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LA SANTA INQUISIZIONE NEL MEDIOEVO

SANTA INQUISIZIONE DELL'ERA MEDIEVALE

Era un giovane nobile di povera famiglia, che per evitare la miseria e le persecuzioni, erasi messo al servigio di Sua Eminenza. Tutto era al servigio dell'Inquisizione! -Don Filippo,-disse l'inquisitore, -è stato arrestato questa notte il governatore di Siviglia? è stato condotto nelle prigioni del Santo Uffizio?- Don Filippo s'inchinò. -Monsignore, gli ordini di Vostra Eminenza sono stati eseguiti.- Un lampo di gioia brillò negli occhi dell'inquisitore. -Dite, vi prego, che si mandi Josè,- proseguì Arbues. Il segretario uscì. L'inquisitore si mise a camminare a gran passi nella camera. -Almeno,- disse, -io mi vendicherò di lei e poi,- continuò Pietro Arbues, sempre parlando fra sé medesimo, -spero che quei maledettissimi gitani, che io proteggo, avranno compiuto la loro missione meglio dei miei famigliari: d'ordinario i figli della Garduna non falliscono i loro colpi. Questo Estevan, ch'io odio, non esiste già più; avrò almeno privato Dolores di questo odiato rivale.- Mentre parlava così, la figure pallida di Josè si mostrò alla porta della camera. A questa vista la fisionomia dell'inquisitore s'i addolcì d'una maniera singolare. -Entra, Josè; la tua presenza mi è sempre cara.- Il novizio era infatti uno di quegli esseri indispensabili ai potenti disoccupati del mondo, che sono sempre stati designati sotto il nome di favoriti: strumenti di bene o di male secondo la perversità della loro anima: esseri deboli, che regnano per la dolcezza e per la compiacenza, ed a cui pertanto nulla resiste: influenze misteriose, fatali come il destino, genii famigliari del padrone, e sembrano agire in virtù di un talismano incantato; poiché il giorno in cui questo talismano fugge loro, cadono trascinati da quell'irresistibile potere che li abbatte così come li ha elevati, senza causa e senza scopo. -Monsignore ha dormito male questa notte?-domandò il favorito con voce carezzevole. -Sì, ho dormito male, Josè; ho passato una notte penosa e crudele.- -Monsignore, vi è pure nel palazzo un pover uomo che ha dormito male, essendo stato colpito nel suo corpo e nella sua anima per il servigio di Vostra Eminenza.- Gli occhi di Pietro Arbues scintillarono di corruccio. Josè proseguì senza sconcertarsi: -Quest'uomo, monsignore, per poco non ha perduto la vita al servigio di Vostra Eminenza, e quando è tornato presso di voi coperto di percosse e di sangue, Vostra Eminenza l'ha cacciato come una bestia immonda, e poscia ha ricusato di ascoltare la sua giustificazione.- -Josè,- gridò l'inquisitore con collera, - sai tu che se un altro osasse intercedere per Enrico...- -Vostra Eminenza l'ascolterebbe come si degna ascoltarmi,- proseguì il favorito con accento tranquillo; - poiché Vostra Eminenza è giusta avanti a tutto, e si rimprovera nell'anima la sua crudeltà verso questo povero Enrico.- -Un traditore!- mormorò Arbues. -Un vostro servitore fino alla morte, monsignore; un servitore bravo, fedele e di cui avete bisogno. Chi farete ora governatore di Siviglia?- -Per la pantofola del papa! voi scherzate, maestro Josè; io non so quale di noi due sia più pazzo: voi, giovane, senza cervello che m'intrattenete in simili ciance od io, grande inquisitor di Siviglia, che vi ascolto.- -Monsignore,-disse Josè, - io vi proverò subito che siamo savissimi tutti e due.- -Io sono curioso di vedere come tu mi proverai questo.- -Niente di più facile, monsignore. Voi avete tolto alla nobile città di Siviglia il suo onoratissimo e onorevolissimo governatore, il conte Emanuel Argoso: ecco la città senza Mentore, e Vostra Eminenza senza ausiliare. In questi tempi d'eresia, monsignore, un aiuto è cosa di cui Vostra Eminenza non può fare senza.- -Che vuoi conchiudere?- disse l'inquisitore, che cominciava ad ascoltare con compiacenza. -Io voglio provarvi, monsignore, che il migliore aiuto dell'inquisitore è il governatore della città, e che è urgente che questo governatore sia una creatura della Eminenza Vostra. ora dove troverete un uomo più affezionato di questo povero Enrico, che nel semplice ratto di questa ragazza ha sofferto due o tre battesimi, come dicono quei dannati boemi della Garduna, ed il bagno più completo che si possa immaginare?- Pietro Arbues sorrise leggermente; l'influenza del favorito aveva calmato la febbre che ardeva il suo sangue. -Enrico, governatore di Siviglia!- esclamò ad un tratto in un accesso di spontanea gaietà; -ma sai tu, Josè, che esso è uomo da nulla!- -Più grande sarà il potere di Vostra Eminenza, ne farà quello che vuole,- rispose Josè senza sconcertarsi. Una risata, ma senza trasporto né simpatia, una risata da inquisitore rispose solamente a questa arguzia. Josè soggiunse colla persistenza di un figlio prediletto: -Monsignore, è d'uopo ch'io chiami questo povero Enrico; affinché si giustifichi ed implori il ritorno delle vostre buone grazie.- -E' dunque pentito dell'insuccesso della sua spedizione?- -Egli ha la contrizione perfetta, monsignore.- -Invero,- disse Arbues, -un uomo che ha ricevuto tre battesimi, e che possiede la contrizione perfetta, merita certamente l'assoluzione. Va dunque a cercarmi Enrico, mio buon Josè.- Il novizio baciò la mano dell'inquisitore con un ardore febbrile; qualcuno che avesse potuto vedere la sua testa inchinata sulla mano di Petro Arbues avrebbe giudicato, dalla espressione odiosa e feroce della sua fisionomia, che il favorito avrebbe volentieri lacerato co' suoi denti la mano del padrone invece di imprimervi un bacio ipocrita. Josè uscì. -Alfin de' conti,- disse a sé medesimo l'inquisitore, -l'idea di questo fanciullo non è forse sì cattiva. Enrico, governatore di Siviglia innalzato da me e da me solo sostenuto, diverrà l'istrumento docile dei miei voleri, il littore a cui io dirò. batti, e che batterà. Sì, Josè ha ragione, e la sapienza risiede in lui.- Mentre terminava queste parole, il favorito accorreva, seguito da Enrico. Il famigliare era ancor pallido; la sua testa confusa, il suo braccio ferito era inviluppato di fasce, il suo andamento ipocrita dava a quel viso magro e affaticato l'aspetto ancor più malaticcio e più sofferente. Alla sua vista la fronte dell'inquisitore si acciglò nuovamente. Il disgraziato mise un ginocchio a terra, e con un gesto sollecitò il favore di baciar la mano a Sua Eminenza. Pietro Arbues guardò il suo favorito. -Orsù, un po' d'indulgenza,- disse lo sguardo di Josè. -Io vi perdono, Enrico,- disse il grande inquisitore: -ringraziate don Josè, che ha perorato per voi meglio che non avrebbe fatto un avvocato, e raccontatemi minutamente la spedizione notturna che vi è stata cagione di quelle ferite.- Enrico non si fece pregare due volte; raccontò nuovamente a Sua Eminenza tutto ciò che noi già sappiamo sul ratto di Dolores, senza mancare di attribuirsi tutto l'onore dei colpi dati e ricevuti; infatti ei non prendeva che il bene dei morti, era una eredità e non un furto. Quando ebbe finito, l'inquisitore, un poco acquetato, o per meglio, interamente addolcito in suo favore, gli disse con accento in cui spiccavano la benevolenza e la protezione: -Enrico, io ti credo fedele, e benché tu non sia riuscito in questa intrapresa, spero che in avvenire i tuoi sforzi e le tue cure per il servizio di Dio faranno dimenticare questo fallo, e per provarti che non serbo contro te alcun risentimento, e che ti considero, al contrario, come servitore più affezionato, io scrivo al sovrano e gli domando per te il titolo di governatore di Siviglia.- -Il conte Argoso è egli morto?-domandò Enrico fra la sorpresa e la gioia. -Fa lo stesso,-mormorò Josè fra' denti; -egli è nelle prigioni del Sant'ufficio.- -Monsignore,-disse un famigliare, sollevando un lembo della portiera di seta, -maestro Mandamiento domanda di parlare a Vostra Eminenza.- -Estevan è morto,- pensò l'inquisitore. -Fate entrare il maestro della Garduna,- disse appoggiando con ironia su queste ultime parole. Mandamiento fu introdotto. Questi restò in piedi con la testa coperta in presenza dell'inquisitore. Quell'uomo selvaggio aveva un'idea talmente bizzarra e fanatica delle prerogative della sua carica, che credeva trattare fra potenza e potenza. Enrico fece cenno a Mandamiento di scuoprirsi, il maestro rispose con uno sguardo di disprezzo. L'inquisitore sorrise, e volgendosi verso il Garduno: -Ebbene,- disse, -è tutto finito non è vero?- -Non è fatto nulla,- replicò Mandamiento con aria cupa. -Che! Estevan de Vargas?...- -Estevan de Vargas corre i campi. e neppure un capello è caduto dalla sua testa. Per la prima volta dopo la sua esistenza la Garduna ha contato un traditore nel suo seno, e questo traditore si è trovato fra i suoi figli più bravi,- proseguì Mandamiento con dolore comico. Egli si doleva della diserzione di Manofina come un padre di famiglia dei traviamenti d'un figlio unico e diletto. -Per Satana!- gridò l'inquisitore, battendo il piede con rabbia, -tutti mi tradiscono dunque in questa circostanza? come si chiama il traditore?- disse con accento breve. -Ho giurato che niuno lo saprebbe, monsignore, e questo nome importa poco a Vostra Beatitudine. Io son venuto presso di lei solamente per restituirla la somma avanzata a... colui che era stato incaricato della spedizione.-E con la più scrupolosa probità, il bandito pose sulla tavola le monete d'oro ricevute per assassinare don Estevan. -Non v'ha dunque nessuno fra' tuoi gitani che voglia incaricarsi di questo?- domandò l'inquisitore. -Oh! i bravi ed i fidi non mancano presso di noi, e ardisco promettervi per l'avvenire...ma abbiamo perduto le traccie del nostro uomo, e mi abbisognerebbe una proroga.- -A ciò non si badi,- rispose l'inquisitore, -se mi prometti che don Estevan non ti sfuggirà. Riprendi dunque il tuo oro, Mandamiento, esso non è che un acconto; più la bisogna sarà difficile, più grossa ne sarà la ricompensa, mio brav'uomo.- -Sia;- disse il bandito, riprendendo le monete d'oro; -da qui a otto giorni, monsignore, io posso promettere a Vostra Reverenza che il giovane avrà ricevuto il battesimo da mano maestra.- -Amen,- disse Josè, ed uscì con aria indifferente. -Non sapreste dirmi, Mandamiento, -domandò Arbues, -in qual luogo si è rifugiata la figlia del governatore di Siviglia?- -Monsignore non mi avea incaricato della cura di custodirla,- replicò il garduno. -Proprio la risposta di Caino al Signore,- azzardò dire Enrico. Si tollerava da Josè ciò che non soffriva dal famigliare; Arbues aggrottò il sopraciglio; aveva l'anima troppo preoccupata per fermarsi su simili spiritosaggini. -Mandamiento,- continuò, -ecco una cattura per la quale l'oro de' miei scrigni sarà prodigato; procura di scoprire questa giovane, e di condurmela.- -Sana e salva?- domandò freddamente il bandito. -Per Cristo!- gridò l'inquisitore, che giurava indifferentemente per le cose sante e per quelle riprovate; -per Cristo; senza che le cada un capello della testa, intendi tu? senza che le si cagioni il minimo spavento. Non avete donne voi altri che fanno questo mestiere? Si scuopra dov'è questa giovane, essa non diffiderà di un individuo del suo sesso; s'impieghi l'astuzia; finalmente tu devi sapere come bisogna agire.- -Oh! la sirena!- pensò Mandamiento, -quella era diritta e furba.- -Monsignore,- continuò ad alta voce, -si farà il possibile, ma io non prometto nulla; ciò è più difficile di quello che lo si pensi.- -Monsignore,-disse Enrico a voce bassa, -la scuoprirò io: non sarò presto governatore di Siviglia?- Arbues congedò il maestro garduno. Quel personaggio strano uscì con la testa alta e con lo sguardo sicuro; egli aveva un'alta idea della sua importanza, e questa follia esaltata eziandio da una esistenza affatto eccentrica, e dalla tendenza naturalmente orgogliosa e poetica dello spirito spagnuolo, imprimeva a tutti i suoi gesti, a tutti i moti di Mandamiento qualche cosa di solennemente selvaggio che la parola è impotente a tradurre. Quando fu fuori, Arbues alzò le spalle. -Essere in contatto con questa gente!- mormorò: -e tutto ciò per colpa della milizia di Cristo! Se i famigliari avessero abbastanza di zelo, avremmo noi bisogno di questi zingari?- -Monsignore,- disse Enrico, -se questi zingari non ci servissero, ci farebbero la guerra.- -Forse è vero,- rispose Arbues. Il famigliare, rientrato in grazia, continuò a ciarlare con l'inquisitore. Ciò che essi dissero non lo sappiamo; ma sicurissimamente l'inferno dovette sorridere a quella intima conversazione, a quelle confidenze ciniche od empie scambiate fra quei due orribili personaggi, e se Dio non si sdegnò di vedersi mescolato a tutto questo, fu perché la sua bontà è infinita, fu perché soffre i cattivi sulla terra, non a fine di purificare i buoni, come è stato detto, ma perché è padre, e il padre è sempre indulgente anco verso i suoi figli più perversi. Appena il signor Mandamiento avea fatto alcuni passi nella strada, che si sentì arrestato per la manica della veste. Il maestro si rivolse, e non fu poco sorpreso di riconoscere il favorito di monsignore in colui che lo aveva così fermato. -Sua Beatitudine avrebbe forse dimenticato qualcosa?-domandò lo zingaro. -Sua Beatitudine si è dimenticata di dirti che io non voglio che don Estevan de Vargas muoia,- rispose Josè. -Bisognava rammentarsene,- replicò Mandamiento sul medesimo tuono. -Purché tu lo sappia, non è tutto ciò che ci bisogna?- disse il novizio. -Monsignore mi ha dato delle caparre per oscurare don Estevan,- continuò il bandito, -ed io nulla conosco che m'impedisca di fare la volontà di monsignore.- -Fuor che la mia,- disse Josè con autorità. -Io non voglio che don Estevan muoia, intendi bene,Mandamiento! ed io renderò la caparra a monsignore; sii tranquillo su questo punto e vattene.- Il maestro conosceva la onnipotenza di Josè sull'inquisitore; il tuono risoluto del novizio lo gettava nell'indecisione: bisognava dispiacere al padrone? bisognava dispiacere al favorito? Mandamiento rifletté un istante; poscia rivolgendosi verso il fraticello, che lo interrogava con lo sguardo acuto: -Reverenza,- disse, -checché debba accadermi sarete obbedito.- Un cortigiano non avrebbe fatto di meglio. -Bene,- disse Josè, -checché ti accada reclama contro di me;- e, facendo passare una borsa piena d'oro nelle mani del garduno, il favorito disparve al voltare di una strada. -Questo è un dono,- pensò Mandamiento, considerando il ricco presente del giovane monaco; -nulla è meglio acquistato di quello che viene regalato; io posso dunque tenerlo.- Il maestro della Garduna si allontanò, cantando a mezza voce una di quelle vecchie ariette spagnuole che i gitani cantano ancora nell'Andalusia. X. La professione. A poca distanza di Siviglia, sopra ridente collina cui bagna il piede il Guadalquivir, s'innalzava un convento di Domenicani, vasto e sontuoso edifizio, fabbricato nel mezzo di un'oasi, abbellito al di dentro di tutte le ricercatezze del vago e del comodo, per rendere senza dubbio più facile ai figli di Domenico di Guzman la rinunzia e l'abnegazione. Quel convento o, per meglio dire, quel palazzo,antica stanza di un principe moro, serviva di asilo ad una trentina di monaci destinati ad alimentare i tribunali dell'Inquisizione. Parecchi fra loro avevano figurato molto nell'alto grado di inquisitor provinciale; tutti facevansi distinguere per il loro zelo senza pietà per l'estirpazione dell'eresia, e monsignor Arbues amava particolarmente quel santo asilo, ove talora veniva a riposarsi delle sue penose funzioni. In quel giorno un affare importante lo chiamava in quel soggiorno di beatitudine; una splendida cerimonia si preparava, alla quale la presenza dell'inquisitore compartire doveva maggior solennità. Erano trascorsi due mesi dopo la sparizione della figlia del governatore. La passione di Pietro Arbues, benché non estinta, lasciava alcuni istanti di tregua a quell'anima ardentemente dispotica, ed i piaceri pungenti del dominio intiepidivano per istanti i disinganni del suo amore sfrenato. Del resto Dolores non formava il solo pensiero della vita dell'inquisitore. In quel giorno Josè, suo favorito, doveva fare la sua professione al convento dei Domenicani, e l'amicizia di Pietro Arbues per quel giovane, dotato di bellezza femminina, era viva abbastanza per far diversione ad una passione più ardente. Fino dal mattino di quella giornata solenne era un gran moto nel convento, la cappella vasta, rotonda, che avea conservato sotto i suoi ornamenti cristiani una fisionomia moresca, era stata parata di ghirlande e fiori. La Madonna del Rosario, protettrice speciale dei Domenicani, aveva vestito i suoi abiti da festa, la seta ed il velluto avevano velato la casta immagine dell'umile madre del più umile fra gli uomini, e questa modesta regina degli angelo andava splendida di diamanti e di perle come una regina della terra. Il marmo bianco delle colonne disparve sotto un tessuto di rose: ceri innumerevoli splendevano sull'altare, ed all'olezzo inebriante dei profumi, allo splendore mondano delle drapperie, all'eleganza mitologica del colonnato, alla profusione dei fiori che riempivano il recinto, si sarebbe detto il tempio di una Venere antica, trasformato ad un tratto in cappella cristiana: solamente nel posto dell'idolo pagano erasi messa l'immagine della Vergine del cielo, e in uno dei lati della navata la statua in piedi del cupo protettore dei Dominicani richiamava con la sua severa fisionomia a gravi pensieri che l'aspetto di quel luogo ridente avrebbe, senza di ciò, difficilmente inspirati. A destre, nella volta un seggio ricoperto di velluto, e sormontato di un baldacchino elegante era stato preparato per monsignore il grande inquisitore; alla sua dritta, sopra una poltrona alquanto più bassa, doveva assidersi il priore del convento, che per ordinario occupava il primo posto. Quel giorno bisognava conformarsi alle leggi della gerarchia. Verso nove ore un canto solenne rimbombò sotto le vòlte della cappella, già piena di numerosi invitati, dame e signori per la maggior parte. I monaci preceduti da uno stendardo si avanzarono lentamente in due file, cantando Gloria in excelsis. Ciascuno di essi aveva un cero acceso in mano. Quelle cupe figure male nascondevano, sotto un ascetismo selvaggio, le passioni affatto terrestri; tuttavia quella lunga processione d'uomini vestiti delle insegna della morte (il bianco ed il nero) aveva qualche cosa di lugubre che ghiacciava di spavento.; il priore, vestito degli ornamenti episcopali, chiudeva la marcia. Terminati i canti, i monaci si fermarono facendo ala, il priore passò in mezzo ad essi, due monaci, che compivano l'ufficio di diaconi, lo seguivano: essi accompagnavano il novizio, vestito del ricco e grazioso vestimento dei cavalieri spagnuoli. Tutti e quattro andarono ad inginocchiarsi nel mezzo dell'absidia, su cuscini di velluto che erano stati preparati per riceverli. Un signore spagnuolo serviva di padrino a don Josè. Monsignor Arbues occupava già il posto che gli era riserbato. Dopo il Vangelo ebbe luogo il sermone d'uso, discorso ampolloso e mistico sulle beatitudini della vita claustrale; frasi senza ordine, oscure e lambiccate, piene di profondo ed incomprensibile ascetismo, che nulla diceva al cuore, nulla all'immaginazione, ma che attendeva sempre all'unico scopo di Roma: Estinguere per dominare. L'uditorio ne fu soddisfatissimo; tuttavia l'eloquenza del predicatore non impedì alle belle dame presenti alla cerimonia di adocchiare santissimamente il giovane novizio, e di ammirarne il bel volto e il bell'aspetto. Ma Josè era pallidissimo, e il suo occhi nero aveva una strana espressione, e lampi di cupa gioia passavano sul suo viso. Dopo la messa il priore si avanzò verso il novizio. -Che siete venuto a fare così vestito nella casa di Dio?- gli domandò esso. -Io cerco la salute dell'anima mia,- rispose Josè. -Pensi tu ritrovarla nel mezzo delle pompe del mondo?- -Ebbene, io rinunzio alle pompe del mondo.- -Ciò non basta, bisogna rinunziare alla carne e alla tua volontà.- -Io farò voto di castità, e sarò umile e sottomesso verso colui che vorrà condurmi nella via della salute.- -Va dunque,- disse il priore. Due monaci s'impossessarono del novizio, e lo condussero dietro l'altare nel luogo preparato per riceverlo. Era un luogo oscuro, rischiarato solamente da una lampada sepolcrale appesa alla volta; nel mezzo, sul terreno coperto di un drappo nero, una bara coperta da uno strato, attorno alla quale ardevano quattro ceri bianchi, sembrava aspettare che la si facesse discendere sotto terra. Sul coperchio della bara un teschio da morto collocato su due ossi in croce, mostrava due file di denti d'una bianchezza eburnea. Al di sopra, fissati in terra dall'asta, s'innalzavano come due stendardi sinistri, la gran croce d'argento e la manga[78] ,che si portava nei funerali. Verso l'estremità superiore della tomba allato di un inginocchiatoio, sormontato da un crocifisso di piombo, vedevasi una tavola coperta di nero, ove erano posti i nuovi abiti destinati al novizio. Infine, all'altra estremità dirimpetto all'inginocchiatoio, una gran lastra di lucido metallo attaccata al muro, rifletteva e moltiplicava tutti questi oggetti lugubri. Quel luogo si chiamava la tomba della salute[79]. Là il novizio fu lasciato solo. Ei si spogliò delle sue vesti profane, rivestì l'abito dei Domenicani, una tunica bianca ed uno scapolare nero: severo abito, che sembra essere l'assisa della morte; poscia depose il berretto. ornato di piume, per non aver mai altra acconciatura fuorché i suoi capelli rasi, e invece della dorata cintura cui era appesa la spada, si cinse i lombi di corda, insegna della povertà: poi finalmente lasciò i ricchi stivaletti e calzò i sandali, che non doveva più lasciare. Tutto questo durò circa mezz'ora. La mano del novizio tremava come se avesse avuto la febbre; il cuore gli batteva colpi ineguali e precipitati, un sudore freddo scorrevagli sul viso bianco e levigato, s'inginocchiò davanti al crocifisso, e con voce amara e lamentevole si mise a pregare. Dei singulti laceranti uscivano dal suo petto; mormorava parole incomprensibili, ed un nome ch'egli solo poteva comprendere, tornava costantemente sulle sue labbra. Frattanto l'organo riempiva la cappella della sua grandiosa armonia; il canto dei monaci, rimbombante e forte, si elevava in note vibranti e metalliche; i nervi del giovane novizio già eccitati da lungo digiuno, si esaltarono smoderatamente; quei canti umani, quel suono dell'organo, che somiglia a voce gigantesca di un altro mondo, presero per caso un carattere strano e fantastico; in luogo di pensieri religiosi e santi, idee infernali si impadronirono del suo cervello...quei canti sacri si cangiarono per lui in spaventevole ironia; invece di fiori, d'incensi e di lumi non vide altro che sangue e patiboli...la voce dei monaci gli parve il riso spaventevole d'altrettanti demoni, assistenti freddamente all'agonia del genere umano; e nel suo pensiero mormorò queste oscure parole del Vangelo: -Essi andranno tutti nella geenna, laddove sono pianti e stridor di denti.- Il novizio sentì allora una mano di fuoco posarsi sulla sua mano nuda e fredda; una voce derisoria, aspra, infernale mormorò ai suoi orecchi nel mezzo d'un terribile rumore: -Vieni!...- Nel medesimo tempo, cedendo quasi contro la sua volontà all'ascendente del conduttore invisibile, senza neppur avere la pena di rialzarsi per camminare, Josè si sentì ruvidamente trascinar d'abisso in abisso attraverso un'atmosfera calda e soffocante fino ad una incommensurabile profondità. Là si fermò; era nelle viscere della terra. Una densa nube l'inviluppava come in un grave manto di tenebre. La sua respirazione divenne rapida, penosa ed ininterrotta; credette d'essere rinchiuso vivo in una tomba. Ma in quel momento una porta s'aprì a lui dinanzi, e gli lasciò vedere il più strano spettacolo. Era un luogo immenso, spaventevole, ardente, da cui usciva una fiamma infetta. Mostri bizzarri e schifosi volavano nello spazio al di sopra del cupo vapore di fuoco, portati su larghe ali membranose, simili a pergamena nera ed indurita. Quei mostri mandavano urli di gioia sinistri e feroci; ridevano in coro con voce lugubre e aspra come il rumore di una tabella: -Eccoli, eccoli!..- Josè si pose a guardare. Innumerevoli legioni di monaci si affollavano all'ingresso di quel vasto pandemonio. Egli li vide tutti sfilare l'uno dopo l'altro; - ed a misura che arrivavano in quel luogo, spogliavano la loro forma primiera; -ed al chiarore rosso dell'incendio eterno li vedeva prendere forme oscene e bizzarre, e, malgrado quella trasformazione, conservare i desiderii, le tendenze e le intelligenze dell'uomo, ed essere ridotti a seguire gli istinti dell'essere immondo di cui avevano rivestite le spoglie!- ovvero prendevano insieme la forma di due animali d'istinti contrari, e, soggetti ai bisogni di quelle due opposte nature, trovavano in quella eterna contraddizione spaventevoli sofferenze e desiderii impossibili a soddisfare. Quel supplizio atroce, inconcepibile, inventato da una immaginazione in delirio, fece trasalire il novizio; un riso stridulo ed interrotto uscì dalla sua gola...aveva veduto l'inquisitore Arbues, sotto la forma d'una tigre, col becco e zanne d'un'oca. A quella faticante allucinazione tenne dietro una prostrazione quasi completa; quando vennero a cercare Josè per condurlo alla chiesa, poteva appena sostenersi; il suo passo era lento e mal sicuro, il suo volto pallido si piegava sul petto, ed un alito faticoso usciva dal suo seno. Ma avvicinatosi all'altare, ei vide Pietro Arbues assiso sul suo seggio episcopale; quella vista sembrò rianimarlo; un lampo d'odio brillò sul cupo suo occhio; il sangue gli tornò al cuore; era rientrato nella realtà della vita. Allora s'inginocchiò umilmente sulla nuda pietra, non più scortato dal suo padre adottivo, com'era al cominciamento della cerimonia, ma solo; non aveva altro padre fuorché Dio. Pronunziò i suoi voti con voce ferma. Il priore li ricevette, e dopo l'ultima formola l'organo ricominciò il suo canto sublime, ed i monaci intuonarono il Te Deum. Questo era il rendimento di grazie a Dio per aver tolta un'anima al demoni. Finito il canto, si distese il professo in una bara, e si incominciò l'uffizio dei morti. In quel tempo Josè, stanco per le emozioni e la fatica si addormentò di un sonno profondo. Sembrava che la tomba fosse il solo luogo in cui trovasse pace e riposo: il panno mortuario che lo cuopriva lo aveva disgiunto dalla vita e dai dolori che porta seco. Il moto che fecero i monaci levando il feretro per trasportarlo nelle catacombe, non poté risvegliare il monachello; quando uscì da quel sonno letargico era solo nelle fosse sotterranee dell'abbazia, circondato di tombe e di ossa. Tali erano le cerimonie che accompagnavano la professione di un monaco Domenicano, un volta adottato, era bentosto iniziato nei piaceri egoistici della vita monastica, ammenoché non avesse presa sul serio tutta codesta fantasmagoria. Quando Josè si svegliò, un sospiro profondo sollevò il suo petto, e gettò attorno a sé uno sguardo sinistro. -LA morte!- mormorò egli, -sì, la morte è dolce, essa riunisce...ma io, non posso morire ancora...oh, oh!- gridò con energia; -avanti di morire è d'uopo ch'io mi vendichi!...Fernando!- proseguì con voce sorda, come se, allontanadosi da quel luogo funebre, avesse favellato ad un essere invisibile: -Fernando! attendi ancora, fra poco!...- XI. Una passione d'inquisitore. Da due mesi Dolores, miracolosamente liberata dalle persecuzioni di Petro Arbues, viveva placidamente sotto la protezione dell'Apostolo nell'asilo che aveva scelto. Da due mesi pure l'infelice Manuel Argoso, l'antico governatore di Siviglia, languiva segretamente[80] nelle carceri dell'Inquisizione, vasti sepolcri, da cui fa meraviglia che abbiano potuto uscire esseri viventi. Malgrado le sue ricerche e lo zelo d'Enrico, nominato per sua influenza governatore di Siviglia, l'inquisitore non aveva potuto scoprire il ritiro di Dolores Argoso, nascosta nell'abbazia delle Carmelitane sotto un nome che non era il suo. La sua impura passione era cresciuta, e nell'impotenza in cui era di soddisfarla, un disgusto profondo, una rabbia interna e divoratrice rodeva il cuore di quel prete immondo, che ogni giorno cercava di soddisfare il suo bisogno di vendetta sugli infelici che era chiamato a giudicare. Spronato dalle insinuazioni di Josè, eccitato negli istinti perversi della sua feroce natura da quel fraticello, che sembrava esser divenuto il suo cattivo genio, Pietro Arbues accumulava sulla sua testa le maledizioni della Spagna, ma né l'aspetto dei supplizii, né le lugubri solennità del patibolo potevano assopire quel bisogno di brutali emozioni, quei desiderii ardenti e carnali che la memoria della bella Andalusiana sollevava nell'animo dell'impudico Arbues. Facendo gravare sul governatore il suo sdegno e la sua collera, l'inquisitore non aveva avuto altro scopo che quello di costringere col terrore l'infelice fanciulla ad abbandonarsi a lui; aveva agito da uomo astuto, da uomo che conosce il cuore delle donne. Arrestar lei medesima, gettarla nelle carceri dell'Inquisizione, abbandonarla alla tortura, alla morte che cos'era tutto ciò? L'eroica giovinetta poteva soffrire e morie: essa amava!... ma arrestare suo padre, abbandonarlo ai tormentatori dell'Inquisizione, destinarlo all'ignominia ed alla morte, era questo un supplizio atrocissimo per la figlia del governatore. veder consegnare ai carnefici del terribile tribunale quel padre vecchio e onorato, quel padre che l'aveva amata dell'amore più tenero che le aveva resa la vita sì felice e sì dolce, da non essersi avveduta che le mancava la madre, quella sventura era lo scoglio a cui doveva frangersi il coraggio della giovinetta; perciò Pietro Arbues non si sdegnava che di una cosa, cioè di non trovarla. Invano la milizia di Cristo era stata posta alla ricerca di lei, invano la tenebrosa confraternita che aveva per capo il vigilante e furbo Mandamiento aveva ricevute le più magnifiche promesse di danaro e di protezione; un potere provvidenziale sembrava estendersi sulla giovinetta che il più santo degli uomini aveva presa sotto la sua custodia; ovvero nei celesti decreti il momento della persecuzione non era ancora arrivato per essa. Quel momento non doveva tardare a venire. Il disordine di Pietro Arbues era sì profondo e sì amaro che le stesse abitudini della sua lussuriosa vita avevano perduto per esso la loro piccante attrattiva. L'orgia gli sembrava insipida; le donne che il vizio o la paura abbandonava ai suoi impudici desiderii, lo lasciavano freddo od irritato al finire di quelle passeggiere ebbrezze, il cui facile ritorno gli diveniva insopportabile. La memoria solo di Dolores aveva per lui un incanto celeste; ei si immergeva a suo talento in una solitudine assoluta popolata di quella immagine che lo rapiva; non che quell'anima depravata fosse suscettibile di vera passione, ma in conseguenza di quella legge misteriosa, la quale vuole che l'essere più perverso subisca talvolta la influenza di un essere bello e puro, e senza poter comprendere la sua essenza divina, né elevarsi alla sua altezza per il pentimento che rigenera l'uomo, si faccia volontariamente e con delizia lo schiavo di quell'essere adorato. Disgraziatamente nella passioni di tal natura, lo spirito resta così soggetto ai sensi, che, questi soddisfatti, la scintilla dell'amore che aveva ammolito la rupe si estingue, e non resta più altro che un essere brutale e feroce, laddove per alcuni istanti si era creduto di vedere un uomo. Immerso nelle incredibili allucinazioni di una passione non soddisfatta, giunta al suo ultimo periodo, l'inquisitore di Siviglia aveva cercato sotto la cupa verdura dei suoi giardini un rifugio contro i fantasmi che lo perseguitavano. Egli provava di fuggire a se stesso. ma lungi dal calmare l'azione del suo sangue le emanazioni balsamiche degli aranci fioriti, filtro potente, capace di turbare la ragione del più savio, esaltavano smoderatamente le fibre del suo cervello. Torrenti di voluttà parevano circolare attorno a lui con quegli odori inebrianti. L'aria era già tiepida come lo è in estate nelle regioni del nord, benché non fosse ancora che la fine di aprile. Nel cielo azzurro scintillavano migliaia di stelle, che sembravano tanti sguardi fascinatori. La notte non era serena, e vapori biancastri e diafani passavano come rapide ombre sugli oggetti; sarebbesi detto una danza di spiriti impalpabili, e leggiere creazioni di un altro mondo, venute un istante in questo per assistere allo svegliarsi della natura, al giocondo fiorire della primavera. nessun rumore distinto turbava il silenzio di quella fantasmagoria; ma il mormorio delle foglie somigliava a misteriosa armonia di baci furtivi, e forse anco in quell'immensa fecondazione della natura intiera nel momento del suo ridestarsi, la mano invisibile e potente che la rimuove fino nelle sue viscere produce quel rumore vago ed ineffabile, quel mormorio strano ed armonioso che sfugge sovente alla percezione dell'udito materiale, ma che si fa sentire nell'anima nelle sue ore di raccoglimento e meditazione. Bentosto, stanco e spossato per i combattimenti incessanti della natura, per quella irritazione senza oggetto, che snerva ad un tratto lo spirito ed il corpo, Pietro Arbues si lasciò cadere sopra una delle panche di marmo poste qua e là in quella voluttuosa oasi. Ivi appoggiò fra le sue mani la fronte, che bruciava, e lagrime di rabbia e di dispetto caddero da quegli occhi feroci, il cui sguardo tremar faceva tutta una provincia. Una lassezza estrema s'impadronì di lui; rimase così alcuni istanti senza parlare, senza che i sospiri del suo vasto petto tradissero il dolore che lo divorava. vinta come un timido fanciullo, la tigre inquisitoriale dormiva quel sonno terribile che spaventa. Tutto ad un tratto un passo leggiero si fece sentire sulla sabbia, i rami degli aranci si separarono con un fremito sordo, e il rumore di una respirazione interrotta turbò il silenzio che regnava in quel luogo. Nel mezzo del sonno fittizio, Pietro Arbues udì quel rumore, ma al momento, sotto l'influenza di una specie di letargo cagionato dalla violenza delle sue sensazioni anteriori, ei non aprì gli occhi, non avendo né la forza né il desiderio di sapere chi veniva a turbarlo così. Era sotto l'incanto di un sogno e l'immagine di Dolores, la sola che, durante il suo sonno si riproducesse agli occhi dell'anima sua, la immagine di Dolores, mescolandosi al rumore reale che facevasi sentire, la visione dell'inquisitore acquistò tale lucidità, che gli sembrò di vedere la donna da lui desiderata. Qualcuno camminava effettivamente a quella volta, e l'inquisitore credette pure di vedere Dolores avanzarsi fino a lui; quando essa fu vicina ei distese le braccia verso di lei, e prese con una stretta appassionata il suo favorito Josè, che mandò un grido acuto, trovandosi così fra le braccia di Pietro Arbues. Pietro Arbues aprì gli occhi, ed all'aspetto della figura che gli era davanti la respinse con violenza. Josè andò a cadere ad alcuni passi sulle zolle. Era pallido come uno spettro, ed il suo cuore batteva appena. -Maledetto questo sogno!- gridò l'inquisitore con voce sorda; -io ho creduto abbracciare il corpo sottile di una donna.- Josè non rispose, non aveva la forza di parlare. Una memoria terribile era surta nel suo pensiero, e nel momento in cui Pietro Arbues l'aveva preso per le braccia, si era sentito freddo per un terrore spaventevole. Questo terrore si dileguò ben presto. L'inquisitore passò la mano sulla fronte come uomo che cerca di richiamare le proprie idee; poscia, guardando il suo favorito, che era restato in terra immobile ed esterrefatto, scoppiò in una gran risata. -Povero fanciullo!- disse, -ti avevo preso per una donna.-Un sudore freddo coprì la fronte del giovane Domenicano. -Andiamo, alzati,- proseguì l'inquisitore, -e fa con me il giro di questi boschetti, aiutami a scacciare i folletti di cui l'aria è piena questa sera. I genii della Giralda[81] si sono dati appuntamento presso di me. Io sogno e non vivo più della mia vita reale; andiamo Josè, aiutami dunque a rientrarvi, te ne prego.- Josè aveva avuto il tempo di rimettersi durante quella spiritosa scappatella; s'alzò, e, salutando sua Eminenza, le domandò notizia della sua salute. -Sto bene, benissimo, mio Josè,-disse l'inquisitore con aria di giubilo. I sogni penosi della sera non avevano lasciato alcuna traccia. Pietro Arbues era così fatto, passava rapidamente da una sensazione ad un'altra; tale è lo stato delle persone che hanno nell'animo molta e poca profondità. Tuttavia l'immagine di Dolores non era talmente cancellata, che non tornasse bentosto ad assediare la mente dell'inquisitore, il quale, continuando a passeggiare nei giardini a lato del suo favorito, diede alla conversazione il giro naturale che doveva imprimerle l'occupazione della sua mente. -Josè,- domandò egli, -neppur tu dunque sai nulla?- -Niente, monsignore, non ho potuto scoprire niente.- Quella domanda e questa risposta erano molto oscure; ma quei due uomini si comprendevano con una parola: Josè conosceva a fondo l'anima dell'inquisitore. -Che posso fare?- mormorò Arbues con rabbia; -ho messo in moto tutta la milizia di Cristo; ho sollevato con un po' d'oro tutta questa miserabile razza di gitani, che fan professione di spionaggi e di omicidi!...nulla! Dolores avrebbe lasciato il regno? questa figlia tenera e pia avrebbe, per salvare il suo capo, abbandonato il padre alla mia vendetta?- Pietro Arbues diceva il vero quando assicurava aver cercato in tutti i conventi di Siviglia. Quello delle Carmelitane non era stato eccettuato, ma una circostanza semplicissima aveva salvato Dolores. Siccome non aveva manifestata l'intenzione di farsi monaca ed era vivamente raccomandata dall'Apostolo, le si lasciava una libertà quasi assoluta: essa non seguiva degli esercizi del convento che quelli necessari per una donna del mondo buona cattolica. Dolores amava molto i fiori, e nell'immenso giardino dell'abbazia aveva scelto un luogo solitario, in cui coltivava di propria mano le piante da lei maggiormente amate. Nel tempo della visita dell'inquisitore si trovava in quel luogo lontano dall'abitato. Pietro Arbues aveva pertanto domandato alla badessa se aveva notizie o nuove professe oltre quelle che conosceva; ma Dolores non era né l'una né l'altra, e la badessa considerandola come una libera pensionaria, il cui soggiorno sarebbe di poca durata, nulla aveva detto della sua presenza a monsignore inquisitore. Non fu dunque né per prudenza, né per precauzione, fu semplicemente per oblio. Ecco perché l'inquisitore restò persuaso che la figlia del governatore aveva lasciato Siviglia. -Monsignore,- disse Josè, -se realmente questa giovane ha voluto fuggire alle persecuzioni della Inquisizione, non potete dunque scrivere ai tribunali d'Aragona e di Castiglia, a quelli di Malaga e di Cuenca, a tutti quelli della Spagna, e finalmente al re, perché si mettano per ogni dove i birri del Sant'Uffizio sulle tracce della fuggitiva?- -No, no!-replicò vivamente Arbues: -non è la sua morte che mi abbisogna, e essa, essa sola.- -Il governatore di Siviglia non è nelle prigioni dell'Inquisizione?- -Senza dubbio, ed è perciò che non posso comprendere la fuga della sua figlia; essa è tanto forte e coraggiosa! ama tanto il suo vecchi padre!- Oh venga, venga!- proseguì l'inquisitore con una specie di delirio: -con qual felicità io le dirò:- Tuo padre sarà libero, ma sii mia.- Ed ella si abbandonerà a me per salvare suo padre.- -E suo padre non sarà salvato!- mormorò sordamente il favorito, gettando uno sguardo di iena sull'inquisitore. -Che dici sì piano, Josè!- disse Pietro Arbues. -Io calcolava, monsignore, quai nuovi tormenti si potrebbero inventare per ispaventare quella giovinetta nel caso in cui la si trovasse.- -Chi è là?- disse ad un tratto Pietro Arbues, inditreggiando di un passo. -Il vostro fedele Enrico, che vi cerca, monsignore,- rispose il nuovo venuto, che non era altri che il governatore di Siviglia, Enrico, antico famigliare del Sant'Uffizio. -Porto buone nuove a Vostra Eminenza,- rispose umilmente il governatore, -ed ho creduto...- -Parla, vediamo, che c'è?- -Dolores Argoso...- -Ebbene?- -E' al convento delle Carmelitane dall'altra parte del Guadalquivir.- -Dolores! E da quando?- -Da due mesi.- -Tu mentisci,- gridò l'inquisitore, -ho visitato io stesso il convento, e Dolores non vi era.- -Vi è, monsignore, io ve lo giuro per l'ostia santa, ne ho la certezza e ve lo proverò.- -Bravo Enrico,- gridò l'inquisitore con una esplosione di gioia, -bravo Enrico! come hai scoperto ciò?- -Monsignore,- rispose il famigliare, inchinandosi in una maniera grottesca, -Vostra Eminenza mi accordi l'assoluzione di questo peccato; mi sono travestito da monaco ed ho confessato la badessa.- -Per Dio!- disse Pietro Arbues, -ecco un'idea non venuta a me che son prete.- -Vostra Eminenza mi da l'assoluzione?- proseguì Enrico con sguardo ironico. L'inquisitore fece nell'aria un gran segno di croce, ed il nuovo governatore di Siviglia, rialzando fieramente la testa, si pose in attitudine di uomo che comprende tutta la importanza dei suoi servigi. -Va bene,- esclamò l'inquisitore fregandosi le mani, -a noi due, ora, fiera Lucrezia.- -Rientriamo,- proseguì; -Enrico deve intrattenermi coi particolari del suo governo.- -Come va l'eresia?- continuò Pietro Arbues, camminando. -Monsignore, essa guadagna passo per passo e di una maniera spaventevole, i conventi stessi non sono esenti da questa lebbra[82].- -Diavolo,- disse l'inquisitore, -bisognerà metterci buon ordine, e riscaldare lo zelo cattolico, trattando come eretici tutti color che non denunzieranno l'eresia.- -Chi è stato arrestato questa settimana?- -Quindici o venti persone solamente, monsignore.- -Di riguardo?- -Ma sì, per la maggior parte; due o tre dottori in teologia, che si avvisano di trovare degli sbagli nel testo latino della Volgata, ed alcuni altri della medesima tempra, i quali, mentre si dicono cattolici, sono zelanti ammiratori di Martin Lutero.- -Fra costoro,- disse Pietro Arbues, -ve ne sono alcuni che odio in una maniera tutta particolare; sono orgogliosi che impegnano tutto il loro sapere, tutta la loro eloquenza a distruggere il potere dell'Inquisizione. Giovanni d'Avila, Luigi di Granata, Giovanni soprannominato Giovanni di Dio, ed alcuni altri illuminati, che fanno da apostoli ed al bisogno da martiri per gettare fino nel cuore dei popoli profonde radici di rivolta e d'indipendenza...ma, per Cristo! essi si romperanno come vetro contro l'inquisizione.- Monsignore,-disse Josè, - non avete dunque il potere di rendere mute queste bocche?- -Sì,-esclamò Arbues, - io sono stanco di tali prediche senza fine, le quali non tendono nientemeno che ad ispirare al popolo il desiderio ed il coraggio della libertà. Queste persone si fanno semplici ed umili per essere forti, ed il popolo crede in esse perché si fanno popolo per parlargli; ma, per Dio! ciascuna delle loro parole è un colpo d'ascia nella cattedra di San Pietro, e se il vicario di Cristo intende i veri interessi della Chiesa, mi lascerà incrudelire contro di essi, e bruciarli come semplici laici, poiché essi sono eretici di fatto, e ad onta del loro carattere ecclesiastico, si separano dalla Chiesa romana col cuore e con la volontà.- -Monsignore,-disse freddamente Josè. -per far perire l'albero è necessario svellere le radici; finché resterà un solo eretico in Spagna l'eresia si riprodurrà come quelle cattive piante di cui non bisogna lasciare il minimo residuo in terra.- -Ci metteremo buon ordine,- replicò l'inquisitore, -e, per la Santa Vergine! noi svelleremo perfino la terra che li porta per distruggerli.- -Non si può far troppo per Iddio,- disse Enrico con accento ipocrita. -Io ho già pensato a questo,-proseguì con aria d'importanza. Mentre parlavano così erano arrivati alla porta dell'appartamento dell'inquisitore. -Vieni Josè,- disse Pietro Arbues. -Monsignore m'abbia per iscusato, ma ho da preparare un sermone per domani.- -E dopo il tuo sermone tu ci accompagnerai al convento delle Carmelitane.- -Sono gli ordini di Vostra Eminenza,- rispose il favorito prendendo commiato dall'inquisitore. Arbues e il nuovo governatore di Siviglia entrarono soli. Josè uscì. Mentre passava la soglia del palazzo inquisitoriale, una donna vestita di nero dal capo ai piedi, gli si fece incontro, e pensando dal suo abito di Domenicano che appartenere dovesse al Sant'Uffizio, si avanzò verso di lui con le mani giunte e con l'accento di incredibile dolore. -Reverendo,- sclamò essa, -fatemi parlare a monsignor Arbues,- -Chi siete?- domandò Josè sorpreso; -che venite a fare presso l'inquisitore?- -Voglio domandargli al vita di mio padre,- rispose la giovane con esaltazione; -di mio padre, che è innocente, e che si accusa d'eresia; di mio padre che era governatore di Siviglia, e che oggi...- -Dolores!- sclamò Josè, considerando con ardente curiosità la nobile figura della giovane, mezzo nascosta sotto i suoi merletti neri. -D'onde sapete voi il mio nome?- disse ella tremando. -Dolores Argoso,- proseguì il Domenicano con voce dolce e piena di tenerezza; -Dolores Argoso, non t'avvicinare a questa casa, poiché qua è per te il disonore e la morte.- -Come sapete questo?- domandò essa spaventata. Il Domenicano trascinò Dolores, che si lasciò guidare senza resistenza. -Vieni, mia povera fanciulla,- proseguì il monaco, affrettandosi ad allontanare Dolores dal palazzo dell'inquisitore; -vieni, e se ami restar pura, se vuoi che tuo padre sia salvo, nasconditi, oh! nasconditi soprattutto agli sguardi di Petro Arbues!- -Ebbene,- ella disse, prendendo confidenza, perché, malgrado il suo abito terribile, il Domenicano aveva nella voce un accento irresistibile d'affettuosa tristezza; -ebbene, che bisogna fare per salvare mio padre?- -Nasconderti e lasciarmi agire,- rispose Josè. -Confidami la tua causa, o giovinetta:- -A voi?- ella disse guardandolo con occhio alquanto dubitativo, perché si rammentava appartenere egli all'Inquisizione. -Sì, a me,- rispose con amarezza; -a me, che sotto quest'abito sinistro porto un cuore caldo ed ardente.- -Egli è sì giovane!- pensò Dolores, considerando alla pallida luce della notte la nobile figura e le piccole e bianche mani di Josè. -Oh mio Dio! perché siete Domenicano?- -Forse per salvarti,- disse Josè intenerito: -credimi, fanciulla, e non credere di penetrare i misteri della mia vita: l'abito non è talvolta che un maschera la quale nasconde le ferite del cuore.- -E voi pure?...-esclamò Dolores, che sentivasi trascinata verso quel fraticello da una irresistibile simpatia. -Non prenderti cura di me, occupiamoci di te sola. Che sarà ora di te?- -Quello che piacerà a Dio,- ella disse. -Dove ti nasconderai?- -Io ritornerò al convento delle Carmelitane.- -Guardatene bene!- disse Josè; -l'inquisitore ha scoperto il tuo ritiro, e domani deve assicurarsi da sé medesimo della verità di un rapporto che gli è stato fatto questa sera a tale oggetto.- -Come ha potuto saperlo?- domandò Dolores, -l'Apostolo non ha detto il mio nome a nessuno, neppure alla badessa.- -Povera fanciulla! tu domandi come l'Inquisizione violi tutti i segreti e tutte le coscienze? essa conosce tutto, ti dico, e nulla v'ha per essa d'inviolabile, nemmeno la tomba![83]- -Oh mio Dio! mio Dio!-gridò Dolores, nascondendosi la testa fra le mani. Essa diede un libero corso alle lacrime che la soffocavano. -Calmati, calmati, sorella mia,- disse Josè, servendosi di quel nome per inspirare maggior confidenza alla fanciulla, ed anche perché sentivasi trascinato verso di lei da una comunanza di pene. -E' vero, Padre mio, non è permesso neppur di piangere.- -No,- disse Josè, -il rumore dei singulti irrita la tigre, e la sua sete di sangue diviene più ardente.- -Piano, padre mio, piano; potremmo essere ascoltati.- -Sì, hai ragione, v'ha intorno di noi un'eco delatore in ciascuna pietra. Silenzio! silenzio dunque! ma avanti di lasciarmi,povera fanciulla! dimmi, che sarà di te?- -Rassicuratevi,- ella disse, -io ho un asilo: e voi mi promettete di salvare mio padre?- -Per quello che io ho maggiormente amato! Se tuo padre morrà,- disse Josè, -vorrà dire che non avresti potuto salvarlo sagrificandoti; intendi, Dolores?- -Vi credo,- disse serrandogli le mani, che cuopriva di lagrime; -vi credo; ma dove potrò rivedervi, Padre mio?- -Ascolta,- disse Josè: -all'estremità della via degli Zingari nel sobborgo di Triana, esiste un luogo orribile, immondo, che si chiama la Taverna della buona ventura. -Vero nido d'avvoltoi, dove il furto, l'omicidio e il brigantaggio si danno appuntamento ogni sera. - L'aspetto di quel luogo è ributtante e lugubre: là non sentirai che risate ciniche o spaventevoli maledizioni. - Quel luogo è frequentato da tutto ciò che la Spagna racchiude d'impuro, dai banditi, dalle meretrici, dagli zingari e dai monaci. - E là dalla bocca dei monaci escono pure bestemmie e parole oscene; l'ebbrezza confonde in un comune abbrutimento coloro che la società rigetta dal suo seno, e coloro che si arrogano il diritto di governarla. - Là si elaborano i vergognosi delitti, gli assassinii giuridici, le ingiuste persecuzioni, le false delazioni, pugnale a due fendenti che uccide a colpo sicuro, i ratti notturni, le uccisioni ed il furto; perché in quel lupanare immondo si trovano strumenti per tutti i delitti. -Che dite, Padre mio?- disse Dolores spaventata. -Ebbene!- proseguì il monaco, -bisogna venire in quel luogo a trovarmi.- -Sogno io forse?- gridò la povera fanciulla: -che domandate, padre mio?- -Tu venivi presso l'inquisitore questa sera; ebbene credimi, fanciulla, il luogo di cui ti ho fatto l'orribile quadro è mille volte meno pericoloso del palazzo di Pietro Arbues.- Gli occhi di Josè scintillavano di cupa fiamma; le sue guancie, ordinariamente pallide, erano divenute di un rosso ardente; sembrava divorato da un febbre interna. Dolores lo credette pazzo. Ma ad un tratto rendendo dolce la sua voce, ordinariamente gravissima, ed a cui l'esaltazione dava una vibrazione sonora, Josè guardò Dolores con tenerezza. -Va, povera fanciulla,- disse, -non temere di venir dove Josè ti dirò d'andare; vorrei salvarti a costo della mia vita! La taverna della buona ventura,-proseguì, -appartiene ad una guardia che ha nome Gioachino, bravo ed onesto giovane che mi è affezionato, ed alla sua sorella, la Graziosa, un'eccellente fanciulla, che si getterebbe nel Guadalquivir per far servizio a qualcuno. Queste brave persone sono povere, campano la loro vita come possono, ma tu fidati di loro. Se hai bisogno di me, dirai solamente a Gioachino, o alla sua sorella: Vorrei vedere il padre Josè. E tu mi rivedrai: ma sii cauta, non uscire che di notte e mascherata.- -Non temete di nulla io no vi comprometterò. Ma,-riprese, -non debbo temer?...- -Nulla,-disse Josè, -non si sospetterà mai che tu frequenti quel luogo; soltanto vieni travestita da popolana.- Così parlando, erano giunti dirimpetto al ponte di Triana; quando l'ebbero traversato, Josè si volse verso Dolores. -Qual'è il tuo cammino?-le domandò Josè. -Questo,-disse mostrando alla sua destra la riva del Guadalquivir. -Ed io quello,-disse Josè indicando la via dei Gitani.-Addio, Dolores; confida in me: ma pensa che tu non puoi nominarmi che davanti a due persone, Gioachino e sua sorella. Addio, sii prudente.- -E voi, padre mio, abbiate pietà di me,-gli disse allontanandosi. Josè seguì la via dei Gitani. Dolores proseguì lungo il Guadalquivir. Era la via che conduceva presso l'Apostolo. XII. Il Bazar. In preda a quella specie d'allucinazione comune a tutti coloro la cui vita ad un tratto si fa sventurata, Dolores varcò in poco tempo la distanza che la separava dalla casa dell'Apostolo. Malgrado la singolare benevolenza che le aveva testimoniata un membro dell'Inquisizione, essa non era perfettamente tranquilla e le faceva pena di non trovarsi sotto la protezione del suo santo amico. La sua brama di rivedere l'Apostolo era tanto più violenta, in quantoché, dopo il suo soggiorno alle Carmelitane, non l'aveva visto che una volta, e non aveva avuto che allora notizie di Estevan. Quello sventurato giovane, sospetto all'Inquisizione in causa delle sue larghe idee filosofiche, ed inoltre esoso a Pietro Arbues, che vedeva in lui un rivale amato; quello sventurato giovane non aveva dovuto la vita che all'intercessione di Josè, il quale, come già sappiamo, aveva annullato, comprando il maestro della Garduna, gli ordini crudeli dell'inquisitore. Ignorando il destino di colui che amava, Dolores provava timori mortali. -E' libero ancora?-domandava a sé stessa con ispavento; e tale crudele incertezza accelerava i battiti del suo cuore, e le faceva affrettare il cammino per arrivare al più presto. Quando fu vicina alla casa dell'Apostolo essa fu sorpresa di no vedere attraverso l'anguste finestre brillare la pallida luce della lampada che illuminava le pie veglie dell'uomo di Dio. Tuttavia il cancello del giardino era aperto e cedè agevolmente. Era una specie di grata fatta di leggieri fusti di palma sopra una cornice di legno. Dolores picchiò alla porta della casa. ma la porta era chiusa e niuno rispose. -Oh mio Dio! ei non vi è!-disse la misera fanciulla, atterrita da quella nova disgrazia. Picchiò nuovamente con maggior forza ed insistenza, ma fu invano: la porta rimase immobile, niuno venne ad aprirla. Allora Dolores percorse il giardino, recinto spaziosissimo ove crescevano alberi fruttiferi, coronati di viti striscianti, patrimonio dei fanciulli e dei passeggieri stanchi, i quali venivano a spogliare impunemente quei begli alberi dei loro frutti e quelle viti dei loro grappoli dorati. L'Apostolo l'aveva permesso, senza di che la venerazione da lui ispirata li avrebbe garantiti, e la semplice barriera di vinco del suo giardino non sarebbe stata mai varcata. Dolores esplorò invano tutti i nascondigli di quel luogo campestre; non v'era alcuno! evidentemente l'Apostolo non era lontano. Ma siccome la sua casa isolata era lungi da ogni abitazione, niuno poteva dirle ciò che era stato. Che fare? Essa non poteva tornare alle Carmelitane, v'era troppo pericolo per essa. Nella città? Quale delle sue conoscenze avrebbe osato esporre alla vendetta dell'Inquisizione domandandole un asilo? E poi tutte le porte non si sarebbero chiuse per la figlia di un uomo accusato d'eresia? Essa aveva ancora la risorsa della taverna, ma la pittura che gliene aveva fatta Josè le tolse il coraggio di cercarvi rifugio. Amò meglio passar la notte nel giardino. era la notte ancor fredda, malgrado la bellezza della primavera, la prossimità del fiume rendeva l'aria alquanto umida. Dolores non aveva altro abito che una veste di seta nera, ed una mantiglia di trina. Gli alberi erano coperti di foglie e di fiori; un'erba densa cresceva ai loro piedi. Dolores si rannicchiò contro un enorme fico d'Adamo, fece scendere i suoi lunghi capelli attorno le sue spalle come un manto, rotolò la sua mantiglia intorno alla sua testa, e alzando verso il cielo il supplice suo sguardo, si assise in terra sull'erba fresca e folta. Sperava che l'Apostolo non tardasse a rientrare. Ma le ore passavano; tenuta desta dall'inquietudine, Dolores soffriva per la freschezza della notte; a momenti alcuni passi si facevano sentir sulla via; allora essa alzava la testa per guardar da quel lato, sperando di veder giungere colui che era venuta a cercare; ma il passeggiero si allontanava, e Dolores ricadeva nel suo assopimento. Vicino ad essa il Gualquivir portava le sue onde pacifiche con un rumore eguale e monotono: il grillo elevava l'acuto suo canto nel silenzio della notte, e talvolta uno zeffiretto di primavera, soffiando leggermente, agitava la cima degli alberi da cui cadeva allora una pioggia rugiadosa ed odorifera. Ma per la sfortunata fanciulla quella notte magnifica era piena di vaghi terrori e di presentimenti sinistri. Verso il mattino, stanca di dolore e di lassezza, si addormentò. Addormentandosi aveva freddo, bentosto le parve che un calore dolce riscaldasse le sue membra irrigidite; essa era in un palazzo di fate. Sotto una soffitta celeste, cupola immensa di quello splendido palazzo, una gran lumiera d'oro, accesa dalla mano di genii, ascendeva lentamente nella volta, elevata da esseri invisibili, ed a misura che saliva aumentava di splendore e di calore, finché, finalmente, spandeva nel palazzo torrenti di luce e di fiamma. Ma appena la lumiera d'oro ebbe toccata la cupola, che quel palazzo magnifico, popolato d'esseri trasparenti di una bellezza maravigliosa, cambiò d'aspetto ad un tratto. i mobili brillanti, i fiori che l'adornavano disparvero. Le ali delle silfidi e dei genii caddero in polvere dorata; i loro corpi, sì belli, divennero deformi, ed assunsero una trasparenza rossastra, un calore estremo minacciò di ardere il palazzo; Dolores volle allontanarsi per fuggire a quel supplizio insopportabile; ma quei mostri si posero in cerchio attorno di essa per impedirle di uscire, ed uno di loro alzò sulla sua testa un immenso specchio ardente, sotto il quale si sentì bruciare come in un rogo. Svegliata dalle sofferenze di quel sogno, Dolores aprì gli occhi. Il sole ardente e luminoso, era salito lentamente verso il cielo, e mandava i suoi raggi sul viso della fanciulla. Essa aveva dormito lungo tempo: erano dieci ore del mattino. Attonita, essa volse i suoi sguardi attorno a sé, come per raccogliere le sue idee interrotte dal sonno, e gli avvenimenti della sera ritornando allora al suo pensiero, fu presa da un amaro scoraggiamento. Dolores era forte di cuore e d'animo: ma era troppo giovane, troppo poco abituata alle vicende incessantemente rinascenti di un'esistenza sventurata; sapeva troppo poco delle cose di quaggiù per indurirsi spontaneamente contro le disgrazie che la colpivano all'improvviso; v'era nel suo coraggio più di rassegnazione che di energia, non era veramente forte che a fronte di un gran pericolo. Per i dolori ordinari dell'esistenza non aveva dapprima che lacrime, l'energia non veniva che dopo la riflessione; Dolores aveva lo spirito giusto ed elevato e si fortificava col ragionamento. Così sono tutte le donne che si chiamano forti. Il loro coraggio non è che un eterno combattimento della loro ragione contro il loro cuore, eccettuato nelle cose in cui il cuore è interessato; allora sfida da sé solo il più fiero coraggio d'uomo. Fuori di questo, la forza delle donne non è che il dono di saper soffrire. Sarebbero donne se fossero altrimenti? Dolores restò alcuni momenti oppressa sotto il peso di questo nuovo infortunio. Volse i suoi sguardi verso la casa...tutto era nello stato della sera innanzi; le finestre erano chiuse, ed un silenzio di morte vi regnava. Per essere ancora più sicura, Dolores accomodò i suoi abiti, rialzò i suoi magnifici capelli che l'avean coperta; abbassò la mantiglia sulla sua fronte, ed andò nuovamente a battere alla porta dell'Apostolo. Ma fu invano: l'Apostolo non era tornato. Dolores era sola, abbandonata, senza asilo, senza pane, e non osava avventurarsi di giorno nelle vie di Siviglia, temendo d'esservi riconosciuta ed arrestata. pertanto s'era determinata di rendersi alla taverna; era la sua ultima risorsa, si abbandonò dunque alla Provvidenza. Ma per non esporsi ad essere sorpresa dai birri dell'Inquisizione risolse di attendere la notte per avventurarsi nella città. In alcuni luoghi del giardino erano piantate alte canne da zucchero. Alberi d'America, che crescono sì vigorosi e sì belli sotto il caldo sole dell'Andalusia, intrecciavano la loro cupa verdura ai rami della vita, appena coperti di foglie nascenti, ed alle pesche fiorite, che si spandevano al sole in raggi rosei e profumati. Dolores scelse un ricovero nell'aiuola delle canne da zucchero, decisa di passare in tal guisa quella lunga giornata. Attese fino alla sera, divorata da un'inquietudine, oppressa dalla fatica e dalla fame, non avendo mangiato dal giorno innanzi. Schiacciò fra' suoi denti alcuni rami di canna da zucchero, e bevve nelle sue mani l'acqua limpida del Guadalquivir per estinguere la sete che la divorava; ma era troppo poco per ristorare le sue forze. Tuttavia si trovò felice nella sua solitudine di quel soccorso dovuto alla sola Provvidenza. In quella lunga giornata molte persone passarono sulla strada, alcuni fanciulli entrarono nel giardino dell'Apostolo per prendere delle farfalle; furono questi i soli incidenti che turbarono la povera abbandonata. Essa si tenne ben nascosta fra i rami, e niuno sospettò che la vezzosa Dolores Argoso, la figlia di uno dei più ricchi signori della Spagna, fosse là come un mendicante, obbligata a dormir sulla nuda terra, priva di nutrimento e di ricovero. Finalmente il sole discese all'orizzonte; era l'ora in cui tutti ordinariamente facevano in Ispagna il sonno del dopopranzo. Dolores pensò che poteva senza timore uscire dal suo nascondiglio. Josè gli aveva raccomandato di non uscire che travestita; bisognava dunque pensare prima a procurarsi un abito. Dolores non aveva denaro; ma la sua veste di seta era di una magnifica stoffa, e la sua mantiglia della trina più fina. Pensò dunque di rendersi al Bazar per farvi un cambio. Là soltanto poteva, senza denaro, procurarsi un convenevole travestimento. Uscì dal giardino, si coprì il viso, e riprese la strada che aveva fatta la sera innanzi, perocché il bazar trovavasi nel quartiere di Triana. All'estremità della via dei Gitani esisteva allora una piazza irregolare, a cui mettevano capo una quantità di vicoli sudici ed oscuri, ove erano i macellai della città. Da un lato di quella piazza in alcune baracche di legno, poste l'una a fianco dell'altra come case, stavano dei mercanti di spoglie animali. Sul davanti di quelle baracche si vedevano appesi ad uncini di ferro fegati di bue, di vitello, di montone ed anco di porco, cuori e reni de' medesimi animali, cervelli sanguinosi in cranii tutti aperti. Poscia in immensi serbatoi d'acqua sporca nuotavano le teste, i piedi, gli intestini ammucchiati in disordine. Tutte quelle carni, disgustevoli e schifose, spregiate dai ricchi erano destinate a servire di nutrimento al popolaccio di Siviglia. Ora facciamoci un'idea, se possibile, dell'odore esalato da quel luogo immondo, a cui veniva ad aggiungersi anco il fetore dei macelli. Poi per terra, sul lastrico della piazza, figuratevi una moltitudine di donne malvestite, situate simmetricamente alla fila, avente cischeduna avanti a sé un immenso straccio che le serviva di banco. Oh! se siete amatore di contrapposti non potete far meglio che visitare il bazar di Siviglia, là anco oggidì troverete di tutto, dal cencio che serve a far delle fila fino al manto di corte della duchessa; dalla scodella di legno in cui mangia lo zingaro, fino alla Madonna d'argento davanti alla quale s'inginocchia. Talvolta questa Madonna sarà coperta di un cappellaccio vecchio da uomo destinato come essa ad esser venduto. Più lungi una corona a palle di corallo pende ad una grata, coperta ancora di grasso e di sego: un magnifico servito servito di argento dorato sta allato un orinale. una mantiglia è talvolta sospesa ad una granata, talvolta è un Cristo accompagnato da un superbo paio di pistole, che pendono dalle due braccia della croce; finalmente il bazar era un capharnaum incredibile, in cui eran messe a mostra tutte le miserie, da quelle del grande di Spagna, troppo prodigo delle sue rendite, fino a quella dell'ultimo degli sventurati, il cui sudore era assorbito dalla rapacità dei monaci; era un insieme confuso di cose disparate od eterogenee, l'immagine più vera, più esatta della conversazione di un re costituzionale. E non faccia meraviglia questo miscuglio bizzarro di ricchezze e di miserie. le rivenditrici del bazar non sono come quelle del Tempio di Parigi, non vendono, cioè, per loro conto, ma vendono per tutti e sono semplicemente mezzane di confidenza. La chiesa confida loro la sua Madonna da vendere per acquistarne un più bella, la gran dama le sue gioie per pagare i suoi debiti o peggio; la cortigiana i suoi ornamenti, di cui si stanca dopo un'ora; e la donna del volgo i suoi abiti della domenica, che è talvolta obbligata a vendere per acquistare del pane. La mezzana del bazar fa tutto per tutti; sa soddisfare i più incontentabili; fa vendite, cambi, ma raramente lascia sfuggire una vittoria, l'utile, ed un largo utile, rimane sempre dalla sua parte. Nell'epoca in cui accadevano questi avvenimenti un cotal commercio era ancor più considerevole che ai giorni nostri, in causa delle numerose spoglie dei condannato dall'Inquisizione, che toccavano ai loro delatori, i quali le facevano vendere. Quando Dolores arrivò sulla piazza del bazar indietreggiò d'un passo, colpita dall'eccessivo fetore di quel luogo; ma bentosto, facendo forza a sé medesima, proseguì avanti, e si avvicinò tremando ad una rivenditrice ancor giovane, la cui fisionomia le ispirò maggior confidenza che quella delle altre. ma quando queste donne compresero che essa aveva l'intenzione di comprare, l'attorniarono, e fecero un rumore da stordire. Ciascuna trattava la sua mercanzia coi gesti più o meno espressivi, ed una chiacchiera da affascinare uno stregone. -Signorina,-diceva una, -comprate questo bel collare di perle fine, il quale apparteneva alla principessa Giovanna, figlia della regina Isabella, e che è stato venduto alla sua morte da una delle dame d'onore a cui lo aveva regalato.- -Vedete,-diceva l'altra, -questa collana di smalto, ornata di croce di rubino?I pater sono di smeraldo; è stata benedetta dal nostro Santo Padre. Si acquistano cento giorni d'indulgenza ciascuna volta che si dice, signora.- -Comprate questa,-gridava una terza, sollevando dei mucchi di trine di Fiandra,la cui rete delicata era coperta di rabeschi e ricami. -Signora, quest'anello benedetto, che preserva dai malefizii.- L'anello in questione era semplicemente un anello d'oro grossissimo, il gastone [castone] del quale figurava una mano chiusa col pollice fra il medio e l'indice. Era un resto di superstizione moresca adottata dai cristiani, ed alla quale il popolo prestava tal fede che, per isciogliere tutti i malefizii degli stregoni, bastava il presentar loro la mano chiusa col pollice passato fra le accennate due dita; ecco perché si attribuiva una virtù tutta particolare all'anello di cui abbiamo parlato. Malgrado il suo dolore, Dolores sorrise leggermente; non divideva le superstizioni del suo tempo e non credeva punto ai malefizii. Fortunatamente per essa, il suo riso fu sì impercettibile che nessuno vi fece attenzione; io non so se, senza questo, non avrebbe corso grandi pericoli. -Vediamo,-disse la prima mezzana, a cui Dolores erasi avvicinata; -voi non volete niente di tutto questo, è vero, signorina? Tenete, comprate questa bella immagine della Madonna: questa vi porterà felicità, mi fu data da un sant'uomo, quello che noi chiamiamo l'Apostolo; aveva bisogno di denaro per soccorrere un disgraziato; quanto a lui, non ha mai bisogno di nulla, perciò io gli ho dato del denaro subito, senza aspettare di averla venduta.- -L'Apostolo!-sclamò Dolores; -conoscete l'Apostolo, buona donna?--Santa Maria!-disse la mezzana, -chi non lo conosce a Siviglia? non è egli che ci consola e dà del pane ai nostri figliuoletti?- -Sapete dove sia in questo momento?-proseguì Dolores. -No,-disse la mezzana; -egli è come il buon Dio invisibile; ma si trova sempre, quando si ha bisogno di lui.- Delusa nella speranza che aveva per un momento concepita di conoscere dove era il suo protettore, Dolores pensò di fare il suo cambio al più presto possibile. -Io non voglio comprare la vostra Santa Vergine,-disse timidamente, -io no avrei di che pagarla, ma ho bisogno d'un vestimento completo di popolana, e se voi volete darmene uno in cambio del mio...- -In cambio del vostro, signorina?-disse la mezzana, squadrando Dolores con uno sguardo di rivendicatrice, che apprezza di uno sguardo il valore di un abito, e vede subito i suoi minuti difetti dalla leggiera radatura del gomito fino alla riga biancastra che la polvere imprime sull'orlo del vestito più nuovo, per poco che sia stato portato. -Compreso anco la vostra mantiglia?-continuò la mercantessa, esaminando la bella trina che copriva i vaghi capelli della giovane. -Senza dubbio,-disse Dolores, -me ne darete una di seta.- Gli occhi della mercantessa brillarono di cupidigia; tastò la sottana di stoffa della giovinetta, e dopo essersi bene assicurata che la vita e le maniche erano nuove, andò a cercare una veste di rascia violacea ed una mantiglia nera di seta. Quest'abito tornava bene al personale di Dolores. -Questo mi piace,-disse la giovane. -Vi sta bene?-domandò la mezzana. -Sì, credo che mi starà bene.- -Prendetelo, signorina! ma quanto mi volete rifare?-Dolores aprì i suoi grand'occhi, e guardò la mercantessa con istupore. Il suo abito valeva dieci volte quello che le veniva offerto. -Sì, quanto mi rifate?-replicò la mezzana. -Ma io non posso rifarvi nulla,-disse la povera Dolores; -vi ho pur detto che io non aveva denaro.--Oh! allora è differente; se non avete denaro povera fanciulla, prendetelo pure, mi dovrete il resto, Dio mi liberi di dare un dispiacere ad una bella ragazza come voi!- -Come debbo fare per ispogliarmi?--venite, venite,-disse la mercantessa, -la mia casa non è lontana di qui.- In fatti, di faccia al suo banco di rivenditrice, la mezzana possedeva una baracca di legno, ove suo marito vendeva carni putride. Dietro alla bottega v'era una stanza quadra, con una sola materassa per terra, ed un baule, in cui la mezzana serrava i suoi ornamenti: era quella la sua dimora, nella quale condusse Dolores. Mentre l'aiutava a spogliarsi, vide sotto la veste di Dolores una pezzuola da collo, la quale era fatta di un magnifico punto di Brusselles. -Signora,-disse la mercantessa, -poiché voi non avete denaro da rifarmi pel nostro cambio, mi contenterò di questo straccio.- -Prendetelo,-rispose Dolores con un moto di disgusto; -tanto questo non si adatterebbe al mio nuovo vestiario; ma datemi almeno una pezzuola di cotone, affinché non senta sul mio collo questa lana ruvida.-la mercantessa le recò un fazzoletto che non era nuovo, ma la cui bianchezza era assai soddisfacente. Dolores ne fu contenta, non potendo aver meglio. Quando fu vestita, si guardò in una piccola lastra lucida di stagno, che serviva di specchi alla rivenditrice; rimase contenta della sua metamorfosi. Il suo vestiario grossolano nascondeva passabilmente e l'eleganza del suo personale. S'involse nella sua mantiglia ed uscì. -Serbatemi la vostra protezione, signora,-le disse la mercantessa. Ma Dolores non l'intese, e s'incamminò rapidamente verso la via dei Gitani. _______________ FINE DEL VOLUME PRIMO. [1] Ahi serva Italia! Di dolore ostello; Nave senza nocchiero in gran tempesta, Non donna di province, ma bordello!. [2] Gregorio IX fece decretare da molti Concili che nessun laico potesse leggere i libri santi in lingua volgare, sotto pena d'esser scomunicato e perseguitato dall'Inquisizione come eretico. La bolla che recava questa proibizione fu pubblicata in Spagna nel 1231. [3] Innocenzio III nell'anno di grazia 1208. [4] Segno sacramentale. Come i frammassoni ed altre società secrete, i famigliari della Inquisizione avevano dei segni, dei toccamenti e delle parole conosciute da loro solamente, per mezzo delle quali si riconoscevano gli uni con gli altri. [5] Questo quartiere, separato dalla città di Siviglia per il Gadalquivir, è sempre stato, ed è anco oggidì, il sobborgo in cui le persone di cattivi costumi, contrabbandieri, forzati liberati e simili, stabiliscono i loro domicilio. [6]Hito. Questa parola diminutiva di chito (silenzio) e di san benito (scapolare di panno giallo col quale l'Inquisizione vestiva le persone condannate a figurare in un atto-di -fede), è una delle parole sacramentali di cui parla la nota 4. Questo scapolare si chiamava pure zamarra. Ogni persona che aveva portato il san benito rimaneva eternamente disonorata e privata d'ogni diritto civile e politico. Questa condanna si estendeva a tutti i suoi discendenti. [7] Coraza. Era un berretto alto ed acuminato, come quello che portavano le donne nel medio evo: questo berretto, con cui si coprivano i condannati al rogo, era dipinto di diavoli, di fiamme e di mille altre mostruosità bizzarre. La parola coraza fa egualmente parte del vocabolario sacramentale dei famigliari. [8] Dio. Nel gergo mistico dei famigliari questo nome significava l'inquisitor generale del regno, quello della provincia, o l'inquisizione presa in senso collettivo. [9] Chiton. (silenzio). Il terrore che l'Inquisizione inspirava agli Spagnoli era tale, che, nel timore d'essere denunziati da quello stesso col quale parlavano, gli Spagnoli l'avevano fatto passare in proverbio. Si dice ancor oggi in Spagna: -En cosas de Inquisicion, chiton! (sugli affari dell'Inquisizione, silenzio)-, per esprimere il pericolo che si corre a parlare di cose che debbono esse tenute segrete. [10] Le taverne, come le descrive l'autore, sono rare oggigiorno, anco nel quartiere di Triana. Non ne ho vedute che tre o quattro nel 1822. In Spagna, come in ogni altro luogo, le taverne, che formavano la delizia dei nostri padri, sono state trasformate in magnifici caffè ove uno si inebria, è vero, ma con maggiore spesa, ma circondato da specchi e dorature, bevendo in bicchieri di cristallo liquori e vini inferiori forse di qualità, ma molto più cari ed aventi nomi forestieri. I tavernai, anticamente persone della feccia del popolo, spesso avanzi di galera, sono oggidì trasformati in cittadini onorevoli; e mediante una patente, possono essere ad un tempo mercanti, usurai, ladri, sagrestani, devoti, elettori, spesso eleggibili e talvolta anco eletti. [11] Vedi nota 8 [12] Saavedra (Giovanni Perez de), soprannominato il Falso nunzio, fu un intrigante celeberrimo per la sua destrezza nel contraffare ogni specie di carattere. Fu egli che, aiutato da un gesuita, stabilì in Portogallo la Inquisizione e la compagnia di Gesù per mezzo di false bolle del papa e di false lettere di Carlo V e del principe Filippo, poscia Filippo II. Saavedra non si contentò di favorire gl'interessi dei gesuiti e quelli dell'Inquisizione. La sua abilità nel contraffare boni reali, e titoli di credito contro lo Stato e contro i particolari gli procurò somme considerevoli. L'inquisitore Tabera fece finalmente arrestare questo miserabile nel momento in cui usciva da una chiesa a Malaga, e l'Inquisizione, che faceva bruciare migliaia d'oneste persone per una parole, si contentò di condannare questo scellerato a dieci anni di galera. E' vero però che il Sant'Uffizio profittò dei lavori del falso nunzio; il tribunale inquisitoriale stabilito per lui, e, quel che più monta, tutti gli impieghi e dignità che Saavedra aveva conferite furono confermate dall'inquisitor generale. Diciannove anni più tardi (nel 1562), Filippo II chiamò il falso nunzio alla corte e ve l'impiegò. Questo mostro, che di sua propria mano erasi fatto vescovo, nunzio e legato a latere morì a Madrid nel 1575, ricco di più di quattrocentomila ducati, e onoratissimo. Così furono stabilite in Portogallo la compagnia di Gesù e la Inquisizione, due istituzioni degne l'una dell'altra, e nondimeno nemiche, senza dubbio, perché tutte e due tendevano al medesimo scopo, il dominio.(Llorente, Storia dell'Inquisizione). Chi sa che, per le vaste combinazioni del suo genio, il padre Lacordaire non pervenga a regalare alla Francia un'Inquisizione perfezionata! Frattanto la Francia possiede già i domenicani nei dipartimenti della Meurthe e del Basso-Reno. [13] Marrano (porco): così chiamansi in Ispagna i Moreschi e gli Ebrei convertiti alla religione cattolica. [14] Accadeva sovente che alcune vittime destinate al rogo si riconciliavano con la Chiesa, vale a dire confessavano dei delitti e dei misfatti che non avevano commessi, e si confessavano appié al patibolo. In questi casi l'Inquisizione sentiva commuovere le sue viscere materne, ed accordava ai condannati la grazia di essere strangolati avanti esser dati alle fiamme (Annali dell'Inquisizione). [15] Si chiamavano così i famigliari del Sant'Uffizio dappoiché sotto Alessandro IV, Torrequemada, fece nel 1494 armare i più giovani di coloro che lo componevano. -Questa strana milizia,- dice Llorente, Storia dell'Inquisizione, -era numerosissima, Torrequemada erasi mostrato sì crudele, aveva sì bene incoraggiato lo spionaggio, che un gran numero d'illustri gentiluomini giudicando che era più prudente appartenere all'Inquisizione che di essere tosto o tardi dichiarati sospetti, si offrivano volontariamente come famigliari del Sant'Uffizio: l'esempio dei gentiluomini congiunto ai privilegi che Ferdinando d'Aragona accordò ai famigliari trascinò una quantità di persone del volgo. Bentosto vi furono tanti famigliari quante persone sottomesse alle cariche municipali, di cui ogni individuo che apparteneva all'inquisizione era esente. I famigliari armati costituivano quello che si chiamava la milizia di Cristo; questa milizia faceva l'uffizio di guardia del corpo, tanto presso gl'inquisitori generali, quanto presso gl'inquisitori provinciali. La milizia di Cristo fu creata in Francia da Domenico di Guzman l'anno 1208, durante il regno di Filippo II, re di Francia, e del papa Innocenzo III. [16] I cattolici di Spagna facevano sì poco conto dei bei monumenti che i Mori avevano lasciato nel paese, che, ad eccezione di alcuni più rimarchevoli, di cui s'impadronirono i monaci, tutti furono abbandonati ai mendicanti, ai gitani ed ai malfattori che li posseggono ancora. [17] La confraternita della Garduna (confraternita della rapina). Sotto questo titolo esisteva in Ispagna, fino dall'anno 1417, una società segreta, composta di briganti d'ogni specie. Questa società perfettamente organizzata, aveva per oggetto la direzione in grande d'ogni specie di delitti a favore di chiunque avesse vendetta da esercitare, risentimenti da soddisfare. Si incaricava al più equo prezzo e con garanzia di dare colpi di pugnale, mortali o no, secondo il gusto del committente, di annegare, di bastonare ed anco di assassinare. L'assassinio costava caro, bisognava avere una certa importanza nel modo per ottenerlo; ma una volta promesso ci si poteva contare; perché la confraternita della Garduna poneva una esattezza disperante in eseguire le commissioni una volta che se n'era incaricata. La confraternita della Garduna si componeva d'un gran maestro chiamato hermano major (fratello superiore), che abitava la corte, ove spesso occupava un posto eminente. Questo fratello superiore indirizzava i suoi ordini ai capatazes (maestri delle provincie); questi li facevano eseguire con un'esattezza e uno zelo che farebbero onore a più di un funzionario pubblico. Il corpo della Garduna, assai numeroso, si componeva di guapos (specie di Bravi), generalmente grandi spadaccini, assassini arditi, banditi consumati il cui coraggio era a prova della tortura ed anche della forca. Nel gergo della Società questo guapos erano chiamati ponteadores, (pungitori, datori di colpi di punta). Dopo i punteadores venivano i floreadores (badaluccatori); questi erano giovani mariuoli astuti, la maggior parte fuggiti dal bagno di Siviglia, di Malaga o di Metilla, si chiamavano fratelli aspiranti. Venivano in seguito los facelles (i soffietti), così chiamati perché il loro impiego nella società era di soffiare nell'orecchio del maestro dell'Ordine ciò che sapevano delle case della città, nelle quali s'introducevano, in virtù delle loro maniere ipocrite. I facelles erano tutti vecchi bacchettoni nell'aspetto, che si vedevano sempre in chiesa con una corona in mano, menoché nelle ore di servizio presso il maestro della Garduna, o presso l'inquisitore; perché la maggior parte di questi vecchi cumulavano l'impiego di famigliare del Sant'Uffizio con quello di spia della Garduna. La Garduna aveva pure un gran numero di ricettatrici di furti che chiamava coberteras (coperte) dal verbo cubrir (coprire, nascondere); e una gran numero di giovani dai dieci ai quindici anni, che designava col nome di chivatos (caprioli). I chivatos erano i novizi dell'ordine. Bisognava almeno essere chivatos per un anno innanzi di meritare l'onore di lavorare in qualità di postulante. Un postulante che avesse ben meritato della confraternita diveniva guapo a capo di due anni di servizio .Dopo quella di maestro e di gran maestro era questa la più alta dignità che conferiva la compagnia. Oltre le persone che ho indicate, la Garduna contava un gran numero di serenas (sirene). Erano donne belle e giovani, per la maggior parte gitane. Le sirene erano le odalische della dignità dell'Ordine. Erano esse che traevano le persone indicate loro in luoghi favorevoli per le operazioni della Garduna. A tutte queste persone si aggiungevano delle guardie, degli scrivani, dei procuratori, dei monaci, dei canonici, dei vescovi ed anche degli inquisitori, i quali erano tanti strumenti protettori della Garduna, di cui avevano soventi volte bisogno, e che dava loro del denaro, e si avrà un'idea di quella società, la quale ha desolato la Spagna per più di quattro secoli. La Garduna stabilita al principio del secolo decimoquinto, fu intieramente distrutta nel 1821 dai cacciatori delle montagne, sotto i miei ordini. Le carte di questa singolare ed orribile società, le quali consistevano in molti registri contenenti gli ordini del giorno, gli statuti della confraternita ed un gran numero di lettere furono da me depositate alla cancelleria criminale di Siviglia il quindici settembre 1821. Vi esistevano ancora nel 1823. Francesco Cortina, maestro di quella Società nel 1821, arrestato con una ventina de' suoi complici fu appeso sulla piazza di Siviglia insieme a sedici de' suoi coaccusati il 25 novembre 1822. A tempo e luogo darò una traduzione degli statuti della Garduna. In questo capitolo l'autore copia quasi parola per parola l'ordine del giorno del 15 febbraio 1534. [18] Mandamiento (comando). [19] Floreo è una parola che viene da florear (badaluccare) ; nel gergo dei ladri spagnoli florear significa dar colpi di coltello; floreo dunque deve essere tradotto uccisione col pugnale. [20] Gli spagnoli danno questo nome alle persone di bassa classe, la cui negletta educazione ha riempito la Spagna di mariuoli e di ladri. [21] Così si chiamano le guardie. [22] E' una specie di striscia di cuoio di cui si serviva il carnefice in Ispagna per frustare coloro che erano condannati alla frusta e all'esposizione. [23] Così chiamatasi il cavalletto, asta triangolare, sulla quale si mettevano a cavalcioni gli accusati che non volevano confessare. Quest'asta, che era uno degli strumenti di tortura di cui si serviva l'Inquisizione, era pure impiegata dalla giustizia ordinaria. [24] Le angosce che precedono lo strangolamento. [25] Nel linguaggio dei graduni questa parola significa confessare. [26] I barcollamenti degli appiccati. [27] In Ispagna le persone condannate all'esposizione son fatte passeggiare sopra un asino per tutta la città, col corpo nudo fino alla cintola. [28] La marina reale in termini di gergo significa le galere del re, in cui i forzati erano condannati a remigare per molti anni; i forzati di chiamavano allora galeotes. [29] Le mani della giustizia. [30] Uncini, ladri. [31] La prigione. [32] Gli appiccati. [33] Condotti alle galere. [34] Condannati sull'asino per tutta la città. [35] Le donne di cattiva vita, specialmente persone che fanno l'orribil mestiere di corrompere la gioventù, erano punite in Ispagna di una maniera singolare. Non è ancor molto tempo che quando una donna era convinta d'essersi prostituita o di aver trascinata un'altra a far ciò, si condannava ad essere impiumata. Ecco come aveva luogo l'esecuzione di questa sentenza. Alle ore undici del mattino il boia si recava presso la condannata, e, aiutato da' suoi giovani, la spogliava intieramente fino alla cintola. Poscia copriva il suo capo con una coraza, dopo di che si faceva salir la condannata sopra un asino, e si attaccava il suo collo ad una specie di cerchio di ferro, fissato ad una sbarra pure di ferro, la cui estremità inferiore si appoggiava sul basto dell'asino; poscia si faceva passeggiare lentamente fra due file di soldati e di guardie e scortata da una folla di popolo. Dietro la condannata camminavano due giovani del boia, i quali portavano un gran paniere colmo di penne di pollo, il banditore pubblico ed il boia stesso. La cavalcata si fermava nelle principali strade e piazze della città, ed a ciascuna fermata il banditore pubblico leggeva ad alta voce la sentenza che condannava la paziente ad essere impiumata, spiegandone il motivo; il banditore pubblico finiva sempre con questa formula: -così si paghi chi ha fatto ciò.- Pronunziate queste parole, prendeva delle penne e le gettava sul miele di cui era coperto il corpo della condannata; queste penne vi rimanevano attaccate, il che in capo a qualche tempo le dava un aspetto schifoso e grottesco ad un tempo, che faceva ridere la folla. In gergo questo si chiama esser passato al miele. [36] Rubando. [37] Meritato d'esse denunziato. [38] Il guapo fa qui allusione a certe confraternite che, anco nel 1820, percorrevano le vie delle città di Spagna domandando per fare delle novene alla Madonna del Rosario, e a qualunque altra Madonna, delle elemosine che impiegavano santissimamente per fare dei pasti gustosi dopo aver levate le spese. Ora queste spese consistevano in una dozzina di moccoli di cera che si portavano fuori in tante lanterne piantate a capo d'un bastone, e nel pagamento d'un facchino incaricato di portare uno stendardo coll'effiggie della Madonna. Il numero di queste confraternite, ascendeva a sessantanove soltanto in Madrid nel 1820. In quest'epoca pure si poteva appena passeggiare nelle strade delle grandi città della Spagna durante la sera senza incontrare molti rosarii, vale a dire molte compagnie d'ipocriti e d'imbecilli, posti su due file che recitavano il rosario ad alta voce e con aria più che distratta, senz'altra interruzione fuorché la voce stridula de los demandaderos (gli accattoni) che belavano a ciascun termine d'Ave Maria: -Dateci qualcosa per la Madonna del Rosario, fratelli!-E le monete cadevano involte in un pezzo di carta, che ardeva, affinché l'accattone potesse vederle! Oh! Monaci di Spagna, ecco i vostri tratti! [39] I fratelli della Garduna passavano per tre gradi come i frammassoni; erano dapprima chivatos (apprendisti o novizi), poi postulanti, poi, finalmente erano ricevuto guapos (maestri). Soltanto dopo aver ottenuto quest'ultimo grado potevano essere incaricati delle uccisioni e degli assassini che si commettevano alla confraternita. [40] La Garduna non era una società irregolare. Ecco gli statuti che la governavano. Art. 1. Ogni galantuomo fornito di buon occhio, di buon orecchio, di buone gambe e pronta lingua può divenire membro della Garduna. Potranno divenirlo pure le persone rispettabili d'una certa età che desidereranno servire la confraternita, sia tenendola al giorno delle buone operazioni da farsi, sia dando i mezzi per eseguire le dette operazioni. Art. 2. La confraternita riceverà eziandio sotto la sua protezione ogni matrona che avrà sofferto per la giustizia, e che vorrà incaricarsi della conservazione e della vendita dei diversi oggetti che la divina Provvidenza si degnerà di mandare alla confraternita, non che le donne giovani che saranno presentate da qualche fratello. Queste ultime a condizione di favorire con tutta la loro anima e con tutto il loro corpo gli interessi della confraternita. Art. 3. I membri della confraternita saranno divisi in chivatos, postulantes, guapos e facelles. Le matrone saranno chiamate coberteras e le giovani serenas. Queste ultime devono essere giovani, svelte, fedeli ed attraenti. Art. 4. I chivatos, fintantoché avranno imparato a lavorare, non potranno intraprendere nulla da sé soli, e non si serviranno del pugnale che in propria difesa. Saranno nutriti, alloggiati e mantenuti a spese della confraternita. Ciascuno di essi riceverà a quest'uopo dai capi centotrentasei maravedis (un franco) al giorno. Nei casi di qualche distinto servigio reso da un chivato, questi passerà subito all'onorevole categoria di postulante. Art. 5. I postulanti vivranno dei loro artigli; questi fratelli saranno esclusivamente incaricati degli eclissi, operati a mano lesta per conto ed a favore dell'Ordine. Per ciascun eclisse il fratello operante riceverà il terzo lordo, dal quale trarrà qualcosa per le anime del purgatorio. Degli altri due terzi uno sarà versato alla cassa per sovvenire alle spese della giustizia (per pagare le guardie, i cancellieri ed anco i giudici che proteggeranno i fratelli), e per far dire delle messe per le anime dei nostri fratelli trapassati, e l'altre per essere a disposizione del gran maestro dell'Ordine, obbligato a vivere alla corte(*) per vegliare al benessere e alla prosperità di tutti. Art. 6. I guapos avranno per essi gli oscuramenti, i sotterramenti, i viaggi, i bagni ed i battesimi. Di queste due ultime operazioni potranno incaricare un fratello postulante, sotto la loro responsabilità. I guapos avranno il terzo lordo del prodotto di tutte le loro operazioni; soltanto daranno il trenta per cento del loro provento per l'alimentazione e il mantenimento del chivato, e quello che vorranno per le anime del purgatorio, il rimanente del prodotto delle loro operazioni sarà distribuito come è detto nell'articolo 5. Art. 7. Le cobertas riceveranno il dieci per cento su tutte le somme che realizzeranno, e le sirene sei maravedis per ciascuna pesata (franco) versati nella cassa dai guapos, tutti i regali che riceveranno da nobili signori, dai monaci ed altri membri del clero apparterranno loro in proprio. Art. 8. Il capataz, o il capo di provincia, sarà nominato fra i guapos che avranno almeno sei anni di servizio, e che saranno benemeriti della confraternita. Art. 9. Tutti i fratelli debbono piuttosto morire martiri, che confessori, sotto pena di esser degradati, esclusi dalla confraternita, ed al bisogno perseguitati da essa. Fatto a Toledo l'anno di grazia 1420 ed il terzo dopo l'istituzione della nostra onorevole confraternita. Firmato: El Collmiludo. (*) Nel 1534 il gran maestro della Garduna stava ancora a Toledo. Non fu che molto più tardi, sotto il regno di Filippo III, che si stabilì in Madrid, ove divenne segretario del monarca, sotto il nome di Rodrigo Calderon, grazie alla debolezza del duca di Lerma ed alla potente protezione del gesuita Francesco Luigi de Allaga, confessore del re, ed inquisitore generale della Spagna dal 1618 al 1621. [41] Colpi di pugnale. [42] Ricevendo il suo salario, ciascun garduno aveva il costume di gettare qualche soldo in una cassetta attaccata al muro sotto una immagine della Vergine nella sala della Garduna. [43] Assassinare [44] Annegamenti. [45] Rubamenti sulla strada maestra [46] La posta. [47] Assassinio. [48] La corte criminale. [49] Mandamiento aveva ragione. Fra le carte prese nell'arresto di Francesco Cortina, e nella distruzione della Garduna nel 1821, si trovava un registro sul quale i comandi che diversi membri dell'Inquisizione avevano diretti alla confraternita nello spazio di centoquarantasette anni, vale a dire dal 1520 fino al 1667, ascendevano a mille novecentoottantasei, ed avevano prodotto centonovantotto mila e seicentosettanta franchi, vale a dire cento franchi circa per ciascuno. Fra questi comandi fatti dai propagatori della fede, i ratti di donne figurano per un terzo circa, le uccisioni e gli assassinii formano, presso a poco, un latro terzo, le correzioni, vale a dire gli annegamenti, i colpi di pugnale, le false denunzie e le false testimonianze il rimanente. Questo registro depositato alla cancelleria criminale di Siviglia, fu uno dei documenti più aggravanti contro Francesco Cortina e correi. Per rendere testimonianza alla verità debbo aggiungere che nessun comando fatto da membro dell'Inquisizione figurava in quel registro dopo il 1797. [50] Isabella di Castiglia, moglie di Ferdinando d'Aragona, ebbe orrore della crudeltà del Sant'Uffizio, e si oppose per moltissimo tempo allo stabilimento dell'Inquisizione moderna di Castiglia. Torrequemada, confessore di Ferdinando, uomo astuto quanto fanatico, sotto pretesto di servire la politica avara del re, più che impetrare, strappò a forza questo consenso della religiosa Isabella, dappoiché nella sua qualità d'inquisitor generale volle dominare sopra l'autorità reale. La nobile regina rispose un giorno ad una nuova esigenza dell'inquisitore, che osò accompagnare con le mianccie: -Monaco! Non dimenticate che un ordine reale ha stabilito l'Inquisizione, ed un ordine può annullarsi.-(Cronicas de los ryes catolicos don Fernando de Argon y dona Isabel de Castilla. Per Luigi Ponzio de Leon storico di Castiglia.) [51] Si sa che verso questa stessa epoca Carlo V stabiliva l'Inquisizione spagnola nei Pesi Bassi, sotto il nome di tribunale spirituale; più tardi, sotto Filippo II, questo tribunale fece perire più di milleottocento persone nello spazio di tre anni (Meiners, Storia della Riforma). L'America e tutte le possessioni spagnole d'oltremare e dell'Italia erano pure sotto il giogo dell'Inquisizione spagnola. [52] Banditore di notte. [53] I chivatos o apprendisti della Garduna servivano principalmente a fare da sentinella durante le operazioni dei garduni. In caso di pericolo o d'allarme, imitavano a meraviglia il grido di un animale o il canto d'un uccello. La notte era la voce del grillo, il grido del barbagianni o della civetta, il gracchiare delle ranocchie o il miagolare del gatto, secondo la stagione o la consegna che avevano ricevuto. Il giorno era l'abbaiare del cane o il grido degli animali che dividono la vita e le abitudini con gli uomini. [54] Il sereno è la guardia notturna. In tutte le grandi città di Spagna alcuni uomini incaricati di vegliare alla sicurezza pubblica e di dare l'allarme, in caso d'incendio, passeggiano ciascuno nel suo quartiere, armati di una lancia. Chiamata cuzo, di una lanterna e di un fischio di rame. La lancia serve loro a difendersi ed anco ad attaccare al bisogno, la lanterna a far loro lume ed a fornir luce alle pattuglie in caso di necessità, ed il fischio a chiamarsi gli uni con glia altri in caso di attacco contro qualche malfattore. I sereni sono obbligati a bandir l'ora ogni cinque minuti per constatare che vegliano. L'utile istituzione dei sereni rimonta al secolo decimoquinto. Fu Isabella di Castiglia che li creò nel 1495 a Granata, per vegliare sopra i Mori della città che temevasi sempre dovessero ribellarsi. I sereni esistono ancora nella maggior parte delle grandi città della Spagna. Sarebbe da desiderarsi che la polizia di Parigi che ha la pretensione di vegliar bene alla sicurezza pubblica, mettesse qualche cosa di simile nei dintorni dei ponti e agli ingressi del canale , ove, in mancanza di luce e di agenti di polizia, la vigilanza dei sereni perverrebbe forse a diminuire il numero dei cadaveri che si veggono giornalmente esposti alla Morgue. [55] Il calzare notturno era una specie di calza di cuoio di bufalo, il quale si adattava con fibbie e nastri ai piedi dei muli che trascinavano le vetture impiegate agli arresti notturni dell'Inquisizione. La prima di quella calza consisteva in un denso strato di stoppa, cucito tra due pezzi di cuoio. Così, calzati i muli potevano camminare a pochi passi di distanza da un uomo senza che questi fosse avvertito per alcun rumore del loro avvicinarsi. Questo calzare, dovuto al genio infernale dell'inquisitore Deza, esisteva ancora nell'arsenale inquisitoriale di Malaga nel 1820, quando le porte del Sant'Uffizio furono fracassate, ed i prigionieri liberati al grido di Viva la libertà! In questa stessa epoca, lo sventurato generale Torrijos, liberato dalle carceri dell'inquisizione, ove era da due anni rinchiuso, si impadronì di uno di quei calzari. Due altri furono presi da un inglese, Thomson Wilkings, che li conservava ancora nel 1838 a Londra, Paddington place, ove li mostrava a tutti i suoi amici. Si vede che questo tribunale, che pretendeva di essere il difensore della religione di un Dio di pace, sapeva prendere le sue precauzioni perché gli eretici non gli sfuggissero. [56] Gli Spagnuoli, gli Andalusiani specialmente, hanno una destrezza prodigiosa a maneggiare quest'arme micidiale. I famigliari del Sant'Uffizio, principalmente i birri, non uscivano mai per una spedizione senza avere in tasca il nodo scorsoio. Questo laccio di seta serviva loro raramente per strangolare un nemico che resisteva. Chi avrebbe osato resistere all'Inquisizione? Il nodo scorsoio era singolarmente impiegato a strangolare i cani, che, abbaiando, potevano dare l'allarme, e al bisogno, per estinguere le grida dei prigionieri finché si fosse potuto metter loro un bavaglio. Si veda come la crudeltà dell'Inquisizione era freddamente ed abilmente calcolata. [57] Il Papa. [58] L'autore fa qui un anacronismo volontario. L'inquisizione non fu stabilita in Portogallo, che nel 1551 o 1552 dal falso nunzio Giovanni Perez de Saavedra, di cui ho già parlato. [59] Questa scena d'orgia, che l'autore ha descritto sembrerà esagerata, e forse malevolenta a qualcuno dei nostri lettori: tuttavia simili scene avevano sovente luogo presso i grandi dignitari della chiesa di Spagna. Si legge nello storico Mariana, che mentre il maestro di casa del re Enrico III era obbligato di mettere in pegno il mantello del suo padrone per comprare da pranzo, i signori della corte si abbandonavano presso l'arcivescovo di Toledo, residente in Burgos, a tutti gli eccessi della tavola, in compagnia di molti vescovi e di altri grandi prelati di Castiglia. [60] I Gesuiti [61] Si crede generalmente che la Spagna abbia subito con pazienza e viltà il giogo del dispotismo e dell'Inquisizione: è un errore. Gli Spagnoli non hanno mai cessato di lottare per la loro libertà politica e per la loro liberà religiosa. Fin dal principio del secolo decimoquinto i comuni e le Cortes hanno sempre protestato con energia contro il dispotismo ipocrita o stupido del re e contro l'avarizia insaziabile dei monaci di Roma. Padilla, Porlieur, il grande giustiziere d'Aragona, e migliaia d'altri coraggiosi difensori dei diritti dell'umanità han pagato col loro sangue gli sforzi che hanno fatto per liberare la Spagna dal dispotismo reale. Giovanna Bohorques, Maria di Borgogna, soprannominata la madre dei poveri, Rodrigo de Valero e molti altri cristiani secondo Gesù Cristo, sono stati martiri, il cui sangue ha fecondato la religione del Vangelo, e segnato in fronte con una stimmate d'infamia i superbi carnefici che osavano chiamarsi ministri di un Dio di pace. E non si dica che tutti coloro i quali sono stati perseguitati dalla Inquisizione fossero eretici. Giovanni d'Avila, san Giovanni di Dio, santa Teresa, san Giovanni della Croce, frate Luigi de Leon, frate Luigi di Granata, Mariana, vale a dire uomini che Roma stessa si è vista costretta di proclamare santi, od uomini il cui talento ha riempito l'Europa, hanno pure sofferto le persecuzioni di quell'odioso tribunale, che sarebbesi potuto chiamare succursale dell'inferno, ed hanno costantemente lottato con la loro eloquente parola contro quel potere iniquo, contrario a tutte le leggi di Dio e degli uomini. (Processo verbale dell'Inquisizione e Storia generale di Spagna, per Mariana.) [62] Quando una vittima dell'Inquisizione confessava tutto ciò che si voleva, ed assoggettavasi a tutte le penitenze ed a tutte le umiliazioni che si esigeva da essa, il tribunale era costretto a rilasciarla, e contenersi in qualche grossa multa a termine delle leggi inquisitoriali stesse. Il genio distruttore e avido di Deza e di Lucero trovò il mezzo di non contentarsi di sì poco, accusando quelli che sfuggivan loro di tal guisa di aver fatto confessioni senza sincerità, dichiarandoli falsi penitenti. Questi erano bruciati o condannati alla prigione perpetua, e tutti i loro beni confiscati. (Storia dell'Inquisizione regno di Deza.) [63] Qualche tempo prima della presa di Granata, eseguita da Ferdinando d'Aragona ed Isabella di Castiglia, vale a dire verso l'anno di grazia 1493, un gran numero di cavalieri delle tribù degli Ebencerragi, Gomeles e Gazulez [64] Durante il regno dell'inquisitore generale Deza e del suo protetto l'inquisitore di Cordova, Lucero, le crudeltà, o, per meglio dire, le iniquità del Sant'Uffizio esasperarono sì fortemente gli Spagnuoli, che da tutte le parti si alzarono voci eloquenti contro quegli uomini, i quali sotto il nome di difensori della fede, avrebbero fatto dubitare della fede degli apostoli stessi. Deza, dopo essere stato sospeso dalle sue funzioni da Filippo I, riprese il suo posto alla morte di quel principe, accaduta nel 1506, nel quarto mese del suo regno, e bentosto cancellò tutto quanto aveva fatto il Consiglio della Suprema, e rimise Lucero nelle sue funzioni. Fin d'allora cominciò una persecuzione feroce contro il santo vescovo di Granata, Ferdinando de Talavera, e contro il savio Antonio de Nebeija; quest'ultimo fu denunziato al Sant'Uffizio per aver scoperto e corretto molti errori che esistevano nel testo latino della volgata. Queste persecuzioni, congiunte alle crudeltà di Lucero stancarono gli Andalusiani, i quali si sollevarono, forzarono le prigioni del Sant'Uffizio, e ne fecero uscire i detenuti che erano un numero incalcolabile. Il fiscale, il cancelliere del tribunale dell'inquisizione e molti impiegati subalterni furono arrestati a Cordova, e Lucero non dovette la sua salvezza che ad una pronta fuga. Questi avvenimenti congiunti coll'arrivo in Ispagna di Ferdinando V, reggente del regno, inspirarono tanto terrore a Deza, che rinunziò da se stesso al suo impiego, dopo aver fatto bruciare vive duemila e cinquecento persone, e l'effige di altre ottocentoventinove ed aver condannato alla prigione perpetua o alla galera con confisca dei beni trentaduemila e novecentocinquantadue accusati. Fu per conoscere i processi di numerose persone arrestate all'occasione di queste turbolenze che l'inquisitore Cisneros, successore di Deza, più politico e non meno crudele del suo predecessore, sollecitò ed ottenne dal re permissione di formare una giunta composta di ventidue persone fra le più considerevoli del regno, per terminare convenevolmente i processi intentati agli abitanti di Cordova dall'inquisitore Lucero. Questa giunta che prese il nome di congragazione cattolica, tenne la sua prima assemblea a Burgos nel 1508. Dopo un lavoro di molti mesi, la giunta dichiara: 1. che i testimonii uditi da Lucero nell'affare Cordova erano indegni di fede; 2. che tutti gli accusati che si trovavano in prigione erano innocenti e dovevano essere immediatamente messi in libertà; 3. che la memoria di coloro che erano stati bruciati sarebbe riabilitata; 4. finalmente, che le case spianate per ordine di Lucero e di Deza dovevano essere ricostruite a spese del tesoro. Questa decisione della congregazione cattolica, ricevette la sua intera esecuzione dopo essere stata solennemente pubblicata a Valladolid in mezzo agli applausi del popolo, che credeva aver finalmente rotto il giogo dell'Inquisizione. Povero popolo! Nella sua lealtà ignorava che l'Inquisizione accordandogli una tregua ingannevole, si riserbava di colpirlo meglio in avvenire, dopo averlo bene inviluppato nell'immensa rete di quelle astuzie senza nome, che il clero ha saputo sempre impiegare per ingrandire la sua potenza temporale.(Storia dell'Inquisizione). [65] Lucero aveva ricevuto dagli Spagnuoli l'epiteto di tenebroso. Lucero in ispagnuolo significa stella brillante. [66] Ospizio fondato da S. Giovanni di Dio verso la metà del secolo XVI, per il trattamento della lebbra, e di quella crudele malattia importata in Europa dai compagni di Cristoforo Colombo [ la sifilide n.d.c]. [67] Lettera di san Giovanni d'Avila a san Giovanni di Dio, suo discepolo. [68] San Giovanni di Dio ha consacrato sessant'anni della sua vita a sollevare l'umanità sofferente. Egli ed isuoi discepoli hanno scoperto la maggior parte degli specifici adoprati anco oggidì nel trattamento delle malattie che si studiavano di guarire. Avanti la sua morte san Giovanni di Dio fornì la Spagna di più di sessanta spedali, tutti serviti dai monaci del suo Ordine. Perché tutti i monaci non hanno saputo attirarsi le bendizioni del popolo come i Fratello Ospitalieri? [69] Melopia. Così chiamavasi in Ispagna la minestra, o, per meglio dire, l'gnobile miscuglio che i monaci distribuivano ai numerosi mendicanti di cui era pieno il paese, grazie al fanatismo ed alla crudeltà dell'Inquisizione. La parola melopia è una correzione della parola mezelopia (miscuglio), derivante dal verbo mezelar (mescolare). L'autore nel suo capitolo XVI darà dei particolari esatti e sventuratamente troppo veri su quella carità monastica. [70] Ci potremmo difficilmente formare una giusta idea del fanatismo che i malfattori Spagnuoli pongono nell'adempimento delle loro promesse. Crederebbero rendersi gravemente colpevoli e disonorarsi per sempre se, dopo aver ricevuto del denaro per commettere un omicidio mancassero al loro impegno. Essi hanno, se è permesso esprimersi così, la probità del delitto; tanto la lealtà ha profonde radici nel cuore di quel popolo sì orribilmente snaturato da un cattivo sistema politico, assoggettato alle insaziabili esigenze di Roma ed alla incredibile ferocia dell'Inquisizione. [71] Infatti eravi in quell'epoca un impiegato alla corte le cui funzioni stavano fra quelle di favorito del re, e soprattutto dei gran signori della corte, e quelle di buffone, o, per meglio dire, cumulava questi due impieghi. I Sivigliani pretendono anco oggidì che il Colmilludo fosse il capo della Garduna, e quando vogliono esagerare l'abilità o la scelleratezza d'un bandito dicono: Es mas ladron y mas malo que el Colmilludo; è più ladro e più malvagio del Colmilludo. [72] La giustizia. [73] Il carnefice. [74] I malfattori e tutte le persone senza casa e senza tetto che vivono di rapine e baratterie camminano in ischiere e circondati da giovani adepti, che fanno sentinella durante le loro operazioni. Questi giovani, esercitatissimi ad imitare il canto del grillo, l'abbaiare del cane, il miagolare del gatto ed il gracchiare delle ranocchie, avvertono con queste voci coloro che sono occupati in qualche faccenda proibita. Accade spesso che, in pieno giorno, nel mezzo di una passeggiata, si oda un concerto di ranocchie, una disputa di gatti, e tutto ad un tratto si vegga fuggire una schiera di ladri che erano occupati a derubare, a giuocare alle carte o ai dadi, delle persone semplici del basso popolo, e spesso dei fanciulli. [75] Coltelli lunghi ed acuminati, di una tempra incomparabile di cui si servono i duellisti in Ispagna. [76] Così chiamasi in Ispagna certi ladri, i quali, senz'altro capitale che un mazzo di carte, percorrono i mercati, le fiere, gl'ingressi delle carceri correzionali, presentando le loro carte, o per meglio dire, facendole pagare un tanto la partita a quelli che vogliono giuocare. I barattieri sono tanto gelosi gli uoni contro gli altri che spesso decidono con una sfida al coltello quale di loro presterà le proprie carte. [77] Un duellista di coltello avendo incontrato il suo nemico addormentato a piè d'un albero, lo svegliò e gli offrì gentilmente di battersi; proposizione che l'altro accettò con egual gentilezza. Terminato il duello il meno ferito dei due combattenti aiutò l'altro a ritirarsi nel primo corpo di guardia, sostenendolo come un amico tenero ed affezionato. Giunto al posto che io comandavo ambedue si misero fra le nostre mani. Furono mandati allo spedale, alle infermerie della prigione di città, poiché leggi severe proibivano in Ispagna la sfida al coltello, la più pericolosa di tutte le sfide. Uno di loro dovette soccombere alle sue ferite, l'altro fu appiccato. Egli aveva amato meglio costituirsi che abbandonare il suo avversario moribondo in mezzo ai boschi, ciò che sarebbe stata una macchia indelebile; sarebbe stato disonorato per sempre agli occhi di tutti i barattieri, di tutte le civetta, e agli occhi di tutta la schiera dei forzati liberati o fuggiti. Quell'abbandono sarebbe stato guardato come un atto di viltà più degradante della mannaia del carnefice, più infamante delle galera. Abbandonare un bravo, il quale erasi volontariamente esposto ai perigli di una sfida al coltello, non era cosa possibile nei costumi spagnuoli. [78] E' una specie di vessillo rotondo, che ha la forma di una torre terminata a punta e sormontata da una croce: è di velluto nero, ornata da un gallone d'oro per le persone maritate e le vedove, e d'un gallone d'argento per i celibi, i giovani ed i fanciulli. [79] La tomba della salute era presso i monaci quello che per i framassoni la camera di meditazione. In quella tomba tutto era calcolato per agir sull'immaginazione del neofito, che, già esaltata per tre giorni di digiuno quasi assoluto, penava in modo incompatibile. Ho sentito dire da padre Antonio, monaco onestissimo, e buon vivente quant'altri al mondo, il giorno successivo alla sua elezione al priorato dei monaci di S. Girolamo in Madrid, che quantunque amasse meglio d'esser priore del suo convento, che grande di Spagna di prima classe, avrebbe rinunziato volentieri a questo posto, se gli fosse stato mestieri rinnovare le cerimonie della professione, e rimanere un'ora sola nella tomba della salute. -Io credo,- egli dice, -che si dovrebbe chiamare la caverna di Satana; perché se io credessi al diavolo, non dubiterei di averlo veduto con tutta la sequela dei demoni e degli spiriti. Dopo aver udito le esortazioni del maestro dei novizi, dopo aver passato tre giorni in digiuno, quasi senza bere, ed esser rimasto una mezz'ora nella tomba della salute, io comprendo la tentazione di sant'Antonio e vi credo.- Questo discorso di un monaco non prova che alle cerimonie gravi e piene di semplicità del culto cristiano, i monaci hanno sostituito una fantasmagoria ridicola ad un tempo ed empia, fatta più per allucinare i sensi, che per elevare lo spirito? [80] Tutti gli storici i quali hanno scritto sull'Inquisizione si accordano a dire che quando una persona era stata arrestata e rinchiusa nelle carceri del Sant'Uffizio, non si lasciava comunicare con chicchessia, nemmeno co' suoi più prossimi parenti: di più poi, se qualcuno osava intercedere a favore di un prigioniero, o cercava di scolparlo, era immediatamente sotto la stessa imputazione di colui che aveva preso a difendere. [81] per una tradizione moresca giunta fino ai giorni nostri, credesi generalmente fra il popolo che la Giralda sia stata fabbricata dai genii, che ne facciano tuttavia la loro abitazione. [82] -Le dottrine di Lutero e di Calvino non commovevano soltanto l'Alemagna, l'Inghilterra, la Svizzera, la repubblica di Genova e il mezzogiorno della Francia, in Ispagna, nei conventi specialmente, esse avevano pure numerosi partigiani. Sembra certo che un gran numero di Spagnuoli, fra i quali si contavano degli ecclesiastici, avessero trovato il mezzo di procurarsi libri pubblicati in Alemagna dai protestanti di Spira.- (Llorente, Storia dell'Inquisizione.) [83] Nel 1559, in un atto-di-fede generale che ebbe luogo a Valladolid sotto gli occhi del principe don Carlo e della principessa Giovanna, si arsero le ossa e la statua di una donna per nome Eleonora de Vibero y Casalla, morta da buona cattolica, accusata e convinta, dopo la sua morte, per mezzo di deposizioni strappate a testimoni sottomessi alla tortura, di aver prestata la sua casa ai Luterani di Valldolid per celebrarvi le cerimonie del culto protestante. Questa dama dichiarata morta nell'eresia, e la sua memoria condannata all'infamia fino nella sua posterità; i suoi beni furono confiscati, e la sua casa smantellata, con proibizione di ricostruirla. Sulle rovine di quella casa si alzò un monumento con una iscrizione relativa a questo avvenimento.

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