Cristoforo Colombo nacque a Genova, probabilmente nella casa dell'Olivello,
vicino a Porta S. Andrea, fra l'agosto e l'ottobre 1451, primo figlio di
Domenico, lanaiolo e di Susanna Fontanarossa. Ebbero altri tre figli,
Giovanni, Bartolomeo e Diego.
Il padre di Colombo, verso il 1470 si trasferì con tutta la famiglia a
Savona. Avviò i quattro figli all'arte della lana poi facendo poco affari,
avviò i figli al piccolo commercio marittimo e questi abbandonarono
definitivamente Savona. Cosicchè le condizioni finanziarie di Domenico
peggiorarono, anche quando il figlio era già diventato famoso.
Nel '494, rimasto solo, Domenico chiuse bottega a Savona e rientrò a Genova.
Qui possedeva due case, che dovettero essere vendute, ma non furono
sufficienti i soldi per pagare i debiti. Alla fine del '94 Domenico morì
indebitato e povero.
Nel periodo nero di Savona, i figli quasi tutti intorno ai vent'anni
cercarono di rendersi indipendenti. Il primo ad abbandonare la famiglia fu
Bartolomeo, s'imbarcò dandosi per molto tempo alla navigazione. Il
Portogallo era la meta prescelta dai navigatori liguri per i commerci che vi
si svolgevano. Bartolomeo viaggiando molto, si appassionò così tanto alla
cartografia allora usata, che presto iniziò ad essere così esperto da
fornire alla marina dello Stato portoghese le ricercatissime carte nautiche.
Divenne un lavoro ben pagato tanto da decidere di fare solo quello, e smise
di navigare prendendo nel '72 la residenza a Lisbona. Questa passione lo
trascinò a fare ricerche, a scoprire vecchie carte, testi, relazioni di
naviganti. Mano a mano che scopriva questo "mondo" sommerso nei testi
storici, che però riportavano geniali intuizioni, le folgorazioni furono
così tante che sopraggiunse la passione per l'ignoto e i sogni fantastici.
Anche CRISTOFORO, quand'era partito il fratello da Savona, vedendo le
disastrose condizioni economiche del padre lo aveva imitato; si era
imbarcato anche lui - non sappiamo con quali funzioni, ma non avendo molti
studi, probabilmente mozzo- compiendo alcuni viaggi nei porti del
Mediterraneo allora possessi genovesi, come Scio e Chio. Infine nel '74
lasciò la Liguria e si trasferì a Lisbona, raggiungendo così il fratello.
La passione di Bartolomeo fu subito trasmessa al fratello, e i sogni
fantastici pure, però con un Colombo più deciso a realizzarli, fino al punto
che cominciò a progettare l'impresa ritenuta una pazzia, quella di
raggiungere le Indie via ovest. Ma dove trovare i mezzi? Colombo convinse il
fratello di proporre l'impresa a Enrico VII re d'Inghilterra o alla corte
francese.
Bartolomeo, sappiamo, partì per l'Inghilterra, portando in regalo al re
perfino un suo planisfero, ma si attardò così tanto che Colombo, sempre più
deciso a realizzare l'impresa, prima del suo rientro, aveva illustrato
l'impresa sia alla corte del Portogallo sia in quella Spagnola, e ricevuto
da quest'ultima i finanziamenti, aveva già allestito la spedizione ed era
partito.
Ma ritorniamo al suo viaggio a Lisbona nel 1474. Dopo il suo arrivo, la
passione comunicatagli dal fratello lo portò a frequentare un cosmografo;
tra un disegno e una carta nautica conobbe sua figlia, se ne invaghì e nel
1479 prese in moglie Felipe Moniz, figlia appunto di Bartolomeo Parestrello,
di professione cosmografo e capitano colonizzatore di Porto Santo, dove
aveva raccolto mappe, portolani, antichi libri greci e arabi, appunti sulle
rotte atlantiche delle coste africane, di Madera, e delle Azzorre;
quest'ultima una importante base per tutte quelle gelose scoperte fatte dai
portoghesi in Atlantico. L'infante Re Enrico fu chiamato proprio "il
navigatore", anche se lui non navigava.
Tra il '74 e il '79 Colombo aveva nel frattempo compiuto un viaggio in
Inghilterra, si era recato poi a Madera, a Porto Santo e molto probabilmente
aveva navigato intorno all'Africa occidentale, sino alla Guinea.
E proprio a Porto Santo aveva conosciuto Parestrello. Fino a quel tempo
Colombo non aveva avuta alcuna istruzione scientifica, ma solo quella
fornitagli dal fratello oltre la sua esperienza di un paio d'anni come
semplice marittimo. Con Parestrello invece si formò la sua cultura
cosmografica e geografica; e diventato suo suocero non si limitò a fargli
leggere carte nautiche ma i classici, Eratostene, Plinio (Storia naturale),
Pausania, Zacuto, l'opera del card. Pietro d'Ailly ( Imago Mundi e
Piccolomini (Pio II Historia Rerum) che avevano trattato l'argomento con le
concezione della distribuzione di terre e mari. Alcune errate, altre esatte
ma Colombo queste ultime a quel tempo non lo poteva certo sapere: erano solo
intuizioni, alcune sempre rifiutate, altre del tutto sconosciute. A Porto
Santo ci rimase due anni; e oltre che aver l'Atlantico davanti, in casa
aveva una raccolta impressionante di carte, di pergamene di libri. Morto il
suocero la suocera gli donò tutto.
Ma l'osservazione più preziosa che fece Colombo sull'isola, fu quella di
riscontrare, che il vento costantemente spirava da ponente verso levante.
Anche il racconto di Marco Polo gli accese la fantasia e gli fece nascere il
desiderio di giungere al mitico Cipango o Zipungo per la via d'occidente.
Non abbiamo testimonianza di Colombo, se lesse anche le scoperte, a
proposito dell'oceano Atlantico (e di una terra al di là del mare) fatte dai
Cartaginesi, dagli Scandinavi, dagli Irlandesi, dai Normanni, dai fratelli
Zeno. Sappiamo solo che ebbe molti contatti con Toscanelli e il Cardinale
Martines, e questi sappiamo che tutte queste scoperte le conoscevano
benissimo, e sapevano anche quant'era la circonferenza della Terra.
A Lisbona infatti Colombo conobbe il dotto canonico: FERDINANDO MARTINES (o
Martins) il quale fin dal 1474 era stato in corrispondenza con PAOLO dal
POZZO TOSCANELLI, reputatissimo cosmografo fiorentino che aveva ideato un
ardito piano di viaggio transatlantico.
Colombo, ormai entrato dentro nel firmamento della cosmografia tramite il
suocero Parestrello, e con le notizie di Martinez, chiese al Toscanelli una
copia della lettera inviata nel '474. Toscanelli non solo gli spedì la
lettera, ma aggiunse anche una carta geografica nautica dandogli altri
consigli, altre notizie nel frattempo venute a sua conoscenza, oltre a
dargli incitamenti calorosi.
Colombo in base a questa carta ne disegnò un'altra grande, probabilmente ne
aveva bisogno per mostrare la situazione delle terre e dei mari al di là di
Gibilterra e poter convincere i finanziatori dell'impresa o per i
contraddittori degli increduli. (La carta nautica, disegnata da Colombo é
oggi conservata alla biblioteca naz. di Parigi, fu riscoperta solo nel
1924. ).
A quel tempo governava il Portogallo re Giovanni II. Era anche lui un
appassionato di avventure marittime; Colombo infatti a lui si rivolse.
Progetto ardito, straordinario, ma nonostante il fervore di Colombo nel
presentarglielo, il re pur entusiasta, non osò andare oltre le sue
impressioni e la sua passione, nominò quindi una commissione per valutarlo.
La commissione, composta da vecchi capitani, studiò il progetto, ma
conservatrice, diffidente e anche superstiziosa com'era la commissione,
esaminando quelle carte con lo scarso appoggio delle nozioni geografiche di
allora, concluse respingendo il progetto, perché a suo giudizio
"ineseguibile", null'altro che una "fantasticheria".
Colombo non si disanimò per questo, anzi decise di offrire il progetto alla
Spagna, e nello stesso tempo, col medesimo intento, inviò il fratello
Bartolomeo alla corte d'Inghilterra, e qualora da Enrico VII il progetto
fosse stato respinto, di rivolgersi alla corte di Francia.
Di entusiasmo per il suo progetto negli ultimi anni Colombo ne aveva molto,
ma anche afflitto da un periodo di amarezze. Nel '486 era padre di famiglia,
gli era morta la moglie, e non aveva nemmeno i mezzi per fare il viaggio in
Spagna che seguitava a rimandare. Fu proprio per queste ristrettezze
economiche che decise di lasciare Lisbona e stabilirsi a Cordova. Il caso (o
altro?) volle, che in quel periodo per intensificare la lotta ai mori e agli
ebrei, la corte si era insediata proprio a Cordova. Colombo ebbe qualche
contatto con alcuni influenti personaggi per poter essere ricevuto dai
sovrani e ci riuscì (ma c'è nell'ombra un grosso finanziere, Alfonso de
Quintanilla- ebreo ma non espulso; forse per le sue ricchezze?) Fu così
presentato a Ferdinando di Spagna e alla consorte regina Isabella.
Esposto l'audace piano ai sovrani, a poco a poco riuscì ad incontrare più
volte la regina e a convincerla. Isabella incaricò il suo confessore De
Talavera di discutere l'ardita proposta. Mentre Ferdinando più freddo, a
Salamanca, riuniva anche lui una commissione di esperti, scienziati,
navigatori, dotti domenicani che però non concluse diversamente dalla
commissione portoghese.
L'oscurantismo religioso ebbe anche qui la sua parte. Colombo nell'esporre
la sua idea, doveva vincere il sospetto che il suo progetto non contenesse
opinioni incompatibili con la concezione della forma della Terra, quale é
descritta nella Bibbia, cioè piana, e non rotonda, com'egli asseriva.
C'è da dire che a Lisbona non c'era scienziato, geografo, matematico o anche
semplice marinaio che non fosse entrato nell'idea di una terra rotonda. Ma
un conto era pensarlo, un altro dirlo in giro.
La personalità religiosa di Colombo, non è mai stata approfondita. Forse
potremmo scoprire, perché poi ci furono tante ostilità nei suoi confronti, e
anche perché si ostinò a non accettare l'idea che le terre appartenessero ad
un nuovo continente.
Sappiamo poco, ma conosciamo una sua citazione, dove afferma che "lo Spirito
Santo opera in cristiani, giudei, mori e altri di ogni possibile setta" (la
sua sigla era proprio XMY, cristiani, mori, giudei) un'affermazione
fortemente eretica la sua nella Spagna di questo periodo (che abbiamo appena
letto). L'inquisizione, stava massacrando da dodici anni per queste eresie,
e anche per molto meno, bruciava sul rogo sia ebrei che mori. Stava
compiendo la più grande "pulizia etnica" mai avvenuta prima e dopo in
Europa.
Alcuni affermano che Colombo era legato ai Templari, antidogmatici, che
cercavano - aiutando lui - di vendicarsi dei roghi (fatti con gli avalli
papali), un appoggio non tanto disinteressato, ma concesso per distruggere
la visione dogmatica su cui la Chiesa fondava la sua autorità e dottrina. E'
certo un mistero il perché le vele delle tre caravelle di Colombo avevano
bene in vista la croce templare; nessuno ebbe da ridire in anni così
spaventosi; ma un motivo ci doveva pur essere. Lo "sponsor" era abbastanza
chiaro a tutti. Ma in seguito non se ne parlò più.
Altri affermano che l'impresa fu possibile anche per il concorso degli
ebrei, per via dei forti finanziamenti, anche se questi apparentemente
uscirono dalla corte di Ferdinando "il Cattolico". C'e' forse l'appoggio di
papa Alessandro VI? Proprio lui che guida l'inquisizione spagnola
nell'espulsione degli ebrei? Tutto è possibile; era un Borgia! nipote (da
parte di madre) del precedente Papa Callisto III (Alonso Borgia 1378-1458),
nativo di Canais, nella Spagna, Catalana, Aragonese e che quando salì sul
soglio pontificio nel '55, gli ebrei aragonesi lo indicavano non col nome
Alonso Borgia, ma Alonso Borja, ed era l'arcivescovo di Valencia, più noto
con il nome di Aharon Cybo, che era il nome di una famiglia smaccatamente
ebrea. Qualcosa quindi non quadra, e il mistero s'infittisce.
Anche curiosa e singolare - subito dopo la scoperta- quella immediatezza di
Papa Borgia nel tracciare la famosa "riga" Inter Caetera (ne parleremo più
avanti).
La superstizione anche questa bisognava combatterla per vincere il terrore
che incuteva l'Oceano tenebroso, come si chiamava allora l'Atlantico; poi
bisognava distruggere pure la credenza della zona torrida -
dove -affermavano alcuni reduci di quei viaggi- non si respirava più. Le
leggende marinare (portoghesi) le avevano costruite ad arte e le avevano
messe in giro, forse per non far scoprire alcune rotte che solo pochi
capitani portoghesi conoscevano. All'equatore c'erano già stati parecchi,
compreso Colombo, perché abitava a Lisbona, ma le rotte sulle coste africane
erano di pertinenza solo portoghesi, e in quelle rotte loro non volevano
intrusi.
La leggenda riporta che alcuni personaggi nella commissione affermarono che
il progetto di Colombo, poteva solo uscire da una mente malata. Non se ne
fece più nulla. Tutti i contatti col sovrano e anche con la regina
s'interruppero.
A consolarlo in questi giorni, una dolce figura, una giovane spagnola,
Beatrice Henriquez, che gli diede anche un figlio, Don Fernando (il suo
biografo!)
Dall'Inghilterra nessuna notizia del fratello. Sfinito, lacero e affranto
Colombo decise di tentare l'ultima carta, recarsi lui in Francia. Giunto a
Palos, rimasto senza nemmeno i mezzi per vivere, chiese qualche piatto di
minestra al convento di Santa Maria della Rabida. Il fato ci mette lo
zampino? Forse. Nel convento il padre guardiano, don Juan Perez, non era un
semplice monaco, era stato un tempo il confessore della regina Isabella. Lo
ascoltò con attenzione, e con le sue conoscenze geografiche apprese in
convento, il progetto di Colombo non gli sembrò affatto quello di un folle,
si offrì così di intercedere per lui presso la sovrana. In un momento molto
particolare e favorevole.
La Spagna stava celebrando in quei giorni la definitiva "Reconquista".
Era il 2 Gennaio del 1491. A Granada, assediata da 80.000 soldati, cadevano
le ultime due fortezze degli arabi, e l'ultimo sultano musulmano si
arrendeva. Per la Spagna terminava la "guerra dei mori". Le feste a corte (e
quelle religiose) si sprecarono. Isabella libera da ogni altra
preoccupazione decise di ascoltare JUAN PEREZ e di promuovere la vagheggiata
spedizione. Il 17 aprile Colombo già sottoscriveva i patti coi Reali
Spagnoli, mentre si allestivano per lui le tre caravelle.
Nominato Ammiraglio del Grande Oceano, il 3 agosto Colombo salpava da Palos.
Con lui il mastro cartografo Giovanni de la Cosa, il fratello Francesco, due
bravi capitani Alonso Pinzon sulla Pinta, Vincenzo Pinzon sulla Nina, e 90
marinai come "compagni d'avventura". Solo la Santa Maria ne aveva 50, le
altre due caravelle ognuna 20.
Dopo 12 giorni giunsero alle Canarie, il 7 settembre ripresero il viaggio.
Dopo altri 30 di navigazione, la Terra promessa da Colombo non appariva. La
leggenda narra che ci fu l'ammutinamento di alcuni marinai. Il Giornale di
bordo di Colombo non ne fa menzione, ma qualcosa accadde: ad un'attenta
osservazione del diario, traspare inoltre una velata inquietudine. E vi
appare anche un inferiore riporto del numero di miglia percorse per non
allarmare troppo gli equipaggi. Era sì inquieto tuttavia era determinato,
anche perchè tornare indietro sarebbe stato un suicidio.
Finalmente all'alba del 12 ottobre, scorse la Terra. Sbarcò in una delle
isole Lucaie cui dette il nome di San Salvador. Il 15 approdò ad un'altra
isola, S. Maria, il 16 alla Grande Exuma, il 28 scoprì le isole poi dette
delle Grandi Antille, ed il 6 dicembre nell'isola di Haiti che chiamò
Hispaniola.
RITORNO IN SPAGNA
Partito da Hispaniola il 16 gennaio 1493, dopo una tempesta nelle Azzorre,
rientrò a Lisbona e poi a Palos, ove sbarcò il 15 marzo.
La relazione del viaggio che pubblichiamo in altre pagine è appunto del 15
marzo 1493
Grandi trionfali accoglienze a Barcellona. Solennemente ricevuto dai sovrani
lo elessero Nobile, Grande Ammiraglio dell'Oceano, Vicerè delle Indie, con
diritti e titoli trasmissibili agli eredi.
La scoperta e l'ardimentosa traversata sulle terre che si reputavano far
parte dell'Estremo oriente, si diffuse in un baleno in tutto il mondo. Al
grande ricevimento alla corte di Barcellona era presente PIETRO D'ANGHIERA,
e fu lui a leggere la notizia ufficiale del resoconto del viaggio; lo fece
con tanto entusiasmo, poi volle commentare ed aggiunse anche d'altro oltre
la notizia, disse che sospettava che non si fosse raggiunto il lembo più
orientale dell'Asia, ma scoperto un NUOVO MONDO.
Non ci fecero tanto caso, ma la coniazione delle "nuove terre" era ormai
cosa fatta; ma perchè lo fossero di fatto ci sarà da attendere qualche anno
per confermarlo.
Intanto Colombo e altri restavano ostinatamente fermi nella credenza di
essere giunti nelle indie; e sempre fermi anche quando altri si
avventureranno verso nuovi lidi e scopriranno e daranno il loro nome al
"Nuovo Continente". Amerigo Vespucci nel 1499 toccherà il Brasile, mentre
Caboto sfiora un lembo dei futuri Stati Uniti.
Ma siamo sicuri che nessuno lo sapesse fin dal primo giorno che era un nuovo
mondo? E siamo anche sicuri dell'ostinazione di Colombo a non credere che lo
fosse?. Come poteva Colombo ignorare Eratostene proprio ora, e dov'erano i
110-120 gradi che mancavano? Era sincero o fu bloccato dall'alto? Si voleva
forse dar tempo agli spagnoli (a Ferdinando "il cattolico") di conquistare
tutto il Nuovo Mondo?
Per dare questa risposta ritorniamo alla curiosa "riga Inter Caetera" del
Borgia, che divideva l'Atlantico longitudinalmente esattamente al centro e
quindi il mondo in due, ma tutto a favore della Spagna. Ai portoghesi fu
lasciato quasi nulla; solo acqua, le Azzorre, le Canarie, Madera e le isole
di C. Verde che possedevano già. La riga lambiva appena appena la "gobba"
del Sud America. Neppure un Machiavelli avrebbe mai pensato a una riga così
partigiana. Si ha proprio quasi l'impressione che Borgia sapesse esattamente
cosa c'era di là della riga. (l'attuale meridiano 40° di long.)
IL 25 SETTEMBRE 1493 Colombo, compie il 2° viaggio verso l'America con
diciassette navi; raggiunge Puerto Rico nelle Nuove Antille. Il 3 novembre é
nelle isole Dominica, scopre poi nel corso di una lunga esplorazione, le
isole Caraibi, Giamaica, Maria Galante, le Vergini, S. Cristoforo,
Guadalupa, le Trinità. Siano così arrivati al 1496
Intanto i malevoli, invidiando la gloria dell'Eroe, lo calunniano di volersi
fare Signore assoluto delle terre scoperte, ed inducono i Sovrani di Spagna
ad ingiungergli di sospendere il corso delle sue esplorazioni e di far
ritorno in Europa. Colombo ubbidisce e, presentatosi ai Monarchi, dimostra
false le accuse.
Il 30 MAGGIO del 1498, Colombo riparte per il 3° viaggio. Questa volta il 5
agosto raggiunge davvero il Nuovo continente. Scopre l'Orinoco, la costa
occidentale dell'America del Sud (Colombia), e vi fonda la città di
Cartagena. Di nuovo calunniato, nel novembre del 1500, é ricondotto in
Europa, carico di catene, ma riesce ancora a dimostrare false le accuse.
Il 9 MAGGIO 1502, Colombo riparte per il suo 4° viaggio. Esplora le coste
orientali dell'America Centrale. Senonchè, per le malattie, i patimenti e le
amarezze procurategli dai compagni, decide di ritornare in Spagna. Intanto,
Isabella, la sua protettrice, era morta. Ferdinando il consorte, sopraffatto
da maligne insinuazioni, gli negava i diritti che gli spettavano in virtù
dei patti stipulati.
L'Infelice affranto dalle fatiche, dai disinganni e dal peso delle sventure,
muore in Valladolid, il 20 maggio 1506.
Per le altre esplorazioni avvenute in contemporanea e successivamente.
NOTE VARIE - Al ritorno dai viaggi, fra le altre cose, Colombo portò con se
in Europa grani di mais (che gli inglesi coltiveranno come mangime per darlo
ai tacchini=turkey, a questi animali da cortile anch'essi provenienti dal
nuovo mondo. In seguito si darà al mais quello strano nome grano-turco che
però non ha proprio nulla a che vedere con i turchi, ma con i "tacchini".
IL MAIS (quindi il granoturco) sarà coltivato inizialmente in Europa ed
esclusivamente per le bestie. Solo durante le grandi carestie del 1800, per
la sua alta resa, si iniziò a consigliarne la coltura (si usarono i parroci
nelle campagne per diffonderne la produzione) per soddisfare la grande
richiesta di cibo delle popolazioni povere. Se ne fece poi così grande uso
come unico cibo per sfamarsi, ma il cereale essendo carente di alcune
importanti vitamine, necessarie all'organismo, causò per più di un secolo,
uno dei più grandi flagelli europei nell'alimentazione nella povera gente:
la pellagra (ne parleremo a suo tempo)
1492: La scoperta del Nuovo Mondo - Questa data, è di rilevante importanza
anche per Venezia. Il viaggio di Colombo, volto a scoprire il Levante
navigando a Ponente, inaugura una lunga serie di grandi spedizioni
navigazioni oceaniche, in particolare la circumnavigazione dell'Africa
compiuta da Vasco da Gama, che consente ai Portoghesi di raggiungere per
mare i luoghi di produzione delle spezie, realizzando notevoli vantaggi
rispetto ai mercanti veneziani, abituati ad esserne riforniti attraverso
lunghi e spesso insicuri percorsi terrestri. Non che questo abbia
costituito, come troppo spesso si suole ripetere, la rovina per la città
lagunare.
Infatti per tutto il XVI secolo, e anche oltre, l'economia veneziana
continua a prosperare, pur battendo cammini che (con la sola eccezione
dell'editoria che registra in laguna una delle sue produzioni più alte) sono
abbastanza diversi da quelli seguiti, in generale, dal mondo moderno. Per
non citare che due esempi, a Venezia si insiste nella produzione di tessuti
di altissima qualità e quindi di alto costo (con un mercato molto
ristretto), mentre si diffonde in tutto il mondo civilizzato la confezione
di generi d'abbigliamento di tipo medio-basso; inoltre si cerca di snellire
e di ammodernare, sull'esempio degli Olandesi, le costruzioni marittime. Ma,
soprattutto, a Venezia, si assiste -con inizio del 1404- a un gigantesco
trasferimento di capitali dal mare alla terra (fino a Bergamo) attraverso
le bonifiche di terreni paludosi promosse dal patriziato veneziano, anche se
una fazione in città, quella del "partito del mare" contrasta il partito
dei "terricoli", timoroso il primo che questa operazione -di travaso di
capitali verso la terra ferma- potesse arrecare danni all'integrità
dell'economia della Laguna, tutta a vocazione marittima da ormai cinquecento
anni. "Lassemo le cose come le sta" soleva dire un doge.
Del resto le "avventure" sulla terra ferma, in certi casi si erano concluse
con dei grandi fallimenti. E quando invece andarono bene, l'espansionismo
veneziano mise in allarme gli altri stati che si coalizzarono tutti contro
la Serenissima. Solo la Lega Cambriai del 1509 riportò un po' di pace con
alcuni compromessi. Alla fine di sette anni di rovinosa guerra - che mise
perfino a rischio l'esistenza stessa della Repubblica- si ristabilì il
dominio di terraferma fino all'Adda, quale rimase fino alla fine della
Repubblica.
Ammaestrata dall'esperienza, la città dogale, a partire dal 1525, manterrà
una saggia neutralità nella situazione di conflittualità internazionale
creata dallo scontro fra gli Stati europei. Positiva questa neutralità per
la pace interna, ma troppo isolazionista e inerme, fino a un punto che non
riuscì poi a conservarla (non avendo alcun alleato) di fronte all'attacco
napoleonico, a quello successivo austriaco nel 1848, e per una fazione
(quella che voleva ritornare all'indipendenza della Serenissima) fu nefasto
anche l'Unione all'Italia sabauda.
Con la Pace di Senlis Carlo VIII Re di Francia interrompe momentaneamente le
ostilità con gli Asburgo sull'eredità borgognone per avere mano libera nella
discesa in Italia che compirà l'anno successivo. In particolare rinuncia ai
suoi diritti sulla Franca Contea e sull'Artois. Nonostante questo la
politica europea dei prossimi tre secoli sarà contraddistinta dall'ostilità
tra la Francia e gli Asburgo.
Insomma la vita di Cristoforo Colombo è misteriosa e appassionante, ci sono
infinite lacune, distruzione e perdita di documenti, qualcuno falsificato,
manipolato, interpretazioni assurde di eventi, ridicole leggende, punti di
vista fanaticamente parziali, esaltazioni esagerate o attacchi violenti.
In parte l'imbroglio si deve allo stesso Colombo, per la sua eccessiva
riservatezza, per la sua trascuratezza nel lasciare testimonianze, per il
suo desiderio di dimenticare la sua umile origine ed anche per la sua
genialità incompresa.
Colombo è un personaggio affascinante e complesso che avvince chi comincia
ad approfondire le sue ricerche, chi legge le opere dei suoi migliori ed
oggettivi biografi, delle sue relazioni di viaggio, delle sue lettere.
Fu un figlio della sua epoca, epoca che riassunse e lanciò audacemente verso
il futuro, in questo modo bisogna studiarlo e comprenderlo. Una conoscenza
più profonda del secolo nel quale visse può svelare molti punti oscuri e
rispondere a molti interrogativi. Permette inoltre di conoscere meglio
alcuni dei problemi d'oggigiorno, in particolare latino-americani, eredità
diretta del passato.
LA RAGIONE DEL PERCHE' SPAGNA E PORTOGALLO:
Il colonialismo moderno nasce nell'Europa occidentale dei secoli XV e XVI,
allorché già erano in atto i meccanismi economico-sociali di disgregazione
del feudalesimo e di formazione dei rapporti di produzione capitalistici,
basati prevalentemente sulla manifattura. In questo periodo, la metallurgia
e l'industria mineraria, tessile, manifatturiera (ad es. orologi, vetri,
specchi, armi da fuoco, oggetti di lavoro precisi, ecc.) avevano raggiunto
un'indipendenza quasi totale dall'agricoltura, realizzando profitti
notevolmente superiori. Anche nelle campagne era aumentata quella parte
della produzione agricola e dell'allevamento del bestiame destinata non al
consumo dei contadini e dei feudatari, ma al mercato e allo scambio con
prodotti dell'industria. La piccola produzione artigianale destinata al
mercato locale, l'economia agricola finalizzata all'autoconsumo, le rendite
parassitarie dei grandi latifondisti - tutto ciò stava per essere superato
da una forma sociale più redditizia: quella capitalistica, sia essa nella
forma commerciale e usuraia del mercante, che nella forma imprenditoriale
vera e propria.
L'allargarsi del mercato e della divisione sociale del lavoro stavano
eliminando i rapporti personali tra produttore e consumatore, stavano
trasformando i prodotti in merci, il valore d'uso in valore di scambio... I
mercanti, in particolare, diventavano l'anello indispensabile che univa, su
vasti mercati, le singole, grosse, aziende con i consumatori. I produttori
diretti, artigiani e contadini, rovinati dalla concorrenza dei prodotti
dell'industria manifatturiera, o intenzionati a emanciparsi dalla servitù
della gleba o dalle costrizioni corporative, si trasformano in operai
salariati: i più capaci o i più fortunati tentano la strada
dell'imprenditoria privata a scopo di lucro.
Uno dei modi ritenuti più facili per arricchirsi era il commercio con
l'Asia, la cui importanza era notevolmente cresciuta dopo le crociate.
Genova e ancor più Venezia distribuivano a tutta Europa gli oggetti di lusso
orientali più richiesti: le spezie (pepe, chiodo di garofano, cannella,
zenzero, noce moscata...), l'oro e le pietre preziose. India, Cina e
Giappone erano considerati Paesi ricchissimi già dai tempi di Marco Polo.
Tuttavia, tre problemi avevano messo in crisi questi commerci: a) il mondo
musulmano monopolizzava tutti i commerci con l'Oriente e l'Estremo Oriente,
per cui l'Europa non poteva avere legami diretti con queste aree geografiche
(la via commerciale che passava attraverso il Mar Rosso era monopolio dei
sultani egiziani, che a partire dal XV sec. cominciarono a imporre dazi
doganali estremamente alti su tutte le merci); b) il crollo della potenza
mongola, ad opera di quella ottomana, ebbe come risultato la fine del
commercio carovaniero dell'Europa con la Cina e l'India attraverso l'Asia
centrale e la Mongolia (l'ottomano era un regime dispotico di tipo
feudale-militare); c) la caduta di Costantinopoli nel 1453 e le conquiste
turche nell'Asia minore e nella penisola balcanica avevano chiuso quasi
completamente la via commerciale verso l'Oriente attraverso la stessa Asia
minore e la Siria.
Prima della "scoperta" dell'America, i commerci più proficui, ma del tutto
insufficienti, dei Paesi europei con l'Oriente e l'Africa erano diventati
quelli con Egitto, Marocco, Algeria e Tunisia. Solo questi Paesi potevano
avere collegamenti diretti coi Paesi sub-sahariani (Sudan, Guinea, ecc.),
per ottenere oro, avorio, schiavi e prodotti esotici. L'esigenza degli
europei, quindi, era di cercare nuove vie marittime verso l'Africa, l'India
e l'Asia orientale. Le classi socialmente più elevate: nobili e monarchi,
borghesi e alto clero, che conducevano una vita molto dispendiosa o che
miravano ad accumulare capitali per investirli in attività finanziarie o
produttive, o che necessitavano di finanziamenti per gli apparati
burocratici, amministrativi e militari degli emergenti Stati assoluti e
nazionali, ritenevano che il modo migliore per soddisfare le loro esigenze
fosse quello di avere ingenti quantitativi di argento e soprattutto di oro,
cioè una moneta pregiata come mezzo di scambio. Ecco, in questo senso si può
dire che il colonialismo fu una diretta conseguenza del capitalismo europeo,
anche se ebbe delle ripercussioni fondamentali (ai fini p.es.
dell'accumulazione dei capitali) sullo stesso sviluppo del capitalismo.
La scienza della navigazione
I lunghi e pericolosi viaggi marittimi poterono essere intrapresi solo
quando fu perfezionata la navigazione. I primi a trasformare la navigazione
furono i portoghesi, che, utilizzando le due più importanti tradizioni
navali del loro tempo: nordica e mediterranea (di quest'ultima, in
particolare, essi presero come modelli la piccola imbarcazione araba, detta
"karabo", usata per i commerci mediterranei, e un tipo di nave a tre alberi
in uso a Genova), crearono un nuovo veliero: la caravella. Più lunga delle
grosse navi da carico del XIII sec. e più corta delle galee e liburne romane
(il rapporto tra lunghezza e larghezza andava da 3,3 a 3,8), la caravella
era veloce e facilmente manovrabile, in virtù dell'uso simultaneo di poche
vele diritte o quadre (per la propulsione in mare aperto) e di molte vele
oblique o triangolari o latine (per la direzione), che le permettevano, con
soli 20-30 marinai, di muoversi anche col vento sfavorevole. La necessità di
aumentare la velocità e di guadagnare in stabilità aveva determinato
l'allargamento della superficie delle vele e, di conseguenza, la
trasformazione della chiglia, che si alzava in due parti ricurve uguali, in
elemento portante della nave.
Nel Mediterraneo, dove le navi usavano vele latine, introdotte dagli arabi
all'inizio del XIV sec., l'uso della vela quadra all'albero maestro e della
latina a quello di mezzana, segnò una vera rivoluzione, anche se la vela
quadra era già stata ampiamente usata nell'antichità greco-romana. Fin dalla
metà del '400, navi di tre o quattro alberi erano la normalità.
La caravella aveva un unico timone di poppa, interno allo scafo, manovrato
attraverso un'asta terminante in una ruota: esso sostituiva il timone
esterno e i remi di governo. Il timoniere operava sotto il ponte di coperta
ed aveva una visuale molto limitata. La stiva, molto capiente, era utile per
le lunghe navigazioni. Lo scafo di scarso pescaggio (grazie alla chiglia
"panciuta") consentiva di avventurarsi sui bassi fondali costieri e
addirittura di risalire i fiumi per lunghi tratti.
Delle tre caravelle di Colombo, solo la Niña (50 tonnellate di stazza, 17
metri di lunghezza) e la Pinta (60 tonnellate di stazza, 21 metri di
lunghezza), possono essere definite tali, in quanto la Santa Maria, nave
ammiraglia (100 tonnellate di stazza, 26 metri di lunghezza) era piuttosto
una "caracca". Essa si sfasciò durante il primo viaggio, mentre l'equipaggio
costeggiava l'isola di Haiti.
La velocità della caravella sarà superata soltanto dai clippers, gli enormi
velieri del XIX sec. La caravella, col tempo, si trasformerà nella fregata,
nave tipica da guerra, passando dalla struttura in legno a quella in
acciaio.
Oltre a ciò furono adottati o migliorati la bussola (l'ago magnetico prima
immerso nell'acqua, montato su un perno, ora viene inserito in una scatola,
insieme ad un quadrante circolare, diviso in 32 punti: nord, nord-est,
nord-nord-est ecc., formando la cosiddetta "rosa dei venti", indipendente
dal movimento della nave), le carte nautiche (basate sul mappamondo di
Toscanelli) e i portolani (libri particolari che descrivevano le coste e gli
approdi: i portolani saranno prodotti come vere e proprie carte marine solo
quando si generalizzerà la proiezione cartografica di Mercatore nel 1569),
l'astrolabio (strumento goniometrico preso dagli arabi, con cui si calcolava
la posizione degli astri e la latitudine), il quadrante nautico e la
balestrigia (che facilitavano il calcolo della latitudine in mare), le
tavole trigonometriche di martelogio (che permettevano di correggere in modo
approssimato lo scarto fra il Nord e il polo magnetico indicato dalla
bussola).
Qui si può precisare che molta di questa strumentazione, già in uso sulla
terra per lo studio dei corpi celesti, venne adottata sulle navi proprio per
intraprendere dei viaggi in mari sconosciuti. Per i navigatori era
necessario imparare a determinare la posizione delle terre avvistate, in
rapporto a precisi punti di riferimento (i corpi celesti), a cominciare
dalla stella polare, la cui altezza, cioè l'angolo sopra l'orizzonte,
diminuiva via via che una nave procedeva verso sud. Nell'emisfero australe,
dove non era più possibile riferirsi alla stella polare, si ricorreva,
sempre con l'aiuto dell'astrolabio, alla misurazione dell'altezza della
meridiana del sole, il che comportava calcoli piuttosto complicati.
In ogni caso per tutto il '500 non fu possibile risolvere il problema della
determinazione della longitudine. La navigazione in mare aperto era basata
su una stima approssimata della velocità, della direzione e del tempo,
integrata con osservazioni di latitudine. La stessa decisione di usare le
Canarie come base di partenza del primo viaggio, era nata da un'errata
valutazione di Colombo che, sulla scia del Toscanelli, credeva il Giappone
(Cipango) non solo sulla stessa latitudine dell'arcipelago canario (28o
parallelo), ma anche a una distanza inferiore ai 5000 km, mentre in realtà
la distanza è di quasi 20.000 km. Fu dunque un caso che Colombo scoprì
l'America.
La cartografia
Un serio ostacolo all'organizzazione dei viaggi marittimi erano alcune
opinioni geografiche che risultarono dominanti nei primi 1500 anni d.C.,
fondate sulla teoria di Tolomeo, uno scienziato dell'antica Grecia, la cui
mappa terrestre fu comunque di gran lunga migliore di tutte le mappe
prodotte nel Medioevo. Tolomeo ammetteva la sfericità della Terra, ma la
restringeva all'8% della sua reale dimensione, mettendo l'equatore troppo a
nord, al punto che a sud la sua mappa si fermava all'Etiopia. Inoltre
sosteneva che l'Asia sud-orientale si congiungesse con l'Africa orientale e
che l'Oceano Indiano era completamente racchiuso dalla terra (ignorava anche
la natura peninsulare dell'India e l'esistenza dell'arcipelago indonesiano).
In tal modo non sarebbe stato possibile passare dall'Oceano Atlantico
all'Oceano Indiano e raggiungere, per via mare, le coste dall'Asia
orientale. Inoltre nel Medioevo si credeva che presso l'equatore esistessero
temperature così elevate da far "bollire" il mare e bruciare le navi. La
vita sulla Terra era ritenuta possibile solo nelle zone climatiche
temperate.
Molte di queste idee già nel sec. XIII, con Marco Polo e altri viaggiatori
(inclusi i missionari francescani), erano state messe seriamente in
discussione (si dimostrò, ad es., che la costa orientale dell'Asia era
bagnata dal mare). Nel 1375 l'Atlante catalano dell'ebreo Abramo Cresques
aveva presentato un'assoluta novità. Sino a quel momento si credeva che
esistesse solo ciò che gli europei avevano visto: ora invece le terre che si
sapevano esistere, ma che non si conoscevano, erano raffigurate in bianco,
come "luogo sconosciuto" (le isole atlantiche, l'Estremo oriente e i regni
africani oltre il Sahara).
Agli inizi del XV sec. si avanzò l'idea di poter raggiungere via mare la
costa orientale dell'Asia, navigando dall'Europa verso occidente, attraverso
l'Oceano Atlantico (vedi ad es. l'opera Imago Mundi del vescovo francese
Pierre d'Ailly, del 1410, la carta geografica del cosmografo fiorentino
Paolo Toscanelli e il mappamondo dell'astronomo di Norimberga, Martin
Behaim). Naturalmente, per condividere un'idea del genere bisognava
accettare l'ipotesi della sfericità della Terra e di un unico oceano che la
bagnava (ipotesi peraltro già formulata da alcuni antichi scienziati greci).
Verso la metà del '400 le mitiche Colonne d'Ercole, barriera del mondo
conosciuto, si erano spostate in mezzo all'Atlantico. Il problema era
diventato non solo quello di arrivarvi ma anche quello di ritornare in
Europa. Non pochi casi erano finiti tragicamente.
Decisive furono le esperienze dei portoghesi che nel 1483-84 avevano
superato l'equatore, dimostrando a tutti che la zona intertropicale era
abitata e attraversabile. Era di colpo crollata la teoria tradizionale
secondo cui agli Antipodi gli uomini non potessero stare in piedi e che le
navi, scivolando verso sud, non potessero mai fare ritorno. Praticamente,
alla fine del XV sec. la rotondità della terra non veniva messa in
discussione da nessuno, se non da qualche ambiente clericale. Il merito di
Colombo, in tal senso, sta piuttosto nell'aver saputo sfruttare, nel
percorso di andata, i venti alisei che nel mese di settembre soffiano in
modo regolare e costante presso le Canarie, e, nel percorso di ritorno, i
venti occidentali.
Da notare che le mappe del capitano turco Piri Reis, scoperte nel 1929 negli
archivi del Topkapi, essendo molto precise e di assoluta avanguardia per
quei tempi, gettano una luce diversa sul patrimonio delle autentiche
conoscenze nautiche a cavallo tra XV e XVI secolo. Forse a partire da esse
gli studiosi riusciranno anche a risolvere il famoso mistero di una mappa
segreta giunta nelle mani di Colombo prima della sua partenza per San
Salvador.
L'arte militare
Naturalmente senza il perfezionamento dell'arte militare, non sarebbero
potute avvenire le esplorazioni marittime commerciali, poiché sia il
Portogallo che la Spagna non scartarono mai a priori l'idea di dover usare
la forza (soprattutto contro il mondo musulmano), pur di ottenere quello che
cercavano. Furono la scoperta della polvere da sparo (miscela di carbone,
zolfo e potassio) e i progressi nella lavorazione del ferro ad aprire la
strada alla costruzione dei cannoni, in grado di lanciare bombe di ferro o
di bronzo che esplodevano sino a mille metri di distanza. Con i cannoni (che
perfezionarono le primitive bombarde, larghe di bocca e molto corte, capaci
di lanciare solo palle di pietra lungo una traiettoria quasi circolare) si
potevano distruggere torri, bastioni, castelli e assediare con successo le
città; mentre con i proiettili dei fucili si poteva forare il ferro e il
cuoio, rendendo così inutili le pesanti armature medievali. Le caravelle,
nate come battelli da commercio, si potevano trasformare in navi da guerra,
in grado di portare anche pesanti cannoni, da un minimo di 15 a un massimo
di 40.
Il resto del mondo
E' bene però sottolineare che in questi secoli non era sviluppata solo
l'Europa occidentale ma anche una buona parte dell'Asia. Indiani, cinesi,
malesi e arabi avevano raggiunto già nel periodo medievale notevoli
risultati nel campo delle conoscenze geografiche, nello sviluppo e nell'arte
della navigazione negli oceani Indiano e Pacifico. Molto tempo prima della
comparsa degli europei nell'Oceano Indiano, questi popoli avevano scoperto
la grande via marittima sud-asiatica che collegava i Paesi dal Mar Rosso e
dal Golfo Persico fino al Mar Cinese meridionale.
Come già detto, nel XV sec. il primato nel commercio e nella navigazione nel
Mar Rosso, nel Golfo Persico e nella parte occidentale dell'Oceano Indiano,
era passato agli arabi, che erano gli unici veri intermediari nel commercio
dell'Asia meridionale con l'Europa. Le loro navi raggiungevano l'India,
Ceylon, Giava, la Cina... Città e mercanti dell'Islam -ha scritto F.
Braudel- s'impadronivano già di oro, avorio e schiavi sulla costa di
Zanzibar e, attraverso il Sahara, nell'ansa del Niger.
Anche gli arabi disponevano di bussole, compassi, portolani, carte nautiche
e di una vasta letteratura specializzata per la navigazione. Senza questa
letteratura, l'arrivo dei portoghesi in India sarebbe stato sicuramente più
difficoltoso. Quando le navi di Vasco de Gama, nel 1498, gettarono per la
prima volta l'ancora nella città indiana di Calcutta, il loro pilota era il
famoso marinaio Ahmed Ibn Madjid. Egli scrisse il Libro di dati utili sulle
basi della scienza marinara e sulle sue regole, ove vengono minuziosamente
delineate tutte le rotte nel Mar Rosso e nel Golfo Persico lungo l'Africa,
verso l'India e verso l'arcipelago malese, fino alle coste della Cina e di
Formosa.
Solo il commercio marittimo nell'Asia sud-orientale era sostanzialmente
nelle mani dei cinesi e dei malesi. La Cina, in particolare, era una grande
potenza marinara. Già nel II secolo d.C. nei cantieri cantonesi si
fabbricavano navi a quattro alberi, con una capacità di carico di 100
tonnellate.
La Cina esportava grandi quantità di seta, porcellane, oggetti d'arte,
mentre importava spezie, cotone, erbe medicinali, vetro e altre merci. Nei
suoi porti si costruivano vascelli per i viaggi di lungo percorso, in grado
di contenere fino a mille marinai e soldati (scorta necessaria per
fronteggiare i pirati dell'arcipelago malese). Queste navi erano mosse da
vele fatte di canna, fissate su pennoni mobili: il che permetteva di mutarne
la posizione a seconda della direzione del vento.
Le carte geografiche erano note da tempi immemorabili e alla fine dell'XI
sec. le navi cinesi impiegavano regolarmente la bussola, mentre i loro
marinai conoscevano alla perfezione i monsoni dei mari del Sud, le correnti
marine, le secche, i tifoni, ecc. Nella prima metà del XV sec. essi avevano
già realizzato grandi spedizioni militari e marittime nell'Oceano Indiano e
nell'arcipelago malese, eliminando le numerose bande di pirati che
ostacolavano lo sviluppo del loro commercio con i Paesi dell'Asia
meridionale.
Tra il 1403 e il 1419 i cinesi erano riusciti a costruire delle navi di
circa 100 metri di lunghezza. Si pensa addirittura che intorno al 1420 essi
siano giunti al Capo di Buona Speranza. Ciò non può escludere l'ipotesi che
la Cina o comunque l'Asia abbia tenuto contatti sporadici con l'America fino
a poco tempo prima dell'arrivo degli europei.
Anche per i cinesi la Terra era composta da tre continenti: essi conoscevano
il profilo sud-occidentale dell'Asia fino al Mar Rosso, la forma triangolare
dell'Africa e l'esistenza del Mediterraneo. Inoltre, benché non conoscessero
né il nome né il profilo dell'Europa, indicavano sulle loro carte un
centinano di toponimi europei, tra cui Germania, Francia, Budapest... Alla
fine del '500 saranno i gesuiti a introdurre in Cina la nuova immagine del
mondo.
Perché Spagna e Portogallo
Sino a pochi anni fa si sosteneva che gli indios americani erano venuti
dall'Asia (australiani, mongoli, popolazioni uraliche e malesi-polinesiani)
attraverso lo stretto di Bering nell'età della pietra. Oggi invece, grazie
alla nuove scoperte archeologiche, ai progressi nella stratigrafia e
nell'uso del carbonio 14, si fa risalire tale migrazione a 40-80.000 anni
prima della nostra era. Alcuni degli antichi abitatori dell'America possono
essere giunti dall'Asia attraverso l'Antartico. Probabilmente tale
migrazione è cessata circa 20.000 anni prima della nostra era. Comunque a
tutt'oggi i reperti umani più antichi che si trovano in America risalgono a
15-20.000 anni fa.
Non pochi studiosi oggi sono dell'avviso che i rapporti tra Asia e America
siano continuati anche dopo la fine delle migrazioni. Troppe cose simili lo
attestano: non solo oggetti di artigianato, sculture, ceramiche..., ma anche
nell'ambito dell'architettura, della letteratura, della religione, delle
tecniche agricole e di costruzione delle canoe, persino nei calendari e
nell'alimentazione.
Esiste un documento cinese, conosciuto col nome di Storia delle dieci isole,
che risale a due secoli prima di Cristo, e che narra di una spedizione di
monaci buddisti diretti verso il continente americano, tornati in Asia dopo
40 anni, attraverso il Pacifico a sud.
Quando Colombo raggiunse per la prima volta la terraferma, nell'attuale
territorio del canale di Panama, gli aborigeni gli comunicarono che sul
versante opposto c'era il mare, anche se non sapevano che ci fosse un
continente diverso dal loro.
Naturalmente nessuno dei fatti qui ricordati è sufficiente da solo a provare
che gli asiatici abbiano "scoperto" l'America prima degli europei; anche
perché questi contatti attraverso il Pacifico, se vi sono stati, non hanno
prodotto effetti significativi sulle popolazioni del Nuovo Mondo. Alla
"scoperta" non seguì la "conquista". E questo vale anche per alcuni europei
pre-colombiani: si pensi a quel gruppo di monaci irlandesi, tra cui san
Brendano, che nel VII sec. avrebbe -secondo una tradizione- varcato
l'Atlantico. O al vichingo Leif Ericsson, che attorno all'anno mille,
approdò in Vinlandia, l'attuale Terranova.
Oggi peraltro nessuno mette in discussione che gli scandinavi abbiano
mantenuto piccoli stanziamenti nel nord-est del continente americano tra il
IX e il XV sec., anche se non compresero di aver scoperto il Nuovo Mondo e
non introdussero neppure i cavalli.
Era necessario elencare queste cose per sfatare anzitutto il mito che Spagna
e Portogallo siano state le prime nazioni del mondo a metter piede in
America. Gli europei non hanno "scoperto" l'America: semmai l'hanno fatto i
primi emigranti asiatici, che hanno popolato un continente disabitato.
Meglio sarebbe dire che con Colombo inizia il colonialismo europeo di tipo
capitalistico in un nuovo continente. E inizia in modo consapevole, poiché
lo stesso Colombo, che per l'occasione cambiò il proprio cognome in Colòn
(ripopolatore), negli anni 1497-98 elaborò un Memoriale, abbastanza
dettagliato, di colonizzazione, rivolto ai Re Cattolici sul popolamento
delle Indie. Nel 1500 scrisse una lettera a donna Juana de Torres in cui
rivendicò esplicitamente il suo ruolo di conquistatore: "Io debbo essere
giudicato come capitano inviato di Spagna a conquistare fino alle Indie
gente bellicosa e numerosa, di costumi e credenza opposti ai nostri, la
quale vive per balze e monti senza fissa dimora... Io debbo essere giudicato
come capitano, che da tanto tempo ad oggi, porta le armi al fianco senza
abbandonarle nemmeno un'ora e che comanda a cavalieri di conquista e a
uomini d'azione e non a letterati". Il modello di colonialismo cui Colombo
s'ispirava era evidentemente quello portoghese, che aveva realizzato grandi
successi, nel decenni precedenti alla "scoperta" dell'America, sia in Africa
che in Asia.
Molto tempo prima di Colombo vi era stato il colonialismo medievale delle
crociate, indirizzato verso l'Europa orientale e il Medio oriente.
Praticamente l'Europa occidentale, da quando è sorta l'istituzione della
proprietà privata, è sempre stata caratterizzata da rapporti colonialistici
col resto del mondo. Al tempo dei romani il ruolo veniva svolto dall'Italia
nei confronti dell'Europa e dei paesi mediterranei.
Solo partendo da questo presupposto si può comprendere il motivo per cui
Spagna e Portogallo, e non Cina o qualche paese arabo, hanno fatto
dell'America un continente da sfruttare. Naturalmente non sarebbe inutile
cercare di capire se il cristianesimo aveva in sé degli elementi che
potevano essere usati meglio di quelli dell'islam o del buddismo, per
un'operazione del genere. Gli studi, in questo senso, sono davvero pochi,
almeno in Europa.
Ancora, in effetti, non è molto chiaro il motivo per cui sono state proprio
le due nazioni più cattoliche d'Europa, quelle peraltro che si trovavano
nelle peggiori condizioni per uno sviluppo capitalistico (si pensi
soprattutto alla Spagna), a dare il via al moderno colonialismo borghese.
Probabilmente Spagna e Portogallo cercavano nelle avventure coloniali
internazionali un modo pratico per non far morire l'ideale della
cristianità, che nell'Europa umanistica e rinascimentale era entrato
fortemente in crisi. Spagna e Portogallo, rimaste troppo indietro rispetto
ai processi emancipativi del continente europeo, credettero di trovare nel
colonialismo l'occasione della propria sopravvivenza in quanto nazioni
"cattoliche".
In questo senso la "Riconquista" antislamica non sortì l'effetto sperato,
poiché alla omologazione ideologica non seguì il benessere economico.
Eliminando ebrei e musulmani (cioè le classe e i ceti artigianali,
commerciali e finanziari), gli spagnoli e i portoghesi non furono capaci di
sostituirli con proprie forze sociali di tipo borghese, né seppero edificare
un tipo di società più democratica. Il fallimento economico della
"Riconquista" rese in un certo senso inevitabile, se si voleva salvaguardare
inalterata l'ideologia cristiana, la sua prosecuzione aldilà dei confini
nazionali.
Solo col passare del tempo, non senza drammi e tragedie, Spagna e Portogallo
saranno costrette ad ammettere che il medioevo cattolico non aveva alcuna
possibilità di contrastare l'emergente capitalismo protestante. L'ideale
cristiano poteva sperare di sopravvivere solo dopo averlo negato.
COME RICORDARE IL V CENTENARIO
Proviamo a ipotizzare che cosa sarebbe successo in Europa se non fosse stata
scoperta l'America. L'Europa del nord, divenuta protestante e capitalistica,
avrebbe colonizzato, molto probabilmente, quella del sud, cattolica e
feudale (l'Italia non era feudale ma era divisa in tanti staterelli e quindi
era politicamente debole: la Francia cattolica e sempre più borghese cercò
di occuparla con la discesa del re Carlo VIII nel 1494). Poi questa Europa
avrebbe cercato di orientarsi verso l'est ancora feudale (ma con tracce di
socialismo agricolo) e di religione ortodossa.
Ma nell'est-europeo forse avrebbe incontrato una certa resistenza (come ne
incontrò all'epoca delle crociate e dell'impero latino d'oriente), per cui
ad un certo punto avrebbe preferito muovere verso sud, in Africa
(scontrandosi di nuovo col mondo islamico, che questa volta però avrebbe
avuto la peggio), e poi verso l'oriente asiatico (come già stavano cercando
di fare i portoghesi, che erano sì cattolici ma dediti ai commerci, tanto
che se non fossero stati occupati nel XVI sec. dagli spagnoli, divenuti loro
rivali dopo la conquista dell'America, essi probabilmente sarebbero
diventati una nazione capitalistica e protestante, al pari dell'Olanda).
L'Europa borghese, in sostanza, si sarebbe avventurata nell'oriente asiatico
e islamico, cercando di colonizzarlo non solo sulle coste (come facevano i
portoghesi) ma anche nell'entroterra. Cosa che poi comincerà a fare più di
un secolo dopo la conquista dell'America.
Senza questa conquista, l'Europa, probabilmente, sarebbe stata tutta
capitalistica e prevalentemente protestante (come oggi sono gli USA),
avrebbe occupato tutta l'Africa (come poi ha fatto insieme agli USA) e buona
parte dell'Asia, minacciando costantemente l'Europa orientale.
Già prima della Riforma, gli Stati nazionali avevano cercato di emanciparsi
dall'egemonia del papato e dell'impero, conservando, nel contenuto la
religione cattolica e nella forma la supremazia della monarchia (appoggiata
dalla borghesia) sul papato.
Con la Riforma molti Stati dell'Europa settentrionale decisero addirittura
di abbracciare una nuova confessione cristiana, oppure di conservare quella
cattolica tradizionale sul piano istituzionale, ufficiale, ma non negli usi
e costumi della società civile (Francia e Belgio). L'Inghilterra ne modificò
inizialmente un solo aspetto, ma quello decisivo nell'ambito del
cattolicesimo: capo della chiesa diventò lo stesso re inglese. Fatto questo,
le sarà poi facile accettare il compromesso col calvinismo sul piano dei
rapporti sociali.
La Germania, dal canto suo, aveva tutte le carte in regola per diventare una
grande potenza capitalistica, ma i protestanti si limitarono a una
rivoluzione delle "coscienze" (più tardi l'idealismo farà quella del
"pensiero"), nel senso che la borghesia non ebbe il coraggio di trarre le
dovute conseguenze pratiche dalla propria emancipazione religiosa.
Con la conquista dell'America, invece, due potenze feudali (Spagna e
Portogallo, ma la prima soprattutto) riuscirono a restare feudali e quindi
cattoliche per molto tempo, prima di lasciarsi surclassare dalle potenze
protestanti e borghesi. Quella conquista, in tal senso, non servì loro né
per affermarsi come potenze conservatrici, poiché Olanda, Inghilterra e
Francia ebbero la meglio; né servì per diventare capitalistiche come le
potenze rivali. Fu invece utilizzata per promuovere il capitalismo
dell'Europa del nord e per scatenare assurde guerre di religione (come
quelle di Carlo V e di Filippo II), onde impedire il trionfo della Riforma.
Ormai i tempi erano maturi per la tolleranza e la libertà di religione
(seppure nei limiti del cuius regio eius religio).
La conquista del 1492 quindi ebbe il merito di dimostrare, indirettamente,
che il feudalesimo e il cattolicesimo erano nel XVI sec. due istituzioni
completamente superate e che potevano continuare a sussistere, con la forza,
solo in America Latina e nelle regioni più arretrate d'Europa.
* * *
Il dominio ispano-portoghese sul mondo rappresentò dunque, nel XVI sec.,
l'ultima massima espressione del feudalesimo cattolico europeo e,
successivamente, sudamericano. (Da notare che il colonialismo portoghese non
lasciò un'impronta profonda, sul piano religioso-culturale, in Asia e
Africa).
La differenza tra il feudalesimo spagnolo e il capitalismo olandese,
francese e inglese non sta nell'esigenza di una conquista del mondo e quindi
nell'esigenza di imporre una determinata ideologia, cultura, politica ecc.,
ma sta piuttosto nel diverso valore attribuito all'economia, cioè al denaro,
al capitale, all'oro e all'argento, al commercio e all'industria.
Il capitalismo ha potuto svilupparsi all'interno del feudalesimo a motivo di
un'analoga sete di dominio, accettata sul piano culturale, ma nel
capitalismo, essendo l'attenzione incentrata su aspetti artificiali, come
appunto il macchinismo, il capitale, il profitto fine a se stesso ecc., è
dovuto accadere un profondo mutamento: la cultura religiosa tradizionale è
stata laicizzata. La rivoluzione industriale ha trasformato la teologia in
diritto, il cattolico in protestante, il servo della gleba e l'artigiano in
borghese, l'uguaglianza davanti a dio nell'uguaglianza davanti alla legge
ecc.
Per gli spagnoli lo sfruttamento dei coloni doveva servire per condurre una
vita da parassiti, da consumatori di lusso, dediti allo spreco, e
naturalmente per sostenere l'anacronistico ideale della cristianità
universale sotto il papato. Viceversa, per la cultura borghese, lo
sfruttamento delle colonie doveva servire per accumulare capitali, per
trasformare la natura, per produrre attività industriali, commerciali, per
emanciparsi da ogni tradizione cattolica.
Lo spagnolo cattolico era troppo "cattolico" per potersi trasformare in un
imprenditore borghese. Distruggeva e massacrava non solo per un interesse
personale ma anche per realizzare un ideale, quello della superiorità
universale del cattolicesimo latino. La Spagna rappresentava gli ultimi
resti di quella coscienza integralistica e totalitaria che nel '500
continuava a vedere nella chiesa cattolica un motivo di unificazione
universale, da realizzare con la forza politico-militare.
In tal senso il bisogno di colonizzare fu dettato anche dalla necessità di
sostenere finanziariamente questo ideale impossibile di egemonia mondiale.
Il capitale serviva allo spagnolo anche per affermare meglio la propria
identità di cattolico, la quale conservava alcuni elementi di critica dello
stesso concetto di "conquista", sviluppati poi da alcune correnti
progressiste legate soprattutto ai nomi di B. Las Casas, F. Suarez, F. de
Vitoria, Bernardino di Sahagùn ecc. Queste correnti accettarono il confronto
con le culture indigeniste, ma la Scolastica spagnola, dopo il trionfo della
Riforma protestante, divenne chiusa e arrogante.
Questa doppiezza, tipica del cattolicesimo-romano, che sul piano teorico
afferma valori umanistici e sul piano pratico tollera comportamenti
disumani, ha la sua origine nel fatto che il cattolicesimo-romano, pur
separandosi dalla confessione greco-ortodossa, ha conservato alcune tracce
dell'umanesimo bizantino, il quale cercava di restare coerente con la
tradizione cristiana più autentica. In sostanza, quando fu "scoperta"
l'America, quando cominciarono ad emergere le nazioni capitalistiche, quando
nacque la Riforma protestante, la doppiezza del cattolicesimo-romano aveva
raggiunto livelli assolutamente insopportabili e le tracce della passata
ortodossia erano diventate così deboli che ormai non vi era nessuna
possibilità di risalire attraverso di esse alle fonti originarie e di
fondare, sulla base di esse o di una loro laicizzazione, una nuova società.
L'Europa insomma divenne capitalistica e protestante anche a causa della
tenace opposizione della chiesa cattolica al recupero delle tradizioni
ortodosse, quelle tradizioni che sul piano socio-economico seppero favorire
una forma di feudalesimo molto meno oppressivo di quello occidentale (tant'è
che si cominciò a delineare la necessità del suo superamento solo alla fine
del secolo scorso). Non a caso proprio pochi decenni prima del viaggio di
Colombo, il papato era riuscito, con un colpo solo, a ottenere il
riconoscimento ortodosso del primato universale e giurisdizionale di Roma al
concilio di Ferrara-Firenze, nonché la fine delle tesi occidentali sul
conciliarismo ecclesiale.
* * *
Gli spagnoli insomma volevano oro, argento e spezie per arricchirsi come gli
ebrei e i mori, senza però dover diventare come loro, e cioè borghesi. L'oro
e l'argento, derubati agli indios, non rappresentavano altro che la
possibilità di diventare borghesi senza esserlo, cioè di diventare degli
sfruttatori senza capacità imprenditoriali o manageriali, senza la cultura
protestante.
Il genocidio compiuto in America era una diretta conseguenza del terribile
odio che uomini di mentalità medievale provavano nei confronti della
borghesia di origine ebraica e musulmana (e nei confronti della borghesia in
generale). Non dobbiamo infatti dimenticare che la Spagna raggiunse l'apogeo
della propria feudalità quando tutti gli altri Stati europei si accingevano
a diventare capitalisti. Nella Spagna del XVI sec. la contraddizione fra
necessità della tradizione ed esigenze della modernità, era particolarmente
acuta. Per la Spagna non c'era altro modo d'impedire la fine del feudalesimo
che quello di distruggere fisicamente la classe borghese.
Quell'odio vetero-feudale contro la modernità raggiunse proporzioni inaudite
nel "Nuovo Mondo" perché qui l'hidalgo conquistador l'associò alla
consapevolezza della propria assoluta superiorità bellica. Il feudalesimo
spagnolo, diviso com'era in classi antagonistiche, abituato soltanto a
ragionare coi criteri della forza, non riuscì ad accettare il comunismo
primitivo delle civiltà indigene, anche se l'impatto con la "diversità" fu
così forte che la teologia cattolica europea dovette rivedere molti dei suoi
postulati.
L'europeo della tradizione feudale perse insomma l'occasione di vincere la
propria battaglia contro il capitalismo emergente partendo dal recupero del
comunismo primitivo incontrato nell'America centrale, che naturalmente
avrebbe dovuto essere integrato dalle acquizioni scientifiche, culturali
ecc. più progressiste dell'Europa occidentale. In America gli europei
avrebbero potuto costruire quella società democratica che in Europa
occidentale si riteneva possibile solo superando il feudalesimo col
capitalismo.
Il fatto che gli spagnoli si siano serviti delle ricchezze del colonialismo
per cercare di fermare in Europa l'avanzata del capitalismo e del
protestantesimo e di imporre con la forza militare la società
cattolico-feudale, si può spiegare solo pensando che già all'interno della
confessione cattolica vi erano i presupposti ideologici che avrebbero potuto
portato le spedizioni marittime e commerciali d'oltreoceano ad assumere i
connotati di spedizioni militari vere e proprie.
Cioè a dire, anche se in gioco non vi fossero state la ricerca delle spezie
o dei metalli pregiati, tali spedizioni -è da presumere- sarebbero
ugualmente avvenute con l'uso della forza militare, appunto perché la
religione cattolica, per diffondersi, ne prevede esplicitamente l'uso. Certo
è che se non ci fosse stata la motivazione economica, difficilmente avrebbe
potuto esserci un colonialismo basato su motivazioni esclusivamente
religiose. Neppure le crociate medievali erano prive d'interessi
commerciali.
In altre parole, mercanti e marinai europei diventavano "violenti" quando le
possibilità di arricchirsi sfruttando le risorse altrui erano a portata di
mano, ma senza la religione cattolica non si sarebbe affermato un
atteggiamento così colonialistico. Non si trovano infatti esempi analoghi
nelle terre dominate dalla religione ortodossa.
La differenza fra le crociate medievali e lo spirito di conquista del XVI
sec. sta soltanto in questo, che allora le crociate erano un'esigenza di
tutta la cristianità medievale occidentale, mentre nel XVI sec. erano
un'esigenza della nazione economicamente più arretrata d'Europa: la Spagna.
A nessuna nazione del '500 sarebbe venuto in mente di conquistare le terre
dei mori o dei pagani in nome della diffusione del cristianesimo. L'odio nei
confronti del papato era troppo forte e lo stesso papato da tempo aveva
perso ogni vera credibilità. Nessun europeo, che non fosse strettamente
legato a qualche ambiente clericale, avrebbe accettato di rischiare di
morire per un ideale religioso.
Questo naturalmente non significa che i mercanti e i borghesi delle nazioni
capitalistiche saranno immuni dallo "spirito di conquista", o che schiere di
fanatici protestanti non andranno al seguito dei loro connazionali
conquistatori, cercando di competere coi rivali cattolici. Solo che le
nazioni capitalistiche non avevano più l'onere di dover mediare i loro
interessi con quelli della chiesa romana. L'ideale religioso restava
strettamente subordinato a quello economico di una classe sociale
particolare.
* * *
Gli spagnoli, quando approdarono per la prima volta in America, massacrarono
non solo per motivi economici (cioè per poter diventare borghesi senza
esserlo), ma anche per motivi culturali. Ciò che videro infatti
rappresentava, fra le altre cose, anche il loro inconscio pre-schiavista o
pre-servile, ovvero il desiderio rimosso di poter vivere "felici" in una
società priva di conflitti di classe.
Essi non riuscirono a tollerare che la "felicità" o il benessere sociale e
psico-fisico potessero accompagnarsi con la semplicità dei costumi, degli
strumenti tecnico-scientifici e di lavoro, degli atteggiamenti sociali, con
la comunione dei beni e il rapporto equilibrato con la natura, coll'assenza
di religioni, di leggi, di armi, di proprietà privata, con l'indifferenza
(che non fosse estetica) per l'oro e l'argento, con il sentimento
dell'innocenza espresso anche dalla nudità fisica...
Gli indios che incontrò Colombo (e che egli non riuscì assolutamente a
capire), altro non rappresentavano che l'uomo naturale: in antitesi non a
"uomo civile" ma a "uomo incivile", cioè a uomo avido e crudele, falso e
bugiardo... Il primo genocidio fu il più difficile da legittimare. Non a
caso le civiltà pre-colombiane che più hanno resistito ai conquistadores
sono state quelle più lontane dalla logica dello schiavismo, quelle cioè che
piuttosto che accettare la schiavitù si sono lasciate sterminare.
Ancora oggi esistono comunità indigene le cui condizioni di vita sono molto
simili a quelle che avevano trovato i conquistatori. In Americalatina vi
sono ancora 40 milioni di indios e oltre 400 culture.
Viceversa, la distruzione degli imperi inca, maya e azteco va attribuita
esclusivamente a interessi economici di profitto, poiché sul piano culturale
gli europei avevano già superato il fastidio di "sentirsi giudicati". La
pratica dello schiavismo, dell'antropofagia, del sacrificio agli dèi di
vergini e bambini, la poligamia dei leaders politico-religiosi ecc. : queste
e altre cose facevano sentire gli europei in "diritto" di compiere il
genocidio, il saccheggio, l'esproprio, lo sfruttamento...
Quei tre imperi, peraltro, stavano lentamente impadronendosi di tutta
l'America centro-meridionale. Nello scontro tra europei e amerindi non ha
vinto solo la forza delle armi, ma anche la maggiore astuzia di una civiltà
che era stata prima schiavista e poi servile per almeno 1500 anni.
Tuttavia, gli europei si dimostrarono così ostili alle culture incontrate
che non solo non riuscirono a stabilire con esse un rapporto paritetico,
egualitario, ma anche quando distrussero le civiltà schiaviste non
riuscirono neppure a sostituirle con altre di livello superiore. Essi
infatti non fecero che peggiorare la situazione, tanto che ad un certo punto
furono costretti a importare gli schiavi dall'Africa per rimpiazzare quelli
americani decimati. In questo senso lo "schiavismo" qui importato dagli
europei borghesi e protestanti fu senz'altro più efficiente di quello
ispano-portoghese.
Lo schiavismo degli spagnoli era superiore a quello indigeno solo quanto a
perfidia ed esosità. Esso riuscì a imporsi con grande facilità, nell'ambito
delle società schiaviste americane, perché ebbe la fortuna di arrivare nel
momento in cui quegli schiavismi regionali avevano già perso molta della
loro legittimità.
Gli spagnoli in pratica hanno interrotto quella fase di passaggio che
caratterizza tutte le formazioni sociali schiavistiche: la fase in cui
bisogna decidere se trasformare gli schiavi in soggetti di diritto, a causa
della loro resistenza allo sfruttamento, oppure se allargare le zone
geografiche d'influenza, aumentando così le riserve di manodopera gratuita.
Gli spagnoli si sostituirono agli imperi schiavisti optando naturalmente per
la seconda alternativa.
* * *
Cosa deve fare oggi l'Americalatina, cioè il continente che molto più
dell'Africa e dell'Asia ha accettato la cultura occidentale? Essa deve
riscoprire la propria autonoma identità servendosi della cultura mondiale.
Deve riscoprire il suo passato pre-schiavista servendosi di quella cultura
mondiale che può aiutarla a uscire dal neo-colonialismo. L'America non può
realizzare il socialismo democratico, che ancora non esiste in alcuna parte
del mondo, tornando semplicemente alle sue origini pre-coloniali: queste
origini non possono essere recuperate affermando l'isolazionismo.
Il problema non è più quello di contrapporre le tradizioni comunitarie alla
modernità capitalistica, poiché in questo tentativo il confronto vedrebbe il
capitalismo vincente. Il problema oggi è quello di vedere se è possibile
incanalare la modernizzazione dell'America in queste due direzioni, fra loro
complementari: 1) rispettare le ultime tradizioni comunitarie esistenti,
integrandole creativamente con le nuove dimensioni del vivere civile; 2)
costruire una società democratica e socialista che sappia valorizzare le
migliori conquiste tecnico-scientifiche e la cultura più umanistica espressa
dall'umanità intera, e quindi anche dall'Occidente.
In questo senso la posizione ufficiale dell'occidente capitalistico e della
chiesa cattolica non possono essere di alcun aiuto per gli interessi
latinoamericani. Le ultime proposte neocoloniali sono state quella degli
USA, con l'Iniziativa per le Americhe, secondo cui si dovrebbe creare un
megamercato continentale "libero", naturalmente a tutto vantaggio degli
Stati Uniti, che temono sempre di più l'espansionismo economico-finanziario
del Giappone e l'unificazione europea; e quella della Spagna, con
l'Integrazione iberoamericana, secondo cui la Spagna si farebbe
intermediaria degli interessi dell'Europa occidentale nel continente
sudamericano.
Dal canto suo la chiesa cattolica di Wojtyla parla di "nuova
evangelizzazione". La ripresa missionaria di questa chiesa dovrebbe servire
per rispondere alla sfida delle sètte che pullulano in Americalatina, oltre
che per rinnovare la cultura cattolica sudamericana, sempre più minacciata
dalla secolarizzazione e per ribadire la stretta dipendenza del
cattolicesimo sudamericano da quello europeo. In tal senso Wojtyla rifiuta
la "scelta preferenziale per i poveri" come punto di partenza, e privilegia
la "fusione delle culture" come elemento essenziale accanto ad altri. La
teologia della liberazione viene tenuta rigorosamente ai margini della
dialettica culturale del momento.
LA FAME D'ORO DELLA SPAGNA
Il Paese che ebbe il destino di svolgere il ruolo di "precursore" del
capitalismo, e cioè la Spagna, fu anche quello che nel XVI sec. si trovava
nelle peggiori condizioni per uno sviluppo capitalistico. Semplicemente
perché con la "Riconquista" cattolica del territorio nazionale, che si
concluderà nel 1492, i sovrani spagnoli eliminarono la borghesia come classe
sociale, essendo essa prevalentemente rappresentata da ebrei e mori.
Le fasi della Riconquista
La "Riconquista", iniziata nei secoli VIII-IX, vide come protagoniste attive
tutte le classi sociali della società feudale, ma soprattutto i contadini, i
quali, potendo occupare le terre arabe, devastate dalle continue guerre,
miravano ad affrancarsi dalla servitù della gleba. I mercanti e gli
artigiani di religione cattolica vi parteciparono perché sapevano che il
meridione era economicamente più sviluppato. Fu proprio in seguito a questo
processo che si costituirono i grandi Stati della Spagna medievale, come la
Castiglia, l'Aragona e la Catalogna.
Con lo svolgersi della "Riconquista" inizia a svilupparsi il sistema feudale
vero e proprio, in ritardo rispetto agli altri paesi europei. Nella
Castiglia la classe dominante era composta da latifondisti laici ed
ecclesiastici. L'alta aristocrazia poteva fare guerre senza tener conto
della volontà del re e annettersi vasti territori. Essa era esente dal
pagamento delle imposte e possedeva diritti di immunità, per cui i
funzionari statali non potevano entrare nelle sue proprietà. Catalogna e
Valencia erano regioni costiere legate al commercio mediterraneo. L'Aragona
invece era molto arretrata, anche se, in virtù delle sue imprese
politico-militari nel Mediterraneo, era riuscita ad occupare Sicilia,
Sardegna e Regno di Napoli. La corona comunque non sarà in grado di
contrastare le forze particolaristiche (città e nobiltà) che miravano a
consolidare i loro privilegi.
La "Riconquista" riprese con grande vigore verso la metà dell'XI sec., dopo
che il califfato di Cordoba si era frazionato in una serie di emirati
arabo-berberi, continuamente in lotta tra loro. Gran parte della penisola
iberica, nella seconda metà del XIII sec., era occupata da due Stati:
Castiglia e Aragona. A occidente invece vi era il Portogallo. Ai mori
restava un piccolo territorio attorno a Granada.
Il momento più significativo dell'unificazione nazionale fu quando
Ferdinando, erede al trono d'Aragona, sposò nel 1469, Isabella, erede al
trono di Castiglia. Lo Stato che si formerà da questo matrimonio sarà di
notevoli dimensioni, perché comprenderà anche le isole Baleari, la Sicilia,
la Sardegna e l'Italia meridionale. Naturalmente non si può qui parlare di
"unità politico-nazionale" o di uno Stato "assoluto" (come ad es. quello ad
esso contemporaneo dell'inglese Enrico VII). L'unione di Castiglia e Aragona
(avvenuta nel 1479) era più che altro "personale": molti atti di governo
erano decisi e attuati in comune, ma in molti casi vigeva ancora una
separazione giurisdizionale e uno squilibrio in favore della Castiglia.
Inoltre la formazione dell'unità nazionale incontrava, sul suo cammino, tre
seri ostacoli: a) i grandi feudatari, che volevano conservare il
frazionamento politico del Paese, durante la "Riconquista" avevano ampliato
notevolmente i loro possedimenti; b) lo strato superiore del patriziato
cittadino, favorevole all'unificazione, godeva di molti privilegi medievali
e sosteneva il potere regio solo a condizione di non perderli; c) la piccola
e media nobiltà sosteneva il re più che altro allo scopo di garantirsi le
rendite pagate dai contadini, i quali si opponevano sempre più spesso al
servaggio.
In ogni caso, con l'appoggio dei piccoli nobili e della borghesia cittadina,
la monarchia lottò con successo contro i grandi feudatari. In particolare,
l'alleanza con la borghesia consentì alla corona di assicurarsi regolari
risorse finanziarie, un esercito non feudale e un severo controllo
dell'ordine pubblico. Una volta sottomessa l'alta aristocrazia, la monarchia
intraprese la guerra contro l'emirato di Granada, che cadde dopo 10 anni,
pochi mesi prima che Colombo "scoprì" l'America. Poi la monarchia, a
sorpresa, cominciò a limitare i diritti delle città all'autogoverno,
facendole controllare da propri funzionari permanenti, che godevano di ampie
facoltà giudiziarie, politiche, amministrative e finanziarie. In tal modo
impedì alla borghesia di rivendicare un potere politico. Lo stesso potere
delle Cortes (Parlamento) venne notevolmente ridimensionato. In un Paese
arretrato come la Spagna, difficilmente l'assolutismo avrebbe potuto avere
con la borghesia un rapporto che andasse aldilà di un uso strumentale contro
l'anarchia feudale. Ciò che ai Re Cattolici premeva di ottenere, attraverso
l'aiuto della borghesia, era unicamente l'estromissione di una buona parte
dell'aristocrazia dagli affari politici. Per il resto, sul piano economico,
potevano continuare a dominare i metodi tradizionali della società
medievale. [Anche per la designazione dei vescovi, la corona poneva al
papato condizioni ad essa ampiamente favorevoli].
La politica estera seguì le direttive tradizionali antifrancesi e di
salvaguardia del predominio nel Mediterraneo, contro veneziani e musulmani.
Il diretto dominio del regno di Napoli e l'occupazione di Tripoli (1511)
allontanarono definitivamente, grazie anche alla sottomissione di Algeri e
Tunisi, la minaccia islamica e imposero il dominio spagnolo sulle coste
africane.
Adeguandosi, seppure in ritardo, alla politica generale della cristianità
occidentale (che sin dal XIII sec. aveva inaugurato, in concomitanza con le
crociate, una strategia persecutoria o quanto meno discriminatoria contro
gli ebrei), la monarchia spagnola, per la quale la creazione di uno Stato
moderno implicava l'unità della fede religiosa, introduce nel 1480
l'Inquisizione ed emana un editto di segregazione generale degli ebrei.
L'antisemitismo raggiunge l'apice allorquando si fonde con la lotta contro i
mori e gli eretici.
Prima dell'editto reale di espulsione del marzo 1492, vi erano in Spagna da
200 a 300.000 ebrei (sefarditi): dopo l'editto ne emigrarono da 150 a
200.000; ne rimasero in Spagna, disposti a farsi battezzare, circa 50.000.
Di quelli emigrati, circa 120.000 riparò in Portogallo, dove già ne
esistevano 75.000. Dall'inizio delle persecuzioni almeno 2000 ebrei vennero
messi sul rogo. Il grande benessere raggiunto sotto la dominazione araba era
finito per sempre. Gli ebrei torneranno in Spagna solo verso la metà del
nostro secolo. I mori invece, al tempo dei Re Cattolici, erano circa un
milione, di cui 300.000 furono espulsi. Nel 1502 furono dichiarati del tutto
"illegali" e quindi costretti alla definitiva espulsione. [Da notare che
allora la Spagna aveva circa 10 milioni di abitanti]. Lo Stato e la nobiltà
s'impadronirono delle loro ricchezze (inquisitori e delatori ricevevano 1/3
dei beni dei condannati, il resto andava alla corona), ma, non sapendole
convertire in capitali, non fecero che favorire i capitalisti stranieri, che
poterono così trovare un enorme spazio a loro disposizione. Mentre nei
grandi Stati euroccidentali la monarchia assoluta rappresentava il centro
dell'unificazione sociale e nazionale, grazie soprattutto all'aiuto della
borghesia, viceversa nella Spagna l'assolutismo e l'accentramento monarchico
avvennero contro gli interessi della borghesia, a esclusivo vantaggio di
quelli aristocratici, in stretta relazione col potere ecclesiastico.
L'espulsione degli ebrei e dei mori fu, allo stesso tempo, causa ed effetto
della debolezza della borghesia spagnola. Fu il frutto dell'offensiva delle
classi nobiliari ed ecclesiastiche contro i settori che minacciavano di
costituirsi in borghesia nazionale. A ciò tuttavia va aggiunta la
considerazione che se l'espulsione fu possibile, molto dipese anche dal
fatto che la borghesia ebraica e musulmana non erano riuscite a integrarsi
con quella cattolica o con la popolazione di religione cattolica (che era
prevalentemente contadina). D'altra parte l'integrazione non sarebbe mai
potuta avvenire finché le parti in causa avessero continuato a considerare
le differenze religiose come un ostacolo insormontabile. Non dobbiamo
inoltre dimenticare che il cattolicesimo spagnolo mal sopportava di
coinvolgersi con lo stile di vita borghese. E' vero che gli ebrei
parteciparono alla "Riconquista", mostrando lealtà nei confronti della
monarchia, ma è anche vero che se non l'avessero fatto, la loro espulsione
sarebbe stata anticipata (l'antisemitismo in Spagna era stato già molto
forte alla fine del XIV sec.). Gli ebrei avevano bisogno di "mostrare" il
loro patriottismo, onde evitare l'accusa di non sapersi integrare nel
contesto sociale. Non a caso la loro espulsione fu appoggiata attivamente
dagli strati popolari, poiché sugli ebrei le autorità scaricavano i motivi
della crisi socio-economica (furono persino accusati di aver provocato la
peste nera del 1348).
Economia e classi sociali
Il settore agricolo più importante, nella maggior parte delle regioni
spagnole del XVI sec., era, soprattutto nella Castiglia, l'allevamento
ovino, a causa del grande sviluppo dell'industria tessile nell'Europa
nord-occidentale (Fiandre, Francia, ecc.). I tentativi dei contadini di
recintare le proprie terre per salvarle dalla rovina provocata dai greggi di
passaggio, incontravano sempre forti resistenze da parte degli allevatori,
che erano protetti dalla corona per motivi fiscali. La corona anzi fece in
modo che gli allevatori potessero accaparrarsi quante più terre possibili. I
contadini furono rovinati al punto che tutta la Spagna settentrionale doveva
ricorrere al grano d'importazione. In pratica, lo sviluppo dei rapporti
mercantili-monetari non portò nelle campagne spagnole al sorgere del sistema
capitalistico di produzione, ma, al contrario, favorì la conservazione dei
rapporti feudali e la decadenza dell'agricoltura.
La produzione artigianale e industriale era concentrata nelle città,
soprattutto a Siviglia, Toledo, Granada, ecc. I maggiori successi furono
raggiunti nella produzione del panno e della seta, soprattutto dopo la
conquista dell'America (i conquistadores avevano bisogno di vestiario, armi,
ecc., in cambio di oro e argento), ma anche perché molti contadini, fuggiti
dalle campagne, affluivano nelle città in cerca di lavoro. Ciononostante, a
confronto con la produzione dei Paesi più avanzati d'Europa, le dimensioni
dell'industria spagnola erano modeste, anche a causa del fatto che gli
ex-regni spagnoli (Leòn, Valencia, Catalogna...), trasformatisi alla fine
del XV sec. in province dello Stato unificato, mantenevano le particolarità
del loro sviluppo storico, restando economicamente isolate, chiuse nei
propri privilegi feudali (di signori e di città): privilegi che ovviamente
creavano ostacoli allo sviluppo dei rapporti commerciali con le regioni
vicine (ad es. esistevano ancora numerose dogane).
La classe spagnola più rigidamente strutturata era quella nobiliare,
suddivisa in: a) Grandi, cioè i ricchi proprietari, a più diretto contatto
con la monarchia, dalla quale ottenevano privilegi in cambio di lealtà e di
lotta al decentramento dei poteri. Erano i più parassiti; b) Dignitari, non
direttamente vincolati alla corona, poiché il loro potere derivava anzitutto
dal possesso delle terre. Ogni Grande è un Dignitario, ma il contrario non è
sempre vero. Spesso lo Stato deve combattere contro questa nobiltà che
pretende ampia autonomia; c) Cavalieri, organizzati in "ordini", con propri
regolamenti e rituali rigidissimi, in relazione con la purezza della fede e
della razza. La loro ricchezza dipende dal militarismo. Erano i più
monarchici, i più razzisti della nobiltà, perché dipendevano totalmente
dallo Stato; d) Hidalgos, cioè i nobili decaduti (9/10 della nobiltà nel suo
complesso): l'unica cosa che avevano era il lignaggio, di cui naturalmente
si vantavano. Disprezzavano il lavoro. Spesso erano un modello che i più
poveri volevano imitare (per avere le "apparenze da gran signore"). Sono
loro che nel periodo del capitalismo mercantile disprezzano il lavoro e il
denaro in nome di valori pre-borghesi (onore, indipendenza di pensiero,
senso eroico della vita). In realtà volevano la ricchezza, ma guadagnata
nell'avventura, e non per accumulare ma per consumare. Il basso clero spesso
assomigliava agli hidalgos.
Il vero conquistatore sarà l'hidalgo che dalla "Riconquista" non aveva
ottenuto particolari vantaggi materiali. Questo giovane celibe, militare a
tempo pieno, cadetto di famiglia nobile ma decaduta, nelle "Indie" si
emanciperà economicamente dalla propria soggezione nei confronti della
grande nobiltà e della borghesia. I mezzi per ottenere questo non saranno
più quelli tradizionali: coraggio militare, lignaggio, onore, ma quelli
moderni: massacri, sfruttamento, espropriazione di risorse, ecc. La sua
rapida ascesa sociale sarà il frutto non di una "lotta di classe" ma di una
"scoperta geografica". De Sepùlveda racconterà nella sua Cronica Indiana,
che Hernàn Cortés si sentiva autorizzato da Dio a combattere gli indios
pagani, così come un crociato fa la sua "guerra santa" per un fine
superiore, nobilitato dalla religione; ma, nello stesso tempo, afferma, con
altrettanta sicurezza, che i conquistadores erano lì per rubare e
saccheggiare. Il Dio della fede andava trasformato in "oro" e l'oro
diventava il nuovo "dio".
Nasce il colonialismo
Nella primavera del 1492 gli spagnoli avevano conquistato Granada, ultimo
baluardo dei mori nella penisola iberica. Nell'agosto dello stesso anno
partirono le tre caravelle di Colombo, al fine di scoprire la via
occidentale verso le Indie e l'Asia orientale. Colombo venne nominato
"ammiraglio e vicerè" di tutte le terre che avrebbe scoperto, con il diritto
di tenere per sé 1/10 di tutti i guadagni che ne sarebbero derivati. Colombo
si era rivolto alla Spagna quando vide che il navigatore Diaz era tornato
trionfalmente in patria dopo aver doppiato il Capo di Buona Speranza,
dimostrando così che la via orientale per le Indie era concretamente
percorribile. Ora la via oceanica per la Spagna era l'unica possibile,
poiché il Portogallo, avendo occupato le isole atlantiche e alcune posizioni
marocchine, l'aveva tagliata fuori dalla rotta africana.
Il 12 ottobre 1492, dopo 69 giorni di navigazione, le caravelle raggiunsero
Guanahani (S. Salvador), una delle isole Bahamas. Dopo questa spedizione,
Colombo ne fece altre tre, scoprendo ed esplorando Cuba, Haiti (che divenne
il centro della colonizzazione), Giamaica e altre isole caraibiche, nonché
il litorale orientale dell'America centrale e la costa del Venezuela. Il
motivo fondamentale di queste esplorazioni era la ricerca dell'oro e delle
spezie. Colombo, siccome non ne trovò quanto avrebbe voluto, propose ai suoi
monarchi di trasportare in Spagna degli schiavi. Gli indigeni delle colonie,
trasformati in schiavi, non riuscivano a sopportare il peso delle fatiche,
per cui, quando cominciarono a soccombere a decine di migliaia (anche per
malattie contratte dal contatto con gli europei) gli spagnoli importarono
schiavi africani in massa per sostituirli. La prima importazione iniziò nel
1501 e verso il 1518 era già diventata una delle attività coloniali più
redditizie.
Nel 1501 si vietò in maniera formale a qualsiasi straniero l'accesso alle
cosiddette Indie. Nel 1503 venne fondata la Casa de contrataciòn di
Siviglia, sul modello del sistema monopolistico-commerciale portoghese, al
fine di regolare e controllare il traffico di passeggeri e merci con le
"Indie". Si trattava di una corporazione di commercianti, cui fu concessa
autorità sufficiente per impedire che si violassero i privilegi dei
commercianti spagnoli che avevano rapporti con le colonie. Per esercitare il
controllo tutte le navi dovevano salpare e attraccare a Siviglia. Col tempo,
la "Casa" divenne un'istituzione governativa, con compiti politici,
amministrativi e giudiziari (i suoi funzionari non potevano partecipare
direttamente ai traffici). Essa perse la sua autonomia con la creazione nel
1524 del "Consiglio delle Indie", e si trasformò in uno strumento di potere
al servizio dei gruppi finanziari di Siviglia, mentre le facoltà
governative, giudiziarie e anche militari vennero trasferite dalla corona al
suddetto "Consiglio", i cui compiti erano di proporre al re i nomi di tutte
le alte cariche (laiche e religiose) per le Indie; assicurare la censura dei
libri e il permesso di pubblicazione; fungere da corte di appello per le
sentenze dei tribunali delle colonie, ecc. Il "Consiglio" agiva nel più
rigoroso segreto.
Nel 1524 l'imperatore Carlo V, sempre più consapevole della necessità di
capitali stranieri per sostenere le imprese coloniali, e messo alle strette
dai banchieri tedeschi, consentì che mercanti stranieri commerciassero con
le Indie, anche se confermò il divieto ad una loro installazione nel Nuovo
Mondo. Ma già nel 1525-26 sudditi provenienti da quasi tutti i suoi domini,
ottennero il permesso di recarsi in America, e nel 1529 la corona concesse a
dieci porti castigliani di commerciare col Nuovo Mondo. Nel 1538, a causa
delle proteste dei mercanti spagnoli, che non volevano la concorrenza
straniera, si vietò di nuovo a tutti gli stranieri l'accesso alle terre
americane. Siviglia riuscirà a conservare il proprio monopolio fino al 1680,
allorché dovrà cederlo a Cadice. Tuttavia gli stranieri, facendosi
naturalizzare come castigliani oppure ottenendo permessi speciali,
continuarono ad approdare sul nuovo continente.
Dal sec. XVI al sec. XIX (fine del traffico e della schiavitù), circa
9.500.000 negri furono deportati dall'Africa (la loro condizione giuridica
era inferiore a quella dell'indio, al punto che i Codici delle Indie
vietavano ai negri di accoppiarsi con le indias). Il 38% fu portato in
Brasile, il 6% negli Stati Uniti, più del 50% nelle Antille britanniche,
nelle colonie francesi dei Caraibi e in quelle spagnole. Solo Cuba ne
accolse 702.000, più di qualsiasi altra colonia spagnola. A differenza della
schiavitù indios, quella negra aveva già dei precedenti in Spagna: alla fine
del XV sec. c'erano in Andalusia numerosi schiavi importati direttamente
dalla Guinea (dopo il trattato di pace di Alcaçovas, nel 1497, col
Portogallo, saranno i mercanti lusitani a rifornire di schiavi la Spagna,
anche se quest'ultima, con la Casa de contrataciòn, cercherà di realizzare
un proprio monopolio schiavista).
Il requerimiento
Sarà a seguito delle denunce dei religiosi contro il sistema schiavistico,
che giocava sull'equivoco della non-appartenenza dell'indio alla specie
umana e anche per limitare l'autonomia degli encomenderos, che si
promulgheranno nel 1512 le "Leggi di Burgos", che toglievano legittimità
all'asservimento degli indios pacifici, alle conversioni forzate,
all'encomienda repressiva (vedi più avanti), consentendo però il lavoro
forzato e l'intervento punitivo nei confronti dei ribelli. Tali Leggi furono
un tentativo di rendere più efficace la predicazione della fede cristiana,
impedendo che i conquistatori decimassero le popolazioni indigene. Il papato
volle cioè far capire alla Spagna che il privilegio della conquista le era
stato concesso anche per la conversione degli indios. Il requerimiento
nacque, nel 1514, proprio in applicazione alle Leggi di Burgos. Esso altro
non voleva essere che uno strumento per regolamentare, in maniera "legale",
le conquiste fino ad allora caotiche: non esprimeva il desiderio della
corona spagnola d'impedire guerre ingiustificate, concedendo alcuni diritti
agli indiani, ma piuttosto la preoccupazione della stessa corona di tenere
sotto controllo i conquistadores e gli encomenderos.
Il testo comincia con una breve storia dell'umanità, il cui punto culminante
è rappresentato dall'apparizione di Cristo, definito "capo della stirpe
umana", il quale avrebbe trasmesso il suo potere a san Pietro e questi ai
papi suoi successori. Uno degli ultimi papi avrebbe poi fatto dono del
continente americano agli spagnoli (e in parte ai portoghesi). Gli indiani
dovevano essere informati della situazione. I conquistatori, infatti (usando
naturalmente la lingua spagnola e senza interpreti) intimavano agli indigeni
di riconoscere il papa come signore del mondo e, in sua vece, il re di
Castiglia per diritto di donazione; in caso contrario, essi si sarebbero
sentiti autorizzati a compiere la schiavizzazione forzata, o, nel peggiore
dei casi, lo sterminio. L'alternativa dunque era fra il servaggio feudale e
lo schiavismo. A causa di questo suo carattere così scandalosamente
ipocrita, il requerimiento già nel 1525 non veniva più applicato. In
seguito, saranno le Leggi Nuove del 1542 a stabilire formalmente che il
monarca spagnolo era sovrano anche degli indios, al fine di sottrarre
quest'ultimi al totale arbitrio dei conquistatori.
Un altro pretesto con cui si cercò di legittimare la schiavitù fu cercato
nel fatto che talune civiltà (ad es. quella azteca), la praticavano ancor
prima d'incontrare gli spagnoli. Las Casas però preciserà che, generalmente,
tra gli indios la schiavitù era una pena inflitta per determinati delitti,
aveva carattere transitorio e non portava alla morte. Inoltre si trattava di
una punizione personale e non collettiva, come invece fu quella imposta dai
conquistatori, i quali non si limitavano a usare lo schiavo per il lavoro,
ma lo usavano anche come merce di scambio.
Dopo Colombo
La notizia della scoperta di Colombo suscitò un grande allarme in
Portogallo, che si sentiva defraudato dei propri possessi asiatici. La
contesa tra le due nazioni venne inizialmente risolta dal papato. (In
seguito la Spagna si servirà spesso dei riconoscimenti ufficiali della
Chiesa romana al proprio esclusivo dominio nel "Nuovo Mondo", perché altre
nazioni -soprattutto quelle di religione protestante- pretenderanno una
spartizione delle colonie). Tuttavia, dopo il successo di Vasco de Gama, nel
1498, Colombo cominciò ad essere definito un impostore, tanto che i re
spagnoli lo privarono non solo del diritto di effettuare altri viaggi verso
Occidente, ma anche dei redditi ottenuti dalle terre scoperte. Colombo, in
breve tempo, venne privato di tutti i suoi beni, che servirono per pagare i
debiti dei suoi creditori. Abbandonato da tutti, morirà nel 1506. Persino il
continente da lui scoperto, prenderà il nome dell'italiano Amerigo Vespucci,
che negli anni 1499-1504 partecipò ad una spedizione nelle coste del
Sudamerica: le sue lettere suscitarono grande interesse in Europa. [Furono
gli autori di un'importante Introduzione alla Cosmografia, pubblicata nel
1507, che, valutando i meriti del Vespucci, decisero di dare il suo nome al
"Nuovo mondo", che lui stesso peraltro definì così].
Dopo Colombo, altri conquistadores continuarono ad allargare i possessi
coloniali spagnoli in America (Istmo di Panama, Yucatan, Messico...). Furono
soprattutto intrapresi dei tentativi per trovare uno stretto che collegasse
l'Atlantico al Pacifico. Il progetto di una grande spedizione per ricercare
la via sud-occidentale verso il Pacifico e arrivare all'Asia per la via
occidentale, fu proposto al re spagnolo da Ferdinando Magellano. Il suo
obiettivo economico era quello di raggiungere le isole Molucche, che si
sapevano ricche di spezie. Magellano partì dalla Spagna nel 1519, arrivò
nello stretto che ancora oggi porta il suo nome e puntò verso le rive
dell'Asia, attraversando il "Mare del Sud", che ribattezzò "Oceano
Pacifico", essendogli apparso molto calmo. Nel 1521, dopo tre anni di
navigazione, raggiunse quelle che oggi vengono chiamate le Filippine (che
saranno definitivamente conquistate nel 1567). Qui cercò di conquistare le
terre da lui scoperte, ma venne ucciso in uno scontro con gli indigeni. Alle
isole Molucche giunsero solo due navi delle cinque ch'erano partite, e solo
una fu in grado di tornare in Spagna col carico di spezie. Dell'intero
equipaggio: 265 uomini, solo 18 erano sopravvissuti. Tuttavia la vendita del
carico di spezie fu in grado di coprire abbondantemente le spese della
spedizione. Magellano aveva praticamente portato a termine l'opera iniziata
da Colombo, anche se la nuova rotta dall'Europa all'Asia non avrà una grande
importanza pratica, data la lunga distanza e la difficoltà della
navigazione.
Cortés e Pizarro
Negli anni 1519-21 ben più importante fu la spedizione militare dei 600
conquistatori castigliani comandati dall'hidalgo F. Cortés, che fornito di
16 cavalli e armato di 13 cannoni, era partito da Cuba verso le zone interne
del Messico, alla conquista dello Stato degli aztechi, le cui ricchezze non
erano inferiori a quelle dell'India. Cortés aveva organizzato la spedizione
con i guadagni ottenuti da una piantagione di Cuba. Le vittorie abbastanza
facili dei suoi reparti militari dipesero sostanzialmente da tre fattori:
- a) la lunga esperienza politico-militare acquisita dai mercenari durante
la "Riconquista": proprio in virtù di quel processo di unificazione
nazionale, iniziato nella penisola iberica nell'800 e "terminato" nelle
Americhe intorno al 1600, si poterono trasferire nelle colonie (adattandole)
quelle strutture di dominio che in parte erano già state collaudate nella
madrepatria lottando contro i mori;
- b) l'impiego di armi da fuoco, corazze d'acciaio e cavalli (mai visti
prima in America). Sia nel XV che nel XVI sec. i navigatori, esploratori e
conquistatori euroccidentali erano convinti, non meno dei crociati dei
secoli precedenti, di appartenere alla parte civilmente e religiosamente
avanzata dell'umanità, ma mentre nel Medioevo lo scontro armato contro
l'"infedele" era alla pari, ora la superiorità tecnologica degli europei era
decisamente superiore. Questo spiega anche perché i 200.000 europei che alla
fine del '500 si trovavano oltreoceano erano in grado di controllare
popolazioni indigene da 50 a 100 volte più numerose;
- c) le discordie intestine fra gli aztechi e le tribù loro soggette. In un
primo momento gli aztechi accettarono la cattura, con l'inganno, del loro re
Montezuma e che gli spagnoli governassero a nome suo il Paese. Ben presto
però scoppiò una grande insurrezione contro gli avidi e spietati
conquistatori (ad es. tutti gli oggetti d'oro venivano fusi in lingotti e
distribuiti fra i componenti della spedizione). Cortés assediò la capitale
Tenochtitlan (l'odierna Città del Messico) con un esercito di 10.000 uomini
(in gran parte indigeni anti-aztechi): dei 300.000 abitanti che la città
aveva ne morirono ben 240.000. I vincitori s'impadronirono di 600 kg d'oro.
Nel 1521 il Messico divenne una colonia spagnola: l'oro, le pietre preziose
e le terre vennero suddivise tra i colonizzatori.
Successivamente gli spagnoli occuparono il Guatemala e l'Honduras. Nel 1546
sottomisero i Maya nello Yucatan. Essi rivolgevano tutta la loro attenzione
verso le zone montagnose dell'America meridionale, ricche di oro e argento.
Negli anni 1531-33 il conquistatore Francisco Pizarro intraprese la
conquista dello Stato degli inca, nel Perù-Bolivia. Con un reparto di 180
uomini e con 37 cavalli, Pizarro penetrò in questo Stato approfittando della
lotta di due fratelli "eredi" al trono. Egli fece prigioniero uno dei due
pretendenti, Atahualpa, governando il Paese a suo nome. Per la liberazione
di Atahualpa venne preteso un riscatto di 5,5 tonnellate d'oro e 11,8
tonnellate d'argento (cioè in sostanza il valore equivalente a quello di
mezzo secolo di produzione europea). Anche questo bottino, d'inestimabile
valore artistico, venne fuso in lingotti e diviso tra i conquistatori. Non
solo, ma ottenuto il riscatto, essi uccisero a tradimento Atahualpa,
occuparono la capitale (impadronendosi di altre 1,1 tonnellate di oro e di
15 tonnellate d'argento) e posero sul trono un indigeno di fiducia.
A Potosì (Bolivia) s'impadronirono di ricchissimi giacimenti d'argento. La
sola quinta parte di questo argento, dovuta alla corona spagnola, forniva
1/7 della produzione mondiale. Non dimentichiamo che l'estrazione mondiale
di argento supererà per valore quella dell'oro sino agli anni '30 del secolo
scorso. Questo perché né i portoghesi né gli spagnoli furono in grado di
scoprire grandi giacimenti di minerale aurifero. Colombo, Cortèz e Pizarro
dovevano necessariamente esagerare le ricchezze americane per poter
assoldare gli eserciti, per garantirsi la protezione dei monarchi, per
trovare il denaro presso i banchieri e i mercanti che organizzavano le loro
spedizioni. Questo, anche se nel XVI sec. l'America fornirà oltre 1/3
dell'oro mondiale, nel XVII sec. oltre la metà e nel secolo successivo i
2/3. Dal 1493 al 1529 nelle "Indie occidentali" vennero estratte circa 22
tonnellate di oro, che comporteranno la morte di almeno 2 milioni di indios.
Un altro calcolo vuole che dal 1503 al 1660, circa 16 milioni di kg
d'argento giunsero a Siviglia (triplicando l'argento esistente allora in
Europa), mentre furono 185.000 i kg d'oro portati dall'America (che aumentò
di 1/5 la disponibilità d'oro dell'Europa). Non dobbiamo dimenticare che
solo il 40% circa del metallo imbarcato in America giungeva a Siviglia:
neanche 20 anni dopo la conquista dell'America, le navi spagnole che
trasportavano l'oro verso l'Europa cominciarono ad essere assalite dai
pirati, inclusi quelli olandesi, inglesi e francesi. Infatti, proprio i
rischi e le difficoltà inerenti allo sfruttamento delle miniere, indurranno
la corona spagnola a rinunciare al proprio monopolio assoluto e a cedere le
miniere in usufrutto, e ad affidarle a privati in cambio di una percentuale
(5%) del metallo estratto.
Per evitare che oro e argento finissero in mano agli stranieri, la corona
proibiva alle colonie qualunque importazione da altri Paesi, ed anche
l'impianto di industrie straniere veniva ostacolato. Alle colonie dunque non
restava che ricorrere al contrabbando, essendo la madrepatria incapace di
soddisfare le loro esigenze, che non riguardavano soltanto armi, vestiti,
cavalli, grano e vino, ma anche prodotti di lusso, tessuti, libri, alimenti
del Vecchio Mondo, cui si sentivano nostalgicamente attaccati. Con ciò
naturalmente non si vuole affermare che nelle colonie esisteva un maggior
"spirito capitalistico". Le ricchezze che restavano in America, dedotta la
maggior parte destinata al processo di accumulazione europeo, non venivano
impiegate in un processo di sviluppo, ma investite nella costruzione di
palazzi e chiese lussuose, nell'acquisto di gioielli e articoli di lusso o
di nuove terre da parte dei proprietari di miniere e grossi latifondisti.
All'inizio degli anni '40 gli spagnoli occuparono il Cile, mentre nella
seconda metà del XVI sec. conquistarono l'Argentina. Lo sviluppo autonomo di
tutti i popoli del continente americano venne definitivamente bloccato. La
colonizzazione dell'Occidente cristiano sopportava meno di quella islamica
che là dove fosse riuscita ad insediarsi, le civiltà dei vinti potessero
continuare a seguire relativamente indisturbate il loro corso. E così nei
primi due decenni della conquista perirono (soprattutto di malattie) circa
40 milioni d'indigeni. Alla fine del '500 da 80 milioni circa che erano,
essi si trovarono ridotti a 12 milioni. Nel 1650 la cifra era scesa a 3,5
milioni: oltre il 90% di perdite. Solo nel Messico centrale la popolazione
si ridusse nel 1605 a 1.075.000 unità dei 25 milioni che era prima
dell'arrivo di Cortés. La storia dell'umanità non ha mai conosciuto una
catastrofe demografica di queste proporzioni. Ancora oggi l'America Latina è
l'unico dei tre continenti colonizzati dall'Europa nel quale mai nessun
popolo indigeno ha potuto riprendersi il potere.
L'encomienda
La monarchia spagnola, a differenza di quella portoghese, riservava ai
conquistatori, attraverso un rapporto d'investitura personale, l'esclusiva
dei monopoli e dello sfruttamento delle terre d'oltremare. Il moltiplicarsi
delle concessioni ridusse, almeno relativamente, le prerogative dei vari
conquistatori, portando all'istituzione dell'encomienda (che entrò nel
diritto pubblico spagnolo sin dal 1503). L'encomienda (tutela) consisteva
nella delega ad un imprenditore dei diritti signorili su un repartimiento
(dominio) e sugli indigeni che lo abitavano.
I repartimientos altro non rappresentavano che la schiavitù "de facto",
l'encomienda invece rappresentò la schiavitù "de jure". Con il primo sistema
i conquistatori schiavizzavano gli indios in modo del tutto arbitrario; con
il secondo sistema li schiavizzavano in modo conforme alla volontà del re.
L'encomienda non era che un contratto medievale per il quale il re concedeva
degli indios in usufrutto (non in proprietà) e per un tempo limitato al
conquistatore, il quale aveva l'onere di organizzare la loro vita, di
istruirli e di cristianizzarli (gli indios, se si convertivano, non potevano
essere considerati "schiavi", ma "servi della gleba").
I repartimientos, inizialmente, furono autorizzati dalla corona con
l'obiettivo di servire a pubbliche necessità (sfruttamento dei giacimenti,
carico delle merci, costruzione di città e opere urbanistiche, ecc.), ma in
pratica i coloni si servivano della popolazione indigena per ogni tipo di
lavoro. I più grandi saccheggi delle Indie furono causati più dai
repartimientos che dall'encomienda. Gli indios repartidos non erano
proprietà di nessuno e, allo stesso tempo, appartenevano a tutti e tutti
potevano fare di loro quello che volevano.
In questo senso, l'encomienda rappresentò il passaggio dalla fase in cui
l'indios veniva "negato" come tale, alla fase in cui, dopo averlo
riconosciuto come "essere umano", si iniziava ad "assimilarlo", rendendolo
accettabile alla cultura europea. La denuncia più famosa contro questo
sistema fu lanciata, come noto, dal padre domenicano Bartolomé de Las Casas:
La sua Brevissima relazione della distruzione delle Indie è del 1552. Las
Casas contestò i seguenti aspetti della colonizzazione: a) l'istituto
giuridico del requerimiento; b) la cristianizzazione forzata; c)
l'encomienda e le guerre di conquista. Las Casas chiese: a) l'affermazione
del fondamento "naturale" del diritto di ogni popolo all'autodeterminazione;
b) la limitazione della sovranità del re, al fine di non sopprimere gli
ordini locali preesistenti; c) il risarcimento dei danni provocati dal
saccheggio delle risorse naturali. Las Casas fu però favorevole, nel 1516,
all'utilizzo degli schiavi neri per alleviare la sorte degli indios, anche
se alla fine della sua vita ammise l'errore.
L'encomienda serviva anche a uno scopo socio-militare: siccome il pagamento
"in indios" costituiva parte delle retribuzioni che il conquistatore
riceveva dal re per i suoi servizi militari, la corona vedeva in questo
rapporto uno strumento per stabilire un controllo sul conquistatore, che era
tenuto, in forza appunto dell'encomienda, a determinati doveri nei riguardi
del re. La corona inoltre sperava che l'encomendero si sentisse integrato
nella società coloniale nascente ed evitasse di abbandonarla dopo averla
sfruttata al massimo. La corona, d'altra parte, non era in condizioni di
finanziare eserciti professionali per l'immenso continente scoperto.
Naturalmente per i conquistatori gli obblighi militari venivano intesi nel
senso di poter realizzare guerre di espansione per catturare più indios.
Tutte le controversie tra la corona e i conquistatori verteranno proprio
sull'interpretazione della natura dell'encomienda: istituzione di carattere
pubblico, per la monarchia; di carattere privato (cioè inalienabile ed
ereditaria), per i conquistatori. La lotta cioè sarà tra l'istituzione
feudale della monarchia, che voleva rapportarsi solo con "vassalli" e "servi
della gleba", e i conquistatori, che volevano trasformarsi in imprenditori
schiavisti. Dall'encomienda comunque non sorgerà alcun vero "vassallo",
alcuna élite militare, caratterizzata da un sentimento eroico e cristiano
della vita, ma piuttosto una classe economica assetata di ricchezze
(soprattutto quando si formerà la seconda generazione di encomenderos).
Da notare che dall'unione tra indias e spagnoli nascerà una nuova razza e
classe sociale che sarà altamente redditizia per gli obiettivi
dell'accumulazione pre-capitalistica: il meticcio. Sebbene formalmente
vassalli del re, i meticci non erano né spagnoli né indios: non venivano
encomendados, ma sfruttati col pagamento di un salario, per cui i coloni si
liberavano da ogni responsabilità di tutela.
In molte di queste encomienda s'impose, almeno nelle fasi iniziali della
conquista, una vera e propria "anarchia sessuale", nel senso cioè che al
patriarcalismo di tipo cattolico-monogamico si sostituirà quello di tipo
musulmano, rendendo l'harem un'istituzione semi-ufficiale, che la chiesa
spagnola cercherà sempre di ostacolare. Non dobbiamo infatti dimenticare che
i rapimenti di donne indigene costituirono le prime forme di schiavitù, che
dureranno per tutto il periodo coloniale. A differenza di quella maschile,
la schiavitù femminile sembra essere tollerata dalla legislazione delle
"Indie", tant'è che non si trovano leggi che vietino tali pratiche.
Esistevano peraltro specifici repartimientos di donne per il servizio
domestico (cameriere, nutrici, cuoche...) e quelli realizzati con il
matrimonio tra un'india e un conquistatore, per facilitare a quest'ultimo
l'accesso alla proprietà terriera e quindi per ottenere un'encomienda.
I precedenti dell'encomienda risalgono a quando Colombo impose agli abitanti
maggiori di 14 anni, di alcune province delle Antille, un tributo
consistente in una certa quantità di oro ogni tre mesi (gli indios lontani
dalle miniere dovevano consegnare 11,5 kg di cotone a persona). La
differenza tra repartimientos ed encomienda stava anche in questo, che il
tributo riscosso nella prima forma di organizzazione del lavoro, diverrà
legittimo, dal punto di vista della corona, solo nella seconda forma di
organizzazione produttiva. Le prerogative dell'encomienda vennero limitate
nel 1530, 1542 e 1549, ma esse sopravviveranno sino al XVIII sec. (alle
Filippine furono estese nel 1565).
Il boomerang della conquista
Le conseguenze della conquista dell'America sulla Spagna feudale furono
catastrofiche, anche se in un primo momento contribuirono ad accentuare
l'assolutismo della monarchia. Verso la metà del '500 le contraddizioni
economiche del Paese erano già enormi: persino al tempo della sua massima
floridezza economica (inizio XVI sec.), l'import era superiore all'export,
in tutte le merci più significative. Questo perché la corona non difese mai
la propria industria dalla concorrenza straniera, né per la produzione
interna né per l'esportazione. L'assenza di una borghesia che fosse capace
di trasformare l'oro e l'argento in uno strumento per la produzione
capitalistica, determinò tre conseguenze fatali per il Paese: a) la
dipendenza dalle nazioni europee più avanzate; b) il consolidamento delle
classi parassitarie; c) il peso assoluto dello Stato nella società. Già nel
1528 i genovesi erano padroni della maggior parte delle imprese commerciali
spagnole: verso la metà del XVI sec. dominavano le industrie del sapone, il
commercio dei cereali, della seta, della lana, dell'acciaio e di altri
articoli ancora. La corona era ipotecata con banche e case di credito
europee (ad es. i Fugger).
Il motivo di questa crisi è facilmente comprensibile. L'America produceva
oro e argento; se la Spagna li voleva, doveva dare qualcosa in cambio, e se
non aveva gli articoli richiesti dalle province d'oltremare, era costretta
ad acquistare questi articoli in altri Paesi d'Europa ed esportarli in
America per proprio conto. Con che cosa poteva pagare gli articoli comprati
in Europa? Soltanto con l'oro e l'argento americani, oppure con la lana, la
seta, il ferro e la frutta della Spagna, ma quest'ultima possibilità era
irrealizzabile, poiché il Paese non conosceva una vera e propria rivoluzione
industriale, avendo eliminato la borghesia come classe sociale.
Anche quando la corona di Spagna, per motivi di parentela, si troverà legata
a quella dell'Impero, sotto il nome di Carlo V (1530-56), unendo territori
vastissimi (Spagna, Italia meridionale con le isole, Paesi Bassi, Impero,
Franca Contea e colonie americane), la situazione economica mon migliorerà.
(Carlo V era nato nei Paesi Bassi; la sede del suo impero era in Germania; i
suoi consiglieri erano tutti fiamminghi). Carlo V era convinto che nel '500
si potesse ancora costruire una "monarchia cristiana universale", contro
soprattutto le rivendicazioni borghesi e protestanti. Ma la sua politica
assolutistica e vetero-feudale incontrò subito grandi resistenze: i principi
feudali tedeschi, di religione protestante, lo costrinsero a rinunciare
all'idea della "monarchia universale cristiana"; la Francia si oppose
efficacemente al suo tentativo di egemonizzare l'intera Europa; i turchi
minacciavano la parte sud-orientale dell'Europa centrale; i pirati algerini
minacciavano le coste spagnole... Solo in Spagna l'assolutismo di Carlo V
ebbe la meglio, con la repressione della rivolta dei "comuneros", cioè dei
Comuni liberi della Castiglia, i quali chiedevano: presenza della sede
regale in Spagna, conferimento delle cariche pubbliche solo agli spagnoli,
convocazione triennale delle Cortes (Parlamento), indipendenza dei deputati
dalla corona, divieto di esportazione di oro e argento americani... La
rivolta, cui inizialmente aderirono tutte le classi sociali, fallì perché a
queste richieste la borghesia ne aggiunse altre dirette contro gli interessi
della nobiltà (redistribuzione delle terre, pagamento delle imposte, cariche
amministrative elettive...). I nobili si staccarono dal movimento e la
borghesia non ebbe la capacità di dirigerlo.
Carlo V abdicò nel 1556, dividendo l'impero in due parti. Re di Spagna
diventò il figlio Filippo II (1556-98), che ereditò Franca Contea, Paesi
Bassi, possessi in Italia e nelle colonie. Filippo II perseguì fanaticamente
un solo scopo: il trionfo del cattolicesimo a livello europeo e lo sterminio
degli eretici. Un censimento effettuato durante il suo regno attesta che,
fra sacerdoti, chierici con gli ordini minori e frati, il clero costituiva
il 25% della popolazione adulta. Instaurò in Spagna un regime di terrore,
adottando l'Inquisizione. In 18 anni d'Inquisizione, sotto la direzione di
Torquemada, furono processate 100.000 persone, di cui bruciate, in effigie,
da 6 a 7000, e 9000 in carne ed ossa. Egli occupò il Portogallo nel 1581.
Poi pensò di cattolicizzare l'intera Europa. Gli ostacoli maggiori che
incontrò e che segnarono la fine della potenza spagnola, furono:
l'Inghilterra, che distrusse nel 1588 metà flotta navale dell'"Invincibile
Armada"; la Francia, che dopo un'aspra guerra riuscì a concludere una pace
vantaggiosa; i Paesi Bassi, che dopo una vasta ribellione, si resero
indipendenti...
La rivoluzione dei prezzi
La crisi economica interna diede alla Spagna di Filippo II il colpo di
grazia. Il problema fondamentale era rappresentato dal rincaro delle materie
prime, dei prodotti agricoli e delle merci industriali e artigianali,
collegato al fatto che la massiccia importazione di oro e argento dalle
colonie, provocando l'inevitabile "rivoluzione dei prezzi", invece di
arricchire il Paese, ancora sostanzialmente feudale, lo impoveriva sempre di
più (al punto che i tessuti fabbricati nei Paesi Bassi con lana spagnola,
costavano meno dei tessuti prodotti nella stessa Spagna).
La rivoluzione dei prezzi fu un fenomeno di portata europea. Verso la metà
del XVI sec. nelle colonie americane si estraevano oro e argento in quantità
5 volte maggiore rispetto a quanto se ne otteneva in Europa prima del 1492
(nella seconda metà del '500 la quantità sul mercato europeo era aumentata
di 16 volte rispetto alla prima metà). Questo afflusso massiccio e a buon
mercato (perché ottenuto con il lavoro sottopagato dei servi della gleba e
schiavi indios) portò in Europa alla svalutazione della moneta (la cui
circolazione dopo la conquista era comunque aumentata di 4 volte) e quindi
del suo potere d'acquisto e al rincaro del costo della vita. L'aumento dei
prezzi per tutte le merci, sia agricole che industriali, in media andava
dalle due alle tre volte (però, ad es., verso la fine del '500 il prezzo del
pane era cresciuto di 16 volte rispetto agli inizi del secolo). Il processo
si fece chiaramente inflazionistico a partire dalla metà del sec. XVI,
soprattutto per quanto riguarda i prezzi agricoli. Naturalmente per i tempi
di allora anche un semplice tasso inflazionistico del 2 o 3% annuo risultava
molto preoccupante.
L'aumento dei prezzi favorì i Paesi in via d'industrializzazione, come
Inghilterra, Olanda e Francia, ovvero le classi a reddito mobile, e colpì i
Paesi che avevano larghi crediti, come ad es. Genova, e le classi a reddito
fisso. Fra le classi a reddito mobile vanno annoverate la borghesia, i
contadini ricchi che potevano vendere una parte della loro produzione e la
nobiltà che impiegava lavoro salariato nelle proprie terre, i proprietari
terrieri che affittavano a breve termine, ma ci guadagnavano anche i
contadini che avevano contratti d'affitto a lungo termine, per i quali
pagavano un rendita monetaria fissa. S'impoverivano invece i signori feudali
che avevano concesso le terre in affitto a lungo termine, anche se cercavano
di riparare alle perdite inasprendo lo sfruttamento dei contadini, elevando
la rendita monetaria, passando in certi casi dal tributo in denaro a quello
in natura, oppure cacciando i contadini dalla terra, ovvero introducendo
nelle campagne dei meccanismi di sfruttamento capitalistici. Naturalmente
chi soffrì di più dell'inflazione furono i contadini poveri e tutti i
salariati. Il livello dei salari non si elevò affatto in modo proporzionato,
sia per la lentezza con la quale reagirono gli organismi corporativi, sia
per l'abbondanza di manodopera e per l'esistenza di disoccupati.
Le costose merci spagnole, inferiori per qualità a quelle dei paesi
nord-europei, non potevano sostenere la concorrenza dei prodotti stranieri e
cominciavano a perdere tutti i mercati di sbocco. Esprimendo gli interessi
della nobiltà, la quale riceveva ingenti redditi anche dalle miniere
d'argento e dai campi auriferi d'America, la monarchia non favoriva in alcun
modo l'industria, ma solo gli allevamenti ovini per l'esportazione della
lana greggia. Soprattutto nella prima metà del '500. Ma nella seconda metà
del secolo si ricominciò a coltivare grano, in seguito alla caduta della
domanda laniera da parte delle manifatture olandesi. Per reagire al rialzo
eccezionale dei cereali, lo Stato ne fissò i prezzi massimi alla produzione:
ma ciò andò a vantaggio dei grossisti, che li rivendevano poi a molto di
più. Il commercio del grano era già per 1/4 in mano ai Fugger (grande
compagnia commerciale e usuraia tedesca, la quale disponeva anche dei
maggiori giacimenti di mercurio e zinco della Spagna). Il Paese fu
praticamente invaso dai mercanti stranieri, che lo trasformarono in una
"colonia europea". L'oro americano finiva all'estero, per il pagamento degli
interessi ai banchieri genovesi e tedeschi sugli enormi prestiti concessi
alla corona, oppure per finanziare le guerre e le controriforme della casa
d'Asburgo.
Benché la corona si fosse riservata il 20% di tutta le quantità di metallo
prezioso fatto giungere a Siviglia, essa fu la prima a proclamare la loro
insufficienza. Il governo non era in grado di pagare i propri debiti. Nel
1557 cercò di trasformarli in obbligazioni di Stato, offrendo la garanzia
che in caso di bancarotta essi non sarebbero stati annullati. Filippo II
però, dovette dichiarare bancarotta per ben sei volte, determinando così una
serie di fallimenti a catena. Era infatti divenuto abituale che, in attesa
dell'arrivo delle flotte dall'America e per rendere continuo il flusso dei
pagamenti, oltre che per effettuarli sulle piazze e sui teatri d'operazione
più diversi, i finanzieri europei anticipassero, con un forte interesse, le
somme di cui la monarchia spagnola aveva bisogno. Già nel 1557 si ebbero
delle bancarotte nei Paesi Bassi, a Milano e a Napoli, oltre che in Francia.
Naturalmente le maggiori vittime del terremoto bancario erano i piccoli
risparmiatori. A causa di questa grande incertezza finanziaria il credito si
estese tramite il sempre più abituale impiego della lettera di cambio. E
comunque alla fine del '500 l'argento in Spagna sparì dalle monete, facendo
posto al rame.
Per concludere
In definitiva, lo Stato assoluto spagnolo conservava una somiglianza
soltanto esteriore con le monarchie assolute del resto d'Europa. All'inizio
del XVII sec. immense ricchezze erano concentrate nelle mani dei Grandi
nobili e del clero (quest'ultimo aveva 1/4 di tutte le terre). Si cacciarono
persino, nel 1609, gli ultimi 500.000 moriscos rimasti nel Paese (mori
convertiti), per confiscarne tutti i beni. Un secolo dopo, un altro
censimento relativo alle categorie sociali, segnalava, fra l'altro, che i
nobili erano circa 723.000, i loro domestici circa 277.000, i burocrati
70.000 e i mendicanti circa 2 milioni.
Alcuni storici però hanno osservato che se l'America fosse stata "scoperta"
da imprese come quella dei Fugger o dei Welsser, il genocidio degli indios
sarebbe stato assai più grave (come avvenne ad es. in Venezuela). Per un
mercante di religione protestante, la conquista non avrebbe avuto altra
giustificazione che il guadagno. Persino Enrico VII d'Inghilterra, cattolico
non meno ortodosso dei sovrani di Spagna e Portogallo, quando nel 1496
incaricò G. Caboto di "conquistare, occupare e prendere possesso delle terre
dei pagani e degli infedeli", evitò ogni accenno alla morale e all'opera di
conversione. Da notare che Spagna e Portogallo per tre secoli tennero
strettamente legate alla madrepatria le colonie americane abitate da
europei, ignorando la distanza e i fattori ambientali che potevano favorire
il distacco e mantenendole assai vicine al modello della civiltà iberica.
Questa impresa non fu uguagliata da nessun altro Paese coloniale europeo.
Naturalmente, nonostante i trattati di Tordesillas e di Saragozza, che
dovevano assicurare a Spagna e Portogallo la spartizione delle terre
scoperte, i governi di altri Paesi europei cominciarono a rivolgersi verso
le parti inesplorate della Terra alla ricerca di guadagni e ricchezze.
Giovanni Caboto, a nome dell'Inghilterra, raggiunse nel 1497 la costa
orientale del Canada, mentre suo figlio l'anno dopo esplorò la costa
nord-orientale degli attuali Stati Uniti. Gli olandesi scoprirono
l'Australia nel XVII sec. Anche i russi rivolsero una particolare attenzione
alle scoperte geografiche, spinti dallo sviluppo dei rapporti
mercantili-monetari e dal processo di formazione di un unico mercato
interno. Partendo dalla loro base originaria sul Dnepr, essi si lanciarono,
attraverso l'ovest, sull'Europa slava e balcanica dominata dagli ottomani;
attraverso l'est e il nord, sul grande mondo eurasiatico delle razzie
tartaro-mongoliche, ampliando le loro frontiere sino alla Cina e
appropriandosi di un tratto dell'America: l'Alaska. Fu nel 1648 che
scoprirono lo stretto che divide l'America dall'Asia (chiamato più tardi di
Bering) e quindi la via marittima attorno all'Asia nord-orientale,
costeggiando la Siberia.
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