua sorella, la Graziosa,
un'eccellente
fanciulla, che si getterebbe nel Guadalquivir per far servizio a qualcuno.
Queste brave persone sono povere, campano la loro vita come possono, ma tu
fidati di loro. Se hai bisogno di me, dirai solamente a Gioachino, o alla
sua sorella: Vorrei vedere il padre Josè. E tu mi rivedrai: ma sii cauta,
non uscire che di notte e mascherata.-
-Non temete di nulla io no vi comprometterò. Ma,-riprese, -non debbo
temer?...-
-Nulla,-disse Josè, -non si sospetterà mai che tu frequenti quel luogo;
soltanto vieni travestita da popolana.-
Così parlando, erano giunti dirimpetto al ponte di Triana; quando l'ebbero
traversato, Josè si volse verso Dolores.
-Qual'è il tuo cammino?-le domandò Josè. -Questo,-disse mostrando alla sua
destra la riva del Guadalquivir. -Ed io quello,-disse Josè indicando la via
dei Gitani.-Addio, Dolores; confida in me: ma pensa che tu non puoi
nominarmi che davanti a due persone, Gioachino e sua sorella. Addio, sii
prudente.-
-E voi, padre mio, abbiate pietà di me,-gli disse allontanandosi.
Josè seguì la via dei Gitani. Dolores proseguì lungo il Guadalquivir. Era la
via che conduceva presso l'Apostolo.
XII. Il Bazar.
In preda a quella specie d'allucinazione comune a tutti coloro la cui vita
ad un tratto si fa sventurata, Dolores varcò in poco tempo la distanza che
la separava dalla casa dell'Apostolo.
Malgrado la singolare benevolenza che le aveva testimoniata un membro
dell'Inquisizione,
essa non era perfettamente tranquilla e le faceva pena di non trovarsi sotto
la protezione del suo santo amico. La sua brama di rivedere l'Apostolo era
tanto più violenta, in quantoché, dopo il suo soggiorno alle Carmelitane,
non l'aveva visto che una volta, e non aveva avuto che allora notizie di
Estevan. Quello sventurato giovane, sospetto all'Inquisizione in causa delle
sue larghe idee filosofiche, ed inoltre esoso a Pietro Arbues, che vedeva in
lui un rivale amato; quello sventurato giovane non aveva dovuto la vita che
all'intercessione di Josè, il quale, come già sappiamo, aveva annullato,
comprando il maestro della Garduna, gli ordini crudeli dell'inquisitore.
Ignorando il destino di colui che amava, Dolores provava timori mortali.
-E' libero ancora?-domandava a sé stessa con ispavento; e tale crudele
incertezza accelerava i battiti del suo cuore, e le faceva affrettare il
cammino per arrivare al più presto.
Quando fu vicina alla casa dell'Apostolo essa fu sorpresa di no vedere
attraverso l'anguste finestre brillare la pallida luce della lampada che
illuminava le pie veglie dell'uomo di Dio.
Tuttavia il cancello del giardino era aperto e cedè agevolmente. Era una
specie di grata fatta di leggieri fusti di palma sopra una cornice di legno.
Dolores picchiò alla porta della casa. ma la porta era chiusa e niuno
rispose.
-Oh mio Dio! ei non vi è!-disse la misera fanciulla, atterrita da quella
nova disgrazia. Picchiò nuovamente con maggior forza ed insistenza, ma fu
invano: la porta rimase immobile, niuno venne ad aprirla.
Allora Dolores percorse il giardino, recinto spaziosissimo ove crescevano
alberi fruttiferi, coronati di viti striscianti, patrimonio dei fanciulli e
dei passeggieri stanchi, i quali venivano a spogliare impunemente quei begli
alberi dei loro frutti e quelle viti dei loro grappoli dorati. L'Apostolo
l'aveva
permesso, senza di che la venerazione da lui ispirata li avrebbe garantiti,
e la semplice barriera di vinco del suo giardino non sarebbe stata mai
varcata. Dolores esplorò invano tutti i nascondigli di quel luogo campestre;
non v'era alcuno! evidentemente l'Apostolo non era lontano. Ma siccome la
sua casa isolata era lungi da ogni abitazione, niuno poteva dirle ciò che
era stato. Che fare? Essa non poteva tornare alle Carmelitane, v'era troppo
pericolo per essa. Nella città?
Quale delle sue conoscenze avrebbe osato esporre alla vendetta
dell'Inquisizione
domandandole un asilo? E poi tutte le porte non si sarebbero chiuse per la
figlia di un uomo accusato d'eresia? Essa aveva ancora la risorsa della
taverna, ma la pittura che gliene aveva fatta Josè le tolse il coraggio di
cercarvi rifugio. Amò meglio passar la notte nel giardino. era la notte
ancor fredda, malgrado la bellezza della primavera, la prossimità del fiume
rendeva l'aria alquanto umida. Dolores non aveva altro abito che una veste
di seta nera, ed una mantiglia di trina.
Gli alberi erano coperti di foglie e di fiori; un'erba densa cresceva ai
loro piedi. Dolores si rannicchiò contro un enorme fico d'Adamo, fece
scendere i suoi lunghi capelli attorno le sue spalle come un manto, rotolò
la sua mantiglia intorno alla sua testa, e alzando verso il cielo il
supplice suo sguardo, si assise in terra sull'erba fresca e folta.
Sperava che l'Apostolo non tardasse a rientrare. Ma le ore passavano; tenuta
desta dall'inquietudine, Dolores soffriva per la freschezza della notte; a
momenti alcuni passi si facevano sentir sulla via; allora essa alzava la
testa per guardar da quel lato, sperando di veder giungere colui che era
venuta a cercare; ma il passeggiero si allontanava, e Dolores ricadeva nel
suo assopimento.
Vicino ad essa il Gualquivir portava le sue onde pacifiche con un rumore
eguale e monotono: il grillo elevava l'acuto suo canto nel silenzio della
notte, e talvolta uno zeffiretto di primavera, soffiando leggermente,
agitava la cima degli alberi da cui cadeva allora una pioggia rugiadosa ed
odorifera. Ma per la sfortunata fanciulla quella notte magnifica era piena
di vaghi terrori e di presentimenti sinistri. Verso il mattino, stanca di
dolore e di lassezza, si addormentò. Addormentandosi aveva freddo, bentosto
le parve che un calore dolce riscaldasse le sue membra irrigidite; essa era
in un palazzo di fate. Sotto una soffitta celeste, cupola immensa di quello
splendido palazzo, una gran lumiera d'oro, accesa dalla mano di genii,
ascendeva lentamente nella volta, elevata da esseri invisibili, ed a misura
che saliva aumentava di splendore e di calore, finché, finalmente, spandeva
nel palazzo torrenti di luce e di fiamma. Ma appena la lumiera d'oro ebbe
toccata la cupola, che quel palazzo magnifico, popolato d'esseri trasparenti
di una bellezza maravigliosa, cambiò d'aspetto ad un tratto. i mobili
brillanti, i fiori che l'adornavano disparvero. Le ali delle silfidi e dei
genii caddero in polvere dorata; i loro corpi, sì belli, divennero deformi,
ed assunsero una trasparenza rossastra, un calore estremo minacciò di ardere
il palazzo; Dolores volle allontanarsi per fuggire a quel supplizio
insopportabile; ma quei mostri si posero in cerchio attorno di essa per
impedirle di uscire, ed uno di loro alzò sulla sua testa un immenso specchio
ardente, sotto il quale si sentì bruciare come in un rogo. Svegliata dalle
sofferenze di quel sogno, Dolores aprì gli occhi.
Il sole ardente e luminoso, era salito lentamente verso il cielo, e mandava
i suoi raggi sul viso della fanciulla. Essa aveva dormito lungo tempo: erano
dieci ore del mattino. Attonita, essa volse i suoi sguardi attorno a sé,
come per raccogliere le sue idee interrotte dal sonno, e gli avvenimenti
della sera ritornando allora al suo pensiero, fu presa da un amaro
scoraggiamento. Dolores era forte di cuore e d'animo: ma era troppo giovane,
troppo poco abituata alle vicende incessantemente rinascenti di un'esistenza
sventurata; sapeva troppo poco delle cose di quaggiù per indurirsi
spontaneamente contro le disgrazie che la colpivano all'improvviso; v'era
nel suo coraggio più di rassegnazione che di energia, non era veramente
forte che a fronte di un gran pericolo.
Per i dolori ordinari dell'esistenza non aveva dapprima che lacrime,
l'energia
non veniva che dopo la riflessione; Dolores aveva lo spirito giusto ed
elevato e si fortificava col ragionamento. Così sono tutte le donne che si
chiamano forti. Il loro coraggio non è che un eterno combattimento della
loro ragione contro il loro cuore, eccettuato nelle cose in cui il cuore è
interessato; allora sfida da sé solo il più fiero coraggio d'uomo. Fuori di
questo, la forza delle donne non è che il dono di saper soffrire. Sarebbero
donne se fossero altrimenti? Dolores restò alcuni momenti oppressa sotto il
peso di questo nuovo infortunio. Volse i suoi sguardi verso la casa...tutto
era nello stato della sera innanzi; le finestre erano chiuse, ed un silenzio
di morte vi regnava. Per essere ancora più sicura, Dolores accomodò i suoi
abiti, rialzò i suoi magnifici capelli che l'avean coperta; abbassò la
mantiglia sulla sua fronte, ed andò nuovamente a battere alla porta
dell'Apostolo.
Ma fu invano: l'Apostolo non era tornato. Dolores era sola, abbandonata,
senza asilo, senza pane, e non osava avventurarsi di giorno nelle vie di
Siviglia, temendo d'esservi riconosciuta ed arrestata. pertanto s'era
determinata di rendersi alla taverna; era la sua ultima risorsa, si
abbandonò dunque alla Provvidenza. Ma per non esporsi ad essere sorpresa dai
birri dell'Inquisizione risolse di attendere la notte per avventurarsi nella
città.
In alcuni luoghi del giardino erano piantate alte canne da zucchero. Alberi
d'America, che crescono sì vigorosi e sì belli sotto il caldo sole
dell'Andalusia,
intrecciavano la loro cupa verdura ai rami della vita, appena coperti di
foglie nascenti, ed alle pesche fiorite, che si spandevano al sole in raggi
rosei e profumati. Dolores scelse un ricovero nell'aiuola delle canne da
zucchero, decisa di passare in tal guisa quella lunga giornata. Attese fino
alla sera, divorata da un'inquietudine, oppressa dalla fatica e dalla fame,
non avendo mangiato dal giorno innanzi. Schiacciò fra' suoi denti alcuni
rami di canna da zucchero, e bevve nelle sue mani l'acqua limpida del
Guadalquivir per estinguere la sete che la divorava; ma era troppo poco per
ristorare le sue forze. Tuttavia si trovò felice nella sua solitudine di
quel soccorso dovuto alla sola Provvidenza.
In quella lunga giornata molte persone passarono sulla strada, alcuni
fanciulli entrarono nel giardino dell'Apostolo per prendere delle farfalle;
furono questi i soli incidenti che turbarono la povera abbandonata. Essa si
tenne ben nascosta fra i rami, e niuno sospettò che la vezzosa Dolores
Argoso, la figlia di uno dei più ricchi signori della Spagna, fosse là come
un mendicante, obbligata a dormir sulla nuda terra, priva di nutrimento e di
ricovero.
Finalmente il sole discese all'orizzonte; era l'ora in cui tutti
ordinariamente facevano in Ispagna il sonno del dopopranzo. Dolores pensò
che poteva senza timore uscire dal suo nascondiglio. Josè gli aveva
raccomandato di non uscire che travestita; bisognava dunque pensare prima a
procurarsi un abito.
Dolores non aveva denaro; ma la sua veste di seta era di una magnifica
stoffa, e la sua mantiglia della trina più fina. Pensò dunque di rendersi al
Bazar per farvi un cambio. Là soltanto poteva, senza denaro, procurarsi un
convenevole travestimento.
Uscì dal giardino, si coprì il viso, e riprese la strada che aveva fatta la
sera innanzi, perocché il bazar trovavasi nel quartiere di Triana.
All'estremità della via dei Gitani esisteva allora una piazza irregolare, a
cui mettevano capo una quantità di vicoli sudici ed oscuri, ove erano i
macellai della città. Da un lato di quella piazza in alcune baracche di
legno, poste l'una a fianco dell'altra come case, stavano dei mercanti di
spoglie animali. Sul davanti di quelle baracche si vedevano appesi ad uncini
di ferro fegati di bue, di vitello, di montone ed anco di porco, cuori e
reni de' medesimi animali, cervelli sanguinosi in cranii tutti aperti.
Poscia in immensi serbatoi d'acqua sporca nuotavano le teste, i piedi, gli
intestini ammucchiati in disordine. Tutte quelle carni, disgustevoli e
schifose, spregiate dai ricchi erano destinate a servire di nutrimento al
popolaccio di Siviglia.
Ora facciamoci un'idea, se possibile, dell'odore esalato da quel luogo
immondo, a cui veniva ad aggiungersi anco il fetore dei macelli.
Poi per terra, sul lastrico della piazza, figuratevi una moltitudine di
donne malvestite, situate simmetricamente alla fila, avente cischeduna
avanti a sé un immenso straccio che le serviva di banco. Oh! se siete
amatore di contrapposti non potete far meglio che visitare il bazar di
Siviglia, là anco oggidì troverete di tutto, dal cencio che serve a far
delle fila fino al manto di corte della duchessa; dalla scodella di legno in
cui mangia lo zingaro, fino alla Madonna d'argento davanti alla quale
s'inginocchia.
Talvolta questa Madonna sarà coperta di un cappellaccio vecchio da uomo
destinato come essa ad esser venduto. Più lungi una corona a palle di
corallo pende ad una grata, coperta ancora di grasso e di sego: un magnifico
servito servito di argento dorato sta allato un orinale. una mantiglia è
talvolta sospesa ad una granata, talvolta è un Cristo accompagnato da un
superbo paio di pistole, che pendono dalle due braccia della croce;
finalmente il bazar era un capharnaum incredibile, in cui eran messe a
mostra tutte le miserie, da quelle del grande di Spagna, troppo prodigo
delle sue rendite, fino a quella dell'ultimo degli sventurati, il cui sudore
era assorbito dalla rapacità dei monaci; era un insieme confuso di cose
disparate od eterogenee, l'immagine più vera, più esatta della conversazione
di un re costituzionale. E non faccia meraviglia questo miscuglio bizzarro
di ricchezze e di miserie. le rivenditrici del bazar non sono come quelle
del Tempio di Parigi, non vendono, cioè, per loro conto, ma vendono per
tutti e sono semplicemente mezzane di confidenza. La chiesa confida loro la
sua Madonna da vendere per acquistarne un più bella, la gran dama le sue
gioie per pagare i suoi debiti o peggio; la cortigiana i suoi ornamenti, di
cui si stanca dopo un'ora; e la donna del volgo i suoi abiti della domenica,
che è talvolta obbligata a vendere per acquistare del pane. La mezzana del
bazar fa tutto per tutti; sa soddisfare i più incontentabili; fa vendite,
cambi, ma raramente lascia sfuggire una vittoria, l'utile, ed un largo
utile, rimane sempre dalla sua parte. Nell'epoca in cui accadevano questi
avvenimenti un cotal commercio era ancor più considerevole che ai giorni
nostri, in causa delle numerose spoglie dei condannato dall'Inquisizione,
che toccavano ai loro delatori, i quali le facevano vendere.
Quando Dolores arrivò sulla piazza del bazar indietreggiò d'un passo,
colpita dall'eccessivo fetore di quel luogo; ma bentosto, facendo forza a sé
medesima, proseguì avanti, e si avvicinò tremando ad una rivenditrice ancor
giovane, la cui fisionomia le ispirò maggior confidenza che quella delle
altre. ma quando queste donne compresero che essa aveva l'intenzione di
comprare, l'attorniarono, e fecero un rumore da stordire. Ciascuna trattava
la sua mercanzia coi gesti più o meno espressivi, ed una chiacchiera da
affascinare uno stregone.
-Signorina,-diceva una, -comprate questo bel collare di perle fine, il quale
apparteneva alla principessa Giovanna, figlia della regina Isabella, e che è
stato venduto alla sua morte da una delle dame d'onore a cui lo aveva
regalato.-
-Vedete,-diceva l'altra, -questa collana di smalto, ornata di croce di
rubino?I pater sono di smeraldo; è stata benedetta dal nostro Santo Padre.
Si acquistano cento giorni d'indulgenza ciascuna volta che si dice,
signora.-
-Comprate questa,-gridava una terza, sollevando dei mucchi di trine di
Fiandra,la cui rete delicata era coperta di rabeschi e ricami.
-Signora, quest'anello benedetto, che preserva dai malefizii.-
L'anello in questione era semplicemente un anello d'oro grossissimo, il
gastone [castone] del quale figurava una mano chiusa col pollice fra il
medio e l'indice. Era un resto di superstizione moresca adottata dai
cristiani, ed alla quale il popolo prestava tal fede che, per isciogliere
tutti i malefizii degli stregoni, bastava il presentar loro la mano chiusa
col pollice passato fra le accennate due dita; ecco perché si attribuiva una
virtù tutta particolare all'anello di cui abbiamo parlato.
Malgrado il suo dolore, Dolores sorrise leggermente; non divideva le
superstizioni del suo tempo e non credeva punto ai malefizii.
Fortunatamente per essa, il suo riso fu sì impercettibile che nessuno vi
fece attenzione; io non so se, senza questo, non avrebbe corso grandi
pericoli.
-Vediamo,-disse la prima mezzana, a cui Dolores erasi avvicinata; -voi non
volete niente di tutto questo, è vero, signorina? Tenete, comprate questa
bella immagine della Madonna: questa vi porterà felicità, mi fu data da un
sant'uomo, quello che noi chiamiamo l'Apostolo; aveva bisogno di denaro per
soccorrere un disgraziato; quanto a lui, non ha mai bisogno di nulla, perciò
io gli ho dato del denaro subito, senza aspettare di averla venduta.-
-L'Apostolo!-sclamò Dolores; -conoscete l'Apostolo, buona donna?--Santa
Maria!-disse la mezzana, -chi non lo conosce a Siviglia? non è egli che ci
consola e dà del pane ai nostri figliuoletti?-
-Sapete dove sia in questo momento?-proseguì Dolores.
-No,-disse la mezzana; -egli è come il buon Dio invisibile; ma si trova
sempre, quando si ha bisogno di lui.-
Delusa nella speranza che aveva per un momento concepita di conoscere dove
era il suo protettore, Dolores pensò di fare il suo cambio al più presto
possibile. -Io non voglio comprare la vostra Santa Vergine,-disse
timidamente, -io no avrei di che pagarla, ma ho bisogno d'un vestimento
completo di popolana, e se voi volete darmene uno in cambio del mio...-
-In cambio del vostro, signorina?-disse la mezzana, squadrando Dolores con
uno sguardo di rivendicatrice, che apprezza di uno sguardo il valore di un
abito, e vede subito i suoi minuti difetti dalla leggiera radatura del
gomito fino alla riga biancastra che la polvere imprime sull'orlo del
vestito più nuovo, per poco che sia stato portato. -Compreso anco la vostra
mantiglia?-continuò la mercantessa, esaminando la bella trina che copriva i
vaghi capelli della giovane.
-Senza dubbio,-disse Dolores, -me ne darete una di seta.-
Gli occhi della mercantessa brillarono di cupidigia; tastò la sottana di
stoffa della giovinetta, e dopo essersi bene assicurata che la vita e le
maniche erano nuove, andò a cercare una veste di rascia violacea ed una
mantiglia nera di seta.
Quest'abito tornava bene al personale di Dolores. -Questo mi piace,-disse la
giovane. -Vi sta bene?-domandò la mezzana.
-Sì, credo che mi starà bene.-
-Prendetelo, signorina! ma quanto mi volete rifare?-Dolores aprì i suoi
grand'occhi, e guardò la mercantessa con istupore. Il suo abito valeva dieci
volte quello che le veniva offerto.
-Sì, quanto mi rifate?-replicò la mezzana. -Ma io non posso rifarvi
nulla,-disse la povera Dolores; -vi ho pur detto che io non aveva
denaro.--Oh! allora è differente; se non avete denaro povera fanciulla,
prendetelo pure, mi dovrete il resto, Dio mi liberi di dare un dispiacere ad
una bella ragazza come voi!-
-Come debbo fare per ispogliarmi?--venite, venite,-disse la mercantessa, -la
mia casa non è lontana di qui.-
In fatti, di faccia al suo banco di rivenditrice, la mezzana possedeva una
baracca di legno, ove suo marito vendeva carni putride. Dietro alla bottega
v'era una stanza quadra, con una sola materassa per terra, ed un baule, in
cui la mezzana serrava i suoi ornamenti: era quella la sua dimora, nella
quale condusse Dolores.
Mentre l'aiutava a spogliarsi, vide sotto la veste di Dolores una pezzuola
da collo, la quale era fatta di un magnifico punto di
Brusselles. -Signora,-disse la mercantessa, -poiché voi non avete denaro da
rifarmi pel nostro cambio, mi contenterò di questo straccio.-
-Prendetelo,-rispose Dolores con un moto di disgusto; -tanto questo non si
adatterebbe al mio nuovo vestiario; ma datemi almeno una pezzuola di cotone,
affinché non senta sul mio collo questa lana ruvida.-la mercantessa le recò
un fazzoletto che non era nuovo, ma la cui bianchezza era assai
soddisfacente. Dolores ne fu contenta, non potendo aver meglio.
Quando fu vestita, si guardò in una piccola lastra lucida di stagno, che
serviva di specchi alla rivenditrice; rimase contenta della sua metamorfosi.
Il suo vestiario grossolano nascondeva passabilmente
e l'eleganza del suo personale. S'involse nella sua mantiglia ed uscì.
-Serbatemi la vostra protezione, signora,-le disse la mercantessa.
Ma Dolores non l'intese, e s'incamminò rapidamente verso la via dei Gitani.
_______________
FINE DEL VOLUME PRIMO.
[1] Ahi serva Italia! Di dolore ostello;
Nave senza nocchiero in gran tempesta,
Non donna di province, ma bordello!.
[2] Gregorio IX fece decretare da molti Concili che nessun laico potesse
leggere i libri santi in lingua volgare, sotto pena d'esser scomunicato e
perseguitato dall'Inquisizione come eretico. La bolla che recava questa
proibizione fu pubblicata in Spagna nel 1231.
[3] Innocenzio III nell'anno di grazia 1208.
[4] Segno sacramentale. Come i frammassoni ed altre società secrete, i
famigliari della Inquisizione avevano dei segni, dei toccamenti e delle
parole conosciute da loro solamente, per mezzo delle quali si riconoscevano
gli uni con gli altri.
[5] Questo quartiere, separato dalla città di Siviglia per il Gadalquivir, è
sempre stato, ed è anco oggidì, il sobborgo in cui le persone di cattivi
costumi, contrabbandieri, forzati liberati e simili, stabiliscono i loro
domicilio.
[6]Hito. Questa parola diminutiva di chito (silenzio) e di san benito
(scapolare di panno giallo col quale l'Inquisizione vestiva le persone
condannate a figurare in un atto-di -fede), è una delle parole sacramentali
di cui parla la nota 4. Questo scapolare si chiamava pure zamarra. Ogni
persona che aveva portato il san benito rimaneva eternamente disonorata e
privata d'ogni diritto civile e politico.
Questa condanna si estendeva a tutti i suoi discendenti.
[7] Coraza. Era un berretto alto ed acuminato, come quello che portavano le
donne nel medio evo: questo berretto, con cui si coprivano i condannati al
rogo, era dipinto di diavoli, di fiamme e di mille altre mostruosità
bizzarre. La parola coraza fa egualmente parte del vocabolario sacramentale
dei famigliari.
[8] Dio. Nel gergo mistico dei famigliari questo nome significava
l'inquisitor
generale del regno, quello della provincia, o l'inquisizione presa in senso
collettivo.
[9] Chiton. (silenzio). Il terrore che l'Inquisizione inspirava agli
Spagnoli era tale, che, nel timore d'essere denunziati da quello stesso col
quale parlavano, gli Spagnoli l'avevano fatto passare in proverbio. Si dice
ancor oggi in Spagna: -En cosas de Inquisicion, chiton! (sugli affari
dell'Inquisizione,
silenzio)-, per esprimere il pericolo che si corre a parlare di cose che
debbono esse tenute segrete.
[10] Le taverne, come le descrive l'autore, sono rare oggigiorno, anco nel
quartiere di Triana. Non ne ho vedute che tre o quattro nel 1822. In Spagna,
come in ogni altro luogo, le taverne, che formavano la delizia dei nostri
padri, sono state trasformate in magnifici caffè ove uno si inebria, è vero,
ma con maggiore spesa, ma circondato da specchi e dorature, bevendo in
bicchieri di cristallo liquori e vini inferiori forse di qualità, ma molto
più cari ed aventi nomi forestieri. I tavernai, anticamente persone della
feccia del popolo, spesso avanzi di galera, sono oggidì trasformati in
cittadini onorevoli; e mediante una patente, possono essere ad un tempo
mercanti, usurai, ladri, sagrestani, devoti, elettori, spesso eleggibili e
talvolta anco eletti.
[11] Vedi nota 8
[12] Saavedra (Giovanni Perez de), soprannominato il Falso nunzio, fu un
intrigante celeberrimo per la sua destrezza nel contraffare ogni specie di
carattere. Fu egli che, aiutato da un gesuita, stabilì in Portogallo la
Inquisizione e la compagnia di Gesù per mezzo di false bolle del papa e di
false lettere di Carlo V e del principe Filippo,
poscia Filippo II. Saavedra non si contentò di favorire gl'interessi dei
gesuiti e quelli dell'Inquisizione. La sua abilità nel contraffare boni
reali, e titoli di credito contro lo Stato e contro i particolari gli
procurò somme considerevoli. L'inquisitore Tabera fece finalmente arrestare
questo miserabile nel momento in cui usciva da una chiesa a Malaga, e
l'Inquisizione,
che faceva bruciare migliaia d'oneste persone per una parole, si contentò di
condannare questo scellerato a dieci anni di galera. E' vero però che il
Sant'Uffizio profittò dei lavori del falso nunzio; il tribunale
inquisitoriale stabilito per lui, e, quel che più monta, tutti gli impieghi
e dignità che Saavedra aveva conferite furono confermate dall'inquisitor
generale.
Diciannove anni più tardi (nel 1562), Filippo II chiamò il falso nunzio alla
corte e ve l'impiegò. Questo mostro, che di sua propria mano erasi fatto
vescovo, nunzio e legato a latere morì a Madrid nel 1575, ricco di più di
quattrocentomila ducati, e onoratissimo.
Così furono stabilite in Portogallo la compagnia di Gesù e la Inquisizione,
due istituzioni degne l'una dell'altra, e nondimeno nemiche, senza dubbio,
perché tutte e due tendevano al medesimo scopo, il dominio.(Llorente, Storia
dell'Inquisizione). Chi sa che, per le vaste combinazioni del suo genio, il
padre Lacordaire non pervenga a regalare alla Francia un'Inquisizione
perfezionata! Frattanto la Francia possiede già i domenicani nei
dipartimenti della Meurthe e del Basso-Reno.
[13] Marrano (porco): così chiamansi in Ispagna i Moreschi e gli Ebrei
convertiti alla religione cattolica.
[14] Accadeva sovente che alcune vittime destinate al rogo si
riconciliavano con la Chiesa, vale a dire confessavano dei delitti e dei
misfatti che non avevano commessi, e si confessavano appié al patibolo. In
questi casi l'Inquisizione sentiva commuovere le sue viscere materne, ed
accordava ai condannati la grazia di essere strangolati avanti esser dati
alle fiamme (Annali dell'Inquisizione).
[15] Si chiamavano così i famigliari del Sant'Uffizio dappoiché sotto
Alessandro IV, Torrequemada, fece nel 1494 armare i più giovani di coloro
che lo componevano. -Questa strana milizia,- dice Llorente, Storia
dell'Inquisizione,
-era numerosissima, Torrequemada erasi mostrato sì crudele, aveva sì bene
incoraggiato lo spionaggio, che un gran numero d'illustri gentiluomini
giudicando che era più prudente appartenere all'Inquisizione che di essere
tosto o tardi dichiarati sospetti, si offrivano volontariamente come
famigliari del Sant'Uffizio: l'esempio dei gentiluomini congiunto ai
privilegi che Ferdinando d'Aragona accordò ai famigliari trascinò una
quantità di persone del volgo. Bentosto vi furono tanti famigliari quante
persone sottomesse alle cariche municipali, di cui ogni individuo che
apparteneva all'inquisizione era esente. I famigliari armati costituivano
quello che si chiamava la milizia di Cristo; questa milizia faceva l'uffizio
di guardia del corpo, tanto presso gl'inquisitori generali, quanto presso
gl'inquisitori
provinciali.
La milizia di Cristo fu creata in Francia da Domenico di Guzman l'anno 1208,
durante il regno di Filippo II, re di Francia, e del papa Innocenzo III.
[16] I cattolici di Spagna facevano sì poco conto dei bei monumenti che i
Mori avevano lasciato nel paese, che, ad eccezione di alcuni più
rimarchevoli, di cui s'impadronirono i monaci, tutti furono abbandonati ai
mendicanti, ai gitani ed ai malfattori che li posseggono ancora.
[17] La confraternita della Garduna (confraternita della rapina). Sotto
questo titolo esisteva in Ispagna, fino dall'anno 1417, una società segreta,
composta di briganti d'ogni specie. Questa società perfettamente
organizzata, aveva per oggetto la direzione in grande d'ogni specie di
delitti a favore di chiunque avesse vendetta da esercitare, risentimenti da
soddisfare. Si incaricava al più equo prezzo e con garanzia di dare colpi di
pugnale, mortali o no, secondo il gusto del committente, di annegare, di
bastonare ed anco di assassinare. L'assassinio costava caro, bisognava avere
una certa importanza nel modo per ottenerlo; ma una volta promesso ci si
poteva contare; perché la confraternita della Garduna poneva una esattezza
disperante in eseguire le commissioni una volta che se n'era incaricata.
La confraternita della Garduna si componeva d'un gran maestro chiamato
hermano major (fratello superiore), che abitava la corte, ove spesso
occupava un posto eminente. Questo fratello superiore indirizzava i suoi
ordini ai capatazes (maestri delle provincie); questi li facevano eseguire
con un'esattezza e uno zelo che farebbero onore a più di un funzionario
pubblico.
Il corpo della Garduna, assai numeroso, si componeva di guapos (specie di
Bravi), generalmente grandi spadaccini, assassini arditi, banditi consumati
il cui coraggio era a prova della tortura ed anche della forca. Nel gergo
della Società questo guapos erano chiamati ponteadores, (pungitori, datori
di colpi di punta). Dopo i punteadores venivano i floreadores
(badaluccatori); questi erano giovani mariuoli astuti, la maggior parte
fuggiti dal bagno di Siviglia, di Malaga o di Metilla, si chiamavano
fratelli aspiranti. Venivano in seguito los facelles (i soffietti), così
chiamati perché il loro impiego nella società era di soffiare nell'orecchio
del maestro dell'Ordine ciò che sapevano delle case della città, nelle quali
s'introducevano, in virtù delle loro maniere ipocrite. I facelles erano
tutti vecchi bacchettoni nell'aspetto, che si vedevano sempre in chiesa con
una corona in mano, menoché nelle ore di servizio presso il maestro della
Garduna, o presso l'inquisitore; perché la maggior parte di questi vecchi
cumulavano l'impiego di famigliare del Sant'Uffizio con quello di spia della
Garduna. La Garduna aveva pure un gran numero di ricettatrici di furti che
chiamava coberteras (coperte) dal verbo cubrir (coprire, nascondere); e una
gran numero di giovani dai dieci ai quindici anni, che designava col nome di
chivatos (caprioli). I chivatos erano i novizi dell'ordine. Bisognava almeno
essere chivatos per un anno innanzi di meritare l'onore di lavorare in
qualità di postulante. Un postulante che avesse ben meritato della
confraternita diveniva guapo a capo di due anni di servizio .Dopo quella di
maestro e di gran maestro era questa la più alta dignità che conferiva la
compagnia. Oltre le persone che ho indicate, la Garduna contava un gran
numero di serenas (sirene). Erano donne belle e giovani, per la maggior
parte gitane. Le sirene erano le odalische della dignità dell'Ordine. Erano
esse che traevano le persone indicate loro in luoghi favorevoli per le
operazioni della Garduna. A tutte queste persone si aggiungevano delle
guardie, degli scrivani, dei procuratori, dei monaci, dei canonici, dei
vescovi ed anche degli inquisitori, i quali erano tanti strumenti protettori
della Garduna, di cui avevano soventi volte bisogno, e che dava loro del
denaro, e si avrà un'idea di quella società, la quale ha desolato la Spagna
per più di quattro secoli.
La Garduna stabilita al principio del secolo decimoquinto, fu intieramente
distrutta nel 1821 dai cacciatori delle montagne, sotto i miei ordini. Le
carte di questa singolare ed orribile società, le quali consistevano in
molti registri contenenti gli ordini del giorno, gli statuti della
confraternita ed un gran numero di lettere furono da me depositate alla
cancelleria criminale di Siviglia il quindici settembre 1821. Vi esistevano
ancora nel 1823. Francesco Cortina, maestro di quella Società nel 1821,
arrestato con una ventina de' suoi complici fu appeso sulla piazza di
Siviglia insieme a sedici de' suoi coaccusati il 25 novembre 1822.
A tempo e luogo darò una traduzione degli statuti della Garduna. In questo
capitolo l'autore copia quasi parola per parola l'ordine del giorno del 15
febbraio 1534.
[18] Mandamiento (comando).
[19] Floreo è una parola che viene da florear (badaluccare) ; nel gergo dei
ladri spagnoli florear significa dar colpi di coltello; floreo dunque deve
essere tradotto uccisione col pugnale.
[20] Gli spagnoli danno questo nome alle persone di bassa classe, la cui
negletta educazione ha riempito la Spagna di mariuoli e di ladri.
[21] Così si chiamano le guardie.
[22] E' una specie di striscia di cuoio di cui si serviva il carnefice in
Ispagna per frustare coloro che erano condannati alla frusta e
all'esposizione.
[23] Così chiamatasi il cavalletto, asta triangolare, sulla quale si
mettevano a cavalcioni gli accusati che non volevano confessare. Quest'asta,
che era uno degli strumenti di tortura di cui si serviva l'Inquisizione, era
pure impiegata dalla giustizia ordinaria.
[24] Le angosce che precedono lo strangolamento.
[25] Nel linguaggio dei graduni questa parola significa confessare.
[26] I barcollamenti degli appiccati.
[27] In Ispagna le persone condannate all'esposizione son fatte passeggiare
sopra un asino per tutta la città, col corpo nudo fino alla cintola.
[28] La marina reale in termini di gergo significa le galere del re, in cui
i forzati erano condannati a remigare per molti anni; i forzati di
chiamavano allora galeotes.
[29] Le mani della giustizia.
[30] Uncini, ladri.
[31] La prigione.
[32] Gli appiccati.
[33] Condotti alle galere.
[34] Condannati sull'asino per tutta la città.
[35] Le donne di cattiva vita, specialmente persone che fanno l'orribil
mestiere di corrompere la gioventù, erano punite in Ispagna di una maniera
singolare. Non è ancor molto tempo che quando una donna era convinta
d'essersi
prostituita o di aver trascinata un'altra a far ciò, si condannava ad essere
impiumata. Ecco come aveva luogo l'esecuzione di questa sentenza. Alle ore
undici del mattino il boia si recava presso la condannata, e, aiutato da'
suoi giovani, la spogliava intieramente fino alla cintola. Poscia copriva il
suo capo con una coraza, dopo di che si faceva salir la condannata sopra un
asino, e si attaccava il suo collo ad una specie di cerchio di ferro,
fissato ad una sbarra pure di ferro, la cui estremità inferiore si
appoggiava sul basto dell'asino; poscia si faceva passeggiare lentamente fra
due file di soldati e di guardie e scortata da una folla di popolo. Dietro
la condannata camminavano due giovani del boia, i quali portavano un gran
paniere colmo di penne di pollo, il banditore pubblico ed il boia stesso. La
cavalcata si fermava nelle principali strade e piazze della città, ed a
ciascuna fermata il banditore pubblico leggeva ad alta voce la sentenza che
condannava la paziente ad essere impiumata, spiegandone il motivo; il
banditore pubblico finiva sempre con questa formula: -così si paghi chi ha
fatto ciò.-
Pronunziate queste parole, prendeva delle penne e le gettava sul miele di
cui era coperto il corpo della condannata; queste penne vi rimanevano
attaccate, il che in capo a qualche tempo le dava un aspetto schifoso e
grottesco ad un tempo, che faceva ridere la folla. In gergo questo si chiama
esser passato al miele.
[36] Rubando.
[37] Meritato d'esse denunziato.
[38] Il guapo fa qui allusione a certe confraternite che, anco nel 1820,
percorrevano le vie delle città di Spagna domandando per fare delle novene
alla Madonna del Rosario, e a qualunque altra Madonna, delle elemosine che
impiegavano santissimamente per fare dei pasti gustosi dopo aver levate le
spese. Ora queste spese consistevano in una dozzina di moccoli di cera che
si portavano fuori in tante lanterne piantate a capo d'un bastone, e nel
pagamento d'un facchino incaricato di portare uno stendardo coll'effiggie
della Madonna. Il numero di queste confraternite, ascendeva a sessantanove
soltanto in Madrid nel 1820. In quest'epoca pure si poteva appena
passeggiare nelle strade delle grandi città della Spagna durante la sera
senza incontrare molti rosarii, vale a dire molte compagnie d'ipocriti e
d'imbecilli,
posti su due file che recitavano il rosario ad alta voce e con aria più che
distratta, senz'altra interruzione fuorché la voce stridula de los
demandaderos (gli accattoni) che belavano a ciascun termine d'Ave
Maria: -Dateci qualcosa per la Madonna del Rosario, fratelli!-E le monete
cadevano involte in un pezzo di carta, che ardeva, affinché l'accattone
potesse vederle! Oh! Monaci di Spagna, ecco i vostri tratti!
[39] I fratelli della Garduna passavano per tre gradi come i frammassoni;
erano dapprima chivatos (apprendisti o novizi), poi postulanti, poi,
finalmente erano ricevuto guapos (maestri). Soltanto dopo aver ottenuto
quest'ultimo grado potevano essere incaricati delle uccisioni e degli
assassini che si commettevano alla confraternita.
[40] La Garduna non era una società irregolare. Ecco gli statuti che la
governavano.
Art. 1. Ogni galantuomo fornito di buon occhio, di buon orecchio, di buone
gambe e pronta lingua può divenire membro della Garduna. Potranno divenirlo
pure le persone rispettabili d'una certa età che desidereranno servire la
confraternita, sia tenendola al giorno delle buone operazioni da farsi, sia
dando i mezzi per eseguire le dette operazioni.
Art. 2. La confraternita riceverà eziandio sotto la sua protezione ogni
matrona che avrà sofferto per la giustizia, e che vorrà incaricarsi della
conservazione e della vendita dei diversi oggetti che la divina Provvidenza
si degnerà di mandare alla confraternita, non che le donne giovani che
saranno presentate da qualche fratello. Queste ultime a condizione di
favorire con tutta la loro anima e con tutto il loro corpo gli interessi
della confraternita.
Art. 3. I membri della confraternita saranno divisi in chivatos,
postulantes, guapos e facelles. Le matrone saranno chiamate coberteras e le
giovani serenas. Queste ultime devono essere giovani, svelte, fedeli ed
attraenti.
Art. 4. I chivatos, fintantoché avranno imparato a lavorare, non potranno
intraprendere nulla da sé soli, e non si serviranno del pugnale che in
propria difesa. Saranno nutriti, alloggiati e mantenuti a spese della
confraternita. Ciascuno di essi riceverà a quest'uopo dai capi
centotrentasei maravedis (un franco) al giorno. Nei casi di qualche distinto
servigio reso da un chivato, questi passerà subito all'onorevole categoria
di postulante.
Art. 5. I postulanti vivranno dei loro artigli; questi fratelli saranno
esclusivamente incaricati degli eclissi, operati a mano lesta per conto ed a
favore dell'Ordine. Per ciascun eclisse il fratello operante riceverà il
terzo lordo, dal quale trarrà qualcosa per le anime del purgatorio. Degli
altri due terzi uno sarà versato alla cassa per sovvenire alle spese della
giustizia (per pagare le guardie, i cancellieri ed anco i giudici che
proteggeranno i fratelli), e per far dire delle messe per le anime dei
nostri fratelli trapassati, e l'altre per essere a disposizione del gran
maestro dell'Ordine, obbligato a vivere alla corte(*) per vegliare al
benessere e alla prosperità di tutti.
Art. 6. I guapos avranno per essi gli oscuramenti, i sotterramenti, i
viaggi, i bagni ed i battesimi. Di queste due ultime operazioni potranno
incaricare un fratello postulante, sotto la loro responsabilità. I guapos
avranno il terzo lordo del prodotto di tutte le loro operazioni; soltanto
daranno il trenta per cento del loro provento per l'alimentazione e il
mantenimento del chivato, e quello che vorranno per le anime del purgatorio,
il rimanente del prodotto delle loro operazioni sarà distribuito come è
detto nell'articolo 5.
Art. 7. Le cobertas riceveranno il dieci per cento su tutte le somme che
realizzeranno, e le sirene sei maravedis per ciascuna pesata (franco)
versati nella cassa dai guapos, tutti i regali che riceveranno da nobili
signori, dai monaci ed altri membri del clero apparterranno loro in proprio.
Art. 8. Il capataz, o il capo di provincia, sarà nominato fra i guapos che
avranno almeno sei anni di servizio, e che saranno benemeriti della
confraternita.
Art. 9. Tutti i fratelli debbono piuttosto morire martiri, che confessori,
sotto pena di esser degradati, esclusi dalla confraternita, ed al bisogno
perseguitati da essa.
Fatto a Toledo l'anno di grazia 1420 ed il terzo dopo l'istituzione della
nostra onorevole confraternita.
Firmato: El
Collmiludo.
(*) Nel 1534 il gran maestro della Garduna stava ancora a Toledo. Non fu
che molto più tardi, sotto il regno di Filippo III, che si stabilì in
Madrid, ove divenne segretario del monarca, sotto il nome di Rodrigo
Calderon, grazie alla debolezza del duca di Lerma ed alla potente protezione
del gesuita Francesco Luigi de Allaga, confessore del re, ed inquisitore
generale della Spagna dal 1618 al 1621.
[41] Colpi di pugnale.
[42] Ricevendo il suo salario, ciascun garduno aveva il costume di gettare
qualche soldo in una cassetta attaccata al muro sotto una immagine della
Vergine nella sala della Garduna.
[43] Assassinare
[44] Annegamenti.
[45] Rubamenti sulla strada maestra
[46] La posta.
[47] Assassinio.
[48] La corte criminale.
[49] Mandamiento aveva ragione. Fra le carte prese nell'arresto di
Francesco Cortina, e nella distruzione della Garduna nel 1821, si trovava un
registro sul quale i comandi che diversi membri dell'Inquisizione avevano
diretti alla confraternita nello spazio di centoquarantasette anni, vale a
dire dal 1520 fino al 1667, ascendevano a mille novecentoottantasei, ed
avevano prodotto centonovantotto mila e seicentosettanta franchi, vale a
dire cento franchi circa per ciascuno. Fra questi comandi fatti dai
propagatori della fede, i ratti di donne figurano per un terzo circa, le
uccisioni e gli assassinii formano, presso a poco, un latro terzo, le
correzioni, vale a dire gli annegamenti, i colpi di pugnale, le false
denunzie e le false testimonianze il rimanente. Questo registro depositato
alla cancelleria criminale di Siviglia, fu uno dei documenti più aggravanti
contro Francesco Cortina e correi. Per rendere testimonianza alla verità
debbo aggiungere che nessun comando fatto da membro dell'Inquisizione
figurava in quel registro dopo il 1797.
[50] Isabella di Castiglia, moglie di Ferdinando d'Aragona, ebbe orrore
della crudeltà del Sant'Uffizio, e si oppose per moltissimo tempo allo
stabilimento dell'Inquisizione moderna di Castiglia. Torrequemada,
confessore di Ferdinando, uomo astuto quanto fanatico, sotto pretesto di
servire la politica avara del re, più che impetrare, strappò a forza questo
consenso della religiosa Isabella, dappoiché nella sua qualità d'inquisitor
generale volle dominare sopra l'autorità reale. La nobile regina rispose un
giorno ad una nuova esigenza dell'inquisitore, che osò accompagnare con le
mianccie: -Monaco! Non dimenticate che un ordine reale ha stabilito
l'Inquisizione,
ed un ordine può annullarsi.-(Cronicas de los ryes catolicos don Fernando de
Argon y dona Isabel de Castilla. Per Luigi Ponzio de Leon storico di
Castiglia.)
[51] Si sa che verso questa stessa epoca Carlo V stabiliva l'Inquisizione
spagnola nei Pesi Bassi, sotto il nome di tribunale spirituale; più tardi,
sotto Filippo II, questo tribunale fece perire più di milleottocento persone
nello spazio di tre anni (Meiners, Storia della Riforma). L'America e tutte
le possessioni spagnole d'oltremare e dell'Italia erano pure sotto il giogo
dell'Inquisizione spagnola.
[52] Banditore di notte.
[53] I chivatos o apprendisti della Garduna servivano principalmente a fare
da sentinella durante le operazioni dei garduni. In caso di pericolo o
d'allarme,
imitavano a meraviglia il grido di un animale o il canto d'un uccello. La
notte era la voce del grillo, il grido del barbagianni o della civetta, il
gracchiare delle ranocchie o il miagolare del gatto, secondo la stagione o
la consegna che avevano ricevuto. Il giorno era l'abbaiare del cane o il
grido degli animali che dividono la vita e le abitudini con gli uomini.
[54] Il sereno è la guardia notturna. In tutte le grandi città di Spagna
alcuni uomini incaricati di vegliare alla sicurezza pubblica e di dare
l'allarme,
in caso d'incendio, passeggiano ciascuno nel suo quartiere, armati di una
lancia. Chiamata cuzo, di una lanterna e di un fischio di rame. La lancia
serve loro a difendersi ed anco ad attaccare al bisogno, la lanterna a far
loro lume ed a fornir luce alle pattuglie in caso di necessità, ed il
fischio a chiamarsi gli uni con glia altri in caso di attacco contro qualche
malfattore. I sereni sono obbligati a bandir l'ora ogni cinque minuti per
constatare che vegliano. L'utile istituzione dei sereni rimonta al secolo
decimoquinto. Fu Isabella di Castiglia che li creò nel 1495 a Granata, per
vegliare sopra i Mori della città che temevasi sempre dovessero ribellarsi.
I sereni esistono ancora nella maggior parte delle grandi città della
Spagna. Sarebbe da desiderarsi che la polizia di Parigi che ha la
pretensione di vegliar bene alla sicurezza pubblica, mettesse qualche cosa
di simile nei dintorni dei ponti e agli ingressi del canale , ove, in
mancanza di luce e di agenti di polizia, la vigilanza dei sereni perverrebbe
forse a diminuire il numero dei cadaveri che si veggono giornalmente esposti
alla Morgue.
[55] Il calzare notturno era una specie di calza di cuoio di bufalo, il
quale si adattava con fibbie e nastri ai piedi dei muli che trascinavano le
vetture impiegate agli arresti notturni dell'Inquisizione. La prima di
quella calza consisteva in un denso strato di stoppa, cucito tra due pezzi
di cuoio. Così, calzati i muli potevano camminare a pochi passi di distanza
da un uomo senza che questi fosse avvertito per alcun rumore del loro
avvicinarsi. Questo calzare, dovuto al genio infernale dell'inquisitore
Deza, esisteva ancora nell'arsenale inquisitoriale di Malaga nel 1820,
quando le porte del Sant'Uffizio furono fracassate, ed i prigionieri
liberati al grido di Viva la libertà! In questa stessa epoca, lo sventurato
generale Torrijos, liberato dalle carceri dell'inquisizione, ove era da due
anni rinchiuso, si impadronì di uno di quei calzari. Due altri furono presi
da un inglese, Thomson Wilkings, che li conservava ancora nel 1838 a Londra,
Paddington place, ove li mostrava a tutti i suoi amici. Si vede che questo
tribunale, che pretendeva di essere il difensore della religione di un Dio
di pace, sapeva prendere le sue precauzioni perché gli eretici non gli
sfuggissero.
[56] Gli Spagnuoli, gli Andalusiani specialmente, hanno una destrezza
prodigiosa a maneggiare quest'arme micidiale. I famigliari del Sant'Uffizio,
principalmente i birri, non uscivano mai per una spedizione senza avere in
tasca il nodo scorsoio. Questo laccio di seta serviva loro raramente per
strangolare un nemico che resisteva. Chi avrebbe osato resistere
all'Inquisizione?
Il nodo scorsoio era singolarmente impiegato a strangolare i cani, che,
abbaiando, potevano dare l'allarme, e al bisogno, per estinguere le grida
dei prigionieri finché si fosse potuto metter loro un bavaglio. Si veda come
la crudeltà dell'Inquisizione era freddamente ed abilmente calcolata.
[57] Il Papa.
[58] L'autore fa qui un anacronismo volontario. L'inquisizione non fu
stabilita in Portogallo, che nel 1551 o 1552 dal falso nunzio Giovanni Perez
de Saavedra, di cui ho già parlato.
[59] Questa scena d'orgia, che l'autore ha descritto sembrerà esagerata, e
forse malevolenta a qualcuno dei nostri lettori: tuttavia simili scene
avevano sovente luogo presso i grandi dignitari della chiesa di Spagna. Si
legge nello storico Mariana, che mentre il maestro di casa del re Enrico III
era obbligato di mettere in pegno il mantello del suo padrone per comprare
da pranzo, i signori della corte si abbandonavano presso l'arcivescovo di
Toledo, residente in Burgos, a tutti gli eccessi della tavola, in compagnia
di molti vescovi e di altri grandi prelati di Castiglia.
[60] I Gesuiti
[61] Si crede generalmente che la Spagna abbia subito con pazienza e viltà
il giogo del dispotismo e dell'Inquisizione: è un errore. Gli Spagnoli non
hanno mai cessato di lottare per la loro libertà politica e per la loro
liberà religiosa. Fin dal principio del secolo decimoquinto i comuni e le
Cortes hanno sempre protestato con energia contro il dispotismo ipocrita o
stupido del re e contro l'avarizia insaziabile dei monaci di Roma. Padilla,
Porlieur, il grande giustiziere d'Aragona, e migliaia d'altri coraggiosi
difensori dei diritti dell'umanità han pagato col loro sangue gli sforzi che
hanno fatto per liberare la Spagna dal dispotismo reale. Giovanna Bohorques,
Maria di Borgogna, soprannominata la madre dei poveri, Rodrigo de Valero e
molti altri cristiani secondo Gesù Cristo, sono stati martiri, il cui sangue
ha fecondato la religione del Vangelo, e segnato in fronte con una stimmate
d'infamia i superbi carnefici che osavano chiamarsi ministri di un Dio di
pace.
E non si dica che tutti coloro i quali sono stati perseguitati dalla
Inquisizione fossero eretici. Giovanni d'Avila, san Giovanni di Dio, santa
Teresa, san Giovanni della Croce, frate Luigi de Leon, frate Luigi di
Granata, Mariana, vale a dire uomini che Roma stessa si è vista costretta di
proclamare santi, od uomini il cui talento ha riempito l'Europa, hanno pure
sofferto le persecuzioni di quell'odioso tribunale, che sarebbesi potuto
chiamare succursale dell'inferno, ed hanno costantemente lottato con la loro
eloquente parola contro quel potere iniquo, contrario a tutte le leggi di
Dio e degli uomini. (Processo verbale dell'Inquisizione e Storia generale
di Spagna, per Mariana.)
[62] Quando una vittima dell'Inquisizione confessava tutto ciò che si
voleva, ed assoggettavasi a tutte le penitenze ed a tutte le umiliazioni che
si esigeva da essa, il tribunale era costretto a rilasciarla, e contenersi
in qualche grossa multa a termine delle leggi inquisitoriali stesse. Il
genio distruttore e avido di Deza e di Lucero trovò il mezzo di non
contentarsi di sì poco, accusando quelli che sfuggivan loro di tal guisa di
aver fatto confessioni senza sincerità, dichiarandoli falsi penitenti.
Questi erano bruciati o condannati alla prigione perpetua, e tutti i loro
beni confiscati. (Storia dell'Inquisizione regno di Deza.)
[63] Qualche tempo prima della presa di Granata, eseguita da Ferdinando
d'Aragona
ed Isabella di Castiglia, vale a dire verso l'anno di grazia 1493, un gran
numero di cavalieri delle tribù degli Ebencerragi, Gomeles e Gazulez
[64] Durante il regno dell'inquisitore generale Deza e del suo protetto
l'inquisitore
di Cordova, Lucero, le crudeltà, o, per meglio dire, le iniquità del
Sant'Uffizio
esasperarono sì fortemente gli Spagnuoli, che da tutte le parti si alzarono
voci eloquenti contro quegli uomini, i quali sotto il nome di difensori
della fede, avrebbero fatto dubitare della fede degli apostoli stessi. Deza,
dopo essere stato sospeso dalle sue funzioni da Filippo I, riprese il suo
posto alla morte di quel principe, accaduta nel 1506, nel quarto mese del
suo regno, e bentosto cancellò tutto quanto aveva fatto il Consiglio della
Suprema, e rimise Lucero nelle sue funzioni. Fin d'allora cominciò una
persecuzione feroce contro il santo vescovo di Granata, Ferdinando de
Talavera, e contro il savio Antonio de Nebeija; quest'ultimo fu denunziato
al Sant'Uffizio per aver scoperto e corretto molti errori che esistevano nel
testo latino della volgata. Queste persecuzioni, congiunte alle crudeltà di
Lucero stancarono gli Andalusiani, i quali si sollevarono, forzarono le
prigioni del Sant'Uffizio, e ne fecero uscire i detenuti che erano un numero
incalcolabile. Il fiscale, il cancelliere del tribunale dell'inquisizione e
molti impiegati subalterni furono arrestati a Cordova, e Lucero non dovette
la sua salvezza che ad una pronta fuga. Questi avvenimenti congiunti
coll'arrivo
in Ispagna di Ferdinando V, reggente del regno, inspirarono tanto terrore a
Deza, che rinunziò da se stesso al suo impiego, dopo aver fatto bruciare
vive duemila e cinquecento persone, e l'effige di altre ottocentoventinove
ed aver condannato alla prigione perpetua o alla galera con confisca dei
beni trentaduemila e novecentocinquantadue accusati.
Fu per conoscere i processi di numerose persone arrestate all'occasione di
queste turbolenze che l'inquisitore Cisneros, successore di Deza, più
politico e non meno crudele del suo predecessore, sollecitò ed ottenne dal
re permissione di formare una giunta composta di ventidue persone fra le più
considerevoli del regno, per terminare convenevolmente i processi intentati
agli abitanti di Cordova dall'inquisitore Lucero. Questa giunta che prese il
nome di congragazione cattolica, tenne la sua prima assemblea a Burgos nel
1508. Dopo un lavoro di molti mesi, la giunta dichiara: 1. che i testimonii
uditi da Lucero nell'affare Cordova erano indegni di fede; 2. che tutti gli
accusati che si trovavano in prigione erano innocenti e dovevano essere
immediatamente messi in libertà; 3. che la memoria di coloro che erano stati
bruciati sarebbe riabilitata; 4. finalmente, che le case spianate per ordine
di Lucero e di Deza dovevano essere ricostruite a spese del tesoro. Questa
decisione della congregazione cattolica, ricevette la sua intera esecuzione
dopo essere stata solennemente pubblicata a Valladolid in mezzo agli
applausi del popolo, che credeva aver finalmente rotto il giogo
dell'Inquisizione.
Povero popolo! Nella sua lealtà ignorava che l'Inquisizione accordandogli
una tregua ingannevole, si riserbava di colpirlo meglio in avvenire, dopo
averlo bene inviluppato nell'immensa rete di quelle astuzie senza nome, che
il clero ha saputo sempre impiegare per ingrandire la sua potenza
temporale.(Storia dell'Inquisizione).
[65] Lucero aveva ricevuto dagli Spagnuoli l'epiteto di tenebroso. Lucero
in ispagnuolo significa stella brillante.
[66] Ospizio fondato da S. Giovanni di Dio verso la metà del secolo XVI,
per il trattamento della lebbra, e di quella crudele malattia importata in
Europa dai compagni di Cristoforo Colombo [ la sifilide n.d.c].
[67] Lettera di san Giovanni d'Avila a san Giovanni di Dio, suo discepolo.
[68] San Giovanni di Dio ha consacrato sessant'anni della sua vita a
sollevare l'umanità sofferente. Egli ed isuoi discepoli hanno scoperto la
maggior parte degli specifici adoprati anco oggidì nel trattamento delle
malattie che si studiavano di guarire. Avanti la sua morte san Giovanni di
Dio fornì la Spagna di più di sessanta spedali, tutti serviti dai monaci del
suo Ordine. Perché tutti i monaci non hanno saputo attirarsi le bendizioni
del popolo come i Fratello Ospitalieri?
[69] Melopia. Così chiamavasi in Ispagna la minestra, o, per meglio dire,
l'gnobile
miscuglio che i monaci distribuivano ai numerosi mendicanti di cui era pieno
il paese, grazie al fanatismo ed alla crudeltà dell'Inquisizione. La parola
melopia è una correzione della parola mezelopia (miscuglio), derivante dal
verbo mezelar (mescolare). L'autore nel suo capitolo XVI darà dei
particolari esatti e sventuratamente troppo veri su quella carità monastica.
[70] Ci potremmo difficilmente formare una giusta idea del fanatismo che i
malfattori Spagnuoli pongono nell'adempimento delle loro promesse.
Crederebbero rendersi gravemente colpevoli e disonorarsi per sempre se, dopo
aver ricevuto del denaro per commettere un omicidio mancassero al loro
impegno. Essi hanno, se è permesso esprimersi così, la probità del delitto;
tanto la lealtà ha profonde radici nel cuore di quel popolo sì orribilmente
snaturato da un cattivo sistema politico, assoggettato alle insaziabili
esigenze di Roma ed alla incredibile ferocia dell'Inquisizione.
[71] Infatti eravi in quell'epoca un impiegato alla corte le cui funzioni
stavano fra quelle di favorito del re, e soprattutto dei gran signori della
corte, e quelle di buffone, o, per meglio dire, cumulava questi due
impieghi. I Sivigliani pretendono anco oggidì che il Colmilludo fosse il
capo della Garduna, e quando vogliono esagerare l'abilità o la scelleratezza
d'un bandito dicono: Es mas ladron y mas malo que el Colmilludo; è più ladro
e più malvagio del Colmilludo.
[72] La giustizia.
[73] Il carnefice.
[74] I malfattori e tutte le persone senza casa e senza tetto che vivono di
rapine e baratterie camminano in ischiere e circondati da giovani adepti,
che fanno sentinella durante le loro operazioni. Questi giovani,
esercitatissimi ad imitare il canto del grillo, l'abbaiare del cane, il
miagolare del gatto ed il gracchiare delle ranocchie, avvertono con queste
voci coloro che sono occupati in qualche faccenda proibita. Accade spesso
che, in pieno giorno, nel mezzo di una passeggiata, si oda un concerto di
ranocchie, una disputa di gatti, e tutto ad un tratto si vegga fuggire una
schiera di ladri che erano occupati a derubare, a giuocare alle carte o ai
dadi, delle persone semplici del basso popolo, e spesso dei fanciulli.
[75] Coltelli lunghi ed acuminati, di una tempra incomparabile di cui si
servono i duellisti in Ispagna.
[76] Così chiamasi in Ispagna certi ladri, i quali, senz'altro capitale
che un mazzo di carte, percorrono i mercati, le fiere, gl'ingressi delle
carceri correzionali, presentando le loro carte, o per meglio dire,
facendole pagare un tanto la partita a quelli che vogliono giuocare. I
barattieri sono tanto gelosi gli uoni contro gli altri che spesso decidono
con una sfida al coltello quale di loro presterà le proprie carte.
[77] Un duellista di coltello avendo incontrato il suo nemico addormentato
a piè d'un albero, lo svegliò e gli offrì gentilmente di battersi;
proposizione che l'altro accettò con egual gentilezza. Terminato il duello
il meno ferito dei due combattenti aiutò l'altro a ritirarsi nel primo corpo
di guardia, sostenendolo come un amico tenero ed affezionato. Giunto al
posto che io comandavo ambedue si misero fra le nostre mani. Furono mandati
allo spedale, alle infermerie della prigione di città, poiché leggi severe
proibivano in Ispagna la sfida al coltello, la più pericolosa di tutte le
sfide. Uno di loro dovette soccombere alle sue ferite, l'altro fu appiccato.
Egli aveva amato meglio costituirsi che abbandonare il suo avversario
moribondo in mezzo ai boschi, ciò che sarebbe stata una macchia indelebile;
sarebbe stato disonorato per sempre agli occhi di tutti i barattieri, di
tutte le civetta, e agli occhi di tutta la schiera dei forzati liberati o
fuggiti. Quell'abbandono sarebbe stato guardato come un atto di viltà più
degradante della mannaia del carnefice, più infamante delle galera.
Abbandonare un bravo, il quale erasi volontariamente esposto ai perigli di
una sfida al coltello, non era cosa possibile nei costumi spagnuoli.
[78] E' una specie di vessillo rotondo, che ha la forma di una torre
terminata a punta e sormontata da una croce: è di velluto nero, ornata da un
gallone d'oro per le persone maritate e le vedove, e d'un gallone d'argento
per i celibi, i giovani ed i fanciulli.
[79] La tomba della salute era presso i monaci quello che per i framassoni
la camera di meditazione. In quella tomba tutto era calcolato per agir
sull'immaginazione
del neofito, che, già esaltata per tre giorni di digiuno quasi assoluto,
penava in modo incompatibile. Ho sentito dire da padre Antonio, monaco
onestissimo, e buon vivente quant'altri al mondo, il giorno successivo alla
sua elezione al priorato dei monaci di S. Girolamo in Madrid, che quantunque
amasse meglio d'esser priore del suo convento, che grande di Spagna di prima
classe, avrebbe rinunziato volentieri a questo posto, se gli fosse stato
mestieri rinnovare le cerimonie della professione, e rimanere un'ora sola
nella tomba della salute. -Io credo,- egli dice, -che si dovrebbe chiamare
la caverna di Satana; perché se io credessi al diavolo, non dubiterei di
averlo veduto con tutta la sequela dei demoni e degli spiriti. Dopo aver
udito le esortazioni del maestro dei novizi, dopo aver passato tre giorni in
digiuno, quasi senza bere, ed esser rimasto una mezz'ora nella tomba della
salute, io comprendo la tentazione di sant'Antonio e vi credo.-
Questo discorso di un monaco non prova che alle cerimonie gravi e piene di
semplicità del culto cristiano, i monaci hanno sostituito una fantasmagoria
ridicola ad un tempo ed empia, fatta più per allucinare i sensi, che per
elevare lo spirito?
[80] Tutti gli storici i quali hanno scritto sull'Inquisizione si accordano
a dire che quando una persona era stata arrestata e rinchiusa nelle carceri
del Sant'Uffizio, non si lasciava comunicare con chicchessia, nemmeno co'
suoi più prossimi parenti: di più poi, se qualcuno osava intercedere a
favore di un prigioniero, o cercava di scolparlo, era immediatamente sotto
la stessa imputazione di colui che aveva preso a difendere.
[81] per una tradizione moresca giunta fino ai giorni nostri, credesi
generalmente fra il popolo che la Giralda sia stata fabbricata dai genii,
che ne facciano tuttavia la loro abitazione.
[82] -Le dottrine di Lutero e di Calvino non commovevano soltanto
l'Alemagna,
l'Inghilterra, la Svizzera, la repubblica di Genova e il mezzogiorno della
Francia, in Ispagna, nei conventi specialmente, esse avevano pure numerosi
partigiani. Sembra certo che un gran numero di Spagnuoli, fra i quali si
contavano degli ecclesiastici, avessero trovato il mezzo di procurarsi libri
pubblicati in Alemagna dai protestanti di Spira.- (Llorente, Storia
dell'Inquisizione.)
[83] Nel 1559, in un atto-di-fede generale che ebbe luogo a Valladolid
sotto gli occhi del principe don Carlo e della principessa Giovanna, si
arsero le ossa e la statua di una donna per nome Eleonora de Vibero y
Casalla, morta da buona cattolica, accusata e convinta, dopo la sua morte,
per mezzo di deposizioni strappate a testimoni sottomessi alla tortura, di
aver prestata la sua casa ai Luterani di Valldolid per celebrarvi le
cerimonie del culto protestante. Questa dama dichiarata morta nell'eresia, e
la sua memoria condannata all'infamia fino nella sua posterità; i suoi beni
furono confiscati, e la sua casa smantellata, con proibizione di
ricostruirla. Sulle rovine di quella casa si alzò un monumento con una
iscrizione relativa a questo avvenimento.
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