FORMAZIONE DELLE MONARCHIE NAZIONALI
Durante tutto il 1200 il declino dell'Impero e del papato (che aspiravano
all'egemonia universale) si era manifestato parallelamente al rafforzamento
delle monarchie accentrate e assolutistiche in Francia, Inghilterra e
Spagna, mentre la situazione politica in Italia, Germania, Europa
settentrionale e orientale, continuava a presentare i caratteri di una
marcata frammentazione del potere. Nel XIV sec. si rafforzò la
Confederazione elvetica, affermandosi come potenza militare di tutto
rispetto.
Il consolidarsi delle grandi monarchie si manifestò attraverso il
ridimensionamento del potere nobiliare, l'ascesa di nuovi ceti (borghesia e
piccola nobiltà), l'ampliamento della base territoriale della corona, la
centralizzazione amministrativa, il potenziamento dell'organizzazione
fiscale, la formazione di eserciti permanenti (non mercenari né dipendenti
dalle disponibilità dei feudatari) e l'aumento delle spese militari dovuto
all'impiego massiccio dell'artiglieria, la formazione infine di una lingua
nazionale. Le monarchie ottennero il controllo esclusivo del diritto di
battere moneta, poterono riscuotere imposte indirette (dazi doganali, tasse
sui prodotti di prima necessità), introdussero anche forme d'imposizione
diretta (pratica sconosciuta nel Medioevo. Si ricordi che secondo la
tradizione medievale il re poteva trarre i propri mezzi finanziari solo
dalle terre di sua diretta proprietà).
FRANCIA. Dopo la deposizione di Carlo il Grosso (887) e la fine della
dinastia carolingia, i maggiori signori feudali elessero re di Francia Ugo
Capeto (897), il quale iniziò la nuova dinastia dei Capetingi. Ma con la
fine della dinastia carolingia si fa iniziare il processo europeo di
formazione dei regni nazionali, in quanto i feudatari francesi e tedeschi
che deposero Carlo il Grosso, stabilirono che ogni regione avrebbe dovuto
provvedere a sé con governanti propri. L'ideale del Sacro romano impero si
spostò dalla Francia alla Germania, coinvolgendo in parte anche l'Italia.
La Francia si costituì in grande monarchia nazionale in seguito alla guerra
dei Cento anni (1337-1453), con cui scacciò gli inglesi dal suo territorio.
I re inglesi, in virtù di una politica matrimoniale, possedevano vasti
territori nella Francia occidentale. La guerra scoppiò appunto perché il re
inglese Edoardo III rivendicava una successione al trono francese, in
seguito all'estinzione del ramo diretto della dinastia dei Capetingi
(Edoardo era nipote dell'ultimo re capetingio). La guerra sarà vinta dalla
monarchia francese, ma solo dopo che questa riuscì a convincere il partito
borgognone di Carlo il Temerario (che mirava a costituire uno Stato
indipendente nella Francia nord-orientale) a rompere l'alleanza con gli
inglesi. Eroina nazionale fu Giovanna d'Arco.
Dopo la sottomissione alla monarchia dei territori del sud, del ducato di
Borgogna e della Bretagna, la Francia aspira a dominare l'intera Europa. Di
qui la lotta contro gli Asburgo spagnoli (imparentati con quelli austriaci),
l'alleanza coi turchi e il tentativo di consolidare la frantumazione
politica della Germania.
Carlo VII, per abbattere il potere della nobiltà (Carlo il Temerario era il
più potente feudatario di Francia), aveva ripreso l'alleanza col Terzo Stato
(borghesia), e rafforzato l'esercito e la burocrazia. La monarchia francese
era in grado di riscuotere una serie di imposte senza l'autorizzazione degli
Stati Generali, disponeva di funzionari statali addetti alle amministrazioni
finanziarie e giudiziarie, poteva imporre una coerenza più stretta fra
politica ecclesiastica e interessi francesi, aveva costituito l'esercito più
numeroso d'Europa. Con Carlo VIII scese in Italia nel 1494 e cercò di
contenere la potenza asburgica (pace di Cateau-Cambresis nel 1559, con cui
la Francia, pur uscendo sostanzialmente sconfitta, ottenne che l'impero di
Carlo V fosse diviso tra il figlio Filippo II e il fratello Ferdinando).
Dopo la Riforma protestante, il 20% dei francesi divenne calvinista (specie
nel Sud rurale). Dal 1562 al 1592 il Paese conobbe otto guerre di religione.
Il momento più tragico fu la strage di migliaia di ugonotti (calvinisti) a
Parigi nel 1572. Dopo questa strage cominciò a farsi strada l'idea che alla
base della legittimità del potere regio doveva esserci non solo il diritto
divino ma anche il consenso popolare, per cui non si escludeva il regicidio.
Tuttavia, Enrico IV di Borbone garantì agli ugonotti coll'Editto di Nantes
(1598) la libertà di culto, la possibilità di svolgere funzioni pubbliche,
ecc.
INGHILTERRA. La storia dell'Inghilterra si può dividere in 3 periodi: 1)
normanno (1066-1135), iniziato con Guglielmo il Conquistatore; 2)
Plantageneti (1154-1399), che combatterono contro la nobiltà feudale, ma
senza successo. Anzi, con la Magna Charta Libertatum (1215), la nobiltà
riesce ad ottenere il regime monarchico costituzionale e con le Provvisioni
di Oxford (1258) ottiene il Parlamento, che si divide in Camera Alta (LORD =
nobili e alto clero) e Camera Bassa (COMUNI = borghesia e piccola nobiltà);
3) Lancaster (1399-1461), che cercarono di trasformare l'Inghilterra da
Stato agricolo a Stato commerciale-industriale, ma la nobiltà vi si oppose
con successo.
L'Inghilterra si costituì in grande monarchia nazionale dopo la guerra delle
Due Rose (BIANCA = YORK e ROSSA = LANCASTER) che rifletteva la lotta tra
Corona e Parlamento (1455-85). La guerra fu causata da contese dinastiche,
ma la motivazione economica principale dipese dalla rivalità tra borghesia
(che appoggiava la Corona) e la nobiltà (che, rovinata dalla guerra dei
Cento Anni, cercava di ottenere dalla monarchia privilegi maggiori. Il
Parlamento serviva appunto alla nobiltà per controllare il re, il quale, per
questa ragione, cercava di convocarlo il meno possibile).
La guerra si concluse con la vittoria dei Lancaster, che posero sul trono
Enrico VII (1485-1509), fondatore della dinastia dei TUDOR. L'anno dopo, in
segno di pacificazione, Enrico VII sposò Elisabetta, della casata di York.
Il re tolse al Parlamento molte funzioni, confiscò alla grande nobiltà molte
proprietà (vendendole alla piccola e media borghesia), fece alcune riforme
amministrative appoggiandosi alla piccola nobiltà. L'Inghilterra cominciò a
diventare una nazione commerciale e industriale.
Con Enrico VIII (1509-1547) la corona inglese si allontana dalla chiesa di
Roma e istituisce una chiesa di stato (anglicana) con a capo lo stesso re
(senza toccare i dogmi cattolici). Buona parte dei redditi degli
ecclesiastici passò alla corona con la riscossione delle decime e la
secolarizzazione dei latifondi. L'Inghilterra, soprattutto con Elisabetta I
(1558-1603), cercherà di essere molto accorta in materia di politica
religiosa, al fine di evitare inutili guerre intestine: da un lato appoggerà
apertamente i protestanti, dall'altro eviterà di perseguitare i cattolici.
L'Inghilterra inizia per prima lo sviluppo capitalistico industriale sulla
base dell'unificazione nazionale. La conseguenza principale di questo fu la
guerra contro Spagna e Olanda per avere il controllo delle rotte commerciali
verso i paesi meno sviluppati e per il dominio dei mari.
SPAGNA E PORTOGALLO. La storia della Spagna si può dividere in due periodi:
1) dominazione araba (711-1212), che dopo il 1212 riuscì a conservare solo
il regno di Granata: il resto venne riconquistato dai cristiani di Spagna;
2) dominazione cristiana (1212-1494), in cui la Spagna presenta 4 regni:
Navarra, Portogallo, Castiglia e Aragona.
Dei 4 regni, il Portogallo sarà impegnato in imprese marinare
sull'Atlantico: il suo obiettivo era quello di raggiungere le Indie
navigando lungo le coste africane; la Castiglia-Navarra rimasero
aristocratico-militari, soggette all'anarchia nobiliare; l'Aragona diventerà
più borghese, interessata al Mediterraneo (voleva togliere a Genova e
Venezia il monopolio del commercio con l'oriente). La monarchia aragonese
infatti s'impadronì della Sicilia (inizi '300, dopo 20 anni di guerra contro
gli angioini francesi: guerra del Vespro), Sardegna (metà '300) e regno di
Napoli (metà '400), ma trascurò la politica interna, per cui, a unificazione
avvenuta, l'egemonia passerà alla Castiglia.
L'evento decisivo per la formazione della monarchia nazionale spagnola fu il
matrimonio tra Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia (1469). Questa
monarchia riuscì a reprimere l'anarchia feudale, ottenere l'appoggio della
borghesia, evitando di convocare le Cortes (Stati Generali, dove la nobiltà
poteva esercitare ampi poteri), riconquistare nel 1492 l'ultimo territorio
rimasto in mano araba (regno di Granata). Si avvalse anche dello strumento
dell'Inquisizione (1478) per punire il nemico della fede cristiana e il
ribelle politico. Tuttavia le persecuzioni contro gli arabi (ottimi
agricoltori) e gli ebrei (attivi commercianti) finì per danneggiare
l'economia spagnola. Spagna e Portogallo aprirono la strada alle conquiste
coloniali oltreoceano.
Nel XVI sec. la Spagna ha enormi possedimenti coloniali; in Europa, sotto
gli Asburgo, ha i Paesi Bassi e l'Italia meridionale. Verso la metà del XVI
sec. le province settentrionali dei Paesi Bassi insorgono e formano uno
Stato autonomo: l'Olanda.
LA GUERRA DEI TRENT'ANNI (1618-1648)
1555: Pace di Augusta
Carlo V imperatore del Sacro Romano Impero decise di rinunciare all'unità
politica e religiosa dell'Impero: coi protestanti accettò la loro libertà
religiosa, anche se impose due principi restrittivi:
cuius regio eius religio
, secondo cui i sudditi di uno Stato avrebbero dovuto conformarsi alla
religione del loro principe o, in caso contrario, emigrare;
reservatum ecclesiasticum
, secondo cui i beni ecclesiastici secolarizzati prima del 1552 non
sarebbero più stati rivendicati dalla chiesa cattolica, mentre se qualche
prelato cattolico si fosse convertito al luteranesimo dopo tale anno avrebbe
dovuto rinunciare a tutti i benefici e possessi goduti in virtù della
propria carica e restituirli alla chiesa cattolica. Poi decide di dividere
l'Impero: a Ferdinando I l'Impero e la Boemia e a Filippo II la Spagna, i
Paesi Bassi e l'Italia.
Ma nonostante gli sforzi di molti principi per far funzionare le antiche
istituzioni imperiali, erano le alleanze religiose a dominare ora la scena.
La necessità di una politica confessionale era accettata senza minima
riserva nel Palatinato del Reno (Elettore Federico III, calvinista). Sotto
Federico IV il Palatinato era controllato da Cristiano di Anhalt. Costui
pensava che per difendere la causa protestante, la restaurazione cattolica
andava combattuta su tutti i fronti, non solo entro i confini dell'Impero,
ma anche attraverso la promozione di un'alleanza protestante internazionale.
Le relazioni più strette erano con la Repubblica Olandese.
L'affaire Cleves-Julich
All'inizio del 1600 si era definito un nuovo centro d'interesse con la
discussa successione al cattolico Giovanni Guglielmo, duca di Cleves-Julich,
che non aveva figli. Entrambi i pretendenti alla successione erano di fede
luterana: l'Elettore Giovanni Sigismondo del Brandeburgo e Philipp Ludwig,
duca di Neuburg. Ma gli stati dello Cleves-Julich avevano ricevuto garanzie
di appoggio dai cattolici Elettore di Colonia e da Filippo II di Spagna.
Il candidato favorito da Cristiano di Anhalt e dagli olandesi era l'elettore
del Brandeburgo. Cristiano concentrò la sua attenzione sulla creazione di
un'alleanza esclusivamente tedesca, visto che non aveva trovato alleanze
all'estero.
Nel 1607 egli siglò un trattato tra Palatinato, i mangravi di Ansbach e
Kulmbach e la città di Norimberga, con lo scopo di proteggere l'Alto
Palatinato da un'aggressione della Baviera. Comunque il futuro dell'Unione
protestante era lungi dall'essere chiaro.
L'alleanza non era dotata di un programma politico comune e all'interno
degli 8 firmatari solo la metà era convinta dell'inevitabilità di una grande
guerra di religione. I principi pretendenti al ducato di Cleves-Julich
(Giovanni Sigismondo del Brandeburgo e Philipp Ludwig) erano ora sostenuti
dall'Unione protestante. Ora Cristiano di Anhalt chiese l'aiuto di Enrico IV
di Francia (4 febbraio 1610). L'intervento di Enrico IV trasformò l'affaire
Cleves-Julich da crisi intestina l'Impero in crisi internazionale. Ma le
ambiziose manovre francesi furono frenate dall'assassinio di Enrico IV il 14
maggio 1610.
Sempre nel 1610, ma il 10 luglio, fu fondata la Lega cattolica (andava a
sostituire la lega di Landsberg, sciolta per bancarotta nel 1599).
La nuova lega era comandata da Massimiliano di Baviera, ma esitava ad
intervenire nella crisi di Cleves-Julich fino a quando il timore che la
guerra potesse estendersi dopo la caduta di Julich spinse la Lega a
mobilitare un esercito, ma questo provocò dall'altra parte un incremento dei
membri dell'Unione protestante: l'Inghilterra nel 1612 e le Province Unite
nel 1613 e 13 città. Nessuna delle due parti però voleva entrare in guerra e
venne firmata una tregua: il governo dei ducati venne diviso: il Brandeburgo
ricevette il Cleves e Neuburg il Julich.
Ma la crisi non era finita: all'interno dell'alleanza si verificò una
spaccatura tra le città ed i principi: Nel 1615 le città rifiutarono di una
guerra che rivendicasse le pretese del Brandeburgo sul Julich: le città non
esitarono a utilizzare il loro predominio economico per dettare i termini
della nuova alleanza: le città ottennero un diritto di veto per futuri
interventi militari comuni. Così l'Elettore del Brandeburgo si ritirò.
Finito il problema Cleves-Julich si aprì un nuovo affaire: la designazione
del successore dell'Imperatore Mattia. La casa degli Asburgo sosteneva
Ferdinando di Stiria, i signori del Palatinato gli preferivano Massimiliano
di Baviera, nella speranza di dividere gli Elettori cattolici visto che per
Federico V non c'erano chances di ottenere la maggioranza nel collegio
elettorale. Cristiano di Anhalt ("capo" del Palatinato) decise allora di
sollecitare gli Stati rappresentativi protestanti d'Austria e Boemia:
nell'Italia settentrionale poi era coinvolto nella costituzione di un fronte
anti-asburgico con Venezia e la Savoia.
Per Anhalt la sfida agli Asburgo non era persa in partenza: la Lega
cattolica era al collasso per disaccordi intestini, inoltre se i suoi
alleati (Francia e Inghilterra) non erano affidabili di li a poco sarebbe
scaduta la Tregua dei Dodici anni tra Spagna e Olanda (nel 1621) e
l'Inghilterra la Francia sarebbero state obbligate e schierarsi con il
fronte anti-asburgico.
La guerra degli uscocchi
La difesa della frontiera austro-turca era parzialmente affidata ai
rifugiati dei Balcani, che avevano trovato asilo nei territori asburgici.
Essi erano chiamati uscocchi (parola serba per "rifugiati"). Alcuni di loro
si insediarono nei piccoli porti della costa orientale e conservavano la
zona libera dalle navi turche, ma sfortunatamente anche da quelle cristiane:
nessuna nave era al sicuro dai loro attacchi pirateschi. Il loro obiettivo
privilegiato erano le navi dei mercanti veneziani.
La Repubblica di Venezia tentò prima di difendere le proprie navi con flotte
più consistenti, poi decise di attaccare direttamente e nel dicembre del
1615 le sue truppe assediavano Gradisca.
Nello stesso tempo gli agenti veneziani organizzarono all'estero una
campagna diplomatica per procurarsi alleati nella lotta contro Ferdinando.
La Repubblica Olandese invia allora aiuti militari ai veneziani; più tardi
giunse anche un contingente di volontari inglesi. Nel frattempo una
flottiglia di navi inglesi ed una olandese presidiavano l'Adriatico
impedendo così che arrivassero degli spagnoli di Napoli in aiuto a
Ferdinando.
Anche per via terra gli aiuti a Ferdinando erano negati: nel ducato di
Milano era scoppiata la "guerra di Mantova": si era aperto il conflitto per
la successione al feudo di Mantova. I pretendenti erano il fratello del duca
Francesco (sostenuto dagli Asburgo) e la figlia di Francesco (che chiese
aiuto alla Savoia).
Solo la Spagna era in grado di fornire i rinforzi necessari ed ora la
cessione dell'Alsazia e dei due enclaves imperiali (Finale Ligure e
piombino) alla Spagna sembrava un equo prezzo da pagare in cambio del
riconoscimento spagnolo della legittimità di Ferdinando come erede di
Mattia.
Nell'inverno 1617-18 Ferdinando venne nominato sovrano designato e la corte
imperiale si ritirò a Vienna lasciando un governo di reggenti a Praga
[L'elezione imperiale doveva essere poi confermata dal pontefice, che
procedeva all'incoronazione ufficiale. In origine, tutti i principi
dell'impero partecipavano all'elezione del re, ma nel 1263 il papa Urbano IV
emise due bolle che limitavano tale privilegio a sette principi.
Tuttavia, l'autorità e la composizione di tale elettorato non furono
stabilite definitivamente fino al 1356, quando con la Bolla d'Oro
l'imperatore Carlo IV nominò gli arcivescovi di Colonia, Magonza e Treviri e
quattro laici, il margravio di Brandeburgo, il duca di Sassonia, il conte
palatino del Reno e il re di Boemia. Nel 1623 il voto del duca di Baviera fu
sostituito a quello del conte palatino del Reno, poi riammesso nel 1648. Gli
elettori salirono a nove nel 1692, quando fu ammesso anche l'Hannover, per
tornare a otto con l'estinzione dei duchi di Baviera nel 1778.]
Agendo sui reggenti di Praga, Ferdinando introdusse una serie di misure
provocatorie: controllo dei libri stampati, vietò il ricorso a sussidi da
fondi ecclesiastici per pagare i ministri protestanti e infine proibì
l'ammissione di non-cattolici a cariche civili.
I leader boemi decisero di opporre resistenza all'imperatore e si
attendevano una mobilitazione di massa per la loro causa da parte degli
alleati stranieri, ma se le nazioni si potevano permettere di venire in
aiuto di uno stato indipendente, non altrettanto potevano fare con dei
ribelli.
La fase boema
Il 5 marzo del 1618 gli Stati rappresentativi del regno di Boemia
convocarono un incontro per discutere la politica antiprotestante dei
reggenti. Il nocciolo era la predilezione del re per i prelati cattolici
nella cessione di terre. L'assemblea venne immediatamente sciolta da Mattia,
ma due mesi più tardi se ne apri un'altra, chiusa anche quella.
L'ordine di chiudere un'assemblea sembrava incostituzionale e provenendo dal
consiglio dei reggenti che sedeva a Hradschin i delegati protestanti si
recarono a palazzo e defenestrarono due reggenti e un loro segretario.
L'esercito imperiale era impegnato nelle guerre contro gli uscocchi e
Mantova e quindi non disponeva di uomini per sedare la rivolta di Boemia.
Gli Stati generali della Boemia, come seconda mossa, fecero domanda di
essere ammessi nell'Unione protestante ed offrirono la loro corona a chi
prestasse aiuto (un'offerta un po' doppiogiochista).
Comunque si fecero avanti il duca di Savoia, Bethlen Gabor di Transilvania,
l'Elettore della Sassonia (Giovanni Giorgio) e Federico del Palatinato (sarà
quest'ultimo a ricevere la corona). Nell'estate del 1619 venne posto
l'assedio a Vienna, ma grazie agli aiuti della Spagna e del Papato venne
tolto quasi immediatamente.
Un confitto generale sembrava inevitabile allo scadere della tregua dei
Dodici anni in Olanda. L'impressione era che se la rivolta boema fosse stata
repressa, sarebbe finita la libertà religiosa del regno. Nell'agosto del
1619 Bethlen Gabor diede inizio alla conquista dell'Ungheria asburgica.
Il 28 settembre Federico accettò la corona boema. In novembre le forze della
Transilvania si unirono alle truppe di Thurn (capo dell'esercito dei
confederati protestanti e uno dei protagonisti della defenestrazione) e
posero il secondo assedio a Vienna. Offerte di aiuti giunsero da molte
parti: arrivò pesino l'offerta del sultano turco Osman II.
L'Impero si organizza
Tattica dell'Impero è acquisire aiuti e disperdere i nemici. Figura di
spicco è l'ambasciatore spagnolo conte di Onate. Ferdinando II si recò a
Monaco da Massimiliano di Baviera (capo della Lega cattolica) per valutare
quale aiuto avrebbe potuto fornire alla causa asburgica. Ma Massimiliano era
titubante e Onate convinse Ferdinando ad offrirgli anche le terre
conquistate in Palatinato dalla Lega e la promessa che la carica di Elettore
sarebbe passata da Federico del Palatinato alla Baviera..
La Spagna aveva un quadro fin troppo chiaro della situazione: se la Spagna
non fosse intervenuta in aiuto di Ferdinando II, i ribelli avrebbero
affidato il controllo dell'Impero ai protestanti e ciò significava per la
Spagna la perdita dei Paesi Bassi e delle posizioni in Italia. Ma anche un
aiuto significava provocare un conflitto destinato a durare per lungo tempo.
Allora Filippo III di Spagna decise che la via più efficace per far
allentare la pressione su Vienna fosse quella di creare un attacco diversivo
rivolto al Palatinato. Un esercito di 20.000 uomini partì dai Paesi Bassi
diretto verso il Palatinato e comandato da Ambrogio Spinola.
La rivolta dio Boemia si era trasformata nella "guerra dei Trent'anni". Ora
i diplomatici degli Asburgo avevano convinto alcuni nemici a ritirare i loro
sostegni alla causa dei confederati: il sultano turco Osman II, Bethlen
Gabor di Transilvania. Invece il Brandeburgo e la Sassonia vennero
neutralizzati dal collasso finanziario.
Il colpo finale alla causa protestante fu inferto dalla Francia. Anche Luigi
XIII aveva affrontato rivolte e altre traversie per mano dei suoi sudditi
protestanti, e perciò aveva all'inizio guardato con solidarietà alla
situazione di Ferdinando. Allora venne mandata in Germania una missione
diplomatica plenipotenziaria guidata dal duca di Angolueme. Egli convinse i
comandanti dei due schieramenti (Lega e Unione) al cessate il fuoco
(trattato di Ulm, 3 luglio 1620). Ma la tregua aveva dato all'Imperatore un
vantaggio decisivo di cui volle servirsi.
Un esercito comandato da conte Tilly si diresse nell'Austria superiore; a
settentrione i Sassoni occuparono la Lusazia e ad occidente Spinola avanzò
facilmente attraverso il Palatinato. Perciò le truppe di Tilly e di
Massimiliano di Baviera avanzarono inesorabilmente all'interno della Boemia.
L'8 novembre 1620 i ribelli tentarono una disperata resistenza alla Montagna
Bianca, proprio sotto le mura di Praga. Solo un'ora ci volle ai cattolici
per assicurarsi la vittoria. La rivolta boema era terminata.
L'Europa e la guerra del Palatinato
Alcuni sostenitori attivi di Federico in Germania abbandonarono la causa
(Cristiano di Anhalt e Ansbach conclusero la pace con l'imperatore nel
1621). Solo un manipolo di principi continuavano a sposare la causa del
Palatinato: i duchi di Sassonia-Weimar e Cristiano di Brunwick-Wolfenbuttel.
Cristiano di Danimarca tendeva a non esporsi e nel 1621 proclamò che sarebbe
intervenuto solo se sostenuto dall'Inghilterra. In questo modo l'Inghilterra
diventava fulcro della diplomazia del Palatinato, e di tutti i protestanti.
Nel 1621 Giorgio I d'Inghilterra tentò di negoziare una sospensione generale
delle ostilità nell'Impero, come primo passo verso il riassetto totale, nel
quale contava di ottenere la restaurazione di Federico nel Palatinato in
cambio della rinuncia alle sue pretese boeme.
Ma Federico non si convinceva a rinunciare incondizionatamente alle proprie
rivendicazioni boeme. Nel maggio del 1621 l'Unione protestante si sciolse.
Alla fine dell'estate del 1621 Tilly guidò l'esercito della Lega nell'Alto
Palatinato e lo occupò. Alla fine anche Federico era pronto a negoziare, ma
i cattolici vittoriosi non avevano tuttavia più interesse a intavolare
negoziati.
L'imperatore aveva promesso grandi ricompense a Massimiliano di Baviera -
soprattutto la cessione sia dell'Alto Platinato sia del titolo di Elettore -
in cambio di assistenza militare contro Federico. L'offerta era stata fatta
avventatamente, dando per scontato che Massimiliano non sarebbe riuscito mai
a mobilitare un esercito abbastanza forte da sedare una rivolta senza farsi
aiutare: ma dopo la Montagna Bianca, prima o poi il debito andava pagato.
Ferdinando promise dunque di dare corso al trasferimento della carica
elettorale nella successiva Dieta imperiale, con l'approvazione di Sassonia
e Spagna. Ma il governo spagnolo era ostile alla cessione del titolo.
Nonostante ciò a gennaio del 1623 una ristretta assemblea di principi si
riunì a Ratisbona per ratificare la cessione: Ferdinando concesse a
Massimiliano il titolo, ma a lui solo e senza possibilità di trasmetterlo ai
suoi eredi; comunque il problema del Palatinato continuava ad essere
irrisolto.
La cessione era più di quanto la maggior parte delle potenze europee fosse
disposta a tollerare. Federico, una volta deposto trovò più alleati che mai.
Federico progettò un nuovo attacco all'imperatore per riprendersi terre e
titoli, Tilly glielo impedì (Stadtlohn, 6 agosto 1623).
Federico alla notizia della disfatta del suo esercito, rinunciò a ulteriori
ambizioni militari, cedendo senza riserve la propria causa alla meditazione
di Giacomo I d'Inghilterra. Quest'ultimo cercava un'alleanza con la Spagna
(attraverso il matrimonio spagnolo di suo figlio Carlo) per accomodare la
questione del Palatinato. Ma la Spagna in cambio chiedeva la riconversione
al cattolicesimo di Carlo e dell'erede di Federico.
Le trattative si conclusero immediatamente e l'Inghilterra cercò di
avvicinarsi alla Francia per organizzare una sedizione militare congiunta
che riconquistasse il Platinato al deposto elettore. Federico aveva sondato
anche la possibilità di aiuto dalla Svezia: il re Gustavo Adolfo era
notoriamente favorevole alla cosa, ma il resto del consiglio svedese,
capeggiato da Oxenstierna, considerava più pericolosa la Polonia della
Germania.
A questo punto la Francia si rese conto che stava per sostenere la causa
protestante quando invece la sua confessione era quella cattolica e
Richelieu respinse i tentativi di Massimiliano di Baviera di mettersi sotto
la protezione francese in modo da sganciarsi dagli Asburgo. Fu in parte per
questo che Richelieu si risolse a concentrare i suoi sforzi in Italia
piuttosto che in Germania.
In questa fase così delicata, una nuova potenza arrivò a salvare il
Palatinato: l'ambizioso e ricco Cristiano IV di Danimarca.
L'intermezzo danese
Cristiano IV venne coinvolto nella guerra dei Trent'anni da due serie di
circostanze diverse: La Svezia, timorosa di ulteriori attacchi danesi, firmò
nel 1614 un'alleanza con la Repubblica Olandese. Alleanza che mirava ad
indebolire il dominio danese dei traffici del Baltico. Ma l'alleanza non
funzionò e il potere restava ai danesi.
Nel 1621 terminò la tregua tra Spagna e Olanda e quest'ultima allora
privilegiò la politica rispetto ai commerci e decise di fare uno sforzo
decisivo per intrappolare Cristiano nella causa protestante, sostenendo
tacitamente le sue ambizioni dinastiche in Germania.
Per Cristiano il territori tedeschi potevano costituire un comodo
appannaggio per i suoi figli e anche un comodo modo per controbilanciare
l'espansione svedese nel Baltico orientale. I sostenitori di Federico del
Platinato, avidi di alleati, riuscirono a sfruttare le rivalità scandinave e
le ambizioni tedesche di Cristiano, al punto che il re si trovò costretto a
condividerne la sorte e salvaguardare l'ossatura del suo sistema politico in
Scandinavia e nel nord della Germania.
All'inizio Cristiano rifiutò di intervenire da solo contro l'imperatore,
così si limitò a prestare denaro. La situazione si capovolse nel 1624 quando
i capi di Olanda, Inghilterra, Brandeburgo e Palatinato decisero di invitare
Gustavo Adolfo di Svezia a guidare un esercito di coalizione in Germania (
per invadere la Boemia).
Questi sviluppi allarmarono Cristiano di Danimarca che temeva che se al suo
rivale fosse stato consegnato un esercito di grandi dimensioni, magari
appoggiato dalla flotta olandese, il Baltico si sarebbe trasformato in un
lago svedese.
Nel gennaio del 1625, Cristiano si offrì di intervenire personalmente
organizzando una campagna diversiva nei Paesi Bassi. Dopo la morte di
Giacomo I d'Inghilterra, Cristiano assunse bruscamente il ruolo di Difensore
della fede protestante e scese in guerra senza essersi procurato alcun
sostegno politico ed economico. Ma Cristiano aveva scelto il moneto più
sbagliato per un'invasione. Nella primavera del 1625, dietro suggerimento
dei capi della Lega, l'imperatore decise di mettere in piedi un esercito di
ampie proporzioni per conto suo affidandone il comando a Wallenstein. Ora
Cristiano doveva affrontare gli eserciti della Lega (comandato da Tilly) e
dell'imperatore (comandato da Wallenstein). Adesso che Cristiano aveva
disperatamente bisogno di aiuto i suoi alleati si dileguarono.
L'alleanza anglo-francese fu la prima a collassare. Intrappolato nei dilemmi
di politica confessionale Richelieu abbandonò la guerra e accettò di cedere
la Valtellina alla Spagna. Pochi mesi dopo, il governo francese rifiutò
formalmente di unirsi all'alleanza antiasburgica e nel marzo del 1627
concluse un'alleanza con la Spagna per muovere guerra all'Inghilterra .
Nell'estate del 1625 anche Gustavo Adolfo abbandonò la coalizione. Restavano
nella coalizione Inghilterra, Danimarca e Province Unite. Nello scontro del
26 agosto 1626 Tilly sconfisse Cristiano a Lutter. L'imperatore ora
pretendeva un prezzo terribile per la pace. A Cristiano venne imposto di
cedere tutto lo Jutland, di pagare riparazioni di guerra esorbitanti e di
rinunciare per sempre ai suoi territori nell'ambito dell'Impero. Cristiano
non intendeva accettarle ed i suoi alleati non potevano permettersi di
consentirglielo.
Gustavo Adolfo firmò un'alleanza difensiva con Cristiano, suo rivale di un
tempo. L'esercito imperiale non riuscì così ad impadronirsi delle isole
danesi, premessa necessaria alla resa totale. Ma era chiaro che l'Impero
necessitava della pace altrettanto della Danimarca, perciò furono intrapresi
seri negoziati a Lubecca. Con la pace, Cristiano recuperò tutti i territori
perduti, in cambio promise di non intervenire mai più negli affari interni
dell'Impero. Così si concluse l'intermezzo danese. A che cosa era dunque
approdato l'intermezzo danese? Cristiano era sconfitto e caduto in
discredito e Carlo I d'Inghilterra si ritirò definitivamente dal conflitto.
A quell'ora la causa protestante era in rovina, ma almeno era sopravvissuta.
Guerra totale
Nell'estate del 1630 gli Elettori s'incontrarono a Ratisbona per risolvere
le controversie recentemente maturate tra di loro. Ferdinando doveva
ottenere il consenso degli Elettori sul suo sostegno finanziario e militare
alla Spagna in guerra contro la Repubblica Olandese. Inoltre egli aveva
bisogno del loro appoggio contro la minaccia di un'aggressione
franco-svedese.
La preoccupazione dominante degli Elettori era d'altro canto quella di
assicurarsi le dimissioni di Wallenstein. Quest'ultimo versava in condizioni
finanziarie precarie: la quota inviata dall'imperatore per il mantenimento
del suo esercito non era sufficiente tanto che sembrò alquanto sollevato
quando l'imperatore acconsentì alle richieste di dimissioni degli Elettori.
Toccò a Tilly il compito di ridurre l'esercito imperiale del 75%, unendo le
truppe residue a quelle della Lega.
L'incontro di Ratisbona si trasformò in una corte d'inquisizione sulla
politica interna ed esterna di Ferdinando. Egli dovette promettere che: "non
verrà dichiarata nessuna nuova guerra senza il consulto degli Elettori" in
cambio non ottenne nulla: non fu eletto il re dei Romani e non venne
garantito il sostegno della Lega alle truppe asburgiche nei Paesi Bassi. La
sua unica vittoria consistette nella conferma dell'Editto di restituzione
[Decreto emanato il 6 marzo 1629 dall'imperatore Ferdinando II che prevedeva
la restituzione alla Chiesa cattolica dei beni ecclesiastici incamerati dai
principi protestanti a partire dal 1555 (trattato di Passau).
Le disposizioni dell'editto non entrarono mai in vigore, poiché,
incontrarono l'opposizione sia dei principi protestanti sia di quelli
cattolici, che intendevano porre un freno al potere degli Asburgo. Con la
pace di Vestfalia del 1648 l'editto di restituzione fu annullato.]
Temporaneamente rafforzato dal presunto ritiro di Luigi XIII dal conflitto,
Ferdinando II si dispose ad affrontare il piccolo esercito svedese che
Gustavo Adolfo aveva fatto sbarcare in Pomerania il 6 luglio 1630, senta
minimamente tentare di rendere la sua politica più accettabile per i
protestanti tedeschi. Il gesto gli fu fatale, poiché nel momento in cui gli
imperiali realizzarono di non poter ritirare le loro truppe dall'Italia, era
troppo tardi per scacciare gli svedesi dalla Pomerania.
Nel novembre del 1630 i cattolici, allarmati dal ripudio francese della pace
di Ratisbona, comunicarono che delle concessioni sull'Editto di restituzione
erano ancora possibili, e proposero un incontro con i protestanti;
Francoforte 1631. L'incontro era deliberatamente programmato per impedire ai
protestanti di unire le proprie forze.
I protestanti si riunirono allora per escogitare una strategia comune per
Francoforte. Il 6 febbraio 1631 a Lipsia si riunirono tutti i più
prestigiosi principi protestanti. Fu allora pensato che un'alleanza
difensiva protestante, senza alcun obiettivo particolare, ma finalizzata
solo a garantire i diritti dei principi contro chiunque potesse minacciarli
potesse essere allestita senza violare la costituzione dell'Impero.
Contraltare cattolico del Manifesto protestante di Lipsia fu il trattato di
Fontainebleau, firmato nel maggio del 1631 tra Francia e Baviera.
Fontainnebleau e Lipsia costituivano la risposta immediata al fallimento
dell'incontro di Ratisbona ed inoltre aspiravano alla creazione di una terza
forza neutrale che facesse da cuscinetto tra l'imperatore e i suoi avversari
stranieri, in modo da impedire al conflitto di diffondersi; ma alla fine
fallirono perché nessuno dei due riuscì a frenare gli svedesi.
L'intervento della Svezia
Nell'autunno del 1629, con la pace in Polonia , una nuova ricchezza in tasca
e la promessa dell'aiuto francese per il futuro, Gustavo Adolfo era pronto
ad intervenire in Germania. La Francia si impegnò a versare 400.000 talleri
annualmente per 5 anni così da finanziare l'impegno svedese.
Gustavo Adolfo aveva intrapreso la guerra animato dall'idea che gran parte
delle necessità delle truppe sarebbe stata soddisfatta dalle risorse dei
territori occupati, ma fino all'agosto del 1631 questi erano semplicemente
troppo poco estesi per riuscire a provvedere ad una simile concentrazione di
truppe. Allora, l'oro di Richelieu non avrebbe potuto arrivare in un momento
più opportuno.
Nell'aprile del 1631 l'esercito svedese avanzò verso sud nel Brandeburgo, ma
era troppo lontano per salvare l'unico alleato in armi della Svezia, Il
Magdeburgo, che venne occupato dalle truppe imperiali.
L'intera città venne immediatamente sottoposta al saccheggio dai soldati
furibondi e gran parte della popolazione venne massacrata ed ancor più perì
nell'incendio scoppiato dopo la resa della città. Solo pochissimi riuscirono
a salvarsi. In tutta Europa si sparse la notizia dell'eccidio in modo che
tutti sapessero quale trattamento l'imperatore riservasse ai suoi sudditi
protestanti. Il riluttante Giorgio Guglielmo del Brandeburgo si convinse al
allearsi alla Svezia. Conclusa la pace di Cherasco con l'Italia
settentrionale, Ferdinando II diresse Tilly contro Gustavo.
La Sassonia era tra i due fuochi. Tilly invase la Sassonia per scontrarsi
con Gustavo e Giovanni Giorgio di Sassonia si unisce alla Svezia. I
protestanti erano più forti del 30% dei loro avversari e misero Tilly in
fuga. La vittoria di Breitenfeld costituì la prima grande vittoria
protestante in campo dall'inizio della guerra. Ma re Gustavo non aveva
predisposto piani adeguati a una vittoria di così vaste proporzioni.
La Svezia continuava ad attirare alleati che avevano poco o nulla da
perdere: Brandeburgo-Kulmbach, Assia-Dramstad. Morto Tilly nel 1632 e messo
in rotta il suo esercito non c'era più nulla che potesse ostacolare
l'invasione della Baviera. Ora era la causa cattolica votata al fallimento:
l'esercito della Lega era disperdo e la Baviera, la sua roccaforte, era in
cenere. Per di più la Spagna era bloccata dall'esercito olandese nei Paesi
bassi e anche l'Italia devastata dalla peste non potevano prestare aiuto
all'imperatore.
Quando l'ondata del successo svedese si avvicinò a Monaco e a Vienna, fu
deciso che l'unica salvezza sarebbe stato un nuovo esercito imperiale e che
solo Wallenstein era in grado di reclutarlo.
Wellenstein si stanziò appena fuori Norimberga ed ottenne i primi successi
su Gustavo, ma commise anche l'errore più grave della sua carriera: dopo
aver tenuto in assetto da guerra per due settimane l'esercito concluse che
la campagna era finita e diede ordine alle truppe di disperdersi nei
quartieri invernali, ma gli svedesi stavano avanzando e al momento della
battaglia Wallenstein disponeva di pochissimi uomini. Non gli restò che il
ritiro. Il 17 novembre del1632 moriva anche Gustavo Adolfo. Ora le due parti
erano di nuovo più o meno in una situazione di parità. Le speranze della
Svezia erano puntate alla Francia, quelle dell'imperatore verso la Spagna.
Oxenstierna contro Wallenstein
Alla morte di Gustavo Adolfo la politica estera svedese fu affidata alla
direzione di Axel Oxenstirna. La sua tattica consisteva nel rendere
permanente la presenza svedese in Pomerania e in Prussia, così da
assicurarsi il Baltico sia contro la Polonia sia contro l'imperatore; in
secondo luogo organizzò una confederazione di principi amici nella Germania
centrale.
Magonza era il quartier generale svedese e venne allestito un programma di
rifondazione economica, fu coniata una nuova moneta e introdotta una chiesa
luterana. Ma la pietra angolare della Magonza svedese fu un vasto campo
fortificato battezzato "Gustavburg", nel punto in cui il Meno confluiva nel
Reno. La fortezza aveva lo scopo di garantire il controllo della zona e di
servire da rifugio in caso di bisogno. Nel 1633 fu costituita una Lega
difensiva legata alla Svezia, detta Lega di Heilbronn.
I tre obiettivi di tale unione erano: le libertà tedesche, la restaurazione
degli stati protestanti e la soddisfazione della corona di Svezia: la Lega
di Heilbronn acconsentì a mantenere un esercito con un costo annuale di
quasi 10 milioni di talleri e gli alleati accettarono di pagare anche gli
arretrati delle unità in servizio. Questi ultimi erano così enormi che si
rivelò impossibile accordarsi su una cifra totale.
Il problema si aggravava di giorno in giorno perché quante più aree venivano
destinate al saldo degli arretrati, meno ne restavano disponibili per la
retribuzione corrente. Per la fine del 1633 era chiaro che la Lega di
Heilbronn non era in grado di reggere il peso dell'esercito: per vivere
doveva necessariamente espandersi.
La Svezia era intenzionata ad annettere la Pomerania incurante dei diritti
del Brandeburgo. Allora Giorgio Guglielmo del Brandeburgo si convinse che
una riconciliazione con l'imperatore era l'unico modo per ottenere la pace,
ma le condizioni degli Asburgo erano talmente dure che il Brandeburgo e la
Sassonia si unirono nuovamente alla Svezia per un'altra campagna. La
tensione tra Svezia e i suoi alleati ormai non era più un segreto e
Wallenstein lo sapeva, quindi cercò di sfruttare la spaccatura. Oxenstierna
mise a capo dell'esercito svedese Thurn , ma Wallenstein lo costrinse alla
resa nel giro di una settimana.
Nel 1634 Wallenstein fu assassinato. Le possibili cause furono: l'imperatore
era esasperato per aver dovuto pagare il mantenimento di un gigantesco
esercito che non aveva concluso grandi cose; poi ci fu una diatriba sul
comando dell'esercito quanto alle truppe di Wallenstein si unirono a quelle
spagnole, ma l'ipotesi più probabile sull'assassinio di Wallenstein e lo
misero in cattiva luce agli occhi dell'imperatore erano le manovre
diplomatiche che Wallenstein condusse di propria iniziativa con la Sassonia
e il Brandeburgo, rifiutandosi per di più di intraprendere le azioni
militari prescritte da Vienna.
In ogni caso, l'uccisione di Wallenstein diede alla Svezia il tempo per
cercare di riparare alcune delle divisioni sorte nella Lega di Heilbronn.
Successivamente Ferdinando cinse d'assedio la città protestante di
Nordlingen, aspettando l'arrivo del cugino, il cardinale-infante Ferdinando
(pure lui). Quando i due eserciti si trovarono di fronte, la città cadde
immediatamente. Ora solo la Francia sarebbe stata in grado di salvare la
causa protestante.
Nel 1635 venne concluso un cessate il fuoco con la Sassonia e il
Brandeburgo: pace di Praga, 30 maggio 1635. La pace di Praga segnò una
svolta significativa nella guerra dei Trent'anni: provocò un declino
notevole dell'aspetto religioso del conflitto. Nello stesso mese in cui
venne firmata la pace di Praga, il re di Francia dichiarò guerra a Filippo
IV.
La "guerra di diversione" della Francia
La dichiarazione di guerra della Francia alla Spagna avvenne a seguito
dell'arresto dell'Elettore di Treviri, alleato francese, da parte di una
colonna di soldati spagnoli. Da parte spagnola si dichiarò che la questione
dell'Elettore di Treviri non era che un pretesto, e che i francesi erano
decisi ad entrare in guerra in qualsiasi caso. La Spagna pensò allora di
predisporre un attacco preventivo alla Francia in modo che il campo di
battaglia fosse uno dei territori asburgici, piuttosto che si trovasse a
combattere una guerra difensiva nelle viscere della Francia.
Fra il 1630 e il 1635, il governo francese aveva stretto accordi con la
Repubblica Olandese e con la Svezia. Lo scopo di queste alleanze era quello
di combattere gli Asburgo per procura, evitando l'intervento aperto della
Francia nella guerra dei Trent'anni. Tra le altre considerazioni strategiche
si inseriva la vulnerabilità della frontiera francese e la vicinanza di due
stati clienti degli Asburgo: Savoia e Lorena; e queste furono le prime
conquiste francesi.
Inizialmente i francesi volevano comunque che il loro intervento fosse sia
limitato sia indiretto. La Francia avrebbe portato avanti una massiccia
"guerra di diversione" mantenendo il suo coinvolgimento in Germania a
livelli minimi. La premessa di questa strategia stava nella convinzione che
era il re di Spagna, non l'imperatore, a costituire la minaccia più seria
alla sicurezza europea. Richelieu mirava a ad attirare fuori dall'alleanza
asburgica Massimiliano di Baviera in cambio della conservazione da parte sua
del titolo di Elettore.
La Francia, inoltre, non era disposta a concedere libertà d'azione alla
Svezia nel condurre il conflitto dato che godeva di un consistente
contributo francese in uomini e denaro e per questo in cambio di una
garanzia di assistenza in caso di aggressione per venti anni dopo la pace,
la Svezia doveva cedere la suprema direzione del conflitto a rinunciare al
sostegno francese.
Naturalmente Oxenstierna rifiutò e fu costretto a recarsi personalmente da
Luigi XIII. Conclusione dell'incontro fu il trattato di Compiègne del 28
aprile 1635, con il quale entrambi le parti si impegnavano a sostenere con
le armi il partito protestante in Germania, mentre nessuna delle due avrebbe
firmato paci separate. Una delle ragioni che avevano spinto Richelieu a
dilazionale il più possibile l'intervento nella guerra dei Trent'anni era
quella di rinsaldare l posizione finanziaria della monarchia francese, e la
sua capacità di sostenere una guerra prolungata.
Per questo, nel 1635, nel momento di massimo declino delle sorti delle cause
svedese e protestante in Germania, entrò in gioco un nuovo potente fondo
bellico, con il quale, né l'imperatore né la Spagna erano in grado di
competere. Di fatto praticamente nulla andò per il verso giusto nelle prime
due campagne francesi.
La campagna franco-olandese del 1635 sfociò nel fallimento: l'esercito
spagnolo delle fiandre riuscì a respingere gli invasori francesi. Poi la
Francia occupò la Valtellina, ma nel 1637 il mancato versamento del sussidio
provocò una sommossa generale contro tutti gli stranieri. Nella Francia
settentrionale le forze asburgiche avanzavano, ma furono arginati. Se la
programmata invasione della Linguadoca fosse avvenuta allora, invece di
essere ritardata fino al 1637, il regno di Francia avrebbe potuto essere
costretto a una resa ignominiosa. Ma la grande occasione per la causa
asburgica venne persa nel 1636.
Ma le vere grandi vittorie francesi nella guerra contro gli Asburgo giunsero
dopo la rivolta dei catalani nel maggio del 1640; dunque gli anni della
"guerra di diversione" non erano stati del tutto vani.
Conto alla rovescia per la pace
Alla morte di Gustavo Adolfo gli obiettivi bellici della Svezia erano stati
raggiunti. Oxenstierna era convinto che la Svezia dovesse uscire dal
conflitto, ma pace in che modo? Pace a quali condizioni?. La Svezia doveva
negoziare la pace da una posizione di vantaggio. L'interesse principale
della Svezia doveva essere quello di garantirsi da eventuali aggressioni da
parte della Danimarca e soprattutto dalla Polonia.
Il rifiuto della Svezia alle sue pretese sulla Pomerania implicò il netto
rifiuto di Giorgio Guglielmo del Brandeburgo di unirsi alla Lega di
Heilbronn. La strada per la disgregazione della Lega di Heilbronn era
aperta. A questo punto la Germania centrale era perduta e a Oxenstierna
appariva evidente che l'unico sostituto valido a Heilbronn era la Francia.
Ma un'alleanza francese avrebbe sbarrato la strada a qualsiasi pace
separata. Fu questo il dilemma col quale Oxenstriena continuò a confrontarsi
fino alla decisione finale del 1641.
Nel marzo del 1636 stipulò il trattato di Wismar che gli garantiva - se
ratificato - l'alleanza francese; ma egli fece in modo di non firmarlo. Solo
nel 1638 il trattato di Wismar venne ratificato col trattato di Amburgo:
vincolava ognuna delle due parti a non concludere paci separate per altri 3
anni, e dotò la Svezia dei sussidi di cui aveva urgente bisogno. Nel 1641
l'alleanza venne di fatto rinnovata e la Svezia, in cambio di sussidi più
frequenti, si impegnò a combattere a fianco della Francia per l'intera
durata della guerra.
Nel frattempo, il 15 febbraio del 1637 Ferdinando II morì. Gli successe suo
figlio Ferdinando III, il quale pur proseguendo in Germania la politica del
padre, fu sempre meno disposto ad impegnare i suoi eserciti e le sue finanze
a favore della Spagna, che entrava proprio allora in una situazione di crisi
interna.
Torstensson, uno dei comandanti più validi svedesi venne mandato in Germania
per vincere la guerra. Invase la Sassonia e raggiunse la Moravia passando
per la Slesia, infine cinse Lipsia d'assedio. Il 2 novembre si scontrò con
l'esercito imperiale e lo mise in rotte. Dopo quasi un quarto di secolo di
guerra, l'imperatore era stato alla fine abbandonato da quasi tutti i suoi
alleati tedeschi. Ora bisognava solo obbligare gli Asburgo a piegarsi
all'inevitabile.
La disfatta degli Asburgo
Ferdinando III venne spinto a rispondere positivamente agli inviti di pace
dal collasso improvviso e apparentemente totale della potenza spagnola. I
francesi comunque non erano gli unici nemici della Spagna. La Repubblica
Olandese continuava ad essere un osso duro, sia in Europa che nell'America
del Sud. Come se non bastasse nel 1640 la provincia di Catalogna si ribellò
e di seguito il Portogallo fece lo stesso. Ma anche la Francia stava ormai
incontrando pesanti difficoltà nel sostenere il suo sforzo bellico. Poi nel
maggio del 1643 spirò anche Luigi XIII, Richelieu era morto nel 1642.
Dovunque in Germania si moltiplicavano gli appelli alla pace. Così per
l'inizio del 1643, la pace era certo nell'aria respirata dai partecipanti
alla guerra, tedeschi e non, e in breve si aprirono due sessioni di
conferenze di pace. A Francoforte le rappresentanze di molti principi
tedeschi, inclusa la maggio parte degli Elettori, si riunirono nel gennaio
del 1643 per discutere le questioni esclusivamente tedesche. La Francia, la
Spagna e altri stati cattolici stabilirono la propria sede a Munster; la
Svezia ed i suoi alleati a Osnabruck. L'intenzione di Ferdinando III era
quella di tenere le assemblee separate, poiché sperava che i suoi inviati
particolari sarebbero stati in grado di condurre trattative a nome di tutto
l'Impero. Ai principi cattolici stava bene, a quelli protestanti no e per
questo le delegazioni protestanti si spostarono a Osnabruck. Le
deliberazioni della conferenza in Vestfalia vennero dotate dello status di
Dieta, in modo che le decisioni prese in quella sede avrebbero goduto delle
prerogative delle leggi emanate dall'Impero.
Nel 1643 la Svezia aveva dichiarato guerra alla Danimarca. Cristiano IV, il
cui desiderio di gloria non era svanito neppure dopo le sconfitte patite,
aveva cercato di ostacolare sempre la Svezia occupando il porto di Amburgo,
dando rifugio agli avversari politici del governo svedese e depredando le
navi svedesi nel Baltico. Quando si diffuse la notizia che Cristiano godeva
di un'alleanza segreta con l'imperatore, la Svezia decise di attaccare per
prima. Le forze di cristiano furono sconfitte e il 23 agosto fu firmata la
pace a favore della Svezia. L'alto comando svedese decise allora di
allestire un'operazione in grado di provocare l'immediato collasso della
resistenza asburgica: l'invasione della Boemia avrebbe ferito l'imperatore
dritto al cuore. Nello scontro di Jankau (5 marzo 1645) gli imperiali furono
sconfitti. Ad agosto si raggiunse l'accordo secondo cui tutti i principi e
le città con un seggio nella Dieta imperiale avevano diritto a una
rappresentanza effettiva ai colloqui di pace. In settembre l'imperatore
concesse un'amnistia a tutti i suoi vassalli ribelli. Il 29 novembre del
1645 il consigliere dell'imperatore nonché capo dei negoziati, il conte
Trauttmannsdorf, arrivò a Munster. I problemi squisitamente tedeschi vennero
trattati per primi. I punti salienti erano: il riconoscimento ufficiale del
calvinismo; la restituzione dei terreni secolarizzati della Chiesa e la
restaurazione dell'Elettore del Palatinato. I protestanti riuscirono a
restare compatti fino a quando la frammentazione del Corpus Catholicorum non
segnò la vittoria per loro. Un accordo finale su tutte le questioni
religiose venne concluso dal Congresso il 24 marzo 1648. La data di
decorrenza per tutte le controversie religiose diventava il primo gennaio
1624. La tolleranza per il culto privato delle minoranze religiose sarebbe
stata rispettata dovunque tali minoranze preesistessero alla data di
decorrenza. In questo modo il principio del cuius regio eius religio venne
abbandonato.
Ora il congresso doveva affrontare le richieste delle potenze straniere. La
Svezia adesso voleva anche il Meclemburgo, Brema e Verden, non gli bastava
più solo la Pomerania. La Francia allora decise di rafforzare il Brandeburgo
(sempre interessato alla Pomerania) per controbilanciare la potenza della
Svezia. Alla fine la Svezia decide di suddividere la Pomerania e gli restò
la parte occidentale più Brema e Verden, cedutegli dalla Danimarca. Le
pretese territoriali della Francia erano più moderate. Mazzarino chiedeva il
riconoscimento delle conquiste fatte nel territorio del Reno e la
legalizzazione del controllo francese su Alsazia e Lorena.
A settembre del 1646 fu conclusa la pace preliminare tra Francia e
l'imperatore; ma la guerra continuò ancora per due anni. Furono le nuove
richieste di Mazzarino. I suoi negoziatori a Munster cercavano ora di
procurare a Luigi XIV lo status di principe dell'Impero, un'indennità di
guerra e una soluzione per la questione del Platinato che non era do nessun
vantaggio per la Baviera. Allora Massimiliano di Baviera rinnovò nel 1647 la
sua antica alleanza con l'imperatore. Fu una mossa imprudente: l'esercito di
Massimiliano non costituiva certo una minaccia per la Francia. Nemmeno gli
aiuti imperiali salvarono Massimiliano dalla sconfitta.
La Francia ora avrebbe sfruttato anche questa vittoria per ottenere altri
vantaggi se non fosse scoppiata una grave rivolta in Francia (nota come "la
Fronda parlamentare": una serie di rivolte contro la corona francese,
consumatesi tra il 1648 e il 1653, sotto il regno di Luigi XIV. Iniziata
come protesta del parlamento di Parigi contro la politica fiscale del primo
ministro del re, il potente cardinale Giulio Mazzarino, la Fronda degenerò
presto in insurrezione armata.
L'ordine fu ristabilito solo nel marzo 1649, quando le forze governative
condotte da Luigi II principe di Condé stroncarono con la forza la rivolta,
realizzando intanto un accordo tra parlamento e monarchia. Nel 1650 fu la
volta dell'aristocrazia a ribellarsi all'autorità centrale; l'insuccesso di
questo tentativo finì per rafforzare l'immagine e l'effettiva autorità del
re. ) Nonostante la Fronda Mazzarino era deciso a proseguire gli scontri
finché gli Asburgo d'Austria non si fossero decisi ad abbandonare la Spagna.
Ferdinando crollò: non poteva permettersi di proseguire i combattimenti a
solo beneficio della Spagna. I legami tra Spagna e Austria erano finalmente
indeboliti.
La "pace preliminare" tra Svezia e imperatore venne fatta dopo essersi messi
d'accordo l'ammontare dell'indennità che spettavano all'esercito svedese: 5
milioni di talleri.
Le condizioni definitive per porre termine alla guerra vennero firmate a
Munster il 24 ottobre 1648.
Nell'aprile del 1649, le città imperiali, costrette ad ammettere la parità
delle confessioni, ottemperarono alle clausole del contratto. L'amnistia
generale venne proclamata e l'Elettore del Platinato riprese il suo posto
nel consiglio degli Elettori.
Il 26 giugno del 1650 i delegati svedesi e gli imperiali firmarono un
accordo di ritiro graduale di tutte le truppe, in giorni prestabiliti, dalle
aree della Germania.
NASCITA DELL'EUROPA MODERNA
Una questione che gli storici devono esaminare più approfonditamente è
quella di sapere se l'impero bizantino avrebbe potuto affrontare meglio
l'espansione islamica se non avesse dovuto subire l'invasione latina delle
crociate; oppure se Costantinopoli sarebbe ugualmente caduta in mano turca,
in quanto aveva insanabili contraddizioni interne.
Ciò che infatti più stupisce dell'impero bizantino è che di esso non è
rimasto niente proprio nel territorio geografico in cui è stato più
presente: la Turchia (senza considerare i Paesi arabi limitrofi).
L'ideologia ortodossa dell'impero bizantino, che era allora tra le più
sofisticate del mondo, venne ereditata da un Paese, la Russia, che a quel
tempo era tra i più arretrati. E venne ereditata accentuando gli elementi
soggettivi della fede (misticismo, ascetismo, sacrificio di sé sino al
martirio) oppure gli elementi iconografici (vedi Rublev), perdendo di vista
la sobria oggettività della tradizione greca. L'eccessivo soggettivismo e
fatalismo russo porterà poi, di riflesso (o per reazione), a un'ipertrofia
dell'apparato statale e burocratico, ovvero al dogmatismo ideologico delle
classi dirigenti e alle continue eresie delle classi senza potere.
Anche nell'Europa occidentale (soprattutto in Italia) si ereditò qualcosa
della cultura bizantina: il rapporto col platonismo. Incapace di
confrontarsi con l'alta idealità dell'ortodossia (del grande Palamas in
occidente non rifluì praticamente nulla), il cattolicesimo latino, già
ampiamente laicizzato dopo la riscoperta dell'aristotelismo, preferì
sviluppare il lato intellettualistico della confessione bizantina, cioè i
nessi tra teologia e filosofia.
Durante l'Umanesimo l'occidente europeo stava vivendo una forte
laicizzazione della fede (soprattutto in Italia): ciò non poteva
comportare -come nella Russia di quel periodo- un maggiore approfondimento
esistenziale della religione. Il soggettivismo religioso occidentale
s'identificò immediatamente con la riscoperta filosofica del platonismo,
ovvero con la rinascita del neoplatonismo (un'esperienza che sembrava
essersi esaurita con Plotino e che la riscoperta accademica di Aristotele
sembrava aver concluso per sempre). Invece il neoplatonismo venne
cristianizzato con l'ideologia ortodossa e usato in funzione
anti-aristotelica. In Russia non si sviluppò una teologia veramente
originale, ma solo un'originale esperienza della fede (e dell'arte
religiosa); in Italia si sviluppò una sorta di filosofia religiosa che non
aveva né il rigore della classica teologia bizantina né la laicità del
pensiero umanistico.
D'altra parte la religione in Italia veniva conservata per motivi
esclusivamente politici (almeno da parte delle autorità), in quanto il
papato era una forza politico-militare: tra gli intellettuali esso non
suscitava più un vero interesse, né culturale né esperienziale.
Tuttavia, la riscoperta del platonismo non ha aiutato l'occidente a superare
il limite politico e ideologico del cattolicesimo latino, e per una semplice
ragione: l'umanista era un individualista che si teneva lontano dalle
istanze delle masse popolari (quelle contadine soprattutto). Il
neoplatonismo cristiano fu un'esperienza di pochi intellettuali, e non ebbe
mai una caratteristica sovversiva. Mentre in Russia l'acquisizione
soggettiva della fede era diventata un fenomeno popolare, in Italia
l'acquisizione del platonismo restò sempre un fenomeno d'élite e, tutto
sommato, regressivo, almeno rispetto all'approfondimento scientifico
dell'aristotelismo (che avvenne anzitutto ad opera di R. Bacone). In Europa
occidentale l'esperienza religiosa più significativa fu quella della
Riforma, che fu in realtà un processo di emancipazione dalla religione
tradizionale, e quindi un'altra forma di laicizzazione della fede.
La chiesa cattolica, infatti, dopo un primo momento favorevole alle tesi
conciliariste e federative (espresse nel Concilio di Costanza del 1419),
seppe riporre il proprio potere su basi monarchiche e assolutistiche
(Concilio di Basilea del 1431-49). La chiesa pagò questo rigido
conservatorismo, questa anacronistica centralizzazione clericale perdendo
mezza Europa, e senza riuscire ad avere una forte influenza né in Francia (a
causa del gallicanesimo) né successivamente in Austria (a causa del
giuseppinismo). L'impero di Carlo V fu senz'altro cattolico-conservatore,
ma, a parte il fatto ch'esso s'infranse subito contro la dura realtà delle
cose, la chiesa cattolica non riuscì mai a servirsene come nei secoli
medievali. Dopo Bonifacio VIII, la religione cattolica sarà sempre più uno
strumento ideologico nelle mani delle monarchie nazionali.
La chiesa romana però riuscì ad impedire che nell'area del cattolicesimo
latino si formasse un movimento di massa che s'ispirasse alle idee laiche
dell'Umanesimo. Occorrerà attendere la Rivoluzione francese prima che in
Europa si possa riproporre l'idea di un'alternativa laica all'ideologia e
alla prassi clericale del cattolicesimo feudale (che tale si riconfermò nel
Concilio di Trento).
L'Italia, che aveva promosso per prima un notevole processo di
laicizzazione, si troverà, da un lato, a non poterlo proseguire per le
divisioni interne (tipicamente borghesi) fra Signorie e Stati, mentre,
dall'altro, si troverà a non saper neppure "riformare" la religione, come
stava accadendo in molta parte d'Europa. La borghesia italiana, che già si
sentiva superiore a qualunque forma di religione, sarà poi costretta a
convivere -a causa della propria incapacità a realizzare la democrazia- con
la confessione più arretrata d'occidente.
Qui però bisogna fare una precisazione. L'esigenza di realizzare la
democrazia non deve essere vista -come fanno molti storici- come
strettamente subordinata all'esigenza di realizzare l'unificazione
nazionale. Effettivamente nel resto d'Europa le varie monarchie, con l'aiuto
della borghesia, erano riuscite a ridimensionare di molto l'autonomia della
privilegiata classe feudale, che ostacolava ogni centralizzazione politica e
ogni unificazione nazionale per poter garantire i propri grandi privilegi.
Ecco, nei confronti di tale atteggiamento feudale, l'operato delle monarchie
e delle borghesie fu senz'altro progressista per le sorti dei vari Paesi.
Tuttavia, la centralizzazione monarchica e la stessa unificazione nazionale
avvennero non con l'aiuto delle classi più povere (contadini soprattutto)
ma, anzi, contro i loro stessi interessi, poiché a partire da questo momento
i contadini avranno a che fare con due oppressori: il signore locale (sempre
sufficientemente potente per continuare ad opprimere) e la monarchia
centralizzata (bisognosa di tasse, di eserciti, di burocrazia ecc.).
Ciò sta a significare che se la borghesia avesse cercato l'appoggio delle
masse contadine contro la feudalità, l'unificazione nazionale sarebbe potuto
avvenire senza centralizzazione, ma in modo da rispettare l'autonomia
locale, nella quale il potere del feudatario sarebbe stato notevolmente
ridimensionato dall'esproprio delle terre. Il fatto che l'unificazione
nazionale sia avvenuta in ogni parte d'Europa secondo il modello della
centralizzazione assolutistica e monarchica non deve farci credere che
quella fosse l'unica alternativa possibile: era l'unica alternativa che
poteva avere una borghesia lontana dalle esigenze dei contadini.
Davvero il potere della chiesa non avrebbe potuto essere sconfitto senza
l'unificazione nazionale centralizzata nella persona del re? No, non è vero,
poiché il potere della chiesa avrebbe potuto essere sconfitto più lentamente
e più in profondità, se solo si fosse lasciato ai contadini dello Stato
della chiesa il compito di liberarsi dal giogo clerico-feudale, dopo aver
visto esempi analoghi in altri territori.
Le moderne monarchie centralizzate non furono che un tentativo politico
d'imporre con la forza alle classi feudali (nobili, clero e contadini) non
tanto un'ideologia più progressista (ciò avverrà solo con le rivoluzioni
borghesi vere e proprie), quanto un'esigenza di rinnovata prassi
socioeconomica manifestata da una classe emergente, imprenditoriale, legata
non solo ai commerci ma anche alle manifatture. Monarchia e borghesia nel
XVI sec. si appoggiarono a vicenda, anche se in ultima istanza sarà la
monarchia a giocare, ancora con clero e nobiltà, il ruolo politico
prevalente.
La Francia, in questo senso, rappresenta un'anomalia nel contesto europeo di
quel tempo. In quanto "nazione cattolica" avrebbe dovuto fare la fine di
Spagna e Portogallo, che non riuscirono a imporsi sulle nazioni protestanti.
Invece divenne una delle nazioni più forti dell'Europa: per quale ragione?
Anzitutto il cattolicesimo francese ha sempre cercato di conservare una
propria indipendenza da quello italiano, non è mai stato così fanatico e
intollerante come quello spagnolo, né così arretrato, sul piano culturale,
come quello polacco; in secondo luogo il cattolicesimo in Francia veniva più
che altro considerato politicamente, come una religione della nazione e non
anzitutto del popolo (la differenza non è formale: si veda, in questo senso,
l'esempio di Cartesio, cattolico e scettico allo stesso tempo); in terzo
luogo, proprio a motivo dell'approccio politico al fenomeno religioso, in
Francia si realizzò il curioso compromesso di cattolicesimo (a livello
istituzionale) e di calvinismo (a livello sociale). Nelle colonie la Francia
si comportava esattamente come una nazione protestante, legata più ai
profitti che all'ideologia.
In fondo se la Francia, in un primo momento, fu superata dalle capacità
colonialistiche della Spagna, ciò fu dovuto anche al fatto che la Spagna
soffriva di contraddizioni assai maggiori fra necessità di conservare le
tradizioni ed esigenza della modernità. La Francia sentiva il bisogno di
avere una religione nazionale, ma non il bisogno di crederci. La Spagna
invece, pur di dimostrare la propria fede religiosa, in un momento in cui il
resto d'Europa aveva tutt'altre preoccupazioni nei confronti del
cattolicesimo, si servì anche del colonialismo.
La rivoluzione francese dell'89 sarà violentissima sia perché il
colonialismo non era così consistente come quello ispano-portoghese, sia
perché la classe borghese aveva continuato a svilupparsi nell'ambito della
monarchia assoluta (cosa che in Spagna invece non avverrà), sia perché,
infine, si era dovuta soffocare sul nascere la Riforma protestante, ben
sapendo che tale Riforma, esistendo già la nazione, non avrebbe avuto molta
difficoltà a imporsi e a consolidarsi. La monarchia cattolica cercherà un
compromesso politico con il protestantesimo, garantendo a quest'ultimo la
libertà del culto, ma permettendo al cattolicesimo di restare la religione
istituzionale.
In tal senso, la Rivoluzione francese non sarà che una Riforma protestante
senza religione (o con una religione tutta interna ai limiti della ragione).
Viceversa la Riforma, per i tedeschi, non fu che una rivoluzione senza
politica e senza vera laicità. La Germania si darà, come "nazione", un
obiettivo politico-laico solo alla fine dell'800, vivendo, in questo senso,
un'esperienza analoga a quella italiana.
Non a caso il nazismo e il fascismo emergono quasi contemporaneamente. Essi
si assomigliano perché sono il prodotto, in Germania, di una riforma
religiosa (quella protestante) avvenuta senza rivoluzione politica; in
Italia, di una riforma laica (quella umanistica) avvenuta anch'essa senza
rivoluzione politica (quella rivoluzione politica che avrebbe permesso alla
borghesia d'imporsi come classe politicamente egemone). Quando la borghesia
tedesca e italiana andarono al potere, alla fine dell'800, i ritardi
politico-istituzionali accumulati rispetto alle altre borghesie europee non
potevano essere colmati che adottando forme estreme di dittatura. Le
borghesie degli altri Paesi europei non volevano concorrenti di sorta nella
spartizione colonialistica del mondo intero e neppure ovviamente nella
produzione di determinate merci capitalistiche.
Le differenze tra nazismo e fascismo non sono poche. Molte comunque sono
riconducibili al fatto che essendo stata la Riforma una fenomeno di massa, e
non un fenomeno elitario come l'Umanesimo italiano, il nazismo possedeva una
carica ideale superiore a quella del fascismo, il quale però, proprio per
questa ragione, appariva meno pericoloso (meno intollerante) sul piano
politico e ideologico.
Il caso più interessante comunque resta quello inglese. La corona riuscì a
fare una riforma religiosa che accontentasse sia i cattolici che i
protestanti, permettendo ad entrambi di avere rilevanza istituzionale. Non
solo, ma la borghesia non ha avuto bisogno di ricorrere a una sanguinosa
rivoluzione politica per imporsi, in quanto la nobiltà preferì accordarsi,
adattandosi con intelligenza alle nuove esigenze del capitalismo.
L'Inghilterra ha avuto la nazione centralizzata quasi subito, la Riforma
anglicana al momento giusto e pochissimo spargimento di sangue (la guerra
delle Due Rose fu, rispetto ad altre rivoluzioni, un gioco da ragazzi). I
veri problemi l'Inghilterra dovrà affrontarli dopo la metà del XVIII sec.,
quando la rivoluzione industriale creerà il proletariato urbano.
Sfruttando duramente i propri contadini e poi i propri operai (e poi, ancora
più duramente, il sottoproletariato coloniale: cosa che permetterà un
relativo benessere al proletariato inglese), l'Inghilterra diventò
facilmente una potentissima nazione, che tale rimarrà sino alla IIa guerra
mondiale. Non è singolare che l'Inghilterra abbia cominciato a servirsi
della possibilità di emigrare oltreoceano non tanto per motivi economici
(fare fortuna) quanto per motivi politici (estradare i dissidenti)? Il
"blocco storico" realizzato tra borghesia, aristocrazia e clero fu così
solido che praticamente l'Inghilterra ebbe la possibilità di diventare una
grande nazione anche senza l'apporto delle colonie. L'uso delle colonie fu
conseguente al fallimento di tale compromesso politico, in quanto le classi
marginali risultavano particolarmente oppresse.
ITALIA ED EUROPA DAL 1500 al 1700
In alcune città italiane i rapporti mercantili capitalistici s'erano formati
già nei secoli XIV e XV, ma a causa del frazionamento politico e della
controriforma inizia una decadenza che durerà sino all'unificazione
nazionale.
Agli inizi del 1500 Milano era governata dai duchi della famiglia Sforza,
Venezia dall'oligarchia commerciale, Firenze dai Medici, nell'Italia
centrale vi era lo Stato della Chiesa e a sud il regno di Napoli, governato
dalla dinastia spagnola degli Aragona. Non esisteva un unico mercato
nazionale come in Inghilterra e in Francia. Le città, pur essendo molto
ricche, basavano la loro attività sul commercio coll'estero e questo le
rendeva inevitabilmente rivali. Di qui l'inizio della decadenza economica,
dopo la grande fioritura dei Comuni e delle Signorie.
Complessivamente le ragioni della decadenza sono queste:
assenza di un unico mercato interno;
presenza di barriere doganali, dazi elevati e protezionismo fra gli stati
italiani (il che comporta l'aumento del prezzo delle merci);
all'interno di ogni stato italiano solo la città principale poteva estendere
la propria industria;
quando Inghilterra, Francia e altri paesi nord-europei sviluppano una loro
manifattura, i prodotti (soprattutto tessili) delle città industriali
italiane (Firenze, Milano, Venezia, Padova...) non sono più concorrenziali.
Altre industrie entrano in crisi: cantieristica, cotone, armi, ecc. Solo i
prodotti di lusso continuano ad essere richiesti (seta, oreficeria, vetro
veneziano, oggetti d'arte) ma il consumo riguarda una stretta minoranza;
dopo la conquista turca di Costantinopoli nel 1453, i mercanti italiani, per
riavere i diritti commerciali, devono pagare forti tasse, per cui i rapporti
coll'Oriente finiscono (l'unica via era quella che passava per l'Egitto, ma
qui i sultani arabi hanno il monopolio del commercio);
con la scoperta dell'America (1492) il Mediterraneo perde molta della sua
importanza, a tutto vantaggio delle coste atlantiche.
A causa della decadenza economica, accelerata dalla divisione politica,
mercanti e imprenditori cominciano ad abbandonare l'attività commerciale e
industriale, cercando altri settori nei quali investire con profitto i
propri capitali. Di qui lo sviluppo delle operazioni puramente finanziarie e
usuraie (prestiti concessi ad alti interessi); di qui l'acquisto di terre e
di titoli nobiliari da parte della borghesia cittadina. In pratica,
mercanti, banchieri e imprenditori si trasformano in proprietari terrieri
che concedono ai contadini piccoli appezzamenti di terra in affitto e a
condizioni semifeudali. La rendita feudale diventa la fonte principale dei
loro redditi.
Nell'Italia centrosettentrionale, man mano che si chiudono le industrie
(opifici), una gran quantità di operai è costretta a lasciare le città e a
ritornare nelle campagne. Di qui il grande sviluppo dell'orticoltura. Il
tipo fondamentale di affitto diventa la mezzadria: cioè in base a un
contratto il mezzadro deve assumersi tutte le spese dell'azienda, apportare
i miglioramenti necessari e introdurre nuove colture. In tutto questo il
proprietario poteva sempre interferire. Egli però s'impegnava a fornire
sementi, bestiame, strumenti agricoli o il denaro per comprarli. Il mezzadro
doveva dare metà raccolto al proprietario e pagare le imposte allo Stato.
Purtroppo, i mezzadri, dovendo sopportare il peso delle guerre di conquista
franco-spagnole e vessati da interessi usurai, facilmente diventavano, pur
essendo formalmente liberi, schiavi del loro padrone, per cui la fuga era
punita col carcere. E così, oltre alla metà del raccolto, il padrone, col
tempo, pretenderà altre corvées. In una situazione ancora peggiore si
trovavano gli operai salariati agricoli, completamente privi di qualsiasi
proprietà.
Il frazionamento politico rendeva ovviamente l'Italia facile preda degli
Stati vicini, Francia e Spagna, che avevano già ultimato la loro
unificazione nazionale alla fine del 1400 mediante forti monarchie
centralizzate. Il primo a scendere in Italia fu Carlo VIII, chiamato da
Ludovico il Moro di Milano per combattere Ferdinando I, re spagnolo a
Napoli. Carlo VIII s'insediò nel napoletano, ma Milano, Venezia, il Papato,
il re di Spagna e l'imperatore d'Austria riuscirono a cacciare i francesi.
La guerra contro i francesi continuò sino alla pace di Cateau-Cambresis
(1559) che sancì definitivamente l'egemonia spagnola in Italia e in Europa.
La Francia dovette rinunciare a ogni pretesa sull'Italia.
Durante queste guerre l'Italia cattolica si vide impegnata anche nella
Controriforma con il Concilio di Trento (1545-1563). Viene ripristinato il
Tribunale dell'Inquisizione e l'Indice dei libri proibiti.
Contro gli avidi feudatari francesi e spagnoli, contro le bande di mercenari
che coi loro saccheggi devastavano il paese, insorsero al centro-nord masse
popolari con idee eretiche e riformatrici (valdesi, anabattisti, ecc.).
Tuttavia la Spagna trionfò su tutti, continuando a tenere in condizione di
vassallaggio gran parte dei territori italiani.
Con Machiavelli e Guicciardini si comincia ad avanzare l'idea
dell'unificazione del paese: un'idea che secondo i loro piani avrebbe dovuto
realizzarsi ad ogni costo e con qualsiasi mezzo e soprattutto per opera di
un principe risoluto e senza scrupoli. Il modello di Machiavelli era il
figlio del papa Alessandro VI, Cesare Borgia, duca di Romagna, famoso per i
suoi delitti.
La Spagna non faceva altro che perseguire una politica di rafforzamento
dell'ordine feudale esistente nell'Italia meridionale e in Sicilia. Ciò ebbe
come conseguenza un progressivo impoverimento delle masse contadine.
Lo Stato della Chiesa non era interessato all'unificazione nazionale. Sul
piano economico aveva un sistema analogo a quello spagnolo. Inoltre era
impegnato nella lotta contro la Riforma protestante, di cui temeva il
diffondersi negli stati italiani.
Nel corso del '500 si sviluppano notevolmente le arti (Raffaello,
Michelangelo, Ariosto, Leonardo da Vinci, ecc.).
* * *
Dopo la cacciata dei francesi dall'Italia, il predominio spagnolo dura per
oltre un secolo e mezzo, dalla Pace di Cateau-Cambrésis (1559) fino alla
Pace di Utrecht (1713). Con la guerra di Successione spagnola (1700-1713), i
possessi spagnoli in Italia passano all'Austria (regno di Napoli, Ducato di
Milano e Sardegna). Ma i Borboni di Spagna riescono a sottrarre la Sicilia e
la Sardegna agli Asburgo, conquistando poi il Regno delle due Sicilie. Gli
austriaci rimasero nel Lombardo-Veneto.
Verso la metà del 1700 al nord nobiltà e clero avevano circa i 2/3 di tutte
le terre coltivabili, al sud addirittura i 9/10. Il livello dell'agricoltura
era molto basso e la tecnica primitiva. Molti contadini fuggivano all'estero
o si ribellavano, diventando anche eretici (Valdesi).
Il commercio era praticamente inesistente: i paesi nord-europei erano più
forti e concorrenziali. Anche l'industria stagnava. I ceti privilegiati non
pagavano tasse, vivevano di rendita, ricoprivano le cariche maggiori
nell'esercito e nell'apparato statale...
E' nella seconda metà del '700 che l'Italia, grazie a un prolungato periodo
di pace, può in parte riprendersi economicamente. Lo sviluppo
dell'agricoltura assume un carattere più mercantile che feudale. La classe
borghese s'interessa a migliorare la produzione agricola. Si sviluppa la
manifattura tessile e metallurgica, dove venivano riuniti molti operai,
nonché molti lavoratori a domicilio che eseguivano operazioni singole.
Sommosse tuttavia non mancarono in questo periodo. L'aumento dei prezzi
infatti facilmente trasformava i contadini in braccianti, gli artigiani in
operai salariati delle manifatture. Di fronte a queste sommosse i governi
assolutistici italiani cercano di alleggerire la pressione sulle masse
intaccando alcuni privilegi delle classi nobiliari e del clero, ma la
maggioranza delle riforme dell'assolutismo illuminato fallisce, a causa
delle resistente delle classi privilegiate.
Ciò indusse gli ideologi illuministi della giovane borghesia italiana a
chiedere l'abolizione dei privilegi dei nobili e del clero, nonché
l'applicazione di leggi egualitarie. Si formano delle Società culturali
borghesi (ad es. quella dei Pugni ove il Beccaria scrisse Dei delitti e
delle pene) che chiedevano la fine della divisione politica degli stati
italiani, l'abbattimento delle barriere doganali, dei dazi protettivi,
l'adozione di una legislazione unificata, ecc. Queste Società riponevano
grandi speranze nei monarchi, esortandoli a unirsi e a togliere le terre ai
nobili e al clero per darle ai contadini.
A queste idee presto si aggiunsero quelle provenienti dalla Francia
rivoluzionaria, ma gli illuministi italiani, molto più di quelli francesi,
continuavano ad attendere le riforme dall'alto. Ciononostante la Rivoluzione
francese trovò in Italia molti seguaci. Nel nord i francesi insieme agli
italiani illuministi costituirono la Repubblica Cisalpina (ex-possessi
austriaci, ex ducato di Modena, Legazioni pontificie), a Genova la
Repubblica Ligure, a Roma quella Romana, a Napoli quella Partenopea.
Tuttavia, l'aspirazione degli illuministi italiani alla costituzione di una
Repubblica unificata non trovò l'appoggio di Napoleone, che preferiva
dominare un'Italia divisa. Questo fu uno dei motivi per cui gli italiani si
allontanarono dalla Francia. Altri motivi furono: il carattere predatorio
della politica francese, la divisione dei territori della Repubblica Veneta
fra Austria e Francia, il sequestro francese di moltissime opere d'arte
italiane, la mancata concessione ai contadini delle terre confiscate al
clero (terre che finirono solo alla borghesia).
Il Seicento italiano fu caratterizzato dal predominio della monarchia
spagnola. Questo predominio diventa sicuro con la pace di Cateau-Cambresis
(1559), con cui si pone termine alle guerre italiane tra Borboni di Francia
e Asburgo di Spagna: quest'ultimi occupano il ducato di Milano e tutta
l'Italia meridionale e insulare. Tale situazione resterà invariata fino alla
pace di Utrecht (1713) tra Francia e Spagna, che concluderà la guerra di
"successione spagnola", causata dal fatto che l'ultimo discendente Asburgo
di Spagna, Carlo II, era morto senza lasciare figli maschi. La Spagna
conserverà l'indipendenza dalla Francia, ma sul suo trono salirà un Borbone
francese e il suo predominio in Italia verrà surclassato da quello
austriaco, fino al 1748 (pace di Aquisgrana fra Borboni spagnoli e Asburgo
austriaci). La Sicilia in un primo momento passerà al duca di Savoia, in
seguito agli Asburgo d'Austria, mentre la Sardegna ai Savoia. Dopo il 1748 i
Borboni spagnoli (subentrati agli Asburgo spagnoli) torneranno nel
Mezzogiorno (esclusa la Sardegna) e l'Austria resterà in Lombardia e
Toscana.
Durante l'egemonia spagnola resteranno relativamente indipendenti:
Repubblica Veneta (oppressa però nei suoi domini mediterranei dai Turchi),
Stato Pontificio (che nulla aveva potuto nell'Europa settentrionale con la
Controriforma) e Ducato di Savoia (condizionato però dagli Asburgo in
Lombardia e dalla Francia a occidente).
Sul piano economico l'Italia ebbe un tracollo dal quale, fino all'unità
nazionale, non riuscirà più a sollevarsi. Divisa in tanti staterelli fra
loro concorrenziali, l'economia mercantile non riuscì a trovare lo spazio
sufficiente per allargarsi e ingrandirsi (i dazi doganali e il protezionismo
glielo impedivano). Influenzata inoltre dalla Controriforma cattolica e
dalla politica conservatrice, aristocratica e di mera rapina degli Asburgo,
l'Italia fu costretta ad abbandonare i mercati (nei quali si era distinta
prima di ogni altra nazione europea) e a ritornare alla terra
(rifeudalizzazione), la quale, anche se garantiva redditi minori, era una
fonte d'entrata più sicura. Naturalmente non mancarono le rivolte contro il
governo spagnolo (la più famosa fu quella di Napoli del 1647, capeggiata dal
pescivendolo Masaniello)- ma nessuna ebbe esito positivo.
DALLA PACE DI AUGUSTA (1555) ALLA PACE DEI PIRENEI (1659)
Con la pace di Augusta (1555) l'imperatore del Sacro romano-germanico
impero, Carlo V, decise di rinunciare alla sua idea di restaurare l'unità
politica e religiosa dell'Impero. Accettò quindi la pace sia coi protestanti
tedeschi che coi francesi.
Coi protestanti: accettò la loro libertà religiosa, anche se impose due
principi restrittivi: 1) cuius regio eius religio, secondo cui i sudditi di
uno Stato avrebbero dovuto conformarsi alla religione del loro principe o,
in caso contrario, emigrare; 2) reservatum ecclesiasticum, secondo cui i
beni ecclesiastici secolarizzati prima del 1552 non sarebbero più stati
rivendicati dalla chiesa cattolica, mentre se qualche prelato cattolico si
fosse convertito al luteranesimo dopo tale anno avrebbe dovuto rinunciare a
tutti i benefici e possessi goduti in virtù della propria carica e
restituirli alla chiesa cattolica.
Coi francesi: Carlo V, subito dopo la Pace d'Augusta, abdicò dividendo il
regno d'Asburgo in due parti: una la diede al fratello Ferdinando I (già re
di Boemia-Ungheria, che ereditò i domini austriaci e la corona imperiale);
l'altra la diede al figlio Filippo II (che ebbe Spagna, Paesi Bassi, Italia
e colonie americane).
Questa divisione geopolitica tuttavia non servì a nulla, poiché Filippo II,
dopo aver realizzato, in politica interna, un assolutismo centralizzato e
militarizzato, ostile sia ad ogni autonomia cittadina e regionale (cioè ad
ogni attività borghese), sia ad ogni religione che non fosse quella
cattolica della chiesa romana; dopo aver, in politica estera, conquistato il
Portogallo, represso i calvinisti nei Paesi Bassi (anche se poi, nel 1648,
con l'aiuto della borghesia, i calvinisti riusciranno a ottenere
l'indipendenza dell'Olanda dalla Spagna, mentre il Belgio non vi riuscirà e
resterà cattolico); dopo inoltre aver tentato di ricondurre l'Inghilterra in
seno alla chiesa romana (in questo caso senza conseguire alcun successo,
anzi, perdendo l'egemonia navale a vantaggio degli inglesi)- dopo tutto ciò
volle scatenare un'altra guerra contro la Francia, approfittando della crisi
socioeconomica e dinastica di questo paese, profondamente diviso tra
cattolici e ugonotti (calvinisti), i primi rappresentati dal partito dei
Guisa (appoggiato dalla Spagna), i secondi rappresentati dal partito dei
Borboni (sostenuto dall'Inghilterra).
La guerra, in un primo momento, si concluse favorevolmente alla Spagna (pace
di Cateau-Cambresis 1559), ma in seguito, a motivo del fatto che il re
Borbone Enrico IV si convertì al cattolicesimo, riconoscendo completa
libertà di culto agli ugonotti, si rivelerà catastrofica per la Spagna, in
quanto la Francia la obbligherà a due umilianti sconfitte: la prima si
concluderà con la pace di Westfalia (1648), che segna il declino degli
Asburgo d'Austria, e la seconda si concluderà con la pace dei Pirenei
(1659), che segna il declino degli Asburgo di Spagna. Declino determinato
anche dal fatto che le immense ricchezze provenienti dalle colonie
americane, vennero sperperate dal governo spagnolo per acquistare presso
altri paesi i beni di consumo ch'esso non voleva produrre in proprio. Le
stesse colonie, costrette a commerciare con una madrepatria del tutto
parassitaria, andarono ben presto in rovina.
Alla Pace di Westfalia si arrivò dopo una guerra durata trent'anni
(1618-48), causata dal fatto che né i cattolici né i protestanti avevano
intenzione di accettare le due clausole restrittive della Pace di Augusta.
Il luteranesimo in Germania era ancora una forza in via di espansione, per
cui i principi feudali si sentivano più autorizzati a chiedere di spostare
in avanti l'anno-limite delle secolarizzazioni (1552) dei beni cattolici. A
ciò si opponeva la vigorosa offensiva antiprotestante della controriforma
cattolica, sviluppatasi nelle province centromeridionali dell'impero
asburgico. Infine, i gruppi calvinisti reclamavano parità di condizioni
giuridiche rispetto ai luterani.
Allorché quindi l'imperatore Ferdinando I, dopo aver ottenuto la corona di
Boemia (1617), decide di demolire le chiese protestanti ivi presenti o di
chiuderle forzatamente, questo fu considerato come un buon motivo per
scatenare una guerra tra Boemia e Impero (Austria). Ferdinando, che intanto
è riuscito a garantirsi anche la corona di Ungheria, non chiede di meglio,
avendo egli intenzione di stabilire la supremazia imperiale dall'area
baltica al confine renano. Dopo la sconfitta della Boemia, insorse la
Danimarca, ma inutilmente. Questa volta l'Impero riuscì anche a imporre ai
protestanti di restituire tutti i benefici ecclesiastici occupati dopo la
Pace di Augusta (Editto di restituzione) e cercò altresì di riaffermare su
tutti i principi (cattolici e protestanti) della Germania il suo potere,
allargando infine i propri confini sul Mar Baltico. Ciò determinò l'entrata
in guerra della Svezia, che però subì una netta sconfitta. Fu a questo punto
che la Francia dichiarò contemporaneamente guerra alla Spagna e all'Austria.
Dopo 10 anni di guerra la Francia impose all'Impero le seguenti condizioni
per realizzare la pace di Westfalia (1648): 1) Non-obbligo, da parte dei
sudditi, di professare la religione dei loro principi qualora questi
decidano di abbracciare un nuovo credo; 2) divieto ai principi di confiscare
i beni dei dissidenti costretti a emigrare; 3) estensione del riconoscimento
giuridico anche alla confessione calvinista, cioè ogni sovrano deve
rispettare nel proprio Stato le minoranze religiose; 4) i beni
ecclesiastici, in possesso dei protestanti fino al 1624, non devono essere
restituiti alla chiesa cattolica (revoca dell'Editto di restituzione); 5) la
Francia si annette l'Alsazia (esclusa Strasburgo), diventando una potenza di
primissimo piano in Europa, mentre la Svezia si annette alcune città e
territori del Baltico. I Paesi Bassi e la Svizzera diventano indipendenti;
6) l'Impero ottiene soltanto che i 350 principi e sovrani al suo interno,
pur potendo stringere alleanze tra loro o con potenze straniere, non devono
farlo contro gli interessi dell'Impero. La Casa d'Austria dovrà rinunciare
per sempre al tentativo d'imporre alla Germania un potere monarchico
accentrato ed ereditario.
La Spagna non riconosce questa pace, ma la Francia, alleata con
l'Inghilterra, la sconfigge militarmente obbligandola alla pace dei Pirenei
(1659). Inoltre la Francia, per assicurarsi eventuali diritti sul trono
spagnolo, promuove una politica matrimoniale che determinerà in seguito la
guerra di devoluzione e di successione spagnola (che porterà un ramo dei
Borboni francesi sul trono spagnolo).
DALLA PACE DI WESTFALIA (1648) AI TRATTATI DI UTRECHT (1713) E DI RASTADT
(1714)
In questo periodo la storia degli Stati europei è caratterizzata dal
predominio della Francia di Luigi XIV e dalle lotte sostenute dagli Asburgo
d'Austria-Spagna e dall'Inghilterra per contrastarlo.
Politica di Luigi XIV Re Sole (1661-1715):
ridurre la potenza dell'aristocrazia nobiliare, già limitata dall'ascesa di
un nobiltà di toga di estrazione borghese, ed anche economicamente in crisi
per il prevalere del capitale commerciale dei ceti medi (il RE trasformò la
vecchia nobiltà politica in nobiltà cortigiana, abituandola a vivere di
laute pensioni e prebende a Versailles, lontana dalle popolazioni rurali di
provincia);
sviluppare il mercantilismo (colbertismo): la ricchezza di una nazione
dipende dalla quantità di oro-argento posseduta, favorire l'export e
impedire l'import (protezionismo), bassi salari a bassi i prezzi dei
prodotti agricoli per favorire l'export, nascita delle grandi manifatture
sovvenzionate dallo Stato o di sua proprietà (tessuti, tintorie, porcellane,
artigianato del vetro) per vincere all'estero la concorrenza straniera,
quindi favorire lo sviluppo della borghesia, migliorando le vie di
comunicazione e creando una Compagnia per le Indie orientali e una per
quelle occidentali (conquiste coloniali);
realizzare un forte accentramento amministrativo (istituire gli Intendenti,
cioè i rappresentanti del potere centrale nelle province, con ogni potere
amministrativo, giudiziario e militare);
sul piano della politica religiosa: a) garantire l'indipendenza della Chiesa
gallicana da Roma (l'alto clero sottoscrive una Dichiarazione gallicana con
cui s'afferma la superiorità dei concili dei vescovi sul papa e si ribadisce
la dipendenza della Chiesa francese dal sovrano in ogni materia che non sia
di ordine spirituale); b) spezzare l'indipendenza morale e religiosa degli
ugonotti e dei giansenisti (entrambi filocalvinisti), per eliminare in
Francia ogni opposizione all'assolutismo monarchico;
in politica estera la Francia cerca di allargare i confini a danno di
Spagna, Olanda, Piemonte, Lussemburgo, scatenando diverse guerre (guerra di
devoluzione, d'Olanda, della Lega d'Augusta e di successione spagnola).
La guerra più importante è quella di successione spagnola. Nel 1700 era
morto l'ultimo rappresentante del ramo spagnolo degli Asburgo, Carlo II,
senza lasciare eredi maschi. Gli aspiranti alla successione erano i Borboni
francesi con Filippo d'Angiò, designato dallo stesso Carlo II a condizione
che le corone francese e spagnola non fossero mai unite in un solo regno;
gli altri pretendenti erano gli Asburgo d'Austria, per diritto di dinastia.
La guerra di successione spagnola scoppiò perché, dopo aver insediato in
Spagna Filippo V d'Angiò, la Francia voleva riaffermare una propria egemonia
a livello europeo e coloniale, sfruttando le colonie spagnole nell'America
centromeridionale. Inghilterra, Olanda e altri piccoli Stati si allearono
per limitare queste pretesa e vi riuscirono con una guerra che durò dal 1701
al 1713. Poi si fece la Pace di Utrecht (1713), con la quale Filippo V
rimase sul trono spagnolo, ma a condizione di rispettare la volontà di Carlo
II e rinunciando (per sé e i successori) ad ogni diritto sulla corona
francese.
Nel 1714 la Francia fu costretta al Trattato di Rastadt con l'Austria. Dalla
spartizione dei possessi coloniali spagnoli trassero profitto gli Asburgo
d'Austria, che poterono estendere la loro sovranità ai Paesi Bassi spagnoli,
ai domini in Italia (Milano, Sardegna e Regno di Napoli, esclusa la
Sicilia). I Savoia acquistarono la Sicilia, offerta dall'Inghilterra, che
durante la guerra di successione spagnola l'aveva tolta alla Spagna. I
Savoia acquistano anche il titolo regio. L'Inghilterra acquista Gibilterra e
si afferma nel Mediterraneo e nell'Atlantico.
Gli imperi coloniali all'inizio del '700. Spagna e Portogallo avevano
dominato i mari tra il 1450 e il 1550. Protagonisti del colonialismo europeo
sono tra il '600 e il '650 inglesi e olandesi, in parte i francesi.
1. Spagna: Messico, Florida, tutta l'America centromeridionale (escluso il
Brasile), isole Filippine e le Molucche nel Pacifico. Dominio rapace, esoso,
fiscale, inetto sul piano amministrativo, scarso sul piano
borghese-commeciale. Sfruttamento di piantagioni di canna da zucchero,
cacao, caffè, cotone... Per sopperire alla mancanza di manodopera
favoriscono la tratta dei negri (importandoli dall'Africa).
2. Portogallo: Brasile, dove sfrutta canna da zucchero, tabacco, caffè...
Anch'esso favorevole allo schiavismo negro e indio. In Africa e Asia ha
perduto importanti scali commerciali a vantaggio di Olandesi e Inglesi,
quando fu conquistato dalla Spagna (1580-1641). Gli olandesi presero Città
del Capo, Ceylon...; gli inglesi Calcutta e Madras: prime basi del futuro
dominio in India.
3. Francia: Quebec fondata nel 1608, futura capitale del Canada. Nella
Americhe la Francia dispone del Canada e della Luisiana, ma siccome la sua
emigrazione coloniale è scarsa, le colonie, semispopolate, non resistono
alle pressioni di quelle inglesi lungo le coste atlantiche. In Africa la
Francia dispone del Senegal e dell'isola Madagascar.
4. Inghilterra: l'emigrazione dei perseguitati politici inglesi per motivi
religiosi (puritani, quaccheri), interessò le coste orientali dell'America
settentrionale. Gli Inglesi con la guerra coloniale porteranno via alla
Francia il Canada e la Luisiana, e alla Spagna la Florida (metà '700). Le
colonie inglesi si dividono in nordamericane: agricoltura, allevamento
bestiame, piccola proprietà; e sudamericane: agricoltura, latifondo (canna
da zucchero, tabacco, cotone, coltivate da schiavi negri.
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